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AGGIORNAMENTO AL 30.07.2012 |
ã |
IN EVIDENZA |
L’uscita della nuova DGRL
IX 2727 del 21.12.2011, Criteri e
procedure per l’esercizio delle funzioni
amministrative in materia di beni
paesaggistici in attuazione alla LR 12/2005,
ha portato ad una rivisitazione e
aggiornamento della precedente DGRL 2121 del
2006 ed alla sua conseguente revoca.
Come
abbiamo avuto modo di sentire nella
presentazione esposta lo scorso 21.03.2012,
in una giornata di studio in quel di Bergamo
-con la relazione dell’arch. Sergio Cavalli
di Regione Lombardia, dell’avv. Mario
Viviani e dell’arch. Domenico Palezzato,
questi nuovi criteri non modificano
sostanzialmente quelli già esistenti, ma li
completano e li rendono più accessibili per
l’applicazione.
In logica conseguenza anche l’arch. Domenico Palezzato, che
aveva già predisposto nel 2007 una relazione di indirizzo
sulla redazione della prescritta Relazione Paesaggistica
pubblicata a suo tempo sul Portale PTPL, ha integrato ed
aggiornato il proprio lavoro.
Per dare
maggiore consistenza e peso “difendibili”
alla Relazione (già approvata dalla
Direzione Regionale del Mibac e dalla
Soprintendenza di Milano) è stato edito da
Tecnograph s.r.l. di Bergamo (pagg. 132,
2012) un testo ufficiale del lavoro svolto
dall’arch. Palezzato che è stato completato
anche con il nuovo modello di Esame
dell’Impatto Paesistico di cui alla parte IV
del Piano Paesistico Regionale riferito
agli ambiti non oggetto di vincolo specifico
di tutela.
Sulla via
dell’informatizzazione e quale tecnica di
ausilio al tema paesaggistico, al testo è
stato allegato un software (prodotto da Cadline software s.r.l.) che consente di
redigere, in forma semplice e corretta,
l’elaborato richiesto dal pianificatore
regionale. |
Il costo del volume,
comprensivo del software, è di € 36,50 ma la
stretta e continua collaborazione con
l’autore ha permesso di concordare per gli
utenti del Portale PTPL un prezzo di € 30,00
per i liberi professionisti e di € 25,00 per
gli enti pubblici. Di seguito si indicano i
link di indirizzo per poter accedere
all’acquisto scontato:
1.
ACQUISTO RISERVATO A
PUBBLICHE AMMINISTRAZIONI:
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O LIBERI PROFESSIONISTI:
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Ci auguriamo che anche questo
sia un ulteriore tassello significativo,
messo a disposizione, per la composizione e
miglioramento del progetto generale
formativo del Portale PTPL.
Cordialmente.
30.07.2012 - LA SEGRETERIA PTPL |
UTILITA' |
EDILIZIA PRIVATA: SCIA,
super-DIA, permesso di costruire: tutto
quello che c’è da sapere, in un documento
semplice e sintetico.
Per la realizzazione di interventi edilizi,
dalla semplice manutenzione alla costruzione
di un nuovo fabbricato, è necessario
possedere opportuno titolo abilitativo.
Ma quando occorre utilizzare la SCIA o la
super-DIA, oppure il permesso di costruire?
Che differenza esiste tra le diverse
attività edilizie?
Quali sono le spese da sostenere per l’uno o
l’altro?
Qual è la validità in termini di tempo?
In questo articolo proponiamo un
documento di sintesi, contenente le
definizioni relative alle diverse attività
edilizie, le tipologie dei permessi
previsti, le relative normative di
riferimento, i costi, i vincoli, le sanzioni
previste.
Il documento risulterà certamente utile a
tutti i tecnici dell’edilizia e non solo
(26.07.2012 - link a www.acca.it). |
APPALTI -
EDILIZIA PRIVATA: False
partite Iva, appalti, sportello unico, bonus
per riqualificazione e riforma del lavoro:
ecco le novità dell’emendamento al Decreto
Sviluppo.
Sono stati approvati importanti emendamenti
al Disegno di Legge di conversione al
Decreto Sviluppo, D.L. 83/2012.
Le modifiche contenute negli emendamenti,
approvati dalle Commissioni Finanze e
Attività Produttive alla Camera, riguardano
il settore edile, la proroga della mobilità,
le modifiche sulla flessibilità in entrata,
gli ammortizzatori sociali, le modifiche al
Testo Unico in Edilizia.
Approvate alcune importanti novità; di
seguito un documento di sintesi delle
modifiche enunciate negli emendamenti:
● False partite Iva
● Sportello Unico Edilizia
● Liberalizzazione degli appalti
● Proroga bonus detrazione 55%
● Politiche urbane
● Riqualificazione urbana
(26.07.2012 - link a www.acca.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Nuovo
sportello unico per l’edilizia? Ecco le
probabili novità.
Lo sportello unico per l’edilizia è stato
istituito nel 2001 con il Testo Unico per
l’Edilizia, ossia con il D.P.R. 380/2001.
Tutti i comuni devono esserne dotati.
Il DPR 380/2001 afferma, all’art. 5, comma
1: “Le amministrazioni comunali,
nell'ambito della propria autonomia
organizzativa, provvedono a costituire un
ufficio denominato sportello unico per
l'edilizia, che cura tutti i rapporti fra il
privato, l'amministrazione e, ove occorra,
le altre amministrazioni tenute a
pronunciarsi in ordine all'intervento
edilizio oggetto della richiesta di permesso
o di denuncia di inizio attività”.
Si tratta di un vero e proprio intermediario
tra l’amministrazione pubblica ed il privato
con il compito di:
►
fornire informazioni in materia edilizia;
►
ricevere le denunce di inizio attività;
►
ricevere le domande per il rilascio di
permessi di costruire o ogni altro atto
amministrativo volto a disciplinare
interventi edilizi.
Ricevute le richieste, l'ufficio è tenuto al
rilascio dei permessi di costruire, dei
certificati di agibilità, delle
certificazioni attestanti il rispetto delle
norme edilizie e dei piani paesaggistici,
ambientali e urbanistici vigenti.
Nel processo di conversione del
Decreto Sviluppo 2012 (D.L. 83/2012),
attualmente in corso, è stato approvato un
emendamento contenente misure di
semplificazione per il settore delle
costruzioni.
Sono previste misure di semplificazione e
rafforzamento dello Sportello Unico, con le
seguenti novità:
►
velocizzazione delle procedure
amministrative, inclusa la procedura del
silenzio-assenso per il rilascio del
permesso di costruire;
►
maggiori poteri decisionali.
In allegato a questo articolo proponiamo
il testo con le modifiche al D.P.R. 380/2001
(Testo Unico in materia Edilizia) con gli
emendamenti approvati nelle commissioni
Attività Produttive, Finanza e Bilancio
della Camera al Decreto Sviluppo
(26.07.2012 - link a www.acca.it). |
DOTTRINA E
CONTRIBUTI |
URBANISTICA - EDILIZIA PRIVATA:
M. Viviani Spunti
di riflessione in tema di applicazione della
disciplina del comma 3-bis dell’art. 5 D.L.
n. 70/2011.
L'art. 5, comma 3-bis, del D.L. n. 70/2011,
convertito dalla L. n. 106/2011, così
recita: "3-bis.
Per agevolare il trasferimento dei diritti
immobiliari, dopo il comma 49 dell'articolo
31 della legge 23.12.1998, n. 448, sono
inseriti i seguenti:
«49-bis. I vincoli relativi alla
determinazione del prezzo massimo di
cessione delle singole unità abitative e
loro pertinenze nonché del canone massimo di
locazione delle stesse, contenuti nelle
convenzioni di cui all'articolo 35 della
legge 22.10.1971, n. 865, e successive
modificazioni, per la cessione del diritto
dì proprietà, stipulate precedentemente alla
data di entrata in vigore della legge
17.02.1992, n. 179, ovvero per la cessione
del diritto di superficie, possono essere
rimossi, dopo che siano trascorsi almeno
cinque anni dalla data del primo
trasferimento, con convenzione in forma
pubblica stipulata a richiesta del singolo
proprietario e soggetta a trascrizione per
un corrispettivo proporzionale alla
corrispondente quota millesimale,
determinato, anche per le unità in diritto
di superficie, in misura pari ad una
percentuale del corrispettivo risultante
dall'applicazione del comma 48. La
percentuale di cui al presente comma è
stabilita, anche con l'applicazione di
eventuali riduzioni in relazione alla durata
residua del vincolo, con decreto di natura
non regolamentare del Ministro dell'economia
e delle finanze, previa intesa con la
Conferenza unificata ai sensi dell'articolo
3 del decreto legislativo 28.08.1997, n.
281.
49-ter. Le disposizioni di cui al comma
49-bis si applicano anche alle convenzioni
di cui all'articolo 18 del testo unico di
cui al d.P.R. 06.06.2001, n. 380.".
Al riguardo si possono svolgere le seguenti
considerazioni:
1.-
La disciplina introdotta (inserendo il comma
49-bis nell’art. 31 L. n.448/1998) dal comma
3-bis dell’art. 5 D.L. n. 70/2011, come
convertito dalla L. n. 106/2011 -volta a far
fissare dal Comune “i vincoli relativi
alla determinazione del prezzo massimo di
cessione delle singole unità abitative e
loro pertinenze nonché del canone massimo di
locazione delle stesse”-, si riferisce
alle convenzioni di concessione di aree (per
alloggi eep) in proprietà e stipulate prima
dell’entrata in vigore della L. n. 179/1992
in quanto da tale data (15.03.1992) sono
venute meno le norme dell’art. 35 L. n.
865/1971 che ponevano i suddetti vincoli.
Tali vincoli sono, di solito indicati
esplicitamente nelle convenzioni; essi
sussistono anche in forza di un eventuale
rinvio (ricettizio) alle disposizioni
dettate dal ricordato art. 35 (che
sostituiva l’art. 10 L. n. 167/1962).
2.-
La disciplina del menzionato comma 3-bis si
applica anche ai vincoli fissati, nelle
convenzioni di concessione del diritto di
superficie, per “la determinazione e la
revisione periodica dei canoni di locazione
nonché per la determinazione del prezzo di
cessione degli alloggi, ove questa è
consentita” senza alcun limite relativo
alla data di stipulazione della convenzione
in quanto l’ottavo comma dell’art. 35 non è
mai stato abrogato.
3.-
Conseguentemente, se un Comune ha
convenzioni di concessione in proprietà
stipulate prima del 15.03.1992, può
applicare la disciplina di cui al precedente
punto 1. Con riferimento alle convenzioni di
concessione in diritto di superficie,
invece, il Comune può rimuovere, alle
condizioni previste dal menzionato comma
3-bis, i vincoli relativi alla cessione od
alla locazione dei relativi alloggi.
Risulta perciò evidente la differenza tra i
due regimi: per gli alloggi in proprietà,
regolati da convenzioni anteriori al
15.03.1992, i vincoli che possono essere
rimossi sono quelli dettati dall’art. 35 ai
commi 15, 16, 17 e 19, mentre, per gli
alloggi in diritto di superficie, i vincoli
che possono essere rimossi sono quelli
fissati dalle convenzioni in qualsiasi data
stipulate.
4.-
Nei casi di alloggi realizzati in funzione
di convenzioni di concessione del diritto di
superficie per i quali i proprietari abbiano
ottenuto la conversione in proprietà,
valgono le regole sopra indicate per la
concessione del diritto di superficie con
riferimento -perciò- ai vincoli definiti in
convenzione e mantenuti all’atto della
conversione in proprietà.
5.-
La possibilità di rimozione dei vincoli
suddetti si può applicare alle speciali
convenzioni di cui agli artt. 7 e 8 L. n.
10/1977 o 17 e 18 DPR n. 380/2001 (così
dispone il quarto comma dell’art. 5 d.l. n.
70/2011). Non altrettanto si può dire per
eventuali vincoli sulla commerciabilità
degli immobili eventualmente stabiliti da
convenzioni di p.i.i o di piani attuativi.
6.-
La delibera comunale definisce il
corrispettivo per la rimozione dei vincoli
da calcolare applicando il comma 48
dell’art. 31 L. n. 448/1998 con “eventuali
riduzioni in relazione alla durata residua
del vincolo”.
In proposito, l’art. 29, comma 16-undicies,
D.L. n. 216/2011 convertito dalla L. n.
14/2012 pare escludere la necessità del
previo provvedimento ministeriale di cui al
ricordato comma 49-bis L. n.448/1998.
---------------
Ringraziamo l'amico Avv. Mario VIVIANI
per gli interessanti spunti fornitici.
30.07.2012 - LA SEGRETERIA PTPL |
PUBBLICO IMPIEGO:
D. Serra,
Incompatibilità nel pubblico impiego
(Risorse Umane n. 2/2012). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO:
R. Nobile,
Le assunzioni di personale negli enti locali
nel 2012 - Patto di stabilità, rilevazione
degli esuberi, programmazione triennale
condizioni di ammissibilità (Risorse
Umane n. 2/2012). |
LAVORI PUBBLICI:
M. Dell'Unto,
INDICAZIONI OPERATIVE INERENTI LA PROCEDURA
NEGOZIATA SENZA PREVIA PUBBLICAZIONE DEL
BANDO DI GARA NEI CONTRATTI DI IMPORTO
INFERIORE ALLA SOGLIA COMUNITARIA DOPO LE
MODIFICHE INTRODOTTE DALLA LEGGE 12.07.2011,
N. 106 (Gazzetta Amministrativa n.
1/2012 -
link a
www.gazzettaamministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
F. Botteon,
L’esecuzione diretta delle opere di
urbanizzazione primaria sotto soglia: il
d.l. 201/2011 "salva Italia" sopprime
l’obbligo dell’evidenza pubblica ed equipara
il piano attuativo e l’intervento diretto
agli effetti dello scomputo (gennaio
2012 - link a www.lexitalia.it). |
QUESITI &
PARERI |
AMBIENTE-ECOLOGIA: E’
necessario il consenso del Comune
interessato per l’autorizzazione alla
localizzazione di un impianto di smaltimento
rifiuti?
(17.07.2012 - link a www.ambientelegale.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA: Quale
è la differenza tra il potere di ordinanza
ex art. 192, D.Lgs n. 152/2006 e le
ordinanze contingibili e urgenti?
(17.07.2012 - link a www.ambientelegale.it). |
NOTE,
CIRCOLARI E COMUNICATI |
APPALTI SERVIZI:
Prime osservazioni sull’affidamento dei
Servizi Pubblici Locali di rilevanza
economica alla luce della Sentenza della
Corte Costituzionale del 20.07.2012 n. 199
(ANCI,
nota 24.07.2012). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Oggetto: Emissioni in atmosfera di
stabilimenti esistenti: chiarimenti
regionali (ANCE Bergamo,
circolare 24.07.2012 n. 187). |
AMBIENTE-ECOLOGIA: Oggetto:
Disposizioni applicative in materia di
emissione in atmosfera in applicazione della
Parte Quinta del d.lgs. 152/2006 e smi:
chiarimenti in merito alle procedure
autorizzative per gli impianti/attività
ricadenti nell'ambito di applicazione
dell'art. 281, comma 3, del d.lgs. 152/2006
e smi - circolare esplicativa in merito
all'attuazione del dduo del 23.12.2011 n.
12772 inerenti le attività di ...
(Regione Lombardia, Direzione Generale
Ambiente, Energia e Reti, Protezione Aria e
Prevenzione Inquinamenti Fisici e
Industriali, Attività Produttive e Rischio
Industriale,
nota 20.07.2012 n. 15030 di prot.).
---------------
Autorizzazioni in deroga art.
272, comma 1, dlgs 152/2006.
L'entrata in vigore del D.lgs. 128/2010 che
ha modificato e integrato la Parte Quinta
del D.Lgs. 152/2006 "Norme in materia di
tutela dell'aria e di riduzione delle
emissioni in atmosfera ha apportato
modifiche alla disciplina delle emissioni
cosiddette scarsamente rilevanti ai fini
dell'inquinamento atmosferico" di cui
all'art. 272, comma 1, del D.Lgs 152/2006.
La Regione Lombardia ha aggiornato i
contenuti della CIRCOLARE esplicativa del
28/01/2010 prot. n. 1711 emanando l'allegato
4 alla
circolare
20.07.2012 n. 15030 di prot..
In particolare la Regione Lombardia con la
nuova circolare ha:
• aggiornato l'elenco delle attività in
riferimento a quanto riportato nell'allegato
IV, parte I alla Parte Quinta del D.Lgs.
152/2006 come modificato dal D.lgs. 128/2010
• confermato le modalità e procedure
applicative per gli impianti/attività con
emissioni cosiddette scarsamente rilevanti
• definito le tempistiche per la
presentazione delle comunicazioni in accordo
a quanto riportato nell'art. 281 del D.lgs.
152/2006 come modificato dal d.Lgs.
128/2010.
Per ATTIVITA' NUOVE:
I gestori di attività ad emissioni
scarsamente rilevanti, prima dell'avvio
dell'attività o dell'impianto devono
comunicare, al comune competente per
territorio, di ricadere nella casistica di
cui all'art. 272, comma 1, del D.lgs.
152/2006 e s.m.i.; qualora non venga
effettuata tale comunicazione, che può
essere ricompresa all'interno della SCIA, il
gestore incorre nelle sanzioni previste
dall'art. 279, comma 3, del D.Lgs. 152/2006
e s.m.i.
Per le ATTIVITA' ESISTENTI:
I gestori di impianti e attività individuate
dall'art. 272, comma 1, in esercizio alla
data di entrata in vigore della Parte Quinta
del D.Lgs. 152/2006 e s.m.i. che non
ricadevano nel campo di applicazione del DPR
203/1988 o che erano esentati
dall'autorizzazione alle emissioni (ad
esempio attività di cui ai punti da bb) a kk)
) si adeguano alle disposizioni della Parte
Quinta D.Lgs. 152/2006 e s.m.i., ossia
trasmettono la comunicazione al Comune
competente per territorio, entro il
01.09.2013 (commento tratto da
www.provincia.bergamo.it). |
APPALTI:
OGGETTO: ulteriori disposizioni
organizzative ed operative per
l’applicazione dell’articolo n. 15 della
Legge 12.11.2011, n. 183 (INPS,
circolare 18.07.2012 n. 98).
---------------
Il Ministero per la Pubblica
Amministrazione e la Semplificazione, con le
circolari n. 5 del 23.05.2012 e n. 6 del
31.05.2012, ha emanato direttive in merito,
rispettivamente, all’ambito di applicazione
dell’art. 40, comma 02, del D.P.R. n. 445
del 2000 ed all’applicazione al DURC delle
disposizioni in materia di certificati e
dichiarazioni sostitutive introdotte dalla
medesima norma.
Con la presente circolare vengono adeguate
alle sopra citate direttive ministeriali le
indicazioni fornite alle Sedi con la
circolare n. 47 del 27.03.2012.
---------------
DURC, ecco il punto della situazione grazie
alla Circolare dell’Inps.
L’Inps ha emanato la Circolare 98 del
18.07.2012 in cui fornisce indicazioni sulle
modalità per il rilascio del DURC (Documento
Unico di Regolarità Contributiva) alla luce
delle nuove norme.
In particolare, il documento contiene
indicazioni su:
Þ
Certificati rilasciati per l’estero
Þ
Certificati da depositare nei fascicoli
delle cause giudiziarie
Þ
Documento Unico di Regolarità Contributiva
Viene
chiarito che il divieto per un ente pubblico
di produrre un certificato per altra
Amministrazione Pubblica si applica solo tra
Amministrazioni dello Stato italiano.
Pertanto, qualora il privato chieda un
certificato da consegnare ad Amministrazione
di un paese estero, il certificato dovrà
riportare la dicitura: “Ai sensi dell’art.
40, D.P.R. 28.12.2000, n. 445, il presente
certificato è rilasciato solo per l’estero”.
In merito ai certificati da depositare nei
fascicoli delle cause giudiziarie, si
rammenta che gli uffici giudiziari non vanno
considerati pubbliche amministrazioni.
La Circolare ribadisce che le Pubbliche
Amministrazioni acquisiscono d’ufficio il
Documento Unico di Regolarità Contributiva
(con le modalità di cui all'articolo 43 del
T.U. delle disposizioni legislative e
regolamentari in materia di documentazione
amministrativa, di cui al Decreto del
Presidente della Repubblica 28.12.2000, n.
445 e successive modificazioni).
Pertanto, il DURC non potrà essere
consegnato dal privato all’Amministrazione,
ma sarà la stessa Amministrazione a doverlo
richiedere agli Enti preposti al suo
rilascio.
Nei rapporti tra privati restano, invece,
restano valide le disposizioni previste dal
D.Lgs. 81/2008: lo stesso privato potrà
richiedere alla Pubblica Amministrazione il
rilascio del DURC che dovrà contenere la
seguente dicitura: “Il presente Certificato
non può essere prodotto agli organi della
pubblica Amministrazione o ai privati
gestori di pubblici servizi”.
Per quanto concerne l’acquisizione d'ufficio
del DURC in materia di lavori pubblici viene
precisato che questa deve avvenire, come
espressamente previsto dall'articolo 6,
comma 3, del D.P.R. 207/2010, in tempi
rapidi, sia nella fase di gara che in quella
successiva, al fine di evitare ritardi nei
pagamenti che possano far scattare
responsabilità erariale a carico del
dipendente pubblico incaricato di richiedere
il DURC. (commento tratto da www.acca.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA -
EDILIZIA PRIVATA:
Oggetto: Trasmissione circolare impianti
mobili di trattamento rifiuti (inerti)
(Regione Lombardia, Direzione Generale
Qualità dell'Ambiente, Struttura Prevenzione
Inquinamento Atmosferico e Impianti,,
nota 03.08.2009 n. 14992 di prot.). |
NEWS |
APPALTI FORNITURE:
Forniture. Le nuove regole si
applicheranno solo agli acquisti conclusi
dopo la conversione del decreto.
Metodo Consip solo sui nuovi contratti.
I contratti di acquisto di beni e servizi
già stipulati dalla Pa, anche se non
conformi al metodo Consip –cioè alla
standardizzazione dei parametri di valore–
sono salvi. Le regole contenute nel testo
sulla spending review si
applicheranno solo ai nuovi accordi, in
particolare a quelli successivi all'entrata
in vigore del decreto di conversione.
È questa una delle due modifiche di sostanza
uscite dal passaggio del testo alla
Commissione bilancio del Senato, alla
vigilia dell'approdo in Aula per la
conversione, attesa per lunedì e che sarà
probabilmente accorpata al provvedimento
sulle dismissioni. ... (articolo
Il Sole 24 Ore del 29.07.2012 -
tratto da www.ecostampa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Processo amministrativo a dieta.
Atti brevi e chiari. Ne va
dell'ammissibilità del ricorso. Il consiglio
dei ministri ha approvato il secondo decreto
correttivo della riforma del Cpa.
Atti brevi e chiari. Davanti al giudice
amministrativo la prolissità e la confusione
nell'esposizione può costare caro in termini
rispettivamente ... (articolo
ItaliaOggi del 28.07.2012 -
tratto da www.ecostampa.it). |
ENTI LOCALI PUBBLICO IMPIEGO:
Nella p.a. ritornano le pagelle.
Dirigenti, contano obiettivi individuali e
capacità organizzative. Gli emendamenti al
dl 95 rispolverano il tormentone della
valutazione delle performance.
Tornano le fasce di valutazione, sia pure
edulcorate e semplificate. Si ripresenta,
dunque, ... (articolo
ItaliaOggi del 28.07.2012 -
tratto da www.ecostampa.it). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO:
Contrattazione decentrata doc.
Relazioni illustrative complete e
certificazione dei revisori. Circolare della
Ragioneria dello Stato dà attuazione alle
norme della legge Brunetta.
Le amministrazioni possono procedere
unilateralmente nelle materie relative alla
organizzazione interna che sono state
sottratte alla contrattazione dalla legge
Brunetta. ... (articolo
ItaliaOggi del 27.07.2012 -
tratto da www.ecostampa.it). |
APPALTI FORNITURE:
Nulli i contratti stipulati senza
la Consip. Ma la sanzione vale solo per il
futuro.
I contratti di appalto stipulati senza
ricorrere alla Consip e alle centrali di
acquisto regionali saranno considerati
nulli, ma soltanto dopo la conversione in
legge del decreto 95 sulla spending
review; sono quindi salvi i contratti
... (articolo
ItaliaOggi del 27.07.2012 -
tratto da www.ecostampa.it). |
ENTI LOCALI:
P.a., più certezza sul danno
all'immagine.
Fra i tanti effetti della crisi finanziaria
che scuote un'Eurozona ormai in forte
sofferenza e ingenera una diffusa sensazione
... (articolo
ItaliaOggi del 27.07.2012 -
tratto da www.ecostampa.it). |
CONSIGLIERI COMUNALI:
OSSERVATORIO VIMINALE/
Interrogazioni ai politici. Ai quesiti
rispondono solo il sindaco o l'assessore.
Esistono disposizioni
che consentono ai responsabili d'area di
rispondere, in luogo degli organi politici,
alle interrogazioni presentate dai
consiglieri ex art. 43 del dlgs 267/2000?
L'art. 43 del dlgs n. 267/2000, al comma 3,
riconosce ai consiglieri comunali ... (articolo
ItaliaOggi del 27.07.2012 -
tratto da www.ecostampa.it). |
CONSIGLIERI COMUNALI:
OSSERVATORIO VIMINALE/ Quorum.
Qual'è il quorum deliberativo ai fini della
votazione delle deliberazioni del consiglio
comunale, con particolare riferimento alla
problematica del computo degli astenuti?
L'art. 38, comma 2, dlgs 267/2000 demanda al
regolamento comunale ... (articolo
ItaliaOggi del 27.07.2012 -
tratto da www.ecostampa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Fisco,
edilizia e lavoro: primo sì al Dl sviluppo.
La Camera approva le misure dopo la
trentesima fiducia.
Con la trentesima fiducia in 8 mesi il
Governo Monti mette in sicurezza il decreto
sviluppo e "ipoteca" la sua conversione in
legge. La Camera ha dato ieri il via libera
in prima lettura al provvedimento che
riforma gli incentivi alle imprese e punta a
sostenere alcuni settori chiave come
infrastrutture ed energia. Approvando il
Dl
nella versione uscita lunedì sera dalle
commissioni competenti, che molto
probabilmente sarà anche quella finale.
L'Esecutivo conta infatti di far passare a
Palazzo Madama, se possibile già la
settimana prossima, lo stesso testo. Che a
Montecitorio si è arricchito di due nuovi
capitoli: le semplificazioni in edilizia e
la correzione della riforma Fornero sul
lavoro.
Incassare il disco verde dei deputati è
stato forse più complicato del previsto per
il Governo. Che è andato sotto per tre voti
di scarto su un ordine del giorno del
pidiellino Manlio Contento sull'udienza
filtro per le cause in appello. Anche se il
ministro della Giustizia, Paola Severino, ha
successivamente ridimensionato l'episodio,
dicendo di condividerne il contenuto ma non
la premessa che non era stata stralciata
dall'odg.
Nessuna sorpresa invece sulle votazioni che
hanno aperto e chiuso la giornata di ieri.
Sia in occasione del voto di fiducia
mattutino –che è passato con 475 sì, 80 no
e 9 astenuti– sia nell'ok serale
sull'intero Dl che ha avuto 382 voti a
favore, 80 contrari e 4 astenuti. Complice
l'assenza dai banchi di quasi metà Pdl.
Come dimostrano le schede in basso, dalla
Camera è uscito un provvedimento ancora più
ampio e articolato rispetto a quello
d'ingresso, di per sé voluminoso. I
capisaldi principali del decreto sono
rimasti gli stessi. Si va dall'addio a 43
norme settoriali di incentivazione alle
imprese con la contestuale nascita di un
unico Fondo per la crescita alla possibilità
di finanziare la realizzazione di opere
pubbliche in partenariato pubblico-privato
con l'emissione di project bond tassati al
12,5% per tre anni. Fino alla proroga al 30
giugno 2013 di due dei bonus fiscali più
"amati" dagli italiani: quello sulle
ristrutturazioni edilizie che sale dal 36%
al 50% con un tetto di spesa di 96mila euro
anziché 48mila; quello del 55%
sull'efficienza energetica.
Strada facendo il Dl si è arricchito di
altre misure. È il caso del lavoro (su cui
si veda la pagina accanto) e delle
costruzioni, che vedono uscire decisamente
rafforzato lo sportello unico per
l'edilizia. Senza dimenticare le norme
sull'emergenza terremoto. Tanto in Abruzzo
quanto in Emilia. Anche se, su quest'ultimo
punto, gran parte dei fondi arriverà
dall'altro decreto in odore di approvazione
(stavolta al Senato): quello sulla
spending review
(articolo Il Sole 24
Ore del 26.07.2012 - tratto da
www.corteconti.it). |
EDILIZIA PRIVATA: DECRETO SVILUPPO/
In azienda opere edili senza vincoli.
Ammesso anche il cambio di destinazione
d'uso dei locali adibiti alle attività.
VIA I PALETTI/
Gli interventi edilizi interni (sia in
muratura che prefabbricati) sono sottratti
al passaggio burocratico in Comune.
Novità per i fabbricati adibiti a esercizio
d'impresa, nei quali possono essere
realizzate modifiche interne di carattere
edilizio o mutamenti di destinazione d'uso
senza alcun titolo abilitativo.
Lo consente l'articolo 13-bis del
decreto
legge «sviluppo» (n. 83 del 22.06.2012),
che amplia una previsione valida in
precedenza solo per la manutenzione
straordinaria, le pavimentazioni, i pannelli
solari, le aree ludiche e le opere
temporanee.
Dal giugno 2012, quindi, gli interventi
edilizi interni (sia in muratura che
prefabbricati) sono sottratti al passaggio
burocratico del Comune, perché sono
equiparati alle opere libere, che non
esigono titoli edilizi. L'innovazione non
riguarda le aree produttive scoperte, né
quelle (quali le tettoie) che ricadono in
zone prive di delimitazioni e che quindi non
presentano caratteristiche di zone
«interne».
In aggiunta alle opere di carattere
edilizio, sono disciplinati in modo
innovativo anche i mutamenti di destinazione
d'uso dei locali adibiti a esercizio di
impresa: ciò significa che all'interno di un
immobile di impresa i singoli locali
(uffici, magazzini, depositi, servizi)
possono trasmigrare da una destinazione
all'altra.
Le nuove libertà riguardano non solo le aree
produttive, ma in generale le destinazioni
ad esercizio di impresa, quindi qualsiasi
intervento di tipo produttivo purché interno
all'attività.
Sino a oggi la materia era regolata dalla
circolare del ministero Lavori pubblici n.
1918 del 16.11.1977 in tema di opere
da realizzare all'interno di stabilimenti
industriali. Questa circolare riguardava
tuttavia soprattutto gli elementi
tecnologici, quali cabine, canalizzazioni,
serbatoi baracche, palloni pressostatici
chioschi, pali, passerelle basamenti e
tettoie di protezione.
Si tratta di elementi di libera
realizzazione purché non in contrasto con
aspetti ambientali igienico sanitari e
comunque senza incremento di densità
(aumento di addetti).
Solo in casi particolari (come stabilito dal
Tar Parma 537/2003) si riusciva a superare
le previsioni dei Comuni, ottenendo la
suddivisione di un ampio capannone
attraverso tramezzature interne e
l'ampliamento del numero degli accessi;
spesso poi la modifica interna era, per il
Comune, un'occasione per esigere il
pagamento di oneri di concessione, quanto
meno su una delle due frazioni di capannone
ottenuta sezionando la precedente unità.
Questi problemi sembrano ora superati dal
decreto legge del 2012, norma che va oltre
gli aspetti della tecnica produttiva (le
innovazioni necessarie per esigenze
tecnologiche e di sicurezza), poiché vengono
agevolate anche le modifiche di stampo
edilizio e le destinazioni d'uso.
Un limite all'agevolazione può tuttavia
desumersi dal comma 4 dell'articolo 6 del
Dpr 380/2001, introdotto dal l'articolo
13-bis del decreto legge 83/2012: subito
dopo aver reso liberi gli interventi nei
luoghi produttivi, il legislatore prevede
che l'interessato debba comunicare al Comune
l'inizio dei lavori, i dati dell'impresa
esecutrice e una relazione tecnica di data
certa, con elaborati progettuali, a firma di
un professionista abilitato.
Il tecnico deve asseverare, sotto la propria
responsabilità, che i lavori sono conformi
agli strumenti urbanistici approvati e ai
regolamenti edilizi vigenti e che per essi
la normativa statale e regionale non prevede
il rilascio di un titolo abilitativo.
Sembra quindi che il nuovo comma 4
dell'articolo 6 del Dpr 380/2001 (richiedendo
l'asseverazione) contrasti con il precedente
comma 2, lettera e-bis (che parla di
esecuzione senza alcun titolo abilitativo).
Ciò accade proprio ora che la Corte
costituzionale (164 del 27.06.2012) ha
sancito la supremazia della legislazione
nazionale in materia di Scia rispetto alle
più severe norme locali.
In ogni caso, la liberalizzazione delle
opere interne in edifici produttivi e quella
dei cambi di destinazione vede entrare in
azione le agenzie per le Imprese (regolate
dalla legge 112/2008, articolo 38, comma 3),
le quali devono certificare (su richiesta
degli interessati) la sussistenza dei
requisiti e i presupposti per considerare le
modifiche interne e quelle di destinazione
d'uso conformi al decreto legge 83/2012.
Anche in tal caso, quindi, la maggiore
snellezza della procedura è attuata
chiedendo un ausilio ai privati.
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Tutte le misure di snellimento
antiburocrazia
Le novità introdotte dal decreto sviluppo
incidono profondamente sull'attività
edilizia, liberalizzando
le procedure soprattutto se i lavori si
svolgono all'interno delle unità produttive
SPORTELLO UNICO
Lo sportello unico per l'edilizia diventa il
punto di riferimento obbligato per tutti gli
atti «riguardanti il titolo abitativo e
l'intervento edilizio oggetto dello stesso».
Lo sportello fornisce una risposta
tempestiva in luogo di tutte le Pa comunque
coinvolte.
Tutti gli atti dovranno essere gestiti da
questa struttura, e altri uffici comunali o
altre amministrazioni coinvolte dal
procedimento non potranno trasmettere
autonomamente «ai richiedenti» atti autorizzatori, pareri, nulla osta o consensi.
PERMESSO DI COSTRUIRE
Per il rilascio del permesso di costruire,
rientra nelle competenze dello sportello
unico l'acquisizione, diretta o tramite
conferenza di servizi, di pareri di
amministrazioni finora escluse. Tra queste,
Regione, Difesa e autorità sui vincoli
idrogeologici.
Il responsabile dello sportello unico ha
l'obbligo di indire
la conferenza di servizi
se entro sessanta giorni
dalla domanda manca
ancora qualche nulla osta
o c'è il dissenso di qualche amministrazione.
STOP ALLA DUPLICAZIONE DI DOCUMENTI
Scatta un taglio consistente della
documentazione richiesta per tutti gli
interventi, compresi quelli minori fatti in
casa, grazie all'acquisizione d'ufficio dei
documenti già in possesso degli uffici
pubblici, come documenti catastali o
variazioni di mappa.
In base alle nuove disposizioni
contenute nella versione definitiva del Dl
Sviluppo
le amministrazioni «non possono richiedere
attestazioni, comunque denominate, o
perizie, sulla veridicità e l'autenticità di
tali documenti, informazioni e dati».
LAVORI NELLE IMPRESE
Novità importanti nei fabbricati adibiti ad
esercizio d'impresa, nei quali possono
essere realizzate modifiche interne di
carattere edilizio o mutamenti di
destinazione d'uso senza alcun titolo
abilitativo. Lo consente l'articolo 13-bis
del Dl "sviluppo".
Dal giugno 2012 tutti gli interventi edilizi
interni sono sottratti al passaggio
burocratico del Comune, perché sono
equiparati alle opere libere, che non
esigono titoli edilizi. Prima erano esclusi
solo manutenzione straordinaria,
pannelli solari e aree ludiche.
CAMBI DI DESTINAZIONI D'USO IN AZIENDA
Vengono regolati anche i mutamenti di
destinazione d'uso dei locali adibiti ad
esercizio di impresa: all'interno di un
immobile d'impresa i singoli locali (uffici,
magazzini, depositi, servizi) possono
trasmigrare da una destinazione all'altra.
Le nuove libertà riguardano
non solo le aree produttive,
ma in generale tutte
le destinazioni ad esercizio
di impresa, quindi anche
qualsiasi intervento di tipo produttivo
purché interno all'attività
(articolo Il Sole 24
Ore del 26.07.2012). |
ATTI AMMINISTRATIVI: La conferenza di servizi detta legge. Le
indicazioni possono essere disattese solo in
casi eccezionali.
Molte le novità in materia di finanza di
progetto. E arriva il contratto di
disponibilità.
Per i project financing la conferenza dei
servizi preliminare sarà svolta sulla base
dello studio di fattibilità o del progetto
preliminare; ridotte le possibilità di
modificare successivamente quanto deciso in
conferenza di servizi. Lo studio di
fattibilità necessario a promuovere un'opera
in finanza di progetto dovrà essere
predisposto da tecnici delle amministrazioni
in possesso di adeguati requisiti tecnici o
affidati a terzi. Precisate le
responsabilità e i rischi dei soggetti che
intervengono nei contratti di disponibilità.
Sono queste alcune delle novità che il
decreto legge n. 83 sulla crescita approvato
ieri dall'aula della camera prevedono per la
finanza di progetto e il contratto di
disponibilità, innovativa tipologia
contrattuale da poco inserita nel nostro
ordinamento.
Project financing. Un primo intervento di
rilievo del provvedimento attiene allo
snellimento e alla semplificazione delle
procedure autorizzative per interventi in
materia di finanza di progetto. In
particolare si prevede che in relazione alle
procedure disposte per la opere realizzate
con finanza di progetto sia comunque indetta
la conferenza dei servizi e che questa si
esprima sulla base dello studio di
fattibilità oppure sulla base del progetto
preliminare.
Una importante precisazione
riguarda poi la possibilità di modificare le
indicazioni fornite in sede di conferenza
dei servizi: ciò sarà possibile soltanto -in
presenza di elementi significativi emersi
nelle fasi successive del procedimento.
Studi di fattibilità.
Il provvedimento interviene poi ...
(articolo ItaliaOggi
del 26.07.2012 - tratto da
www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI: Partecipate, il Governo ci ripensa.
Niente dismissioni delle società in house
controllate dalle P.a..
Il
dietrofront dell'esecutivo Monti arriva con
un emendamento alla Spending review.
Sulle dismissioni delle partecipate il
governo
Monti ha scherzato. E così la mannaia, che
nel testo originale della spending review
avrebbe dovuto portare allo scioglimento
entro il 31.12.2013 di tutte le
società in house -controllate direttamente o
indirettamente- da pubbliche amministrazioni
centrali e locali (compresi i colossi Consip
e Sogei controllati dal Met), diventerà un
intervento di micro-chirurgia. Perché
scamperanno ai tagli non solo le società
«che svolgono servizi di interesse generale»
o «compiti di centrali di committenza» (la Consip appunto) o «che gestiscono banche
dati strategiche per il conseguimento di
obiettivi economico-finanziari» (la Sogei),
ma anche quelle degli enti locali. I comuni
potranno infatti sempre dimostrare di essere
costretti agli affidamenti diretti tutte le
volte in cui -per le peculiari
caratteristiche economiche, sociali,
ambientali e geomorfologiche del contesto,
anche territoriale, di riferimento, non sia
possibile per l'amministrazione pubblica
controllante un efficace e utile ricorso al
mercato.
Basterà inviare una relazione
all'Antitrust per poter proseguire nelle
gestioni. Come anticipato da ItaliaOggi il
17/7/2012, il capitolo delle dismissioni, su
cui evidentemente il governo si è reso conto
di aver scritto una norma potenzialmente
esplosiva (perché, tra le altre, avrebbe
travolto anche la società per la gestione
dell'Expo 2015 di Milano) è stato uno dei
primi sui cui si sono concentrati gli
interventi correttivi dei relatori al
decreto legge di riduzione della spesa
pubblica (dl 95/2012).
Ma negli emendamenti
di Gilberto Pichetto Fratin e Paolo Giaretta,
approvati ieri dalla commissione bilancio
del senato, vi sono molti altri dietrofront
rispetto al testo iniziale e anche qualche
sorpresa. Tra i ripensamenti si segnala lo
stop ...
(articolo ItaliaOggi del 26.07.2012 - tratto da
www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI: SPENDING REVIEW/
«In house», salta il taglio automatico.
Braccio di ferro su Province e pubblico
impiego - Ipotesi ritocchi al patto di
stabilità.
I NODI/
Sugli statali possibile ritorno alla
concertazione con vincolo di 30 giorni.
Maggiori risparmi dalle Prefetture e ufficio
per garantire i cittadini.
Salvataggio di una grande fetta delle
società pubbliche in house con lo stop al
meccanismo della chiusura automatica.
Eliminazione dell'obbligo di sopprimere o
accorpare enti strumentali e agenzie delle
autonomie locali a patto che venga comunque
garantita una riduzione di spesa del 20%
nella loro gestione. Raddoppio dei risparmi
previsti, dal 10% al 20% delle uscite
sostenute, dal riordino delle Prefetture e
nascita di un nuovo ufficio unico di
garanzia tra rapporti tra cittadini e Stato.
Su questo primo pacchetto di modifiche dei
relatori alla spending review ieri è
arrivato il via libera della commissione
Bilancio del Senato, dove fino a notte fonda
è andato avanti un serrato braccio di ferro
tra maggioranza e Governo sul taglio del
Province ed è proseguita una sorta di
trattativa a oltranza sugli altri nodi del
decreto: ricerca, pubblico impiego, sanità
ed enti locali.
Proprio sugli enti locali si è giocata una
partita nella partita per effetto del
pressing del Pd e dei comuni, con il Governo
che ha cominciato a valutare un
alleggerimento della stretta o ritocchi al
patto di stabilità mantenendo comunque
invariati i saldi del decreto. Dopo
l'incontro del leader del Pd, Pier Luigi
Bersani con Mario Monti e i successivi
contatti tra il premier e il ministro
dell'Economia Vittorio Grilli, un intervento
sugli enti locali veniva considerato
probabile.
Emendamento che potrebbe vedere la luce
oggi. Dopo i numerosi stop and go della
giornata di ieri con più di un momento di
tensione, uno slittamento della conclusione
dei lavori della Commissione veniva
considerato quasi scontato nonostante la
maratona notturna. Il testo, quindi, non
approderà più in Aula al Senato in giornata
ma domani.
Nel primo pacchetto modifiche dei relatori,
Paolo Giaretta (Pd) e Gilberto Pichetto
Fratin (Pdl), spicca la rivisitazione, quasi
integrale, del dispositivo previsto dal
decreto per tagliare le società pubbliche in
house, ovvero quelle che erogano servizi
alla Pa. Anzitutto viene precisato che la
soppressione non interessa le società che
svolgono servizi di interesse generale,
«anche aventi rilevanza economica», e quelle
che svolgono prevalentemente compiti di
centrali di committenza come Consip e Sogei.
Salve anche tutte le società finanziarie
regionali e quelle che gestiscono banche
dati necessarie per ottenere fondi Ue e per
la tutela della privacy. Salvataggio anche
per le società in house costituite
nell'ambito della realizzazione di Expo
Milano 2015. Soppressione evitabile, seppure
con un parere vincolante dell'Authority per
la concorrenza, anche quando «per le
peculiari caratteristiche economiche,
sociali, ambientali e geomorfologiche del
contesto non sia possibile per la Pa
controllante un utile e efficace ricorso al
mercato».
Sempre per evitare il taglio
automatico è stata data la possibilità alle
amministrazioni di predisporre entro i
prossimi tre mesi piani di ristrutturazione
delle società controllate, che dovranno
essere approvati dopo il parere favorevole
del super-commissario Enrico Bondi.
Salta, con un altro emendamento dei
relatori, anche l'obbligo di abolizione di
agenzie ed enti strumentali degli enti
locali (dalle aziende speciali alle
istituzioni che gestiscono servizi
socio-assistenziali, educativi e culturali)
a patto che questi ultimi garantiscano la
prevista riduzione di spesa del 20%. Via
libera anche all'immediata istituzione di
una Conferenza metropolitana nelle nuove 10
città metropolitane.
Ma la vera partita si è giocata sulle
Province con Pdl e Pdl a spingere per tutto
il giorno per un alleggerimento del tagli, a
partire dal salvataggio di Terni, Matera e
Isernia (con conseguenti frizioni con
Coesione nazionale) e il ministro Filippo
Patroni Griffi ad opporsi fino a tarda sera.
Tensioni nella maggioranza anche sugli
statali. Con il Pd in pressing per tornare a
una concertazione vincolante per il
riassetto del pubblico impiego, su cui il Pdl però ha mostrato più di una perplessità.
In serata l'ipotesi di mediazione, anche
sulla base del lavoro di tessitura di
Patroni Griffi, era di inserire un termine
di 30 giorni per la consultazione dei
sindacati.
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Le ultime modifiche
SOCIETÀ IN HOUSE
Dai relatori è arrivata ieri la riscrittura
delle norme sulle società in house: non
saranno chiuse automaticamente, ma ci sarà
la possibilità di una selezione. L'articolo
in questione prevede la privatizzazione
delle società pubbliche e il ricorso al
mercato
SPA LOCALI
Salta l'obbligo per Regioni, Province e
Comuni di sopprimere o accorpare i propri
enti o agenzie, a patto che realizzino
comunque un risparmio del 20% per la loro
gestione. La norma è stata votata ieri in
Commissione al Senato
PROVINCE
Altra questione spinosa è quella delle
province, per cui il testo del governo
prevedeva un sostanziale dimezzamento, con
un taglio dei piccoli enti. Terni, Matera e
Isernia sono attualmente al centro di un
braccio di ferro tra il Governo e la
maggioranza.
SANITÀ
Gli interventi sui farmaci riguardano in
particolare gli sconti più leggeri richiesti
a farmacisti e industrie. Quelli sui beni e
servizi soprattutto i tagli ai contratti in
essere. Sul taglio dei posti letto negli
ospedali si è ragionato fino all'ultimo
sulla necessità di evitare automatismi
PUBBLICO IMPIEGO
Tensioni nella maggioranza sul pubblico
impiego. Con il Pd in pressing per tornare a
una concertazione vincolante per il
riassetto, su cui il Pdl però ha mostrato
perplessità. In serata l'ipotesi mediazione
di inserire un termine di 30 giorni per la
consultazione dei sindacati
PREFETTURE
I risparmi che dovrà assicurare la
trasformazione delle Prefetture da Ufficio
territoriale del Governo ad Ufficio
territoriale dello Stato, dovranno essere
del 20% e non più solo del 10%. Prevista la
nascita di un nuovo ufficio unico di
garanzia tra rapporti tra cittadini e Stato
(articolo Il Sole 24
Ore del 26.07.2012 - tratto da
www.corteconti.it). |
PUBBLICO IMPIEGO: Linea
dura sugli statali "inefficienti". Sanzioni
per chi non rispetta i tempi.
L'emendamento al decreto Sviluppo. Oggi il
voto di fiducia.
Tempi duri per il pubblico dipendente che
non completi un procedimento nei tempi
prescritti.
Un emendamento al decreto Sviluppo,
presentato dai relatori Alberto Fluvi (Pd) e
Raffaello Vignali (Pdl) con il parere
favorevole del governo ...
(articolo
Corriere della Sera del 25.07.2012 - tratto da
www.corteconti.it). |
APPALTI: Appalti
del settore pubblico senza responsabilità
solidale.
LE PREVISIONI/ L'esonero riguarda anche le
società partecipate e i privati che
appaltano i lavori a scomputo.
Stazioni appaltanti pubbliche escluse dalla
responsabilità solidale, che in tutti gli
altri casi si applica nell'ambito degli
appalti di lavori, servizi e forniture. In
questi casi, prima di effettuare il
pagamento, il committente deve prendere
visione dei documenti che attestano da parte
dell'appaltatore e di eventuali
subappaltatori il rispetto degli obblighi
fiscali. Se non vede i documenti, il
committente può sospendere i versamenti,
anche perché un pagamento che non passi da
questa verifica comporta una sanzione fino a
200mila euro.
Viene corretta in questi termini la materia
della responsabilità solidale degli appalti
nel nuovo articolo 13-ter del decreto
sviluppo, inserito nel maxiemendamento alla
legge di conversione.
La novità principale è l'esclusione del
mondo pubblico, rappresentato dagli enti ma
anche dalle società partecipate: le
definizioni di riferimento sono quelle
contenute all'articolo 32 del Codice dei
contratti (decreto legislativo 163/2006), e
di conseguenza l'esclusione riguarda anche i
soggetti privati quando appaltino i lavori a
scomputo (lo prevede la lettera d
dell'articolo 32). Con il nuovo ambito
applicativo, la norma viene incontro in
particolare alle difficoltà degli enti
locali, che nell'ultima versione della
regola scritta nella legge di conversione al
decreto sulle «semplificazioni fiscali»
(Dl 16/2012) si erano visti arruolare nelle
verifiche sulla «fedeltà» fiscale e
contributiva delle imprese esecutrici o
fornitrici.
Sull'oggetto dei controlli, la nuova regola
conferma l'estensione della responsabilità
al versante fiscale, concentrata in
particolare sulle ritenute e sull'Iva, e
rafforza le procedure di controllo:
essenziale, in questa chiave, è il blocco
dei pagamenti da parte del committente a cui
non viene consegnata la documentazione che
attesta il rispetto degli adempimenti. Molto
alte, come accennato, le sanzioni per chi
effettua pagamenti senza seguire questo
passaggio.
Sempre in tema di Pa, il maxiemendamento al
decreto Sviluppo torna sul tema dell'«amministrazione
aperta» estendendo alle società
partecipate l'obbligo di pubblicare su
Internet la radiografia di tutti i pagamenti
superiori a mille euro, con nome del
beneficiario, curriculum, contratto e somma
erogata. Stretta drastica, invece, sugli
acquisti di software proprietari con
licenza: le Pubbliche amministrazioni
potranno imboccare questa strada solo dopo
aver verificato che è impossibile scegliere
un software sviluppato per conto di altre
amministrazioni oppure a sorgente aperta
(articolo Il Sole 24
Ore del 25.07.2012 - tratto da
www.corteconti.it). |
GIURISPRUDENZA |
APPALTI:
Nel caso di esclusione di una
impresa dalla gara da aggiudicare con il
criterio dell'offerta economicamente più
vantaggiosa, il rinnovo degli atti deve
consistere nella sola valutazione
dell'offerta illegittimamente pretermessa.
Nella gara per l'affidamento di contratti
pubblici l'interesse fatto valere dal
ricorrente che impugna la sua esclusione è
volto a concorrere per l'aggiudicazione
nella stessa gara; pertanto, anche nel caso
dell'offerta economicamente più vantaggiosa,
in presenza del giudicato di annullamento
dell'esclusione stessa sopravvenuto alla
formazione della graduatoria, il rinnovo
degli atti deve consistere nella sola
valutazione dell'offerta illegittimamente
pretermessa, da effettuarsi ad opera della
medesima commissione preposta alla procedura
(Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria,
sentenza 26.07.2012 n. 30 - link a
www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Ai fini del godimento del
beneficio di riduzione della cauzione
provvisoria, non è necessaria la
corrispondenza della certificazione di
qualità alla categoria prevalente dei lavori
oggetto dell'appalto.
La possibilità per i concorrenti di poter
accompagnare l'offerta con una garanzia di
importo dimidiato è contemplata, per ciò che
concerne gli appalti di lavori nell'ambito
della disciplina del sistema unico di
qualificazione per gli esecutori di lavori
pubblici, all'art. 40, c. 7, del d. lgv. n.
163 del 2006 (Codice dei Contratti
pubblici), che prevede che gli operatori
economici certificati beneficiano della
riduzione della cauzione sia provvisoria che
definitiva, alla sola e unica condizione che
la certificazione del sistema di qualità sia
rilasciata in conformità alle norme della
serie europea UNI ENI ISO 9000 da organismi
di certificazione a loro volta accreditati
sulla base di norme UNI CEI EN 4500.
Dello stesso tenore è la disposizione di cui
all'art. 75, c. 7, del Codice dei Contratti
pubblici che regolamenta le garanzie a
corredo dell'offerta, che ribadisce la
possibilità della riduzione dell'importo
delle garanzie per le imprese in possesso di
certificazione conforme alle norme europee
senza null'altro aggiungere, prescindendo da
qualsivoglia necessità di corrispondenza
della certificazione di qualità all'oggetto
dell'appalto cui di volta in volta l'impresa
partecipi. Ne consegue che nessuna norma
prevede la sussistenza di specifiche
condizioni, oltre al possesso della
certificazione di qualità con le formalità
su descritte, per poter beneficiare del
dimezzamento della cauzione (Consiglio di
Stato, Sez. V,
sentenza 25.07.2012 n. 4225 - link a
www.dirittodeiservizipubblici.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Ai
fini del rilascio della concessione
edilizia, deve parlarsi di “nuova
costruzione” in presenza di opere che
comunque implichino una stabile -ancorché
non irreversibile- trasformazione
urbanistico-edilizia del territorio
preordinata a soddisfare esigenze non
precarie del committente sotto il profilo
funzionale e della destinazione
dell'immobile.
Sicché, come esattamente affermato dal Tar,
le strutture installate avrebbero dovuto
essere qualificate come "intervento di nuova
costruzione" a nulla rilevando che si
trattasse di manufatti mobili (come la
roulotte) o leggeri (come la tenda in
metallo e plastica o il bagno chimico) data
la loro funzione a servizio permanente
all’attività di autolavaggio.
Trattandosi di strutture stabilmente
destinate all'esercizio di un'attività
dell’appellante, queste non potevano esser
considerate meramente temporanee.
L’appellante contesta la sentenza del TAR
con cui è stato respinto il ricorso avverso
diniego dell’intera domanda di condono
edilizio, relativa ad una roulotte, un bagno
chimico ed un tendone, sulla scorta di un
parere legale, richiamato nel provvedimento
in questione, con il quale si afferma che “le
nuove costruzioni non residenziali e le
opere abusive realizzate su aree vincolate
dopo l’imposizione del vincolo stesso, non
possono essere suscettibili di sanatoria”.
Con il primo motivo di gravame si lamenta
che erroneamente la sentenza ha escluso la
condonabilità sulla considerazione per cui “al
fine di escludere la necessità della
concessione edilizia –ora permesso di
costruire–, la precarietà della costruzione
va desunta dalla funzione assolta dal
manufatto, non dalla struttura o dalla
qualità dei materiali usati, essendo in ogni
caso subordinata al previo titolo
abilitativo l’opera destinata a dare
un’utilità prolungata nel tempo" (v.,
ex multis, Cons. Stato, Sez. V,
28.03.2008 n. 1354); non è, dunque,
significativo che il manufatto sia solo
aderente al suolo e non anche infisso allo
stesso, se alteri tuttavia in modo rilevante
e duraturo lo stato del territorio, e cioè
non si traduca in un uso oggettivamente
preordinato a soddisfare esigenze del tutto
contingenti e transitorie.
Afferma al contrario l’appellante che, come
sarebbe stato affermato dalla
giurisprudenza, la struttura in questione
avendo natura precaria e strumentale, non
avrebbe richiesto concessione edilizia e
quindi non avrebbe avuto alcuna necessità di
ottenere la sanatoria, richiesta
dall’appellante al solo fine di risolvere la
situazione.
L’assunto va respinto.
L’art. 3, lett. e.5) del d.P.R. 06.06.2001,
n. 380 riconduce, tra l’altro, alla nozione
di “intervento di nuova costruzione"
proprio “l'installazione di manufatti
leggeri, anche prefabbricati, e di strutture
di qualsiasi genere, quali roulottes,
campers, case mobili, imbarcazioni, che
siano utilizzati come abitazioni, ambienti
di lavoro, oppure come depositi, magazzini e
simili, e che non siano diretti a soddisfare
esigenze meramente temporanee”.
In tale scia interpretativa, la
giurisprudenza ha costantemente affermato
che, ai fini del rilascio della concessione
edilizia, debba parlarsi di “nuova
costruzione” in presenza di opere che
comunque implichino una stabile -ancorché
non irreversibile- trasformazione
urbanistico-edilizia del territorio
preordinata a soddisfare esigenze non
precarie del committente sotto il profilo
funzionale e della destinazione
dell'immobile (cfr. Consiglio Stato, sez. V,
20.06.2011 n. 3683; Consiglio Stato, sez. IV,
22.12.2007 n. 6615; Consiglio di Stato, sez.
VI, 16.02.2011 n. 986).
Nel caso in esame dunque non vi sono dubbi
che, come esattamente affermato dal Tar, le
strutture installate avrebbero dovuto essere
qualificate come "intervento di nuova
costruzione" a nulla rilevando che si
trattasse di manufatti mobili (come la
roulotte) o leggeri (come la tenda in
metallo e plastica o il bagno chimico) data
la loro funzione a servizio permanente
all’attività di autolavaggio.
Trattandosi di strutture stabilmente
destinate all'esercizio di un'attività
dell’appellante, queste non potevano esser
considerate meramente temporanee.
Il motivo è dunque infondato e va respinto
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza
24.07.2012 n. 4214 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La disciplina del condono
edilizio del 2003, a differenza dei
precedenti, non è applicabile
all’istallazione di nuove strutture ad uso
diverso da quello residenziale in quanto
come esattamente rilevato nella sentenza
impugnata dal TAR “Le tipologie di “abusi minori” come
definite dall’art. 32, comma 25, del d.l. n.
269/2003 conv in l. n. 326/2003 non
contemplano evidentemente, tra le
fattispecie di abuso sanabili, le “nuove
costruzioni con destinazione non
residenziale”.
La normativa (c.d. del “piccolo condono”) di cui al comma 25 dell’art. 32
del d.l. 30.09.2003 n. 269 (conv. in
L. n. 326/2003) riaprì la possibilità di
richiedere il condono delle opere abusive
che risultino essere ultimate entro il 31.03.2003 limitatamente:
- all’ampliamento di manufatti esistenti
non superiore al 30% della volumetria della
costruzione originaria, con il limite dei
750 metri cubi;
- alle “nuove costruzioni residenziali” non
superiori a 750 metri cubi per singola
richiesta di titolo abilitativo edilizio in
sanatoria, a condizione che la nuova
costruzione non superi complessivamente i
3.000 metri cubi.
In base alla costruzione letterale stessa
della norma, in linea di principio la
disciplina del condono edilizio del 2003, a
differenza dei precedenti, non era dunque
applicabile all’istallazione di nuove
strutture ad uso diverso da quello
residenziale in quanto come esattamente
rilevato nella sentenza impugnata dal TAR
“Le tipologie di “abusi minori” come
definite dall’art. 32, comma 25, del d.l. n.
269/2003 conv in l. n. 326/2003 non
contemplano evidentemente, tra le
fattispecie di abuso sanabili, le “nuove
costruzioni con destinazione non
residenziale”.
Nessun rilievo al contrario può assurgere
nella specie la tesi riportata dalla
Circolare del Ministero delle Infrastrutture
e dei Trasporti del 07.12.2005, n.
2699, secondo cui sono condonabili tutte le
opere, "ab origine" prive di titolo
abilitativo, residenziali e non, in quanto
la natura eccezionale dell'istituto del
condono edilizio e la sua incidenza su
illeciti amministrativi, a rilevanza penale,
implicano che la tipologia e consistenza
delle opere suscettibili di sanatoria devono
essere individuate con rigorosa tassatività
dalle singole leggi istitutive, senza
possibilità di integrazioni con le diverse
fattispecie previste dalle leggi precedenti
(cfr. Consiglio Stato, A. Plen., 23.04.2009 n. 4; Cassazione penale, sez. III, 02.12.2010, n. 762; idem, 24.02.2004, n. 15283, ecc. ).
Sotto altro profilo deve poi annotarsi che,
come si evince dall’attestazione del
responsabile del servizio versata dalla
controinteressata –come esattamente
affermato nel provvedimento impugnato ma non
contestato dall’appellante- l’area in
parte è classificata come “Zona G1 Verde di
rispetto stradale” con divieto di qualsiasi
nuova costruzione ed in parte rientra nella
fascia di rispetto dei 150 mt del vallone
Acqualaggia sottoposto a vincolo ambientale
ai sensi della lett. c) dell’art. 142 del
D.lgs. n. 42/2004.
A tal proposito si
ricorda che il 27° co. d) dell’art. 32 cit.,
prevedeva che le opere abusive non fossero
comunque suscettibili di sanatoria, “qualora
siano state realizzate su immobili soggetti
a vincoli imposti sulla base di leggi
statali e regionali a tutela degli interessi
idrogeologici e delle falde acquifere, dei
beni ambientali e paesistici, nonché dei
parchi e delle aree protette nazionali,
regionali e provinciali qualora istituiti
prima della esecuzione di dette opere, in
assenza o in difformità del titolo
abilitativo edilizio e non conformi alle
norme urbanistiche e alle prescrizioni degli
strumenti urbanistici”.
In definitiva, nel caso di specie, alle
strutture impiantate non era dunque
applicabile il "nuovo" condono edilizio di
cui all’art. 32 del d. I. n. 269 del 2003:
- poiché, dovendo qualificarle come “nuove
costruzioni” non attenti all’edilizia
residenziale, non potevano essere ricomprese
nell’ambito oggettivo di applicazione
dell’art. 32 cit.;
- perché comunque insistevano in un’area
per una parte sottoposta a vincoli
ambientali imposti antecedentemente al
momento di realizzazione dell’abuso.
In conclusione l’appello è infondato e deve
essere respinto e per l’effetto la sentenza
impugnata deve essere integralmente
confermata (Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 24.07.2012 n. 4214 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
PUBBLICO IMPIEGO:
In sede
di pubblico concorso la Commissione
esaminatrice è, di norma, titolare di
un'ampia discrezionalità in ordine:
- alla catalogazione dei singoli tipi di
titoli valutabili nell'ambito delle
categorie generali predeterminate dal bando;
- all’attribuzione della rilevanza e
dell'importanza dei titoli stessi;
- all'individuazione dei criteri per
l'attribuzione ai candidati dei punteggi
spettanti per i titoli da essi vantati
nell'ambito del punteggio massimo stabilito
dal bando, all'evidente fine di rendere
concreti, attuali e utilizzabili gli stessi
criteri del bando.
Naturalmente l'esercizio di tale
discrezionalità sfugge al sindacato di
legittimità del giudice amministrativo,
impingendo nel merito dell'azione
amministrativa, salvo che il suo uso non sia
caratterizzato da macroscopici vizi di
eccesso di potere per
irragionevolezza,manifesta iniquità, e
palese arbitrarietà.
Come è noto, in sede di pubblico concorso la
Commissione esaminatrice è, di norma,
titolare di un'ampia discrezionalità in
ordine:
- alla catalogazione dei singoli tipi di
titoli valutabili nell'ambito delle
categorie generali predeterminate dal bando;
- all’attribuzione della rilevanza e
dell'importanza dei titoli stessi;
- all'individuazione dei criteri per
l'attribuzione ai candidati dei punteggi
spettanti per i titoli da essi vantati
nell'ambito del punteggio massimo stabilito
dal bando, all'evidente fine di rendere
concreti, attuali e utilizzabili gli stessi
criteri del bando.
Naturalmente l'esercizio di tale
discrezionalità sfugge al sindacato di
legittimità del giudice amministrativo,
impingendo nel merito dell'azione
amministrativa, salvo che il suo uso non sia
caratterizzato da macroscopici vizi di
eccesso di potere per
irragionevolezza,manifesta iniquità, e
palese arbitrarietà (cfr. infra multa
Consiglio Stato, sez. IV, 01.06.2010, n.
3477; Consiglio Stato, sez. IV, 27.06.2007 ,
n. 3745; Consiglio Stato, sez. V, 12 marzo
2009 , n. 1506), ecc.) (Consiglio di Stato,
Sez. IV,
sentenza 24.07.2012, n. 4212 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
CONDOMINIO: Cassazione.
La «privatizzazione» è possibile.
Sottotetto comune solo se utilizzabile.
IL PRINCIPIO/ Quando il locale svolge
funzione di «camera d'aria» rispetto
all'appartamento sottostante va considerato
pertinenza di quest'ultimo.
La Corte di Cassazione, Sez. II civile, con
la
sentenza 23.07.2012
n. 12840 torna nel sottotetto, quello
spazio un tempo destinato a ospitare
ciarpame o semplicemente a restare vuoto per
evitare pericoli di crolli e incendi, e ora
potenziale e ambitissima mansarda. E torna
per confermare il suo orientamento: se può
servire all'uso comune è condominiale, se
serve solo come «camera d'aria» è pertinenza
del piano di sotto.
Le norme regionali hanno reso appetibile (e
agibile) migliaia di solai, magari con
piccole modifiche, dall'abbassamento
dell'altezza media di 2,7 metri alla
possibilità di alzare la falde del tetto. Ma
molti, in realtà, non erano ufficialmente
pertinenze di appartamenti bensì
semplicemente "camere d'aria" immaginate per
evitare un contatto diretto tra ultimo piano
e tetto, che avrebbe creato non pochi
problemi di caldo e freddo.
Ora, con le moderne tecniche di
coibentazione, questo non è più un problema.
Un problema è invece la proprietà di questi
beni, che valgono anche molto: sono del
condominio o dell'appartamento sottostante?
La polemica è andata avanti per decenni,
sinché l'orientamento della Cassazione si è
consolidato con un principio: non essendo il
sottotetto espressamente ricompreso nel
novero delle parti comuni individuate
dall'articolo 1117 del Codice civile,
l'appartenenza del sottotetto si determina
in base al titolo e, in mancanza, in base
alla funzione cui esso è destinato in
concreto. Quindi, se si tratta di vano
destinato esclusivamente a servire da
protezione dell'appartamento dell'ultimo
piano dal caldo, dal freddo e dall'umidità
tramite la creazione di una camera d'aria, è
pertinenza e proprietà esclusiva del
proprietario dell'ultimo piano; mentre è una
parte comune se è utilizzabile, anche solo
potenzialmente, per gli usi comuni, perché
in questo caso si può applicare la
presunzione di comunione prevista
dall'articolo 1117 del Codice civile, la
quale opera ogni volta che nel silenzio del
titolo il bene sia per le sue
caratteristiche suscettibile di
utilizzazione da parte di tutti i
proprietari. In concreto, quindi, nella
maggioranza dei casi il sottotetto è una
pertinenza dell'appartamento sottostante,
anche se naturalmente questo solleva le
proteste degli altri condomini che si
sentono defraudati se non di un'utilità
comune (di fatto il sottotetto serve solo
all'unità sottostante) quanto meno di un
valore immobiliare.
Ma anche l'ultima pronuncia della II sezione
civile della Cassazione, l'ordinanza 12840
(presidente Umberto Goldoni e relatore Aldo
Carrato), depositata ieri, ha confermato
l'orientamento.
Nel caso di specie, le Corti di merito
avevano già verificato proprio che il
sottotetto non era utilizzabile in alcun
modo a scopi comuni (e anzi era collegato
all'appartamento sottostante da una scala
interna e non era accessibile da altre
parti), e avevano già condannato il
condomino che aveva promosso l'azione a
2mila euro di spese di risarcimento danni
più tutte le spese giudiziarie e legali in
primo e secondo grado. La Cassazione ha
ritenuto il ricorso «manifestamente
infondato» con ordinanza e ha ulteriormente
condannato il ricorrente a pagare 1.700 euro
di spese di giudizio
(articolo Il Sole 24
Ore del 24.07.2012). |
LAVORI PUBBLICI: Appalti.
Danni causati da lavori stradali.
La colpa del sinistro è anche del Comune.
I PALETTI/ Se l'area durante i lavori viene
comunque utilizzata per la circolazione
delle vetture il municipio risponde con
l'appaltatore.
Diventa più facile ottenere il risarcimento
danni per i sinistri stradali causati da
lavori in corso.
La Corte di Cassazione, Sez. III civile, interviene infatti (sentenza
23.07.2012 n. 12811) con dettagli che
distinguono il tipo di lavori e di cantiere,
nonché le caratteristiche dell'appalto che
modifica la strada. Nel caso esaminato,
risalente al 1989, si discuteva di tubi e
cavi collocati nel sottosuolo, in un'area
completamente delimitata: il principio
applicato è che l'omessa segnalazione,
l'imprevedibilità del trabocchetto genera
responsabilità del solo appaltatore (o
subappaltatore) che ha eseguito o i lavori e
ne è custode. Se invece durante i lavori
l'area continua a essere utilizzata per la
circolazione, rispondono dei danni sia
l'appaltatore che l'ente proprietario della
strada. Per giungere a questa conclusione,
la Cassazione ricorda che in tema di appalto
vige il principio secondo cui l'appaltatore
(o il subappaltatore) opera in piena
autonomia, a proprio rischio, specialmente
se il committente non si ingerisce nei
lavori con direttive vincolanti.
In altri termini, se nella scala dei
soggetti che tendono al risultato (quale il
posizionamento di tubi in sede stradale) vi
sono direttive specifiche del soggetto a
monte (ad esempio, del proprietario della
strada) che riducono l'imprenditore a valle
al ruolo di mero esecutore, la
responsabilità rimane in capo a colui che,
ingerendosi nella gestione delle modalità
esecutive, ha indotto gli altri (avendone le
capacità e l'autorità) ad eseguire come "nudus
minister" (soggetto privo di capacità di
scelta). Se quindi vi è un'impresa
contrattualmente obbligata a sorvegliare in
generale tuta la viabilità, con compiti di
manutenzione ordinaria, in caso di sinistro
la responsabilità si arresta al confine di
specifici cantieri: risponde del cantiere
solo l'appaltatore che vi opera, tanto più
se si discute di opere (come il
posizionamento di tubi) diverse dalla usuale
gestione della sede stradale.
Un'ulteriore distinzione è operata tra aree
di cantiere delimitate ed enucleate rispetto
alla sede stradale aperta al traffico, sulle
quali vi è la custodia (e responsabilità)
esclusiva dell'appaltatore, rispetto agli
interventi che vengono effettuati con strada
aperta al pubblico. I giudici di legittimità
ricordano infatti che, nel caso di lavori di
rifacimento di marciapiedi e del manto
stradale, su area che continua ad essere
adibita a circolazione, permane il rapporto
di custodia tra ente pubblico (Comune,
Provincia, Stato) proprietario della strada
e soggetto appaltatore (Cassazione, sentenza
12425/2008). Diventa quindi importante
verificare se, al momento dell'incidente, la
sede stradale sia aperta al traffico e se vi
fossero specifiche delimitazioni di
cantiere.
Inoltre, le opere in corso devono essere
tanto specialistiche da non coinvolgere il
soggetto proprietario o il manutentore in
generale della strada, e infine non vi deve
essere alcuna interferenza (suggerimenti o
imposizioni) tra ciò che avviene nella
viabilità generale e ciò che accade nel
cantiere. Ad esempio, se per motivi di
viabilità il Comune consente il traffico
stradale in una zona adiacente una trincea
scavata per collocare impianti interrati,
senza rispettare margini di sicurezza, la
responsabilità è della pubblica
amministrazione
(articolo Il Sole 24
Ore del 24.07.2012 - tratto da
www.corteconti.it). |
APPALTI SERVIZI:
Nelle procedure di evidenza pubblica,
un'offerta non può ritenersi
senz'altro anomala e comportante
l'automatica esclusione dalla gara per il
solo fatto che il costo del lavoro sia stato
calcolato secondo valori inferiori a quelli
risultanti dalle tabelle ministeriali, che
costituiscono non parametri inderogabili ma
indici del giudizio di congruità; invero,
affinché possa propendersi per l'anomalia
dell'offerta, occorre che la discordanza sia
considerevole e palesemente ingiustificata.
Si è detto in proposito, infatti, che “nelle gare pubbliche indette per
l'aggiudicazione di appalti di servizi con
la p.a., se è vero che le tabelle
ministeriali recanti il costo della
manodopera espongono dati non inderogabili,
si deve altresì convenire che le medesime
assolvono ad una funzione di parametro di
riferimento dal quale è possibile
discostarsi, in sede di giustificazione
dell'anomalia, solo sulla scorta di una
dimostrazione puntuale e rigorosa, tanto più
se si considera che il dato delle ore annue
mediamente lavorate dal personale coinvolge
eventi (malattie, infortuni, maternità) che
non rientrano nella disponibilità
dell'impresa e che quindi necessitano, per
definizione, di stima di carattere
prudenziale.”.
Parimenti, è stato rilevato in passato che
devono considerarsi anomale solo le offerte
che si discostano in misura rilevante dai
valori risultanti dalle tabelle ministeriali. I dati risultanti dalle tabelle de quibus
non costituiscono, infatti, parametri
assoluti e inderogabili, ma sono ben
suscettibili di scostamento in relazione a
valutazioni statistiche ed analisi aziendali
svolte dall'offerente, che, evidenziando una
particolare organizzazione imprenditoriale,
rimettono alla stazione appaltante ogni
valutazione tecnico discrezionale di
congruità. Conseguentemente, è da reputarsi
ammissibile l'offerta che da essa si
discosti, purché il divario non sia
eccessivo e vengano salvaguardate le
retribuzioni dei lavoratori, così come
stabilito in sede di contrattazione
collettiva.
Passando al merito dell’appello principale, è certamente da
disattendere il motivo volto a sostenere
l’obbligo della stazione appaltante di
escludere l’appellata fondato sulla
circostanza che l’offerta della medesima con
riferimento al costo della manodopera, della
lex specialis, si era discostata di circa il
19% rispetto ai minimi previsti dalle
Tabelle in materia di costo del lavoro.
Rammenta in proposito il Collegio, che
per costante quanto condivisa giurisprudenza
amministrativa tale scostamento non può
essere causa di esclusione dell’offerta,
fondata sulla presunzione iuris et de iure
di inaffidabilità della stessa (proprio a
cagione del detto riscontrato scostamento).
Nelle procedure di evidenza pubblica,
infatti, un'offerta non può ritenersi
senz'altro anomala e comportante
l'automatica esclusione dalla gara per il
solo fatto che il costo del lavoro sia stato
calcolato secondo valori inferiori a quelli
risultanti dalle tabelle ministeriali, che
costituiscono non parametri inderogabili ma
indici del giudizio di congruità; invero,
affinché possa propendersi per l'anomalia
dell'offerta, occorre che la discordanza sia
considerevole e palesemente ingiustificata.
Si è detto in proposito, infatti, che (Consiglio di Stato sez. V 28.06.2011
n. 3865) “nelle gare pubbliche indette per
l'aggiudicazione di appalti di servizi con
la p.a., se è vero che le tabelle
ministeriali recanti il costo della
manodopera espongono dati non inderogabili,
si deve altresì convenire che le medesime
assolvono ad una funzione di parametro di
riferimento dal quale è possibile
discostarsi, in sede di giustificazione
dell'anomalia, solo sulla scorta di una
dimostrazione puntuale e rigorosa, tanto più
se si considera che il dato delle ore annue
mediamente lavorate dal personale coinvolge
eventi (malattie, infortuni, maternità) che
non rientrano nella disponibilità
dell'impresa e che quindi necessitano, per
definizione, di stima di carattere
prudenziale.”.
Parimenti, è stato rilevato in passato che
devono considerarsi anomale solo le offerte
che si discostano in misura rilevante dai
valori risultanti dalle tabelle ministeriali. I dati risultanti dalle tabelle de quibus
non costituiscono, infatti, parametri
assoluti e inderogabili, ma sono ben
suscettibili di scostamento in relazione a
valutazioni statistiche ed analisi aziendali
svolte dall'offerente, che, evidenziando una
particolare organizzazione imprenditoriale,
rimettono alla stazione appaltante ogni
valutazione tecnico discrezionale di
congruità. Conseguentemente, è da reputarsi
ammissibile l'offerta che da essa si
discosti, purché il divario non sia
eccessivo e vengano salvaguardate le
retribuzioni dei lavoratori, così come
stabilito in sede di contrattazione
collettiva (TAR Roma Lazio sez. III 05.12.2011 n. 9570).
Ciò implica la sicura reiezione della
detta corrispondente censura, riproposta
nell’appello principale,anche tenuto conto
della circostanza che nessuna clausola del
bando o del disciplinare imponeva la
immediata esclusione della impresa offerente
in detta evenienza: in particolare, non
certamente in tali termini può essere intesa
la prescrizione contenuta al quarto
capoverso del punto 2 del disciplinare
(rubricato: procedimento di verifica delle
giustificazioni ed esclusione delle offerte
anormalmente basse) posto che la detta
ultima clausola, peraltro in maniera
sostanzialmente non perspicua fa riferimento
alla non ammissibilità di giustificazioni in
relazione “ai trattamenti minimi salariali
stabiliti dalla legge o da fonti autorizzate
dalla legge” e tali non possono considerarsi
le tabelle ministeriali in quanto
costituenti, come si è prima dimostrato,
meri parametri di valutazione e che il bando
faceva espresso riferimento, richiamandoli
integralmente, agli artt. 86 ed 87 del d.Lgs. n. 163/2006,
ratione temporis vigenti
.
Ciò comporta altresì che la verifica
giudiziale si incentri sulle ulteriori
doglianze sollevate dall’appellante
principale, il che investe la verifica
svolta dall’amministrazione sull’offerta
predetta
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 23.07.2012 n. 4206 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
I parametri della illogicità ed
arbitrarietà sono gli unici cui deve restare
ancorata la verifica giudiziale, a fronte
della penetrante discrezionalità
amministrativa sia in sede di valutazione
dell’anomalia che, a fortiori, di scelta di
quali “strumenti” di indagine e verifica
avvalersi per dissipare i dubbi di anomalia
dell’offerta riconosciuti in capo alla
stazione appaltante.
Come è noto, infatti, per evidenti fini di
tutela del pubblico interesse, la "ratio"
cui è preordinato il meccanismo di verifica
della offerta anomala è la piena
affidabilità della proposta contrattuale.
Conseguenzialmente alla detta premessa,
ancora di recente è stato affermato che il
giudizio di verifica della congruità di
un'offerta anomala ha natura globale e
sintetica sulla serietà o meno dell'offerta
nel suo insieme, con conseguente irrilevanza
di eventuali singole voci di scostamento.
Altresì, non ha per oggetto la ricerca di
specifiche e singole inesattezze
dell'offerta economica, essendo invero
finalizzato ad accertare se l'offerta nel
suo complesso sia attendibile. In merito al
procedimento di verifica dell'anomalia delle
offerte, il Giudice Amministrativo può
sindacare le valutazioni compiute dalla P.A.
sotto il profilo della loro logicità e
ragionevolezza e della congruità
dell'istruttoria, ma non può operare
autonomamente la verifica della congruità
dell'offerta presentata e delle sue singole
voci, poiché, così facendo, invaderebbe una
sfera propria della P.A., in esercizio di
discrezionalità tecnica.
In coerenza con l’orientamento per cui la
verifica di anomalia non ha per oggetto la
ricerca di specifiche e singole inesattezze
dell'offerta economica, ma mira ad accertare
se l'offerta, nel suo complesso, sia
attendibile o inattendibile, e dunque se dia
o meno serio affidamento circa la corretta
esecuzione dell'appalto, ancora recentemente
è stato ribadito che il procedimento di
verifica è avulso da ogni formalismo ed è
improntato alla massima collaborazione tra
stazione appaltante e offerente; il
contraddittorio deve essere effettivo; non
vi sono preclusioni alla presentazione di
giustificazioni, ancorate al momento della
scadenza del termine di presentazione delle
offerte; mentre l'offerta è immodificabile,
modificabili sono le giustificazioni, e sono
ammesse quelle sopravvenute e compensazioni
tra sottostime e sovrastime, purché
l'offerta risulti nel suo complesso
affidabile al momento dell'aggiudicazione, a
garanzia di una seria esecuzione del
contratto.
Nei limiti della ragionevolezza (discendente
da dati variabili tra i quali va annoverato,
anche, anche quello rappresentato dalla
complessità dell’appalto, dal valore del
medesimo, dal numero delle voci oggetto di
rilievo e giustificazioni, etc.), non vi
sono limitazioni prefissate al potere di
verifica della stazione appaltante, e, per
altro verso, per la pacifica giurisprudenza
infatti non è escluso che si possa procedere
in sede di verifica di anomalia ad un
limitato rimaneggiamento dei suoi elementi,
purché la proposta contrattuale non venga
modificata o alterata.
Non può essere fissata, ai fini della
valutazione di anomalia delle offerte
presentate nelle gare di appalto, una quota
rigida di utile al di sotto della quale
l'offerta debba considerarsi per definizione
incongrua, dovendosi invece avere riguardo
alla serietà della proposta contrattuale e
risultando in sé ingiustificabile solo un
utile pari a zero, atteso che anche un utile
apparentemente modesto può comportare un
vantaggio importante (si pensi alle ricadute
positive che possono discendere in termine
di qualificazione, pubblicità, curriculum
discendenti per una impresa dall’essersi
aggiudicata e dall’avere poi portato a
termine un prestigioso appalto).
La
problematica, quindi, si sposta, sulla
valutazione che di tali giustificazioni è
stata resa dalla stazione appaltante,e, in
ultima analisi, sulla valutazione di
affidabilità complessiva della offerta che
dalla stessa è stata resa, tenendo conto,
sul punto, comunque, di una rilevante
circostanza: neppure parte appellante, che
richiama principi di matrice
giurisprudenziale in materia di
rimaneggiamento dell’offerta e di successiva
riduzione dei margini di utile, si spinge ad
affermare che l’offerta dell’appellata
mancasse di un margine di utile o che questo
fosse pari allo zero.
Sul punto, è bene rammentare che il Collegio
non intende discostarsi dai consolidati
principi in punto di verifica dell’anomalia
delle offerte cui è in passato approdata la
giurisprudenza amministrativa.
Si rimarca in proposito che per pacifica
giurisprudenza i parametri della illogicità
ed arbitrarietà sono gli unici cui deve
restare ancorata la verifica giudiziale, a
fronte della penetrante discrezionalità
amministrativa sia in sede di valutazione
dell’anomalia che, a fortiori, di scelta di
quali “strumenti” di indagine e
verifica avvalersi per dissipare i dubbi di
anomalia dell’offerta riconosciuti in capo
alla stazione appaltante (ex multis,
in merito alla discrezionalità tecnica che
assiste il seggio di gara in materia di
valutazione dell’anomalia dell’offerta si
veda, tra le tante, Consiglio Stato, sez. IV,
05.08.2005, n. 4196).
Come è noto, infatti, per evidenti fini di
tutela del pubblico interesse, la "ratio"
cui è preordinato il meccanismo di verifica
della offerta anomala è la piena
affidabilità della proposta contrattuale”
(Consiglio Stato, sez. V, 05.10.2005, n.
5315).
Conseguenzialmente alla detta premessa,
ancora di recente è stato affermato che “il
giudizio di verifica della congruità di
un'offerta anomala ha natura globale e
sintetica sulla serietà o meno dell'offerta
nel suo insieme, con conseguente irrilevanza
di eventuali singole voci di scostamento.
Altresì, non ha per oggetto la ricerca di
specifiche e singole inesattezze
dell'offerta economica, essendo invero
finalizzato ad accertare se l'offerta nel
suo complesso sia attendibile. In merito al
procedimento di verifica dell'anomalia delle
offerte, il Giudice Amministrativo può
sindacare le valutazioni compiute dalla P.A.
sotto il profilo della loro logicità e
ragionevolezza e della congruità
dell'istruttoria, ma non può operare
autonomamente la verifica della congruità
dell'offerta presentata e delle sue singole
voci, poiché, così facendo, invaderebbe una
sfera propria della P.A., in esercizio di
discrezionalità tecnica.” (Cons. Stato
Sez. III, 26-01-2012, n. 343).
Rammenta il Collegio che in coerenza con
l’orientamento per cui la verifica di
anomalia non ha per oggetto la ricerca di
specifiche e singole inesattezze
dell'offerta economica, ma mira ad accertare
se l'offerta, nel suo complesso, sia
attendibile o inattendibile, e dunque se dia
o meno serio affidamento circa la corretta
esecuzione dell'appalto, ancora recentemente
è stato ribadito che (Consiglio di Stato,
Sezione Sesta n. 4801/2011) il procedimento
di verifica è avulso da ogni formalismo ed è
improntato alla massima collaborazione tra
stazione appaltante e offerente; il
contraddittorio deve essere effettivo; non
vi sono preclusioni alla presentazione di
giustificazioni, ancorate al momento della
scadenza del termine di presentazione delle
offerte; mentre l'offerta è immodificabile,
modificabili sono le giustificazioni, e sono
ammesse quelle sopravvenute e compensazioni
tra sottostime e sovrastime, purché
l'offerta risulti nel suo complesso
affidabile al momento dell'aggiudicazione, a
garanzia di una seria esecuzione del
contratto. (Consiglio Stato, sez. VI,
21.05.2009, n. 3146).
Nei limiti della ragionevolezza (discendente
da dati variabili tra i quali va annoverato,
anche, anche quello rappresentato dalla
complessità dell’appalto, dal valore del
medesimo, dal numero delle voci oggetto di
rilievo e giustificazioni, etc.), non vi
sono limitazioni prefissate al potere di
verifica della stazione appaltante, e, per
altro verso, per la pacifica giurisprudenza
infatti non è escluso che si possa procedere
in sede di verifica di anomalia ad un
limitato rimaneggiamento dei suoi elementi,
purché la proposta contrattuale non venga
modificata o alterata (Consiglio Stato, sez.
VI, 07.03.2008, n. 1007; sez. VI,
26.04.2005, n. 1889; sez. V, 11.11.2004, n.
7346).
Ciò che rileva è che l’offerta rimanga nel
complesso “seria”.
E seria rimane, anche laddove l’utile
d’impresa si riduca, purché non risulti del
tutto azzerato.
Si rammenta in proposito che l’art. 87,
comma 1, del decreto legislativo 12.04.2006,
n. 163, nella versione antecedente alla
modifica introdotta dall’articolo 4-quater,
comma 1, lettera c), punto 1), del D.L.
01.07.2009, n. 78 disponeva che, “Quando
un'offerta appaia anormalmente bassa, la
stazione appaltante richiede all'offerente
le giustificazioni, eventualmente necessarie
in aggiunta a quelle già presentate a
corredo dell'offerta, ritenute pertinenti in
merito agli elementi costitutivi
dell'offerta medesima”.
L’utilizzo dell’inciso “in aggiunta”
consente di rilevare che, purché l’utile di
impresa sia indicato e risulti permanere
all’esito della verifica d’anomalia, e
purché non si registrino indebite “sostituzioni
di voci”, anche un eventuale
rimaneggiamento dell’offerta appare non
soltanto consentito, ma addirittura
fisiologico.
Ma ciò che maggiormente giova ribadire, alla
luce delle censure proposte dall’appellante,
è che, armonicamente con le conclusioni
della giurisprudenza (Consiglio Stato, sez.
VI, 16.01.2009, n. 215) non può essere
fissata, ai fini della valutazione di
anomalia delle offerte presentate nelle gare
di appalto, una quota rigida di utile al di
sotto della quale l'offerta debba
considerarsi per definizione incongrua,
dovendosi invece avere riguardo alla serietà
della proposta contrattuale e risultando in
sé ingiustificabile solo un utile pari a
zero, atteso che anche un utile
apparentemente modesto può comportare un
vantaggio importante (si pensi alle ricadute
positive che possono discendere in termine
di qualificazione, pubblicità, curriculum
discendenti per una impresa dall’essersi
aggiudicata e dall’avere poi portato a
termine un prestigioso appalto)
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 23.07.2012 n. 4206 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
In caso di istanza di sanatoria
edilizia per opere abusive realizzate in
aree sottoposte a vincolo, il silenzio-assenso per decorso del termine di
ventiquattro mesi dall'emissione del parere
dell'autorità preposta alla tutela del
vincolo si forma solo nel caso di parere
favorevole, e non anche di parere contrario,
poiché il rilascio della concessione in
sanatoria per abusi in zone vincolate
presuppone necessariamente il parere
favorevole, e non il parere "sic et
simpliciter" della predetta autorità.
Il parere dell'Amministrazione preposta
alla tutela del vincolo, di cui all'art. 32
l. n. 47 del 1985, è pregiudiziale ad ogni
altra valutazione e, se sfavorevole, rende
impossibile la sanatoria dell'opera.
Conseguentemente, nel caso in cui
l'espressione del parere e l'adozione del
provvedimento sull'istanza di sanatoria
siano di competenza della medesima
Amministrazione (nella specie, il Comune), è
ben possibile che l'esito negativo
dell'esame sulla compatibilità con il
vincolo consenta all'Amministrazione di
adottare uno actu la determinazione negativa
sul complesso procedimento di cui al citato
art. 32.
Tale principio appare sovrapponibile a
quello espresso dalla giurisprudenza penale
di legittimità, secondo cui “a seguito delle
modifiche introdotte dall'art. 32 d.l. 30.09.2003 n. 269 (conv., con mod. in l.
24.11.2003 n. 326) all'art. 32, comma
1, della l. 28.02.1985 n. 47, non
opera più, anche per le istanze di sanatoria
già presentate, la procedura del silenzio-assenso per gli interventi di ampliamento
eseguiti su immobili sottoposti a vincolo
paesaggistico. (In motivazione la Corte ha
precisato che il rilascio della sanatoria è
subordinato al parere dell'amministrazione
preposta alla tutela del vincolo da
rilasciarsi nel termine di 180 gg.
dall'istanza conseguendo, in caso di
inerzia, l'impugnabilità del silenzio-rifiuto).".
In ordine alla problematica relativa alla
epoca di apposizione del vincolo, dopo
qualche iniziale incertezza, la
giurisprudenza si è ormai stabilmente
orientata verso l’affermazione della
rilevanza di quest’ultimo, purché
sussistente al momento della richiesta di
sanatoria, a nulla rilevando che esso non
preesistesse al momento della esecuzione
dell’intervento abusivo.
Si è quindi condivisibilmente affermato, che “ai sensi
dell'art. 32, l. 28.02.1985 n. 47
l'esistenza di un vincolo paesaggistico
esclude la possibilità della formazione del
silenzio assenso sulle domande di rilascio
di concessione edilizia in
sanatoria.” e si è soprattutto,
puntualizzato, che “è irrilevante che il
vincolo paesaggistico sia sopravvenuto
rispetto alla commissione dell'abuso e alla
data di presentazione della domanda di
condono, perché secondo il consolidato
orientamento della giustizia amministrativa
sono rilevanti i vincoli paesaggistici
sopravvenuti ed esistenti al momento
dell'adozione del provvedimento sulla
domanda di condono edilizio (nel caso di
specie, il provvedimento di condono non
aveva valutato adeguatamente la
compatibilità paesaggistica dell'opera e
pertanto risultava affetto dal vizio del
difetto di motivazione, rilevato dalla
Soprintendenza).".
Rammenta in proposito il Collegio che costituisce costante approdo della
giurisprudenza amministrativa quello per cui
dal combinato disposto degli art. 35, comma
19, e 32, comma 1, della l. 28/02/1985 n. 47 si
evince che, in caso di istanza di sanatoria
edilizia per opere abusive realizzate in
aree sottoposte a vincolo, il silenzio-assenso per decorso del termine di
ventiquattro mesi dall'emissione del parere
dell'autorità preposta alla tutela del
vincolo si forma solo nel caso di parere
favorevole, e non anche di parere contrario,
poiché il rilascio della concessione in
sanatoria per abusi in zone vincolate
presuppone necessariamente il parere
favorevole, e non il parere "sic et
simpliciter" della predetta autorità.
Si è detto peraltro, ancora di recente, che
“il parere dell'Amministrazione preposta
alla tutela del vincolo, di cui all'art. 32
l. n. 47 del 1985, è pregiudiziale ad ogni
altra valutazione e, se sfavorevole, rende
impossibile la sanatoria dell'opera.
Conseguentemente, nel caso in cui
l'espressione del parere e l'adozione del
provvedimento sull'istanza di sanatoria
siano di competenza della medesima
Amministrazione (nella specie, il Comune), è
ben possibile che l'esito negativo
dell'esame sulla compatibilità con il
vincolo consenta all'Amministrazione di
adottare uno actu la determinazione negativa
sul complesso procedimento di cui al citato
art. 32.” (Consiglio Stato, sez. VI, 24.02.2011 , n. 1156).
Tale principio appare sovrapponibile a
quello espresso dalla giurisprudenza penale
di legittimità, secondo cui “a seguito delle
modifiche introdotte dall'art. 32 d.l. 30.09.2003 n. 269 (conv., con mod. in l.
24.11.2003 n. 326) all'art. 32, comma
1, della l. 28.02.1985 n. 47, non
opera più, anche per le istanze di sanatoria
già presentate, la procedura del silenzio-assenso per gli interventi di ampliamento
eseguiti su immobili sottoposti a vincolo
paesaggistico. (In motivazione la Corte ha
precisato che il rilascio della sanatoria è
subordinato al parere dell'amministrazione
preposta alla tutela del vincolo da
rilasciarsi nel termine di 180 gg.
dall'istanza conseguendo, in caso di
inerzia, l'impugnabilità del silenzio-rifiuto).” (Cassazione penale, sez. III, 16.03.2010, n. 14312).
In ordine alla problematica relativa alla
epoca di apposizione del vincolo, dopo
qualche iniziale incertezza, la
giurisprudenza si è ormai stabilmente
orientata verso l’affermazione della
rilevanza di quest’ultimo, purché
sussistente al momento della richiesta di
sanatoria, a nulla rilevando che esso non
preesistesse al momento della esecuzione
dell’intervento abusivo. Si è quindi
condivisibilmente affermato, che “ai sensi
dell'art. 32, l. 28.02.1985 n. 47
l'esistenza di un vincolo paesaggistico
esclude la possibilità della formazione del
silenzio assenso sulle domande di rilascio
di concessione edilizia in
sanatoria.” (Consiglio Stato , sez. IV, 31.03.2009, n. 2024) e si è soprattutto,
puntualizzato, che “è irrilevante che il
vincolo paesaggistico sia sopravvenuto
rispetto alla commissione dell'abuso e alla
data di presentazione della domanda di
condono, perché secondo il consolidato
orientamento della giustizia amministrativa
sono rilevanti i vincoli paesaggistici
sopravvenuti ed esistenti al momento
dell'adozione del provvedimento sulla
domanda di condono edilizio (nel caso di
specie, il provvedimento di condono non
aveva valutato adeguatamente la
compatibilità paesaggistica dell'opera e
pertanto risultava affetto dal vizio del
difetto di motivazione, rilevato dalla
Soprintendenza)." (Consiglio Stato, sez. VI,
23.02.2011, n. 1127, ma anche, in
passato, Consiglio Stato, sez. VI, 22.01.2001, n. 181 “l'art. 32 l. n. 47
del 1985, laddove impone una congrua
valutazione da parte dell'autorità preposta
alla tutela del vincolo in merito alla
compatibilità del mantenimento dell'"opus"
con le ragioni poste a fondamento del regime
vincolistico, si applica anche in caso di
vincolo sopravvenuto rispetto all'esecuzione
ma vigente al momento della domanda.”).
Ne consegue pertanto che tutte le
censure volte ad ipotizzare che le opere
realizzate non dovevano essere soggette al
rilascio di autorizzazione paesaggistica
devono essere respinte, anche a volere
considerare sussistente (il che non è) il
presupposto ( sul quale comunque il Collegio
non intende immorare, stante la pratica
inutilità di simile approfondimento
motivazionale) della erezione delle opere in
epoca antecedente alla apposizione del
vincolo mercé la istituzione del Parco Monte
San Bartolo (motivo 2 del ricorso n.
1500/2004, e motivo 2 del ricorso n.
1499/2004)
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 23.07.2012 n. 4204 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La compatibilità ambientale da
esprimersi dalla soprintendenza per i beni
ambientali e architettonici in merito ad
istanza di concessione in sanatoria, ai
sensi dell'art. 31 l. 28.02.1985 n. 47, è
affidata alla valutazione discrezionale
dell'organo preposto, non sindacabile in
sede di legittimità se non per errata o
incompleta istruttoria o per manifesta
illogicità.
Rammenta
in proposito il Collegio che “la
compatibilità ambientale da esprimersi dalla
soprintendenza per i beni ambientali e
architettonici in merito ad istanza di
concessione in sanatoria, ai sensi dell'art.
31 l. 28.02.1985 n. 47, è affidata
alla valutazione discrezionale dell'organo
preposto, non sindacabile in sede di
legittimità se non per errata o incompleta
istruttoria o per manifesta illogicità.“
(Consiglio Stato, sez. VI, 18.10.1999, n. 1438 e, più di recente, Consiglio Stato, sez. VI, 14.10.2009, n. 6294,
laddove si è fatto riferimento al giudizio
tecnico-discrezionale di compatibilità
ambientale e paesaggistica che viene
articolato dall'autorità periferica)
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 23.07.2012 n. 4204 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Lo spianamento e la
deruralizzazione del piazzale antistante un
container da adibire ad ufficio é da
considerare un intervento di trasformazione
edilizia ed urbanistica del territorio
previsto dall'art. 3 d.P.R. n. 380 del 2001,
come tale subordinato a permesso di
costruire, allorché comporti un'alterazione
dello stato dei luoghi di rilievo anche solo
funzionale, evidente nel caso di specie
nella utilizzazione economica dell'opera e
dunque nel mutamento di destinazione
dell'area interessata..
La realizzazione di un piazzale attraverso
il disboscamento e lo spianamento di un'area
agricola -pur non comportando la
realizzazione di opere in muratura-
determina comunque una alterazione dello
stato dei luoghi, con consequenziale non
ascrivibilità del suddetto intervento alla
tipologia della modifica di destinazione
d'uso funzionale, o senza opere.
Allorché spianamento, livellamento e
disboscamento interessino, per la loro
rilevanza, la conformazione del territorio
che ne è oggetto, non è sufficiente addurre
la futura destinazione agricola dell'area,
ma occorre un preventivo controllo
dell'autorità comunale, nelle forme della
concessione urbanistica; concetto distinto
da quello tradizionale di concessione
edilizia, e ciò perché nel concetto di
urbanistica di cui all'art. 80 del d.P.R.
24.07.1977, n. 616 rientrano l'assetto del
territorio e l'utilizzazione del suolo, e
non soltanto l'edilizia in senso stretto.
La realizzazione di un parcheggio scoperto
di autovetture comporta una trasformazione
del suolo mediante opere, anche se modeste,
(spianamento del terreno, sua battitura,
suddivisione degli spazi, creazione di
accessi e piazzole di lavaggio) per cui si è
fuori dalle ipotesi di mera utilizzazione
che il proprietario ritenga di fare del
proprio terreno e per le quali è esclusa la
necessità di un titolo concessorio.
Si
rammenta in proposito che le opere abusive
riguardanti la realizzazione del piazzale
per deposito di inerti che si era richiesto
di condonare sono consistite “nello
scortecciamento e spalteamento del terreno
con susseguente riporto di materiale lapideo
di grossa pezzatura, livellato e rullato, e
che, sul piazzale così formatosi,
insistevano, oltre a cumuli di inerti di non
trascurabile entità, un silos ed una
tramoggia per il preconfezionamento di
conglomerati cementizi”.
Rammenta il Collegio che per unanime quanto
condivisibile giurisprudenza, simili opere
(tanto più ove insistenti in area vincolata)
richiedono il preventivo rilascio di
permesso di costruire.
Invero, la modifica della destinazione d'uso
"funzionale" o "senza opere" (che esclude
logicamente un successivo provvedimento ripristinatorio) richiede che non vi sia
stata alcuna trasformazione fisica
dell'immobile o di parte di esso.
Non può ascriversi a tale tipologia, invece,
la modifica che, pur senza dare luogo
all'esecuzione di opere in muratura, abbia
comportato un'effettiva alterazione dello
stato dei luoghi, come verificatosi nella
fattispecie in esame, ove la realizzazione
di un piazzale sul terreno di proprietà ha
richiesto il disboscamento e lo spianamento
di un'area agricola. L'intervenuta
trasformazione del territorio rileva sotto
il profilo urbanistico ed esclude che il
cambio di destinazione d'uso possa
considerarsi di tipo meramente funzionale e,
cioè, "senza opere".
Si è evidenziato infatti, in passato che:
-
“lo spianamento e la deruralizzazione del
piazzale antistante un container da adibire
ad ufficio é da considerare un intervento di
trasformazione edilizia ed urbanistica del
territorio previsto dall'art. 3 d.P.R. n.
380 del 2001, come tale subordinato a
permesso di costruire, allorché comporti
un'alterazione dello stato dei luoghi di
rilievo anche solo funzionale, evidente nel
caso di specie nella utilizzazione economica
dell'opera e dunque nel mutamento di
destinazione dell'area interessata." (TAR
Puglia Bari, sez. III, 26.02.2009, n.
404);
-
”la realizzazione di un piazzale attraverso
il disboscamento e lo spianamento di un'area
agricola -pur non comportando la
realizzazione di opere in muratura-
determina comunque una alterazione dello
stato dei luoghi, con consequenziale non ascrivibilità del suddetto intervento alla
tipologia della modifica di destinazione
d'uso funzionale, o senza opere.“ (TAR
Piemonte Torino, sez. I, 25.10.2007,
n. 3242).
Del pari, è stato rettamente colto dalla
giurisprudenza di merito amministrativa e da
quella penale, che:
- “allorché spianamento,
livellamento e disboscamento interessino,
per la loro rilevanza, la conformazione del
territorio che ne è oggetto, non è
sufficiente addurre la futura destinazione
agricola dell'area, ma occorre un preventivo
controllo dell'autorità comunale, nelle
forme della concessione urbanistica;
concetto distinto da quello tradizionale di
concessione edilizia, e ciò perché nel
concetto di urbanistica di cui all'art. 80
del d.P.R. 24.07.1977, n. 616 rientrano
l'assetto del territorio e l'utilizzazione
del suolo, e non soltanto l'edilizia in
senso stretto.”
(Cassazione penale, sez. III, 14.07.1998, n. 2239);
-
“la realizzazione di un parcheggio scoperto
di autovetture comporta una trasformazione
del suolo mediante opere, anche se modeste,
(spianamento del terreno, sua battitura,
suddivisione degli spazi, creazione di
accessi e piazzole di lavaggio) per cui si è
fuori dalle ipotesi di mera utilizzazione
che il proprietario ritenga di fare del
proprio terreno e per le quali è esclusa la
necessità di un titolo concessorio.“ (TAR
Toscana, sez. I, 17.11.1989, n. 959)
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 23.07.2012 n. 4204 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
In una zona interessata da
vincolo paesaggistico la formazione del
provvedimento tacito di assenso alla
concessione in sanatoria, previsto dall'art.
35, comma 18, l. n. 47 del 1985, postula
indefettibilmente la previa acquisizione del
parere favorevole dell'autorità preposta
alla tutela del vincolo sulla compatibilità
ambientale della costruzione senza titolo;
ne consegue che, se al momento dell'esame
della domanda di sanatoria non risulta
acquisito il parere favorevole sulla
conformità dell'intervento alla disciplina
paesaggistica, la formazione del
silenzio-assenso è preclusa.
Ai sensi dell'art. 32, l. 28.02.1985 n. 47
l'esistenza di un vincolo paesaggistico
esclude la possibilità della formazione del
silenzio assenso sulle domande di rilascio
di concessione edilizia in sanatoria.
In ogni
caso, è appena il caso di rilevare la
assoluta infondatezza, nel merito, della
doglianza, a tenore della concordante
giurisprudenza amministrativa, laddove si è
affermato che:
- “in una zona interessata da
vincolo paesaggistico la formazione del
provvedimento tacito di assenso alla
concessione in sanatoria, previsto dall'art.
35, comma 18, l. n. 47 del 1985, postula indefettibilmente la previa acquisizione del
parere favorevole dell'autorità preposta
alla tutela del vincolo sulla compatibilità
ambientale della costruzione senza titolo;
ne consegue che, se al momento dell'esame
della domanda di sanatoria non risulta
acquisito il parere favorevole sulla
conformità dell'intervento alla disciplina
paesaggistica, la formazione del silenzio-assenso è preclusa.” (TAR Campania
Salerno, sez. II, 21.01.2010, n. 845);
-
”ai sensi dell'art. 32, l. 28.02.1985
n. 47 l'esistenza di un vincolo
paesaggistico esclude la possibilità della
formazione del silenzio assenso sulle
domande di rilascio di concessione edilizia
in sanatoria.” (Consiglio Stato, sez. IV, 31.03.2009,
n. 2024)
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 23.07.2012 n. 4204 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Non sussiste obbligo di avviso di
avvio del procedimento in caso di
procedimento promosso su istanza di parte e
culminato in un provvedimento vincolato
(anche alla luce dell'art. 21-octies, l.
1990 n. 241).
L'ingiunzione di demolizione, emessa
successivamente all'adozione di un diniego
di concessione edilizia in sanatoria, non
necessita del previo avviso di avvio del
procedimento amministrativo ex art. 7, l. n.
241 del 1990, trattandosi di atto vincolato
e meramente consequenziale, nell'ambito di
un procedimento sanzionatorio
sostanzialmente unitario.
---------------
Nel sistema successivo all’entrata in vigore
del d.lg. 42/2004, la comunicazione di avvio
del procedimento finalizzato
all'annullamento del nulla osta
paesaggistico da parte del competente organo
statale non richiede più la previa
comunicazione ex art. 7, l. n. 241 del 1990.
Tanto, in base al disposto di cui al comma 1
dell'art. 159, d.lgs. n. 42/2004, il quale
(innovando "in parte qua" rispetto al
previgente disposto di cui all'art. 151
d.lgs. n. 490 del 1999) stabilisce in modo
espresso che la comunicazione relativa
all'avvenuto rilascio del nulla osta da
parte dell'Ente a ciò competente
"costituisce avviso di inizio di
procedimento, ai sensi e per gli effetti
della legge 07.08.1990 n. 241.
Alla luce della l. 07.08.1990 n. 241
l'applicazione del potere di annullamento
del nulla osta paesaggistico, rilasciato,
nell'ambito del procedimento di sanatoria
edilizia, dall'autorità regionale (o
subregionale) non postula la previa
comunicazione dell'avvio del procedimento,
ai sensi dell'art. 7 l. n. 241 cit. ai
destinatari del provvedimento ministeriale,
in quanto soggetti cui è imputabile
l'iniziativa del procedimento.
Può essere considerato equipollente alla
comunicazione dell'avvio del procedimento,
prevista dall'art. 7, l. 07.08.1990 n. 241,
l'invio all'interessato della nota di
trasmissione alla Soprintendenza del parere
del Comune, rilasciato ex art. 32, l.
28.02.1985 n. 47, favorevole alla sanatoria
di opere abusive realizzate in zona
sottoposta a vincolo paesaggistico,
contenente l'avvertimento della possibilità
di partecipare al relativo procedimento.
Rimarca
in proposito il Collegio, che per condivisa
giurisprudenza “non sussiste obbligo di
avviso di avvio del procedimento in caso di
procedimento promosso su istanza di parte e
culminato in un provvedimento vincolato
(anche alla luce dell'art. 21-octies, l.
1990 n. 241)”. (Consiglio Stato, sez. VI, 05.10.2006, n. 5942).
Tenuto conto della circostanza che tutti i
procedimenti per cui è causa sono stati
avviati su istanza di parte appellante, tale
principio –del quale il Collegio ribadisce
la condivisibilità- sarebbe ex se idoneo a
respingere le connesse censure. Più in
particolare, si è detto in passato che:
- “l'ingiunzione di demolizione, emessa
successivamente all'adozione di un diniego
di concessione edilizia in sanatoria, non
necessita del previo avviso di avvio del
procedimento amministrativo ex art. 7, l. n.
241 del 1990, trattandosi di atto vincolato
e meramente consequenziale, nell'ambito di
un procedimento sanzionatorio
sostanzialmente unitario.” (TAR Liguria
Genova, sez. I, 22.01.2011, n. 150);
-
”l'ingiunzione di demolizione, emessa
successivamente all'adozione di un diniego
di concessione edilizia in sanatoria, non
necessita del previo avviso di avvio del
procedimento amministrativo ex art. 7, l. n.
241 del 1990, trattandosi di atto vincolato
e meramente consequenziale, nell'ambito di
un procedimento sanzionatorio
sostanzialmente unitario.” (TAR Emilia
Romagna, II, 16.05.2008, n. 1940).
Inoltre, seppur non decisivo ratione
temporis, può essere interessante rilevare,
in punto di dequotazione della violazione
procedimentale formale in materia di tutela
paesaggistica, che la giurisprudenza più
recente, anche di primo grado, è pervenuta
al condivisibile approdo che di seguito si
riporta: “nel sistema successivo all’entrata
in vigore del d.lg. 42/2004, la
comunicazione di avvio del procedimento
finalizzato all'annullamento del nulla osta
paesaggistico da parte del competente organo
statale non richiede più la previa
comunicazione ex art. 7, l. n. 241 del 1990.
Tanto, in base al disposto di cui al comma 1
dell'art. 159, d.lgs. n. 42/2004, il quale
(innovando "in parte qua" rispetto al
previgente disposto di cui all'art. 151
d.lgs. n. 490 del 1999) stabilisce in modo
espresso che la comunicazione relativa
all'avvenuto rilascio del nulla osta da
parte dell'Ente a ciò competente
"costituisce avviso di inizio di
procedimento, ai sensi e per gli effetti
della legge 07.08.1990 n. 241". (Consiglio
Stato, sez. VI, 27.08.2010, n. 5980).
Già in passato, peraltro, era stato posto in
luce che:
- ”alla luce della l. 07.08.1990
n. 241 l'applicazione del potere di
annullamento del nulla osta paesaggistico,
rilasciato, nell'ambito del procedimento di
sanatoria edilizia, dall'autorità regionale
(o subregionale) non postula la previa
comunicazione dell'avvio del procedimento,
ai sensi dell'art. 7 l. n. 241 cit. ai
destinatari del provvedimento ministeriale,
in quanto soggetti cui è imputabile
l'iniziativa del procedimento." (Consiglio
Stato, sez. VI, 01.12.1999, n.
2069);
-
”può essere considerato equipollente alla
comunicazione dell'avvio del procedimento,
prevista dall'art. 7, l. 07.08.1990 n. 241,
l'invio all'interessato della nota di
trasmissione alla Soprintendenza del parere
del Comune, rilasciato ex art. 32, l. 28.02.1985 n. 47, favorevole alla
sanatoria di opere abusive realizzate in
zona sottoposta a vincolo paesaggistico,
contenente l'avvertimento della possibilità
di partecipare al relativo procedimento.” (TAR
Lazio Latina, sez. I, 09.06.2008, n.
703)
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 23.07.2012 n. 4204 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA: La
perdita di efficacia di un piano di zona per
l’edilizia economica e popolare, quale piano
urbanistico attuativo, comporta che lo
stesso non può più essere portato ad
esecuzione per la parte in cui è rimasto
inattuato, non potendosi pertanto più
eseguirsi gli espropri, preordinati alla
realizzazione delle opere pubbliche e delle
opere di urbanizzazione primaria, né
potendosi procedere all’edificazione
residenziale, fermo restando invece che
devono continuare ad osservarsi le
prescrizioni previste dallo stesso,
destinate ad essere applicate a tempo
indeterminato anche in presenza di un piano
urbanistico generale.
Le conseguenze della scadenza dell’efficacia
del piano di zona si esauriscono pertanto
nell’ambito della sola disciplina
urbanistica, non potendo invece incidere
sulla validità ed efficacia delle
obbligazioni assunte dai soggetti attuatori
degli interventi di edilizia economica e
popolare, che solo mediatamente trovano
fonte nel piano urbanistico attuativo (nel
caso di specie, piano di zona), radicandosi
piuttosto nelle convenzioni urbanistiche,
disciplinate dall’art. 11 della legge n. 167
del 1962, come modificato dalla legge n. 865
del 1971, ovvero negli atti d’obbligo
accessivi al provvedimento di assegnazione,
come nel caso di specie, del tutto
svincolati dalla efficacia del piano stesso.
---------------
Rientra nella giurisdizione esclusiva del
giudice amministrativo la controversia
concernente l’osservanza degli obblighi
assunti dal privato nei confronti dell’ente
locale, in connessione con l’assegnazione di
aree comprese in un piano di zona, volti
alla realizzazione di opere di
urbanizzazione ed alla cessione gratuita
all’ente delle aree stradali e dei servizi,
In tale ambito è esperibile dinanzi a detto
giudice l’azione di cui all’art. 2932 c.c..
---------------
Il rimedio previsto dall’art. 2932 c.c. a
fine di ottenere l’esecuzione specifica
dell’obbligo di concludere un contratto,
deve ritenersi applicabile non solo nelle
ipotesi di contratto preliminare non seguito
da quello definitivo, ma anche in qualsiasi
altra ipotesi dalla quale sorga
l’obbligazione di prestare il consenso per
il trasferimento o la costituzione di un
diritto, sia in relazione ad un negozio
unilaterale, sia in relazione ad un atto o
ad un fatto dai quali detto obbligo possa
sorgere ex lege (Cass. n. 6792 del
08/08/1987; v. Cass. n. 7157 del 15/04/2004;
v. Cass. n. 13403 del 23/05/2008 in tema di
rifiuto di prestare il consenso di una
cooperativa edilizia all’atto traslativo
dell’immobile al socio assegnatario; Cass.
n. 8568 del 05/05/2004 in tema di
stipulazione di contratto di lavoro).
Con il terzo motivo di gravame, rubricato “III)
Violazione di legge. Violazione
dell’articolo 9 e 18 della legge 18.04.1962,
n. 167 in combinato disposto con l’articolo
17, comma 1, legge 17.08.1942, n. 1150.
Decadenza della validità ed efficacia del
piano di zona”, le appellanti hanno
infine sostenuto che, essendo scaduto in
data 17.08.1984, il termine di validità del
primo PEEP del Comune di Roma, in cui è
compreso il Piano di zona n. 40 di Vigna
Murata, era venuta meno anche la possibilità
per il Comune di Roma di acquisire le aree
oggetto dell’atto d’obbligo, con conseguente
inutilità della stessa ricostruzione di
quest’ultimo come atto endoprocedimentale.
La censura è priva di pregio.
Come ha affermato la giurisprudenza, la
perdita di efficacia di un piano di zona per
l’edilizia economica e popolare, quale piano
urbanistico attuativo, comporta che lo
stesso non può più essere portato ad
esecuzione per la parte in cui è rimasto
inattuato, non potendosi pertanto più
eseguirsi gli espropri, preordinati alla
realizzazione delle opere pubbliche e delle
opere di urbanizzazione primaria, né
potendosi procedere all’edificazione
residenziale, fermo restando invece che
devono continuare ad osservarsi le
prescrizioni previste dallo stesso,
destinate ad essere applicate a tempo
indeterminato anche in presenza di un piano
urbanistico generale (C.d.S., sez. IV,
27.10.2009, n. 6572; 12.12.2008, n. 6182;
sez. V, 20.03.2008, n. 1216).
Le conseguenze della scadenza dell’efficacia
del piano di zona si esauriscono pertanto
nell’ambito della sola disciplina
urbanistica, non potendo invece incidere
sulla validità ed efficacia delle
obbligazioni assunte dai soggetti attuatori
degli interventi di edilizia economica e
popolare, che solo mediatamente trovano
fonte nel piano urbanistico attuativo (nel
caso di specie, piano di zona), radicandosi
piuttosto nelle convenzioni urbanistiche,
disciplinate dall’art. 11 della legge n. 167
del 1962, come modificato dalla legge n. 865
del 1971, ovvero negli atti d’obbligo
accessivi al provvedimento di assegnazione,
come nel caso di specie, del tutto
svincolati dalla efficacia del piano stesso.
L’appello deve pertanto essere respinto; le
spese seguono la soccombenza e sono
liquidate come in dispositivo.
In conclusione, in base alle esposte
considerazioni, l’Adunanza plenaria afferma
il seguente principio di diritto: “Rientra
nella giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo la controversia concernente
l’osservanza degli obblighi assunti dal
privato nei confronti dell’ente locale, in
connessione con l’assegnazione di aree
comprese in un piano di zona, volti alla
realizzazione di opere di urbanizzazione ed
alla cessione gratuita all’ente delle aree
stradali e dei servizi, In tale ambito è
esperibile dinanzi a detto giudice l’azione
di cui all’art. 2932 c.c.”.
---------------
La giurisprudenza ha anche recentemente di
ribadito (Cass. civ., sez. II, 30.03.2012,
n. 5160) che “il rimedio previsto
dall’art. 2932 c.c. a fine di ottenere
l’esecuzione specifica dell’obbligo di
concludere un contratto, deve ritenersi
applicabile non solo nelle ipotesi di
contratto preliminare non seguito da quello
definitivo, ma anche in qualsiasi altra
ipotesi dalla quale sorga l’obbligazione di
prestare il consenso per il trasferimento o
la costituzione di un diritto, sia in
relazione ad un negozio unilaterale, sia in
relazione ad un atto o ad un fatto dai quali
detto obbligo possa sorgere ex lege (Cass.
n. 6792 del 08/08/1987; v. Cass. n. 7157 del
15/04/2004; v. Cass. n. 13403 del 23/05/2008
in tema di rifiuto di prestare il consenso
di una cooperativa edilizia all’atto
traslativo dell’immobile al socio
assegnatario; Cass. n. 8568 del 05/05/2004
in tema di stipulazione di contratto di
lavoro)”.
Non vi è pertanto motivo per ritenere che
non possa essere oggetto dell’azione ex art.
2932 c.c. il mancato adempimento da parte
del Consorzio dell’obbligo, assunto con i
ricordati atti d’obbligo del 14.09.1972 e
del 18.12.1981 di cessione delle aree ivi
indicate, tale adempimento non essendo
peraltro minimamente condizionato ad
eventuali contrapposti adempimenti da parte
del Comune ricorrente.
Né può addursi, a fondamento della pretesa
inammissibilità dell’azione in questione, la
sua asserita natura speciale ed eccezionale,
in quanto mista, cognitiva ed esecutiva
insieme, derogatoria pertanto della normale
separazione tra azione cognitoria e azione
esecutiva, Invero tale natura non la rende
incompatibile (né è stata fornita alcuna
significativa argomentazione al riguardo)
con la struttura del processo amministrativo
come delineato dal relativo codice, tanto
più che, da un lato, non solo è
espressamente prevista un’azione (di
ottemperanza), anch’essa caratterizzata
dalla coesistenza in capo al giudice di
poteri di cognizione ed esecuzione insieme
e, d’altro lato, non può neppure sostenersi
la tesi di una eventuale “tipicità”
delle azioni proponibili nel processo
amministrativo, tipicità che sarebbe in
stridente ed inammissibile contrasto, oltre
che con i fondamentali principi di pienezza
ed effettività della tutela, ex art. 1
c.p.a., con la stessa previsione dell’art.
24 della Costituzione.
Ma a prescindere da tali considerazioni di
carattere generale, sta comunque il fatto
che nella specie, per quanto innanzi
esposto, si verte in una ipotesi di
giurisdizione esclusiva la quale, là dove
vengano in discussione questioni su diritti,
come è per l’appunto nel caso in esame, non
può che garantire agli interessati la
medesima tutela e, dunque, le medesime
specie di azioni riconosciute dinanzi al
giudice ordinario.
Né può condividersi la tesi secondo cui
l’effetto dell’acquisizione delle aree in
questione avrebbe potuto essere conseguito
dall’amministrazione pubblica utilizzando i
propri poteri autoritativi, quale
l’acquisizione d’ufficio: a tacer d’altro, è
sufficiente al riguardo rilevare che
l’eventuale possibilità di esperire poteri
amministrativi non rende di per sé
inammissibile la proposizione di una domanda
giudiziale
(Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria,
sentenza 20.07.2012 n. 28 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Gare: anche il vicepresidente
deve presentare la dichiarazione ex art. 38,
del d.lgs. n. 163/2006.
Occorre ricordare, come peraltro già
sostenuto da questa Sezione, che, anche
nell’ipotesi in cui dallo Statuto societario
e dalla visura camerale emergesse che i
poteri di rappresentanza siano attribuiti al
solo Presidente del Consiglio di
amministrazione, il vicepresidente sarebbe
comunque tenuto alla dichiarazione ex art.
38, del d.lgs. n. 163/2006, essendo insita
nella stessa natura vicaria della
vice-presidenza la possibilità di esercizio
dei poteri di rappresentanza della società
in caso di temporanea assenza o impedimento
del titolare, dovendo considerarsi che
l'onere di produrre la dichiarazione di che
trattasi è correlato all'astratta
attribuzione della carica e non
all'effettivo svolgimento della funzione in
concreto (cfr. TAR Sardegna, Sez. I,
20.03.2012, n. 295; TAR Palermo Sicilia,
sez. III, 19.01.2012, n. 136).
Giova, inoltre, sottolineare che, in tal
senso, si è espresso anche il Supremo
Consesso giurisdizionale amministrativo (si
veda Cons. Stato, Sezione III, 31.08.2011 n.
4892), sulla base della considerazione per
cui la persona fisica che ricopre la carica
in questione è in grado di impegnare la
Società verso terzi e non assume rilievo che
tali poteri possano essere esercitati
soltanto in funzione vicaria.
Ciò che rileva, infatti, non è tanto la
circostanza che il potere di rappresentanza
possa essere esercitato esclusivamente in
via vicaria, bensì la astratta titolarità
del potere, non dunque il suo concreto
esercizio (cfr. TAR Veneto, Venezia, Sez. I,
26.01.2012, n. 73) (TAR Sardegna, Sez. I,
sentenza
19.07.2012 n. 729 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il locale fungente da mero
disimpegno può computarsi quale “volume
tecnico”.
Il Collegio rammenta che secondo consolidato
orientamento giurisprudenziale per “volume
tecnico” deve intendersi quello
destinato ad ospitare esclusivamente gli
impianti tecnologici a servizio di una
abitazione, e che deve pertanto computarsi
quale volume utile il locale fungente da
mero disimpegno o da “sgabuzzino”
(TAR Piemonte, Sez. I,
sentenza 13.07.2012 n. 883 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
A nulla vale apporre timbri se la
busta è confezionata in modo tale da poter
essere aperta senza che ve ne sia traccia.
Il bando di gara richiedeva ai concorrenti di presentare le offerte
“in
plico chiuso sigillato”, precisando che “...
con tale espressione (si intende) la
necessità che sia apposto un timbro,
impronta o firma sui lembi di chiusura del
plico medesimo tale da confermare
l’autenticità della chiusura originaria
proveniente dal mittente ed escludere così
qualsiasi possibilità di manomissione del
contenuto”.
Risulta agli atti che il plico usato dalla
ricorrente, un’ordinaria busta bianca a
sacchetto, era predisposto per l’ispezione
postale, con la possibilità di essere aperto
e chiuso senza danneggiamento o alterazione.
Ne consegue, come evidenziato in sentenza,
che i timbri e le firme pure apposte sui
lembi di chiusura non costituivano garanzia
sufficiente ad assicurare l’autenticità del
contenuto e ad escludere l’eventuale
manomissione, proprio perché la busta usata
era confezionata in modo tale da poter
essere aperta senza danneggiamento che ne
lasciasse traccia.
Correttamente, quindi, il TAR ha ritenuto
legittimo il provvedimento di esclusione
adottato dall’amministrazione.
Non ha fondamento, pertanto, quanto
asserisce la società ricorrente di aver
adottato ogni necessaria misura al fine di
garantire l’inviolabilità del plico, né
hanno pregio le osservazioni circa il
mancato uso della ceralacca, atteso che mai
l’amministrazione ha contestato che non
fosse stata usata tale modalità di chiusura
del plico, avendo solo rilevato che mancava
la “sigillatura”.
Il termine “sigillatura” sta ad indicare,
secondo la comune nozione, una modalità di
chiusura che garantisca l’integrità del
contenuto e quindi, è indicativa di tutte le
precauzioni che garantiscono la non
manomissione della busta e che rendono
evidente ogni tentativo di apertura.
In perfetta armonia con il significato
etimologico del termine sigillare, l’offerta
della Edilgosma, contenuta in plico solo
apparentemente chiuso, non poteva non essere
esclusa perché in contrasto con tutte le
modalità in materia di offerte segrete, già
fissate dall’art. 75 del R.D. n. 827 del
1927 e dal bando di gara.
Le circostanze di fatto rappresentate,
tolgono pregio ad ogni altra considerazione,
a nulla rilevando, in tale contesto, che un
funzionario comunale abbia attestato di aver
preso in consegna la busta al momento del
ricevimento e di averla custodita in luogo
sicuro, essendosi concretizzata la
violazione della lex di gara, che è
inequivoca nel porre a carico del
partecipante l’onere della sigillatura.
Quanto al riferimento al principio del favor partecipationis,
esso si applica in presenza di regole dubbie
mentre nel caso il bando di gara contiene
precise indicazioni sulle modalità di
chiusura dei plichi.
L’appello va, quindi, respinto (Consiglio di
Stato, Sez. V,
sentenza 10.07.2012 n. 4076 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Sulla presentazione dell’offerta
la cui spedizione a mezzo posta sia stata
effettuata nel termine, ma risultante
protocollata oltre il termine previsto dal
bando.
Va ribadito, conformemente a consolidata
giurisprudenza, che il registro di
protocollo è atto accompagnato da fede
privilegiata e che pertanto la data nonché
la numerazione progressiva che viene
attribuita all’atto in esso annotato sono
oggetto di una specifica attività
certificativa propria del pubblico ufficiale
e integrano la connotazione pubblicistica
anche di questa scrittura (Cass., sez. V,
09.04.2008, n. 240446; 23.01.2004, n.
228752). Costituendo il registro di
protocollo prova privilegiata, esso fa fede
fino a querela di falso, per la posizione e
la responsabilità di cui sono investiti gli
addetti alla relativa tenuta (Cons. Stato,
sez. VI, 05.10.2010, n. 7309).
Né rileva in alcun modo la settorialità del
registro di protocollo poiché, anche se
destinato ad un ambito più ristretto del
registro generale del Comune, l’annotazione
svolge la medesima funzione attestativa che
assume interesse pubblico (Cass. penale,
sez. V, 22.09.2010, n. 39623).
Ne consegue che non è contestabile la data
di ricezione di un atto da parte di
un’amministrazione, ove questa risulti dal
protocollo, se nei confronti
dell’amministrazione non venga proposta
querela di falso (Consiglio di Stato, Sez.
V,
sentenza 10.07.2012 n. 4066 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Abusi edilizi: il giusto
equilibrio tra efficienza e legalità.
In materia di abusivismo edilizio,
il
punto di equilibrio fra efficienza e
legalità è stato individuato dal legislatore
nel consentire la sanatoria dei c.d. abusi
formali, sottraendo alla demolizione le
opere che risultino rispettose della
disciplina sostanziale sull'utilizzo del
territorio, e non solo di quella vigente al
momento dell'istanza di sanatoria, ma anche
di quella vigente all'epoca della loro
realizzazione (e ciò costituisce
applicazione del principio di legalità), e
quindi evitando un sacrificio degli
interessi dei privati che abbiano violato
soltanto le norme che disciplinano il
procedimento da osservare nell'attività
edificatoria, e ciò in applicazione dei
principi di efficienza e buon andamento, che
sarebbero violati ove agli aspetti solo
formali si desse un peso preponderante
rispetto a quelli del rispetto sostanziale
delle norme generali e locali in materia di
uso del territorio.
Esaminando i
motivi di appello, infatti, quanto al primo
motivo si deve considerare che il richiamo
operato dall’Amministrazione sia alla
variante n. 60-93 sia alla variante n. 5-95
per verificare la sanabilità delle opere
eseguite sia conforme alla previsione di cui
all’art. 13 della legge n. 47/1985, il quale
dispone che le opere eseguite in assenza di
concessione possono essere sanate quando
siano conformi agli strumenti urbanistici
generali e di attuazione approvati (nel caso
di specie, la variante n. 811-90 e non in
contrasto con quelli adottati sia al momento
della realizzazione dell’opera (variante n.
60-93, risalendo la realizzazione dell’opera
al novembre 1994), sia al momento della
presentazione della domanda (variante n.
5-95 in relazione alla domanda di sanatoria
del 24.01.1995.
Si tratta del noto criterio della cd. “doppia
conformità”, ormai pienamente recepito
dalla giurisprudenza nell’interpretare il
chiaro disposto dell’art. 13 richiamato.
Peraltro, occorre ricordare che
l’ordinamento conosce anche il diverso
istituto della cd. sanatoria
giurisprudenziale, di matrice appunto
pretoria, che, nel tentativo di mitigare la
rigorosa applicazione del dettato del cit.
art. 13, ha ritenuto sanabili anche gli
interventi edilizi abusivi conformi solo
alla normativa urbanistica sopravvenuta.
Di detta giurisprudenza, ancorché
minoritaria, la cui ratio ad essa
sottesa è da individuarsi nell'esigenza di
non imporre la demolizione di un'opera che,
in quanto conforme alla disciplina
urbanistica in atto, dovrebbe essere
successivamente autorizzata su semplice
presentazione di istanza di rilascio in tal
modo evitando uno spreco di attività
inutili, sia per l'Amministrazione, che per
il privato autore dell'abuso non solo no si
condivide l’assunto di tipo concettuale
sulla qual essa si basa, ma si rileva che
essa non è neppure applicabile nel caso di
specie.
Sotto il primo profilo, si deve evidenziare,
infatti, che tale regola giurisprudenziale
ha l'effetto di accogliere una concezione
antinomica tra principio di efficienza e
principio di legalità, dando prevalenza al
primo rispetto al secondo.
Tuttavia, secondo il Collegio, l'agire della
pubblica amministrazione deve essere in ogni
sua fase retto dal principio di legalità,
inteso quale regola fondamentale cui è
informata l'attività amministrativa e che
trova un fondamento positivo in varie
disposizioni costituzionali (artt. 23, 97,
24, 101 e 113 Cost.).
Pertanto, non è ipotizzabile un’antinomia
tra efficienza e legalità atteso che non può
esservi rispetto del buon andamento della
pubblica amministrazione, ex art. 97 Cost.,
se non vi è nel contempo rispetto del
principio di legalità.
Nella materia oggetto del contendere, il
punto di equilibrio fra efficienza e
legalità è stato individuato dal legislatore
nel consentire la sanatoria dei c.d. abusi
formali, sottraendo alla demolizione le
opere che risultino rispettose della
disciplina sostanziale sull'utilizzo del
territorio, e non solo di quella vigente al
momento dell'istanza di sanatoria, ma anche
di quella vigente all'epoca della loro
realizzazione (e ciò costituisce
applicazione del principio di legalità), e
quindi evitando un sacrificio degli
interessi dei privati che abbiano violato
soltanto le norme che disciplinano il
procedimento da osservare nell'attività
edificatoria, e ciò in applicazione dei
principi di efficienza e buon andamento, che
sarebbero violati ove agli aspetti solo
formali si desse un peso preponderante
rispetto a quelli del rispetto sostanziale
delle norme generali e locali in materia di
uso del territorio (Consiglio
di Stato, Sez. V,
sentenza 06.07.2012 n. 3961 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Il parere emesso dalla conferenza
di servizi, quale atto interno al
procedimento, non è idoneo ad incidere in
via immediata sull'interesse del soggetto a
carico del quale vengono individuati
obblighi inerenti alla bonifica di siti
contaminati, la cui concreta lesione
scaturisce solo dal provvedimento
conclusivo.
L'esito della conferenza dei servizi, anche
decisoria, costituisce, infatti, il
necessario atto di impulso di un'autonoma
fase, volta all'emanazione di un nuovo
provvedimento dell'amministrazione che ha
indetto la conferenza dei servizi. Solo
quest'ultimo atto è direttamente ed
immediatamente lesivo ed è contro esso,
pertanto, che deve dirigersi l'impugnazione,
in quanto gli altri atti o hanno carattere
meramente endoprocedimentale ovvero non
risultano impugnabili, se non unitamente al
provvedimento conclusivo, in quanto non
immediatamente lesivi.
Questa Sezione, esprimendo un orientamento
peraltro condiviso dalla prevalente
giurisprudenza, ha più volte avuto modo di
affermare che il parere emesso dalla
conferenza di servizi, quale atto interno al
procedimento, non è idoneo ad incidere in
via immediata sull'interesse del soggetto a
carico del quale vengono individuati
obblighi inerenti alla bonifica di siti
contaminati, la cui concreta lesione
scaturisce solo dal provvedimento conclusivo
(cfr. TAR Toscana, sez. II, 19.05.2005, n.
396; id., 14.03.2007, n. 383; TAR Calabria
Catanzaro, sez. I, 02.10.2007, n. 1426; TAR
Friuli Venezia Giulia, 05.04.2007, n. 291).
L'esito della conferenza dei servizi, anche
decisoria, costituisce, infatti, il
necessario atto di impulso di un'autonoma
fase, volta all'emanazione di un nuovo
provvedimento dell'amministrazione che ha
indetto la conferenza dei servizi. Solo
quest'ultimo atto è direttamente ed
immediatamente lesivo ed è contro esso,
pertanto, che deve dirigersi l'impugnazione,
in quanto gli altri atti o hanno carattere
meramente endoprocedimentale ovvero non
risultano impugnabili, se non unitamente al
provvedimento conclusivo, in quanto non
immediatamente lesivi (Cons. Stato, Sez. IV,
07.05.2004 n. 2874; id., sez. VI,
11.11.2008, n. 5620; TAR Toscana, sez. II,
03.03.2010, n. 586; TAR Lazio, sez. II,
02.04.2008, n. 2815) (TAR Toscana, Sez. II,
sentenza 05.07.2012 n. 1263 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
L’autorizzazione alla
installazione di impianti pubblicitari è
subordinata alla valutazione in ordine alla
sua compatibilità con il diverso interesse
pubblico generale alla ordinata
regolamentazione degli spazi pubblicitari
(che non possono essere indiscriminatamente
lasciati alla libera iniziativa privata), e,
quindi, costituisce oggetto di una specifica
disciplina, non sovrapponibile o
confondibile con quella edilizia.
Il Comune è chiamato ad esercitare, al
riguardo, un potere sicuramente
caratterizzato da profili di
discrezionalità, in quanto titolare sia
delle funzioni relative alla sicurezza della
circolazione (ciò che comporta la titolarità
del potere autorizzatorio dell'installazione
di impianti pubblicitari, nel rispetto delle
prescrizioni del Codice della Strada), sia
di quelle relative all'uso del proprio
territorio, anche sotto l’aspetto dei
monumenti, dell'estetica cittadina e del
paesaggio, ben potendo individuare
limitazioni e divieti per particolari forme
pubblicitarie, in connessione ad esigenze di
pubblico interesse.
Siffatto potere, inerente alla ponderazione
comparativa degli interessi coinvolti,
quali, da un lato, quelli pubblici e,
dall’altro, quello privato, alla libertà di
iniziativa economica -di cui l'attività
pubblicitaria rappresenta estrinsecazione-
si esprime, innanzitutto, nella potestà
pianificatoria e, dunque, nella potestà
regolamentare, attraverso la quale il Comune
disciplina le modalità dello svolgimento
della pubblicità, la tipologia e quantità
degli impianti pubblicitari e le modalità
per ottenere l'autorizzazione
all'installazione di questi, senza violare
l’art. 41 Cost., ma, anzi, ponendosi
nell'ambito semantico della “utilità
sociale” e nel contesto di valori
costituzionali equiordinati, quali quello
alla difesa dell'ambiente e delle valenze
estetiche del patrimonio culturale della
Nazione, riconducibili all’art. 9 della
Costituzione.
Inoltre, nei casi in cui viene richiesta
l’affissione di impianti pubblicitari
direttamente su suolo pubblico,
l’Amministrazione -nella cui disponibilità,
oltretutto, si trova il suolo stesso- è
tenuta ad espletare una valutazione
complessiva, non limitata soltanto alla mera
compatibilità dell’impianto pubblicitario
con l’interesse pubblico (come nell’ipotesi
in cui il suolo si trovi nella disponibilità
dell’interessato), ma estesa anche alla
verifica che, attraverso detto uso privato
della risorsa pubblica, si realizzino quegli
interessi collettivi, di cui
l’Amministrazione stessa è portatrice.
Invero, in questi casi, viene richiesto un
esame più approfondito e attento, che si
articola nell’ambito di un procedimento
destinato a sfociare in un provvedimento non
già meramente autorizzatorio, ma di natura
concessoria, il cui rilascio presuppone la
canalizzazione dell’attività privata
nell’alveo del pubblico interesse, e non
solo la non incompatibilità dell’una
rispetto all’altro.
In altri termini, l’installazione di mezzi
pubblicitari su suolo pubblico postula un
provvedimento di concessione dell’uso del
medesimo, non bastando a tale scopo il solo
provvedimento autorizzatorio, poiché, mentre
il procedimento autorizzatorio si esaurisce
nel sopra menzionato giudizio di "non
incompatibilità" dell’attività privata con
l’interesse pubblico, il procedimento
concessorio involve la valutazione della
conformità di tale attività con il pubblico
interesse.
Ne segue che, quando l’esposizione degli
impianti di pubblicità avviene su suolo
pubblico, l’occupazione del predetto suolo
fa sì che non si possa in alcun modo
prescindere dalla citata valutazione di
conformità, la cui complessità non consente
che si possa formare tacitamente il
provvedimento finale concessorio, in quanto
involve l’esercizio di una potestà
discrezionale, escludente l’applicabilità
del regime del silenzio- assenso.
---------------
Non sussiste un rapporto di tipo derogatorio
fra la normativa edilizia, oggi compendiata
nel D.P.R. 06.06.2001 n. 380 e la normativa
per le pubbliche affissioni di cui al D.Lgs.
15.11.1993, n. 507, giacché trattasi di
discipline differenti, avente differenti
contenuti e finalità, che concorrono nella
valutazione della medesima fattispecie ai
fini della tutela di interessi pubblici
diversi nonché ai fini della definizione di
differenti procedimenti amministrativi.
Ed invero, la normativa edilizia trova
applicazione in tutte le ipotesi in cui si
configura un mutamento del territorio nel
suo contesto preesistente sia sotto il
profilo urbanistico che sotto quello
edilizio ed entro questi limiti pertanto
assume rilevanza la violazione dei
regolamenti edilizi.
Conseguentemente, nelle ipotesi in cui la
sistemazione di una insegna o di una tabella
(cosiddetta tabellone) pubblicitaria o di
ogni altro genere, per le sue consistenti
dimensioni, comporti un rilevante mutamento
territoriale, è richiesto l’assenso mediante
“permesso di costruire” e mediante semplice
s.c.i.a. negli altri casi, in coerenza con
le previsioni della normativa edilizia di
cui agli artt. 2, 6 e 7 del D.P.R. n. 380
del 2001 e succ. mod..
La collocazione di impianti pubblicitari su
suolo pubblico implica necessariamente un
formale provvedimento di concessione del
bene pubblico, non essendo configurabile la
formazione di un titolo abilitativo tacito
attraverso il silenzio-assenso sulla domanda
di installazione.
Né, infine, il regolare pagamento
dell’imposta di pubblicità può valere ad
integrare un’autorizzazione inesistente,
dovendosi affermare l’irrilevanza ai fini di
che trattasi della circostanza per cui la
ricorrente ha con regolarità corrisposto la
relativa imposta comunale sulla pubblicità
ed il canone per la occupazione di spazi ed
aree pubbliche, non essendo siffatti
elementi idonei e sufficienti a fondare una
presunzione di non abusività dell’impianto
di cui è questione.
Il Collegio ha già affermato con precedenti
pronunce che l’autorizzazione alla
installazione di impianti pubblicitari è
subordinata alla valutazione in ordine alla
sua compatibilità con il diverso interesse
pubblico generale alla ordinata
regolamentazione degli spazi pubblicitari
(che non possono essere indiscriminatamente
lasciati alla libera iniziativa privata), e,
quindi, costituisce oggetto di una specifica
disciplina, non sovrapponibile o
confondibile con quella edilizia (TAR
Calabria, Catanzaro, I sezione 14.02.2012,
n. 183; 31.12.2011 n. 1675).
Il Comune è chiamato ad esercitare, al
riguardo, un potere sicuramente
caratterizzato da profili di
discrezionalità, in quanto titolare sia
delle funzioni relative alla sicurezza della
circolazione (ciò che comporta la titolarità
del potere autorizzatorio dell'installazione
di impianti pubblicitari, nel rispetto delle
prescrizioni del Codice della Strada), sia
di quelle relative all'uso del proprio
territorio, anche sotto l’aspetto dei
monumenti, dell'estetica cittadina e del
paesaggio, ben potendo individuare
limitazioni e divieti per particolari forme
pubblicitarie, in connessione ad esigenze di
pubblico interesse (ex plurimis: TAR
Lombardia-Brescia, Sez. I 28.02.2008 n.
174).
Siffatto potere, inerente alla ponderazione
comparativa degli interessi coinvolti,
quali, da un lato, quelli pubblici e,
dall’altro, quello privato, alla libertà di
iniziativa economica -di cui l'attività
pubblicitaria rappresenta estrinsecazione-
si esprime, innanzitutto, nella potestà
pianificatoria e, dunque, nella potestà
regolamentare, attraverso la quale il Comune
disciplina le modalità dello svolgimento
della pubblicità, la tipologia e quantità
degli impianti pubblicitari e le modalità
per ottenere l'autorizzazione
all'installazione di questi, senza violare
l’art. 41 Cost., ma, anzi, ponendosi
nell'ambito semantico della “utilità
sociale” e nel contesto di valori
costituzionali equiordinati, quali quello
alla difesa dell'ambiente e delle valenze
estetiche del patrimonio culturale della
Nazione, riconducibili all’art. 9 della
Costituzione (conf.: Corte Cost. sent.
17.07.2002 n. 355).
Inoltre, nei casi in cui viene richiesta
l’affissione di impianti pubblicitari
direttamente su suolo pubblico,
l’Amministrazione -nella cui disponibilità,
oltretutto, si trova il suolo stesso- è
tenuta ad espletare una valutazione
complessiva, non limitata soltanto alla mera
compatibilità dell’impianto pubblicitario
con l’interesse pubblico (come nell’ipotesi
in cui il suolo si trovi nella disponibilità
dell’interessato), ma estesa anche alla
verifica che, attraverso detto uso privato
della risorsa pubblica, si realizzino quegli
interessi collettivi, di cui
l’Amministrazione stessa è portatrice.
Invero, in questi casi, viene richiesto un
esame più approfondito e attento, che si
articola nell’ambito di un procedimento
destinato a sfociare in un provvedimento non
già meramente autorizzatorio, ma di natura
concessoria, il cui rilascio presuppone la
canalizzazione dell’attività privata
nell’alveo del pubblico interesse, e non
solo la non incompatibilità dell’una
rispetto all’altro.
In altri termini, l’installazione di mezzi
pubblicitari su suolo pubblico postula un
provvedimento di concessione dell’uso del
medesimo, non bastando a tale scopo il solo
provvedimento autorizzatorio, poiché, mentre
il procedimento autorizzatorio si esaurisce
nel sopra menzionato giudizio di "non
incompatibilità" dell’attività privata
con l’interesse pubblico, il procedimento
concessorio involve la valutazione della
conformità di tale attività con il pubblico
interesse.
Ne segue che, quando l’esposizione degli
impianti di pubblicità avviene su suolo
pubblico, l’occupazione del predetto suolo
fa sì che non si possa in alcun modo
prescindere dalla citata valutazione di
conformità, la cui complessità non consente
che si possa formare tacitamente il
provvedimento finale concessorio (TAR
Lombardia, Milano, Sez. IV, 26.07.2005, n.
3421), in quanto involve l’esercizio di una
potestà discrezionale, escludente
l’applicabilità del regime del silenzio-
assenso (conf.: Corte Cost. 27.07.1995 n.
408).
Sotto altro profilo, deve poi rilevarsi che
non sussiste un rapporto di tipo derogatorio
fra la normativa edilizia, oggi compendiata
nel D.P.R. 06.06.2001 n. 380 e la normativa
per le pubbliche affissioni di cui al D.Lgs.
15.11.1993, n. 507, giacché trattasi di
discipline differenti, avente differenti
contenuti e finalità, che concorrono nella
valutazione della medesima fattispecie ai
fini della tutela di interessi pubblici
diversi nonché ai fini della definizione di
differenti procedimenti amministrativi.
Ed invero, la normativa edilizia trova
applicazione in tutte le ipotesi in cui si
configura un mutamento del territorio nel
suo contesto preesistente sia sotto il
profilo urbanistico che sotto quello
edilizio ed entro questi limiti pertanto
assume rilevanza la violazione dei
regolamenti edilizi.
Conseguentemente, nelle ipotesi in cui la
sistemazione di una insegna o di una tabella
(cosiddetta tabellone) pubblicitaria o di
ogni altro genere, per le sue consistenti
dimensioni, comporti un rilevante mutamento
territoriale, è richiesto l’assenso mediante
“permesso di costruire” e mediante
semplice s.c.i.a. negli altri casi, in
coerenza con le previsioni della normativa
edilizia di cui agli artt. 2, 6 e 7 del
D.P.R. n. 380 del 2001 e succ. mod..
Per quanto concerne la formazione del
silenzio-assenso invocato dalla ricorrente
osserva il Collegio che la collocazione di
impianti pubblicitari su suolo pubblico
implica necessariamente un formale
provvedimento di concessione del bene
pubblico, non essendo configurabile la
formazione di un titolo abilitativo tacito
attraverso il silenzio-assenso sulla domanda
di installazione (cfr. TAR Milano Lombardia
sez. IV, 23.01.2009 n. 208).
Né, infine, il regolare pagamento
dell’imposta di pubblicità può valere ad
integrare un’autorizzazione inesistente,
dovendosi affermare l’irrilevanza ai fini di
che trattasi della circostanza per cui la
ricorrente ha con regolarità corrisposto la
relativa imposta comunale sulla pubblicità
ed il canone per la occupazione di spazi ed
aree pubbliche, non essendo siffatti
elementi idonei e sufficienti a fondare una
presunzione di non abusività dell’impianto
di cui è questione (TAR Calabria-Catanzaro,
Sez. I,
sentenza 05.07.2012 n. 716 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Gare: sul risarcimento da mancato
affidamento non si deve provare la colpa
dell'Amministrazione.
Non è necessario provare la colpa
dell'amministrazione aggiudicatrice, in
materia di risarcimento da (mancato)
affidamento di gare pubbliche di appalto. In
materia di risarcimento da (mancato)
affidamento di gare pubbliche di appalto non
è necessario provare la colpa
dell'Amministrazione aggiudicatrice poiché
il rimedio risarcitorio risponde al
principio di effettività della tutela
previsto dalla normativa comunitaria
soltanto a condizione che la possibilità di
riconoscere detto risarcimento non sia
subordinata alla constatazione
dell'esistenza di un comportamento
colpevole, in relazione ai principi di cui
alla giurisprudenza comunitaria (Corte CE,
Sez. III, 30.09.2010, C-314/2009), secondo
cui in tema di appalti pubblici la direttiva
Cons. C.E.E. 21.12.1989 n. 665, modificata
dalla direttiva Cons. C.E.E. 18.06.1992 n.
50, osta a una normativa nazionale che
subordini il diritto a ottenere un
risarcimento a motivo di una violazione
della disciplina di settore da parte di
un'Amministrazione aggiudicatrice al
carattere colpevole di tale violazione,
anche nel caso in cui l'applicazione della
normativa in questione sia incentrata s u
una presunzione di colpevolezza in capo alla
P.A. stessa e sull'impossibilità per
quest'ultima di far valere la mancanza di
proprie capacità individuali, e dunque, un
difetto di imputabilità soggettiva della
violazione lamentata.
Il concorrente a una gara d'appalto che non
ha conseguito l'aggiudicazione per fatto
dell'Amministrazione non ha diritto al
risarcimento delle spese sostenute per la
presentazione della domanda di
partecipazione alla gara, atteso che queste
restano a carico delle imprese sia in caso
di aggiudicazione che di mancata
aggiudicazione. Ciò perché tali costi di,
rilevano come "danno emergente" solo
nell'ipotesi di illegittima esclusione,
collegandosi alla pretesa del contraente a
non essere coinvolto in trattative inutili
ma nell'ipotesi in cui l'impresa benefici
del risarcimento del danno per mancata
aggiudicazione (o per la perdita della
possibilità di aggiudicazione) non vi sono i
presupposti per il risarcimento per
equivalente dei costi di partecipazione alla
gara, dal momento che mediante il
risarcimento non può farsi conseguire
all'impresa un beneficio maggiore di quello
che deriverebbe dall'aggiudicazione medesima
(commento tratto da
www.documentazione.ancitel.it - TAR
Lazio-Roma, Sez. III,
sentenza
27.06.2012 n.
5920 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
In materia di abbandono o
deposito incontrollato di rifiuti non
sussiste un indiscriminato obbligo di
rimozione in capo al proprietario del fondo,
necessitando l’accertamento dell’esistenza
dell’elemento soggettivo del dolo o della
colpa; l’ordinanza sindacale emanata
dall’amministrazione locale ex art. 192
d.lgs. n. 152 del 2006 è pertanto
illegittima se adottata senza il dovuto e
preventivo accertamento della responsabilità
e/o della corresponsabilità del proprietario
del terreno, nei confronti del quale non è
ipotizzabile una responsabilità oggettiva
per violazione di un obbligo generico di
vigilanza.
L’ordinanza di rimozione di rifiuti
abbandonati ex art. 192 d. lg. n. 152 del
2006 deve essere preceduta dalla
comunicazione, prevista dall’art. 7, l. n.
241 del 1990, di avvio del procedimento ai
soggetti interessati, stante la rilevanza
dell’eventuale apporto procedimentale che
tali soggetti possono fornire, quanto meno
in riferimento all’accertamento delle
effettive responsabilità per l’abusivo
deposito dei rifiuti.
Carattere decisivo, con assorbimento di ogni
altra censura, rivestono le doglianze con
cui è stata denunziata la violazione
dell’art. 192 del d. l.vo 152/2006 e
dell’art. 7 l. 241/1990, giusta il
precedente costituito dalla sentenza di
questo Tribunale –Seconda Sezione– n.
13801/2010, le cui massime recitano quanto
segue: “In materia di abbandono o
deposito incontrollato di rifiuti non
sussiste un indiscriminato obbligo di
rimozione in capo al proprietario del fondo,
necessitando l’accertamento dell’esistenza
dell’elemento soggettivo del dolo o della
colpa; l’ordinanza sindacale emanata
dall’amministrazione locale ex art. 192 d.
lg. n. 152 del 2006 è pertanto illegittima
se adottata senza il dovuto e preventivo
accertamento della responsabilità e/o della
corresponsabilità del proprietario del
terreno, nei confronti del quale non è
ipotizzabile una responsabilità oggettiva
per violazione di un obbligo generico di
vigilanza”;
“L’ordinanza di rimozione di rifiuti
abbandonati ex art. 192 d. lg. n. 152 del
2006 deve essere preceduta dalla
comunicazione, prevista dall’art. 7, l. n.
241 del 1990, di avvio del procedimento ai
soggetti interessati, stante la rilevanza
dell’eventuale apporto procedimentale che
tali soggetti possono fornire, quanto meno
in riferimento all’accertamento delle
effettive responsabilità per l’abusivo
deposito dei rifiuti”.
Nella specie, non è stata inviata, alle
ricorrenti, la comunicazione d’avvio del
procedimento, necessaria perché le stesse
potessero far presente la effettiva
situazione dell’area de qua e contribuire
all’accertamento delle effettive
responsabilità nell’abbandono dei rifiuti,
che invece sono state loro apoditticamente e
disinvoltamente attribuite dal Comune, mercé
la seguente pseudomotivazione: “Visto che
non è stato possibile accertare il
responsabile della violazione e che la
stessa è imputabile a titolo di dolo o colpa
ai seguenti comproprietari dell’area in
questione, in quanto permettevano che la
detta area diventasse luogo di deposito
incontrollato dei rifiuti” (seguiva
l’elenco dei proprietari del terreno in
oggetto, tra cui le ricorrenti).
In pratica, il Comune s’è determinato ad
adottare il provvedimento gravato, nei
confronti, tra gli altri, delle ricorrenti,
sulla base di una vera e propria, non
consentita, forma di responsabilità
oggettiva a carico dei comproprietari
dell’area, prescindendo da una seria
istruttoria sulle effettive condotte
causative della discarica abusiva, nonché
inibendo la partecipazione delle ricorrenti
al procedimento, omettendo l’invio alle
medesime dell’avviso di inizio del
procedimento (TAR Campania-Salerno, Sez. I,
sentenza 20.06.2012 n. 1254 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
LAVORI PUBBLICI:
L’approvazione
del progetto di un'opera pubblica, quando
comporti la dichiarazione della p.u.,
indifferibilità ed urgenza della stessa, è
atto che deve essere notificato al privato,
proprietario del terreno, in quanto
impositivo di vincolo specifico preordinato
all’espropriazione e produttivo di effetti
giuridici lesivi immediati e diretti nei
confronti del destinatario individuato, così
che il decorso del termine per
l’impugnazione non può essere collegato alla
semplice pubblicazione, ma trova il suo
parametro temporale di riferimento nella
data della sua notificazione o della sua
piena conoscenza.
Altra questione è quella relativa alla
legale conoscenza dell’imposizione del
vincolo, la cui individuabilità con ogni
evidenza reagisce sulla tempistica di
reazione processuale consentita alla parte a
tutela dell’interesse oppositivo del quale
assuma la titolarità.
In tal senso, un copioso insegnamento
giurisprudenziale (ex multis: Cons.
Stato, sez. IV, 22.02.2000 n. 939; nonché
TAR Piemonte, sez. I, 21.05.2010 n. 2438,
TAR Sicilia, Catania, sez. II, 04.06.2008 n.
1071, TAR Sardegna, sez. II, 19.10.2006 n.
2248, TAR Campania, Napoli, sez. IV,
24.10.2002 n. 6609) ha rilevato come
l’approvazione del progetto di un'opera
pubblica, quando comporti la dichiarazione
della p.u., indifferibilità ed urgenza della
stessa, è atto che deve essere notificato al
privato, proprietario del terreno, in quanto
impositivo di vincolo specifico preordinato
all’espropriazione e produttivo di effetti
giuridici lesivi immediati e diretti nei
confronti del destinatario individuato, così
che il decorso del termine per
l’impugnazione non può essere collegato alla
semplice pubblicazione, ma trova il suo
parametro temporale di riferimento nella
data della sua notificazione o della sua
piena conoscenza (TAR Lazio-Roma, Sez. I,
sentenza 14.06.2012
n. 5467 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
SICUREZZA LAVORO: Infortunio
sul cantiere: può essere responsabile anche
il committente?
In materia di affidamento di lavori in
appalto per un cantiere edile, il
committente ha l’obbligo di adottare tutte
le misure necessarie al fine di tutelare
l’integrità e la salute dei lavoratori e
dipendenti dell’impresa appaltatrice, tanto
più se utilizzano macchinari pericolosi.
Nel caso in esame, committente e appaltatore
vengono condannati entrambi per l'infortunio
accaduto ad un lavoratore durante l’uso di
un muletto che risultava in cattivo stato di
conservazione (freni non funzionanti).
Il dovere di garantire adeguata sicurezza e
formazione ai singoli lavoratori è un
obbligo ascrivibile oltre al datore di
lavoro anche al committente.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con
la
sentenza 11.06.2012 n. 9441 che, facendo
riferimento alla normativa di settore (art.
2087 del Codice Civile, art. 7 del D.Lgs.
626/1994, art. 26 del D.Lgs. n. 81/2008), ha
ritenuto responsabile il committente per
aver omesso di verificare l'idoneità tecnico
professionale dell’impresa e per non aver
sorvegliato nella fase esecutiva del
contratto di appalto.
Pertanto, è sempre necessario che il
committente verifichi l’idoneità delle
imprese a cui affida i lavori e si accerti
che siano adottate tutte le misure di
sicurezza necessarie
(link a www.acca.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Rumore - Immissioni: il limite di
tollerabilità ex art. 844 cod. civ. ha
carattere relativo.
Il limite di tollerabilità di cui all’art.
844 cod. civ. non ha carattere assoluto, ma
relativo, e deve essere fissato tenendo
conto delle peculiarità del caso concreto
(Corte di Cassazione, Sez. III civile,
sentenza 11.06.2012 n. 9434 - link a
www.tuttoambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
vincolo ambientale di cui si tratta ha per
scopo anche quello di preservare la
percezione della visuale terra-mare.
Ciò posto il ricorso è infondato, in quanto
la motivazione del parere favorevole non
spiega le ragioni per le quali tale visuale,
quantomeno nella parte già non ostruita
dall’edificazione, possa essere garantita in
presenza delle opere sopradescritte, in
quanto i soli profili dell’assimilabilità
dell’opera alle altre già presenti non
considera tutti i valori tutelati dal
vincolo.
Inoltre manca una adeguata comparazione, in
relazione ai valori paesaggistici tutelati
dal vincolo, della situazione dei luoghi
prima e dopo l’intervento autorizzato.
Il parere di cui si tratta ha per scopo
quello di valutare l’impatto delle opere
sugli aspetti tutelati dal vincolo, impatto
che, pur nell’ambito della tipologia
ammessa, può essere diverso a seconda delle
modalità costruttive, della collocazione,
delle dimensioni, della relazione con altre
strutture ecc..
Per quanto sopra sussistono i vizi di
mancata (insufficiente) verifica che, nella
sostanza, la Soprintendenza di Ravenna ha
posto a fondamento del diniego col
terz’ultimo, riassuntivo, capoverso.
Col ricorso in epigrafe viene impugnato il
decreto del Soprintendente per i beni
ambientali ed architettonici di Ravenna del
29.10.2003 di annullamento del provvedimento
del 09.09.2003 n. 162675 cui comune di
Rimini aveva espresso parere favorevole ai
sensi dell’art. 32 della L. n. 47/1985 al
rilascio della concessione in sanatoria a
seguito di istanza di condono per la
realizzazione di un chiosco bar con servizi
igienici in area sottoposta a vincolo
paesaggistico ai sensi dell’art. 146, punto
a), del D. L.vo n. 490/1999.
...
Il ricorso è infondato.
Il provvedimento del Soprintendente di
Ravenna, come risulta espressamente dal
terz’ultimo, riassuntivo, capoverso, pone a
fondamento del disposto annullamento del
parere il fatto che lo stesso è viziato in
quanto lo scopo dell’art. 32 della L. n.
47/1985 è quello di vincolare il rilascio
del condono alla preventiva verifica della
compatibilità delle opere con la
salvaguardia dei valori ambientali protetti
dal vincolo, con conseguente deroga al
vincolo stesso nel caso in cui detta
verifica manchi o sia insufficiente.
L’autorizzazione comunale poi annullata
ritiene non incompatibile col vincolo
ambientale l’opera in quanto la stessa è
assimilabile alle altre realtà presenti.
Sul punto il collegio osserva che il vincolo
ambientale di cui si tratta ha certamente
per scopo anche quello di preservare la
percezione della visuale terra-mare.
Ciò posto il ricorso è infondato, in quanto
la motivazione del parere favorevole non
spiega le ragioni per le quali tale visuale,
quantomeno nella parte già non ostruita
dall’edificazione, possa essere garantita in
presenza delle opere sopradescritte, in
quanto i soli profili dell’assimilabilità
dell’opera alle altre già presenti non
considera tutti i valori tutelati dal
vincolo.
Inoltre manca una adeguata comparazione, in
relazione ai valori paesaggistici tutelati
dal vincolo, della situazione dei luoghi
prima e dopo l’intervento autorizzato.
Il parere di cui si tratta ha per scopo
quello di valutare l’impatto delle opere
sugli aspetti tutelati dal vincolo, impatto
che, pur nell’ambito della tipologia
ammessa, può essere diverso a seconda delle
modalità costruttive, della collocazione,
delle dimensioni, della relazione con altre
strutture ecc..
Per quanto sopra sussistono i vizi di
mancata (insufficiente) verifica che, nella
sostanza, la Soprintendenza di Ravenna ha
posto a fondamento del diniego col
terz’ultimo, riassuntivo, capoverso.
Per quanto riguarda la violazione dell’art.
7 della L. n. 241/1990, si deve osservare
che costituisce un orientamento consolidato
quello della non necessità di un formale
avviso di avvio del procedimento quando
l'interessato abbia avuto conoscenza del
procedimento aliunde. Ciò sia con
riferimento alla legge n. 241 del 1990 che
disciplina la generalità dei procedimenti
amministrativi, sia con riferimento allo
speciale procedimento oggetto di causa (vedi
tra le tante Consiglio di Stato, sez. VI,
sentenza 22.02.2010, n. 1013; Consiglio di
Stato, sez. VI, sentenza 10.12.2009, n.
7756; Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza
09.02.2007, n. 533; TAR Campania–Napoli,
sez. II, 08.01.2010, n. 19; TAR per l’Emilia
Romagna, sez. II, n. 344 del 10/03/2004).
Nel caso concreto il provvedimento di
autorizzazione comunale specifica che il
Ministero dei beni Culturali può esercitare
il potere di annullamento nel termine di 60
giorni dal suo ricevimento.
In tale contesto i ricorrenti conoscevano la
pendenza del procedimento davanti alla
Soprintendenza; pertanto le esigenze
partecipative cui è preordinato l’articolo 7
della legge 241 del '90 citata sono state,
nel caso concreto, soddisfatte (TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez. I,
sentenza 11.06.2012
n. 401 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Gli
interventi edilizi che alterano, anche sotto
il profilo della distribuzione interna,
l’originaria consistenza fisica di un
immobile e comportano l’inserimento di nuovi
impianti e la modifica e ridistribuzione dei
volumi, non si configurano né come
manutenzione straordinaria, né come restauro
o risanamento conservativo, ma rientrano
nell’ambito della ristrutturazione edilizia.
In altre parole, affinché sia ravvisabile un
intervento di ristrutturazione edilizia è
sufficiente che siano modificati la
distribuzione della superficie interna e dei
volumi, ovvero l’ordine in cui risultavano
disposte le diverse porzioni dell'edificio,
per il solo fine di rendere più agevole la
destinazione d’uso esistente: anche in
questi casi si configurano il rinnovo degli
elementi costitutivi dell’edificio ed
un’alterazione dell’originaria fisionomia e
consistenza fisica dell'immobile,
incompatibili con i concetti di manutenzione
straordinaria e di risanamento conservativo
che presuppongono la realizzazione di opere
che lascino inalterata la struttura
dell'edificio e la distribuzione interna
della sua superficie.
La stessa attività di ristrutturazione, del
resto, può attuarsi attraverso una serie di
interventi che, singolarmente considerati,
ben potrebbero ricondursi agli altri tipi
dianzi enunciati. L’elemento
caratterizzante, però, è la connessione
finalistica delle opere eseguite, che non
devono essere riguardate analiticamente, ma
valutate nel loro complesso al fine di
individuare se esse siano o meno rivolte al
recupero edilizio dello spazio attraverso la
realizzazione di un edificio in tutto o in
parte nuovo.
Secondo l’orientamento della giurisprudenza,
condiviso dal Collegio, gli interventi
edilizi che alterano, anche sotto il profilo
della distribuzione interna, l’originaria
consistenza fisica di un immobile e
comportano l’inserimento di nuovi impianti e
la modifica e ridistribuzione dei volumi,
non si configurano né come manutenzione
straordinaria, né come restauro o
risanamento conservativo, ma rientrano
nell’ambito della ristrutturazione edilizia
(cfr. da ultimo TAR Lombardia, Brescia, II,
02.03.2012, n. 355).
In altre parole, affinché sia ravvisabile un
intervento di ristrutturazione edilizia è
sufficiente che siano modificati la
distribuzione della superficie interna e dei
volumi, ovvero l’ordine in cui risultavano
disposte le diverse porzioni dell'edificio,
per il solo fine di rendere più agevole la
destinazione d’uso esistente: anche in
questi casi si configurano il rinnovo degli
elementi costitutivi dell’edificio ed
un’alterazione dell’originaria fisionomia e
consistenza fisica dell'immobile,
incompatibili con i concetti di manutenzione
straordinaria e di risanamento conservativo
che presuppongono la realizzazione di opere
che lascino inalterata la struttura
dell'edificio e la distribuzione interna
della sua superficie.
La stessa attività di ristrutturazione, del
resto, può attuarsi attraverso una serie di
interventi che, singolarmente considerati,
ben potrebbero ricondursi agli altri tipi
dianzi enunciati. L’elemento
caratterizzante, però, è la connessione
finalistica delle opere eseguite, che non
devono essere riguardate analiticamente, ma
valutate nel loro complesso al fine di
individuare se esse siano o meno rivolte al
recupero edilizio dello spazio attraverso la
realizzazione di un edificio in tutto o in
parte nuovo.
Orbene, ad avviso del Collegio, l’intervento
eseguito dalla ricorrente, valutato nella
sua unitarietà, deve essere ricondotto a
quelli di ristrutturazione edilizia, come
definiti dall’art. 3, comma 1, lett. d), del
D.P.R. 380/2001, avendo alterato, anche
sotto il profilo della distribuzione
interna, l’originaria consistenza fisica
dell’immobile, comportato l’inserimento di
nuovi impianti e la modifica e
ridistribuzione dei volumi (cfr. TAR
Lombardia, Brescia, I, 19.04.2011 n. 582;
TAR Molise, 27.03.2009 n. 99), tutte opere
incompatibili con i concetti di manutenzione
straordinaria e di risanamento conservativo
che presuppongono, al contrario, la
realizzazione di lavori che lascino
inalterata la struttura dell'edificio e la
distribuzione interna della sua superficie
(cfr. Consiglio di Stato, V, 18.10.2002 n.
5775).
Il Collegio ravvisa, pertanto, nel caso
sottoposto la radicale trasformazione e la
ricollocazione degli ambienti con
conseguente necessità del previo rilascio
del permesso di costruire.
Tanto premesso, secondo l’orientamento della
giurisprudenza condiviso dal Collegio,
l’intervento de quo è stato legittimamente
sanzionato a termini dell'art. 31 (e non
dell'art. 33) del D.P.R. n. 380/2001, che
qualifica come "interventi eseguiti in
totale difformità dal permesso di costruire
quelli che comportano la realizzazione di un
organismo edilizio integralmente diverso per
caratteristiche tipologiche,
planovolumetriche o di utilizzazione da
quello oggetto del permesso stesso, ovvero
l'esecuzione di volumi edilizi oltre i
limiti indicati nel progetto e tali da
costituire un organismo edilizio o parte di
esso con specifica rilevanza ed
autonomamente utilizzabile", sanzionando
con la rimozione o la demolizione -e, in
caso di inottemperanza, con l'acquisizione
di diritto del bene alla mano pubblica- "l'esecuzione
di interventi in assenza di permesso, in
totale difformità dal medesimo, ovvero con
variazioni essenziali, determinate ai sensi
dell'art. 32"
(TAR Campania-Napoli, Sez. VII,
sentenza 07.06.2012 n. 2712 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: A
fronte del divieto assoluto di rilasciare
l'autorizzazione paesaggistica in sanatoria
per i lavori che hanno determinato la
creazione di nuovi volumi e superfici utili,
ovvero un aumento di quelli legittimamente
realizzati, va esclusa qualsiasi rilevanza
ad un'eventuale istanza di accertamento di
conformità.
L'art. 146,
comma 4, del D.lgs. n. 42/2004 esclude dal
divieto di rilasciare l'autorizzazione
paesaggistica in sanatoria (ossia
successivamente alla realizzazione, anche
parziale, degli interventi) i casi previsti
dal successivo art. 167, comma 4, costituiti
-oltre che dall'impiego di materiali in
difformità dall'autorizzazione paesaggistica
e dai lavori comunque configurabili quali
interventi di manutenzione ordinaria o
straordinaria- dai "lavori, realizzati in
assenza o difformità dall'autorizzazione
paesaggistica, che non abbiano determinato
creazione di superfici utili o volumi ovvero
aumento di quelli legittimamente realizzati".
Pertanto, secondo la consolidata
giurisprudenza di questa Sezione (cfr. tra
le tante TAR Campania, Napoli, VII,
22.02.2012, n. 885; TAR Campania Napoli, VII,
28.12.2007, n. 16539), a fronte del divieto
assoluto di rilasciare l'autorizzazione
paesaggistica in sanatoria per i lavori che
hanno determinato la creazione di nuovi
volumi e superfici utili, ovvero un aumento
di quelli legittimamente realizzati, va
esclusa qualsiasi rilevanza ad un'eventuale
istanza di accertamento di conformità
(TAR Campania-Napoli, Sez. VII,
sentenza 07.06.2012 n. 2712 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Ai
fini dell’applicazione dell’art. 27 D.P.R.
380/2001, non rileva se l’opera sia o meno
ultimata. L’articolo citato, infatti,
dispone: «qualora si tratti di aree
assoggettate alla tutela di cui al regio
decreto 30.12.1923, n. 3267, o appartenenti
ai beni disciplinati dalla legge 16.06.1927,
n. 1766, nonché delle aree di cui al decreto
legislativo 29.10.1999, n. 490, il dirigente
provvede alla demolizione ed al ripristino
dello stato dei luoghi, previa comunicazione
alle amministrazioni competenti le quali
possono eventualmente intervenire, ai fini
della demolizione, anche di propria
iniziativa».
La norma in questione, all’esito delle
modifiche apportate con D.L. 269/2003, è
applicabile tanto se venga accertato
l’inizio quanto l’avvenuta esecuzione di
opere abusive su area vincolata, per cui non
può trovare accoglimento la prospettazione
del ricorrente nel senso
dell’inapplicabilità della norma a causa
dell’avvenuto completamento dei lavori.
Come ripetutamente affermato dalla
giurisprudenza di questo Tribunale, ai fini
dell’applicazione dell’art. 27 D.P.R.
380/2001, non rileva se l’opera sia o meno
ultimata. L’articolo citato, infatti,
dispone: «qualora si tratti di aree
assoggettate alla tutela di cui al regio
decreto 30.12.1923, n. 3267, o appartenenti
ai beni disciplinati dalla legge 16.06.1927,
n. 1766, nonché delle aree di cui al decreto
legislativo 29.10.1999, n. 490, il dirigente
provvede alla demolizione ed al ripristino
dello stato dei luoghi, previa comunicazione
alle amministrazioni competenti le quali
possono eventualmente intervenire, ai fini
della demolizione, anche di propria
iniziativa».
La norma in questione, all’esito delle
modifiche apportate con D.L. 269/2003, è
applicabile tanto se venga accertato
l’inizio quanto l’avvenuta esecuzione di
opere abusive su area vincolata (cfr. TAR
Campania Napoli, sez. III, 11.03.2009, n.
1376), per cui non può trovare accoglimento
la prospettazione del ricorrente nel senso
dell’inapplicabilità della norma a causa
dell’avvenuto completamento dei lavori
(Sent. TAR Napoli sez. VI n. 8987/2009) (TAR Campania-Napoli, Sez. VI,
sentenza 07.06.2012 n. 2705 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
nozione di “pertinenza urbanistica” nel
campo urbanistico-edilizio è meno ampia di
quella definita dall'art. 817 c.c. e dunque
non può consentire la realizzazione di opere
di grande consistenza soltanto perché
destinate al servizio di un bene qualificato
principale.
La
nozione di “pertinenza urbanistica”
nel campo urbanistico-edilizio è, infatti,
meno ampia di quella definita dall'art. 817
c.c. e dunque non può consentire la
realizzazione di opere di grande consistenza
soltanto perché destinate al servizio di un
bene qualificato principale.
All’opposto, deve dirsi che la natura
pertinenziale dell’opera va esclusa per il
muro in questione che ha una ragguardevole
dimensione, presentando una lunghezza di
metri lineari 37,00, un’altezza di metri
0,75 e una profondità di metri 0,45;
inoltre, lo stesso è stato elevato di
ulteriori metri 2,00 e ha raggiunto una
lunghezza di metri 12,00.
Per quanto le osservazioni appena svolte
appaiano dirimenti, deve, osservarsi, ‘ad
abundantiam’ che, quand’anche si
ritenessero le opere pertinenziali e,
quindi, assentibili con mera D.I.A.,
l’applicazione della sanzione demolitoria ai
sensi dell’art. 27 D.P.R. 380/2001 non
potrebbe essere esclusa in ragione della
insistenza delle opere in questione in area
vincolata.
Le stesse argomentazioni valgono a
respingere l’obiezione che si tratterebbe di
opere di modesta entità e irrilevanti sotto
il profilo urbanistico, posto che a
differenza di quanto sostenuto dal
ricorrente, la costruzione di un muro delle
riportate dimensioni ha una valenza di tipo
paesaggistico e comporta una duratura
trasformazione del territorio, che è
assoggettato a vincolo paesaggistico.
Tali interventi necessitano, quindi, sia del
previo titolo abilitativo sotto il profilo
paesaggistico che di quello
edilizio/urbanistico, ovvero, quanto a
quest’ultimo, del permesso di costruire (o
di titolo alternativo ai sensi dell’art. 22,
comma 3, d.P.R. 380 del 2001)
(TAR Campania-Napoli, Sez. VI,
sentenza 07.06.2012 n. 2705 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: L'art.
27 del t.u. dell'edilizia, applicabile sia
che venga accertato l'inizio che l'avvenuta
esecuzione di interventi abusivi, non vede
la sua efficacia limitata alle sole zone di
inedificabilità assoluta, dovendo la nozione
di "vincolo di inedificabilità" da esso
articolo contemplata essere intesa come
comprensiva non solo dell'inedificabilità
assoluta, ma anche di quella relativa.
--------------
Gli ordini di demolizione sono
sufficientemente giustificati con
l'affermazione della abusività dell'opera,
senza necessità di una più una specifica
motivazione circa la sussistenza
dell'interesse pubblico a disporre la
sanzione ovvero di soffermarsi a meglio
motivare sul contrasto con la normativa
urbanistica/paesaggistica, profili questi
sui quale parte ricorrente non ha introdotto
elementi validi a contrastare utilmente le
conclusioni dell’amministrazione.
In definitiva, una volta accertata la
violazione, la sanzione va doverosamente
applicata, né occorre motivazione specifica
sull’interesse pubblico alla demolizione
dell’opera, e neppure il previo accertamento
della sua conformità o meno alla vigente
disciplina urbanistica.
Per costante
orientamento della giurisprudenza condivisa
dal Collegio, alla luce della disciplina
vigente, l'art. 27 del t.u. dell'edilizia,
applicabile sia che venga accertato l'inizio
che l'avvenuta esecuzione di interventi
abusivi, non vede la sua efficacia limitata
alle sole zone di inedificabilità assoluta,
dovendo la nozione di "vincolo di
inedificabilità" da esso articolo
contemplata essere intesa come comprensiva
non solo dell'inedificabilità assoluta, ma
anche di quella relativa (cfr. TAR Campania,
questa sesta sezione, sentenze n. 2382 del
28.04. 2011; n. 1338 dell'08.03.2011; n.
24017 del 12.11.2010; n. 2076 del 21.04.2010
e n. 1775 del 07.04.2010 e sezione terza,
11.03.2009, n. 1376: e anche sezione
seconda, 23.06.2010, n. 15729).
Per quanto concerne il difetto di
motivazione e di istruttoria, a differenza
di quanto sostenuto dalla ricorrente, ancora
per consolidata e pacifica giurisprudenza
dal Collegio condivisa, gli ordini di
demolizione sono sufficientemente
giustificati con l'affermazione della
abusività dell'opera, senza necessità di una
più una specifica motivazione circa la
sussistenza dell'interesse pubblico a
disporre la sanzione ovvero di soffermarsi a
meglio motivare sul contrasto con la
normativa urbanistica/paesaggistica, profili
questi sui quale parte ricorrente non ha
introdotto elementi validi a contrastare
utilmente le conclusioni
dell’amministrazione: cfr., fra le ultime,
Cons. Stato, sez. quinta, 11.01.2011, n. 79;
sezione quarta, n. 3955/2010; TAR Campania,
questa sesta sezione, n. 2382 del
28.04.2011; nn. 2126, 2128, 2129 del
13.04.2011; n. 160 del 14.01.2011, n. 24017
del 12.11.2010, n. 17238 del 26.08.2010, n.
16996 del 27.07.2010 e n. 2812 del
06.05.2010; TAR Puglia, Lecce, sez. III,
09.02.2011, n. 240.
In definitiva, “una volta accertata la
violazione, la sanzione va doverosamente
applicata, né occorre motivazione specifica
sull’interesse pubblico alla demolizione
dell’opera, e neppure il previo accertamento
della sua conformità o meno alla vigente
disciplina urbanistica…” (Cons. Stato,
sezione quinta, sentenza 07.04.2011, n. 2159
cit.)
(TAR Campania-Napoli, Sez. VI,
sentenza 07.06.2012 n. 2705 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA: Ferma
restando l’insindacabilità nel merito delle
scelte comunali di programmazione
urbanistica del territorio, secondo il noto
principio per il quale «in sede di
pianificazione urbanistica le scelte
discrezionali dell'amministrazione in ordine
alla destinazione di singole aree, non
necessitano di apposita motivazione, oltre a
quella che si può ricavare dai criteri
generali seguiti nell'impostazione del piano
essendo sufficiente, in linea generale,
l'espresso riferimento alla relazione di
accompagnamento al progetto di modificazione
al piano regolatore generale», è nondimeno
necessario che dette scelte, soprattutto
quando incidono sulla libera disponibilità
dei beni e su consolidate situazioni di
affidamento del privato –in ossequio ai
principi legislativamente codificati del
«giusto procedimento amministrativo»–,
risultino verificabili quanto meno sul piano
della attendibilità e della proporzione del
bilanciamento fra gli opposti interessi
realizzato, poiché logiche, non arbitrarie e
non fondate su travisamento dei fatti o su
di un'istruttoria incompleta.
Invero, ferma restando l’insindacabilità nel
merito delle scelte comunali di
programmazione urbanistica del territorio,
secondo il noto principio per il quale «in
sede di pianificazione urbanistica le scelte
discrezionali dell'amministrazione in ordine
alla destinazione di singole aree, non
necessitano di apposita motivazione, oltre a
quella che si può ricavare dai criteri
generali seguiti nell'impostazione del piano
essendo sufficiente, in linea generale,
l'espresso riferimento alla relazione di
accompagnamento al progetto di modificazione
al piano regolatore generale» (cfr.
C.d.S., Ad. Plen., 22.12.1999, n. 24;
C.d.S., sez. IV, 19.01.2000 n. 245; C.d.S.,
sez. IV, 24.12.1999, n. 1943; C.d.S., sez.
IV, 02.11.1995, n. 887; C.d.S., sez. IV,
25.02.1988, n. 99; TAR Ve, n. 2153 del 2004
e da ultimo TAR Ve n. 634 del 2012), è
nondimeno necessario che dette scelte,
soprattutto quando incidono sulla libera
disponibilità dei beni e su consolidate
situazioni di affidamento del privato –in
ossequio ai principi legislativamente
codificati del «giusto procedimento
amministrativo»–, risultino verificabili
quanto meno sul piano della attendibilità e
della proporzione del bilanciamento fra gli
opposti interessi realizzato, poiché
logiche, non arbitrarie e non fondate su
travisamento dei fatti o su di
un'istruttoria incompleta (TAR Veneto, Sez. I,
sentenza 06.06.2012 n. 782 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
1. Ai fini del calcolo delle
distanze devono essere computate scale,
terrazze, corpi avanzati ed opere di
contenimento.
2. Nozione di opera interrata.
3. Calcolo della cubatura. Inclusione nel
caso di opere non completamente interrate.
1. In tema di distanze legali tra edifici o
dal confine, mentre non sono a tal fine
computabili le sporgenze estreme del
fabbricato che abbiano funzione meramente
ornamentale, di finitura od accessoria di
limitata entità, come le mensole, le lesene,
i cornicioni, le grondaie e simili, invece,
rientrano nel concetto civilistico di
costruzioni, le parti dell'edificio, quali
scale, terrazze e corpi avanzati (c.d.
aggettanti) che, se pur non corrispondono a
volumi abitativi coperti, sono destinate ad
estendere ed ampliare la consistenza del
fabbricato.
Lo stesso può dirsi per le opere di
contenimento, che, comunque progettate in
relazione alla situazione dei luoghi ed alla
soluzione esteticamente ritenuta più
confacente dal committente, hanno una
struttura che deve essere idonea per
consistenza e modalità costruttive ad
assolvere alla funzione di contenimento ed
una funzione, che non è quella di
delimitare, proteggere ed eventualmente
abbellire la proprietà, ma essenzialmente di
sostenere il terreno al fine di evitare
movimenti franosi dello stesso (1).
2. Al fine di individuare se un manufatto
sia o meno interrato, va fatto riferimento
al livello naturale del terreno, con la
conseguenza che la sporgenza di un manufatto
dal suolo va riscontrata con riferimento al
piano di campagna, cioè al livello naturale
del terreno, e non al livello eventualmente
inferiore cui si trovi un finitimo edificio
realizzato con abbassamento di quel piano
(2).
3. Ai sensi dell'art. 9 della l. 24.03.1989
n. 122, la realizzazione di autorimesse e
parcheggi è soggetta alla disciplina
urbanistica dettata per le ordinarie nuove
costruzioni fuori terra, se non effettuata
totalmente al di sotto del piano di campagna
naturale (3).
---------------
(1) Cfr. Cons. Stato, sez. IV,
30.06.2005, n. 3539.
V. anche Cassazione civile, sez. II,
17.06.2011, n. 13389, secondo cui, "ai fini
dell'osservanza delle norme sulle distanze
legali di origine codicistica o prescritte
dagli strumenti urbanistici in funzione
integrativa della disciplina privatistica,
la nozione di costruzione non si identifica
con quella di edificio ma si estende a
qualsiasi manufatto non completamente
interrato che abbia i caratteri della
solidità, stabilità, ed immobilizzazione al
suolo, anche mediante appoggio,
incorporazione o collegamento fisso ad un
corpo di fabbrica preesistente o
contestualmente realizzato,
indipendentemente dal livello di posa e di
elevazione dell'opera.
La giurisprudenza civile di merito,
altrettanto condivisibilmente, ad avviso del
Collegio ha poi fatto presente che ai fini
del rispetto delle distanze fra costruzioni,
non rileva il materiale utilizzato per la
fabbrica, richiedendosi soltanto una
durevolezza dell'opera comunemente
riconoscibile anche alle opere in legno o
ferro od altri materiali leggeri, purché
infissi al suolo non transitoriamente.
Ne consegue la permanente vigenza
dell’insegnamento della Corte di legittimità
secondo il quale "costituisce costruzione,
agli effetti della disciplina del c.c. sulle
distanze legali, ogni manufatto che, per
struttura e destinazione, ha carattere di
stabilità e permanenza (nella specie il
manufatto, con finestra, era coperto da
tettoia formata da travi con soprastanti
lamiere, ed era destinato a fienile,
magazzino e pollaio). "(Cassazione civile,
sez. II, 24.05.1997, n. 4639).
(2) Cfr. Cons. Stato, sez. V, 06.12.2010, n.
8547 ed in passato Cons. Stato, sez. V,
21.10.1991, n. 1231, secondo la quale
soltanto "i locali costruiti al di sotto
dell'originario piano di campagna non sono
infatti computabili ai fini
dell'applicazione degli standards
urbanistici e non concernono al computo
della volumetria.".
(3) Cfr. Cons. Stato, sez. IV, 27.11.2010,
n. 8260 (massima tratta da
www.regione-piemonte.it -
Consiglio
di Stato, Sez. IV,
sentenza 17.05.2012 n. 2847 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Provvedimento di esclusione da
una gara d’appalto con riferimento ad
inadempienze contrattuali nei confronti di
un'altra stazione appaltante, nel caso in
cui tali inadempienze risultino da un
formale provvedimento della P.A. non
contestato dalla ditta interessata.
E’ legittimo il provvedimento con il quale
un ente locale ha escluso una ditta da una
gara di appalto di servizi (nella specie, si
trattava del servizio di accertamento,
liquidazione e riscossione di tributi,
entrate patrimoniali e sanzioni pecuniarie),
che sia motivato con riferimento a gravi
inadempienze poste in essere dalla stessa
ditta nei rapporti contrattuali con un altro
ente locale, nel caso in cui tali
inadempienze risultino dalla motivazione di
una deliberazione della giunta comunale non
contestata in s.g. dalla ditta interessata,
a nulla rilevando che l’esclusione sia stata
disposta a procedura conclusa e/o nel corso
del giudizio promosso dalla stessa ditta
avverso l’esito positivo della verifica
effettuata dalla stazione appaltante in
merito al possesso dei requisiti di
partecipazione in capo all’aggiudicatario;
infatti, la P.A. conserva il potere di
verificare il possesso dei requisiti posti
in capo ai partecipanti alla gara, quando
questa non sia conclusa o l’esito di questa
sia incerto in quanto oggetto di impugnativa
giudiziale; e ciò sul rilievo che è
interesse pubblico primario della procedura
di gara quello relativo alla stipula
dell’Amministrazione con un soggetto privato
che sia in possesso dei requisiti di
affidabilità previsti dalla legge (1).
---------------
(1) Sull’esclusione dalla gara per grave
negligenza o malafede v. da ult. Cons.
Stato, Sez. VI, 15.05.2012 n. 2761
(massima tratta da www.regione.piemonte.it -
TAR Puglia-Lecce, Sez. III,
sentenza 17.05.2012 n. 860 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
AGGIORNAMENTO AL 23.07.2012 |
ã |
QUESITI &
PARERI |
EDILIZIA PRIVATA:
OGGETTO: Mutamento della destinazione
d’uso senza opere edilizie (Regione
Lombardia, Direzione Generale Territorio e
Urbanistica,
risposta
e-mail del 20.07.2012).
---------------
Pubblichiamo l'interessante quesito
redatto dall'U.T. di un comune bergamasco
con annessa risposta.
La questione non è affatto chiara, tant'é
che da un'indagine -ancorché non
approfondita- con alcuni UTC lombardi se ne
sono sentite di cotte e di crude circa il
modus operandi ...
Adesso, però, si spera che con questa risposta regionale
si possa avere -d'ora in avanti- un
comportamento uniforme sull'intero
territorio regionale.
23.07.2012 - LA SEGRETERIA PTPL |
AMBIENTE-ECOLOGIA: All’indomani
della Spending Review, le province in vita
avranno competenza in materia ambientale? E
i Comuni?
(16.07.2012 - link a www.ambientelegale.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA: La
legislazione regionale può derogare alla
disciplina nazionale relativa ai piani di
raccolta e gestione dei rifiuti prodotti
dalle navi?
(16.07.2012 - link a www.ambientelegale.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA: E’
legittima l’estensione della nozione di
“acque superficiali”?
(16.07.2012 - link a www.ambientelegale.it). |
NOVITA' NEL
SITO |
● Inserito il nuovo bottone
dossier SOPPALCO. |
● Inserito il nuovo bottone
dossier VERANDA. |
SINDACATI |
ENTI LOCALI:
Spending review: riduzione della
spesa per gli enti territoriali
(CGIL-FP di Bergamo,
nota 14.07.2012). |
ENTI LOCALI:
Spending review: ancora
incertezze sul futuro delle province
(CGIL-FP di Bergamo,
nota 13.07.2012). |
NOTE,
CIRCOLARI E COMUNICATI |
EDILIZIA PRIVATA:
OGGETTO: attuazione del DPR 01.08.2011,
n. 151. Depositi di GPL in serbatoi fissi di capacità
complessiva non superiore a 5 metri cubi ed attività
inerenti il settore del GPL - Indirizzi applicativi e
chiarimenti (Ministero dell'Interno,
lettera-circolare 27.06.2012 n. 8660 di prot.). |
GURI - GUUE -
BURL (e anteprima) |
AMBIENTE-ECOLOGIA - VARI: B.U.R.
Lombardia, serie ordinaria n. 29 del
20.07.2012, "L’impiego di apparecchiature
per il trattamento dell’acqua da destinare
al consumo umano: linee guida per l’attività
di vigilanza e controllo" (decreto
D.G. 11.07.2012 n. 6154). |
EDILIZIA PRIVATA: B.U.R.
Lombardia, serie ordinaria n. 29 del
19.07.2012, "Disposizioni
tecnico-operative per l’esercizio, la
manutenzione, il controllo e ispezione degli
impianti termici e per la gestione del
relativo catasto"
(decreto
D.U.O. 13.07.2012 n. 6260). |
EDILIZIA PRIVATA: G.U.
13.07.2012 n. 162 "Condizioni e limiti
entro i quali, lungo ed all’interno degli
itinerari internazionali, delle autostrade,
delle strade extraurbane principali e
relativi accessi, sono consentiti cartelli
di valorizzazione e promozione del
territorio indicanti siti di interesse
turistico e culturale"
(Ministero delle Infrastrutture e dei
Trasporti,
decreto 23.05.2012). |
UTILITA' |
SICUREZZA LAVORO: Sicurezza
sui cantieri: ecco un pratico vademecum
sugli obblighi e le responsabilità del
committente e delle imprese.
Il Testo Unico sulla Sicurezza prevede
obblighi ben precisi per le diverse figure
legate al cantiere.
Gli adempimenti variano in funzione di
alcuni aspetti, quali ad esempio l’entità
del cantiere (uomini/giorno impiegati) e la
presenza di rischi particolari (v. Allegato
XI D.Lgs. 81/2008).
Ance Giovani L’Aquila ha pubblicato un
interessante vademecum, utile a tutti i
datori di lavoro, alle imprese, ai
lavoratori autonomi e a tutte le figure
impegnate nella sicurezza (RSPP, RLS,
preposto, etc.), che illustra in maniera
chiara e precisa i ruoli e i compiti di
ciascuno di essi.
Il documento, contenente varie tabelle
riepilogative e schemi di sintesi,
definisce:
● le figure chiave della sicurezza
● l’elenco della documentazione che
l’impresa deve fornire al committente, in
funzione della tipologia di cantiere
● quando è possibile ricorrere
all’autocertificazione dei rischi
● le modalità di redazione del DVR
(Documento di Valutazione dei Rischi)
● quando fare la riunione periodica
● le modalità di formazione e informazione
dei lavoratori
Vengono, inoltre, analizzati gli obblighi
per le imprese affidatarie, esecutrici e il
lavoratore autonomo, quali, ad esempio:
● comunicazione al committente
● trasmissione del PSC, Piano di Sicurezza e
Coordinamento alle imprese esecutrici e ai
lavoratori autonomi
● prima di iniziare i lavori
● trasmissione del POS al coordinatore, dopo
averne verificato la congruità
● verifica delle condizioni di sicurezza dei
lavori
● modalità di verifica dell’idoneità
tecnico-professionale
● misure generali di tutela della salute
Alla fine è riportata una pratica check-list
che permette al datore di lavoro o al
direttore di cantiere di verificare che il
luogo di lavoro sia in regola con tutta la
documentazione e tutti gli adempimenti
previsti
(19.07.2012 - link a www.acca.it). |
EDILIZIA PRIVATA: SCIA
per i depositi di GPL. Ecco come procedere.
Il Dipartimento dei Vigili del Fuoco ha
diramato la lettera-circolare 27.06.2012 n.
8660 di prot. contenente indicazioni sui
depositi di GPL in serbatoi fissi con
capacità inferiore a 5m³.
In particolare, viene specificato che, a
seguito della segnalazione da parte di
Assogasliquidi, inerente la richiesta di
alcuni Comandi dei Vigili del Fuoco di
ulteriore documentazione rispetto a quella
prevista, la procedura da seguire per la
presentazione della SCIA è quella indicata
nella circolare 21.10.2011 n. 13722 di prot..
Al riguardo si rinviano i lettori al
precedente articolo di BibLus-net “Prevenzione
incendi e nuovo regolamento: ulteriori
Indirizzi applicativi e correzione di alcuni
modelli”.
Pertanto i modelli da adottare, proposti in
allegato a questa notizia, sono quelli
introdotti dalla Circolare dello scorso
ottobre.
Infine, per le pratiche presentate ai sensi
del D.P.R. 214/2006 e per le quali alla data
di entrata in vigore del nuovo regolamento
(07.10.2011) non era ancora stato effettuato
il sopralluogo, il Comando non può
richiedere la presentazione della SCIA, ma
deve solo ricatalogare la pratica
(19.07.2012 - link a www.acca.it). |
VARI: Può
un professionista pubblicizzare le proprie
prestazioni professionali?
Le professioni regolamentate possono essere
pubblicizzate anche attraverso il
volantinaggio!
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione
accogliendo il ricorso presentato da un
dentista abilitato alla professione.
Un odontoiatra viene condannato alla
sospensione per un mese dell’esercizio della
professione dall’Ordine di appartenenza per
aver pubblicizzato le prestazioni
professionali dell’azienda sanitaria di cui
era direttore, anche con prezzi più bassi
rispetto ai minimi tariffari, ormai aboliti.
Il professionista presenta ricorso nei
confronti dell’Ordine alla Corte di
Cassazione.
La Corte Suprema, Sez. VI civile, con la
sentenza 12.07.2012 n. 11816, accoglie il
ricorso del professionista, affermando che
la competenza degli Ordini professionali è
finalizzata alla sola verifica della
trasparenza e della veridicità del
messaggio. Inoltre, la Direttiva Comunitaria
n. 123/2006, così come pure il Decreto
Bersani (Legge 248/2006), prevede la massima
liberalizzazione della concorrenza,
annullando il divieto di fare pubblicità sui
servizi offerti da professioni regolamentate
(19.07.2012 - link a www.acca.it). |
DOTTRINA E
CONTRIBUTI |
URBANISTICA:
L. Spallino,
Lombardia, Esiti della mancata approvazione dei PGT al
31.12.2012 (14.11.2011 aggiornato il
17.07.2012 - link a www.studiospallino.it). |
SICUREZZA LAVORO:
A.G. Riu e L. Riu.,
Luoghi di lavoro diversi dai Cantieri
Temporanei o Mobilii e relativi obblighi
- L'idoneità tecnica professionale ai sensi
del D.Lgs. n. 81/2008, gli obblighi del
Datore di Lavoro Committente nei luoghi di
lavoro diversi dai Cantieri Temporanei o
Mobili, gli obblighi del Committente o del
Responsabile dei Lavori e gli obblighi del
Datore di Lavoro dell'Impresa Affidataria
nei Cantieri Temporanei o Mobili (link a
www.lexambiente.it). |
SICUREZZA LAVORO: G.
Cuccui,
Morti sul lavoro: chi il responsabile? La
responsabilità del datore di lavoro e del
lavoratore in caso di decesso del secondo
(link a www.leggioggi.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
M. Taina,
Gestione toner esausti: è intermediazione?
(link a www.tuttoambiente.it). |
APPALTI:
P.L. Portaluri,
LA DISCREZIONALITÀ STRUMENTALE DELLA
STAZIONE APPALTANTE E IL MODELLO
ORGANIZZATIVO EX D.LGS. N. 231/2001
(link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
M. Amadei,
L'OFFERTA ECONOMICAMENTE PIÙ VANTAGGIOSA:
DEFINIZIONE DEI CRITERI
QUALITATIVI-INNOVATIVI AL FINE DI GARANTIRE
LA CORRETTA ESECUZIONE DEI SERVIZI DI
SANIFICAZIONE AMBIENTALE (link a
www.osservatorioappalti.unitn.it). |
INCARICHI PROFESSIONALI:
G. Naimo,
I “SERVIZI LEGALI”: NOZIONE E CENNI SULLA
DISCIPLINA DI AFFIDAMENTO (link a
www.osservatorioappalti.unitn.it). |
APPALTI:
L. Savelli,
I CONTRATTI PUBBLICI NELLA STAGIONE DEI
DECRETI-LEGGE: DAL DECRETO-SVILUPPO AD OGGI
- Aggiornamento al 24.05.2012 (link a
www.osservatorioappalti.unitn.it). |
APPALTI:
L. Savelli,
IL CODICE DEI CONTRATTI ED IL REGOLAMENTO
DOPO I DECRETI-LEGGE (MAGGIO 2011- MAGGIO
2012) - Vedemecum I.G.I. riguardante le
modifiche apportate alla legislazione degli
appalti pubblici - aggiornato alla legge
18.05.2012 n. 62 (link a
www.osservatorioappalti.unitn.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
M. Grisanti,
Sul potere del Consiglio comunale di
riduzione della fascia di rispetto a
protezione dei cimiteri (link a
www.lexambiente.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
M.C. Ribera e G. Auriemma,
I crimini in danno dell’ambiente e del
territorio - Le tecniche investigative e
l’acquisizione della prova in materia
ambientale (22.05.2012 - link a
www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
P. Scognamiglio,
I crimini in danno dell’ambiente e del
territorio - I reati edilizi nel dialogo tra
dottrina e giurisprudenza (21-23.05.2012 - link a
www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
A. De Chiara,
I crimini in danno dell'ambiente e del
territorio - I protocolli di indagine in
materia di reati urbanistici (21-23.05.2012
- link a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
I crimini in danno dell’ambiente e del
territorio - Novità legislative e
giurisprudenziali in materia di reati
urbanistici.
SOMMARIO: 1. Attività edilizia e titoli
abilitativi. – 2. Il regime attuale dei
titoli abilitativi. – 3. La DIA (denuncia di
inizio attività) in materia edilizia:
successione delle disposizioni normative. –
4. La sostituzione della DIA con la
segnalazione certificata di inizio attività
(SCIA) in materia edilizia. – 5. SCIA ed
immobili abusivi. – 6. SCIA ed immobili
vincolati. – 7. La DIA alternativa (cd.
superDIA) e l’art. 22, 3° comma, del T.U. n.
380/2001. – 8. Natura giuridica della
denuncia di inizio dell’attività. – 9. SCIA,
DIA e silenzioassenso. – 10. La procedura di
SCIA in materia edilizia. – 11. La procedura
applicabile alla c.d. «superDIA». – 12.
Lavori eseguiti in base a permesso di
costruire illegittimo. – 13. Confisca penale
e lottizzazioni abusive. – 14. Strumenti
processuali di tutela dei terzi acquirenti.
– 15. Estensione della confisca. – 16. La
confisca del ricavato della vendita di lotti
abusivi. – 17. Confisca ed effetti di
sopravvenute determinazioni comunali
(CONSIGLIO SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA,
Nona Commissione, Tirocinio e Formazione
Professionale - 21-23.05.2012 - link
a www.lexambiente.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
V. Paone,
Responsabilità penali e contaminazione dei
siti (link a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
D. Palombella,
Trasformazione del balcone in veranda -
Chiusura di balconi e terrazze con infissi e
strutture vetrate, casistica completa dei
possibili interventi e dei profili
autorizzatori: il punto di vista della
Giurisprudenza, problematiche condominiali,
situazione nelle varie regioni, ruolo dei
regolamenti comunali, riflessi fiscali,
sanzioni (Quaderni di Legislazione Tecnica
n. 2/2012). |
APPALTI SERVIZI:
V. Veneroso,
Procedure di gara e avvalimento dei
requisiti: l'iscrizione all'Albo Nazionale
Gestori Ambientali (link a
www.ipsoa.it). |
APPALTI SERVIZI:
A. Barbiero e C. Bonaccorso,
Note di analisi sulla disciplina per lo
scioglimento delle società che gestiscono
servizi strumentali (art. 4 d.l. n. 95/2012)
(link a www.dirittodeisevizipubblici.it). |
APPALTI:
M. Carpagnano e P. Fattori,
LE PRINCIPALI PROBLEMATICHE ANTITRUST
CONNESSE ALLA PARTECIPAZIONE AD UN’ASTA
COMPETITIVA (estratto della relazione
per il seminario su Il bene concorrenza e le
tutele predisposte dall'ordinamento nelle
gare pubbliche svoltosi il 20.04.2012
presso la Facoltà di Giurisprudenza
dell’Università di Trento - link a
www.osservatorioappalti.unitn.it). |
CORTE DEI
CONTI |
CONSIGLIERI COMUNALI:
Indennità amministratori locali.
Torna sull'argomento la sezione regionale
Piemonte della Corte dei Conti. Con il
parere 06.07.2012 n. 278, conferma le seguenti
interpretazioni delle norme in vigore:
- "... a partire dal 2008, essendo stata
abolita la possibilità per gli enti di
modificare autonomamente l'importo
dell'indennità, le delibere contenenti
eventuali riduzioni, superiori a quelle
fissate dal legislatore, vanno intese come
rinunce volontarie ad una parte
dell'indennità, che non hanno alcuna
influenza sull'ammontare della stessa per
gli esercizi successivi";
- "... le indennità restano fissate nella
misura conseguente alla riduzione prevista
dalla legge 266/2005, che non opera
sull'ammontare dell'indennità deliberata al
30/09/2005 soltanto se gli organi dell'ente,
avvalendosi delle facoltà previste dal c. 11
dell'art. 82 nel testo allora vigente, si
erano autonomamente determinati nel senso di
ridurne l'ammontare in misura pari o
superiore al 10% rispetto all'importo base
fissato dal d.m. 119 del 2000 (in tal senso
si era già espresso il Ministero
dell'Interno con circolare Circ. 28.06.2006,
n. 5/2006)" (tratto da www.publika.it) |
ENTI LOCALI:
Corte dei conti. Delibera della sezione di
controllo della Lombardia. I limiti al
turn-over si estendono a tutte le società
partecipate.
IL TETTO/ Possibile assumere nel limite del
40% del costo delle uscite dell'anno prima
se si resta entro il 50% della spesa
corrente.
I limiti quantitativi per le
assunzioni di personale valgono anche per le
società partecipate da enti locali
assoggettati al patto di stabilità, che non
possono trasferire alle stesse la loro
capacità assunzionale.
Lo ha precisato la Corte dei conti, sezione
regionale di controllo per la Lombardia,
che, con il
parere
31.05.2012 n. 260, si è soffermata
sull'applicazione del rapporto tra spesa per
il personale e spesa corrente, previsto
dall'articolo 76, comma 7, della legge
133/2008.
La disposizione consente agli enti locali,
se non si supera il 50% nel rapporto, di
assumere nel limite del 40% della spesa
corrispondente alle cessazioni dell'anno
precedente. La norma prevede inoltre che,
per il computo della percentuale derivante
dal rapporto tra spesa del personale e spesa
corrente, si calcolino anche le spese
sostenute dalle società a partecipazione
pubblica locale totale o di controllo
titolari di affidamento diretto di servizi
pubblici locali senza gara.
Secondo la Corte dei conti lombarda, la
disciplina ha come destinatario l'ente
locale, mentre derivano da autonome
disposizioni gli adempimenti sulle politiche
retributive per il personale e i divieti o
le limitazioni alle assunzioni per
determinate categorie di società
partecipate. In particolare, l'articolo 25
del decreto legge 1/2012 dispone che le
società in house devono adottare con propri
provvedimenti criteri e modalità per
reclutare il personale e conferire gli
incarichi nel rispetto delle disposizioni
che stabiliscono a carico degli enti locali
divieti o limitazioni alle assunzioni di
personale.
Il rispetto dei limiti imposti all'ente
locale per le assunzioni determina quindi
per la società partecipata la possibilità di
reclutare risorse umane solo se il comune
socio di controllo non è incorso in
violazioni sanzionate con il divieto di
assunzioni e se non è stato superato il
parametro del 50% nel rapporto tra spesa di
personale e spese correnti nel quadro
economico consolidato. In base al rinvio
operato dall'articolo 25 del decreto 1/2012,
la disciplina è applicabile alla società in
house che potrà assumere nel limite del 40%
del costo corrispondente alle cessazioni
dell'anno precedente.
La Corte dei conti della Lombardia analizza
anche il tema del possibile trasferimento
della capacità assunzionale dall'ente locale
alla partecipata. Quando il rapporto è
rispettato, infatti, sia l'amministrazione
sia la società possono assumere nel limite
del 40% della spesa corrispondente alle
cessazioni dell'anno precedente. Tuttavia,
trattandosi di limitazioni poste in capo ai
due diversi enti, con distinta personalità
giuridica e autonoma dotazione organica,
l'ente locale non può trasferire una quota o
tutta la propria capacità assunzionale alla
società, né può sommare alle proprie
cessazioni quelle della società partecipata.
Né, all'inverso, la società può sommare la
capacità assunzionale del comune e i
benefici ai suoi. Tuttavia, la Corte ha
anche precisato che ente locale e società
partecipata possono utilizzare negli anni
successivi le quote di turn-over non
utilizzate negli anni precedenti.
I limiti assunzionali applicabili alle
partecipate sono rafforzati dall'articolo 4
del decreto legge 95/2012. Il comma 9,
infatti, stabilisce che per le società che
gestiscono servizi strumentali, dall'entrata
in vigore del decreto sino al 31.12.2015 si
applicano le disposizioni limitative delle
assunzioni previste per l'amministrazione
controllante, mentre per la fase precedente
la norma richiama l'articolo 9, comma 29,
della legge 122/2010.
I commi 10 e 11, poi,
stabiliscono l'applicazione del limite del
50% di spesa (riferita al 2009) per le
assunzioni a tempo determinato e il blocco
al 2011 del trattamento economico
complessivo dei dipendenti, come previsto
per le amministrazioni pubbliche (articolo
Il Sole 24 Ore del 16.07.2012 -
tratto da www.corteconti.it). |
NEWS |
APPALTI SERVIZI:
Corte costituzionale. Accolto il
ricorso di sei regioni su affidamenti in
house, diritti di esclusiva e società
partecipate.
Servizi, liberalizzazioni bocciate.
Illegittime le nuove regole: sono la copia
di quelle abrogate dal referendum.
LA DECISIONE/ Con la manovra di Ferragosto
2011 è stato «tradito» il risultato delle
consultazioni di appena due mesi prima.
Le liberalizzazioni dei servizi pubblici
locali scritte nella manovra-bis del
Ferragosto 2011 sono la copia, ancor più
decisa rispetto all'originale, di quelle
abrogate per referendum solo due mesi prima,
quindi sono illegittime.
Sulla base di questo ragionamento, tanto
attendibile nei contenuti quanto deflagrante
negli effetti, la Corte costituzionale ha
assestato ieri (sentenza 199/2012:
presidente Quaranta, relatore Tesauro) la
bordata più dura all'ultima manovra
anti-spread dell'estate scorsa (l'altro
colpo arriva sui costi della politica: si
veda l'articolo sotto), dando ragione al
gruppo di sei Regioni (Emilia-Romagna,
Marche, Umbria, Lazio, Puglia e Sardegna)
che erano partite all'attacco della nuova
normativa.
A salvare l'intervento non è bastata
l'esclusione espressa del «servizio
idrico integrato», perché i referendum
abrogativi di giugno si erano concentrati
sull'acqua solo per la propaganda, ma in
realtà avevano cancellato tutte le
liberalizzazioni contenute nel primo
tentativo del 2008. Ancor meno utile è stata
la rubrica della norma, che parlava di «adeguamento
al referendum popolare». Riproporre
norme appena cancellate dal voto, per di più
a soli 23 giorni dal decreto di abrogazione,
non si può.
Anche per questa ragione, la sentenza agisce
di machete più che di bisturi, e dichiara
l'illegittimità dell'articolo 4 del Dl
138/2011 «sia nel testo originario che in
quello risultante dalle successive
modificazioni», compresi i ritocchi
apportati da ultimo con il «Cresci-Italia»
del Governo Monti (articolo 53 del Dl
83/2012). Addio, quindi, ai limiti economici
per gli affidamenti in house, preclusi per
servizi di valore superiore ai 900mila euro
annui (diventati poi 200mila con il decreto
liberalizzazioni 1/2012 del Governo Monti),
all'obbligo per gli enti locali di
effettuare analisi di mercato entro il 13
agosto prossimo per giustificare
l'attribuzione di diritti di esclusiva (già
si parlava di una proroga da inserire nella
legge di conversione al decreto di revisione
della spesa) e, ovviamente, a tutte le norme
dei provvedimenti attuativi. Ancora una
volta, quindi, cadono le regole che
provavano a chiudere le porte girevoli fra
la politica e le società partecipate,
impedendo agli ex amministratori locali di
sedere nei consigli di amministrazione delle
società.
Immediata l'esultanza della sinistra
referendaria, a partire dal presidente della
Puglia, Nichi Vendola, che sull'onda della
sentenza chiede di cancellare subito anche
la tagliola prevista dal decreto legge sulla
revisione di spesa per le società
strumentali della Pubblica amministrazione.
Secondo gli operatori, come spiega il
direttore generale di Federutility, Adolfo
Spaziani, la sentenza è l'occasione per «cambiare
rotta e pensare a normative serie di
settore, come si è fatto con energia e gas,
per premiare chi è efficiente e colpire chi
non lo è: bisogna smetterla con questi
continui tira e molla normativi, con i quali
si vuole fare di più ma si finisce per fare
di meno». Anche l'associazione dei
Comuni, per bocca del suo vicepresidente
Alessandro Cattaneo, chiede «regole certe
subito», mentre a livello locale la
pronuncia rinfocola le polemiche contro i
processi di cessione di quote, a partire
dalla romana Acea che si era appena
incagliata al Consiglio di Stato.
Cancellata tutta l'architettura legislativa
che si era accumulata con gli ultimi
provvedimenti, la bussola torna per ora a
essere la normativa europea (richiamata
dagli stessi giudici costituzionali), che
permette l'affidamento in house a tre
condizioni: la società affidataria deve
avere capitale interamente pubblico e
svolgere la quota prevalente della propria
attività con l'ente affidante, che a sua
volta deve esercitare su questa un controllo
«analogo» a quello assicurato sui
propri uffici. Naturalmente nulla vieta
nuove leggi, anche perché la stessa Corte
costituzionale in passato ha chiarito che «il
legislatore conserva il potere di
intervenire nella materia oggetto del
referendum», a patto che l'intento non sia
di «far rivivere la normativa abrogata».
Prima di tutto, però, occorrerà chiarire
bene alcuni punti rimasti aperti, come la
sottoposizione delle società in house ai
vincoli del Patto di stabilità (si attende
il regolamento attuativo), prevista sia
all'articolo 4 (abrogato) sia al 3-bis
(sopravvissuto) della manovra estiva (articolo
Il Sole 24 Ore del 21.07.2012 - tratto
da www.ecostampa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Via allo sportello unico
obbligatorio. Per edilizia e casa rafforzata
la struttura antiburocrazia comunale per
tutti i pareri.
IL PACCHETTO/ Semplificate le procedure per
il permesso di costruire e ridotta la
documentazione con il meccanismo
dell'acquisizione d'ufficio.
Sportello unico per l'edilizia rafforzato,
senza più passaggi frammentati tra varie
amministrazioni per costruzioni e lavori.
Semplificazione delle procedure per il
permesso di costruire facendo leva su una
sorta di gestione unificata. E –per tutti
gli interventi, compresi quelli minori fatti
in casa– divieto per gli uffici pubblici di
continuare a chiedere documenti catastali,
variazioni di mappa e altri certificati già
in possesso della pubblica amministrazione.
A far scattare la "fase due" del
piano di semplificazioni congegnato dal
Governo è il via libera arrivato dalle
commissioni Finanze e Attività produttive
della Camera, seppure in extremis e non
senza qualche tensione tra maggioranza ed
Esecutivo, a un emendamento al decreto
sviluppo firmato dai relatori del
provvedimento.
Alla fine di una lunga maratona, tutti i
gruppi parlamentari, di maggioranza e
d'opposizione, hanno dato l'ok al correttivo
che era stato congelato per qualche ora per
consentire di avere sul testo
dell'emendamento anche il parere del
ministero per i Beni ambientali e culturali
su alcuni aspetti relativi ai vincoli
paesaggistici. A far notare che nel testo
abbozzato dal Governo mancava l'assenso del
Mibac è stato uno dei relatori, Alberto
Fluvi (Pd), peraltro assolutamente d'accordo
con i contenuti del correttivo così come il
suo partito.
Di qui l'impasse in commissione con il
congelamento del testo, il cui via libera
era atteso giovedì. Questa mattina poco
prima della conclusione dei lavori in
commissione il parere è arrivato, e con una
sorta di procedura "straordinaria" di
recupero, grazie anche al lavoro di
tessitura svolto dal sottosegretario ai
rapporti con il Parlamento, Giampaolo
D'Andrea. Il correttivo, firmato da Fluvi e
dall'altro relatore Raffaello Vignali (Pdl)
è stato alla fine approvato. Anche se Fluvi
e altri parlamentari, dopo aver sottolineato
la necessità di rispettare sempre
l'autonomia del Parlamento, hanno mosso
qualche critica al Governo per la
ristrettezza dei tempi a disposizione delle
Commissioni per la gestione di alcuni testi.
Un ruolo decisivo nell'elaborazione
dell'emendamento l'ha avuto il ministero
della Pubblica amministrazione che, d'intesa
con quello delle Infrastrutture, ha
contribuito a mettere nero su bianco
l'accordo raggiunto nei giorni scorsi sul
pacchetto edilizia con Regioni, enti locali
e parti sociali. Non a caso il ministro
Filippo Patroni Griffi ha espresso grande
soddisfazione per il via libera delle
Commissioni.
«Le semplificazioni si fanno soprattutto sul
campo. Questa norma –ha affermato Patroni
Griffi– si affianca al lavoro che stiamo
facendo al tavolo tecnico della conferenza
unificata con le autonomie per migliorare in
concreto i servizi a cittadini e imprese
sull'intero territorio». Il ministro ha poi
voluto ringraziare i relatori e le forze
politiche: «Il Parlamento –ha detto– sta
svolgendo un ruolo fondamentale nel
miglioramento del provvedimento, in
particolare in materia di semplificazione
per le imprese».
Il cardine del pacchetto è lo sportello
unico per l'edilizia rafforzato. Tutti gli
atti dovranno essere gestiti da questa
struttura, e altri uffici comunali o altre
amministrazioni non potranno in alcun modo
trasmettere autonomamente «ai richiedenti»
pareri, nulla-osta o documenti di consenso.
Anche tutti gli atti collegati al rilascio
del permesso di costruire (dal parere della
asl, a quelli dei Vigili del fuoco o le
certificazioni degli uffici tecnici delle
Regioni) dovranno essere acquisiti dallo
sportello unico «direttamente o tramite
Conferenza dei servizi». Scatterà poi un
taglio consistente della documentazione oggi
richiesta per effetto dell'acquisizione
d'ufficio dei documenti già in possesso
degli uffici pubblici.
---------------
Le novità nel settore costruzioni
SPORTELLO PER L'EDILIZIA -
Competenze accentrate
Lo sportello unico per l'edilizia diventa il
punto di riferimento obbligato per tutti gli
atti «riguardanti il titolo abitativo e
l'intervento edilizio oggetto dello stesso».
Lo sportello fornisce una risposta
tempestiva in luogo di tutte le Pa comunque
coinvolte.
Tutti gli atti dovranno essere gestiti da
questa struttura, e altri uffici comunali o
altre amministrazioni coinvolte dal
procedimento non potranno trasmettere
autonomamente «ai richiedenti» atti
autorizzatori, pareri, nulla-osta o
documenti di consenso
CONFERENZA DEI SERVIZI -
Più pareri acquisibili
Ai fini del rilascio del permesso di
costruire, rientra nelle competenze dello
sportello unico l'acquisizione, diretta o
tramite conferenza di servizi, di pareri di
amministrazioni finora escluse. Tra queste,
gli uffici tecnici della Regione, la Difesa,
le Dogane, le autorità competenti in materia
di vincoli idrogeologici.
Il responsabile dello sportello unico indice
la conferenza di servizi se entro sessanta
giorni dalla domanda manca ancora qualche
nulla osta o c'è il dissenso di qualche
amministrazione
DOCUMENTAZIONE -
Meno certificati richiesti
Scatta un taglio consistente della
documentazione richiesta per tutti gli
interventi, compresi quelli minori fatti in
casa, grazie all'acquisizione d'ufficio dei
documenti già in possesso degli uffici
pubblici, come documenti catastali,
variazioni di mappa e altri certificati già
a disposizione della pubblica
amministrazione.
In base alle nuove disposizioni le
amministrazioni «non possono richiedere
attestazioni, comunque denominate, o
perizie, sulla veridicità e l'autenticità di
tali documenti, informazioni e dati» (articolo
Il Sole 24 Ore del 21.07.2012 - tratto
da www.ecostampa.it). |
APPALTI FORNITURE: SPENDING
REVIEW/ Senza Consip approvigionamenti
nulli. Non c'è una norma di diritto
transitorio.
Acquisti p.a., procedure a rischio.
Nessuna certezza sulla sorte delle gare già
in corso.
Nella spending review manca una norma di
diritto transitorio per regolamentare le
acquisizioni di beni e servizi al di fuori
del sistema Consip, che rischia di mettere
fortemente in crisi le amministrazioni.
l'articolo 1 del dl 95/2012, nel
regolamentare l'obbligo per tutte le
amministrazioni di avvalersi della Consip o
delle centrali di committenza regionali per
i contratti di beni e servizi, non ha
minimamente tenuto conto delle procedure di
gara avviate e non ancora concluse al
momento dell'entrata in vigore del decreto.
Le disposizioni in merito agli acquisti sono
sin troppo drastiche: «I contratti stipulati
in violazione dell'articolo 26, comma 3,
della legge 23.12.1999, n. 488 e i
contratti stipulati in violazione degli
obblighi di approvvigionarsi attraverso gli
strumenti di acquisto messi a disposizione
da Consip spa sono nulli, costituiscono
illecito disciplinare e sono causa di
responsabilità amministrativa. Ai fini della
determinazione del danno erariale si tiene
anche conto della differenza tra il prezzo,
ove indicato, dei detti strumenti di
acquisto e quello indicato nel contratto.
Non sono comunque nulli i contratti
stipulati tramite altra centrale di
committenza a condizioni economiche più
favorevoli».
Si sanziona con la nullità, che
è insanabile, non solo e non tanto
l'approvvigionamento che avvenga a costi
maggiori di quelli rilevabili dal sistema Consip-centrali di committenza, ma
specificamente qualsiasi procedura di
acquisizione al di fuori del
sistema. Il legislatore, ...
(articolo ItaliaOggi del 20.07.2012 - tratto da
www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI: Tagli ai comuni ma più funzioni.
Rispetto al federalismo cresce la lista
delle competenze. Ridisegnati i poteri dei
sindaci. Si complicano i fabbisogni
standard.
La nuova mappa delle funzioni fondamentali
dei comuni tracciata dal decreto sulla spending review ricalca solo in parte quella
contenuta nella legge sul federalismo
fiscale. Nel complesso, il nuovo elenco pare
più ampio di quello preesistente. E quindi
lecito attendersi un ulteriore allungamento
dei tempi per l'individuazione dei
fabbisogni standard di spesa.
L'art. 19,
comma 1, del dl 95/2012, nel quadro della
complessiva revisione della disciplina
sull'obbligo di gestione associata da parte
dei piccoli comuni, provvede a ridefinire il
core business dei municipi, «ai sensi
dell'art. 117, comma 2, lett. p), Cost.».
Proprio tale riferimento alla Carta
fondamentale rivela la portata generale
della disposizione, che sembra destinata ad
applicarsi (a differenza dei commi
successivi) anche agli enti di maggiori
dimensioni, sostituendo quella di cui
all'art. 21, comma 3, della legge 42/2009.
Quest'ultimo, come noto, aveva operato una
prima cernita delle funzioni fondamentali
comunali, al fine di avviare la
determinazione dei fabbisogni standard
relativi alle connesse spese, cui agganciare
i nuovi meccanismi di finanziamento previsti
dal federalismo fiscale. A completare il
quadro, era poi intervenuto il digs 85/2010,
che aveva affidato tale compito a Sose ed
Anci-Ifel, che lo stanno (faticosamente)
svolgendo.
Ora, la novella legislativa spariglia
nuovamente le carte. In effetti, mentre la
legge 42 aveva mutuato l'articolazione delle
funzioni (e relativi servizi) prevista dal
dpr 194/1996 sui modelli di bilancio,
«scremando. (per così dire) quelle
(ritenute) fondamentali, il dl 95 introduce
una classificazione meno «familiare ...
(articolo ItaliaOggi del 20.07.2012 - tratto da
www.corteconti.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Abusivismo, fondi alle demolizioni.
La Cdp anticiperà ai comuni le spese per gli
interventi. Le amministrazioni possono agire
più velocemente grazie alla Cassa depositi e
prestiti.
La Cassa depositi e prestiti mette a
disposizione finanziamenti senza interessi,
per anticipare ai comuni i fondi per la
copertura di spese per la demolizione di
opere abusive. Tutti i comuni italiani
possono accedere a sportello al
finanziamento previsto dl n. 269/2003.
Il
Fondo rotativo ha un importo massimo pari a
50 milioni. Questi possono essere erogati,
per concedere ai comuni anticipazioni senza
interessi sui costi da sostenere. Tra
questi, sono ammissibili anche le spese
giudiziarie, tecniche e amministrative,
relativi agli interventi di demolizione
delle opere abusive, anche disposti
dall'autorità giudiziaria. Il capitale
anticipato, unitamente alle spese di
gestione del Fondo, pari allo 0,1% annuo sul
capitale erogato, deve essere restituito
entro 5 anni, utilizzando le somme riscosse
a carico degli esecutori degli abusi.
Gli
enti locali possono quindi contare su una
maggior rapidità nell'esecuzione delle
demolizioni grazie alla possibilità di
ottenere liquidità dalla Cassa depositi e
prestiti, senza dover attendere il pagamento
dei lavori da parte di chi ha realizzato gli
abusi edilizi.
Necessario il provvedimento di demolizione.
Possono accedere alle anticipazioni
esclusivamente i comuni nel cui ambito
territoriale si è realizzata l'opera
abusiva, oggetto di un provvedimento di
demolizione. Sono oggetto delle
anticipazioni esclusivamente i costi
relativi agli interventi di demolizione
delle opere abusive.
Il finanziamento può
essere accordato esclusivamente per spese
per le quali il soggetto competente alla
demolizione, non abbia concluso la fase
contabile dell'impegno in data anteriore a
90 giorni. Non sono previste soglie minime o
massime di accesso al Fondo. Ogni domanda di
anticipazione può far riferimento ad un solo
intervento di demolizione. ...
(articolo ItaliaOggi del 20.07.2012 - tratto da
www.corteconti.it). |
EDILIZIA PRIVATA: In
bilico le semplificazioni in edilizia.
Confronto fino a notte sul Dl sviluppo ma il
Pd frena – Iva per cassa, il tetto sale a 2
milioni.
IN COMMISSIONE/ Via libera con tensioni alla
modifica sull'Abruzzo Ostruzionismo della
Lega superato con un'apertura sui Comuni
dell'Emilia.
Pacchetto sulle semplificazioni edilizie in
bilico alla Camera fino a tarda notte. Con
il Pd a frenare sull'intesa raggiunta
mercoledì tra Governo, Regioni, enti locali
e le parti sociali. Nel pomeriggio
inaspettatamente è stato uno dei due
relatori, Alberto Fluvi (Pd), a non
sottoscrivere l'emendamento che era stato
affinato dai ministeri delle Infrastrutture
e della Pubblica amministrazione, mentre
l'altro relatore, Raffaele Vignali (Pdl)
confermava la sua adesione. L'ossatura del
correttivo era quella ormai nota (si veda Il
Sole 24 Ore di ieri), con lo sportello unico
per l'edilizia "rafforzato", la
semplificazione del permesso di costruire e
l'acquisizione d'ufficio della
documentazione già in possesso della
pubblica amministrazione.
Misure anti-burocrazia soprattutto per
l'edilizia con cui il Governo punta a dare
la via alla "fase due" delle
semplificazioni. E proprio per accelerare il
più possibile l'Esecutivo aveva deciso di
sfruttare subito il veicolo del decreto
sviluppo, che la prossima settimana dovrà
essere approvato dalla Camera per poi
passare al Senato per l'ok definitivo,
facendo leva su un emendamento ad hoc.
Emendamento che nella mattinata di ieri era
stato discusso con i relatori senza grosse
obiezioni.
Nel pomeriggio però a sorpresa, il
correttivo è rimasto fuori dall'ultimo
pacchetto di correttivi dei relatori per lo
stop di Fluvi, motivato con perplessità su
alcuni aspetti del testo alla tutela
dell'ambiente, ma in gran parte collegato
alla giornata di tensione vissuta ieri alla
Camera tra maggioranza e Governo. A quel
punto è scattata la trattativa fino a tarda
notte per recuperare l'emendamento.
Era stato presentato già nel pomeriggio
quello dei relatori sull'estensione
dell'opzione Iva per cassa a imprese con
volume d'affari fino a 2 milioni (oggi il
limite è a 200mila euro). L'imposta diviene,
comunque, esigibile dopo il decorso di un
anno dal momento di effettuazione
dell'operazione. Per Vignali si libera «ossigeno
per le imprese più strutturate che operano
nella subfornitura del manifatturiero».
A firma dei relatori anche l'emendamento
che, i fini della bonifica, include tra i
siti di interesse nazionale quelli
interessati da raffinerie, impianti chimici,
raffinerie, e quello che stabilisce la
responsabilità degli impiegati pubblici che
determinano ritardi nel rilascio di
autorizzazioni.
Via libera, con momenti di tensione,
all'emendamento del Governo che dà il via
alla gestione ordinaria della ricostruzione
post-terremoto in Abruzzo. L'Esecutivo è
stato battuto su una subemendamento
Pd-Pdl-Idv relativo a procedure
amministrative e ha dovuto accettare la
cancellazione della norma che sopprimeva
diversi nuclei di valutazione attivi
nell'amministrazione. L'ostruzionismo della
Lega sull'emendamento del Governo si è
interrotto solo quando, con il sostegno del
Pd, è passata la norma che estende il numero
dei comuni che riceveranno gli aiuti dopo il
sisma dell'Emilia. Approvato l'emendamento
Pd e Pdl che importa nel Dl un disegno di
legge già in esame in commissione con
incentivi all'acquisto dei veicoli elettrici
da 3.000 a 5.000 euro e agevolazioni per
diffondere i punti di ricarica. Lo
stanziamento triennale, non senza polemiche
tra Governo e maggioranza, è stato però
dimezzato a 210 milioni.
Il decreto, al quale tra l'altro sono stati
presentati da deputati Pdl emendamenti sul
patto di famiglia ribattezzati «anti-Veronica
Lario», imbarca novità sul fronte
energetico. La durata delle concessioni
idroelettriche si riallunga per un periodo «da
venti anni fino ad un massimo di trenta
anni, rapportato all'entità degli
investimenti ritenuti necessari». Le
Regioni potranno destinare una quota dei
canoni alla riduzione dei costi
dell'energia. Una svolta per il settore,
secondo Stefano Saglia (Pdl) che aveva
proposto la prima versione dell'emendamento.
Lo stesso Saglia difende l'emendamento sulla
remunerazione della generazione elettrica di
riserva, criticato da Confindustria.
L'emendamento «intende rendere meno onerosa
la crescita delle fonti rinnovabili».
«Si è cercato inoltre di rendere
operativo il principio del Dl
liberalizzazioni che ha previsto
l'introduzione del servizio di flessibilità
per garantire la sicurezza e la qualità
delle forniture»
(articolo Il Sole 24
Ore del 20.07.2012 - tratto da
www.ecostampa.it).
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Sportello unico, nessuna
Pa esclusa.
IL PROJECT BOND/ Ciaccia lancia l'ipotesi di
una super-obbligazione che tenga insieme più
società di progetto in un piano integrato.
Contiene una norma di forte impatto, che
potrebbe cambiare la velocità di marcia di
un pezzo dell'economia italiana,
l'emendamento al decreto sviluppo che
rafforza lo sportello unico per l'edilizia e
la conferenza di servizi connessa,
attribuendogli competenze non solo
istruttorie, ma anche decisorie.
In sostanza, l'emendamento -messo a punto
con una lunga riunione notturna fra Funzione
pubblica e Infrastrutture con il consenso di
Regioni, enti locali e parti sociali- fa
rientrare nel perimetro di competenza dello
sportello unico pareri di amministrazioni
fino a oggi escluse: dagli uffici tecnici
della Regione alla Difesa, dalle dogane al
demanio marittimo, dalle tutele dei beni
culturali e paesaggistiche alle autorità
competenti sui vincoli idrogeologici.
Nel testo unico per l'edilizia finora erano
ricompresi nell'attività dello sportello
unico solo i pareri delle Asl e dei vigili
del fuoco. L'emendamento prevede inoltre che
lo sportello unico per l'edilizia «costituisce
l'unico punto di accesso per il privato
interessato in relazione a tutte le vicende
amministrative riguardanti il titolo
abilitativo e l'intervento edilizio oggetto
dello stesso che fornisce una risposta
tempestiva in luogo di tutte le pubbliche
amministrazioni, comunque coinvolte».
Tra queste sono ricomprese le
amministrazioni «preposte alla tutela
ambientale, paesaggistico-territoriale, del
patrimonio storico-artistico o alla tutela
della salute e della pubblica incolumità».
Ieri, intanto, il viceministro alle
Infrastrutture, Mario Ciaccia, ha rilanciato
in un seminario organizzato dall'Ance il
tema del «project bond italiano», il
cui decollo è garantito dalle recenti
innovazioni introdotte nel decreto sviluppo.
Ciaccia ha confermato che entro fine mese
sarà emanato il decreto
Economia-Infrastrutture che regola le
garanzie prestate sui bond e i soggetti che
possono prestare queste garanzie. Il
viceministro ha anche ipotizzato un super
project bond emesso congiuntamente da più
società di progetto, «non solo al fine di
trarre beneficio dalle condizioni
finanziarie più favorevoli derivanti dal
merito di credito complessivo, ma spinti
anche dal forte grado di appetibilità del
progetto integrato».
Un ruolo importante nell'avvio dei project
bond in Italia sembra destinato ad averlo
Cassa Depositi e prestiti. Lo ha spiegato
Matteo Del Fante, direttore generale di Cdp:
«Siamo pronti a valutare –ha detto al
convegno Ance- la sottoscrizione di una
parte importante di titoli nella prima
emissione di project bond made in Italy,
ferma restando ovviamente la valutazione
sulla bontà del progetto». Cassa
depositi valuta anche l'ipotesi di lanciare
emissioni di project bond dove già è in
pista per il finanziamento di infrastrutture
(articolo Il Sole 24
Ore del 20.07.2012 - tratto da
www.ecostampa.it). |
APPALTI:
Appalti, la p.a. non paga in
solido. Amministrazioni escluse dalla
responsabilità verso il fisco. Lo prevede un
emendamento dei relatori al dl crescita.
Cause di esonero certe per l'appaltatore.
Stazioni appaltanti escluse dalla
responsabilità solidale verso il fisco per
ritenute di acconto e Iva. Un emendamento,
presentato dai relatori ...
(articolo Il Sole 24
Ore del 20.07.2012 - tratto da
www.ecostrampa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Uno
sportello unico per l'edilizia. In arrivo
misure per semplificare i lavori: procedura
snella sulla licenza per costruire.
Il Governo è pronto ad avviare subito la "fase
due" delle semplificazioni. Un nuovo
pacchetto di misure, tarate soprattutto
sull'edilizia, è in avanzato stato di
definizione. E tra oggi e domani potrebbe
essere inserito con un emendamento ad hoc
nel decreto sviluppo, all'esame delle
commissioni Finanze e Attività produttive
della Camera. Anche se resta aperta
l'ipotesi di un provvedimento mirato da
varare nei prossimi giorni.
Tre i pilastri su cui poggiano gli
interventi su cui sta lavorando da diversi
giorni il Governo d'intesa con Regioni, enti
locali e parti sociali: sportello unico per
l'edilizia rafforzato, semplificazione del
permesso di costruire e acquisizione
d'ufficio della documentazione
amministrativa già in possesso degli uffici
pubblici.
A queste misure si aggiungerebbero altri
interventi di sburocratizzazione per
facilitare la definizione dei contratti nel
settore delle costruzioni e per ridurre i
passaggi amministrativi nell'intero settore
dell'edilizia. Il ministero della Pubblica
amministrazione, che ha gestito il grosso
del l'operazione, e quello delle
Infrastrutture starebbe apportando gli
ultimi ritocchi prima di dare l'ok
definitivo all'intervento.
Ma appare già chiaro che se il pacchetto
sarà presentato dal Governo nell'attuale
configurazione, il cuore della nuova fase di
semplificazione sarà rappresentato dallo
sportello unico per l'edilizia che
funzionerebbe quasi a 360 gradi. Attualmente
questo strumento anti-burocrazia funziona
solo per un numero limitato di atti. Con le
nuove misure la gamma di procedure,
adempimenti e autorizzazioni gestita
verrebbe sensibilmente ampliata. Tra le
ipotesi allo studio c'è anche quello della
Valutazione di impatto ambientale (Via) "standardizzata",
senza più distinzioni tra livello nazionale
e regionale. Ma nelle ultime ore questa
opzione sembra aver perso quota.
Il lavoro compiuto dall'Esecutivo in
sinergia con i governatori, anche sulla base
delle indicazioni provenienti dalle imprese,
ha comunque consentito di mettere a punto
altri interventi. A cominciare dalla
semplificazione del permesso di costruire
cui si aggiungerebbe un'altra
sburocratizzazione delle procedure sulla
demolizione delle costruzioni. Un sensibile
cambiamento di rotta ci sarebbe sul fronte
documentazione: gli atti già in possesso
della Pa verrebbero considerati acquisiti
d'ufficio.
Già ieri sembrava che il nuovo pacchetto di
semplificazioni fosse pronto ad entrare nel
decreto sviluppo. Ma alla fine è stato
deciso di valutare se ricorrere oggi o
domani a un emendamento ad hoc dei
relatori del provvedimento alla Camera,
Raffaele Vignali (Pdl) e Alberto Fluvi (Pd).
Sempre oggi dovrebbe essere presentato dai
relatori l'emendamento sul rafforzamento
dell'Iva per cassa.
Intanto ieri le commissioni hanno lavorato
fino a tarda notte ma con diversi stop
and go per un lungo braccio di ferro tra
Lega e maggioranza sulle misure sul
terremoto per l'Abruzzo. Per effetto del
l'approvazione di due sub-emendamenti
(presentati rispettivamente da Udc e Pd e
Pdl e Idv) all'emendamento originario del
ministro Fabrizio Barca sono stati esclusi
dal patto di stabilità interno i fondi che i
Comuni del l'Abruzzo spenderanno per la
ricostruzione post terremoto, con il
passaggio dalla gestione commissariale a
quella ordinaria. Ma il Carroccio ha
continuato a fare ostruzionismo chiedendo
che venissero discussi anche gli emendamenti
sul sisma in Emilia Romagna, Lombardia e
Veneto.
Prima della maratona notturna le commissioni
hanno comunque approvato qualche altro
ritocco: la velocizzazione delle procedure
per realizzare le opere di Expo 2015; la
remunerazione dei servizi di flessibilità
energetica offerti dagli impianti appositi
che entrano in funzione quando quelli a
energia rinnovabile "staccano";
l'istituzione a Palazzo Chigi del Comitato
per le politiche urbane (Cipu) che
coordinerà l'azione delle amministrazioni
centrali e di quelle locali. La commissione
Giustizia, nel suo parere al Dl, ha chiesto
di «riscrivere» la norma sull'udienza
filtro in appello, voluta dal ministro
Severino per accorciare la definizione dei
processi civili.
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Le quattro misure per le
costruzioni. Tempi certi e costi ridotti per
imprese e cittadini
LE CORREZIONI/ Modifiche al silenzio-assenso
per il permesso di costruire, riduzione dei
documenti e modifica della sagoma nelle
demolizioni e ricostruzioni.
Quattro misure per rilanciare e velocizzare
l'edilizia. È quello che ha proposto ieri il
nuovo tavolo istituzionale composto da
Governo, Regioni, enti locali e parti
sociali, riunitosi per la prima volta
chiedendo, in nome della crescita del Pil,
di varare un pacchetto di semplificazioni
buone soprattutto per il settore delle
costruzioni.
La prima misura è l'affidamento allo «sportello
unico» per l'edilizia di competenze
decisorie che possano velocizzare le
procedure amministrative e ridurre gli oneri
a capo dei privati. In questo modo si
semplifica il front office per
l'impresa: il procedimento diventa unico e
tutti gli adempimenti passano per lo stesso
ufficio.
Su questa misura il ministero delle
Infrastrutture non muove rilievi di fondo,
ma chiede che sia previsto un regime
transitorio di sei mesi su cui, peraltro,
non sembra esserci opposizione da parte di
nessuno. La probabilità che la norma entri
nel decreto sembrano quindi buone.
Anche sulla seconda proposta non sembrano
esserci ostacoli particolari. È quella che
prevede l'introduzione del principio
generale dell'acquisizione d'ufficio dei
documenti già in possesso della pubblica
amministrazione. Che senso ha che in una
domanda per una Dia presentata al comune si
debba allegare anche la mappa catastale che
è stata prodotta dal comune stesso?
L'obiettivo è anche in questo caso la
riduzione dei tempi e degli oneri
amministrativi in capo ai privati.
Più difficoltoso sembra il percorso della
terza norma proposta dal tavolo
istituzionale: l'eliminazione del limite
della sagoma nelle ristrutturazioni edilizie
svolte mediante demolizione e ricostruzione.
È una questione su cui hanno già legiferato
recentemente alcune Regioni, come la
Lombardia: una questione che si dibatte da
tempo e che ormai sembra matura, soprattutto
perché non viene meno l'obbligo di
rispettare né le norme sulla sicurezza né le
prescrizioni in materia architettonica.
Perché, se si demolisce e ricostruisce un
edificio con una ristrutturazione edilizia,
necessariamente la sagoma deve restare la
stessa, anche se si parla di un brutto
edificio?
Le innovazioni legislative regionali sono
state bloccate dalla Consulta che, con la
sentenza 309/2011, ha dichiarato illegittima
la legge della Lombardia, ribadendo la
titolarità esclusiva dello Stato a
legiferare sulla materia.
Su questa norma, forse proprio per un
presunto rispetto della sentenza della Corte
costituzionale, le obiezioni del ministero
delle Infrastrutture erano ieri più
consistenti, al punto che sembrava difficile
l'inserimento nel decreto legge sviluppo.
L'ultima modifica riguarda la correzione di
alcune criticità esistenti nella disciplina
del rilascio del permesso di costruire
previsto dall'articolo 20 del testo unico
per l'edilizia.
In sostanza si precisa che il termine per la
formazione del silenzio-assenso decorre
soltanto dalla presentazione della domanda
di permesso di costruire e non dalla
precedente fase istruttoria. La correzione
riguarda soltanto gli interventi non
soggetti a vincoli ambientali e
paesaggistici. Anche su questa norma sembra
esserci qualche difficoltà e la discussione
in seno al Governo è andata avanti fino a
tarda serata.
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MODIFICA ALLO STUDIO
Pa, sanzioni per chi non
rispetta i tempi.
Per i responsabili di procedimenti pubblici
la mancata osservanza dei termini relativi a
permessi, autorizzazioni, licenze potrebbe
portare come sanzione alla riduzione pari a
un terzo della normale retribuzione
giornaliera per ogni giornata di ritardo.
«I contratti di lavoro prevedono sanzioni
disciplinari più gravi per i casi in cui
l'inadempienza sia reiterata dai medesimi
soggetti». Lo prevede un emendamento
all'articolo 13 che, una volta superata
l'ultima valutazione del governo, dovrebbe
essere presentato oggi dal relatore
Raffaello Vignali (Pdl) (articolo Il Sole 24
Ore del 19.07.2012 - tratto da
www.ecostampa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI: Prende
piede la proposta del presidente della Corte
dei conti, Giampaolino, a ItaliaOggi.
Controlli preventivi sugli enti locali. Solo
così si può mettere il morso alla spesa
pubblica impazzita.
Martedì prossimo i comuni italiani
protesteranno davanti a palazzo Madama
contro i tagli alla spesa pubblica. Senza
distinzione di colore politico, i sindaci,
organizzati dall'Anci, faranno sentire ai
senatori le proprie doglianze. E chiaro a
tutti, meno che agli amministratori
comunali, che se la spesa pubblica va
bastonata, gli enti locali debbono pagare
come e più degli altri enti.
Se i comuni ottenessero di essere esenti o
quasi dalla diminuzione delle spese loro
imputate, è evidente che resteremmo ancora
fermi alla partenza, come siamo fermi da
mesi, perché le manovre (svolte prima dal
governo Berlusconi, poi dal governo Monti)
hanno sostanzialmente riguardato
l'incremento del carico fiscale, non la
decapitazione della spesa pubblica.
L'ascesa incontrollata della spesa periferica si può far risalire al
progressivo decadere dei controlli sugli
enti locali. In età liberale, nel ventennio,
successivamente fino all'istituzione delle
regioni, la cosiddetta tutela sui comuni (ma
non solo: pure sulle province, sui consorzi,
sulle ex opere pie, istituzioni di
assistenza e beneficenza, ospedali) era
svolta dalla giunta provinciale
amministrativa.
La presenza in essa del prefetto e di alti
funzionari di prefettura (c'erano poi membri
elettivi) era garanzia che il controllo, non
solo di legittimità, ma altresì nel ...
(articolo ItaliaOggi del 19.07.2012 - tratto da
www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI: Società
pubbliche in house al bivio. Uscita di scena
per chi riceve l'affidamento diretto di
servizi dalla p.a.. Escluse le quotate.
Società pubbliche in house al tramonto. Il
decreto sulla spending review (95/2012),
all'articolo 4, programma l'uscita di scena
delle società che ricevono l'affidamento
diretto di servizi da parte della pubblica
amministrazione e ridimensiona i consigli di
amministrazione.
Si chiude qualche rubinetto della spesa
pubblica (i compensi degli amministratori,
da scegliere in prevalenza tra dipendenti
pubblici) e si apre al mercato. Le novità
non si applicano, però, alle società quotate
e alle loro controllate. Il primo obiettivo
è, dunque, ridurre il numero delle società
in house esistenti, quando le stesse non
prestino almeno il 10% (in termini di
fatturato) delle proprie attività a favore
di soggetti diversi dalla pubblica
amministrazione, con alcune eccezioni
individuate dalla legge o da successivo dpcm,
motivate da particolare esigenze di
interesse pubblico.
Le società in house se non stanno sul
mercato devono eclissarsi e i servizi devono
essere gestiti da soggetti scelti su base
concorrenziale. Così si prevedono effetti
finanziari positivi, che potranno essere
accertati a seguito dell'avvenuto
scioglimento delle società in house con
conseguente affidamento del servizio a terzi
nel rispetto della normativa nazionale e
comunitaria, ovvero della alienazione delle
partecipazioni. Vediamo dunque le misure
previste per il settore delle public
company.
Nel dettaglio l'ipotesi è quella delle
società controllate direttamente o
indirettamente dalle pubbliche
amministrazioni istituzionali (articolo 1,
dlgs 165/2001), che abbiano conseguito
nell'anno 2011 un fatturato da prestazione
di servizi a favore di pubbliche
amministrazioni superiore al 90 per cento.
Queste società, che lavorano quasi
esclusivamente per il settore pubblico,
vanno incontro a una delle seguenti
alternative: sono sciolte entro il
31.12.2013; oppure le partecipazioni devono
essere ...
(articolo ItaliaOggi
Sette del 16.07.2012 - tratto da
www.corteconti.it). |
SEGRETARI COMUNALI:
Personale. Ricambio fermo all'80%
delle uscite dell'anno precedente. Un tetto
ai nuovi ingressi per i segretari comunali.
Una disposizione a sorpresa che si ritrova
nella bozza del decreto spending review
riguarda i segretari comunali laddove si
prevede (all'articolo 14, comma 6, del Dl
95/2012) che: «A decorrere dal 2012 le
assunzioni dei segretari comunali e
provinciali sono autorizzate con le modalità
di cui all'articolo 66, comma 10, del
decreto-legge 25.06.2008, n. 112,
convertito, con modificazioni, dalla legge
06.06.2008, n. 133 per un numero di unità
non superiore all'80 per cento a quelle
cessate dal servizio nel corso dell'anno
precedente».
Si tratta di fatto di una norma che limita
il turn-over dei segretari nella misura
dell'ottanta per cento, norma che si
ricollega a quelle in materia di personale
statale .
Una norma tuttavia che, se convertita in
legge, avrà effetti sia a breve che a lungo
termine sulla categoria ma anche
sull'organizzazione degli enti locali .
A breve termine, la disposizione andando a
limitare la possibilità di scelta dei
sindaci non potrà che determinare un
ampliamento delle convenzioni di segreteria
già esistenti. Convenzioni che, spesso
costituite da tre o quattro comuni, già oggi
con enorme difficoltà assicurano un servizio
ottimale ed efficiente anche se tale forma
associativa comunque per sua natura non può
consentire di ovviare alla carenza ormai
atavica della figura in determinate aree del
territorio nazionale.
A lungo termine la norma sancisce, di fatto,
la configurazione della categoria dei
segretari, come categoria ad esaurimento con
la conseguenza che per gli enti locali si
porrà, quanto prima, il problema del vertice
organizzativo atteso che la dotazione dei
segretari, via via, sarà sempre più
numericamente insufficiente a garantire il
servizio.
Questa scelta, infine, appare in contrasto
con la rivalutazione della figura del
segretario che sembrava emergere dal disegno
di legge anti-corruzione recentemente
licenziato dalla Camera che attribuisce
maggiori funzioni ai segretari.
In realtà, a ben vedere, la scelta di
ridurre il turn-over dei segretari comunali
si spiega con il collegamento con la
disciplina sempre prevista dal decreto sulla
spending review.
Il decreto legge sempre in materia di
gestioni associate, sostanzialmente lascia
presagire un aumento delle unioni e delle
convenzioni che di fatto determinerà una
riduzione di sedi di segreteria, almeno
quelle singole, nei piccoli comuni.
Questo nonostante sia noto che le
convenzioni di segreteria sono oggetto di
disciplina speciale che deve essere derogata
espressamente dalla normativa generale.
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L'operazione
01 | IL TAGLIO
Già da quest'anno il decreto sulla
spending review n. 2 (Dl 95/2012) ha
messo un tetto alle assunzioni di segretari
comunali.
I nuovi ingressi non devono superare l'80%
di quelli fuoriusciti nell'anno precedente
02 | GLI EFFETTI
A breve termine i sindaci saranno spinti ad
ampliare il ricorso alle convenzioni di
segreteria già esistenti, di solito
costituite fra tre-quattro comuni.
A lungo andare potrebbero sorgere problemi
nel reperimento di questa figura
professionale (articolo
Il Sole 24 Ore del 16.07.2012 -
tratto da www.corteconti.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Decreto Sviluppo. Ora è possibile
sostituire pareri e nullaosta con le
dichiarazioni dei professionisti.
Dia con autocertificazione. Restano escluse
le autorizzazioni per paesaggio, ambiente e
sicurezza.
Semplificare, snellire, velocizzare. Con il
decreto legge 83 del 22 giugno (il decreto
sviluppo), il Governo ritorna sulla
disciplina dei titoli edilizi nel tentativo
di dare nuovo impulso alle costruzioni e
all'economia.
In buona sostanza, si tratta di estendere
alla Dia la possibilità, già prevista per la
Scia, di autocertificare il ricorso dei
presupposti e delle condizioni per lo
svolgimento dell'attività edilizia che la
legge (e ora anche i regolamenti) demandano
al parere o all'esecuzione di verifiche
preventive di organi o enti appositi (si
veda anche l'articolo a fianco).
Se la modifica è di poco conto per la Scia
(sono ora autocertificabili anche le
verifiche previste dai regolamenti, quali il
piano regolatore e il regolamento edilizio)
perché si limita a chiarire quanto poteva
essere fonte di dubbio, per la Dia (cui sono
soggette anche le opere di ristrutturazione
e che in alcune Regioni consente la
realizzazione di tutti gli interventi
edilizi) l'innovazione è rilevante e non è
detto che sia a tutta vantaggio del privato.
La novella dell'articolo 23, comma 1-bis,
del testo unico dell'edilizia, stabilisce
dunque che «nel caso in cui la normativa
vigente preveda l'acquisizione di atti o
pareri di organi e enti appositi, ovvero
l'esecuzione di verifiche preventive... essi
sono comunque sostituiti dalle
autocertificazioni, attestazioni e
asseverazioni o certificazioni di tecnici
abilitati relative alla sussistenza dei
requisiti e dei presupposti previsti».
Con l'eccezione dei pareri relativi ai
vincoli e ai vari profili della sicurezza
pubblica, la cui assunzione preventiva
continua a essere necessaria per l'avvio dei
lavori, la nuova disciplina modifica il
rapporto pubblico-privato. Mentre prima
l'interessato poteva limitarsi a presentare
la Dia demandando all'amministrazione di
assumere –nei 30 giorni entro cui il comune
può diffidare l'inizio dei lavori– i pareri
e le verifiche previste, ora di queste
attività (alcune con una forte componente
discrezionale, si pensi ad esempio, al
parere della commissione edilizia) deve
farsi comunque carico il privato,
assumendosi ulteriori responsabilità e spese
tecnico-professionali.
La semplificazione parrebbe così forse più a
vantaggio della Pa, anche se la nuova
funzione di controllo rispetto alle
attestazioni del privato può essere più
rischiosa in termini di danni da risarcire
qualora sia disposto un ordine di non
eseguire i lavori che sia riconosciuto
illegittimo dal Tar (si veda l'articolo a
fianco).
Scia promossa
La nuova previsione, che comunque rafforza
il ruolo del privato nella dialettica con
l'amministrazione, giunge in un momento in
cui si sono diradati i dubbi sulla
legittimità dell'intervento statale nella
disciplina dell'edilizia. La Corte
costituzionale, con la decisione 164
depositata lo scorso 27 giugno, ha infatti
chiarito che la Scia attiene ai livelli
essenziali delle prestazioni che un
cittadino vanta nei confronti della Pa ed è
dunque materia riservata alla competenza
esclusiva dello Stato. La sentenza ha così
rigettato i ricorsi promossi da Valle
d'Aosta, Toscana, Liguria, Emilia Romagna e
Puglia per l'illegittimità del Dl 78/2010
che aveva introdotto la Scia.
Di conseguenza, le diverse leggi regionali
che disciplinano compiutamente la procedura
della Dia in modo difforme dalla novella
statale sono da quest'ultima integrate,
dovendosi ritenere che la possibilità di
autocertificare i pareri, gli atti e le
verifiche è prevista in relazione ai «diritti
civili e sociali che devono essere garantiti
su tutto il territorio nazionale».
Resta il rammarico che interventi non
secondari rispetto alla disciplina edilizia
vengano disposti attraverso la decretazione
d'urgenza, mettendo a rischio la coerenza
interna del sistema e creando -come accade
ora- l'incertezza che si sviluppa nei 60
giorni che vanno dalla pubblicazione del
decreto alla sua conversione in legge .
Senza peraltro che da questa innovazione si
possa ragionevolmente attendere un
contributo al rilancio dell'economia.
---------------
Dalla domanda ai controlli
01 | LA DIA
La denuncia di inizio attività è una
comunicazione che il proprietario
dell'immobile o chi ne ha titolo presenta al
Comune almeno 30 giorni prima dell'inizio
dei lavori, corredata da una relazione
dettagliata delle opere da eseguire e dagli
elaborati grafici sottoscritti da un
progettista abilitato
02 | I LAVORI
La Dia è necessaria per le opere di
ristrutturazione. La sua applicazione è
definita a livello regionale. In alcune
Regioni la Dia è necessaria per tutti gli
interventi edilizi, anche in sostituzione
del permesso di costruire. Sono esclusi
quelli liberi quali la manutenzione
ordinaria.
03 | LA PROCEDURA
Nella relazione di accompagnamento il
progettista deve asseverare la conformità
delle opere da realizzare agli strumenti
urbanistici adottati o approvati e ai
regolamenti edilizi vigenti, nonché il
rispetto delle norme di sicurezza e di
quelle igienico-sanitarie.
04 | LA SEMPLIFICAZIONE
Il decreto sviluppo
(Dl 83/2012, ora in fase di conversione alla
Camera) ha esteso alla Dia la possibilità
già prevista per la Scia di autocertificare
nella relazione del tecnico l'esistenza dei
presupposti che legittimano l'intervento
edilizio, ovvero i pareri e i nullaosta non
legati a vincoli ambientali, paesaggistici o
culturali.
05 | I CONTROLLI
Resta al Comune il compito di controllare le
autocertificazioni, con l'onere di risarcire
i danni in caso di stop illegittimi.
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Gli oneri
01|I TECNICI
I professionisti abilitati che
autocertificano, attestano o asseverano gli
atti e i pareri a corredo di una Scia o di
una Dia si assumono l'onere con proprie
valutazioni anche discrezionali di valutare
la compatibilità dell'intervento
sostituendosi ai giudizi degli enti
preposti.
02|I COMUNI
L'ente pubblico non può più limitarsi a
evidenziare eventuali contrasti con la
normativa vigente. Deve individuare con
precisioni eventuali errori. Se sbaglia, può
essere condannato a pagare un indennizzo per
aver bloccato i lavori in modo illegittimo.
---------------
Sui progettisti ora gravano più
responsabilità. L'impatto. Devono verificare
la compatibilità
I COMUNI/ Più attenzione alla
vigilanza: l'ente rischia di dover pagare un
risarcimento se blocca in modo illegittimo i
lavori già avviati.
Forse per il Comune è più comodo verificare
la correttezza delle autocertificazioni del
privato anziché attestare la rispondenza del
progetto alle indicazioni di leggi e
regolamenti, ma in questo modo aumenta per
l'ente la responsabilità nel caso in cui il
punto di vista del privato sia erroneamente
disatteso bloccando la realizzazione di
lavori che invece erano in regola.
Il decreto sviluppo estende alla Dia il
principio di semplificazione già previsto
per la Scia, secondo cui gli atti, i pareri
e le verifiche preventive di organi o di
enti appositi da acquisire sono sostituiti
da autocertificazioni, attestazioni e
asseverazioni o certificazioni di tecnici
abilitati.
I tecnici devono così garantire la
sussistenza dei requisiti e dei presupposti
previsti dalla legge, dagli strumenti
urbanistici approvati o adottati e dai
regolamenti edilizi, sostituendo,
responsabilmente, le proprie valutazioni a
quelle dell'amministrazione.
Il Dl 83/2012, in ogni caso, fa salve le
verifiche successive delle amministrazioni
competenti, le quali, se riscontrano errori
nelle valutazioni dei tecnici, possono
diffidare dal realizzare l'intervento.
Ebbene, il nuovo procedimento certamente fa
ricadere sui tecnici importanti
responsabilità ma, a ben vedere, consente
all'interessato di avere qualche garanzia in
più sull'attuabilità dell'intervento e
maggiori certezze riguardo al risarcimento
del danno correlato a provvedimenti
inibitori illegittimi della pubblica
amministrazione.
L'amministrazione, infatti, non potrà
diffidare un intervento limitandosi ad
evidenziare un presunto contrasto con la
normativa vigente, ma dovrà argomentare
riguardo all'errata valutazione da parte del
tecnico del privato.
A fronte di ciò, in sede giudiziale, una
volta che è stato annullato un provvedimento
di inibitoria illegittimo, sarà più semplice
ottenere la condanna dell'ente a risarcire
il danno dovuto per l'ingiustificata
sospensione dei lavori.
La giustizia amministrativa ha già
evidenziato che, a seguito dell'annullamento
di un provvedimento di inibitoria,
l'amministrazione può verificare nuovamente
la sussistenza dei requisiti per l'attività
costruttiva, ma è responsabile dei danni
causati dall'illegittima sospensione dei
lavori (Tar Milano-Lombardia sezione II,
05.04.2011, n. 901; Tar Milano-Lombardia,
sezione II, 15.04.2010, n. 1092).
Per ottenere la condanna
dell'amministrazione, secondo l'orientamento
giurisprudenziale prevalente, nemmeno è
richiesto un particolare impegno probatorio:
l'interessato può limitarsi ad invocare
l'illegittimità dell'atto quale indice
presuntivo di colpa. Spetterà, per contro,
all'amministrazione dimostrare che si è
trattato di un "errore scusabile" o
che comunque non fosse esigibile una
alternativa condotta lecita (Consiglio di
Stato, sezione IV, 31.01.2012, n. 483;
Consiglio di Stato, sezione V, 06.12.2010,
n. 8549).
A fronte di un provvedimento inibitorio
illegittimo, mediante il quale siano state
confutate considerazioni tecniche, poi
giudicate corrette e conformi alla legge, è
evidente che l'amministrazione difficilmente
potrà sostenere di essere ricaduta in un
errore scusabile e che una diversa
valutazione non fosse possibile.
---------------
L'iter. Esclusi gli atti legati a
beni vincolati. Resta ancora necessario l'ok
del sovrintendente.
La
semplificazione che consente anche nella Dia
di sostituire i pareri o le verifiche
preventive necessarie con
un'autocertificazione del tecnico abilitato
prevista dal decreto sviluppo ha un limite:
non si applica a vincoli ambientali,
paesaggistici o culturali e agli atti delle
amministrazioni preposte alla tutela di
altri interessi preminenti, specificamente
identificati dalla disposizione.
Con questa operazione il legislatore,
rilevando che le leggi regionali prevedono
per analoghi interventi Dia o Scia in
termini spesso confusi ed alternativi, ha
espressamente inteso rimettere ordine
quantomeno procedimentale, dettando regole
di semplificazione analoghe per i due
istituti.
Il nuovo comma 1-bis dell'articolo 23 del
Dpr 380/2001, introdotto dall'articolo 13
del decreto legge, prevede dunque che anche
per la Dia i tecnici abilitati debbano, con
la propria attestazione, garantire la
sussistenza dei requisiti e presupposti
previsti dalla legge, dagli strumenti
urbanistici approvati o adottati e dai
regolamenti edilizi. Resta fermo il potere
dell'amministrazione di verificare la
correttezza delle valutazioni dei tecnici.
La modifica del Testo unico edilizia
prevede, inoltre, che le denunce, corredate
da tutti gli elaborati previsti, possano
essere presentate mediante raccomandata con
avviso di ricevimento, fatti salvi i
procedimenti per i quali è previsto
l'utilizzo esclusivo della modalità
telematica, modalità che, sulla base di un
regolamento da adottare su proposta del
ministro delle Infrastrutture e dei
trasporti, dovrebbe diventare la via
esclusiva per la presentazione delle
denunce.
Il Governo ha, infine, modificato la
disciplina della Scia, precisando che sono
sostituiti da autocertificazioni,
attestazioni, asseverazioni o
certificazioni, non solo gli atti, i pareri
e le verifiche preventive previsti da legge,
ma anche quelli imposti da regolamenti.
Continua dunque il processo di
semplificazione dei procedimenti
amministrativi, basato sulla limitazione
dell'obbligo di ottenere un'autorizzazione
preliminare ai soli casi indispensabili e
sull'introduzione del principio comunitario
di tacita autorizzazione (direttiva
2006/123/CE, attuata con Dlgs 59/2010) (articolo
Il Sole 24 Ore del 16.07.2012). |
GIURISPRUDENZA |
APPALTI:
Fra le cause di esclusione dalle
gare pubbliche devono essere ricomprese,
oltre alle ipotesi previste dall’art. 2359
C.C., anche quelle non codificate di
collegamento sostanziale le quali,
attestando la riconducibilità dei soggetti
partecipanti alla procedura ad un unico
centro decisionale, causano o possono
causare la vanificazione dei principi
generali in tema di par condicio, segretezza
delle offerte e trasparenza della
competizione, risultando ininfluente che la
rilevanza del collegamento anche sostanziale
sia stata o meno esplicitata nel bando di
gara.
In tal modo si tende ad evitare che il
corretto e trasparente svolgimento delle
gare di appalto ed il libero gioco della
concorrenza possano essere irrimediabilmente
alterati dalla eventuale presentazione di
offerte che, pur provenendo formalmente da
due o più imprese, siano tuttavia
riconducibili ad un unico centro di
interesse: la ratio di tale previsione è
quella di evitare il rischio di ammissione
alla gara di offerte provenienti da soggetti
che, in quanto legati da stretta comunanza
di interesse caratterizzata da una certa
stabilità, non sono ritenuti, proprio per
tale situazione, capaci di formulare offerte
caratterizzate dalla necessaria
indipendenza, serietà ed affidabilità,
coerentemente quindi ai principi di
imparzialità e buon andamento cui deve
ispirarsi l’attività della pubblica
amministrazione ai sensi dell’art. 97 della
Costituzione.
E’ stato evidenziato che, mentre in assenza
di situazioni di controllo di cui all’art.
2359 C.C. o di altri indici rivelatori di un
collegamento sostanziale, non può dirsi
comprovata l’esistenza di un unico centro di
interesse tra due (o più) soggetti distinti,
tale da consentire uno scambio di
informazione, è sufficiente la presenza di
significativi elementi rilevatori di un
collegamento sostanziale tra le imprese
affinché sorga l’onere in capo
all’amministrazione di verificare se essi
sia stato tale da alterare il normale,
imparziale e concorrenziale meccanismo della
gara; inoltre, mentre nelle ipotesi di
situazioni di controllo ex art. 10, comma
1-bis, della legge 11.02.1994, n. 109, opera
un meccanismo di presunzione iuris et de
iure circa la sussistenza della turbativa
del corretto svolgimento della procedura
concorsuale, nel caso di collegamento
sostanziale deve essere provata in concreto
l’esistenza di elementi oggettivi
concordanti, tali da ingenerare il pericolo
per i principi di segretezza, serietà delle
offerte e par condicio dei concorrenti.
Occorre rilevare al riguardo che, secondo un
consolidato indirizzo giurisprudenziale, fra
le cause di esclusione dalle gare pubbliche
devono essere ricomprese, oltre alle ipotesi
previste dall’art. 2359 C.C., anche quelle
non codificate di collegamento sostanziale
le quali, attestando la riconducibilità dei
soggetti partecipanti alla procedura ad un
unico centro decisionale, causano o possono
causare la vanificazione dei principi
generali in tema di par condicio, segretezza
delle offerte e trasparenza della
competizione, risultando ininfluente che la
rilevanza del collegamento anche sostanziale
sia stata o meno esplicitata nel bando di
gara (C.d.S., sez. V, 06.04.2009, n. 2139;
08.09.2008, n. 4267; sez. VI, 05.08.2004, n.
5464; 13.06.2005, n. 3089), non rinvenendosi
a tal fine alcun ostacolo dal contenuto
delle disposizioni di cui al ricordato art.
2359 C.C. (C.d.S., sez. IV, 28.01.2011, n.
673; sez. V, 24.08.2010, n. 5923; sez. VI,
26.02.2008, n. 1094).
In tal modo si tende ad evitare che il
corretto e trasparente svolgimento delle
gare di appalto ed il libero gioco della
concorrenza possano essere irrimediabilmente
alterati dalla eventuale presentazione di
offerte che, pur provenendo formalmente da
due o più imprese, siano tuttavia
riconducibili ad un unico centro di
interesse: la ratio di tale
previsione è quella di evitare il rischio di
ammissione alla gara di offerte provenienti
da soggetti che, in quanto legati da stretta
comunanza di interesse caratterizzata da una
certa stabilità, non sono ritenuti, proprio
per tale situazione, capaci di formulare
offerte caratterizzate dalla necessaria
indipendenza, serietà ed affidabilità,
coerentemente quindi ai principi di
imparzialità e buon andamento cui deve
ispirarsi l’attività della pubblica
amministrazione ai sensi dell’art. 97 della
Costituzione.
E’ stato evidenziato che, mentre in assenza
di situazioni di controllo di cui all’art.
2359 C.C. o di altri indici rivelatori di un
collegamento sostanziale, non può dirsi
comprovata l’esistenza di un unico centro di
interesse tra due (o più) soggetti distinti,
tale da consentire uno scambio di
informazione (C.d.S., sez. VI, 27.07.2011,
n. 4477), è sufficiente la presenza di
significativi elementi rilevatori di un
collegamento sostanziale tra le imprese
affinché sorga l’onere in capo
all’amministrazione di verificare se essi
sia stato tale da alterare il normale,
imparziale e concorrenziale meccanismo della
gara (C.d.S., sez. IV, 28.01.2011, n. 673);
inoltre, mentre nelle ipotesi di situazioni
di controllo ex art. 10, comma 1-bis, della
legge 11.02.1994, n. 109, opera un
meccanismo di presunzione iuris et de
iure circa la sussistenza della
turbativa del corretto svolgimento della
procedura concorsuale, nel caso di
collegamento sostanziale deve essere provata
in concreto l’esistenza di elementi
oggettivi concordanti, tali da ingenerare il
pericolo per i principi di segretezza,
serietà delle offerte e par condicio dei
concorrenti (C.d.S., sez. V, 17.09.2009, n.
5578; sez. VI, 06.09.2010, n. 6469)
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 18.07.2012 n. 4189 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
COMPETENZE GESTIONALI:
Se una istanza viene respinta da un
assessore, si tratta di un diniego
illegittimo per incompetenza e non di un
parere politico.
Nel caso esaminato dalla
sentenza 18.07.2012 n. 1022 del TAR
Veneto, Sez. III, un assessore comunale
rigettava l'istanza di integrazione retta
alberghiera presentata da un cittadino, che
presentava un ricorso al TAR, eccependo
l'incompetenza dell'assessore a rispondere.
La difesa dell’amministrazione eccepiva
l’inammissibilità della doglianza, atteso
l’evidente carattere non provvedimentale, ma
meramente politico della risposta inviata
dal Comune.Il TAR ha accolto il ricorso,
dicendo che: "Ritiene invece il Collegio che
la risposta si confronti con una domanda il
cui contenuto risulta inequivocabilmente
quello di una istanza all’integrazione della
retta, alla quale, semmai, l’amministrazione
avrebbe dovuto replicare chiedendo che fosse
l’attuale ricorrente, in qualità di
richiedente, ad avanzare la domanda,
proposta invece, come detto, dall’attuale
difensore; invece, l’aver risposto in senso
negativo qualifica la nota assessorile come
arresto procedimentale immediatamente lesivo
della posizione della richiedente,
legittimandola dunque all’impugnazione. Il
ricorso è dunque fondato, dovendosi
riesaminare la domanda presentata da parte
dell’organo comunale competente".
Dunque l'assessore non può firmare quello
che compete ai funzionari (link a http://venetoius.myblog.it). |
APPALTI:
Quali certificazioni di qualità
consentono di godere del beneficio della
riduzione della cauzione?
Per quanto riguarda il dimezzamento della
cauzione provvisoria deve ribadirsi che sono
idonee a far conseguire il beneficio della
riduzione le certificazioni di qualità che
si riferiscono agli aspetti gestionali
dell’impresa nel suo complesso.
La certificazione di qualità non riguarda il
servizio o il prodotto finale erogato
dall’impresa, quanto piuttosto la qualità
dei processi operativi di questa considerati
nel loro complesso. (cfr. C.G.A. n. 511 del
2012).
Del resto l’art. 4, comma 2, del D.P.R. n.
34 del 2000 (come oggi l’art. 63, comma 2,
del D.P.R. n. 207 del 2010) prevede che “La
certificazione del sistema di qualità
aziendale e la dichiarazione della presenza
degli elementi significativi e tra loro
correlati del sistema di qualità aziendale
si intendono riferite agli aspetti
gestionali dell’impresa nel suo complesso,
con riferimento alla globalità delle
categorie e classifiche” (massima tratta
da www.dirittodegliappaltipubblici.it -
C.G.A.R.S.,
sentenza
18.07.2012 n. 652 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
LAVORI PUBBLICI:
L'impresa che abbia richiesto in
termini la verifica triennale del proprio
attestato SOA può partecipare alle gare
indette dopo il triennio anche se la
verifica sia compiuta successivamente.
La proroga a cinque anni dell'efficacia
delle attestazioni SOA disposta dall'art. 7,
comma 1, della legge 01.08.2002, n. 166 e
dall'art. 1 del d.P.R. 10.03.2004, n. 93, è
subordinata alla richiesta di verifica
triennale ed al suo positivo esito.
L'impresa che abbia richiesto in termini la
verifica triennale del proprio attestato SOA
può partecipare alle gare indette dopo il
triennio anche se la verifica sia compiuta
successivamente, fermo restando che
l'efficacia dell'aggiudicazione è
subordinata, ai sensi dell'art. 11, comma 8,
del d.lgs. 12.04.2006, n. 163, all'esito
positivo della verifica stessa. Viceversa
l'impresa che abbia presentato la richiesta
fuori termine può partecipare alle gare
soltanto dopo la data di positiva
effettuazione della verifica (Consiglio di
Stato, Adunanza Plenaria,
sentenza 18.07.2012 n. 27 - link a
www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI: Nelle
gare di appalto sussiste il divieto per
l’Amministrazione, sia a seguito di
dichiarazioni correttive del partecipante,
sia in conseguenza della sua attività
interpretativa volta a riscontrare la reale
volontà dell’offerente, di sottoporre
l’offerta ad operazioni manipolative o di
adattamento che non siano state previste
dalle disposizioni di gara, determinandosi
altrimenti una violazione della “par
condicio” dei concorrenti e dell’affidamento
da essi riposto nelle regole di gara e nella
predisposizione delle rispettive offerte
economiche.
Non può quindi ritenersi consentito alle
Commissioni giudicatrici di modificare una
delle componenti dell’offerta sostituendosi,
anche solo parzialmente, alla volontà
dell’offerente e interpretando la sua stessa
volontà frutto di scelte insindacabili.
Mentre si è ritenuto possibile procedere
alla correzione di un errore emendabile con
una mera operazione matematica sulla base
degli altri elementi contenuti nell’offerta
economica presentata (come nel caso in cui
il prezzo complessivo dell’offerta per un
singolo bene non corrisponde, per un mero
errore di calcolo, alla moltiplicazione del
prezzo unitario offerto per il numero di
pezzi richiesto). E sempre che le
disposizioni di gara non abbiano inteso dare
comunque esclusiva rilevanza al prezzo
complessivo dell’offerta (o viceversa al
prezzo unitario).
Si deve ricordare che, per principio
pacifico (fra le più recenti, Consiglio di
Stato, Sez. III, n. 1699 del 26.03.2012),
nelle gare di appalto sussiste il divieto
per l’Amministrazione, sia a seguito di
dichiarazioni correttive del partecipante,
sia in conseguenza della sua attività
interpretativa volta a riscontrare la reale
volontà dell’offerente, di sottoporre
l’offerta ad operazioni manipolative o di
adattamento che non siano state previste
dalle disposizioni di gara, determinandosi
altrimenti una violazione della “par
condicio” dei concorrenti e
dell’affidamento da essi riposto nelle
regole di gara e nella predisposizione delle
rispettive offerte economiche.
Non può quindi ritenersi consentito alle
Commissioni giudicatrici di modificare una
delle componenti dell’offerta sostituendosi,
anche solo parzialmente, alla volontà
dell’offerente e interpretando la sua stessa
volontà frutto di scelte insindacabili.
Mentre si è ritenuto possibile procedere
alla correzione di un errore emendabile con
una mera operazione matematica sulla base
degli altri elementi contenuti nell’offerta
economica presentata (come nel caso in cui
il prezzo complessivo dell’offerta per un
singolo bene non corrisponde, per un mero
errore di calcolo, alla moltiplicazione del
prezzo unitario offerto per il numero di
pezzi richiesto). E sempre che le
disposizioni di gara non abbiano inteso dare
comunque esclusiva rilevanza al prezzo
complessivo dell’offerta (o viceversa al
prezzo unitario)
(Consiglio di Stato, Sez. III,
sentenza 17.07.2012 n. 4176 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Sul potere sanzionatorio
dell'Autorità per la vigilanza sui contratti
pubblici di lavori, servizi e fornitura ex
art. 48, c. 2, del d.lgs. n. 163 del 2006,
in sede di controlli sul possesso dei
requisiti di partecipazione.
L'art. 48, c. 2, del d.lgs. n. 163 del 2006,
prevede che le stazioni appaltanti
richiedono, tra gli altri,
all'aggiudicatario e al concorrente che
segue in graduatoria di comprovare il
possesso dei requisiti di capacità
economico-finanziaria e tecnico
organizzativa eventualmente richiesti nel
bando di gara, presentando la documentazione
indicata in detto bando o nella lettera di
invito.
Qualora tale prova non sia fornita ovvero
non confermi le dichiarazioni contenute
nella domanda di partecipazione o
nell'offerta l'Autorità per la vigilanza sui
contratti pubblici di lavori, servizi e
fornitura può adottare determinati
provvedimenti sanzionatori. In particolare,
può disporre la sospensione dell'impresa,
per un periodo da uno a dodici mesi, dalla
partecipazione alle procedure di
affidamento, nonché irrogare una sanzione
amministrativa fino ad euro 25.822,00
ovvero, in presenza di informazioni o
documenti falsi, fino ad euro 51.545,00.
La suddetta normativa non impone
all'Autorità, di svolgere accertamenti
ulteriori, rispetto alla falsità della
dichiarazione, volti a verificare la
sussistenza del requisito oggettivo della
gravità della violazione e a prendere in
esame la "situazione soggettiva del
dichiarante", ma può soltanto accertare se
la notizia comunicata dalla stazione
appaltante sia inconferente ovvero se la
falsità sia innocua o se la stessa abbia ad
oggetto fatti e circostanze irrilevanti ai
fini della aggiudicazione della gara
(Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 16.07.2012 n. 4160 - link a
www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
La cauzione definitiva deve
essere valida ed operante sino alla data di
collaudo provvisorio a prescindere dal fatto
che quest’ultimo intervenga o meno entro il
termine stabilito in astratto per il suo
espletamento.
L’articolo 30 della legge 109/1994 come
recepita in Sicilia –applicabile ratione
temporis alla vicenda esaminata dal CGA-
sancisce chiaramente che la cauzione
definitiva deve essere valida ed operante
sino alla data di collaudo provvisorio
(molto chiaro il dettato di legge che non a
caso si esprime nel senso che la garanzia
deve cessare di avere effetto solo alla data
di emissione del certificato di collaudo
provvisorio), a prescindere dal fatto che
quest’ultimo intervenga o meno entro il
termine stabilito in astratto per il suo
espletamento.
Ne consegue che la dichiarazione preventiva
di impegno del garante, quanto alla vigenza
temporale, doveva necessariamente
conformarsi alla concreta realizzazione di
un evento (intervento del collaudo
provvisorio), non bastando all’uopo
l’indicazione di un termine prefissato di
durata, seppur in via astratta superiore al
termine entro il quale, di norma, l’evento
(collaudo) dovrebbe realizzarsi (massima
tratta da www.dirittodegliappaltipubblici.it
- C.G.A.R.S.,
sentenza
16.07.2012 n. 631 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Le sanzioni amministrative
pecuniarie previste dall’art. 42 d.P.R.
380/2001, per i
casi (tra l’altro) di ritardato versamento
del contributo di costruzione, sono
soggette, in mancanza di una diversa
disciplina legale, al termine di
prescrizione di cinque anni, stabilito
dall'art. 28 della legge 24.11.1981,
n. 689 e decorrente, in relazione a ciascuna
fattispecie di ritardo, dal giorno
dell'intervenuto pagamento del contributo.
Le sanzioni amministrative
pecuniarie previste, dapprima, dall'art. 3
della legge 28.02.1985, n.47 (abrogato
a decorrere dal 30.06.2002 dall'art. 136,
comma 2, lett. f), del d.P.R. 06.06.2001,
n. 380), ora dall’art. 42 d.P.R. cit., per i
casi (tra l’altro) di ritardato versamento
del contributo di costruzione, sono
soggette, in mancanza di una diversa
disciplina legale, al termine di
prescrizione di cinque anni, stabilito
dall'art. 28 della legge 24.11.1981,
n. 689 e decorrente, in relazione a ciascuna
fattispecie di ritardo, dal giorno
dell'intervenuto pagamento del contributo
(così, Cassazione Sez. I, sent. n. 23633 del
06-11-2006; TAR Lombardia, Milano, II, 08.09.2011
n. 2189)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 13.07.2012 n. 2002 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
PUBBLICO IMPIEGO - VARI:
Se il lavoratore è depresso il
licenziamento è illegittimo.
La sentenza 12.07.2012 n. 11798,
della Corte di Cassazione, ha
dichiarato che il provvedimento, se preso
nei confronti di un dipendente che abbia
disturbi di ansia, soffra di attacchi di
panico e abbia una labilità emotiva
esasperata, è inefficace.
E ciò, nonostante sia stata omessa la
tempestiva comunicazione della malattia. Il
lavoratore infatti sotto questo punto di
vista è tutelato dalla disciplina del
contratto collettivo, per la quale in caso
di patologia caratterizzata da ansia e
panico non è possibile sanzionare il
dipendente sul piano disciplinare.
Quando, poi, la labilità emotiva perdura nel
tempo, si aggrava, e sfocia in una vera e
propria sintomatologia depressiva, vi è un
vero e proprio giustificato impedimento
idoneo ad escludere la sanzionabilità
disciplinare dei fatti addebitati.
Nel caso di specie c’era stata questa
evoluzione della patologia, riconducibile
tra l’altro al tempo del licenziamento:
probabilmente la condotta del lavoratore era
imputabile al suo fragile equilibrio
psicologico ma, trattandosi di una vera e
propria malattia, il licenziamento è
illegittimo e al lavoratore viene
riconosciuta tutela in base al contratto
collettivo (tratto da www.diritto.it). |
APPALTI: Ai
fini della individuazione del dies a quo per
la proposizione del ricorso, deve farsi
riferimento alla data di pubblicazione (ndr:
del bando di gara) nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica Italiana.
-------------
L'immediata impugnazione delle clausole del
bando è ammissibile laddove queste siano
oggettivamente ed immediatamente escludenti
della possibile partecipazione alla gara del
ricorrente, in relazione, come nel caso in
questione, all'illegittima previsione di
determinati requisiti di qualificazione.
---------------
Se non può considerarsi irragionevole
restringere il novero delle imprese che
possano partecipare alla gara a quelle in
grado di fornire le necessarie credenziali
di affidabilità, tuttavia, tenuto conto del
tenore altamente specialistico del servizio
oggetto di gara e della peculiarità delle
modalità esecutive richieste, le due
clausole, come sopra richiamate, operano in
concreto un effetto selettivo –in ordine ai
requisiti congiuntamente richiesti a pena di
esclusione, delle capacità tecniche ed
economiche-finanziarie necessarie per
l’affidamento in questione– del tutto
sproporzionato e irragionevole, poiché in
patente violazione dei limiti della
necessità, idoneità ed adeguatezza, nei
quali si compendia la nozione di
proporzionalità della previsione rispetto
allo scopo selettivo perseguito, ai quali
soggiace la facoltà della stazione
appaltante di introdurre requisiti di
capacità economica e tecnico-professionale
diversi o comunque più rigorosi rispetto a
quelli previsti dalla legge, ai sensi degli
artt. 41 e 42 del d.lgs. 163 del 2006.
In via preliminare, deve essere respinta
l’eccezione di tardività della proposizione
del ricorso opposta dall’Amministrazione
resistente in considerazione della
pubblicazione, nel caso di specie “obbligatoria”,
del bando sulla Gazzetta Ufficiale dell’UE,
avvenuta il 31.01.2012.
Al riguardo, è sufficiente osservare che la
disposizione di cui all’art. 66, comma 8,
del d.lgs. n. 163 del 2006 secondo cui «gli
effetti giuridici che l’ordinamento connette
alla pubblicità in ambito nazionale
decorrono dalla Gazzetta Ufficiale della
Repubblica italiana» assegna a
quest’ultima forma di pubblicazione una
generale ed infungibile funzione di
pubblicità legale da cui dipende la tutela
dell’affidamento dei terzi e del connesso
principio di certezza dei termini entro cui
esercitare i propri diritti.
Pertanto, ai fini della individuazione del
dies a quo per la proposizione del
ricorso, deve farsi riferimento alla data di
pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica Italiana (cfr. ex plurimis
TAR Veneto, sez. I, 02.12.2011, n. 1791),
anziché a quella (anteriore) di
pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale
dell’UE, a prescindere dall’obbligatorietà o
meno di tale incombente.
---------------
Del pari, non può essere accolta l’ulteriore
eccezione svolta in ordine alla pretesa
inammissibilità del ricorso fondata
sull’asserito difetto di prova, da parte
della ricorrente, della concreta lesività
delle disposizioni della legge di gara
impugnate, con conseguente carenza di
interesse a ricorrere.
Infatti, l'immediata impugnazione delle
clausole del bando è ammissibile laddove
queste siano oggettivamente ed
immediatamente escludenti della possibile
partecipazione alla gara del ricorrente, in
relazione, come nel caso in questione,
all'illegittima previsione di determinati
requisiti di qualificazione (cfr., ex
plurimis, TAR Lazio, Roma, sez. II,
18.04.2012, n. 3552), non sussistendo
nemmeno, a carico di colui che intenda
contestarle un onere di partecipazione alla
procedura di gara (cfr. Cons. di stato, sez.
III, 03.10.2011, n. 5421).
---------------
Se non può
considerarsi irragionevole restringere il
novero delle imprese che possano partecipare
alla gara a quelle in grado di fornire le
necessarie credenziali di affidabilità (cfr.
Cons. di stato, sez. V, 02.02.2010, n. 426),
tuttavia, tenuto conto del tenore altamente
specialistico del servizio oggetto di gara e
della peculiarità delle modalità esecutive
richieste, le due clausole, come sopra
richiamate, operano in concreto un effetto
selettivo –in ordine ai requisiti
congiuntamente richiesti a pena di
esclusione, delle capacità tecniche ed
economiche-finanziarie necessarie per
l’affidamento in questione– del tutto
sproporzionato e irragionevole, poiché in
patente violazione dei limiti della
necessità, idoneità ed adeguatezza, nei
quali si compendia la nozione di
proporzionalità della previsione rispetto
allo scopo selettivo perseguito, ai quali
soggiace la facoltà della stazione
appaltante di introdurre requisiti di
capacità economica e tecnico-professionale
diversi o comunque più rigorosi rispetto a
quelli previsti dalla legge, ai sensi degli
artt. 41 e 42 del d.lgs. 163 del 2006 (cfr.
TAR Veneto, sez. I, 09.03.2012, n. 345)
(TAR
Veneto, Sez. I,
sentenza 12.07.2012 n. 985 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
La comunicazione via fax
rappresenta una modalità tipica di
comunicazione di notizie e informazioni ai
partecipanti alle gare d'appalto ed è uno
strumento idoneo ai fini della decorrenza
del termine di decadenza.
L'aggiudicazione provvisoria,
caratterizzandosi per la sua natura
endoprocedimentale, è un provvedimento
instabile i cui effetti interinali non
impongono che la stessa sia preceduta
dall'avviso di cui all'art. 7 L. 241/1990.
La comunicazione via fax è espressamente
contemplata dall'art. 77 del d.lgs. n.
163/2006 quale modalità tipica di
comunicazione di notizie e informazioni ai
partecipanti alle gare d'appalto e
rappresenta uno dei modi in cui può
concretamente svolgersi la cooperazione tra
i soggetti, in quanto essa viene attuata
mediante l'utilizzo di un sistema basato su
linee di trasmissione di dati ed
apparecchiature che consentono di poter
documentare sia la partenza del messaggio
dall'apparato trasmittente che, attraverso
il cosiddetto rapporto di trasmissione, la
ricezione del medesimo in quello ricevente.
Tali modalità, garantite da protocolli
universalmente accettati, indubbiamente ne
fanno uno strumento idoneo a garantire
l'effettività della comunicazione.
Posto, quindi, che gli accorgimenti tecnici
che caratterizzano il sistema garantiscono,
in via generale, una sufficiente certezza
circa la ricezione del messaggio, ne
consegue non solo l'idoneità del mezzo a far
decorrere termini perentori, ma anche che un
fax deve presumersi giunto al destinatario
quando il rapporto di trasmissione indica
che questa è avvenuta regolarmente, senza
che colui che ha inviato il messaggio debba
fornire alcuna ulteriore prova. Semmai la
prova contraria può solo concernere la
funzionalità dell'apparecchio ricevente; ma
questa non può che essere fornita da chi
afferma la mancata ricezione del messaggio.
---------------
L'aggiudicazione provvisoria,
caratterizzandosi per la sua natura
endoprocedimentale, è considerata, dalla
consolidata giurisprudenza amministrativa,
quale provvedimento instabile i cui effetti
interinali non impongono che la stessa sia
preceduta dall'avviso di cui all'art. 7 L.
241/1990.
L'aggiudicazione provvisoria, infatti, quale
atto che determina una scelta non ancora
definitiva del soggetto aggiudicatario della
gara, non costituisce atto conclusivo del
procedimento, facendo nascere in capo
all'interessato un mera aspettativa alla
conclusione del procedimento. Ne consegue
che l'aggiudicazione provvisoria è per sua
natura inidonea, al contrario
dell'aggiudicazione definitiva, ad
attribuire in modo stabile il bene della
vita ed ad ingenerare il connesso legittimo
affidamento che impone l'instaurazione del
contraddittorio procedimentale prima della
revoca in autotutela.
Muovendo da un pacifico orientamento
giurisprudenziale, appare corretto sostenere
che non sussiste l'obbligo
dell'amministrazione di comunicare agli
interessati l'avvio del procedimento ai
sensi dell'art. 7 della citata le. n. 241
del 1990, giacché il procedimento è già
stato avviato con l'atto di indizione della
gara; procedimento al cui interno si
colloca, appunto, l'aggiudicazione
provvisoria e che è destinato a concludersi
positivamente con l'aggiudicazione
definitiva ovvero -com'è accaduto
sostanzialmente nel caso di specie-
negativamente, con la revoca dell'
aggiudicazione provvisoria. Ne consegue,
pertanto, che sotto tale profilo il
provvedimento di revoca si presenta privo di
tale vizio (Consiglio di Stato, Sez. III,
sentenza 11.07.2012 n. 4116 - link a
www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Ai fini
dell’individuazione del TAR competente a
conoscere del ricorso avverso gli atti di
una procedura di evidenza pubblica (ivi
compresi eventuali provvedimenti di
esclusione) deve aversi riguardo al luogo di
produzione degli effetti diretti cui è
preordinato l’atto finale della procedura,
ossia all’ambito territoriale di
esplicazione dell’attività dell’impresa
aggiudicataria conseguente all’emanazione
dell’atto di aggiudicazione e alla stipula
contrattuale, e dunque al luogo di
esecuzione dei lavori, indipendentemente
dalla sede della stazione appaltante, dal
luogo di svolgimento delle operazioni di
gara e/o dalla sede dei partecipanti alla
gara.
Premesso che a norma dell’art. 13, comma 1,
Cod. proc. amm. tra i due criteri di riparto
della competenza territoriale, quello del
luogo della sede dell’autorità emanante, e
quello del luogo di produzione degli effetti
dell’atto impugnato, deve darsi la
prevalenza a quest’ultimo in virtù del dato
letterale costituito dall’uso
dell’espressione “comunque”, rileva
il Collegio che ai fini dell’individuazione
del Tribunale amministrativo regionale
competente a conoscere del ricorso avverso
gli atti di una procedura di evidenza
pubblica (ivi compresi eventuali
provvedimenti di esclusione) deve aversi
riguardo al luogo di produzione degli
effetti diretti cui è preordinato l’atto
finale della procedura, ossia all’ambito
territoriale di esplicazione dell’attività
dell’impresa aggiudicataria conseguente
all’emanazione dell’atto di aggiudicazione e
alla stipula contrattuale, e dunque al luogo
di esecuzione dei lavori, indipendentemente
dalla sede della stazione appaltante, dal
luogo di svolgimento delle operazioni di
gara e/o dalla sede dei partecipanti alla
gara.
Dovendo nel caso di specie il lavori oggetto
della gara d’appalto essere eseguiti
interamente nell’ambito provinciale di
Trento, correttamente nell’impugnata
sentenza è stata affermata la competenza
territoriale dell’adito Tribunale regionale
di giustizia amministrativa a conoscere
della controversia (Consiglio di Stato, Sez.
VI,
sentenza 11.07.2012 n. 4105 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Sicurezza degli impianti.
Agibilità, mancanza senza presunzione di
pericoli dell'attività produttiva.
La mancanza del certificato di agibilità
nell’immobile occupato dalla società non
autorizza affatto l’operatività di
meccanismi presuntivi deponenti nel senso
della esistenza di un’effettiva situazione
di pericolo.
A seguito di sopralluogo del Comando di
Polizia municipale il Dirigente del SUAP del
Comune disponeva la sospensione
dell’attività produttiva nell’immobile
occupato dalla società, in quanto privo del
certificato di agibilità ai sensi dell’art.
24 del d.p.r. 06.06.2001 n. 380, al fine
di salvaguardare la pubblica e privata
incolumità.
Avverso tale provvedimento ha proposto
ricorso al Tribunale Amministrativo
Regionale la s.r.l. chiedendone
l’annullamento, previa concessione di idonee
misure cautelari;
- innanzitutto, è stata dedotto il difetto
di motivazione in merito alla sussistenza
del presupposto dell’urgenza di provvedere;
da tanto conseguirebbe l’omessa attivazione
delle garanzie partecipative sancite dalla
legge 07.08.1990 n. 241;
- con il secondo motivo è stato evidenziato
che la ricorrente in data 10.03.2009
aveva presentato istanza per il rilascio del
certificato di agibilità, sulla quale,
anteriormente all’adozione del provvedimento
impugnato, si era formato il
silenzio-assenso di cui all’art. 25 del
d.p.r. 06.06.2001 n. 380.
In terzo luogo, è stata lamentata la mancata
rappresentazione di concrete ragioni di
pubblico interesse in merito alla
sospensione dell’attività, in considerazione
del lungo lasso di tempo trascorso rispetto
all’inizio dell’attività industriale della
società ricorrente.
- Con il quarto motivo è stato evidenziato
che, in caso di mancato rilascio del
certificato di agibilità, sarebbe
applicabile solamente una sanzione
pecuniaria e non anche misure di tipo
sospensivo;
- con la quinta censura è stato lamentato
l’illegittimo richiamo nel provvedimento
impugnato all’art. 26 del regolamento
edilizio del Comune, norma da ritenersi
abrogata dall’art. 136, secondo comma del
d.p.r. 06.06.2001 n. 380;
- infine, la norma de qua, al comma nono,
farebbe riferimento solo ad insediamenti
abitativi e non anche quelli a destinazione
industriale come quello in esame.
Il provvedimento impugnato presenta tutte le
caratteristiche proprie dell’esercizio del
potere di ordinanza di necessità ed urgenza,
avendo disposto la sospensione ad horas
di tutte le attività produttive che
interessano l’immobile in quanto privo del
certificato di agibilità.
E' stata contestata, da un lato la mancata
motivazione in ordine all’urgenza di
provvedere ed alla rappresentazione
dell’esistenza di un pericolo determinato,
dall’altro, di conseguenza, l’ingiustificata
omissione delle necessarie garanzie
partecipative.
Né da tali elementi si potrebbe in qualche
modo prescindere per il solo fatto della
mancanza del certificato di agibilità, dal
momento che tale condizione non autorizza
affatto l’operatività di meccanismi
presuntivi deponenti nel senso della
esistenza di un’effettiva situazione di
pericolo (commento tratto da www.ipsoa.it -
TAR Campania-Napoli, Sez. VIII,
sentenza 11.07.2012 n.
3340 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Il certificato del casellario
giudiziale può essere sostituito dalla
dichiarazione di non aver riportato condanne
penali.
L'art. 46 d.P.R. 28.12.2000 n. 445 consente
la sostituzione del certificato del
casellario giudiziale con la dichiarazione
contestuale ex art. 2 l. 04.01.1968 n. 15
sulla circostanza di non aver riportato
condanne penali.
Invero la seconda censura del ricorso così
si esprime: “Violazione e falsa applicazione
dell'art. 46 d.P.R. 28.12.2000 n. 445
– Violazione e falsa applicazione del
disciplinare di gara – Eccesso di potere per
insufficienza ed erroneità della motivazione“.
La censura si appalesa fondata atteso che
l'art. 46 d.P.R. 28.12.2000 n. 445,
emanato in base alle norme della l. 15.05.1997 n. 127 sulla semplificazione
della documentazione amministrativa nei
rapporti tra p.a. e privati, al punto a)
consente la sostituzione del certificato del
casellario giudiziale con la dichiarazione
contestuale ex art. 2 l. 04.01.1968 n.
15 sulla circostanza di non aver riportato
condanne penali.
Sulla questione TAR Lazio–Roma, sez. II,
21/12/2010, n. 37921 così ha statuito: “In
effetti l'art. 46 del D.P.R. 20.12.2000 n.
445, emanato in base alle norme della legge
15.5.1997 n. 127 sulla semplificazione della
documentazione amministrativa nei rapporti
tra pubbliche amministrazioni. e privati, al
punto aa) consente la sostituzione del
certificato del casellario giudiziale con la
dichiarazione contestuale ex art. 2 della
legge 04.02.1968 n. 15 sulla circostanza di
non aver riportato condanne penali.
La suddetta dichiarazione è valida a tutti
gli effetti di legge e può essere
legittimamente ammessa in una procedura di
gara per l'aggiudicazione di un appalto
pubblico in sostituzione di documentazione
del medesimo contenuto probatorio.
Le norme sulla semplificazione fissano i
requisiti minimi della facoltà di
autocertificazione, ma non impediscono alle
pubbliche amministrazioni di estenderne la
portata applicativa, in relazione a
specifici procedimenti amministrativi e in
mancanza di espressi divieti al riguardo.
Un’interpretazione del disciplinare che sia
ancorata al dato meramente formale
apparirebbe illogica nell’escludere
l’equiparabilità al certificato del
casellario giudiziale delle dichiarazioni
sostitutive ex art. 46 cit., le quali hanno
il medesimo contenuto richiesto e, pertanto,
raggiungono l’obiettivo di documentare il
possesso dei requisiti utili alla
partecipazione alla gara delle imprese che
le producono.” (cfr. anche Cons. Stato n.
7380 - 24.11.2009 - Sez. VI; Cons.
Stato, Sez. IV, 07.09.2004 n. 5797 e
Sez. VI, 19.11.2003 n. 7473, Tar
Catanzaro II n. 431 - 07.05.2008).
In conclusione l'art. 46 d.P.R. 28.12.2000 n. 445 consente la sostituzione del
certificato del casellario giudiziale con la
dichiarazione contestuale ex art. 2 l. 04.01.1968 n. 15 sulla circostanza di non
aver riportato condanne penali, e, pertanto,
nella fattispecie in esame sia la Società
Lavori Pubblici S.r.l. che le altre diciotto
imprese concorrenti -escluse per lo stesso
motivo- risultano illegittimamente escluse
in quanto avevano prodotto le dichiarazioni
sostitutive in luogo dei certificati in
questione (TAR Sicilia-Catania, Sez. IV,
sentenza 11.07.2012 n.
1829 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
La regola generale è quella che
il ricorso giurisdizionale debba essere
notificato all’Amministrazione che ha
emanato l’atto conclusivo del procedimento,
e non anche agli organi o enti che ai più
diversi titoli abbiano potuto partecipare
alla procedura. Anche nei procedimenti cui
prendano parte più enti pubblici, perciò, il
contraddittorio deve essere instaurato nei
confronti dell’Amministrazione che ha la
giuridica paternità dell’atto finale.
Corollario di tale regola è che solo
allorché l’atto finale sia imputabile alla
volontà di più Amministrazioni, come ad es.
tipicamente accade per gli atti di concerto,
oppure può verificarsi per gli accordi di
programma, la relativa legittimazione
processuale passiva diventi plurima.
Di contro, anche le partecipazioni al
procedimento giuridicamente qualificate,
come quella che si esprime nella paternità
dell’iniziativa mediante la proposta, nella
partecipazione alla formale intesa che abbia
preceduto l’adozione del provvedimento
finale, o nel compimento di altro atto
preparatorio, non valgono ad estendere la
veste di parte necessaria a soggetti
ulteriori rispetto all’Autorità emanante.
Per estendere la legittimazione passiva ad
altri enti occorre, difatti, che le norme
imputino il provvedimento finale ad una
pluralità di Amministrazioni; sicché, al di
fuori di questa ipotesi, la partecipazione
di altri enti al procedimento non ha rilievo
ai fini dell’instaurazione del
contraddittorio relativo all’impugnativa del
provvedimento finale.
L’art. 41 CPA stabilisce che il ricorso
giurisdizionale debba essere notificato
all’Amministrazione “che ha emesso l’atto
impugnato”, regola sostanzialmente
riproduttiva delle precedenti previsioni
dell’art. 21 della legge n. 1034/1971 e
dell’art. 36, comma 2, del T.U. Cons. Stato.
Il giudizio impugnatorio vede, quindi, quale
parte pubblica resistente l’Amministrazione
che ha emanato l’atto della cui impugnativa
si tratta.
Orbene, la regola generale è appunto quella
che il ricorso giurisdizionale debba essere
notificato all’Amministrazione che ha
emanato l’atto conclusivo del procedimento,
e non anche agli organi o enti che ai più
diversi titoli abbiano potuto partecipare
alla procedura. Anche nei procedimenti cui
prendano parte più enti pubblici, perciò, il
contraddittorio deve essere instaurato nei
confronti dell’Amministrazione che ha la
giuridica paternità dell’atto finale.
Corollario di tale regola è che solo
allorché l’atto finale sia imputabile alla
volontà di più Amministrazioni, come ad es.
tipicamente accade per gli atti di concerto
(C.d.S., VI, 23.01.2006, n. 183), oppure può
verificarsi per gli accordi di programma
(C.d.S., IV, 17.06.2003, n. 3403), la
relativa legittimazione processuale passiva
diventi plurima.
Di contro, anche le partecipazioni al
procedimento giuridicamente qualificate,
come quella che si esprime nella paternità
dell’iniziativa mediante la proposta
(C.d.S., IV, 28.03.1990, n. 213), nella
partecipazione alla formale intesa che abbia
preceduto l’adozione del provvedimento
finale (C.d.S., VI, 07.03.1990, n. 347), o
nel compimento di altro atto preparatorio
(C.d.S., V, 19.02.1996, n. 216), non valgono
ad estendere la veste di parte necessaria a
soggetti ulteriori rispetto all’Autorità
emanante.
Per estendere la legittimazione passiva ad
altri enti occorre, difatti, che le norme
imputino il provvedimento finale ad una
pluralità di Amministrazioni; sicché, al di
fuori di questa ipotesi, la partecipazione
di altri enti al procedimento non ha rilievo
ai fini dell’instaurazione del
contraddittorio relativo all’impugnativa del
provvedimento finale (cfr. C.d.S., VI,
14.07.1981, n. 433)
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 06.07.2012 n. 3966 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
E’ noto quanto consolidato sia
l’insegnamento giurisprudenziale in ordine
all’istituto del c.d. dovere di soccorso
codificato dall’art. 46 cit. per cui
l'omessa allegazione di un documento o di
una dichiarazione previsti a pena di
esclusione non può considerarsi alla stregua
di un'irregolarità sanabile, e, quindi, non
ne è permessa l'integrazione o la
regolarizzazione postuma, non trattandosi di
rimediare a vizi puramente formali. E ciò
tanto più quando non sussistano equivoci o
incertezze generati dall'ambiguità di
clausole della legge di gara. In presenza di
una prescrizione chiara, un’ammissione alla
regolarizzazione costituirebbe violazione
della par condicio fra i concorrenti.
La richiesta di regolarizzazione, pertanto,
non può essere formulata per permettere
l’integrazione di documenti che, in base a
previsioni univoche del bando o della
lettera di invito, avrebbero dovuto essere
prodotti a pena di esclusione.
Secondo la
Regione si sarebbe dovuto comunque
consentire all’aggiudicataria di dimostrare
il proprio possesso dei requisiti di cui
all’art. 38 cit., ammettendola ad
integrare/chiarire la dichiarazione della
propria ausiliaria ai sensi dell’art. 46
Codice Appalti.
E’, però, noto quanto consolidato
sia l’insegnamento giurisprudenziale in ordine
all’istituto del c.d. dovere di soccorso
codificato dall’art. 46 cit. per cui
l'omessa allegazione di un documento o di
una dichiarazione previsti a pena di
esclusione non può considerarsi alla stregua
di un'irregolarità sanabile, e, quindi, non
ne è permessa l'integrazione o la
regolarizzazione postuma, non trattandosi di
rimediare a vizi puramente formali. E ciò
tanto più quando non sussistano equivoci o
incertezze generati dall'ambiguità di
clausole della legge di gara (cfr., tra le
più recenti: C.d.S., V, 02.08.2010, n. 5084;
02.02.2010, n. 428; 15.01.2008, n. 36). In
presenza di una prescrizione chiara,
un’ammissione alla regolarizzazione
costituirebbe violazione della par condicio
fra i concorrenti.
La richiesta di
regolarizzazione, pertanto, non può essere
formulata per permettere l’integrazione di
documenti che, in base a previsioni univoche
del bando o della lettera di invito,
avrebbero dovuto essere prodotti a pena di
esclusione (C.G.A., n. 802 del 2006; C.d.S.,
IV, n. 4560 del 2005 e n. 2254 del 2007)
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 06.07.2012 n. 3966 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
La verifica delle offerte anomale
non ha per oggetto la ricerca di specifiche
e singole inesattezze dell’offerta
economica, mirando invece ad accertare se
l’offerta nel suo complesso sia attendibile
e, dunque, se dia o meno serio affidamento
circa la corretta esecuzione dell’appalto.
E’ il caso di ricordare in proposito che
esula dal giudizio di legittimità ogni
considerazione che attenga al merito delle
valutazioni della commissione di gara in
sede di verifica della congruità,
trattandosi di esercizio della
discrezionalità tecnica
dell’amministrazione, salvo illogicità o
irragionevolezza, che nel caso non
ricorrono.
D’altra parte la verifica delle offerte
anomale non ha per oggetto la ricerca di
specifiche e singole inesattezze
dell’offerta economica, mirando invece ad
accertare se l’offerta nel suo complesso sia
attendibile e, dunque, se dia o meno serio
affidamento circa la corretta esecuzione
dell’appalto (cfr. Cons. Stato, V,
22.09.2009, n. 5642; 19.05.2007, n. 1971).
Nel caso, la commissione di gara nel
rilevare le giustificazioni fornite dall’a.t.i.
ricorrente, ha rilevato l’insufficienza
degli elaborati prodotti per dimostrare
l’economia del procedimento di costruzione,
l’assenza di alcuna documentazione per
correlare le soluzioni tecniche con la
riduzione del costo complessivo dell’opera,
l’assenza di elementi oggettivi e
verificabili a comprova delle condizioni
favorevoli di cui disporrebbe l’impresa,
l’assenza di un calcolo analitico per
dimostrare la riduzione di spesa rapportata
alle migliorie proposte.
Tali carenze non sono state superate dalla
documentazione prodotta dalla ricorrente a
corredo delle giustificazioni (Consiglio di
Stato, Sez. V,
sentenza 06.07.2012, n. 3959 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Ai fini della individuazione dei
soggetti tenuti alle dichiarazioni di cui
all'art. 38, co. 1, lett. b e c, occorre
aver riguardo ai poteri effettivi conferiti
a ciascun amministratore e alla loro
ampiezza.
I soggetti tenuti alle dichiarazioni di cui
all'art. 38. 1, lett. b) e c) del d.lgs.
12.04.2006, n. 163, sono "…soltanto gli
amministratori muniti di potere di
rappresentanza, ossia i soggetti titolari di
ampi e generali poteri di amministrazione…"
per cui ai fini della individuazione dei
soggetti tenuti alle dichiarazioni di cui al
citato art. 38 c. 1, lett. b) e c), occorre
aver riguardo ai poteri effettivi conferiti
a ciascun amministratore e alla loro
ampiezza, in quanto si estrinsechino
sull'organizzazione complessiva
dell'apparato organizzativo societario, nei
suoi riflessi operativi esterni (Consiglio
di Stato, Sez. IV,
sentenza 04.07.2012 n. 3925 - link a
www.dirittodeisevizipubblici.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La normativa nazionale definisce
l’ultimazione delle opere facendo
riferimento all’esecuzione del rustico ed al
completamento della copertura, concetto che,
per pacifica giurisprudenza, comporta
l’esistenza pure delle tamponature esterne,
anch’esse essenziali allo scopo, in quanto
concorrono ad individuare il volume della
costruzione.
Vero è che l’art. 3, comma 2, lettera b), della L.R. Campania n. 10 del
2004 –in base al quale: “Si considerano
ultimate le opere edilizie completate al
rustico comprensive di mura perimetrali e di
copertura e concretamente utilizzabili per
l’uso cui sono destinate”– contiene una
disciplina più restrittiva rispetto a quella
di cui agli artt. 31 della L. 28.02.1985 n. 47 e 39 L. 23.12.1994 n. 724
(applicabili in via generale anche
all’ultimo condono di cui alla L. n. 326 del
2003).
E’ noto che la normativa nazionale
definisce l’ultimazione delle opere facendo
riferimento all’esecuzione del rustico ed al
completamento della copertura, concetto che,
per pacifica giurisprudenza, comporta
l’esistenza pure delle tamponature esterne,
anch’esse essenziali allo scopo, in quanto
concorrono ad individuare il volume della
costruzione (cfr. Consiglio di Stato,
Sezione IV, 16.10.1998, n. 1306; V
Sezione, 02.10.2000, n. 5211).
La
richiamata previsione contenuta nella L.R.
n. 10/2004 esige, infatti, un quid pluris
rispetto alla comune nozione, dal momento
che, come si è anticipato, richiede che le
opere siano anche “concretamente
utilizzabili per l’uso cui sono destinate”,
evocando così il concetto di completamento
funzionale, previsto dall’art. 31, comma 2,
della legge 28.02.1985 n. 47 solo per le
opere non destinate alla residenza (TAR Campania-Napoli, Sez. II,
sentenza 04.07.2012 n. 3197 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI -
EDILIZIA PRIVATA:
Presupposto
per l'adozione dell'ordine di demolizione di
opere abusive è soltanto la constatata
esecuzione di un intervento edilizio in
assenza del prescritto titolo abilitativo,
con la conseguenza che, essendo tale ordine
un atto dovuto, esso è sufficientemente
motivato con l'accertamento dell'abuso, e
non necessita di una particolare motivazione
in ordine all'interesse pubblico alla
rimozione dell'abuso stesso, che è in re ipsa,
consistendo nel ripristino dell'assetto
urbanistico violato, e alla possibilità di
adottare provvedimenti alternativi.
---------------
La mancata apposizione in calce al
provvedimento amministrativo della formula
recante il termine e l'Autorità presso cui
impugnarlo, sancita dall'art. 3 comma 4, l.
07.08.1990 n. 241, può implicare, in caso di
eventuale ritardo nell'impugnazione, il
riconoscimento dell'errore scusabile e dei
suoi effetti, ma solo quando ne sussistano i
presupposti, vale a dire una situazione
normativa obiettivamente inconoscibile o
confusa, uno stato di obiettiva incertezza
per le oggettive difficoltà di
interpretazione di una norma, per la
particolare complessità della fattispecie
concreta, per i contrasti giurisprudenziali
esistenti o per il comportamento
dell'Amministrazione idoneo, perché
equivoco, ad ingenerare convincimenti
inesatti.
---------------
L’art. 27 dpr 380/2001 è applicabile sia ai
casi in cui il dirigente o il responsabile
accerti “l'inizio”, che all’ipotesi in cui
venga accertata “l'esecuzione di opere
eseguite senza titolo” in area vincolata e
che la norma medesima prevede la sola
sanzione ripristinatoria, attenendo la
differente disposizione invocata dalla
ricorrente al solo profilo paesaggistico e
non anche a quello edilizio.
Con il provvedimento gravato il comune di Ischia ha ingiunto al
ricorrente di demolire una tettoia di 15,00
mq realizzata, attaccata ad un manufatto in
ferro preesistente, in assenza di titolo
abilitativo su area dichiarata di notevole
interesse pubblico con d.m. 15.12.1959.
La ricorrente non contesta le suddette
circostanza né fornisce indicazioni relative
all’eventuale esistenza di titoli
abilitativi.
La conseguente abusività del manufatto, di
rilevanti dimensioni e tale da modificare
sensibilmente il prospetto e la sagoma del
manufatto, rendeva obbligatoria l’adozione
della sanzione ripristinatoria da parte
dell’ente locale (sulla necessità del titolo
abilitativo per la realizzazione di tettoie
idonee ad incidere sullo stato dei luoghi,
cfr. ex multis Consiglio Stato sez. IV, 29.04.2011, n. 2549)
Considerata l’assenza di argomentazioni e/o
di prove relative alla legittimità della
tettoia, va in primo luogo respinta la
censura di difetto di istruttoria e di
motivazione, nonché di mancata indicazione,
nell’atto, del termine e autorità cui
ricorrere, articolate con il primo e con il
quarto motivo di doglianza.
Sotto il primo profilo occorre considerare
come “... presupposto per l'adozione
dell'ordine di demolizione di opere abusive
è soltanto la constatata esecuzione di un
intervento edilizio in assenza del
prescritto titolo abilitativo, con la
conseguenza che, essendo tale ordine un atto
dovuto, esso è sufficientemente motivato con
l'accertamento dell'abuso, e non necessita
di una particolare motivazione in ordine
all'interesse pubblico alla rimozione
dell'abuso stesso, che è in re ipsa,
consistendo nel ripristino dell'assetto
urbanistico violato, e alla possibilità di
adottare provvedimenti alternativi” (ex multis, TAR Campania Napoli, sez. VII, 08.04.2011, n. 1999).
Quanto al secondo aspetto è sufficiente
richiamare il consolidato orientamento
giurisprudenziale, secondo il quale “... la
mancata apposizione in calce al
provvedimento amministrativo della formula
recante il termine e l'Autorità presso cui
impugnarlo, sancita dall'art. 3 comma 4, l.
07.08.1990 n. 241, può implicare, in caso
di eventuale ritardo nell'impugnazione, il
riconoscimento dell'errore scusabile e dei
suoi effetti, ma solo quando ne sussistano i
presupposti, vale a dire una situazione
normativa obiettivamente inconoscibile o
confusa, uno stato di obiettiva incertezza
per le oggettive difficoltà di
interpretazione di una norma, per la
particolare complessità della fattispecie
concreta, per i contrasti giurisprudenziali
esistenti o per il comportamento
dell'Amministrazione idoneo, perché
equivoco, ad ingenerare convincimenti
inesatti” (cosi, da ultimo, TAR Umbria,
sez. I, 20.04.2012, n. 125)
La natura vincolata dell’atto consente di
respingere anche il secondo motivo di
doglianza, con il quale la ricorrente ha
censurato la mancata comunicazione
dell’avvio del procedimento, tanto più che
lo stesso non ha rappresentato, nemmeno in
giudizio, l’esistenza di circostanze idonee
a determinare un diverso esito
provvedimentale.
Va infine respinto il terzo motivo di
doglianza, con il quale la ricorrente ha
lamentato violazione dell’art. 27 del d.P.R.
380/2001, rappresentando come l’intervenuto
completamento dell’opera precludesse
l’applicazione della norma posta dal comune
a fondamento del suo operato, e dell’art.
167 del d.lgs. 42/2004, per non avere il
comune indicato le ragioni per le quali ha
applicato la sanzione ripristinatoria, in
luogo della meno afflittiva sanzione
pecuniaria.
Deve infatti osservarsi come l’art. 27,
sulla cui base è stato applicato il
provvedimento gravato, è applicabile sia ai
casi in cui il dirigente o il responsabile
accerti “l'inizio”, che all’ipotesi in cui
venga accertata “l'esecuzione di opere
eseguite senza titolo” in area vincolata e
che la norma medesima prevede la sola
sanzione ripristinatoria, attenendo la
differente disposizione invocata dalla
ricorrente al solo profilo paesaggistico e
non anche a quello edilizio (TAR
Campania-Napoli, Sez. VI,
sentenza 04.07.2012 n. 3170 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
L’art. 45 (Prescrizioni di tutela
indiretta) del Codice dei beni culturali e
del paesaggio (che ripete la fattispecie
sostanziale dell’art. 21 l. 01.06.1939, n. 1089 e poi
dell’art. 49 d.lgs. 29.10.1999, n. 490)
non stabilisce altra delimitazione spaziale
che quella intrinsecamente funzionale alla
sua causa tipica, che è di “prescrivere le
distanze, le misure e le altre norme dirette
ad evitare che sia messa in pericolo
l’integrità dei beni culturali immobili, ne
sia danneggiata la prospettiva o la luce o
ne siano alterate le condizioni di ambiente
e di decoro”.
Vero è che questo vincolo di tutela della
cornice ambientale dei beni culturali
evidenzia limitazioni delle facoltà
proprietarie e che, per quanto queste siano
intrinseche alla relazione spaziale, occorre
considerare l’esigenza del loro contenimento
in sacrificio del proprietario, secondo
criteri di congruenza, ragionevolezza e
proporzionalità.
Va però considerato che,
una volta stimato che il vincolo indiretto
risulta una misura necessaria ed
inevitabile, malgrado i sacrifici che la
scelta di un tale strumento può comportare,
per proteggere il contesto complementare del
bene direttamente tutelato –il che
costituisce l’obiettivo prefissato in via
primaria-, senza di che la stessa tutela
diretta sarebbe amputata dell’insieme
spaziale che conferisce valore al bene
principale, alla sua valutazione tecnica e
realizzazione pratica diviene estranea
un’attenuazione dell’interesse pubblico
causata da quello all’edificazione: la quale
attenuazione, nella traduzione provvedimentale, condurrebbe
illegittimamente, e paradossalmente, a dare
minor tutela, malgrado l’intensità del
valore culturale del bene principale, quanto
più intenso e forte sia o possa essere
l’interesse alla trasformazione delle cose.
La proporzionalità qui rappresenta la
congruenza della misura adottata in rapporto
all’oggetto principale da proteggere: per
cui l’azione di tutela indiretta va
contenuta nei termini di quanto risulta
essere concretamente necessario per il
raggiungimento degli obiettivi di tutela
diretta. Va cioè posta in rapporto
all’esigenza conservativa che ha causato il
vincolo diretto e dunque alle
caratteristiche dell’oggetto materiale di
quello. È connessa alla ragionevolezza, e
questa si specifica nel conseguimento di un
punto di equilibrio identificabile nella
corretta e sufficiente funzionalità
dell’esercizio del potere di vincolo. Ne
consegue che il potere va esercitato in modo
che sia effettivamente congruo e rapportato
allo scopo legale per cui è previsto e non
ad esso eccessivo.
Tutto questo significa che, una volta che è
accertata questa corrispondenza in punto di
fatto (la quale conduce all’evidente
conseguenza della congruenza, in principio,
dell’ampia estensione del vincolo indiretto
una volta posta l’ampia estensione di quello
diretto), la latitudine spaziale non si pone
più come un fattore estrinseco limitativo
del vincolo, ma ne costituisce anzi il
sostrato di fatto scaturente dalla
necessaria e presupposta valutazione
tecnica.
L’ampiezza della zona da preservare in via
indiretta, del resto, non può essere
determinata aprioristicamente, ma dipende in
concreto dalla natura e dalla conformazione
del bene direttamente tutelato e dallo stato
dei luoghi che lo circondano. L’estensione
eccede in concreto dalla corretta cura
dell’interesse quando viene dimostrato –il
che qui non è avvenuto- che riguarda
terreni non necessari a contrastare il
rischio per l’integrità di beni culturali
(cioè a garantirne la conservazione
materiale), ovvero il danneggiamento della
loro prospettiva o luce (cioè a garantirne
la visibilità complessiva), ovvero
l’alterazione delle loro condizioni di
ambiente e di decoro (cioè a preservarli da
contrasti con lo stile e il significato
storico-artistico e a garantire la
continuità storica e stilistica tra il
monumento e la situazione ambientale in con
è contestualizzato). Della
rappresentazione iconografica e del suo
valore, qui rilevante in senso
complementare, si è già detto a proposito
del vincolo diretto.
Tutte le garanzie del bene protetto in via
primaria al cui presidio è funzionale il
vincolo indiretto (conservazione materiale,
visibilità complessiva, lettura stilistica e
storico-artistica contestualizzata) formano
un sistema integrato idoneo a sorreggerne
l’imposizione. Ne deriva che la
contestazione di un singolo elemento non
vale a sminuirne la validità complessiva.
In questi lineari termini rilevano e vanno
valutati l’adeguatezza, la congruenza, la
ragionevolezza e la proporzionalità del
vincolo indiretto, non già in attenuazione
causata dal diritto di proprietà, che a
questi riguardi è intrinsecamente limitato e
dunque esterno all’esercizio del potere
tanto da non essere indennizzabile. In
questo consiste, con chiara evidenza, un
limite fondamentale imposto nell’interesse
generale dalla legge all’uso dei beni
oggetto del vincolo (art. 17 della Carta dei
diritti fondamentali dell’Unione Europea;
art. 1 dell’invocato Protocollo addizionale
alla Convenzione europea per la salvaguardia
dei diritti dell'uomo e delle libertà
fondamentali). Limiti questi che, per le
ragioni ampiamente dette, non risultano qui
superati.
---------------
Come sopra per il vincolo diretto, per
consolidata e risalente giurisprudenza
l’estensione dell’area da assoggettare a
vincolo indiretto attiene alla stretta
valutazione dell’amministrazione, e può
riguardare anche un immobile non prossimo al
monumento da tutelare, purché faccia parte
dell’”ambiente” del monumento. Solo si
richiede che vada valutata in rapporto a
natura, caratteristiche e ubicazione dei
beni da preservare.
Il vincolo indiretto concerne invero la c.d.
cornice ambientale di un bene culturale.
Esso è legittimamente imposto quando è
riferito non solo alla tutela diretta non di
un singolo bene culturale, ma anche di un
intero insieme, come un comprensorio
archeologico: a fortiori questo vale quando
si tratti di un complesso non ipogeo o di
superficie, ma di un sistema unitario.
Posto che l’estensione dell’ambito di tutela
è dunque diretta espressione delle
valutazioni proprie dell’Amministrazione, ne
viene che queste stesse valutazioni non sono
soggette al sindacato di legittimità del
giudice amministrativo, se non nei ristretti
limiti che si sono ricordati
... per la riforma della sentenza del TAR
LOMBARDIA-SEZ. STACCATA DI BRESCIA: SEZIONE
I n. 506/2011, resa tra le parti,
concernente DICHIARAZIONE DI INTERESSE
CULTURALE STORICO-ARTISTICO DEI SISTEMI DEI
LAGHI DI MANTOVA, DEL CANALE RIO, DEI PONTI
MULINI E DI SAN GIORGIO - RIS. DANNI
...
L’imposizione del vincolo indiretto, già
contestata sotto alcuni dei profili sopra
esaminati, è oggetto specifico del secondo e
del terzo motivo degli appelli.
Anche tali motivi, articolati in più punti,
sono infondati e la sentenza di primo grado
è esente da errori di giudizio.
Non sussiste, innanzitutto, il dedotto vizio
di difetto di istruttoria e di motivazione
del provvedimento.
Valgono al proposito le considerazioni di
ordine già esposte, anche con riguardo alle
dettagliate acquisizioni istruttorie in
punto di fatto di primo grado (compendiate
da una dettagliata ed esaustiva relazione
tecnica di verificazione) e correttamente
considerate e valutate da quel giudice,
specialmente circa la dominante
caratteristica morfologica originaria
propria di questa stessa area, e circa le
congrue distanze dal bene tutelato in via
diretta.
Vanno condivise, in particolare, le
valutazioni in diritto circa la dominanza
dei rapporti quantitativi negli ambiti nn. 3
e 4 in favore assoluto dell’originario dato
naturalistico e agricolo rispetto a quello
risultante da recente trasformazione (che
non è comunque alterato, nella sua
valutazione conclusiva in diritto, dai
diversi rapporti numerici pur addotti in
fatto da parte interessata) ai fini del
giudizio di ragionevolezza nei limiti
consentiti al giudice amministrativo.
A queste considerazioni si aggiunge che la
questione di fondo pare tornare ad essere
quella, già esaminata circa il vincolo
diretto, dell’estensione spaziale del
vincolo indiretto, che in effetti, gradato
per ambiti, copre un’area quantitativamente
rilevante.
L’assunto che una tale estensione sia di
suo, in quanto tale, illegittima è anche qui
erroneo in diritto, seppure per ragioni
intrinsecamente diverse da quelle del
vincolo diretto e da riferire piuttosto alla
natura di quest’altro tipo di vincolo.
Va anzitutto rilevato che l’art. 45
(Prescrizioni di tutela indiretta) del
Codice dei beni culturali e del paesaggio
(che ripete la fattispecie sostanziale
dell’art. 21 l. 01.06.1939, n. 1089 e poi
dell’art. 49 d.lgs. 29.10.1999, n. 490)
non stabilisce altra delimitazione spaziale
che quella intrinsecamente funzionale alla
sua causa tipica, che è di “prescrivere le
distanze, le misure e le altre norme dirette
ad evitare che sia messa in pericolo
l’integrità dei beni culturali immobili, ne
sia danneggiata la prospettiva o la luce o
ne siano alterate le condizioni di ambiente
e di decoro”.
Vero è che questo vincolo di tutela della
cornice ambientale dei beni culturali
evidenzia limitazioni delle facoltà
proprietarie e che, per quanto queste siano
intrinseche alla relazione spaziale, occorre
considerare l’esigenza del loro contenimento
in sacrificio del proprietario, secondo
criteri di congruenza, ragionevolezza e
proporzionalità.
Va però considerato che,
una volta stimato che il vincolo indiretto
risulta una misura necessaria ed
inevitabile, malgrado i sacrifici che la
scelta di un tale strumento può comportare,
per proteggere il contesto complementare del
bene direttamente tutelato –il che
costituisce l’obiettivo prefissato in via
primaria-, senza di che la stessa tutela
diretta sarebbe amputata dell’insieme
spaziale che conferisce valore al bene
principale, alla sua valutazione tecnica e
realizzazione pratica diviene estranea
un’attenuazione dell’interesse pubblico
causata da quello all’edificazione: la quale
attenuazione, nella traduzione provvedimentale, condurrebbe
illegittimamente, e paradossalmente, a dare
minor tutela, malgrado l’intensità del
valore culturale del bene principale, quanto
più intenso e forte sia o possa essere
l’interesse alla trasformazione delle cose.
La proporzionalità qui rappresenta la
congruenza della misura adottata in rapporto
all’oggetto principale da proteggere: per
cui l’azione di tutela indiretta va
contenuta nei termini di quanto risulta
essere concretamente necessario per il
raggiungimento degli obiettivi di tutela
diretta. Va cioè posta in rapporto
all’esigenza conservativa che ha causato il
vincolo diretto e dunque alle
caratteristiche dell’oggetto materiale di
quello. È connessa alla ragionevolezza, e
questa si specifica nel conseguimento di un
punto di equilibrio identificabile nella
corretta e sufficiente funzionalità
dell’esercizio del potere di vincolo. Ne
consegue che il potere va esercitato in modo
che –come qui è avvenuto traducendo questi
principi con la gradazione del vincolo per
ambiti differenziati e relative prescrizioni- sia effettivamente congruo e rapportato
allo scopo legale per cui è previsto e non
ad esso eccessivo.
Tutto questo significa che, una volta che è
accertata questa corrispondenza in punto di
fatto (la quale conduce all’evidente
conseguenza della congruenza, in principio,
dell’ampia estensione del vincolo indiretto
una volta posta l’ampia estensione di quello
diretto), la latitudine spaziale non si pone
più come un fattore estrinseco limitativo
del vincolo, ma ne costituisce anzi il
sostrato di fatto scaturente dalla
necessaria e presupposta valutazione
tecnica.
L’ampiezza della zona da preservare in via
indiretta, del resto, non può essere
determinata aprioristicamente, ma dipende in
concreto dalla natura e dalla conformazione
del bene direttamente tutelato e dallo stato
dei luoghi che lo circondano. L’estensione
eccede in concreto dalla corretta cura
dell’interesse quando viene dimostrato –il
che qui non è avvenuto- che riguarda
terreni non necessari a contrastare il
rischio per l’integrità di beni culturali
(cioè a garantirne la conservazione
materiale), ovvero il danneggiamento della
loro prospettiva o luce (cioè a garantirne
la visibilità complessiva), ovvero
l’alterazione delle loro condizioni di
ambiente e di decoro (cioè a preservarli da
contrasti con lo stile e il significato
storico-artistico e a garantire la
continuità storica e stilistica tra il
monumento e la situazione ambientale in con
è contestualizzato) (ad es., Cons. Stato, VI,
23.05.2006, n. 3078, ha respinto
l’impugnazione di un’imposizione di vincolo
indiretto per un raggio di tre chilometri
intorno ad un castello; cfr. anche Cons.
Stato, VI, 09.03.2011, n. 1474). Della
rappresentazione iconografica e del suo
valore, qui rilevante in senso
complementare, si è già detto a proposito
del vincolo diretto.
Tutte le garanzie del bene protetto in via
primaria al cui presidio è funzionale il
vincolo indiretto (conservazione materiale,
visibilità complessiva, lettura stilistica e
storico-artistica contestualizzata) formano
un sistema integrato idoneo a sorreggerne
l’imposizione. Ne deriva che la
contestazione di un singolo elemento non
vale a sminuirne la validità complessiva.
Pertanto, le considerazioni degli appellanti
circa l’inesistenza di esigenze di tutela
della visione delle sponde lacustri, in
ragione di ostacoli quale un pioppeto (che,
oltretutto, costituisce un elemento del
tutto caduco e transitorio) che si
frappongono tra il lago e gli ambiti oggetto
di lottizzazione, ovvero relative alla
discontinuità tra il complesso oggetto della
tutela diretta e gli insediamenti
circostanti, ovvero ancora, e in generale,
sulla pretesa erroneità della
rappresentazione e della definizione dello
stato dei luoghi da parte della
Soprintendenza prima, e del Tribunale
amministrativo poi, non hanno effetto sulla
legittimità dell’imposizione del vincolo
indiretto, che procede da –e si fonda su-
un sistema integrato di motivazioni, del
quale la visione complessiva e lo stato dei
luoghi sono componenti non unici e comunque
recessivi rispetto alle dominanti esigenze
di conservazione materiale delle cose e di
testimonianza.
In questi lineari termini rilevano e vanno
valutati l’adeguatezza, la congruenza, la
ragionevolezza e la proporzionalità del
vincolo indiretto (cfr. Cons. Stato, VI, 06.10.1986, n. 758), non già –come
vorrebbe l’appello- in attenuazione causata
dal diritto di proprietà, che a questi
riguardi è intrinsecamente limitato e dunque
esterno all’esercizio del potere tanto da
non essere indennizzabile (Corte cost., 04.07.1974, n. 202, che precisa che l’art.
21 l. n. 1089 del 1939 concerne “il potere
di imporre dei limiti all'esercizio dei
diritti privati in relazione ad un preciso
interesse pubblico in base ad apprezzamento
tecnico sufficientemente definito e
controllabile, la cui discrezionalità é
chiaramente determinata”; v. anche ord. 28.12.1984, n. 309). In questo consiste,
con chiara evidenza, un limite fondamentale
imposto nell’interesse generale dalla legge
all’uso dei beni oggetto del vincolo (art.
17 della Carta dei diritti fondamentali
dell’Unione Europea; art. 1 dell’invocato
Protocollo addizionale alla Convenzione
europea per la salvaguardia dei diritti
dell'uomo e delle libertà fondamentali).
Limiti questi che, per le ragioni ampiamente
dette, non risultano qui superati.
È pienamente coerente con quanto esposto che
una particolare ampiezza può essere
giustificata quando siffatta tutela è
applicata non in relazione ad un singolo
immobile, ma in relazione ad un complesso il
cui eccezionale valore culturale si presenta
in modo unitario, che acquista o accresce
interesse in relazione alla sua visione
organica.
Non è fondata, quindi, la censura, anch’essa
sollevata nell’articolato secondo motivo
degli appelli, che lamenta la violazione del
principio di proporzionalità e di
ragionevolezza.
---------------
Anche qui poi, come sopra per il vincolo
diretto, per consolidata e risalente
giurisprudenza l’estensione dell’area da
assoggettare a vincolo indiretto attiene
alla stretta valutazione
dell’amministrazione (cfr. Cons. Stato, VI,
04.05.1955, n. 304; IV, 25.07.1970,
n. 585; VI, 29.11.1977, n. 894; VI, 06.06.2011, n. 3354), e può riguardare
anche un immobile non prossimo al monumento
da tutelare, purché faccia parte
dell’”ambiente” del monumento (Cons. Stato, IV,
09.12.1969, n. 772; IV, 06.03.1970, n. 153; IV, 29.09.1970, n. 616; VI,
06.09.2002, n. 4566; VI, 17.10.2003, n. 6344; VI, 19.01.2007,
n. 111). Solo si richiede che vada valutata
in rapporto a natura, caratteristiche e
ubicazione dei beni da preservare (Cons.
Stato, IV, 09.12.1969, n. 772; VI, 03.11.1970, n. 707; VI, 31.10.1992,
n. 823), il che qui, con la motivazione
dell’atto e l’allegata relazione, risulta
essere avvenuto.
Il vincolo indiretto concerne invero la c.d.
cornice ambientale di un bene culturale
(Cons. Stato, IV, 09.12.1969, n. 722; VI, 18.04.2011, n. 2354). Esso è
legittimamente imposto quando è riferito non
solo alla tutela diretta non di un singolo
bene culturale, ma anche di un intero
insieme, come un comprensorio archeologico
(Cons. Stato, IV, 25.07.1970, n. 585): a
fortiori questo vale quando si tratti di un
complesso non ipogeo o di superficie, ma di
un sistema unitario, come ora si è detto
tale essere quello in esame in relazione
all’essenziale ingegnerizzazione fluviale,
complementare ad una città storica
dell’importanza e del significato di Mantova
(cfr. anche Cons. Stato, VI, 08.06.1971,
n. 417).
Posto che l’estensione dell’ambito di tutela
è dunque diretta espressione delle
valutazioni proprie dell’Amministrazione, ne
viene che queste stesse valutazioni non sono
soggette al sindacato di legittimità del
giudice amministrativo, se non nei ristretti
limiti che si sono ricordati (Consiglio di
Stato, Sez. VI,
sentenza 03.07.2012 n. 3893 -
tratto da www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Non è necessario provare la colpa
dell'amministrazione aggiudicatrice, in
materia di risarcimento da (mancato)
affidamento di gare pubbliche di appalto.
In materia di risarcimento da (mancato)
affidamento di gare pubbliche di appalto non
è necessario provare la colpa
dell'Amministrazione aggiudicatrice poiché
il rimedio risarcitorio risponde al
principio di effettività della tutela
previsto dalla normativa comunitaria
soltanto a condizione che la possibilità di
riconoscere detto risarcimento non sia
subordinata alla constatazione
dell'esistenza di un comportamento
colpevole, in relazione ai principi di cui
alla giurisprudenza comunitaria (Corte CE,
Sez. III, 30.09.2010, C-314/2009), secondo
cui in tema di appalti pubblici la direttiva
Cons. C.E.E. 21.12.1989 n. 665, modificata
dalla direttiva Cons. C.E.E. 18.06.1992 n.
50, osta a una normativa nazionale che
subordini il diritto a ottenere un
risarcimento a motivo di una violazione
della disciplina di settore da parte di
un'Amministrazione aggiudicatrice al
carattere colpevole di tale violazione,
anche nel caso in cui l'applicazione della
normativa in questione sia incentrata su una
presunzione di colpevolezza in capo alla
P.A. stessa e sull'impossibilità per
quest'ultima di far valere la mancanza di
proprie capacità individuali, e dunque, un
difetto di imputabilità soggettiva della
violazione lamentata.
Il concorrente a una gara d'appalto che non
ha conseguito l'aggiudicazione per fatto
dell'Amministrazione non ha diritto al
risarcimento delle spese sostenute per la
presentazione della domanda di
partecipazione alla gara, atteso che queste
restano a carico delle imprese sia in caso
di aggiudicazione che di mancata
aggiudicazione.
Ciò perché tali costi di, rilevano come "danno
emergente" solo nell'ipotesi di
illegittima esclusione, collegandosi alla
pretesa del contraente a non essere
coinvolto in trattative inutili ma
nell'ipotesi in cui l'impresa benefici del
risarcimento del danno per mancata
aggiudicazione (o per la perdita della
possibilità di aggiudicazione) non vi sono i
presupposti per il risarcimento per
equivalente dei costi di partecipazione alla
gara, dal momento che mediante il
risarcimento non può farsi conseguire
all'impresa un beneficio maggiore di quello
che deriverebbe dall'aggiudicazione medesima
(TAR Lazio-Roma, Sez. III,
sentenza 27.06.2012 n. 5920 - link a
www.dirittodeisevizipubblici.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Rifiuti. Pneumatici.
Secondo la normativa posta dalla legge n.
179/2002 e dal D.M. 09.01.2003 costituiscono
sicuramente “rifiuto” gli pneumatici
fuori uso ed essi devono ritenersi destinati
ad attività di recupero o smaltimento, sono
invece da considerarsi “non-rifiuto”
gli pneumatici usati passibili di
ricostruzione ed essi possono essere
compravenduti come beni (Corte di
Cassazione, Sez. III,
sentenza 26.06.2012 n. 25207 - tratto
da www.lexambiente.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Rifiuti. Nozione di sottoprodotto
e attività di recupero.
Sottoprodotto è ciò che non è mai state
rifiuto, costituendo invece materiale
immediatamente riutilizzabile. Non è quindi
tale la plastica già usata per gli
imballaggi non pronta per il reimpiego nel
momento in cui si originava nel corso del
processo rivolto alla produzione di
medicinali e conseguentemente sottoposta a
macinazione, quale operazione non
costituente parte integrante del processo
produttivo principale ed avente la funzione
di contribuire alla trasformazione del
materiale per consentirne l'inserimento in
un nuovo ciclo produttivo.
L'operazione di triturazione delle materie
plastiche che hanno terminato il proprio
ciclo di vita quali imballaggi è
un'operazione di recupero di rifiuti,
finalizzata a conferire agli stessi
consistenza diversa rispetto al materiale di
partenza così da consentire il nuovo
svolgimento di un ruolo utile e soggetta,
come tale, all'obbligo di autorizzazione
(Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 26.06.2012 n. 25203 -
tratto da www.lexambiente.it). |
CONSIGLIERI COMUNALI:
L'assessore assolto nel processo penale non
ha diritto al rimborso delle spese legali.
La
sentenza 26.06.2012 n. 697 del TRIBUNALE
di Vicenza si occupa del rimborso spese a un
assessore assolto in un procedimento penale
riguardante l'attività svolta in tale veste.
Il Tribunale respinge la domanda di
rimborso, dicendo che, in mancanza di una
specifica disposizione di legge che
disciplini il caso, bisogna applicare in via
analogica, ai sensi dell'art. 12, comma 2,
delle disposizioni preliminari al codice
civile, le disposizioni che regolano casi
simili o materie analoghe.
In passato la giurisprudenza si era
orientata nel senso di applicare in via
analogica la norma relativa al rimborso
delle spese in favore dei dipendenti degli
enti locali (art. 67 D.P.R. 268/2007, ora
recepito dall'art. 28 del C.C.N.L. dei
dipendenti comunali), muovendo dalla
equiparazione del rapporto di servizio
onorario con quello di impiego dei
dipendenti dell'ente locale.
Il Tribunale di Vicenza ritiene erronea
questa soluzione e assimila la posizione
dell'assessore a quella del mandatario,
ritenendo di dover applicare in via
analogica l'art. 1720 del c.c..
Su questa questione la Corte di Cassazione
Civile 16.04.2008, n. 10052, ha deciso che
all'assessore, applicando in via analogica
l'art. 1720, comma 2, c.c., spetta soltanto
il rimborso delle spese sostenute a causa
del proprio incarico e non semplicemente in
occasione del medesimo.
Le spese per difendersi in procedimento
penale non sono spese sostenute a causa del
proprio incarico, ma in occasione del
medesimo.
Quindi il rimborso non spetta (link a
http://venetoius.myblog.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Rilevanza circolari
interpretative.
La circolare interpretativa è atto interno
ala pubblica amministrazione che si risolve
in un mero ausilio interpretativo e non
esplica alcun effetto vincolante non solo
per il giudice penale, ma anche per gli
stessi destinatari, poiché non può comunque
porsi in contrasto con l'evidenza del dato
normativo (Corte di Cassazione, Sez. III
penale,
sentenza 25.06.2012 n. 25170 -
tratto da www.lexambiente.it). |
APPALTI:
In tema di affidamento di
contratti pubblici, sussiste la
legittimazione al ricorso soltanto per i
soggetti che hanno partecipato alla
selezione.
La legittimazione al ricorso nelle
controversie in tema di affidamento di
contratti pubblici spetta esclusivamente ai
soggetti che hanno partecipato alla
selezione, perché solo essi hanno acquisito
una posizione sostanziale differenziata
tutelabile davanti al giudice.
La partecipazione alla gara, poi, deve
essere stata legittima, vale a dire
accompagnata dal possesso di tutti i
necessari requisiti, non potendo essere
condiviso quell'orientamento cd. moderato
secondo il quale sarebbe sufficiente anche
la semplice partecipazione "di fatto",
in quanto pure in detta ipotesi l'impresa
viene a porsi, per effetto dell'atto
endoprocedimentale di ammissione, in una
posizione differenziata rispetto a tutti gli
altri operatori economici del mercato di
riferimento.
Si tratta, infatti, di una tesi non
convincente perché dimentica del fatto che "l'accertamento
della illegittimità dell'ammissione,
presenta portata pienamente retroattiva",
per cui "si riflette sui presupposti e sulle
condizioni dell'azione in modo non dissimile
da un provvedimento inoppugnabile di
esclusione" che, secondo l'indirizzo
assolutamente prevalente, esclude in radice
la legittimazione perché retrocede l'impresa
nelle stesse condizioni di quelle rimaste
estranee alla procedura selettiva.
Pure il ricorso principale dell'impresa
ammessa diviene perciò inammissibile nel
caso di accertata fondatezza del ricorso
incidentale escludente, da esaminare sempre
per primo perché avente comunque rilievo
pregiudiziale a prescindere dal numero dei
concorrenti che hanno partecipato alla gara
e dalle ragioni oggettive o soggettive per
le quali la ricorrente principale non
avrebbe dovuto esservi ammessa (Corte di
Cassazione, SS.UU.,
sentenza 21.06.2012 n. 10294 - link a
www.dirittodeisevizipubblici.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Mancata rimozione di opera
stagionale.
La mancata rimozione di un'opera edilizia
precaria allo spirare del termine stagionale
implica la violazione dell'art. 44 del
D.P.R. 380/2001, in quanto la responsabilità
discende dal combinato disposto del citato
art. 44 e dell'art. 40, comma secondo, cod.
pen., per la mancata ottemperanza
all'obbligo di rimozione insito nel
provvedimento autorizzatorio temporaneo
(Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 20.06.2012 n. 24554 -
tratto da www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
E' da
escludere che l’intervento possa
correttamente qualificarsi come di
manutenzione straordinaria, atteso che la
realizzazione di una piattaforma elevatrice
munita di autonomo vano di scorrimento, che
fuoriesce dalla sagoma dell’edificio
asservito e che quindi costituisce un’opera
dotata di autonomia funzionale, appare
piuttosto integrare una ristrutturazione
edilizia, necessitante di permesso di
costruire ai sensi dell’art. 10 del d.PR. n. 380 del 2001
o, in alternativa, di denuncia di inizio di
attività ai sensi dell’art. 22 d.PR cit..
E poiché sensi dell'art. 149 del d.lgs. n.
42 del 2004 l’autorizzazione della autorità
preposta alla tutela del vincolo non è
richiesta soltanto per gli interventi di
manutenzione ordinaria, straordinaria di
restauro e di risanamento conservativo che
non alterino lo stato dei luoghi e l’aspetto
esteriore degli edifici, nel caso in
questione necessita.
---------------
L’autorizzazione paesaggistica non può
essere rilasciata in sanatoria
successivamente alla realizzazione, anche
parziale, delle opere (art. 146, comma 4,
d.lgs. n. 42 del 2004), al di fuori dai casi
tassativamente previsti dall’art. 167, commi
4 e 5.
Con tale scelta il legislatore ha inteso
presidiare ulteriormente il regime delle
opere incidenti su beni paesaggistici,
escludendo in radice che l’esame di
compatibilità paesaggistica possa essere
postergato all’intervento realizzato (sine
titulo o in difformità dal titolo
rilasciato) e ciò al fine di escludere che
possa riconnettersi al fatto compiuto
qualsivoglia forma di legittimazione
giuridica.
In altri termini, il richiamato art. 167 del
Codice n. 42 del 2004, evidentemente in
considerazione delle prassi applicative
delle leggi succedutesi in materia di
condoni e sanatorie (caratterizzate di
regola dall’esercizio di poteri
discrezionali delle autorità preposte alla
tutela del vincolo paesaggistico), ha inteso
tutelare più rigorosamente i beni sottoposti
al medesimo vincolo, precludendo in radice
ogni valutazione di compatibilità ex post
delle opere abusive (tranne quelle
tassativamente indicate nello stesso art.
167).
Sotto tale profilo, ove le opere risultino
diverse da quelle sanabili e indicate
nell’art. 167, le autorità non possono che
emanare un atto dal contenuto vincolato e
cioè esprimersi nel senso della reiezione
dell’istanza di sanatoria.
L’unica eccezione a tale rigida prescrizione
riguarda il caso in cui i lavori, pur se
realizzati in assenza o difformità
dell’autorizzazione paesaggistica, non
abbiano determinato creazione di superfici
utili o volumi ovvero aumento di quelli
legittimamente realizzati.
Tuttavia, nel caso in esame correttamente la
Soprintendenza ha escluso la ricorrenza
della fattispecie derogatoria appena
richiamata, atteso che il vano ascensore,
come già detto, ha in fatto comportato un
aumento delle volumetrie dell’edificio e,
per di più, un’opera rilevante sul piano
della sua percezione visiva nel contesto
paesaggistico di riferimento.
---------------
Appare dubbia, già in linea di principio, l’ascrizione
del vano ascensore al novero dei cosiddetti
volumi tecnici nei casi in cui, come nella
specie, lo stesso sia in fatto conformato
alla stregua di un autonomo corpo edilizio
destinato ad ospitare l’intero impianto
elevatore (e non invece, ad esempio,
soltanto l’extracorsa dell’ascensore).
Per volume tecnico si intende infatti un
volume destinato ad ospitare un impianto o
parte di esso che, per ragioni di
funzionalità, di igiene o di sicurezza non
potrebbe essere allocato nella volumetria
assentita o comunque assentibile; nel caso
in esame non è provato che tale circostanza
ricorra in concreto ed appar dubbia
l’assimilabilità del vano ascensore avente
caratteristiche morfologiche a quello per
cui è giudizio al cosiddetto “volume
tecnico”, nella cui categoria potrebbe al
più rientrare il vano destinato ad ospitare
i macchinari funzionali all’ascensore (ma
non l’ascensore in sé, dotato di autonomia
planovolumetrica rispetto all’edificio
servito).
In ogni caso, nella prospettiva della tutela
del paesaggio non è rilevante la
classificazione dei volumi edilizi che si
suole fare al fine di evidenziare la
neutralità, sul piano del carico
urbanistico, dei cosiddetti volumi tecnici.
E’ pacifico infatti che tale distinzione si
rivela inconferente sul piano della tutela
dei beni paesaggistici: le qualificazioni
giuridiche rilevanti sotto il profilo
urbanistico ed edilizio non hanno rilievo,
quando si tratti di qualificare le opere
sotto il profilo paesaggistico, sia quando
si tratti della percezione visiva di volumi,
a prescindere dalla loro destinazione d’uso,
sia quando comunque si tratti di modificare
un terreno o un edificio, o il relativo
sottosuolo.
La circolare ministeriale citata
dall’appellante (del Ministero dei lavori
pubblici del 31.01.1973, n. 2474, e che, in
base ad un parere del Consiglio superiore
dei lavori pubblici, inserisce tra i volumi
tecnici ai fini del calcolo della volumetria
assentibile solo i volumi strettamente
necessari a contenere e a consentire
l’accesso di quelle parti degli impianti
tecnici che non possono per esigenze di
funzionalità degli impianti trovare luogo
entro il corpo di fabbrica dell’edificio
realizzabile nei limiti imposti dalle norme
urbanistiche), a parte ogni considerazione
sulla impossibilità che essa limiti
l’applicazione delle sopravvenute
disposizioni legislative, già a suo tempo
aveva colto il principio per cui la nozione
di ‘volume tecnico’ rileva ai soli fini
urbanistico-edilizio, avendo specificato che
“la sistemazione dei volumi tecnici non deve
costituire pregiudizio per la validità
estetica dell’insieme architettonico”.
Pertanto, la natura del volume edilizio
realizzato (sia o meno qualificabile come
volume tecnico) non rileva sul giudizio di
compatibilità paesaggistica ex post delle
opere: la nuova volumetria, quale che sia la
sua natura, impone una valutazione di
compatibilità con i valori paesaggistici
dell’area (che deve compiersi da parte della
autorità preposta alla tutela del vincolo,
ovvero dalla competente Soprintendenza in
sede di redazione di un suo parere), mentre
sono radicalmente precluse autorizzazioni
postume per le opere abusive che abbiano
comportato la realizzazione di nuovi volumi
(art. 167 d.lgs. cit.).
... per la riforma della sentenza del TAR
CAMPANIA-NAPOLI: SEZIONE IV n. 2297/2008,
resa tra le parti, concernente DINIEGO
SANATORIA DI PIATTAFORMA ELEVATRICE.
...
Con un primo ordine di censure, l’appellante
sostiene che l’illegittimità del diniego
impugnato in primo grado deriverebbe dalla
non corretta qualificazione giuridica
dell’intervento da assentire con il
procedimento di accertamento di conformità.
In particolare, ad avviso dell’appellante,
poiché nel caso di specie si sarebbe
trattato di un intervento di manutenzione
straordinaria finalizzato a rimuovere -in
base all’art. 1, comma 6, del d.P.R. 24.07.1996 n. 503- le barriere
architettoniche in un edificio privato, non
sarebbe richiesta, ai sensi dell’art. 149
del d.lgs. n. 42 del 2004, l’autorizzazione
paesaggistica, di guisa che il parere
negativo della Soprintendenza sarebbe stato
rilasciato nella specie in carenza di
potere.
La censura non è condivisibile.
Vale anzitutto precisare che ai sensi del
citato art. 149 del d.lgs. n. 42 del 2004
l’autorizzazione della autorità preposta
alla tutela del vincolo non è richiesta
soltanto per gli interventi di manutenzione
ordinaria, straordinaria di restauro e di
risanamento conservativo che non alterino lo
stato dei luoghi e l’aspetto esteriore degli
edifici.
Nel caso in esame è pacifico al contrario
che la realizzazione della piattaforma
elevatrice abbia determinato un aumento dei
volumi dell’edificio ed abbia inciso sui
profili esteriori dello stesso, onde la
qualificazione dell’intervento quale
manutenzione straordinaria non gioverebbe
alle ragioni dell’appellante nella misura in
cui non sarebbe idonea a superare la
necessità del rilascio della autorizzazione
e del suo superamento della fase del riesame
della Soprintendenza (trattandosi di
immobile ricadente in area sottoposta a
vincolo paesaggistico).
In ogni caso, è da escludere che
l’intervento possa correttamente
qualificarsi come di manutenzione
straordinaria, atteso che la realizzazione
di una piattaforma elevatrice munita di
autonomo vano di scorrimento, che fuoriesce
dalla sagoma dell’edificio asservito e che
quindi costituisce un’opera dotata di
autonomia funzionale, appare piuttosto
integrare una ristrutturazione edilizia,
necessitante di permesso di costruire ai
sensi dell’art. 10 del d.PR. n. 380 del 2001
o, in alternativa, di denuncia di inizio di
attività ai sensi dell’art. 22 d.PR cit..
Per altro verso, la qualificazione
dell’intervento alla stregua di opera di
straordinaria manutenzione non potrebbe
trarsi, come assume l’appellante, dalla
disciplina normativa di favore dettata in
materia di eliminazione delle barriere
architettoniche dagli edifici pubblici e
privati (d.P.R n. 503 del 1996, attuativo
dell’art. 27 l. 30.03.1971 n. 118; art.
24 l. 05.02.1992 n. 104; l. n. 13 del
1989), dato che le finalità semplificatorie
e propulsive di tali testi normativi in
favore delle persone diversamente abili non
ha in ogni caso comportato una modificazione
della tipologia degli interventi edilizi
funzionali alla eliminazione delle barriere
architettoniche e dei corrispondenti titoli
edilizi necessari per la loro realizzazione.
E tanto anche a voler considerare le opere
di che trattasi, consistite nel collegare il
quarto piano di un appartamento al terrazzo
superiore, alla stregua di intervento
finalizzato in concreto ad eliminare le
barriere architettoniche di un edificio
privato in favore di un soggetto meritevole
di protezione.
---------------
Sotto altro profilo non appare
condivisibile la censura d’appello di
violazione e falsa applicazione della legge
09.01.1989, n. 13, recante le
disposizioni funzionali alla eliminazione
delle barriere architettoniche negli edifici
privati.
Sul punto l’appellante censura la
correttezza del ragionamento dei giudici di
primo grado nella parte in cui questi ultimi
avrebbero ritenuto abrogate (e quindi non
più applicabili in quanto non riprodotte
negli artt. 77 e segg. del testo unico in
materia edilizia) quelle disposizioni della
citata legge specificamente dettate ai fini
della eliminazione delle barriere
architettoniche (in particolare art. 4.1,
commi 4 e 5); le quali stabilivano che,
anche in aree sottoposte a vincolo
paesaggistico, l’autorizzazione
paesaggistica poteva essere negata solo ove
non fosse possibile realizzare le opere
senza serio pregiudizio del bene tutelato e
che, in ogni caso, il diniego doveva essere
motivato con la specificazione della natura
e della serietà del pregiudizio, della sua
rilevanza in rapporto al complesso in cui
l’opera si colloca e con riferimento a tutte
le alternative eventualmente prospettate
dall’interessato.
Osserva al proposito il Collegio che:
-
anzitutto è vero che non vi è stata, nel
testo unico sull’edilizia, la riproduzione
di quelle previsioni normative che ponevano
un particolare onere motivazionale in sede
di diniego alle opere finalizzate alla
rimozione delle barriere architettoniche
anche in edifici sottoposti al vincolo
storico-artistico o in aree vincolate sul
piano paesaggistico;
-
in ogni caso, al di là della sussistenza o
meno di un’indicazione normativa espressa in
tal senso (che tuttavia potrebbe trarsi dal
sistema) non potrebbe farsi a meno di
rilevare che, nel caso in esame, non vengono
in rilievo le disposizioni afferenti il
procedimento di ordinaria formazione del
titolo edilizio, dato che l’intervento è
stato realizzato sine titulo ed il diniego
avversato in primo grado è maturato, in
ragione del parere negativo della
Soprintendenza, nel distinto procedimento di
accertamento di conformità (che costituisce
un procedimento di sanatoria postuma
dell’abuso).
Ora, ed è questa la questione dirimente del
giudizio, è decisivo considerare che
l’autorizzazione paesaggistica non può
essere rilasciata in sanatoria
successivamente alla realizzazione, anche
parziale, delle opere (art. 146, comma 4,
d.lgs. n. 42 del 2004), al di fuori dai casi
tassativamente previsti dall’art. 167, commi
4 e 5.
Con tale scelta il legislatore ha inteso
presidiare ulteriormente il regime delle
opere incidenti su beni paesaggistici,
escludendo in radice che l’esame di
compatibilità paesaggistica possa essere
postergato all’intervento realizzato (sine
titulo o in difformità dal titolo
rilasciato) e ciò al fine di escludere che
possa riconnettersi al fatto compiuto
qualsivoglia forma di legittimazione
giuridica.
In altri termini, il richiamato art. 167 del
Codice n. 42 del 2004, evidentemente in
considerazione delle prassi applicative
delle leggi succedutesi in materia di
condoni e sanatorie (caratterizzate di
regola dall’esercizio di poteri
discrezionali delle autorità preposte alla
tutela del vincolo paesaggistico), ha inteso
tutelare più rigorosamente i beni sottoposti
al medesimo vincolo, precludendo in radice
ogni valutazione di compatibilità ex post
delle opere abusive (tranne quelle
tassativamente indicate nello stesso art.
167).
Sotto tale profilo, ove le opere risultino
diverse da quelle sanabili e indicate
nell’art. 167, le autorità non possono che
emanare un atto dal contenuto vincolato e
cioè esprimersi nel senso della reiezione
dell’istanza di sanatoria.
L’unica eccezione a tale rigida prescrizione
riguarda il caso in cui i lavori, pur se
realizzati in assenza o difformità
dell’autorizzazione paesaggistica, non
abbiano determinato creazione di superfici
utili o volumi ovvero aumento di quelli
legittimamente realizzati.
Tuttavia, nel caso in esame correttamente la
Soprintendenza ha escluso la ricorrenza
della fattispecie derogatoria appena
richiamata, atteso che il vano ascensore,
come già detto, ha in fatto comportato un
aumento delle volumetrie dell’edificio e,
per di più, un’opera rilevante sul piano
della sua percezione visiva nel contesto
paesaggistico di riferimento.
---------------
A tal proposito non può condividersi
l’approccio interpretativo dell’appellante,
che mira a neutralizzare il profilo
dell’aumento volumetrico determinato del
vano ascensore, richiamando la normativa sui
cosiddetti volumi tecnici.
Sul punto il Collegio ritiene che tale tesi
non tenga conto del testo e della ratio del
medesimo art. 167.
Anzitutto appare dubbia, già in linea di
principio, l’ascrizione del vano ascensore
al novero dei cosiddetti volumi tecnici nei
casi in cui, come nella specie, lo stesso
sia in fatto conformato alla stregua di un
autonomo corpo edilizio destinato ad
ospitare l’intero impianto elevatore (e non
invece, ad esempio, soltanto l’extracorsa
dell’ascensore).
Per volume tecnico si intende infatti un
volume destinato ad ospitare un impianto o
parte di esso che, per ragioni di
funzionalità, di igiene o di sicurezza non
potrebbe essere allocato nella volumetria
assentita o comunque assentibile (Consiglio
di Stato, IV sez., 26.07.1984 n. 578);
nel caso in esame non è provato che tale
circostanza ricorra in concreto ed appar
dubbia l’assimilabilità del vano ascensore
avente caratteristiche morfologiche a quello
per cui è giudizio al cosiddetto “volume
tecnico”, nella cui categoria potrebbe al
più rientrare il vano destinato ad ospitare
i macchinari funzionali all’ascensore (ma
non l’ascensore in sé, dotato di autonomia planovolumetrica rispetto all’edificio
servito).
In ogni caso, ed il rilievo appare di per sé
assorbente e decisivo, nella prospettiva
della tutela del paesaggio non è rilevante
la classificazione dei volumi edilizi che si
suole fare al fine di evidenziare la
neutralità, sul piano del carico
urbanistico, dei cosiddetti volumi tecnici.
E’ pacifico infatti che tale distinzione si
rivela inconferente sul piano della tutela
dei beni paesaggistici: le qualificazioni
giuridiche rilevanti sotto il profilo
urbanistico ed edilizio non hanno rilievo,
quando si tratti di qualificare le opere
sotto il profilo paesaggistico, sia quando
si tratti della percezione visiva di volumi,
a prescindere dalla loro destinazione d’uso,
sia quando comunque si tratti di modificare
un terreno o un edificio, o il relativo
sottosuolo.
La circolare ministeriale citata
dall’appellante (del Ministero dei lavori
pubblici del 31.01.1973, n. 2474, e
che, in base ad un parere del Consiglio
superiore dei lavori pubblici, inserisce tra
i volumi tecnici ai fini del calcolo della
volumetria assentibile solo i volumi
strettamente necessari a contenere e a
consentire l’accesso di quelle parti degli
impianti tecnici che non possono per
esigenze di funzionalità degli impianti
trovare luogo entro il corpo di fabbrica
dell’edificio realizzabile nei limiti
imposti dalle norme urbanistiche), a parte
ogni considerazione sulla impossibilità che
essa limiti l’applicazione delle
sopravvenute disposizioni legislative, già a
suo tempo aveva colto il principio per cui
la nozione di ‘volume tecnico’ rileva ai
soli fini urbanistico-edilizio, avendo
specificato che “la sistemazione dei volumi
tecnici non deve costituire pregiudizio per
la validità estetica dell’insieme
architettonico”.
Pertanto, la natura del volume edilizio
realizzato (sia o meno qualificabile come
volume tecnico) non rileva sul giudizio di
compatibilità paesaggistica ex post delle
opere: la nuova volumetria, quale che sia la
sua natura, impone una valutazione di
compatibilità con i valori paesaggistici
dell’area (che deve compiersi da parte della
autorità preposta alla tutela del vincolo,
ovvero dalla competente Soprintendenza in
sede di redazione di un suo parere), mentre
sono radicalmente precluse autorizzazioni
postume per le opere abusive che abbiano
comportato la realizzazione di nuovi volumi
(art. 167 d.lgs. cit.).
Nel caso in esame appare pertanto pienamente
legittimo il parere negativo –avente
contenuto vincolato- espresso dalla
Soprintendenza con la nota 29.01.2007,
n. 33585, e, per conseguenza, immune dalle
censure dedotte l’avversato diniego
comunale.
L’inconfigurabilità della sanzione
pecuniaria alternativa e la necessità della
riduzione in pristino dello stato dei luoghi
sono inoltre effetti legali strettamente
connessi alla applicazione dell’art. 167 del
d.lgs. n. 42 del 2004, il quale non prevede
sanzioni alternative alla misura ripristinatoria a carattere reale (Consiglio
di Stato, Sez. VI,
sentenza 20.06.2012 n. 3578 -
tratto da www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Cartellonistica stradale e
normativa antisismica.
E' dato notorio che i cartelloni recanti
indicazioni sulla viabilità apposti ai
margini del tratto autostradale non possono
essere, per la funzione svolta, di modeste
dimensioni. Appare peraltro di tutta
evidenza che anche interventi in apparenza
“minori" possano in concreto rilevare sul
piano della pericolosità.
Nella valutazione sul punto non possono non
concorrere, infatti, con l'elemento
dimensionale anche altri aspetti quali, ad
esempio, le modalità di collocazione del
manufatto, la morfologia del sito, la
pendenza del terreno, le modalità di
realizzazione delle strutture di sostegno,
ecc. in quanto suscettibili di accrescere il
grado di pericolo per l'incolumità pubblica.
Ed è ovvio che da tale valutazione non si
potrà prescindere anche per le zone in cui
il grado di sismicità non sia
particolarmente elevato (Corte di
Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 18.06.2012 n. 24086 -
tratto da www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Cartelloni autostradali in zona
sismica: necessaria autorizzazione per
realizzarli.
La normativa antisismica deve essere
applicata a tutte le costruzioni la cui
sicurezza possa interessare la pubblica
incolumità, a nulla rilevando la natura dei
materiali usati e delle strutture
realizzate, in quanto l’esigenza di maggior
rigore nelle zone dichiarate sismiche rende
ancora più necessari i controlli e le
cautele prescritte, quando si impiegano
elementi strutturali meno solidi e duraturi
del cemento armato.
E’ questa la sintesi del principio ripreso
dalla Corte di Cassazione, Sez. III penale,
con la
sentenza 18.06.2012 n. 24086, applicato
rigorosamente anche per i cartelloni
autostradali. Al riguardo, infatti, gli
Ermellini non possono fare a meno di
richiamare il dato di comune conoscenza che
i cartelloni recanti indicazioni sulla
viabilità apposti ai margini di un tratto
autostradale non possono essere per la
funzione svolta di modeste dimensioni e,
anche se riferiti ad interventi in apparenza
minori, possono in concreto rilevare sul
piano della pericolosità.
Nella valutazione sul punto –si legge nella
sentenza- non possono non concorrere,
infatti, con l'elemento dimensionale anche
altri aspetti quali, ad esempio, le modalità
di collocazione del manufatto, la morfologia
del sito, la pendenza del terreno, le
modalità di realizzazione delle strutture di
sostegno, in quanto suscettibili di
accrescere il grado di pericolo per
l'incolumità pubblica.
Allo stesso modo da tale valutazione non
sarà possibile prescindere anche per quelle
zone in il grado di sismicità non sia
particolarmente elevato.
Nel caso di specie, il Tribunale aveva
condannato il direttore del tronco
autostradale, in qualità di committente, e
la ditta, esecutrice dei lavori, alla pena
dell’ammenda per il reato di cui all’art. 95
del T.U.E. per aver realizzato opere di
installazione di pannelli a messaggi
variabili in zona sismica senza la
prescritta autorizzazione dell’ufficio
competente. Il ricorrente aveva contestato
la possibilità di applicare l’articolo 95
del T.U.E. al caso concreto in quanto il
concetto di costruzione cui fa riferimento
la disposizione predetta si riferisce alle
sole opere edili in senso stretto e non
anche, quindi, alla realizzazione di
semplici pannelli contenenti messaggi
autostradali dalla cui istallazione, non può
peraltro, oggettivamente derivare una
concreta fonte di rischio per l'incolumità.
Come si è visto, la Cassazione respinge
fortemente questa interpretazione del
ricorrente, ribadendo l’applicabilità della
norma ai cartelloni autostradali. Peraltro,
sostengono i giudici di Piazza Cavour, la
nozione di costruzione è stata ampiamente
elaborata dalla giurisprudenza della Corte
stessa e da quella amministrativa con
riferimento alle tematiche connesse al
rilascio della concessione ed è stato
rilevato che debbano essere ricompresi nella
nozione di costruzione tutte le opere che
alterino in modo stabile lo stato dei
luoghi, ancorché riconducibili a manufatti
privi di volume interno utilizzabile e che,
in particolare, anche la sistemazione di una
insegna o tabella pubblicitaria richiede il
rilascio del preventivo permesso di
costruire quando per le sue rilevanti
dimensioni comporti un mutamento
territoriale.
Da qui la già dichiarata conseguenza
dell’applicabilità della disposizione di cui
all’art. 95 del T.U.E. ai cartelloni
autostradali con il rigetto di tale motivo
di ricorso da parte del Supremo giudice di
legittimità (link a www.altalex.com). |
EDILIZIA PRIVATA:
Interventi soggetti a permesso di
costruire.
L'installazione di due silos metallici e di
un impianto di frantumazione richiedono il
titolo concessorio così come le opere edili
realizzate all'interno di una cava in cui si
svolgono attività estrattive autorizzate
necessitano del permesso di costruire, ove
non precarie, anche se connesse al ciclo
produttivo, configurandosi, in difetto, il
reato di cui all'art. 44, d.P.R. 6 giugno
2001, n. 380.
Si ha inoltre trasformazione del suolo anche
nello scavo con dinamite del suolo medesimo
in modo da arrecare modifiche permanenti
(Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 13.06.2012 n. 23222 -
tratto da www.lexambiente.it). |
APPALTI SERVIZI:
L'art. 11, c. 2, d.lgs. n.
157/1995 (ora art. 37, c. 4, d.lgs. n.
163/2006) sull'obbligo di indicare in sede
di presentazione dell'offerta le parti di
servizio imputate a ciascun operatore
raggruppato non ha distinto tra ati
orizzontali e verticali.
La previsione contenuta nell'art. 11, c. 2,
d.lgs. n. 157 del 1995 (attuale art. 37, c.
4, d.lgs. n. 163 del 2006), nella parte in
cui ha previsto che l'offerta proveniente da
un raggruppamento d'imprese ‹‹deve
specificare le parti del servizio che
saranno eseguite dalle singole imprese e
contenere l'impegno che, in caso di
aggiudicazione della gara, le stesse imprese
si conformeranno alla disciplina prevista
nel presente articolo›, si applica
quando si tratti non solo si tratti di
a.t.i. verticali, ma anche di a.t.i.
orizzontali.
Conclusivamente, l'obbligo in questione, da
assolvere a pena di esclusione al più tardi
in sede di formulazione dell'offerta -mentre
una dichiarazione successiva, in sede di
esecuzione del contratto, non potrebbe
assolvere allo stesso modo alle esigenze di
trasparenza ed affidabilità che
caratterizzano la gara, sicché la sanzione
dell'esclusione rispetta i criteri della
proporzionalità e dell'adeguatezza-, è
espressione di un principio generale che non
consente distinzioni legate alla natura
morfologica del raggruppamento (verticale o
orizzontale), o alla tipologia (Consiglio di
Stato, Adunanza Plenaria,
sentenza 13.06.2012 n. 22 - link a
www.dirittodeisevizipubblici.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
L’atto di esercizio della
prelazione in ordine alle alienazioni di
beni di interesse storico–artistico
necessita di congrua motivazione, che dia
conto degli interessi pubblici attuali
all’acquisizione del bene, senza, peraltro,
che si esiga un particolare rigore nella
puntuale definizione degli scopi cui il bene
è destinato.
La prelazione, essendo prevista in un’ottica
di tutela del patrimonio storico-artistico
nazionale, presuppone che l’acquisizione del
bene al patrimonio statale ne consenta una
migliore tutela, e in particolare, una
migliore valorizzazione e fruizione del
pregio storico–artistico.
--------------
In tema di prelazione sulle alienazioni di
beni di interesse storico-artistico, non
occorre la comunicazione dell’avvio del
procedimento, in quanto il procedimento
stesso scaturisce da una serie di atti di
iniziativa privata, quali il trasferimento
negoziale del bene e la successiva denuncia
all’amministrazione, per cui un’ulteriore
fase partecipativa degli stessi soggetti
privati autori dell’atto negoziale su cui si
innesta il diritto di prelazione non avrebbe
alcun risvolto di utilità, essendo rimessa
all’esclusiva valutazione
tecnico-discrezionale dell’amministrazione
la consistenza e l’importanza dell’interesse
generale in base al quale si esercita la
prelazione medesima.
---------------
Quanto alla tempestività o meno
dell’esercizio della prelazione rispetto al
termine di 60 giorni, tale termine decorre
dalla ricezione della denuncia, e non dalla
data di invio della denuncia.
Tanto si evince, del resto, dal chiaro
tenore letterale dell’art. 59, comma 1,
d.lgs. n. 42 del 2004, quanto alla
prelazione dello Stato, e la stessa regola
non può che valere nel caso di esercizio
della prelazione da parte di altri enti
territoriali (art. 62, comma 3, d.lgs. n. 42
del 2004).
Il diverso tenore letterale delle
disposizioni normative, che in alcuni casi
fanno riferimento tal quale alla data della
denuncia, in altri alla data di ricezione
della denuncia, non sta ad indicare un
diverso regime giuridico per fattispecie
identiche, atteso che la denuncia non può
che avere sempre il medesimo regime
giuridico, non potendo essere a geometria
variabile, atto recettizio o non recettizio
in funzione dei diversi destinatari;
semplicemente, laddove si parla di temine
decorrente dalla “data della denuncia”, il
legislatore usa una formula sintetica,
sottintendendo l’applicazione del principio
generale sulla recettizietà degli atti di
privati da cui decorrono, per
l’Amministrazione, termini perentori.
D’altra parte, quando la legge fissa un
termine entro il quale un potere può essere
legittimamente esercitato, l’inizio della
decorrenza presuppone la possibilità di
esercitare il medesimo potere, ciò che
ovviamente non avviene quando vi è una
denuntiatio contractus, non ancora pervenuta
all’amministrazione.
---------------
In tema di prelazione sui beni culturali, la
proposta formulata dall’ente interessato, in
quanto atto irrevocabile e vincolante, va
assimilata ad un provvedimento di acquisto
del bene e perciò, ai sensi del d.lgs.
18.08.2000, n. 267, è soggetta all’obbligo
di provvista e copertura finanziaria; di
conseguenza è inefficace la proposta di
prelazione deliberata da un Comune che per
la copertura della spesa rinvii ad un mutuo
ancora da stipulare con la cassa depositi e
prestiti.
Va anzitutto ricostruito il quadro normativo
di riferimento.
Ai sensi dell’art. 59, comma 1, d.lgs.
22.01.2004, n. 42, “gli atti che
trasferiscono, in tutto o in parte, a
qualsiasi titolo, la proprietà o,
limitatamente ai beni mobili, la detenzione
di beni culturali sono denunciati al
Ministero”.
Ai sensi del successivo art. 60, comma 1,
“Il Ministero o, nel caso previsto
dall'articolo 62, comma 3, la regione o agli
altri enti pubblici territoriali
interessati, hanno facoltà di acquistare in
via di prelazione i beni culturali alienati
a titolo oneroso o conferiti in società,
rispettivamente, al medesimo prezzo
stabilito nell'atto di alienazione o al
medesimo valore attribuito nell'atto di
conferimento”.
La prelazione è esercitata nel termine di
sessanta giorni dalla data di ricezione
della denuncia prevista dall'articolo 59
(art. 61, comma 1).
Entro tale termine di sessanta giorni, il
provvedimento di prelazione è notificato
all'alienante ed all'acquirente (art. 61,
comma 3).
Il soprintendente, ricevuta la denuncia di
un atto soggetto a prelazione, ne dà
immediata comunicazione alla regione e agli
altri enti pubblici territoriali nel cui
àmbito si trova il bene (art. 62, comma 1).
La regione e gli altri enti pubblici
territoriali, nel termine di venti giorni
dalla denuncia, formulano al Ministero una
proposta di prelazione, corredata dalla
deliberazione dell'organo competente che
predisponga, a valere sul bilancio
dell'ente, la necessaria copertura
finanziaria della spesa indicando le
specifiche finalità di valorizzazione
culturale del bene (art. 62, comma 2).
Il Ministero può rinunciare all'esercizio
della prelazione, trasferendone la facoltà
all'ente interessato entro venti giorni
dalla ricezione della denuncia. Detto ente
assume il relativo impegno di spesa, adotta
il provvedimento di prelazione e lo notifica
all'alienante ed all'acquirente entro e non
oltre sessanta giorni dalla denuncia
medesima (art. 62, comma 3).
Dal quadro normativo si evince che, ogni
qualvolta il bene è sottoposto a vincolo
culturale, il trasferimento della proprietà
tra privati deve essere denunciato al
Ministero per i beni e le attività
culturali.
Quest’ultimo ha facoltà di esercizio della
prelazione, senza ulteriore condizione se
non quella del pagamento prezzo fissato
nell’atto di compravendita tra i privati e
del rispetto dei termini di legge.
Se il Ministero rinuncia alla prelazione,
questa può essere esercitata dagli enti
pubblici territoriali nel cui territorio
ricade il bene, a condizione, oltre che del
rispetto dei termini di legge, della
adozione di una deliberazione che
predisponga, a valere sul bilancio
dell'ente, la necessaria copertura
finanziaria della spesa e che indichi le
specifiche finalità di valorizzazione
culturale del bene.
Non è pertanto necessario che il bene su cui
si eserciti la prelazione sia già ricompreso
in un progetto di valorizzazione, essendo
sufficiente che siano indicate “le
specifiche finalità di valorizzazione
culturale del bene” e la copertura
finanziaria della spesa.
Il che ben si comprende, ove si consideri il
ristretto termine per l’esercizio della
prelazione, termine perentorio, la cui
brevità non consentirebbe di approntare un
progetto di utilizzo.
L’atto di esercizio della prelazione in
ordine alle alienazioni di beni di interesse
storico–artistico necessita di congrua
motivazione (Cons. St., sez. VI, 23.03.1982,
n. 129), che dia conto degli interessi
pubblici attuali all’acquisizione del bene
(Cons. St., sez. VI, 18.07.1997, n. 1125),
senza, peraltro, che si esiga un particolare
rigore nella puntuale definizione degli
scopi cui il bene è destinato (Cons. St.,
sez. VI, 30.09.2004, n. 6350).
La prelazione, essendo prevista in un’ottica
di tutela del patrimonio storico-artistico
nazionale, presuppone che l’acquisizione del
bene al patrimonio statale ne consenta una
migliore tutela, e in particolare, una
migliore valorizzazione e fruizione del
pregio storico–artistico (Cons. St., sez. VI,
21.02.2001, n. 923).
---------------
La
giurisprudenza della Sezione invocata da
parte appellante, secondo cui nel
procedimento di prelazione è necessario
l’avviso di avvio del procedimento (Cons.
St., sez. VI, Cons. St., sez. VI,
21.02.2001, n. 923; Id., 30.09.2004, n.
6350), è stata superata dalla più recente
giurisprudenza sia di questa stessa Sezione,
che della sez. II.
Si è affermato che, in tema di prelazione
sulle alienazioni di beni di interesse
storico-artistico, non occorre la
comunicazione dell’avvio del procedimento,
in quanto il procedimento stesso scaturisce
da una serie di atti di iniziativa privata,
quali il trasferimento negoziale del bene e
la successiva denuncia all’amministrazione,
per cui un’ulteriore fase partecipativa
degli stessi soggetti privati autori
dell’atto negoziale su cui si innesta il
diritto di prelazione non avrebbe alcun
risvolto di utilità, essendo rimessa
all’esclusiva valutazione
tecnico-discrezionale dell’amministrazione
la consistenza e l’importanza dell’interesse
generale in base al quale si esercita la
prelazione medesima (Cons. St., sez. II,
08.06.2005, n. 4019; Id., sez. VI,
04.04.2008, n. 1430; sez. VI, 19.01.2011, n.
362).
---------------
Quanto alla tempestività o meno
dell’esercizio della prelazione rispetto al
termine di 60 giorni, come correttamente ha
ritenuto il Tar, tale termine decorre dalla
ricezione della denuncia, e non dalla data
di invio della denuncia.
Tanto si evince, del resto, dal chiaro
tenore letterale dell’art. 59, comma 1,
d.lgs. n. 42 del 2004, quanto alla
prelazione dello Stato (Cons. St., sez. VI,
30.09.2004, n. 6350), e la stessa regola non
può che valere nel caso di esercizio della
prelazione da parte di altri enti
territoriali (art. 62, comma 3, d.lgs. n. 42
del 2004).
Il diverso tenore letterale delle
disposizioni normative, che in alcuni casi
fanno riferimento tal quale alla data della
denuncia, in altri alla data di ricezione
della denuncia, non sta ad indicare un
diverso regime giuridico per fattispecie
identiche, atteso che la denuncia non può
che avere sempre il medesimo regime
giuridico, non potendo essere a geometria
variabile, atto recettizio o non recettizio
in funzione dei diversi destinatari;
semplicemente, laddove si parla di temine
decorrente dalla “data della denuncia”,
il legislatore usa una formula sintetica,
sottintendendo l’applicazione del principio
generale sulla recettizietà degli atti di
privati da cui decorrono, per
l’Amministrazione, termini perentori.
D’altra parte, quando la legge fissa un
termine entro il quale un potere può essere
legittimamente esercitato, l’inizio della
decorrenza presuppone la possibilità di
esercitare il medesimo potere, ciò che
ovviamente non avviene quando vi è una
denuntiatio contractus, non ancora
pervenuta all’amministrazione.
In conclusione, essendo la denuncia
pervenuta all’Amministrazione in data
09.08.2010, è tempestivo l’atto di esercizio
della prelazione, adottato il 07.10.2010 e
notificato l’08.10.2010.
Quanto alla questione inerente la copertura
finanziaria, il Collegio ricorda
l’orientamento della Sezione secondo cui, in
tema di prelazione sui beni culturali, la
proposta formulata dall’ente interessato, in
quanto atto irrevocabile e vincolante, va
assimilata ad un provvedimento di acquisto
del bene e perciò, ai sensi del d.lgs.
18.08.2000, n. 267, è soggetta all’obbligo
di provvista e copertura finanziaria; di
conseguenza è inefficace la proposta di
prelazione deliberata da un Comune che per
la copertura della spesa rinvii ad un mutuo
ancora da stipulare con la cassa depositi e
prestiti (Cons. St., sez. VI, 30.09.2004, n.
6350)
(Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 29.05.2012 n. 3209 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Lotti, interventi edilizi e volumetria
residua: frazionamenti catastali irrilevanti.
Qualora un lotto urbanisticamente unitario
sia stato già oggetto di uno o più
interventi edilizi, la volumetria residua (o
la superficie coperta residua) va calcolata
previo decurtamento di quella in precedenza
realizzata, con irrilevanza di eventuali
successivi frazionamenti catastali o
alienazioni parziali, onde evitare che il
computo dell'indice venga alterato con
l'ipersaturazione di alcune superfici al
fine di creare artificiosamente
disponibilità nel residuo.
Ne consegue che, ai fini della costruzione
di nuovi volumi, è irrilevante che un lotto
unitario sia catastalmente suddiviso in più
particelle, essendo necessario considerare
tutti i volumi già esistenti sull'intera
area di proprietà.
Tanto è consolidato questo orientamento che
l'Adunanza plenaria ha rilevato che, in sede
di determinazione della volumetria
assentibile su una determinata area secondo
l'indice di densità fondiaria in vigore, è
computabile anche la costruzione realizzata
prima della L. n. 1150 del 1942, quando cioè
lo ius aedificandi era considerato pura
estrinsecazione del diritto di proprietà,
trattandosi di circostanza ininfluente in
sede di commisurazione della volumetria
assentibile in base alla densità fondiaria,
cioè a quella riferita alla singola area e
che individua il volume massimo consentito
su di essa.
Ciò comporta la necessità di tener conto del
dato reale costituito dagli immobili che su
detta area si trovano e delle relazioni che
intrattengono con l'ambiente circostante.
Rileva, in definitiva, la situazione di
fatto, apprezzata con riguardo al lotto
originario.
L'omissione del nominativo del responsabile
del procedimento ex art. 4, comma 1, L. n.
241 del 1990 costituisce in linea di
principio (e cioè salve le ipotesi in cui
sia dimostrato un concreto pregiudizio)
semplice irregolarità, che non refluisce in
illegittimità del provvedimento finale.
Trova infatti applicazione la norma
suppletiva recata dal successivo art. 5,
comma 2, della stessa L. n. 241 del 1990,
secondo il quale, in difetto di tale
designazione, è considerato responsabile del
singolo procedimento il funzionario preposto
all'unità organizzativa competente.
Dal combinato disposto degli artt. 4-6, L.
n. 241 del 1990 risulta che il compito
essenziale del responsabile del procedimento
è quello di accertare i fatti disponendo il
compimento degli atti all'uopo necessari.
Pertanto la legge affida all'apprezzamento
del responsabile del procedimento il compito
di individuare i mezzi istruttori più idonei
per l'accertamento dei fatti da porre a
fondamento del provvedimento conclusivo. La
scelta dei mezzi può ritenersi viziata sotto
il profilo della legittimità solo allorché
appaia incongrua rispetto al fine voluto dal
legislatore ovvero porti a risultati
aberranti o a travisamento dei fatti.
Nel caso de quo il Giudice di primo grado ha
correttamente osservato che
l'Amministrazione ha posto in essere
un'ampia ed approfondita istruttoria. Il
vizio denunciato perciò non sussiste (tratto
da www.ipsoa.it - Consiglio di Stato, Sez.
IV,
sentenza 22.05.2012
n. 2941 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Diniego di rilascio del Permesso
di costruire nel caso in cui la costruzione
ricada nella fascia di rispetto stradale.
E’ legittimo il diniego di rilascio di un
permesso di costruire per una costruzione
che ricade nella fascia di rispetto
stradale, atteso che il vincolo di rispetto
stradale ha carattere assoluto, in quanto
perseguente una serie concorrente di
interessi pubblici fondamentali ed
inderogabili; da ciò deriva la conseguenza
che il diniego di condono di un edificio
abusivamente realizzato in violazione di
detto vincolo non richiede un previo
accertamento sulla effettiva pericolosità
dello stesso per il traffico stradale (Cfr.
Cons. Stato, sez. IV, 06.05.2010, n. 2644)
(massima tratta da www.regione.piemonte.it -
Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 17.05.2012 n. 2842
-
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Revoca dell’aggiudicazione di una
gara, con riferimento a notizie emerse dalla
stampa e successivamente adeguatamente
accertate dalla P.A..
E’ legittimo il provvedimento con il quale
la P.A., in forza della rinnovata
valutazione del pubblico interesse, resa
necessaria da sopravvenute circostanze di
fatto, idonee ad incidere negativamente
sull’elemento fiduciario che dovrebbe
connotare ab origine i rapporti
contrattuali pubblici, ha revocato in
autotutela l’aggiudicazione di una gara, che
sia motivato con riferimento al fatto che,
da notizie apprese dalla stampa e
successivamente verificate a mezzo di
acquisizione della relativa documentazione
(nella specie si trattava di verbali della
polizia giudiziaria e, quindi, di atti
redatti da pubblici ufficiali), è emerso che
la ditta interessata aveva precedentemente
posto in essere gravi inadempimenti nei
confronti di altra P.A., con conseguenze
anche penalmente rilevanti, nello stesso
settore della gara di appalto (1).
---------------
(1) Ha aggiunto la sentenza in rassegna
che dette emergenze, a prescindere dalla
loro rilevanza o meno sul piano penale,
consentono alla P.A. di escludere il
concorrente, per difetto del requisito
soggettivo in parola, pur in mancanza di un
accertamento giurisdizionale dei fatti
ritenuti rilevanti per la formulazione del
giudizio negativo in ordine all’attività
professionale svolta, e, dall’altra,
giustificano ampiamente il giudizio di
sopravvenuta perdita del requisito di
affidabilità, proprio e soprattutto con
riferimento a prestazione professionali di
identico contenuto contrattuale, rispetto a
quelle nell’ambito delle quali esse si sono
verificate (massima tratta da
www.regione.piemonte.it -
TAR Veneto, Sez. I,
sentenza 17.05.2012
n. 703 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Sui provvedimenti sanzionatori
decide il giudice amministrativo.
Con un chiaro richiamo al principio
affermato dalle Sezioni Unite della Corte di
Cassazione nell’ordinanza 12.03.2008, n.
6525 il Tribunale di Palermo, sezione
distaccata di Bagheria, risolve
un’interessante questione in tema di
giurisdizione. Infatti, con la
sentenza 28.03.2012, viene
ribadito dal giudice di merito che attiene
alla materia urbanistica tutta l’attività
oggetto di autorizzazione da parte della
Pubblica Amministrazione, e pertanto
appartengono alla stessa materia anche i
provvedimenti sanzionatori adottati
dall’autorità amministrativa in relazione
alle difformità delle opere realizzate
rispetto al contenuto dell’autorizzazione
stessa. Ciò in quanto non è possibile
distinguere detti provvedimenti per il solo
elemento della loro funzione sanzionatoria,
peraltro strumentale all'esercizio dei
poteri di vigilanza strettamente connessi
alle potestà autoritative riconosciute per
la tutela dell'interesse pubblico sotteso
alla salvaguardia dei vincoli imposti sulle
aree interessate alle opere.
Nel caso di specie, il giudizio aveva tratto
origine dalla domanda di annullamento ai
sensi dell’art. 22 della l. 689/1981 del
provvedimento reso dall’Amministrazione
resistente, con il quale veniva comminata al
ricorrente la sanzione dell’obbligo di
pagamento della somma di € 44.113, 36 in
relazione alla realizzazione di un’opera
abusiva,contrastante con gli strumenti posti
a tutela del patrimonio paesaggistico, posta
in essere da padre del ricorrente, deceduto
tre anni prima, e ciò in base al presupposto
della trasmissibilità iure hereditario
di tale peculiare tipologia di sanzione. Al
riguardo, si ricorda che ai sensi
dell’articolo 167 del Codice dei beni
culturali e del paesaggio l’autorità
amministrativa preposta alla tutela
paesaggistica è titolare di una
discrezionalità nella scelta dello strumento
sanzionatorio da applicare in merito alla
violazione prevista.
D’altra parte, il ricorrente poneva a
fondamento delle proprie doglianze
l’affermata estinzione della sanzione
inflitta, visto il contenuto dell’art. 7
della l. 689/1981 che dispone che
l’obbligazione di pagare una somma dovuta a
titolo di sanzione amministrativa non si
trasmette agli eredi. In tale contesto, si
inserisce la eccezione preliminare del
difetto di giurisdizione sollevata
dall’Amministrazione e –come si è visto-
accolta dal giudice di merito. Infatti, il
d.lgs. n. 80/1998 all’art. 34 ha riservato
alla giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo tutte le controversie aventi
ad oggetto gli atti, i provvedimenti e i
comportamenti delle amministrazioni
pubbliche e dei soggetti alle stesse
equiparati in materia edilizia e
urbanistica.
Il giudice di merito prosegue sostenendo che
non osta all’applicabilità della citata
disposizione il rilievo che la l. n.
689/1981, art. 22-bis, nel ripartire la
competenza tra Giudice di Pace e Tribunale,
in tema di opposizioni alle sanzioni ex art.
22 della legge stessa, prevede che
l’opposizione vada proposta davanti al
Tribunale quando la sanzione è stata
applicata per una violazione concernente
disposizioni in materia di urbanistica ed
edilizia perché –si legge nella sentenza–
l’ultimo comma della disposizione medesima
fa salve le competenze stabilite da diverse
disposizioni di legge; tra queste va
certamente ricompreso il D.lgs. n. 80 del
1998, art. 34.
Da qui la dichiarazione della giurisdizione
del Giudice Amministrativo con la rimessione
delle parti innanzi al TAR competente per
territorio, restando impregiudicata ogni
questione relativa al merito della causa
(link a www.altalex.com). |
EDILIZIA PRIVATA:
Interventi edilizi sul patrimonio
culturale religioso: vige il divieto anche
in assenza della dichiarazione di interesse
culturale.
Una importante sentenza della Corte di
Cassazione, in apparente contrasto con i
principi contenuti nel Codice del beni
culturali e del paesaggio di cui al D.
Leg.vo 42/2004, afferma la configurabilità
del reato di abusiva esecuzione di opere
edilizie sui beni di interesse culturale
proprietà degli Enti religiosi anche in
assenza della dichiarazione di interesse
culturale.
Nessun decreto preesistente
In
tema di protezione delle bellezze naturali,
ai fini della configurabilità del reato di
cui all’art. 169, comma primo, lett. a), del
D. Leg.vo 22.01.2004, n. 42, che punisce
l’abusiva demolizione, rimozione, modifica,
restauro od esecuzione di opere di qualunque
genere sui beni culturali, non è necessaria
per i beni artistici appartenenti alle
parrocchie la preesistenza della
dichiarazione di interesse culturale del
bene, giacché si presumono per legge beni
culturali, se hanno valore artistico.
E’ questo il principio di diritto stabilito
dalla Corte di Cassazione, Sez. III penale,
con la
sentenza 23.03.2012 n. 11412 in tema di
opere illecite su beni culturali. Si tratta
di una sentenza rilevante, in quanto sembra
annullare quanto di innovativo era stato
introdotto dal Codice dei beni culturali in
tema di verifica di interesse culturale di
beni appartenenti a soggetti pubblici o
equiparati, quali parrocchie e/o enti
religiosi.
Sia sufficiente ricordare che tra le novità
maggiormente significative degli strumenti
di tutela introdotti nel 2004 dal D. Leg.vo
42 vi era proprio la necessità di adottare
un espresso provvedimento amministrativo di
sussistenza dell’interesse culturale per i
beni appartenenti a soggetti pubblici. Ciò
in chiara discontinuità con quanto previsto
nel T.U. del 1999 e prima ancora nella l.
1089 del 1939 che prevedeva un regime di
tutela ope legis per i beni
appartenenti agli enti religiosi, senza
alcuna necessità di adozione di un espresso
provvedimento amministrativo di tutela.
Nessuna innovazione del
codice dei beni culturali
Come si diceva, questa novità viene oggi
negata dalla Corte di Cassazione che con la
sentenza n. 11412 pone piuttosto in evidenza
la continuità del regime giuridico previsto
anteriormente all’entrata in vigore del
Codice dei beni culturali con quello
immediatamente successivo.
Ciò è tanto vero da far leggere nel testo
della sentenza che l’affermazione del
funzionario della soprintendenza, secondo il
quale i beni delle chiese aperte al pubblico
sono sempre stati considerati beni
culturali, se aventi valore artistico, è
conforme alle disposizioni normative che si
sono succedute nel tempo in materia di
tutela di beni artistici nonché
all’orientamento della stessa Cassazione.
Efficacia del vincolo per i
soggetti ecclesiastici
Secondo gli Ermellini il Codice Urbani,
sotto l’aspetto degli strumenti di tutela
dei beni appartenenti alla Chiesa non ha
innovato in maniera sostanziale la
legislazione previgente.
Pertanto, come in regime della l. 1089 del
1939, il decreto impositivo del vincolo deve
essere notificato ai soggetti interessati
solo se relativo a cose appartenenti a
privati, mentre per quelle appartenenti ad
Istituto legalmente riconosciuto il vincolo
è efficace a prescindere da qualsiasi
notifica del provvedimento. Nello specifico,
la Corte ricorda che commette il reato di
cui all’art. 62 della l. n. 1089/1939 il
titolare di una Parrocchia che alieni senza
autorizzazione una cosa di interesse
artistico appartenente ad una Chiesa aperta
al pubblico.
Del pari, vista la non obbligatorietà della
notifica del provvedimento di tutela per i
soggetti pubblici, anche i lavori di
modifica o restauro di beni appartenenti ad
un soggetto pubblico o assimilato senza la
necessaria autorizzazione ministeriale
configura il reato di cui all’art. 59, in
relazione all’art. 11 della l. 1089/1939.
La demolizione di parti di
bene non dichiarato di interesse
Nel caso di specie la Corte di appello di
Firenze aveva confermato la sentenza resa
dal giudice dell’udienza preliminare con cui
il legale rappresentante di una ditta
esecutrice dei lavori, e il direttore dei
lavori, erano stati condannati ciascuno alla
pena di quattro mesi di arresto ed euro 600
di ammenda quali responsabili del reato di
cui all’art. 169 del D. Leg.vo n. 42/2004
per avere eseguito lavori in un oratorio
senza chiedere la preventiva autorizzazione
ed avendo demolito parti del bene.
La difesa dei due ricorrenti in cassazione
si è basata principalmente sull’assenza
della dichiarazione di interesse culturale
-prevista dall’articolo 13 del Codice-
dell’oratorio in questione che, pertanto,
non poteva essere considerato bene
culturale. Ciò trovava conferma nell’assenza
all’interno dell’articolo 10 del Codice dei
beni culturali, di qualsiasi riferimento
agli enti ecclesiastici civilmente
riconosciuti fino alla modifica intervenuta
a mezzo dell’articolo 2 del D. Leg.vo n.
62/2008, che aveva inserito tale riferimento
nella norma de qua.
La Corte tuttavia non ritiene corretto il
ragionamento prospettato dai ricorrenti,
collegando in un continuum temporale la
normativa previgente al Codice con quella
successiva ad esso. Da ciò il rigetto del
ricorso con la condanna dei ricorrenti
singolarmente al pagamento delle spese
processuali.
Una sentenza reazionaria
Resta il dubbio della compatibilità del
ragionamento dei giudici del Palazzaccio con
il significato della innovazione del Codice
dei beni culturali rispetto alla necessità
per gli enti ecclesiastici di sottoporsi
alla verifica di interesse del proprio
patrimonio immobiliare e mobiliare, così
come intesa dagli articoli 10 e 12 del
Codice stesso, la cui conclusione prevede
legislativamente l’adozione di una
dichiarazione di interesse da notificare ai
proprietari ai sensi dell’art. 15 dello
stesso Codice, pena l’impossibilità per
l’ente religioso, proprietario del bene, di
procedere alla richiesta di alienare il
patrimonio stesso.
Al riguardo, non si può fare a meno di
avanzare notevoli perplessità
sull’orientamento della Cassazione appena
enunciato che, di fatto, sposta le lancette
della tutela del patrimonio culturale
ecclesiastico (e pubblico) indietro nel
tempo fino al 1939 (tratto da Bollettino di
Legislazione Tecnica n. 7-8/2012). |
APPALTI SERVIZI:
Sulla legittimità delle
determinazioni di un comune che ha disposto
l'indizione di una gara europea per
l'affidamento del servizio rifiuti, poiché
la selezione del socio privato della soc.
mista si era svolta in contrasto con i
principi che informano la materia.
Sono legittime le determinazioni con le
quali un comune, muovendo dal presupposto
dell'esaurimento degli effetti
dell'affidamento precedentemente disposto in
favore della società mista, ha disposto
l'indizione di una gara europea finalizzata
all'affidamento della gestione del servizio
di raccolta rifiuti urbani.
Il c. 8, lett. e), dell'art. 23-bis, del
d.l. 25.06.2008, n. 112, conv. dalla l.
06.08.2008, n. 133, nel testo ratione
temporis vigente, disponeva, infatti, la
cessazione, entro e non oltre il 31.12.2010,
delle gestioni dei servizi pubblici locali
affidate in assenza dei presupposti di cui
alle precedenti lettere da a) a d). La
lettera b), che in questa sede viene in
rilievo, consentiva, a sua volta,
l'affidamento diretto del servizio a società
a partecipazione pubblica qualora la
selezione del socio privato fosse avvenuta
mediante procedura competitiva ad evidenza
pubblica rispettosa dei principi comunitari
e nazionali.
Pertanto, nel caso di specie, poiché
dall'esame della documentazione risulta che
detto ultimo presupposto non si è verificato
con riguardo alla selezione del socio
privato della società mista la relativa
procedura, si è svolta in contrasto con i
principi che informano la materia. Infatti,
per un verso, la procedura è stata riservata
solo a tre imprese operanti in ambito
regionale, e, per altro verso, non è stata
pubblicata una lex specialis
corredata dalla fissazione dei criteri di
valutazione volti a regolare la selezione
comparativa ed a consentire ai soggetti
interessati di far valere le proprie
chances competitive.
Il difetto di pubblicità che connota tale
modus agendi e la previsione di
restrizioni discriminatorie si traducono
nella trasgressione dei fondamentali
principi comunitari di trasparenza, non
discriminazione, mutuo riconoscimento e
parità di trattamento, principi -da ultimo
richiamati, anche per i contratti esclusi,
dall'art. 27 del codice dei contratti
pubblici- che devono informare anche lo
svolgimento di procedure competitive non
assoggettate a vincoli legislativi puntuali
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 22.03.2012 n. 1633 - link a
www.dirittodeiservizipubblici.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
previsione normativa secondo cui l’agibilità
<<si intende attestata>>, decorso il termine
indicato, non configura una vera e propria
ipotesi di silenzio-assenso in senso
tecnico, di cui all’art. 20 della legge
241/1990, ma dà luogo invece ad una sorta di
legittimazione ex lege, che prescinde dalla
pronuncia della Pubblica Amministrazione e
che trova il suo fondamento nella effettiva
sussistenza dei presupposti richiesti dalla
legge per il rilascio del titolo.
Tale interpretazione dell’art. 25, comma 4,
del DPR 380/2001 trova fondamento nel
successivo art. 26 del Testo Unico
dell’edilizia, secondo il quale: <<Il
rilascio del certificato di agibilità non
impedisce l'esercizio del potere di
dichiarazione di inagibilità di un edificio
o di parte di esso ai sensi dell'articolo
222 del r.d. 27.07.1934, n. 1265>>.
In forza di tale articolo del Testo Unico
delle leggi sanitarie: <<Il podestà, sentito
l'ufficiale sanitario o su richiesta del
medico provinciale, può dichiarare
inabitabile una casa o parte di essa per
ragioni igieniche e ordinarne lo sgombero>>.
La declaratoria di inabitabilità (o meglio
inagibilità, visto che il DPR 380/2001 non
distingue più espressamente l’inagibilità
dalla inabitabilità), può essere effettuata
in ogni tempo e non costituisce
manifestazione di autotutela amministrativa,
ma soltanto attestazione della insussistenza
–originaria o sopravvenuta non importa– dei
requisiti tecnici necessari per dichiarare
agibile un edificio.
---------------
L’agibilità può essere
negata non solo in caso di mancanza di
condizioni igieniche ma anche in caso di
contrasto con gli strumenti urbanistici o
con il titolo edilizio (DIA o permesso di
costruire).
A tale conclusione perviene gran parte della
giurisprudenza senza contare che questa
interpretazione ha anche un supporto
normativo nell’art. 25, comma 1, del Testo
Unico dell’Edilizia. A norma della lettera
b) del comma 1 citato, infatti, la domanda
di agibilità deve essere corredata, fra
l’altro, da una dichiarazione del
richiedente <<(…) di conformità dell’opera
rispetto al progetto approvato>>, e ciò
significa che in caso di difformità
dell’opera dal progetto edilizio, ma anche
evidentemente in caso di assenza di idoneo
progetto, l’agibilità dovrà essere negata.
Con il primo motivo aggiunto, si
denuncia l’illegittimità del diniego del
02.11.2009, per violazione dell’art. 25,
comma 4, del DPR 380/2001 (Testo Unico
dell’edilizia), in quanto, a detta
dell’esponente, sulla domanda di agibilità
del 07.06.2007 si sarebbe formato
silenzio-assenso.
In effetti, secondo il comma 4 citato,
l’agibilità si intende attestata, nel caso
in cui sia rilasciato il parere dell’ASL,
qualora sia decorso inutilmente il termine
di cui al comma 3 dello stesso articolo 25
(trenta giorni dalla ricezione della domanda
o della documentazione integrativa, in caso
di interruzione del termine da parte del
responsabile del procedimento).
Nel caso di specie, la domanda risulta
depositata in Comune il 07.06.2007
(circostanza non smentita
dall’Amministrazione), mentre l’ultima
integrazione documentale è stata effettuata
dalla Fondazione il 05.02.2008, per cui il
termine di legge di trenta giorni
risulterebbe ampiamente decorso al momento
di adozione dell’atto impugnato
(02.11.2009).
Il motivo non merita però accoglimento, alla
luce della giurisprudenza formatasi in
materia, anche relativa alla normativa sul
certificato di agibilità anteriore al DPR
380/2001, vale a dire il DPR 22.04.1994 n.
425, oggi abrogato, il cui art. 4 conteneva
una formulazione analoga a quella dell’art.
25, comma 4, sopra citato.
Per i giudici amministrativi, infatti, la
previsione normativa secondo cui l’agibilità
<<si intende attestata>>, decorso il
termine indicato, non configura una vera e
propria ipotesi di silenzio-assenso in senso
tecnico, di cui all’art. 20 della legge
241/1990, ma dà luogo invece ad una sorta di
legittimazione ex lege, che prescinde
dalla pronuncia della Pubblica
Amministrazione e che trova il suo
fondamento nella effettiva sussistenza dei
presupposti richiesti dalla legge per il
rilascio del titolo (cfr. TAR Lazio, sez.
II-bis, 25.05.2005, n. 4129, con la
giurisprudenza ivi richiamata).
Tale interpretazione dell’art. 25, comma 4,
del DPR 380/2001 trova fondamento nel
successivo art. 26 del Testo Unico
dell’edilizia, secondo il quale: <<Il
rilascio del certificato di agibilità non
impedisce l'esercizio del potere di
dichiarazione di inagibilità di un edificio
o di parte di esso ai sensi dell'articolo
222 del regio decreto 27.07.1934, n. 1265>>.
In forza di tale articolo del Testo Unico
delle leggi sanitarie: <<Il podestà,
sentito l'ufficiale sanitario o su richiesta
del medico provinciale, può dichiarare
inabitabile una casa o parte di essa per
ragioni igieniche e ordinarne lo sgombero>>.
La declaratoria di inabitabilità (o meglio
inagibilità, visto che il DPR 380/2001 non
distingue più espressamente l’inagibilità
dalla inabitabilità), può essere effettuata
in ogni tempo e non costituisce
manifestazione di autotutela amministrativa,
ma soltanto attestazione della insussistenza
–originaria o sopravvenuta non importa– dei
requisiti tecnici necessari per dichiarare
agibile un edificio.
L’atto impugnato non può quindi essere
considerato un provvedimento negativo
tardivo, visto che sulla domanda della
ricorrente non si è formato tacitamente
alcun provvedimento di assenso.
Si conferma, pertanto, il rigetto del primo
motivo aggiunto.
---------------
Attraverso il terzo mezzo aggiunto,
viene dapprima lamentata la violazione dei
principi dell’art. 25 del DPR 380/2001, in
quanto, a detta della ricorrente,
l’agibilità non potrebbe negarsi facendo
riferimento a ragioni di ordine urbanistico
o edilizio, ma soltanto a ragioni di igiene
e salubrità, come risultanti dal citato art.
25.
Sul punto, preme però al Collegio
evidenziare come non possa essere condiviso
l’orientamento, anche se talora emergente in
giurisprudenza, che condiziona il rilascio
del certificato di agibilità alla sola
salubrità degli ambienti ma non anche alla
loro conformità urbanistica, distinguendo
quindi nettamente il momento di valutazione
dell’igiene dell’immobile da quello della
sua compatibilità edilizia.
Al contrario, reputa il Tribunale che
l’agibilità possa essere negata non solo in
caso di mancanza di condizioni igieniche ma
anche in caso di contrasto con gli strumenti
urbanistici o con il titolo edilizio (DIA o
permesso di costruire).
A tale conclusione perviene gran parte della
giurisprudenza (oltre al già citato TAR
Lazio, n. 4129/2005, si vedano anche
Consiglio di Stato, sez. V, 12.12.2008, n.
6174 e 05.04.2005, n. 1542; TAR Lombardia,
Milano, sez. II, 17.09.2009, n. 4672, che ha
ritenuto legittimo il diniego di agibilità a
fronte del mancato pagamento degli oneri
concessori), senza contare che questa
interpretazione ha anche un supporto
normativo nell’art. 25, comma 1, del Testo
Unico dell’Edilizia. A norma della lettera
b) del comma 1 citato, infatti, la domanda
di agibilità deve essere corredata, fra
l’altro, da una dichiarazione del
richiedente <<(…) di conformità
dell’opera rispetto al progetto approvato>>,
e ciò significa che in caso di difformità
dell’opera dal progetto edilizio, ma anche
evidentemente in caso di assenza di idoneo
progetto, l’agibilità dovrà essere negata.
Del resto, appare assurdo che il Comune
rilasci l’agibilità a fronte di un’opera
magari palesemente abusiva e destinata
quindi con certezza alla demolizione,
apparendo tale comportamento
dell’Amministrazione contraddittorio
rispetto al perseguimento del pubblico
interesse.
Di conseguenza, non può il diniego di
agibilità essere reputato illegittimo per la
sola circostanza che è motivato con
riferimento a presunte violazioni della
normativa urbanistica o edilizia
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 10.02.2010 n. 332 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
agibilità è certamente rivolta al controllo
delle condizioni di sicurezza, ma presuppone
anche che il procedimento edilizio sia
completo e quindi che l’obbligazione
patrimoniale del pagamento degli oneri sia
stata adempiuta.
Nel secondo motivo la ricorrente lamenta la
violazione degli art. 24 e 25 DPR 380/2001
in quanto la determinazione
dell’Amministrazione di subordinare il
rilascio della agibilità al pagamento degli
oneri sarebbe illegittima.
La agibilità è certamente rivolta al
controllo delle condizioni di sicurezza, ma
presuppone anche che il procedimento
edilizio sia completo e quindi che
l’obbligazione patrimoniale del pagamento
degli oneri sia stata adempiuta.
L’assenza di questa condizione, come nel
caso di specie, giustifica il rigetto della
domanda (TAR
Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 17.09.2009 n. 4672 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Sebbene,
l'art. 4 del d.P.R. 425/1994 preveda che il
silenzio dell'amministrazione comunale
protrattosi per oltre quarantacinque giorni
sulla richiesta di rilascio della licenza di
abitabilità comporti che "l'abitabilità si
intende attestata", nondimeno il silenzio
non costituisce una forma di
silenzio-assenso in senso tecnico, ma solo
una legittimazione ex lege che prescinde
dalla pronuncia della p.a. e trova il suo
fondamento nella effettiva sussistenza di
tutti i presupposti richiesti dalla legge
per il rilascio della licenza.
La situazione determinatasi a seguito del
silenzio potrà perciò ritenersi legittima
solo nel caso in cui la costruzione sia
conforme alla concessione edilizia e agli
strumenti urbanistici vigenti e sussistano
le condizioni igienico sanitarie per la
concreta abitabilità.
Infatti la norma -ora contenuta nell'art. 25
del D.P.R. 06.06.2001, n. 380- condiziona il
rilascio del certificato di abitabilità non
solo all'aspetto igienico-sanitario
(salubrità degli ambienti), ma anche alla
conformità edilizia dell'opera realizzata
rispetto al progetto approvato: e ciò per la
innegabile stretta correlazione fra i due
momenti valutativi.
In base all'art. 4 d.P.R. 22.04.1994 n. 425,
pertanto, il certificato di agibilità deve
essere rilasciato o negato per ragioni
prevalentemente inerenti il profilo
igienico-sanitario, tuttavia è anche
previsto che l'agibilità presupponga che si
tratti di locali dei quali va dichiarata la
conformità rispetto al progetto approvato. È
evidente che se i locali sono abusivi
l'agibilità non può essere rilasciata, non
avendo alcun significato dichiarare agibile
un locale non conforme alla disciplina
urbanistico-edilizia o del quale non è stata
o è stata falsamente attestata la conformità
rispetto al progetto approvato, perché il
progetto non è stato approvato o l'opera è
stata realizzata in difformità da esso.
L’art. 4 del D.P.R. n. 425/1994, rubricato “Rilascio
del certificato di abitabilità.”,
dispone testualmente che: “1. Affinché
gli edifici, o parti di essi, indicati
nell'art. 220 del regio decreto 27.07.1934,
n. 1265, possano essere utilizzati, è
necessario che il proprietario richieda il
certificato di abitabilità al sindaco,
allegando alla richiesta il certificato di
collaudo, la dichiarazione presentata per
l'iscrizione al catasto dell'immobile,
restituita dagli uffici catastali con
l'attestazione dell'avvenuta presentazione,
e una dichiarazione del direttore dei lavori
che deve certificare, sotto la propria
responsabilità, la conformità rispetto al
progetto approvato, l'avvenuta prosciugatura
dei muri e la salubrità degli ambienti.
2. Entro trenta giorni dalla data di
presentazione della domanda, il sindaco
rilascia il certificato di abitabilità;
entro questo termine, può disporre una
ispezione da parte degli uffici comunali,
che verifichi l'esistenza dei requisiti
richiesti alla costruzione per essere
dichiarata abitabile.
3. In caso di silenzio dell'amministrazione
comunale, trascorsi quarantacinque giorni
dalla data di presentazione della domanda,
l'abitabilità si intende attestata. In tal
caso, l'autorità competente, nei successivi
centottanta giorni, può disporre l'ispezione
di cui al comma 2 del presente articolo, e,
eventualmente, dichiarare la non
abitabilità, nel caso in cui verifichi
l'assenza dei requisiti richiesti alla
costruzione per essere dichiarata abitabile.
4. Il termine fissato al comma 2 del
presente articolo, può essere interrotto una
sola volta dall'amministrazione comunale
esclusivamente per la tempestiva richiesta
all'interessato di documenti che integrino o
completino la documentazione presentata, che
non siano già nella disponibilità
dell'amministrazione, e che essa non possa
acquisire autonomamente.
5. Il termine di trenta giorni, interrotto
dalla richiesta di documenti integrativi,
inizia a decorrere nuovamente dalla data di
presentazione degli stessi. “.
Osserva innanzitutto il Collegio che
l'ambito di applicazione dell'art. 4 d.P.R.
425/1994 è individuato dal richiamo,
contenuto nel comma 1 della norma citata,
all'art. 220 del regio decreto 27.07.1934,
n. 1265, il quale si riferisce agli immobili
ad uso abitativo (v. il riferimento a "case,
urbane o rurali").
D'altra parte, anche ad ammettere
l'applicabilità dell'art. 4 d.P.R. 425/1994
non solo con riferimento al certificato di
abitabilità relativo agli immobili ad uso
abitativo, ma anche con riferimento al
certificato di agibilità degli immobili ad
uso commerciale o industriale, comunque il
ricorso non può essere ritenuto fondato.
Sebbene, l'art. 4 del d.P.R. 425/1994
preveda che il silenzio dell'amministrazione
comunale protrattosi per oltre
quarantacinque giorni sulla richiesta di
rilascio della licenza di abitabilità
comporti che "l'abitabilità si intende
attestata", nondimeno il silenzio non
costituisce una forma di silenzio-assenso in
senso tecnico, ma solo una legittimazione
ex lege che prescinde dalla pronuncia
della p.a. e trova il suo fondamento nella
effettiva sussistenza di tutti i presupposti
richiesti dalla legge per il rilascio della
licenza.
La situazione determinatasi a seguito del
silenzio potrà perciò ritenersi legittima
solo nel caso in cui la costruzione sia
conforme alla concessione edilizia e agli
strumenti urbanistici vigenti e sussistano
le condizioni igienico sanitarie per la
concreta abitabilità (cfr. TAR Puglia, Bari,
Sez. I, 05.04.2002, n. 1682).
Infatti la norma -ora contenuta nell'art. 25
del D.P.R. 06.06.2001, n. 380- condiziona il
rilascio del certificato di abitabilità non
solo all'aspetto igienico-sanitario
(salubrità degli ambienti), ma anche alla
conformità edilizia dell'opera realizzata
rispetto al progetto approvato: e ciò per la
innegabile stretta correlazione fra i due
momenti valutativi (cfr.: Cons. di Stato,
Sez. VI, 15.07.1993, n. 535; TAR Veneto,
Sez. II, 11.12.2000, n. 2612; TAR
Lombardia-Brescia 30.7.2002, n. 1092).
In base all'art. 4 d.P.R. 22.04.1994 n. 425,
pertanto, il certificato di agibilità deve
essere rilasciato o negato per ragioni
prevalentemente inerenti il profilo
igienico-sanitario, tuttavia è anche
previsto che l'agibilità presupponga che si
tratti di locali dei quali va dichiarata la
conformità rispetto al progetto approvato. È
evidente che se i locali sono abusivi
l'agibilità non può essere rilasciata, non
avendo alcun significato dichiarare agibile
un locale non conforme alla disciplina
urbanistico-edilizia o del quale non è stata
o è stata falsamente attestata la conformità
rispetto al progetto approvato, perché il
progetto non è stato approvato o l'opera è
stata realizzata in difformità da esso (
cfr. sul punto TAR Veneto, sez. II,
17.11.1997, n. 1569).
Nel caso di specie, come e evidenziato nella
parte in fatto che precede, il Comune
resistente ha provveduto al rilascio della
richiesta concessione edilizia in sanatoria,
di cui al n. 114 del 17.09.1998, la quale,
tuttavia, è stata sospesa nei suoi effetti
fino al completamento della pratica
relativa, in conseguenza della mancanza del
parere della Sovrintendenza di cui all’art.
32 della L. n. 47/1985, essendo sottoposto
l’immobile in questione al vincolo di cui
alla L. n. 1497/1939.
Ne consegue che, comunque, la pratica
inerente al rilascio del certificato di
abilitabilità, in conseguenza della mancanza
del suddetto parere, non può ritenersi
completa, con la ulteriore conseguenza che
il termine per la formazione del silenzio
non può ritenersi allo stato decorso
(TAR Lazio-Roma, Sez. II-bis,
sentenza 25.05.2005 n. 4129 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
AGGIORNAMENTO AL 16.07.2012 |
ã |
QUESITI &
PARERI |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
La mancanza dei requisiti originari di
permeabilità e spessore del fondo della
discarica può essere compensata dalla
predisposizione di barriere artificiale di
confinamento? (09.07.2012 - link
a www.ambientelegale.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Gli imprenditori agricoli, che raccolgono e
trasportano i propri rifiuti speciali non
pericolosi, sono tenuti al registro di
carico/scarico? E nel caso in cui
trasportano i rifiuti da un luogo all’altro
dell’azienda, sono tenuti al FIR? (09.07.2012
- link a www.ambientelegale.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
La disciplina della TARES è stata modificata
dal decreto sulle semplificazioni fiscali?
(09.07.2012 - link a
www.ambientelegale.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
La legge n. 28/2012 modifica il Codice
ambientale in tema di prevenzione della
produzione dei rifiuti? (09.07.2012
- link a www.ambientelegale.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
L’ordine di rimozione dei rifiuti
abbandonati senza la comunicazione di avvio
del procedimento agli interessati è
legittimo? (09.07.2012 - link a
www.ambientelegale.it). |
DOTTRINA E
CONTRIBUTI |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
S. Maglia,
La gestione degli oli usati (link a
www.tuttoambiente.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
A. Gaspari,
Il preavviso di rigetto previsto dall’art.
10-bis della legge 241/1990. Riflessioni su
alcune cruciali problematiche (link a
www.diritto.it). |
LAVORI PUBBLICI:
S. Fantini,
Il partenariato pubblico-privato, con
particolare riguardo al project financing ed
al contratto di disponibilità (link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
SICUREZZA LAVORO: F.
Iaconi,
Sicurezza sul lavoro: la delega di funzioni
trasferisce il rischio lavorativo sul
delegato
(link a www.leggioggi.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA -
EDILIZIA-PRIVATA:
M. V. Balossi,
In arrivo il nuovo regolamento su terre e
rocce come sottoprodotti (link a
www.tuttoambiente.it). |
EDILIZIA-PRIVATA:
M. Bottone,
La Campania, ohibò - Dalle Leggi sul
Paesaggio al Paesaggio delle Leggi -
Passando per J-L. Borges (04.07.2012). |
SINDACATI |
ENTI LOCALI -
PUBBLICO IMPIEGO:
SPENDING REVIEW: rideterminazione
delle dotazioni organiche ed esuberi di
personale
(CGIL-FP di Bergamo,
nota
12.07.2012). |
PUBBLICO IMPIEGO:
SPENDING REVIEW: il taglio dei
buoni pasto e la nuova disciplina delle
ferie
(CGIL-FP di Bergamo,
nota 09.07.2012). |
ENTI LOCALI:
EE.LL.: Corte Costituzionale e
decreto sulla spending review spingono
all'obbligatoria dismissione delle società
partecipate
(CGIL-FP di Bergamo,
nota 07.07.2012). |
UTILITA' |
EDILIZIA-PRIVATA:
Contributi 2012 agli Enti Locali
per l’esercizio delle funzioni
paesaggistiche.
I contributi agli Enti locali, incluse le
quote destinate ai Parchi per l’esercizio
delle funzioni in surroga degli Enti “non
idonei” (ai sensi dell’art. 80, comma
6-bis, della LR 12/2005), verranno erogati
nel 2012 sulla base di un bando specifico i
cui criteri generali sono stati approvati
con
deliberazione G.R. 02.07.2012 n. 3670.
L’importo stanziato di complessivi €
350.000,00 sarà ripartito, proporzionalmente
all’attività svolta e rendicontata da ogni
Ente locale, secondo le modalità approvate
con
decreto D.S. 10.07.2012 n. 6142 (BURL
n. 29 Serie Ordinaria - 16.07.2012).
La domanda potrà essere inviata per
posta al seguente indirizzo:
Regione Lombardia – D.G.
Sistemi Verdi e Paesaggio – Struttura
Paesaggio – Piazza Città di Lombardia 1 –
20124 Milano indicando sulla busta
“Richiesta di contributi finanziari per la
gestione delle competenze paesaggistiche -
art. 79 della L.R. 12/2005”
o consegnata a mano presso gli sportelli di
protocollo delle sedi regionali di seguito
riportate:
Milano - piazza Città di
Lombardia, 1
Bergamo - via XX Settembre, 18/A
Brescia - via Dalmazia, 92/94 (Palazzo
Magellano)
Como - via Luigi Einaudi, 1
Cremona - via Dante, 136
Lecco - corso Promessi Sposi, 132
Legnano - via Cavallotti, 11/13
Lodi - via Haussmann, 7
Mantova - corso Vittorio Emanuele, 57
Monza - p.zza Cambiaghi, 3
Pavia - viale Cesare Battisti, 150
Sondrio - via del Gesù, 17
Varese - viale Belforte, 22
Gli orari di apertura degli uffici sono i
seguenti:
lunedì – giovedì dalle 9,30 alle 12,00 e
dalle 14,30 alle 16,30
venerdì dalle 9,30 alle 12,00
La scadenza è venerdì 14.09.2012.
Eventuali ulteriori informazioni possono
essere richieste via mail ai seguenti
indirizzi:
struttura_paesaggio@regione.lombardia.it
anita_puntillo@regione.lombardia.it
emma_teso@regione.lombardia.it
alessandra_richelmi@regione.lombardia.it
(tratto da www.regione.lombardia.it). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO:
“Disposizioni urgenti per la
riduzione della spesa pubblica a servizi
invariati” (spending review):
1. La revisione degli assetti organizzativi
delle pubbliche amministrazioni
2. Limiti alle assunzione nelle pubbliche
amministrazioni
3. Auto Blu - Buoni Pasto - Ferie
4. Anticorruzione (sunto
delle principali disposizioni - tratto
da www.governo.it). |
GURI - GUUE -
BURL (e anteprima) |
EDILIZIA PRIVATA: B.U.R.
Lombardia, serie ordinaria n. 29 del
16.07.2012, "Criteri e modalità per
l’erogazione dei contributi agli enti locali
ed agli enti gestori delle aree regionali
protette per l’esercizio delle funzioni
paesaggistiche loro attribuite (art. 79, c.
1, lett. b), l.r.12/2005)" (decreto
D.S. 10.07.2012 n. 6142). |
APPALTI FORNITURE - ENTI LOCALI - PUBBLICO
IMPIEGO - VARI: G.U.
09.07.2012 n. 158 "Comunicato relativo al
decreto-legge 06.07.2012, n. 95, recante:
“Disposizioni urgenti per la revisione della
spesa pubblica con invarianza dei servizi ai
cittadini” (avviso
di rettifica). |
ENTI LOCALI -
APPALTI: G.U.
06.07.2012 n. 156 "Testo
del decreto-legge 07.05.2012, n. 52 coordinato con la legge
di conversione 06.07.2012, n. 94 recante: «Disposizioni
urgenti per la razionalizzazione della spesa pubblica»."
---------------
Spending
review, conversione in legge.
Razionalizzazione della spesa pubblica. Novità su appalti e
riduzione dei consumi di energia della P.A.. Con la
conversione in legge via libera al rilascio del DURC anche
in presenza di crediti P.A..
In Gazzetta la pubblicazione della legge di conversione del
D.L. 07/05/2012, n. 52, recante disposizioni urgenti per la
realizzazione della spesa pubblica, che rientra tra le
misure di attuazione dell’attività di revisione della spesa,
cosiddetta spending review, ritenuta prioritaria dal Governo
per il superamento della crisi economica.
In particolare il decreto-legge reca alcune modifiche al
Codice dei Contratti (D. Leg.vo 163/2006) ed al relativo
Regolamento (D.P.R. 207/2010).
Con modifica all'art. 11, comma 10-bis, lettera b), del D.
Leg.vo 163/2006, il termine dilatorio di 35 giorni per la
stipula del contratto decorrente dall'invio dell'ultima
delle comunicazioni del provvedimento di aggiudicazione
definitiva non si applica più nel caso di acquisto
effettuato attraverso il mercato elettronico della pubblica
amministrazione di cui all'art. 328 del D.P.R. 207/2010.
Con modifica agli artt. 120, comma 2, e 283, comma 2, è
previsto, nell'aggiudicazione di appalti con il criterio
dell'offerta economicamente più vantaggiosa, che la
commissione apra in seduta pubblica i plichi contenenti le
offerte tecniche al fine di procedere alla verifica della
presenza dei documenti prodotti, anche per le gare in corso
ove i plichi non siano stati ancora aperti alla data del
09/05/2012 (inserito dalla legge di conversione).
Per i contratti relativi agli acquisti di beni e servizi
degli enti locali, ove i beni o i servizi da acquistare
risultino disponibili mediante strumenti informatici di
acquisto, viene abolito l'obbligo di riscossione dei diritti
di segreteria.
Entro 24 mesi le P.A. sono tenute ad adottare misure
finalizzate al contenimento dei consumi di energia e all'efficientamento
degli usi finali della stessa, anche attraverso il ricorso
ai contratti di servizio energia e anche nelle forme dei
contratti di partenariato pubblico privato. L'affidamento
della gestione dei servizi energetici deve avvenire con gara
ad evidenza pubblica.
La legge di conversione introduce l'art. 13-bis, recante
modifiche alla disciplina della certificazione e
compensazione dei crediti vantati dai fornitori di beni e
servizi nei confronti delle amministrazioni pubbliche. Di
particolare importanza la disposizione che consente il
rilascio del Documento unico di regolarità contributiva (DURC),
anche in presenza di certificazione che attesti la
sussistenza di crediti certi, liquidi ed esigibili vantati
nei confronti delle pubbliche amministrazioni di importo
almeno pari ai versamenti contributivi accertati e non
ancora versati da parte di un medesimo soggetto. Le modalità
attuative saranno definite con apposito decreto ministeriale
(commento tratto da www.legislazionetecnica.it). |
CORTE DEI
CONTI |
EDILIZIA-PRIVATA:
Utilizzo quote cessazioni anni
precedenti per capacità assunzionale.
Anche la Corte dei Conti, sezione regionale
Veneto, con il
parere 21.06.2012 n. 403, si
occupa dell'argomento nel rispondere al
seguente quesito del Comune di Adria: "...
se, per procedere a nuove assunzioni (...)
nel corso dell'anno 2012, debba tener conto
solo delle cessazioni intervenute nell'anno
precedente ovvero se possa 'cumulare', ai
fini del calcolo della predetta percentuale,
anche le cessazioni intervenute nel 2010,
alla luce dei principi affermati dalle
Sezioni Riunite nella deliberazione n. 52/CONTR/10
e, di recente, dalla Sezione regionale di
controllo per la Puglia nella deliberazione
n. 2/2012/PAR".
La Sezione, dopo aver ricostruito il quadro
normativo e, puntualmente, quello
interpretativo della stessa Corte, esprime
il seguente avviso:
"Ritiene questa Sezione che l'ente che,
attraverso il corretto utilizzo degli
strumenti che l'ordinamento pone a
disposizione delle amministrazioni in
un'ottica di concorso alla riduzione della
spesa - ed, in particolare, della
valutazione periodica, almeno triennale
della consistenza ed eventuale variazione
delle dotazioni organiche previa verifica
degli effettivi fabbisogni, prevista
dall'art. 6, D.lgs. 30.03.2001, n. 165, e
della programmazione triennale del
fabbisogno di personale, prevista dall'art.
39, Legge 27.12.1997, n. 449 successive
modificazioni (questa Sezione, deliberazione
n. 390/2012/PRSP) - sia in grado di
garantire la riduzione, da un anno
all'altro, della spesa per il personale,
secondo le indicazioni fornite dalla Sezione
delle Autonomie (deliberazioni nn. 2/2010/QMIG
e 3/2010/QMIG), e che abbia rispettato,
altresì, il limite percentuale
dell'incidenza della spesa di personale su
quella corrente (art. 76, comma 7, primo
enunciato, D.L. n. 112/2008), deve poter
effettuare nuove assunzioni nella misura del
40% dell'ammontare complessivo della spesa
corrispondente a tutte le cessazioni
intervenute dal 2010 e non reintegrate".
Nel parere sono riepilogati tutti i
presupposti necessari affinché
l'amministrazione possa procedere ad
assunzioni e, soprattutto, la Sezione
esprime motivazioni fortemente critiche
rispetto ad una possibile differente
interpretazione (rispetto a quella sopra
sintetizzata) mettendo in evidenze le
conseguenze esorbitanti che ne
scaturirebbero: inammissibile compromissione
dell'autonomia organizzativa degli enti
locali, esercizio 'forzoso' delle
facoltà assunzionali di anno in anno in
contrasto con una adeguata attività di
programmazione e verifica del fabbisogno di
personale, eccessiva riduzione degli
organici e compromissione delle funzioni
fondamentali dell'ente, sperequazioni tra
enti di diverse dimensioni, potenziale
azzeramento della spesa di personale nel
medio-lungo periodo (tratto da
www.publika.it). |
AUTORITA'
VIGILANZA CONTRATTI PUBBLICI |
APPALTI: Come
redigere i bandi di gara: ecco lo schema
dell’AVCP.
L'articolo 4 del Decreto Legge 70/2011
(Decreto Sviluppo) prevede che i bandi di
gara siano predisposti dalle stazioni
appaltanti sulla base di modelli, bandi
tipo, approvati dall'Autorità di Vigilanza,
previo parere del Ministero delle
Infrastrutture e dei Trasporti e delle
categorie professionali interessate.
L’AVCP ha reso disponibile agli operatori lo
schema di determinazione del “bando-quadro”,
la cui versione definitiva potrebbe essere
disponibile a settembre 2012.
Obiettivo del documento dell’Autorità è
quello di fornire un orientamento alle
stazioni appaltanti e di semplificare la
partecipazione delle imprese alle gare
mediante una progressiva standardizzazione
della documentazione di gara e
interpretazione delle norme, al fine di
rendere più trasparente il mercato e ridurre
contenzioso e arbitrarietà.
Lo schema si articola in 3 parti:
● le cause di esclusione
riconducibili al:
Þ
mancato adempimento alle prescrizioni
previste dal Codice degli Appalti e relativo
Regolamento (D.P.R. 05.10.2010, n. 207)
ovvero da altre disposizioni di legge
vigenti;
Þ
incertezza assoluta sul contenuto o sulla
provenienza dell’offerta, per difetto di
sottoscrizione o di altri elementi
essenziali;
Þ
non integrità del plico contenente l'offerta
o la domanda di partecipazione o altre
irregolarità relative alla chiusura dei
plichi, tali da far ritenere che sia stato
violato il principio di segretezza delle
offerte.
● carenza di elementi
essenziali ed incertezza assoluta sul
contenuto o sulla provenienza dell'offerta:
Þ
indicazioni generali
Þ
sottoscrizione dell'offerta
Þ
accettazione delle condizioni generali di
contratto
Þ
offerte condizionate, plurime ed in aumento
Þ
presentazione della cauzione provvisoria
Þ
mancata effettuazione del sopralluogo
● irregolarità concernenti
gli adempimenti formali di partecipazione
alla gara:
Þ
modalità di presentazione delle offerte e
delle domande di partecipazione
Þ
difetto di separazione fisica dell'offerta
economica dall'offerta tecnica e dal resto
della documentazione amministrativa
Þ
modalità di presentazione delle
dichiarazioni sostitutive
Þ
utilizzo di moduli predisposti dalle
stazioni appaltanti
Þ
mezzi di comunicazione tra operatori
economici e stazioni appaltanti
(12.07.2012 - link a www.acca.it). |
NEWS |
ENTI LOCALI - ATTI AMMINISTRATIVI: PARLA
IL PRESIDENTE DELLA CORTE CONTI LUIGI
GIAMPAOLINO/ Tornare ai controlli preventivi
di legittimità. Più poteri di indagine alla
Corte.
Tornare ai controlli preventivi di
legittimità sugli atti degli enti locali. E'
questa, secondo il presidente della Corte
dei conti, Luigi Giampaolino, l'unica strada
da seguire per coniugare autonomia e
legalità. Aboliti nel 2001 per effetto della
riforma del titolo V della Costituzione (che
ha cancellato i Coreco), i controlli
andrebbero ripristinati sotto l'egida della
Corte dei conti «organo terzo e
imparziale» che consentirebbe di
orientare ex ante i sindaci verso
comportamenti improntati alla legalità e
all'economicità.
Sulla riforma del 2009, che impone un
elevato grado di determinatezza delle
denunce, Giampaolino ammette: «è un
principio di civiltà giuridica» anche se non
tiene conto di due fattori. Primo, le
procure contabili non godono degli stessi
ampi poteri di indagine attribuiti alle
procure presso i tribunali ordinari.
Secondo, la ritrosia dei pubblici dipendenti
nel denunciare. Ecco perché sul punto «sarebbe
opportuna una riflessione». A ItaliaOggi
il presidente della Corte conti propone la
sua ricetta: più controlli sulle società
partecipate e più poteri inibitori «in
modo da intervenire quando il danno erariale
è in atto».
Domanda.
I dati della relazione 2012 sul costo del
lavoro pubblico evidenziano una flessione
tutto sommato modesta del numero di
dipendenti del comparto regioni-autonomie
locali. E questo nonostante le politiche
restrittive di contenimento dei costi delle
ultime manovre. Il sospetto, dunque, è che i
sindaci continuino a fare assunzioni per
così dire -allegre- anche se, a giudicare
dal numero limitato di sentenze di condanna
della Corte conti sembrerebbe il contrario.
I sindaci sono diventati improvvisamente
virtuosi o questo tipo di illecito fa fatica
a venire a galla?
Risposta.
Credo che sarebbe errato attribuire alle
sentenze di condanna emesse dalla Corte dei
conti il valore di strumento di misurazione
della virtuosità o meno degli
amministratori. L'attività giurisdizionale,
ivi compresa quella che si svolge innanzi
alla magistratura contabile, ha valenza
episodica, in quanto legata alla singola e
specifica fattispecie portata all'esame del
giudice che, peraltro, è spesso chiamato a
valutarne solo gli aspetti patologici ...
(articolo Il Sole 24
Ore del 13.07.2012 - link a
www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI:
OSSERVATORIO VIMINALE/ Enti
parco, nomine doc. Direttore scelto con
concorso o contratto. La decisione spetta
all'assemblea in base alla legislazione
regionale.
Qual'è la procedura di nomina del direttore
di un parco naturale regionale?
La legge quadro sulle aree protette n. 394
del 06.12.1991 disciplina direttamente la
materia dei parchi nazionali ...
(articolo Il Sole 24
Ore del 13.07.2012 - link a
www.ecostampa.it). |
APPALTI: Lavoro.
Le modifiche della legge Fornero alle
disposizioni sulla responsabilità.
Solidarietà negli appalti, committenti più
tutelati. Coinvolgimento per incapienza dei
beni di chi esegue l'opera.
Una giungla di norme
sulla responsabilità solidale prive di
coerenza giuridica che hanno la conseguenza
di generare incertezza applicativa sia per
le imprese sia per le amministrazioni
pubbliche.
È questo lo scenario in seguito all'ennesima
modifica apportata all'articolo 29 del
decreto legislativo 276/2003 da parte della
riforma del mercato del lavoro (legge
92/2012). A questo punto non è più
procrastinabile una riforma complessiva del
tema che si ponga anche l'obiettivo di
fornire al responsabile in solido (il
committente o l'appaltatore) gli strumenti
idonei e snelli ad esercitare il ruolo di "controllori"
della filiera.
Di fatto, l'articolo 4 della legge 92/2012
elimina le modifiche introdotte dalla legge
296/2006, attribuendo di nuovo alla
contrattazione collettiva un ruolo decisivo
e vincolante per le imprese in ordine al
controllo e alla verifica della regolarità
complessiva degli appalti che invece la
norma del 2006 aveva eliminato.
Inoltre, in caso di contenzioso nella
materia degli appalti il committente
imprenditore o datore di lavoro è convenuto
in giudizio per il pagamento non solo con
l'appaltatore ma anche con gli eventuali
ulteriori subappaltatori. Il coinvolgimento
di tutta la filiera dell'appalto non è
subordinata alla richiesta del ricorrente ma
è stabilito dalla legge. In altri termini la
legge 92 mira ad estendere, nei fatti, la
responsabilità solidale ai committenti solo
nel caso in cui gli appaltatori o ciascuno
dei subappaltatori non soddisfino con il
proprio patrimonio i crediti vantati dai
terzi interessati.
L'articolo 29 del decreto legislativo
276/2003 costituisce la norma di riferimento
in tema di responsabilità solidale, ma la
disciplina è stata oggetto di ripetute
modifiche. L'articolo 35 del Dl 223/2006 ha
avuto l'obiettivo di coinvolgere i soggetti
che intervengono nel contratto di appalto
(committente, appaltatore, subappaltatore)
nel controllo sul versamento dei contributi
previdenziali, assicurativi, nonché delle
ritenute fiscali, riferibili ai lavoratori
che sono utilizzati nell'appalto stesso.
Successivamente, l'articolo 1, comma 911,
della legge 296/2006, ha sostituito
l'articolo 29, comma 2, con effetto
dall'01.01.2007. Questa modifica ha
apportato le seguenti novità:
- la responsabilità solidale, oltre al
committente e all'appaltatore, è estesa
anche al subappaltatore;
- si è esteso a due anni il termine di
decadenza per l'attivazione del meccanismo
della responsabilità solidale
(precedentemente limitata a un anno);
- i Ccnl, su base contrattuale, non possono
più rimuovere la responsabilità solidale tra
i soggetti coinvolti.
L'articolo 3, comma 8, del Dl 97/2008 ha poi
abrogato i commi da 29 a 34 dell'articolo 35
eliminando, tra l'altro, la responsabilità
solidale sulle ritenute fiscali. A questo si
aggiunga che l'articolo 8 del Dl 138/2011 ha
stabilito che accordi collettivi aziendali o
territoriali possono derogare alle norme di
legge e avere efficacia per tutti i
lavoratori dell'azienda, anche con riguardo
"al regime della solidarietà negli
appalti".
Sono poi seguiti altri due interventi:
- l'articolo 21, comma 1, del decreto legge
5/2012 ha ulteriormente modificato
l'articolo 29, comma 2, del decreto
legislativo 276/2003 estendendo la
responsabilità solidale anche alle quote di
Tfr ma eliminandola per le sanzioni
amministrative;
- l'articolo 2, comma 5-bis, del Dl 16/2012
ha sostituito l'articolo 35, comma 28, del
Dl 223/2006 e reinserito la responsabilità
solidale sul versamento all'erario delle
ritenute sui redditi di lavoro dipendente,
ha esteso l'istituto all'Iva scaturente
dalle fatture inerenti alle prestazioni
effettuate nell'ambito dell'appalto, laddove
il committente o l'appaltatore non dimostri
di avere messo in atto tutte le cautele
possibili per evitare l'inadempimento
(articolo Il Sole 24
Ore del 12.07.2012). |
PUBBLICO IMPIEGO: P.a.,
una terza via per gli esuberi. Dopo
prepensionamenti e mobilità c'è il part-time
obbligatorio. Potrà accedervi solo il
personale non dirigenziale che ha più
anzianità contributiva.
Part-time obbligatorio per gli impiegati
pubblici in esubero. Se non collocabile a
riposo con la nuova procedura di
prepensionamento o in disponibilità per due
anni all'80% di stipendio, il rapporto di
lavoro del personale non dirigente in
soprannumero e non riassorbibile entro il
31.12.2015, andrà trasformato a tempo
parziale sulla base di criteri e modalità
che la pubblica amministrazione dovrà
definire con i sindacati.
Il part-time andrà definito in proporzione
alle eccedenze, con graduale riassorbimento
all'atto delle cessazioni dei rapporti di
lavoro (a qualunque titolo) e compensazione
dei contratti a tempo parziale del restante
personale.
Riduzione organico.
La novità arriva dalle disposizioni relative
alla riduzione delle dotazioni organiche
delle pubbliche amministrazioni (articolo 2
del dl sulla spending review) e
interesserà i dipendenti pubblici che
vengano dichiarati in esubero. Tale
dichiarazione di esubero da parte della pa
rappresenterà, perciò, condizione necessaria
e propedeutica per l'applicazione del
part-time obbligatorio.
In realtà, la norma stabilisce che, per il
personale eventualmente risultante in
soprannumero all'esito della riduzione
(fissata, in via ordinaria, in misura del
20% per gli uffici dirigenziali e per le
relative dotazioni organiche, nonché un
ulteriore 10% o più della spesa relativa al
numero dei posti di organico di tale
personale ...
(articolo ItaliaOggi del 11.07.2012 - link a
www.corteconti.it). |
APPALTI FORNITURE E SERVIZI:
Nulli i contratti fuori dal
perimetro Consip.
Si fa sempre più pressante la stretta sugli
acquisti di beni e servizi nella Pubblica
Amministrazione. Tutti i contratti stipulati
in violazione dell'obbligo di adesione agli
strumenti messi a disposizione dalla Consip
sono da considerarsi nulli e determinano
responsabilità erariale. ...
(articolo Il Sole 24
Ore del 10.07.2012 - link a
www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI: Tagli
anche alle società in house. Sul personale
stesso trattamento di chi detiene il
capitale. Ai dipendenti saranno applicate
come tutela soltanto le regole sui
licenziamenti collettivi.
Le società in house, a totale partecipazione
pubblica, saranno sottoposte a tagli
organizzativi e al personale simmetrici a
quelli previsti dalla spending review
per gli enti che ne detengono il capitale.
...
(articolo Il Sole 24
Ore del 10.07.2012 - link a
www.ecostampa.it). |
ENTI LOCALI:
La spending review.
Regioni e Comuni, nel mirino dei tagli chi
spende di più.
Beni e servizi: costi procapite al setaccio.
Penne carta, fotocopiatrici, e ovviamente
monitor e tastiere. Sono l'arredamento
tipico di tutti gli uffici, privati o
pubblici: il problema, messo a fuoco dal
decreto sulla spending review approvato dal
Governo nella notte fra giovedì e venerdì
riguarda questi ultimi, e si può riassumere
con un paio di numeri.
Per la «cancelleria e materiale
tecnico-informatico», per fare un esempio,
la Lombardia ha speso nel 2011 9 euro ogni
100 abitanti, il Piemonte 55 e la Sicilia
102, vale a dire 11,3 volte di più del
Pirellone. Cambiamo voce, e passiamo a
«studi, consulenze, indagini e gettoni di
presenza»: in Abruzzo sono costati l'anno
scorso 40 euro ogni 100 abitanti, in
Sardegna 683. Per far conoscere la propria
attività, poi, le Regioni (e i loro
politici) si trasformano in "editori", anche
qui con impegno diverso: pubblicare giornali
e riviste nel Lazio costa 3 euro all'anno
ogni 100 cittadini, in Lombardia il doppio
(6,2 euro) e in Calabria 33 volte tanto
(11,3 euro).
È il mondo multiforme dei «consumi
intermedi», vale a dire le spese che le
amministrazioni pubbliche sostengono ogni
giorno per funzionare. A fotografarli è il Siope, il sistema informatico del ministero
dell'Economia che monitora in tempo reale i
flussi di cassa degli enti pubblici locali e
non. Il decreto sulla revisione di spesa
varato dal Governo li mette nel mirino, con
lo scopo di superare la logica dei tagli
lineari finora sempre utilizzata per
graduare in modo "meritocratico" i
sacrifici, in base al principio secondo cui
«chi più spende più deve tagliare».
La spesa nel mirino è appunto quella dei
«consumi intermedi», che nei bilanci locali
individua sostanzialmente tre voci: le
uscite per l'acquisto di beni (dalla carta
al carburante delle auto di servizio),
quelle per le prestazioni di servizi (come
quelli per la manutenzione ordinaria o per
avviare nuovi strumenti informatici) e
l'utilizzo di beni di terzi (immobili in
affitto, auto a noleggio o in leasing e così
via).
A individuare chi spende di più, sempre
secondo il provvedimento, è proprio il
censimento telematico dei flussi di cassa
realizzato dal ministero dell'Economia.
Il meccanismo è chiamato a governare la
sforbiciata da 7,5 miliardi assestata agli
enti locali e alle Regioni: Governo e
amministratori locali hanno tempo fino al 30
settembre per affinare il tutto, ma la linea
è tracciata dalla stessa norma che prevede -in caso di mancato accordo nelle Conferenze
Stato-Regioni e Stato-Città- l'applicazione
automatica dal 15 ottobre della stretta
proporzionale alla spesa per i consumi
intermedi.
Con un sistema delineato così seccamente,
del resto, anche il lavoro delle Conferenze
non potrà spostarsi più di tanto dalla linea
tracciata per decreto.
Fra le Regioni, a temere di più sono
soprattutto quelle del Centro-Sud: nei
territori a Statuto ordinario, a primeggiare
nella spesa è la Basilicata, che nel 2011 ha
dedicato a queste voci 147,5 euro ad
abitante, seguita dalla Campania (113 euro)
e dalla Puglia (96,6), mentre la Liguria,
con 27,3 euro a residente, si ferma cinque
volte sotto la Regione in testa.
Naturalmente, nell'attuazione l'analisi
andrà "pesata" in base alle dimensioni e
alle caratteristiche della Regione, come
mostrano anche le graduatorie degli enti a
Statuto speciale per le quali si prevede un
meccanismo del tutto analogo. Questo tipo di
"pesatura", poi, diventa ancora più urgente
nei Comuni, essendo ovviamente impossibile
paragonare le spese di Balme (54 abitanti in
provincia di Torino) con quelle di Milano o
di Roma.
Proprio la graduatoria dei Comuni (qui a
fianco è pubblicata quella relativa ai
capoluoghi di Regione) mostra però qualche
sorpresa. Dietro il primato dell'Aquila
(3.068,8 euro ad abitante nel 2011, dovuto
però in buona parte alla gestione del
post-terremoto di cui si dovrà tenere
conto), sugli scalini occupati da chi spende
di più si incontra Milano (1.146,3 euro pro
capite) e Venezia (1.061,6), mentre per
esempio Palermo, nonostante lo stato di
quasi-dissesto dovuto alle patologie
storiche dei suoi conti, è nelle parti basse
della classifica, Napoli fa ancora meglio e
Catanzaro (fotografata come super-virtuosa
anche dal debutto dei fabbisogni standard
dedicato alle spese per la Polizia locale)
primeggia. Come mai?
L'efficienza della gestione c'entra solo in
parte. Il problema nasce dal fatto che nei
bilanci locali anche i «consumi intermedi»
rappresentano una realtà molto diversificata
al proprio interno, che insieme alle penne
abbraccia per esempio i contratti di
servizio per i trasporti o lo smaltimento
dei rifiuti. La stortura si vede di più nei
bilanci dei Comuni, che sono più piccoli di
quelli delle Regioni, ma è presente in tutti
i livelli di Governo e va corretta. Il
confronto fra Esecutivo ed enti locali ha
meno di tre mesi per farlo (articolo Il Sole 24 Ore del
09.07.2012 - link a
www.corteconti.it). |
APPALTI FORNITURE:
Forniture. Sconti più alti nelle gare
d'appalto.
Con gli acquisti centralizzati risparmi del
25%.
L'AUTORITÀ/ Nelle gare c'è ancora poca
competizione: spesso i requisiti sono
tagliati su misura per un concorrente.
Ora è certificato: la pubblica
amministrazione che per i propri acquisti si
affida a una centrale unica, ovvero a un
ente che acquista all'ingrosso accorpando le
forniture, risparmia. E non poco: almeno
otto punti in percentuale. I numeri e le
cifre sono, nero su bianco, nella Relazione
dell'Autorità di vigilanza sui contratti
pubblici per il 2011, presentata il 4
luglio.
Ebbene l'anno scorso il campione di ribassi
(e quindi di risparmio) negli appalti di
fornitura è stata proprio la centrale di
committenza (per intenderci la Consip, più
la decina di realtà regionali, le cosiddette
mini-Consip). Sono loro ad aver spuntato dai
fornitori privati uno sconto medio del 24,9%
(si veda la tabella qui sotto) battendo,
appunto di otto punti lo sconto medio
complessivo, fermo al 16,8 per cento.
Appena meglio in realtà hanno fatto le
Camere di commercio con un 25,4% di ribasso
medio, ma su un importo poco significativo
dal punto di vista statistico (1,8 milioni).
All'altro lato della scala di risparmi si
collocano invece gli enti locali quando,
appunto, scelgono di approvvigiornarsi da
soli sul mercato. I Comuni ad esempio non
riescono ad andare oltre il 14% di ribasso,
11 punti in meno rispetto alle centrali di
committenza, mentre i ministeri salgono
appena al 16,5. Dietro a queste aride
percentuali c'è la realtà della spesa
pubblica, proprio quella che in questi
giorni il Governo sta tentando di aggredire
con le politiche di spending review.
Proviamo quindi a tradurre in «soldoni»,
sempre con l'aiuto dei dati forniti
dall'Authority, le percentuali di ribasso.
Nel 2011, ad esempio, i Comuni hanno
acquistato con gara beni per un totale di
81,2 milioni. Ebbene se per lo stesso
importo si fossero affidati alle centrali di
committenza, il risparmio totale sarebbe
stato di 8,9 milioni di euro (l'11% medio di
differenza con i prezzi centralizzati).
Certo, non tutte le forniture e gli appalti
sono intercambiabili, ma una buona fetta sì.
Economie ancora più grandi le avrebbero
potute realizzare (sempre con lo stesso
principio teorico) i ministeri che l'anno
scorso hanno speso ben 670 milioni in
forniture e hanno un distacco di 8,5 punti
in termini di ribassi ottenuti che, appunto,
significa circa 56 milioni pagati in più.
In questa direzione in effetti si è già
mosso il Governo. Già nel primo decreto
legge con i tagli alla spesa (il Dl 52/2012
alle ultime battute in Parlamento) ha
allargato il raggio d'azione della Consip. A
breve quindi le amministrazioni centrali
saranno obbligate ad acquistare tutti i
propri prodotti tramite Consip (oggi solo
otto categorie di beni). Con un risparmio
che nel caso record delle centrali
telefoniche può arrivare anche al 77% (si
veda il Sole 24 ore del 7 maggio). Il
secondo decreto varato la settimana scorsa
si spinge oltre e arriva a obbligare anche
gli enti locali a servirsi della Consip o
delle centrali territoriali per un elenco
ristretto di otto categorie: energia
elettrica, gas, carburanti, combustibili per
riscaldamento, telefonia.
E le sanzioni per chi viola questi nuovi
obblighi sono pesanti: non solo i contratti
sono considerati automaticamente nulli ma
per i funzionari che li firmano scatta
l'illecito disciplinare.
Il mercato delle forniture resta comunque
ristretto: «Abbiamo rilevato -spiega il
presidente dell'Autorità, Sergio Santoro- che a queste gare riescono a partecipare due
o tre concorrenti al massimo, mentre per i
lavori pubblici la media è di 25 offerte».
A
pesare sono i requisiti richiesti ai
fornitori dalle stazioni appaltanti: «I
criteri stabiliti -si legge nella Relazione-
risultano talmente selettivi da
estromettere di fatto gli ipotetici
partecipanti alla gara ad eccezione del
concorrente che si intende favorire».
Insomma bandi su misura: chissà se il metodo Consip
in questo caso potrà funzionare (articolo
Il Sole 24 Ore del 09.07.2012 - link
a www.corteconti.it). |
GIURISPRUDENZA |
APPALTI:
Il TAR ritiene di sollevare la seguente
questione pregiudiziale dinanzi alla Corte
di Giustizia dell’Unione Europea, ai sensi
dell’art. 267 del TFUE (ex articolo 234 del
TCE), in relazione all’interpretazione della
normativa comunitaria:
“Il principio di proporzionalità,
discendente dal diritto di stabilimento e
dai principi di non discriminazione e di
tutela della concorrenza, di cui agli
articoli 49, 56 e 101 del TFUE, nonché il
canone di ragionevolezza in esso racchiuso,
ostano ad una normativa nazionale che, tanto
per gli appalti sopra soglia, quanto per gli
appalti sotto soglia comunitaria, qualifica
come grave una violazione contributiva,
definitivamente accertata, quando il suo
importo eccede il valore di 100,00 Euro ed è
contemporaneamente superiore al 5% dello
scostamento tra le somme dovute e quelle
versate con riferimento a ciascun periodo di
paga o di contribuzione, con conseguente
obbligo per le stazioni appaltanti di
escludere da una gara il concorrente che si
è reso responsabile di una simile
violazione, senza valorizzare altri profili
oggettivamente espressivi dell’affidabilità
del concorrente come controparte
contrattuale?”
---------------
Dal coordinamento tra l’art. 38, comma 2,
del d.l.vo 2006 n. 163 e l’art. 8, comma 3,
del D.M. 24.10.2007 emerge che devono essere
considerate “gravi”, con conseguente
esclusione dalla gara dell’impresa che le ha
commesse, le violazioni contributive
definitive che eccedono il 5% dello
scostamento tra le somme dovute e quelle
versate con riferimento a ciascun periodo di
paga o di contribuzione, fermo restando che,
in ogni caso, non è grave la violazione di
importo inferiore a 100,00 Euro.
Ne consegue che una violazione inferiore a
100,00 Euro non può mai essere considerata
grave, anche se eccede il 5% dello
scostamento tra le somme dovute e quelle
versate.
Del pari, una violazione superiore a 100,00
Euro non può mai essere considerata grave se
non eccede il 5% dello scostamento tra le
somme dovute e quelle versate.
Viceversa, una violazione contributiva di
importo superiore a 100,00 Euro deve
necessariamente essere considerata grave se
eccede il 5% dello scostamento tra le somme
dovute e quelle versate nel periodo di
riferimento.
---------------
La regolarità nei versamenti contributivi,
imposta a pena di esclusione dall’art. 38
del d.l.vo 2006 n. 163, deve sussistere dal
momento della presentazione della domanda di
partecipazione alla procedura e permanere
per tutta la durata della gara, sicché resta
irrilevante un eventuale adempimento tardivo
da parte dell’impresa.
---------------
Anche la disciplina di un appalto sotto
soglia comunitaria deve rispettare le norme
fondamentali del Trattato ed, in
particolare, il principio della parità di
trattamento, nonché i principi da esso
desumibili, tra i quali i canoni di
ragionevolezza e di proporzionalità.
Ciò è coerente con l’interesse
transfrontaliero che caratterizza la gara in
questione, in considerazione tanto del
valore dell’appalto, solo di poco inferiore
alla soglia di rilievo comunitario, quanto
della rilevanza oggettiva degli interventi
da effettuare e dell’assenza di elementi di
specificità tali da concentrare l’interesse
per l’aggiudicazione solo in capo alle
imprese stabilite in un delimitato ambito
territoriale.
L’esigenza di garantire l’applicazione delle
norme fondamentali e dei principi del
Trattato, anche in relazione alle gare sotto
soglia comunitaria, è stata più volte
ribadita dalla Corte di Giustizia U.E.,
secondo la quale tale interpretazione è
confermata dal secondo ‘considerando’ della
direttiva 2004/18, a tenore del quale
l’aggiudicazione di tutti gli appalti
stipulati negli Stati membri per conto di
enti aventi la qualifica di amministrazione
aggiudicatrice deve rispettare le norme di
base del Trattato, in particolare quelle
concernenti la libera circolazione dei
prodotti e dei servizi, nonché il diritto di
stabilimento e i principi fondamentali che
ne derivano, in particolare quelli della
parità di trattamento, di funzionalità e di
trasparenza.
---------------
In tema di attuazione nazionale dei principi
di parità di trattamento e di trasparenza,
nonché del conseguente canone di
proporzionalità, la Corte di Giustizia U.E.
ha riconosciuto agli Stati membri una certa
discrezionalità nell’adozione delle misure
destinate a garantire il rispetto di tali
valori, i quali si impongono alle stazioni
appaltanti in tutte le procedure di
aggiudicazione di un appalto pubblico; ciò
perché ogni Stato membro è nella posizione
migliore per individuare, alla luce di
“considerazioni di ordine storico,
giuridico, economico o sociale che gli sono
proprie, le situazioni favorevoli alla
comparsa di comportamenti idonei a provocare
violazioni del rispetto di tali principi”.
Nondimeno le misure adottate devono essere
proporzionate, ossia non eccedere quanto
necessario per raggiungere l’obiettivo
perseguito, in termini sia di minima
incidenza sulle posizioni soggettive
coinvolte nelle procedure di gara, ossia
solo nei limiti di quanto strettamente
necessario, sia di coerenza con il fine da
realizzare.
Sul piano normativo, il Tribunale rileva che
la fattispecie in esame è disciplinata
dall’art. 38 del d.l.vo 2006 n. 163, come
modificato dal decreto legge 13.05.2011, n.
70, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica Italiana del 13.05.2011, n.
110, entrato in vigore il giorno successivo
a quello della sua pubblicazione e
convertito in legge dall'art. 1, comma 1,
della legge 12.07.2011, n. 106.
L’art. 38, primo comma, lett. i), del d.l.vo
2006 n. 163 dispone che devono essere
esclusi da una gara diretta
all’aggiudicazione di un appalto i
concorrenti: “i) che hanno commesso
violazioni gravi, definitivamente accertate,
alle norme in materia di contributi
previdenziali e assistenziali, secondo la
legislazione italiana o dello Stato in cui
sono stabiliti”.
Il secondo comma dell’art. 38, dopo le
modifiche apportate dal decreto legge
13.05.2011, n. 70, definisce la nozione di
violazione contributiva “grave”,
stabilendo che “ai fini del comma 1,
lettera i), si intendono gravi le violazioni
ostative al rilascio del documento unico di
regolarità contributiva …”; a loro
volta, le violazioni che ostano al rilascio
del D.U.R.C. sono individuate dal Decreto
del Ministero del lavoro e della previdenza
sociale datato 24.10.2007, che disciplina il
documento unico di regolarità contributiva.
In particolare, l’art. 8, comma 3, del D.M.
24.10.2007 dispone che “ai soli fini
della partecipazione a gare di appalto non
osta al rilascio del D.U.R.C. uno
scostamento non grave tra le somme dovute e
quelle versate, con riferimento a ciascun
Istituto previdenziale ed a ciascuna Cassa
edile. Non si considera grave lo scostamento
inferiore o pari al 5% tra le somme dovute e
quelle versate con riferimento a ciascun
periodo di paga o di contribuzione o,
comunque, uno scostamento inferiore ad €
100,00, fermo restando l'obbligo di
versamento del predetto importo entro i
trenta giorni successivi al rilascio del
D.U.R.C.”.
Il Tribunale evidenzia che dal coordinamento
tra l’art. 38, comma 2, del d.l.vo 2006 n.
163 e l’art. 8, comma 3, del D.M. 24.10.2007
emerge che devono essere considerate “gravi”,
con conseguente esclusione dalla gara
dell’impresa che le ha commesse, le
violazioni contributive definitive che
eccedono il 5% dello scostamento tra le
somme dovute e quelle versate con
riferimento a ciascun periodo di paga o di
contribuzione, fermo restando che, in ogni
caso, non è grave la violazione di importo
inferiore a 100,00 Euro.
Ne consegue che una violazione inferiore a
100,00 Euro non può mai essere considerata
grave, anche se eccede il 5% dello
scostamento tra le somme dovute e quelle
versate.
Del pari, una violazione superiore a 100,00
Euro non può mai essere considerata grave se
non eccede il 5% dello scostamento tra le
somme dovute e quelle versate.
Viceversa, una violazione contributiva di
importo superiore a 100,00 Euro deve
necessariamente essere considerata grave se
eccede il 5% dello scostamento tra le somme
dovute e quelle versate nel periodo di
riferimento.
Rispetto alla fattispecie concreta, va
evidenziato che la violazione contributiva
commessa dal Consorzio Stabile Libor deve
essere qualificata “grave” in base
alle norme appena richiamate, trattandosi di
una violazione di valore superiore a 100,00
Euro e che eccede il 5% dello scostamento
tra le somme dovute e quelle versate con
riferimento al periodo di contribuzione
considerato (il mese di maggio 2011), in
quanto corrisponde alla totalità dei
contributi che l’impresa avrebbe dovuto
versare in questo periodo.
Occorre precisare che il pagamento tardivo
effettuato dal Consorzio Stabile Libor non
determina la sanatoria della violazione
commessa, né incide sulla sua gravità, in
quanto la regolarità nei versamenti
contributivi, imposta a pena di esclusione
dall’art. 38 del d.l.vo 2006 n. 163, deve
sussistere dal momento della presentazione
della domanda di partecipazione alla
procedura e permanere per tutta la durata
della gara, sicché resta irrilevante un
eventuale adempimento tardivo da parte
dell’impresa (sul punto la giurisprudenza
nazionale è consolidata; si considerino:
Consiglio di Stato, sez. IV, 12.03.2009, n.
1458; Consiglio di Stato, sez. V,
10.08.2010, n. 5556; Consiglio di Stato,
sez. IV, 15.09.2010, n. 6907; Consiglio di
Stato, sez. V, 12.10.2011, n. 5531).
Il Tribunale dubita che l’art. 38, comma 2,
del d.l.vo 2006 n. 163, come modificato dal
decreto legge 13.05.2011, n. 70, sia
compatibile con il principio comunitario di
proporzionalità e con il canone di
ragionevolezza ad esso sotteso.
La questione è sicuramente rilevante nel
caso concreto, perché il Consorzio Stabile
Libor è stato escluso dalla gara proprio a
causa della violazione contributiva
commessa, ritenuta grave perché di valore
superiore a 100,00 Euro ed eccedente il 5%
dello scostamento tra le somme dovute e
quelle versate con riferimento al periodo di
contribuzione considerato.
Del resto, il Consorzio Stabile Libor ha
impugnato il provvedimento di esclusione
dalla gara, contestando espressamente la
sussistenza di una violazione contributiva “grave”,
specie in considerazione del suo riferirsi
ad un importo oggettivamente contenuto. Ne
deriva che la questione pregiudiziale è
rilevante, sia perché la soluzione della
controversia impone l’applicazione dell’art.
38, comma 2, del d.l.vo 2006 n. 163, sia
perché l’esistenza in concreto di una grave
violazione contributiva integra un punto
controverso tra le parti.
In ordine all’individuazione della normativa
comunitaria da applicare al caso specifico,
il Tribunale evidenzia che la gara di cui si
tratta non soggiace alla direttiva
31.03.2004, n. 2004/18/CE, in quanto il
valore dell’appalto ammonta a 4.784.914,61
Euro ed è, quindi, inferiore alla soglia di
rilevanza comunitaria, fissata, per gli
appalti di lavori e con riferimento al tempo
di indizione della particolare procedura, in
4.845.000,00 Euro, ai sensi dell’art. 7,
lett. c), della direttiva n. 2004/18, come
modificata dal Regolamento della Commissione
del 30.11.2009, n. 1177/2009.
Nondimeno, secondo il consolidato
orientamento della giurisprudenza
comunitaria e nazionale, anche la disciplina
di un appalto sotto soglia comunitaria deve
rispettare le norme fondamentali del
Trattato ed, in particolare, il principio
della parità di trattamento, nonché i
principi da esso desumibili, tra i quali i
canoni di ragionevolezza e di
proporzionalità.
Ciò è coerente con l’interesse
transfrontaliero che caratterizza la gara in
questione, in considerazione tanto del
valore dell’appalto, solo di poco inferiore
alla soglia di rilievo comunitario, quanto
della rilevanza oggettiva degli interventi
da effettuare e dell’assenza di elementi di
specificità tali da concentrare l’interesse
per l’aggiudicazione solo in capo alle
imprese stabilite in un delimitato ambito
territoriale.
L’esigenza di garantire l’applicazione delle
norme fondamentali e dei principi del
Trattato, anche in relazione alle gare sotto
soglia comunitaria, è stata più volte
ribadita dalla Corte di Giustizia U.E.,
secondo la quale tale interpretazione è
confermata dal secondo ‘considerando’
della direttiva 2004/18, a tenore del quale
l’aggiudicazione di tutti gli appalti
stipulati negli Stati membri per conto di
enti aventi la qualifica di amministrazione
aggiudicatrice deve rispettare le norme di
base del Trattato, in particolare quelle
concernenti la libera circolazione dei
prodotti e dei servizi, nonché il diritto di
stabilimento e i principi fondamentali che
ne derivano, in particolare quelli della
parità di trattamento, di funzionalità e di
trasparenza (cfr. tra le più recenti, Corte
di Giustizia C.E., sez. IV, 23.12.2009, in
causa C-376/08).
Nel caso in esame assumono rilevanza proprio
i principi generali della parità di
trattamento e di proporzionalità,
discendenti sia dagli artt. 49 (ex articolo
43 del TCE) e 56 (ex articolo 49 del TCE)
del TFUE, in relazione al diritto di
stabilimento e alla libertà di prestazione
dei servizi, sia dall’art. 101 (ex articolo
81 del TCE) del TFUE, in materia di tutela
della concorrenza, nonché i corollari da
essi derivanti.
L’attenzione deve essere concentrata sul
canone di proporzionalità, secondo
l’interpretazione che ne ha fornito la
giurisprudenza comunitaria.
Si tratta di un principio generale del
diritto comunitario, in forza del quale le
misure adottate dagli Stati membri non
devono eccedere quanto è indispensabile per
raggiungere l’obiettivo perseguito, pertanto
esse devono essere idonee a realizzare il
fine prefissato e necessarie, nel senso di
consentire la realizzazione dell’obiettivo
prescelto nel modo meno invasivo per gli
interessi degli operatori economici
coinvolti.
Proprio in tema di attuazione nazionale dei
principi di parità di trattamento e di
trasparenza, nonché del conseguente canone
di proporzionalità, la Corte di Giustizia
U.E. ha riconosciuto agli Stati membri una
certa discrezionalità nell’adozione delle
misure destinate a garantire il rispetto di
tali valori, i quali si impongono alle
stazioni appaltanti in tutte le procedure di
aggiudicazione di un appalto pubblico; ciò
perché ogni Stato membro è nella posizione
migliore per individuare, alla luce di “considerazioni
di ordine storico, giuridico, economico o
sociale che gli sono proprie, le situazioni
favorevoli alla comparsa di comportamenti
idonei a provocare violazioni del rispetto
di tali principi”. Nondimeno le misure
adottate devono essere proporzionate, ossia
non eccedere quanto necessario per
raggiungere l’obiettivo perseguito, in
termini sia di minima incidenza sulle
posizioni soggettive coinvolte nelle
procedure di gara, ossia solo nei limiti di
quanto strettamente necessario, sia di
coerenza con il fine da realizzare (cfr. sul
punto, in particolare, Corte di Giustizia
U.E., Grande Sezione, 14.12.2004, in causa
C-210/03; Corte di Giustizia U.E., sez. IV,
23.12.2009, in causa C-376/08).
Il Tribunale, alla luce delle premesse ora
esposte, ritiene necessario esaminare la
ratio sottesa alla norma contenuta
nell’art. 38, comma 2, del d.l.vo 2006 n.
163, nonché i parametri da essa posti ai
fini della determinazione della nozione di
violazione contributiva “grave”, così
da poterne analizzare la coerenza con i
principi di proporzionalità e di
ragionevolezza.
L’art. 38, comma 2, introduce, mediante il
rinvio alle norme dettate dal D.M.
24.10.2007 (retro punti 12, 13, 14), una
nozione di violazione contributiva “grave”
del tutto rigida, desunta da un dato solo
quantitativo, riferibile indifferentemente
agli appalti sopra soglia e sotto soglia
comunitaria e tale da determinare
l’automatica esclusione dalla gara
dell’impresa che se ne è resa responsabile.
Difatti, quando la violazione contributiva
commessa da un concorrente è definitiva,
perché risultante come tale dal D.U.R.C.,
nonché contemporaneamente di valore
superiore a 100,00 Euro e al 5% dello
scostamento tra le somme dovute e quelle
versate con riferimento al periodo di
contribuzione considerato, il concorrente
deve necessariamente essere escluso.
La finalità perseguita dall’art. 38, comma
2, del d.l.vo 2006 n. 163 è quella di
eliminare ogni autonomia valutativa della
stazione appaltante rispetto
all’accertamento del requisito di
partecipazione integrato dalla regolarità
contributiva, introducendo una nozione
esclusivamente legale di “gravità”
della violazione contributiva.
Il Tribunale ritiene che la scelta del
legislatore nazionale di escludere poteri
valutativi in capo alla stazione appaltante
sia di per sé comunitariamente compatibile,
perché rafforza la parità di trattamento tra
i diversi operatori economici partecipanti
ad una gara, evitando rischi di
comportamenti discriminatori. Difatti,
l’attribuzione di poteri discrezionali alle
stazioni appaltanti, in ordine
all’accertamento della gravità della
violazione commessa, potrebbe favorire la
proliferazione di scelte arbitrarie, tali da
provocare trattamenti diversi di situazioni
identiche, in violazione dei principi di
parità di trattamento e di tutela della
concorrenza. Insomma, rientra nell’autonomia
del legislatore statale la decisione di
introdurre dei rigidi parametri di
individuazione della gravità della
violazione contributiva, con esclusione di
ogni apprezzamento discrezionale da parte
delle stazioni appaltanti.
Resta fermo, però, che i criteri elaborati a
tale fine dal legislatore nazionale devono
essere coerenti con il canone comunitario
della proporzionalità. Ciò implica che il
criterio normativo introdotto deve essere
adeguato, ossia idoneo alla realizzazione
del fine prefissato, nonché necessario, nel
senso di consentire la realizzazione
dell’obiettivo prescelto nel modo meno
invasivo per gli interessi degli operatori
economici coinvolti.
Per verificare se la definizione di gravità
della violazione contributiva posta
dall’art. 38, comma 2, del d.l.vo 2006 n.
163 è coerente con il principio di
proporzionalità, occorre precisare per quale
ragione gli operatori che partecipano ad una
gara devono essere in regola con i
versamenti contributivi.
La regolarità contributiva è un requisito di
ordine generale di partecipazione ad una
gara ed integra un indice dell’affidabilità,
della diligenza e della serietà dell’impresa
concorrente e della sua correttezza nei
rapporti con i dipendenti (cfr. sul punto
Consiglio di Stato, sez. V, 18.10.2001, n.
5517). L’impresa che è in regola con i
versamenti contributivi viene considerata
affidabile dal legislatore nazionale, sia
dal punto di vista della sua solidità
finanziaria, perché adempie con regolarità
ai propri debiti contributivi, sia sul piano
della capacità di gestire in modo diligente
e serio tanto i rapporti con
l’amministrazione previdenziale, quanto i
rapporti di lavoro con i propri dipendenti,
palesandosi così come controparte
contrattuale meritevole di fiducia.
Ne consegue che il parametro normativo di
accertamento della regolarità contributiva
previsto dall’art. 38, comma 2, del d.l.vo
2006 n. 163 si può ritenere coerente con i
principi di proporzionalità e di
ragionevolezza solo se risulta concretamente
idoneo ad evidenziare l’affidabilità o meno
dell’operatore economico di volta in volta
interessato.
Il Tribunale dubita della proporzionalità e
della ragionevolezza del criterio dettato
dall’art. 38, comma 2, perché il dato
meramente quantitativo dell’importo della
violazione commessa (superiore a 100,00
Euro) e della sua eccedenza rispetto al 5%
dello scostamento tra le somme dovute e
quelle versate non integra un indice
significativo dell’inaffidabilità
dell’impresa rispetto alla specifica
procedura di gara.
Si tratta, infatti, di un criterio astratto,
che non si modella sulle caratteristiche
della singola gara, in relazione al suo
oggetto e al suo valore concreto, né sulla
struttura dell’impresa che ha commesso la
violazione, in relazione al suo fatturato e
alla sua capacità economica e finanziaria.
Ciò conduce a delle conseguenze
irragionevoli e non coerenti con il
principio di proporzionalità, perché
l’affidabilità di un concorrente può essere
apprezzata solo in concreto, ossia tenendo
conto delle caratteristiche specifiche
dell’appalto da aggiudicare e delle
caratteristiche specifiche della singola
impresa.
In particolare, la medesima violazione
contributiva, pur astrattamente “grave”
ai sensi dell’art. 38, comma 2, del d.l.vo
2006 n. 163, può essere indice di concreta
inaffidabilità per un’impresa di piccole
dimensioni, che ha ripetutamente omesso di
effettuare i versamenti contributivi, mentre
perde di significato rispetto ad una impresa
di grandi dimensioni, che realizza ingenti
fatturati e che è incorsa in un’unica ed
occasionale violazione contributiva.
Allo stesso modo, una violazione
contributiva qualificabile come “grave”
ai sensi dell’art. 38, comma 2, cambia di
significato ai fini dell’affidabilità in
concreto dell’impresa a seconda che si
tratti di aggiudicare un appalto di ingente
valore, che richiede una marcata solidità
economica e finanziaria del concorrente, o
di particolare complessità tecnica, che
impone alla stazione appaltante di fare
notevole affidamento sulla serietà e sulla
diligenza dell’aggiudicatario, oppure che si
tratti di aggiudicare un appalto di modesta
entità o persino sotto soglia comunitaria e
privo di difficoltà tecniche.
Ne deriva che l’art. 38, comma 2, conduce a
trattare in modo uguale situazioni
profondamente diverse, così da risultare
inidoneo a palesare l’inaffidabilità del
concorrente che si è reso responsabile di
una violazione contributiva.
Anche l’entità del dato quantitativo
valorizzato dal legislatore nazionale per
definire come “grave” una violazione
contributiva non sembra coerente con il
principio di proporzionalità.
Difatti, può accadere che una violazione di
importo oggettivamente modesto, ma superiore
anche di poco a 100,00 Euro, ecceda il 5%
dello scostamento tra le somme dovute e
quelle versate nel periodo di riferimento.
In tale ipotesi, nonostante l’oggettiva
esiguità della violazione, l’impresa che
l’ha commessa deve essere esclusa. Sul
punto, è emblematico il caso che è alla base
del ricorso in esame, in cui l’impresa è
stata esclusa dalla gara per una violazione
di soli 278,00 Euro, ma superiore al 5%
dello scostamento tra le somme dovute e
quelle versate, essendo corrispondente al
100% delle somme dovute nel periodo
considerato. In simili casi l’esclusione
dalla gara integra una conseguenza
sproporzionata, perché l’irrisorietà della
violazione commessa non è indice
significativo, secondo comuni criteri di
ragionevolezza, dell’inaffidabilità
dell’impresa che viene esclusa.
L’irragionevolezza e la sproporzionalità del
criterio quantitativo di gravità prescelto
per le violazioni contributive emergono
anche dal confronto con la diversa scelta
operata dal legislatore nazionale in
relazione alle violazioni fiscali.
Difatti, per le violazioni in materia
fiscale, l’art. 38, comma 2, del d.l.vo 2006
n. 163 (coordinato con l’articolo 48-bis,
commi 1 e 2-bis, del decreto del Presidente
della Repubblica 29.09.1973, n. 602)
considera gravi solo le violazioni superiori
a 10.000,00 Euro e pertanto si riferisce ad
importi notevolmente superiori rispetto a
quelli valorizzati ai fini della gravità
delle violazioni contributive, nonostante si
tratti in entrambi i casi di inadempimenti
di prestazioni pecuniarie normativamente
imposte ed assunte ad indice
dell’affidabilità dell’impresa concorrente.
Le considerazioni ora svolte conducono ad
evidenziare un ulteriore profilo della
disciplina dell’art. 38, comma 2, che non
risulta coerente con il canone della
proporzionalità. In particolare,
l’esclusione dalla gara disposta perché il
concorrente ha commesso una violazione
contributiva “grave” ai sensi
dell’art. 38, comma 2, si traduce in un
effetto incidente in modo eccessivamente
pregiudizievole e, pertanto, sproporzionato
nella sfera giuridica del concorrente
escluso, perché non è collegata ad un dato
concretamente espressivo della sua
inaffidabilità, ma ad un parametro del tutto
astratto, privo di ragionevole attitudine
dimostrativa della maggiore o minore serietà
del concorrente. L’incidenza in modo
esorbitante nella sfera del concorrente
escluso evidenzia un ulteriore aspetto della
disciplina non coerente con il canone della
proporzionalità.
Il Tribunale ritiene che per rendere
aderente ai principi di proporzionalità e di
ragionevolezza la scelta legislativa di
introdurre un criterio legale di gravità
della violazione contributiva, sarebbe
necessario ancorare il parametro
quantitativo dell’entità della violazione ad
aspetti oggettivi della gara, che siano
rilevanti, secondo l’id quod plerumque
accidit, per giudicare dell’affidabilità
in concreto del concorrente incorso in
violazioni contributive.
In tale senso, la violazione contributiva
dovrebbe ritenersi grave quando raggiunge un
importo individuato in funzione di una
pluralità di parametri, attinenti alle
caratteristiche sia del singolo appalto, sia
dell’impresa di volta in volta interessata.
In relazione, al primo profilo si dovrebbe
tenere conto del valore dell’appalto, nonché
delle caratteristiche dell’opera da
realizzare, ossia del livello di difficoltà
tecnica che essa presenta, perché, come già
evidenziato (retro punti 35 e 36), il
medesimo importo di debito contributivo non
pagato assume un diverso significato ai fini
dell’affidabilità in concreto dell’impresa a
seconda delle caratteristiche di valore e di
difficoltà tecnica dell’appalto da
aggiudicare.
In relazione al secondo profilo, la
violazione “grave” andrebbe
individuata sia in dipendenza del rapporto
tra l’entità della violazione e il fatturato
dell’impresa, oppure la capacità economico
finanziaria dichiarata per la partecipazione
alla gara, sia in dipendenza della
riferibilità della violazione contributiva
alla totalità o solo ad una parte dei
lavoratori assunti dall’impresa medesima,
nonché in funzione dell’occasionalità o meno
della violazione commessa.
Quelli ora indicati sono parametri
oggettivi, non astratti ma riferiti alle
caratteristiche della fattispecie specifica
e tali da creare un collegamento concreto
tra la violazione contributiva commessa e
l’accertamento dell’affidabilità e della
serietà dell’impresa rispetto al particolare
appalto da aggiudicare.
In definitiva, ai fini della decisione del
ricorso indicato in epigrafe,
il Tribunale ritiene di sollevare la
seguente questione pregiudiziale dinanzi
alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea,
ai sensi dell’art. 267 del TFUE (ex articolo
234 del TCE), in relazione
all’interpretazione della normativa
comunitaria:
“Il principio di proporzionalità,
discendente dal diritto di stabilimento e
dai principi di non discriminazione e di
tutela della concorrenza, di cui agli
articoli 49, 56 e 101 del TFUE, nonché il
canone di ragionevolezza in esso racchiuso,
ostano ad una normativa nazionale che, tanto
per gli appalti sopra soglia, quanto per gli
appalti sotto soglia comunitaria, qualifica
come grave una violazione contributiva,
definitivamente accertata, quando il suo
importo eccede il valore di 100,00 Euro ed è
contemporaneamente superiore al 5% dello
scostamento tra le somme dovute e quelle
versate con riferimento a ciascun periodo di
paga o di contribuzione, con conseguente
obbligo per le stazioni appaltanti di
escludere da una gara il concorrente che si
è reso responsabile di una simile
violazione, senza valorizzare altri profili
oggettivamente espressivi dell’affidabilità
del concorrente come controparte
contrattuale?”
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la
Lombardia (Sezione Terza):
Visto l'art. 267 del TFUE;
Visto l'art. 23 dello Statuto della Corte di
giustizia dell’Unione Europea;
Visto l'art. 3 della L. 13 marzo 1958, n.
204;
Vista la "Nota informativa riguardante le
domande di pronuncia pregiudiziale da parte
delle giurisdizioni nazionali", diramata
dalla Corte di giustizia dell’Unione Europea
e pubblicata sulla G.U.C.E. del 28.05.2011;
RIMETTE alla Corte di Giustizia dell’Unione
Europea la questione pregiudiziale indicata
in motivazione;
SOSPENDE il processo fino alla definizione
della questione pregiudiziale;
DISPONE che il presente
provvedimento, unitamente a copia del
fascicolo della causa, sia trasmesso, in
plico raccomandato, alla Cancelleria della
Corte di Giustizia dell’Unione Europea
(TAR Lombardia-Milano, Sez. III,
ordinanza 12.07.2012 n. 1969 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Affidamento senza gara: rischiano
l’abuso d’ufficio il Sindaco e l’assessore
di un Comune.
Con la sentenza 11.07.2012 n. 26625
la Corte di Cassazione ha accolto il ricorso
della Procura con cui si chiedeva la riforma
della sentenza di assoluzione della Corte di
appello nei confronti dei due amministratori
locali.
I due imputati, rei di aver affidato senza
gara l’area di un ex campo sportivo ad una
società consortile di loro conoscenza,
laddove un’altra azienda in precedenza ne
aveva chiesto l’affidamento, dicendosi
disponibile a partecipare ad una procedura
di evidenza pubblica, avevano scontato un
processo per abuso d’ufficio, ma ora dovrà
essere il giudice del rinvio a verificare la
sussistenza degli estremi.
La Cassazione rileva però senz’altro che la
società amica abbia percepito un ingiusto
vantaggio patrimoniale e che la società
concorrente abbia subito un altrettanto
ingiusto danno.
Secondo la ricostruzione dei fatti i due
amministratori locali avevano partecipato
alla riunione del consiglio di
amministrazione della società consortile
suggerendo di chiedere l’affidamento
gratuito dell’area al Comune.
In Giunta, i due amministratori, all’atto di
approvazione della delibera, avevano
nascosto la circostanza che esisteva già una
richiesta sull’immobile. E in quella sede
l’assessore avrebbe dovuto astenersi perché
suo fratello era l’amministratore di una
compagine socia dell’azienda affidataria.
Gravissima quindi la mancata astensione, che
non può essere giustificata dalla volontà di
«rilanciare il turismo» in città come
movente dell’iniziativa perché nessun
obiettivo poteva giustificare la violazione
delle procedure legali stabilite per
l’azione amministrativa.
Perciò è stata frettolosa l’assoluzione dei
giudici di merito: il caso dovrà essere
riesaminato (commento tratto da
www.diritto.it). |
EDILIZIA-PRIVATA:
I parcheggi collocati in aree
esterne ai fabbricati, a differenza di
quelli posti nel sottosuolo o al piano
terreno degli stessi, non devono essere
realizzati necessariamente dai proprietari
dell’immobile, ma -in base alla legge
Tognoli- possono esserlo anche da terzi:
evidentemente il legislatore, non potendo
escludersi che le <aree pertinenziali
esterne> potessero appartenere a soggetti
diversi dai proprietari dell’immobile, ha
ritenuto di non dover limitare solo a questi
ultimi la legittimazione a chiedere il
permesso per realizzarvi i parcheggi.
Peraltro, la pertinenzialità che il
legislatore ha inteso considerare in questo
caso non è tanto quella materiale esistente
tra l’edificio e l’area -sottostante,
interna o esterna- destinata ad accogliere
il parcheggio, ma quella giuridica esistente
tra ciascun singolo posto auto da realizzare
e una specifica unità immobiliare, nel senso
di creare fra di essi un nesso di
inscindibilità: ciò che è coerente con la <ratio>
della l. n. 122 del 1989, che è quella di
venire incontro al bisogno di parcheggi dei
residenti nelle aree urbane evitando al
tempo stesso operazioni speculative.
---------------
La nozione edilizia di pertinenzialità ha
connotati significativamente diversi da
quelli civilistici, assumendo in essa
rilievo decisivo non tanto il dato del
legame materiale tra pertinenza ed immobile
principale, quanto il dato giuridico che la
prima risulti priva di autonoma destinazione
e di autonomo valore di mercato e che
esaurisca la propria destinazione d'uso nel
rapporto funzionale con l'edificio
principale, così da non incidere sul carico
urbanistico.
Ai fini dell'applicazione dell'art. 9, l.
24.03.1989 n. 122 (cd. legge Tognoli),
relativamente alla realizzazione di
parcheggi nel sottosuolo di area
pertinenziale esterna al fabbricato in
deroga alle disposizioni degli strumenti
urbanistici, è irrilevante che detta area
esterna non si trovi in rapporto di
immediata contiguità materiale con il
fabbricato e sia di proprietà di soggetto
diverso dal proprietario dell'immobile nei
cui confronti i parcheggi sono destinati a
divenire pertinenziali.
---------------
Il rapporto di pertinenzialità è
riconoscibile nel caso in cui i boxes si
trovano in un ragionevole raggio di
accessibilità pedonale.
---------------
L'art. 9 della stessa, nel prevedere per i
parcheggi la derogabilità degli strumenti
urbanistici, fa salvi i vincoli previsti
dalla legislazione in materia paesaggistica
ed ambientale.
---------------
E' legittimo il diniego di autorizzazione
edilizia per la costruzione di un parcheggio
interrato in presenza di un vincolo
cimiteriale, poiché, trattandosi di vincolo
assoluto, non sono ammesse deroghe nemmeno
in riferimento all'art. 9 della l. n.
122/1989; infatti, anche il parcheggio
interrato, in quanto struttura servente
all'uso abitativo e, comunque, posta
nell'ambito della fascia di rispetto
cimiteriale, rientra tra le costruzioni
edilizie del tutto vietate dalla
disposizione di cui all'art. 338, r.d. n.
1265/1934.
La giurisprudenza amministrativa ha
interpretato detta disposizione in coerenza
con la ratio della medesima (ed anche
con la ratio delle modifiche via via
introdotte dall'art. 17, comma 90, l.
15.05.1997, n. 127 e dall'art. 37, l.
07.12.1999, n. 472) orientata a privilegiare
lo scopo della “legge Tognoli” di far
fronte alla carenza di parcheggi urbani.
Non altro senso, può attribuirsi
all’estensione del concetto di
pertinenzialità, affermato a più riprese da
questa IV Sezione del Consiglio di Stato,
sia sotto il profilo "soggettivo" (“i
parcheggi collocati in aree esterne ai
fabbricati, a differenza di quelli posti nel
sottosuolo o al piano terreno degli stessi,
non devono essere realizzati necessariamente
dai proprietari dell’immobile, ma -in base
alla legge Tognoli- possono esserlo anche da
terzi: evidentemente il legislatore, non
potendo escludersi che le <aree
pertinenziali esterne> potessero appartenere
a soggetti diversi dai proprietari
dell’immobile, ha ritenuto di non dover
limitare solo a questi ultimi la
legittimazione a chiedere il permesso per
realizzarvi i parcheggi. Peraltro, la
pertinenzialità che il legislatore ha inteso
considerare in questo caso non è tanto
quella materiale esistente tra l’edificio e
l’area -sottostante, interna o esterna-
destinata ad accogliere il parcheggio, ma
quella giuridica esistente tra ciascun
singolo posto auto da realizzare e una
specifica unità immobiliare, nel senso di
creare fra di essi un nesso di
inscindibilità: ciò che è coerente con la <ratio>
della l. n. 122 del 1989, che è quella di
venire incontro al bisogno di parcheggi dei
residenti nelle aree urbane evitando al
tempo stesso operazioni speculative.”
Consiglio Stato, sez. IV, 31.03.2010, n.
1842), che sotto il profilo “oggettivo”
(“la nozione edilizia di pertinenzialità
ha connotati significativamente diversi da
quelli civilistici, assumendo in essa
rilievo decisivo non tanto il dato del
legame materiale tra pertinenza ed immobile
principale, quanto il dato giuridico che la
prima risulti priva di autonoma destinazione
e di autonomo valore di mercato e che
esaurisca la propria destinazione d'uso nel
rapporto funzionale con l'edificio
principale, così da non incidere sul carico
urbanistico.” Consiglio Stato, sez. IV,
31.03.2010, n. 1842, prima richiamata; ma si
veda anche: “ai fini dell'applicazione
dell'art. 9, l. 24.03.1989 n. 122 (cd. legge
Tognoli), relativamente alla realizzazione
di parcheggi nel sottosuolo di area
pertinenziale esterna al fabbricato in
deroga alle disposizioni degli strumenti
urbanistici, è irrilevante che detta area
esterna non si trovi in rapporto di
immediata contiguità materiale con il
fabbricato e sia di proprietà di soggetto
diverso dal proprietario dell'immobile nei
cui confronti i parcheggi sono destinati a
divenire pertinenziali"- Consiglio
Stato, sez. IV, 18.10.2010, n. 7549).
Detto favor realizzativo, e detta
interpretazione estensiva, trovano
simmetrica corrispondenza negli approdi cui
è giunta la giurisprudenza di legittimità
penale (si veda Cassazione penale, sez. III,
03.03.2009, n. 14940, dove si precisa che
“il rapporto di pertinenzialità è
riconoscibile nel caso in cui i boxes si
trovano in un ragionevole raggio di
accessibilità pedonale”.).
Al contempo, la consolidata giurisprudenza
amministrativa (Consiglio di stato, sez. IV,
28.03.2011, n. 1879) ha costantemente
ribadito che “l'art. 9 della stessa, nel
prevedere per i parcheggi la derogabilità
degli strumenti urbanistici, fa salvi i
vincoli previsti dalla legislazione in
materia paesaggistica ed ambientale.”
(si veda, sul punto, di recente, anche TAR
Lazio Roma, sez. I, 18.01.2011, n. 382).
---------------
Quanto a tale
profilo, da un canto, è comunque agevole
riscontrare che risulta incontestata la
deduzione dell’appellante secondo cui il
Regolamento urbanistico prevedeva che la
“misura” di parcheggi di cui dotarsi fosse
coincidente (ma soltanto nella sua misura
minima) con quella prevista dall’art.
41-sexies della legge urbanistica n.
1150/1942.
Per altro verso, e con portata assorbente,
si evidenzia che il concreto atteggiarsi
della statuizione reiettiva, anche in tale
caso, si pone in illogico contrasto con la
disposizione di legge richiamata.
La reiezione disposta dall’appellata
amministrazione, infatti, muove dalla
pacifica considerazione per cui, a fronte di
una volumetria di mc. 1.290 del fabbricato,
era presente una superficie complessiva di
parcheggio (garage esistente e area esterna
di pertinenza che poteva essere adibita a
parcheggio) di mq. 184.
A questo punto, poi, si è ivi evidenziato
che l’area disponibile era “superiore al
minimo di standard della legge n. 122/1989”
e, prendendo spunto dal disposto che l’art.
2 comma 2, individuava il detto valore
quantitativo (art. 2 comma 2: “l'art.
41-sexies della legge 17.08.1942, n. 1150, è
sostituito dal seguente: Nelle nuove
costruzioni ed anche nelle aree di
pertinenza delle costruzioni stesse, debbono
essere riservati appositi spazi per
parcheggi in misura non inferiore ad un
metro quadrato per ogni dieci metri cubi di
costruzione") e si è pervenuti, anche
per tal via, alla statuizione reiettiva
avversata.
Sennonché, il primo giudice –che pure aveva
colto che la detta fattispecie normativa era
“relativa ai nuovi edifici” e
pertanto, non applicabile alle fattispecie
de quo- ha affermato che “tra
questi limiti trova una sua giustificazione
anche quello di permettere i garages
interrati solo al fine del raggiungimento
dello standard di parcheggio fissato
dall’art. 2, comma 2, della legge n.
122/1989 sia pure per le nuove costruzioni.
E il fatto che la normativa locale utilizzi
un criterio, pur dettato dalla legge statale
per altra ipotesi, non configura nessuna
illegittimità quando quel criterio risponda
alle specifiche esigenze del territorio
comunale”.
Con simile asserzione, però, quel giudice
non ha colto che comunque, il criterio cui
si riferiva la legge era quello minimo, di
guisa che anche per tale aspetto (in
disparte ogni considerazione
sull’utilizzabilità di un simile parametro
per edifici non costituenti “nuova
costruzione”) la concreta applicazione
fattane dal Comune trasformava detto limite
minimo (“non inferiore”, statuisce la
prescrizione di legge, lo si ribadisce) in
limite massimo, così ponendosi in conflitto
con la norma di legge.
Né a simile interpretazione applicativa
poteva pervenirsi valorizzando gli elementi
di ”invarianza” afferenti alla
specifica categoria di edifici nei quali è
ascrivibile quello per cui è causa.
Nella pacifica considerazione, infatti, che
non trattavasi di edificio specificamente
vincolato ai sensi del TU dei beni culturali
(né, in pregresso ex lege n.
1089/1939), si rimarca che le esigenze di
tutela ambientale e paesaggistica
espressamente fatte salve dalla norma di cui
all’art. 9 a più riprese citata (che sono
condizione per la compatibilità
costituzionale della stessa), trovano tutela
nella legislazione statale e nell’attività
di tutela di siffatte categorie di beni
pertinente alle Autorità preposte ai detti
vincoli (a titolo esemplificativo, si veda
in passato: “è legittimo il diniego di
autorizzazione edilizia per la costruzione
di un parcheggio interrato in presenza di un
vincolo cimiteriale, poiché, trattandosi di
vincolo assoluto, non sono ammesse deroghe
nemmeno in riferimento all'art. 9 della l.
n. 122/1989; infatti, anche il parcheggio
interrato, in quanto struttura servente
all'uso abitativo e, comunque, posta
nell'ambito della fascia di rispetto
cimiteriale, rientra tra le costruzioni
edilizie del tutto vietate dalla
disposizione di cui all'art. 338, r.d. n.
1265/1934.” -Consiglio Stato, sez. V,
14.09.2010, n. 6671).
Rammenta in proposito il Collegio il
tradizionale orientamento della
giurisprudenza amministrativa, secondo cui “mentre
l'attività di valorizzazione del bene
culturale deve essere il frutto di un
intervento coordinato che veda coinvolti
tutti i soggetti pubblici interessati,
l'attività di tutela rappresenta prerogativa
esclusiva dello Stato, in quanto soggetto
proprietario del bene, che è quindi
responsabile primario della sua
conservazione. Tale distinzione trae, del
resto, fondamento anche nell'art. 117, comma
2, cost., che appunto riserva alla
competenza esclusiva dello Stato l'attività
di tutela dei beni culturali, demandando,
invece, alla competenza concorrente
Stato-Regione l'attività di valorizzazione”
(Consiglio Stato, sez. VI, 30.07.2009, n.
4779).
Prescrizioni regolamentari comunali non
limitate agli aspetti
compositivo-architettonici appaiono incidere
sulla competenza esclusiva della
Soprintendenza in materia di tutela dei beni
culturali e travalicare la portata delle
competenze demandate alla amministrazione
comunale, che non potrebbe, seppur nel
lodevole intento di salvaguardare detti
valori, introdurre nel sistema prescrizioni
non già limitative, ma, come nel caso di
specie, impeditive in via assoluta, per
intere categorie di immobili, della espressa
previsione contemplata in una disposizione
nazionale
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 10.07.2012 n.
4091 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
CONSIGLIERI COMUNALI:
Fermo restando il principio ormai
consolidato che gli atti di nomina e revoca
degli assessori degli enti territoriali non
hanno natura politica, in quanto sottoposti
alle eventuali specifiche prescrizioni
dettate dalle leggi e eventualmente dagli
statuti e dai regolamenti, la valutazione
degli interessi coinvolti nel procedimento
di revoca di un assessore è rimessa in via
esclusiva al Sindaco, cui compete in
autonomia la scelta delle persone di cui
avvalersi per l’amministrazione dell’ente e
che possono essere anche esterne al
Consiglio Comunale (c.d. assessori tecnici).
La valutazione di merito delle scelte
operate dal Sindaco è poi rimessa alla
esclusiva valutazione del Consiglio comunale
quale organo di indirizzo e di controllo
dell’Ente.
---------------
Se, infatti, spetta al Sindaco la scelta dei
componenti (di tutti i componenti) della
Giunta, non vi è alcuna ragione per
escludere che il Sindaco possa procedere con
contrarius actus alla revoca ed alla
conseguente sostituzione di alcuno o di
tutti gli assessori precedentemente
nominati.
Il legislatore ha introdotto, infatti, uno
stretto rapporto tra il Sindaco, che trae
direttamente la propria investitura dalla
base elettorale e i membri della Giunta, che
si presentano come suoi collaboratori e che
da lui stesso trovano la loro fonte di
legittimazione.
Questo rapporto trova poi naturale
svolgimento nel principio “simul stabunt
simul cadent”, secondo cui una eventuale
mozione di sfiducia rivolta al Sindaco,
anche per vicende che dovessero riguardare
la Giunta o singoli assessori, se approvata
dal Consiglio comunale potrebbe avere
conseguenze sulla permanenza del Consiglio
stesso.
Se il potere di nominare e revocare i membri
della Giunta fonda, come si è detto, sul
presupposto che egli, essendo eletto
direttamente dai cittadini, è il
responsabile del governo locale, sarà a lui
che verranno imputati i risultati
dell’amministrazione e da ciò consegue la
rilevanza del permanere del rapporto di
fiducia tra il Sindaco e la Giunta nella sua
interezza nei confronti del Consiglio
comunale che può a sua volta revocare la
fiducia all’esecutivo.
La natura ampiamente discrezionale del
provvedimento di revoca dell’incarico di
assessore comporta che la relativa
motivazione può basarsi sulle più ampie
valutazioni di opportunità
politico–amministrativa da parte del
Sindaco, fermo restando l’obbligo di
comunicare al Consiglio comunale la
decisione di revocare l’assessore ex art. 46
dlgs 267/2000.
Il procedimento di revoca dell’incarico
assessorile, necessariamente improntato alla
semplificazione, per evitare l’insorgere o
il prolungarsi di una crisi politica
nell’ambito dell’amministrazione comunale,
non richiede che l’avvio di tale
procedimento debba essere comunicato
all’interessato, ai sensi dell’art. 7, l. n.
241 del 1990, atteso che per le
considerazioni fatte egli non può opporvisi
e quindi la sua partecipazione diventa
recessiva in un quadro normativo in cui ogni
valutazione è rimessa in modo esclusivo al
Sindaco.
La questione di diritto all’esame attiene
alla natura e all’ambito del potere di
revoca degli assessori da parte del Sindaco
e le garanzie proprie dei revocandi, nonché
i limiti del sindacato esercitabile su tali
atti da parte del giudice amministrativo.
Su tutti questi punti non vi sono motivi per
discostarsi dalla costante giurisprudenza di
questo Consiglio (cfr. ex plurimis
Cons. Stato, Sez. V 25.08.2011, n. 4905;
Sez. V, 27.04.2010, n. 2357; Sez. V,
12.10.2009, n. 6253).
Fermo restando il principio ormai
consolidato che gli atti di nomina e revoca
degli assessori degli enti territoriali non
hanno natura politica, in quanto sottoposti
alle eventuali specifiche prescrizioni
dettate dalle leggi e eventualmente dagli
statuti e dai regolamenti, la valutazione
degli interessi coinvolti nel procedimento
di revoca di un assessore è rimessa in via
esclusiva al Sindaco, cui compete in
autonomia la scelta delle persone di cui
avvalersi per l’amministrazione dell’ente e
che possono essere anche esterne al
Consiglio Comunale (c.d. assessori tecnici).
La valutazione di merito delle scelte
operate dal Sindaco è poi rimessa alla
esclusiva valutazione del Consiglio comunale
quale organo di indirizzo e di controllo
dell’Ente.
La disposizione di legge che regola la
fattispecie è l’art. 46, co. 4, del D.Lgs.
18.08.2000, n. 267, che prevede che
nell’ordinamento generale degli enti locali
“Il sindaco e presidente della provincia
possono revocare uno o più assessori,
dandone motivata comunicazione al consiglio”.
La lettera della disposizione non consente
una interpretazione della norma che limiti
il suo potere di revoca dei membri della
giunta, perché non sarebbe coerente con il
sistema dell’elezione e delle attribuzioni
del Sindaco.
Se, infatti, spetta al Sindaco la scelta dei
componenti (di tutti i componenti) della
Giunta, non vi è alcuna ragione per
escludere che il Sindaco possa procedere con
contrarius actus alla revoca ed alla
conseguente sostituzione di alcuno o di
tutti gli assessori precedentemente
nominati.
Il legislatore ha introdotto, infatti, uno
stretto rapporto tra il Sindaco, che trae
direttamente la propria investitura dalla
base elettorale e i membri della Giunta, che
si presentano come suoi collaboratori e che
da lui stesso trovano la loro fonte di
legittimazione.
Questo rapporto trova poi naturale
svolgimento nel principio “simul stabunt
simul cadent”, secondo cui una eventuale
mozione di sfiducia rivolta al Sindaco,
anche per vicende che dovessero riguardare
la Giunta o singoli assessori, se approvata
dal Consiglio comunale potrebbe avere
conseguenze sulla permanenza del Consiglio
stesso.
Se il potere di nominare e revocare i membri
della Giunta fonda, come si è detto, sul
presupposto che egli, essendo eletto
direttamente dai cittadini, è il
responsabile del governo locale, sarà a lui
che verranno imputati i risultati
dell’amministrazione e da ciò consegue la
rilevanza del permanere del rapporto di
fiducia tra il Sindaco e la Giunta nella sua
interezza nei confronti del Consiglio
comunale che può a sua volta revocare la
fiducia all’esecutivo.
La natura ampiamente discrezionale del
provvedimento di revoca dell’incarico di
assessore comporta che la relativa
motivazione può basarsi sulle più ampie
valutazioni di opportunità
politico–amministrativa da parte del
Sindaco, fermo restando l’obbligo di
comunicare al Consiglio comunale la
decisione di revocare l’assessore ex art. 46
cit.
Il procedimento di revoca dell’incarico
assessorile, necessariamente improntato alla
semplificazione, per evitare l’insorgere o
il prolungarsi di una crisi politica
nell’ambito dell’amministrazione comunale,
non richiede che l’avvio di tale
procedimento debba essere comunicato
all’interessato, ai sensi dell’art. 7, l. n.
241 del 1990, atteso che per le
considerazioni fatte egli non può opporvisi
e quindi la sua partecipazione diventa
recessiva in un quadro normativo in cui ogni
valutazione è rimessa in modo esclusivo al
Sindaco (Consiglio di Stato, Sez. V,
23.01.2007 n. 209).
Nella materia de qua, infine, il
giudice amministrativo è sfornito del
sindacato di merito, non ricorrendo alcuna
delle ipotesi di cui all’art. 134 c.p.a.,
per il carattere latamente politico della
scelta non sindacabile in sede di
legittimità se non per profili formali,
quali la violazione di specifiche
disposizioni normative, la evidente
abnormità del provvedimento sindacale o il
suo carattere discriminatorio, circostanze
che non ricorrono nel caso di specie
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 10.07.2012 n. 4057 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
PUBBLICO IMPIEGO - VARI:
Malattia, per le ferie non godute
scatta l’indennità sostituiva.
Le ferie non godute a
causa di un periodo di malattia vanno sempre
compensate con il pagamento dell’indennità
sostitutiva. E non importa se il contratto
collettivo di appartenenza dice
diversamente, perché siamo di fronte ad un
diritto non comprimibile e tutelato dalla
Costituzione.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, Sez.
lavoro, con la
sentenza 09.07.2012 n. 11462,
accogliendo la domanda (al momento del
collocamento a riposo) del direttore dei
servizi amministrativi di un istituto
tecnico commerciale di Assisi a cui la Corte
di appello di Perugia aveva negato
l’indennità in quanto le assenze non erano
motivate da “esigenze di servizio”.
A norma del contratto di categoria, infatti,
era questa l’unica ipotesi in cui scattava
sempre il diritto al pagamento
dell’indennità.
Il carattere risarcitorio
dell’indennità
Una tesi bocciata dalla Cassazione che
richiama l’articolo 36 della Carta
fondamentale in cui si parla di un diritto “a
ferie annuali retribuite, e non rinunciabili”.
Dunque, al lavoratore che non ha goduto del
riposo spetta sempre il pagamento delle
ferie non godute che oltre ad avere
carattere risarcitorio per “la perdita
del bene” (mancato recupero delle
energie psicofisiche, impossibilità di
dedicarsi alle relazioni familiari e di
svolgere attività psicofisiche), hanno anche
“natura retributiva” costituendo il
corrispettivo “dell’attività lavorativa
resa in un periodo che, pur essendo di per
sé retribuito, avrebbe invece dovuto essere
non lavorato perché destinato al godimento
delle ferie annuali”.
Il paletti della Corte Ue
Non solo, siccome nel caso specifico il
dirigente non ha potuto fruire delle ferie
perché malato, il diniego di pagamento va
anche contro la giurisprudenza della Corte
di giustizia dell’Ue. In particolare, i
giudici europei hanno chiarito (sentenza
C-350/06 e C-520/06) che l’articolo 7 della
direttiva 2003/88 deve essere interpretato
nel senso che sebbene la norma nazionale
possa stabilire dei limiti temporali per il
godimento delle ferie dalla loro
maturazione, non è ammissibile escludere il
diritto all’indennità finanziaria sostituiva
quando i dipendenti siano in congedo per
malattia.
Ccnl illegittimi
Per la Cassazione, dunque, ha errato la
corte territoriale laddove ha dato per buone
le indicazioni contrattuali di categoria “mentre
avrebbe dovuto rilevare l’illegittimità di
tali disposizioni nella parte in cui
contrastano con i sopra esposti principi di
diritto” (commento tratto da e link a
www.diritto24.ilsole24ore.com). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Il dies a quo per impugnare una
delibera comunale per i soggetti che non ne
sono i diretti destinatari decorre dal
giorno in cui è scaduto il termine di
pubblicazione dell’atto nell’albo pretorio.
E’ noto che le regole del processo
amministrativo (prima all’art. 21 l. Tar,
oggi all’art. 41 cpa) prevedono che il
dies a quo per impugnare una delibera
comunale per i soggetti che non ne sono i
diretti destinatari, come è nella specie,
decorra dal giorno in cui è scaduto il
termine di pubblicazione dell’atto nell’albo
pretorio (tra tante, Consiglio Stato, VI,
06.04.2010, n. 1918; V, 21.12.2010, n.
9314).
Nella specie, la delibera impugnata è stata
pubblicata per quindici giorni all’albo
pretorio a partire dal 24.04.2003 ed è
divenuta esecutiva in data 05.05.2003.
Il ricorso è stato notificato soltanto in
data 21.01.2005 e quindi abbondantemente
oltre il termine di sessanta giorni previsto
a pena di decadenza per l’impugnazione.
Non è sostenibile l’affermazione che, nella
specie, i ricorrenti di primo grado
sarebbero destinatari determinati.
Si tratta infatti di un provvedimento a
carattere generale che prevede che “i
sedimi dei sentieri con determinate
caratteristiche non sono considerabili di
proprietà privata e pertanto non possono
essere in nessun modo occupati con strutture
private” .
A prescindere dalla effettiva loro valenza
eventualmente lesiva -e in disparte la
eventuale tutela di tipo proprietario sulla
strada asseritamente privata dinanzi al
giudice ordinario–, atti di tale tenore non
necessitano di essere notificati a
determinati destinatari, che non sussistono
e non sono individuati né individuabili a
priori (Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 06.07.2012 n. 3971 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Allorché si richiede
all’amministrazione l’annullamento in
autotutela di provvedimenti asseritamente illegittimi,
l’amministrazione non ha alcun obbligo di
procedere in autotutela, in quanto
l’esercizio del potere di annullamento in
autotutela è espressione di un potere
ampiamente discrezionale
dell’amministrazione, a fronte del quale non
sussistono posizioni giuridiche qualificate
dell’interessato.
Ne consegue che il mancato esercizio del
potere di annullamento d’ufficio non può
essere sindacato in sede giurisdizionale,
spettando solamente all’amministrazione ogni
valutazione e considerazione del proprio
provvedimento e degli interessi dei privati
concorrenti e del loro affidamento.
Innanzi tutto va rilevato che allorché si richiede all’amministrazione
l’annullamento in autotutela di
provvedimenti asseritamente illegittimi,
l’amministrazione non ha alcun obbligo di
procedere in autotutela, in quanto
l’esercizio del potere di annullamento in
autotutela è espressione di un potere
ampiamente discrezionale
dell’amministrazione, a fronte del quale non
sussistono posizioni giuridiche qualificate
dell’interessato.
Ne consegue che il mancato esercizio del
potere di annullamento d’ufficio non può
essere sindacato in sede giurisdizionale,
spettando solamente all’amministrazione ogni
valutazione e considerazione del proprio
provvedimento e degli interessi dei privati
concorrenti e del loro affidamento.
Non ha pregio alcuno, quindi, dissertare sul
rigetto dell’istanza di annullamento in
autotutela e sulla sufficienza ed
adeguatezza delle motivazioni rappresentate
dall’amministrazione
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 06.07.2012 n. 3958 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
In base alla previsione del
bando, il criterio di aggiudicazione da
seguire era quello del prezzo più basso,
previa esclusione delle offerte con
percentuale di ribasso pari o superiore alla
soglia di anomalia, ex artt. 86, comma 1, e
122, comma 9, del d.lgs. n. 163/2006.
In base a quest'ultima norma, al fine
dell'esclusione automatica delle offerte cd.
anomale, sono considerate tali tutte quelle
che presentino un ribasso pari o superiore
alla media aritmetica dei ribassi
percentuali di tutte le offerte ammesse, con
esclusione (cd. taglio delle ali) del dieci
per cento, arrotondato all'unità superiore,
rispettivamente, delle offerte di maggior
ribasso e di quelle di minor ribasso,
incrementata dello scarto medio aritmetico
dei ribassi percentuali che superano la
predetta media.
Pertanto, dopo l'ammissione delle offerte,
sono previste le seguenti fasi:
- taglio delle ali, vale dire l'esclusione
dal calcolo del dieci per cento, arrotondato
all'unità superiore, rispettivamente delle
offerte di maggior ribasso e di quelle di
minor ribasso;
- calcolo della media aritmetica dei ribassi
percentuali di tutte le residue offerte;
- calcolo dello scarto medio aritmetico dei
ribassi percentuali che in tali offerte
superano la predetta media;
- somma dei dati relativi alla media
aritmetica e allo scarto medio aritmetico,
con la conseguente determinazione della
soglia di anomalia.
Per dato letterale e logico, in via generale
in dette operazioni vengono in rilievo le
offerte, alle quali fa riferimento il
legislatore, a prescindere dalla entità dei
ribassi in esse contenuti (cd. criterio
assoluto).
In particolare non vi sono elementi dai
quali, come regola generale, possa desumersi
che in caso di offerte con identico ribasso
le stesse vadano considerate unitariamente
come unica entità (cd. criterio relativo).
Unica eccezione a questa regola viene
desunta per le offerte che nel calcolo per
il taglio delle ali vengano a trovarsi a
cavallo della percentuale del 10%; e ciò,
secondo un indirizzo giurisprudenziale
condiviso dal Collegio in
base al quale:
a) la ratio dell'esclusione
(dal novero delle offerte prese in
considerazione) di quelle collocate ai
margini estremi dell'ala, sta nell'intento
di eliminare in radice l'influenza che
possono avere, sulla media dei ribassi,
offerte disancorate dai valori medi, in modo
da scoraggiare la presentazione di offerte
al solo fine di condizionare la media;
b)
nel caso in cui siano più di una le offerte
che presentino la medesima percentuale di
ribasso collocate a cavallo della soglia del
dieci per cento e l'ampiezza dell'ala non
consenta di escluderle tutte, non resta
quindi altra strada che quella di attribuire
alla parola "offerte", un significato non
assoluto ma relativo, intendendola come
espressione del ribasso percentuale in essa
contenuto. Sicché la presenza di più offerte
che presentino la medesima percentuale di
ribasso, collocate a cavallo della soglia
del 10%, non può che comportare l'effetto
giuridico della loro integrale esclusione
dal computo delle successive operazioni.
In tutti gli altri casi, per dato letterale
inequivocabile, opera invece il criterio
assoluto, con considerazione distinta delle
singole offerte pur se aventi il medesimo
ribasso, essendo stabilito in particolare,
per quel che qui rileva, che la media
aritmetica riguarda i ribassi percentuali di
tutte le offerte ammesse e non i ribassi in
esse contenuti.
Con l’unico motivo di ricorso la appellante principale ha dedotto
che, posto che le offerte della Sgargi s.r.l.
e della C.E.B. s.c. a r.l. presentavano
entrambe un ribasso del 17,250%, il TAR
avrebbe erroneamente respinto le censure
formulate dalla attuale appellante avverso
il criterio di computo seguito dalla
Commissione aggiudicatrice per
l’individuazione della soglia di anomalia,
calcolata al 18,245% considerando dette due
offerte singolarmente, invece che come unica
offerta (il che avrebbe portato la soglia di
anomalia al 18,276% ed alla aggiudicazione
ad essa appellante della gara in quanto la
sua offerta, con il ribasso del 17,250%, era
quella immediatamente inferiore a detta
soglia di anomalia).
Non sarebbe, invero, condivisibile la tesi
del TAR che nel calcolo della media
aritmetica dei ribassi di tutte le offerte
ammesse, ex artt. 86, co. 1, e 122, co. 9,
vanno necessariamente conteggiate tutte le
offerte ammesse, anche quelle che recano
uguali ribassi, senza che in tale ipotesi
possano considerarsi più offerte come una
sola, poiché altrimenti il ribasso non
sarebbe più la media aritmetica, in
contrasto con la chiara dizione della legge.
Ciò in quanto alla espressione “media
aritmetica” non potrebbe essere ascritta
alcuna valenza persuasiva, nel senso che
vanno conteggiate tutte le offerte ammesse
(comprese quelle che recano eguali ribassi),
dovendo essere rivolta la attenzione
dell'interprete in particolare alla parola
“offerte”, contenuta nell’art. 86, comma 1,
del d.lgs. n. 163/2006, alla quale va dato
un significato non assoluto ma relativo,
intendendola come espressione del ribasso
percentuale in essa contenuta (in analogia a
quanto ritenuto dalla giurisprudenza con
riguardo alla fase del “taglio delle ali”),
perché la finalità della norma sarebbe
quella di scoraggiare la presentazione di
offerte al solo fine di condizionare la
media.
Osserva la Sezione che, in base alla
previsione del bando, il criterio di
aggiudicazione da seguire era quello del
prezzo più basso, previa esclusione delle
offerte con percentuale di ribasso pari o
superiore alla soglia di anomalia, ex artt.
86, comma 1, e 122, comma 9, del d.lgs. n.
163/2006.
In base a quest'ultima norma, al fine
dell'esclusione automatica delle offerte cd.
anomale, sono considerate tali tutte quelle
che presentino un ribasso pari o superiore
alla media aritmetica dei ribassi
percentuali di tutte le offerte ammesse, con
esclusione (cd. taglio delle ali) del dieci
per cento, arrotondato all'unità superiore,
rispettivamente, delle offerte di maggior
ribasso e di quelle di minor ribasso,
incrementata dello scarto medio aritmetico
dei ribassi percentuali che superano la
predetta media.
Pertanto, dopo l'ammissione delle offerte,
sono previste le seguenti fasi:
- taglio delle ali, vale dire l'esclusione
dal calcolo del dieci per cento, arrotondato
all'unità superiore, rispettivamente delle
offerte di maggior ribasso e di quelle di
minor ribasso;
- calcolo della media aritmetica dei ribassi
percentuali di tutte le residue offerte;
- calcolo dello scarto medio aritmetico dei
ribassi percentuali che in tali offerte
superano la predetta media;
- somma dei dati relativi alla media
aritmetica e allo scarto medio aritmetico,
con la conseguente determinazione della
soglia di anomalia.
Per dato letterale e logico, in via generale
in dette operazioni vengono in rilievo le
offerte, alle quali fa riferimento il
legislatore, a prescindere dalla entità dei
ribassi in esse contenuti (cd. criterio
assoluto).
In particolare non vi sono elementi dai
quali, come regola generale, possa desumersi
che in caso di offerte con identico ribasso
le stesse vadano considerate unitariamente
come unica entità (cd. criterio relativo).
Unica eccezione a questa regola viene
desunta per le offerte che nel calcolo per
il taglio delle ali vengano a trovarsi a
cavallo della percentuale del 10%; e ciò,
secondo un indirizzo giurisprudenziale
condiviso dal Collegio (Consiglio Stato,
sez. V, 18.06.2001, n. 3216; 26.02.2003, n. 1094;
03.06.2002, n. 3068), in
base al quale:
a) la ratio dell'esclusione
(dal novero delle offerte prese in
considerazione) di quelle collocate ai
margini estremi dell'ala, sta nell'intento
di eliminare in radice l'influenza che
possono avere, sulla media dei ribassi,
offerte disancorate dai valori medi, in modo
da scoraggiare la presentazione di offerte
al solo fine di condizionare la media;
b)
nel caso in cui siano più di una le offerte
che presentino la medesima percentuale di
ribasso collocate a cavallo della soglia del
dieci per cento e l'ampiezza dell'ala non
consenta di escluderle tutte, non resta
quindi altra strada che quella di attribuire
alla parola "offerte", un significato non
assoluto ma relativo, intendendola come
espressione del ribasso percentuale in essa
contenuto. Sicché la presenza di più offerte
che presentino la medesima percentuale di
ribasso, collocate a cavallo della soglia
del 10%, non può che comportare l'effetto
giuridico della loro integrale esclusione
dal computo delle successive operazioni.
In tutti gli altri casi, per dato letterale
inequivocabile, opera invece il criterio
assoluto, con considerazione distinta delle
singole offerte pur se aventi il medesimo
ribasso, essendo stabilito in particolare,
per quel che qui rileva, che la media
aritmetica riguarda i ribassi percentuali di
tutte le offerte ammesse e non i ribassi in
esse contenuti (Consiglio Stato, sez. V,
15.10.2009, n. 6323) (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 06.07.2012 n. 3953 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Occorre distinguere il concetto
di pertinenza previsto dal diritto civile
dal più ristretto concetto di pertinenza
inteso in senso urbanistico, che non trova
applicazione in relazione a quelle
costruzioni che, pur potendo essere
qualificate come beni pertinenziali secondo
la normativa privatistica, assumono tuttavia
una funzione autonoma rispetto ad altra
costruzione, con conseguente loro
assoggettamento al regime del permesso di
costruire.
Risulta infondata anche la censura
incentrata sulla natura pertinenziale delle
opere abusive in questione. Infatti secondo
una consolidata giurisprudenza (ex multis
TAR Lombardia Milano, Sez. II, 11.02.2005, n. 365; TAR Lazio, Sez. II,
04.02.2005, n. 1036) occorre
distinguere il concetto di pertinenza
previsto dal diritto civile dal più
ristretto concetto di pertinenza inteso in
senso urbanistico, che non trova
applicazione in relazione a quelle
costruzioni che, pur potendo essere
qualificate come beni pertinenziali secondo
la normativa privatistica, assumono tuttavia
una funzione autonoma rispetto ad altra
costruzione, con conseguente loro
assoggettamento al regime del permesso di
costruire.
Ne consegue che, tenuto conto
delle caratteristiche dell’intervento abusivo
realizzato dalla ricorrente risultanti dalla
motivazione dell’ordine di demolizione, il
predetto intervento -non essendo
coessenziale ad un bene principale e potendo
essere successivamente utilizzato anche in
modo autonomo e separato- non può ritenersi
pertinenza ai fini urbanistici, sì da
escludere che lo stesso sia sottoposto al
preventivo rilascio del permesso di
costruire
(TAR Campania-Napoli, Sez. IV,
sentenza 06.07.2012 n. 3274 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
I provvedimenti repressivi degli
abusi edilizi non devono essere preceduti
dalla comunicazione dell’avvio del
procedimento, perché trattasi di
provvedimenti tipizzati e vincolati, che
presuppongono un mero accertamento tecnico
sulla consistenza delle opere realizzate e
sul carattere non assentito delle medesime;
e, seppure si aderisse all’orientamento che
ritiene necessaria tale comunicazione anche
per gli ordini di demolizione, troverebbe
comunque applicazione nel caso in esame
l’art. 21-octies, comma 2, della legge n.
241/1990 (introdotto dalla legge n.
15/2005), nella parte in cui dispone che
“non è annullabile il provvedimento adottato
in violazione di norme sul procedimento …
qualora, per la natura vincolata del
provvedimento, sia palese che il suo
contenuto dispositivo non avrebbe potuto
essere diverso da quello in concreto
adottato”.
Infatti, posto che l’ordine di demolizione è
atto dovuto in presenza di opere realizzate
in assenza del prescritto titolo
abilitativo, nel caso in esame risulta
palese che il contenuto dispositivo
dell’impugnata ordinanza di demolizione non
avrebbe potuto essere diverso se fosse stata
data ai ricorrenti comunicazione dell’avvio
del procedimento.
Infine, destituita di ogni fondamento
risulta la censura incentrata dell’omessa
comunicazione dell’avvio del procedimento in
quanto i provvedimenti repressivi degli
abusi edilizi, non devono essere preceduti
dalla comunicazione dell’avvio del
procedimento (ex multis, TAR Campania
Napoli, Sez. IV, 12.04.2005, n. 3780; 13.01.2006, n. 651), perché trattasi di
provvedimenti tipizzati e vincolati, che
presuppongono un mero accertamento tecnico
sulla consistenza delle opere realizzate e
sul carattere non assentito delle medesime;
e, seppure si aderisse all’orientamento che
ritiene necessaria tale comunicazione anche
per gli ordini di demolizione, troverebbe
comunque applicazione nel caso in esame
l’art. 21-octies, comma 2, della legge n.
241/1990 (introdotto dalla legge n.
15/2005), nella parte in cui dispone che
“non è annullabile il provvedimento adottato
in violazione di norme sul procedimento …
qualora, per la natura vincolata del
provvedimento, sia palese che il suo
contenuto dispositivo non avrebbe potuto
essere diverso da quello in concreto
adottato”.
Infatti, posto che l’ordine di
demolizione è atto dovuto in presenza di
opere realizzate in assenza del prescritto
titolo abilitativo, nel caso in esame
risulta palese che il contenuto dispositivo
dell’impugnata ordinanza di demolizione non
avrebbe potuto essere diverso se fosse stata
data ai ricorrenti comunicazione dell’avvio
del procedimento
(TAR Campania-Napoli, Sez. IV,
sentenza 06.07.2012 n. 3274 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
L'avvenuta presentazione della
domanda di condono edilizio comporta
l’obbligo per l’amministrazione di
pronunciarsi sulla stessa prima di dare
ulteriore corso al procedimento repressivo,
tant’è che a norma degli artt. 38 e 44 legge
47/1985, si verifica la sospensione dei
procedimenti amministrativi sanzionatori:
in particolare l’art. 44 della precitata
Legge 47/1985 (compreso nel capo IV della
legge medesima) comporta la sospensione (tra
l’altro) dei procedimenti amministrativi e
giurisdizionali, nonché della loro
esecuzione, sino alla scadenza del termine
previsto, a pena di decadenza, per la
presentazione della domanda relativa alla
definizione dell’ illecito edilizio, mentre
a mente dell’art. 38 non è possibile portare
ad ulteriore corso il procedimento
repressivo dell’abuso senza previa pronuncia
sulla istanza di condono.
Già in via generale infatti, in pendenza di
una procedura di sanatoria non definita,
l’ordine di demolizione successivamente
spedito rappresenta un sovvertimento
dell’ordine logico di valutazione della
fattispecie sottoposta all’esame degli
organi competenti, con conseguente vizio di
eccesso di potere dell’atto repressivo
anticipato.
Osserva il Tribunale che il
ricorso va dichiarato improcedibile per
sopravvenuta carenza di interesse; in
particolare va rilevato che la successiva
presentazione della istanza di condono,
comporta l’obbligo per l’amministrazione di
pronunciarsi sulla stessa con sospensione
dei procedimenti sanzionatori in corso.
Infatti, l’avvenuta presentazione della
domanda di condono edilizio comporta
l’obbligo per l’amministrazione di
pronunciarsi sulla stessa prima di dare
ulteriore corso al procedimento repressivo,
tant’è che a norma degli artt. 38 e 44 legge
47/1985, si verifica la sospensione dei
procedimenti amministrativi sanzionatori:
in particolare l’art. 44 della precitata
Legge 47/1985 (compreso nel capo IV della
legge medesima) comporta la sospensione (tra
l’altro) dei procedimenti amministrativi e
giurisdizionali, nonché della loro
esecuzione, sino alla scadenza del termine
previsto, a pena di decadenza, per la
presentazione della domanda relativa alla
definizione dell’ illecito edilizio, mentre
a mente dell’art. 38 non è possibile portare
ad ulteriore corso il procedimento
repressivo dell’abuso senza previa pronuncia
sulla istanza di condono.
Già in via generale infatti, in pendenza di
una procedura di sanatoria non definita,
l’ordine di demolizione successivamente
spedito rappresenta un sovvertimento
dell’ordine logico di valutazione della
fattispecie sottoposta all’esame degli
organi competenti, con conseguente vizio di
eccesso di potere dell’atto repressivo
anticipato (giurisprudenza consolidata:
cfr., fra le tante, TAR Veneto, 07.07.2000, n.
1301; TAR Calabria, Catanzaro, 04.11.2001, n.
4; TAR Sardegna, 07.08.2000, n. 769; TAR
Campania, Napoli, 10.11.1997, n. 2905 e 01.04.1999,
n. 940).
Per quanto riguarda la normativa eccezionale
in materia di cosiddetto condono edilizio,
poi, l’art. 38 della legge 28.02.1985, n. 47
–riferibile anche alle procedure avviate ai
sensi dell’art. 32, comma 25, del
D.L. 30.09.2003, n. 269, convertito in legge
24.11.2003, n. 326, che nel successivo
comma 28 prevede l’applicabilità delle
disposizioni di cui alla citata legge n.
47/1985, ove compatibili– prevede che "la
presentazione entro il termine perentorio
della domanda…sospende il procedimento
penale e quello per le sanzioni
amministrative".
Tenuto conto del principio generale sopra
enunciato, deve ritenersi che la sospensione
di cui trattasi si traduca in interruzione
dell’iter procedurale per le sanzioni emesse
prima della presentazione dell’istanza e di
inibitoria dell’avvio di ogni attività
repressiva, per opere che siano
astrattamente sanabili, in presenza di
istanza di condono che si trovi già agli
atti dell’amministrazione.
Pertanto il ricorso va dichiarato
improcedibile, stante l’art. 38 legge
47/1985, il cui disposto impone
all’amministrazione di astenersi, sino alla
definizione del procedimento attivato per il
rilascio della concessione in sanatoria, da
ogni iniziativa repressiva, che
vanificherebbe a priori il rilascio del
titolo abilitativo in sanatoria, sicché la
P.A. ha l’obbligo di pronunciarsi sulla
condonabilità o meno dell’opera edilizia
prima di portare ad ulteriore corso il
procedimento repressivo (cfr. CdS sez. V
24.03.1998 n. 345; 17.03.1998 n. 298).
Nella specie il Collegio rileva che le
contestazioni dell’amministrazione comunale,
che ha negato la presentazione della domanda
in oggetto, siano superate dai successivi
accertamenti dello stesso Comune che ha
attestato nella memoria del 31.05.2011 ed
allegata relazione del settore del 04.04.2011
che l’opera non è condonabile perché
realizzata in area soggetta a vincolo di PRG- rispetto della fascia cimiteriale art
338 RD 1265/1934, .
La stessa amministrazione in seguito ha
depositato in data 10.05.2012 nota del
9.05.2012 unità condono edilizio, nella quale
si rappresenta che è in corso l’ emissione
del provvedimento di diniego di condono e di
nuovo ordine di demolizione.
La dichiarazione di improcedibilità fa
ritenere assorbita ogni altra censura, (ivi
compresa quella introdotta con l’istanza di
tale Bianco Maria del 07.03.2012 per
l’esecuzione spontanea del ripristino a
seguito di sentenza penale n. 4848/2011)
salvi gli ulteriori e doverosi provvedimenti
dell’amministrazione in sede di esame della
citata istanza di condono edilizio
(TAR Campania-Napoli, Sez. IV,
sentenza 06.07.2012 n. 3265 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Sul possesso del requisito della
regolarità fiscale, la giurisprudenza
amministrativa ha costantemente affermato
che la sua sussistenza va verificata non
solo con riferimento al momento della
presentazione della domanda di
partecipazione alla gara, ma anche nelle
fasi che seguono, e che l’eventuale
regolarizzazione successiva non può
comportare ex post il venir meno della causa
di esclusione.
La correttezza di siffatta impostazione è
stata più di recente confermata
dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di
Stato che, con la sentenza n. 8 del
04.05.2012, nel pronunciarsi sui requisiti
di regolarità contributiva e previdenziale,
ha ribadito che costituisce “principio
pacifico” già affermato in giurisprudenza
che la verifica dei predetti requisiti deve
essere effettuata, innanzitutto, con
riferimento al momento di presentazione
della domanda di partecipazione alla gara.
Inoltre, quale corollario del predetto
principio enunciato con riferimento alla
regolarità “contributiva”, ha altresì
precisato che la regolarità “fiscale” e
“contributiva” devono essere comunque
riguardate con riferimento insuperabile al
momento ultimo per la presentazione delle
offerte, e che a nulla rileva un’eventuale
regolarizzazione successiva.
Il ricorso è infondato e va
respinto come di seguito argomentato.
Va innanzitutto esclusa la fondatezza della
ricostruzione formulata in ricorso con il
primo motivo di impugnazione, secondo cui la
ricorrente non poteva essere esclusa dalla
gara ad aggiudicazione già intervenuta
poiché la regolarità fiscale sarebbe un
requisito di “partecipazione” che andava
verificato al momento della presentazione
della domanda, ossia prima di procedere
all’aggiudicazione definitiva,e non dopo. In
tal fase, deduce la ricorrente, era ancora
pendente il termine per il pagamento, per
cui alcuna violazione poteva esserle
contestata.
Nell’escludere la legittimità di tale
contestazione specifica, nella motivazione
del provvedimento impugnato, la stazione
appaltante ha richiamato la pacifica
giurisprudenza del Consiglio di Stato che,
in più occasioni, ha chiarito che il
requisito della regolarità fiscale deve
essere posseduto dal concorrente non
soltanto al momento della partecipazione
alla gara, ma per tutto lo svolgimento della
procedura.
Ritiene il Collegio che la motivazione
opposta dall’amministrazione sia esente da
censure dal momento che sul possesso del
requisito della regolarità fiscale, la
giurisprudenza amministrativa ha
costantemente affermato che la sua
sussistenza va verificata non solo con
riferimento al momento della presentazione
della domanda di partecipazione alla gara,
ma anche nelle fasi che seguono, e che
l’eventuale regolarizzazione successiva non
può comportare ex post il venir meno della
causa di esclusione ( cfr C.d.S. sez. V
26.08.2010 n. 5698; 23.10.2007 n. 5575; C.d.S.sez. IV , 20.09.2005 n. 4817; Cd.S.
sez. V, 06.07.2002 n. 3733).
La correttezza di siffatta impostazione è
stata più di recente confermata
dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di
Stato che, con la sentenza n. 8 del
04.05.2012, nel pronunciarsi sui requisiti
di regolarità contributiva e previdenziale,
ha ribadito che costituisce “principio
pacifico” già affermato in
giurisprudenza che la verifica dei predetti
requisiti deve essere effettuata,
innanzitutto, con riferimento al momento di
presentazione della domanda di
partecipazione alla gara.
Inoltre, quale corollario del predetto
principio enunciato con riferimento alla
regolarità “contributiva”, ha altresì
precisato che la regolarità “fiscale”
e “contributiva” devono essere
comunque riguardate con riferimento
insuperabile al momento ultimo per la
presentazione delle offerte, e che a nulla
rileva un’eventuale regolarizzazione
successiva (TAR Campania-Napoli, Sez. VIII,
sentenza 06.07.2012 n. 3262 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Al fine dell’emissione del
provvedimento di decadenza di un permesso di
costruire per inosservanza del termine di
ultimazione dei lavori occorre solo
accertare il fatto obiettivo della mancata
ultimazione dell’opera nel triennio e
constatare che non sussistono cause che
rendano giustificabile l’inadempimento per
elementi ostativi non addebitabili
all’interessato.
Con il provvedimento
impugnato il Comune di Sant'Antimo ha
dichiarato la decadenza della concessione
rilasciata al ricorrente il 23.10.2009,
avendo accertato il mancato inizio dei
lavori nel termine perentorio di un anno e
comunque il loro mancato completamento entro
il triennio successivo.
L’istante sostiene che il ritardo
nell’inizio dell’esecuzione dei lavori
sarebbe dovuto al tardivo rilascio della
autorizzazione sismica da parte del Settore
provinciale del Genio Civile della Regione
Campania, che pertanto dovrebbe essere
considerato alla stregua di un factum principis, che avrebbe dovuto impedire la
pronuncia di decadenza.
La questione ha carattere assorbente in
quanto attiene all'esistenza del presupposto
per l'esercizio del potere.
Dalla documentazione versata agli atti del
giudizio risulta, in particolare, che in
data 31.03.2010 l’interessato ha chiesto
al Settore provinciale del genio Civile
della Regione Campania, l’autorizzazione
sismica necessaria per dare inizio ai lavori
per realizzare i parcheggi interrati pertinenziali e che l’autorizzazione sismica
è stata rilasciata il 19.10.2010 e
comunicata al ricorrente il successivo
3.11.2010.
Appare evidente quindi che, in assenza della
predetta autorizzazione l’interessato non
avrebbe potuto iniziare i lavori, per cui
buona parte del periodo considerato
dall’art. 15 del d.P.R. 380/2001 ai fini
dell’inizio dei lavori (circa sette mesi su
dodici) è trascorso in attesa di un atto
prodromico il cui rilascio era rimasto
sottratto alla volontà dell’interessato.
Orbene la presentazione dei calcoli
strutturali all’Ufficio provinciale del
genio civile, di cui l’amministrazione aveva
contezza perché prevista tra le condizioni
generali del permesso di costruire n.
145/2006 e la conseguente attesa per il
rilascio della autorizzazione sismica senza
la quale i lavori non sarebbero potuti
iniziare (come evidenziato dallo stesso
Ufficio provinciale del Genio Civile
all’interessato nella nota prto. 2010 del
24.6.2010) indubbiamente rappresentano un
impedimento assoluto alla esecuzione delle
opere.
L’impedimento, inoltre, non è riferibile
alla condotta del ricorrente, per cui è tale
da costituire quella causa di forza maggiore
che sospende il decorso dei termini,
previsti dall'art. 4, comma 4, della l. 28.01.1977, n. 10.
Al riguardo la giurisprudenza amministrativa
ha costantemente affermato che, al fine
dell’emissione del provvedimento di
decadenza di un permesso di costruire per
inosservanza del termine di ultimazione dei
lavori occorre solo accertare il fatto
obiettivo della mancata ultimazione
dell’opera nel triennio e constatare che non
sussistono cause che rendano giustificabile
l’inadempimento per elementi ostativi non
addebitabili all’interessato
(TAR Campania-Napoli, Sez. II,
sentenza 06.07.2012 n. 3258 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
La domanda risarcitoria non
risulta sostenuta dalle necessarie
allegazioni in ordine al danno subito ed, in
secondo luogo, che per quanto concerne
l'accertamento della responsabilità
dell'amministrazione risulta proposta in
modo generico e, quindi, va respinta.
Sul punto la giurisprudenza prevalente si è
andata orientando nel senso
dell’attenuazione dell’onere probatorio del
privato: in particolare, sotto il profilo
della colpa, si è affermato che il privato
danneggiato, ai fini di ottenere il
risarcimento dei danni derivanti da lesione
di interessi legittimi, ancorché onerato
della dimostrazione della “colpa”
dell’amministrazione, risulta agevolato
dalla possibilità di offrire al giudice
elementi indiziari –acquisibili, sia pure
con i connotati normativamente previsti, con
maggior facilità delle prove dirette- quali
la gravità della violazione, qui valorizzata
quale presunzione semplice di colpa e non
come criterio di valutazione assoluto, il
carattere vincolato dell’azione
amministrativa giudicata, l’univocità della
normativa di riferimento ed il proprio
apporto partecipativo al procedimento.
Così che, acquisiti gli indici rivelatori
della colpa, spetta poi all’amministrazione
l’allegazione degli elementi, pure
indiziari, ascrivibili allo schema
dell’errore scusabile e, in definitiva, al
giudice, così come, in sostanza, inteso
dalla Corte di Cassazione con la sentenza n.
500/1999, apprezzarne e valutarne
liberamente l’idoneità ad attestare o ad
escludere la colpevolezza
dell’amministrazione.
Tale attenuazione dell’onere probatorio non
esclude tuttavia la necessità che le pretese
risarcitorie presuppongano l’indicazione
degli elementi che possano indurre il
giudice a valutare in termini di
responsabilità la condotta della pubblica
amministrazione.
Occorre
ora soffermarsi sui motivi aggiunti
depositati il 28.01.2011 con cui è chiesto il
risarcimento del danno derivante dalla
condotta del Comune di sant’Antimo.
Al riguardo occorre osservare in primo luogo
che la domanda risarcitoria non risulta
sostenuta dalle necessarie allegazioni in
ordine al danno subito ed, in secondo luogo,
che per quanto concerne l'accertamento della
responsabilità dell'amministrazione risulta
proposta in modo generico e, quindi, va
respinta.
Sul punto la giurisprudenza prevalente si è
andata orientando nel senso
dell’attenuazione dell’onere probatorio del
privato: in particolare, sotto il profilo
della colpa, si è affermato (Consiglio di
Stato, Sez. V, decisione 10.01.2005, n.
32) che il privato danneggiato, ai fini di
ottenere il risarcimento dei danni derivanti
da lesione di interessi legittimi, ancorché
onerato della dimostrazione della “colpa”
dell’amministrazione, risulta agevolato
dalla possibilità di offrire al giudice
elementi indiziari –acquisibili, sia pure
con i connotati normativamente previsti, con
maggior facilità delle prove dirette- quali
la gravità della violazione, qui valorizzata
quale presunzione semplice di colpa e non
come criterio di valutazione assoluto, il
carattere vincolato dell’azione
amministrativa giudicata, l’univocità della
normativa di riferimento ed il proprio
apporto partecipativo al procedimento.
Così che, acquisiti gli indici rivelatori
della colpa, spetta poi all’amministrazione
l’allegazione degli elementi, pure
indiziari, ascrivibili allo schema
dell’errore scusabile e, in definitiva, al
giudice, così come, in sostanza, inteso
dalla Corte di Cassazione con la sentenza n.
500/1999, apprezzarne e valutarne liberamente
l’idoneità ad attestare o ad escludere la
colpevolezza dell’amministrazione.
Tale attenuazione dell’onere probatorio non
esclude tuttavia la necessità che le pretese
risarcitorie presuppongano l’indicazione
degli elementi che possano indurre il
giudice a valutare in termini di
responsabilità la condotta della pubblica
amministrazione.
Allegazione che nel caso di specie non
risulta idonea ad una corretta valutazione
della pretesa per cui allo stato non risulta
possibile accogliere la domanda
risarcitoria; tutto ciò non senza
considerare che il provvedimento di
decadenza è stato sospeso con ordinanza
cautelare n. 490/2011, ad appena quattro
mesi dalla sua adozione, inibendo la
conseguente sospensione dei lavori
(TAR Campania-Napoli, Sez. II,
sentenza 06.07.2012 n. 3258 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
In base all’art. 3, comma 3,
della l. 07.08.1990, n. 241, deve
ritenersi in generale ammessa la cosiddetta
motivazione per relationem, peraltro già
considerata ammissibile dalla giurisprudenza
formatasi nella legislazione anteriore al
1990.
La motivazione può, dunque, in via generale,
ricavarsi per relationem dagli atti
istruttori posti in essere nel corso del
procedimento e richiamati dagli atti
impugnati purché si tratti di atti
appartenenti alla stessa serie
procedimentale e non del tutto estranei e
purché le argomentazioni contenute negli
atti richiamati siano fatte proprie
dall’amministrazione emanante.
---------------
Da un lato le norme in materia di
partecipazione non debbono essere applicate
meccanicamente e a fini meramente
strumentali e dall'altro l'obbligo della
comunicazione di avvio del procedimento
sussiste solo quando la comunicazione si
concreti in un’effettiva utilità per
l'esplicazione dell'azione amministrativa
coerentemente alla funzione di arricchimento
sul piano del merito e della legittimità che
possa derivare dall'adempimento dell'obbligo
e dalla conseguente tempestiva
partecipazione del destinatario del
provvedimento.
Conseguenza logica di tale impostazione è
che l'omissione della comunicazione di
inizio del procedimento comporta
l'illegittimità dell'atto conclusivo tutte
le volte che il soggetto non avvisato possa
poi provare che, ove avesse avuto
l'opportunità di partecipare tempestivamente
al procedimento, avrebbe potuto presentare
osservazioni ed opposizioni idonee ad
incidere causalmente, in termini a lui
favorevoli, sul provvedimento terminale.
In base all’art. 3, comma 3,
della l. 07.08.1990, n. 241, deve
ritenersi in generale ammessa la cosiddetta
motivazione per relationem, peraltro già
considerata ammissibile dalla giurisprudenza
formatasi nella legislazione anteriore al
1990 (Cfr. Consiglio di Stato Sez. V, n.
738/1989; CGA n. 197/1989).
La motivazione può, dunque, in via generale,
ricavarsi per relationem dagli atti
istruttori posti in essere nel corso del
procedimento e richiamati dagli atti
impugnati purché si tratti di atti
appartenenti alla stessa serie
procedimentale e non del tutto estranei (v.
Consiglio di Stato, sez. V n. 793/1988) e purché le argomentazioni contenute negli
atti richiamati siano fatte proprie
dall’amministrazione emanante (cfr.
Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 264/1997).
---------------
E' poi
utile richiamare quell’ulteriore
orientamento del Consiglio di Stato (cfr.
Cons. di Stato, Sez. V, 22.05.2001, n.
2823), che il Collegio condivide, secondo il
quale, da un lato le norme in materia di
partecipazione non debbono essere applicate
meccanicamente e a fini meramente
strumentali (cfr. Cons. di Stato, Sez. IV,
18.05.1998, n. 836) e dall'altro,
l'obbligo della comunicazione di avvio del
procedimento sussiste solo quando la
comunicazione si concreti in un’effettiva
utilità per l'esplicazione dell'azione
amministrativa coerentemente alla funzione
di arricchimento sul piano del merito e
della legittimità che possa derivare
dall'adempimento dell'obbligo e dalla
conseguente tempestiva partecipazione del
destinatario del provvedimento (cfr. Cons.
di Stato, Sez. V, n. 2823/2001 cit.; idem,
19.03.1996, n. 283; TAR Lazio, Sez. III,
17.06.1998, n. 1405).
Conseguenza logica di tale impostazione è
che l'omissione della comunicazione di
inizio del procedimento comporta
l'illegittimità dell'atto conclusivo tutte
le volte che il soggetto non avvisato possa
poi provare che, ove avesse avuto
l'opportunità di partecipare tempestivamente
al procedimento, avrebbe potuto presentare
osservazioni ed opposizioni idonee ad
incidere causalmente, in termini a lui
favorevoli, sul provvedimento terminale
(cfr., in termini, Cons. di Stato, Sez. V,
n. 2823/2001 cit.)
(TAR Campania-Napoli, Sez. II,
sentenza 06.07.2012 n. 3257 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La sospensione dei provvedimenti
sanzionatori, in applicazione della
normativa sul condono edilizio di cui al
D.L. 269/2003 (convertito
in legge 326/2003), non è automatica,
essendo subordinata all’astratta sanabilità
delle opere abusivamente eseguite, sotto il
profilo oggettivo, temporale e finanziario.
--------------
In relazione all’omessa comunicazione di
avvio del procedimento sanzionatorio, il
Collegio evidenzia che tale omissione
risulta irrilevante, giacché alla notifica
del provvedimento di sospensione dei lavori
va riconosciuto un effetto equipollente a
quello della comunicazione dell’avvio del
procedimento.
Comunque, ai sensi dell'art. 21-octies legge
241/1990 non è annullabile il provvedimento
adottato in violazione di norme sul
procedimento o sulla forma degli atti
qualora, per la natura vincolata del
provvedimento, sia palese che il suo
contenuto dispositivo non avrebbe potuto
essere diverso da quello in concreto
adottato.
Come evidenziato dalla
consolidata giurisprudenza, infatti, la
sospensione dei provvedimenti sanzionatori,
in applicazione della normativa sul condono
edilizio di cui al D.L. 269/2003 (convertito
in legge 326/2003), non è automatica, essendo
subordinata all’astratta sanabilità delle
opere abusivamente eseguite, sotto il
profilo oggettivo, temporale e finanziario
(Cons. St., sez. IV, ord. n. 2037 del 04.05.2004; Cass., sez. III Pen.,
03.02.2004, n. 3992; TAR Napoli, sez. VI, 12.09.2006, n. 8045).
---------------
In
relazione all’omessa comunicazione di avvio
del procedimento sanzionatorio, dedotta
dalla difesa del ricorrente, il Collegio
evidenzia, conformemente alla consolidata
giurisprudenza, che tale omissione risulta,
nella fattispecie, irrilevante, giacché alla
notifica del provvedimento di sospensione
dei lavori va riconosciuto un effetto
equipollente a quello della comunicazione
dell’avvio del procedimento (cfr. ex multis
TAR Liguria, Genova, sez. I, 28.01.2011, n. 169; TAR Lazio Roma, sez. II, 04.12.2006, n. 13652; Consiglio Stato,
sez. IV, 27.01.2006, n. 399). Dalla
documentazione versata in atti risulta,
infatti, che in data 13.05.2004
l’amministrazione comunale ha adottato
l’ordinanza di sospensione dei lavori,
notificata al Ponticiello in data 17.05.2004.
Si evidenzia, altresì, che dirimenti in
senso ostativo all’accoglimento delle
pretese attoree risultano le previsioni di
cui all’art. 21-octies della legge 241/1990,
ai sensi del quale non è annullabile il
provvedimento adottato in violazione di
norme sul procedimento o sulla forma degli
atti qualora, per la natura vincolata del
provvedimento, sia palese che il suo
contenuto dispositivo non avrebbe potuto
essere diverso da quello in concreto
adottato.
L’inconferenza della censura in esame
discende, invero, dalla ineluttabilità della
sanzione repressiva comminata
dall’amministrazione comunale, anche a
cagione dell’assenza di specifici e
rilevanti profili di contestazione in ordine
ai presupposti di fatto e di diritto che ne
costituiscono il fondamento giustificativo,
sicché alcuna alternativa sul piano
decisionale si poneva all’Amministrazione
procedente
(TAR Campania-Napoli, Sez. II,
sentenza 06.07.2012 n. 3254 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il concetto di pertinenza
edilizia è più ristretto della nozione
civilistica, posto che il primo richiede che
il manufatto sia non solo preordinato ad una
oggettiva esigenza dell’edificio principale
e funzionalmente inserito al suo servizio ma
anche che sia sfornito di un autonomo valore
di mercato e dotato, comunque, di un volume
modesto, in modo da non determinare alcuna
incidenza sul cosiddetto carico urbanistico.
Il concetto di pertinenza
edilizia è più ristretto della nozione
civilistica, posto che il primo richiede che
il manufatto sia non solo preordinato ad una
oggettiva esigenza dell’edificio principale
e funzionalmente inserito al suo servizio ma
anche che sia sfornito di un autonomo valore
di mercato e dotato, comunque, di un volume
modesto, in modo da non determinare alcuna
incidenza sul cosiddetto carico urbanistico
(cfr., ex multis, Cons. St., sez. V, 22.10.2007, n. 5515; Cons. St., sez. V, 11.11.2004, n. 7324; Cons. St. sez. IV,
12.03.2007, n. 1219; Tar Basilicata–Potenza, 29.11.2008, n. 915; Tar
Campania-Napoli, sez. IV, 16.09.2008, 10138; Tar Piemonte-Torino, sez. I,
13.06.2008, n. 1368)
(TAR Campania-Napoli, Sez. II,
sentenza 06.07.2012 n. 3249 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
In una zona interessata da
vincolo paesaggistico-ambientale la
formazione del provvedimento tacito di
assenso alla concessione in sanatoria
postula indefettibilmente la previa
acquisizione del parere favorevole
dell'autorità preposta alla tutela del
vincolo sulla compatibilità ambientale della
costruzione senza titolo.
Come
evidenziato dalla costante giurisprudenza,
in una zona interessata da vincolo
paesaggistico-ambientale la formazione del
provvedimento tacito di assenso alla
concessione in sanatoria postula indefettibilmente la previa acquisizione del
parere favorevole dell'autorità preposta
alla tutela del vincolo sulla compatibilità
ambientale della costruzione senza
titolo (cfr. ex multis TAR Campania
Salerno, sez. II, 21.01.2010, n. 845); nella
fattispecie oggetto di giudizio la difesa
dei ricorrenti non ha prodotto né risulta
essere mai stato rilasciato tale parere
favorevole (TAR Campania-Napoli, Sez. II,
sentenza 06.07.2012 n. 3249 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
I provvedimenti repressivi degli
abusi edilizi non devono essere preceduti
dalla comunicazione dell'avvio del
procedimento, perché trattasi di
provvedimenti tipizzati e vincolati, che
presuppongono un mero accertamento tecnico
sulla consistenza delle opere realizzate e
sul carattere abusivo delle medesime.
Inoltre, seppure si aderisse
all'orientamento che ritiene necessaria tale
comunicazione anche per gli ordini di
demolizione, troverebbe comunque
applicazione nel caso in esame l'art.
21-octies, comma 2, prima parte, della legge
n. 241/1990 (introdotto dalla legge n.
15/2005), nella parte in cui dispone che
"non è annullabile il provvedimento adottato
in violazione di norme sul procedimento ...
qualora, per la natura vincolata del
provvedimento, sia palese che il suo
contenuto dispositivo non avrebbe potuto
essere diverso da quello in concreto
adottato".
Infatti, posto che l'ordine di demolizione è
atto dovuto in presenza di opere realizzate
in assenza del prescritto titolo
abilitativo, nel caso in esame -trattandosi
di significativi interventi di nuova
edificazione, per di più eseguiti in zona
agricola ed in area sottoposta a vincolo
paesaggistico ambientale- risulta palese che
in relazione all’ampliamento del corpo di
fabbrica A ed ai corpi di fabbrica C e D il
contenuto dispositivo dell'impugnata
ordinanza di demolizione non avrebbe potuto
essere diverso se ai ricorrenti fosse stata
data comunicazione dell'avvio del
procedimento.
---------------
La validità ovvero l'efficacia dell'ordine
di demolizione non risultano pregiudicate
dalla successiva presentazione di un'istanza
di sanatoria, posto che nel sistema non è
rinvenibile una previsione dalla quale possa
desumersi un tale effetto, sicché, se, da un
lato, la presentazione della domanda di
sanatoria attraverso l’istituto
dell’accertamento di conformità determina
inevitabilmente un arresto dell'efficacia
dell'ordine di demolizione, all'evidente
fine di evitare, in caso di accoglimento
dell'istanza, la demolizione di un'opera
astrattamente suscettibile di sanatoria,
dall'altro, occorre ritenere che l'efficacia
dell'atto sanzionatorio sia soltanto
sospesa, cioè che l'atto sia posto in uno
stato di temporanea quiescenza.
All'esito del procedimento di sanatoria, in
caso di accoglimento dell'istanza, l'ordine
di demolizione rimarrà privo di effetti in
ragione del sopravvenuto venir meno
dell'originario carattere abusivo dell'opera
realizzata. Di contro, in caso di rigetto
dell'istanza, l'ordine di demolizione
riacquista la sua efficacia
Il
Collegio evidenzia che secondo la prevalente
giurisprudenza (ex multis, TAR Liguria
Genova, Sez. I, 22.04.2011, n. 666;
TAR Campania Salerno, Sez. II, 13.04.2011, n. 702; TAR Campania Napoli, Sez. VIII,
06.04.2011, n. 1941; Sez. IV, 13.01.2011, n. 84; TAR Puglia Lecce,
Sez. III, 09.02.2011, n. 240) i
provvedimenti repressivi degli abusi
edilizi, non devono essere preceduti dalla
comunicazione dell'avvio del procedimento,
perché trattasi di provvedimenti tipizzati e
vincolati, che presuppongono un mero
accertamento tecnico sulla consistenza delle
opere realizzate e sul carattere abusivo
delle medesime.
Inoltre, seppure si aderisse
all'orientamento che ritiene necessaria tale
comunicazione anche per gli ordini di
demolizione, troverebbe comunque
applicazione nel caso in esame l'art.
21-octies, comma 2, prima parte, della legge
n. 241/1990 (introdotto dalla legge n.
15/2005), nella parte in cui dispone che
"non è annullabile il provvedimento adottato
in violazione di norme sul procedimento ...
qualora, per la natura vincolata del
provvedimento, sia palese che il suo
contenuto dispositivo non avrebbe potuto
essere diverso da quello in concreto
adottato".
Infatti, posto che l'ordine di
demolizione è atto dovuto in presenza di
opere realizzate in assenza del prescritto
titolo abilitativo, nel caso in esame -trattandosi di significativi interventi di
nuova edificazione, per di più eseguiti in
zona agricola ed in area sottoposta a
vincolo paesaggistico ambientale- risulta
palese che in relazione all’ampliamento del
corpo di fabbrica A ed ai corpi di fabbrica
C e D il contenuto dispositivo
dell'impugnata ordinanza di demolizione non
avrebbe potuto essere diverso se ai
ricorrenti fosse stata data comunicazione
dell'avvio del procedimento.
---------------
Il
Collegio osserva, in primo luogo, che la
validità ovvero l'efficacia dell'ordine di
demolizione non risultano pregiudicate dalla
successiva presentazione di un'istanza di
sanatoria, posto che nel sistema non è
rinvenibile una previsione dalla quale possa
desumersi un tale effetto, sicché, se, da un
lato, la presentazione della domanda di
sanatoria attraverso l’istituto
dell’accertamento di conformità determina
inevitabilmente un arresto dell'efficacia
dell'ordine di demolizione, all'evidente
fine di evitare, in caso di accoglimento
dell'istanza, la demolizione di un'opera
astrattamente suscettibile di sanatoria,
dall'altro, occorre ritenere che l'efficacia
dell'atto sanzionatorio sia soltanto
sospesa, cioè che l'atto sia posto in uno
stato di temporanea quiescenza.
All'esito
del procedimento di sanatoria, in caso di
accoglimento dell'istanza, l'ordine di
demolizione rimarrà privo di effetti in
ragione del sopravvenuto venir meno
dell'originario carattere abusivo dell'opera
realizzata. Di contro, in caso di rigetto
dell'istanza, l'ordine di demolizione
riacquista la sua efficacia (in termini,
Cons. St., sez. IV, 19.02.2008, n.
849; TAR, Campania, Napoli, sez. II, 14.09.2009, n. 4961) (TAR Campania-Napoli, Sez. II,
sentenza 06.07.2012 n. 3249 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
L’ordine di demolizione adottato
in pendenza di istanza di condono edilizio è
illegittimo perché in contrasto con l'art.
38, l. n. 47 del 1985, il cui dettato impone
all'Amministrazione di astenersi, sino alla
definizione del procedimento attivato per il
rilascio della concessione in sanatoria, da
ogni iniziativa repressiva che
vanificherebbe a priori il rilascio del
titolo abilitativo in sanatoria.
Pertanto l'amministrazione, prima di
sanzionare gli abusi, deve
assolvere all’obbligo di pronunciarsi sulla condonabilità o meno dell'opera edilizia
abusiva, anche perché il provvedimento di
demolizione non può costituire implicito
rigetto della domanda di condono, stante
l'art. 35, comma 15, l. n. 47 del 1985, che
impone la notificazione espressa del diniego
al richiedente.
Infatti, anche nell'ipotesi di diniego della
domanda di sanatoria, l'Amministrazione deve
adottare nuova ingiunzione di demolizione,
con fissazione di nuovi termini per la
spontanea esecuzione.
E’ noto che l’ordine di
demolizione adottato in pendenza di istanza
di condono edilizio è illegittimo perché in
contrasto con l'art. 38, l. n. 47 del 1985,
il cui dettato impone all'Amministrazione di
astenersi, sino alla definizione del
procedimento attivato per il rilascio della
concessione in sanatoria, da ogni iniziativa
repressiva che vanificherebbe a priori il
rilascio del titolo abilitativo in
sanatoria.
Pertanto l'amministrazione, prima di
sanzionare gli abusi, avrebbe dovuto
assolvere all’obbligo di pronunciarsi sulla
condonabilità o meno dell'opera edilizia
abusiva, anche perché il provvedimento di
demolizione non può costituire implicito
rigetto della domanda di condono, stante
l'art. 35, comma 15, l. n. 47 del 1985, che
impone la notificazione espressa del diniego
al richiedente (TAR Campania Napoli, sez. III,
07.12.2010, n. 27066).
Infatti, anche nell'ipotesi di diniego della
domanda di sanatoria, l'Amministrazione deve
adottare nuova ingiunzione di demolizione,
con fissazione di nuovi termini per la
spontanea esecuzione (TAR Campania
Napoli, sez. VI, 03.12.2010, n. 26796;
TAR Campania Napoli sez. II, 02.03.2012 n.
1083)
(TAR Campania-Napoli, Sez. IV,
sentenza 06.07.2012 n. 3241 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Il giudizio che conclude il
procedimento di verifica delle offerte
anomale, di natura globale e sintetica sulla
serietà o meno dell’offerta nel suo insieme,
costituisce espressione di un potere tecnico
discrezionale dell’amministrazione, di per
sé insindacabile salva l’ipotesi in cui le
valutazioni ad esso sottese non siano
abnormi o manifestamente illogiche o affette
da errori di fatto; conseguentemente la
relativa motivazione deve essere rigorosa in
caso di esito negativo, mentre la
valutazione positiva di congruità è
sufficientemente espressa anche con
motivazione per relationem alle
giustificazioni rese dall'impresa offerente,
senza la necessità di richiami su ogni
singola voce di costo.
Secondo pacifica giurisprudenza di questa
Sezione, il giudizio che conclude il
procedimento di verifica delle offerte
anomale, di natura globale e sintetica sulla
serietà o meno dell’offerta nel suo insieme,
costituisce espressione di un potere tecnico
discrezionale dell’amministrazione, di per
sé insindacabile salva l’ipotesi in cui le
valutazioni ad esso sottese non siano
abnormi o manifestamente illogiche o affette
da errori di fatto; conseguentemente la
relativa motivazione deve essere rigorosa in
caso di esito negativo, mentre la
valutazione positiva di congruità è
sufficientemente espressa anche con
motivazione per relationem alle
giustificazioni rese dall'impresa offerente,
senza la necessità di richiami su ogni
singola voce di costo (Cons. Stato, V,
17.01.2011 n. 223; id., 23.11.2010 n. 8148;
id., 12.02.2010 n. 741; id., 10.02.2009 n.
748; id., 20.05.2008 n. 2348) (Consiglio di
Stato, Sez. V,
sentenza 05.07.2012 n. 3934 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
L'art. 192 d.lgs. n. 152/2006
dispone che chiunque viola il divieto di
abbandono e deposito incontrollato "è tenuto a procedere
alla rimozione, all'avvio a recupero o allo
smaltimento dei rifiuti ed al ripristino
dello stato dei luoghi in solido con il
proprietario e con i titolari di diritti
reali o personali di godimento sull'area, ai
quali tale violazione sia imputabile a
titolo di dolo o colpa, base agli
accertamenti effettuati, in contraddittorio
con i soggetti interessati, dai soggetti
preposti al controllo".
In particolare dalla norma in esame risulta
che la responsabilità del proprietario o del
titolare di diritti reali o personali di
godimento presuppone l'addebitabilità ad
essi, a titolo di dolo o colpa, della
violazione posta in essere dal responsabile.
Nel provvedimento impugnato non sono nemmeno
dedotti, in concreto, profili di
responsabilità a titolo di dolo o colpa, in
capo all’Amministrazione regionale
ricorrente, necessari per l'imposizione
dell'obbligo di rimozione dei rifiuti fermo
restando che, a tal fine, non è sufficiente
una generica "culpa in vigilando".
La Sezione ritiene il ricorso
manifestamente fondato alla luce della
propria consolidata giurisprudenza in
materia (cfr., per tutte, Tar Campania-Napoli n. 243/2010).
In particolare, ritiene fondata ed
assorbente la censura con cui parte
ricorrente prospetta l'illegittimità
dell'atto impugnato per violazione dell'art.
192 d.lgs. n. 152/2006 in quanto non sono
stati dimostrati i profili di dolo o colpa
necessari per l'imposizione dell'obbligo di
rimozione dei rifiuti e di ripristino in
capo al proprietario o al titolare di altro
diritto di godimento sull'area interessata.
Infatti la norma richiamata dispone che
chiunque viola il divieto di abbandono e
deposito incontrollato "è tenuto a procedere
alla rimozione, all'avvio a recupero o allo
smaltimento dei rifiuti ed al ripristino
dello stato dei luoghi in solido con il
proprietario e con i titolari di diritti
reali o personali di godimento sull'area, ai
quali tale violazione sia imputabile a
titolo di dolo o colpa, base agli
accertamenti effettuati, in contraddittorio
con i soggetti interessati, dai soggetti
preposti al controllo".
In particolare dalla norma in esame risulta
che la responsabilità del proprietario o del
titolare di diritti reali o personali di
godimento presuppone l'addebitabilità ad
essi, a titolo di dolo o colpa, della
violazione posta in essere dal responsabile.
Nel provvedimento impugnato non sono nemmeno
dedotti, in concreto, profili di
responsabilità a titolo di dolo o colpa, in
capo all’Amministrazione regionale
ricorrente, necessari per l'imposizione
dell'obbligo di rimozione dei rifiuti fermo
restando che, a tal fine, non è sufficiente
una generica "culpa in vigilando"
(C.d.S. Sezione V 08.03.2005, n. 935)
(TAR Campania-Napoli, Sez. V,
sentenza 05.07.2012 n. 3218 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Da un lato, la
giurisprudenza del G.A. è consolidata
nell'affermare l'ampia discrezionalità
tecnica della commissione giudicatrice nella
scelta del contenuto delle prove d'esame,
non certo vincolata alla verifica di ogni
singola materia prevista dal bando,
sindacabile in sede di giurisdizione
generale di legittimità limitatamente a
ragioni di manifesta illogicità o
incongruenza.
Dall’altro lato, va richiamatosi al
principio oramai di "diritto vivente"
che afferma la legittimità dell'attribuzione
di un punteggio alfanumerico complessivo,
specie poi qualora siano stati
preliminarmente individuati puntuali criteri
di valutazione, come nella fattispecie per
cui è causa.
---------------
Nelle controversie relative alla
contestazione dei risultati di un concorso
pubblico o selezione pubblica non può
prescindersi -ai fini della verifica
dell'interesse al ricorso- dalla c.d. prova
di resistenza, dovendo parte ricorrente
provare (o comunque quantomeno fornire un
principio di prova) in caso di accoglimento,
la possibilità di ottenere una utile
posizione in graduatoria, dovendosi
dichiarare inammissibile il gravame laddove
risulti "a priori" che il ricorrente non
otterrebbe in caso di accoglimento della
domanda il bene della vita per cui agisce in
giudizio.
In termini generali vanno
preliminarmente richiamati i consolidati
principi pretori per cui, da un lato, la
giurisprudenza del G.A. è consolidata
nell'affermare l'ampia discrezionalità
tecnica della commissione giudicatrice nella
scelta del contenuto delle prove d'esame,
non certo vincolata alla verifica di ogni
singola materia prevista dal bando,
sindacabile in sede di giurisdizione
generale di legittimità limitatamente a
ragioni di manifesta illogicità o
incongruenza (Consiglio di Stato sez IV, 26.07.2008, n. 3677, TAR Liguria sez. II
07.05.2004, n. 2280, C.G.A. 2002 n. 46).
Dall’altro lato, va richiamatosi al
principio oramai di "diritto vivente" (Corte
Costituzionale 30.01.2009, n. 20 in
riferimento alle prove d'esame per
l'abilitazione alla professione forense) che
afferma la legittimità dell'attribuzione di
un punteggio alfanumerico complessivo,
specie poi qualora siano stati
preliminarmente individuati puntuali criteri
di valutazione, come nella fattispecie per
cui è causa (ex multis Consiglio di Stato
sez. VI 08.05.2008, n. 2128, id. 12.11.2008, n. 5638, id. 23.03.2009, n.
1726, id. sez IV 05.02.2010 n. 548,
TAR Campania Napoli sez. IV, 27.04.2010, n. 2177).
---------------
Ed,
invero, va ribadito, in punto di diritto, il
principio per cui nelle controversie
relative alla contestazione dei risultati di
un concorso pubblico o selezione pubblica
non può prescindersi -ai fini della
verifica dell'interesse al ricorso- dalla
c.d. prova di resistenza, dovendo parte
ricorrente provare (o comunque quantomeno
fornire un principio di prova) in caso di
accoglimento, la possibilità di ottenere una
utile posizione in graduatoria, dovendosi
dichiarare inammissibile il gravame laddove
risulti "a priori" che il ricorrente non
otterrebbe in caso di accoglimento della
domanda il bene della vita per cui agisce in
giudizio (ex multis TAR Campania Napoli,
sez VIII 17.09.2009, n. 4980, id. 11.06.2009, n. 3198, TAR Sicilia
Palermo, 18.01.2010, n. 467)
(TAR Campania-Napoli, Sez. V,
sentenza 05.07.2012 n. 3217 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA-PRIVATA:
La
preesistenza delle domande di condono rende
illegittima la successiva irrogazione della
sanzione demolitoria, per non essersi
l'Amministrazione Comunale preventivamente
pronunciata sulle domande medesime, volte,
in caso di accoglimento, a privare le opere
del loro carattere di abusività, ovvero, in
caso di rigetto, a consentire l'esercizio
del potere repressivo; ciò in omaggio al
principio di economicità e coerenza
dell'azione amministrativa.
Una volta che viene presentata un'istanza di
accertamento di conformità ai sensi
dell'art. 36, d.P.R. n. 380 del 2001
l’esercizio del potere repressivo deve
ritenersi sospeso, almeno fino a quando
l’Amministrazione non si pronunci in senso
positivo o negativo sull'istanza.
Come ha affermato costante giurisprudenza
(TAR Campania Napoli, sez. VIII, 03.09.2010,
n. 17302) …”la preesistenza delle domande
di condono rende illegittima la successiva
irrogazione della sanzione demolitoria, per
non essersi l'Amministrazione Comunale
preventivamente pronunciata sulle domande
medesime, volte, in caso di accoglimento, a
privare le opere del loro carattere di
abusività, ovvero, in caso di rigetto, a
consentire l'esercizio del potere
repressivo; ciò in omaggio al principio di
economicità e coerenza dell'azione
amministrativa”.
Una volta che viene presentata un'istanza di
accertamento di conformità ai sensi
dell'art. 36, d.P.R. n. 380 del 2001
l’esercizio del potere repressivo deve
ritenersi sospeso, almeno fino a quando
l’Amministrazione non si pronunci in senso
positivo o negativo sull'istanza (per tutti
si veda TAR Lombardia Milano Sez. II,
18-10-2011, n. 2467) (TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 05.07.2012 n. 966 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA-PRIVATA: Il
rilascio del titolo edilizio per la
costruzione di una centrale idroelettrica,
se indubbiamente rientra nell’ambito delle
competenze comunali e presuppone la
valutazione della compatibilità
urbanistico-edilizia dell’intervento, non
può essere scollegato dalle oggettive
implicazioni che la realizzazione
dell’impianto avrà sul regime delle acque,
in modo particolare con riguardo alle
rilevanti problematiche emergenti dal
necessario rispetto del flusso minimo vitale
del corso d’acqua interessato dalla
costruenda centrale idroelettrica.
Pertanto, il vaglio di legittimità del
provvedimento comunale impugnato è demandato
al giudice competente in modo specifico in
materia di acque pubbliche, quale è appunto
il TSAP.
La giurisdizione del Tribunale Superiore
delle Acque Pubbliche, prevista dall'art.
143, comma 1, lett. a) r.d. 11.12.1933 n.
1775, ha per oggetto i ricorsi avverso
provvedimenti amministrativi che siano
caratterizzati dall'incidenza diretta sulla
materia delle acque pubbliche: orbene,
atteso che il provvedimento contestato da
parte ricorrente, ancorché emanato da
un'autorità diversa da quelle specificamente
preposte alla tutela delle acque, proprio
per l’oggetto e le ragioni che lo sottendono
ha un’evidente incidenza sul regolare regime
delle acque pubbliche, la cui tutela ha
carattere inderogabile in quanto informata
alla ragione pubblicistica di assicurare la
possibilità di sfruttamento delle acque
demaniali e il libero deflusso delle acque
scorrenti dei fiumi, torrenti, canali e
scolatoi pubblici, ne deriva che l’esame
della legittimità della determinazione
assunta dall’amministrazione comunale debba
essere devoluto al giudice tecnicamente
competente, quale è il TSAP.
Si osserva, infatti, come il provvedimento
demandato alla competenza del Comune, quale
è il rilascio del titolo edilizio per la
costruzione della centrale idroelettrica, se
indubbiamente rientra nell’ambito delle
competenze comunali e presuppone la
valutazione della compatibilità
urbanistico-edilizia dell’intervento, non
possa essere scollegato dalle oggettive
implicazioni che la realizzazione
dell’impianto avrà sul regime delle acque,
in modo particolare con riguardo alle
rilevanti problematiche emergenti dal
necessario rispetto del flusso minimo vitale
del corso d’acqua interessato dalla
costruenda centrale idroelettrica.
La stessa Regione Veneto – Direzione
Distretto Bacino Idrografico Brenta e
Bacchiglione di Vicenza, nell’indirizzare al
Comune la nota del 07.10.2010 prot. n.
525751 (doc. n. 6 di parte resistente), ha
infatti evidenziato le problematiche che
potrebbero sorgere proprio con riguardo al
livello minimo del flusso dell’acqua, con
riguardo anche alla presenza di altri
soggetti che usufruiscono dell’apporto
idrico del corso d’acqua interessato.
Detti elementi portano quindi a ritenere che
la richiesta avanzata dalla società istante,
sebbene abbia per oggetto il rilascio del
permesso di costruire, coinvolga interessi
che esorbitano il mero profilo urbanistico
edilizio dell’intervento, coinvolgendo anche
profili, non certo di poca rilevanza,
attinenti il regime delle acque.
Ciò comporta, in conformità con il costante
orientamento giurisprudenziale, che nella
specie, proprio perché risultano
direttamente coinvolti interessi che hanno
per oggetto il regime delle acque pubbliche,
il vaglio di legittimità del provvedimento
comunale impugnato sia demandato al giudice
competente in modo specifico in materia di
acque pubbliche, quale è appunto il TSAP.
Sul punto, concordando con la copiosa
giurisprudenza, anche di questo Tribunale
Amministrativo (cfr. TAR Veneto, Sez. I n.
4462/2001 e più recentemente Sez. II, n.
3/2011), citata dalla resistente, va
ribadito che la giurisdizione del Tribunale
Superiore delle Acque Pubbliche, prevista
dall'art. 143, comma 1, lett. a) r.d.
11.12.1933 n. 1775, ha per oggetto i ricorsi
avverso provvedimenti amministrativi che
siano caratterizzati dall'incidenza diretta
sulla materia delle acque pubbliche: orbene,
atteso che il provvedimento contestato da
parte ricorrente, ancorché emanato da
un'autorità diversa da quelle specificamente
preposte alla tutela delle acque, proprio
per l’oggetto e le ragioni che lo sottendono
ha un’evidente incidenza sul regolare regime
delle acque pubbliche, la cui tutela ha
carattere inderogabile in quanto informata
alla ragione pubblicistica di assicurare la
possibilità di sfruttamento delle acque
demaniali e il libero deflusso delle acque
scorrenti dei fiumi, torrenti, canali e
scolatoi pubblici (Cass., SS.UU.,
12.05.2009, n. 10845), ne deriva che l’esame
della legittimità della determinazione
assunta dall’amministrazione comunale di
Valli del Pasubio debba essere devoluto al
giudice tecnicamente competente, quale è il
TSAP.
Invero nella fattispecie si prospetta
l’esigenza che l’organo giudicante sia
dotato della specifica competenza tecnica
richiesta per verificare la validità di atti
che incidono direttamente sul regime delle
acque pubbliche: il dato è oggettivo ed
avallato dai timori rappresentati alla
Regione dagli altri soggetti utilizzatori,
per scopi diversi, del corso d’acqua, i
quali hanno tutto l’interesse a che sia
assicurato il deflusso minimo vitale.
Inerendo quindi il provvedimento impugnato,
con il quale è stata sospesa ogni
determinazione al fine di non veder
pregiudicato il mantenimento del flusso
minimo vitale, nella prospettiva di
un’indagine più approfondita sui riflessi
che il rilascio del permesso di costruire la
centrale idroelettrica avrebbe sulla qualità
della risorsa idrica (esigenza peraltro
condivisa dalla Regione, così come da nota
del 07.10.2011, sopravvenuta in corso di
causa), la valutazione della legittimità di
tale atto deve essere demandata alla
speciale competenza tecnica di cui è
titolare il TSAP (TAR Veneto, Sez. II,
sentenza
05.07.2012 n. 963 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA-PRIVATA:
Al fine di individuare o meno
l’esistenza di una legittimazione ad agire,
è comunque necessario prescindere dal
considerare prevalente il solo rapporto di
contiguità e di confine tra due fondi
limitrofi.
---------------
La lesione arrecata dal provvedimento
impugnato deve essere effettiva, nel senso
che dall'esecuzione di esso discenda in via
immediata e diretta un danno certo alla
sfera giuridica del ricorrente, ovvero
potenziale.
Il mancato godimento del “panorama” non è di
per sé sufficiente a costituire il solo
titolo di legittimazione all’azione e, ciò,
laddove non si concreti nella violazione di
norme in materia ambientale o sulle distanze
tra le costruzioni.
Risulta, allora, evidente come risulti
l’esistenza di un interesse a ricorrere nei
confronti del proprietario confinante tutte
le volte che si sia in presenza di una
lesione attuale di uno specifico interesse
di natura urbanistico-edilizia nella sfera
dell’istante che, in quanto tale, è
suscettibile di determinare “una rilevante e
pregiudizievole alterazione del preesistente
assetto edilizio ed urbanistico che il
ricorrente intende conservare”.
... per l'annullamento del permesso di
costruire 03/08/2011 n. 10195, con cui il
comune di Lazise ha autorizzato la
controinteressata ad eseguire la demolizione
e ricostruzione di un edificio ad uso
residenziale -piano casa- l.r. 14/2009
nell'area confinante la proprietà del
ricorrente; del parere della commissione
edilizia 25/11/2010 e l'autorizzazione
ambientale 16/02/2011 prot. n. 3262.
...
Va, infatti, rilevato come la parte
ricorrente, al fine di fondare l’esistenza
di un proprio interesse a ricorrere, abbia
affermato di essere proprietaria del fondo
contiguo a quello della Sig.ra C.A..
La stessa ricorrente ha affermato che il
pregiudizio subito sarebbe fondato nell’”impossibilità
di godere della vista del lago” e,
ancora,nella convinzione in base alla quale
“l’intervento coinvolge un area
sottoposta a vincolo paesaggistico”.
E’ del tutto evidente come gli elementi
addotti da parte ricorrente non sono
sufficienti ad individuare un interesse “differenziato
e qualificato”.
Va ricordato che, sulla base della
Giurisprudenza più recente -ed al fine di
individuare o meno l’esistenza di una
legittimazione ad agire- ha affermato che è,
comunque, necessario prescindere dal
considerare prevalente il solo rapporto di
contiguità e di confine tra due fondi
limitrofi.
Appare al contrario dirimente rilevare come
la parte ricorrente non abbia dato prova, e
riscontro alcuno, circa il presumibile danno
patrimoniale, o l’eventuale lesione –anche
solo potenziale-, che avrebbe potuto subire
e, in ciò, al fine di far desumere
l’esistenza di un effettivo, differenziato e
qualificato, interesse all’annullamento del
provvedimento impugnato.
Detta mancanza di interesse a ricorrere non
è superabile nemmeno condividendo le tesi
del ricorrente in base alla quale,
sussisterebbe un non meglio precisato “rilievo
paesaggistico” dell’area di cui si
tratta, circostanza quest’ultima che non
sono appare sufficientemente circostanziata
e qualificata, ma non permette altresì di
fondare una relazione causa ed effetto, in
termini di danno potenziale.
Nella sostanza non si comprende come il
riferimento alla nozione del “rilievo
paesaggistico” possa attribuire una
posizione differenziata e qualificata ai
ricorrenti e, ciò, rispetto alla totalità
degli altri residenti in quella determinata
area o Comune.
Il Consiglio di Stato (Sez. IV, Sent.,
30-11-2010, n. 8364) ha affermato che ”la
lesione arrecata dal provvedimento impugnato
deve essere effettiva, nel senso che
dall'esecuzione di esso discenda in via
immediata e diretta un danno certo alla
sfera giuridica del ricorrente, ovvero
potenziale”.
Altra Giurisprudenza ha sancito, ancora, che
il mancato godimento del “panorama”
non è di per sé sufficiente a costituire il
solo titolo di legittimazione all’azione e,
ciò, laddove non si concreti nella
violazione di norme in materia ambientale o
sulle distanze tra le costruzioni
(Cassazione civile II sez. 25.08.1992 n.
9859).
Risulta, allora, evidente come gli
orientamenti sopra citati (si veda anche il
Consiglio di Stato sez. IV n. 6157 del
04/12/2007) -rispetto ai quali questo
Collegio ritiene di aderire-, hanno sancito
l’esistenza di un interesse a ricorrere nei
confronti del proprietario confinante tutte
le volte che si sia in presenza di una
lesione attuale di uno specifico interesse
di natura urbanistico-edilizia nella sfera
dell’istante che, in quanto tale, è
suscettibile di determinare “una
rilevante e pregiudizievole alterazione del
preesistente assetto edilizio ed urbanistico
che il ricorrente intende conservare”.
Detti elementi non risultano dedotti e
specificati nel ricorso in questione che,
pertanto, in considerazione di quanto sopra
espresso va dichiarato inammissibile, ai
sensi dell’art. 35, comma 1, lett. B), per
mancanza di legittimazione e di interesse a
ricorrere (TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 05.07.2012 n. 959 - link
a www.giustizia-amministrativa.it).
---------------
Il diritto di godere di
un bel panorama non è tutelabile avanti al
Giudice.
Il Tar Veneto (sezione II) ha risolto, con
la recente
sentenza 05.07.2012 n. 959, una
curiosa vicenda in tema di impugnazione di
un permesso di costruire.
In buona sostanza, il menzionato titolo
abilitativo era stato impugnato dal
proprietario di un fondo attiguo a quello
teatro dei preventivati lavori di
demolizione e ricostruzione con ampliamento.
In termini più dettagliati, la ricorrente
affermava di aver subito un pregiudizio
consistente nella “impossibilità di godere
della vista del lago".
Ancora, veniva eccepito che l’intervento
edilizio contrastato coinvolgeva “un’area
sottoposta a vincolo paesaggistico".
Elementi che però i Giudici veneziani hanno
valutato essere del tutto insufficienti ad
individuare un interesse "differenziato e
qualificato", in quanto tale meritevole di
tutela giurisdizionale.
Inoltre, la sentenza che qui si annota (con
finalità anzitutto informative), ricorda che
la giurisprudenza più recente, al fine di
individuare l’esistenza di una
legittimazione ad agire, ha affermato che è
necessario prescindere dal considerare
prevalente il solo rapporto di contiguità e
di confine tra due fondi limitrofi.
Circostanza effettivamente presente (ma
appunto non decisiva) nel caso specifico,
perché la ricorrente era davvero la
proprietaria del fondo confinante rispetto a
quello interessato dal permesso di costruire
gravato.
Tuttavia, la parte istante non si è
preoccupata di dare prova del presumibile
danno patrimoniale -o della eventuale
lesione, anche solo potenziale-, che avrebbe
potuto subire dai lavori in discussione.
Aspetto che semmai avrebbe potuto delineare
l’effettiva sussistenza di un interesse
all’annullamento differenziato e
qualificato.
Si tratta di una assenza di interesse a
ricorrere non superabile nemmeno
condividendo la tesi difensiva in base alla
quale sussisterebbe un (invero, non meglio
precisato) "rilievo paesaggistico" dell’area
oggetto di controversia.
Il Tar Venezia, a conforto della propria
decisione, ricorda alcune pronunce del
Consiglio di Stato, secondo cui "la lesione
arrecata dal provvedimento impugnato deve
essere effettiva, nel senso che
dall'esecuzione di esso discenda in via
immediata e diretta un danno certo alla
sfera giuridica del ricorrente, ovvero
potenziale".
In definitiva, in materia edilizia ed
urbanistica, l’interesse a ricorrere nei
confronti del proprietario confinante esiste
soltanto nei casi in cui si è in presenza di
una lesione attuale di uno specifico
interesse di natura urbanistico-edilizia
inerente la sfera di chi ha proposto
ricorso.
Solo tale tipo di lesione può dirsi idonea
ad attribuire una posizione differenziata e
qualificata, ed in quanto tale suscettibile
di determinare una rilevante e
pregiudizievole alterazione del preesistente
assetto edilizio ed urbanistico che il
ricorrente intende conservare.
Per queste ragioni il ricorso, dichiarato
infine inammissibile per mancanza di
legittimazione e di interesse a ricorrere,
veniva bloccato sul nascere (commento
tratto da
www.professioni-imprese24.ilsole24ore.com). |
EDILIZIA-PRIVATA:
Sanzioni edilizie pecuniarie: cosa deve fare
il Comune se l'interessato contesta la stima
dell'Agenzia del Territorio.
L'art. 34 del D.P.R. 380/2001 stabilisce al
comma 2 che: "2. Quando la demolizione
non puo' avvenire senza pregiudizio della
parte eseguita in conformità, il dirigente o
il responsabile dell'ufficio applica una
sanzione pari al doppio del costo di
produzione, stabilito in base alla legge
27.07.1978, n. 392, della parte dell'opera
realizzata in difformita' dal permesso di
costruire, se ad uso residenziale, e pari al
doppio del valore venale, determinato a cura
della agenzia del territorio, per le opere
adibite ad usi diversi da quello
residenziale".
Ma la valutazione
dell'Agenzia del Territorio è insindacabile
o l'interessato può contestarla?
La
sentenza 05.07.2012 n. 958 del
TAR Veneto, Sez. II, fa capire che
l'interessato ben può contestarla e che, se
l'interessato la contesta, è onere del
Comune prendere posizione sulle
contestazioni.
Scrive il TAR: "- nell’ambito dell’iter
procedimentale sia stata consentita ampia
partecipazione al ricorrente, che ha preso
parte al procedimento con la formulazione
delle proprie valutazioni, oltre agli
incontri avuti con il Comune;
- ritenuto, tuttavia, che il ricorso sia
fondato con riguardo esclusivo al dedotto
vizio di difetto di motivazione, in ragione
del fatto che le osservazioni alla perizia
di stima predisposta dall’Agenzia del
Territorio, così come formulate dal tecnico
di parte ricorrente, sono state respinte o
comunque non ritenute idonee a superare o
modificare la stima effettuata, senza
esplicitare le ragioni per le quali le
medesime non sono state ritenute
condivisibili;
- va invero rilevato che, indipendentemente
dai contenuti della nota dell’Agenzia del
06.02.2012 e dalle argomentazioni che parte
ricorrente avrebbe eventualmente potuto
formulare a confutazione della stessa, era
onere dell’amministrazione procedente
motivare il provvedimento esplicitando le
ragioni della determinazione assunta anche a
seguito delle osservazioni espresse
dall’Agenzia con la citata nota del
6.2.2012, eventualmente motivando per
relationem, ma pur sempre allegando al
provvedimento finale la nota dell’agenzia
e/o rendendola disponibile o, ancora,
inserendo direttamente il contenuto della
stessa nel testo del provvedimento impugnato"
(link a http://venetoius.myblog.it). |
EDILIZIA-PRIVATA:
L'edificazione di abbaini sul
tetto, contraddistinti da rilevanti
dimensioni tali da trasformare la struttura
preesistente, con conseguente creazione di
nuovi spazi interni dapprima non
utilizzabili per esigenze abitative,
comporta aumento di volumetria, incidendo
significativamente sulla sagoma
dell'edificio. Del resto, la realizzazione
di tali nuove strutture coperte laddove
prima esse non esistevano, implica una
radicale trasformazione della sagoma del
tetto.
Le opere così realizzate, pertanto, proprio
in virtù della loro rilevanza edilizia, non
possono considerarsi sottratte all'obbligo
generale del rispetto delle distanze. Ed
infatti, gli aumenti della volumetria o
delle superfici occupate, in relazione
all'originaria sagoma di ingombro, anche
qualora siano definiti come
ristrutturazione, sono rilevanti ai fini del
computo delle distanze rispetto agli edifici
contigui, come previste dagli strumenti
urbanistici locali.
---------------
Le distanze tra edifici, anche in relazione
a quanto previsto dal d.m. n. 1444 del 1968,
vanno calcolate con riferimento ad ogni
punto dei fabbricati e non alle sole parti
che si fronteggiano e a tutte le pareti
finestrate e non solo a quella principale,
prescindendo anche dal fatto che esse siano
o meno in posizione parallela.
Nel merito si deve osservare, innanzi tutto,
che l’edificazione dei cinque “abbaini”
sul tetto dell’edificio di proprietà del
controinteressato ha determinato un’evidente
alterazione della sagoma di esso insieme ad
un innegabile avanzamento (nonché
innalzamento) della struttura coperta. Sono
stati, infatti, ricavati cinque spazi chiusi
innestati sulla superficie curva del tetto
con altrettante strutture aventi
pavimentazione piana, che fuoriescono
notevolmente dalla struttura preesistente,
con altezza pari a m. 3,20 (cfr. tavola n.
3/5 del progetto: doc. n. 20 del
controinteressato) tale da poter essere
sfruttata anche per esigenze abitative.
Deve, in proposito, richiamarsi la
giurisprudenza amministrativa dominante,
secondo la quale l’edificazione di abbaini
sul tetto, caratterizzati da rilevanti
dimensioni tali da trasformare la struttura
preesistente, con conseguente creazione di
nuovi spazi interni dapprima non
utilizzabili per esigenze abitative,
comporta aumento di volumetria ed incide
significativamente sulla sagoma
dell’edificio (cfr. ex multis: TAR
Veneto, sez. II, n. 1692 del 2003; Cons.
Stato, sez. V, n. 689 del 1996; TAR
Campania, Napoli, sez. VII, n. 13309 del
2010).
Non può avere rilevanza, in proposito,
quanto eccepiscono in fatto
l’amministrazione resistente e il
controinteressato, ossia che le cinque nuove
strutture non fuoriescono né rispetto al
filo di gronda né rispetto al colmo del
tetto: se ciò è vero, è anche vero però che
sono state realizzate nuove strutture
coperte laddove prima esse non esistevano,
ossia previa occupazione di spazi (sia verso
l’esterno, sia verso l’alto) prima liberi,
con conseguente radicale trasformazione
della sagoma del tetto.
Le opere così realizzate, pertanto, proprio
per effetto della loro rilevanza edilizia,
non potevano non considerarsi sottratte
all’obbligo generale del rispetto delle
distanze: come si precisa in giurisprudenza,
infatti, gli aumenti della volumetria o
delle superfici occupate, in relazione
all’originaria sagoma di ingombro, anche
qualora siano definiti come “ristrutturazione”,
sono rilevanti ai fini del computo delle
distanze rispetto agli edifici contigui,
come previste dagli strumenti urbanistici
locali (cfr., ad es.: Cassaz. civ., sez.
un., n. 21578 del 2011; TAR Lombardia,
Milano, sez. II, n. 7505 del 2010; TAR
Liguria, sez. I, n. 3566 del 2009).
L’assunto, del resto, trova conferma anche
in quelle pronunce giurisprudenziali (come
Cons. Stato, sez. IV, n. 5490 del 2011,
invocata dall’amministrazione resistente)
che, pur ricordando che gli interventi di
ristrutturazione effettuati sopra un
manufatto già esistente non impongono il
rispetto delle distanze minime, evidenziano
però l’inoperatività di tale “principio”
allorché risulti essere stata realizzata “un'opera
difforme da quella preesistente per sagoma,
volume e superficie, anche in termini di
ampliamento e sopraelevazione” (così,
per l’appunto, Cons. Stato n. 5490 del 2011,
cit.), come è avvenuto nel caso oggetto del
presente giudizio.
---------------
Quanto, poi, all’ulteriore circostanza di
fatto (evidenziata dal controinteressato)
che i due edifici “non si fronteggiano e
non vi è pericolo di creazione di
intercapedini nocive”, si deve comunque
osservare che le distanze tra edifici, anche
in relazione a quanto previsto dal d.m. n.
1444 del 1968, vanno calcolate con
riferimento ad ogni punto dei fabbricati e
non alle sole parti che si fronteggiano e a
tutte le pareti finestrate e non solo a
quella principale, prescindendo anche dal
fatto che esse siano o meno in posizione
parallela (cfr., ex multis, Cons.
Stato, sez. IV, n. 7731 del 2010 e n. 6909
del 2005) (TAR Piemonte, Sez. II,
sentenza 05.07.2012 n. 807 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Il precetto che impone la doverosa
specificazione delle parti del servizio o
della fornitura di pertinenza delle singole
imprese raggruppate o consorziate deve
applicarsi anche ai raggruppamenti
orizzontali. Ed infatti, l'obbligo in
questione, da assolvere a pena di esclusione
in sede di formulazione dell'offerta, è
espressione di un principio generale che non
consente distinzioni legate alla natura
morfologica del raggruppamento (verticale o
orizzontale), alla tipologia delle
prestazioni (principali o secondarie,
scorporabili o unitarie) o al dato
cronologico del momento della costituzione
dell'associazione (costituita o
costituenda).
Ai fini del vaglio dell'ottemperanza
all'obbligo secondo cui i diversi
raggruppamenti (sia verticali che
orizzontali) devono specificare le parti del
servizio che saranno eseguite dalle singole
imprese, in ossequio al principio della
tassatività delle cause di esclusione, come
sancito dall'art. 46, comma 1-bis, Codice
degli Appalti, dovrà seguirsi un approccio
ermeneutico di natura sostanzialistica che
valorizzi il dato teleologico del
raggiungimento dello scopo della norma senza
che assuma rilievo dirimente il profilo
estrinseco del modo in cui siffatta esigenza
sia soddisfatta.
Ne consegue che il predetto obbligo dovrà
ritenersi assolto sia in caso di
indicazione, in termini schiettamente
descrittivi, delle singole parti del
servizio da cui sia evincibile il riparto di
esecuzione tra le imprese associate, sia in
caso di indicazione quantitativa, in termini
percentuali, della quota di riparto delle
prestazioni che saranno eseguite tra le
singole imprese, tenendo conto della natura
complessa o semplice dei servizi e della
sostanziale idoneità delle indicazioni ad
assolvere alle rammentate finalità di
riscontro della serietà e affidabilità
dell'offerta ed a consentire
l'individuazione dell'oggetto e dell'entità
delle prestazioni che saranno eseguite dalle
singole imprese raggruppate.
Orbene, la previsione dell'obbligo
dichiarativo de quo è espressione di un
principio generale che impone la
specificazione, anche solo quantitativa,
delle parti del servizio o della fornitura
per ogni tipo di raggruppamento e di
prestazione, con la conseguenza che la
totale omissione di qualsiasi specificazione
idonea a rendere percepibile il riparto di
ruoli operativi tra i diversi soggetti
consorziati impone la doverosa adozione del
provvedimento espulsivo.
La questione di
diritto rimessa all’adunanza plenaria
riguarda l’applicabilità ai raggruppamenti
orizzontali del precetto che impone la
doverosa specificazione delle parti del
servizio o della fornitura di pertinenza
delle singole imprese raggruppate o
consorziate.
Il Collegio deve ribadire la risposta
positiva che è stata fornita a tale quesito
dalla decisione 13.06.2012, n. 22 con
riferimento alla disciplina, ratione
temporis vigente, dettata dall’art 11,
comma 2, d.lgs. n. 157 del 1995, come
sostituito dall’art. 9 del d.lgs.
25.02.2000, n. 65. La soluzione è, infatti,
estensibile, vista l’identità del dato
letterale e di quello telelogico, al
precetto dettato dall’art. 37, comma 4, del
d.lgs 12.04.2006, n. 163, che, in linea di
continuità con la normativa anteriore, ha
stabilito che “nel caso di forniture o
servizi nell’offerta devono essere
specificate le parti del servizio che
saranno eseguite dai singoli operatori
riuniti o consorziati”.
Si deve confermare, quindi, anche con
riguardo alla disciplina dettata dal codice
dei contratti pubblici, la soluzione
ermeneutica secondo cui la citata
disposizione è applicabile indistintamente a
tutte le forme di a.t.i., orizzontali e
verticali.
A favore di tale tesi milita, anzitutto,
l’argomento letterale in virtù del rilievo
che la norma in parola, al pari del
richiamato antecedente normativo, non
contiene alcuna distinzione tra a.t.i.
orizzontali e verticali così come tra
associazioni costituite e raggruppamenti
costituendi.
Si deve poi ribadire il ragionamento svolto
dalla rammentata sentenza n. 22/2012 di
questa Adunanza al fine di corroborare gli
argomenti di natura sistematica e
teleologica, estensibili anche all’art. 37,
comma 4 cit., che suffragano l’opzione
estensiva.
Si deve, al riguardo, rimarcare che:
- l’indicazione delle ‹‹parti›› del
servizio o della fornitura imputate alle
singole imprese associate o associande si
rende necessaria onde evitare l’esecuzione
di quote rilevanti dell’appalto da parte di
soggetti sprovvisti delle qualità all’uopo
occorrenti in relazione ai requisiti di
capacità tecnico-organizzativa ed
economico-finanziaria fissati dalla lex
specialis;
- siffatte esigenze, di controllo e di
trasparenza, si pongono in modo persino
rincarato nei raggruppamenti a struttura
orizzontale, in seno ai quali tutti gli
operatori riuniti eseguono il medesimo tipo
di prestazioni, per cui, in difetto di
specificazione anche quantitativa delle ‹‹parti››
di servizi che saranno eseguite dalle
singole imprese, sarebbe inibita alla
stazione appaltante una verifica in ordine
alla coerenza dei requisiti di
qualificazione con l’entità delle
prestazioni di servizio da ognuna di esse
assunte;
- la conoscenza preventiva del soggetto che
in concreto eseguirà il servizio o la
fornitura, consente, in modo indifferenziato
per entrambe le associazioni,
l’individuazione del responsabile della
prestazione dei singoli segmenti
dell’appalto;
- l’obbligo in esame soddisfa l’esigenza,
consustanziale alla funzione dei
raggruppamenti, che sia assegnato un ruolo
operativo a ciascuna delle imprese associate
in a.t.i. o consorziate, allo scopo di
evitare che esse si avvalgano del
raggruppamento non per unire le rispettive
disponibilità tecniche e finanziarie, ma per
aggirare le norme di ammissione stabilite
dal bando e consentire così la
partecipazione di imprese non qualificate;
- l’obbligo della specificazione delle ‹‹parti››
di servizio imputate alle singole imprese
del raggruppamento persegue anche la
finalità di assecondare il corretto
esplicarsi delle dinamiche concorrenziali,
assicurando l’effettività del raggruppamento
e impedendo la partecipazione fittizia di
imprese, non chiamate (o chiamate in modo
inappropriato) ad effettuare le prestazioni
oggetto della gara.
Si deve quindi concludere, sulla scorta di
tali argomenti, che l’obbligo in questione,
da assolvere a pena di esclusione in sede di
formulazione dell’offerta, è espressione di
un principio generale che non consente
distinzioni legate alla natura morfologica
del raggruppamento (verticale o
orizzontale), alla tipologia delle
prestazioni (principali o secondarie,
scorporabili o unitarie) o al dato
cronologico del momento della costituzione
dell’associazione (costituita o
costituenda).
Si deve ribadire altresì che, ai fini del
vaglio dell’ottemperanza all’obbligo di
specificare le ‹‹parti›› del servizio
che saranno eseguite dalle singole imprese,
in ossequio al principio della tassatività
delle cause di esclusione –oggi sancito
dall’art. 46, comma 1-bis, d.lgs. n. 163 del
2006, aggiunto dall’art. 4, comma 2, lett.
d), n. 2), d.l. 13.05.2011, n. 70 (Semestre
Europeo - Prime disposizioni urgenti per
l’economia), convertito dalla l. 12.07.2011,
n. 106– dovrà seguirsi un approccio
ermeneutico di natura sostanzialistica che
valorizzi il dato teleologico del
raggiungimento dello scopo della norma senza
che assuma rilievo dirimente il profilo
estrinseco del modo in cui siffatta esigenza
sia soddisfatta.
L’obbligo dovrà allora ritenersi assolto sia
in caso di indicazione, in termini
schiettamente descrittivi, delle singole
parti del servizio da cui sia evincibile il
riparto di esecuzione tra le imprese
associate, sia in caso di indicazione
quantitativa, in termini percentuali, della
quota di riparto delle prestazioni che
saranno eseguite tra le singole imprese,
tenendo conto della natura complessa o
semplice dei servizi e della sostanziale
idoneità delle indicazioni ad assolvere alle
rammentate finalità di riscontro della
serietà e affidabilità dell’offerta ed a
consentire l’individuazione dell’oggetto e
dell’entità delle prestazioni che saranno
eseguite dalle singole imprese raggruppate
(Consiglio di Stato, Ad. Plen.,
sentenza 05.07.2012 n. 26 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
E' illegittimo l'operato
dell'amministrazione comunale che, in
presenza di una denuncia di inizio attività
per la realizzazione di un intervento
edilizio, adotta provvedimenti di
sospensione dei lavori o di demolizione dopo
che sia decorso il termine di 30 giorni
previsto per il consolidamento del titolo,
senza fare previo ricorso agli strumenti
dell'autotutela.
Invero, non può essere revocato in dubbio
che qualsivoglia intervento il Comune
intenda esercitare sull’assetto di interessi
risultante da una d.i.a. già perfetta ed
efficace, la relativa attività deve
necessariamente esplicarsi nell’ambito di un
procedimento di secondo grado avente ad
oggetto il riesame di un’autorizzazione
implicita che ha già determinato la piena
espansione del cd. ius aedificandi.
Per tali ragioni, deve ritenersi
conclusivamente che, al momento
dell'adozione del provvedimento impugnato,
si fosse da tempo formato il provvedimento
abilitativo tacito conseguente alla denuncia
del privato e all'inerzia
dell'amministrazione la quale, ritenendo di
doversi tardivamente opporre all'intervento,
non poteva limitarsi ad ordinare di non
eseguire i lavori, dovendo previamente
provvedere, in via di autotutela, alla
rimozione del provvedimento implicito.
Al riguardo, va richiamato
l’orientamento giurisprudenziale, condiviso
dal Collegio, secondo cui, ai sensi delle
richiamate previsioni contenute nell'art. 23
del d.P.R. 06.06.2001 n. 380, è
illegittimo l'operato dell'amministrazione
comunale che, in presenza di una denuncia di
inizio attività per la realizzazione di un
intervento edilizio, adotta provvedimenti di
sospensione dei lavori o di demolizione dopo
che sia decorso il termine di trenta giorni
previsto per il consolidamento del titolo,
senza fare previo ricorso agli strumenti
dell'autotutela (cfr. Consiglio di Stato,
Sezione IV, 10.12.2009, n. 7730; 04.05.2010,
n. 2558; TAR Campania, Sezione II,
25.06.2005, n. 8707; 11.04.2008 n. 2093; Sezione VIII,
08.10.2009, n. 5200; TAR Piemonte,
Sezione I, 11.10.2006, n. 3382; TAR
Liguria, Sezione I, 15.05.2010, n.2583).
Invero, non può essere revocato in dubbio
che qualsivoglia intervento il Comune
intenda esercitare sull’assetto di interessi
risultante da una d.i.a. già perfetta ed
efficace, la relativa attività deve
necessariamente esplicarsi nell’ambito di un
procedimento di secondo grado avente ad
oggetto il riesame di un’autorizzazione
implicita che ha già determinato la piena
espansione del cd. ius aedificandi.
Per tali ragioni, deve ritenersi
conclusivamente che, al momento
dell'adozione del provvedimento impugnato,
si fosse da tempo formato il provvedimento
abilitativo tacito conseguente alla denuncia
del privato e all'inerzia
dell'amministrazione la quale, ritenendo di
doversi tardivamente opporre all'intervento,
non poteva limitarsi ad ordinare di non
eseguire i lavori, dovendo previamente
provvedere, in via di autotutela, alla
rimozione del provvedimento implicito (il
cui esercizio deve peraltro essere
coordinato con il principio di certezza dei
rapporti giuridici e di salvaguardia del
legittimo affidamento del privato nei
confronti dell'attività amministrativa: cfr.
Consiglio di Stato, Sezione IV, 25.11.2008,
n. 5811)
(TAR Campania-Napoli, Sez. II,
sentenza 04.07.2012 n. 3205 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
CONDOMINIO -
EDILIZIA PRIVATA:
Grava sull’amministrazione
l’obbligo di verificare l'esistenza, in capo
al richiedente, di un idoneo titolo di
godimento sull'immobile oggetto
dell’intervento, ma non già di risolvere i
conflitti tra le parti private in ordine
all'assetto dominicale dell'area
interessata, non essendo la p.a. tenuta a
svolgere una preliminare indagine
istruttoria che si estenda fino alla ricerca
di eventuali elementi limitativi, preclusivi
o estintivi del titolo di disponibilità
allegato dal richiedente, essendo noto che
il rilascio del titolo edilizio “non
comporta limitazione dei diritti dei terzi”,
secondo il disposto dall’art. 11, comma 3,
del T.U. n. 380/2001.
Va, peraltro, aggiunto che l'art. 1102 c.c.
consente a ciascun partecipante di servirsi
della cosa comune, purché non ne alteri la
destinazione, cioè non incida sulla sostanza
e struttura del bene, e non impedisca agli
altri partecipanti di farne parimenti uso
secondo il loro diritto. Il partecipante
alla comunione, pertanto, può usare della
cosa comune per un suo fine particolare, con
la conseguente possibilità di ritrarre dal
bene una utilità specifica aggiuntiva
rispetto a quelle che vengono ricavate dagli
altri, con il limite di non alterare la
consistenza e la destinazione di esso o di
non impedire l'altrui pari uso.
Va, pertanto, ribadito che ai fini della
verifica della legittimazione soggettiva a
compiere un intervento edilizio, il
parametro valutativo va ricercato nella
disciplina pubblicistica che regola la
realizzazione di opere sul territorio, senza
che il dissenso di terzi possa incidere
sulla legittimità del provvedimento, che
viene adottato sulla base del titolo formale
di disponibilità del bene immobile
interessato e, in ogni caso, con salvezza
dei diritti dei terzi.
Si palesano fondate anche le doglianze
volte a contestare la sussistenza di una
valida ragione ostativa all’esecuzione dei
lavori progettati, risultando erronea la
circostanza posta a base dell’azione
amministrativa, secondo cui le opere
“incidono sulle parti comuni dell’edificio”.
Invero, come si è già anticipato, la d.i.a.
ha ad oggetto il manufatto di esclusiva
proprietà del ricorrente (prevedendo la
trasformazione di un vano finestra in porta)
e solo di riflesso può rilevare sull’uso del
cortile di proprietà comune (in relazione al
paventato attraversamento con l’autovettura,
poiché la modifica progettata rende il
deposito idoneo alla destinazione a garage),
sicché non può dubitarsi che il richiedente
fosse legittimato a proporre l’intervento,
ai sensi degli artt. 11 e 23 del d.P.R. n. 380
del 2001.
Sul punto va osservato che, secondo il
costante orientamento giurisprudenziale,
grava sull’amministrazione l’obbligo di
verificare l'esistenza, in capo al
richiedente, di un idoneo titolo di
godimento sull'immobile oggetto
dell’intervento, ma non già di risolvere i
conflitti tra le parti private in ordine
all'assetto dominicale dell'area
interessata, non essendo la p.a. tenuta a
svolgere una preliminare indagine
istruttoria che si estenda fino alla ricerca
di eventuali elementi limitativi, preclusivi
o estintivi del titolo di disponibilità
allegato dal richiedente, essendo noto che
il rilascio del titolo edilizio “non
comporta limitazione dei diritti dei terzi”,
secondo il disposto dall’art. 11, comma 3,
del T.U. n. 380/2001 (cfr. Consiglio Stato,
Sezione V, 04.02.2004, n. 368; Sezione VI,
10.2.2010, n.675; TAR Campania, Sezione II, 22.09.2006, n. 8243), TAR
Lombardia, Brescia, Sezione I, 28.05.2007,
n. 460).
Va, peraltro, aggiunto che l'art. 1102 c.c.
consente a ciascun partecipante di servirsi
della cosa comune, purché non ne alteri la
destinazione, cioè non incida sulla sostanza
e struttura del bene, e non impedisca agli
altri partecipanti di farne parimenti uso
secondo il loro diritto. Il partecipante
alla comunione, pertanto, può usare della
cosa comune per un suo fine particolare, con
la conseguente possibilità di ritrarre dal
bene una utilità specifica aggiuntiva
rispetto a quelle che vengono ricavate dagli
altri, con il limite di non alterare la
consistenza e la destinazione di esso o di
non impedire l'altrui pari uso (cfr.
Cassazione civile, Sezione II, 14.07.2011,
n. 15523; 09.02.2011, n. 3188).
Va, pertanto, ribadito che ai fini della
verifica della legittimazione soggettiva a
compiere un intervento edilizio, il
parametro valutativo va ricercato nella
disciplina pubblicistica che regola la
realizzazione di opere sul territorio, senza
che il dissenso di terzi possa incidere
sulla legittimità del provvedimento, che
viene adottato sulla base del titolo formale
di disponibilità del bene immobile
interessato e, in ogni caso, con salvezza
dei diritti dei terzi
(TAR Campania-Napoli, Sez. II,
sentenza 04.07.2012 n. 3205 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il potere di sospensione dei
lavori in corso, attribuito all'autorità
comunale dall'art. 27, comma 3, d.P.R. n. 380
del 2001, è di tipo cautelare, in quanto
destinato ad evitare che la prosecuzione dei
lavori determini un aggravarsi del danno
urbanistico, e alla descritta natura
interinale del potere segue che il
provvedimento emanato nel suo esercizio ha
la caratteristica della provvisorietà, fino
all'adozione dei provvedimenti definitivi;
ne discende che, a seguito dello spirare del
termine di 45 giorni, ove l'amministrazione
non abbia emanato alcun provvedimento
sanzionatorio definitivo, l'ordine in
questione perde ogni efficacia.
- Rilevato che il
provvedimento gravato, emesso ai sensi
dell’art. 27, comma 3, del d.P.R. 380/2001,
impone la (sola) sospensione dei lavori;
-
Ricordato come “...il potere di sospensione
dei lavori in corso, attribuito all'autorità
comunale dall'art. 27, comma 3, d.P.R. n. 380
del 2001, è di tipo cautelare, in quanto
destinato ad evitare che la prosecuzione dei
lavori determini un aggravarsi del danno
urbanistico, e alla descritta natura
interinale del potere segue che il
provvedimento emanato nel suo esercizio ha
la caratteristica della provvisorietà, fino
all'adozione dei provvedimenti definitivi;
ne discende che, a seguito dello spirare del
termine di 45 giorni, ove l'amministrazione
non abbia emanato alcun provvedimento
sanzionatorio definitivo, l'ordine in
questione perde ogni efficacia” (così,
TAR Veneto sez. II, 08.02.2012, n. 198)
(TAR Campania-Napoli, Sez. VI,
sentenza 04.07.2012 n. 3202 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
L’onere
della prova circa l’ultimazione dei lavori
entro la data utile per l’ottenimento del
condono edilizio spetta al richiedente e le
dichiarazioni sostitutive di atto notorio
non sono sufficienti a tal fine –essendo
necessari ulteriori riscontri documentali
anche indiziari– e possono essere smentite
da contrarie circostanze attestanti
l’effettivo stato dei luoghi alla data di
riferimento.
In punto di fatto, va
richiamato il pacifico orientamento
giurisprudenziale in base al quale l’onere
della prova circa l’ultimazione dei lavori
entro la data utile per l’ottenimento del
condono edilizio spetta al richiedente e le
dichiarazioni sostitutive di atto notorio
non sono sufficienti a tal fine –essendo
necessari ulteriori riscontri documentali
anche indiziari– e possono essere smentite
da contrarie circostanze attestanti
l’effettivo stato dei luoghi alla data di
riferimento (cfr. Consiglio di Stato,
Sezione V, 01.12.1999 n. 2034 e 14.03.2007 n. 1249; TAR Campania, Sezione II, 28.04.2008 n. 2591; VII, 24.07.2008
n. 9347; TAR Lazio, Sezione II, 03.03.2006, n. 1645).
Nel caso di specie, l’ulteriore
documentazione esibita dagli instanti (copia
contratto di appalto del 03.06.2002 e
fatture del 2002) non è idonea, con tutta
evidenza, a smentire le contrarie risultanze
raggiunte dal verificatore, che dimostrano
incontrovertibilmente l’assenza del
manufatto alla data di riferimento
(TAR Campania-Napoli, Sez. II,
sentenza 04.07.2012 n. 3200 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
L'acquisizione del parere della
commissione edilizia è necessaria solo
quando il comune è tenuto a procedere a
valutazioni tecniche delle opere progettate,
ma non quando fa applicazione di valutazioni
di natura squisitamente giuridica.
Quanto al
terzo motivo, ove si lamenta la mancata
acquisizione del parere della Commissione
edilizia, osserva il Collegio che
l’acquisizione del parere del suddetto
organo è necessaria solo quando il comune è
tenuto a procedere a valutazioni tecniche
delle opere progettate, ma non quando fa
applicazione di valutazioni di natura
squisitamente giuridica, come nel caso di
specie (cfr., ex plurimis, TAR Campania,
Sezione VI, 17.12.2007 n. 16268;
Sezione II, 12.01.2009 n. 53 e 15.03.2010 n.
1448) (TAR Campania-Napoli, Sez. II,
sentenza 04.07.2012 n. 3200 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
In relazione alla natura
sostanzialmente vincolata dei provvedimenti
sanzionatori in materia edilizia, non si
ritiene necessaria una specifica motivazione
a sostegno della misura adottata.
Invero, nello schema giuridico delineato
dall'art. 31 del D.P.R. n. 380 del 2001 non
vi è spazio per apprezzamenti discrezionali,
atteso che l'esercizio del potere repressivo
dell’abuso edilizio costituisce atto dovuto,
per il quale è in re ipsa l'interesse
pubblico alla sua rimozione.
In definitiva, l’ingiunzione di demolizione
può ritenersi sufficientemente motivata per
effetto della stessa descrizione dell'abuso
accertato, presupposto giustificativo
necessario e sufficiente a fondare la
spedizione della misura sanzionatoria.
Sul primo
punto appare sufficiente richiamare il
consolidato indirizzo giurisprudenziale (in
termini, fra le tante, Consiglio di Stato, V
Sezione, 14.10.1998, n. 1483, TAR
Campania, IV Sezione, 12.06.2001,
n. 2722; II Sezione, 23.06.2006, n. 7154),
condiviso dal Collegio, in base al quale, in
relazione alla natura sostanzialmente
vincolata dei provvedimenti sanzionatori in
materia edilizia, non si ritiene necessaria
una specifica motivazione a sostegno della
misura adottata.
Invero, nello schema
giuridico delineato dall'art. 31 del D.P.R.
n. 380 del 2001 non vi è spazio per
apprezzamenti discrezionali, atteso che
l'esercizio del potere repressivo dell’abuso
edilizio costituisce atto dovuto, per il
quale è in re ipsa l'interesse pubblico alla
sua rimozione (cfr. TAR Campania, Sezione II, 23.04.2007 n.4229; Sezione IV, 24.09.2002, n. 5556; Consiglio Stato,
Sezione IV, 27.04.2004, n. 2529).
In definitiva, l’ingiunzione di demolizione
può ritenersi sufficientemente motivata per
effetto della stessa descrizione dell'abuso
accertato, presupposto giustificativo
necessario e sufficiente a fondare la
spedizione della misura sanzionatoria, che
nella specie è incontestato
(TAR Campania-Napoli, Sez. II,
sentenza 04.07.2012 n. 3200 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La proposizione di una istanza di
accertamento di conformità ai sensi
dell’art. 36 del d.P.R. 380/2001 in tempo
successivo all’emissione dell’ordinanza di
demolizione, incide unicamente (e per un
tempo determinato) sulla possibilità
dell’amministrazione di portare ad
esecuzione la sanzione, ma non si riverbera
sulla legittimità del precedente
provvedimento di demolizione.
---------------
Presupposto per l'adozione dell'ordine di
demolizione di opere abusive è soltanto la
constatata esecuzione di un intervento
edilizio in assenza del prescritto titolo
abilitativo, con la conseguenza che, essendo
tale ordine un atto dovuto, esso è
sufficientemente motivato con l'accertamento
dell'abuso, e non necessita di una
particolare motivazione in ordine
all'interesse pubblico alla rimozione
dell'abuso stesso, che è in re ipsa,
consistendo nel ripristino dell'assetto
urbanistico violato, e alla possibilità di
adottare provvedimenti alternativi.
---------------
E' inammissibile il ricorso laddove si
impugni il verbale di accertamento di
inottemperanza ad una ordinanza di
demolizione, il quale è atto privo di
valenza provvedimentale.
Deve richiamarsi il consolidato
orientamento giurisprudenziale secondo il
quale “... la proposizione di una istanza di
accertamento di conformità ai sensi
dell’art. 36 del d.P.R. 380/2001 in tempo
successivo all’emissione dell’ordinanza di
demolizione, incide unicamente (e per un
tempo determinato) sulla possibilità
dell’amministrazione di portare ad
esecuzione la sanzione, ma non si riverbera
sulla legittimità del precedente
provvedimento di demolizione” (cfr.
Consiglio di Stato sez, IV, 19.02.2008
n. 849).
Va pure respinto il secondo motivo di
doglianza, con il quale il ricorrente ha
lamentato la mancata enucleazione, nella
motivazione dell’atto, dell’interesse
pubblico alla rimozione dell’opera.
Ed, infatti, come costantemente affermato in
giurisprudenza “... presupposto per
l'adozione dell'ordine di demolizione di
opere abusive è soltanto la constatata
esecuzione di un intervento edilizio in
assenza del prescritto titolo abilitativo,
con la conseguenza che, essendo tale ordine
un atto dovuto, esso è sufficientemente
motivato con l'accertamento dell'abuso, e
non necessita di una particolare motivazione
in ordine all'interesse pubblico alla
rimozione dell'abuso stesso, che è in re ipsa, consistendo nel ripristino
dell'assetto urbanistico violato, e alla
possibilità di adottare provvedimenti
alternativi” (ex multis, TAR Campania
Napoli, sez. VII, 08.04.2011, n. 1999).
Il ricorso per motivi aggiunti, come
prospettato, ai sensi dell’art. 73, comma 3,
c.p.a., ai difensori presenti in udienza, è
inammissibile.
L’impugnativa è, infatti, rivolta avverso il
verbale di accertamento di inottemperanza ad
una ordinanza di demolizione, atto privo di
valenza provvedimentale (ex multis, TAR
Campania, Napoli, sez. IV, 17.01.2011,
n. 215 e sez. II, 27.08.2010, n. 17245, TAR
Lombardia, Brescia, 14.05.2010, n. 1730
(TAR Campania-Napoli, Sez. VI,
sentenza 04.07.2012 n. 3199 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA-PRIVATA:
Qualora il termine previsto
dall'art. 159, comma 2, Codice dei beni
culturali sia interrotto per richiesta
istruttoria, l'originario termine di 60
giorni deve essere prolungato di ulteriori
30 giorni, sì da essere computato
complessivamente con decorrenza dalla
ricezione dell'autorizzazione senza però
tener conto del periodo di tempo
intercorrente tra la richiesta istruttoria e
la data di ricevimento della documentazione
integrativa.
Con il decreto impugnato la Soprintendenza
per i beni e le attività culturali delle
province di Caserta e Benevento, in data
16.06.2010, ha annullato, ai sensi degli
artt. 149 e 159 del d.lgs. n. 42/2004,il
provvedimento n. 34 del 23.11.2009, con cui
il Comune di Melizzano rilasciava parere
favorevole in ordine alla domanda inoltrata
il 21.07.2009 dal ricorrente Lancellotti
Duilio per l’approvazione di un progetto di
realizzazione di una piscina pertinenziale
ad un fabbricato rurale realizzato con
concessione edilizia n. 04/2000.
Il decreto gravato risulta evidentemente
viziato in quanto adottato, come
fondatamente eccepito in ricorso, quando era
oramai definitivamente spirato il termine
perentorio di sessanta giorni assegnato
ex lege alla Soprintendenza per
l’esercizio del potere di annullamento.
A ben vedere, come evincesi dal contenuto
del provvedimento impugnato, la
Sovrintendenza, prima di adottare il decreto
gravato, con nota prot. 24680 del 15.12.2009
ha formulato all’amministrazione comunale di
Melizzano una richiesta istruttoria di
chiarimenti ed integrazione documentale
giustificata dalla mancanza, negli atti
presentati, di una c.e. in sanatoria n.
32/2001 non presente agli atti dell’Ufficio.
Come noto, ai sensi del comma 2 dell’art.
159 d.lgs. n. 42/2004, in caso di richiesta
di integrazione documentale o di
accertamenti, il termine è sospeso per una
sola volta fino alla data di ricezione della
documentazione richiesta ovvero fino alla
data di effettuazione degli accertamenti, e
si applicano le disposizioni di cui
all’articolo 6, comma 6-bis, del d.m. n. 495
del 1994, secondo cui, in tal caso, il
termine per la conclusione del procedimento
è interrotto, per una sola volta e per un
periodo non superiore a trenta giorni, dalla
data della comunicazione, e riprende a
decorrere dal ricevimento della
documentazione o dall'acquisizione delle
risultanze degli accertamenti tecnici (TAR Campania-Napoli, Sez. VIII,
sentenza 04.07.2012 n. 3190 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
La direttiva del Consiglio 21.12.1989,
89/665/CEE, che coordina le disposizioni
legislative, regolamentari e amministrative
relative all’applicazione delle procedure di
ricorso in materia di aggiudicazione degli
appalti pubblici di forniture e di lavori,
come modificata dalla direttiva del
Consiglio 18.06.1992, 92/50/CEE, deve
essere interpretata nel senso che essa osta
a una normativa nazionale, la quale
subordini il diritto a ottenere un
risarcimento a motivo di una violazione
della disciplina sugli appalti pubblici da
parte di un’amministrazione aggiudicatrice
al carattere colpevole di tale violazione,
anche nel caso in cui l’applicazione della
normativa in questione sia incentrata su una
presunzione di colpevolezza in capo
all’amministrazione suddetta, nonché
sull’impossibilità per quest’ultima di far
valere la mancanza di proprie capacità
individuali e, dunque, un difetto di
imputabilità soggettiva della violazione
lamentata.
In questo senso, la Corte di
Giustizia ha evidenziato, da un lato, come
il tenore letterale degli artt. 1 n. 1, e 2
n.n. 1, 5 e 6, nonché del sesto
“considerando” della direttiva 89/665, non
indichino in alcun modo che la violazione
delle norme sugli appalti pubblici atta a
far sorgere un diritto al risarcimento a
favore del soggetto leso debba risultare
connessa ad una colpa, comprovata o
presunta, dell'amministrazione
aggiudicatrice, oppure non ricadere sotto
alcuna causa di esonero di responsabilità;
e, dall’altro, come l'art. 2 n. 6, secondo
comma, della direttiva 89/665 riconosca agli
Stati membri la facoltà di prevedere che,
dopo la conclusione del contratto successiva
all'aggiudicazione dell'appalto, i poteri
dell'organo responsabile delle procedure di
ricorso siano limitati alla concessione di
un risarcimento.
In tale contesto, il rimedio risarcitorio
può dunque costituire, ad avviso della
Corte, un'alternativa procedurale
compatibile con il principio di effettività,
sotteso all'obiettivo di efficacia dei
ricorsi perseguito dalla citata direttiva,
alla sola condizione che la possibilità di
riconoscere un risarcimento in caso di
violazione delle norme sugli appalti
pubblici non sia subordinata alla
constatazione dell'esistenza di un
comportamento colpevole tenuto
dall'amministrazione aggiudicatrice.
---------------
Venendo al piano del danno risarcibile in
concreto, esso si identifica nella specie
con il ristoro del c.d. interesse positivo
ossia del pregiudizio subito in concreto per
la mancata stipula del contratto.
Il danno emergente va quindi rapportato alla
perdita di chances connessa al
depauperamento delle capacità tecniche ed
economiche dell’impresa per effetto della
mancata aggiudicazione della gara. Tale voce
di danno, ad avviso del Collegio, va
liquidato in via equitativa nella misura del
1,5% del prezzo offerto dalla ricorrente,
considerata anche l’insufficiente
allegazione e prova, da parte di
quest’ultima, delle singole voci componenti
il predetto danno.
Quanto all’utile ritraibile dall’esecuzione
dell’appalto, come noto, a partire dal 2008
la giurisprudenza del Consiglio di Stato si
è orientata nel senso che la quantificazione
forfettaria nella misura del 10%
dell’importo offerto non sia accoglibile,
comportando un indebito arricchimento della
impresa ricorrente. Infatti, l'utile che le
imprese traggono dall'aggiudicazione
dell'appalto è mediamente di molto inferiore
a tale percentuale. Il criterio del dieci
per cento è stato desunto da alcune
disposizioni in tema di lavori pubblici, che
riguardano però altri istituti, come
l'indennizzo dell'appaltatore nel caso di
recesso dell'amministrazione committente o
la determinazione del prezzo a base d'asta.
Tale riferimento, pur evocato come criterio
residuale in una logica equitativa, conduce
di regola al risultato che il risarcimento
dei danni è per l'imprenditore ben più
favorevole dell'impiego del capitale.
Pertanto, ritiene il Collegio che, avuto
riguardo alla media dell’utile
ordinariamente percepito dalle imprese
aggiudicatarie, occorra ridurre la
percentuale predetta in via equitativa del
50%, per risultare così pari al 5%
dell’importo offerto in gara.
Sulla somma calcolata in base a quanto
innanzi compete, invero, la rivalutazione
monetaria secondo gli indici Istat,
trattandosi di debito di valore, con
decorrenza dalla stipula del contratto con
la ditta aggiudicataria, da cui in concreto
è iniziato a scaturire il pregiudizio di cui
si è detto, e fino alla data di deposito
della presente decisione (momento in cui il
debito di valore si trasforma in debito di
valuta per effetto della liquidazione
giudiziale). Sulla somma così rivalutata non
devono aggiungersi gli interessi nella
misura legale con pari termini iniziale e
finale, poiché altrimenti si produrrebbe
l'effetto di far conseguire al creditore una
ingiusta locupletazione del danno ossia più
di quanto lo stesso avrebbe ottenuto nel
caso di assegnazione dell'appalto.
In proposito, il
Collegio non ignora che, sin dall’arresto
giurisprudenziale delineato da Cons. Stato,
ad. plen., 03.12.2008, n. 13,
l’imputazione della responsabilità nei
confronti della pubblica amministrazione è
restata disancorata dal dato obiettivo
dell’illegittimità dell’azione
amministrativa, onde evitare una presunzione
di colpa, ma è stato sempre subordinato
all’accertamento in concreto della colpa,
configurabile allorquando l’adozione
dell’atto illegittimo sia avvenuta in
violazione delle regole proprie dell’azione
amministrativa, desumibili sia dai principi
costituzionali in punto di imparzialità e
buon andamento, sia dalle norme di legge
ordinaria in punto di celerità, efficienza,
efficacia e trasparenza, nonché dai principi
generali dell’ordinamento in punto di
ragionevolezza, proporzionalità e
adeguatezza.
Sul punto, occorre prendere atto che la
giurisprudenza europea è di recente
pervenuta all’affermazione secondo cui la
direttiva del Consiglio 21.12.1989,
89/665/CEE, che coordina le disposizioni
legislative, regolamentari e amministrative
relative all’applicazione delle procedure di
ricorso in materia di aggiudicazione degli
appalti pubblici di forniture e di lavori,
come modificata dalla direttiva del
Consiglio 18.06.1992, 92/50/CEE, deve
essere interpretata nel senso che essa osta
a una normativa nazionale, la quale
subordini il diritto a ottenere un
risarcimento a motivo di una violazione
della disciplina sugli appalti pubblici da
parte di un’amministrazione aggiudicatrice
al carattere colpevole di tale violazione,
anche nel caso in cui l’applicazione della
normativa in questione sia incentrata su una
presunzione di colpevolezza in capo
all’amministrazione suddetta, nonché
sull’impossibilità per quest’ultima di far
valere la mancanza di proprie capacità
individuali e, dunque, un difetto di
imputabilità soggettiva della violazione
lamentata.
In questo senso, la Corte di
Giustizia ha evidenziato, da un lato, come
il tenore letterale degli artt. 1 n. 1, e 2
n.n. 1, 5 e 6, nonché del sesto
“considerando” della direttiva 89/665, non
indichino in alcun modo che la violazione
delle norme sugli appalti pubblici atta a
far sorgere un diritto al risarcimento a
favore del soggetto leso debba risultare
connessa ad una colpa, comprovata o
presunta, dell'amministrazione
aggiudicatrice, oppure non ricadere sotto
alcuna causa di esonero di responsabilità;
e, dall’altro, come l'art. 2 n. 6, secondo
comma, della direttiva 89/665 riconosca agli
Stati membri la facoltà di prevedere che,
dopo la conclusione del contratto successiva
all'aggiudicazione dell'appalto, i poteri
dell'organo responsabile delle procedure di
ricorso siano limitati alla concessione di
un risarcimento.
In tale contesto, il
rimedio risarcitorio può dunque costituire,
ad avviso della Corte, un'alternativa
procedurale compatibile con il principio di
effettività, sotteso all'obiettivo di
efficacia dei ricorsi perseguito dalla
citata direttiva, alla sola condizione che
la possibilità di riconoscere un
risarcimento in caso di violazione delle
norme sugli appalti pubblici non sia
subordinata alla constatazione
dell'esistenza di un comportamento colpevole
tenuto dall'amministrazione aggiudicatrice
(cfr. Corte di Giustizia CE, sez. III, 30.09.2010, n. 314).
La richiamata giurisprudenza comunitaria
sembra produrre nel nostro ordinamento
l’effetto, sia pure circoscritto al settore
degli appalti pubblici, di svincolare la
responsabilità dell’amministrazione
dall’accertamento della colpa, quand’anche
ricavata presuntivamente dalla illegittimità
degli atti posti in essere dalla P.A.. Ed
infatti la nuova regola della responsabilità
oggettiva in materia di appalti pubblici
deve trovare applicazione puntuale e
rigorosa per il solo ambito indicato dal
giudice comunitario, ossia per gli appalti
in cui la colpa sia insita nella gravità
della violazione della normativa comunitaria
di rango primario, configurandosi una forma
di responsabilità oggettiva aggravata in
capo al committente pubblico per violazione
di una normativa di rango comunitario a
tutela della libera concorrenza e del
mercato e quindi una sanzione per un
comportamento anticomunitario.
E tale ambito non può che coincidere con le
fattispecie in cui la misura risarcitoria si
ponga in termini di alternatività rispetto
alla tutela in forma specifica, dal momento
che, sotto il profilo dell’effettività della
tutela e della parità di trattamento di
situazioni identiche, la misura risarcitoria
non può restare subordinata all’accertamento
di condizioni ulteriori e più gravose
rispetto a quelle che consentono al giudice
di pronunciare la reintegrazione in forma
specifica. Ciò in quanto il risarcimento per
equivalente si pone su un piano di
sussidiarietà e di alternatività rispetto
alla reintegrazione in forma specifica, nel
senso che il primo è destinato ad operare
qualora il giudice non dichiari
l’inefficacia del contratto. Sicché in tal
caso al contraente che, per fatto imputabile
ad una violazione della normativa
comunitaria commessa dall’amministrazione,
resti privato della facoltà di subentrare
nel rapporto contrattuale, deve essere
assicurata una tutela in tutto equivalente a
quella che avrebbe conseguito nel caso di
stipula del contratto.
Ora, nella fattispecie in esame, viene in
rilievo una violazione della normativa di
derivazione comunitaria relativa ai
requisiti generali di cui all’art. 38 d.lgs.
n.163/2006 che trova applicazione nei
confronti di tutti gli appalti, ivi inclusi
quelli che si collochino al di sotto della
soglia di rilevanza comunitaria.
Quanto al nesso di causalità è evidente che
la mancata aggiudicazione della gara in
favore della ricorrente deve ritenersi
imputabile in via esclusiva all’adozione di
un illegittimo atto di autoannullamento
dell’aggiudicazione da parte della stazione
appaltante, ed alla successiva stipula del
contratto in favore della seconda graduata.
Pertanto l’impresa ricorrente, pur essendosi
trovata nelle condizioni procedimentali per
poter ottenere l’aggiudicazione dei lavori,
ed avendo azionato tutti i rimedi che
l’ordinamento le riconosce per rimuovere
l’illegittimità del provvedimento di
autotutela adottato a suo carico, si è
trovata a perdere la possibilità di
conseguire la stipula del contratto o di
subentrare nel contratto già stipulato con
la controinteressata per fatto imputabile al
comportamento della stazione appaltante.
Venendo, quindi, al piano del danno
risarcibile in concreto, esso si identifica
nella specie con il ristoro del c.d.
interesse positivo ossia del pregiudizio
subito in concreto per la mancata stipula
del contratto.
Il danno emergente va quindi rapportato alla
perdita di chances connessa al
depauperamento delle capacità tecniche ed
economiche dell’impresa per effetto della
mancata aggiudicazione della gara. Tale voce
di danno, ad avviso del Collegio, va
liquidato in via equitativa nella misura del
1,5% del prezzo offerto dalla ricorrente,
considerata anche l’insufficiente
allegazione e prova, da parte di
quest’ultima, delle singole voci componenti
il predetto danno (cfr. Cons. Stato, sez. IV,
19.06.2006, n. 3601; sez. V, 06.12.2006, n. 7194).
Quanto all’utile ritraibile
dall’esecuzione dell’appalto, come noto, a
partire dal 2008 la giurisprudenza del
Consiglio di Stato si è orientata nel senso
che la quantificazione forfettaria nella
misura del 10% dell’importo offerto non sia accoglibile, comportando un indebito
arricchimento della impresa ricorrente.
Infatti, l'utile che le imprese traggono
dall'aggiudicazione dell'appalto è
mediamente di molto inferiore a tale
percentuale. Il criterio del dieci per cento
è stato desunto da alcune disposizioni in
tema di lavori pubblici, che riguardano però
altri istituti, come l'indennizzo
dell'appaltatore nel caso di recesso
dell'amministrazione committente o la
determinazione del prezzo a base d'asta.
Tale riferimento, pur evocato come criterio
residuale in una logica equitativa, conduce
di regola al risultato che il risarcimento
dei danni è per l'imprenditore ben più
favorevole dell'impiego del capitale.
Pertanto, ritiene il Collegio che, avuto
riguardo alla media dell’utile
ordinariamente percepito dalle imprese
aggiudicatarie, occorra ridurre la
percentuale predetta in via equitativa del
50%, per risultare così pari al 5%
dell’importo offerto in gara (cfr. Cons.
Stato, sez. V, 24.10.2002, n. 5860;
sez. IV, 11.10.2006, n. 6059; 31.10.2006, n. 6456; sez. VI,
09.11.2006, n. 6608; 09.03.2007, n. 1114; sez. IV,
07.09.2007, n. 4722; sez. V, 14.04.2008, n. 1666; sez. VI,
09.06.2008, n. 2751; TAR Emilia Romagna, Parma,
sez. I, 06.02.2008, n. 90; TAR
Campania, Salerno, sez. I, 14.02.2008,
n. 203; TAR Lazio, Latina, sez. I, 10.04.2008, n. 355; TAR Campania, Napoli, sez. I,
03.07.2008, n. 6820; TAR Sardegna, sez.
I, 12.08.2008, n. 1721).
In conclusione, la domanda di
risarcimento per equivalente monetario
avanzata dalla parte ricorrente deve essere
accolta nella misura del complessivo importo
di euro 21,922,68
(ventunomilanovecentoventidue/68) pari alla
somma tra il mancato utile percepito di
importo pari ad euro 16.863,60 (sedicimilaottocentosessantatre/60)
corrispondente al 5% del prezzo offerto in
gara di euro 337.272.03 (trecentotrentasettemiladuecentosettantadue/03),
e la perdita di chance di guadagno
quantificata nell’importo di euro 5.059,08 (cinquemilacinquntanove/08)
pari all’1,5% della stessa offerta.
Sulla somma calcolata in base a quanto
innanzi compete, invero, la rivalutazione
monetaria secondo gli indici Istat,
trattandosi di debito di valore, con
decorrenza dalla stipula del contratto con
la ditta aggiudicataria, da cui in concreto
è iniziato a scaturire il pregiudizio di cui
si è detto, e fino alla data di deposito
della presente decisione (momento in cui il
debito di valore si trasforma in debito di
valuta per effetto della liquidazione
giudiziale). Sulla somma così rivalutata non
devono aggiungersi gli interessi nella
misura legale con pari termini iniziale e
finale, poiché altrimenti si produrrebbe
l'effetto di far conseguire al creditore una
ingiusta locupletazione del danno ossia più
di quanto lo stesso avrebbe ottenuto nel
caso di assegnazione dell'appalto (cfr.
Cons. Stato sez. V 30.07.2008 n.3806; Cons.
Giust. Reg. Sicilia, 22.04.2005 n. 276,
nonché Cons. St., Sez. IV, 28.04.2006 n.
2408, richiamata dall'appellante, e da
ultimo 22.03.2007 n. 1377). Vanno invece
corrisposti gli interessi nella misura
legale solo a decorrere dalla data di
deposito della presente decisione fino
all'effettivo soddisfo (TAR Campania-Napoli, Sez. VIII,
sentenza 04.07.2012 n. 3188 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
In presenza dell'esercizio della
facoltà straordinaria prevista dalla legge
il provvedimento repressivo (e quindi quello
di accertamento della non conformità) “perde
efficacia in quanto deve essere sostituito o
dal permesso di costruire in sanatoria o da
un nuovo procedimento sanzionatorio, essendo
l’Amministrazione tenuta, in quest'ultimo
caso, in base a quanto previsto dall'art. 40,
comma 1, l. n. 47 del 1985, al completo
riesame della fattispecie”, con conseguente
“traslazione e differimento dell'interesse
ad impugnare verso il futuro provvedimento
che, eventualmente, respinga la domanda
medesima, disponendo nuovamente la
demolizione dell'opera edilizia ritenuta
abusiva”.
Con il ricorso n. 9195/1999,
ritualmente notificato e depositato, il
signor DI MEGLIO Giuseppe impugna il
provvedimento di demolizione individuato in
epigrafe avente ad oggetto la demolizione
delle opere eseguite in assenza di permesso
di costruire alla via Starza n. 7
identificato al catasto al foglio 16 p.lla
n. 599 area 0,85 nel Comune di Barano
d’Ischia.
Il Comune intimato non si è costituito in
giudizio.
Alla pubblica udienza del 06.06.2012 la
causa è stata trattenuta in decisione.
Ciò premesso, il ricorso è improcedibile.
Invero, per giurisprudenza risalente e
consolidata, a tale definizione in rito
della causa deve pervenirsi ove, in sede di
decisione di un ricorso proposto avverso
ordini di demolizione risulti
successivamente presentata domanda per
conseguire il condono edilizio. Ciò in
quanto in presenza dell'esercizio della
facoltà straordinaria prevista dalla legge
il provvedimento repressivo (e quindi quello
di accertamento della non conformità) “perde
efficacia in quanto deve essere sostituito o
dal permesso di costruire in sanatoria o da
un nuovo procedimento sanzionatorio, essendo
l’Amministrazione tenuta, in quest'ultimo
caso, in base a quanto previsto dall'art. 40,
comma 1, l. n. 47 del 1985, al completo
riesame della fattispecie”, con conseguente
“traslazione e differimento dell'interesse
ad impugnare verso il futuro provvedimento
che, eventualmente, respinga la domanda
medesima, disponendo nuovamente la
demolizione dell'opera edilizia ritenuta
abusiva” (si vedano, fra le molte, Cons.
Stato, sezione V, 06.07.2007 n. 3855,
Cons. Stato, sezione sesta, 07.05.2009,
n. 2833; TAR Campania, Napoli, questa
sesta sezione, sentenze n. 3933 del 20.07.2011, n. 1645 del 23.03.2011; n.
15979 del 23.06.2010; 25.02.2010,
n. 1158 e 09.11.2009, n. 7051; sezione
settima, 09.02.2009, n. 645; TAR
Lazio, Roma, sezione prima, 09.02.2010,
n. 1780; TAR Emilia Romagna, Bologna,
sezione seconda, 12.01.2010, n. 20)
(TAR Campania-Napoli, Sez. VI,
sentenza 04.07.2012 n. 3183 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
L’ordinanza in questione (di
demolizione) costituisce un provvedimento
dovuto e rigorosamente vincolato in quanto
volto a sanzionare opere costruite in zona
vincolata senza il prescritto titolo
edilizio, con riferimento al quale non sono
richiesti apporti partecipativi del
destinatario, tanto più che l’interessato
non ha rappresentato neppure in sede di
ricorso, argomentazioni idonee a determinare
un diverso esito del procedimento.
---------------
La giurisprudenza ha affermato da tempo come
il contrasto con la disciplina vincolistica
che legittima l’esercizio del potere di cui
all’art. 27 d.P.R. 380/2001 debba essere
riferito all’area di realizzazione
dell’intervento abusivo e “non in maniera
specifica al singolo immobile”; in tal senso
vi sono numerose pronunce di questo
Tribunale, ai cui contenuti argomentativi si
rinvia; infatti la distinzione fra
“immobile” ed “area” è inconsistente, in
quanto il carattere vincolato di un
manufatto si rapporta per insuperabile
necessità logico–giuridica alla vincolatezza
del sito ove è stato edificato, sicché,
dettando la norma generale ex art. 27 d.P.R
327/2001, il legislatore ha disciplinato
anche l’ipotesi di tutte le costruzioni
effettuate in siti vincolati e come tali
riflettenti la disciplina vincolistica della
zona su cui insistono.
In particolare, non merita
positiva delibazione la prima doglianza, con
la quale viene sollevata l’illegittimità del
provvedimento per la mancata comunicazione
di avvio del procedimento ai sensi dell’art.
7 della legge 241/1990, giacché l’ordinanza
in questione (di demolizione) costituisce un
provvedimento dovuto e rigorosamente
vincolato in quanto volto a sanzionare opere
costruite in zona vincolata senza il
prescritto titolo edilizio, con riferimento
al quale non sono richiesti apporti
partecipativi del destinatario, tanto più
che l’interessato non ha rappresentato
neppure in sede di ricorso, argomentazioni
idonee a determinare un diverso esito del
procedimento (si veda, tra le molte, TAR
Liguria, Genova, sez. I, 08.06.2009 n.
11289).
---------------
E’
destituito di fondamento il terzo mezzo di
ricorso, ove si afferma che, ai fini
dell’applicazione dell’art. 27 d.P.R.
380/2001, non è sufficiente che l’area sia
oggetto di un vincolo ai sensi del codice
dei beni culturali, ma occorre che tale
vincolo preveda in concreto l’inedificabilità
del suolo.
La giurisprudenza ha fatto da tempo
giustizia di tale assunto, affermando come
il contrasto con la disciplina vincolistica
che legittima l’esercizio del potere di cui
all’art. 27 d.P.R. 380/2001 debba essere
riferito all’area di realizzazione
dell’intervento abusivo e “non in maniera
specifica al singolo immobile”; in tal senso
vi sono numerose pronunce di questo
Tribunale (TAR Campania, Napoli, questa
sesta sezione, sentenza n. 359 del 27.01.2010 cit., n. 844 del 10.02.2010; n. 884 del 24.01.2006; sez.
settima, 03.11.2010, n. 22299 e n. 9355
del 24.07.2008; Salerno, sez. I,
14.01.2011, n. 26), ai cui contenuti
argomentativi si rinvia; infatti la
distinzione fra “immobile” ed “area” è
inconsistente, in quanto il carattere
vincolato di un manufatto si rapporta per
insuperabile necessità logico–giuridica alla vincolatezza del sito ove è stato edificato,
sicché, dettando la norma generale ex art.
27 d.P.R 327/2001, il legislatore ha
disciplinato anche l’ipotesi di tutte le
costruzioni effettuate in siti vincolati e
come tali riflettenti la disciplina
vincolistica della zona su cui insistono.
L’ordinanza impugnata ha, in effetti,
motivato in ordine alla non conformità del
manufatto alle norme urbanistiche e
paesistiche vigenti in considerazione del
vincolo ambientale gravante sull’area ai
sensi del D.M. del 1957
(TAR Campania-Napoli, Sez. VI,
sentenza 04.07.2012 n. 3182 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Presupposto per l'adozione
dell'ordine di demolizione di opere abusive
è soltanto la constatata esecuzione di un
intervento edilizio in assenza del
prescritto titolo abilitativo, con la
conseguenza che, essendo tale ordine un atto
dovuto, esso è sufficientemente motivato con
l'accertamento dell'abuso, e non necessita
di una particolare motivazione in ordine
all'interesse pubblico alla rimozione
dell'abuso stesso, che è in re ipsa, consistendo nel ripristino
dell'assetto urbanistico violato, e alla
possibilità di adottare provvedimenti
alternativi.
Va pure respinto il terzo motivo di
doglianza, con il quale il ricorrente ha
lamentato la mancata enucleazione, nella
motivazione dell’atto, dell’interesse
pubblico alla rimozione dell’opera.
Infatti, come costantemente affermato in
giurisprudenza “... presupposto per
l'adozione dell'ordine di demolizione di
opere abusive è soltanto la constatata
esecuzione di un intervento edilizio in
assenza del prescritto titolo abilitativo,
con la conseguenza che, essendo tale ordine
un atto dovuto, esso è sufficientemente
motivato con l'accertamento dell'abuso, e
non necessita di una particolare motivazione
in ordine all'interesse pubblico alla
rimozione dell'abuso stesso, che è in re ipsa, consistendo nel ripristino
dell'assetto urbanistico violato, e alla
possibilità di adottare provvedimenti
alternativi” (tra le molte, si veda TAR
Campania Napoli, sez. VII, 08.04.2011, n.
1999) (TAR Campania-Napoli, Sez. VI,
sentenza 04.07.2012 n. 3180 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
L'ordinanza di demolizione è
illegittima laddove preliminarmente alla
stessa sia stata presenta domanda di condono
edilizio, atteso che l'Amministrazione
comunale deve, prima di ordinare la
demolizione delle opere eseguite, esaminare
detta domanda.
Infatti, ai sensi degli artt. 38 e 44 della
legge n. 47/1985, contenuti nel capo IV
della legge medesima, in pendenza della
domanda di sanatoria, è preclusa l'adozione
di provvedimenti repressivi dell'abuso
edilizio, atteso che nell'ipotesi di diniego
della domanda di sanatoria,
l'Amministrazione dovrà adottare nuova
ingiunzione di demolizione, con fissazione
di nuovi termini per la spontanea
esecuzione.
Il ricorso è fondato e va
accolto.
Risulta dagli atti (e dallo stesso
provvedimento impugnato) che, in data
antecedente l'adozione del provvedimento
impugnato, era stata presentata, in
relazione al manufatto in questione, domanda
di condono ai sensi della l. n. 724/1994
(cfr. copia domanda di condono presentata in
data 31.03.1995, prot. 4114, in atti).
Su tale domanda l’ente locale non si è
pronunciato, non essendo a tal fine
sufficiente il mero riferimento, nella
motivazione dell’atto gravato, alla
incompletezza documentale dell’istanza,
contenuta nella sola motivazione dell’atto,
neppure trasfusa in statuizioni contenute
nel dispositivo.
Orbene, per costante giurisprudenza, anche
di questo Tribunale, l'ordinanza di
demolizione è in tal caso illegittima,
atteso che l'Amministrazione comunale deve,
prima di ordinare la demolizione delle opere
eseguite, esaminare detta domanda.
Infatti, ai sensi degli artt. 38 e 44 della
legge n. 47/1985, contenuti nel capo IV della
legge medesima, in pendenza della domanda di
sanatoria, è preclusa l'adozione di
provvedimenti repressivi dell'abuso
edilizio, atteso che nell'ipotesi di diniego
della domanda di sanatoria,
l'Amministrazione dovrà adottare nuova
ingiunzione di demolizione, con fissazione
di nuovi termini per la spontanea esecuzione
(ex multis, TAR Campania Napoli, sez. VII,
21.03.2008, n. 1472).
Il ricorso deve essere dunque accolto con
riferimento all’assorbente censura di
violazione degli artt. 38 e 44 della legge
n. 47/1985, articolata con il primo motivo di
doglianza, e, per l’effetto, l’impugnata
ordinanza deve essere annullata.
Spetta all’amministrazione definire quanto
prima la predetta domanda di condono,
adottando i provvedimenti consequenziali
(TAR Campania-Napoli, Sez. VI,
sentenza 04.07.2012 n. 3175 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La presentazione della domanda di
condono ai sensi della legge 326/2003,
successivamente alla impugnazione
dell'ordinanza di demolizione, produce
l'effetto di rendere improcedibile, per
sopravvenuta carenza di interesse,
l'impugnazione stessa.
Il ricorso è improcedibile.
Osserva il Collegio che, con nota depositata
il 03.02.2010, i ricorrenti hanno
evidenziato di aver presentato per le opere
oggetto dell’ordinanza gravata, in data
24.03.2004, domanda di condono ai sensi
della legge 326/2003 (prot. n. 7252, in
atti) e che la giurisprudenza amministrativa
ha già avuto modo di rilevare come la
presentazione di tali domande,
successivamente alla impugnazione
dell'ordinanza di demolizione, produca
l'effetto di rendere improcedibile, per
sopravvenuta carenza di interesse,
l'impugnazione stessa (Cfr. ex multis,
TAR Campania, Sez. VI, 11.07.2007, n.
7129 sez. I, 18.05.2006 n. 4743).
Ed invero, il riesame dell’abusività
dell'opera al fine di verificarne la
eventuale sanabilità -provocato
dall'istanza degli interessati- comporta la
necessaria formazione di un nuovo
provvedimento, esplicito (di accoglimento o
di rigetto), che vale, comunque, a superare
il provvedimento oggetto del presente
ricorso.
Applicando siffatti criteri alla
controversia in esame, nella quale la
documentata presentazione delle istanze di
condono ai sensi della legge 724/1994 è
successiva all’emissione dell’ordinanza di
demolizione, deve dichiararsi
l'improcedibilità del gravame, stante la
sopravvenuta carenza di interesse al
conseguimento di una qualche decisione
avverso l’atto impugnato, destinato comunque
ad essere sostituito dalle determinazioni
esplicite od implicite adottate sulla
proposta istanza di condono
(TAR Campania-Napoli, Sez. VI,
sentenza 04.07.2012 n. 3172 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI -
EDILIZIA PRIVATA:
Presupposto per l'adozione
dell'ordine di demolizione di opere abusive
è soltanto la constatata esecuzione di un
intervento edilizio in assenza del
prescritto titolo abilitativo, con la
conseguenza che, essendo tale ordine un atto
dovuto, esso è sufficientemente motivato con
l'accertamento dell'abuso, e non necessita
di una particolare motivazione in ordine
all'interesse pubblico alla rimozione
dell'abuso stesso, che è in re ipsa,
consistendo nel ripristino dell'assetto
urbanistico violato, e alla possibilità di
adottare provvedimenti alternativi.
---------------
La mancata apposizione in calce al
provvedimento amministrativo della formula
recante il termine e l'Autorità presso cui
impugnarlo, sancita dall'art. 3, comma 4, l.
07.08.1990 n. 241, può implicare, in caso di
eventuale ritardo nell'impugnazione, il
riconoscimento dell'errore scusabile e dei
suoi effetti, ma solo quando ne sussistano i
presupposti, vale a dire una situazione
normativa obiettivamente inconoscibile o
confusa, uno stato di obiettiva incertezza
per le oggettive difficoltà di
interpretazione di una norma, per la
particolare complessità della fattispecie
concreta, per i contrasti giurisprudenziali
esistenti o per il comportamento
dell'Amministrazione idoneo, perché
equivoco, ad ingenerare convincimenti
inesatti.
---------------
L’art. 27 del dpr 380/2001 è applicabile sia
ai casi in cui il dirigente o il
responsabile accerti “l'inizio”, che
all’ipotesi in cui venga accertata
“l'esecuzione di opere eseguite senza
titolo” in area vincolata e che la norma
medesima prevede la sola sanzione
ripristinatoria, attenendo la differente
disposizione invocata dalla ricorrente al
solo profilo paesaggistico e non anche a
quello edilizio.
Il ricorso è
infondato e va respinto.
Con il provvedimento gravato il comune di
Ischia ha ingiunto al ricorrente di demolire
una tettoia di 15,00 mq realizzata,
attaccata ad un manufatto in ferro
preesistente, in assenza di titolo
abilitativo su area dichiarata di notevole
interesse pubblico con d.m. 15.12.1959.
La ricorrente non contesta le suddette
circostanza né fornisce indicazioni relative
all’eventuale esistenza di titoli
abilitativi.
La conseguente abusività del manufatto, di
rilevanti dimensioni e tale da modificare
sensibilmente il prospetto e la sagoma del
manufatto, rendeva obbligatoria l’adozione
della sanzione ripristinatoria da parte
dell’ente locale (sulla necessità del titolo
abilitativo per la realizzazione di tettoie
idonee ad incidere sullo stato dei luoghi,
cfr, ex multis, Consiglio Stato sez. IV, 29.04.2011, n. 2549)
Considerata l’assenza di argomentazioni e/o
di prove relative alla legittimità della
tettoia, va in primo luogo respinta la
censura di difetto di istruttoria e di
motivazione, nonché di mancata indicazione,
nell’atto, del termine e autorità cui
ricorrere, articolate con il primo e con il
quarto motivo di doglianza.
Sotto il primo profilo occorre considerare
come “... presupposto per l'adozione
dell'ordine di demolizione di opere abusive
è soltanto la constatata esecuzione di un
intervento edilizio in assenza del
prescritto titolo abilitativo, con la
conseguenza che, essendo tale ordine un atto
dovuto, esso è sufficientemente motivato con
l'accertamento dell'abuso, e non necessita
di una particolare motivazione in ordine
all'interesse pubblico alla rimozione
dell'abuso stesso, che è in re ipsa,
consistendo nel ripristino dell'assetto
urbanistico violato, e alla possibilità di
adottare provvedimenti alternativi” (ex multis, TAR Campania Napoli, sez. VII, 08.04.2011, n. 1999).
Quanto al secondo aspetto è sufficiente
richiamare il consolidato orientamento
giurisprudenziale, secondo il quale “... la
mancata apposizione in calce al
provvedimento amministrativo della formula
recante il termine e l'Autorità presso cui
impugnarlo, sancita dall'art. 3, comma 4, l.
07.08.1990 n. 241, può implicare, in caso
di eventuale ritardo nell'impugnazione, il
riconoscimento dell'errore scusabile e dei
suoi effetti, ma solo quando ne sussistano i
presupposti, vale a dire una situazione
normativa obiettivamente inconoscibile o
confusa, uno stato di obiettiva incertezza
per le oggettive difficoltà di
interpretazione di una norma, per la
particolare complessità della fattispecie
concreta, per i contrasti giurisprudenziali
esistenti o per il comportamento
dell'Amministrazione idoneo, perché
equivoco, ad ingenerare convincimenti
inesatti” (cosi, da ultimo, TAR Umbria,
sez. I, 20.04.2012, n. 125)
La natura vincolata dell’atto consente di
respingere anche il secondo motivo di
doglianza, con il quale la ricorrente ha
censurato la mancata comunicazione
dell’avvio del procedimento, tanto più che
lo stesso non ha rappresentato, nemmeno in
giudizio, l’esistenza di circostanze idonee
a determinare un diverso esito
provvedimentale.
Va infine respinto il terzo motivo di
doglianza, con il quale la ricorrente ha
lamentato violazione dell’art. 27 del d.P.R.
380/2001, rappresentando come l’intervenuto
completamento dell’opera precludesse
l’applicazione della norma posta dal comune
a fondamento del suo operato, e dell’art.
167 del d.lgs. 42/2004, per non avere il
comune indicato le ragioni per le quali ha
applicato la sanzione ripristinatoria, in
luogo della meno afflittiva sanzione
pecuniaria.
Deve infatti osservarsi come l’art. 27,
sulla cui base è stato applicato il
provvedimento gravato, è applicabile sia ai
casi in cui il dirigente o il responsabile
accerti “l'inizio”, che all’ipotesi in cui
venga accertata “l'esecuzione di opere
eseguite senza titolo” in area vincolata e
che la norma medesima prevede la sola
sanzione ripristinatoria, attenendo la
differente disposizione invocata dalla
ricorrente al solo profilo paesaggistico e
non anche a quello edilizio
(TAR Campania-Napoli, Sez. VI,
sentenza 04.07.2012 n. 3170 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Ai fini della
formazione del silenzio-assenso, che
costituisce uno strumento di semplificazione
e di snellimento dell'azione amministrativa,
non sono sufficienti la sola presentazione
della domanda ed il decorso del tempo
indicato dalla norma che lo prevede, ma è
necessario altresì che essa sia corredata
dall’indispensabile documentazione prevista
dalla normativa, non implicando il
meccanismo del silenzio-assenso alcuna
deroga al potere-dovere dell'Amministrazione
pubblica di curare gli interessi pubblici
nel rispetto dei principi fondamentali
sanciti dall'art. 97, cost. e presupponendo
quindi che essa sia posta nella condizione
di verificare la sussistenza di tutti i
presupposti legali per il rilascio
dell'autorizzazione.
Tale indiscutibile principio deve in ogni
caso armonizzarsi con le caratteristiche di
lealtà e correttezza cui deve ispirarsi
l’azione amministrativa, in quanto corollari
del principio di imparzialità di cui
all’art. 97 della Costituzione; in
particolare, le esigenze di tutela
dell’amministrato devono ritenersi
amplificate in quei procedimenti idonei a
risolversi mediante la formazione di
provvedimenti silenziosi, in quanto la
tensione partecipativa trova comprensibile
attenuazione nella particolare dinamica che
connota detti modelli, aumentando
l’affidamento del soggetto istante in ordine
al riconoscimento della pretesa azionata in
misura proporzionale all’esaurirsi del tempo
a disposizione dell’Amministrazione per
completare la pur sempre necessaria attività
istruttoria.
Ne consegue che proprio in tali casi deve
ritenersi imposta all’amministrazione una
maggiore attenzione nei confronti della
posizione partecipativa dell’amministrato, e
ciò non solo al fine di non tradire la
funzione attualmente riconosciuta al
procedimento, ma anche per evitare di
ostacolare la concreta operatività di
modelli di semplificazione dell’azione, come
appunto quello del silenzio assenso;
d’altronde, di tanto vi è conferma nell’art.
6, primo comma, lettera b), della legge
07.08.1990 n. 241 a proposito del dovere
istruttorio da parte del responsabile unico
del procedimento di procedere a richiedere
alla parte dichiarazioni, rettifiche e
integrazioni documentali.
Occorre innanzitutto
prendere atto del costante orientamento in
giurisprudenza, secondo cui “ai fini della
formazione del silenzio-assenso, che
costituisce uno strumento di semplificazione
e di snellimento dell'azione amministrativa,
non sono sufficienti la sola presentazione
della domanda ed il decorso del tempo
indicato dalla norma che lo prevede, ma è
necessario altresì che essa sia corredata
dall’indispensabile documentazione prevista
dalla normativa, non implicando il
meccanismo del silenzio assenso alcuna
deroga al potere-dovere dell'Amministrazione
pubblica di curare gli interessi pubblici
nel rispetto dei principi fondamentali
sanciti dall'art. 97, cost. e presupponendo
quindi che essa sia posta nella condizione
di verificare la sussistenza di tutti i
presupposti legali per il rilascio
dell'autorizzazione" (Consiglio di Stato sez.
V 01.04.2011 n. 2019; Consiglio Stato
sez. IV 22.07.2010 n. 4823; Cons. giust.
amm. Sicilia sez. giurisd. 28.04.2011 n.
320; TAR Napoli Campania sez. II 06.02.2012 n. 585; TAR Napoli Campania
sez. II 06.02.2012 n. 585; TAR
Piemonte sez. II, 03.02.2012 n. 143;
TAR Puglia Lecce sez. III 10.01.2012
n. 16; TAR Sicilia, Palermo, sez. III, 29.09.2006 n. 1996,; TAR Puglia,
Lecce, sez. III, 05.06.2004 n. 3394;
TAR Campania, Napoli, sez. IV, 11.12.2003 n. 15215).
Ritiene il Collegio che tale indiscutibile
principio debba in ogni caso armonizzarsi
con le caratteristiche di lealtà e
correttezza cui deve ispirarsi l’azione
amministrativa, in quanto corollari del
principio di imparzialità di cui all’art. 97
della Costituzione; in particolare, le
esigenze di tutela dell’amministrato devono
ritenersi amplificate in quei procedimenti
idonei a risolversi mediante la formazione
di provvedimenti silenziosi, in quanto la
tensione partecipativa trova comprensibile
attenuazione nella particolare dinamica che
connota detti modelli, aumentando
l’affidamento del soggetto istante in ordine
al riconoscimento della pretesa azionata in
misura proporzionale all’esaurirsi del tempo
a disposizione dell’Amministrazione per
completare la pur sempre necessaria attività
istruttoria.
Ne consegue che proprio in tali casi deve
ritenersi imposta all’amministrazione una
maggiore attenzione nei confronti della
posizione partecipativa dell’amministrato, e
ciò non solo al fine di non tradire la
funzione attualmente riconosciuta al
procedimento, ma anche per evitare di
ostacolare la concreta operatività di
modelli di semplificazione dell’azione, come
appunto quello del silenzio assenso;
d’altronde, di tanto vi è conferma nell’art.
6, primo comma, lettera b), della legge 07.08.1990 n. 241 a proposito del dovere
istruttorio da parte del responsabile unico
del procedimento di procedere a richiedere
alla parte dichiarazioni, rettifiche e
integrazioni documentali (TAR Campania-Napoli, Sez. VIII,
sentenza 03.07.2012 n. 3157 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
COMPETENZE GESTIONALI - LAVORI PUBBLICI:
L’approvazione di progetti di
opere pubbliche rientra nella competenza
della Giunta Comunale, organo a competenza
generale e residuale, anche quando tale
approvazione comporti variante allo
strumento urbanistico ai sensi dell’art. 1
L. 1/1978.
---------------
L’inserimento di un’opera pubblica nel
programma triennale incide sull’interesse
dei privati per il fatto che l’opera
contestata fino al momento della sua
inclusione nell’atto di programmazione in
parola non era realizzabile mentre,
successivamente a tale determinazione, ne è
doverosa la realizzazione nel triennio
secondo l’ordine di priorità del programma
approvato e con le disponibilità finanziarie
specificamente apprestate.
Si è quindi osservato che, con l’inserimento
dell’opera nel programma di opere pubbliche,
la valutazione decisiva sulla utilità e
fattibilità della medesima da parte
dell’ente locale vi è stata e la comunità
locale deve prendere atto che una certa
quantità di risorse finanziarie, personali
ed organizzative dell’amministrazione locale
è destinata a questa priorità, anziché ad
altre opere ed interventi pur richiesti ma
cionondimeno esclusi dalla programmazione e
quindi, almeno temporaneamente, dalla
realizzazione.
Non si tratta, quindi, di un’attività
meramente interna degli organi comunali di
programmazione finanziaria e di
razionalizzazione della spesa, ma invece di
un atto fondamentale di individuazione degli
obiettivi concreti da raggiungere da parte
degli organi di governo dell’ente, cui
corrisponde la facoltà di verifica dei
cittadini, singoli o associati, sulla
congruità e correttezza delle scelte
effettuate.
Secondo
l’orientamento espresso dalla giurisprudenza
amministrativa (Consiglio di Stato, Sez. IV,
26.04. 2006 n. 2293; TAR Emilia
Romagna, Parma, 17.06.2008 n. 314;
TAR Lazio, Sez. II, 13.02.2006 n.
1060), l’approvazione di progetti di opere
pubbliche rientra nella competenza della
Giunta Comunale, organo a competenza
generale e residuale, anche quando tale
approvazione comporti variante allo
strumento urbanistico ai sensi dell’art. 1
L. 1/1978 (peraltro, si rammenti che, in
base alla disposizione da ultimo citata
nonché all’art. 12 D.P.R. 08.06.2001 n.
327, all’approvazione dei progetti di opere
pubbliche consegue ex lege la dichiarazione
di pubblica utilità delle opere stesse, non
occorrendo all’uopo una particolare
motivazione: cfr. Consiglio di Stato, Sez.
IV, 09.12.2011 n. 6468).
Tale conclusione, già supportata dall’art.
35 L. 142/1990 si fonda anche sull’art. 48
D.Lgs. 267/2000, in base al quale la Giunta
compie tutti gli atti, rientranti, ai sensi
dell'art. 107, commi 1 e 2, nelle funzioni
degli organi di governo, che non siano
riservati dalla legge al Consiglio e che non
ricadano nelle competenze, previste dalle
leggi o dallo statuto, del Sindaco o del
Presidente della Provincia o degli organi di
decentramento.
---------------
Sul
punto, giova rammentare che, con la
richiamata deliberazione giuntale n. 34/2002
l’amministrazione ha modificato il programma
triennale delle opere pubbliche inserendovi
il progetto di ampliamento cimiteriale.
Orbene, secondo l’orientamento espresso dal
Consiglio di Stato (Sez. V, 23.10.2002
n. 5824) e da questa Sezione (TAR
Campania, Napoli, Sez. VIII, 16.12.2011 n. 5876), l’inserimento di un’opera
pubblica nel programma triennale incide
sull’interesse dei privati per il fatto che
l’opera contestata fino al momento della sua
inclusione nell’atto di programmazione in
parola non era realizzabile mentre,
successivamente a tale determinazione, ne è
doverosa la realizzazione nel triennio
secondo l’ordine di priorità del programma
approvato e con le disponibilità finanziarie
specificamente apprestate.
Si è quindi
osservato che, con l’inserimento dell’opera
nel programma di opere pubbliche, la
valutazione decisiva sulla utilità e
fattibilità della medesima da parte
dell’ente locale vi è stata e la comunità
locale deve prendere atto che una certa
quantità di risorse finanziarie, personali
ed organizzative dell’amministrazione locale
è destinata a questa priorità, anziché ad
altre opere ed interventi pur richiesti ma
cionondimeno esclusi dalla programmazione e
quindi, almeno temporaneamente, dalla
realizzazione.
Non si tratta, quindi, di un’attività
meramente interna degli organi comunali di
programmazione finanziaria e di
razionalizzazione della spesa, ma invece di
un atto fondamentale di individuazione degli
obiettivi concreti da raggiungere da parte
degli organi di governo dell’ente, cui
corrisponde la facoltà di verifica dei
cittadini, singoli o associati, sulla
congruità e correttezza delle scelte
effettuate
(TAR Campania-Napoli, Sez. VIII,
sentenza 03.07.2012 n. 3156 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
COMPETENZE GESTIONALI - ESPROPRIAZIONE:
L'adozione del decreto di
occupazione temporanea e d'urgenza, emanato
dopo l'entrata in vigore dell'art. 45,
D.Lgs. 31.03.1998 n. 80, è di competenza del
funzionario dirigente dell'Ufficio tecnico
dell'amministrazione procedente, atteso che
detta norma attribuisce alla dirigenza la
competenza ad adottare tutti gli atti di
gestione, inclusi quelli che impegnano
l'amministrazione verso l'esterno.
---------------
La mancata determinazione della indennità di
esproprio (così come la mancata
corresponsione effettiva) non costituisce
requisito di validità o di legittimità del
decreto di esproprio e non può costituire in
alcun modo vizio invalidante la procedura
espropriativa.
Il
provvedimento è stato legittimamente
adottato dal Dirigente, con conseguente
infondatezza della censura di incompetenza:
difatti, l'adozione del decreto di
occupazione temporanea e d'urgenza, emanato
dopo l'entrata in vigore dell'art. 45, D.Lgs. 31.03.1998 n. 80, è di competenza
del funzionario dirigente dell'Ufficio
tecnico dell'amministrazione procedente,
atteso che detta norma attribuisce alla
dirigenza la competenza ad adottare tutti
gli atti di gestione, inclusi quelli che
impegnano l'amministrazione verso l'esterno
(Consiglio di Stato, Sez. IV, 09.11.2005 n. 6259; TAR Campania, Salerno, 30.06.2006 n. 897).
---------------
Infine,
la mancata determinazione della indennità di
esproprio (così come la mancata
corresponsione effettiva) non costituisce
requisito di validità o di legittimità del
decreto di esproprio e non può costituire in
alcun modo vizio invalidante la procedura
espropriativa (Consiglio di Stato, Sez. IV,
30.06.2010 n. 4176).
Peraltro, dalla
documentazione versata agli atti di causa
dalla intimata amministrazione emerge che la
contestazione è infondata in fatto in
quanto, con nota prot. 13938 del 23.10.2007 (indirizzata anche al ricorrente) il
Comune ha determinato tale indennità
(TAR Campania-Napoli, Sez. VIII,
sentenza 03.07.2012 n. 3156 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
La valutazione di congruità di
un'offerta anomala costituisce espressione
paradigmatica di un potere
tecnico-discrezionale dell'amministrazione
di per sé insindacabile in sede di
legittimità, salva l'ipotesi in cui le
valutazioni siano inficiate sotto i profili
della manifesta illogicità ed
irragionevolezza, carenza motivazionale
ovvero del travisamento dei fatti.
Pertanto, il sindacato del giudice
amministrativo in detta materia si compendia
nell’accertare se il potere
dell’amministrazione appaltante sia stato
esercitato con l’utilizzazione delle regole
tecniche conformi a criteri di logicità,
congruità, ragionevolezza e corretto
apprezzamento dei fatti e dunque se le
valutazioni tecniche operate siano
attendibili, non potendo invece consistere
nella integrale ripetizione delle operazioni
valutative compiute dall’amministrazione,
ciò comportando un’inammissibile violazione
del principio di separazione dei poteri.
Inoltre, in ogni gara pubblica
l'attendibilità dell'offerta va valutata
nella sua globalità. Difatti, l’art. 88, settimo
comma, del D.Lgs. 12.04.2006 n. 163,
nello stabilire che, all'esito del
procedimento di verifica dell'anomalia
dell'offerta, la stazione appaltante
dichiara l'eventuale esclusione dell'offerta
che risulta, “nel suo complesso”,
inaffidabile, va inteso nel senso che la
valutazione dell'amministrazione deve
verificare l'affidabilità globale
dell'offerta mediante un giudizio sintetico
sulla serietà o meno dell'offerta nel suo
insieme.
---------------
Quanto alla possibilità di rimodulare le
giustificazioni economiche, la
giurisprudenza ha affermato che, ferma
restando la immodificabilità dell'offerta
nel suo complessivo importo economico, il
sub-procedimento di verifica dell'anomalia
non è vincolato a formalità, non si può
escludere la possibilità che nel corso di
tale sub-procedimento sia modificata la
prospettazione delle giustificazioni
relative alle varie componenti del prezzo.
Posto che l’obiettivo della verifica di
anomalia è quello di stabilire se l'offerta
sia, nel suo complesso, e nel suo importo
originario, affidabile o meno, è parimenti
ammissibile che, fermo restando il principio
che in un appalto l'offerta, una volta
presentata, non è suscettibile di
modificazione (pena la violazione della par
condicio tra i concorrenti), il giudizio di
anomalia deve essere complessivo e deve
tenere conto di tutti gli elementi, sia
quelli che militano a favore, sia quelli che
militano contro l'attendibilità dell'offerta
nel suo insieme.
Deve di conseguenza ritenersi possibile che,
a fronte di determinate voci di prezzo
giudicate eccessivamente basse e dunque
inattendibili, l'impresa dimostri che per
converso altre voci di prezzo sono state
inizialmente sopravvalutate, e che in
relazione alle stesse è in grado di
conseguire un concreto, effettivo,
documentato e credibile risparmio, che
compensa il maggior costo di altre voci.
Tuttavia, ciò non legittima una
generalizzata possibilità di aggiustare, in
sede di giustificazioni, le voci di costo
cambiandole ad libitum.
Dalla giurisprudenza in materia si desume
che ciò che si può consentire è:
a) o una modifica delle giustificazioni
delle singole voci di costo (rispetto alle
giustificazioni già fornite), lasciando le
stesse invariate;
b) oppure un aggiustamento di singole voci
di costo, che trovi il suo fondamento o in
sopravvenienze di fatto o normative che
comportino una riduzione dei costi, o in
originari e comprovati errori di calcolo, o
in altre ragioni plausibili.
Insomma il sub-procedimento di
giustificazione dell'offerta anomala non è
volto a consentire aggiustamenti
dell'offerta per così dire in itinere ma
mira, al contrario, a verificare la serietà
di una offerta consapevolmente già formulata
ed immutabile
Quello che non si può invece consentire è
che, come nel caso in esame, in sede di
giustificazioni vengano apoditticamente
rimodulate le voci di costo senza alcuna
motivazione ed solo scopo di "far quadrare i
conti" ossia di assicurarsi che il prezzo
complessivo offerto resti immutato e si
superino le contestazioni sollevate dalla
stazione appaltante su alcune voci di costo.
Il Collegio rileva
preliminarmente che, secondo l’orientamento
giurisprudenziale prevalente, la valutazione
di congruità di un'offerta anomala
costituisce espressione paradigmatica di un
potere tecnico-discrezionale
dell'amministrazione di per sé insindacabile
in sede di legittimità, salva l'ipotesi in
cui le valutazioni siano inficiate sotto i
profili della manifesta illogicità ed
irragionevolezza, carenza motivazionale
ovvero del travisamento dei fatti (Consiglio
di Stato, Sez. VI, 25.09.2007 n.
4933; Sez. V, 20.10.2004 n. 6877;
TAR Campania, Napoli, Sez. I, 08.10.2009 n. 5207; 21.03.2006 n. 3108).
Pertanto, il sindacato del giudice
amministrativo in detta materia si compendia
nell’accertare se il potere
dell’amministrazione appaltante sia stato
esercitato con l’utilizzazione delle regole
tecniche conformi a criteri di logicità,
congruità, ragionevolezza e corretto
apprezzamento dei fatti e dunque se le
valutazioni tecniche operate siano
attendibili, non potendo invece consistere
nella integrale ripetizione delle operazioni
valutative compiute dall’amministrazione,
ciò comportando un’inammissibile violazione
del principio di separazione dei poteri
(Consiglio di Stato, Sez. V, 12.06.2009
n. 3769; 18.09.2008 n. 4494).
Inoltre, in ogni gara pubblica
l'attendibilità dell'offerta va valutata
nella sua globalità (Consiglio di Stato,
Sez. V, 18.09.2009 n. 5589; 12.06.2009 n. 3762). Difatti, l’art. 88, settimo
comma, del D.Lgs. 12.04.2006 n. 163,
nello stabilire che, all'esito del
procedimento di verifica dell'anomalia
dell'offerta, la stazione appaltante
dichiara l'eventuale esclusione dell'offerta
che risulta, “nel suo complesso”,
inaffidabile, va inteso nel senso che la
valutazione dell'amministrazione deve
verificare l'affidabilità globale
dell'offerta mediante un giudizio sintetico
sulla serietà o meno dell'offerta nel suo
insieme (TAR Toscana, Sez. I, 26.03.2009 n. 507).
--------------
Quanto
poi alla possibilità di rimodulare le
giustificazioni economiche, la
giurisprudenza ha affermato che, ferma
restando la immodificabilità dell'offerta
nel suo complessivo importo economico, il
sub-procedimento di verifica dell'anomalia
non è vincolato a formalità, non si può
escludere la possibilità che nel corso di
tale sub-procedimento sia modificata la
prospettazione delle giustificazioni
relative alle varie componenti del prezzo
(Consiglio di Stato, Sez. VI, 26.04.2005
n. 1889).
Posto che l’obiettivo della verifica di
anomalia è quello di stabilire se l'offerta
sia, nel suo complesso, e nel suo importo
originario, affidabile o meno, è parimenti
ammissibile che, fermo restando il principio
che in un appalto l'offerta, una volta
presentata, non è suscettibile di
modificazione (pena la violazione della par
condicio tra i concorrenti), il giudizio di
anomalia deve essere complessivo e deve
tenere conto di tutti gli elementi, sia
quelli che militano a favore, sia quelli che
militano contro l'attendibilità dell'offerta
nel suo insieme.
Deve di conseguenza ritenersi possibile che,
a fronte di determinate voci di prezzo
giudicate eccessivamente basse e dunque
inattendibili, l'impresa dimostri che per
converso altre voci di prezzo sono state
inizialmente sopravvalutate, e che in
relazione alle stesse è in grado di
conseguire un concreto, effettivo,
documentato e credibile risparmio, che
compensa il maggior costo di altre voci
(Consiglio di Stato, Sez. VI, 21.05.2009
n. 3146; 19.05.2000 n. 2908).
Tuttavia, come rilevato dal Consiglio di
Stato (Consiglio di Stato, Sez. V, 12.03.2009 n. 1451) e da questo TAR (Sez. I, 18.03.2011 n. 1498) ciò non legittima una
generalizzata possibilità di aggiustare, in
sede di giustificazioni, le voci di costo
cambiandole ad libitum.
Dalla giurisprudenza in materia si desume
che ciò che si può consentire è:
a) o una modifica delle giustificazioni
delle singole voci di costo (rispetto alle
giustificazioni già fornite), lasciando le
stesse invariate;
b) oppure un aggiustamento di singole voci
di costo, che trovi il suo fondamento o in
sopravvenienze di fatto o normative che
comportino una riduzione dei costi, o in
originari e comprovati errori di calcolo, o
in altre ragioni plausibili.
Insomma il sub-procedimento di
giustificazione dell'offerta anomala non è
volto a consentire aggiustamenti
dell'offerta per così dire in itinere ma
mira, al contrario, a verificare la serietà
di una offerta consapevolmente già formulata
ed immutabile
Quello che non si può invece consentire è
che, come nel caso in esame, in sede di
giustificazioni vengano apoditticamente
rimodulate le voci di costo senza alcuna
motivazione ed solo scopo di "far quadrare i
conti" ossia di assicurarsi che il prezzo
complessivo offerto resti immutato e si
superino le contestazioni sollevate dalla
stazione appaltante su alcune voci di costo
(Consiglio di Stato, Sez. VI, 15.06.2010 n.
3759)
(TAR Campania-Napoli, Sez. VIII,
sentenza 03.07.2012 n. 3155 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
L’atto demolitorio è
congruamente motivato con riguardo alla
descrizione dell’illecito e alla conseguente
sanzione edilizia ex art. 31 D.P.R.
380/2001. Difatti, il presupposto per
l'adozione dell'ordine di demolizione è
costituito soltanto dalla constatata
esecuzione dell'opera in totale difformità
dal titolo edilizio o in assenza del
medesimo, con la conseguenza che tale
provvedimento, ove ricorrano i predetti
requisiti, è sufficientemente motivato con
l'affermazione dell'accertata abusività
dell'opera, essendo in re ipsa l'interesse
pubblico alla sua rimozione.
Sotto distinto profilo, in disparte
l’assenza di qualsivoglia elemento
probatorio in ordine alla non praticabilità
della riduzione in pristino ex art. 34
D.P.R. 380/2001, si è fuori dall’ambito
della rubricata disposizione la quale, ai
sensi del comma 2-bis (aggiunto dall'art. 1,
comma 1, lett. ‘i’, D.Lgs. 27.12.2002
n. 301) trova applicazione anche agli
interventi edilizi di cui all'articolo 22,
terzo comma, del D.P.R. 380/2001 nei quali
la d.i.a. si pone quale titolo abilitativo
alternativo al permesso di costruire (c.d.
“superdia”) tra i quali rientrano gli
interventi di ristrutturazione di cui
all'articolo 10, primo comma, lettera c),
gli interventi di nuova costruzione o di
ristrutturazione urbanistica qualora siano
disciplinati da piani attuativi comunque
denominati che contengano precise
disposizioni plano-volumetriche,
tipologiche, formali e costruttive, gli
interventi di nuova costruzione qualora
siano in diretta esecuzione di strumenti
urbanistici generali recanti precise
disposizioni plano-volumetriche.
-----------------
In caso di ordine di demolizione delle opere
abusive non è necessaria la comunicazione di
avvio del procedimento ai sensi dell’art. 7
della L. 241/1990, trattandosi di atto
dovuto, sicché non sono richiesti apporti
partecipativi del soggetto destinatario.
Quanto alla mancata indicazione delle aree
da acquisire in caso di inottemperanza,
giova rammentare che a giustificare il
provvedimento di ingiunzione a demolire è
necessaria e sufficiente un'analitica
descrizione delle opere abusivamente
realizzate, in modo da consentire al
destinatario della sanzione di rimuoverle
spontaneamente, ogni altra indicazione
esulando dal contenuto tipico del
provvedimento mentre la misura dell'area da
acquisire deve reputarsi meramente
indicativa, in quanto la corretta
determinazione potrà avvenire soltanto dopo
il rituale accertamento, da parte del
Comune, dell'inottemperanza all'ingiunzione,
allorché sarà avviato, nell'ambito del
procedimento sanzionatorio di cui all'art.
31 del T.U. n. 380/2001, un sub-procedimento
specificamente finalizzato alla precisa
individuazione delle aree da acquisirsi
gratuitamente ai sensi del terzo comma.
Invero, l’atto demolitorio è
congruamente motivato con riguardo alla
descrizione dell’illecito (opera realizzata
in difformità alla d.i.a. e in difetto del
permesso di costruire) e alla conseguente
sanzione edilizia ex art. 31 D.P.R.
380/2001. Difatti, il presupposto per
l'adozione dell'ordine di demolizione è
costituito soltanto dalla constatata
esecuzione dell'opera in totale difformità
dal titolo edilizio o in assenza del
medesimo, con la conseguenza che tale
provvedimento, ove ricorrano i predetti
requisiti, è sufficientemente motivato con
l'affermazione dell'accertata abusività
dell'opera, essendo in re ipsa l'interesse
pubblico alla sua rimozione (Consiglio di
Stato, Sez. IV, 27.04.2004 n. 2529;
TAR Campania Napoli, Sez. IV, 02.12.2004 n. 18085).
Sotto distinto profilo, in disparte
l’assenza di qualsivoglia elemento
probatorio in ordine alla non praticabilità
della riduzione in pristino ex art. 34
D.P.R. 380/2001, si è fuori dall’ambito
della rubricata disposizione la quale, ai
sensi del comma 2-bis (aggiunto dall'art. 1,
comma 1, lett. ‘i’, D.Lgs. 27.12.2002
n. 301) trova applicazione anche agli
interventi edilizi di cui all'articolo 22,
terzo comma, del D.P.R. 380/2001 nei quali
la d.i.a. si pone quale titolo abilitativo
alternativo al permesso di costruire (c.d.
“superdia”) tra i quali rientrano gli
interventi di ristrutturazione di cui
all'articolo 10, primo comma, lettera c),
gli interventi di nuova costruzione o di
ristrutturazione urbanistica qualora siano
disciplinati da piani attuativi comunque
denominati che contengano precise
disposizioni plano-volumetriche,
tipologiche, formali e costruttive, gli
interventi di nuova costruzione qualora
siano in diretta esecuzione di strumenti
urbanistici generali recanti precise
disposizioni plano-volumetriche.
Non hanno pregio le ulteriori censure
articolate con il quinto e sesto motivo di
gravame con cui l’esponente obietta che il
Comune non si è pronunciato sulle
osservazioni presentate dal ricorrente in
seguito alla ricezione della comunicazione
di avvio del procedimento volto alla
adozione dell’ingiunzione demolitoria ed
assume la illegittimità dell’ordinanza
demolitoria siccome carente circa la
indicazione dei beni e delle pertinenze da
acquisirsi al patrimonio dell’ente in caso
di inosservanza.
In senso contrario, deve evidenziarsi che il
Comune ha rispettato le garanzie
partecipative sia nell’ambito del
procedimento sanzionatorio che in quello
concernente la domanda di sanatoria ex art.
36 D.P.R. 380/2001 dando conto, come si è
visto, delle ragioni di non assentibilità
dell’intervento. Ai sensi dell'art. 10 L.
241/1990 le memorie ed osservazioni prodotte
dal privato nel corso del procedimento vanno
effettivamente valutate
dall'amministrazione, ed è necessario che di
tale valutazione resti traccia nella
motivazione del provvedimento finale, ma ciò
non comporta la necessità di confutare
puntualmente tutte le argomentazioni svolte
dalla parte privata, essendo sufficiente una
motivazione sintetica al fine di
giustificarne il rigetto.
Inoltre, vale richiamare il consolidato
orientamento giurisprudenziale secondo cui
in caso di ordine di demolizione delle opere
abusive non è necessaria la comunicazione di
avvio del procedimento ai sensi dell’art. 7
della L. 241/1990, trattandosi di atto dovuto,
sicché non sono richiesti apporti
partecipativi del soggetto destinatario
(TAR Campania, Napoli, Sez. VIII, 29.01.2009 n. 5001).
Quanto alla mancata indicazione delle aree
da acquisire in caso di inottemperanza,
giova rammentare che a giustificare il
provvedimento di ingiunzione a demolire è
necessaria e sufficiente un'analitica
descrizione delle opere abusivamente
realizzate, in modo da consentire al
destinatario della sanzione di rimuoverle
spontaneamente, ogni altra indicazione
esulando dal contenuto tipico del
provvedimento (TAR Campania Napoli, Sez. VII, 14.01.2011 n. 164; Sez. VI,
09.11.2009 n. 7053; Sez. IV, 26.06.2009 n. 3530) mentre la misura dell'area da
acquisire deve reputarsi meramente
indicativa, in quanto la corretta
determinazione potrà avvenire soltanto dopo
il rituale accertamento, da parte del
Comune, dell'inottemperanza all'ingiunzione,
allorché sarà avviato, nell'ambito del
procedimento sanzionatorio di cui all'art.
31 del T.U. n. 380/2001, un sub-procedimento
specificamente finalizzato alla precisa
individuazione delle aree da acquisirsi
gratuitamente ai sensi del terzo comma
(TAR Lombardia, Milano, 26.01.2010 n. 175)
(TAR Campania-Napoli, Sez. VIII,
sentenza 03.07.2012 n. 3153 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La regola pretoria della
sanatoria giurisprudenziale, in base alla
quale il beneficio può essere concesso anche
a seguito di conformità sopraggiunta
dell'intervento divenuto permissibile al
momento della proposizione della nuova
istanza dell'interessato, non può trovare
ingresso nel nostro ordinamento.
Difatti, predicarne l'operatività,
consentendo la legittimazione postuma di
opere originariamente e sostanzialmente
abusive, significa tradire il principio di
legalità, rinveniente dagli artt. 24, 97,
101 e 113 Cost. oltre che dall'art. 1, primo
comma, della L. 241/1990 (secondo cui
"l'attività amministrativa persegue i fini
determinati dalla legge") sia in quanto si
svuoterebbe della sua portata precettiva,
certa e vincolante la disciplina
urbanistico-edilizia vigente al momento
della commissione degli illeciti, sia in
quanto, estendendosi l'ambito oggettivo di
applicazione del permesso di costruire in
sanatoria, se ne violerebbe la tipicità
provvedimentale, ancorata dalla norma
primaria che lo prevede (art. 36 D.P.R. n.
380 del 2001) alle sole violazioni di ordine
formale.
Inoltre, si finirebbe per premiare gli
autori di abusi edilizi sostanziali, a
discapito di tutti coloro che abbiano
correttamente eseguito attività
edificatorie, nel doveroso convincimento di
rispettare prescrizioni da altri, invece,
impunemente violate e risulterebbe
attenuata, se non addirittura neutralizzata,
la forza deterrente dell'apparato
sanzionatorio posto a presidio della
disciplina di governo del territorio.
Deve
essere confutato il presupposto logico–giuridico sul quale si fonda il ragionamento
del ricorrente secondo cui, come si è visto,
sarebbe sufficiente la conformità agli
strumenti urbanistici vigenti al momento
della presentazione dell’istanza ex art. 36
D.P.R. 380/2001 anche se non al tempo della
realizzazione del bene (c.d. “sanatoria
giurisprudenziale”).
Invero, come già statuito dalla Sezione
(TAR Campania, Napoli, Sez. VIII, 10.09.2010 n. 17398), la regola pretoria
della sanatoria giurisprudenziale, in base
alla quale il beneficio può essere concesso
anche a seguito di conformità sopraggiunta
dell'intervento divenuto permissibile al
momento della proposizione della nuova
istanza dell'interessato, non può trovare
ingresso nel nostro ordinamento.
Difatti,
predicarne l'operatività, consentendo la
legittimazione postuma di opere
originariamente e sostanzialmente abusive,
significa tradire il principio di legalità,
rinveniente dagli artt. 24, 97, 101 e 113
Cost. oltre che dall'art. 1, primo comma,
della L. 241/1990 (secondo cui "l'attività
amministrativa persegue i fini determinati
dalla legge") sia in quanto si svuoterebbe
della sua portata precettiva, certa e
vincolante la disciplina
urbanistico-edilizia vigente al momento
della commissione degli illeciti, sia in
quanto, estendendosi l'ambito oggettivo di
applicazione del permesso di costruire in
sanatoria, se ne violerebbe la tipicità
provvedimentale, ancorata dalla norma
primaria che lo prevede (art. 36 D.P.R. n.
380 del 2001) alle sole violazioni di ordine
formale.
Inoltre, si finirebbe per premiare gli
autori di abusi edilizi sostanziali, a
discapito di tutti coloro che abbiano
correttamente eseguito attività
edificatorie, nel doveroso convincimento di
rispettare prescrizioni da altri, invece,
impunemente violate e risulterebbe
attenuata, se non addirittura neutralizzata,
la forza deterrente dell'apparato
sanzionatorio posto a presidio della
disciplina di governo del territorio (TAR Campania-Napoli, Sez. VIII,
sentenza 03.07.2012 n. 3153 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Con l’art. 9, secondo comma, del
D.P.R. 380/2001 [secondo cui, nelle aree
nelle quali non siano stati approvati gli
strumenti urbanistici attuativi previsti
dagli strumenti urbanistici generali come
presupposto per l'edificazione, sono
consentiti gli interventi indicati all’art.
3, lettere ‘a’, ‘b’ e ‘c’ (manutenzione
ordinaria, manutenzione straordinaria,
restauro e risanamento conservativo) e
quelli di cui alla lettera ‘d’ del primo
comma dell’art. 3 del Testo Unico
(interventi di ristrutturazione edilizia)]
il legislatore delegato:
I) ha enunciato il principio della
indefettibilità del piano attuativo
prescritto dallo strumento generale;
II) ha rimarcato la rilevanza nel sistema
del piano attuativo, in quanto strumento
indispensabile per l'affermazione
dell'ordinato assetto del territorio;
III) ha precisato che, tranne il caso del
piccolo lotto intercluso, il prescritto
piano attuativo non ammette equipollenti,
nel senso che in sede amministrativa -per
l'esame di una istanza di permesso- o in
quella giurisdizionale non possono essere
effettuate le indagini spettanti
all'autorità competente ad approvare il
medesimo piano (sulla base del relativo
procedimento), in assenza delle quali il
legislatore considera lesa l'assoluta
esigenza che vi sia un razionale assetto del
territorio.
Con il
nono e decimo motivo di ricorso il Sig.
D’Alessandro impugna in parte qua il P.R.G.
che imporrebbe sul fondo de quo un vincolo
di inedificabilità preordinato all’esproprio
da reputarsi illegittimo ai sensi dell’art.
38 L.Reg. 16/2004 per decorso del termine
quinquennale dalla data di approvazione
dello strumento urbanistico generale.
Inoltre, lamenta l’inerzia del Comune
nell’approvazione del piano
particolareggiato (tenuto conto che il lotto
del richiedente non avrebbe ancora esaurito
la propria potenzialità edificatoria) e
sollecita l’intervento sostitutivo della
Provincia e, in subordine, della Regione
(competenti ad intervenire in via
sostitutiva nei casi di cui all’art. 38
della L.Reg. 16/2004 in base al quale “In
caso di mancata reiterazione dei vincoli
urbanistici, il comune adotta la nuova
disciplina urbanistica delle aree
interessate mediante l'adozione di una
variante al Puc, entro il termine di tre
mesi dalla scadenza dei vincoli. Decorso
tale termine, si procede ai sensi
dell'articolo 39”).
Il costrutto logico–giuridico non appare
complessivamente condivisibile in quanto si
fonda su un erroneo presupposto, costituito
dalla qualificazione giuridica della
prescrizione di P.R.G. come vincolo di inedificabilità di natura espropriativa.
Viceversa, il P.R.G. prevede che la zona
residenziale, confinante con il centro
storico, è considerata satura in termini di
occupazione dei lotti, in quanto ha esaurito
qualsiasi potenzialità edificatoria: in essa
è possibile procedere alla ristrutturazione
dell’edilizia esistente. Inoltre, per
l’attuazione della zona è richiesto
l’intervento urbanistico preventivo (piano
particolareggiato) non ancora redatto e,
nelle more della redazione e definitiva
approvazione del piano, sono assentibili
interventi di manutenzione ordinaria e
straordinaria, sempreché non vi siano
aumenti di superficie, di volumi, di altezze
dei fabbricati.
Orbene, dall’esame della disposizione non
pare dubbio che il vincolo suddetto,
riferito in via generale all'intera
categoria delle aree residenziali contigue
al centro storico, non è preordinato
all'espropriazione, onde non sono pertinenti
le argomentazioni ed i richiami alla
legislazione regionale (art. 38 e 39 L.Reg.
16/2004) riferiti a tale tipologia di
vincolo.
Viceversa, trattasi di espressione di potere
conformativo funzionale alla conservazione,
evitando ulteriori addensamenti volumetrici
in zona già satura, dell'assetto
tradizionale e del valore architettonico e
ambientale del centro storico nel suo
complesso: come tale il vincolo, non è
soggetto a decadenza, con conseguente
infondatezza dei rilievi sviluppati nel
ricorso.
Si aggiunga che la previsione contenuta nel
P.R.G. appare anche sostanzialmente conforme
all’art. 9, secondo comma, del D.P.R.
380/2001 secondo cui, nelle aree nelle quali
non siano stati approvati gli strumenti
urbanistici attuativi previsti dagli
strumenti urbanistici generali come
presupposto per l'edificazione, sono
consentiti gli interventi indicati all’art.
3, lettere ‘a’, ‘b’ e ‘c’ (manutenzione
ordinaria, manutenzione straordinaria,
restauro e risanamento conservativo) e
quelli di cui alla lettera ‘d’ del primo
comma dell’art. 3 del Testo Unico
(interventi di ristrutturazione edilizia)
mentre, al contrario, tra gli interventi
ammessi non rientra la realizzazione di
nuovi edifici.
Si è ritenuto, con argomentazioni che
possono essere calate anche nel caso in
esame (cfr. TAR Campania, Napoli, Sez. IV,
25.02.2011 n. 1178) che, con tale
disposizione, il legislatore delegato:
I) ha
enunciato il principio della indefettibilità
del piano attuativo prescritto dallo
strumento generale;
II) ha rimarcato la
rilevanza nel sistema del piano attuativo,
in quanto strumento indispensabile per
l'affermazione dell'ordinato assetto del
territorio (Consiglio di Stato, Sez. V, 03.03.2004 n. 1013; Sez. IV, 25.08.2003
n. 4812);
III) ha precisato che, tranne il
caso del piccolo lotto intercluso, il
prescritto piano attuativo non ammette
equipollenti (Consiglio Sez. IV, 08.06.2007
n. 3007), nel senso che in sede
amministrativa -per l'esame di una istanza
di permesso- o in quella giurisdizionale non
possono essere effettuate le indagini
spettanti all'autorità competente ad
approvare il medesimo piano (sulla base del
relativo procedimento), in assenza delle
quali il legislatore considera lesa
l'assoluta esigenza che vi sia un razionale
assetto del territorio
(TAR Campania-Napoli, Sez. VIII,
sentenza 03.07.2012 n. 3153 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
In presenza di un intervento
suscettibile di trasformare ed ampliare
l’organismo edilizio preesistente,
legittimamente il Comune ha opposto al
ricorrente, quale conduttore in locazione
dell’immobile in oggetto, la mancanza del
previo consenso del proprietario, in assenza
di alcuna preventiva autorizzazione concessa
in tal senso nel contratto di locazione o in altra
documentazione.
La legittimazione del titolare di un diritto
obbligatorio al rilascio del permesso di
costruire è riconosciuta in giurisprudenza
solo quando, per effetto del dedotto
rapporto obbligatorio, l’interessato sia
autorizzato in base ad un contratto o abbia
documentato il previo consenso da parte del
proprietario.
In presenza di un intervento
suscettibile di trasformare ed ampliare
l’organismo edilizio preesistente,
legittimamente il Comune ha opposto al
ricorrente, quale conduttore in locazione
dell’immobile in oggetto, la mancanza del
previo consenso del proprietario, in assenza
di alcuna preventiva autorizzazione concessa
in tal senso nel contratto di locazione del
29.08.2007 allegato in atti, o in altra
documentazione.
La legittimazione del
titolare di un diritto obbligatorio al
rilascio del permesso di costruire è
riconosciuta in giurisprudenza solo quando,
per effetto del dedotto rapporto
obbligatorio, l’interessato sia autorizzato
in base ad un contratto o abbia documentato
il previo consenso da parte del proprietario
(Cons. Stato, sez. IV, n. 3027/2007; id, n.
3253/2002; id., sez. V, n. 1507/2001; id.,
n. 1227/1997; id. n.1200/1994; id., n.
965/1993; Tar Parma, n. 338/2008; Tar
Napoli, n. 8243/2006; Cons. Stato, sez. V,
n. 2882/2001; Cons. Stato, sez.IV, n.
1057/2011; Cons. Stato, sez. VI, n.
4557/2010)
(TAR Campania-Napoli, Sez. VIII,
sentenza 03.07.2012 n. 3148 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
L’aggiudicazione provvisoria, in
quanto atto endoprocedimentale, determina
soltanto una mera aspettativa di fatto alla
conclusione del procedimento e non già una
posizione giuridica qualificata che,
viceversa, può derivare solo
dall’aggiudicazione definitiva.
In generale, il potere di revoca degli atti
di gara, già previsto dalla disciplina di
contabilità generale dello Stato che
consente il diniego di approvazione per
motivi di interesse pubblico (art. 113 del
R.D. 23.05.1924 n. 827), trova il
proprio fondamento nel principio generale
dell'autotutela della pubblica
amministrazione (espressamente previsto, nel
settore degli appalti pubblici, dall’art.
11, nono comma, del D.Lgs. 163/2006), che
rappresenta una delle manifestazioni tipiche
del potere amministrativo, direttamente
connesso ai criteri costituzionali di
imparzialità e buon andamento della funzione
pubblica.
Infatti, l'art. 21-quinquies L. 07.08.1990 n. 241 consente un ripensamento da
parte della amministrazione laddove questa
ritenga di operare motivatamente una nuova
valutazione dell'interesse pubblico
originario. La possibilità che in materia di
appalti pubblici la stazione appaltante
possa mutare avviso, in funzione del
pubblico interesse, deve essere ricondotta
all'ordinarietà dell'esercizio stesso del
potere esperibile anche dopo l'avvio della
procedura di scelta del contraente per
ragioni di pubblico interesse preesistenti o
sopravvenute o per vizi di merito e di
legittimità.
La revoca della gara pubblica può dunque
ritenersi legittimamente disposta dalla
stazione appaltante in presenza di
documentate e obiettive esigenze di
interesse pubblico, che siano opportunamente
e debitamente esplicitate, che rendano
evidente l'inopportunità o comunque
l'inutilità della prosecuzione della gara
stessa, oppure quando, anche in assenza di
ragioni sopravvenute, la revoca sia la
risultante di una rinnovata e differente
successiva valutazione dei medesimi
presupposti.
---------------
La valutazione dell'interesse pubblico nella
determinazione di revoca consiste in un
apprezzamento discrezionale non sindacabile
nel merito dal giudice amministrativo, salvo
che non risulti viziato sul piano della
legittimità per manifesta ingiustizia ed
irragionevolezza.
---------------
- quanto alla
tutelabilità della pretesa ai fini
risarcitori, in presenza di un legittimo
atto di autotutela, costituisce ius receptum,
il principio secondo cui la legittimità
dell'atto di revoca dell'aggiudicazione di
una gara di appalto non elimina il profilo
relativo alla valutazione del comportamento
dell'amministrazione, con riguardo al
rispetto dei canoni di buona fede e
correttezza, nell'ambito del procedimento di
evidenza pubblica preordinato alla selezione
del contraente;
- la responsabilità precontrattuale per la
revoca della gara può ritenersi
configurabile quando il fine pubblico venga
attuato attraverso un comportamento
obiettivamente lesivo dei doveri di lealtà,
sicché anche dalla revoca legittima degli
atti di gara può scaturire l'obbligo di
risarcire il danno, nel caso di affidamento
suscitato da un comportamento contrario ai
canoni comportamentali legalmente sanciti;
- a ben vedere gli atti che compongono la
fase procedimentale dell'evidenza pubblica
in quanto prodromici alla stipula del
contratto sono configurabili anche quali
atti di trattativa e formazione negoziale
rilevanti ai sensi dell'art. 1337 cod. civ.;
- perché possa sussistere una tale
responsabilità per “culpa in contrahendo” a
carico della pubblica amministrazione
occorre che tra le parti siano intercorse
trattative per la conclusione di un accordo
giunte ad uno stadio tale da giustificare
oggettivamente l'affidamento nella
conclusione del contratto e che una delle
parti abbia interrotto le trattative in
violazione delle regole di correttezza e di
buona fede di cui all'art. 1337 cod. civ.
eludendo così le ragionevoli aspettative
dell'altra, la quale, avendo confidato nella
conclusione finale del contratto, sia stata
indotta a sostenere spese o a rinunciare ad
occasioni più favorevoli.
---------------
Non è configurabile la responsabilità
precontrattuale della stazione appaltante
che si sia motivatamente e tempestivamente
avvalsa della facoltà, prevista nel bando di
gara, di non procedere all’aggiudicazione
definitiva dell’appalto per ragioni di
pubblico interesse comportanti variazioni
agli obiettivi perseguiti; in tal caso,
infatti, all’amministrazione appaltante non
è contestabile alcun comportamento lesivo
dell’affidamento dei partecipanti.
Giova rammentare che, nel caso
in esame, si controverte del ritiro
dell’aggiudicazione provvisoria che, in
quanto atto endoprocedimentale, determina
soltanto una mera aspettativa di fatto alla
conclusione del procedimento e non già una
posizione giuridica qualificata che,
viceversa, può derivare solo
dall’aggiudicazione definitiva (Consiglio di
Stato, Sez. V, 09.04.2010 n. 1997 e 12.02.2010 n. 743).
In generale, il potere di revoca degli atti
di gara, già previsto dalla disciplina di
contabilità generale dello Stato che
consente il diniego di approvazione per
motivi di interesse pubblico (art. 113 del
R.D. 23.05.1924 n. 827), trova il
proprio fondamento nel principio generale
dell'autotutela della pubblica
amministrazione (espressamente previsto, nel
settore degli appalti pubblici, dall’art.
11, nono comma, del D.Lgs. 163/2006), che
rappresenta una delle manifestazioni tipiche
del potere amministrativo, direttamente
connesso ai criteri costituzionali di
imparzialità e buon andamento della funzione
pubblica (Consiglio di Stato, Sez. V, 09.04.2010 n. 1997; TAR Campania,
Napoli, Sez. VIII, 03.05.2010 n. 2263).
Infatti, l'art. 21-quinquies L. 07.08.1990 n. 241 consente un ripensamento da
parte della amministrazione laddove questa
ritenga di operare motivatamente una nuova
valutazione dell'interesse pubblico
originario. La possibilità che in materia di
appalti pubblici la stazione appaltante
possa mutare avviso, in funzione del
pubblico interesse, deve essere ricondotta
all'ordinarietà dell'esercizio stesso del
potere esperibile anche dopo l'avvio della
procedura di scelta del contraente per
ragioni di pubblico interesse preesistenti o
sopravvenute o per vizi di merito e di
legittimità.
La revoca della gara pubblica può dunque
ritenersi legittimamente disposta dalla
stazione appaltante in presenza di
documentate e obiettive esigenze di
interesse pubblico (cfr. Consiglio Stato,
sez. V, 11.05.2009 n. 2882), che siano
opportunamente e debitamente esplicitate,
che rendano evidente l'inopportunità o
comunque l'inutilità della prosecuzione
della gara stessa, oppure quando, anche in
assenza di ragioni sopravvenute, la revoca
sia la risultante di una rinnovata e
differente successiva valutazione dei
medesimi presupposti (TAR Campania,
Napoli, Sez. VIII, 05.04.2012 n. 1646;
TAR Trentino Alto Adige, Trento, 30.07.2009 n. 228).
---------------
E' noto
che la valutazione dell'interesse pubblico
nella determinazione di revoca consiste in
un apprezzamento discrezionale non
sindacabile nel merito dal giudice
amministrativo, salvo che non risulti
viziato sul piano della legittimità per
manifesta ingiustizia ed irragionevolezza
(TAR Campania, Napoli, Sez. VIII, 05.04.2012 n. 1646; TAR Campania, Napoli,
Sez. I , 12.04.2010 n. 1897),
circostanze che non è dato ravvisare nella
fattispecie per cui è causa.
---------------
La
Sezione ha rilevato quanto segue (TAR
Campania, Napoli, Sez. VIII, 05.04.2012
n. 1646):
- quanto alla tutelabilità della pretesa ai
fini risarcitori, in presenza di un
legittimo atto di autotutela, costituisce
ius receptum, il principio secondo cui la
legittimità dell'atto di revoca
dell'aggiudicazione di una gara di appalto
non elimina il profilo relativo alla
valutazione del comportamento
dell'amministrazione, con riguardo al
rispetto dei canoni di buona fede e
correttezza, nell'ambito del procedimento di
evidenza pubblica preordinato alla selezione
del contraente;
- la responsabilità precontrattuale per la
revoca della gara può ritenersi
configurabile quando il fine pubblico venga
attuato attraverso un comportamento
obiettivamente lesivo dei doveri di lealtà,
sicché anche dalla revoca legittima degli
atti di gara può scaturire l'obbligo di
risarcire il danno, nel caso di affidamento
suscitato da un comportamento contrario ai
canoni comportamentali legalmente sanciti
(cfr. anche TAR Campania, Napoli, Sez. I,
08.02.2006 n. 1794; TAR Puglia,
Bari, Sez. I, 14.09.2010 n. 3459 e 12.01.2011 n. 20);
- a ben vedere gli atti che compongono la
fase procedimentale dell'evidenza pubblica
in quanto prodromici alla stipula del
contratto sono configurabili anche quali
atti di trattativa e formazione negoziale
rilevanti ai sensi dell'art. 1337 cod. civ.;
- perché possa sussistere una tale
responsabilità per “culpa in contrahendo” a
carico della pubblica amministrazione
occorre che tra le parti siano intercorse
trattative per la conclusione di un accordo
giunte ad uno stadio tale da giustificare
oggettivamente l'affidamento nella
conclusione del contratto e che una delle
parti abbia interrotto le trattative in
violazione delle regole di correttezza e di
buona fede di cui all'art. 1337 cod. civ.
eludendo così le ragionevoli aspettative
dell'altra, la quale, avendo confidato nella
conclusione finale del contratto, sia stata
indotta a sostenere spese o a rinunciare ad
occasioni più favorevoli.
-------------
E' utile
il richiamo a quell’indirizzo
giurisprudenziale secondo cui non è
configurabile la responsabilità
precontrattuale della stazione appaltante
che si sia motivatamente e tempestivamente
avvalsa della facoltà, prevista nel bando di
gara, di non procedere all’aggiudicazione
definitiva dell’appalto per ragioni di
pubblico interesse comportanti variazioni
agli obiettivi perseguiti; in tal caso,
infatti, all’amministrazione appaltante non
è contestabile alcun comportamento lesivo
dell’affidamento dei partecipanti (Consiglio
di Stato, Sez. V, 07.09.2009 n. 5245;
13.11.2002 n. 6291; TAR Campania,
Napoli, Sez. VIII, 03.05.2010 n. 2263) (TAR Campania-Napoli, Sez. VIII,
sentenza 03.07.2012 n. 3147 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
L'esigenza di un piano di
lottizzazione, quale presupposto per il
rilascio della concessione edilizia,
s’impone anche al fine di un armonico
raccordo con il preesistente aggregato
abitativo, allo scopo di potenziare le opere
di urbanizzazione già esistenti e, quindi,
anche alla più limitata funzione di
armonizzare aree già compromesse ed
urbanizzate, che richiedano una necessaria
pianificazione della maglia e perciò anche
in caso di lotto intercluso o di altri casi
analoghi di zona già edificata urbanizzata.
Di conseguenza, non è assiomatico che uno
stato di urbanizzazione, anche avanzato,
possa consentire di prescindere dalla previa
approvazione di un piano di lottizzazione o
un diverso strumento attuativo al fine del
rilascio del permesso di costruire.
Secondo orientamento
giurisprudenziale, anche di questa Sezione
(TAR Campania, Napoli VIII Sezione, 05.01.2011 n. 5), l'esigenza di un piano
di lottizzazione, quale presupposto per il
rilascio della concessione edilizia,
s’impone anche al fine di un armonico
raccordo con il preesistente aggregato
abitativo, allo scopo di potenziare le opere
di urbanizzazione già esistenti e, quindi,
anche alla più limitata funzione di
armonizzare aree già compromesse ed
urbanizzate, che richiedano una necessaria
pianificazione della maglia e perciò anche
in caso di lotto intercluso o di altri casi
analoghi di zona già edificata urbanizzata
(Consiglio di Stato VI Sezione, 29.02.2012 n. 1177; Consiglio di Stato IV Sezione,
01.10.2007, n. 5043 e 15.05.2002,
n. 2592; Consiglio di Stato V Sezione 01.12.2003, n. 7799 e
06.10.2000, n.
5326).
Di conseguenza, non è assiomatico che uno
stato di urbanizzazione, anche avanzato,
possa consentire di prescindere dalla previa
approvazione di un piano di lottizzazione o
un diverso strumento attuativo al fine del
rilascio del permesso di costruire.
Va poi rilevato come la tesi della
ricorrente non sia condivisibile nemmeno in
punto di fatto, dal momento che non risulta
dimostrata la sussistenza di un completo
stato di urbanizzazione della zona di
ubicazione dell’edificio oggetto
dell’istanza di permesso di costruire in
sanatoria
(TAR Campania-Napoli, Sez. VIII,
sentenza 03.07.2012 n. 3140 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA-PRIVATA:
ENERGIA ELETTRICA - INQUINAMENTO.
Il principio di precauzione di cui all'art.
3 Codice dell'Ambiente presuppone la
deduzione di validi elementi idonei a
contrastare ragionevolmente l'insediamento
energetico, in quanto diversamente opinando
si verrebbe a paralizzare ogni utile
iniziativa, quale un impianto per la
produzione elettrica con fonti rinnovabili,
costituente un obiettivo comunitario
altamente prioritario ex art. 6 Dir. CE n.
2001/77/CE ed art. 13 Dir. CE n. 2009/28/CE.
Ai fini della costruzione e dell'esercizio
di un impianto di produzione di energia
elettrica alimentato da fonti rinnovabili
(specificamente oli vegetali in motori
endotermici) la valutazione di incidenza
ambientale non è necessaria nell'ipotesi in
cui l'intervento non risulti essere ubicato
all'interno di un Sito d'Interesse
Comunitario (cosiddetto SIC), bensì
unicamente nelle vicinanze all'esterno del
sito (nella specie circa metri 200 dallo
stesso) (TAR Abruzzo-Pescara,
sentenza 03.07.2012 n. 325 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ESPROPRIAZIONE:
Nella materia dei procedimenti di
espropriazione per pubblica utilità, ad
eccezione delle ipotesi in cui manchi del
tutto una dichiarazione di pubblica utilità
dell’opera e l’Amministrazione espropriante
abbia agito nell’assoluto difetto di una
potestà ablativa come mancanza di qualunque facultas
agendi vincolata o discrezionale di elidere
o comprimere detto diritto –devolute come
tali alla giurisdizione ordinaria, sono
devolute alla giurisdizione amministrativa
esclusiva le controversie nelle quali si
faccia questione -anche ai fini
complementari della tutela risarcitoria- di
attività di occupazione e trasformazione di
un bene conseguenti ad una dichiarazione di
pubblica utilità e con essa congruenti,
anche se il procedimento all'interno del
quale sono state espletate non sia sfociato
in un tempestivo e formale atto traslativo
della proprietà ovvero sia caratterizzato
dalla presenza di atti poi dichiarati
illegittimi, purché vi sia un collegamento
all’esercizio della pubblica funzione.
---------------
L’art. 53 del DPR n. 327/2001, per come
ispirato al principio di concentrazione dei
giudizi, ha attribuito rilevanza decisiva ai
provvedimenti che impongono il vincolo
preordinato all’esproprio e a quelli che
dispongono la dichiarazione di pubblica
utilità: una volta attivato il procedimento
caratterizzato dall’esercizio del pubblico
potere, sussiste la giurisdizione
amministrativa esclusiva in relazione a
tutti i conseguenti atti e comportamenti e
ad ogni controversia che sorga su di essi,
anche quando trattasi di procedimenti
espropriativi diretti alla esecuzione dei
lavori per la realizzazione o la
modificazione di un’opera pubblica e di atti
strumentali alla realizzazione di detta
finalità pubblica.
Si è dunque in presenza di una fattispecie
riconducibile alla giurisdizione esclusiva
del giudice amministrativo, per come
derivante da esercizio di un pubblico
potere, anche nel caso in cui si lamenti
formalmente l’occupazione di aree non
comprese nell’ambito della procedura
espropriativa, ma in realtà si abbia
riguardo al decreto di esproprio, cioè alla
determinazione del suo effettivo contenuto,
per la dedotta occupazione di una superficie
superiore a quella presa in considerazione
da una precedente ordinanza di occupazione
d’urgenza, poiché ai fini della liceità o
meno va verificato lo specifico contenuto
degli atti e degli accordi posti in essere
nel corso del procedimento ablatorio.
---------------
Il comportamento tenuto dalla
Amministrazione, la quale abbia emanato una
valida dichiarazione di pubblica utilità ed
un legittimo decreto di occupazione
d'urgenza senza tuttavia emanare il
provvedimento definitivo di esproprio nei
termini previsti dalla legge, deve essere,
poi, qualificato come "illecito permanente",
nella cui vigenza non decorre la
prescrizione, ciò perché in questo caso
manca un effetto traslativo della proprietà,
stante la mancanza del provvedimento di
esproprio, connesso alla mera irrevocabile
modifica dei luoghi.
Per questo motivo, salva restando la
possibilità di optare per le differenti
forme "risarcitorie" che l'ordinamento
appresta (restituzione del bene ovvero
risarcimento del danno per equivalente), il
soggetto privato del possesso può agire nei
confronti dell'ente pubblico senza dover
sottostare al termine prescrizionale
quinquennale decorrente dalla trasformazione
irreversibile del bene, con l’unico limite
temporale rinvenibile nell’acquisto della
proprietà, per usucapione ventennale del
bene, eventualmente maturata dall’ente
pubblico.
Tali principi sono stati peraltro codificati
in termini di giurisdizione esclusiva del
giudice amministrativo ex art. 133, comma 1,
lett. f), del Codice del processo
amministrativo (allegato 1 del D.Lgs.
02.07.2010 n. 104) nell’ipotesi di
comportamento dell’Amministrazione
riconducibile all’esercizio del pubblico
potere che si sia manifestato per il tramite
della dichiarazione di pubblica utilità
della quale non risulta dimostrata la
perdita d'efficacia, nonché nelle
controversie aventi ad oggetto atti,
provvedimenti e comportamenti della P.A. in
materia di espropriazioni per pubblica
utilità di cui alla successiva lett. g) del
citato art. 133 ove si è espressamente
contemplata la giurisdizione esclusiva di
questo giudice, ferma la giurisdizione del
giudice ordinario per le ipotesi di
determinazione e corresponsione delle
indennità in conseguenza dell’adozione di
atti di natura espropriativa o ablativa.
---------------
Quanto ai “principi-cardine” che regolano la
materia dell’espropriazione:
a) i termini per l’inizio e la conclusione
delle procedure espropriative devono essere
fissati fin dall’atto con cui si dichiara la
pubblica utilità dell’opera (o con cui si
approva il progetto che dà avvio alla
procedura stessa). In mancanza di ciò
l’espropriazione è illegittima;
b) l’inutile decorso dei termini fissati
dall’Amministrazione per l’avvio e per la
conclusione delle procedure espropriative
determina l’inefficacia della originaria
dichiarazione di pubblica utilità, con
conseguente illegittimità del decreto di
espropriazione (che si ritiene adottato,
anch’esso, fuori termine);
c) se l’Amministrazione intende prorogare il
termine (per l’avvio o per la conclusione
della procedura espropriativi) può farlo,
purché prima che il termine sia ormai
scaduto, “motivando” in ordine alle ragioni
che rendono necessaria la proroga e sempre
che il ritardo non sia dipeso da cause ad
essa imputabili, ma da fatti dipendenti da
forza maggiore o, comunque, di altre ragioni
non dipendenti dalla sua volontà;
d) la proroga non può che essere accordata
dallo stesso Organo che ha fissato il
termine originario;
e) la proroga va notificata o comunque
comunicata ai soggetti espropriandi, i quali
devono essere coinvolti nel sub-procedimento
che si innesta su quello principale e posto
nelle condizioni di interloquire;
f) se il termine per l’avvio o per la
conclusione della procedura espropriativa è
inesorabilmente scaduto e non appare
prorogabile (per mancanza dei presupposti
sopra indicati), l’Amministrazione ben può
rinnovare l’intera procedura, ma per farlo
deve ricominciare (ex novo) dalla
“dichiarazione di pubblica utilità”, non
potendo ritenere ancora efficace quella
concernente il procedimento estintosi per
inutile decorso dei termini.
Quanto sopra è peraltro condiviso dalla
giurisprudenza, la quale ha ritenuto:
► quanto al principio enunciato sub a):
- che “la mancata indicazione dei termini
per la conclusione dei lavori e della
procedura espropriativa, di cui all'art. 13
della Legge n. 2359 del 1865 determina
l'illegittimità ab origine dell'occupazione
di urgenza e l'illiceità permanente
dell'opera pubblica, dovendosi escludere che
vi possano essere successive indicazioni di
detti termini ovvero atti di sanatoria della
dichiarazione di pubblica utilità in cui
essi siano omessi";
- che “la mancata indicazione dei termini
per l'inizio e la conclusione della
procedura espropriativa e dei lavori nella
delibera consiliare di avvio della procedura
espropriativa, vizia "in radice" il
provvedimento ablatorio";
- che “dall'annullamento giurisdizionale
della delibera di proroga dei termini per il
compimento delle operazioni espropriative
deriva in via immediata e diretta
l'illegittimità del decreto di
espropriazione per caducazione dell'atto
presupposto, ovvero dell'atto di proroga
dell'efficacia della dichiarazione di
pubblica utilità”;
- che “nella dichiarazione di pubblica
utilità dell'opera devono essere
espressamente indicati, oltre ai termini di
inizio e di conclusione della procedura
espropriativa, anche quelli concernenti
l'avvio ed il compimento dei lavori”;
- che “la necessità di prefissione di
termini delle procedure di espropriazione
risponde alla necessità di carattere
costituzionale di limitare il potere
discrezionale delle p.a. al fine di evitare
che i beni dei privati siano sottoposti ad
uno stato di soggezione per un tempo
indeterminato”);
- che “l'indicazione dei termini entro i
quali dovranno cominciarsi e concludersi le
espropriazioni ed i lavori, ai sensi
dell'art. 13 l. n. 2359 del 1865, deve
figurare nell'atto con il quale si dichiara
un'opera di pubblica utilità,
indifferibilità ed urgenza, all'evidente
fine di far sì che la P.A., che decida di
disporre della proprietà privata con
l'espropriazione, ponga essa stessa dei
limiti temporali per l'inizio e la
conclusione dell'opera che poi dovrà
rispettare”;
► quanto al principio enunciato sub b):
- che “l'art. 13 l. n. 2359 del 1865 dispone
che il decreto dichiarativo della pubblica
utilità deve contenere anche i termini entro
i quali devono iniziarsi e completarsi le
espropriazioni ed i lavori; scaduti tali
termini, la dichiarazione di pubblica
utilità diviene inefficace e non può
procedersi all'espropriazione se non in base
ad una nuova dichiarazione di pubblica
utilità";
- che “qualora siano scaduti i termini
fissati per il compimento
dell'espropriazione, nel provvedimento che
ha dichiarato la pubblica utilità dell'opera
e debba escludersi una valida proroga degli
stessi (…) cessa la legittima occupazione
dell'area destinata all'espropriazione e
diviene irrilevante qualunque proroga del
periodo d'occupazione successivamente
disposta per legge";
► quanto al principio enunciato sub c):
- che “il prolungamento dell'efficacia di un
termine presuppone necessariamente che il
termine da prorogare non sia ancora scaduto,
per cui i termini fissati nella
dichiarazione di pubblica utilità dall'art.
13 della Legge n. 2359 del 1865 possono
essere prorogati dall'amministrazione al
fine di prolungare l'efficacia della
dichiarazione di pubblica utilità stessa, a
condizione che la proroga si perfezioni
prima della scadenza del termine che si
intende prorogare”;
- che “l'istituto della proroga del termine,
che per il suo carattere generale deve
trovare applicazione anche ai termini
stabiliti nelle ipotesi di pubblica utilità
"ex lege", potrà operare solo se la proroga
venga disposta prima della scadenza del
triennio per l'inizio dei lavori, senza che
possa attribuirsi alcun rilievo
all'eventuale maggior termine ancora in
corso fissato per l'ultimazione dell'opera,
che comporta a sua volta l'inefficacia della
dichiarazione di pubblica utilità se i
lavori, iniziati tempestivamente, non
vengono ultimati nel maggiore termine
fissato all'atto dell'approvazione del
progetto”;
- che “… il provvedimento di proroga deve
essere motivato e non è sufficiente
l'indicazione che il protrarsi delle
procedure non consente il rispetto dei
termini originariamente fissati circostanza
quest'ultima che potrebbe essere imputabile
all'amministrazione”;
- che “(…) … l'istituto della proroga
riveste caratteri eccezionali e la sua
operatività deve essere giustificata dalla
reale sussistenza di oggettive difficoltà al
compimento di atti espropriativi, e comunque
non dipendenti dalla volontà dell’Ente
espropriante”;
- che “in base all'art. 13 della Legge n.
2359 del 1865 (…) non costituisce valida
ragione giustificativa la generica
motivazione relativa al protrarsi delle
procedure espropriative, che non abbia
consentito il rispetto dei termini
originariamente fissati”;
- che “è illegittimo il provvedimento con
cui l'amministrazione dispone la proroga dei
predetti termini, limitandosi a dare atto
dell'impossibilità di concludere le
procedure per l'esistenza di un contenzioso
(non meglio specificato nel contesto del
provvedimento), trattandosi di circostanza
non riconducibile al concetto di forza
maggiore o di impedimento obiettivo ed
insuperabile”;
► quanto al principio enunciato sub d):
- che “qualora siano scaduti i termini
fissati per il compimento
dell'espropriazione”, la proroga -ove possa
essere disposta- “… deve provenire dalla
stessa autorità che ha dichiarato la
pubblica utilità ed ha fissato i termini
originari …”;
- che "è illegittima la proroga dei termini
per la conclusione delle espropriazione che
non sia stabilita dalla medesima autorità
che ha dichiarato di pubblica utilità";
► quanto al principio enunciato sub e):
- che “quando un sub-procedimento non fa
parte dell'ordinaria sequenza
procedimentale, come nel caso in cui
riguardi la proroga dei termini per il
completamento dei lavori di un'opera
pubblica e della dichiarazione di pubblica
utilità, l'amministrazione deve inviare ai
diretti interessati un apposito avviso di
inizio del procedimento ex art. 7 l. n. 241
del 1990”;
- che “la comunicazione di avvio del
procedimento è stata ritenuta necessaria
anche nel procedimento finalizzato a
prorogare i termini del provvedimento di
dichiarazione di pubblica utilità, stante la
sua natura di sub procedimento autonomo
all'interno di quello più generale volto
alla dichiarazione di pubblica utilità,
anche se implicito, nell'approvazione del
progetto di opera pubblica. (…) Del resto la
proroga è un provvedimento discrezionale,
rispetto al quale la partecipazione del
privato non è inutile e può servire ad
evidenziare la sussistenza degli eccezionali
presupposti per l'adozione del
provvedimento";
- che “è illegittima la proroga dei termini
della dichiarazione di pubblica utilità non
preceduta dalla comunicazione di avvio del
procedimento”;
- che “nell'ambito di un procedimento
espropriativo il provvedimento che proroga i
termini per l'intervento ablativo
costituisce il frutto di un autonomo sub
procedimento eventuale e straordinario
rispetto al procedimento tipico; pertanto,
in tal caso, l'amministrazione ha l'obbligo
di comunicare l'avvio del sub procedimento
col quale si proroga il termine di
assoggettamento del bene privato
all'intervento ablativo”;
- che “anche in relazione al procedimento di
proroga dei termini per l'espropriazione
deve essere consentita la partecipazione
degli eventuali interessati, potendo l'atto
di proroga influire su diversi aspetti, tra
cui quello del momento del pagamento
dell'indennità”;
► quanto al principio enunciato sub f):
- che “è illegittimo il provvedimento che,
in luogo di rimuovere l'intera procedura,
disponga la proroga dei termini per l'inizio
della procedura espropriativa stabiliti nel
decreto di dichiarazione di pubblica utilità
in sanatoria dell'avvenuta scadenza di
termini stessi”;
- che “la rinnovazione della procedura
espropriativa a differenza dell'istituto
della proroga dei termini - opera sempre in
soluzione di continuità rispetto alla
pregressa fase, alla quale non ha la
possibilità di raccordarsi con effetti "ex
tunc"; conseguentemente è necessario che
alla data di adozione del provvedimento di
riapprovazione sussistano le condizioni di
attualità e concretezza dell'interesse
pubblico che si intendono conseguire con la
realizzazione dell'opera”;
- che “l'art. 13 l. n. 2359 del 1865 dispone
che il decreto dichiarativo della pubblica
utilità deve contenere anche i termini entro
i quali devono iniziarsi e completarsi le
espropriazioni ed i lavori; scaduti tali
termini, la dichiarazione di pubblica
utilità diviene inefficace e non può
procedersi all'espropriazione se non in base
ad una nuova dichiarazione di pubblica
utilità”;
- che “seppure è in facoltà
dell'espropriante condurre a realizzazione
un progetto di opera pubblica, di cui siano
scaduti i termini obbligatoriamente indicati
per il compimento dei lavori, è necessario
che la riapprovazione dia luogo ad una nuova
dichiarazione di pubblica utilità, con un
nuovo avvio del procedimento finalizzato a
tale dichiarazione e con una nuova
fissazione dei termini, essendo
insufficiente la mera proroga dei termini
originariamente fissati”.
In punto di giurisdizione la
Sezione ritiene di non aver motivo per
discostarsi nella circostanza dall’ormai
consolidato indirizzo giurisprudenziale
secondo il quale, nella materia dei
procedimenti di espropriazione per pubblica
utilità, ad eccezione delle ipotesi in cui
manchi del tutto una dichiarazione di
pubblica utilità dell’opera e
l’Amministrazione espropriante abbia agito
nell’assoluto difetto di una potestà
ablativa come mancanza di qualunque facultas
agendi vincolata o discrezionale di elidere
o comprimere detto diritto –devolute come
tali alla giurisdizione ordinaria, sono
devolute alla giurisdizione amministrativa
esclusiva le controversie nelle quali si
faccia questione -anche ai fini
complementari della tutela risarcitoria- di
attività di occupazione e trasformazione di
un bene conseguenti ad una dichiarazione di
pubblica utilità e con essa congruenti,
anche se il procedimento all'interno del
quale sono state espletate non sia sfociato
in un tempestivo e formale atto traslativo
della proprietà ovvero sia caratterizzato
dalla presenza di atti poi dichiarati
illegittimi, purché vi sia un collegamento
all’esercizio della pubblica funzione (Cons.
Stato, IV, 04.04.2011, n. 2113; TAR
Lombardia, Brescia, I, 18.12.2008, n. 1796;
01.06.2007, n. 466; Cons. Stato, A.P.
30.07.2007, n. 9 e 22.10.2007, n. 12; TAR
Basilicata, 22.02.2007, n. 75; TAR Puglia,
Bari, III, 9.02.2007, n. 404; TAR
Lombardia, Milano, II, 18.12.2007, n. 6676;
TAR Lazio, Roma, II, 03.07.2007, n. 5985;
TAR Toscana, I, 14.09.2006, n. 3976; Cass.
Civ., SS.UU., 20.12.2006, nn. 27190, 27191 e
27193).
Mentre le domande risarcitorie e
restitutorie relative a fattispecie di
occupazione usurpativa rientrano nella
giurisdizione ordinaria, così come il
giudice amministrativo -nello stabilire
l’importo del danno da ablazione illegittima- non può includervi anche quanto dovuto per
il periodo di occupazione legittima, la cui
valutazione pure è di spettanza del giudice
ordinario a norma degli artt. 53, comma 3 e
54 T.U. 08.06.2001, n. 327, viceversa
sussiste la giurisdizione esclusiva del
giudice amministrativo in caso di danni
conseguenti all’annullamento della
dichiarazione di pubblica utilità e, in
generale, di un provvedimento amministrativo
in tema di espropriazione per pubblica
utilità.
Peraltro di recente si è affermato
(Cons. Stato, IV, 02.03.2010, n. 1222) che
l’art. 53 del DPR n. 327/2001, per come
ispirato al principio di concentrazione dei
giudizi, ha attribuito rilevanza decisiva ai
provvedimenti che impongono il vincolo
preordinato all’esproprio e a quelli che
dispongono la dichiarazione di pubblica
utilità: una volta attivato il procedimento
caratterizzato dall’esercizio del pubblico
potere, sussiste la giurisdizione
amministrativa esclusiva in relazione a
tutti i conseguenti atti e comportamenti e
ad ogni controversia che sorga su di essi,
anche quando trattasi di procedimenti
espropriativi diretti alla esecuzione dei
lavori per la realizzazione o la
modificazione di un’opera pubblica e di atti
strumentali alla realizzazione di detta
finalità pubblica (Cass. Civ., SS. UU.,
ord.za 16.12.2010, n. 25393).
Si è dunque in
presenza di una fattispecie riconducibile
alla giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo, per come derivante da
esercizio di un pubblico potere, anche nel
caso in cui si lamenti formalmente
l’occupazione di aree non comprese
nell’ambito della procedura espropriativa,
ma in realtà si abbia riguardo al decreto di
esproprio, cioè alla determinazione del suo
effettivo contenuto, per la dedotta
occupazione di una superficie superiore a
quella presa in considerazione da una
precedente ordinanza di occupazione
d’urgenza, poiché ai fini della liceità o
meno va verificato lo specifico contenuto
degli atti e degli accordi posti in essere
nel corso del procedimento ablatorio.
Ritenuta dunque la giurisdizione sulla
domanda di reintegra nel possesso proposta
da parte ricorrente, resta da stabilire se
le forme di tutela siano quelle previste
dall’art 703 c.p.c., che rinvia agli art.
669 bis e ss. c.p.c., oppure quelle proprie
del processo amministrativo. Ritiene il
Collegio di seguire la seconda impostazione,
poiché, come ha rilevato la Corte
Costituzionale –investita di una questione
di legittimità con riferimento
all’inesistenza di un tutela cautelare ante causam avanti al g.a.– l’applicazione di
istituti processual-civilistici non è
giustificabile qualora le esigenze ad essi
sottese vengano effettivamente tutelate da
istituti propri del processo amministrativo
(idem TAR Umbria, 04.09.2002, n. 652). Nel
caso in esame l’esigenza di tutela
immediata, soddisfatta dagli artt. 703 - 669-bis e ss. c.p.c., è efficacemente garantita
mediante il procedimento di cui all’art
23-bis della Legge n. 1034/1971 (ora art. 119
del Decr. Legisl. 02/07/2010, n. 104 di
riordino del processo amministrativo), di
cui sussistono tutti i presupposti
applicativi (essendo, in particolare, la
controversia oggetto del presente giudizio
contemplata dalla lettera b) del medesimo
articolo).
Il comportamento tenuto dalla
Amministrazione, la quale abbia emanato una
valida dichiarazione di pubblica utilità ed
un legittimo decreto di occupazione
d'urgenza senza tuttavia emanare il
provvedimento definitivo di esproprio nei
termini previsti dalla legge, deve essere,
poi, qualificato come "illecito permanente",
nella cui vigenza non decorre la
prescrizione, ciò perché in questo caso
manca un effetto traslativo della proprietà,
stante la mancanza del provvedimento di
esproprio, connesso alla mera irrevocabile
modifica dei luoghi. Per questo motivo,
salva restando la possibilità di optare per
le differenti forme "risarcitorie" che
l'ordinamento appresta (restituzione del
bene ovvero risarcimento del danno per
equivalente), il soggetto privato del
possesso può agire nei confronti dell'ente
pubblico senza dover sottostare al termine
prescrizionale quinquennale decorrente dalla
trasformazione irreversibile del bene, con
l’unico limite temporale rinvenibile
nell’acquisto della proprietà, per
usucapione ventennale del bene,
eventualmente maturata dall’ente pubblico
(cfr. TAR Sicilia, Palermo, 01.02.2011, n.
175).
Tali principi sono stati peraltro codificati
in termini di giurisdizione esclusiva del
giudice amministrativo ex art. 133, comma 1,
lett. f), del Codice del processo
amministrativo (allegato 1 del D.Lgs. 02.07.2010 n. 104) nell’ipotesi di
comportamento dell’Amministrazione
riconducibile all’esercizio del pubblico
potere che si sia manifestato per il tramite
della dichiarazione di pubblica utilità
della quale non risulta dimostrata la
perdita d'efficacia, nonché nelle
controversie aventi ad oggetto atti,
provvedimenti e comportamenti della P.A. in
materia di espropriazioni per pubblica
utilità di cui alla successiva lett. g) del
citato art. 133 ove si è espressamente
contemplata la giurisdizione esclusiva di
questo giudice, ferma la giurisdizione del
giudice ordinario per le ipotesi di
determinazione e corresponsione delle
indennità in conseguenza dell’adozione di
atti di natura espropriativa o ablativa.
---------------
La
Sezione come in recente precedente
(07.02.2012, n. 613) osserva quanto ai
“principi-cardine” che regolano la materia
dell’espropriazione che:
a)
i termini per l’inizio e la conclusione
delle procedure espropriative devono essere
fissati fin dall’atto con cui si dichiara la
pubblica utilità dell’opera (o con cui si
approva il progetto che dà avvio alla
procedura stessa). In mancanza di ciò
l’espropriazione è illegittima;
b)
l’inutile decorso dei termini fissati
dall’Amministrazione per l’avvio e per la
conclusione delle procedure espropriative
determina l’inefficacia della originaria
dichiarazione di pubblica utilità, con
conseguente illegittimità del decreto di
espropriazione (che si ritiene adottato,
anch’esso, fuori termine);
c)
se l’Amministrazione intende prorogare il
termine (per l’avvio o per la conclusione
della procedura espropriativi) può farlo, purché prima che il termine sia ormai
scaduto, “motivando” in ordine alle ragioni
che rendono necessaria la proroga e sempre
che il ritardo non sia dipeso da cause ad
essa imputabili, ma da fatti dipendenti da
forza maggiore o, comunque, di altre ragioni
non dipendenti dalla sua volontà;
d)
la proroga non può che essere accordata
dallo stesso Organo che ha fissato il
termine originario;
e)
la proroga va notificata o comunque
comunicata ai soggetti espropriandi, i quali
devono essere coinvolti nel sub-procedimento
che si innesta su quello principale e posto
nelle condizioni di interloquire;
f)
se il termine per l’avvio o per la
conclusione della procedura espropriativa è
inesorabilmente scaduto e non appare
prorogabile (per mancanza dei presupposti
sopra indicati), l’Amministrazione ben può
rinnovare l’intera procedura, ma per farlo
deve ricominciare (ex novo) dalla
“dichiarazione di pubblica utilità”, non
potendo ritenere ancora efficace quella
concernente il procedimento estintosi per
inutile decorso dei termini.
Quanto sopra è peraltro condiviso dalla
giurisprudenza, la quale ha ritenuto:
►
quanto al
principio enunciato sub a):
- che “la mancata indicazione dei termini per la conclusione dei
lavori e della procedura espropriativa, di
cui all'art. 13 della Legge n. 2359 del 1865
determina l'illegittimità ab origine
dell'occupazione di urgenza e l'illiceità
permanente dell'opera pubblica, dovendosi
escludere che vi possano essere successive indicazioni di
detti termini ovvero atti di sanatoria della
dichiarazione di pubblica utilità in cui
essi siano omessi” (Cass. Civ., SS. UU.,
30.03.2007, n. 7881);
- che “la mancata
indicazione dei termini per l'inizio e la
conclusione della procedura espropriativa e
dei lavori nella delibera consiliare di
avvio della procedura espropriativa, vizia
"in radice" il provvedimento ablatorio"
(Cons. Stato, IV, 20.03.2000, n. 1498);
- che
“dall'annullamento giurisdizionale della
delibera di proroga dei termini per il
compimento delle operazioni espropriative
deriva in via immediata e diretta
l'illegittimità del decreto di
espropriazione per caducazione dell'atto
presupposto, ovvero dell'atto di proroga
dell'efficacia della dichiarazione di
pubblica utilità” (Cons. Stato, IV,
31.07.2000, n.4215”;
- che “nella dichiarazione
di pubblica utilità dell'opera devono essere
espressamente indicati, oltre ai termini di
inizio e di conclusione della procedura
espropriativa, anche quelli concernenti
l'avvio ed il compimento dei lavori” (Cons.
Stato, V, 18.3.2002, n.1561);
- che “la
necessità di prefissione di termini delle
procedure di espropriazione risponde alla
necessità di carattere costituzionale di
limitare il potere discrezionale delle p.a.
al fine di evitare che i beni dei privati
siano sottoposti ad uno stato di soggezione
per un tempo indeterminato” (Cons. Stato, VI,
04.04.2003, n. 1768);
- che “l'indicazione dei
termini entro i quali dovranno cominciarsi e
concludersi le espropriazioni ed i lavori,
ai sensi dell'art. 13 l. n. 2359 del 1865,
deve figurare nell'atto con il quale si
dichiara un'opera di pubblica utilità,
indifferibilità ed urgenza, all'evidente
fine di far sì che la P.A., che decida di
disporre della proprietà privata con
l'espropriazione, ponga essa stessa dei
limiti temporali per l'inizio e la
conclusione dell'opera che poi dovrà
rispettare” (TAR Lazio, Roma, II,
10.05.2005, n. 3484; 21.06.2007, n. 5656;
TAR Campania, Salerno, I, 08.09.2006,
n. 1330; 11.06.2002, n. 457; TAR Abruzzo
L’Aquila, 20.05.2002, n. 302; Cons. Stato, V,
25.01.2002, n. 399; IV, 17.04.2000, n. 2283; V,
11.01.1999, n. 1758; TAR Veneto, I,
25.06.1998, n. 1206; Cons. Stato, IV,
27.11.1997, n. 1326);
►
quanto al principio enunciato sub b):
- che
“l'art. 13 l. n. 2359 del 1865 dispone che
il decreto dichiarativo della pubblica
utilità deve contenere anche i termini entro
i quali devono iniziarsi e completarsi le
espropriazioni ed i lavori; scaduti tali
termini, la dichiarazione di pubblica
utilità diviene inefficace e non può procedersi all'espropriazione se non in base
ad una nuova dichiarazione di pubblica
utilità" (TAR Lazio, Roma, II, 10.05.2005,
n. 3484; Cons. Stato, VI, 10.10.2002, n.
5443);
- che “qualora siano scaduti i termini
fissati per il compimento
dell'espropriazione, nel provvedimento che
ha dichiarato la pubblica utilità dell'opera
e debba escludersi una valida proroga degli
stessi (…) cessa la legittima occupazione
dell'area destinata all'espropriazione e
diviene irrilevante qualunque proroga del
periodo d'occupazione successivamente
disposta per legge" (Cass. Civ., I,
17.07.2001, n. 9700);
- quanto al principio enunciato sub c):
- che
“il prolungamento dell'efficacia di un
termine presuppone necessariamente che il
termine da prorogare non sia ancora scaduto,
per cui i termini fissati nella
dichiarazione di pubblica utilità dall'art.
13 della Legge n. 2359 del 1865 possono
essere prorogati dall'amministrazione al
fine di prolungare l'efficacia della
dichiarazione di pubblica utilità stessa, a
condizione che la proroga si perfezioni
prima della scadenza del termine che si
intende prorogare” (Cons. Stato, VI,
23.12.2008, n. 6516; IV, 22.05.2006, n. 3025;
TAR Lazio, Roma, II, 10.05.2005, n. 3484;
TAR, Sardegna, II, 13.07.2007, n. 1618;
TAR Lazio, Roma, II, 13.10.2006, n. 10374;
TAR Toscana, III, 05.03.2003, n. 857; Cons.
Stato, IV, 22.12.2003, n. 8462);
- che
“l'istituto della proroga del termine, che
per il suo carattere generale deve trovare
applicazione anche ai termini stabiliti
nelle ipotesi di pubblica utilità "ex lege",
potrà operare solo se la proroga venga
disposta prima della scadenza del triennio
per l'inizio dei lavori, senza che possa
attribuirsi alcun rilievo all'eventuale
maggior termine ancora in corso fissato per
l'ultimazione dell'opera, che comporta a sua
volta l'inefficacia della dichiarazione di
pubblica utilità se i lavori, iniziati
tempestivamente, non vengono ultimati nel
maggiore termine fissato all'atto
dell'approvazione del progetto” (Cass. Civ.,
I, 08.05.2003, n. 6979);
- che “… il
provvedimento di proroga deve essere
motivato e non è sufficiente l'indicazione
che il protrarsi delle procedure non
consente il rispetto dei termini
originariamente fissati circostanza
quest'ultima che potrebbe essere imputabile
all'amministrazione” (Cons. Stato, VI,
10.10.2002, n. 5443; TAR Lazio, Roma, II,
10.05.2005, n. 3484);
- che “(…) … l'istituto
della proroga riveste caratteri eccezionali
e la sua operatività deve essere
giustificata dalla reale sussistenza di
oggettive difficoltà al compimento di atti
espropriativi, e comunque non dipendenti
dalla volontà dell’Ente espropriante” (Cons.
Stato, VI, 04.04.2003, n. 1768; 10.10.2002,
n. 5443; IV, 28.12.2000, n. 6997; 23.11.2000,
n. 6221; TAR Calabria, Reggio Calabria,
08.03.2001, n. 213);
- che “in base all'art. 13
della Legge n. 2359 del 1865 (…) non
costituisce valida ragione giustificativa la
generica motivazione relativa al protrarsi
delle procedure espropriative, che non abbia
consentito il rispetto dei termini
originariamente fissati” (TAR Toscana, III,
05.03.2003, n. 857; Cons. Stato, VI,
04.04.2003, n. 1768; IV, 28.12.2000, n.
6997);
- che “è illegittimo il provvedimento con cui
l'amministrazione dispone la proroga dei
predetti termini, limitandosi a dare atto
dell'impossibilità di concludere le
procedure per l'esistenza di un contenzioso
(non meglio specificato nel contesto del
provvedimento), trattandosi di circostanza
non riconducibile al concetto di forza
maggiore o di impedimento obiettivo ed
insuperabile” (TAR Calabria, Reggio
Calabria, 08.03.2001, n. 213);
►
quanto al principio enunciato sub d):
- che
“qualora siano scaduti i termini fissati per
il compimento dell'espropriazione”, la
proroga -ove possa essere disposta- “…
deve provenire dalla stessa autorità che ha
dichiarato la pubblica utilità ed ha fissato
i termini originari …” (Cass. Civ., I,
17.07.2001, n. 9700);
- che "è illegittima la
proroga dei termini per la conclusione delle
espropriazione che non sia stabilita dalla
medesima autorità che ha dichiarato di
pubblica utilità" (Cons. Stato, VI, 02.05.2006,
n. 2423);
►
quanto al principio enunciato sub e):
- che
“quando un sub-procedimento non fa parte
dell'ordinaria sequenza procedimentale, come
nel caso in cui riguardi la proroga dei
termini per il completamento dei lavori di
un'opera pubblica e della dichiarazione di
pubblica utilità, l'amministrazione deve
inviare ai diretti interessati un apposito
avviso di inizio del procedimento ex art. 7
l. n. 241 del 1990” (Cons. Stato, IV,
16.03.2001, n. 1578);
- che “la comunicazione di
avvio del procedimento è stata ritenuta
necessaria anche nel procedimento
finalizzato a prorogare i termini del
provvedimento di dichiarazione di pubblica
utilità, stante la sua natura di sub
procedimento autonomo all'interno di quello
più generale volto alla dichiarazione di
pubblica utilità, anche se implicito,
nell'approvazione del progetto di opera
pubblica. (…) Del resto la proroga è un
provvedimento discrezionale, rispetto al
quale la partecipazione del privato non è
inutile e può servire ad evidenziare la
sussistenza degli eccezionali presupposti
per l'adozione del provvedimento" (Cons.
Stato, VI, 10.10.2002, n. 5443);
- che “è
illegittima la proroga dei termini della
dichiarazione di pubblica utilità non
preceduta dalla comunicazione di avvio del
procedimento” (Cons. Stato, VI, 10.10.2002,
n. 5443);
- che “nell'ambito di un procedimento
espropriativo il provvedimento che proroga i
termini per l'intervento ablativo
costituisce il frutto di un autonomo sub
procedimento eventuale e straordinario
rispetto al procedimento tipico; pertanto,
in tal caso, l'amministrazione ha l'obbligo
di comunicare l'avvio del sub procedimento
col quale si proroga il termine di
assoggettamento del bene privato
all'intervento ablativo” (TAR Lazio,
Roma, II, 13.10.2006, n. 10374);
- che “anche
in relazione al procedimento di proroga dei
termini per l'espropriazione deve essere
consentita la partecipazione degli eventuali
interessati, potendo l'atto di proroga
influire su diversi aspetti, tra cui quello
del momento del pagamento dell'indennità”
(Cons. Stato, VI, 05.12.2007, n. 6183);
►
quanto al principio enunciato sub f):
- che
“è illegittimo il provvedimento che, in
luogo di rimuovere l'intera procedura,
disponga la proroga dei termini per l'inizio
della procedura espropriativa stabiliti nel
decreto di dichiarazione di pubblica utilità
in sanatoria dell'avvenuta scadenza di
termini stessi” (Cons. Stato, IV,
23.11.2000, n. 6221);
- che “la rinnovazione
della procedura espropriativa a differenza
dell'istituto della proroga dei termini -
opera sempre in soluzione di continuità
rispetto alla pregressa fase, alla quale non
ha la possibilità di raccordarsi con effetti
"ex tunc"; conseguentemente è necessario che
alla data di adozione del provvedimento di
riapprovazione sussistano le condizioni di
attualità e concretezza dell'interesse
pubblico che si intendono conseguire con la
realizzazione dell'opera” (Cons. Stato, IV,
24.07.2003, n. 4239);
- che “l'art. 13 l. n.
2359 del 1865 dispone che il decreto
dichiarativo della pubblica utilità deve
contenere anche i termini entro i quali
devono iniziarsi e completarsi le
espropriazioni ed i lavori; scaduti tali
termini, la dichiarazione di pubblica
utilità diviene inefficace e non può procedersi all'espropriazione se non in base
ad una nuova dichiarazione di pubblica
utilità” (Cons. Stato, VI, 02.05.2006, n.
2423; 10.10.2002 n. 5443; TAR Lazio,
Roma, II, 10.05.2005, n. 3484; Cons. Stato, IV, 23.11.2000, n. 6221; 24.07.2003, n. 4239;
TAR Toscana, III, 13.11.2002, n. 2699;
Cons. Stato, VI, 10.10.2002, n. 5443);
- che
“seppure è in facoltà dell'espropriante
condurre a realizzazione un progetto di
opera pubblica, di cui siano scaduti i
termini obbligatoriamente indicati per il
compimento dei lavori, è necessario che la riapprovazione dia luogo ad una nuova
dichiarazione di pubblica utilità, con un
nuovo avvio del procedimento finalizzato a
tale dichiarazione e con una nuova
fissazione dei termini, essendo
insufficiente la mera proroga dei termini
originariamente fissati” (Cass. Civ., SS. UU.,
26.04.2007, n. 10024) (TAR Campania-Napoli, Sez. V,
sentenza 02.07.2012 n. 3127 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ESPROPRIAZIONE:
Sulla
cosiddetta “espropriazione
indiretta” o “sostanziale” in assenza di un
idoneo titolo previsto dalla legge.
Ai fini
dell’annullamento dell’atto oggetto di
impugnazione, occorre poi tener conto
dell’orientamento comunitario (Corte Europea
Diritti Uomo, 06.03.2007, n. 43662) che
preclude di ravvisare una “espropriazione
indiretta” o “sostanziale” in assenza di un
idoneo titolo previsto dalla legge.
Il T.U. n. 327/2001, attraverso la
disciplina contenuta nell’art. 43, aveva
originariamente introdotto un meccanismo che
attribuiva all’Amministrazione il potere di
acquisire la proprietà dell’area con un atto
formale di natura ablatoria e discrezionale
al termine del procedimento nel corso del
quale vanno motivatamente valutati gli
interessi in conflitto; il citato art. 43
era stato in definitiva emesso dal
Legislatore delegato per consentire
all'Amministrazione di adeguare la
situazione di fatto a quella di diritto
quando il bene fosse stato <modificato per
scopi di interesse pubblico> (fermo restando
il diritto del proprietario di ottenere il
risarcimento del danno).
La Corte
Costituzionale, però, con sentenza n. 293
dell’08.10.2010, ha dichiarato
l’illegittimità costituzionale del cennato
art. 43: muovendo dalla contrapposizione tra
la Corte di Cassazione, che esclude
l’ammissibilità dell’adozione di un
provvedimento di acquisizione sanante ex
art. 43 con riguardo alle occupazioni appropriative verificatesi prima
dell’entrata in vigore del D.P.R. n. 327 del
2001, e il Consiglio di Stato, secondo il
quale «la procedura di acquisizione in
sanatoria di un’area occupata sine titulo,
descritta dal citato articolo 43, trova una
generale applicazione anche con riguardo
alle occupazioni attuate prima dell’entrata
in vigore della norma», la Consulta ha
affrontato la possibilità di acquisire alla
mano pubblica un bene privato, in precedenza
occupato e modificato per la realizzazione
di un’opera di interesse pubblico, anche nel
caso in cui l’efficacia della dichiarazione
di pubblica utilità sia venuta meno, con
effetto retroattivo, in conseguenza del suo
annullamento o per altra causa, o anche in
difetto assoluto di siffatta dichiarazione.
Preso atto che la delega riguardava il
«riordino» delle norme elencate
nell’allegato I alla legge n. 59 del 1997
ed, in particolare, il «procedimento di
espropriazione per causa di pubblica utilità
e altre procedure connesse: legge 25.06.1865, n. 2359; legge 22.10.1971, n.
865», il giudice delle leggi ha affermato la
necessità che, in ogni caso, si faccia
riferimento alla ratio della delega, si
tenga conto della possibilità di introdurre
norme che siano un coerente sviluppo dei
principi fissati dal legislatore delegato e
detta discrezionalità venga esercitata
nell’ambito dei limiti stabiliti dai
principi e criteri direttivi.
In definitiva l’istituto previsto e
disciplinato dall’art. 43 era connotato da
numerosi aspetti di novità, rispetto sia
alla disciplina espropriativa oggetto delle
disposizioni espressamente contemplate dalla
legge-delega, sia agli istituti di matrice
prevalentemente giurisprudenziale, specie
nel momento in cui si era introdotta la
possibilità per l’Amministrazione e per chi
utilizza il bene di chiedere al giudice
amministrativo, in ogni caso e senza limiti
di tempo, la condanna al risarcimento in
luogo della restituzione; nel regime
risultante dalla norma impugnata, inoltre,
si era previsto un generalizzato potere di
sanatoria, attribuito alla stessa
Amministrazione che aveva commesso
l'illecito, a dispetto di un giudicato che
disponeva il ristoro in forma specifica del
diritto di proprietà violato. Il Legislatore
delegato, in definitiva, non poteva innovare
del tutto e derogare ad ogni vincolo alla
propria discrezionalità esplicitamente
individuato dalla legge-delega, dovendo
piuttosto limitarsi a disciplinare in modi
diversi la materia e ad espungere del tutto
la possibilità di acquisto connesso
esclusivamente a fatti occupatori,
garantendo la restituzione del bene al
privato in analogia con altri ordinamenti
europei.
A seguito dell’eliminazione dal mondo
giuridico dell'istituto della cd.
“acquisizione sanante” di cui all'art. 43
D.P.R. n. 327 del 2001, la Sezione (a
partire dalle pronunce nn. 261 e 262 del 18.01.2011) ha ritenuto che in siffatte
ipotesi il comportamento tenuto
dall’Amministrazione dovesse essere
qualificato non già come illecito, bensì
come illegittimo; si trattava di
un’illegittimità a cui non poteva porsi
rimedio neppure riesumando l'istituto di
origine giurisprudenziale della cosiddetta
“espropriazione sostanziale” -nelle due
ipotesi alternative della occupazione
acquisitiva o usurpativa- perché tale
istituto era stato ritenuto in contrasto con
l'ordinamento comunitario (cfr.: TAR
Sicilia Palermo I, 01.02.2011 n. 175; idem III,
21.01.2011 n. 115).
Del resto in nessun caso
-neppure a fronte della sopravvenuta
irreversibile trasformazione del suolo per
effetto della realizzazione dell’opera
pubblica- era possibile giungere ad una
condanna puramente risarcitoria a carico
dell’Amministrazione, poiché una tale
pronuncia presupponeva in ogni caso
l’avvenuto trasferimento della proprietà del
bene per fatto illecito dalla sfera
giuridica di parte ricorrente, originaria
proprietaria, a quella della P.A. che se ne
è illecitamente impossessata, esito, questo,
non consentito dal primo protocollo
addizionale della Convenzione Europea dei
diritti dell’uomo e dalla giurisprudenza
della Corte Europea dei diritti dell’uomo
(cfr. TAR Calabria, Catanzaro, I, 01.07.2010, n. 1418).
Pertanto, ricorrendone i
presupposti le Amministrazioni sono state
condannate alla restituzione a parte
ricorrente degli immobili in ragione
dell’accertato utilizzo degli stessi per
come materialmente appresi sia pure per fini
pubblicistici, atteso l’irrilevanza,
nell’ottica di una eventuale traslazione
della proprietà della res, che fosse stata
realizzata l’opera pubblica nella misura in
cui questa aveva modificato la destinazione
originaria del cespite e recato un
pregiudizio patrimoniale e non a carico di
parte ricorrente. Tale statuizione era
peraltro compatibile con la restituzione dei
cespiti e facoltà dello ius tollendi
concessa al proprietario dei manufatti alle
condizioni previste dall'art. 935 c.c.,
comma 1 e art. 937 c.c., laddove il diritto
al risarcimento e l’applicabilità
dell’art.2058 c.c. sarebbero entrati in
discussione ove si fosse rientrati nella
materia risarcitoria.
In costanza di vuoto normativo, le
Sezioni Unite della Corte di Cassazione
(31.05.2011, n. 11963) hanno affermato che
l’irreversibile trasformazione, anche
parziale, del fondo determina l’acquisto
della proprietà del bene, nei limiti della
parte trasformata, da parte
dell’Amministrazione che aveva dato corso al
processo espropriativo, mentre l’eventuale
domanda di risarcimento in forma specifica
sarebbe ordinariamente destinata ad avere
esito negativo, dovendo trovare prioritario
soddisfacimento l’interesse posto a base
della realizzazione dell’opera pubblica.
Dal
canto suo, a titolo esemplificativo, la
giurisprudenza amministrativa (TAR
Emilia-Romagna, Parma, I, 12.07.2011, n 245)
ha ritenuto che, proprio a seguito del
citato vuoto normativo, ove il privato
avesse chiesto unicamente il risarcimento
del danno per equivalente in ragione
dell’irreversibile trasformazione del bene,
detta richiesta andava considerata come
rinuncia alla restituito in integrum;
comunque la richiesta del solo risarcimento
per equivalente non determinerebbe un
effetto abdicativo della proprietà
all’Amministrazione occorrendo piuttosto un
accordo transattivo tra le parti (Cons.
Stato, IV, 13.06.2011, n. 3561; 01.06.2011,
n. 3331; 28.01.2011, n. 676), mentre se il
privato dovesse insistere per la tutela
restitutoria la stessa andrebbe disposta
eccezion fatta per la ricorrenza dei
presupposti per l’applicazione degli
artt. 2933, comma 2, o 2058 c.c. Di recente si
è poi affermato (Cons. Stato, IV, 29.08.2011,
n. 4833) che, essendo venuto meno il
procedimento espropriativo accelerato di cui
al citato art. 43, la P.A. avrebbe potuto
apprendere il bene facendo uso unicamente
del contratto tramite l’acquisizione del
consenso della controparte, ovvero del
provvedimento anche in assenza del consenso
ma con riedizione del procedimento
espropriativo con le sue garanzie.
Ad oltre nove mesi dalla sentenza di
incostituzionalità dell’originario art. 43,
con l’art. 34 del Decreto-Legge 06.07.2011,
n. 98 convertito in Legge 15.07.2011, n. 111
(in materia di misure urgenti per la
stabilizzazione finanziaria) è stato
reintrodotto attraverso l’art. 42-bis
l’istituto dell’acquisizione coattiva
dell’immobile del privato utilizzato
dall’Amministrazione per fini di interesse
pubblico, potendosi acquisire al suo
patrimonio indisponibile il bene del privato allorché la sua utilizzazione risponde a
“scopi di interesse pubblico” nonostante
difetti un valido ed efficace provvedimento
di esproprio o dichiarativo della pubblica
utilità.
Dunque anche nell’attuale quadro
normativo l’Amministrazione ha l’obbligo
giuridico di far venire meno l’occupazione
sine titulo e deve adeguare la situazione di
fatto a quella di diritto, o attraverso la
restituzione dei terreni ai titolari con
demolizione di quanto realizzato e relativa
riduzione in pristino (affrontando le
relative spese), ovvero attivandosi perché
vi sia un titolo d’acquisto dell’area da
parte del soggetto attuale possessore e che
sia demolito, paradossalmente, quanto
altrimenti risulterebbe meritevole di essere
ricostruito (Cons. Stato, VI, 01.12.2011,
n. 6351).
A seguito di un siffatto
provvedimento autoritativo sopravvenuto la
domanda di restituzione dell’area diventa
improcedibile, mentre l’obbligo
motivazionale ai sensi del nuovo comma 4
impone di dare conto dell’assenza di
ragionevoli alternative alla adozione del
nuovo provvedimento, che entro trenta giorni
va anche comunicato alla Corte dei Conti
(comma 7); ancora nella nuova versione
(commi 1, 2, 3 e 4) si fa riferimento
all’indennizzo, piuttosto che al
risarcimento del danno, quale corrispettivo
dell’attività posta in essere
dall’Amministrazione, ciò forse per la
liceità dell’attività, non retroattiva,
posta in essere dall’Autorità agente.
Laddove prima, anche in sede di contenziosi
diretti alla restituzione di un bene
utilizzato per scopi di interesse pubblico,
la P.A. poteva chiedere che il giudice
amministrativo disponesse la condanna al
risarcimento del danno, con esclusione della
restituzione, e successiva adozione del
provvedimento sanante dall’Amministrazione
interessata, ora (comma 2) il provvedimento
di acquisizione può essere adottato anche in
corso di giudizio di annullamento previo
ritiro dell’atto impugnato; il potere
acquisitivo dell’Amministrazione è
esercitabile anche in presenza di una
pronunzia giurisdizionale passata in
giudicato che abbia annullato il
provvedimento che costituiva titolo per
l’utilizzazione dell’immobile da parte della
stessa Amministrazione, atteso che il
giudicato è intervenuto sull’atto annullato
e non sul rapporto tra privato ed
Amministrazione.
Il nuovo atto, che
l’Amministrazione è legittimata ad adottare finché perdura lo stato di utilizzazione pur
se illegittima del bene del privato, è
distinto da quello annullato, tant’è che non
opera con efficacia retroattiva e non ha una
funzione sanante del provvedimento
annullato; in ogni caso la P.A. deve porre
in essere tutte le iniziative necessarie per
porre fine alla perdurante situazione di
illiceità, restituendo il bene al privato
solo quando siano cessate le ragioni di
pubblico interesse che avevano comportato
l’utilizzazione del suolo, dovendo in caso
contrario acquisire al suo patrimonio
indisponibile il bene su cui insiste o dovrà
essere realizzata l’opera pubblica o di
pubblico interesse.
Va poi preso atto che la
Corte di Strasburgo non si è pronunciata più
in senso critico nei confronti dell’istituto
originariamente disciplinato dal citato
art. 43, mentre la previsione di una “legale
via d’uscita” con l’esercizio di un potere
basato sull’accertamento dei fatti e sulla
valutazione degli interessi in conflitto
appare immune da questioni di
costituzionalità (Cons. Stato, VI,
15.03.2012, n. 1438) in quanto conforme alle
disposizioni della CEDU ed alla
giurisprudenza della Corte di Strasburgo che
in passato ha condannato la Repubblica
italiana proprio perché i giudici nazionali
avevano riscontrato la perdita della
proprietà in assenza di un valido
provvedimento motivato.
Premesso che in ogni caso non sarà possibile
la restituzione della nuda proprietà
superficiaria al privato, atteso che ciò che
rileva è appunto l’idoneità del bene del
privato a soddisfare, attraverso la sua
trasformazione fisica, l’interesse pubblico
perseguito dall’Amministrazione, la prima
giurisprudenza (TAR Sicilia, Catania, III,
19.08.2001, n. 2102) successiva all’entrata in
vigore del nuovo art. 42-bis ha ritenuto che
il giudice amministrativo, anche
nell’esercizio dei propri poteri equitativi
e nella logica di valorizzare la ratio della
novella legislativa di far sì che
l’espropriazione della proprietà privata per
scopi di pubblica utilità non si trasformi
in un danno ingiusto a carico del cittadino
e che gli effetti indennitari e/o
risarcitori conseguano necessariamente ad un
formale provvedimento della PA, possa
accogliere la domanda risarcitoria derivante
dall’occupazione senza titolo di un bene
privato per scopi di interesse pubblico, se
irreversibilmente trasformato, differendone
però gli effetti all’emissione di un formale
provvedimento acquisitivo ai sensi dello
stesso art. 42-bis
(TAR Campania-Napoli, Sez. V,
sentenza 02.07.2012 n. 3127 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
In presenza di
manufatti abusivi non sanati né condonati,
gli interventi ulteriori (sia pure
riconducibili, nella loro oggettività, alle
categorie della manutenzione straordinaria,
del restauro e/o risanamento conservativo,
della ristrutturazione, della realizzazione
di opere costituenti pertinenze
urbanistiche) ripetono le caratteristiche di
illegittimità dell'opera principale alla
quale ineriscono strutturalmente, sicché
non può ammettersi la prosecuzione dei
lavori abusivi a completamento di opere che,
fino al momento di eventuali sanatorie,
devono ritenersi comunque abusive, con
conseguente obbligo del comune di ordinarne
la demolizione.
Ciò non significa negare in assoluto la
possibilità di intervenire su immobili
rispetto ai quali pende istanza di condono,
ma solo affermare che, a pena di
assoggettamento della medesima sanzione
prevista per l’immobile abusivo cui
ineriscono, tanto deve avvenire nel rispetto
delle procedure di legge, ovvero
segnatamente dell’art. 35 della l. n. 47 del
1985, ancora applicabile per effetto dei
rinvii operati dalla successiva legislazione
condonistica.
In definitiva, “in siffatte evenienze la
misura repressiva costituisce atto dovuto,
che non può essere evitata nell’assunto che
per le opere realizzate non fosse necessario
il permesso di costruire o che avessero
natura pertinenziale; ciò perché, in caso di
prosecuzione dei lavori di un immobile già
oggetto di domanda di condono, vale il
diverso principio in forza del quale è la
prosecuzione in sé dei lavori ad essere
preclusa, senza che sia possibile
distinguere tra opere pertinenziali e non,
tra opere soggette al permesso di costruire
ed opere realizzabili con d.i.a.”.
---------------
L’efficacia dei provvedimenti di demolizione
non è suscettibile di essere paralizzata
dalla successiva presentazione di istanze
(di accertamento di conformità,
compatibilità paesaggistica o quant’altro)
che non incidono sulla legittimità dei
provvedimenti sanzionatori in precedenza
emanati, ma unicamente sulla possibilità
dell’amministrazione di portare ad
esecuzione la sanzione, “autonomamente
valutando gli effetti” delle sopravvenute
istanze a detti fini; conclusione questa che
si impone anche nella considerazione che il
legislatore ha imposto un regime di
sospensione automatico ex lege solo in seno
alla legislazione condonistica straordinaria
(artt. 38 e 44 l. 47 del 1985 e rinvii ad
essi operati da quella del 1994 e del 2003)
e non in presenza di istanze di accertamenti
di conformità urbanistica o di verifiche di
compatibilità paesaggistiche.
Ed invero, in primo luogo,
l’amministrazione aveva l’obbligo di
intervenire per sanzionare la realizzazione
in un territorio assoggettato a vincolo
paesaggistico di opere non autorizzate e omnricomprese fra quelle oggetto di istanza
di condono, non potendo, in contrario,
invocarsi alcuna vis actrattiva che
precludesse di disporre il ripristino dello
stato dei luoghi nelle more della
definizione dell’istanza di condono non
comprensiva dei nuovi interventi.
Fermo che dall’istruttoria eseguita è emerso
che gli interventi realizzati non erano
tutti interni alla struttura preesistente,
con quanto ne consegue in termini di
inderogabile necessità della previa
autorizzazione paesaggistica, in ogni caso
natura e dimensione degli interventi non
possono assumere rilievo ai fini invocati ex
latere attoreo alla luce del costante
orientamento della Sezione, confortato da
pronuncia del giudice di appello (Cons.
Stato, sezione quarta, ord. n. 2182 del 18.05.2011), dal quale non vi sono ragioni
per discostarsi, secondo cui “in presenza di
manufatti abusivi non sanati né condonati,
gli interventi ulteriori (sia pure
riconducibili, nella loro oggettività, alle
categorie della manutenzione straordinaria,
del restauro e/o risanamento conservativo,
della ristrutturazione, della realizzazione
di opere costituenti pertinenze
urbanistiche) ripetono le caratteristiche di
illegittimità dell'opera principale alla
quale ineriscono strutturalmente”, sicché
non può ammettersi “la prosecuzione dei
lavori abusivi a completamento di opere che,
fino al momento di eventuali sanatorie,
devono ritenersi comunque abusive”, con
conseguente “obbligo del comune di ordinarne
la demolizione” (cfr. Tar Campania, Napoli,
questa sesta sezione, ex multis, sentenze n.
2006 del 02.05.2012; n. 2624 del 11.05.2011, n. 1218 del 25.02.2011,
n. 26788 del 03.12.2010; 05.05.2010,
n. 2811, 10.02.2010, n. 847 e 28.01.2010, n. 423; sezione seconda,
07.11.2008, n. 19372; negli stessi sensi,
Cass. penale, sezione terza, 24.10.2008, n. 45070).
Sempre come precisato nelle cennate pronunce
della Sezione, ai cui più ampi contenuti
argomentativi può per brevità rinviarsi, ciò
non significa negare in assoluto la
possibilità di intervenire su immobili
rispetto ai quali pende istanza di condono,
ma solo affermare che, a pena di
assoggettamento della medesima sanzione
prevista per l’immobile abusivo cui
ineriscono, tanto deve avvenire nel rispetto
delle procedure di legge, ovvero
segnatamente dell’art. 35 della l. n. 47 del
1985, ancora applicabile per effetto dei
rinvii operati dalla successiva legislazione
condonistica (art. 39 della l. 23.12.1994,
n. 724 ed art. 32 della l. 24.11.2003, n.
326).
Procedura a doversi seguire rigidamente
anche per quanto attiene alle modalità di
presentazione dell’istanza, sia al fine di
conferire certezze in ordine allo stato dei
luoghi che ad evitarsi postumi (tentativi
di) disconoscimenti della circostanza che,
come previsto dalla legge, l’esecuzione
delle opere, pur se autorizzate, avviene
sotto la propria responsabilità, ovverosia
nella piena consapevolezza -resa esplicita
dal ricorso espresso alla procedura ex art.
35 cit.- che, sebbene interventi di natura
eminentemente conservativa possono essere
ammessi, si sta agendo assumendo
espressamente a proprio carico rischi e
pericoli connessi, cosicché se il condono
verrà negato si dovrà demolire anche le
migliorie apportate (cfr. la giurisprudenza
della Sezione, già sopra riportata).
In definitiva, “in siffatte evenienze la
misura repressiva costituisce atto dovuto,
che non può essere evitata nell’assunto che
per le opere realizzate non fosse necessario
il permesso di costruire o che avessero
natura pertinenziale; ciò perché, in caso di
prosecuzione dei lavori di un immobile già
oggetto di domanda di condono, vale il
diverso principio in forza del quale è la
prosecuzione in sé dei lavori ad essere
preclusa, senza che sia possibile
distinguere tra opere pertinenziali e non,
tra opere soggette al permesso di costruire
ed opere realizzabili con d.i.a.” (cfr. Tar
Campania, Napoli, sempre questa sesta
sezione, n. 2006 del 02.05.2012 cit.; 11.05.2011, n. 2626 e sezione settima 14.01.2011, n. 160).
A ciò aggiungendosi, come anticipato, che
l’intervento effettuato, non suscettibile di
atomizzazione (cfr. anche sul punto la
riportata giurisprudenza della Sezione),
incideva sugli esterni ed abbisognava quindi
-comunque- della previa acquisizione del
titolo abilitativo sotto il profilo
paesaggistico.
---------------
Per
consolidato orientamento della Sezione,
confortato da pronunce del giudice di
appello, l’efficacia dei provvedimenti di
demolizione non è suscettibile di essere
paralizzata dalla successiva presentazione
di istanze (di accertamento di conformità,
compatibilità paesaggistica o quant’altro)
che non incidono sulla legittimità dei
provvedimenti sanzionatori in precedenza
emanati, ma unicamente sulla possibilità
dell’amministrazione di portare ad
esecuzione la sanzione, “autonomamente
valutando gli effetti” delle sopravvenute
istanze a detti fini; conclusione questa che
si impone anche nella considerazione che il
legislatore ha imposto un regime di
sospensione automatico ex lege solo in seno
alla legislazione condonistica straordinaria
(artt. 38 e 44 l. 47 del 1985 e rinvii ad
essi operati da quella del 1994 e del 2003)
e non in presenza di istanze di accertamenti
di conformità urbanistica o di verifiche di
compatibilità paesaggistiche (cfr., amplius,
anche per i richiami giurisprudenziali, la
recentissima pronuncia della Sezione n. n.
2644 del 05.06.2012)
(TAR Campania-Napoli, Sez. VI,
sentenza 02.07.2012 n. 3109 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
COMPETENZE GESTIONALI -
EDILIZIA PRIVATA:
La competenza all'emanazione di
sanzioni demolitorie rese
sino al giugno del 1998 deve reputarsi
appartenente al Sindaco (o all’Assessore
competente per materia) e non all'organo
dirigenziale essendo stata la stessa
trasferita espressamente ai dirigenti solo
ai sensi dell'art. 2, comma 12, l. 16.06.1998, n. 191.
Ciò, beninteso, in assenza di norme
regolamentari che, nei singoli Comuni, in
forza della previgente normativa primaria a
partire dalla l. 142 del 1990, avessero già
attuato “il principio legislativo” del
trasferimento delle competenze dal sindaco
agli organi dirigenziali del Comune.
---------------
L’efficacia dei provvedimenti di demolizione
non è suscettibile di essere paralizzata
dalla successiva presentazione di istanze
(di accertamento di conformità,
compatibilità paesaggistica o quant’altro)
che non incidono sulla legittimità dei
provvedimenti sanzionatori in precedenza
emanati, ma unicamente sulla possibilità
dell’amministrazione di portare ad
esecuzione la sanzione “autonomamente
valutando gli effetti” delle sopravvenute
istanze a detti fini; conclusione questa che
si impone anche nella considerazione che il
legislatore ha imposto un regime di
sospensione automatico ex lege solo in seno
alla legislazione condonistica straordinaria
(artt. 38 e 44 l. 47 del 1985 e rinvii ad
essi operati da quella del 1994 e del 2003)
e non in presenza di istanze di accertamenti
di conformità urbanistica o di verifiche di
compatibilità paesaggistiche.
Secondo la costante
giurisprudenza della sezione, la competenza
all'emanazione di sanzioni demolitorie rese
sino al giugno del 1998 deve reputarsi
appartenente al Sindaco (o all’Assessore
competente per materia) e non all'organo
dirigenziale essendo stata la stessa
trasferita espressamente ai dirigenti solo
ai sensi dell'art. 2, comma 12, l. 16.06.1998, n. 191 (cfr.,
ex multis, Tar Campania,
Napoli, questa sesta sezione, 05.06.2012,
n. 2365; 23.05.2012, n. 2373; 30.04.2008, n. 3072;
03.04.2008, n. 1832; cfr.
ancora, negli stessi sensi, Tar Toscana,
Firenze, sezione terza, 26.11.2010, n.
6627).
Ciò, beninteso, in assenza di norme
regolamentari che, nei singoli Comuni, in
forza della previgente normativa primaria a
partire dalla l. 142 del 1990, avessero già
attuato “il principio legislativo” del
trasferimento delle competenze dal sindaco
agli organi dirigenziali del Comune (cfr.
Cons. Stato, sezione quinta, 06.03.2000,
n. 1149 e Tar Campania, sempre questa sesta
sezione, 05.06.2012, n. 2365 cit.):
circostanza, questa, la cui sussistenza qui
non è dedotta.
Migliore sorte non può essere riservata
al secondo mezzo di impugnazione poiché il
provvedimento -in assenza di ogni replica di
merito ex latere attoreo in questa sede
processuale- reca giustificazione esaustiva
nell’indicazione dell’opera realizzata e
nella pure dichiarata assenza di titolo
abilitativo idoneo alla bisogna, senza che
possa poi essere predicata alcuna violazione
delle garanzie partecipative stante la
doverosità di intervenire irrogando la
sanzione ripristinatoria, quale dovuta nelle
fin qui descritte circostanze (cfr. Cons.
Stato, sezione quinta, sentenza 07.04.2011 n. 2159, sezione quarta,
05.03.2010,
n. 1277 e, ex multis, Tar Campania, questa
sesta sezione, sentenze n. 2636 del 05.06.2012 cit., n. 1241 del
09.05.2012; n.
1114 del 05.03.2012, n. 1107 sempre del 05.03.2012; n. 5805 del 14.12.2011 e nn. 2074 e 2076 del 21.04.2010).
La stessa sorte reiettiva deve essere
assicurata al terzo ed ultimo motivo che
residua all’esame, in quanto, sempre a
differenza di quanto suo tramite sostenuto,
in presenza di opere edilizie realizzate
senza titoli idonei su area vincolata, per
far luogo all’emanazione del provvedimento
sanzionatorio in concreto adottato non era
necessario:
- anche avuta presente la legislazione della
regione Campania, acquisire il previo parere
della Commissione Edilizia Integrata (cfr.
Tar Campania, Napoli, questa sezione sesta,
n. 2293 del 18.05.2012, n. 1107 del 05.03.2012 cit., n. 2126 del 13.04.2011,
n. 1770 del 07.04.2010, n. 3530 del 26.06.2009 e n. 2885 del 27.03.2007);
- far luogo a previ accertamenti di danni
ambientali: in re ipsa (cfr. la stessa
giurisprudenza di cui sopra).
Quanto, poi, all’ipotizzata
suscettibilità di un positivo accertamento
di conformità urbanistica ex art. 13 della
l. 47 del 1985 (oggi art. 36 del d.P.R. 380
del 2001) per consolidato orientamento della
Sezione, confortato da pronunce del giudice
di appello, l’efficacia dei provvedimenti di
demolizione non è suscettibile di essere
paralizzata dalla successiva presentazione
di istanze (di accertamento di conformità,
compatibilità paesaggistica o quant’altro)
che non incidono sulla legittimità dei
provvedimenti sanzionatori in precedenza
emanati, ma unicamente sulla possibilità
dell’amministrazione di portare ad
esecuzione la sanzione “autonomamente
valutando gli effetti” delle sopravvenute
istanze a detti fini; conclusione questa che
si impone anche nella considerazione che il
legislatore ha imposto un regime di
sospensione automatico ex lege solo in seno
alla legislazione condonistica straordinaria
(artt. 38 e 44 l. 47 del 1985 e rinvii ad
essi operati da quella del 1994 e del 2003)
e non in presenza di istanze di accertamenti
di conformità urbanistica o di verifiche di
compatibilità paesaggistiche (cfr., amplius,
anche per i richiami giurisprudenziali, la
recentissima pronuncia della Sezione n. 2644
del 05.06.2012)
(TAR Campania-Napoli, Sez. VI,
sentenza 02.07.2012 n. 3107 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La ricostruzione di un edificio diruto
deve qualificarsi, secondo consolidata
giurisprudenza, come nuova opera e, dunque,
non riconducibile ad un intervento di
semplice ristrutturazione.
La ricostruzione di un edificio diruto deve qualificarsi, secondo
consolidata giurisprudenza, come nuova opera
e, dunque, non riconducibile ad un
intervento di semplice ristrutturazione
(cfr. ex multis CdS, Sez. V, 15.04.2004,
n. 2142; TAR Campania, Sez. IV, 14.12.2006 n.
10553)
(TAR Campania-Napoli, Sez. VI,
sentenza 29.06.2012 n. 3096 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
L'art. 27 del d.p.r. 380/2001 sanziona con la
demolizione la realizzazione senza titolo di
nuove opere in zone vincolate e siffatta
misura resta applicabile sia che venga
accertato l'inizio che l'avvenuta esecuzione
di interventi abusivi e non vede la sua
efficacia limitata alle sole zone di inedificabilità
assoluta.
In altri termini, nel modello legale di
riferimento non vi è spazio per
apprezzamenti discrezionali, atteso che
l’esercizio del potere repressivo mediante
applicazione della misura ripristinatoria
costituisce atto dovuto, per il quale è "in
re ipsa" l’interesse pubblico alla sua
rimozione.
L'interesse pubblico al ripristino dello
stato dei luoghi è ‘in re ipsa’ anche perché
la straordinaria importanza della tutela
reale dei beni paesaggistici ed ambientali
elide, in radice, qualsivoglia doglianza
circa la pretesa non proporzionalità della
sanzione ablativa, fermo comunque che, in
presenza dell'operata qualificazione delle
opere realizzate, bisognevoli dei prescritti
titoli abilitativi (e non essendo
rilasciabile a posteriori l'autorizzazione
paesaggistica), alcuno spazio vi è per far
luogo alla sola sanzione pecuniaria.
D’altro canto, è ius receptum in
giurisprudenza il principio secondo cui, una
volta accertata l'esecuzione di opere in
assenza di concessione ovvero in difformità
totale dal titolo abilitativo, non
costituisce onere del Comune verificare la
sanabilità delle opere in sede di vigilanza
sull'attività edilizia: l’atto può ritenersi
sufficientemente motivato per effetto della
stessa descrizione dell’abuso accertato,
presupposto giustificativo necessario e
sufficiente a fondare la spedizione della
misura sanzionatoria.
Ed
invero, la disciplina di settore (id est
art. 27 del d.p.r. 380/2001) sanziona con la
demolizione la realizzazione senza titolo di
nuove opere in zone vincolate e siffatta
misura resta applicabile sia che venga
accertato l'inizio che l'avvenuta esecuzione
di interventi abusivi e non vede la sua
efficacia limitata alle sole zone di inedificabilità assoluta (Tar Campania,
questa sesta sezione, sentenze n. 2076 del
21.04.2010 e n. 1775 del 07.04.2010 e
sezione terza, 11.03.2009, n. 1376).
In altri termini, nel modello legale di
riferimento non vi è spazio per
apprezzamenti discrezionali, atteso che
l’esercizio del potere repressivo mediante
applicazione della misura ripristinatoria
costituisce atto dovuto, per il quale è "in
re ipsa" l’interesse pubblico alla sua
rimozione (cfr. TAR Campania Napoli,
sez. VI, 26.08.2010, n. 17240).
Che, ancora, l'interesse pubblico al
ripristino dello stato dei luoghi è ‘in re ipsa’ anche perché la straordinaria
importanza della tutela reale dei beni
paesaggistici ed ambientali elide, in
radice, qualsivoglia doglianza circa la
pretesa non proporzionalità della sanzione
ablativa, fermo comunque che, in presenza
dell'operata qualificazione delle opere
realizzate, bisognevoli dei prescritti
titoli abilitativi (e non essendo
rilasciabile a posteriori l'autorizzazione
paesaggistica), alcuno spazio vi è per far
luogo alla sola sanzione pecuniaria (Tar
Campania Napoli, sempre questa sesta
sezione, 14.04.2010, n. 1975);
D’altro canto, è ius receptum in
giurisprudenza il principio secondo cui, una
volta accertata l'esecuzione di opere in
assenza di concessione ovvero in difformità
totale dal titolo abilitativo, non
costituisce onere del Comune verificare la
sanabilità delle opere in sede di vigilanza
sull'attività edilizia (TAR Campania,
Sez. IV, 24.09.2002, n. 5556; TAR
Lazio, sez. II-ter, 21.06.1999, n. 1540):
l’atto può ritenersi sufficientemente
motivato per effetto della stessa
descrizione dell’abuso accertato,
presupposto giustificativo necessario e
sufficiente a fondare la spedizione della
misura sanzionatoria
(TAR Campania-Napoli, Sez. VI,
sentenza 29.06.2012 n. 3096 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Una volta accertata l'esecuzione
di opere in assenza di concessione ovvero in
difformità totale dal titolo abilitativo,
non costituisce onere del Comune verificare
la sanabilità delle opere in sede di
vigilanza sull'attività edilizia: l’atto può ritenersi sufficientemente
motivato per effetto della stessa
descrizione dell’abuso accertato,
presupposto giustificativo necessario e
sufficiente a fondare la spedizione della
misura sanzionatoria.
In altri termini, nel modello legale di
riferimento non vi è spazio per
apprezzamenti discrezionali, atteso che
l’esercizio del potere repressivo mediante
applicazione della misura ripristinatoria
costituisce atto dovuto, per il quale è "in
re ipsa" l’interesse pubblico alla sua
rimozione.
E’, infatti, ius receptum
in giurisprudenza il principio secondo cui,
una volta accertata l'esecuzione di opere in
assenza di concessione ovvero in difformità
totale dal titolo abilitativo, non
costituisce onere del Comune verificare la
sanabilità delle opere in sede di vigilanza
sull'attività edilizia (TAR Campania,
Sez. IV, 24.09.2002, n. 5556; TAR
Lazio, sez. II-ter, 21.06.1999, n.
1540): l’atto può ritenersi sufficientemente
motivato per effetto della stessa
descrizione dell’abuso accertato,
presupposto giustificativo necessario e
sufficiente a fondare la spedizione della
misura sanzionatoria.
In altri termini, nel modello legale di
riferimento non vi è spazio per
apprezzamenti discrezionali, atteso che
l’esercizio del potere repressivo mediante
applicazione della misura ripristinatoria
costituisce atto dovuto, per il quale è "in
re ipsa" l’interesse pubblico alla sua
rimozione (cfr. TAR Campania Napoli,
sez. VI, 26.08.2010, n. 17240)
(TAR Campania-Napoli, Sez. VI,
sentenza 29.06.2012 n. 3095 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
In presenza di
manufatti abusivi non sanati né condonati,
gli interventi ulteriori (sia pure
riconducibili, nella loro oggettività, alle
categorie della manutenzione straordinaria,
del restauro e/o risanamento conservativo,
della ristrutturazione, della realizzazione
di opere costituenti pertinenze
urbanistiche) ripetono le caratteristiche di
illegittimità dell'opera principale alla
quale ineriscono strutturalmente”, sicché
non può ammettersi “la prosecuzione dei
lavori abusivi a completamento di opere che,
fino al momento di eventuali sanatorie,
devono ritenersi comunque abusive”, con
conseguente “obbligo del comune di ordinarne
la demolizione.
Ciò non significa negare in assoluto la
possibilità di intervenire su immobili
rispetto ai quali pende istanza di condono,
ma solo affermare che, a pena di
assoggettamento della medesima sanzione
prevista per l’immobile abusivo cui
ineriscono, ciò deve avvenire nel rispetto
delle procedure di legge, ovvero
segnatamente dell’art. 35 della l. n. 47 del
1985, ancora applicabile per effetto dei
rinvii operati dalla successiva legislazione
condonistica (art. 39 della l. 23.12.1994,
n. 724 ed art. 32 della l. 24.11.2003, n.
326).
--------------
Gli ordini di demolizione sono
sufficientemente giustificati con
l'affermazione della abusività dell'opera,
senza necessità di una più specifica
istruttoria e motivazione anche in relazione
alla sussistenza dell'interesse pubblico a
disporre la sanzione in re ipsa, ovvero di
soffermarsi a meglio motivare sul contrasto
con la normativa urbanistica/paesaggistica,
profili questi sui quale parte ricorrente
ancora in questa sede processuale nulla
concretamente deduce sul merito, ancorché
costituente suo onere preciso a sostegno
dell’invocato annullamento giurisdizionale
della sanzione demolitoria.
In siffatte evenienze, una volta accertata
cioè la violazione, la sanzione va
doverosamente applicata, né occorre
motivazione specifica sull’interesse
pubblico alla demolizione dell’opera, e
neppure il previo accertamento della sua
conformità o meno alla vigente disciplina
urbanistica.
---------------
La possibilità di non procedere alla
rimozione delle parti abusive quando ciò sia
di pregiudizio alle parti legittime
costituisce solo un'eventualità della fase
esecutiva, subordinata alla circostanza
dell'impossibilità del ripristino dello
stato dei luoghi.
Il costante orientamento della
Sezione, confortato da recente pronuncia del
giudice di appello (Cons. Stato, sezione
quarta, ord. n. 2182 del 18.05.2011),
dal quale non vi sono ragioni per
discostarsi, è nel senso che “in presenza di
manufatti abusivi non sanati né condonati,
gli interventi ulteriori (sia pure
riconducibili, nella loro oggettività, alle
categorie della manutenzione straordinaria,
del restauro e/o risanamento conservativo,
della ristrutturazione, della realizzazione
di opere costituenti pertinenze
urbanistiche) ripetono le caratteristiche di
illegittimità dell'opera principale alla
quale ineriscono strutturalmente”, sicché
non può ammettersi “la prosecuzione dei
lavori abusivi a completamento di opere che,
fino al momento di eventuali sanatorie,
devono ritenersi comunque abusive”, con
conseguente “obbligo del comune di ordinarne
la demolizione” (cfr. Tar Campania, Napoli,
questa sesta sezione, ex multis, sentenze n.
2624 dell'11.05.2011, n. 1218 del 25.02.2011, n. 26788 del
03.12.2010;
05.05.2010, n. 2811, 10.02.2010, n.
847 e 28.01.2010, n. 423; sezione
seconda, 07.11.2008, n. 19372; negli
stessi sensi, Cass. penale, sezione terza,
24.10.2008, n. 45070);
Che, peraltro, sempre come precisato nelle
cennate pronunce della Sezione, ai cui più
ampi contenuti argomentativi può per brevità
rinviarsi, “ciò non significa negare in
assoluto la possibilità di intervenire su
immobili rispetto ai quali pende istanza di
condono, ma solo affermare che, a pena di
assoggettamento della medesima sanzione
prevista per l’immobile abusivo cui
ineriscono, ciò deve avvenire nel rispetto
delle procedure di legge, ovvero
segnatamente dell’art. 35 della l. n. 47 del
1985, ancora applicabile per effetto dei
rinvii operati dalla successiva legislazione condonistica (art. 39 della l. 23.12.1994,
n. 724 ed art. 32 della l. 24.11.2003, n.
326)”;
Che la cennata giurisprudenza della Sezione
ha avuto anche modo di chiarire come detta
procedura debba anche essere seguita
rigidamente anche per quanto attiene alle
modalità di presentazione dell’istanza, sia
al fine di conferire certezze in ordine allo
stato dei luoghi che ad evitarsi postumi
(tentativi di) disconoscimenti della
circostanza che, come previsto dalla legge,
l’esecuzione delle opere, pur se
autorizzate, avviene sotto la propria
responsabilità, ovverosia nella piena
consapevolezza -resa esplicita dal ricorso
espresso alla procedura ex art. 35 cit.-
che, sebbene interventi di natura
eminentemente conservativa (ossia ben
diversi da quelli qui invece realizzati)
possono essere ammessi, si sta agendo
assumendo espressamente a proprio carico
rischi e pericoli connessi, cosicché se il
condono verrà negato si dovrà demolire anche
le migliorie apportate (cfr. la
giurisprudenza della Sezione, già sopra
riportata);
Che, in definitiva, “in siffatte evenienze
la misura repressiva costituisce atto
dovuto, che non può essere evitata
nell’assunto che per le opere realizzate non
fosse necessario il permesso di costruire o
che avessero natura pertinenziale; ciò
perché, in caso di prosecuzione dei lavori
di un immobile già oggetto di domanda di
condono, vale il diverso principio in forza
del quale è la prosecuzione in sé dei lavori
ad essere preclusa, senza che sia possibile
distinguere tra opere pertinenziali e non,
tra opere soggette al permesso di costruire
ed opere realizzabili con d.i.a.” (cfr. Tar
Campania, Napoli, sempre questa sesta
sezione, 11.05.2011, n. 2626 e sezione
settima 14.01.2011, n. 160).
Privi di pregio si appalesano anche i
residui mezzi di impugnazione.
Ed, invero, nelle descritte condizioni, non
sussisteva, contrariamente a quanto dedotto,
alcun onere di più accurata istruttoria e di
dar contezza dell’interesse pubblico alla
demolizione, come concluso da consolidata
giurisprudenza, dal Collegio condivisa,
secondo cui gli ordini di demolizione sono
sufficientemente giustificati con
l'affermazione della abusività dell'opera,
senza necessità di una più specifica
istruttoria e motivazione anche in relazione
alla sussistenza dell'interesse pubblico a
disporre la sanzione in re ipsa (cfr., fra
le ultime, Cons. Stato, sez. quinta, 11.01.2011, n. 79; sezione quarta, n.
3955/2010; Tar Campania, questa sesta
sezione, n. 2382 del 28.04.2011; nn.
2126, 2128, 2129 del 13.04.2011; n. 160
del 14.01.2011, n. 24017 del 12.11.2010, n. 17238 del 26.08.2010,
n. 16996 del 27.07.2010 e n. 2812 del 06.05.2010; Tar Puglia, Lecce, sez. III, 09.02.2011, n. 240), ovvero di
soffermarsi a meglio motivare sul contrasto
con la normativa urbanistica/paesaggistica,
profili questi sui quale parte ricorrente
ancora in questa sede processuale nulla
concretamente deduce sul merito, ancorché
costituente suo onere preciso a sostegno
dell’invocato annullamento giurisdizionale
della sanzione demolitoria (cfr., sul punto,
Tar Campania, questa sesta sezione, n. 2382
del 28.04.2011 cit. e cfr. anche,
settima sezione, n. 6118 del 24.06.2008).
In siffatte evenienze, una volta accertata
cioè la violazione, la sanzione va
doverosamente applicata, né occorre
motivazione specifica sull’interesse
pubblico alla demolizione dell’opera, e
neppure il previo accertamento della sua
conformità o meno alla vigente disciplina
urbanistica… (Cons. Stato, sezione quinta,
sentenza 07.04.2011, n. 2159 cit.; Tar
Campania, sentenza n. 914 del 22.02.2012).
Quanto, poi, alla denuncia di omissione di
ogni valutazione del pregiudizio che la
demolizione potrebbe arrecare al
preesistente edificato, ferma l’astrattezza
della denuncia, non supportata da alcun
elemento atto a dimostrare la sussistenza
del pregiudizio di cui l’amministrazione si
sarebbe dovuta far carico, in ogni caso, per
consolidata giurisprudenza, “la possibilità
di non procedere alla rimozione delle parti
abusive quando ciò sia di pregiudizio alle
parti legittime costituisce solo
un'eventualità della fase esecutiva,
subordinata alla circostanza
dell'impossibilità del ripristino dello
stato dei luoghi” (cfr., ex multis, Tar
Campania Napoli, questa sesta sezione, 08.04.2011, n. 2039 e 15.07.2010, n.
16807; n. 1973 del 14.04.2010; Salerno,
sez. II, 13.04.2011, n. 702)
(TAR Campania-Napoli, Sez. VI,
sentenza 29.06.2012 n. 3094 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA-PRIVATA: La
mancata impugnazione dell’ordine di
sospensione dei lavori non rende
inammissibile la successiva impugnativa
dell’ordine di demolizione, per essere il
primo provvedimento di carattere
provvisorio, fondato su di un’istruttoria
sommaria e produttivo di una temporanea
lesione della sfera giuridica del privato,
mentre l’altro provvedimento costituisce
l’atto finale del relativo procedimento ed
ha alla sua base un’adeguata istruttoria,
con definitiva lesione della sfera del
privato.
Come è noto, infatti, la mancata
impugnazione dell’ordine di sospensione dei
lavori non rende inammissibile la successiva
impugnativa dell’ordine di demolizione, per
essere il primo provvedimento di carattere
provvisorio, fondato su di un’istruttoria
sommaria e produttivo di una temporanea
lesione della sfera giuridica del privato,
mentre l’altro provvedimento costituisce
l’atto finale del relativo procedimento ed
ha alla sua base un’adeguata istruttoria,
con definitiva lesione della sfera del
privato (v., tra le altre, Cons. Stato, Sez.
V, 29.11.2004 n. 7746; TAR Basilicata
15.02.2001 n. 134). Nella fattispecie,
peraltro, l’impugnativa dell’ordinanza di
sospensione dei lavori è stata effettuata in
via puramente prudenziale, sicché la
controversia ha ad oggetto solo e soltanto
l’ordine di demolizione delle opere abusive
(TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez. I,
sentenza 29.06.2012 n.
464 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA-PRIVATA: L'aver
realizzato senza titolo abilitativo la
pensilina sulla porta-finestra e il contiguo
pergolato/gazebo non è sanzionabile quali
opere abusive poiché entrambe le opere,
invero, appaiono riconducibili agli
“elementi di arredo delle aree pertinenziali
degli edifici” di cui all’art. 6, comma 2,
lett. e), del d.P.R. n. 380 del 2001, con la
conseguenza che sarebbe stata necessaria
solo la previa comunicazione di inizio dei
lavori, sanzionabile –in caso di inerzia–
con una mera sanzione pecuniaria (v. comma
7), non certamente con la qualificazione
delle relative opere come abusive.
---------------
I pergolati/gazebo con struttura leggera di
legno articolata in quattro colonne e
sovrastante copertura, se aperta su tutti i
lati e di modeste dimensioni, fungono da
mero arredo per spazi esterni e non creano
superfici utili o volumetria, sicché
restano, per definizione, insensibili alle
norme urbanistiche che definiscono le
distanze minime dai confini di proprietà, in
ossequio a regole generali rispetto alle
quali cedono eventuali differenti criteri
interpretativi elaborati in sede locale.
In conclusione, si presenta illegittimo
l’ordine di rimozione della pensilina e del
pergolato/gazebo, per trattarsi di
interventi ascrivibili alla fattispecie di
cui all’art. 6, comma 2, lett. e), del
d.P.R. n. 380 del 2001, e per non avere
l’Amministrazione comunale motivato la
misura con profili ostativi correttamente
riconducibili alla disciplina di piano
locale o alla normativa di settore
applicabile all’attività edilizia.
Nel merito, ritiene il Collegio
che, relativamente alla pensilina e al
pergolato/gazebo, vada innanzi tutto
accertato se e in quali limiti l’invocata
disciplina di cui all’art. 6 del d.P.R. n.
380 del 2001, nel testo risultante dalle
modifiche apportate dal decreto-legge n. 40
del 2010 e dalla relativa legge di
conversione (n. 73/2010), interviene a
regolare la fattispecie oggetto della
controversia.
Secondo la ricorrente, infatti, per doversi
ascrivere le opere in esame alla categoria
dell’«attività edilizia libera» ivi
prevista –ed in particolare all’àmbito degli
“elementi di arredo delle aree
pertinenziali degli edifici” [comma 2,
lett. e)]–, insussistenti sarebbero le
irregolarità che le sono state addebitate.
Secondo l’Amministrazione comunale, invece,
la necessità di un titolo abilitativo
scaturirebbe dal disposto dell’art. 2 del
Regolamento edilizio comunale, non travolto
in parte qua dalla sopraggiunta
normativa statale, ed abusivo in ogni caso
risulterebbe il pergolato/gazebo perché
lesivo del limite di distanza dal confine di
proprietà condominiale.
Va premesso che, pur sottraendo al previo
titolo abilitativo l’esecuzione di vari
interventi edilizi, l’art. 6 del d.P.R. n.
380 del 2001 stabilisce tuttavia che ciò
avvenga “fatte salve le prescrizioni
degli strumenti urbanistici comunali, e
comunque nel rispetto delle altre normative
di settore aventi incidenza sulla disciplina
dell’attività edilizia e, in particolare,
delle norme antisismiche, di sicurezza,
antincendio, igienico-sanitarie, di quelle
relative all’efficienza energetica nonché
delle disposizioni contenute nel codice dei
beni culturali e del paesaggio, di cui al
decreto legislativo 22.01.2004, n. 42
…”.
La giurisprudenza ne ha desunto che a,
fronte di una generale individuazione di
tipologie di opere ritenute tendenzialmente
prive di impatto sull’assetto territoriale,
il legislatore statale sia stato consapevole
di non poter operare scelte di carattere
assoluto, e quindi di dover far salva, da un
lato, la normativa di settore che abbia
rilevanza nell’àmbito dell’attività
edilizia, e di dover lasciare integro,
dall’altro lato, il potere di governo del
territorio di spettanza delle
Amministrazioni comunali, sicché –ad es.–
anche per tali opere va rispettata la
destinazione urbanistica prevista in ogni
comparto dallo strumento di piano e risulta
quindi preclusa la loro realizzazione in
caso di incompatibilità con il regime d’uso
della corrispondente area (v. Cass. pen.,
Sez. III, 27.04.2011 n. 19316; TAR Puglia,
Bari, Sez. III, 13.01.2012 n. 184; TAR
Veneto, Sez. II, 30.09.2010 n. 5244).
Naturalmente, per non vanificare la parziale
liberalizzazione introdotta dalla normativa
statale, le prescrizioni degli strumenti
urbanistici comunali di cui occorre tenere
conto sono solo quelle che attengono ai
presupposti e alle modalità di realizzazione
dell’attività edilizia, non quelle che si
limitano a prevedere il rilascio di appositi
titoli abilitativi senza accompagnare il
precetto con vincoli di carattere
sostanziale.
Ciò posto, appare fondata la doglianza con
cui la ricorrente lamenta che le sia stato
addebitato di avere realizzato senza titolo
abilitativo la pensilina sulla
porta-finestra e il contiguo
pergolato/gazebo. Entrambe le opere, invero,
appaiono riconducibili agli “elementi di
arredo delle aree pertinenziali degli
edifici” di cui all’art. 6, comma 2,
lett. e), del d.P.R. n. 380 del 2001, con la
conseguenza che sarebbe stata necessaria
solo la previa comunicazione di inizio dei
lavori, sanzionabile –in caso di inerzia–
con una mera sanzione pecuniaria (v. comma
7), non certamente con la qualificazione
delle relative opere come abusive.
Non è invece applicabile nella fattispecie
l’invocato (dall’Amministrazione) art. 2 del
Regolamento edilizio comunale (“Chiunque
intenda, nell’ambito del territorio
comunale, eseguire nuove costruzioni,
ampliare, modificare o demolire quelle
esistenti, ovvero procedere all’esecuzione
di opere di urbanizzazione del territorio,
deve chiedere apposita autorizzazione al
Sindaco e deve sottostare alle prescrizioni
procedurali e tecniche del presente
regolamento. In particolare, sono soggette
ad autorizzazione: … p) costruzione o
trasformazione di vetrine, collocamento di
insegne, mostre, cartelli od affissi
pubblicitari o indicatori, lumi, memorie,
monumenti, costruzioni di tettoie, di
pensiline, cabine balneari, verande
all’esterno degli edifici o tende anche
provvisorie sporgenti su luoghi pubblici,
aperti o prospettanti luoghi pubblici; q)
esecuzione di manutenzione straordinaria
qualora comporti modificazioni delle
strutture o dell’aspetto esterno degli
edifici ivi compresi rivestimenti,
decorazioni e colorazioni; …”), per
trattarsi di normativa locale che, in
ragione del mero richiamo ad un obbligo di
carattere procedimentale –svincolato da
previsioni di carattere sostanziale–, cede
di fronte alla prevalente disciplina statale
in tema di liberalizzazione dell’attività
edilizia minore.
Quanto al pergolato/gazebo, in verità,
l’Amministrazione comunale ha altresì
rilevato l’inosservanza della distanza dai
confini di proprietà condominiale, limite
nella fattispecie riferito alla
regolamentazione contenuta nel piano
particolareggiato di iniziativa pubblica “Quaderna”;
la stessa ricorrente, da parte sua, si è
detta consapevole di tale disciplina nel
comparto di che trattasi, ma ne esclude
l’applicabilità ai pergolati e nega altresì
che il vincolo valga per i confini di
proprietà condominiale.
In effetti, i pergolati/gazebo con struttura
leggera di legno articolata in quattro
colonne e sovrastante copertura, se aperta
su tutti i lati e di modeste dimensioni,
fungono da mero arredo per spazi esterni e
non creano superfici utili o volumetria (v.,
tra le altre, TAR Lombardia, Brescia, Sez.
II, 07.04.2011 n. 526), sicché restano, per
definizione, insensibili alle norme
urbanistiche che definiscono le distanze
minime dai confini di proprietà, in ossequio
a regole generali rispetto alle quali cedono
eventuali differenti criteri interpretativi
elaborati in sede locale. Dal che
l’erroneità dell’assunto
dell’Amministrazione.
In conclusione, si presenta illegittimo
l’ordine di rimozione della pensilina e del
pergolato/gazebo, per trattarsi di
interventi ascrivibili alla fattispecie di
cui all’art. 6, comma 2, lett. e), del
d.P.R. n. 380 del 2001, e per non avere
l’Amministrazione comunale motivato la
misura con profili ostativi correttamente
riconducibili alla disciplina di piano
locale o alla normativa di settore
applicabile all’attività edilizia
(TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez. I,
sentenza 29.06.2012 n.
464 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
La pubblicazione all'albo
pretorio del Comune è prescritta dall'art.
124 d.lgs. n. 267 del
2000, per tutte le deliberazioni del Comune
e della Provincia ed essa riguarda non solo
le deliberazioni degli organi di governo
(consiglio e giunta municipali), ma anche le
determinazioni dirigenziali, esprimendo la
parola "deliberazione" "ab antiquo" sia
risoluzioni adottate da organi collegiali
che da organi monocratici ed essendo
l'intento quello di rendere pubblici tutti
gli atti degli enti locali di esercizio del
potere deliberativo, indipendentemente dalla
natura collegiale o meno dell'organo
emanante.
Dunque, il termine per impugnare le
determinazioni decorre al più tardi
dall'ultimo giorno della relativa
pubblicazione.
Vale appena evidenziare che la
pubblicazione all'albo pretorio del Comune è
prescritta dall'art. 124 d.lgs. n. 267 del
2000, per tutte le deliberazioni del Comune
e della Provincia ed essa riguarda non solo
le deliberazioni degli organi di governo
(consiglio e giunta municipali), ma anche le
determinazioni dirigenziali, esprimendo la
parola "deliberazione" "ab antiquo" sia
risoluzioni adottate da organi collegiali
che da organi monocratici ed essendo
l'intento quello di rendere pubblici tutti
gli atti degli enti locali di esercizio del
potere deliberativo, indipendentemente dalla
natura collegiale o meno dell'organo
emanante.
Ed allora la pubblicazione del provvedimento
di affidamento in questione -non
richiedendosi una notifica individuale al
ricorrente, non individuato né direttamente
inciso- sul detto Albo Pretorio del Comune,
quale forma di pubblicità legale, vale di
per sé ad integrare la piena conoscenza del
provvedimento e dunque il termine per
impugnare le relative determinazioni decorre
al più tardi dall'ultimo giorno della
relativa pubblicazione, con la conseguente
tardività del ricorso che sia proposto oltre
il suddetto termine (cfr. ex multis, Tar
Liguria, sez. II, 28.03.2008, n. 459; Tar
Toscana, sez. II, 09.09.2008, n. 1902;
Tar Campania, Napoli, sez. VIII, 09.09.2008,
n. 10066)
(TAR Campania-Napoli, Sez. I,
sentenza 28.06.2012 n. 3090 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
L'interesse alla vittoria di un
appalto, nella vita di un'impresa, va,
invero, ben oltre l'interesse all'esecuzione
dell'opera in sé, e al relativo incasso;
alla mancata esecuzione di un'opera
appaltata si ricollegano, infatti, indiretti
nocumenti all'immagine della società ed al
suo radicamento nel mercato, per non dire
del potenziamento di imprese concorrenti che
operino su medesimo target di mercato.
In linea di massima, allora, deve ammettersi
che l'impresa illegittimamente privata
dell'esecuzione di un appalto possa
rivendicare a titolo di lucro cessante anche
la perdita della possibilità di arricchire
il proprio curriculum professionale;
tale danno viene generalmente rapportato, in
via equitativa, a valori percentuali
compresi fra l'1% e il 5% dell'importo
globale dell'appalto da aggiudicare,
depurato del ribasso offerto.
Al riguardo si rileva che, in sede di
risarcimento dei danni derivanti dalla
mancata aggiudicazione di una gara di
appalto, è onere dell'interessato richiedere
in sede giurisdizionale il risarcimento del
c.d. danno curriculare, in astratto
risarcibile, e fornirne adeguatamente la
relativa prova; pertanto
l'onere di fornire la prova del danno ricade
integralmente sull'interessato.
Ed infatti, sotto il profilo probatorio, ai
sensi degli articoli 2697 c.c. e 115 c.p.c.,
applicabili anche al processo amministrativo, incombe sul danneggiato
l'onere di fornire la prova del danno, del
nesso di causalità, e dell'attribuibilità
psicologica al soggetto agente.
La voce di danno in questione, pertanto,
sebbene suscettibile di apprezzamento in via
equitativa, esige, in ogni caso,
l'allegazione, da parte del soggetto
interessato, di tutti gli elementi atti a
concretizzarla, onde evitare che la relativa
quantificazione giudiziaria si risolva nel
riconoscimento di un ristoro eccedente
quello necessario alla compensazione
patrimoniale del pregiudizio effettivamente
subito: elementi relativi, ad esempio, al
peso delle referenze correlate
all'esecuzione dell'appalto in questione
nell'ambito di quelle complessivamente
maturate dalle società interessate, onde
apprezzare la misura in cui l'impossibilità
di allegare le prime incida, in futuro,
sulle chances di aggiudicazione di ulteriori
appalti.
Ed infatti l'interesse alla
vittoria di un appalto, nella vita di
un'impresa, va, invero, ben oltre
l'interesse all'esecuzione dell'opera in sé,
e al relativo incasso; alla mancata
esecuzione di un'opera appaltata si
ricollegano, infatti, indiretti nocumenti
all'immagine della società ed al suo
radicamento nel mercato, per non dire del
potenziamento di imprese concorrenti che
operino su medesimo target di mercato
(TAR Sicilia, Catania, sez. II, 04.06.2010, n. 2069).
In linea di massima, allora, deve ammettersi
che l'impresa illegittimamente privata
dell'esecuzione di un appalto possa
rivendicare a titolo di lucro cessante anche
la perdita della possibilità di arricchire
il proprio curriculum professionale (Cons.
Stato, Sez. VI, 09.06.2008, n. 2751;
analogamente, Cons. Stato, Sez. VI, 02.03.2009, n. 1180; Cons. Stato, Sez. VI, 21.05.2009, n. 3144; Cons. Stato, Sez. V,
23.07.2009, n. 4594; TAR Sicilia,
Catania, Sez. IV, 07.01.2010, n. 3);
tale danno viene generalmente rapportato, in
via equitativa, a valori percentuali
compresi fra l'1% e il 5% dell'importo
globale dell'appalto da aggiudicare,
depurato del ribasso offerto.
Al riguardo si rileva che, in sede di
risarcimento dei danni derivanti dalla
mancata aggiudicazione di una gara di
appalto, è onere dell'interessato richiedere
in sede giurisdizionale il risarcimento del
c.d. danno curriculare, in astratto
risarcibile, e fornirne adeguatamente la
relativa prova (Consiglio di Stato, sez. VI,
21.09.2010, n. 7004); pertanto
l'onere di fornire la prova del danno ricade
integralmente sull'interessato.
Ed infatti, sotto il profilo probatorio, ai
sensi degli articoli 2697 c.c. e 115 c.p.c.,
applicabili anche al processo amministrativo
(ex multis, Cons. Stato, Sez. V, 07.10.2009, n. 6118), incombe sul danneggiato
l'onere di fornire la prova del danno, del
nesso di causalità, e dell'attribuibilità
psicologica al soggetto agente (ex multis,
Cons. Stato, Sez. V, 22.02.2010, n.
1038; Cass. civile, Sez. I, 15.02.2008, n. 3794).
La voce di danno in questione, pertanto,
sebbene suscettibile di apprezzamento in via
equitativa, esige, in ogni caso,
l'allegazione, da parte del soggetto
interessato, di tutti gli elementi atti a
concretizzarla, onde evitare che la relativa
quantificazione giudiziaria si risolva nel
riconoscimento di un ristoro eccedente
quello necessario alla compensazione
patrimoniale del pregiudizio effettivamente
subito: elementi relativi, ad esempio, al
peso delle referenze correlate
all'esecuzione dell'appalto in questione
nell'ambito di quelle complessivamente
maturate dalle società interessate, onde
apprezzare la misura in cui l'impossibilità
di allegare le prime incida, in futuro,
sulle chances di aggiudicazione di ulteriori
appalti (TAR Campania, Salerno, n. 203/2008)
(TAR Campania-Napoli, Sez. I,
sentenza 28.06.2012 n. 3089 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
In materia urbanistica, il
presupposto per l'adozione dell'ordine di
demolizione di opere edilizie abusive è
soltanto la constatata esecuzione dell'opera
in totale difformità della concessione o in
assenza della medesima, con la conseguenza
che tale provvedimento, ove ricorrano i
predetti requisiti, è atto dovuto ed è
sufficientemente motivato con l'affermazione
dell'accertata abusività dell'opera, essendo in re ipsa l'interesse pubblico alla sua
rimozione. Di conseguenza, l'ordinanza di
demolizione -in quanto atto vincolato- non
richiede, in alcun caso, una specifica
motivazione su puntuali ragioni di interesse
pubblico o sulla comparazione di
quest'ultimo con gli interessi privati
coinvolti o sacrificati”
L'ordinanza di demolizione di opere
edilizie abusive è sufficientemente motivata
con riferimento all'oggettivo riscontro
dell'abusività delle opere ed alla sicura
assoggettabilità di queste al regime concessorio, non essendo necessario, in tal
caso, alcun ulteriore obbligo motivazionale,
come il riferimento ad eventuali ragioni di
interesse pubblico.
Non può
ravvisarsi il lamentato difetto di
motivazione in ordine all'interesse pubblico
alla rimozione, in considerazione del fatto
che, in presenza di immobile abusivo, la
demolizione è atto dovuto che non necessita
di particolari argomentazioni.
---------------
Nel caso in cui in zona soggetta a vincolo
panoramico venga realizzata una costruzione
edilizia senza la preventiva autorizzazione,
o in difformità del progetto approvato, la
demolizione dell'opera abusiva costituisce
la forma primaria ed ordinaria di
repressione, per cui il provvedimento che
ordina la demolizione è sufficientemente
motivato col solo riferimento all'abusività
della costruzione ed al pregiudizio
derivante alla zona protetta, senza che sia
necessario specificare le ragioni per le
quali non si ritiene di comminare in sua
vece la sanzione pecuniaria, che è misura
diretta a realizzare in modo meno efficace
la tutela del paesaggio.
---------------
La criticata carenza dell’individuazione di
un interesse pubblico specifico
all’abbattimento è da intendersi in re ipsa,
posto che compito primario della
amministrazione pubblica è quello al
corretto utilizzo del territorio e dunque
alla repressione degli abusi al fine
fondamentale e primario del ripristino dei
luoghi alterati, per il tramite della
demolizione.
Come afferma la
giurisprudenza, “In materia urbanistica, il
presupposto per l'adozione dell'ordine di
demolizione di opere edilizie abusive è
soltanto la constatata esecuzione dell'opera
in totale difformità della concessione o in
assenza della medesima, con la conseguenza
che tale provvedimento, ove ricorrano i
predetti requisiti, è atto dovuto ed è
sufficientemente motivato con l'affermazione
dell'accertata abusività dell'opera, essendo in re ipsa l'interesse pubblico alla sua
rimozione. Di conseguenza, l'ordinanza di
demolizione -in quanto atto vincolato- non
richiede, in alcun caso, una specifica
motivazione su puntuali ragioni di interesse
pubblico o sulla comparazione di
quest'ultimo con gli interessi privati
coinvolti o sacrificati”: TAR Campania
Napoli, sez. VIII, 15.05.2008, n. 4556;
“L'ordinanza di demolizione di opere
edilizie abusive è sufficientemente motivata
con riferimento all'oggettivo riscontro
dell'abusività delle opere ed alla sicura
assoggettabilità di queste al regime concessorio, non essendo necessario, in tal
caso, alcun ulteriore obbligo motivazionale,
come il riferimento ad eventuali ragioni di
interesse pubblico”: TAR Campania Napoli,
sez. IV, 08.07.2008, n. 7798; “Non può
ravvisarsi il lamentato difetto di
motivazione in ordine all'interesse pubblico
alla rimozione, in considerazione del fatto
che, in presenza di immobile abusivo, la
demolizione è atto dovuto che non necessita
di particolari argomentazioni”: TAR
Campania Napoli, sez. VI, 19.06.2008, n.
6016.
Quanto alla censurata assenza di
comparazione fra demolizione e previsione di
una sanzione equivalente, deve ritenersi
che, nel caso di specie, le ragioni connesse
all’ordinato assetto degli immobili
edificati siano state razionalmente ritenute
prevalenti, stante la natura dei luoghi che
la stessa ricorrente assume “compressi” da
edifici e problemi di viabilità; non va poi
tralasciato l’inquadramento dell’invocata
sanzione solo pecuniaria nell’ambito della
condivisibile giurisprudenza ove afferma che
“Nel caso in cui in zona soggetta a vincolo
panoramico venga realizzata una costruzione
edilizia senza la preventiva autorizzazione,
o in difformità del progetto approvato, la
demolizione dell'opera abusiva costituisce
la forma primaria ed ordinaria di
repressione, per cui il provvedimento che
ordina la demolizione è sufficientemente
motivato col solo riferimento all'abusività
della costruzione ed al pregiudizio
derivante alla zona protetta, senza che sia
necessario specificare le ragioni per le
quali non si ritiene di comminare in sua
vece la sanzione pecuniaria, che è misura
diretta a realizzare in modo meno efficace
la tutela del paesaggio.” TAR Puglia/Bari nr.
547 del 03.09.1984.
Con il secondo motivo, si ritorna sulla
problematica della motivazione che, anche
nelle ulteriori articolazioni, va però
parimenti respinta.
La criticata carenza dell’individuazione di
un interesse pubblico specifico
all’abbattimento è da intendersi (giova
ribadirlo) in re ipsa, posto che
compito primario della amministrazione
pubblica è quello al corretto utilizzo del
territorio e dunque alla repressione degli
abusi al fine fondamentale e primario del
ripristino dei luoghi alterati, per il
tramite della demolizione
(TAR Campania-Napoli, Sez. VII,
sentenza 27.06.2012 n. 3075 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
In nessuna delle disposizioni di
cui all’art. 27 DPR 380/2001 è previsto un termine decadenziale per l’adozione della sanzione
ripristinatoria allorquando
l’amministrazione constati l’effettuazione
di opere edilizie in zona vincolata, in
assenza del permesso di costruire.
Rileva il Collegio
che, il termine di 45 giorni, fissato dal
comma 3, per adottare l’ordinanza di
demolizione dopo l’emanazione di quella di
sospensione dei lavori, deve intendersi
quale termine di efficacia di tale ultimo
ordine e non già quale termine perentorio
entro cui l’Amministrazione è tenuta ad
emettere l'ordine di demolizione.
---------------
Lo specifico presupposto che differenzia il
procedimento sanzionatorio previsto
dall’art. 31 del T.U. dell’edilizia (ex art.
4 della legge n. 47 del 1985), rispetto a
quello del medesimo testo normativo (ex art.
7 della stessa legge n. 47/1985) va
rinvenuto nella localizzazione delle opere
abusive su aree assoggettate a vincolo di
inedificabilità, (comprensivo sia dell’inedificabilità
assoluta sia di quella relativa, ovvero
destinate ad opere e spazi pubblici o ad
interventi di edilizia residenziale pubblica
e quindi nella necessità di reintegrare con
immediatezza il bene protetto, pregiudicato
dall’abusivo intervento.
Ne consegue che in tal caso l’ordine di
demolizione deve seguire automaticamente
all’accertamento dell’illecito senza la
necessità di una preventiva notifica della
diffida a demolire e senza alcun margine per
valutazioni discrezionali (anche in ordine
alla scelta se procedere alla demolizione o
unicamente alla acquisizione al patrimonio
dell’ente), al fine di impedire che il
trascorrere del tempo determini il
consolidarsi di situazioni soggettive che
potrebbero impedire l’applicazione della
sanzione ripristinatoria.
In nessuna delle disposizioni di
cui all’art. 27 citato è previsto un termine decadenziale per l’adozione della sanzione
ripristinatoria allorquando
l’amministrazione constati l’effettuazione
di opere edilizie in zona vincolata, in
assenza del permesso di costruire.
Dispone,
infatti, la norma evocata che “Il dirigente
o il responsabile, quando accerti l'inizio o
l'esecuzione di opere eseguite senza titolo
su aree assoggettate, da leggi statali,
regionali o da altre norme urbanistiche
vigenti o adottate, a vincolo di inedificabilità, o destinate ad opere e
spazi pubblici ovvero ad interventi di
edilizia residenziale pubblica di cui alla
legge 18.04.1962, n. 167, e successive
modificazioni ed integrazioni, nonché in
tutti i casi di difformità dalle norme
urbanistiche e alle prescrizioni degli
strumenti urbanistici, provvede alla
demolizione e al ripristino dello stato dei
luoghi. Qualora si tratti di aree
assoggettate alla tutela di cui al regio
decreto 30.12.1923, n. 3267, o
appartenenti ai beni disciplinati dalla
legge 16.06.1927, n. 1766, nonché delle
aree di cui al decreto legislativo 29.10.1999, n. 490, il dirigente provvede
alla demolizione ed al ripristino dello
stato dei luoghi, previa comunicazione alle
amministrazioni competenti le quali possono
eventualmente intervenire, ai fini della
demolizione, anche di propria iniziativa…3.
Ferma rimanendo l'ipotesi prevista dal
precedente comma 2, qualora sia constatata,
dai competenti uffici comunali d'ufficio o
su denuncia dei cittadini, l'inosservanza
delle norme, prescrizioni e modalità di cui
al comma 1, il dirigente o il responsabile
dell'ufficio, ordina l'immediata sospensione
dei lavori, che ha effetto fino all'adozione
dei provvedimenti definitivi di cui ai
successivi articoli, da adottare e
notificare entro quarantacinque giorni
dall'ordine di sospensione dei lavori. Entro
i successivi quindici giorni dalla notifica
il dirigente o il responsabile dell’ufficio,
su ordinanza del sindaco, può procedere al
sequestro del cantiere”.
Rileva il Collegio
che, il termine di 45 giorni, fissato dal
comma 3, per adottare l’ordinanza di
demolizione dopo l’emanazione di quella di
sospensione dei lavori, deve intendersi
quale termine di efficacia di tale ultimo
ordine e non già quale termine perentorio
entro cui l’Amministrazione è tenuta ad
emettere l'ordine di demolizione.
Ricorrono, inoltre, nella specie i
presupposti previsti dalla legge per
l’adozione dell’atto, posto che
l’amministrazione ha accertato la presenza
di un’opera abusiva in un’area gravata da
specifico vincolo e non è necessario, ai
fini dell’applicabilità del richiamato art.
27, che le opere siano ancora in uno stato
diverso dalla “conclusione dei lavori”.
Questa norma è stata infatti univocamente
interpretata dalla giurisprudenza nel senso
che lo specifico presupposto che differenzia
il procedimento sanzionatorio previsto
dall’art. 31 del T.U. dell’edilizia (ex art.
4 della legge n. 47 del 1985), rispetto a
quello del medesimo testo normativo (ex art.
7 della stessa legge n. 47/1985) va
rinvenuto nella localizzazione delle opere
abusive su aree assoggettate a vincolo di inedificabilità, (comprensivo sia dell’inedificabilità
assoluta sia di quella relativa – cfr. in
questo senso TAR Campania, Napoli sez. III,
07.02.2008, n. 3862), ovvero
destinate ad opere e spazi pubblici o ad
interventi di edilizia residenziale pubblica
e quindi nella necessità di reintegrare con
immediatezza il bene protetto, pregiudicato
dall’abusivo intervento.
Ne consegue che in
tal caso l’ordine di demolizione deve
seguire automaticamente all’accertamento
dell’illecito senza la necessità di una
preventiva notifica della diffida a demolire
e senza alcun margine per valutazioni
discrezionali (anche in ordine alla scelta
se procedere alla demolizione o unicamente
alla acquisizione al patrimonio dell’ente),
al fine di impedire che il trascorrere del
tempo determini il consolidarsi di
situazioni soggettive che potrebbero
impedire l’applicazione della sanzione ripristinatoria (cfr. TAR Campania,
Napoli, sez. IV, 12.04.2005, n. 3780).
La corretta applicazione, nella fattispecie
dell’art. 27 del D.P.R. n. 380/2001, vale a
confutare anche il secondo motivo con il
quale si deduce la mancata concessione del
termine di 90 gg. (previsto dall’art. 31 del
medesimo D.P.R. ma non dall’art. 27) per
procedere alla demolizione
(TAR Campania-Napoli, Sez. III,
sentenza 27.06.2012 n. 3054 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
In presenza di un abuso edilizio
“l’ordinanza di demolizione non
richiede, in linea generale, una specifica
motivazione; l’abusività costituisce di per
sé motivazione sufficiente per l’adozione
della misura repressiva in argomento. Ne
consegue che, in presenza di un’opera
abusiva, l’autorità amministrativa è tenuta
ad intervenire affinché sia ripristinato lo
stato dei luoghi, non sussistendo alcuna
discrezionalità dell’amministrazione in
relazione al provvedere”.
infatti, “l’ordinanza di demolizione di opere
edilizie abusive è atto dovuto e vincolato e
non necessita di motivazione ulteriore
rispetto all’indicazione dei presupposti di
fatto e all’individuazione e qualificazione
degli abusi edilizi”.
Presupposto per l'emanazione
dell'ordinanza di demolizione di opere
edilizie abusive è soltanto la constatata
esecuzione di queste ultime in assenza o in
totale difformità del titolo concessorio,
con la conseguenza che, essendo l’ordinanza
atto dovuto, essa è sufficientemente
motivata con l’accertamento dell’abuso,
essendo “in re ipsa” l’interesse pubblico
alla sua rimozione e sussistendo l’eventuale
obbligo di motivazione al riguardo solo se
l’ordinanza stessa intervenga a distanza di
tempo dall’ultimazione dell’opera avendo
l’inerzia dell’amministrazione creato un
qualche affidamento nel privato.
---------------
I provvedimenti repressivi degli abusi
edilizi non devono essere preceduti dalla
comunicazione dell’avvio del procedimento
perché trattasi di provvedimenti tipizzati e
vincolati, che presuppongono un mero
accertamento tecnico sulla consistenza delle
opere realizzate e sul carattere non
assentito delle medesime.
Seppure si aderisse all’orientamento che
ritiene necessaria tale comunicazione anche
per gli ordini di demolizione, troverebbe
comunque applicazione nel caso in esame
l’art. 21-octies, comma 2 della legge n. 241
del 1990 (introdotto dalla legge n.
15/2005), nella parte in cui dispone che
“non è annullabile il provvedimento adottato
in violazione di norme sul
procedimento..qualora, per la natura
vincolata del provvedimento, sia palese che
il suo contenuto dispositivo non avrebbe
potuto essere diverso da quello in concreto
adottato”.
Infatti, posto che l’ordine di demolizione è
atto dovuto in presenza di opere realizzate
in assenza del prescritto titolo
abilitativo, nel caso in esame risulta
palese che il contenuto dispositivo
dell’impugnata ordinanza di demolizione non
avrebbe potuto essere diverso se fosse stata
data al ricorrente l’opportunità di
interloquire con l’amministrazione.
Come affermato dalla
giurisprudenza in presenza di un abuso
edilizio “l’ordinanza di demolizione non
richiede, in linea generale, una specifica
motivazione; l’abusività costituisce di per
sé motivazione sufficiente per l’adozione
della misura repressiva in argomento. Ne
consegue che, in presenza di un’opera
abusiva, l’autorità amministrativa è tenuta
ad intervenire affinché sia ripristinato lo
stato dei luoghi, non sussistendo alcuna
discrezionalità dell’amministrazione in
relazione al provvedere” (TAR Lazio Roma,
sez. I, 19.07.2006, n. 6021); infatti
“l’ordinanza di demolizione di opere
edilizie abusive è atto dovuto e vincolato e
non necessita di motivazione ulteriore
rispetto all’indicazione dei presupposti di
fatto e all’individuazione e qualificazione
degli abusi edilizi” (TAR Marche Ancona,
sez. I, 12.10.2006, n. 824) ed,
ancora, “presupposto per l'emanazione
dell'ordinanza di demolizione di opere
edilizie abusive è soltanto la constatata
esecuzione di queste ultime in assenza o in
totale difformità del titolo concessorio,
con la conseguenza che, essendo l’ordinanza
atto dovuto, essa è sufficientemente
motivata con l’accertamento dell’abuso,
essendo “in re ipsa” l’interesse pubblico
alla sua rimozione e sussistendo l’eventuale
obbligo di motivazione al riguardo solo se
l’ordinanza stessa intervenga a distanza di
tempo dall’ultimazione dell’opera avendo
l’inerzia dell’amministrazione creato un
qualche affidamento nel privato” (Consiglio
di Stato, sez. V, 29.05.2006 n. 3270).
Nella fattispecie, si tratta di un
intervento di nuova costruzione in zona
vincolata che, ai sensi dell’art. 10, comma
1, lettera a), del D.P.R. n. 380/2001,
avrebbe richiesto il previo rilascio del
permesso di costruire e dell’autorizzazione
paesistica. L’amministrazione, riscontrata
l’assenza dei predetti titoli, ha
correttamente ordinato la demolizione
dell’opera in contestazione sulla base
dell’art. 31, comma 2, del D.P.R. n. 380/2001
(che prevede la sanzione della demolizione
per gli interventi edilizi eseguiti in
assenza del prescritto permesso di
costruire).
D’altra parte, il ricorrente non mette in
discussione né la consistenza delle opere
individuate nella motivazione dell’atto, né
l’assenza di qualsivoglia titolo
abilitativo. Infondata al riguardo la
censura della omessa descrizione dei lavori
eseguiti che trova puntuale riscontro
nell’atto gravato. Nessun dubbio può,
quindi, porsi sull’oggetto della disposta
demolizione mentre, come più volte affermato
dalla giurisprudenza, la mancata
specificazione delle aree da sottoporre
all’acquisizione gratuita al patrimonio
comunale in caso di inottemperanza
all’ordine demolitorio, non costituisce
motivo di illegittimità di quest’ultimo,
potendo l’amministrazione provvedere a tale
incombenza con il successivo ed eventuale
atto di acquisizione.
Destituita di ogni fondamento risulta la
censura incentrata sulla omissione della
fase partecipativa al procedimento
(violazione dell’art. 7 della legge n. 241
del 1990 – primo motivo) in quanto i
provvedimenti repressivi degli abusi
edilizi, non devono essere preceduti dalla
comunicazione dell’avvio del procedimento
(ex multis, TAR Campania, Napoli, sez. IV
12.04.2005, n. 3780; 13.01.2006, n.
651), perché trattasi di provvedimenti
tipizzati e vincolati, che presuppongono un
mero accertamento tecnico sulla consistenza
delle opere realizzate e sul carattere non
assentito delle medesime.
Seppure si
aderisse all’orientamento che ritiene
necessaria tale comunicazione anche per gli
ordini di demolizione, troverebbe comunque
applicazione nel caso in esame l’art. 21-octies, comma 2 della legge n. 241 del 1990
(introdotto dalla legge n. 15/2005), nella
parte in cui dispone che “non è annullabile
il provvedimento adottato in violazione di
norme sul procedimento..qualora, per la
natura vincolata del provvedimento, sia
palese che il suo contenuto dispositivo non
avrebbe potuto essere diverso da quello in
concreto adottato”.
Infatti, posto che
l’ordine di demolizione è atto dovuto in
presenza di opere realizzate in assenza del
prescritto titolo abilitativo, nel caso in
esame risulta palese che il contenuto
dispositivo dell’impugnata ordinanza di
demolizione non avrebbe potuto essere
diverso se fosse stata data al ricorrente
l’opportunità di interloquire con
l’amministrazione.
Con il terzo motivo il ricorrente deduce la
violazione del comma 3, dell’art. 31 del
D.P.R. n. 380/2001 in quanto la demolizione
è stata disposta ad horas senza concedere il
termine di 90 gg. previsto dal citato art.
31 per l’adempimento spontaneo
dell’ingiunzione. Osserva sul punto il
Collegio che non risulta dagli atti di causa
che l’amministrazione abbia portato in alcun
modo ad esecuzione quest’ultima.
Pertanto,
l’interessato è stato messo nelle condizioni
di demolire spontaneamente il manufatto nel
termine previsto dall’art. 31 del predetto
D.P.R.. La giurisprudenza ha del resto sempre
affermato che “è irrilevante l’assegnazione
nel provvedimento demolitorio di un termine
inferiore a 90 gg. se, in concreto, detto
termine è stato rispettato
dall’amministrazione comunale” (cfr. ex multis,
C.d.S. sez V, 24.02.2003, n. 986)
(TAR Campania-Napoli, Sez. III,
sentenza 27.06.2012 n. 3053 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La legge Tognoli deve interpretarsi come integrativa
delle disposizioni di piano laddove queste
ultime non siano in grado o si pongano di
ostacolo al soddisfacimento del bisogno di
parcheggi nelle aree urbane congestionate.
Osserva in proposito il
Collegio, come l’unanime giurisprudenza
abbia considerato la possibilità di
realizzare parcheggi in deroga allo
strumento urbanistico posta dall’art. 9 come
previsione di carattere eccezionale da
interpretarsi nel suo significato
strettamente letterale ed in considerazione
delle finalità della legge nel cui contesto
risulta inserita.
Ebbene, se lo strumento
urbanistico realizza in sé gli obiettivi
della legge Tognoli (bilanciando, in
particolare, l’esigenza di parcheggi
pubblici con quella di parcheggi privati
pertinenziali, attraverso un vincolo
conformativo che si estende al sottosuolo –
cfr. motivazione del provvedimento impugnato
in replica alle osservazioni presentate
dalla ricorrente in sede di partecipazione
al procedimento) invocarne la deroga
equivarrebbe a vanificare gli effetti della
legge stessa. In altre parole la legge
Tognoli deve interpretarsi come integrativa
delle disposizioni di piano laddove queste
ultime non siano in grado o si pongano di
ostacolo al soddisfacimento del bisogno di
parcheggi nelle aree urbane congestionate.
Nella fattispecie, questa condizione per
l’applicazione della Tognoli e delle
disposizioni che abilitano alla deroga ivi
stabilita, non si realizza posto che lo
strumento urbanistico prende direttamente in
considerazione il problema dei parcheggi,
facendo sì che in determinate zone
(evidentemente centrali o commerciali), sia
garantita un’adeguata presenza di parcheggi
pubblici accanto a quelli pertinenziali
privati
(TAR Campania-Napoli, Sez. III,
sentenza 27.06.2012 n. 3051 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La nozione
di volume tecnico, non computabile nel
calcolo della volumetria massima consentita,
può essere applicata solo con riferimento ad
opere edilizie completamente prive di una
propria autonomia funzionale, anche
potenziale, in quanto destinate a contenere
impianti serventi di una costruzione
principale, per esigenze tecnico-funzionali
della costruzione stessa; si tratta, in
particolare, di impianti necessari per
l'utilizzo dell'abitazione, che non possono
essere ubicati all'interno di essa, connessi
alla condotta idrica, termica, ascensore
ecc., mentre va escluso che possa parlarsi
di volumi tecnici al di fuori di tale
ambito, al fine di negare rilevanza
giuridica ai volumi comunque esistenti nella
realtà fisica.
-------------
Occorre distinguere il concetto di
pertinenza previsto dal diritto civile dal
più ristretto concetto di pertinenza inteso
in senso urbanistico, che non trova
applicazione in relazione a quelle
costruzioni che, pur potendo essere
qualificate come beni pertinenziali secondo
la normativa privatistica, assumano tuttavia
una funzione autonoma rispetto ad altra
costruzione, con conseguente loro
assoggettamento al regime del permesso di
costruire.
Ne consegue che, tenuto conto delle
caratteristiche dell’intervento abusivo
realizzato dal ricorrente risultanti dalla
motivazione dell’ordine di demolizione, il
predetto intervento –non essendo
coessenziale ad un bene principale e potendo
essere successivamente utilizzato in modo
autonomo e separato (ndr: garage interrato
regolarmente avente una superficie di 48,50
mq. e con altezza di 2,30 mt.)– non può
ritenersi pertinenza ai fini urbanistici, sì
da escludere che lo stesso sia sottoposto al
preventivo rilascio del permesso di
costruire.
---------------
La mancata specificazione delle aree da
sottoporre all’acquisizione gratuita al
patrimonio comunale in caso di
inottemperanza all’ordine demolitorio, non
costituisce motivo di illegittimità di
quest’ultimo, potendo l’amministrazione
provvedere a tale incombenza con il
successivo ed eventuale atto di
acquisizione.
---------------
L’ordinanza di demolizione non richiede, in
linea generale, una specifica motivazione;
l’abusività costituisce di per sé
motivazione sufficiente per l’adozione della
misura repressiva in argomento. Ne consegue
che, in presenza di un’opera abusiva,
l’autorità amministrativa è tenuta ad
intervenire affinché sia ripristinato lo
stato dei luoghi, non sussistendo alcuna
discrezionalità dell’amministrazione in
relazione al provvedere.
Infatti, l’ordinanza di demolizione di opere
edilizie abusive è atto dovuto e vincolato e
non necessita di motivazione ulteriore
rispetto all’indicazione dei presupposti di
fatto e all’individuazione e qualificazione
degli abusi edilizi”.
Presupposto per l'emanazione dell'ordinanza
di demolizione di opere edilizie abusive è
soltanto la constatata esecuzione di queste
ultime in assenza o in totale difformità del
titolo concessorio, con la conseguenza che,
essendo l’ordinanza atto dovuto, essa è
sufficientemente motivata con l’accertamento
dell’abuso, essendo “in re ipsa” l’interesse
pubblico alla sua rimozione e sussistendo
l’eventuale obbligo di motivazione al
riguardo solo se l’ordinanza stessa
intervenga a distanza di tempo
dall’ultimazione dell’opera avendo l’inerzia
dell’amministrazione creato un qualche
affidamento nel privato.
---------------
In presenza di un intervento edilizio
realizzato in assenza del prescritto
permesso di costruire, l'ordine di
demolizione costituisce atto dovuto, mentre
la possibilità di non procedere alla
rimozione delle parti abusive quando ciò sia
di pregiudizio alle parti legittime
costituisce solo un'eventualità della fase
esecutiva, subordinata alla circostanza
dell'impossibilità del ripristino dello
stato dei luoghi.
-------------
I provvedimenti repressivi degli abusi
edilizi non devono essere preceduti dalla
comunicazione dell’avvio del procedimento
perché trattasi di provvedimenti tipizzati e
vincolati, che presuppongono un mero
accertamento tecnico sulla consistenza delle
opere realizzate e sul carattere non
assentito delle medesime.
Seppure si aderisse all’orientamento che
ritiene necessaria tale comunicazione anche
per gli ordini di demolizione, troverebbe
comunque applicazione nel caso in esame
l’art. 21-octies, comma 2 della legge n. 241
del 1990 (introdotto dalla legge n.
15/2005), nella parte in cui dispone che
“non è annullabile il provvedimento adottato
in violazione di norme sul
procedimento...qualora, per la natura
vincolata del provvedimento, sia palese che
il suo contenuto dispositivo non avrebbe
potuto essere diverso da quello in concreto
adottato”.
Infatti, posto che l’ordine di demolizione è
atto dovuto in presenza di opere realizzate
in assenza del prescritto titolo
abilitativo, nel caso in esame risulta
palese che il contenuto dispositivo
dell’impugnata ordinanza di demolizione non
avrebbe potuto essere diverso se fosse stata
data al ricorrente l’opportunità di
interloquire con l’amministrazione.
Oggetto della
presente controversia è il provvedimento con
il quale il Comune di Somma Vesuviana ha
ingiunto al ricorrente di demolire un
manufatto realizzato sopra un garage
interrato regolarmente assentito con DIA del
23.04.2004 (prot. 5638), avente una
superficie di 48,50 mq. e con altezza di
2,30 mt.
Con il primo motivo il ricorrente lamenta
che l’intervento edilizio contestato,
concretandosi nella realizzazione di un
volume tecnico, ricadrebbe nella disciplina
di cui all’art. 22, comma 1, del D.P.R. n.
380/2001 con l’applicazione, in ipotesi,
della sola sanzione pecuniaria.
Il motivo non ha pregio.
Il ricorrente ha realizzato un nuovo volume,
di rilevanti dimensioni, al di sopra di un
garage interrato e ciò avrebbe richiesto, ex
art. 10, comma 1, lett. a), del D.P.R. n.
380/2001 la previa acquisizione del permesso
di costruire nonché, trattandosi di zona paesaggisticamente vincolata ai sensi del
d.lgs. n. 42/2004, dell’autorizzazione
paesaggistica; con la conseguenza che
l’amministrazione, constatata l’assenza dei
predetti titoli, ha correttamente ordinato
la demolizione dell’opera ai sensi dell’art.
31 del D.P.R. n. 380/2001.
Il nuovo manufatto non può, poi, per le sue
caratteristiche essere considerato né volume
tecnico (seppure così formalmente definito
dal provvedimento), né pertinenza
dell’abitazione (primo e secondo motivo).
Si è, in particolare, evidenziato come nella
fattispecie si tratti di un nuovo volume
della superficie di circa 48 mq. con altezza
di circa 2 metri che sorge su un garage
interrato, sicuramente suscettibile di
autonoma utilizzazione. Sul punto la
giurisprudenza ha statuito che “La nozione
di volume tecnico, non computabile nel
calcolo della volumetria massima consentita,
può essere applicata solo con riferimento ad
opere edilizie completamente prive di una
propria autonomia funzionale, anche
potenziale, in quanto destinate a contenere
impianti serventi di una costruzione
principale, per esigenze tecnico-funzionali
della costruzione stessa; si tratta, in
particolare, di impianti necessari per
l'utilizzo dell'abitazione, che non possono
essere ubicati all'interno di essa, connessi
alla condotta idrica, termica, ascensore
ecc., mentre va escluso che possa parlarsi
di volumi tecnici al di fuori di tale
ambito, al fine di negare rilevanza
giuridica ai volumi comunque esistenti nella
realtà fisica” (ex multis, TAR Piemonte
Torino, sez. I, 14.01.2011 , n. 16).
Quanto alla censura circa la natura
pertinenziale delle opere abusive in
questione, secondo una consolidata
giurisprudenza (ex multis TAR Lombardia,
Milano, sez. II, 11.02.2005, n. 365;
TAR Lazio, sez. II, 04.02.2005, n.
1036) occorre distinguere il concetto di
pertinenza previsto dal diritto civile dal
più ristretto concetto di pertinenza inteso
in senso urbanistico, che non trova
applicazione in relazione a quelle
costruzioni che, pur potendo essere
qualificate come beni pertinenziali secondo
la normativa privatistica, assumano tuttavia
una funzione autonoma rispetto ad altra
costruzione, con conseguente loro
assoggettamento al regime del permesso di
costruire. Ne consegue che, tenuto conto
delle caratteristiche dell’intervento
abusivo realizzato dal ricorrente risultanti
dalla motivazione dell’ordine di
demolizione, il predetto intervento –non
essendo coessenziale ad un bene principale e
potendo essere successivamente utilizzato in
modo autonomo e separato– non può ritenersi
pertinenza ai fini urbanistici, sì da
escludere che lo stesso sia sottoposto al
preventivo rilascio del permesso di
costruire.
In relazione alla censura inerente la
mancata verifica della reale difformità
dell’abuso rispetto al titolo posseduto,
osserva il Collegio come il provvedimento
indichi con chiarezza che l’intervento
edilizio colpito dalla sanzione
ripristinatoria è il volume edificato sopra
il garage (regolarmente assentito). L’opera
in questione è stata realizzata in totale
difformità dal titolo –la DIA del 23.03.2004– il cui contenuto era limitato alla
realizzazione di un parcheggio interrato.
Legittima sotto questo profilo
l’applicazione dell’art. 31 del D.P.R. n.
380/2001.
Nessun dubbio può quindi porsi sull’oggetto
della disposta demolizione mentre, come più
volte affermato dalla giurisprudenza, la
mancata specificazione delle aree da
sottoporre all’acquisizione gratuita al
patrimonio comunale in caso di
inottemperanza all’ordine demolitorio, non
costituisce motivo di illegittimità di
quest’ultimo, potendo l’amministrazione
provvedere a tale incombenza con il
successivo ed eventuale atto di
acquisizione.
Non rileva neppure che il parcheggio sia
stato in precedenza considerato legittimo
dal punto di vista urbanistico. La
circostanza, infatti, che l’amministrazione
abbia consentito la costruzione di un
manufatto interrato non implica la
possibilità per il ricorrente di edificarvi,
senza alcun titolo, un ulteriore volume.
Infondato anche la censura di difetto di
motivazione per non aver l’amministrazione
qualificato la gravità dell’illecito
edilizio. Come affermato dalla
giurisprudenza in presenza di un abuso
edilizio “l’ordinanza di demolizione non
richiede, in linea generale, una specifica
motivazione; l’abusività costituisce di per
sé motivazione sufficiente per l’adozione
della misura repressiva in argomento. Ne
consegue che, in presenza di un’opera
abusiva, l’autorità amministrativa è tenuta
ad intervenire affinché sia ripristinato lo
stato dei luoghi, non sussistendo alcuna
discrezionalità dell’amministrazione in
relazione al provvedere” (TAR Lazio Roma,
sez. I, 19.07.2006, n. 6021); infatti
“l’ordinanza di demolizione di opere
edilizie abusive è atto dovuto e vincolato e
non necessita di motivazione ulteriore
rispetto all’indicazione dei presupposti di
fatto e all’individuazione e qualificazione
degli abusi edilizi” (TAR Marche Ancona,
sez. I, 12.10.2006 , n. 824) ed,
ancora, “presupposto per l'emanazione
dell'ordinanza di demolizione di opere
edilizie abusive è soltanto la constatata
esecuzione di queste ultime in assenza o in
totale difformità del titolo concessorio,
con la conseguenza che, essendo l’ordinanza
atto dovuto, essa è sufficientemente
motivata con l’accertamento dell’abuso,
essendo “in re ipsa” l’interesse pubblico
alla sua rimozione e sussistendo l’eventuale
obbligo di motivazione al riguardo solo se
l’ordinanza stessa intervenga a distanza di
tempo dall’ultimazione dell’opera avendo
l’inerzia dell’amministrazione creato un
qualche affidamento nel privato” (Consiglio
di Stato, sez. V, 29.05.2006 n. 3270).
Peraltro, in presenza di un intervento
edilizio realizzato in assenza del
prescritto permesso di costruire, l'ordine
di demolizione costituisce atto dovuto,
mentre la possibilità di non procedere alla
rimozione delle parti abusive quando ciò sia
di pregiudizio alle parti legittime
costituisce solo un'eventualità della fase
esecutiva, subordinata alla circostanza
dell'impossibilità del ripristino dello
stato dei luoghi (secondo motivo).
Destituita di ogni fondamento risulta la
censura incentrata sulla omissione della
fase partecipativa al procedimento
(violazione dell’art. 7 della legge n. 241
del 1990 – terzo motivo) in quanto i
provvedimenti repressivi degli abusi
edilizi, non devono essere preceduti dalla
comunicazione dell’avvio del procedimento
(ex multis, TAR Campania, Napoli, sez. IV
12.04.2005, n. 3780; 13.01.2006, n.
651), perché trattasi di provvedimenti
tipizzati e vincolati, che presuppongono un
mero accertamento tecnico sulla consistenza
delle opere realizzate e sul carattere non
assentito delle medesime.
Seppure si
aderisse all’orientamento che ritiene
necessaria tale comunicazione anche per gli
ordini di demolizione, troverebbe comunque
applicazione nel caso in esame l’art. 21-octies,
comma 2 della legge n. 241 del 1990
(introdotto dalla legge n. 15/2005), nella
parte in cui dispone che “non è
annullabile il provvedimento adottato in
violazione di norme sul
procedimento...qualora, per la natura
vincolata del provvedimento, sia palese che
il suo contenuto dispositivo non avrebbe
potuto essere diverso da quello in concreto
adottato”.
Infatti, posto che l’ordine di demolizione è
atto dovuto in presenza di opere realizzate
in assenza del prescritto titolo
abilitativo, nel caso in esame risulta
palese che il contenuto dispositivo
dell’impugnata ordinanza di demolizione non
avrebbe potuto essere diverso se fosse stata
data al ricorrente l’opportunità di
interloquire con l’amministrazione
(TAR Campania-Napoli, Sez. III,
sentenza 27.06.2012 n. 3048 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
L’ordinanza impugnata,
ingiungendo la sospensione dei lavori, oltre
che la demolizione, è il primo
provvedimento, interinale, che il Dirigente
del servizio competente deve adottare
allorché venga accertata l’esecuzione di
opere senza permesso di costruire o in
difformità dallo stesso, per cui integra
anche la comunicazione di avvio del
procedimento finalizzato alla reprensione
dell’abuso stesso.
L’ordinanza di demolizione, stante il suo
carattere vincolato e l’inutilità
dell’apporto collaborativo del destinatario,
si sottrae all’obbligo della previa
comunicazione di avvio del procedimento, la
quale si risolverebbe in una formalità del
tutto inutile, essendo inidonea and incidere
con efficacia causale sul contenuto
dell’adottando provvedimento repressivo.
-------------
L’ordinanza di demolizione di opere abusive
presuppone un mero accertamento tecnico
sulla consistenza delle opere realizzate e
sul carattere non assentito delle medesime
e, pertanto, non richiede la previa
comunicazione di avvio del procedimento.
In disparte la circostanza che
l’ordinanza impugnata, ingiungendo la
sospensione dei lavori, oltre che la
demolizione, è il primo provvedimento,
interinale, che il Dirigente del servizio
competente deve adottare allorché venga
accertata l’esecuzione di opere senza
permesso di costruire o in difformità dallo
stesso, per cui integra, per pacifica
giurisprudenza, anche la comunicazione di
avvio del procedimento finalizzato alla
reprensione dell’abuso stesso,
condividendone le finalità, va notato come,
per giurisprudenza altrettanto pacifica,
l’ordinanza di demolizione, stante il suo
carattere vincolato e l’inutilità
dell’apporto collaborativo del destinatario,
si sottrae all’obbligo della previa
comunicazione di avvio del procedimento, la
quale si risolverebbe in una formalità del
tutto inutile, essendo inidonea and incidere
con efficacia causale sul contenuto
dell’adottando provvedimento repressivo (per
tutte, TAR Liguria, Sez. I, 22.04.2011, n.
666).
Si è in tal senso affermato,
condivisibilmente, che l’ordinanza di
demolizione di opere abusive presuppone un
mero accertamento tecnico sulla consistenza
delle opere realizzate e sul carattere non
assentito delle medesime e, pertanto, non
richiede la previa comunicazione di avvio
del procedimento (TAR Liguria, Sez. I,
22.04.2011, n. 666, cit.; TAR Campania–Napoli, Sez. IV, 10.08.2008, n. 9710; TAR
Umbria, 05.06.2007, n. 499; TAR Campania–Napoli, Sez. IV, 17.01.2007,
n. 357)
(TAR Campania-Napoli, Sez. III,
sentenza 27.06.2012 n. 3041 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
L’Amministrazione, una volta
eventualmente accertata l’illegittimità di
una determinata situazione fattuale, è
vincolata -prima di
procedere all’adozione dei conseguenziali
provvedimenti sanzionatori- a valutare
previamente la fondatezza delle istanze dei
privati finalizzate ad ottenere il rilascio
di provvedimenti di sanatoria, adottando al
riguardo un espresso e motivato
provvedimento.
---------------
E' congruamente motivata l’ordinanza
demolitoria che muova dall’accertamento di
un intervento edilizio eseguito in contrasto
con la normativia urbanistico-edilizia e in
spregio della protezione vincolistica ex
D.Lgs. n. 42/2004.
---------------
Gli atti di repressione degli abusi edilizi
hanno natura urgente e strettamente
vincolata (essendo dovuti a cagione
dell’insussistenza del titolo per l’avvenuta
trasformazione del territorio), con la
conseguenza che, ai fini della loro
adozione, non sono richiesti apporti
partecipativi del soggetto destinatario.
L’astratta assentibilità delle opere non può costituire
un elemento ostativo all’irrogazione delle
sanzioni previste dall’ordinamento per
interventi edilizi realizzati in assenza di
titolo, salvo il caso –che qui non ricorre
per le ragioni già esposte– in cui penda
un’istanza di sanatoria straordinaria.
Costituisce, infatti, jus receptum nel nostro
ordinamento, oltre che principio
reiteratamente affermato dalla
giurisprudenza amministrativa, l’assunto
secondo il quale l’Amministrazione, una
volta eventualmente accertata
l’illegittimità di una determinata
situazione fattuale, è vincolata -prima di
procedere all’adozione dei conseguenziali
provvedimenti sanzionatori- a valutare
previamente la fondatezza delle istanze dei
privati finalizzate ad ottenere il rilascio
di provvedimenti di sanatoria, adottando al
riguardo un espresso e motivato
provvedimento (cfr. TAR Calabria Reggio
Calabria 27.03.2002 n. 199; TAR
Campania Napoli, sez. IV, 22.07.2002,
n. 4335; TAR Campania Salerno, sez. II, 20.01.2003 n. 64).
Nel caso di specie, la pendenza delle
domande di sanatoria ai sensi della Legge
n. 326/2003, per la loro genericità ed
inerenza ad altre opere, non determina la
illegittimità dei provvedimenti
sanzionatori.
In definitiva, nel caso di specie,
l’attività edilizia è stata intrapresa senza
né il titolo edilizio né il titolo
paesistico prescritti e ha condotto alla
realizzazione di manufatti per i quali
neppure successivamente è stata proposta
istanza di sanatoria né in via ordinaria
(art. 36 D.P.R. 380/2001) né, tantomeno, come
si è evidenziato, in via straordinaria.
Quanto poi alle doglianze relative a carenze
istruttorie e motivazionali dei
provvedimenti demolitori impugnati, il
Tribunale si richiama al proprio costante
indirizzo, secondo il quale è congruamente
motivata l’ordinanza demolitoria che muova
dall’accertamento di un intervento edilizio
eseguito in contrasto con la normativia
urbanistico-edilizia e in spregio della
protezione vincolistica ex D.Lgs. n. 42/2004
(cfr. motivazione dei provvedimenti
impugnati): «l'ordinanza di demolizione non
richiede, in linea generale, una specifica
motivazione; l'abusività costituisce di per
sé motivazione sufficiente per l'adozione
della misura repressiva in argomento. Ne
consegue che, in presenza di un'opera
abusiva, l'autorità amministrativa è tenuta
ad intervenire affinché sia ripristinato lo
stato dei luoghi, non sussistendo alcuna
discrezionalità dell'amministrazione in
relazione al provvedere» (cfr., ex multis,
TAR Lazio Roma, sez. I, 19.07.2006,
n. 6021).
Del pari è infondata la censura inerente la
violazione dell’art. 7 Legge n. 241/1990:
secondo il costante orientamento di questo
Tribunale, infatti, gli atti di repressione
degli abusi edilizi hanno natura urgente e
strettamente vincolata (essendo dovuti a
cagione dell’insussistenza del titolo per
l’avvenuta trasformazione del territorio),
con la conseguenza che, ai fini della loro
adozione, non sono richiesti apporti
partecipativi del soggetto destinatario
(cfr. ex multis, TAR Lazio, Sez. II, 31.01.2001,
n. 782)
(TAR Campania-Napoli, Sez. III,
sentenza 27.06.2012 n. 3035 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
I provvedimenti repressivi degli
abusi edilizi non devono essere preceduti
dalla comunicazione dell'avvio del
procedimento, perché trattasi di
provvedimenti tipizzati e vincolati, che
presuppongono un mero accertamento tecnico
sulla consistenza delle opere realizzate e
sul carattere abusivo delle medesime.
Inoltre, seppure si aderisse
all'orientamento che ritiene necessaria tale
comunicazione anche per gli ordini di
demolizione, troverebbe comunque
applicazione nel caso in esame l'art.
21-octies, comma 2, prima parte, della legge
n. 241/1990 (introdotto dalla legge n.
15/2005), nella parte in cui dispone che
"non è annullabile il provvedimento adottato
in violazione di norme sul procedimento
qualora, per la natura vincolata del
provvedimento, sia palese che il suo
contenuto dispositivo non avrebbe potuto
essere diverso da quello in concreto
adottato".
Infatti, posto che l'ordine di
demolizione è atto dovuto in presenza di
opere realizzate in assenza del prescritto
titolo abilitativo, nel caso in esame -trattandosi di un consistente intervento di
nuova edificazione (sostanziatosi, secondo
quanto emerge dalla documentazione versata
in atti, nell’edificazione di un immobile
destinato ad abitazione, articolato su due
piani fuori terra) subordinato al preventivo
rilascio del permesso di costruire- risulta
palese che il contenuto dispositivo
dell'impugnata ordinanza di demolizione non
avrebbe potuto essere diverso se alla parte
ricorrente fosse stata data comunicazione
dell'avvio del procedimento.
-------------
L'adozione dell'ordine di demolizione di
opere abusive presuppone soltanto la
constatata esecuzione di un intervento
edilizio in assenza del prescritto titolo
abilitativo, con la conseguenza che, essendo
tale ordine un atto dovuto, esso è
sufficientemente motivato con l'accertamento
dell'abuso, e non necessita di una
particolare motivazione in ordine
all'interesse pubblico alla rimozione
dell'abuso stesso -che è in re ipsa,
consistendo nel ripristino dell'assetto
urbanistico violato- ed alla possibilità di
adottare provvedimenti alternativi.
---------------
La validità ovvero l'efficacia dell'ordine
di demolizione non risultano pregiudicate
dalla successiva presentazione di un'istanza
di sanatoria ai sensi dell’art. 13 della l.
n. 47 del 1985, posto che nel sistema non è
rinvenibile una previsione dalla quale possa
desumersi un tale effetto, sicché, se, da un
lato, la presentazione della domanda di
sanatoria attraverso l’istituto
dell’accertamento di conformità determina
inevitabilmente un arresto dell'efficacia
dell'ordine di demolizione, all'evidente
fine di evitare, in caso di accoglimento
dell'istanza, la demolizione di un'opera
astrattamente suscettibile di sanatoria,
dall'altro, occorre ritenere che l'efficacia
dell'atto sanzionatorio sia soltanto
sospesa, cioè che l'atto sia posto in uno
stato di temporanea quiescenza.
All'esito del procedimento di sanatoria, in
caso di accoglimento dell'istanza, l'ordine
di demolizione rimarrà privo di effetti in
ragione del sopravvenuto venir meno
dell'originario carattere abusivo dell'opera
realizzata. Di contro, in caso di rigetto
dell'istanza, l'ordine di demolizione
riacquista la sua efficacia.
Il Collegio evidenzia,
infatti, che secondo la prevalente
giurisprudenza, (ex multis, TAR Liguria
Genova, Sez. I, 22.04.2011, n. 666;
TAR Campania Salerno, Sez. II, 13.04.2011, n. 702; TAR Campania Napoli, Sez. VIII,
06.04.2011, n. 1941; Sez. IV, 13.01.2011, n. 84; TAR Puglia Lecce,
Sez. III, 09.02.2011, n. 240) i
provvedimenti repressivi degli abusi edilizi
non devono essere preceduti dalla
comunicazione dell'avvio del procedimento,
perché trattasi di provvedimenti tipizzati e
vincolati, che presuppongono un mero
accertamento tecnico sulla consistenza delle
opere realizzate e sul carattere abusivo
delle medesime.
Inoltre, seppure si aderisse
all'orientamento che ritiene necessaria tale
comunicazione anche per gli ordini di
demolizione, troverebbe comunque
applicazione nel caso in esame l'art.
21-octies, comma 2, prima parte, della legge
n. 241/1990 (introdotto dalla legge n.
15/2005), nella parte in cui dispone che
"non è annullabile il provvedimento adottato
in violazione di norme sul procedimento
qualora, per la natura vincolata del
provvedimento, sia palese che il suo
contenuto dispositivo non avrebbe potuto
essere diverso da quello in concreto
adottato".
Infatti, posto che l'ordine di
demolizione è atto dovuto in presenza di
opere realizzate in assenza del prescritto
titolo abilitativo, nel caso in esame -trattandosi di un consistente intervento di
nuova edificazione (sostanziatosi, secondo
quanto emerge dalla documentazione versata
in atti, nell’edificazione di un immobile
destinato ad abitazione, articolato su due
piani fuori terra) subordinato al preventivo
rilascio del permesso di costruire- risulta
palese che il contenuto dispositivo
dell'impugnata ordinanza di demolizione non
avrebbe potuto essere diverso se alla parte
ricorrente fosse stata data comunicazione
dell'avvio del procedimento.
---------------
Il secondo motivo di ricorso -incentrato
sul difetto di motivazione- risulta
palesemente infondato perché, secondo una
consolidata giurisprudenza (ex multis,
TAR Campania Napoli, Sez. IV, 28.12.2009, n. 9638; Sez. VI,
09.11.2009, n.
7077; Sez. VII, 04.12.2008, n. 20987),
l'adozione dell'ordine di demolizione di
opere abusive presuppone soltanto la
constatata esecuzione di un intervento
edilizio in assenza del prescritto titolo
abilitativo, con la conseguenza che, essendo
tale ordine un atto dovuto, esso è
sufficientemente motivato con l'accertamento
dell'abuso, e non necessita di una
particolare motivazione in ordine
all'interesse pubblico alla rimozione
dell'abuso stesso -che è in re ipsa,
consistendo nel ripristino dell'assetto
urbanistico violato- ed alla possibilità di
adottare provvedimenti alternativi.
Il Collegio reputa opportuna una
ulteriore puntualizzazione.
Come esposto nella narrativa in fatto,
la difesa del ricorrente ha depositato, in
data 19.04.2012, un’istanza di
sanatoria, presentata il 28.03.2000
all’amministrazione comunale, ai sensi
dell’art. 13 della l. n. 47 del 1985, avente
ad oggetto l’immobile sanzionato con
l’ordinanza di demolizione gravata, composto
–secondo quanto emerge dalla stessa istanza– da due piani fuori terra, con sottotetto
realizzato in legno e tegole.
Sebbene la difesa della ricorrente si
sia limitata alla suddetta produzione senza
avanzare alcuna domanda ad essa correlata,
il Collegio ritiene di dover chiarire che la
validità ovvero l'efficacia dell'ordine di
demolizione non risultano pregiudicate dalla
successiva presentazione di un'istanza di
sanatoria ai sensi dell’art. 13 della l. n.
47 del 1985, posto che nel sistema non è
rinvenibile una previsione dalla quale possa
desumersi un tale effetto, sicché, se, da un
lato, la presentazione della domanda di
sanatoria attraverso l’istituto
dell’accertamento di conformità determina
inevitabilmente un arresto dell'efficacia
dell'ordine di demolizione, all'evidente
fine di evitare, in caso di accoglimento
dell'istanza, la demolizione di un'opera
astrattamente suscettibile di sanatoria,
dall'altro, occorre ritenere che l'efficacia
dell'atto sanzionatorio sia soltanto
sospesa, cioè che l'atto sia posto in uno
stato di temporanea quiescenza. All'esito
del procedimento di sanatoria, in caso di
accoglimento dell'istanza, l'ordine di
demolizione rimarrà privo di effetti in
ragione del sopravvenuto venir meno
dell'originario carattere abusivo dell'opera
realizzata. Di contro, in caso di rigetto
dell'istanza, l'ordine di demolizione
riacquista la sua efficacia (in termini,
Cons. St., sez. IV, 19.02.2008, n.
849; TAR, Campania, Napoli, sez. II, 14.09.2009, n. 4961).
Alla luce delle considerazioni che precedono
deve, dunque, escludersi che la produzione
della suddetta istanza determini
un’incidenza sul presente giudizio,
dovendosi anche osservare che la domanda di
sanatoria è stata presentata in data
28.03.2000 sicché su tale istanza si è
formato il provvedimento tacito di rigetto,
che non risulta aver costituito oggetto di
impugnazione: l’art. 13 della l. n. 47 del
1985, analogamente a quanto attualmente
previsto dall’art. 36 del D.P.R. n. 380 del
2001, disponeva, infatti, che sulla “richiesta
di concessione o di autorizzazione in
sanatoria il sindaco si pronuncia entro
sessanta giorni, trascorsi i quali la
richiesta si intende respinta” (TAR Campania-Napoli, Sez. II,
sentenza 26.06.2012 n. 3017 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La validità ovvero l'efficacia
dell'ordine di demolizione non risultano
pregiudicate dalla successiva presentazione
di un'istanza di sanatoria, posto che nel
sistema non è rinvenibile una previsione
dalla quale possa desumersi un tale effetto,
sicché, se, da un lato, la presentazione
della domanda di sanatoria attraverso
l’istituto dell’accertamento di conformità
determina inevitabilmente un arresto
dell'efficacia dell'ordine di demolizione,
all'evidente fine di evitare, in caso di
accoglimento dell'istanza, la demolizione di
un'opera astrattamente suscettibile di
sanatoria, dall'altro, occorre ritenere che
l'efficacia dell'atto sanzionatorio sia
soltanto sospesa, cioè che l'atto sia posto
in uno stato di temporanea quiescenza.
All'esito del procedimento di sanatoria, in
caso di accoglimento dell'istanza, l'ordine
di demolizione rimarrà privo di effetti in
ragione del sopravvenuto venir meno
dell'originario carattere abusivo dell'opera
realizzata. Di contro, in caso di rigetto
dell'istanza, l'ordine di demolizione
riacquista la sua efficacia.
---------------
L’acquisizione gratuita rappresenta la
reazione dell’ordinamento al duplice
illecito posto in essere da chi, dapprima,
esegue un’opera in totale difformità o in
assenza di concessione e, poi, non adempie
l’obbligo di demolire l’opera stessa entro
il termine fissato, sicché la questione di
legittimità costituzionale è manifestamente
infondata perché la gratuità del
trasferimento al patrimonio indisponibile
comunale delle costruzioni edilizie abusive
rappresenta la naturale conseguenza del
carattere sanzionatorio amministrativo del
provvedimento di confisca, che esclude a
priori ogni problema di indennizzo.
In relazione alla
presentazione, successivamente all’adozione
del provvedimento impugnato, della domanda
di sanatoria ai sensi dell’art. 36 del
D.P.R. n. 380 del 2001 ed alle conseguenze
che, ad avviso dei ricorrenti ne
deriverebbero, il Collegio osserva, in primo
luogo, che la validità ovvero l'efficacia
dell'ordine di demolizione non risultano
pregiudicate dalla successiva presentazione
di un'istanza di sanatoria, posto che nel
sistema non è rinvenibile una previsione
dalla quale possa desumersi un tale effetto,
sicché, se, da un lato, la presentazione
della domanda di sanatoria attraverso
l’istituto dell’accertamento di conformità
determina inevitabilmente un arresto
dell'efficacia dell'ordine di demolizione,
all'evidente fine di evitare, in caso di
accoglimento dell'istanza, la demolizione di
un'opera astrattamente suscettibile di
sanatoria, dall'altro, occorre ritenere che
l'efficacia dell'atto sanzionatorio sia
soltanto sospesa, cioè che l'atto sia posto
in uno stato di temporanea quiescenza.
All'esito del procedimento di sanatoria, in
caso di accoglimento dell'istanza, l'ordine
di demolizione rimarrà privo di effetti in
ragione del sopravvenuto venir meno
dell'originario carattere abusivo dell'opera
realizzata. Di contro, in caso di rigetto
dell'istanza, l'ordine di demolizione
riacquista la sua efficacia (in termini,
Cons. St., sez. IV, 19.02.2008, n.
849; TAR, Campania, Napoli, sez. II, 14.09.2009, n. 4961).
---------------
Risulta
manifestamente infondata, in riferimento
all'art. 42 Cost., la questione di
legittimità costituzionale dell’articolo 31,
comma 3, del D.P.R. n. 380/2001
(disposizione applicata
dall’amministrazione, di cui l’articolo 7
della l. n. 47 del 1985 richiamato dalla
difesa dei ricorrenti costituisce
l’antecedente normativo), nella parte in
cui prevede l’acquisizione gratuita al
patrimonio indisponibile del comune, oltre
che della costruzione abusiva non
tempestivamente demolita, anche dell’area
sulla quale essa insiste e delle aree pertinenziali.
Infatti, come evidenziato
dalla giurisprudenza (TAR Campania
Napoli, Sez. VII, 13.05.2009, n. 2599;
Sez. III, 09.07.2007, n. 6581)
l’acquisizione gratuita rappresenta la
reazione dell’ordinamento al duplice
illecito posto in essere da chi, dapprima,
esegue un’opera in totale difformità o in
assenza di concessione e, poi, non adempie
l’obbligo di demolire l’opera stessa entro
il termine fissato, sicché la questione di
legittimità costituzionale è manifestamente
infondata perché la gratuità del
trasferimento al patrimonio indisponibile
comunale delle costruzioni edilizie abusive
rappresenta la naturale conseguenza del
carattere sanzionatorio amministrativo del
provvedimento di confisca, che esclude a
priori ogni problema di indennizzo
(TAR Campania-Napoli, Sez. II,
sentenza 26.06.2012 n. 3015 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La proposizione della domanda di
concessione o permesso di costruire in
sanatoria, a seguito di ordinanza
sanzionatoria di abusi edilizi, comporta la
sopravvenuta carenza di interesse del
ricorso proposto avverso quest’ultima, in
quanto ai sensi degli artt. 38
e 44 della legge 28.02.1985 n. 47, che
trovano applicazione anche per le domande di
sanatoria presentate ex l. n. 326 del 2003,
l’amministrazione ha l’obbligo di provvedere
esplicitamente sulla domanda prima di
adottare eventuali provvedimenti
sanzionatori o portare ad esecuzione quelli
già adottati.
Per giurisprudenza
costante, anche di questa Sezione, la
proposizione della domanda di concessione o
permesso di costruire in sanatoria, a
seguito di ordinanza sanzionatoria di abusi
edilizi, comporta la sopravvenuta carenza di
interesse del ricorso proposto avverso
quest’ultima, in quanto ai sensi degli artt. 38
e 44 della legge 28.02.1985 n. 47, che
trovano applicazione anche per le domande di
sanatoria presentate ex l. n. 326 del 2003,
l’amministrazione ha l’obbligo di provvedere
esplicitamente sulla domanda prima di
adottare eventuali provvedimenti
sanzionatori o portare ad esecuzione quelli
già adottati (cfr., per tutte, TAR
Campania, Sez. II, 21.09.2006,
n. 8199; Consiglio di Stato, Sezione IV, 11.12.1997, n.
1377)
(TAR Campania-Napoli, Sez. II,
sentenza 26.06.2012 n. 3013 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Ai fini della verifica del limite
massimo di cubatura condonabile, va fatto
riferimento all’unitarietà dell'immobile o
del complesso immobiliare, ove sia stato
realizzato l’abuso edilizio in esecuzione di
un disegno unitario, essendo irrilevante la
suddivisione dell’opera in più unità
abitative.
Anche la Corte Costituzionale, nel
dichiarare non fondata la questione di
legittimità costituzionale dell'art. 39,
primo comma, della legge n. 724 del 1994, ha
rilevato, in sostanza, che il soggetto
legittimato non può utilizzare separate
domande per aggirare il limite di volumetria
previsto, da ritenersi assoluto ed
inderogabile.
Come
chiarito dalla giurisprudenza, anche di
questa Sezione –già con riferimento
all’art. 39 della L. n. 724 del 1994,
richiamato nell’ambito dell’art. 32, comma
25, del D.L. n. 269/2003 convertito in L.
n. 326/2003– ai fini della verifica del
limite massimo di cubatura condonabile, va
fatto riferimento all’unitarietà
dell'immobile o del complesso immobiliare,
ove sia stato realizzato l’abuso edilizio in
esecuzione di un disegno unitario, essendo
irrilevante la suddivisione dell’opera in
più unità abitative (cfr. Consiglio di
Stato, Sezione V, 03.03.2001 n. 1229;
TAR Campania, Sezione II, 07.05.2007
n. 4791 e 29.06.2007 n. 6376).
Anche la Corte Costituzionale, con la
sentenza n. 302 del 23.07.1996, nel
dichiarare non fondata la questione di
legittimità costituzionale dell'art. 39,
primo comma, della legge n. 724 del 1994, ha
rilevato, in sostanza, che il soggetto
legittimato non può utilizzare separate
domande per aggirare il limite di volumetria
previsto, da ritenersi assoluto ed
inderogabile.
In definitiva, ai fini in esame, l’edificio
va inteso quale complesso unitario che fa
capo ad un unico soggetto legittimato alla
proposizione della domanda di condono, per
cui le eventuali singole istanze presentate
in relazione alle singole unità che
compongono tale edificio devono riferirsi ad
un’unica concessione in sanatoria, onde
evitare l’elusione del limite di 750 mc.
attraverso la considerazione delle singole
parti in luogo dell'intero complesso (cfr.,
in termini, Cassazione penale, Sezione III,
19.04.2005 n. 20161)
(TAR Campania-Napoli, Sez. II,
sentenza 26.06.2012 n. 3013 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
La domanda di risarcimento del
danno non sostenuta dalle allegazioni
necessarie all'accertamento della
responsabilità dell'Amministrazione deve
essere disattesa, atteso che grava sul
danneggiato l'onere di provare gli elementi
costitutivi della domanda di risarcimento
del danno e dunque almeno di una diminuzione
patrimoniale o di perdita di chance, con la
conseguenza che la totale assenza di queste
indicazioni priva il giudice anche della
possibilità di una valutazione equitativa.
Il danno conseguente alla lesione
dell'interesse legittimo pretensivo
(conseguente all'annullamento
dell'illegittimo diniego di titolo
edilizio), seppure nel circoscritto ambito
della sola c.d. causalità giuridica di cui
agli art. 1223 c.c. ss., e non della
causalità materiale ex art. 41 c.p., è
comunque governato dal rigido principio
dell'onere d'allegazione e prova da parte
del danneggiato, non suscettibile di essere
supplito dalla valutazione equitativa del
giudice che è rigidamente circoscritta alla
sola definizione del quantum.
Il Collegio non può quindi
che fare applicazione, nella specie, del
pacifico insegnamento giurisprudenziale
(discendente direttamente dal principio
generale di cui all'articolo 2697 c.c.),
secondo cui <<la domanda di risarcimento del
danno non sostenuta dalle allegazioni
necessarie all'accertamento della
responsabilità dell'Amministrazione deve
essere disattesa, atteso che grava sul
danneggiato l'onere di provare gli elementi
costitutivi della domanda di risarcimento
del danno e dunque almeno di una diminuzione
patrimoniale o di perdita di chance, con la
conseguenza che la totale assenza di queste
indicazioni priva il giudice anche della
possibilità di una valutazione equitativa>>:
Consiglio di Stato, sez. V, 27.04.2012,
n. 2449 (cfr., altresì, TAR Liguria, sez.
I, 06.02.2010, n. 303, secondo cui <<Il
danno conseguente alla lesione
dell'interesse legittimo pretensivo
(conseguente all'annullamento
dell'illegittimo diniego di titolo
edilizio), seppure nel circoscritto ambito
della sola c.d. causalità giuridica di cui
agli art. 1223 c.c. ss., e non della
causalità materiale ex art. 41 c.p., è
comunque governato dal rigido principio
dell'onere d'allegazione e prova da parte
del danneggiato, non suscettibile di essere
supplito dalla valutazione equitativa del
giudice che è rigidamente circoscritta alla
sola definizione del quantum>>) (TAR Campania-Napoli, Sez. II,
sentenza 26.06.2012 n. 3000 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La presentazione di un’istanza di
accertamento di conformità ex art. 36 D.P.R.
n. 380/2001 in epoca successiva all’adozione
dell’ordinanza di demolizione ha automatico
effetto caducante sull’ordinanza di
demolizione, rendendola inefficace.
La presentazione di una siffatta domanda di
sanatoria produce, quindi, l’effetto di
rendere improcedibile l’impugnazione contro
l’atto sanzionatorio per sopravvenuta
carenza di interesse, posto che il riesame
dell’abusività dell’opera, provocato
dall’istanza, sia pure al fine di
verificarne l’eventuale sanabilità, comporta
la necessaria formazione di un nuovo
provvedimento, esplicito o implicito (di
accoglimento o di rigetto), che vale
comunque a superare il provvedimento
sanzionatorio oggetto dell’impugnativa.
---------------
Ai sensi dell'art. 31, comma 4, DPR 380/2001
il titolo per l’immissione in possesso del
bene e per la trascrizione nei RR.II. è
costituito dall’accertamento di
inottemperanza della ingiunzione a demolire;
e per tale deve intendersi non il mero
verbale di constatazione di inadempienza,
atteso il suo carattere endoprocedimentale.
Il Collegio aderisce
all’orientamento giurisprudenziale secondo
cui la presentazione di un’istanza di
accertamento di conformità ex art. 36 D.P.R.
n. 380/2001 in epoca successiva all’adozione
dell’ordinanza di demolizione ha automatico
effetto caducante sull’ordinanza di
demolizione, rendendola inefficace.
La presentazione di una siffatta domanda di
sanatoria produce, quindi, l’effetto di
rendere improcedibile l’impugnazione contro
l’atto sanzionatorio per sopravvenuta
carenza di interesse, posto che il riesame
dell’abusività dell’opera, provocato
dall’istanza, sia pure al fine di
verificarne l’eventuale sanabilità, comporta
la necessaria formazione di un nuovo
provvedimento, esplicito o implicito (di
accoglimento o di rigetto), che vale
comunque a superare il provvedimento
sanzionatorio oggetto dell’impugnativa.
Nel senso dell’improcedibilità si è già
peraltro più volte espressa la
giurisprudenza anche di questo Tribunale con
riferimento sia alle istanze di sanatoria
sia alle richieste di accertamento di
conformità ex art. 36 TU 06.06.2001 n. 380
presentate dopo l’ordinanza di demolizione
(TAR Calabria Catanzaro, sez. II, 07.11.2008, n. 1482; TAR Campania
Napoli, sez. VI, 22.10.2008, n. 17688;
TAR Campania Napoli, sez. III, 18.09.2008, n. 10346; TAR Campania
Napoli, sez. VI, 16.09.2008, n.
10220; TAR Campania Napoli, sez. VI, 18.03.2008, n. 1399; TAR Lombardia–Milano, Sez. II, 30.01.2008 n. 255/2008; TAR Lombardia–Milano, Sez. II, 27.02.2008 n. 545/2008;
Consiglio Stato, sez. V, 26.06.2007,
n. 3659; Cons. Stato, 31.05.2006 n. 7884).
Tale istanza, peraltro, è stata
negativamente decisa con l’anzidetta
disposizione dirigenziale n. 36 del
09.03.2007, che ha contestualmente rinnovato
l’ordine di ripristino dello stato dei
luoghi.
Il nuovo ordine di demolizione si presenta,
quindi, come un provvedimento demolitorio
sostitutivo del provvedimento gravato
nell’atto introduttivo del presente
giudizio, e la lesione alla sfera giuridica
del ricorrente deriva pertanto unicamente
dal nuovo provvedimento (cfr. Tar Campania
Napoli, sez. III, sent. n. 2579/2004).
---------------
Da
ultimo, va esaminato il terzo gravame
proposto con i motivi aggiunti, avverso il
verbale di dissequestro dei vigili, che da
atto della emissione di ordinanza di
acquisizione e quindi non dispone la
riconsegna dell’immobile al Vivenzio, in
quanto l’avente diritto viene individuato
nel Comune di Napoli. La impugnativa in
parte qua è inammissibile.
Osserva in proposito il Collegio che detto
verbale costituisce mero atto
endoprocedimentale, non autonomamente
impugnabile, trattandosi di accertamento di
inottemperanza all’ordine di demolizione,
circoscritto alla attestazione della mancata
esecuzione della diffida a demolire.
Lo stesso, laddove aggiunge che l’immobile
viene restituito al Comune di Napoli, quale
avente diritto, da previamente atto che
sarebbe stata emessa ordinanza sindacale di
acquisizione ex art. 31 DPR 380/2001.
In tal senso, il detto verbale non riveste
autonoma efficacia lesiva, in quanto si
limita a dare atto della avvenuta emanazione
di atto di acquisizione, che peraltro non
forma oggetto del presente giudizio.
Dispone al riguardo l’art. 31 DPR 380/2001,
commi 3 e 4:
“3. Se il responsabile dell'abuso non
provvede alla demolizione e al ripristino
dello stato dei luoghi nel termine di
novanta giorni dall'ingiunzione, il bene e
l'area di sedime, nonché quella necessaria,
secondo le vigenti prescrizioni
urbanistiche, alla realizzazione di opere
analoghe a quelle abusive sono acquisiti di
diritto gratuitamente al patrimonio del
comune. L'area acquisita non può comunque
essere superiore a dieci volte la
complessiva superficie utile abusivamente
costruita.
4. L'accertamento dell'inottemperanza alla
ingiunzione a demolire, nel termine di cui
al comma 3, previa notifica all'interessato,
costituisce titolo per l'immissione nel
possesso e per la trascrizione nei registri
immobiliari, che deve essere eseguita
gratuitamente.”
Ai sensi del citato art. 31, comma 4, DPR
380/2001 il titolo per l’immissione in
possesso del bene e per la trascrizione nei RR.II. è costituito dall’accertamento di
inottemperanza della ingiunzione a demolire;
e per tale deve intendersi non il mero
verbale di constatazione di inadempienza,
atteso il suo carattere endoprocedimentale
(cfr. TAR Campania Napoli sez. II n.
5905/2008) ma un atto formale di
accertamento compiuto dagli organi dell’ente
dotati della relativa potestà
provvedimentale
(TAR Campania-Napoli, Sez. IV,
sentenza 26.06.2012 n. 2999 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
In pendenza di una procedura di
sanatoria non definita, l’ordine di
demolizione successivamente spedito
rappresenta un sovvertimento dell’ordine
logico di valutazione della fattispecie
sottoposta all’esame degli organi
competenti, con conseguente vizio di eccesso
di potere dell’atto repressivo anticipato.
L’art. 38 legge 47/1985 impone
all’amministrazione di astenersi, sino alla
definizione del procedimento attivato per il
rilascio della concessione in sanatoria, da
ogni iniziativa repressiva, che
vanificherebbe a priori il rilascio del
titolo abilitativo in sanatoria, sicché la
P.A. ha l’obbligo di pronunciarsi sulla
condonabilità o meno dell’opera edilizia
prima di portare ad ulteriore corso il
procedimento repressivo.
Già in via generale infatti, in
pendenza di una procedura di sanatoria non
definita, l’ordine di demolizione
successivamente spedito rappresenta un
sovvertimento dell’ordine logico di
valutazione della fattispecie sottoposta
all’esame degli organi competenti, con
conseguente vizio di eccesso di potere
dell’atto repressivo anticipato
(giurisprudenza consolidata: cfr., fra le
tante, TAR Veneto, 07.07.2000, n. 1301; TAR
Calabria, Catanzaro, 04.11.2001, n. 4; TAR
Sardegna, 07.08.2000, n. 769; TAR Campania,
Napoli, 10.11.1997, n. 2905 e 01.04.1999, n. 940;).
Per quanto riguarda la normativa eccezionale
in materia di cosiddetto condono edilizio,
poi, l’art. 38 della legge 28.02.1985, n. 47
–riferibile anche alle procedure avviate ai
sensi dell’art. 32, comma 25, del
D.L.30.09.2003, n. 269, convertito in legge
24.11.2003, n. 326, che nel successivo
comma 28 prevede l’applicabilità delle
disposizioni di cui alla citata legge n.
47/1985, ove compatibili– prevede che "la
presentazione entro il termine perentorio
della domanda…sospende il procedimento
penale e quello per le sanzioni
amministrative".
Tenuto conto del principio generale sopra
enunciato, deve ritenersi che la sospensione
di cui trattasi si traduca in interruzione
dell’iter procedurale per le sanzioni emesse
prima della presentazione dell’istanza e di
inibitoria dell’avvio di ogni attività
repressiva, per opere che siano
astrattamente sanabili, in presenza di
istanza di condono che si trovi già agli
atti dell’amministrazione.
Pertanto il ricorso va dichiarato
improcedibile, stante l’art. 38 legge
47/1985, il cui disposto impone
all’amministrazione di astenersi, sino alla
definizione del procedimento attivato per il
rilascio della concessione in sanatoria, da
ogni iniziativa repressiva, che
vanificherebbe a priori il rilascio del
titolo abilitativo in sanatoria, sicché la
P.A. ha l’obbligo di pronunciarsi sulla
condonabilità o meno dell’opera edilizia
prima di portare ad ulteriore corso il
procedimento repressivo (cfr. CdS sez. V
24.03.1998 n. 345; 17.03.1998 n. 298)
(TAR Campania-Napoli, Sez. IV,
sentenza 26.06.2012 n. 2998 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI -
EDILIZIA PRIVATA:
Ai sensi del sesto comma
dell’art. 22 D.P.R. n. 380, per interventi
edilizi di eseguire sugli immobili
sottoposti a tutela paesaggistica, è
necessario il preventivo rilascio
dell’autorizzazione dell'autorità preposta
alla tutela del vincolo medesimo.
In sua assenza il procedimento avviato con
la d.i.a non si perfeziona, di talché alcun
titolo abilitativo alla realizzazione delle
opere può dirsi acquisito, sicché il
programmato intervento edilizio, ove venga,
comunque, eseguito, deve ritenersi eseguito
“sine titulo” e l’amministrazione è tenuta a
sanzionarlo.
La violazione del chiaro principio impostato
nell’articolo 22, comma 6, del d.p.r. 380/2001
circa la realizzabilità degli interventi in
regime di DIA subordinatamente al preventivo
rilascio dell’autorizzazione paesaggistica
elide –ripetesi– qualsivoglia dubbio sulla
presunta formazione del silenzio–assenso,
ovvero affidamenti nel privato sulla
legittimazione ad eseguire l’intervento
oggetto di denuncia.
---------------
Laddove una determinazione amministrativa di
segno negativo si fondi su una pluralità di
ragioni, ciascuna delle quali di per sé
idonea a supportarla in modo autonomo, è
sufficiente che anche una sola di esse
resista alle censure mosse in sede
giurisdizionale perché il provvedimento nel
suo complesso resti esente
dall'annullamento.
Ed, invero, ai sensi del sesto
comma dell’art. 22 D.P.R. n. 380, per
interventi edilizi di eseguire sugli
immobili sottoposti a tutela paesaggistica,
è necessario il preventivo rilascio
dell’autorizzazione dell'autorità preposta
alla tutela del vincolo medesimo (che, nella
specie, non risulta essere stato affatto
resa).
In sua assenza il procedimento avviato con
la d.i.a non si perfeziona, di talché alcun
titolo abilitativo alla realizzazione delle
opere può dirsi acquisito, sicché il
programmato intervento edilizio, ove venga,
comunque, eseguito, deve ritenersi eseguito
“sine titulo” e l’amministrazione è tenuta a
sanzionarlo.
La violazione del chiaro principio impostato
nell’articolo 22, comma 6, del d.p.r. 380/2001
circa la realizzabilità degli interventi in
regime di DIA subordinatamente al preventivo
rilascio dell’autorizzazione paesaggistica
elide –ripetesi– qualsivoglia dubbio sulla
presunta formazione del silenzio–assenso,
ovvero affidamenti nel privato sulla
legittimazione ad eseguire l’intervento
oggetto di denuncia (cfr. TAR Campania, VI
Sezione, n. 2385 del 28.04.2011, TAR
Campania, VI Sezione n. 3889 del 13.07.2009).
Resta, pertanto, acclarata la natura abusiva
delle trasformazioni del territorio operate
dalla parte ricorrente con l’intervento
suddetto e l’incidenza delle medesime su
un’area sottoposta a vincolo paesisitico.
In siffatte evenienze, consegue come effetto
necessitato la spedizione dell’ordine
demolitorio, stante la “straordinaria
importanza della tutela reale dei beni
paesaggistici ed ambientali” (cfr. C. Cost. Ord.za 12/20.12.2007 n. 439).
L’articolo 167 del d.p.r. 42/2004
espressamente prevede, infatti, come misura
sanzionatoria tipica quella della rimessione
in pristino.
Né poteva ritenersi concretamente
predicabile –contrariamente a quanto
sostenuto nell’atto di gravame– la
conversione della misura ripristinatoria
irrogata in quella pecuniaria secondo quanto
previsto dal combinato disposto dei commi 1,
4 e 5 dell’articolo 167 sopra citato.
E’, infatti, di tutta evidenza che il
procedimento di accertamento di
compatibilità paesaggistica -che consente di
sanare anche gli interventi di manutenzione
straordinaria, tipologia cui vanno
ricondotte le opere abusivamente realizzate
dal ricorrente- delineato dalla suddetta
disciplina di settore ha luogo, invero, solo
su impulso di parte, occorrendo a tali fini
che “il proprietario, possessore o detentore
a qualsiasi titolo dell’immobile o dell’area
interessati dagli interventi di cui al comma
4 (tra cui giustappunto gli interventi di
manutenzione straordinaria) presenti
apposita domanda …di accertamento della
compatibilità paesaggistica degli interventi
medesimi”.
Poste, dunque, da un lato, l’assenza della
previa autorizzazione paesaggistica, che ha
bloccato il perfezionamento del titolo
edilizio sotto forma di dichiarazione di
inizio attività, e, dall’altro, la mancata
attivazione del procedimento di accertamento
di compatibilità paesaggistica di cui
all’articolo 167, è dunque evidente che
l’Amministrazione non ha avuto altra scelta
che sanzionare gli interventi abusivamente
eseguiti con gli strumenti repressivi (id
est misure ripristinatorie) imposti dalla
disciplina di settore.
A fronte della richiamata cornice normativa
–che costruisce l’intervento repressivo demolitorio come atto dovuto ed a contenuto
vincolato– devono evidentemente ritenersi
recessive le ulteriori doglianze articolate
nel gravame con le quali la parte ricorrente
lamenta l’insufficienza dell’istruttoria
ovvero l’inadeguatezza del corredo
motivazionale del provvedimento impugnato.
Peraltro, la natura assorbente delle
considerazioni fin qui svolte (che impingono
nella necessità di una tutela “reale” ex
articolo 167 del d.lgs. 42/2004 in ragione
del valore paesistico dell’area) rispetto ai
profili giuridici che involgono il (solo)
rilievo edilizio delle opere eseguite (ai
sensi della concorrente previsione
sanzionatoria di cui all’articolo 31 del
d.p.r. 380/2001, parimenti richiamata
nell’ordine di demolizione) trova conforto
nel principio giurisprudenziale secondo cui
devono ritenersi inammissibili le censure
tese a contestare aspetti ulteriori della
motivazione i cui eventuali vizi non
potrebbero determinare l’annullamento del
provvedimento (cfr., ex multis, Consiglio
Stato, sez. VI, 29.03.2011, n. 1897, che
ribadisce come “laddove una
determinazione amministrativa di segno
negativo si fondi su una pluralità di
ragioni, ciascuna delle quali di per sé
idonea a supportarla in modo autonomo, è
sufficiente che anche una sola di esse
resista alle censure mosse in sede
giurisdizionale perché il provvedimento nel
suo complesso resti esente dall'annullamento”)
(TAR Campania-Napoli, Sez. VI,
sentenza 25.06.2012 n. 2987 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
In presenza dell'esercizio della
facoltà straordinaria prevista dalla legge
il provvedimento repressivo "perde efficacia
in quanto deve essere sostituito o dal
permesso di costruire in sanatoria o da un
nuovo procedimento sanzionatorio, essendo
l'Amministrazione tenuta, in quest'ultimo
caso, in base a quanto previsto dall'art. 40
comma 1, l. n. 47 del 1985, al completo
riesame della fattispecie", con conseguente
"traslazione e differimento dell'interesse
ad impugnare verso il futuro provvedimento
che, eventualmente, respinga la domanda
medesima, disponendo nuovamente la
demolizione dell'opera edilizia ritenuta
abusiva.
In data 03.02.2012, la ricorrente
ha prodotto due domande di condono (n.
2034/95 e 2035/95) presentate ai sensi e per
gli effetti di cui all’art. 39 della legge
23.12.1994 n. 724, corredandole di una
relazione tecnica –non smentita
dall’Amministrazione intimata, nemmeno
costituita in giudizio- che attesta la
corrispondenza delle opere oggetto di
condono a quelle in contestazione.
Tanto è sufficiente ai fini di una
declaratoria di improcedibilità del ricorso
in epigrafe.
Ed invero, per giurisprudenza risalente e
consolidata, a tale definizione in rito
della causa deve pervenirsi ove, in sede di
decisione di un ricorso proposto avverso
ordini di demolizione, risulti
successivamente presentata domanda per
conseguire il condono edilizio.
E ciò in
quanto in presenza dell'esercizio della
facoltà straordinaria prevista dalla legge
il provvedimento repressivo "perde efficacia
in quanto deve essere sostituito o dal
permesso di costruire in sanatoria o da un
nuovo procedimento sanzionatorio, essendo
l'Amministrazione tenuta, in quest'ultimo
caso, in base a quanto previsto dall'art. 40
comma 1, l. n. 47 del 1985, al completo
riesame della fattispecie", con conseguente
"traslazione e differimento dell'interesse
ad impugnare verso il futuro provvedimento
che, eventualmente, respinga la domanda
medesima, disponendo nuovamente la
demolizione dell'opera edilizia ritenuta
abusiva" (cfr. fra le ultime, Cons. Stato,
sezione sesta, 07.05.2009, n. 2833; Tar
Campania, Napoli, questa sesta sezione, 25.10.2010, n. 21366;
07.06.2010, n.
12741; 04.06.2010, n. 12345; 25.02.2010, n. 1158 e
09.11.2009, n. 7051;
sezione settima, 09.02.2009, n. 645;
Tar Lazio, Roma, sezione prima, 09.02.2010, n. 1780; Tar Emilia Romagna Bologna,
sezione seconda, 12.01.2010, n. 20)
(TAR Campania-Napoli, Sez. VI,
sentenza 25.06.2012 n. 2986 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA-PRIVATA:
CAVE E MINIERE - Installazione di
due silos metallici - Permesso di costruire
- Necessità - Scavo con dinamite -
Trasformazione del suolo - Fattispecie -
Art. 44, D.P.R. n. 380/2001.
Anche per l'installazione di due silos
metallici e di un impianto di frantumazione
occorre il titolo concessorio (Cass. Sez. 3,
n. 4891 del 25/02/1985 per i silos) così
come le opere edili realizzate all'interno
di una cava in cui si svolgono attività
estrattive autorizzate necessitano del
permesso di costruire, ove non precarie,
anche se connesse al ciclo produttivo,
configurandosi, in difetto, il reato di cui
all'art. 44, d.P.R. 06.06.2001, n. 380
(Cass. Sez. 3, n. 18546 del 07/04/2010).
Inoltre, la trasformazione del suolo si
materializza, anche, nello scavo con
dinamite sul medesimo arrecando modifiche
permanenti. Fattispecie: realizzazione di un
impianto per materiale lapideo e di due
silos in assenza di permesso di costruire e
di autorizzazione ambientale (Corte di Cassazione, Sez. III
penale,
sentenza 13.06.2012 n. 23222 - link a
www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA-PRIVATA:
Opere abusive - Condono
edilizio - Nozione di ultimazione -
Cessazione della permanenza del reato.
In materia urbanistica, la cessazione della
permanenza del reato di costruzione abusiva
va individuata nel momento della ultimazione
dell'opera, ivi comprese le rifiniture
esterne ed interne, che anticipa tale
momento a quello della ultimazione della
struttura.
Tale criterio, è funzionale ed
applicabile solo in materia di condono
edilizio e non anche per stabilire in via
generale il momento consumativo del reato di
costruzione in difetto di permesso di
costruire (Corte di Cassazione, Sez. III
penale,
sentenza 13.06.2012 n. 23222 - link a
www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA-PRIVATA:
Reati paesaggistici -
Cessazione e permanenza del reato - Effetti
del sequestro - Computo dei termini di
prescrizione - Artt. 142, lett. c) e 181
D.L.vo n.42/2004.
Il reato di cui all'art. 181, comma primo,
D.Lgs. n. 42 del 2004, realizzato mediante
una condotta che si protrae nel tempo (come
si verifica per una costruzione edilizia) è
permanente e si consuma con l'esaurimento
totale dell'attività o con la cessazione
della condotta per altro motivo. (Cass. Sez.
3, n. 16393 del 17/02/2010).
E' vero che
anche il sequestro determina la cessazione
della permanenza ma, evidentemente, solo in
quanto si concretizzi come evento impeditivo
alla prosecuzione dei lavori (Sez. 3, n.
7286 del 06/05/1994 Rv. 198200). E' di tutta
evidenza, pertanto, che la data del
sequestro del manufatto, qualora successiva
alla ultimazione di quest'ultimo, non possa
avere alcuna autonoma rilevanza per il
computo dei termini di prescrizione in
quanto la permanenza del reato è già cessata
con l'ultimazione del manufatto stesso.
E
ciò vale, anche per la violazione dell'art.
181 DLvo n. 42/2004 ove la contestazione
abbia anch'essa ad oggetto la realizzazione
del manufatto (Corte di Cassazione, Sez. III
penale,
sentenza 13.06.2012 n. 23222 - link a
www.ambientediritto.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
INQUINAMENTO ATMOSFERICO
- Emissioni di fumi - Idoneità della
molestia - Accertamento mediante perizia -
Necessità - Esclusione - Elementi probatori
di diversa natura - Art. 674 C.P - D.L.vo
n.152/06.
Ai fini della configurabilità del reato di
cui all'art. 674 cod. pen. l'attitudine
delle emissioni di gas, vapori o fumi a
molestare le persone non deve essere
accertata necessariamente mediante perizia,
ben potendo il giudice fondare il proprio
convincimento, secondo le regole generali,
su elementi probatori di diversa natura,
quali le dichiarazioni testimoniali di
coloro che siano in grado di riferire
caratteristiche ed effetti delle emissioni,
quando tali dichiarazioni non si risolvano
nell'espressione di valutazioni meramente
soggettive o in giudizi di natura tecnica,
ma si limitino a riferire quanto
oggettivamente percepito dagli stessi
dichiaranti (Corte di Cassazione, Sez. III
penale,
sentenza 13.06.2012 n. 23222 - link a
www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA-PRIVATA:
Ai fini dell’individuazione del
vero momento terminale della procedura per
il rilascio della concessione edilizia,
occorre avere riguardo a quello dell’atto di
determinazione del contributo,
necessariamente questo presupponendo la
intervenuta positiva “determinazione di
legge sulla domanda”, ossia l’accoglimento
di questa da parte dell’organo competente.
Appare necessario, per una corretta
soluzione della questione concreta all’esame
del Collegio, svolgere alcune osservazioni
in merito alla natura della concessione
edilizia (di cui alla legge 28.01.1977 n.
10), che costituisce l’atto formale che pone
termine a un iter amministrativo complesso.
Alla fase preliminare (presentazione della
domanda, esame tecnico del progetto e parere
della commissione edilizia comunale) segue
quella della determinazione di legge
sull’istanza (riservata, in via esclusiva,
all’organo abilitato al rilascio della
concessione), che, se negativa, sarà seguita
dalla notificazione all’interessato del
diniego all’assenso, mentre, se positiva,
richiederà l’espletamento di una ulteriore
attività valutativo accertativa per la
determinazione del contributo di
urbanizzazione e di quello sul costo di
costruzione.
Pertanto, ai fini dell’individuazione del
vero momento terminale della procedura per
il rilascio della concessione edilizia,
occorre avere riguardo a quello dell’atto di
determinazione del contributo,
necessariamente questo presupponendo la
intervenuta positiva “determinazione di
legge sulla domanda”, ossia
l’accoglimento di questa da parte
dell’organo competente (cfr., Cassazione
penale, sez. III, 27.02.1996, n. 3134) (TAR Toscana,
Sez. III,
sentenza 07.06.2012 n.
1087 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA-PRIVATA: L’art.
23, comma 7, D.Lg.vo n. 285/1992 prevede
l’autorizzazione da parte dell’Ente
proprietario e del concessionario
dell’autostrada esclusivamente per le
insegne di esercizio, ma esclude
espressamente il rilascio
dell’autorizzazione per le insegne
pubblicitarie.
Da quest’ultima norma si evince che le
insegne di esercizio hanno la finalità di
individuare il punto di accesso dell’impresa
e possono essere autorizzate soltanto se non
pregiudicano la sicurezza della circolazione
stradale, mentre, al contrario, se le
insegne di esercizio assumono le
caratteristiche di insegne di tipo
pubblicitario non possono essere
autorizzate.
Nel merito il presente ricorso risulta
infondato e pertanto va respinto, atteso che
l’art. 23, comma 7, D.Lg.vo n. 285/1992
prevede l’autorizzazione da parte dell’Ente
proprietario e del concessionario
dell’autostrada esclusivamente per le
insegne di esercizio, ma esclude
espressamente il rilascio
dell’autorizzazione per le insegne
pubblicitarie.
Da quest’ultima norma si evince che le
insegne di esercizio hanno la finalità di
individuare il punto di accesso dell’impresa
e possono essere autorizzate soltanto se non
pregiudicano la sicurezza della circolazione
stradale, mentre, al contrario, se le
insegne di esercizio assumono le
caratteristiche di insegne di tipo
pubblicitario non possono essere
autorizzate.
Dai rilievi fotografici contenuti nella
Relazione tecnica, allegata al ricorso,
risulta che l’insegna, oggetto della
controversia in esame:
1) poggia su 10 pali di acciaio, installati
sul tetto dello stabilimento industriale
della società ricorrente, il quale risulta
composto dal solo piano terra;
2) si trova ad oltre un metro dal tetto del
predetto stabilimento;
3) ed occupa quasi tutta la superficie del
tetto del citato stabilimento.
Da tali caratteristiche si ricava
agevolmente che l’insegna di cui è causa non
è una normale e/o semplice insegna di
esercizio, che consente alla clientela di
individuare il punto di accesso ai locali
commerciali, ma svolge una funzione
promozionale dell’attività imprenditoriale
della ricorrente ed assume essenzialmente
e/o prevalentemente carattere pubblicitario,
tenuto pure conto che l’accesso ai locali
commerciale non poteva avvenire direttamente
dall’Autostrada (per una fattispecie
analoga, in cui l’insegna era stata
collocata sul tetto di uno stabilimento
industriale cfr. C.d.S. Sez. VI Sent. n.
3782 del 28.06.2007, la quale ha riformato
la Sentenza Sez. III TAR Veneto n. 1645 del
03.05.2002, citata dalla ricorrente).
Comunque, l’ANAS di Potenza ha anche
ritenuto con una valutazione discrezionale,
non manifestamente irragionevole, che
l’insegna di cui è causa arreca disturbo
visivo agli utenti dell’Autostrada,
potendone distrarne l’attenzione con
conseguente pericolo per la sicurezza della
circolazione stradale.
Per completezza va, altresì, precisato che
il decorso del termine di 60 giorni,
previsto dall’art. 53, comma 5, DPR n.
495/1992 per l’emanazione del provvedimento
di autorizzazione all’installazione di
un’insegna visibile da un’Autostrada, non
consuma il potere dell’Ente proprietario o
del concessionario dell’Autostrada di
pronunciarsi sul’istanza di autorizzazione,
ma consente al richiedente di proporre
l’azione giurisdizionale ex art. 21-bis L.
n. 1034/1971.
Inoltre, va evidenziato che, nella specie,
non si è formato il silenzio assenso ai
sensi dell’art. 20 L. n. 241/1990, nel testo
sostituito dall’art. 3, comma 6-ter, D.L. n.
35/2005 conv. nella L. n. 80/2005, in quanto
il 4° comma dell’art. 20 L. n. 241/1990
esclude espressamente la formazione del
silenzio assenso con riferimento agli atti e
procedimenti relativi, tra l’altro, alla
pubblica sicurezza ed alla pubblica
incolumità, per cui nella specie non si è
formato alcun silenzio assenso, poiché il
procedimento in commento, essendo attinente
alla sicurezza della circolazione stradale,
rientra senz’altro nell’ambito oggettivo
delle materie della pubblica sicurezza e
della pubblica incolumità (TAR Basilicata,
sentenza 24.05.2012 n. 247 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA:
Il generale potere conformativo di cui è
titolare l’Amministrazione Comunale in sede
di pianificazione del territorio non
coincide in tale evenienza con il ben
diverso potere di carattere ablatorio
previsto dall’art. 25 della L. 17.08.1942 n.
1150, in forza del quale “le aree libere
sistemate a giardini privati adiacenti a
fabbricati possono essere sottoposte al
vincolo dell’inedificabilità anche per una
superficie superiore a quella di
prescrizione secondo la destinazione della
zona”, con la precisazione che “in tal caso,
e sempre che non si tratti di aree
sottoposte ad analogo vincolo in forza di
leggi speciali, il Comune è tenuto al
pagamento di un’indennità per il vincolo
imposto oltre il limite delle prescrizioni
di zona”.
Tale disciplina è infatti applicabile
nell’ipotesi, ben differente dal caso di
specie, in cui lo strumento urbanistico
generale imponga, con riferimento ad una
singola area edificabile, un indice di
fabbricabilità diverso ed inferiore rispetto
a quello fissato in via generale per la
medesima zona omogenea.
Se così è, pertanto, la destinazione
urbanistica di un’area a “verde privato”
operata dalle previsioni del vigente
strumento urbanistico primario non assume la
natura di vincolo ablatorio o assimilabile,
ma rientra nell’ambito della normale
conformazione della proprietà privata,
espressione del potere di pianificazione del
territorio comunale.
In tal senso, per risalente ma ancora
attuale e non smentito indirizzo
giurisprudenziale, la destinazione a verde
privato di un’area rientra infatti tra le
ipotesi di qualificazione delle zone
territoriali omogenee di cui lo strumento
urbanistico primario si compone e, anche se
pone preclusione all’edificazione implicando
l’esclusione della possibilità di realizzare
qualsiasi opera edilizia incidente sulla
destinazione a verde, rimane comunque
espressione delle funzioni di ripartizione
in zone del territorio, senza determinare
vincoli tali da escludere potenzialmente il
diritto di proprietà nella sua interezza.
In relazione a quanto ora evidenziato, la
destinazione stessa non sostanzia alcun
vincolo correlato al regime di decadenza
conseguente all’inutile decorso del termine
quinquennale all’epoca contemplato dall’art.
2 della L. 19.11.1968 n. 1187 (e, ora,
dall’art. 9 del T.U. approvato con D.P.R.
06.06.2001 n. 327 come modificato dall’art.
1 del D.L.vo 27.12.2002 n. 352) e che
altrimenti implicherebbe -per l’appunto-
l’obbligo del Comune di procedere alla
riqualificazione urbanistica delle aree
stesse dopo la scadenza del vincolo.
Il punto nodale della causa risiede nella
configurazione giuridica della destinazione
a “verde privato” imposta ad una
determinata area dallo strumento urbanistico
primario.
A ragione il giudice di primo grado ha
affermato che, in tal senso, il generale
potere conformativo di cui è titolare
l’Amministrazione Comunale in sede di
pianificazione del territorio non coincide
in tale evenienza con il ben diverso potere
di carattere ablatorio previsto dall’art. 25
della L. 17.08.1942 n. 1150, in forza del
quale “le aree libere sistemate a
giardini privati adiacenti a fabbricati
possono essere sottoposte al vincolo dell’inedificabilità
anche per una superficie superiore a quella
di prescrizione secondo la destinazione
della zona”, con la precisazione che “in
tal caso, e sempre che non si tratti di aree
sottoposte ad analogo vincolo in forza di
leggi speciali, il Comune è tenuto al
pagamento di un’indennità per il vincolo
imposto oltre il limite delle prescrizioni
di zona”.
Tale disciplina è infatti applicabile
nell’ipotesi, ben differente dal caso di
specie, in cui lo strumento urbanistico
generale imponga, con riferimento ad una
singola area edificabile, un indice di
fabbricabilità diverso ed inferiore rispetto
a quello fissato in via generale per la
medesima zona omogenea.
Se così è, pertanto, la destinazione
urbanistica di un’area a “verde privato”
operata dalle previsioni del vigente
strumento urbanistico primario non assume la
natura di vincolo ablatorio o assimilabile,
ma rientra nell’ambito della normale
conformazione della proprietà privata,
espressione del potere di pianificazione del
territorio comunale.
In tal senso, per risalente ma ancora
attuale e non smentito indirizzo
giurisprudenziale, la destinazione a verde
privato di un’area rientra infatti tra le
ipotesi di qualificazione delle zone
territoriali omogenee di cui lo strumento
urbanistico primario si compone e, anche se
pone preclusione all’edificazione implicando
l’esclusione della possibilità di realizzare
qualsiasi opera edilizia incidente sulla
destinazione a verde (così, ex plurimis,
Cons. Stato, Sez. IV, 05.10.1995 n. 781),
rimane comunque espressione delle funzioni
di ripartizione in zone del territorio,
senza determinare vincoli tali da escludere
potenzialmente il diritto di proprietà nella
sua interezza (così Cons. Stato, Sez. IV,
24.07.1985 n. 290).
In relazione a quanto ora evidenziato, e a
differenza di quanto affermato dalla parte
appellante, la destinazione stessa non
sostanzia alcun vincolo correlato al regime
di decadenza conseguente all’inutile decorso
del termine quinquennale all’epoca
contemplato dall’art. 2 della L. 19.11.1968
n. 1187 (e, ora, dall’art. 9 del T.U.
approvato con D.P.R. 06.06.2001 n. 327 come
modificato dall’art. 1 del D.L.vo 27.12.2002
n. 352) e che altrimenti implicherebbe -per
l’appunto- l’obbligo del Comune di procedere
alla riqualificazione urbanistica delle aree
stesse dopo la scadenza del vincolo (cfr.
sul punto, ad es., Cons. Stato, Sez. IV,
14.12.1993 n. 1068).
Da ciò consegue, quindi, non solo che
nessuna decadenza si è nella specie
verificata per quanto segnatamente attiene
alla destinazione a verde privato imposta
all’area in questione, ma anche che dalla
destinazione stessa non discende alcun
obbligo di indennizzo per il privato, non
potendosi pertanto dare accesso a
qualsivoglia censura tesa a far valere
l’illegittimità della previsione di
destinazione sotto il profilo della mancanza
di un ristoro economico al riguardo (Consiglio di Stato,
Sez. IV,
sentenza 18.05.2012 n. 2919 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
CONSIGLIERI COMUNALI:
Scioglimento del Consiglio
comunale o provinciale a seguito delle
dimissioni di oltre la metà dei Consiglieri.
Con le dimissioni di oltre la metà dei
Consiglieri comunali o provinciali, si
realizza una delle cause di impedimento del
normale funzionamento degli organi e dei
servizi di cui alla lett. b) del comma 1,
dell'art. 141 del d.lgs. 267 del 2000 (T.U.E.L.),
cioè un fatto sul quale l'ordinamento ha già
espresso un giudizio di disvalore,
prevedendo la procedura di scioglimento con
decreto del Capo dello Stato. Pertanto, i
motivi che giustificano la sospensione del
Consiglio comunale o provinciale (e che già
in parte trovano giustificazione nei motivi
di scioglimento stabiliti dalla norma
stessa), non necessitano di una estesa e
penetrante motivazione, avendo un contenuto
di ampia discrezionalità, sindacabile
soltanto per palese illogicità (1).
L'art. 141, lett. b), n. 3, del d.lgs. 267
del 2000, che disciplina l'ipotesi di
scioglimento del Consiglio comunale o
provinciale per dimissioni contestuali della
metà più uno dei Consiglieri, non introduce
una diversa e speciale forma di dimissioni
rispetto a quella regolamentata dall'art. 38
del medesimo d.lgs., intendendo il
legislatore, con la citata norma,
semplicemente far scaturire un preciso
effetto giuridico (lo scioglimento
dell'organo) al verificarsi di un mero fatto
(le contestuali dimissioni di più della metà
dei consiglieri), sulla base della
presunzione che la contestuale presentazione
delle dimissioni della metà più uno dei
consiglieri sottende la volontà politica di
sciogliere il Consiglio (2). Non si
configura, pertanto, un "atto collettivo"
(negoziale) di dimissioni, unitario e
plurimo allo stesso tempo, bensì a un mero
fatto consegue l'effetto dissolutorio
previsto dalla norma.
L'atto di rassegnazione delle dimissioni di
oltre la metà dei Consiglieri comunali o
provinciali è un atto giuridico in senso
stretto, cioè un atto i cui effetti
giuridici non dipendono dalla volontà
dell'agente, ma sono disposti
dall'ordinamento, senza riguardo
all'intenzione di colui che li pone in
essere; è, infatti, atto irrevocabile, non
ricettizio e immediatamente efficace (3).
E’ legittimo il decreto prefettizio con cui,
a seguito delle dimissioni di oltre la metà
dei consiglieri comunali, è stato sospeso il
Consiglio comunale e nominato il Commissario
per la provvisoria amministrazione del
Comune, essendo irrilevante la mancanza di
motivazione in ordine ai motivi di grave
urgenza e necessità, da intendersi quali
motivi ulteriori rispetto alle dimissioni
ultra dimidium dei consiglieri comunali;
infatti, i motivi di grave e urgente
necessità che devono essere posti alla base
del decreto di sospensione e di nomina
provvisoria del Commissario, sono da
ritenersi impliciti nel caso di dimissioni
ultra dimidium dei Consiglieri,
venendo altrimenti meno, in modo gravemente
pericoloso per il regolare funzionamento
dell’Ente, la maggioranza dell’organo
rappresentativo, con conseguente nocumento
alle garanzie che l’organo consigliare,
nella sua regolare composizione, assicura
alla vita della Comunità Locale (4).
E’ irrilevante che il decreto prefettizio di
scioglimento del Consiglio comunale per
dimissioni di oltre la metà dei Consiglieri
non abbia considerato il fatto che la
Giunta, pur decaduta, sarebbe comunque
rimasta in carica per prorogatio ex lege
(con la conseguenza che non avrebbe potuto,
il Commissario nominato, esercitare i poteri
della Giunta e del Sindaco), atteso che
l’istituto della prorogatio non ha
applicazione generalizzata, ma opera solo
con riferimento a specifiche situazioni
tassativamente determinate, come risulta
dalla l. n. 444 del 1994, nella quale la
decadenza della Giunta, nell’ipotesi in
questione, non è prevista e, anzi, gli
effetti sono direttamente tratti dalla
legge.
-------------
(1) Cfr. Cons. Stato, sez. VI,
12.08.2009, n. 4936
(2) Cfr. Cons. Stato, sez. V, 17.11.2009, n.
7166
(3) Cfr. Cons. Stato, sez. V, 17.11.2009, n.
7166
(4) Ha aggiunto la sentenza in rassegna che
proprio le funzioni del Commissario, volte a
garantire la ripresa del processo
democratico in seno alla comunità locale, al
fine di ricomporre e superare la crisi
istituzionale determinatasi nell’ente, in
una posizione di evidente neutralità
rispetto agli interessi contrapposti che
confluiscono nelle varie forse politiche,
rende evidente che sia non solo
indispensabile, bensì anche insita nella
stessa figura in esame, la circostanza che
il Commissario debba sostituire gli organi
di rappresentanza politica dell’Ente Locale.
A contrariis, risulterebbe evidentemente
compromessa la funzione di garanzia e di
terzietà che assume il Commissario stesso,
che è funzionale a condurre l’ente al
rinnovo elettorale dei propri organi di
governo, funzione che sarebbe compromessa,
rendendone impossibile l’esercizio, in
presenza di una Giunta ancora pienamente
operante (commento tratto da
www.regione.piemonte.it - Consiglio di
Stato, Sez. V,
sentenza 27.04.2012 n. 2444 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA-PRIVATA: DIA-SCIA, la denuncia di abusi edilizi dev'essere
''seria''.
Per convincere l'amministrazione ad
intervenire per reprimere un abuso edilizio
derivante da una d.i.a. ci vuole molto di
più di una segnalazione orale. E'
necessario depositare una denuncia scritta
con l'indicazione del tipo di violazione e
la richiesta di misure atte a reprimerle. In
mancanza di queste formalità,
l'amministrazione può tranquillamente
rimanere inerte, non incombendo sulla
medesima alcun obbligo di attivarsi.
Lo ha stabilito la II Sez. del TAR
Lombardia-Milano con la
sentenza 12.04.2012 n. 1075.
Nel caso concreto un condomine (peraltro un
avvocato) si è accorto che alcuni lavori
avviati dal suo dirimpettaio (in forza di
una d.i.a.) facevano pensare ad un abuso
edilizio. Per questo motivo ha segnalato la
vicenda all'amministratore di condominio il
quale, a sua volta, si è attivato notiziando
dell'abuso la polizia municipale di paese.
L'amministrazione, tuttavia, a seguito di un
sopralluogo, ha deciso di non intervenire
lasciando indisturbato il titolare della
d.i.a.
La lite non poteva finire lì.
Ed infatti il condomino-avvocato ha scelto
la strada del ricorso al tribunale
amministrativo.
A quest'ultimo è stato chiesto di prendere
atto del silenzio tenuto
dall'amministrazione (nonostante la
segnalazione dell'abuso e la richiesta di
intervento repressivo), e di condannare lui
stesso l'amministrazione ad intervenire,
bloccando i lavori in corso.
Il Tar Lombardia, però, ha rigettato il
ricorso.
Secondo i giudici milanesi l'amministrazione
non sarebbe stata adeguatamente sollecitata
ad intervenire, posto che un messaggio di
posta elettronica e una telefonata non
potevano dirsi sufficienti per lamentare il
mancato rispetto di una d.i.a. o di una
s.c.i.a. .
Per censurare le attività legittimate da
questi atti (privati) il terzo rimasto leso
deve formalizzare una denuncia dotata di
quei requisiti minimi di “serietà” che la
rendano idonea a porre in capo alla
amministrazione l’obbligo di esercitare i
propri poteri di verifica ed insieme a
configurare, in caso di inerzia della
stessa, un vero e proprio silenzio
inadempimento che abbia un rilievo giuridico
e possa così essere censurato davanti al
tribunale amministrativo.
Il Tar Lombardia si preoccupa di indicare
quale siano i requisiti necessari della
denuncia del terzo. Anzitutto la forma dev'essere
quella scritta. Quanto al contenuto, invece,
la denuncia deve dare atto del tipo di
abuso, al contempo sollecitando
espressamente l'amministrazione ad adottare
tutte le misure che possono considerarsi
adeguate ad eliminare l'abuso.
E' importante precisare che questa procedura
così formale imposta al controinteressato
per raggiungere l'intento di bloccare
l'agire del vicino vale solo per gli abusi
che attengono a quei lavori realizzabili
tramite una semplice dichiarazione (di
intenti) del privato (d.i.a./s.c.i.a.).
Lo stesso rigore, infatti, non vale per gli
abusi edilizi più gravi, per i quali il
terzo leso può limitarsi a fare una denuncia
orale all'amministrazione che a quel punta
avrà l'obbligo di intervenire, attesa anche
la rilevanza penale di tali eventi.
In detti termini la giurisprudenza sembra
interpretare la disciplina prevista dal
legislatore differenziando gli oneri imposti
al terzo leso in base all'importanza del
bene giuridico che si prenda in
considerazione.
Le differenze che intercorrono tra i due
tipi di abusi e le relative procedure per
denunciarli dipendono dal fatto che solo nel
caso di lavori soggetti a permesso di
costruire il legislatore ha previsto un
procedimento amministrativo che culmina,
appunto, in una autorizzazione all'inizio
dei lavori; lo stesso non accade nei casi in
cui il privato è libero di iniziare
l'attività una volta adempiute le dovute
segnalazioni all'amministrazione competente,
che potrà espletare tutti i controlli
necessari solo in seguito (secondo la logica
del controllo successivo).
Se non c'è un procedimento, spiega il Tar
Lombardia, non ci può essere un silenzio
giuridicamente rilevante
dell'amministrazione che, a quel punto, è
legittimata a rimanere inerte.
La decisione merita attenzione perché
rappresenta il precipitato della riforma del
legislatore con la legge n. 148 del 2011
(“Manovra d'estate”), intervenuta
sull'articolo 19 della Legge n. 241/1990, con
l'innesto del nuovo comma 6-ter.
In quell'occasione il Parlamento già aveva
smantellato gran parte della costruzione
offerta dalla sentenza n. 15/2011
dell'Adunanza plenaria del Consiglio di
Stato la quale, diversamente dal
legislatore, aveva accordato grande tutela
al controinteressato rimasto leso
dall'attività scaturente dall'allora d.i.a.
(oggi s.c.i.a.), e ciò proprio in base alla
consapevolezza della forte incidenza che
alcuni interventi “liberalizzati” possono
avere nei confronti dei terzi, similmente a
quanto accade per le opere soggette a
permesso di costruire.
Nei termini che precedono non può negarsi
come l'onere di formalizzare una denuncia
scritta incombente sul terzo costituisca un
ulteriore arretramento della soglia della
sua tutela, il tutto in nome di un processo
di trasformazione verso uno Stato sociale di
diritto che, tuttavia, sembra avvantaggiare
solo taluni (commento tratto da www.ipsoa.it - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
AGGIORNAMENTO AL 09.07.2012 |
ã |
NOVITA' NEL
SITO |
● Inserito il nuovo bottone
dossier CAMBIO DESTINAZIONE D'USO (con o senza opere) |
SINDACATI |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO:
La revisione della spesa pubblica
secondo il governo Monti
(CGIL-FP di Bergamo,
nota 05.07.2012). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO:
EE.LL.: la disciplina delle
assunzioni di personale a tempo
indeterminato
(CGIL-FP di Bergamo,
nota 30.06.2012). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO:
EE.LL.: il ricorso alle forme di
lavoro flessibile
(CGIL-FP di Bergamo,
nota 30.06.2012). |
QUESITI &
PARERI |
AMBIENTE-ECOLOGIA: I
rifiuti urbani indifferenziati prodotti nei
luoghi di assistenza del sisma in Emilia
dove possono essere smaltiti?
(29.06.2012 - link a www.ambientelegale.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA: I
beni di valore storico–artistico derivanti
dai crolli del sisma in Emilia sono rifiuti?
(29.06.2012 - link a www.ambientelegale.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA: I
materiali derivanti dal crollo degli edifici
del sisma in Emilia se contenenti amianto
ricadono nella deroga all’art. 184 del D.Lgs
n. 152/2006?
(29.06.2012 - link a www.ambientelegale.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA: I
materiali derivanti dal crollo degli edifici
del sisma in Emilia sono rifiuti speciali o
rifiuti urbani?
(29.06.2012 - link a www.ambientelegale.it). |
NOTE,
CIRCOLARI E COMUNICATI |
APPALTI: Oggetto:
DURC - obbligo di richiesta d'ufficio da
parte delle stazioni appaltanti diverse
dalle amministrazioni aggiudicatrici
(Ministero del Lavoro e delle Politiche
Sociali,
nota 02.07.2012 n. 12064 di prot.). |
COMPETENZE PROGETTUALI:
Oggetto: sentenza del TAR dell'Emilia
Romagna in materia di competenze
professionali degli Ingegneri e degli
Architetti nel settore delle opere stradali
(Ordine degli Ingegneri di Bergamo,
nota 29.06.2012 n. 766 di prot.). |
EDILIZIA PRIVATA:
Oggetto: d.P.R. n. 160/2010 - Chiarimenti
in merito alle competenze del SUAP
(Presidenza del Consiglio dei Ministri,
Segreteria tecnica dell'Unità per la
semplificazione e la qualità della
regolazione,
nota 19.06.2012 n. 465 di prot.). |
GURI - GUUE -
BURL (e anteprima) |
APPALTI FORNITURE - ENTI LOCALI - PUBBLICO
IMPIEGO - VARI:
G.U. 06.07.2012, suppl. ord. n. 141/L, "Disposizioni
urgenti per la revisione della spesa
pubblica con invarianza dei servizi ai
cittadini"
(D.L.
06.07.2012 n. 95). |
EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA: B.U.R.
Lombardia, serie ordinaria n. 27 del
04.07.2012, "Modalità di presentazione ai
competenti uffici comunali della
documentazione cartografica necessaria
all’istituzione e all’aggiornamento del
catasto del sottosuolo di cui al comma 3,
art. 42, della l.r. 18.04. 2012, n. 7
“Misure per la crescita, lo sviluppo e
l’occupazione" (deliberazione
G.R. 02.07.2012 n. 3692). |
EDILIZIA PRIVATA: B.U.R.
Lombardia, serie ordinaria n. 27 del
04.07.2012, "Sostegno finanziario agli
enti locali ed agli enti gestori delle aree
regionali protette per l’esercizio delle
funzioni paesaggistiche (art. 79, l.r. n.
12/2005) - Determinazioni per l’anno 2012"
(deliberazione
G.R. 02.07.2012 n. 3670). |
LAVORI PUBBLICI: B.U.R.
Lombardia, serie ordinaria n. 27 del
04.07.2012, "Modalità attuative per il
funzionamento del comitato per la
trasparenza degli appalti e sulla sicurezza
dei cantieri" (deliberazione
G.R. 02.07.2012 n. 3656). |
VARI: G.U.
03.07.2012 n. 153 "Disposizioni in
materia di riforma del mercato del lavoro in
una prospettiva di crescita" (L.
28.06.2012 n. 92). |
DOTTRINA E
CONTRIBUTI |
APPALTI SERVIZI:
R. Camporesi,
Teoremi interpretativi dell’art. 14, comma
32, del D.l. 78/2010 sui limiti imposti agli
enti locali a detenere società (SECONDA
PARTE) (link a
www.dirittodeiservizipubblici.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI - PUBBLICO IMPIEGO:
S. Corvaja,
Accessibilità degli elaborati di soggetti
risultati vincitori e/o idonei di un
concorso pubblico: commento a sentenza TAR
Trentino Alto Adige-Bolzano, Sez. I,
13.12.2011 n. 390 (link a
www.diritto.it). |
SEGRETARI COMUNALI:
A. Lo Destro,
Segretari comunali contro la corruzione.
Come si può pensare che un funzionario,
privo delle garanzie di indipendenza e
stabilità, nominato ogni cinque anni dal
sindaco e che scade automaticamente al
cessare del mandato, possa esercitare una
efficace azione anticorruzione? (27.06.2012
- link a www.leggioggi.it).
---------------
C. Rossi,
Il segretario comunale, riedizione moderna
del mito di Atlante (04.07.2012 -
link a www.leggioggi.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA: R.
Vitale,
I latrati dei cani, quando scatta la
responsabilità del proprietario - L’abbaiare
dei cani, tra “diritto esistenziale”
degli animali e reato ex art. 659 c.p. “Disturbo
delle occupazioni o del riposo delle persone” (01.07.2012
- link a www.leggioggi.it). |
EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA: P.
Mantegazza, Impianto generale della l.r.
4/2012 e rapporti con la legislazione
urbanistica ed edilizia nazionale -
Intervento a L.R. 13.03.2012, n. 4 -Norme
per la valorizzazione del patrimonio
edilizio esistente e altre disposizioni in
materia urbanistico–edilizia / Nuove
questioni e quadro d'insieme del nuovo Piano
Casa della Regione Lombardia.
● LEGGE REGIONALE 13.03.2012 N. 4 -
Parte prima “Legge
sulla casa” (art. 1 – 6);
● LEGGE REGIONALE 13.3.2012 N. 4 -
Parte seconda “Modifiche
alla L.R. 11.3.2005 n. 12” (Legge per il
Governo del Territorio) (30.05.2012 -
tratto da
www.cameramministrativacomo.it). |
EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA:
L. Spallino, Quadro degli interventi
derogatori eccezionali della l.r. 4/2012 - Nuove questioni e quadro d’insieme del
nuovo Piano Casa della Regione Lombardia.
●
Quadro degli
interventi derogatori eccezionali della l.r.
4/2012 (30.05.2012 - tratto da
www.cameramministrativacomo.it). |
CORTE DEI
CONTI |
ENTI LOCALI: Gestione associata – convenzioni.
La Corte dei Conti, sezione Regionale
Lombardia, con
parere
22.06.2012 n. 293, risponde ad un
quesito posto dal Sindaco del Comune di
Clusone (BG) inerente ad eventuale
convenzione per la gestione associata di
servizi e/o funzioni che non implica
necessariamente il ricorso a "nuovo
personale", bensì potrebbe anche essere
attuata dando vita ad una semplice forma
associativa con la creazione di uffici
comuni che operano con il personale
distaccato dagli enti partecipanti.
La Corte dei Conti precisa: "la decisione
se procedere o meno a stipulare una
convenzione per la gestione associata di
servizi e/o funzioni attiene al merito
dell'azione amministrativa e rientra,
ovviamente, nella piena ed esclusiva
discrezionalità e responsabilità dell'ente
che potrà orientare la sua decisione in base
alle conclusioni contenute nel parere della
Sezione."
Queste le conclusioni della Corte dei Conti:
"indipendentemente dalla circostanza che
la convenzione tra gli Enti partecipanti
preveda modalità di ripartizione dei
relativi oneri e (conseguentemente) rimborsi
in favore del Comune capofila, quest'ultimo
agisce, non già in mancanza di un interesse
diretto, ma per il conseguimento di propri
fini istituzionali individuabili nella
volontà di esercitare in forma associata
-secondo le modalità indicate dall'art. 30
TUEL- determinate funzioni amministrative di
propria competenza al fine di realizzare un
utilizzo delle risorse pubbliche
maggiormente rispondete ai principi di
efficacia, efficienza ed economicità (Sez.
Reg. Contr. Puglia, deliberazione n. 91/PRSP/2010)."
(tratto da www.publika.it). |
ENTI LOCALI: Associazioni.
Caos per l'applicazione ai centri che si
convenzionano per mettere in comune i
servizi.
Nodo-personale per le unioni di funzioni
IL VINCOLO/
Il decreto legge 78/2010 ha limitato al 50%
dei costi sostenuti nel 2009 le forme di
lavoro «atipiche».
La gestione del personale, nell'associazione
di funzioni e servizi, è incompatibile con i
vincoli assunzionali e le limitazioni di
spesa volute dal legislatore. A complicare
le cose è l'articolo 9, comma 28, del
decreto legge 78/2010 il quale, nel limitare
al 50% della spesa 2009 le forme di lavoro
flessibile, ha indicato anche le
«convenzioni» tra le tipologie oggetto del
taglio.
La Corte dei conti della Lombardia, nel
parere 15.06.2012 n. 279, pur evidenziando la
dubbia razionalità, funzionalità e
costituzionalità di norme che impongono un
rigido limite quantitativo, ancorato a un
dato di spesa storico, ha affermato che
anche in caso di stipula di convenzioni
"obbligatorie" –disciplinate dall'articolo
14, commi da 25 a 31, del decreto legge
78/2010– sia necessario rispettare questa
norma.
Quindi, in caso di convenzione, dovrà essere
rispettato l'obbligo di avvalersi di
personale nel limite del 50% rispetto alla
spesa sostenuta nel 2009. Ma chi deve fare
questo calcolo? L'ente che verrà individuato
capofila? E perché solo questo dovrebbe
caricarsi di un simile vincolo?
In pratica: due comuni decidono di mettere
insieme la funzione fondamentale 08, quella
della viabilità e dei trasporti. Un ente ha
in servizio dieci dipendenti, l'altro ente
cinque. Viene stabilito che il comune con
dieci dipendenti diventi il capofila della
convenzione. Quindi si costituisce un
ufficio comune, in base all'articolo 30,
comma 4, del decreto legislativo 267/2000
con 15 dipendenti. È evidente che, in questo
caso, non ci sono maggiori spese, perché non
ci sono nuove immissioni in servizio. Si
convenzionano i dipendenti che già sono
conteggiati nei singoli enti; dipendenti che
restano «giuridicamente ed economicamente»
in capo all'ente di appartenenza. Quindi, in
questo caso, la norma non può operare.
Caso diverso, invece, è se dalla convenzione
scaturisse la necessità di implementare
l'organico della gestione associata,
mediante una nuova assunzione nelle forme
flessibili. In questa ipotesi la
disposizione dell'articolo 9, comma 28, si
applica anche se resta da stabilire (per
esempio, in un articolo della convenzione)
chi si accollerà l'onere dell'assunzione e
in quale modo si procederà al conteggio del
tetto del 50% della spesa 2009.
Se, invece, si utilizza l'articolo 14 del
contratto collettivo nazionale di lavoro del
22.01.2004, non necessariamente le
funzioni vengono esercitate in forma
associata. Anzi, lo strumento sembra più
vicino a quello che è stato anche definito
"comando a tempo parziale" in assenza di
convenzione, disciplinato dall'articolo 30
del decreto legislativo 267/2000. Di fatto,
quindi, per l'ente utilizzatore, si
tratterebbe di un incremento di personale,
con una maggiore attività lavorativa e una
conseguente maggiore spesa di personale.
Questo è quanto emerge dalla deliberazione
180/2012 della Corte dei conti della
Campania. I giudici concludono che non
esistono margini per interpretazioni diverse
rispetto a quanto contenuto nella norma. Le
"convenzioni" vi sono indicate al
pari delle altre forme di assunzione in essa
menzionate e a tutte è espressamente
riferito il limite previsto. Viene anche
aggiunto che non appare corretta alcuna
distinzione tra una tipologia di convenzione
rispetto a un'altra, data l'univocità del
termine, riferibile potenzialmente a ognuna
di esse. Chiusura totale, quindi. Ora, può
spettare solo al legislatore chiarire le
priorità tra gestione obbligatoriamente
associata e vincoli di contenimento della
spesa
(articolo Il Sole 24
Ore del 02.07.2012 - link a
www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI: Partecipate.
Compenso unico per chi cumula le cariche
sociali.
Nelle società partecipate dagli enti locali
guidate da un consiglio di amministrazione
(e non da un amministratore unico) è
possibile cumulare le cariche di
amministratore e di direttore generale ma
non i compensi.
Lo ha precisato la Corte dei
conti della Calabria che, con il
parere
14.06.2012 n. 84, formulato in risposta a
una serie di quesiti posti dal Comune di
Reggio Calabria, contribuisce a fare
chiarezza su alcune questioni in tema di
consigli di amministrazione delle società
partecipate.
Il primo tema che viene posto è se nell'omnicomprensività
del compenso debba rientrare tutto e quindi
anche l'incarico di amministratore delegato
e se siano cumulabili funzioni e compensi di
amministratore e di dipendente della società
(in particolare di direttore generale). Per
la Corte, anzitutto, le cariche di
amministratore e di direttore generale
possono essere cumulate, purché «si
riscontri in concreto la presenza di una
volontà imprenditoriale autonoma, che si
formi indipendentemente dalla volontà
dell'amministratore-dipendente». È
ammissibile, in sostanza, se vi sia un
consiglio di amministrazione e non un
amministratore unico.
In merito ai compensi, però, la Corte
ritiene che non solo l'omnicomprensività
vada comunque rispettata ma che il cumulo
non si possa applicare proprio in virtù
dell'articolo 2, comma 44, della legge
244/2007, che prevede che «coloro che sono
legati da un rapporto di lavoro con
organismi pubblici anche economici, ovvero
con società a partecipazione pubblica o loro
partecipate (...), e che sono al tempo
stesso componenti degli organi di governo
(...) sono collocati di diritto in
aspettativa senza assegni».
La Corte,
quindi, ritiene che la norma non si applichi
solo alle amministrazioni centrali ma anche
agli enti locali. In sostanza, la Corte
interpreta in chiave antielusiva la norma,
perché in questi anni si è verificato molto
spesso che, a fronte di compensi ritenuti
inadeguati, si utilizzasse l'escamotage di
nominare direttore generale l'amministratore
delegato o il presidente della società, così
da aumentare il corrispettivo complessivo.
Inoltre, il Comune ha chiesto alla Corte se
il limite quantitativo ai compensi erogabili
sia un tetto cumulativo implicito, entro il
quale liberamente conformare i corrispettivi
dei singoli (quindi anche oltrepassando il
tetto previsto per il presidente e per i
singoli amministratori), oppure no. La Corte
sottolinea che l'articolo unico, comma 725,
della legge 296/2006 non configura una
soglia indistinta, ma che espressamente
prevede un massimale per il presidente e uno
per i consiglieri di amministrazione. In
sostanza, i giudici calabresi ritengono che
lo spirito e la lettera della norma
intendano limitare i compensi individuali e
non permettano perciò di manovrare i
corrispettivi entro un massimo teorico
"complessivo".
E questo sia che la delibera
sia dell'assemblea, sia che venga assunta
dal consiglio di amministrazione, come
consentito dall'articolo 2389, comma 3, del
Codice civile. Da questo punto di vista la
Corte dei conti calabrese conferma
l'orientamento ligure (sezione Liguria,
63/2011) e contrasta la più datata
interpretazione della sezione per il
Piemonte (29/2009).
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Doppio chiarimento
01|I RUOLI
La Corte dei conti della Calabria ha
chiarito che le funzioni di amministratore
delegato e di direttore generale possono
essere cumulate all'interno delle società
partecipate dove vi sia un consiglio di
amministrazione e non un amministratore
unico. Ma non è possibile cumulare i
compensi.
02|LA RIPARTIZIONE
Secondo i giudici calabresi, il limite
quantitativo ai compensi non è una soglia
indistinta. Al contrario, è previsto un
massimale per il presidente e uno per i
consiglieri di amministrazione. Non è quindi
permesso manovrare i compensi entro un
massimo teorico «complessivo»
(articolo Il Sole 24
Ore del 02.07.2012 - link a
www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI: Pubblico
impiego. La Corte dei conti ripubblica il
parere 11/2012 senza l'inciso che bloccava
le assunzioni.
Turn-over salvo nei mini-enti.
I Comuni non soggetti al Patto restano
esclusi dal tetto del 40%.
L'ALLARME/
La versione originaria della deliberazione a
Sezioni riunite avrebbe creato problemi ai
piccoli municipi.
La Corte dei conti cambia rotta sulle
assunzioni nei piccoli enti. E lo fa con la
ripubblicazione della deliberazione
17.04.2012 n. 11 delle
Sezioni riunite: che aveva creato
scompiglio perché, di fatto, aveva bloccato
il turn-over imponendo il rispetto del tetto
del 40% della spesa delle cessazioni
dell'anno precedente anche agli enti non
soggetti al patto di stabilità.
L'affondo delle Sezioni riunite
I magistrati contabili, nel parere 11/2012,
hanno affrontato alcune questioni inerenti
l'applicazione dei limiti al lavoro
flessibile, fissati dall'articolo 9, comma
28, del decreto legge 78/2010.
Analizzando la normativa applicabile agli
enti locali, la Corte si è soffermata sulla
modifica fatta all'articolo 76, comma 7, del
decreto legge 112/2008 dall'articolo 14,
comma 9, del decreto legge 78/2010. In
pratica, secondo i giudici, quest'ultimo «ha
introdotto per tutti gli enti, sia quelli
sottoposti al patto che quelli esclusi, una
restrizione alle assunzioni di personale che
possono essere effettuate nel limite del 20
(oggi 40) per cento della spesa
corrispondente alle cessazioni dell'anno
precedente».
Dopo poche righe, nella stessa
deliberazione, si legge che «è stato
chiarito che la restrizione alle assunzioni
di personale valida per tutti gli enti, sia
quelli sottoposti al patto che quelli
esclusi, che ne rendono possibile
l'effettuazione nel limite del 20 (oggi 40)
per cento della spesa corrispondente alle
cessazioni dell'anno precedente, riguarda
esclusivamente i rapporti a tempo
indeterminato, e non si estende alle
assunzioni a qualsiasi titolo e con
qualsivoglia tipologia contrattuale».
Si è trattato di una presa di posizione
diversa rispetto al passato per la Corte dei
conti, che fino a quel momento aveva sempre
ritenuto applicabile agli enti non soggetti
al patto di stabilità l'articolo unico,
comma 562, della legge 296/2006, che prevede
il contenimento della spesa di personale
rispetto all'ammontare del 2008 (in origine
il riferimento era il 2004) e la
sostituzione integrale delle cessazioni
avvenute nell'anno precedente.
L'intervento lombardo
Il parere delle Sezioni riunite ha scatenato
grande clamore visti gli enormi problemi
organizzativi creati agli enti. È quindi
intervenuta la Corte dei conti della
Lombardia che, con la deliberazione
242/2012/PAR, da un lato ha ammesso che
nella deliberazione 11/2012 era presente
l'affermazione incriminata, ma dall'altro ha
ritenuto questa affermazione un inciso di
nessun valore, in quanto fuori dal contesto
della problematica affrontata.
Vale a dire, il parere riguarda il lavoro
flessibile, mentre l'affermazione
"impropria" ha per oggetto le assunzioni a
tempo indeterminato.
La ripubblicazione
La conferma di questa impostazione è
arrivata dalla pubblicazione della nuova
edizione della deliberazione 11/2012. Nel
nuovo testo è stato eliminato qualsiasi
collegamento fra l'articolo 14, comma 9, del
decreto legge 78/2010 e gli enti non
soggetti al patto di stabilità.
Così, si legge nella versione attuale,
pubblicata sul sito internet della Corte dei
conti, che «l'articolo 14, comma 9, dello
stesso decreto legge 78/2010 ha introdotto
per tutti gli enti, sottoposti al patto, una
restrizione alle assunzioni di personale che
possono essere effettuate nel limite del 20
(oggi 40) per cento della spesa
corrispondente alle cessazioni dell'anno
precedente». Di conseguenza, la norma si
applica solo alle amministrazioni soggette
al patto.
Per evitare ulteriori incertezze, viene,
invece, evidenziato che «resta fermo,
inoltre, per gli enti non sottoposti al
patto di stabilità l'obbligo di contenere la
spesa entro il limite del 2004 (oggi 2008)».
In conclusione, viene data conferma
dell'applicazione dell'articolo unico, comma
562, della legge 296/2006 in tema di
assunzioni per gli enti non soggetti al
patto di stabilità, così come affermato
dagli stessi magistrati contabili, a Sezioni
riunite, con le delibere 3 e 4 del 2011.
---------------
La vicenda
Sul Sole 24 Ore del lunedì del 28 maggio
sono state illustrate le conseguenze della
delibera 11/2012 delle Sezioni riunite della
Corte dei conti, secondo cui anche negli
enti esclusi dal Patto di stabilità si
applicano i vincoli al turn-over (40% delle
cessazioni dell'anno precedente).
Un'estensione che, negli enti con piccole
strutture, avrebbe determinato, di fatto,
l'impossibilità di coprire i vuoti in
organico. Il Sole 24 Ore del lunedì del 4
giugno ha invece dato conto dell'intervento
della Corte dei conti Lombardia che ha
proposto di non tenere conto della posizione
delle Sezioni riunite
(articolo Il Sole 24
Ore del 02.07.2012 - link a
www.corteconti.it). |
NEWS |
ENTI LOCALI:
Il riordino dei municipi. Gestione associata
delle funzioni fondamentali per i centri fra
mille e 5mila abitanti.
Tornano le unioni di piccoli Comuni.
SOTTO QUOTA MILLE/
Viene azzerata la Giunta, i sindaci vanno a
formare il consiglio dell'Unione, che
gestisce anche bilancio e programmazione
economica.
Gestione associata delle funzioni
fondamentali per i Comuni fra mille e 5mila
abitanti (in Italia sono 3.738), e Unioni di
Comuni "riformate" per quelli che non
arrivano a mille residenti (sono 1.948).
Insieme alla sfoltita delle Province e al
rilancio delle Città metropolitane, torna
nel testo finale del decreto 95/2012 sulla
spending review anche il riordino dei
piccoli Comuni (anticipato sul Sole 24 Ore
del 4 luglio).
Anche in questo caso, non si tratta di un
inedito, perché il tentativo di mettere
insieme le funzioni nei mini-enti era già
stato scritto nella manovra estiva del 2010,
ma era naufragato in un mare di proroghe
dettate dai problemi applicativi.
La riforma dell'amministrazione scritta nel
nuovo provvedimento prova a trarre
insegnamento proprio dagli errori iniziali,
e in questa chiave riscrive le regole. Prima
di tutto, si evolve l'elenco delle funzioni
fondamentali (questo aspetto riguarda anche
gli enti più grandi), che vengono articolate
in 10 punti anziché in 6. Ad allungare
all'elenco ci sono nuovi ingressi, dal
Catasto (con l'eccezione delle funzioni
statali) alla protezione civile, oltre a
voci scorporate da quelli che nel vecchio
elenco erano capitoli più generali (per
esempio la raccolta e lo smaltimento dei
rifiuti, con la riscossione dei tributi
collegati, viene separata dalla gestione dei
servizi pubblici: si veda la scheda qui a
fianco).
Su questa base di regole, la famiglia dei
mini-enti si divide ancora una volta in due:
quelli sotto i mille abitanti, per i quali
si torna a prevedere l'affidamento
obbligatorio di tutte le funzioni
all'Unione, che si fa carico anche della
programmazione economico-finanziaria e della
gestione del bilancio sulla base della
delibera programmatica votata da ogni ente
entro il 30 novembre dell'anno prima). I
mini-Comuni perdono la Giunta, e i loro
sindaci vanno a formare il consiglio
dell'Unione, ma si evita il meccanismo
cervellotico scritto nel Dl 78/2010 in base
al quale il primo Comune dell'Unione che
fosse arrivato al voto avrebbe fatto
decadere in automatico anche le Giunte dei
municipi vicini. Le Unioni dovranno contare
almeno 5mila abitanti (3mila in montagna), e
costituirsi entro la fine del 2013: dal 2014
saranno soggette al Patto di stabilità.
Fin qui, la regola, ma la nuova norma porta
con sé anche l'eccezione: si apre infatti
anche ai Comuni fino a mille abitanti la via
alternativa della convenzione, meno
vincolante, che probabilmente sarà sfruttata
da molti gelosi di non veder sciogliere la
propria «individualità istituzionale»
nell'Unione.
Per gli enti fra mille e 5mila abitanti,
invece, cambia il calendario della gestione
associata: le prime tre funzioni andranno
messe insieme entro l'01.01.2013 (la
vecchia scadenza, dopo la girandola di
proroghe, si era attestata al 30 settembre
prossimo), e il quadro dovrà completarsi
entro l'01.01.2014 con le altre
funzioni. Le gestioni associate dovranno
abbracciare almeno 10mila abitanti, ma le
Regioni avranno tempo fino al 30 settembre
per rivedere i limiti demografici (qualcuna
l'aveva già fatto in relazione alla vecchia
normativa).
Il riordino degli obblighi gestionali per i
piccoli enti era atteso dagli amministratori
locali, alle prese con gli inciampi
applicativi delle norme del 2010, anche se è
presto per capire se le novità sono
sufficienti a migliorare il giudizio dei
diretti interessati. Il tema sarà al centro
oggi dell'Assemblea nazionale dell'Anci
piccoli Comuni, in corso a Roma.
Nella
giornata inaugurale di ieri (quando ancora
non era noto il testo finale del decreto),
il presidente dell'Anci Graziano Delrio ha
rivendicato che il riordino degli enti
locali deve essere uno dei «pilastri
dell'autonomia», aggiungendo l'esigenza che
sia «evitato il rischio di fusioni» che
farebbero scomparire «il presidio
rappresentato dal sistema dei piccoli
Comuni». Il riferimento critico era alla
vecchia normativa: ora si vedrà se la
riscrittura rilanciata dal decreto è in
grado di attenuare l'ostilità degli
amministratori locali.
---------------
FUNZIONI E OBBLIGHI
Le funzioni
L'articolo 19 del decreto 95/2012 sulla
spending review riscrive l'elenco delle
funzioni fondamentali dei Comuni, che
diventano:
a) Organizzazione generale
dell'amministrazione, gestione finanziaria e
controllo
b) Organizzazione dei servizi pubblici di
interesse generale di ambito comunale,
compreso il trasporto pubblico locale
c) Catasto, ad eccezione delle funzioni
dello Stato
d) Pianificazione urbanistica ed edilizia
e) Attività in ambito comunale di
pianificazione di protezione civile e
coordinamento dei primi soccorsi
f) Organizzazione e gestione dei servizi di
raccolta, avvio e smaltimento e recupero dei
rifiuti urbani e riscossione dei relativi
tributi
g) Progettazione e gestione dl sistema
locale dei servizi sociali ed erogazione
delle prestazioni
h) Edilizia scolastica, organizzazione e
gestione dei servizi scolastici
i) Polizia municipale e amministrativa
locale
l) Tenuta dei registri di stato civile e di
popolazione, servizi anagrafici ed
elettorali e statistici
Gli obblighi
Comuni fino a mille abitanti: Gestione di
tutte le funzioni in Unioni o convenzioni di
almeno 5mila abitanti (3mila in montagna)
entro l'01.01.2014.
Comuni fra mille e 5mila abitanti: gestione
associata di 3 funzioni entro l'01.01.2013 e delle altre entro l'01.01.2014 (articolo Il Sole 24
Ore del 07.07.2012 - tratto da
www.ecostampa.it). |
APPALTI - ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO -
VARI:
La cura dimagrante inizia dalla Pa.
Per il personale scatta la procedura di
mobilità.
Iniziamo la pubblicazione del testo del
decreto legge 06.07.2012, n. 95 con le
«Disposizioni urgenti per la revisione della
spesa pubblica con invarianza dei servizi ai
cittadini».
Il provvedimento è stato
pubblicato sul supplemento 141/L alla
«Gazzetta Ufficiale» 156 del 06.06.2012.
Sul Sole 24 Ore di domani la seconda parte.
... (articolo Il Sole 24
Ore del 07.07.2012 - tratto da
www.ecostampa.it). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Dipendenti
pubblici messi a dieta. Dal 1° ottobre buono
pasto per gli statali ridotto a 7 euro.
Dal prossimo anno si ridurranno del 50% le
spese sostenute dalla pubblica
amministrazione per l'acquisto o il noleggio
delle auto di servizio. Inoltre, il buono
pasto per gli statali, dal prossimo 1°
ottobre, non potrà superare il valore
nominale di 7 euro, ...
(articolo ItaliaOggi
del 07.07.2012 - tratto da
www.ecostampa.it). |
ENTI LOCALI:
Piccoli comuni, unioni in
libertà. Gestione associate obbligatorie. Si
riparte del 1° gennaio 2013. Ma gli enti
potranno scegliere le modalità più opportune
per svolgere insieme le funzioni
fondamentali.
Obbligo di dare vita ad unioni o convenzioni
per gestire la gran parte delle proprie
funzioni, oggetto di una mappatura più
precisa di quella contenuta nella legge
delega sul federalismo fiscale. ...
(articolo ItaliaOggi del 07.07.2012 - tratto da
www.ecostampa.it). |
ENTI LOCALI - SEGRETARI COMUNALI: Ancora
sacrifici per gli enti locali. Attesi 7,2
mld di tagli in 24 mesi. Indebitamento su
base annua. Le assunzioni di segretari non
potranno superare l'80% delle cessazioni.
Nuovi tagli per più di 2 miliardi nel 2012 e
per oltre 5 miliardi a regime. E un conto
piuttosto salato quello che il decreto legge
sulla spending review, varato ieri
dal governo, presenta a regioni, province e
comuni. Tanto salato da far dubitare che il
titolo del provvedimento (-Disposizioni
urgenti per la revisione della spesa
pubblica, a invarianza dei servizi ai
cittadini-) rappresenti un auspicio, più che
una certezza.
In effetti, un impatto sulla quantità e
qualità delle prestazioni erogate non può
essere escluso in partenza, anche perché le
nuove sforbiciate si aggiungono a quelle già
previste dalle pesanti manovre correttive
varate negli ultimi due anni. A calare
ancora una volta la mannaia sulle spettanze
regionali e locali è l'art. 16 della bozza
di decreto, che impone agli enti
territoriali un nuovo, consistente
contributo alla realizzazione degli
obiettivi di finanza pubblica, da garantire
-anche mediante riduzione delle spese per
consumi intermedi-.
Il comma 2 agisce sulle risorse a qualunque
titolo dovute dallo stato alle regioni
ordinarie, escluse quelle destinate al
finanziamento corrente del servizio
sanitario nazionale, riducendole di 700
milioni per il 2012 e di 1 miliardo a
decorrere dal 2013. Ancora più pesante la
decurtazione imposta a regioni speciali e
province autonome, cui il comma 3 taglia 500
milioni per quest'anno, 1 miliardo per il
prossimo e 1.500 milioni a decorrere dal
2014.
Brutte notizie anche per gli enti locali. Il
comma 4 fa nuovamente dimagrire il fondo
sperimentale di riequilibrio dei comuni
(destinato a essere sostituito dal fondo
perequativo, se e quando il federalismo
fiscale sarà pienamente attuato), nonché i
residui trasferimenti erariali erogati ai
municipi di Sicilia e Sardegna: meno 500
milioni per il 2012 e meno 2 miliardi dal
2013. Misure analoghe sono ...
(articolo ItaliaOggi del 06.07.2012 - link a
www.corteconti.it). |
APPALTI FORNITURE: Forniture, nulli i contratti non
centralizzati.
Metodo Consip vincolante per gas, carburanti
e telefoni - Canoni di affitto della Pa
ridotti subito del 15%.
L'OBIETTIVO/
Si punta a far salire la spesa trattata con
il metodo Consip da 30 a 35 miliardi già nel
2012 per arrivare a 47 miliardi nel 2013.
Decadenza immediata di tutti i contratti di
acquisizione di beni e servizi stipulati
senza il ricorso al metodo adottato da
Consip e dalle Centrali di committenza
territoriale. Che diventa vincolante per
tutte le amministrazioni e gli enti
territoriali per le forniture di energia
elettrica, gas, carburanti, combustibili per
riscaldamento, telefonia fissa e mobile.
Riduzione del 15%, altrettanto immediata,
dei contratti di locazione a carico della
pubblica amministrazione per l'affitto di
immobili destinati a uffici.
È un giro di
vite significativo quello impresso dal piano
del commissario straordinario Enrico Bondi
al doppio capitolo delle spese per acquisti
di beni e servizi e per gli affitti delle
amministrazioni pubbliche.
Nel primo caso l'obiettivo è far salire
subito, già nel 2012, da quasi 30 miliardi a
quota 35 miliardi l'asticella della spesa
per approvvigionamenti affrontata con il
metodo Consip. E poi arrivare nel 2013 a 47
miliardi (circa un terzo dei 136 miliardi di
spesa complessiva per beni e servizi). Per
avere la garanzia di ottenere da questa
stretta risparmi certi il testo d'ingresso
del decreto sulla spending review prevede
anche una misura rafforzativa, con
configurazione da taglio lineare: la
riduzione del 5% nel 2012 e del 10% nel 2013
dei trasferimenti dal bilancio dello stato a
una lunga serie di enti intermedi, Authority
incluse, utilizzati per coprire le uscite
per consumi intermedi.
Uno dei pilastri del piano Bondi resta
l'estensione a vasto raggio del metodo
Consip facendo anche leva su una sorta di
raccordo "a rete" con le centrali di
committenza territoriali. Tutti i contratti
fuori da questo perimetro e non in linea con
il parametro qualità-prezzo fissato dalla
Finanziaria del 2000 vengono considerati
nulli, ad esclusione di quelli stipulati
tramite le centrali di committenza
territoriali a condizioni più favorevoli. La
bozza del decreto prevede che i contratti
fuori dal perimetro Consip «costituiscono
illecito disciplinare e sono causa di
responsabilità amministrativa».
E
altrettanto è previsto per quelli sulle
forniture di carburante, riscaldamento e
telefonia. Confermata la nascita, sotto
l'input del commissario Bondi, del nuovo
Albo delle centrali di committenza. Previsto
anche un ricorso più massiccio al Mercato
elettronico della pubblica amministrazione:
in alcune amministrazioni centrali sarà
istituita una sezione speciale. E anche i
piccoli Comuni potranno effettuare i loro
acquisti utilizzando gli strumenti
elettronici a disposizione.
Nel testo è inserita pure una misura ad hoc
per favorire il processo di dismissione dei
beni mobili anche attraverso l'utilizzo di
strumenti telematici: il ministero
dell'Economia, con il supporto di Consip,
avrà il compito di stilare un apposito
programma per centrare questo obiettivo.
Sul taglio degli affitti il governo fa un
altro giro di vite: la riduzione del 15% dei
canoni attualmente corrisposti avrà un
impatto diretto sui contratti in corso. E
questo anche in deroga alle eventuali
clausole presenti nel contratto. Inoltre il
rinnovo dei contratti di locazione saranno
vincolati a due specifiche condizioni che se
venissero a mancare consentirebbero alle
amministrazioni di risolvere di diritto i
contratti di locazione alla loro scadenza.
In questo senso i contratti di locazione
diventano rinnovabili solo se c'è
disponibilità delle risorse finanziarie per
il pagamento di canoni, costi d'uso e oneri
per la durata dell'intero contratto, nonché
la presenza di esigenze "allocative"
delle amministrazioni legate al
raggiungimento di piani di
razionalizzazione, riorganizzazione e
accorpamento delle strutture.
Confermato, infine, il blocco triennale
2012-2014 degli adeguamenti Istat dei canoni
di affitto pagati dalle amministrazioni per
l'uso di immobili in locazione passiva
(articolo Il Sole 24
Ore del 06.07.2012 - link a
www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI: Aziende
partecipate. Stop entro il 2013 per le
attività strumentali alle amministrazioni.
Da
vendere o sciogliere le società di servizi
alla Pa
IN SINTESI/
Incerto il destino dei dipendenti Subito al
via i limiti alle spese.
Data di scadenza fissata al 31.12.2013
per tutte le società che «svolgono
prevalentemente» servizi a favore delle
Pubbliche amministrazioni proprietarie. Si
allarga ancora, rispetto alle versioni del
decreto circolate mercoledì (si veda Il Sole
24 Ore di ieri), lo stop alle società
«strumentali» dello Stato e degli enti
territoriali.
Nelle prime bozze del testo a decretare lo
scioglimento del l'azienda sarebbe stata la
presenza nell'oggetto sociale della
«prestazione di servizi a favore della Pa»,
mentre il testo circolato ieri mette gli
occhi sull'attività «prevalente». A
salvarle, in questo caso, può essere solo il
fatto che nel portafoglio della loro
attività si trovino anche «servizi in favore
dei cittadini».
Formulazione a parte, la ratio della norma è
chiara: le società strumentali, che lavorano
solo in appoggio all'amministrazione a cui
appartengono, e che in tante occasioni
possono aver rappresentato una strada aperta
per l'elusione dei vincoli di bilancio o dei
limiti alle assunzioni che regolano gli enti
proprietari, vanno alienate o sciolte entro
il prossimo anno.
Per il momento, alle Pubbliche
amministrazioni è vietato costruirne di
nuove, mentre quelle già esistenti, per il
tempo residuo che resta loro da vivere,
devono veder dimagrire le spese gestionali a
partire dai consigli di amministrazione:
massimo tre membri (per quelle degli enti
locali era già così), di cui due devono
essere però scelti fra i dipendenti
dell'amministrazione titolare della
partecipazione o controllante. A loro, non
può essere offerto nessun emolumento, perché
la Finanziaria 2007 e la manovra estiva 2010
impedisce di pagare ai dipendenti incarichi
in organismi partecipati.
Le società strumentali, in questa chiave,
diventano l'unico oggetto della norma
taglia-posti nei consigli di
amministrazione, che nelle prime versioni
aveva un raggio d'azione più ampio e mirava
direttamente alle grandi aziende di Stato.
Il meccanismo, almeno nelle versioni
presenti nelle bozze che finora è stato
possibile esaminare, lascia interamente
aperta la partita del personale. Non esiste
al momento un censimento ufficiale delle
società strumentali, ma i dati della Corte
dei conti sulle partecipate degli enti
locali e i database disponibili sulle
società di Regioni e Stato permettono di
stimare (prudenzialmente) in almeno 4-500 le
realtà interessate dalla nuova regola.
Ipotizzando per queste aziende una
dimensione media pari alla metà di quella
censita per il totale delle partecipate
locali, si arriverebbe a un numero di
dipendenti intorno ai 20mila. Che fine
faranno? La norma, per ora, non lo dice, ma
è naturalmente impensabile un loro
assorbimento all'interno degli enti
proprietari.
Negli altri casi, le norme approvate finora
nel tentativo di sfoltire la ramificazione
societaria intorno agli enti pubblici si
sono sempre occupate delle sorti del
personale, per esempio inserendo la tutela
dell'occupazione fra i parametri di
valutazione nelle gare per l'acquisto da
parte dei privati delle società in via di
dismissione. Oltre al personale, resta da
capire la sorte dell'indebitamento che
eventualmente si sia formato in capo a
queste società, e quella dei loro obblighi
fiscali. L'alienazione, tramite gara, è una
delle possibilità offerte oggi alle
strumentali, entro il 30.06.2013. Se la
procedura dovesse fallire, l'unica
alternativa è lo scioglimento della società,
da chiudere non più tardi della fine del
prossimo anno.
Salve, per espressa
previsione, solo la Sogei, che cura
l'infrastruttura informatica su cui vive
l'amministrazione finanziaria, e la Consip,
impegnata nel mercato unico degli acquisti
rilanciato proprio dal decreto sulla
revisione di spesa (nulla si dice di altre
realtà importanti come per esempio la Sose,
la società per gli studi di settore ora
attiva anche nella definizione dei
fabbisogni standard di Comuni e Province).
Anche per i servizi oggi garantiti dalle
società strumentali, la norma propone due
soluzioni: o riportarli direttamente
all'interno dell'amministrazione, ovviamente
senza deroghe ai vincoli sull'assunzione di
personale, oppure l'acquisto sul mercato (articolo Il Sole 24
Ore del 06.07.2012 - link a
www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Resta
la possibilità del turn-over.
LA RIFORMA/ Entro fine anno nuovi parametri
di virtuosità sul numero di dipendenti. Stop
agli ingressi se si supera del 20% la media
nazionale.
Salta la stretta sul turn-over degli enti
locali, ai quali viene riservata una più
generale revisione meritocratica degli
organici, sulla base di parametri da
individuare entro fine anno.
Stando alle ultime bozze, insomma, per i
Comuni (non per le Province, alle quali
viene impedito del tutto, in via
transitoria, di effettuare assunzioni a
tempo indeterminato), rimangono per il
momento in vigore le regole riviste a marzo
dalla legge di conversione del decreto sulle
«semplificazioni fiscali»: turn-over al 40%
(si può spendere in nuove assunzioni il 40%
dei risparmi ottenuti con le uscite del
servizio negli anni precedenti), disciplina
di favore per i contratti relativi ad
educatori, insegnanti delle scuole comunali
e Polizia locale, il cui costo viene
conteggiato al 50% nel calcolo delle facoltà
assunzionali.
L'allineamento ai parametri in vigore per il
resto delle amministrazioni pubbliche (turn-over al 20%) è stato infatti sostituito
nelle versioni del decreto circolate ieri da
una riscrittura più generale. In pratica,
stando al testo, il Governo e gli
amministratori locali dovranno stabilire
entro fine anno all'interno della Conferenza
Stato-Città i «parametri di virtuosità»
sulla base dei quali determinare le
dotazioni organiche degli enti locali. Il
primo criterio di riferimento è già scritto
nella norma, e punta sul rapporto fra
dipendenti dell'ente e cittadini
amministrati.
Il primo passaggio, spiega la bozza, sarà la
determinazione della «media nazionale»
(verosimilmente differenziata per fasce
demografiche), calcolando oltre al personale
dell'ente anche quello impiegato nelle
società strumentali e nelle affidatarie
dirette di servizi pubblici locali. Chi si
troverà a un livello del 20% superiore alla
media si vedrà bloccata ogni possibilità di
assumere (come accade oggi a chi dedica al
personale più di metà della spesa corrente),
e chi starà ancora più in alto subirà un
trattamento ancora più duro (da definire).
Confermato l'ingresso nel turn-over (con
parametro all'80%) dei segretari comunali
(articolo Il Sole 24
Ore del 06.07.2012). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO:
Enti, gli organici scampano ai
tagli. Un dpcm definirà la dotazione
ottimale in rapporto ai residenti. Nel
calcolo saranno compresi anche i dipendenti
delle società partecipate dalle p.a..
Gli enti locali sono, per ora, fuori dai
tagli sostanzialmente lineari alle dotazioni
organiche previste dal decreto sulla
spending review in via espressa solo per le
amministrazioni statali.
Tuttavia, una cura dimagrante è egualmente
prevista anche per comuni e province ...
(articolo ItaliaOggi del 06.07.2012
- tratto da www.ecostampa.it). |
CONSIGLIERI COMUNALI:
Indennità non cumulabili. Ai
consiglieri gettone di presenza
onnicomprensivo. Le commissioni vanno
considerate un'articolazione dell'organo
consiliare.
Sussiste la possibilità
di cumulare i gettoni di presenza spettanti
ai consiglieri comunali per la
partecipazione, nell'ambito della stessa
giornata, alle sedute del consiglio
comunale, delle commissioni consiliari
permanenti e delle commissioni comunali
istituite da leggi statali, regionali o da
norme statutarie?
Le regole generali inerenti al
riconoscimento e alla corresponsione
dell'indennità collegata alla funzione
svolta dagli amministratori locali nonché
dei gettoni di presenza sono fissate agli
artt. ...
(articolo ItaliaOggi del 06.07.2012
- tratto da www.ecostampa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Ristrutturazioni edilizie, tetto
annuale a 96mila euro. La risposta del
sottosegretario Ceriani al question-time.
Il limite di 96mila euro
per la detrazione Irpef del 50% sulle spese
di ristrutturazione edilizia sostenute dal
26.06.2012 al 30.06.2013, oltre ad essere
riferito allo stesso intervento (anche
pluriennale) effettuato nella stessa
abitazione (comprensiva di pertinenze), è
anche il limite massimo per il 2012 e il
2013 quali anni civili.
Se vi sono due interventi diversi nello
stesso immobile, il limite massimo per
quest'anno non potrà superare i 96mila euro
(per quell'immobile), neanche se il
pagamento di 48mila euro per il primo
intervento è avvenuto entro il 25.06.2012 e
il bonifico di 96mila euro per il secondo
intervento è stato effettuato
successivamente ed entro quest'anno.
Sono queste le conseguenze della risposta
04.07.2012 del sottosegretario al
ministero dell'Economia Vieri Ceriani, per
conto dell'agenzia delle Entrate, a
un'interrogazione parlamentare.
Per il 2012 spetta la detrazione del 36% per
le spese pagate fino al 25.06.2012 con un
limite massimo di 48mila euro e la
detrazione del 50% per quanto pagato «dal
26.06.2012 al termine del periodo di imposta
per un ammontare massimo di 96mila euro, al
netto delle spese già sostenute alla
predetta data, comunque nei limiti di 48mila
euro, per le quali resta ferma la detrazione
del 36 per cento».
In questo passaggio, le Entrate non
specificano se si tratti o meno di mera
prosecuzione dell'intervento, quindi, deve
ritenersi che la regola sostenuta valga
indipendentemente dal fatto che vi sia o
meno una mera prosecuzione dell'intervento.
Ad esempio, se alla data del 20 giugno sono
stati pagati, con bonifico “parlante”
(che riporta causale e relativi codici
fiscali), 50mila euro per un intervento e al
30 giugno ne sono stati pagati 100mila per
un altro, per il primo pagamento si potrà
detrarre il 36% di 48mila euro (non
recuperando i 2mila euro, che eccedono il
limite di 48mila euro del primo periodo),
mentre per il secondo pagamento si potrà
recuperare il 50% di 48mila euro, non
recuperando i 52mila euro che eccedono i
48mila euro agevolati nel primo periodo
(96mila euro del secondo periodo, meno i
48mila euro già agevolati).
La risposta non dice nulla circa la
possibilità del contribuente di considerare
rilevanti in Unico 2013 o nel 730, relativi
al 2012, solo i bonifici effettuati dopo il
25.06.2012 (nel limite di 96mila euro e
detraibili al 50%), ma si ritiene non
possibile questa scelta. Non si possono cioè
utilizzare solo i bonifici relativi a
interventi con detrazione del 50% escludendo
quelli con detrazione al 36 per cento. Vanno
riportati tutti in ordine cronologico.
Per il periodo d'imposta 2013, spetta la
detrazione del 50% per le spese sostenute
dall'inizio dell'anno fino al 30.06.2013, «per
un ammontare massimo di 96mila euro, tenendo
conto –in caso di mera prosecuzione dei
lavori– delle spese sostenute negli anni
precedenti. Se alla data del 30.06.2013 sono
state sostenute spese per un ammontare pari
o superiore a 48mila euro, le ulteriori
spesse sostenute nel periodo di imposta non
consentiranno alcuna ulteriore detrazione
del 36 per cento».
Si ritiene, però, che se non vi sia una mera
prosecuzione dell'intervento, debba valere
la regola dettata per il 2012, cioè che il
limite massimo di spesa annuale sia di
96mila euro anche per il 2013
(articolo Il Sole 24
Ore del 05.07.2012). |
APPALTI: Lavori
pubblici. La bozza dell'Autorità di
vigilanza: modelli base uniformi per le
stazioni appaltanti.
Gare d'appalto con bandi-tipo.
L'obiettivo è tipizzare le esclusioni per
evitare contenziosi.
Ridurre l'arbitrarietà delle amministrazioni
nel decidere l'esclusione delle imprese
dalle gare d'appalto e di conseguenza anche
la guerra di carte bollate che in genere
scoppia in coda ad ogni aggiudicazione.
È un
progetto ambizioso quello che sta dietro al
lavoro della Autorità di vigilanza per
definire i bandi-tipo cui dovranno attenersi
le oltre 12mila stazioni appaltanti attive
in Italia alle prese con la pubblicazione di
un avviso di gara.
Il documento -che prenderà la forma di una
determinazione- dettaglia in circa 49
pagine tutte le possibili «cause tassative
di esclusione» da inserire nei bandi di
gara. In pratica stabilisce i paletti entro
i quali le Pa possono e devono muoversi,
senza andare incontro al rischio di
innescare una nuova forma di contenzioso per
non aver rispettato le indicazioni di Via Ripetta e riducendo la prassi delle
esclusioni legate a violazioni «meramente
formali».
La determinazione, ancora in
bozza, è stata inviata dall'Authority alle
associazioni di imprese per un nuovo giro di
consultazioni prima del via libera finale
che dovrebbe arrivare prima delle ferie
estive. Almeno questa è l'intenzione del
presidente Sergio Santoro che proprio domani
presenterà a Roma presso la Camera dei
Deputati la relazione annuale 2011 al
Parlamento.
I bandi-tipo prendono le mosse dal Dl
70/2011 che ha dato all'Autorità il compito
di predisporre le regole quadro per le gare.
La determinazione -cui i tecnici di Via Ripetta lavorano ormai da tempo rincorrendo
le circa 100 modifiche introdotte per
decreto al Codice degli appalti (Dlgs
163/2006)- servirà da base per elaborare i
successivi bandi tipo distinti in base
all'oggetto del contratto (lavori, servizi e
forniture).
L'Authority individua tre tipologie di cause
di esclusione «tassativa». Primo: gli
adempimenti previsti da Codice e
regolamento. Secondo: l'incertezza sul
contenuto o sulla provenienza dell'offerta
«per difetto di sottoscrizione o di altri
elementi essenziali». Terzo: la non
integrità del plico con l'offerta o la
domanda di partecipazione alla gara «o altre
irregolarità relative alla chiusura dei
plichi, tali da far ritenere che sia stato
violato il principio di segretezza».
L'obiettivo è dare alle Pa una bussola
indicando quali irregolarità devono essere
sanzionate con l'esclusione. E, per contro,
quali prescrizioni siano da considerare
nulle, nonostante l'amministrazione ne
chieda, con il bando, il rispetto «a pena di
esclusione».
Nella categorie delle prescrizioni imposte
dalle norme, via Ripetta individua sette
cause di esclusione. Si va dal possesso dei
requisiti di partecipazione ai termini di
presentazione delle offerte, fino al mancato
versamento del contributo all'Autorità.
In
particolare, l'Autorità si sofferma sui
«requisiti speciali» e cioè quelle
caratteristiche di professionalità
necessarie richieste dalle stazioni
appaltanti per garantirsi la buona
esecuzione del contratto, che invece spesso
si traducono in un percorso a ostacoli,
ideato ad hoc per ridurre al minimo gli
spazi di partecipazione. In materia di
offerta, invece, si stabilisce che le
domande devono essere «debitamente
sottoscritte da parte del titolare
dell'impresa o del legale rappresentante».
Seguono l'accettazione delle condizioni
contrattuali, il divieto di offerte
condizionate o plurime, la presentazione
della cauzione, l'obbligo di sopralluogo
contenute nella documentazione di gara.
Infine un focus sulle irregolarità formali
dell'offerta con l'indicazione delle carenze
«veniali» che rendono illegittimo il
cartellino rosso.
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Il quadro
01 | I BANDI TIPO
Previsti dal Dl 70/2011, i bandi tipo sono
predisposti dall'Autorità per dare un
bussola di orientamento uniforme alle circa
12mila stazioni appaltanti italiane. La
bozza del bando quadro si concentra sulle
cause di esclusione dalle gare che sono da
considerare «tassative».
02 | A CHE PUNTO SONO
L'Authority ha predisposto uno schema di
provvedimento che attualmente è stato
mandato in consultazione alle categorie
interessate. Prima del via libera definitivo
bisognerà sentire anche il parere del
ministero delle Infrastrutture
(articolo Il Sole 24
Ore del 03.07.2012 - link a
www.corteconti.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Decreto
sviluppo/ GLI INCENTIVI SULLE
RISTRUTTURAZIONI.
Il bonus del 50% scatta anche senza
cantiere. Sicurezza in casa e antifurto tra
i lavori agevolati.
Per brevità chiamato «bonus sulle
ristrutturazioni», il nuovo 50% riguarda in
realtà tutta una serie di lavori che non
richiedono sempre l'intervento del muratore.
E che possono essere avviati molto più
rapidamente di un cantiere edile. La
detrazione maggiorata al 50%, infatti, si
applica anche alle opere per prevenire furti
e atti illeciti, come l'installazione di una
porta blindata, o a quelle per la sicurezza
domestica, come l'applicazione dei
rilevatori per le fughe di gas.
Il 26 giugno data chiave
L'elenco degli interventi agevolati è lo
stesso dettato dall'articolo 16-bis del Tuir
(Dpr 917/1986), che dal 1° gennaio di
quest'anno disciplina la detrazione del 36
per cento. Il decreto sviluppo varato dal
Governo, di fatto, non fa altro che
stabilire che per le spese sostenute dal 26
giugno di quest'anno fino al 30.06.2013 la detrazione è maggiorata al 50% e
l'importo massimo su cui calcolarla sale da
48 a 96mila euro.
Chi ha già un cantiere in corso,
semplicemente, beneficerà del bonus del 50%
per i bonifici effettuati dal 26 giugno in
poi. Anche se la fattura ha una data
anteriore e anche se sono già stati pagati
acconti in precedenza (acconti che avranno
la detrazione del 36 per cento). L'unica
condizione da non mancare –ma questa non è
certo una novità– è che il bonifico sia
"parlante", e cioè indichi:
- la causale del pagamento (il riferimento
all'articolo 16-bis del Tuir);
- il codice fiscale del soggetto che paga (o
dei soggetti, se le persone che sostengono
la spesa e vogliono ottenere la detrazione
sono più di una);
- il codice fiscale o la partita Iva del
beneficiario del pagamento.
Chi non ha ancora avviato i lavori, invece,
potrà scegliere cosa fare pescando nel
catalogo delle opere ammesse al bonus. Ed è
evidente –considerati i tempi necessari a
pianificare e avviare una ristrutturazione–
che chi decide di rifare il tetto o di
modificare la distribuzione interna delle
stanze ben difficilmente sarà pronto a
partire prima dell'estate.
La prevenzione infortuni
Al di fuori delle opere edili, gli
interventi agevolati al 50% non si limitano
a quelli per la sicurezza e la prevenzione
degli atti illeciti, ma comprendono anche
l'eliminazione delle barriere
architettoniche, le opere per favorire la
mobilità dei disabili e la cablatura degli
edifici (si veda il grafico a destra). Ci
sarebbero anche gli interventi per il
risparmio energetico, ma in questo caso il
discorso è un po' più complesso, perché
quando non rientrano già in una categoria di
opere edilizie –come ad esempio la
manutenzione straordinaria del tetto che
include anche la coibentazione– la legge
impone di rispettare la «normativa vigente»
e acquisire l'«idonea documentazione». Due
concetti che le Entrate dovranno meglio
chiarire.
L'iter per la detrazione
Per beneficiare del 50% su interventi "non
edilizi", la procedura non cambia. E in
questo senso diventa sicuramente un
vantaggio l'eliminazione della comunicazione
di inizio lavori al centro operativo delle
Entrate di Pescara, che in passato era
dettata a pena di decadenza e che spesso
bloccava le piccole spese per le quali il
contribuente si accorgeva in ritardo di
poter beneficiare della detrazione. Idem per
l'obbligo di indicare la manodopera in
fattura, cancellato con effetto retroattivo.
In pratica, se le opere effettuate non
richiedono assensi edilizi (come nel caso
dell'installazione di una porta blindata)
basta che il proprietario prepari
un'autocertificazione in cui indica la data
di inizio lavori e attesta che gli
interventi realizzati rientrano tra quelli
agevolabili. Addirittura, se il pagamento
fosse già stato effettuato prima
dell'entrata in vigore del decreto sviluppo
con un bonifico non parlante (o con un
bonifico parlante, ma sbagliato) si potrebbe
rifare il pagamento con un bonifico
tracciabile, e a quel punto si avrebbe
diritto alla detrazione del 50 per cento.
---------------
IN SINTESI
50% - La nuova detrazione
I lavori agevolati con la classica
detrazione del 36% (così come disciplinata
dall'articolo 16-bis del Tuir) beneficiano
della detrazione del 50% per le spese
sostenute tra il 26.06.2012 e il 30.06.2013. Per i bonifici con data
anteriore o successiva a questa finestra
temporale, la detrazione era e resta del 36%
96mila euro - La spesa
massima
Di pari passo con la detrazione, aumenta
anche l'importo massimo su cui può essere
applicata, che sale da 48mila a 96mila euro,
per lo stesso periodo in cui sono stati
effettuati i lavori
10 rate - La suddivisione
La nuova detrazione del 50% segue tutte le
regole del 36%, a parte l'innalzamento del
limite massimo di spesa per unità
immobiliare, compreso il recupero, che dal
1° gennaio di quest'anno avviene in dieci
anni per tutti i contribuenti, compresi
quelli di età superiore a 75 anni
---------------
La lista degli interventi
Il dettaglio dei lavori agevolati al 50% che
non richiedono l'effettuazione di opere
edilizie, così come indicati nella Guida
fiscale dell'agenzia delle Entrate
ELIMINAZIONE DELLE BARRIERE
ARCHITETTONICHE
LE OPERE
Lavori per l'eliminazione delle barriere
architettoniche riguardanti ascensori e
montacarichi
GLI ESEMPI
Realizzazione di un elevatore esterno
all'abitazioni
MOBILITÀ DEI PORTATORI DI
HANDICAP
LE OPERE
Interventi per realizzare strumenti atti a
favorire la mobilità di persone con handicap
gravi
GLI ESEMPI
Installazione di un servoscala.
Motorini elettrici per tapparelle
Non agevolati:
telefoni vivavoce, computer con touch screen
OPERE CONTRO GLI INFORTUNI
DOMESTICI
LE OPERE
Esecuzione di opere volte a evitare gli
infortuni domestici
GLI ESEMPI
Installazione di rilevatori di gas. Cambio
del tubo del gas.
Riparazione di una presa malfunzionante.
Installazione di un corrimano. Installazione
del salvavita
Non agevolato:
acquisto di elettrodomestici con dispositivi
di sicurezza
INTERVENTI CONTRO GLI
ATTI ILLECITI
LE OPERE
Adozione di misure che prevengono il rischio
di atti illeciti da parte di estranei
GLI ESEMPI
Installazione o cambio di una porta
blindata. Installazione o cambio di
serrature, lucchetti, eccetera.
Installazione di saracinesche
antisfondamento. Vetri antisfondamento.
Sistemi antifurto. Installazione di
telecamere. Cassaforti a muro.
Trasformazione del citofono in videocitofono
CABLATURA DEGLI EDIFICI
LE OPERE
Interventi per la cablatura degli edifici
GLI ESEMPI
Installazione di cavi o fibre ottiche che
interconnettano tutte le unità immobiliari
residenziali.
---------------
«Scontate» anche le
spese professionali.
Il perimetro delle spese che possono avere
la detrazione del 50% è un po' più ampio del
costo "nudo e crudo" dei lavori. L'importo
su cui applicare il bonus fiscale include
l'Iva, ma anche l'imposta di bollo e i
diritti pagati per eventuali concessioni,
autorizzazioni, Dia, Scia o comunicazioni,
oltre agli oneri di urbanizzazione.
Se queste sono voci di spesa che entrano in
gioco quasi solo quando si effettuano lavori
edilizi rilevanti (ma non sempre, basti
pensare agli oneri per il cambio d'uso) è
pur vero che si può avere il 50% anche sulle
spese per la messa in regola degli edifici
in relazione alle norme sugli impianti
elettrici e a metano, oltre che su tutta una
serie di spese in senso lato professionali:
per la progettazione, per le certificazioni,
per la relazione di conformità dei lavori
alle leggi vigenti, per le perizie e i
sopralluoghi.
Quanto alla documentazione da conservare,
nella maggior parte dei lavori che non
implicano opere edilizie ci si limiterà
all'autocertificazione del proprietario (si
veda l'articolo a fianco), corredata dalle
fatture o ricevute fiscali e dalle ricevute
dei bonifici di pagamento, oltre che dalle
ricevute Ici, che il provvedimento del
direttore delle Entrate del 2 novembre
scorso continua a richiedere
(articolo Il Sole 24
Ore del 02.07.2012). |
GIURISPRUDENZA |
ENTI LOCALI: Se è pacifico il potere dell’ente locale
di disciplinare e vigilare nell’esercizio
dei suoi poteri di polizia veterinaria sulle
condizioni di igiene e sicurezza pubblica in
cui si svolge l’attività circense e su
eventuali maltrattamenti degli animali,
sanzionati anche penalmente dall’art. 727
c.p., non esiste, in contrasto, una norma
legislativa che attribuisca allo stesso il
potere di fissare in via preventiva e
generalizzata il divieto assoluto di uso
degli animali in spettacoli, ed anzi un
simile intervento si pone in palese
contrasto con la legge n. 337 del 1968, che
tutela il circo nella sua dimensione
tradizionale, implicante anche l’uso degli
animali.
... per l'annullamento, previa sospensiva,
dell'ordinanza del Sindaco del comune di
Ferrara P.G. n. 114819 del 24.12.2010, nella
parte in cui ordina il divieto di
attendamento nel territorio comunale, ivi
compresi i terreni privati, dei circhi con
animali appartenenti alle specie indicate
nella stessa ordinanza, la cui detenzione
sia stata giudicata palesemente
incompatibile con le strutture circensi e di
spettacolo viaggiante, nonché di ogni altro
atto presupposto, conseguente o comunque
connesso, tra cui, in particolare la
Deliberazione della Giunta Regionale del
14.05.2007, n. 647, espressamente richiamata
nella gravata ordinanza, nella parte in cui
raccomanda che, in futuro, nell'ambito
dell'attività circense non siano più
detenute le specie animali in via di
estinzione o il cui modello gestionale non è
compatibile con la detenzione in una
struttura mobile, con particolare
riferimento a:primati, delfini, lupi, orsi,
grandi felini, foche, elefanti, rinoceronti,
ippopotami, giraffe e rapaci.
...
Quanto al primo profilo, basti rilevare che
la vigente normativa in materia di circhi
equestri e spettacoli viaggianti: L.
18/03/1968 n. 337, all’art. 1 riconosce
espressamente la funzione sociale dei circhi
equestri e ne sostiene il consolidamento e
lo sviluppo, stabilendo, inoltre, al
successivo art. 9, l’obbligo, per le
amministrazioni comunali, di individuare
adeguati spazi, nell’ambito dei loro
territori, per l’installazione degli
impianti per l’esibizione degli spettacoli
circensi.
Oltre a ciò, si rileva che in nessuna parte
della legge o in altre normative vigenti è
stabilito alcun divieto di impiego, in detti
spettacoli, di animali appartenenti a
diverse specie, con conseguente palese
contrasto dell’ordinanza impugnata con tale
specifica vigente disciplina nazionale in
materia di spettacoli circensi.
Secondo un indirizzo giurisprudenziale che
il Collegio pienamente condivide,
nell’attuale vigente ordinamento giuridico,
“Se è pacifico il potere dell’ente locale
di disciplinare e vigilare nell’esercizio
dei suoi poteri di polizia veterinaria sulle
condizioni di igiene e sicurezza pubblica in
cui si svolge l’attività circense e su
eventuali maltrattamenti degli animali,
sanzionati anche penalmente dall’art. 727
c.p., non esiste, in contrasto, una norma
legislativa che attribuisca allo stesso il
potere di fissare in via preventiva e
generalizzata il divieto assoluto di uso
degli animali in spettacoli, ed anzi un
simile intervento si pone in palese
contrasto con la legge n. 337 del 1968, che
tutela il circo nella sua dimensione
tradizionale, implicante anche l’uso degli
animali" (v. TAR Abruzzo –PE- Sez. I,
24/04/2009, n. 321; Toscana, Sez. I,
26/05/2008 n. 1531).
Il Collegio ritiene, inoltre, che tale
finalità nemmeno possa dirsi assolta dalla
deliberazione della Giunta Regionale della
regione Emilia Romagna 14/05/2007 n. 647,
atto espressamente richiamato nell’ordinanza
impugnata, con specifico riferimento al
passaggio in cui la Giunta “…raccomanda
che nell’ambito dell’attività circense in
futuro non vengono più detenute le specie in
via di estinzione o il cui modello
gestionale non è compatibile con la
detenzione in una struttura mobile…”,
trattandosi, all’evidenza, di mera
disposizione programmatica, soggetta ad
eventuale futura applicazione, che, allo
stato, certamente non impone, né tanto meno
autorizza o comunque faculta i Comuni a
vietare le manifestazioni di spettacoli
circensi che usano determinate specie
animali sulla base di motivazioni incentrate
esclusivamente su detto utilizzo (TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez. II,
sentenza 04.07.2012 n. 470 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI: L’ordinanza
sindacale ex art. 50 D.Lgs. n. 267 del 2000
deve contenere specifica motivazione circa
la sussistenza, in concreto, degli elementi
giustificativi dell’esercizio del potere,
con indicazione dell’istruttoria compiuta e
dei presupposti di fatto considerati, posto
che il relativo potere presuppone la
necessità di provvedere, con immediatezza,
riguardo a situazioni di natura eccezionale
ed imprevedibile, alle quali sia impossibile
fare fronte con gli strumenti ordinari
apprestati dall’ordinamento
L’ordinanza impugnata è pure illegittima
sotto altro profilo, parimenti rilevato
dalla ricorrente, costituito dalla palese
mancanza, nella specie, dei presupposti di
legge per l’adozione di ordinanza extra
ordinem ai sensi dell’art. 50 D.Lgs n.
267 del 2000.
Come è stato più sopra rilevato, l’oggetto
dell’ordinanza del Sindaco di Ferrara impone
un divieto assoluto e temporalmente
indeterminato di attendamento nel territorio
comunale per quegli spettacoli circensi che
utilizzino determinate specie animali, senza
peraltro indicare alcuna ragione (quale
risultante dal necessario esperimento di
adeguata attività istruttoria), in
riferimento alla quale la presenza e
l’utilizzo di questi animali costituisca o
possa costituire un pericolo, anche
potenziale per la salute e la sicurezza
pubblica dei cittadini.
Secondo il consolidato orientamento della
giurisprudenza amministrativa, l’ordinanza
sindacale ex art. 50 D.Lgs. n. 267 del 2000
deve contenere specifica motivazione circa
la sussistenza, in concreto, degli elementi
giustificativi dell’esercizio del potere,
con indicazione dell’istruttoria compiuta e
dei presupposti di fatto considerati, posto
che il relativo potere presuppone la
necessità di provvedere, con immediatezza,
riguardo a situazioni di natura eccezionale
ed imprevedibile, alle quali sia impossibile
fare fronte con gli strumenti ordinari
apprestati dall’ordinamento (v. TAR Liguria
Genova, Sez. I, 22/09/2011 n. 1409) (TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez. II,
sentenza 04.07.2012 n. 470 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
E' stato stabilito il principio
di diritto in materia di sindacato sulla
legittimità della verifica dell’anomalia
secondo cui il giudice deve solo stabilire se la
stazione appaltante sia incorsa in qualche
errore o illogicità manifesta e se l’offerta
risulti nel suo complesso affidabile, e non
può anche spingersi a sostituire il proprio
apprezzamento a quello dell'Amministrazione.
Di conseguenza il giudice non può ritenere
anomala un’offerta sulla base delle
risultanze di una verificazione tecnica,
qualora il tecnico incaricato svolga una
nuova valutazione delle componenti
dell'offerta economica rilevando che le
giustificazioni addotte da questa erano, per
più punti, generiche, insufficienti o non
documentate.
Un giudizio di anomalia può
essere espresso dal giudice solo sulla base
di una relazione dalla quale emergano
indicazioni idonee ad attestare la manifesta
illogicità o all’insufficienza di
motivazioni o all’esistenza di errori di
fatto che abbiano inficiato la valutazione
di congruità dell'offerta fatta dalla
Amministrazione.
---------------
L'obbligo dell'amministrazione di assicurare
il contraddittorio nel sub-procedimento di
verifica dell’anomalia non implica la
confutazione puntuale di tutte le
osservazioni svolte dagli interessati,
essendo sufficiente che il provvedimento
amministrativo sia corredato da una
motivazione che renda nella sostanza
comunque percepibile la ragione del mancato
accoglimento delle deduzioni difensive del
privato.
-------------
Del tutto legittimamente la stazione
appaltante può procedere all’esclusione
dell’offerta per anomalia allorquando si
accerti ex post l’incongruità di alcune
voci, ancorché queste possano essere
compensate da altre, poiché una posizione
dell’offerente siffatta non è coerente con
le finalità del sub-procedimento di verifica
dell’anomalia, in quanto volto non già a
consentire aggiustamenti dell’offerta in
itinere ma ad accertare “la serietà di una
offerta consapevolmente già formulata ed
immutabile”, potendo a tal riguardo le
modifiche alle componenti dell’offerta
stessa essere circoscritte:
a) o una modifica delle giustificazioni
delle singole voci di costo (rispetto alle
giustificazioni già fornite), lasciando le
voci di costo invariate;
b) oppure un aggiustamento di singole voci
di costo, che trovi il suo fondamento o in
sopravvenienze di fatto o normative che
comportino una riduzione dei costi, o in
originari e comprovati errori di calcolo, o
in altre ragioni plausibili.
Si è infatti detto sopra che il provvedimento di esclusione è fondato sul
giudizio di complessiva inattendibilità
dell’offerta presentata dall’odierna
appellante.
Come è dato evincere dalla lettura del
verbale n. 19 del 31.05.2010, il
giudizio di non congruità risulta
analiticamente motivato
Le censure formulate dalla DEC in primo
grado e qui ritualmente riproposte avverso
tale giudizio non giungono tuttavia a
disvelarne profili sintomatici di eccesso di
potere per illogicità o travisamento delle
risultanze istruttorie del procedimento, ma
rimangono sulla soglia di una contrapposta
versione dell’interessata, opinabile al pari
del giudizio tecnico-discrezionale formulato
dalla Commissione, tale dunque da non
consentire il sindacato del giudice
amministrativo, secondo il costante
insegnamento espresso al riguardo (cfr., da
ultimo C.d.S., sez. III, 14.02.2012,
n. 710, che ha stabilito il principio di
diritto in materia di sindacato sulla
legittimità della verifica dell’anomalia che
il giudice “deve solo stabilire se la
stazione appaltante sia incorsa in qualche
errore o illogicità manifesta e se l’offerta
risulti nel suo complesso affidabile, e non
può anche spingersi a sostituire il proprio
apprezzamento a quello dell'Amministrazione.
Di conseguenza il giudice non può ritenere
anomala un’offerta sulla base delle
risultanze di una verificazione tecnica,
qualora il tecnico incaricato svolga una
nuova valutazione delle componenti
dell'offerta economica rilevando che le
giustificazioni addotte da questa erano, per
più punti, generiche, insufficienti o non
documentate. Un giudizio di anomalia può
essere espresso dal giudice solo sulla base
di una relazione dalla quale emergano
indicazioni idonee ad attestare la manifesta
illogicità o all’insufficienza di
motivazioni o all’esistenza di errori di
fatto che abbiano inficiato la valutazione
di congruità dell'offerta fatta dalla
Amministrazione”; in senso conf. le Sez. un.
civili della Corte di Cassazione, sent. 28.05.2012, n. 8412).
Va ancora soggiunto che secondo altro
consolidato indirizzo giurisprudenziale dal
quale non vi è motivo di discostarsi
l'obbligo dell'amministrazione di assicurare
il contraddittorio nel sub-procedimento di
verifica dell’anomalia non implica la
confutazione puntuale di tutte le
osservazioni svolte dagli interessati,
essendo sufficiente che il provvedimento
amministrativo sia corredato da una
motivazione che renda nella sostanza
comunque percepibile la ragione del mancato
accoglimento delle deduzioni difensive del
privato (C.d.S., sez. V, 10.05.2012, n.
2701; 10.09.2009, n. 5424; sez. IV, 05.10.2005, n. 5365; sez. VI, 23.03.2009, n. 1700;
07.01.2008, n. 17; 11.04.2006, n. 1999).
Ciò precisato in diritto, ad avviso del
Collegio la correttezza dell’operato della
stazione appaltante nel caso di specie
emerge agevolmente dalla stessa lettura del
provvedimento di esclusione.
In esso sono enucleati plurimi elementi di
anomalia, con riguardo, ad esempio, la
produttività dell’impianto di produzione dei
conglomerati; lo smaltimento dei materiali e
la non plausibilità delle giustificazioni
della DEC circa il fatto che questi verranno
interamente riciclati; il prezzo di
fornitura new jersey e la non plausibilità
delle giustificazioni della DEC per il fatto
di avere indicato un ulteriore passaggio
commerciale senza aumento del prezzo; la
mancanza di adeguate certificazioni a
supporto della giustificazione consistente
nella possibilità di realizzare un impianto
di produzione di conglomerati e manifesta
inverosimiglianza del prezzo offerto, del
costo tecnico di produzione e della sua
capacità produttiva.
Né è corretto porre in evidenza la
modesta entità delle voci di prezzo
risultate non congrue in sede di
sub-procedimento di verifica rispetto
all’importo dei lavori oggetto di appalto e
la possibilità di assorbimento dei maggiori
valori quali ricostruiti dalla Commissione
di gara nell’utile dichiarato in sede di
offerta.
In contrario si segnala un indirizzo,
recentemente espresso, secondo cui del tutto
legittimamente la stazione appaltante può
procedere all’esclusione dell’offerta per
anomalia allorquando si accerti ex post
l’incongruità di alcune voci, ancorché
queste possano essere compensate da altre,
poiché una posizione dell’offerente siffatta
non è coerente con le finalità del
sub-procedimento di verifica dell’anomalia,
in quanto volto non già a consentire
aggiustamenti dell’offerta in itinere ma ad
accertare “la serietà di una offerta
consapevolmente già formulata ed
immutabile”, potendo a tal riguardo le
modifiche alle componenti dell’offerta
stessa essere circoscritte: “a) o una
modifica delle giustificazioni delle singole
voci di costo (rispetto alle giustificazioni
già fornite), lasciando le voci di costo
invariate; b) oppure un aggiustamento di
singole voci di costo, che trovi il suo
fondamento o in sopravvenienze di fatto o
normative che comportino una riduzione dei
costi, o in originari e comprovati errori di
calcolo, o in altre ragioni plausibili”
(cfr. C.d.S., sez. VI, 07.02.2012 n.
636).
Il principio espresso in quest’ultimo
precedente è pienamente condiviso da questo
Collegio, poiché coerente con le esigenze di
affidabilità del contraente privato che il
procedimento di verifica dell’anomalia
dell’offerta tende ad accertare (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 02.07.2012 n. 3850 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI:
Non è indispensabile pubblicare
il bando di gara anche nella gazzetta
ufficiale oltre che nell'albo pretorio del
comune, nel caso di gara per l'affidamento
in concessione di servizi.
L'omessa pubblicazione del bando sulla
gazzetta ufficiale, prescritto per gli
appalti sottosoglia dall'art. 124 del D.lvo
12.04.2006, n. 163 -Codice dei contratti
pubblici deve essere valutata nell'ambito di
una procedura- quale è quella di specie- che
ha avuto ad oggetto l'affidamento di una
concessione di servizi, fattispecie cui a
norma dell'art. 30 del medesimo D.lvo n.
163/2006, non si applicano le disposizioni
del Codice dei contratti quanto piuttosto i
principi generali desumibili dal Trattato.
Si tratta quindi di valutare se la
pubblicazione del bando -anche nella
Gazzetta Ufficiale, oltre che all'albo
pretorio- sia una condizione irrinunciabile
a garanzia del rispetto dei principi di
trasparenza e di adeguata pubblicità,
consapevoli che su tale questione si è già
pronunciato implicitamente questo Consiglio,
nel senso di ritenere che si possa
legittimamente fare a meno della
pubblicazione del bando anche nella gazzetta
ufficiale (Consiglio di Stato, Sez. III,
sentenza 02.07.2012 n. 3843 - link a
www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI SERVIZI: L’omessa
pubblicazione del bando sulla gazzetta
ufficiale, prescritto per gli appalti
sottosoglia dall’art. 124, deve essere
comunque valutata nell’ambito di una
procedura che ha avuto ad oggetto
l’affidamento di una concessione di servizi,
fattispecie cui, come noto, a norma
dell’art. 30 non si applicano le
disposizioni del Codice dei contratti quanto
piuttosto i principi generali desumibili dal
Trattato.
Si tratta quindi di valutare se la
pubblicazione del bando -anche nella
Gazzetta Ufficiale, oltre che all’albo
pretorio- sia una condizione irrinunciabile
a garanzia del rispetto dei principi di
trasparenza e di adeguata pubblicità,
consapevoli che su tale questione si è già
pronunciato implicitamente questo Consiglio,
nel senso di ritenere che si possa
legittimamente fare a meno della
pubblicazione del bando anche nella Gazzetta
Ufficiale.
Nel merito del vizio dedotto con il terzo
motivo, si osserva incidentalmente come
l’omessa pubblicazione del bando sulla
gazzetta ufficiale, prescritto per gli
appalti sottosoglia dall’art. 124, deve
essere comunque valutata nell’ambito di una
procedura -quale è quella in esame- che ha
avuto ad oggetto l’affidamento di una
concessione di servizi, fattispecie cui,
come noto, a norma dell’art. 30 non si
applicano le disposizioni del Codice dei
contratti quanto piuttosto i principi
generali desumibili dal Trattato.
Si tratta quindi di valutare se la
pubblicazione del bando -anche nella
Gazzetta Ufficiale, oltre che all’albo
pretorio- sia una condizione irrinunciabile
a garanzia del rispetto dei principi di
trasparenza e di adeguata pubblicità,
consapevoli che su tale questione si è già
pronunciato implicitamente questo Consiglio,
nel senso di ritenere che si possa
legittimamente fare a meno della
pubblicazione del bando anche nella Gazzetta
Ufficiale (v. Cons. St., V, n. 2709/2011)
(Consiglio di Stato, Sez. III,
sentenza 02.07.2012 n. 3843 - link a
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EDILIZIA PRIVATA:
Muovendo dall'art. 878 c.c., è
muro di cinta, quello che non ha un'altezza
superiore a tre metri e che solo per un
manufatto di queste dimensioni è ravvisabile
la possibilità di applicare l'art. 4 del
D.L. 05.10.1993, n. 398 (convertito dalla L.
04.12.1993 n. 493, modificato dall'art. 5
D.P.R. 22.04.1994, n. 425, sostituito
dall'art. 2, comma 60, L. 23.12.1996, n.
662, nel testo risultante dalle modifiche
introdotte dall'art. 10 del T.U. 06.06.2001
n. 380).
In tali limiti va, pertanto, interpretato il
comma 7 dell’art. 4 sopracitato, il quale ha
subordinato alla denunzia d'inizio
d'attività gli interventi ivi indicati (tra
i quali "recinzioni, mura di cinta e
cancellate").
---------------
Nel caso in cui la funzione del muro sia
quella di sostenere, il muro stesso deve
essere autorizzato mediante il rilascio di
una concessione edilizia.
I muri di contenimento, invero, hanno una
consistenza diversa dalle recinzioni, dalle
quali si differenziano per funzione (che non
è quella di delimitare, proteggere ed
eventualmente abbellire la proprietà, ma,
essenzialmente, di sostenere il terreno al
fine di evitare movimenti franosi dello
stesso) e struttura (che deve, appunto,
essere idonea per consistenza e modalità
costruttive ad assolvere alla funzione di
contenimento).
Ne consegue che mentre il muro di cinta può
essere ricondotto alla categoria delle
pertinenze, il muro di contenimento,
destinato a contenere o sostenere esso
stesso dei volumi ulteriori, invece, viene
assimilato alla categoria delle costruzioni:
in tal caso, infatti, il manufatto ha una
funzione autonoma, dal punto di vista
edilizio e da quello economico.
La giurisprudenza del Consiglio di Stato
(cfr. di recente sez. IV, 03.05.2011, n.
2621) è nel senso che, muovendo dall'art.
878 c.c., è muro di cinta, quello che non ha
un'altezza superiore a tre metri e che solo
per un manufatto di queste dimensioni è
ravvisabile la possibilità di applicare
l'art. 4 del D.L. 05.10.1993, n. 398
(convertito dalla L. 04.12.1993 n. 493,
modificato dall'art. 5 D.P.R. 22.04.1994, n.
425, sostituito dall'art. 2, comma 60, L.
23.12.1996, n. 662, nel testo risultante
dalle modifiche introdotte dall'art. 10 del
T.U. 06.06.2001 n. 380); in tali limiti va,
pertanto, interpretato il comma 7 dell’art.
4 sopracitato, il quale ha subordinato alla
denunzia d'inizio d'attività gli interventi
ivi indicati (tra i quali "recinzioni,
mura di cinta e cancellate") e che
erroneamente -in punto di fatto- il
ricorrente invoca a proprio vantaggio.
---------------
In proposito, è
sufficiente richiamare, ex multis, la
sentenza del C.G.A. 05.05.1993, n. 165,
secondo la quale, nel caso in cui la
funzione del muro sia quella di sostenere,
il muro stesso deve essere autorizzato
mediante il rilascio di una concessione
edilizia.
I muri di contenimento, invero, hanno una
consistenza diversa dalle recinzioni, dalle
quali si differenziano per funzione (che non
è quella di delimitare, proteggere ed
eventualmente abbellire la proprietà, ma,
essenzialmente, di sostenere il terreno al
fine di evitare movimenti franosi dello
stesso) e struttura (che deve, appunto,
essere idonea per consistenza e modalità
costruttive ad assolvere alla funzione di
contenimento).
Ne consegue che mentre il muro di cinta può
essere ricondotto alla categoria delle
pertinenze, il muro di contenimento,
destinato a contenere o sostenere esso
stesso dei volumi ulteriori, invece, viene
assimilato alla categoria delle costruzioni:
in tal caso, infatti, il manufatto ha una
funzione autonoma, dal punto di vista
edilizio e da quello economico (cfr. TAR
Emilia Romagna, Parma, 12.03.2001, n. 106;
27.04.2001, n. 246; TAR Piemonte 07.05.2003,
n. 657; TAR Liguria, sez. I, 14.11.1996, n.
492; 19.10.1994, n. 345)
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. II,
sentenza 02.07.2012 n. 1265 -
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EDILIZIA PRIVATA:
Il riferimento -in ogni
deliberazione di acquisizione ex art. 7
legge 47/1985- all'esistenza di prevalenti
interessi pubblici costituisce presupposto
indefettibile per non procedere, ai sensi
dell'art. 7, comma 5, della l. n. 47/1985,
alla demolizione del manufatto abusivo e
sostituirla, alternativamente ed
eccezionalmente, con la mera acquisizione al
patrimonio del Comune.
E' sufficiente osservare che, decorso il
termine di 90 giorni dalla notifica
dell'ingiunzione di demolizione senza che si
sia atteso alla demolizione o al ripristino
dello stato dei luoghi, la conseguente
acquisizione gratuita al patrimonio
disponibile del Comune dell'opera abusiva,
della relativa area di sedime, nonché
dell'ulteriore superficie astrattamente
necessaria per la realizzazione di opere
analoghe a quella abusiva si attua ope legis
ed avviene a titolo originario e di diritto,
ossia per il mero decorso del tempo.
---------------
La giurisprudenza ha sempre interpretato
l'art. 7 l. 28.02.1985, n. 47, nel senso che
in base a tale norma è sempre ammessa
l'acquisizione gratuita di una superficie
pari a dieci volte quella abusivamente
costruita.
Invero, le censure dedotte con il primo
motivo di ricorso vanno disattese, tenuto
conto che:
a) il riferimento -in ogni deliberazione di
acquisizione ex art. 7 legge 47/1985-
all'esistenza di prevalenti interessi
pubblici costituisce presupposto
indefettibile per non procedere, ai sensi
dell'art. 7, comma 5, della l. n. 47/1985,
alla demolizione del manufatto abusivo e
sostituirla, alternativamente ed
eccezionalmente, con la mera acquisizione al
patrimonio del Comune (cfr. da ultimo: TAR
Catania sez. I, 25.03.2010, n. 937; TAR
Napoli sez. VI, 05.07.2006, n. 7301). Dunque
nella esplicitazione di tale interesse
pubblico da parte della deliberazione
controversa (ottimizzazione del servizio
pubblico di raccolta rifiuti) non è
ravvisabile alcun sviamento dalla causa
tipica, bensì la puntuale applicazione del
richiamato art. 7, comma 5, legge 47/1985;
b) quanto al lasso di tempo (9 anni)
intercorso tra realizzazione dell’abuso e
acquisizione gratuita, il Collegio aderisce
al principio di recente ribadito in
giurisprudenza, secondo cui <<è
sufficiente osservare che, decorso il
termine di 90 giorni dalla notifica
dell'ingiunzione di demolizione senza che si
sia atteso alla demolizione o al ripristino
dello stato dei luoghi, la conseguente
acquisizione gratuita al patrimonio
disponibile del Comune dell'opera abusiva,
della relativa area di sedime, nonché
dell'ulteriore superficie astrattamente
necessaria per la realizzazione di opere
analoghe a quella abusiva si attua ope legis
ed avviene a titolo originario e di diritto,
ossia per il mero decorso del tempo>>
(cfr. TAR Napoli sez. II, 06.02.2012, n.
589).
---------------
La
giurisprudenza (sin da TAR Toscana, sez. II,
15.07.1993, n. 322) ha sempre interpretato
l'art. 7 l. 28.02.1985, n. 47, nel senso che
in base a tale norma è sempre ammessa
l'acquisizione gratuita di una superficie
pari a dieci volte quella abusivamente
costruita e, secondo la stessa
prospettazione dei ricorrenti, nel caso di
specie sono stati acquisiti 3.970 mq a
fronte di un’estensione dell’abuso pari a
650 mq.: il che equivale a circa 6 volte
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. II,
sentenza 02.07.2012 n. 1264 -
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EDILIZIA PRIVATA:
a) il termine per impugnare i titoli edilizi
decorre, per i terzi, dalla data di piena
conoscenza del provvedimento che si intende
avvenuta alternativamente al momento del
rilascio della copia degli stessi (inclusi i
documenti di progetto), ovvero al
completamento delle opere (salvo che non sia
data la prova rigorosa di una conoscenza
anteriore o che non si deducano censure di
inedificabilità assoluta);
b) il completamento dei lavori, infatti,
rivela in modo certo e univoco le
caratteristiche essenziali dell’opera,
l’eventuale non conformità della stessa
rispetto alla disciplina urbanistica,
l’incidenza effettiva sulla posizione
giuridica del terzo;
c) considerato che la pubblicazione dei
titoli edilizi non fa decorrere i termini
per l’impugnazione da parte del terzo, tale
principio costituisce il punto di equilibrio
fra due contrapposte esigenze: da un lato,
garantire la tutela dei terzi lesi
dall’iniziativa edificatoria, dall’altro,
evitare abusi da parte di questi ultimi che
potrebbero differire sine die il
consolidamento del titolo edilizio
postergando la richiesta di indicazione dei
suoi estremi o di rilascio di copia completa
del medesimo.
Sul punto di diritto controverso il collegio non intende decampare
da consolidati principi, di recente recepiti
dall’adunanza plenaria di questo Consiglio
(cfr. 29.07.2011, n. 15; successivamente
sez. VI, 16.09.2011, n. 5170),
secondo i quali:
a) il termine per impugnare i titoli edilizi
decorre, per i terzi, dalla data di piena
conoscenza del provvedimento che si intende
avvenuta alternativamente al momento del
rilascio della copia degli stessi (inclusi i
documenti di progetto), ovvero al
completamento delle opere (salvo che non sia
data la prova rigorosa di una conoscenza
anteriore o che non si deducano censure di
inedificabilità assoluta);
b) il completamento dei lavori, infatti,
rivela in modo certo e univoco le
caratteristiche essenziali dell’opera,
l’eventuale non conformità della stessa
rispetto alla disciplina urbanistica,
l’incidenza effettiva sulla posizione
giuridica del terzo;
c) considerato che la pubblicazione dei
titoli edilizi non fa decorrere i termini
per l’impugnazione da parte del terzo, tale
principio costituisce il punto di equilibrio
fra due contrapposte esigenze: da un lato,
garantire la tutela dei terzi lesi
dall’iniziativa edificatoria, dall’altro,
evitare abusi da parte di questi ultimi che
potrebbero differire sine die il
consolidamento del titolo edilizio
postergando la richiesta di indicazione dei
suoi estremi o di rilascio di copia completa
del medesimo (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 27.06.2012 n. 3777 - link a
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ATTI AMMINISTRATIVI:
In materia di accesso alla
documentazione amministrativa i soggetti
privati sono assimilati alle pubbliche
amministrazioni –in relazione al
potere-dovere di esaminare le domande di
accesso- solo limitatamente alla attività
di pubblico interesse che risulti
disciplinata dal diritto nazionale o
comunitario (art. 22, lett. e), della legge
n. 241 del 07.08.1990).
Come è noto, in materia di accesso alla documentazione amministrativa i
soggetti privati sono assimilati alle
pubbliche amministrazioni –in relazione al
potere-dovere di esaminare le domande di
accesso- solo limitatamente alla attività
di pubblico interesse che risulti
disciplinata dal diritto nazionale o
comunitario (art. 22, lett. e), della legge
n. 241 del 07.08.1990).
Nel caso di specie difettano anzitutto i
presupposti per assimilare l’attività delle
società private oggetto della domanda di
accesso (relativa a documenti da cui
desumere il grado di commercializzazione
dell’apparecchiatura diagnostica) ad una
attività di pubblico interesse disciplinata
dalla normativa nazionale o comunitaria.
Manca infatti una disciplina nazionale o
comunitaria che disciplini o condizioni le
scelte imprenditoriali di un soggetto
privato riguardo alle modalità di
commercializzazione di un prodotto medicale,
trattandosi di una attività riservata alle
insindacabili valutazioni del management
societario ovvero alle scelte di politica
industriale (anch’esse incensurabili) del
soggetto titolare del marchio o del
brevetto, non potendo ravvisarsi, nei
confronti di un soggetto privato, un obbligo
giuridico di commercializzare un prodotto o
un macchinario, financo ove possa ritenersi
provata la sua positiva efficacia sulla
salute umana..
La mancanza del suindicato requisito
normativo nella fattispecie oggetto della
originaria domanda ostensiva rende già di
per sé accoglibile l’appello in esame.
La questione dirimente, pertanto, nella
prospettiva della infondatezza della istanza
ostensiva, risulta quella della carenza di
una disciplina normativa che regolamenti la
specifica attività di commercializzazione
del bioscanner; laddove non appare al
contrario insussistente, come non
condivisibilmente sostenuto dal Tar, il
requisito dell’interesse pubblico sotteso
alla più ampia divulgazione possibile
dell’apparato medicale di che trattasi, e
ciò sia perché, sul piano oggettivo, si
tratta di una strumentazione medica almeno
potenzialmente rafforzativa delle
possibilità di tutelare il diritto alla
salute dei consumatori, in considerazione
delle sue significative risposte sul piano
della diagnosi precoce di alcune patologie,
sia perché, sul piano soggettivo, il
controllo di fatto e di diritto che lo Stato
esercita, in forza della quota azionaria di
riferimento ma anche in virtù dei poteri
speciali di cui risulta titolare (d.p.c.m.
28.09.1999, attuativo dell’art. 2 del
D.L. 31.05.1994 n. 241) conferiscono
all’attività dell’ente privato una rilevanza
pubblicistica che difficilmente potrebbe
negarsi (Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 26.06.2012 n. 3768 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI:
Sulla legittimità delle
condizioni apposte alla lettera di invito
per la concessione avente ad oggetto la
vendita dei biglietti di accesso ed altri
servizi collaterali nell'ambito del
cosiddetto "polo museale romano".
Sono legittime le condizioni apposte alla
lettera di invito rivolta ad imprese già
prequalificate per una concessione, avente
ad oggetto la vendita dei biglietti di
accesso ed altri servizi collaterali
nell'ambito del cosiddetto "polo museale
romano", che prevedono l'obbligo di
prestare una cauzione, ai sensi dell'art. 75
del d.lgs. n. 163/2006 e richiedano, a pena
di esclusione, l'obbligo di conservazione
del posto di lavoro dei dipendenti del
precedente concessionario (cd "clausola
sociale").
Per quanto riguarda l'applicabilità alla
concessione di cui trattasi dell'art. 75 del
d.lgs. 12.4.2006, n. 163, pur essendo le
prescrizioni del codice stesso formalmente
riferite ai pubblici appalti per forniture,
lavori o servizi, con specifica esclusione,
ai sensi dell'art. 30, delle concessioni di
servizi (salvo per quanto riguarda i
principi generali in materia di scelta del
concessionario, tramite gara informale in
cui siano assicurati "trasparenza,
adeguata pubblicità, non discriminazione,
parità di trattamento, mutuo riconoscimento,
proporzionalità") è rimessa alla
discrezionalità dell'Amministrazione
concedente, ove quest'ultima si sia
esplicitamente vincolata in tal senso.
Il medesimo art. 30 del codice peraltro, nel
dichiarare applicabili alle concessioni di
cui trattasi "i principi generali
relativi ai contratti pubblici", non può
non recepire il carattere cogente della cd
autodeterminazione vincolistica
dell'Amministrazione, a tutela
dell'interesse pubblico da quest'ultima
perseguito sia nell'attività autoritativa,
sia (per la parte procedurale che
l'affianca) in quella privatistica; i
medesimi principi rendono, inoltre, congrua
la previsione di adeguate garanzie per
l'Autorità concedente, tenuto conto dei
numerosi profili di affinità fra la
concessione di cui trattasi e l'appalto di
servizi, alla luce della normativa
comunitaria e della giurisprudenza. Infine,
per quanto riguarda la "clausola sociale"
(detta anche "di protezione" o di "salvaguardia
sociale") la medesima corrisponde, nel
caso di specie, ad un protocollo di intesa
trilaterale, sottoscritto fra Ministero per
i beni e le attività culturali e le
principali Organizzazioni sindacali.
Nella situazione in esame non si tratta
infatti di riconoscere un diritto -in ogni
caso rivendicabile- dei lavoratori
dipendenti del concessionario in scadenza
alla continuità del rapporto di lavoro col
nuovo concessionario, ma dell'impegno
richiesto a quest'ultimo di assicurare tale
continuità.
Un impegno, che non è contrastante con i
principi fondamentali, riconosciuti a
livello nazionale e comunitario in materia
di lavoro e di sicurezza sociale e che,
pertanto, poteva costituire legittimo
oggetto di una scelta discrezionale
dell'Autorità concedente il servizio, circa
le modalità di definizione del nuovo
rapporto concessorio (Consiglio di Stato,
Sez. VI,
sentenza 26.06.2012 n. 3764 - link a
www.dirittodeiservizipubblici.it). |
LAVORI PUBBLICI:
Le norme della
certificazione ISO 9001:2000 sono
universali, la loro applicabilità prescinde
dalla dimensione o dal settore
dell’attività, e le stesse definiscono
principi generici che l’organizzazione deve
seguire in funzione della soddisfazione dei
clienti, ma non i requisiti intrinseci dei
prodotti, sicché tale certificazione è
idonea a fornire un’ulteriore prova
dell’impegno dell’organizzazione a garanzia
dell’orientamento dell’organizzazione verso
la soddisfazione del cliente ed il
correlativo miglioramento continuo.
---------------
L’attestazione di qualificazione attiene e
garantisce il possesso dei requisiti di
capacità tecnica e finanziaria, mentre la
certificazione di qualità aziendale, come
già precisato, attiene alla garanzia
qualitativa di un determinato livello di
esecuzione dell’intero rapporto
contrattuale.
---------------
La certificazione dei sistemi di gestione si
sostanzia nel riconoscimento delle capacità
imprenditoriali di un’azienda che ha saputo
effettuare la propria organizzazione
dotandosi di una gestione efficiente, di
strutture idonee e di competenze adeguate, e
costituisce anche una garanzia di
affidabilità per clienti, fornitori,
dipendenti e collaboratori.
Tutto ciò a prescindere dalla specifica
attività esercitata, proprio perché il
rispetto dell’insieme di regole e di
procedure, riconosciute da norme di valore
internazionali, è teso a consentire alla
organizzazione complessiva della società di
raggiungere obiettivi definiti quali, ad
esempio, la soddisfazione del cliente ed il
miglioramento continuo delle prestazioni.
Rileva in via preliminare il Collegio, che l’art. 9, punto 4), del bando di
gara richiede, ai fini della
partecipazione, il semplice possesso della
certificazione UNI EN ISO 2001 rilasciata da
un organismo accreditato, senza ulteriori
specificazioni e, tantomeno, alcun
riferimento all’oggetto specifico
dell’appalto.
Ciò posto, in relazione al primo profilo di
censura, va osservato che l’art. 4, comma 2,
del DPR n. 34 del 25.01.2000, applicabile al
caso di specie, dispone quanto segue: “La
certificazione del sistema di qualità
aziendale e la dichiarazione della presenza
degli elementi significativi e tra loro
correlati del sistema di qualità aziendale
si intendono riferite agli aspetti
gestionali dell’impresa nel suo complesso,
con riferimento alla globalità delle
categorie e classifiche.”
A sua volta l’art. 63 del DPR 207/2010,
entrato in vigore l’08.06.2011 e applicabile
ai bandi di gara emanati successivamente
alla sua entrata in vigore, ripete al comma
n. 2 la stessa ed identica formulazione.
Non v’è dubbio, quindi, che la
certificazione del sistema di qualità
aziendale attesta la presenza nell’azienda
di caratteristiche organizzative e di
modalità operative predeterminate dalle
norme UNI EN ISO 9000.
Esse concernono una serie articolata di
elementi denotanti la capacità
imprenditoriale tout court, quali la
funzionalità dell’organizzazione, le
modalità di reclutamento e di formazione del
personale, la suddivisione di ruoli e
competenza, le procedure di formulazione e
di presentazione delle offerte, le verifiche
in caso di aggiudicazione e le modalità di
pianificazione della commessa, le modalità
di approvvigionamento dei materiali, le
selezioni dei fornitori, la gestione dei
subappalti, l’esecuzione dei lavori e il
relativo controllo, le procedure di
verifiche interne ed esterne, il rilievo e
la gestione delle criticità (cfr. allegato C)
al D.P.R. 25.01.2000, n. 34).
In definitiva, si tratta di un complesso
predefinito di caratteristiche che
conferiscono ad un’impresa la capacità di
soddisfare elevate esigenze di qualità,
perché la loro esistenza garantisce un
determinato livello qualitativo della
struttura aziendale e dei processi
lavorativi, in quanto capaci di garantire il
controllo del complesso delle operazioni che
influiscono sui prodotti e sulle prestazioni
con risorse adeguate, la corretta esecuzione
dei rapporti contrattuali e l’orientamento
alla soddisfazione del cliente.
Si tratta di caratteristiche generali che
prescindono dalle dimensioni e dal settore
di attività dell’azienda. Esse codificano
gli standard industriali e commerciali, le
regole organizzative e i principi vigenti
nei Paesi industrializzati che un’azienda
efficiente deve seguire per i suoi processi
produttivi, ma non attengono alle modalità
con le quali si fabbricano specifici
prodotti o si rendono individuati servizi.
Ed è per queste ragioni che la
certificazione di qualità attiene agli
aspetti gestionali dell’impresa, intesa nel
suo complesso, e non ai prodotti da essa
realizzati ovvero alle attività ed ai
processi produttivi per cui sia
specificamente abilitata.
L’assunto, oltre a trovare formale riscontro
nel dato normativo sopra richiamato, trova
altresì puntuale conferma nel consolidato
insegnamento della giurisprudenza
amministrativa, secondo cui “le norme della
certificazione ISO 9001:2000 sono
universali, la loro applicabilità prescinde
dalla dimensione o dal settore
dell’attività, e le stesse definiscono
principi generici che l’organizzazione deve
seguire in funzione della soddisfazione dei
clienti, ma non i requisiti intrinseci dei
prodotti, sicché tale certificazione è
idonea a fornire un’ulteriore prova
dell’impegno dell’organizzazione a garanzia
dell’orientamento dell’organizzazione verso
la soddisfazione del cliente ed il
correlativo miglioramento continuo“ (cfr.
Consiglio di Stato, sez. V, 10.09.2010 n. 6530; Sez. VI, 21.04.2010, n. 2222;
Sez. VI, 27.10.2003, n. 6619; Sez. IV,
14.10.2005, n. 5800).
Del resto, nel caso di specie le capacità
tecniche, ovvero quelle relative alla
costruzione e alla gestione di discariche,
dovevano essere comprovate dall’attestazione
SOA relativa alle specifiche categorie
indicate dalla lex specialis e non, quindi,
dalla certificazione di qualità ( UNI ES ISO
9001 ).
Infatti, l’attestazione di qualificazione
attiene e garantisce il possesso dei
requisiti di capacità tecnica e finanziaria,
mentre la certificazione di qualità
aziendale, come già precisato , attiene alla
garanzia qualitativa di un determinato
livello di esecuzione dell’intero rapporto
contrattuale (cfr. da ultimo Consiglio di
Stato, Sez. V 24.03.2011 n. 1773).
Così, la capacità tecnica in relazione
all’oggetto dell’appalto e cioè la
“costruzione e gestione della discarica“, è
stata prevista dall’art. 9, punto 2, del bando
di gara, laddove viene richiesta una “SOA
debitamente autorizzata, che attesti il
possesso della qualificazione adeguata alla
categoria e all’importo totale dei lavori di
cui ai punti 6.1 e 6.2 e cioè la categoria
OG12 classe V.
Attestazione SOA regolarmente posseduta
dall’ATI ricorrente, come correttamente
verificato dalla Commissione di gara e non
contestato.
Inoltre lo stesso bando richiedeva, ai fini
della partecipazione (cfr. punto 3
dell’art. 9), la “effettuazione,
nell’ultimo decennio, di gestioni operative
di discariche analoghe a quelle di cui alla
gara” per le quantità ivi specificate.
Requisito tecnico parimenti soddisfatto
dalla ricorrente.
Pertanto, la certificazione dei sistemi di
gestione si sostanzia nel riconoscimento
delle capacità imprenditoriali di un’azienda
che ha saputo effettuare la propria
organizzazione dotandosi di una gestione
efficiente, di strutture idonee e di
competenze adeguate, e costituisce anche una
garanzia di affidabilità per clienti,
fornitori, dipendenti e collaboratori.
Tutto ciò a prescindere dalla specifica
attività esercitata, proprio perché il
rispetto dell’insieme di regole e di
procedure, riconosciute da norme di valore
internazionali, è teso a consentire alla
organizzazione complessiva della società di
raggiungere obiettivi definiti quali, ad
esempio, la soddisfazione del cliente ed il
miglioramento continuo delle prestazioni
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 26.06.2012 n. 3752 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
L’offerta, sia economica che tecnica,
presentata dall’impresa partecipante deve
essere “unica e
immodificabile” al fine di garantire
l’effettiva parità di condizioni tra i
concorrenti.
Conseguentemente, né l’impresa partecipante
può nel corso della gara modificare
l’offerta né , tantomeno, la commissione
giudicatrice può intervenire sulla stessa
correggendola o scorporandola al fine di
individuare un diverso ammontare rispetto a
quello indicato dalla impresa partecipante.
In particolare, la commissione di gara non
ha poteri modificativi e/o manipolativi
della volontà espressa dai concorrenti nel
redigere l’offerta e ciò non solo
perché, diversamente opinando, si violerebbe
il principio della par condicio dei
concorrenti , ma soprattutto perché il
concorrente che risulti poi aggiudicatario
sarà tenuto al rispetto della sola offerta
che ha sottoscritto e non di quella,
diversa, risultante dalla modifica operata
dalla commissione.
Si tratta di un principio fondamentale,
ripetesi improntato a salvaguardare la
trasparenza dell’azione amministrativa e la
parità di trattamento tra i concorrenti, che
costituisce espressione del più generale
principio di imparzialità codificato
dall’art. 97 della Costituzione e, come
tale, intangibile.
Costituisce
principio fondamentale in materia di
gara per l’affidamento di appalti pubblici,
quello per cui l’offerta, sia economica che
tecnica, presentata dall’impresa
partecipante deve essere “unica e
immodificabile” al fine di garantire
l’effettiva parità di condizioni tra i
concorrenti.
Conseguentemente, né l’impresa partecipante
può nel corso della gara modificare
l’offerta né , tantomeno, la commissione
giudicatrice può intervenire sulla stessa
correggendola o scorporandola al fine di
individuare un diverso ammontare rispetto a
quello indicato dalla impresa partecipante.
In particolare, la commissione di gara non
ha poteri modificativi e/o manipolativi
della volontà espressa dai concorrenti nel
redigere l’offerta (Cons. Stato, IV Sez.,
29.01.2008 n. 263) e ciò non solo
perché, diversamente opinando, si violerebbe
il principio della par condicio dei
concorrenti , ma soprattutto perché il
concorrente che risulti poi aggiudicatario
sarà tenuto al rispetto della sola offerta
che ha sottoscritto e non di quella,
diversa, risultante dalla modifica operata
dalla commissione.
Si tratta di un principio fondamentale,
ripetesi improntato a salvaguardare la
trasparenza dell’azione amministrativa e la
parità di trattamento tra i concorrenti, che
costituisce espressione del più generale
principio di imparzialità codificato
dall’art. 97 della Costituzione e, come
tale, intangibile
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 26.06.2012 n. 3752 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI:
Il terzo ha titolo ad adire il
Giudice amministrativo quando esista una
situazione soggettiva ed oggettiva di
stabile collegamento con la zona coinvolta
da un intervento che, se illegittimamente
assentito, sia idoneo ad arrecare
pregiudizio ai valori urbanistici della zona
medesima, onde la qualifica giuridica di
proprietario di un bene immobile confinante
deve di per sé ritenersi idonea a radicare
la legittimazione e l'interesse al ricorso,
non occorrendo altresì la verifica della
concreta lesione di un qualsiasi altro
interesse giuridicamente rilevante.
L'art. 31, comma 9, della l. 17.08.1942, n.
1150 (come modificato dall'art. 10 l.
06.08.1967 n. 765), nel legittimare chiunque
a ricorrere contro le concessioni edilizie,
pur non avendo introdotto un'azione
popolare, va comunque correttamente inteso
nel senso che deve riconoscersi una
posizione qualificata e differenziata ai
singoli proprietari siti nella zona in cui
la costruzione è assentita e a tutti coloro
che si trovino in una situazione di stabile
collegamento con la zona stessa, ove gli
stessi ritengano che per effetto della nuova
costruzione, in contrasto con le
prescrizioni urbanistiche, si determini una
rilevante e pregiudizievole alterazione del
preesistente assetto urbanistico ed
edilizio, che i ricorrenti intenderebbero,
invece, conservare.
Il principio di diritto testé richiamato,
pur essendo stato affermato in relazione
all’impugnativa di concessioni edilizie, può
agevolmente essere esteso –per intuibili
ragioni sistematiche– alla materia che qui
rileva dell’impugnativa di delibere comunali
di approvazione di progetti comunque
incidenti sui valori urbanistici della zona.
Si osserva al riguardo che, anche ad annettere rilevanza ai fini del
decidere al fatto che, nelle more del
giudizio, sia venuta a scadenza la
concessione demaniale a suo tempo rilasciata
in favore della signora Giacosa per il
mantenimento di una boa sulla medesima area
interessata dal progetto comunale, nondimeno
la stessa vanterebbe un’autonoma
legittimazione ed interesse alla
coltivazione del ricorso nella sua
indiscussa qualità di proprietario di un
immobile antistante l’area interessata dal
progetto per cui è causa.
Al riguardo il Collegio ritiene di prestare
adesione al condiviso orientamento secondo
cui il terzo ha titolo ad adire il Giudice
amministrativo quando esista una situazione
soggettiva ed oggettiva di stabile
collegamento con la zona coinvolta da un
intervento che, se illegittimamente
assentito, sia idoneo ad arrecare
pregiudizio ai valori urbanistici della zona
medesima, onde la qualifica giuridica di
proprietario di un bene immobile confinante
deve di per sé ritenersi idonea a radicare
la legittimazione e l'interesse al ricorso,
non occorrendo altresì la verifica della
concreta lesione di un qualsiasi altro
interesse giuridicamente rilevante (Cons.
Stato, IV, 29.07.2009, n. 4756).
La giurisprudenza di questo Consiglio ha
altresì stabilito che l'art. 31, comma 9,
della l. 17.08.1942, n. 1150 (come
modificato dall'art. 10 l. 06.08.1967 n.
765), nel legittimare chiunque a ricorrere
contro le concessioni edilizie, pur non
avendo introdotto un'azione popolare, va
comunque correttamente inteso nel senso che
deve riconoscersi una posizione qualificata
e differenziata ai singoli proprietari siti
nella zona in cui la costruzione è assentita
e a tutti coloro che si trovino in una
situazione di stabile collegamento con la
zona stessa, ove gli stessi ritengano che
per effetto della nuova costruzione, in
contrasto con le prescrizioni urbanistiche,
si determini una rilevante e pregiudizievole
alterazione del preesistente assetto
urbanistico ed edilizio, che i ricorrenti
intenderebbero, invece, conservare (Cons.
Stato, IV, 11.04.2007, n. 1672).
Ad avviso del Collegio il principio di
diritto testé richiamato, pur essendo stato
affermato in relazione all’impugnativa di
concessioni edilizie, può agevolmente essere
esteso –per intuibili ragioni sistematiche–
alla materia che qui rileva dell’impugnativa
di delibere comunali di approvazione di
progetti comunque incidenti sui valori
urbanistici della zona (Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 26.06.2012, n. 3750 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
LAVORI PUBBLICI:
Le imprese partecipanti ad un
costituendo raggruppamento devono indicare
le quote di lavori che ciascuna eseguirà in
modo da permettere subito la verifica dei
requisiti, atteso che la normativa vigente
si impernia su un principio di
corrispondenza sostanziale tra quote di
qualificazione e quote di partecipazione e
tra queste e le quote di esecuzione con la
conseguenza che tali informazioni non
possono essere evidenziate ex post, in sede
di esecuzione del contratto, costituendo
requisiti di ammissione la cui inosservanza
determina la esclusione dalla gara.
La giurisprudenza ha messo in luce che il principio di buon
andamento e di trasparenza impone che le
imprese partecipanti ad un costituendo
raggruppamento indichino le quote di lavori
che ciascuna eseguirà in modo da permettere
subito la verifica dei requisiti, atteso che
la normativa vigente si impernia su un
principio di corrispondenza sostanziale tra
quote di qualificazione e quote di
partecipazione e tra queste e le quote di
esecuzione con la conseguenza che tali
informazioni non possono essere evidenziate
ex post, in sede di esecuzione del
contratto, costituendo requisiti di
ammissione la cui inosservanza determina la
esclusione dalla gara (Cons. Giust. Amm.
Sicilia, 31.03.2006 n. 116; Cons. Stato, VI,
08.02.2008 n. 416)
(Consiglio di Stato, Sez. III,
sentenza 26.06.2012 n. 3741 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
La presenza di un d.u.r.c. negativo alla data di presentazione
della domanda di partecipazione alla gara,
obbliga la stazione appaltante ad escludere
dalla procedura l'impresa interessata, senza
che si possano effettuare apprezzamenti in
ordine alla gravità degli adempimenti ed
alla definitività dell'accertamento
previdenziale.
La regolarità contributiva deve essere
conservata nel corso di tutto l’arco
temporale impegnato dallo svolgimento della
procedura mentre non assume rilievo
l’intervento di un adempimento tardivo da
parte dell’impresa.
Ritenuto che l’appello proposto dalla Voto
Group s.r.l. merita accoglimento alla
stregua delle seguenti considerazioni:
a) secondo un condivisibile indirizzo
interpretativo, alla luce della disciplina
introdotta dal d.m. del Ministero del
lavoro 24.10.2007 e dalla successiva
circolare applicativa n. 5 del 2008, e in
omaggio ad un coerente indirizzo
giurisprudenziale, la presenza di un d.u.r.c. negativo alla data di presentazione
della domanda di partecipazione alla gara,
obbliga la stazione appaltante ad escludere
dalla procedura l'impresa interessata, senza
che si possano effettuare apprezzamenti in
ordine alla gravità degli adempimenti ed
alla definitività dell'accertamento
previdenziale (cfr., ex plurimis, Consiglio
Stato, sez. V, 12.10.2011 n. 5531;
id., 30.06.2011, n. 3912);
b) merita adesione, altresì, l’indirizzo
ermeneutico secondo cui la regolarità
contributiva deve essere conservata nel
corso di tutto l’arco temporale impegnato
dallo svolgimento della procedura mentre non
assume rilievo l’intervento di un
adempimento tardivo da parte dell’impresa
(cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. IV,
decisione 12.03.2009, n. 1458; id. 15.09.2010, n. 6907);
c) alla stregua di detti principi, deve
ritenersi legittima nella specie la
decisione con la quale la stazione
appaltante ha deciso di revocare
l’aggiudicazione in favore della ricorrente
originaria con riguardo alla quale era stata
accertata, durante la gara, una situazione
di irregolarità mediante d.u.r.c. negativo
del 13.12.2010 con riguardo ad un
importo di €. 1076,00, che eccede la soglia
stabilita dall’art. 8 del citato d.m.
24.10.2007 (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 26.06.2012 n. 3738 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Sono sindacabili le valutazioni
tecnico-discrezionali della commissione di
gara in sede di verifica dell’anomalia
unicamente in caso di evidente sviamento,
travisamento dei fatti ed arbitrarietà, le
quali rendano palese l’inattendibilità
complessiva dell’offerta invece reputata
congrua.
Il motivo è invece infondato per il resto e cioè nella parte in cui
si indirizza avverso il giudizio di
congruità formulato dalla stazione
appaltante nei confronti dell’offerta della controinteressata.
Il TAR ha infatti fatto corretta
applicazione del consolidato orientamento
della giurisprudenza amministrativa che
reputa sindacabili le valutazioni
tecnico-discrezionali della commissione di
gara in sede di verifica dell’anomalia
unicamente in caso di evidente sviamento,
travisamento dei fatti ed arbitrarietà, le
quali rendano palese l’inattendibilità
complessiva dell’offerta invece reputata
congrua (ancora di recente: C.d.S., Sez. III,
14/02/2012, n. 210; Sez. V, 08/09/2010, n. 6495;
18/03/2010, n. 1589; sez. VI, 21/05/2009, n.
3146).
Giova allora sottolineare sul punto che in
ragione di un simile atteggiarsi della sfera
di apprezzamento dei fatti riservata
all’amministrazione da un lato e del potere
del giudice di ripercorrere l’iter
decisionale di questa, necessariamente ab
extrinseco, l’onere di allegazione e prova a
carico di colui che deduce i suddetti
profili di illegittimità non può ritenersi
assolto attraverso una versione alternativa
di parte, occorrendo invece enucleare
specifici punti in cui il positivo riscontro
sull’attendibilità dell’offerta si riveli,
nel suo complesso, logicamente deficitario
ed incongruamente motivato (in termini: sez.
V, 12/03/2012, n. 1369).
Ciò non pare ricorrere nel caso di specie,
visto che l’appellante si limita a
prospettare la non congruità dei preventivi
esposti nelle giustificazioni offerte dalla
Tredil senza che tale deduzione sia
corroborata da prove puntuali circa
l’inattendibilità dell’offerta avversaria
nel suo complesso e dunque senza che essa,
fuoriuscendo dai margini di opinabilità
entro i quali non è consentito sindacare
l’operato dell’amministrazione
nell’esercizio della sua discrezionalità,
riesca ad enucleare specifici profili di
illogicità ed arbitrarietà del procedimento
di verifica concretamente esperito dalla
stazione appaltante (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 26.06.2012 n. 3737 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
fattispecie di esonero dal contributo di
costruzione contemplata dall’art. 17, terzo
comma, lett. b), del d.P.R. n. 380/2001, già
art. 9 della l. 28.01.1977, n. 10, trova
applicazione per gli interventi di
ristrutturazione e di ampliamento, in misura
non superiore al 20 per cento, di edifici
unifamiliari, anche ove ricadenti in zona
agricola.
Il ricorso è fondato.
Il Collegio non ravvisa ragioni per
discostarsi dall’orientamento
giurisprudenziale di questo Tribunale
Amministrativo, di cui alla sentenza,
richiamata anche in sede cautelare, n. 854
del 05.08.2009.
Merita condivisione, in particolare, il
profilo, sollevato anche con l’odierna
impugnativa, della disparità di trattamento
che verrebbe a determinarsi tra proprietari
di edifici unifamiliari nelle zone urbane,
esonerati dal pagamento degli oneri
concessori, e proprietari di edifici
unifamiliari in zone agricole, che, in
mancanza della qualifica di imprenditore
agricolo a titolo principale, sarebbero
tenuti al pagamento degli oneri concessori,
pur a fronte di un intervento edilizio con
le medesime caratteristiche.
Deve ritenersi, pertanto, che la fattispecie
di esonero dal contributo di costruzione
contemplata dall’art. 17, terzo comma, lett.
b), del d.P.R. n. 380/2001, già art. 9 della
l. 28.01.1977, n. 10, trovi applicazione per
gli interventi di ristrutturazione e di
ampliamento, in misura non superiore al 20
per cento, di edifici unifamiliari, anche
ove ricadenti in zona agricola
(TAR Marche,
sentenza 22.06.2012 n. 449 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Mancata sottoscrizione
dell'offerta tecnica.
Il principio di tassatività delle cause di
esclusione introdotto dall’articolo 46,
comma 1-bis, del d.lgs. 163/2006, è stato
oggetto di numerose pronunce
giurisprudenziali che hanno contribuito a
chiarire l’esatta portata di questa
disposizione che sin dall’inizio aveva
destato alcune perplessità in ordine alla
sua concreta applicazione.
Come noto, l’articolo in oggetto prevede che
“La stazione appaltante esclude i
candidati o i concorrenti in caso di mancato
adempimento alle prescrizioni previste dal
presente codice e dal regolamento e da altre
disposizioni di legge vigenti, nonché nei
casi di incertezza assoluta sul contenuto o
sulla provenienza dell’offerta, per difetto
di sottoscrizione o di altri elementi
essenziali ovvero in caso di non integrità
del plico contenente l'offerta o la domanda
di partecipazione o altre irregolarità
relative alla chiusura dei plichi, tali da
far ritenere, secondo le circostanze
concrete, che sia stato violato il principio
di segretezza delle offerte; i bandi e le
lettere di invito non possono contenere
ulteriori prescrizioni a pena di esclusione.
Dette prescrizioni sono comunque nulle.”.
La nuova normativa ha fatto sorgere alcuni
dubbi in merito alla legittimità del
provvedimento di esclusione in caso di
alcune carenze formali come l’assenza di
sottoscrizione dell’ offerta tecnica ed
economica.
Con la
sentenza
21.06.2012 n. 3669 il Consiglio di
Stato, Sez. V, ha chiarito che la
mancata sottoscrizione dell’offerta tecnica
rappresenta una legittima causa di
esclusione anche ai sensi dell’articolo 46,
comma 1-bis.
Nell’appalto in oggetto di gara aveva
escluso la concorrente in quanto l’offerta
tecnica risultava priva della firma del
rappresentante legale della società
capogruppo di un’A.T.I. e di conseguenza non
aveva esaminato l’offerta in quanto ritenuta
non validamente presentata.
Il Consiglio di Stato adito ha confermato la
legittimità della decisione della
commissione di gara, ritenendo come la
mancata sottoscrizione dell’offerta tecnica
non possa essere negozialmente imputabile ad
alcuno.
In particolare i giudici della V sezione
hanno precisato come “La circostanza
secondo cui il punto 5 del disciplinare di
gara che, nell’elencare le “cause di
esclusione”, sancisce che fra tali cause
rientra l’ipotesi della mancata
sottoscrizione dell’offerta economica, non
incide affatto sulla sussistenza di tale
causa di esclusione, trattandosi di mancanza
di un elemento essenziale dell’offerta che
anche nell’attuale assetto normativo
disegnato dall’attuale art. 46, comma 1-bis,
del Codice appalti, in cui è stato
codificato il principio di tassatività delle
cause di esclusione, rileva quale causa di
estromissione del concorrente dalla gara
d’appalto”.
In conclusione, la mancata sottoscrizione
dell’offerta tecnica rende legittima
l’esclusione della concorrente poiché
rappresenta un’ipotesi di mancanza di un
elemento essenziale dell’offerta così come
richiesto dall’articolo 46, comma 1-bis, del
d.lgs. 163/2006 (commento tratto da
www.professioni-imprese24.ilsole24ore.com -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Distanze tra
edifici - Concessione per nuove costruzioni.
La scala, anche se priva
di copertura, costituisce corpo aggettante
rilevante ai fini della disciplina delle
distanza, essendo idoneo a ridurre le
intercapedini tra un edificio e l’altro e
quindi a pregiudicare l’esigenza di
salubrità che costituisce finalità
essenziale della previsione di distanze
minime.
Nel
calcolo della distanza minima fra
costruzioni, posta dall'art. 873 c.c. o da
norme regolamentari integrative, deve
tenersi conto anche delle strutture
accessorie di un fabbricato (nella specie,
scala esterna in muratura), qualora queste,
presentando connotati di consistenza e
stabilità, abbiano natura di opera edilizia.
---------------
Mentre rientrano nella categoria degli
sporti, non computabili ai fini delle
distanze, soltanto quegli elementi con
funzione meramente ornamentale, di
rifinitura od accessoria, come le mensole,
le lesene, i cornicioni, le canalizzazioni
di gronda e simili, costituiscono invece
corpi di fabbrica, computabili nelle
distanze fra costruzioni, le sporgenze di
particolari proporzioni, come i balconi,
costituite da solette aggettanti anche se
scoperte, di apprezzabile profondità ed
ampiezza.
Il balcone aggettante può essere ricompreso
nel computo della distanza ai sensi della
norma in questione solo nel caso in cui una
norma di piano preveda ciò, mentre nel caso
di specie il regolamento prevede norma
contraria.
Infine, con
riferimento alla lamentata violazione della
distanza dal confine prevista dall’art. 10
N.T.A. (m. 5), essendo prevista una rampa di
scale a distanza inferiore, osserva il
Collegio che la scala, anche se priva di
copertura, costituisce corpo aggettante
rilevante ai fini della disciplina delle
distanza, essendo idoneo a ridurre le
intercapedini tra un edificio e l’altro e
quindi a pregiudicare l’esigenza di
salubrità che costituisce finalità
essenziale della previsione di distanze
minime.
In tal senso si è espressa con orientamento
costante la giurisprudenza della Cassazione
in materia di distanze, evidenziando che “Nel
calcolo della distanza minima fra
costruzioni, posta dall'art. 873 c.c. o da
norme regolamentari integrative, deve
tenersi conto anche delle strutture
accessorie di un fabbricato (nella specie,
scala esterna in muratura), qualora queste,
presentando connotati di consistenza e
stabilità, abbiano natura di opera edilizia”
(Cass. 1966/2007, 17390/2004, 4372/2002,
tutte con riferimento a scale esterne).
---------------
Va quindi
esaminata la violazione dell’art. 26-bis del
Regolamento Edilizio Comunale, dedotta come
secondo motivo di ricorso.
La norma citata prevede infatti la distanza
minima di m. 8 dalle finestre nei cortili
interni, senza contare gli aggetti e i
balconi se di profondità inferiore a cm 80,
mentre nel caso di specie essendo i balconi
di profondità di m. 1,20 la distanza non
sarebbe rispettata.
Sul punto risulta pacifico che il balcone ha
un aggetto superiore al limite di 80 cm,
avendo anche il Comune confermato tale
circostanza, deducendo che è prassi
dell’ente autorizzare balconi di maggiore
aggetto senza computarli ai fini del
rispetto delle distanze.
Tale assunto, tuttavia, non è idoneo a
fondare la legittimità del titolo edilizio,
a fronte della perdurante vigenza della
regola di cui al regolamento edilizio
secondo la quale non vengono computati ai
fini del rispetto delle distanza solo i
balconi di sporgenza inferiore a cm. 80; il
balcone in questione, profondo m. 1,20, va
quindi computato ai fini della
determinazione della distanza minima e deve,
pertanto, costituire il limite esterno a
partire dal quale va misurata la distanza di
m. 8, con conseguente illegittimità della
sua edificazione a distanza inferiore di m.
8 dalla parete dell’edificio dei ricorrenti.
La norma del regolamento è coerente con la
giurisprudenza in materia di distanze fra
edifici, secondo la quale, mentre rientrano
nella categoria degli sporti, non
computabili ai fini delle distanze, soltanto
quegli elementi con funzione meramente
ornamentale, di rifinitura od accessoria,
come le mensole, le lesene, i cornicioni, le
canalizzazioni di gronda e simili,
costituiscono invece corpi di fabbrica,
computabili nelle distanze fra costruzioni,
le sporgenze di particolari proporzioni,
come i balconi, costituite da solette
aggettanti anche se scoperte, di
apprezzabile profondità ed ampiezza (TAR
Lombardia, Milano, 04.05.2011, n. 1174,
Cass. 17242/2010, TAR Sardegna sez. II, 06.04.2009, n. 432).
Il balcone aggettante
può essere ricompreso nel computo della
distanza ai sensi della norma in questione
solo nel caso in cui una norma di piano
preveda ciò (TAR Liguria, sez. I, 10.07.2009 n. 1736, TAR Toscana sez. III,
09.06.2011 n. 993), mentre nel caso di
specie il regolamento prevede norma
contraria.
Si consideri, altresì, che la realizzazione
di cortili secondari e chiostrine a cavallo
sul confine tra due proprietà é possibile
secondo la disciplina edilizia applicabile
nel Comune di Cellamare ove sia stipulata, a
tale scopo, una apposita convenzione, la
quale non deve pregiudicare in alcun modo le
possibilità costruttive sui fondi, mentre in
tal caso nessuna convenzione è stata
stipulata tra le parti
(TAR Puglia-Bari, Sez. III,
sentenza 21.06.2012 n. 1219 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Per
usufruire delle deroghe previste dalla
disciplina in materia di risparmio
energetico (art. 11 d.lgs. 115/2008) occorre
farvi riferimento nel progetto sottoposto ad
autorizzazione affinché l’amministrazione
possa verificarne i presupposti e
riconoscere la possibilità di deroga
rispetto ai limiti di edificabilità
nell’autorizzare la costruzione, non potendo
invece i richiedenti usufruirne
autonomamente senza la relativa
autorizzazione.
Di conseguenza la maggiore altezza
dell’edificio, se non correttamente inserita
e giustificata all’interno della richiesta
di permesso di costruire, risulta priva di
titolo, con conseguente illegittimità anche
in parte qua del permesso di costruire.
Come affermato
dalla giurisprudenza penale citata dai
ricorrenti, per usufruire delle deroghe
previste dalla disciplina in materia di
risparmio energetico (art. 11 d.lgs.
115/2008) occorre farvi riferimento nel
progetto sottoposto ad autorizzazione
affinché l’amministrazione possa verificarne
i presupposti e riconoscere la possibilità
di deroga rispetto ai limiti di
edificabilità nell’autorizzare la
costruzione, non potendo invece i
richiedenti usufruirne autonomamente senza
la relativa autorizzazione (Cass. Pen.
28048/2011).
Di conseguenza la maggiore altezza
dell’edificio, se non correttamente inserita
e giustificata all’interno della richiesta
di permesso di costruire, risulta priva di
titolo, con conseguente illegittimità anche
in parte qua del permesso di
costruire
(TAR Puglia-Bari, Sez. III,
sentenza 21.06.2012 n. 1219 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Sulla nullità delle clausole del
bando di gara che prevedono cause di
esclusione dalla gara di concorrenti che non
trovano specifico riscontro in prescrizioni
dettate dalla normativa di rango primario.
Sulla funzione della verifica della
integrità dei plichi.
L'art. 46, c. 1-bis, del d.lgs. n. 163 del
2006, come modificato dalla l. n. 106 del
2011, prevede la nullità delle clausole di
bando comportanti cause di esclusione dalla
gara di concorrenti che non trovano
specifico riscontro in prescrizioni dettate
dalla normativa di rango primario.
E' quindi da escludere l'applicabilità delle
disposizioni del bando che impongono la
esclusione nel caso di mancata produzione di
un documento, laddove se necessario la
stazione appaltante, in base all'art. 46, c.
1, del d.lgs. n. 163 del 2006, deve
piuttosto invitare i concorrenti, come ha
fatto nel caso di specie, a completare o a
fornire chiarimenti in ordine al contenuto
della documentazione presentata per la
partecipazione alla gara, nei limiti
previsti dagli artt. da 38 a 45 del medesimo
codice dei contratti pubblici.
Pertanto va applicata l'esclusione nel caso
di carenza di un determinato requisito e non
per il mero difetto della relativa
documentazione.
---------------
La verifica della integrità dei plichi non
esaurisce la sua funzione nella
constatazione che gli stessi non hanno
subito manomissioni o alterazioni, ma è
destinata a garantire che il materiale
documentario trovi correttamente ingresso
nella procedura di gara.
In tale prospettiva la pubblicità delle
sedute destinate a tale operazione risponde
all'esigenza di tutela non solo della parità
di trattamento dei concorrenti, ai quali
deve essere permesso di effettuare gli
opportuni riscontri sulla regolarità formale
degli atti prodotti e di avere così la
garanzia che non siano successivamente
intervenute indebite alterazioni, ma anche
dell'interesse pubblico alla trasparenza ed
all'imparzialità dell'azione amministrativa,
le cui conseguenze negative sono
difficilmente apprezzabili ex post,
una volta rotti i sigilli ed aperti i
plichi, in mancanza di un riscontro
immediato.
Ne consegue che, anche per l'offerta
tecnica, così come per la documentazione
amministrativa e per l'offerta economica,
l'apertura della busta costituisce un
passaggio essenziale e determinante
dell'esito della procedura concorsuale, e
quindi richiede di essere presidiata dalle
medesime cautele, a tutela degli interessi
privati e pubblici coinvolti dal
procedimento, in modo che sia ufficializzata
l'acquisizione dei documenti che la
compongono.
La garanzia di trasparenza richiesta in
questa fase si considera assicurata quando
la commissione, aperta la busta del singolo
concorrente, abbia proceduto ad un esame
della documentazione, leggendo il solo
titolo degli atti rinvenuti e dandone atto
nel verbale della seduta (TAR Campania,
Napoli, Sez. I,
sentenza 12.06.2012 n. 2751 - link a
www.dirittodeiservizipubblici.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA -
EDILIZIA PRIVATA:
Riutilizzo delle terre e rocce da
scavo.
La Corte Suprema di Cassazione si pronuncia
in merito alla disciplina dell'utilizzo come
sottoprodotto delle terre e rocce da scavo.
Con la
sentenza 23.05.2012 n. 19439 la
Corte Suprema di Cassazione, Sez. III
penale, interviene in
materia di terre e rocce da scavo, in
particolare sulla possibilità di esclusione
dalla disciplina dei rifiuti ed il
conseguente impiego come sottoprodotto.
In merito la Corte chiarisce che non si
rinviene una normativa più favorevole nel D.
Leg.vo 03/12/2010, n. 205, in seguito al
quale viene definito sottoprodotto
«qualsiasi sostanza od oggetto che soddisfa
le condizioni di cui all'art. 184-bis, comma
1, o che rispetta i criteri stabiliti in
base all'art. 184-bis, comma 2» e ciò per la
mancanza della certezza dell'utilizzo e per
la mancata ottemperanza alle prescrizioni
poste dai commi 3 e 4 del modificato art.
186 del D. Leg.vo 152/2006 (Codice
Ambiente).
Di tale articolo, infatti, il D. Leg.vo 205/2010 ha soltanto previsto la
futura abrogazione ad opera di un decreto
ministeriale (non ancora emanato) che dovrà
definire i criteri qualitativi e
quantitativi dei sottoprodotti e, una volta
adottato tale decreto, troverà applicazione
solo l'art. 184-bis dello stesso D. Leg.vo.
152/2006 disciplinante i sottoprodotti in
generale (commento tratto tratto da
www.legislazionetecnica.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Abusi edilizi. Obbligo della
Pubblica amministrazione di provvedere nel
caso di richiesta di adozione di
provvedimenti repressivi.
Nel caso in cui la P.A. abbia ricevuto
segnalazioni sottoscritte, circostanziate e
documentate, relative alla realizzazione di
un abuso edilizio, la stessa ha comunque
l’obbligo di attivare un procedimento di
controllo e verifica dell’abuso stesso,
della cui conclusione deve restare traccia,
sia essa nel senso dell’esercizio dei poteri
sanzionatori, che in quella della motivata
archiviazione; e ciò in forza dei principi
di cui all’art. 2 della legge n. 241 del
1990 e s.m.i., sul procedimento
amministrativo, dovendosi in particolare
escludere che la mancanza dei presupposti
per l’esercizio dei poteri sanzionatori
-ritenuta sussistente in ragione del
lunghissimo lasso di tempo decorso dalla
realizzazione dell’abuso (nella specie, si
trattava di quaranta anni)- possa
giustificare un comportamento meramente
silente (1).
---------------
(1) V. in termini diversi, sia pure in
tema di esercizio del potere di autotutela a
distanza di tempo, Cons. Stato, Sez. V,
sentenza 03.05.2012 n. 2549.
Ha osservato la sentenza in rassegna che il
principio della tutela dell’affidamento
ingeneratosi in capo al privato circa la
legittimità dell’azione amministrativa della
quale egli è destinatario non può applicarsi
nel campo degli abusi edilizi, atteso che in
tal caso si è in presenza di un soggetto che
pone in essere un comportamento contrastante
con le prescrizioni dell’ordinamento, che
confida nell’omissione dei controlli o
comunque nella persistente inerzia
dell’amministrazione nell’esercizio del
potere di vigilanza. Il fattore tempo,
quindi, nel caso di abusi edilizi, non
agisce in sinergia con l’apparente
legittimità dell’azione amministrativa
favorevole, a tutela di un’aspettativa
conforme alle statuizioni amministrative
pregresse, ma opera in antagonismo con
l’azione amministrativa sanzionatoria,
secondo una logica che al passare del tempo
riduce o limita, sino ad annullare, il
potere dell’amministrazione di reagire
all’illecito, molto simile a quella che
presidia i meccanismi decadenziali o quelli
prescrizionali nel diritto penale.
Una logica siffatta non può trovare
fondamento nei principi generali
dell’affidamento né in quelli di efficacia e
buon andamento dell’amministrazione,
necessitando invece di un’apposita
previsione normativa che, agendo sulla
patologia dell’inerzia, la sanzioni con
l’estinzione o con il mutamento del potere
amministrativo esercitabile. In assenza,
vale il principio dell’inesauribilità del
potere amministrativo di vigilanza e
controllo e della sanzionabilità del
comportamento illecito dei privati,
qualunque sia l’entità dell’infrazione e il
lasso temporale trascorso, salve le ipotesi
di dolosa preordinazione o di abuso.
E’ quanto costantemente affermato dalla
giurisprudenza del Consiglio di Stato che ha
sempre posto l’accento sulla non
configurabilità di un affidamento alla
conservazione di una situazione di fatto
abusiva, in forza di una legittimazione
fondata sul tempo (Cfr. da ultimo, Consiglio
Stato, sez. IV, 31.08.2010, n. 3955; sez. V,
27.04.2011, n. 2497; sez. VI, 11.05.2011, n.
2781; sez. I, 30.06.2011, n. 4160)
(massima tratta da www.regione.piemonte.it - Consiglio
di Stato, Sez. IV,
sentenza 04.05.2012 n. 2592 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Natura dei pareri espressi in
sede di conferenza di servizi.
Il Consiglio di Stato ribadisce che i pareri
espressi in sede di conferenza di servizi
hanno natura provvedimentale, e pertanto un
eventuale ricorso avverso la determinazione
finale va notificato a tutte le
amministrazioni che, nell’ambito della
conferenza medesima, hanno espresso pareri o
determinazioni ritenute lesive.
Il Consiglio di Stato, Sez. V, con la
sentenza
02.05.2012 n. 2488, confermando la precedente
pronuncia del TAR, ribadisce che l’utilizzo
del modulo procedimentale della conferenza
di servizi - che come tale non configura un
ufficio speciale della p.a., autonomo
rispetto ai soggetti che vi partecipano -
non altera le regole che presiedono, in via
ordinaria e generale, all’individuazione
delle autorità emananti, con la conseguenza
che un ricorso avverso la determinazione
finale assunta in conferenza di servizi va
notificato a tutte le amministrazioni che,
nell’ambito della conferenza medesima, hanno
espresso pareri o determinazioni che la
parte ricorrente avrebbe avuto l’onere di
impugnare autonomamente, se fossero stati
emanati al di fuori del peculiare modulo
procedimentale in esame.
Nella specie, la determinazione negativa
della Regione in sede di conferenza di
servizi, adottata nell’ambito del
procedimento autorizzatorio riferito alle
esigenze di difesa idraulica (di cui agli
artt. 132 e 136 R.D. 368/1904) come atto
conclusivo, aveva natura provvedimentale e
doveva essere impugnata congiuntamente alla
determinazione conclusiva della conferenza
di servizi prodotta dal Comune quale
amministrazione procedente (commento tratto tratto da
www.legislazionetecnica.it - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Denuncia delle opere in cemento
armato.
La Corte di Cassazione ricorda che la legge
pone l’obbligo della denuncia delle opere in
cemento armato in esclusiva in capo al
costruttore.
La Corte di Cassazione, Sez. III penale, con la
sentenza
19.04.2012 n.
15184, ricorda che, in tema di adempimenti
in materia di opere in cemento armato (artt.
65 e 72, D.P.R. 380/2001 TU edilizia),
l’omessa denuncia costituisce un reato
omissivo proprio configurabile in capo al
costruttore, a carico del quale la legge
pone in via esclusiva l'obbligo di denuncia;
sicché, non essendo destinatario del
suddetto obbligo, nessun altro soggetto è
tenuto a rispondere del reato de quo.
In particolare, il reato omissivo non si
estende né al direttore dei lavori, in capo
al quale non sussiste l'obbligo di impedire
l'omissione della denuncia in questione, né
ad altri soggetti. Il committente o il
direttore dei lavori potranno rispondere del
reato in esame soltanto qualora abbiano in
concreto compiuto atti tali da configurare
un concorso materiale o morale con il
costruttore (come, ad esempio, quando la
denuncia sia stata omessa proprio su
istigazione di chi ha ordinato i lavori) (commento tratto tratto da
www.legislazionetecnica.it). |
CONDOMINIO -
EDILIZIA PRIVATA: Fabbricati
di nuova costruzione - Locale per stoccaggio
dei rifiuti nei condomini.
Per i fabbricati di nuova costruzione
l'applicazione delle nuove regole è comunque
necessaria; questi quindi, dovranno
tassativamente dotarsi, in applicazione
dell'art. 59 del regolamento edilizio, di un
locale per lo stoccaggio dei rifiuti. Per i
fabbricati vetusti invece l'applicazione
delle nuove regole (e quindi l'adeguamento
del fabbricato al regolamento edilizio
sopravvenuto), pur non essendo sempre
dovuta, può essere imposta dall'Autorità
amministrativa qualora ricorrano superiori
esigenze di interesse pubblico, con il
limite oggettivo degli interventi
tecnicamente realizzabili.
Tipico esempio di superiori ragioni di
interesse pubblico sono quelle connesse alle
esigenze di tutela della salute e
dell'igiene ed in particolare al corretto
svolgimento delle operazioni di raccolta e
stoccaggio dei rifiuti, prodotti dalle unità
abitative, all'interno di spazi ed aree
condominiali, in attesa del loro
conferimento al servizio pubblico di
raccolta.
E' invero intollerabile, per ovvie ragioni
di igiene e per inderogabili esigenze di
prevenzione della salute, che i rifiuti
vengano ammassati (pur se allocati in
appositi cassonetti) per stazionare, in
attesa del conferimento, in aree
condominiali non adatte allo scopo poste in
immediata vicinanza alle finestre delle
abitazioni. Necessario risulta l'adeguamento
dei fabbricati al vigente regolamento
edilizio, attraverso la realizzazione di un
apposito locale di raccolta.
In ogni caso si può considerare che per i
condomini realizzati prima dell'entrata in
vigore del nuovo regolamento edilizio, non
debbono trovare sempre applicazione le norme
in quest'ultimo contenute (in particolare,
come detto, quando vi siano oggettive
ragioni tecniche contrarie), qualora si
accerti l'assoluta impossibilità tecnica di
un integrale adeguamento delle strutture al
regolamento, potranno essere individuate
soluzioni intermedie che, pur non
strettamente aderenti al dettato
regolamentare, siano comunque idonee a
salvaguardare le imprescindibili esigenze di
tutela della salute e dell'igiene pubblica
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. III,
sentenza 27.02.2012 n.
627 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: 1. Avvio della
procedura di S.U.A.P. - Legittimità
dell'attività - Costituisce presupposto -
Utilizzabilità della procedura di S.U.A.P.
per la sanatoria di abusi edilizi - Non
sussiste.
2. Attivazione
della procedura S.U.A.P. - Obbligatorietà -
Non sussiste.
1. La valutazione di accessibilità al
procedimento ex art. 5, D.P.R. n. 447 del
1998 deve muovere da presupposti di piena
legittimità dell'attività e non può, invece,
essere considerata come un procedimento di
sanatoria degli abusi edilizi. La disciplina
dettata dal D.P.R. n. 447 del 1998 è infatti
finalizzata a semplificare i procedimenti di
autorizzazione per la realizzazione,
l'ampliamento, la ristrutturazione e la
riconversione degli impianti produttivi
(cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 14.04.2006, n. 2170).
Tale semplificazione
amministrativa si risolve in un procedimento
che, attraverso la conferenza di servizi
indetta dal responsabile del procedimento,
porta alla formazione di una proposta di
variante sulla quale il Consiglio Comunale
si pronuncia definitivamente.
Detto
strumento ha natura eccezionale: esso non
costituisce un mezzo ordinario volto a
modificare l'assetto urbanistico, né è
attivabile in base alle soggettive
preferenze e convenienze dell'imprenditore
(cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 03.03.2006, n. 1038).
2. Ai sensi dell'art. 5, D.P.R. n. 447 del
1998, l'attivazione del procedimento ivi
disciplinato non consegue obbligatoriamente
ad istanza di parte. La conferenza di
servizi non deve infatti essere sempre e
comunque convocata, qualora il progetto
proposto non contrasti con divieti specifici
ambientali e sanitari, poiché ragionando in
tal modo si giungerebbe a privare il Comune
dei suoi poteri discrezionali di
programmazione e di governo dell'ordinato
sviluppo del territorio.
Deve, pertanto,
escludersi -in via generale- la
configurabilità di un obbligo di attivazione
della procedura S.U.A.P. in capo al
responsabile del procedimento
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 24.02.2012 n.
618 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI: 1. Ricorso giurisdizionale - Rinuncia al
risarcimento in forma specifica - Rinuncia
alla domanda di annullamento - Equivalenza.
2. Servizi pubblici locali - Gara per la
scelta del socio prodromica all'affidamento
del servizio - Pubblicità delle sedute -
Necessità.
3. Criteri di aggiudicazione - Offerta
economicamente più vantaggiosa -
Attribuzione di punteggi in forma numerica -
Indicazione di parametri precisi -
Necessità.
1. La dichiarazione, fatta dal ricorrente,
di non avere più interesse al risarcimento
in forma specifica equivale alla rinuncia
alla domanda di annullamento degli atti
impugnati; ciò in quanto la pronuncia di
risarcimento del danno per equivalente non
presuppone più la previa caducazione dei
provvedimenti lesivi. La rinuncia alla
domanda di reintegrazione in forma specifica
comporta altresì il venir meno
dell'interesse alla pronuncia sul ricorso
incidentale proposto dal controinteressato.
2. Qualora un'operazione di cessione di
quote di una società a capitale
prevalentemente pubblico non si esaurisca in
una mera dismissione di quote societarie, ma
è volta alla costituzione di una partnership
tra gli enti pubblici titolari del servizio
pubblico locale e l'imprenditoria privata il
cui apporto non è limitato al mero acquisto
di quote del capitale sociale, ma è
finalizzato alla gestione del servizio, è
necessario il rispetto del principio di
pubblicità delle sedute di gara.
Alle gare
per la scelta del socio privato si
applicano, infatti, le norme che riguardano
gli appalti di servizi; la cogenza del
principio sussiste anche per gli appalti di
servizi nei settori speciali posto che
l'art. 226 D.Lgs. n. 163/2006 non esclude il
rispetto del principio di pubblicità, atteso
che la ratio ispiratrice della pubblicità
delle sedute di gara è comune in ogni
procedura concorsuale di scelta del
contraente relativa a qualsiasi contratto
pubblico di lavori, servizi e forniture ed è
rivolta a tutelare le esigenze di
trasparenza e imparzialità che devono
guidare l'attività amministrativa e che
caratterizzano tutta la disciplina
dell'evidenza pubblica (Consiglio Stato,
sez. V, 05.10.2011, n. 5454).
In altri
termini, l'esigenza di consentire ai
partecipanti il controllo delle operazioni
di gara nel momento della apertura delle
buste e dell'esame dell'offerta economica
costituisce una regola di base di ogni
procedura ad evidenza pubblica che non può
soffrire eccezioni di sorta.
3. Nella valutazione della componente
tecnica dell'offerta economicamente più
vantaggiosa da parte di una commissione di
gara, l'attribuzione dei punteggi in forma
soltanto numerica è consentita quando il
numero delle sottovoci, con i relativi
punteggi, entro i quali ripartire i
parametri di valutazione di cui alle singole
voci, sia sufficientemente analitico da
delimitare il giudizio della commissione
nell'ambito di un minimo e di un massimo,
rendendo così evidente l'iter logico seguito
nel valutare i singoli progetti sotto il
profilo tecnico, essendo altrimenti
necessaria una puntuale motivazione del
punteggio attribuito (Consiglio Stato, sez. III,
11.03.2011, n. 1583; Consiglio Stato, sez.
V, 03.12.2010, n. 8410)
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 23.02.2012 n.
599 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI: Concessione
Servizi - Termine ricezione offerte - Non
applicabilità.
L'art. 70 del Codice dei Contratti
Pubblici non si applica alle concessioni di
servizi il cui affidamento è soggetto
solamente al rispetto dei principi di
pubblicità, trasparenza, non
discriminazione, proporzionalità e mutuo
riconoscimento, posti dal Trattato ed alle
regole essenziali di procedura previste
dall'art. 30, comma 3, D.Lgs. n. 163/2006
(Consiglio Stato, sez. V, 11.05.2009, n.
2864); pertanto, la stazione appaltante non
è tenuta al rispetto dei termini di cui al
primo dei citati articoli, anche nel caso in
cui il disciplinare di gara richieda la
presentazione di un progetto definitivo
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 23.02.2012 n.
595 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
INCARICHI PROGETTUALI: Progetto
definitivo - Sottoscrizione professionista
abilitato - Necessità.
A mente dell'art. 90 del D.Lgs. n.
163/2006, la progettazione preliminare,
definitiva ed esecutiva dei lavori è
espletata esclusivamente da professionisti
abilitati interni o esterni
all'amministrazione; di conseguenza,
l'affidamento da parte di un ente pubblico
della progettazione di opere ad un
professionista non abilitato deve
considerarsi illegittimo (TAR Calabria
Catanzaro, sez. II, 09.04.2008, n. 354).
Analogamente, qualora la progettazione
definitiva sia demandata ai concorrenti,
essi devono presentare in gara, a
prescindere da prescrizioni del bando in tal
senso, elaborati progettuali sottoscritti da
un professionista abilitato, pena
l'inammissibilità del progetto (Consiglio
Stato, sez. VI, 14.12.1991, n. 1083)
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 23.02.2012 n.
595 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: 1. Verifica di congruità
dell'offerta - Può essere effettuata dal RUP.
2. Giudizio di anomalia - Spese
generali - Non possono risultare di valore
irrisorio.
3. Giudizio di anomalia - Spese
generali - Devono raccordarsi con i bilanci
dell'impresa.
4. Giudizio di anomalia - Costo
del lavoro - Giustificazione minor tasso di
assenteismo per infortuni - In caso di nuove
assunzioni .
5. Giudizio di anomalia - Costo
del lavoro - Coordinatori.
1. La verifica di anomalia può essere
effettuata dal responsabile del procedimento
anziché dalla Commissione nominata per la
valutazione delle offerte, qualora il
responsabile del procedimento sia dotato di
adeguate competenze tecniche (TAR Lombardia,
Brescia, sez. II, 17.05.2011, n. 732;
TAR Lazio, Roma, sez. III, 21.01.2011,
n. 643).
Ciò, anche in considerazione del fatto che,
come avviene nel caso di specie (in cui la
Commissione risulta composta quasi
esclusivamente da personale medico), la
Commissione potrebbe non avere le competenze
tecniche richieste per effettuare le
valutazioni di tipo economico-aziendale
necessarie a stabilire la congruità
dell'offerta.
2. Le spese generali non possono essere pari
a zero o di valore irrisorio, in quanto tale
voce di costo tiene conto degli oneri
generali sostenuti da un'impresa per
l'esecuzione della commessa, i quali, anche
a prescindere dalla prescrizione oggi
contenuta nell'art. 32 del D.P.R. n.
207/2010, devono necessariamente figurare
nel suo conto economico, essendo impensabile
che un operatore economico di un certo
rilievo non debba sostenere costi per
dotarsi di una sede amministrativa, per
l'amministrazione del personale e per ogni
altro onere di carattere generale.
3. Qualora l'Amministrazione, attraverso
l'esame dei bilanci, rilevi l'incompletezza
delle spese generali indicate dall'impresa
in offerta, la concorrente non può limitarsi
ad affermare che le relative voci del conto
economico del suo bilancio si riferirebbero
ad altre commesse, trattandosi di
affermazioni apodittiche e indimostrate.
L'impresa deve invece fornire tutti i
riscontri documentali necessari a far
comprendere come i costi indicati in offerta
possano raccordarsi con le risultanze di
bilancio.
4. Qualora l'impresa indichi -in sede di
giustificazione del costo del lavoro- un
minor tasso di assenteismo per malattie,
infortuni o maternità rispetto a quello
risultante dalle tabelle ministeriali,
l'attendibilità del dato dichiarato non può
essere riscontrata analizzando il registro
infortuni e l'elenco del personale
dipendente prodotto in sede procedimentale,
qualora l'esecuzione della commessa richieda
l'assunzione di un certo numero di nuove
unità (nella specie 40).
In tal caso, infatti, il tasso di
assenteismo, evidentemente, non può emergere
dalle statistiche relative al personale già
in servizio (sul punto Cons. Stato, V, 28.06.2011, n. 3865).
5. Con riguardo ai costi relativi ai
coordinatori dell'appalto, la
giustificazione dell'Impresa secondo cui il
coordinamento del servizio avviene
attraverso personale già assunto, a tal fine
debitamente incentivato, risulta generica.
L'Impresa deve, infatti, dimostrare quale
sia la percentuale di utilizzo della forza
lavorativa dei coordinatori da essa
dipendenti in relazione alla situazione
precedente all'acquisizione della commessa
in oggetto e la conseguente disponibilità
residua per effettuare il coordinamento del
nuovo servizio, in relazione all'aumento del
personale previsto per l'esecuzione
dell'appalto (nel caso di 40 unità). Deve
inoltre dimostrare la sufficienza della
somma indicata a compensare l'impegno dei
coordinatori, per come risultante
dall'offerta
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 23.02.2012 n.
594 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI: 1. Responsabilità della P.A. - Prova del
pregiudizio - Onere del ricorrente - Art.
2729 c.c. - Inapplicabilità del principio
c.d. acquisitivo - Necessità di allegare
elementi precisi di valutazione.
2. Responsabilità della P.A. - Annullamento
di un atto della P.A. - Riesercizio del
potere discrezionale - Risarcimento dei
danni - Danno da ritardo - Ammissibile solo
dopo il riesercizio comportante
riconoscimento del bene della vita.
1. In ogni ipotesi di responsabilità della
P.A. per i danni causati per l'illegittimo o
mancato esercizio dell'attività
amministrativa, secondo orientamento
costante della giurisprudenza
amministrativa, spetta al ricorrente fornire
in modo rigoroso la prova dell'esistenza del
danno, non potendosi invocare il c.d.
principio acquisitivo, perché tale principio
attiene allo svolgimento dell'istruttoria e
non all'allegazione dei fatti; pertanto, se
anche può ammettersi il ricorso alle
presunzioni semplici ex art. 2729 c.c. per
fornire la prova del danno subito e della
sua entità, è comunque ineludibile l'obbligo
di allegare circostanze di fatto precise
(cfr. Consiglio Stato, sez. V, 28.02.2011,
n. 1271; TAR Lombardia Milano, sez. I,
03.03.2010 n. 513).
2. Allorché persistano in capo alla P.A.
spazi di riesercizio del potere
discrezionale, deve essere esclusa ogni
indagine sulla spettanza del "bene della
vita" e resta, conseguentemente, priva di
fondamento la domanda risarcitoria,
potendosi ammettere un risarcimento solo
dopo e a condizione che, una volta
riesercitato il proprio potere come le
compete, la P.A. abbia riconosciuto al
richiedente il bene della vita, nel qual
caso il danno ristorabile non potrà che
ridursi al pregiudizio derivante dal ritardo
(cfr. Consiglio Stato, sez. VI, 24.01.2011, n. 462; TAR Lombardia Milano, sez. II,
10.01.2011, n. 18)
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 23.02.2012 n.
592 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: 1. Permesso di
costruire - Efficacia temporale e decadenza
- Istanza di proroga - Nozione di fatti
sopravvenuti - Crisi economica nel settore
edile - Inidoneità.
2. Permesso di
costruire - Efficacia temporale e decadenza
- Istanza di proroga - Nozione di fatti
sopravvenuti - Pendenza di un giudizio
relativo alla quantificazione del contributo concessorio - Inidoneità.
1. L'art. 15, D.P.R. n. 380 del 2001,
disposizione che ricalca quella dell'art. 4,
L. n. 10 del 1977 (oggi parzialmente
abrogato), consente la proroga dei termini
di inizio e di ultimazione dei lavori
previsti nel permesso di costruire,
esclusivamente "per fatti sopravvenuti
estranei alla volontà del titolare del
permesso".
Secondo la giurisprudenza, è
dunque illegittimo il provvedimento
dell'Amministrazione comunale di
declaratoria di decadenza del permesso di
costruire, qualora sussistano impedimenti
assoluti all'esecuzione dei lavori segnalati
o comunque conosciuti all'Amministrazione e
l'impedimento non sia riferibile alla
condotta del concessionario, per cui è tale
da costituire quella causa di forza maggiore
che sospende il decorso dei termini di
inizio e di ultimazione dei lavori.
Sotto
questo profilo, la crisi del settore edile,
collegata alla difficile congiuntura
economica italiana, appare una circostanza
estremamente generica, inidonea ad impedire
in maniera assoluta la possibilità
edificatoria connessa al permesso di
costruire.
2. La pendenza di un contenzioso avente ad
oggetto l'esatta determinazione del
contributo concessorio dinanzi al Consiglio
di Stato, senza domanda di sospensione
dell'efficacia della sentenza di primo
grado, non costituisce circostanza idonea a
giustificare la proroga ai sensi dell'art.
15, D.P.R. n. 380 del 2001, posto che
l'esistenza del contenzioso non è
oggettivamente ostativa alla realizzazione
dell'intervento edilizio, che può comunque
essere effettuato, in attesa della
definitiva determinazione del contributo
concessorio
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza
21.02.2012 n.
580 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA - COMPETENZE GESTIONALI: Ambiente - Procedimenti finalizzati al
trattamento dei rifiuti - Competenza
comunale - Non sussiste - Competenza
provinciale - Sussiste.
La competenza in materia di procedimenti
finalizzati al trattamento dei rifiuti è
riservata in via esclusiva alla Provincia e
non alle amministrazioni comunali che, per
il tramite del sindaco pro tempore, possono
intervenire soltanto attraverso
provvedimenti contingibili e urgenti
necessari per la tutela della salute.
Ed
infatti, ai sensi dell'art. 197 del D.Lgs.
n. 152 del 2006 "alle province competono in
linea generale le funzioni amministrative
concernenti la programmazione ed
organizzazione del recupero e dello
smaltimento dei rifiuti (…) ed in
particolare (…) b) il controllo periodico su
tutte le attività di gestione, di
intermediazione e di commercio dei rifiuti,
ivi compreso l'accertamento delle violazioni
(…) c) la verifica ed il controllo dei
requisiti previsti per l'applicazione delle
procedure semplificate (…)" (cfr. Consiglio
di Stato, V, 12.06.2009, n. 3765; II,
parere 24.10.2007, n. 2210 e TAR
Lombardia, Milano, IV, 08.06.2010, n.
1758).
(Fattispecie nella quale il Tribunale ha
annullato il provvedimento comunale con cui
la ricorrente era stata diffidata a non
proseguire le operazioni di montaggio
dell'impianto di rigassificazione,
trattamento dei rifiuti e recupero
energetico già autorizzato in ambito
provinciale)
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza 20.02.2012 n.
571 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
PUBBLICO IMPIEGO: Concorsi a pubblici impieghi - Procedimento
di concorso - Impugnabilità degli atti -
Prove orali - Giudizio negativo -
Costituisce atto direttamente lesivo per
l'interessato - Onere di impugnazione -
Sussiste - Necessità di impugnazione del
successivo provvedimento di approvazione
della graduatoria - Non sussiste.
Nei concorsi a pubblico impiego, la regola,
che individua nel generale provvedimento di
approvazione della graduatoria il solo atto
dal quale possa scaturire una lesione
attuale della posizione degli interessati,
subisce un adattamento in tema di
impugnativa dei giudizi negativi delle prove
orali o pratiche, allorquando sia prevista
una forma di pubblicità obbligatoria
(realizzata, ad esempio, mediante affissione
di avviso pubblico) ed il provvedimento di
approvazione della graduatoria non rechi in
sé tutti gli elementi che consentono
all'interessato di percepirne la portata
lesiva (cfr. Cons. Giust. Amm., 27.12.2006, n. 843).
In tali ipotesi, infatti, il
giudizio (negativo) costituisce l'atto
conclusivo e lesivo per l'interessato, il
quale ha l'onere d'impugnarlo, mentre il
successivo atto di approvazione della
graduatoria assume valore meramente e
tacitamente confermativo (cfr. ex plurimis
Consiglio Stato, sez. V, 11.10.2005, n.
5507; Consiglio Stato sez. VI, 08.05.2001, n. 2572; Consiglio Stato, sez. V,
04.03.2008, n. 862)
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza 20.02.2012 n.
566 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI: Contratti della PA - Opere pubbliche -
Società a capitale pubblico - Non esclusione
dalla gara - Aggiudicazione.
La compartecipazione societaria
dell'amministrazione aggiudicatrice alla
società concorrente non determina alcuna
automatica violazione dei principi
concorrenziali e di parità di trattamento (Cons.
Stato, Sez. VI, 11.07.2008 n. 3499;
Cons. Stato, sez. V, 27.09.2004, n.
6325; Cons. Giust. Amm., 24.12.2002,
n. 692). In linea di principio le società a
capitale pubblico hanno, infatti, rispetto a
quelle private, uguale capacità giuridica e
lo stesso diritto di offrire sul mercato i
propri servizi, lavori o forniture.
Anche per diritto comunitario la proprietà
pubblica dell'impresa costituisce, di per
sé, un fattore neutro rispetto al
dispiegarsi della concorrenza (art. 295 del
Trattato), purché da ciò non derivino, sotto
forma di finanziamenti, affidamenti diretti
etc., aiuti idonei ad alterare la par
condicio fra essa e gli altri operatori. Le
ipotesi in cui l'ordinamento, a tutela della
concorrenza, impone a determinate imprese a
capitale pubblico divieti di partecipazione
alle gare devono, perciò, ritenersi
tassative e fra queste non rientra il caso
in cui il capitale della società
partecipante alla gara sia di proprietà
della stazione appaltante.
In base alla giurisprudenza della Corte di
Giustizia CE l'esclusione dalla gara degli
autori della progettazione non può essere
intesa in senso rigido ed assoluto, dovendo
il giudice tenere in considerazione anche
gli elementi della fattispecie concreta dai
quali si possa desumere che l'attività
compiuta da uno dei concorrenti non era
idonea a falsare la concorrenza (sentenza
03.03.2005 in cause riunite C-21/03 e C-
34/03). Inoltre va specificato che non pare
ravvisabile alcun conflitto funzionale fra
la carica di Direttore del Settore
competente e la sua partecipazione alla
Commissione deputata a valutare le offerte
relative alla aggiudicazione della
concessione dei lavori di realizzazione di
una determinata opera pubblica.
Infatti, il predetto incarico dirigenziale
non attiene alla gestione economico
patrimoniale delle partecipazioni comunali
ma ha natura strettamente tecnica in
relazione al profilo della mobilità, sicché
appare del tutto naturale che il Comune
possa nominare come membro di una
Commissione di gara per la realizzazione di
un'opera per il sistema comunale dei
trasporti un dirigente che si occupa da
molto tempo delle problematiche del settore
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. III,
sentenza 10.02.2012 n.
458 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Impugnabilità
diretta della D.I.A. - Applicabilità del
legittimo affidamento prima della pronuncia
dell'Adunanza Plenaria n. 15/2011 -
Sussiste.
La decisione del Consiglio di Stato,
Adunanza Plenaria, n. 15/2011, ed il
successivo intervento legislativo, che
negano la diretta impugnabilità della D.I.A.
non possono trovare diretta ed immediata
applicazione nelle controversie instaurate
quando l'indirizzo che sosteneva
l'impugnabilità immediata della D.I.A. era
prevalente perché su di esso la parte
ricorrente ha riposto un legittimo
affidamento che non può esserle "confiscato"
a posteriori
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 09.02.2012 n.
457 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: D.I.A. -
Recupero abitativo di sottotetto -
Documentazione incompleta - Preesistenze non
riscontrabili - Illegittimità.
Un intervento di recupero di un sottotetto
da attuarsi con D.I.A., soggetto in quanto
tale a verifica ex post, non può
essere progettato e realizzato sulla base di
documentazione incompleta o comunque non
rappresentativa dello stato di fatto su cui
il progetto interviene con modifiche, specie
laddove in seguito alla prevista demolizione
di preesistenze lo stato di fatto non sia
suscettibile di riscontro postumo da parte
dell'Amministrazione
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 09.02.2012 n.
457 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI: La
prima gara è libera. Nei servizi già
affidati è possibile partecipare. Sentenza
Consiglio di Stato su raccolta e trasporto
locali dei rifiuti.
I soggetti già affidatari diretti di servizi
pubblici locali possono partecipare alla
prima gara svolta per l'affidamento del
medesimo servizio, anche in presenza di
altri affidamenti in corso.
E' quanto affermato dal Consiglio di Stato,
Sez. V, con la
sentenza 07.02.2012 n. 640, in merito ad
una gara per l'affidamento del servizio di
raccolta e trasporto rifiuti in cui due
concorrenti si trovano entrambi nella
condizione ostativa per la partecipazione
alla procedura di cui al comma 9 dell'art.
23-bis del dl 112/2008 ...
(articolo ItaliaOggi del 04.07.2012 - link a
www.ecostampa.it). |
PUBBLICO IMPIEGO: Concorso - Prova d'esame di stato per
avvocati - Sufficienza del voto motivazione
nelle prove scritte.
In merito al problema del voto motivazione
nelle prove scritte relative all'esame di
stato per conseguire l'abilitazione come
avvocato, la Consulta è intervenuta
spiegando che il punteggio numerico
(peraltro diffusamente adottato nelle
procedure concorsuali ed abilitative) rivela
una valutazione che, attraverso la
graduazione del dato numerico, conduce ad un
giudizio di sufficienza o di insufficienza
della prova espletata e, nell'ambito di tale
giudizio, rende palese l'apprezzamento più o
meno elevato che la commissione esaminatrice
ha attribuito all'elaborato oggetto di
esame.
Pertanto, non è sostenibile che il punteggio
indichi soltanto il risultato della
valutazione. Esso, in realtà, si traduce in
un giudizio complessivo dell'elaborato, alla
luce dei parametri dettati dall'art. 22,
nono comma, del citato r.d.l. n. 1578 del
1933, suscettibile di sindacato in sede
giurisdizionale, nei limiti individuati
dalla giurisprudenza amministrativa.
D'altro canto, va anche considerato che il
criterio in questione risponde ad esigenze
di buon andamento dell'azione amministrativa
(art. 97, primo comma, Cost.), che rendono
non esigibile una dettagliata esposizione,
da parte delle commissioni esaminatrici,
delle ragioni che hanno condotto ad un
giudizio di non idoneità, avuto riguardo sia
ai tempi entro i quali le operazioni
concorsuali o abilitative devono essere
portate a compimento, sia al numero dei
partecipanti alle prove.
Orbene, alla luce della sentenza della Corte
Costituzionale, il motivo di difetto di
motivazione deve essere respinto, essendo
stato definitivamente riconosciuta la
legittimità dell'orientamento del Consiglio
di Stato il quale esclude che la commissione
esaminatrice, nel procedere alla correzione
degli elaborati, debba supportare
l'indicazione del voto numerico con una
ulteriore motivazione. Ciò perché il voto
espresso numericamente costituirebbe in sé
una motivazione sintetica, ma comunque
idonea a rendere palese la valutazione
compiuta dalla commissione (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. III,
sentenza 03.02.2012 n.
392 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ESPROPRIAZIONE: Dichiarazione di pubblica utilità - Decreto
di Espropriazione - Annullamento della
dichiarazione di pubblica utilità -
Caducazione del decreto di espropriazione.
La dichiarazione di pubblica utilità,
esplicita o implicita deve essere valutata
quale presupposto indefettibile del decreto
di espropriazione, tanto che l'art. 8 del
d.p.r. 2001 n. 327 considera la d.p.u. un
presupposto di emanazione del decreto di
espropriazione.
Del resto, l'art. 23 del d.p.r. n. 327
consente l'adozione del decreto di
espropriazione solo entro il termine di
efficacia della dichiarazione di pubblica
utilità.
In tal senso, un consistente orientamento
giurisprudenziale giunge a qualificare in
termini di presupposizione necessaria la
relazione che intercorre tra la
dichiarazione di pubblica utilità e il
decreto di espropriazione, sicché
l'annullamento con efficacia retroattiva
della prima determina la caducazione
automatica del secondo, comunque emanato
(cfr. Consiglio di stato, sez. IV, 30.06.2003, n. 3896; Consiglio di stato, sez. IV,
29.01.2008, n. 258; Consiglio di stato,
sez. IV, 19.03.2009, n. 1651.
Va, però,
dato atto dell'esistenza di un diverso
orientamento che esclude l'automatica caducazione in ragione dell'autonomia
dell'effetto ablatorio riconducibile al solo
decreto di espropriazione, così Consiglio di
stato, sez. IV, 27.03.2009, n. 1869; TAR
Puglia Lecce, sez. I, 07.07.2010, n. 1694)
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. III,
sentenza 01.02.2012 n.
353 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI FORNITURE: Contratto di
fornitura - Offerte - Valutazioni
comparative offerte tecniche - Complessità
discipline specialistiche di riferimento -
Opinabilità valutazioni - Discrezionalità
tecnica - Limiti alla sindacabilità in sede
giurisdizionale (solo nel caso di
macroscopici vizi logici, disparità di
trattamento, errore manifesto o di
contraddittorietà) - Possibilità di
sindacato intrinseco svolto sulla base di
valutazioni di parte - Non sussiste.
In sede di valutazione comparativa delle
offerte tecniche presentate nell'ambito
delle gare d'appalto, le valutazioni
tecniche, caratterizzate dalla complessità
delle discipline specialistiche di
riferimento e dalla opinabilità dell'esito
della valutazione, sfuggono al sindacato
intrinseco del giudice amministrativo, se
non vengono in rilievo specifiche censure
circa la plausibilità dei criteri valutativi
o circa la loro applicazione. Le valutazioni
tecniche relative alle offerte presentate
nelle gare d'appalto sono caratterizzate
dalla complessità delle discipline
specialistiche di riferimento e dalla
opinabilità dell'esito della valutazione.
Di
conseguenza, gli apprezzamenti in ordine
all'eventuale inidoneità tecnica delle
offerte, in quanto espressione di un potere
di natura tecnico-discrezionale a carattere
complesso, non possono essere sostituiti da
valutazioni di parte circa l'insussistenza
delle prescritte qualità, trattandosi di
questioni afferenti al merito delle suddette
valutazioni tecnico-discrezionali
(Fattispecie nella quale il ricorrente ha
impugnato l'esclusione disposta ai suoi
danni dalla commissione di gara per il
mancato raggiungimento della soglia di
sbarramento fissata dalla lex specialis)
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza 31.01.2012 n.
346 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI: Procedimento
amministrativo - Preavviso di rigetto
dell'istanza ex art. 10-bis l. n. 241/1990 -
Diniego sulla base di presupposti diversi da
quelli rappresentati nella comunicazione ex
art. 10-bis l. n. 241/1990 - Illegittimità
del provvedimento - Sussiste.
L'istituto del preavviso di rigetto ha lo
scopo di consentire all'interessato di
interloquire con l'amministrazione sulle
ragioni a fondamento di un probabile
provvedimento finale sfavorevole,
presentando una memoria che porti elementi
utili ad un possibile ripensamento da parte
di chi deve esercitare il potere
amministrativo.
Per tale ragione, deve
ritenersi illegittimo per violazione delle
norme sulla partecipazione procedimentale
del privato il provvedimento di diniego
conclusivo del procedimento, le cui
motivazioni a fondamento del diniego stesso
differiscano da quelle a suo tempo indicate
nell'avviso di rigetto ex art. 10-bis l. n.
241/1990.
In tale ipotesi, infatti, la
salvaguardia della partecipazione
procedimentale è vanificata, perché
l'interessato non può far presenti le sue
ragioni in relazione agli effettivi motivi
del diniego (cfr. anche, TAR Lombardia,
Milano, sez. IV, 31.01.2012, n. 335)
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza 31.01.2012 n.
344 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI: Legge
n. 241/1990 - Partecipazione al procedimento
-Comunicazione motivi ostativi
all'accoglimento dell'istanza - Motivi
ostativi differenti rispetto a quelli
comunicati - Illegittimità.
Il provvedimento con cui viene rigettata
l'istanza presentata dal privato, motivato
con riferimento a ragioni differenti
rispetto a quelle indicate nella
comunicazione dei motivi ostativi
all'accoglimento dell'istanza di cui
all'art. 10-bis della L. n. 241/1990, è
illegittimo
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza 31.01.2012 n.
335 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Comunicazioni elettroniche - D.Lgs. n.
259/2003 - Procedimento autorizzatorio
relativo a infrastrutture di comunicazione
elettronica per impianti radioelettrici -
D.G.R. Lombardia n. 7/111045/2002 - Istanza
per l'istallazione di una SRB di potenza
inferiore ai 300 W - Diniego del Comune -
Motivazioni legate alle scelte
pianificatorie ed al mancato rispetto dei
limiti di esposizione - Illegittimità.
Non può essere legittimamente rigettata
dal Comune l'istanza presentata da una
società operante nel settore delle
comunicazioni elettroniche ai sensi
dell'articolo 87 del D. Lgs. n. 259/2003,
prodromica all'installazione di una stazione
radio base per telefonia mobile, laddove il
diniego si fondi sull'asserito mancato
rispetto dei limiti di esposizione, in
contrasto con il parere rilasciato dall'A.R.P.A..
Infatti, la verifica circa il rispetto dei
limiti di esposizione spetta unicamente
all'organo tecnico, senza che residuino
competenze in capo al Comune. Le SRB di
potenza inferiore ai 300 W non soffrono
limitazioni alla loro installazione, che
possano derivare dalla normativa
pianificatoria comunale, ovvero da quella
regionale di cui alla D.G.R. n.
7/111045/2002
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza 31.01.2012 n.
335 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA: 1. Bonifica di siti di
interesse nazionale - Conferenza di servizi
- Verbali conclusivi - Natura endoprocedimentale.
2. D.Lgs. n. 156/2003 - Rifiuti
abbandonati in un fondo - Ordine di bonifica
rivolto alla società proprietaria del fondo
- Mancata prova della responsabilità
dell'inquinamento della proprietaria (a
titolo di dolo o colpa) - Illegittimità.
1. In tema di bonifica di siti di interesse
nazionale, la conferenza di servizi
decisoria è uno strumento procedimentale di
mero coordinamento tra amministrazioni
autonome e distinte, con la conseguenza che
i verbali stilati a conclusione dei lavori,
avendo natura endoprocedimentale, non sono
autonomamente impugnabili.
2. E' illegittimo il provvedimento che
impone la messa in sicurezza e bonifica del
terreno rivolto nei confronti della società
proprietaria del terreno medesimo, nel caso
in cui le risultanze disponibili non
permettano di ascrivere alla società stessa
una responsabilità per l'inquinamento
(Fattispecie nella quale il Ministero
dell'Ambiente ha intimato alla società
Milano Serravalle-Milano Tangenziali S.p.A.
la messa in sicurezza e bonifica di terreni
sui quali si trova uno svincolo
autostradale, per inquinamenti riscontrati
nel sottosuolo di aree un tempo di proprietà
della Falck S.p.A.)
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza 31.01.2012 n.
332 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
PUBBLICO IMPIEGO: 1. Esame per l'abilitazione all'esercizio
della professione di avvocato - Punteggio
numerico - Criteri di valutazione -
Legittimità.
2. Esame per l'abilitazione all'esercizio
della professione di avvocato - Correzione e
valutazione - Tempo impiegato - Non rileva -
Esigenza di buon andamento dell'azione
amministrativa - Garanzia - Necessita.
1. Non può essere accolto perché infondato
il ricorso contro il giudizio di non
ammissione alla prova orale dell'esame per
l'abilitazione all'esercizio della
professione di avvocato proposto dalla
ricorrente che lamenta il difetto di
motivazione del voto attribuito in forma
esclusivamente numerica. Con ordinanza il
TAR Lombardia, Milano, aveva già sollevato,
in riferimento agli articoli 3, 4, 24, 41,
97 e 117 della Costituzione, il dubbio della
legittimità costituzionale degli artt.
17-bis, comma 2, 23, quinto comma, 24, primo
comma, del regio decreto 22.01.1934, n.
37, come novellato dal decreto-legge 21.05.2003 n.112, nella parte in cui essi,
secondo l'interpretazione giurisprudenziale
costituente "diritto vivente", consentono
che i giudizi di non ammissione dei
candidati che partecipano agli esami di
abilitazione all'esercizio della professione
forense possano essere motivati con
l'attribuzione di un mero punteggio
numerico: la Consulta con sentenza n.
175/2011 aveva dichiarato la questione
infondata, spiegando nella motivazione che
il punteggio numerico (peraltro diffusamente
adottato nelle procedure concorsuali ed
abilitative) rivela una valutazione che,
attraverso la graduazione del dato numerico,
conduce ad un giudizio di sufficienza o di
insufficienza della prova espletata e,
nell'ambito di tale giudizio, rende palese
l'apprezzamento più o meno elevato che la
commissione esaminatrice ha attribuito
all'elaborato oggetto di esame.
Pertanto,
non è sostenibile che il punteggio indichi
soltanto il risultato della valutazione;
esso infatti si traduce in un giudizio
complessivo dell'elaborato, alla luce dei
parametri dettati dall'art. 22, nono comma,
del R.D.L. n. 1578/1933, suscettibile di
sindacato in sede giurisdizionale, nei
limiti individuati dalla giurisprudenza
amministrativa.
2.
Il criterio in questione risponde ad
esigenze di buon andamento dell'azione
amministrativa (a norma dell'art. 97, primo
comma, della Costituzione), che rendono non
esigibile una dettagliata esposizione, da
parte delle commissioni esaminatrici, delle
ragioni che hanno condotto ad un giudizio di
non idoneità, avuto riguardo sia ai tempi
entro i quali le operazioni concorsuali o
abilitative devono essere portate a
compimento, sia al numero dei partecipanti
alle prove.
Alla luce della giurisprudenza della Corte
Costituzionale, il motivo di difetto di
motivazione deve essere respinto, essendo
stata definitivamente riconosciuta la
legittimità dell'orientamento del Consiglio
di Stato il quale esclude che la commissione
esaminatrice, nel procedere alla correzione
degli elaborati, debba supportare
l'indicazione del voto numerico con una
ulteriore motivazione: il voto espresso
numericamente costituirebbe in sé una
motivazione sintetica, ma comunque idonea a
rendere palese la valutazione compiuta dalla
commissione, esternata attraverso la
graduazione del voto e l'omogeneità del
giudizio attribuito all'elaborato.
Non rileva neanche il difetto di
ponderazione della decisione, quale si
evincerebbe dal tempo impiegato dalle
correzioni (all'uopo si deduce che 51
compiti sarebbero stati valutati in 180
minuti): l'esiguità del tempo medio
impiegato per lo svolgimento della revisione
degli elaborati, in mancanza di altri
pregnanti elementi di valutazione, non può
essere sintomo di una decisione non
particolarmente approfondita; l'eventuale
brevità del tempo complessivamente impiegato
non può costituire motivo che "ex se"
possa inficiare la legittimità delle
operazioni, avuto riguardo al fatto che, di
norma, non è possibile stabilire quali degli
esaminati abbia fruito di maggiore o minore
attenzione da parte della commissione e se,
quindi, il vizio denunciato infici in
concreto il giudizio dal singolo candidato
contestato; inoltre, il tempo occorrente per
la valutazione non è predeterminato, ben
avendo i commissari la facoltà di utilizzare
tempi differenti in relazione alle diverse
posizioni dei candidati, a seconda che
questi presentino o meno particolari
problematiche e che sia necessaria una
maggiore o minore ponderazione
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. III,
sentenza 31.01.2012 n.
327 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA: 1. Ricorso giurisdizionale - Interesse
all'impugnazione - Censure afferenti alla
V.A.S. - Occorre dimostrarne l'incidenza
diretta e determinante sulle scelte
riguardanti le aree dei ricorrenti.
1. Per fondare l'interesse al ricorso in
relazione a censure afferenti alla V.A.S.
occorre fornire la dimostrazione che i
lamentati vizi della V.A.S. stessa abbiano
inciso in modo diretto e determinante sulle
scelte specificamente riguardanti le aree
dei ricorrenti, traendo da ciò la logica
conseguenza che dette scelte avrebbero
potuto essere differenti ove si fosse
proceduto ad una nuova V.A.S. emendata dei
ridetti vizi.
L'interesse al ricorso non può
infatti sostanziarsi in un generico
interesse a una migliore pianificazione dei
suoli di propria spettanza, che, in quanto
tale, non si differenzia dall'eguale
interesse che quisque de populo potrebbe
nutrire (cfr. Consiglio Stato, 12.01.2011, n. 133; id. 12.10.2010, n. 7439;
id. 13.07.2010, n. 4542; id. 06.05.2010, n. 2629; Ad. Plen. Consiglio Stato
07.04.2011, n. 4)
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 27.01.2012 n.
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URBANISTICA: 1. Piano di Governo
del Territorio - Destinazione agricola -
Finalità - Conservazione di valori
naturalistici e recupero di aree dismesse o
congestionate.
2. Piano di Governo
del Territorio - Scelte urbanistiche - Onere
di motivazione - Sussiste in caso di
destinazione urbanistica innovativa
incidente su singole posizioni differenziate
- Ipotesi.
3. Piano di Governo
del Territorio - Perequazione - Sostituzione
della proprietà pubblica a quella privata
sulle aree destinate a servizi pubblici -
Legittimità dell'effetto - Sussiste.
4. Piano di Governo
del Territorio - Perequazione - Differenza
di valore delle aree "di decollo" e "di
atterraggio" - Rappresenta pregiudizio di
fatto giustificabile in ragione della
limitazione che la proprietà privata può
subire in dipendenza della sua funzione
sociale.
1. L'attribuzione di una destinazione
agricola a un determinato terreno è volta
non tanto e non solo a garantire il suo
effettivo utilizzo a scopi agricoli, quanto
piuttosto a preservarne le caratteristiche
attuali di zona di salvaguardia da ogni
possibile nuova edificazione, anche in
funzione conservativa di valori
naturalistici, nonché a favorire il recupero
di aree dismesse o congestionate.
2. Poiché il potere di pianificazione
urbanistica riveste un carattere ampiamente
discrezionale, e si concretizza in scelte
che, nel merito, appaiono insindacabili e
che sono per ciò stesso attaccabili solo per
errori di fatto, per abnormità e
irrazionalità, l'Amministrazione non è
tenuta a fornire apposita motivazione in
ordine alle scelte operate nella predetta
sede di pianificazione del territorio
comunale, se non richiamando le ragioni di
carattere generale che giustificano
l'impostazione del piano (cfr. Consiglio
Stato, sez. IV, 16.02.2011, n. 1015;
id. 10.08.2004, n. 4550), salvo il caso
in cui la nuova destinazione urbanistica
innovi rispetto alla precedente, incidendo
con ciò su singole posizioni, connotate da
una fondata aspettativa alla conservazione
della destinazione dell'area, che per questo
si differenziano dalle posizioni degli altri
soggetti interessati.
Ciò avviene nelle
ipotesi di:
a) superamento degli standard
minimi di cui al D.M. 02.04.1968, con
l'avvertenza che la motivazione ulteriore va
riferita esclusivamente alle previsioni
urbanistiche complessive di
sovradimensionamento, indipendentemente dal
riferimento alla destinazione di zona di
determinate aree;
b) lesione
dell'affidamento qualificato del privato
derivante da convenzioni di lottizzazione,
accordi di diritto privato intercorsi tra il
Comune e i proprietari delle aree, dalle
aspettative nascenti da giudicati di
annullamento di dinieghi di permesso di
costruire o di silenzio-rifiuto su una
domanda di concessione;
c) modificazione in
zona agricola della destinazione di un'area
limitata, interclusa da fondi edificati in
modo non abusivo (cfr. Consiglio di Stato,
sez. IV, 10.02.2009, n. 2418; TAR
Lombardia Milano, sez. II, 06.10.2011,
n. 2379; TAR Lazio Roma, sez. II, 02.03.2011, n. 1950).
3. La perequazione è finalizzata ad
attenuare le disuguaglianze derivanti dalla
pianificazione urbanistica, ma assicurando
al contempo all'Amministrazione lo strumento
per acquisire, senza oneri, con modalità
diverse dall'esproprio, aree da destinare a
scopi di pubblico interesse.
Il
perseguimento di tale fine può, pertanto,
legittimamente risolversi nella sostituzione
della proprietà pubblica a quella privata
sulle aree destinate a servizi pubblici,
senza denotare perciò solo alcun profilo di
illegittimità, trattandosi di un effetto
riconducibile, in parte, all'esercizio del
potere conformativo e, per il resto,
all'accordo tra p.a. e privato in sede di
pianificazione di dettaglio.
4.
Nell'ambito del meccanismo perequativo, il
diverso valore delle aree "di decollo"
rispetto a quello delle aree "di
atterraggio", si configura quale
pregiudizio di fatto, pur sempre possibile
in presenza delle diverse scelte
urbanistiche che l'Amministrazione adotta
per la medesima zona, nonché ascrivibile
alle limitazioni che la proprietà privata
risulta suscettibile di subire in ragione
della funzione sociale della medesima ex
art. 42 Cost., secondo comma
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 27.01.2012 n.
297 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Permesso
di costruire - Motivi ostativi al rilascio -
Valutazioni viabilistiche - Rilevanza -
Sussiste.
Non è fondata la censura di violazione degli
artt. 36 L.R. n. 12/2005 e 12 D.P.R. n.
380/2001, mossa avverso un diniego di
costruire le cui ragioni sono legate a
problemi viabilistici e di sicurezza e
ordine pubblico, tenuto conto che tali
ragioni sarebbero estranee al contenuto
tipico del permesso di costruire, che è atto
vincolato e che richiede soltanto la
verifica della conformità dell'intervento
agli strumenti urbanistici ed edilizi
vigenti.
In realtà, fra i presupposti che
devono formare oggetto di accertamento da
parte comunale, ai fini del rilascio del
permesso di costruire, rientrano le opere di
urbanizzazione primaria (e, quindi,
l'adeguatezza della rete stradale), ai sensi
degli artt. 12, commi 1 e 2 D.P.R. n.
380/2001 e 36 L.R. n. 12/2005 (su tale
aspetto, cfr. TAR Lombardia Milano, sez. II,
29.12.2008, nn. 6187 e 6189; TAR Lazio
Latina, sez. I, 20.07.2007, n. 531; TAR
Liguria, sez. I, 13.07.2006, n. 825)
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 27.01.2012 n.
291 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA -
EDILIZIA PRIVATA: 1. Nuovo insediamento residenziale -
Preesistente kartodromo - Ammissibilità di
livelli di rumorosità più elevati - Sussiste
il legittimo affidamento dei soggetti che
hanno confidato in un determinato assetto
morfologico del territorio.
2. Abbattimento delle emissioni sonore -
Potere di ordinanza del Sindaco - Art. 9
della L. 447/1995 - Artt. 50 e 54 del D.lgs.
286/2000 - Competenza del Dirigente - Esclusa.
1. L'avvertita necessità di salvaguardia per
un insediamento residenziale realizzato in
prossimità della struttura (kartodromo)
della ricorrente disattende, infatti,
acriticamente le caratteristiche
morfologiche dell'area interessata, quali
consolidatesi nel tempo, mortificando
l'affidamento di quanti abbiano
legittimamente confidato in una tutela
corrispondente a quell'assetto del
territorio, laddove assoggetta quella zona a
limiti di emissione acustica minori,
pregiudicando le esigenze dei soggetti che
operano nel settore (…) ove lo stesso
legislatore ha consentito più elevati
livelli di rumorosità in considerazione
delle esigenze scaturenti dalla natura
dell'attività svolta (TAR Lombardia,
Milano, IV, 05.07.2011, n. 1781).
2. L'art. 9 della legge 447/1995 attribuisce
espressamente al Sindaco il potere di
adottare ordinanze per il contenimento o
l'abbattimento delle emissioni sonore,
inclusa l'inibitoria parziale o totale di
determinate attività. Si tratta di un potere
sostanzialmente analogo a quello attribuito
al Sindaco dal D.Lgs. 267/2000 (Testo Unico
degli Enti Locali), agli articoli 50 e 54 e
che pertanto deve essere esercitato dal
Sindaco stesso, con esclusione della
competenza dei dirigenti, cui spetta invece
l'adozione di tutti gli atti di gestione del
Comune, ai sensi dell'art. 107 del medesimo
D.Lgs. 267/2000 (TAR Lombardia, Milano, IV,
01.07.2009, n. 4225)
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza 23.01.2012 n.
256 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI FORNITURE E SERVIZI: Contratti della PA - Proroga -
Ammissibilità.
In via di principio, l'amministrazione che,
esaurita l'esecuzione di un determinato
contratto, abbia ancora necessità di
avvalersi delle specifiche prestazioni
oggetto del vincolo scaduto è tenuta ad
effettuare una nuova gara. Peraltro, nel
caso in cui gli atti indittivi la procedura
conclusasi con la stipula del contratto ed
il contratto stesso prevedessero
espressamente la facoltà di proroga, la
stazione appaltante può, prima della
scadenza del vincolo contrattuale, disporne
la proroga esclusivamente per il tempo
strettamente necessario all'indizione di una
nuova procedura ad evidenza pubblica.
Al ricorrere di tali presupposti, il
contraente privato è tenuto alla
prosecuzione del rapporto
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 23.01.2012 n.
251 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
PUBBLICO IMPIEGO: Richiesta di
congedo straordinario - Diniego non
preceduto dall'avviso ex art. 10-bis L.
241/1990 - Illegittimità - Sussiste.
Il provvedimento di diniego della
concessione di congedo straordinario ex art.
42, comma 5, D.Lgs. 151/2001 -per
l'assistenza a genitore affetto da
invalidità grave- pur essendo
caratterizzato da discrezionalità tecnica,
impone comunque all'Amministrazione di
svolgere delle valutazioni, così da non
rendere inutile l'apporto informativo che
possa eventualmente derivare dalla memoria
dell'interessato.
Pertanto, nel rispetto del
contraddittorio procedimentale, è
necessario, a pena di illegittimità, che
l'Amministrazione notifichi all'istante
l'avviso ex art. 10-bis L. 241/1990 (cfr.
TAR Lombardia, Milano, sez. IV, 17.01.2012,
n. 184)
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza 17.01.2012 n.
183 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ESPROPRIAZIONI: L.
2359/1865, art. 13 - Termine iniziale e
finale della procedura e per il
completamento dei lavori - Non applicabilità
ai Piani di zona di edilizia popolare - L.
167/1962, art. 9 - Durata del Piano di zona
- 18 anni - Vincolo espropriativo di durata
pari a quella del Piano.
Secondo un condivisibile orientamento
giurisprudenziale, la disciplina dettata
dall'art. 13 della legge 25.06.1865 n.
2359, in materia di apposizione dei termini,
iniziale e finale, per l'espletamento delle
procedure espropriative e per l'inizio ed il
completamento dei relativi lavori, non è
applicabile alle espropriazioni attinenti ai
piani di zona per l'edilizia economica e
popolare, essendo sostituito ed assorbito
dalle disposizioni che delimitano nel tempo
ope legis l'efficacia dei piani stessi
(Consiglio Stato, sez. IV, 26.04.2006,
n. 2339).
Si tratta dell'art. 9 L. 167/1962
che fissa la durata del Piano in diciotto
anni, stabilendo altresì che durante
l'efficacia del Piano le aree in esso
ricomprese rimangono soggette ad
espropriazione, offrendo così quelle
garanzie di certezza di durata della
procedura espropriativa che costituisce la
ratio dell'art. 13 L. 2359/1865
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza 17.01.2012 n.
157 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI: Accesso
- Atti e documenti di immobile commerciale
di nuova costruzione - Interesse.
La domanda di accesso agli atti relativi
alla costruzione di un edificio destinato ad
ospitare una struttura di vendita da parte
del titolare di un'attività di impresa
esercitata in prossimità della nuova
struttura di vendita deve ritenersi fondata.
È evidente l'interesse della ricorrente a
vigilare sul legittimo esercizio delle
potestà pubbliche in materia di urbanistica,
edilizia e commercio, in forza delle quali è
stato o potrà essere autorizzato
l'insediamento di una nuova struttura di
vendita operante nel settore non alimentare
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 13.01.2012 n.
107 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: 1. Locazione di
aree della P.A. ad uso cantieristico -
Possibilità di realizzazione di opere
strutturalmente imponenti ancorché definite
temporalmente e funzionalmente precarie -
Necessità di idoneo titolo edilizio -
Sussiste - Ratio.
2. Natura precaria
di un manufatto - Condizione contrattuale
che preveda la futura demolizione del
manufatto - Irrilevanza ai fini della
configurabilità della precarietà.
3. Edificio
precario destinato ad uffici di cantiere - Sottraibilità al regime edilizio e
urbanistico delle nuove costruzioni -
Possibilità - Limiti.
1. In caso di locazione di aree della P.A.
ad uso cantieristico, una cosa è il
contratto di locazione delle aree di
cantiere con la relativa disciplina
negoziale, nel quale sono previste e
stabilite le condizioni d'uso dell'area
stessa -tra cui quella di realizzare solo
le opere precarie di cantiere ivi descritte
e di restituire l'area al Comune nello status quo ante- ed altra cosa sono le
eventuali autorizzazioni necessarie per
realizzare qualsiasi manufatto (precario o
meno che sia nelle intenzioni di chi lo
realizza e di chi ne consente la
realizzazione), che in base alle norme
edilizie richiede il previo rilascio di un
titolo edilizio, in funzione della natura
dell'intervento e della trasformazione del
territorio che ad esso inerisce.
Pertanto,
anche qualora nel contratto sia prevista la
realizzazione di opere strutturalmente
imponenti ancorché definite precarie -
temporalmente e funzionalmente - non per
questo il locatario ricorrente può
intraprenderle senza munirsi del titolo
occorrente, non essendo possibile realizzare
manufatti soggetti a titolo edilizio, in
forza del benestare, comunque espresso,
della P.A. in una sede impropria e inconferente quale è quella negoziale, nella
specie la locazione dell'area destinata alle
strutture di cantiere.
2. Deve considerarsi stabile e non precario
un manufatto ancorato al suolo e dotato di
tutti gli elementi propri della stabilità -ossia notevoli dimensioni, struttura
portante in cemento armato, ecc.-, che non
è suscettibile di immediata e comunque
agevole e pronta rimozione ma che richieda
un intervento di demolizione: né la
precarietà del manufatto può essere
ravvisabile per la sola condizione
contrattualmente prevista circa la sua
futura demolizione.
3.
Un edificio precario, destinato ad uffici di
cantiere, può essere sottratto,
eccezionalmente, al regime edilizio e
urbanistico delle nuove costruzioni, solo in
considerazione della sua temporaneità e
precarietà strutturale: temporaneità e
precarietà che devono trovare, tuttavia,
oggettivo riscontro nelle caratteristiche
costruttive dell'edificio posto che
diversamente anche i manufatti provvisori,
la cui durata è limitata e prestabilita,
devono ritenersi soggetti al rilascio di un
titolo abilitativo di durata annuale
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 12.01.2012 n.
83 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: 1. Ordinanza di
sospensione lavori abusivi - Natura - E'
atto di avvio di un procedimento
sanzionatorio.
2. Ordinanza di
sospensione lavori abusivi - Natura - E'
atto vincolato - Conseguenze.
1. Il provvedimento di sospensione lavori di
natura urgente e cautelare costituisce esso
stesso l'atto di avvio di un procedimento
sanzionatorio, nell'ambito del quale parte
ricorrente può intervenire attraverso gli
strumenti partecipativi previsti dalla L.
241/1990 (cfr. ex multiis, TAR Perugia
Umbria sez. 1, 28.10.2010, n. 499; TAR
Campania, Napoli, Sez. VII, 05.05.2010,
n. 2667 e, Sez. III, 13.07.2010, n.
16683).
2.
L'ordine di sospensione di lavori abusivi e
non sorretti da valido titolo edilizio
costituisce atto vincolato e doveroso, non
suscettibile, in quanto tale, di essere
intaccato da censure formali, che non sono
idonee ad inficiare un tale genere di
provvedimenti
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 12.01.2012 n.
83 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: 1. Gara - Cause di esclusione - Negligenza o
malafede - Valutazione di gravità -
Necessità.
2. Gara - Cause di esclusione -
Dichiarazioni soggetti cessati dalla carica
- Inciso "per quanto a mia conoscenza" non
integra limitazione di responsabilità.
1. L'esclusione dalla gara pubblica
dell'impresa che sia incorsa in grave
negligenza o malafede nell'esecuzione di
lavori affidati dalla stazione appaltante
postula una valutazione di gravità fatta
dalla stessa amministrazione; ciò in quanto
l'esclusione non ha carattere sanzionatorio,
costituendo invece presidio dell'elemento
fiduciario destinato a connotare, sin dal
momento genetico, i rapporti contrattuali
con la P.A.. Invero, tale valutazione può
consistere nel semplice richiamo per relationem dell'atto con cui, in un
precedente rapporto contrattuale,
l'amministrazione aveva provveduto alla
risoluzione per inadempimento.
2. Le dichiarazioni riguardanti i soggetti
cessati dalla carica nel triennio, rese ai
sensi dell'art. 38, comma 1, lett. c), D.Lgs.
n. 163/2006 e contenenti l'inciso "per
quanto a mia conoscenza" non devono
ritenersi viziate; tale inciso, del resto,
sarebbe giustificato proprio dal fatto che
riguarda gli amministratori cessati dalla
carica ai quali non può essere imposto il
rilascio di dichiarazioni personali ed in
riferimento ai quali chi rappresenta
l'impresa può attestare quanto è a sua
conoscenza, salvo ovviamente possibili
richieste integrative da parte della
stazione appaltante (Consiglio Stato, sez.
V, 30.06.2011, n. 3926)
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 10.01.2012 n.
57 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Diniego di
installazione infrastruttura di
telecomunicazione - Art. 86, D.Lgs. n.
259/2003 - Opere di urbanizzazione primaria
- Misure a tutela dai rischi
dell'elettromagnetismo - Illegittimità.
Il Comune non ha alcuna potestà di
introdurre un divieto generalizzato di
installazione di impianti di telefonia, né
di introdurre misure che, pur essendo di
natura tipicamente urbanistica, non siano
funzionali al governo del territorio,
quanto, piuttosto, alla tutela dai rischi
dell'elettromagnetismo che rientra nelle
esclusive attribuzioni statali; di
conseguenza la localizzazione degli impianti
solo in determinate zone si pone in
contrasto, non solo con l'esigenza di
permettere la copertura del servizio di
telefonia mobile sull'intero territorio
comunale, ma anche con la loro natura di
infrastrutture primarie e di impianti di
interesse generale, così come dispone l'art.
86 D.Lgs. n. 259/2003, posti al servizio
della comunità e quindi compatibili con
qualsiasi destinazione urbanistica
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 05.01.2012 n.
35 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: 1. Qualificazione
di intervento edilizio - Criterio della
visione complessiva delle opere - Creazione
di un quid novi - Ristrutturazione edilizia.
2. Oggettiva
trasformazione dell'immobile -
Qualificazione dell'intervento edilizio come
di ristrutturazione edilizia - Sussiste.
1. Va condivisa la decisione
dell'Amministrazione di qualificare
l'intervento come ristrutturazione, se
l'immobile, complessivamente considerato,
risulti differente rispetto al precedente,
non limitandosi ad un adeguamento, bensì
alla creazione di un quid novi (Nella
specie, il Collegio ha ritenuto indici
rivelatori della tipologia dell'opera: la
realizzazione di venticinque interventi ai
prospetti, con creazione di nuovi accessi;
la creazione di una nuova copertura, ad una
quota più alta, con modifica della sagoma;
l'ampliamento del piano interrato, con
realizzazione di cantine e depositi;
l'aumento di volumetria anche attraverso la
creazione, all'interno del fabbricato, di
celle frigorifere; la creazione
dell'ascensore, all'esterno del fabbricato;
modifiche del piano seminterrato, tramite
interventi di demolizione di pareti,
ridistribuzione degli spazi e creazione di
nuove scale).
2. L'intervento edilizio che comporta
un'oggettiva trasformazione dell'immobile,
mediante la sostituzione e l'inserimento di
elementi, nonché con la modifica di altri, è
annoverabile tra gli interventi di
ristrutturazione edilizia di cui alla lett.
c) del comma 1 dell'art. 10, D.P.R. n.
380/2001 e non tra gli interventi di
manutenzione straordinaria, né di restauro o
risanamento conservativo (i quali
presuppongono, ai sensi dell'art. 3, lett.
b-c, D.P.R. n. 380/2001, la sostituzione o
la conservazione di elementi -anche
strutturali- degli edifici, che siano
comunque preesistenti, ovvero l'inserimento
di elementi nuovi, che abbiano carattere
accessorio)
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 05.01.2012 n.
34 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Ordine di
demolizione - Mancata e/o non corretta
notificazione ad uno dei proprietari -
Nullità del provvedimento - Non sussiste.
La mancata e/o non corretta notifica ad
uno dei proprietari incide esclusivamente
sulla decorrenza dei termini
dell'impugnativa, non determinando
l'illegittimità del provvedimento
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 05.01.2012 n.
34 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA: 1.
Vincoli -
Destinazioni a parco urbano, parcheggio e
viabilità - Sono destinazioni realizzabili
da privati in regime di mercato - Carattere conformativo del vincolo - Sussiste -
Conferma del vincolo - Necessità di
prevedere un indennizzo - Non sussiste -
Necessità di particolare motivazione - Non
sussiste.
2. Vincoli
conformativi - Definizione.
3. Piano Regolatore
generale - Scelte urbanistiche - Onere di
motivazione - È assolto facendo riferimento
alle linee guida illustrate nella relazione
generale allo strumento urbanistico o in
presenza di particolari condizioni
configuranti, in capo al privato, situazioni
di aspettativa qualificata - Ipotesi.
4. Piano Regolatore
generale - Scelte urbanistiche - Onere di
motivazione - Destinazione a verde privato -
Esigenza di tutela ambientale - Necessità di
ampia motivazione - Non sussiste.
5. Ricorso giurisdizionale - Interesse
all'impugnazione - Impugnazione di norme
procedurali di approvazione di strumenti
urbanistici o loro varianti - Utilità
meramente ipotetica ed eventuale discendente
dall'annullamento - Interesse - Non
sussiste.
1. Non sono vincoli "sostanzialmente
espropriativi", ma sono da ritenere vincoli
conformativi, le destinazioni a parco
urbano, a parcheggio e viabilità. Tali
destinazioni, infatti, non comportano
automaticamente l'ablazione dei suoli e
ammettono, anzi, chiaramente la
realizzazione, anche da parte di privati in
regime di economia di mercato, delle
relative attrezzature destinate all'uso
pubblico.
Per tali tipi di destinazione,
conseguentemente, nel caso in cui siano
confermate da un nuovo strumento urbanistico
o da una sua variante generale, non occorre
né la previsione di indennizzo né una
particolare motivazione (cfr. Consiglio
Stato, sez. IV, 01.10.2007, n. 5059;
TAR Veneto, Venezia, 18.04.2011, n.
639; TAR Lazio, Latina, 20.05.2008,
n. 575; TAR Puglia, Lecce, 07.02.2008, n. 378; TAR Sicilia, Catania, 15.10.2007, n. 1662).
2. Sono vincoli di tipo conformativo quelli
che importano destinazioni, anche di
contenuto specifico, realizzabili a
iniziativa privata o promiscua (ovvero sia
pubblica sia privata) senza comportare
necessariamente espropriazione o interventi
ad esclusiva iniziativa pubblica, atteso
che, tali vincoli non svuotano di contenuto
il diritto di proprietà, ma si limitano a
imporre al titolare del bene, il quale ne
voglia trarre le relative utilità, di
seguire una determinata modalità (cfr.
TAR Lombardia Milano, sez. II, 29.01.2009, n. 989; TAR Lombardia Milano, sez. III, 21.12.2010, n. 7636; TAR
Lombardia, Brescia, sez. I, 11.06.2007
n. 507).
3. L'onere di motivazione che deve assistere
le scelte in materia di pianificazione
urbanistica si deve ritenere assolto facendo
riferimento alle linee guida illustrate
nella relazione generale allo strumento
urbanistico, salvo che si sia in presenza di
particolari condizioni, che consentano di
configurare, in capo al privato, situazioni
di aspettativa qualificata (sulle quali,
cfr. TAR Lombardia Milano, sez. II, 06.10.2011, n. 2379, che richiama i casi
di:
a) superamento degli standard minimi di
cui al D.M. 02.04.1968, con l'avvertenza
che la motivazione ulteriore va riferita
esclusivamente alle previsioni urbanistiche
complessive di sovradimensionamento,
indipendentemente dal riferimento alla
destinazione di zona di determinate aree;
b)
lesione dell'affidamento qualificato del
privato derivante da convenzioni di
lottizzazione, accordi di diritto privato
intercorsi tra il Comune e i proprietari
delle aree, dalle aspettative nascenti da
giudicati di annullamento di dinieghi di
permesso di costruire o di silenzio-rifiuto
su una domanda di concessione;
c)
modificazione in zona agricola della
destinazione di un'area limitata, interclusa
da fondi edificati in modo non abusivo).
4. La motivazione della scelta urbanistica
posta a base della destinazione a verde
privato di un fondo (a proposito della
necessità di salvaguardare un "polmone
verde") evoca chiaramente un'esigenza di
tutela ambientale sulla quale non è
richiesta una motivazione particolarmente
ampia, avuto riguardo al valore
costituzionale dell'ambiente, come
presidiato dall'art. 9 Cost. (cfr. Consiglio
di Stato, sez. IV, 01.02.2001, n. 420;
Consiglio di Stato, sez. IV, 08.05.2000,
n. 2639; id. 19.01.2000, n. 245; id. 13.03.1998, n. 431).
5.
È inammissibile una censura attinente a
norme procedurali di approvazione di
strumenti urbanistici o loro varianti,
laddove l'utilità che la parte ricorrente
aspira a conseguire dall'annullamento di
questi ultimi sia meramente ipotetica ed
eventuale, richiedendo per la sua compiuta
realizzazione il passaggio attraverso una
rinnovata attività di pianificazione
urbanistica, ricadente nella sfera della più
ampia disponibilità dell'amministrazione.
L'interessato deve infatti chiarire come e
perché la violazione di norme procedurali di
approvazione di strumenti urbanistici, ad
esempio in caso di adozione di una variante
con la procedura semplificata, avrebbe
svolto un ruolo decisivo sulle opzioni
relative al regime dei suoli in sua
proprietà
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 04.01.2012 n.
15 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI: 1. Deliberazione del
Commissario prefettizio che ha disposto la
sospensione di una Delibera della Giunta
Comunale e dell'annessa convenzione
sottoscritta ex art. 11 L. n. 241/1990 -
Indicazione del termine - Certezza nell'an,
ma non nel "quando" - Violazione dell'art.
21-quater, L. n. 241 del 1990 - Non
sussiste.
2. Deliberazione del
Commissario prefettizio che ha disposto la
sospensione di una Delibera della Giunta
Comunale e dell'annessa convenzione
sottoscritta ex art. 11 L. n. 241/1990 -
Nozione di "gravi ragioni" previste
dall'art. 21-quater, comma 2, L. n. 241 del
1990 - Atti che appaiono il risultato di
un'attività corruttiva - Rientrano.
1. Non sussiste la violazione dell'art. 21-quater, L. n. 241 del 1990, qualora il
termine indicato nel provvedimento di
sospensione (nella specie, individuato nella
"definizione delle indagini penali in
corso") non sia certo nel "quando", ma certo
con riguardo all'"an" della conclusione.
La
durata della sospensione non è quindi legata
ad un evento futuro ed incerto (come sarebbe
accaduto se la sospensione dell'efficacia
fosse stata sottoposta a condizione), ma ad
un evento certo, anche se non ancora
identificabile cronologicamente (sulla
differenza, rilevante anche in diritto
amministrativo, fra "termine" e
"condizione", cfr. Cassazione civile, sez. II, 22.03.2001, n. 4124).
2. L'adozione di un provvedimento
amministrativo di sospensione di atti che
appaiono il risultato di un'attività
corruttiva non può reputarsi illegittima, ma
deve configurarsi come un atto quasi
doveroso, ispirato a ragioni di prudenza e
di tutela della Pubblica Amministrazione
nelle more del processo penale, il cui esito -nell'ipotesi
di accertamento dei delitti contestati- non
potrebbe essere privo di effetti sugli atti
amministrativi oggetto di sospensione,
potendo ravvisarsi i presupposti per
l'esercizio del potere di autotutela
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 29.12.2011 n.
3369 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI: Annullamento
e revoca - Sussistenza del vizio di
incompetenza - Preclusione a ogni altra
valutazione sul ricorso - Esclusione.
Per effetto dell'entrata in vigore del
Codice del processo amministrativo (D.Lgs.
n. 104/2010), è stata abrogata e non più
riprodotta la disposizione dell'art. 26,
comma 2, della L n. 1034/1971, in forza
della quale, in caso di accoglimento del
ricorso per incompetenza, il giudice doveva
annullare l'atto e rimettere l'affare alla
competente autorità amministrativa.
Tale
ultima disposizione non è più rinvenibile
nel nostro ordinamento, sicché la
giurisprudenza amministrativa formatasi dopo
l'entrata in vigore del Codice esclude che
la mera sussistenza del vizio di
incompetenza imponga al giudice
l'annullamento dell'atto, con preclusione di
ogni altra valutazione sul ricorso (cfr. TAR
Lombardia Milano, sez. III, 13.05.2011,
n. 1233 e TAR Toscana, sez. II, 16.06.2011,
n. 1076)
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 29.12.2011 n.
3368 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA -
EDILIZIA PRIVATA: Oneri
di urbanizzazione - Bonifica dei siti
inquinati - Art. 21, comma 5, Legge Regione
Lombardia n. 26/2003 - Agevolazione
(dimezzamento oneri di urbanizzazione
secondaria), per interventi sui siti di
interesse nazionale - Art. 21, comma 7,
Legge Regione Lombardia n. 26/2003 -
Scomputo totale degli oneri di
urbanizzazione secondaria se il sito è
acquistato nell'ambito di una procedura
concorsuale o di esecuzione giudiziale -
L'incentivazione di cui al comma 7
rappresenta rimodulazione di quella di cui
al comma 5.
L'art. 21, L.R. Lombardia n. 26/2003,
recante "Bonifica e ripristino ambientale
dei siti inquinati" prevede, al comma 5,
una forma di agevolazione (dimezzamento
degli oneri di urbanizzazione secondaria),
per gli interventi effettuati sui siti di
interesse nazionale, come individuati
dall'art. 1, comma 4, L. n. 426/1998,
caratterizzati da fenomeni di inquinamento
di particolare gravità e di rilevante
allarme per la salute pubblica; al
successivo comma 7 dell'art. 21 richiamato è
prevista una ulteriore agevolazione, a
favore dei medesimi soggetti di cui al comma
5 (ossia, chi effettua interventi di
bonifica sui siti di interesse nazionale),
vale a dire lo scomputo totale degli oneri
di urbanizzazione secondaria se il sito è
acquistato nell'ambito di una procedura
concorsuale o di esecuzione giudiziale.
Non si tratta di fattispecie separata, ma
della stessa incentivazione di cui al comma
5, che al comma 7 è rimodulata in modo da
rendere ancora più conveniente, per gli
operatori interessati, l'effettuazione di
opere di bonifica
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 29.12.2011 n.
3366 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: 1. Ordinanza di
demolizione relativa ad opere di
ristrutturazione ex art. 10 D.P.R. n.
380/2001 - Sanzione ripristinatoria -
Legittimità.
2. Ordinanza di
demolizione - Giudizio analitico-ricognitivo
- Natura di diffida - Sanzione pecuniaria -
Successivo giudizio sintetico valutativo -
Legittimità.
1. In mancanza dei presupposti della
conservazione di elementi, anche
strutturali, degli edifici, ovvero
dell'inserimento di elementi nuovi che
abbiano tuttavia carattere accessorio
(previsti dell'art. 3, lett. c), D.P.R. n.
380/2001), l'opera (nella specie dei
soppalchi), che determina una modifica della
superficie dell'appartamento, rientra nel
novero degli interventi di ristrutturazione
edilizia di cui all'art. 10, comma primo,
lett. c), D.P.R. n. 380/2001 risultando, di
conseguenza, legittimamente applicabile, se
realizzata in difformità dal titolo
edilizio, la sanzione ripristinatoria di cui
all'art. 33 D.P.R. n. 380/2001.
2. L'ingiunzione di demolizione costituisce
la prima ed obbligatoria fase del
procedimento repressivo, in quanto la
sanzione demolitoria ha natura di diffida e
presuppone solo un giudizio di tipo
analitico-ricognitivo dell'abuso commesso,
mentre il giudizio sintetico-valutativo, di
natura discrezionale, circa la rilevanza
dell'abuso e la possibilità di sostituire la
demolizione con la sanzione pecuniaria viene
effettuato soltanto in un secondo momento
con l'ordine di esecuzione rivolto
all'ufficio competente, e cioè quando il
soggetto privato non ha ottemperato
spontaneamente alla demolizione, risultando
conseguentemente legittima l'ordinanza di
demolizione impugnata
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 16.12.2011 n.
3210 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
LAVORI PUBBLICI:
1. Contratti della PA - Concessione di
costruzione e gestione di opere pubbliche -
Nozione - Natura commutativa - Differenze
rispetto alla nozione di appalto di lavori -
Corrispettivo.
2. Contratti della PA - Concessione di
costruzione e gestione di opere pubbliche -
Domanda del concessionario di compensazione
dovuta all'aumento dei costi di costruzione
ex art. 133 D.Lgs. n. 163/2006 -
Ammissibilità.
3. Contratti della PA - Concessione di
costruzione e gestione di opere pubbliche -
Domanda di compensazione per aumento dei
costi di costruzione ex art. 133 D.Lgs. n.
163/2006 - Accoglimento - Conseguenze -
Possibilità di mutare le condizioni delle
gestione previste nel PEF.
1. Sotto il profilo causale la concessione
di lavori pubblici costituisce al pari
dell'appalto di lavori, un contratto
sinallagmatico e si caratterizza solo per il
fatto che il corrispettivo per la esecuzione
dell'opera è dato dal diritto di gestirla
per un determinato periodo di tempo, anziché
dal pagamento di un prezzo in danaro.
2. Il fatto che la remunerazione del
concessionario consista anziché in una
prestazione pecuniaria nella attribuzione
del diritto di gestire l'opera realizzata
non incide sul riparto dei rischi relativi
alla costruzione. La maggiore alea che il
concessionario si accolla rispetto
all'appaltatore riguarda, infatti, la
gestione dell'opera: egli nel momento in cui
accetta che il proprio investimento venga
remunerato attraverso la concessione del
diritto di sfruttare economicamente il
manufatto realizzato si assume un rischio di
impresa che, normalmente, grava sull'ente
concedente.
A parte ciò il contratto di
concessione, in base alla sua stessa
definizione normativa (sia interna che
comunitaria), non presenta differenze
rispetto ad un comune contratto di appalto,
con la conseguenza che il rischio di
costruzione assunto dal concessionario
rimane nei limiti dell'alea normale tipica
dell'appalto di lavori.
3. Nel contratto di concessione di
costruzione e gestione l'adeguamento
dell'equilibrio contrattuale ai costi
eccedenti l'alea normale del contratto non
necessariamente deve avvenire attraverso il
pagamento di una somma di danaro. Essendo la
parte preponderante dell'investimento
remunerata attraverso il diritto di gestire
l'opera, appare conforme allo schema causale
del contratto che l'alterazione
dell'equilibrio contrattuale dovuta
all'aumento dei costi di costruzione per
effetto di eventi eccezionali ed
imprevedibili possa avvenire anche tramite
il mutamento delle condizioni della gestione
previste nel piano economico finanziario
(come la durata della concessione, il regime
tariffario, etc.).
Per tali ragioni,
nonostante l'art. 143 del D.Lgs. n. 163 del
2006 non annoveri fra le cause di revisione
del PEF l'aumento dei costi dei materiali o
della manodopera, appare pienamente lecita
una disciplina convenzionale che, invece,
includa tale evento fra i presupposti che ne
comportano la rinegoziazione; e, comunque,
anche in assenza di una specifica previsione
contrattuale, il concessionario che reclami
il compenso revisionale non potrebbe
rifiutare in buona fede l'offerta
dell'amministrazione di far fronte ai
maggiori costi attraverso modalità diverse
dal pagamento di una somma di danaro
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. III,
sentenza 16.12.2011 n.
3200 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA: 1. Programma
Integrato di Intervento (P.I.I.) in variante
al P.R.G. - Valutazione Ambientale
Strategica (V.A.S.) - Possibilità di
avvalersi della V.A.S. effettuata nel
procedimento di adozione del Piano di
Governo del Territorio (P.G.T.) - Incarico
per effettuare la V.A.S. affidato ad un
organo o ad ufficio della stessa Autorità
procedente - Legittimità - Sussiste.
2. Programma
Integrato di Intervento in variante al
P.R.G. - Censure sorrette dall'interesse
all'integrità delle finanze del Comune -
Inammissibilità per carenza di interesse a
ricorrere stante il carattere di
giurisdizione soggettiva del vigente sistema
di giustizia amministrativa.
3. Programma
Integrato di Intervento in variante al
P.R.G. - Mancanza parere di valutazione
acustica - Art. 5 L.R. Lombardia n. 13/2001
- Istruttoria rinviata alla fase di rilascio
dei titoli abilitativi - Legittimità.
1. In occasione dell'approvazione di un
Programma Integrato di Intervento (P.I.I.)
in variante al P.R.G. è legittimo avvalersi
della valutazione ambientale strategica
(V.A.S.) effettuata nel procedimento di
adozione del Piano di Governo del Territorio
(P.G.T.) anche se risulta completato solo
tale sub-procedimento e non sia ancora
approvato lo strumento urbanistico generale.
Al riguardo si deve, altresì, ritenere che
l'autorità incaricata della V.A.S. possa
legittimamente essere identificata in un
organo o ufficio della stessa Autorità
procedente, e che la scelta dei funzionari
apicali dell'Ente costituisca una garanzia
sufficiente in ordine al possesso, in capo a
costoro, delle competenze necessarie per
effettuare la V.A.S..
2. In occasione dell'approvazione di P.I.I.
il mancato incasso di una determinata somma
a compensazione dell'incremento della s.l.p.,
l'accollo da parte del Comune del costo
delle aree a parcheggio o l'inadeguatezza
dell'importo ricevuto dall'Amministrazione a
fronte della monetizzazione dello standard,
essendo censure sorrette dall'interesse
all'integrità delle finanze del Comune -che
non si configura come un interesse personale
attuale e concreto dei ricorrenti- sono
inammissibili.
Diversamente si ammetterebbe
un'azione popolare volta al controllo
oggettivo della legittimità dell'atto
amministrativo da parte del giudice, che
sarebbe in contrasto con il carattere di
giurisdizione soggettiva attribuito al
vigente sistema di giustizia amministrativa.
3. L'approvazione di un Programma Integrato
di Intervento in mancanza del parere di
compatibilità acustica non viola il giusto
procedimento e l'art. 5 L.R. Lombardia n.
13/2001, in quanto tale norma pone l'obbligo
di acquisizione del parere dell'A.R.P.A. in
occasione del rilascio dei titoli
abilitativi, e non nella fase antecedente di
approvazione del P.I.I., risultando,
conseguentemente, legittima la decisione del
Comune di rinviare tali verifiche
istruttorie alla fase attuativa del P.I.I.,
nel caso in cui l'Amministrazione abbia già
affermato la necessità di un parere dell'
A.R.P.A. nella successiva fase attuativa
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 15.12.2011 n.
3170 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: 1. Giudizio di anomalia - Limiti
del sindacato giurisdizionale -
Discrezionalità tecnica - Cognizione piena
del giudice amministrativo
sull'attendibilità dei giudizi e
apprezzamenti espressi dalla commissione
giudicatrice.
2. Giudizio di anomalia - Costo
delle attrezzature - Possibilità di
giustificare mediante i bilanci e i libri
dei cespiti.
1. In materia di giudizio di anomalia,
l'area della riserva amministrativa non è
violata, ove si contesti l'esistenza di
errori di apprezzamento da parte della
stazione appaltante, che involgono fatti
anche tecnici che a detta area sono
palesemente estranei.
Una volta distinta l'area della
discrezionalità tecnica da quella del merito
amministrativo, il giudice amministrativo ha
infatti cognizione piena non solo sulle
modalità (di formazione), ma anche
sull'attendibilità dei giudizi e degli
apprezzamenti espressi dalla commissione
giudicatrice nell'ambito di una gara di
appalto (TAR Lombardia, Milano, Sez. I,
10.01.2011, n. 11).
La verificazione disposta dal Giudice sul
procedimento di verifica dell'anomalia non
deve pertanto limitarsi ad un controllo
meramente formale ed estrinseco sul
procedimento amministrativo seguito dalla
stazione appaltante.
2. Qualora l'impresa abbia presentato i
bilanci e i libri dei cespiti, la mancata
formale indicazione -in sede di
giustificazione dell'offerta- del parco
delle attrezzature impiegate per l'appalto,
comunque aliunde desumibile, non è
circostanza che renda di per sé anomala
l'offerta della ricorrente
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 14.12.2011 n.
3162 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: 1. Procedimento di verifica della congruità
dell'offerta - Termini per il deposito di
giustificazioni - Non perentorietà.
2. Subappalto - Individuazione
subappaltatori - Può essere rimandata al
momento di costituzione del rapporto
contrattuale.
3. Giudizio di anomalia - In caso di
prestazione già integralmente eseguita -
Affidabilità dell'offerta è confermata da
avvenuta esecuzione a regola d'arte.
1. Nell'ambito del procedimento di verifica
della congruità dell'offerta condotto dalla
stazione appaltante, i termini per il
deposito delle giustificazioni richieste in
detta sede non sono qualificati come
perentori, mentre il termine di 10 giorni,
previsto dall'art. 88 del D.Lgs. n.
163/2006, integra il termine minimo che
l'Amministrazione deve concedere per dar
modo al concorrente di redigere e produrre
le proprie giustificazioni (cfr. TAR Lazio,
Roma, sez. III, 09.12.2010, n. 35952).
2. L'art. 118 del D.lgs. n. 163/2006, nel
prevedere che tutte le lavorazioni sono
subappaltabili e che all'atto della
predisposizione dell'offerta il concorrente
debba partecipare l'intenzione di
subappaltare a soggetti qualificati, va
interpretato nel senso che è rimandata al
momento della costituzione del rapporto
contrattuale l'individuazione di questi
ultimi, nonché la specificazione della loro
qualificazione e del possesso dei requisiti
generali di partecipazione; salvo che la lex
specialis non disponga diversamente (TAR
Lazio, Latina, sez. I, 04.06.2009, n.
541).
3. Qualora la prestazione oggetto di appalto
risulti già integralmente eseguita nei
termini contrattuali, risulta
definitivamente preclusa la possibilità di
effettuare, ora per allora, valutazioni prognostiche di presunta anomalia
dell'offerta; risultando la prestazione
eventualmente suscettibile solo di una
valutazione diagnostica, ossia ex post, di
corretta esecuzione.
La realizzazione dell'opera a regola d'arte
conferma la globale affidabilità
dell'offerta
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 14.12.2011 n.
3160 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI: Costi per la sicurezza - Rischi
da interferenza e rischi relativi
all'organizzazione dell'appaltatore -
Soggetti obbligati alla quantificazione.
I costi concernenti la sicurezza sul
lavoro negli appalti di servizi si
distinguono in due gruppi. Da un lato, essi
debbono corrispondere ai cosiddetti rischi
da interferenza derivanti dallo svolgimento
del servizio presso la stazione appaltante,
previsti dall'art. 26 del D.Lgs. 81/2008:
tali costi vanno quantificati dalla stazione
appaltante, a pena di illegittimità della
procedura. Dall'altro, vi sono i costi
relativi all'organizzazione interna
dell'appaltatore, che questi è invece tenuto
ad indicare ex lege, quand'anche il
capitolato non lo preveda espressamente
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 14.12.2011 n.
3154 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Attribuzione al seggio di gara
del compito di aprire le buste contenenti
offerte tecniche ed economiche e di
esaminare le offerte economiche -
Legittimità.
E' legittima la previsione del capitolato
che attribuisce al Seggio di Gara, e non
alla Commissione Tecnica, il compito di
aprire le buste contenenti offerte tecniche
ed economiche e di esaminare le offerte
economiche.
La giurisprudenza ha già precisato che,
nell'ipotesi di aggiudicazione secondo il
criterio dell'offerta economicamente più
vantaggiosa, nulla impedisce che il
disciplinare di gara attribuisca al Seggio,
e non alla Commissione, il compito di
applicare meccanicamente i criteri di
attribuzione matematica del punteggio
relativo al prezzo offerto, atteso che in
tale operazione non si esercita alcuna
discrezionalità (Tar Lombardia, Brescia, 10.02.2011, n. 244).
Tale conclusione è valida anche con riguardo
alla fase di mera apertura della busta
contenente la documentazione amministrativa
e l'offerta tecnica, al solo scopo di
verificare, con operazione altrettanto priva
di discrezionalità, l'inserimento di quanto
richiesto dal capitolato speciale. Ciò che
invece è necessario riservare alla
Commissione è la sola valutazione
dell'offerta, in quanto espressiva di
discrezionalità tecnica
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 14.12.2011 n.
3154 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
CONSIGLIERI COMUNALI - ENTI LOCALI: 1. Competenza legislativa - Competenza
statale in materia di organizzazione degli
enti locali - Potestà legislativa residuale
delle Regioni - Sussiste.
2. Comune e Provincia - Consiglio
Provinciale - Ruolo, attribuzioni e revoca
del Presidente - Competenza residuale dello
Statuto della Provincia - Fattispecie.
3. Comune e Provincia - Consiglio
Provinciale - Provvedimento di revoca del
presidente - Natura giuridica -
Sindacabilità - Ammissibilità.
1. La giurisprudenza costituzionale dopo una
fase iniziale di ridimensionamento delle
novità in tema di competenza
sull'ordinamento degli enti locali
introdotte dalla riforma costituzionale per
le Regioni a statuto ordinario (cfr. sentt.
nn. 48 del 2003 e 377 del 2003) sembra, da
ultimo, indirizzarsi verso il riconoscimento
di uno spazio normativo impregiudicato dalla
legge statale, concernente la
"organizzazione" dell'ente (cfr. sentenza n.
324 del 2010).
Da ultimo, sia pure con
pronuncia di inammissibilità, si è suggerito
che, per l'ipotesi in cui la competenza
dello Stato non dovesse ritenersi
"omnicomprensiva", verrebbe a configurarsi
una potestà legislativa residuale della
Regione (cfr. sentenza n. 261 del 2011).
2. In materia di organizzazione degli enti
locali, al di fuori delle materie riservate
alla competenza legislativa esclusiva dello
Stato, spetta allo statuto della Provincia
definire ruolo ed attribuzioni del
presidente del consiglio provinciale, ed in
particolare prevederne la revoca anche per
motivi connessi alla rottura del rapporto di
consonanza politica con la maggioranza
assembleare, fermo il divieto di procedervi
per il solo fatto che il presidente abbia
agito con imparzialità nel garantire i
diritti dei consiglieri e dei gruppi di
opposizione.
3. Il giudice amministrativo non si limiterà
a verificare la legalità del procedimento di
revoca, ma accerterà altresì, con gli ampi
poteri istruttori di cui oramai dispone, la
sussistenza dei fatti storici posti a base
della decisione, ove contestata in giudizio.
In particolare, dovrà vigilare che vi sia
corrispondenza tra le ragioni selezionate
dallo statuto ai fini della revoca, o
comunque desumibili implicitamente dal ruolo
che tale fonte ha conferito all'organo, e lo
scopo perseguito dall'atto nel caso
concreto.
Difatti, quand'anche lo statuto si allarghi
fino all'ipotesi estrema della costituzione
del rapporto di consonanza politica, resta
fermo che la revoca dovrà comunque fondarsi
su elementi che non siano manifestamente
estranei alla sfera pubblica propria delle
dinamiche politico-amministrative, senza
trasmodare in censure che abbiano un rilievo
meramente privato, o che, peggio ancora,
investano l'esercizio dei diritti della
persona garantiti dalla Costituzione e dalle
fonti di diritto internazionale
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 14.12.2011 n.
3150 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA: 1. Edilizia residenziale pubblica -
Convenzione - Concessione di diritto di
superficie per la costruzione di alloggi
destinati all'edilizia convenzionata con
obbligo del concessionario di cedere alla
P.A. parte degli alloggi - E' assimilabile
ad un contratto di permuta - Fallimento del
concessionario prima del trasferimento degli
alloggi - Comporta la risoluzione del
rapporto concessorio.
2. Edilizia residenziale pubblica -
Convenzione per la costruzione di alloggi
destinati all'edilizia economica e popolare
- Soggetti che hanno acquistato dal
concessionario l'esclusiva proprietà degli
immobili - Non sono soggetti
controinteressati nella controversia avente
ad oggetto la risoluzione della convenzione
- Ragioni.
3. Edilizia residenziale pubblica -
Provvedimento che dichiara la decadenza
della convenzione - Competenza - Spetta alla
Giunta Comunale.
1. Avuto riguardo agli effetti del
fallimento sui rapporti giuridici
preesistenti, il concordato reciproco
trasferimento dei diritti di superficie
sull'area pubblica e del diritto di
proprietà su cosa futura (gli alloggi) è
riconducibile agli effetti di un contratto
di permuta il quale, se stipulato prima
della dichiarazione di fallimento, è
regolato secondo il criterio delineato nei
primi tre commi dell'art. 72 della L. Fall.
(cfr. Cassazione civile, Sez. Un., 07.07.2004 n. 12505).
Essendo il fallimento del
costruttore intervenuto successivamente
all'avvenuto trasferimento del diritto di
superficie dell'area e dopo che la
costruzione degli alloggi è stata eretta, si
sono prodotti, ex uno latere, gli effetti
finali della operazione economica
programmata e ciò ha comportato, per la
parte pubblica, l'integrale esecuzione della
prestazione dovuta, come tale preclusiva,
una volta sopravvenuto il fallimento del
costruttore, della facoltà di scioglimento
unilaterale del contratto conferita al
curatore, essendo tale facoltà esercitabile
solo se il contratto di permuta è ancora
ineseguito, o non compiutamente eseguito, da
entrambe le parti.
2. Coloro che hanno acquistato dall'impresa
concessionaria l'esclusiva proprietà
superficiaria degli immobili non sono
soggetti controinteressati, nella
controversia avente ad oggetto la decadenza
dalla concessione, in quanto il loro titolo
di acquisto non sarebbe affatto travolto né
reso precario dall'accoglimento della
domanda di annullamento; ciò in quanto la
risoluzione della convenzione, quale effetto
dell'esercizio della facoltà contrattuale di
pronunciare la decadenza non travolge i
diritti dei terzi aventi causa (ex art. 1458
comma 2, c.c., salvi ovviamente gli effetti
della trascrizione della domanda di
risoluzione).
Piuttosto, i terzi aventi
causa dall'impresa vedranno estinguersi il
proprio diritto di proprietà superficiaria
soltanto a seguito dell'estinzione del
termine di durata originariamente apposto al
diritto di superficie del dante causa (ciò
ai sensi dell'art. 954 c.c.).
3. La competenza ad adottare un
provvedimento di decadenza dalla concessione
del diritto di superficie spetta alla Giunta
Comunale, ove il provvedimento non sia
diretto ad affermare una diversa (e
contraria) volontà rispetto a quella
manifestata dall'organo consiliare ed ove,
dunque, non vi sia alcun esercizio di poteri
di disposizione del patrimonio immobiliare
comunale, il solo che radica la competenza
del Consiglio Comunale ai sensi dell'art.
42, lett. l), T.U.E.L..
Né può configurarsi, in ordine all'adozione
del medesimo atto, la competenza del
dirigente preposto all'Ufficio Comunale che,
come è noto, resta limitata agli atti di
gestione in conformità alle direttive
dell'organo di governo (cfr. Consiglio
Stato, sez. V, 17.09.2010 n. 6982)
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. III,
sentenza 12.12.2011 n.
3144 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: 1. Permesso di
costruire - Intervento di sostituzione
edilizia ex art. 3, comma 3, L.R. n. 13/2009
- Divieto di applicazione alle cortine
edilizie esistenti introdotto con apposita
deliberazione comunale - Ambito di
operatività del divieto - Interpretazione
restrittiva.
2. Permesso di
costruire - Intervento di sostituzione
edilizia ex art. 3, comma 3 L.R. n. 13/2009
- Progetto che garantisce l'allineamento,
lungo la via, dei nuovi edifici - Contrasto
con il divieto di applicazione alle cortine
edilizie esistenti introdotto con apposita
deliberazione comunale - Non sussiste.
3. Quinta
architettonica - Definizione.
1. La legge regionale n. 13/2009 persegue la
finalità di garantire "la massima
valorizzazione e utilizzazione del
patrimonio (...) presente nel territorio
lombardo (...) contribuendo al rilancio del
comparto economico interessato" (cfr. art. 1
della legge).
Pur nell'ambito di tali
finalità, è consentito alle Amministrazioni
locali individuare parti del proprio
territorio dove non trova applicazione la
legge, per la salvaguardia, fra l'altro,
delle "cortine edilizie esistenti" (così,
espressamente, l'art. 5 comma 6, della L.R.
n. 13/2009); tuttavia, le eccezioni
all'applicazione della L.R. n. 13/2009 non
possono essere interpretate estensivamente,
per evitare che siano irrimediabilmente
frustrate le finalità di sviluppo edilizio
ed economico generale di cui al menzionato
art. 1 della normativa regionale.
2. La nozione di "cortina edilizia" -in
mancanza di indicazione nello strumento
urbanistico considerato- deve desumersi
dalla letteratura tecnica in materia e dalla
giurisprudenza amministrativa: per la prima,
la cortina edilizia è un "fronte costruito
di un edificio o di un insieme di edifici
disposto, senza soluzione di continuità e
per una lunghezza considerevole, lungo un
asse viario urbano o altro simile elemento
di allineamento"; per i giudici, si tratta
della "edificazione di immobili realizzati
in continuità e linearità con l'esistente
ovvero (...) l'allineamento
dell'edificazione, senza soluzione di
continuità e per uno sviluppo non
irrilevante, lungo una qualsiasi linea di
edificazione interna al lotto" (cfr. TAR
Lombardia Milano, sez. II, 11.06.2007,
n. 4951, con la giurisprudenza ivi
richiamata).
Deve, quindi, ritenersi non in
contrasto con il divieto di applicazione
dell'art. 3 della L.R. n. 13/2009,
introdotto da un Comune con apposita
deliberazione di C.C. ai sensi dell'art. 5,
comma 6, della L.R. n. 13/2009, posto a
salvaguardia di una cortina edilizia
esistente, il progetto edilizio che
garantisca l'allineamento, lungo la via, dei
nuovi edifici mediante strutture facenti
parte del corpo di fabbrica ed aventi i
caratteri della stabilità e della
durevolezza.
3. Per "quinta architettonica",
secondo la giurisprudenza amministrativa,
deve intendersi una struttura edilizia
aperta avente funzioni per certi versi
ornamentale e non integrata né facente parte
del corpo di fabbrica
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 06.12.2011 n.
3122 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Variazione di destinazione d'uso
dell'immobile - Istanza - Diniego - Adozione
- Sindaco - Vizio di incompetenza -
Competenza del Dirigente - Ipotesi di
ordinaria attività gestionale. (D.Lgs.
18.08.2000, n. 267, art. 107).
L'istanza di variazione di destinazione
d'uso dell'immobile, non rientrando
nell'ambito della definizione di obiettivi e
programmi o della verifica della rispondenza
dei risultati dell'attività amministrativa,
integra una ipotesi di ordinaria attività
gestionale, come tale affidata, in virtù del
principio della separazione fra livello di
indirizzo politico e gestionale, alla
generale competenza del Dirigente in quanto
apice della struttura burocratica.
Qualora,
dunque, il provvedimento di diniego
sull'istanza suddetta sia stato adottato dal
Sindaco ha luogo una ipotesi di vizio di
incompetenza per violazione dell'art. 107
del D.Lgs. n. 267 del 2000, nella parte in
cui contempla una previsione generale che
attribuisce ai dirigenti tutti i compiti non
ricompresi espressamente dalla legge o dallo
statuto tra le funzioni di indirizzo e
controllo politico-amministrativo, ivi
compresa l'adozione degli atti e
provvedimenti amministrativi che impegnano
l'Amministrazione verso l'esterno (TAR Valle d'Aosta,
sentenza 20.10.2011 n. 68 - massima tratta
da www.diritto24.ilsole24ore.com -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Ai
fini del rispetto delle distanze, soltanto
le strutture edilizie meramente accessorie o
ornamentali possono essere escluse
dall’obbligo del rispetto delle stesse, come
chiarito dalla giurisprudenza, secondo la
quale “in tema di distanze fra edifici,
mentre rientrano nella categoria degli
sporti, non computabili ai fini delle
distanze, soltanto quegli elementi con
funzione meramente ornamentale, di
rifinitura od accessoria, come le mensole,
le lesene, i cornicioni, le canalizzazioni
di gronda e simili, costituiscono corpi di
fabbrica, computabili nelle distanze fra
costruzioni, le sporgenze di particolari
proporzioni, come i balconi, costituite da
solette aggettanti anche se scoperte, di
apprezzabile profondità ed ampiezza".
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Mentre non sono [ai fini delle distanze]
computabili le sporgenze estreme del
fabbricato che abbiano una funzione
meramente ornamentale, di rifinitura od
accessoria di limitata entità, come le
mensole, i cornicioni, le grondaie e simili,
rientrano nel concetto civilistico di
costruzione le parti dell’edificio, quali
scale, terrazze e corpi avanzati che,
seppure non corrispondono a volumi abitativi
coperti, sono destinate ad estendere ed
ampliare la consistenza del fabbricato; e
che, agli effetti dell'art. 873 c.c., la
nozione di costruzione, che è stabilita
dalla legge statale, è unica, e non può
essere derogata, sia pure al limitato fine
del computo delle distanze, dalla normativa
secondaria, giacché il rinvio contenuto
nella seconda parte dell’art. 873 c.c., è
limitato alla sola facoltà per i regolamenti
locali di stabilire una distanza maggiore
(tra edifici o dal confine) rispetto a
quella codicistica.
Nel provvedimento impugnato si assume,
erroneamente, che il progetto presentato dai
ricorrenti sia destinato a creare un
ampliamento in sopraelevazione, mentre
appare evidente che con lo stesso si mira a
creare una maggiore volumetria
dell’immobile, non modificando in alcun modo
l’altezza massima dell’edificio.
Difatti la presenza di un muro di altezza di
6,20 metri su un lato dell’edificio non può
essere considerata come un’appendice di
carattere puramente estetico, rappresentando
al contrario una struttura di sicura
rilevanza e impatto in termini urbanistici.
Del resto, ai fini del rispetto delle
distanze, soltanto le strutture edilizie
meramente accessorie o ornamentali possono
essere escluse dall’obbligo del rispetto
delle stesse, come chiarito dalla
giurisprudenza, secondo la quale “in tema
di distanze fra edifici, mentre rientrano
nella categoria degli sporti, non
computabili ai fini delle distanze, soltanto
quegli elementi con funzione meramente
ornamentale, di rifinitura od accessoria,
come le mensole, le lesene, i cornicioni, le
canalizzazioni di gronda e simili,
costituiscono corpi di fabbrica, computabili
nelle distanze fra costruzioni, le sporgenze
di particolari proporzioni, come i balconi,
costituite da solette aggettanti anche se
scoperte, di apprezzabile profondità ed
ampiezza” (Cassazione civile, II,
22.07.2010, n. 17242).
Con il secondo motivo si assume che nessuna
violazione delle distanze tra la costruzione
e la strada sarebbe realizzata con la
concessione richiesta, visto che nessuna
modifica sarebbe effettuata con riferimento
alla parete più vicina alla strada, oggetto
di concessione in sanatoria nel 1995.
Anche questa doglianza è fondata.
In tal senso la giurisprudenza della Corte
di Cassazione ha costantemente affermato che
“mentre non sono [ai fini delle distanze]
computabili le sporgenze estreme del
fabbricato che abbiano una funzione
meramente ornamentale, di rifinitura od
accessoria di limitata entità, come le
mensole, i cornicioni, le grondaie e simili,
rientrano nel concetto civilistico di
costruzione le parti dell’edificio, quali
scale, terrazze e corpi avanzati che,
seppure non corrispondono a volumi abitativi
coperti, sono destinate ad estendere ed
ampliare la consistenza del fabbricato; e
che, agli effetti dell'art. 873 c.c., la
nozione di costruzione, che è stabilita
dalla legge statale, è unica, e non può
essere derogata, sia pure al limitato fine
del computo delle distanze, dalla normativa
secondaria, giacché il rinvio contenuto
nella seconda parte dell’art. 873 c.c., è
limitato alla sola facoltà per i regolamenti
locali di stabilire una distanza maggiore
(tra edifici o dal confine) rispetto a
quella codicistica” (Cassazione civile,
II, 10.09.2009, n. 19554).
Essendo la parete di 6,20 m. già esistente,
nessuna violazione di distanze si può
configurare in relazione al richiesto
intervento edilizio della cui legittimità si
controverte
(TAR Lombardia-Milano, Sez. III,
sentenza 04.05.2011 n. 1174 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Alberghi - Residenza
turistica alberghiera - Immobili -
Destinazione - Bene - Apertura al pubblico -
Servizi.
La destinazione turistico alberghiera, quale
definita dall'art. 27 della L.R. n. 42/2000,
viene meno qualora il godimento degli
alloggi o dei sevizi provenga dalla
titolarità delle unità abitative o delle
quote nelle quali è stato frazionato
l'immobile.
Alberghi - Residenza
turistica alberghiera - Immobili -
Destinazione - Bene - Apertura al pubblico -
Servizi.
La destinazione a residenza turistico
alberghiera di un immobile si caratterizza
con l'apertura del bene al pubblico, ovvero
si esprime attraverso atti di offerta al
pubblico dei servizi ad esso inerenti e la
gestione unitaria dell'immobile, come
precisa l'art. 27 della L.R. n. 42 del
23/03/2000 (TAR Toscana, Sez. III,
sentenza
14.01.2011 n. 67 - massima tratta
da www.diritto24.ilsole24ore.com -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Esecuzione del giudicato -
Decorso del termine assegnato - Nomina di un
Commissario.
Il Comune deve eseguire il giudicato della
sentenza che autorizza il cambio di
destinazione d'uso da abitazione a
laboratorio medico e la trasformazione di un
garage interrato in locale commerciale.
La decisione fa sorgere a carico
dell'amministrazione comunale l'obbligo di
adeguare la situazione di fatto degli
immobili a quella di diritto; ne consegue
l'ordine di dar esecuzione al giudicato, con
l'avvertenza che, in caso di inutile decorso
del termine assegnato, si procederà alla
nomina di un commissario ad acta che
adotti, in sostituzione dell'amministrazione
inadempiente, i provvedimenti necessari per
l'ottemperanza al giudicato (Consiglio di
Stato, Sez. V,
sentenza 23.07.2010 n. 4841 -
massima tratta da
www.diritto24.ilsole24ore.com - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Giudizio di ottemperanza
- Esecuzione delle sentenze recanti
l'autorizzazione al cambio di destinazione
d'uso da abitazione a laboratorio medico e
la concessione in sanatoria per la
trasformazione di un garage interrato in
locale commerciale - Inottemperanza -
Obbligo della P.A. di dare esecuzione al
giudicato - Nomina di un commissario ad acta
in caso di ulteriore inadempimento.
E' fondato e meritevole di accoglimento il
ricorso esperito per l'esecuzione del
giudicato formatosi in merito
all'annullamento della concessione edilizia
recante l'autorizzazione al cambio di
destinazione d'uso da abitazione a
laboratorio medico e della concessione in
sanatoria rilasciata per la trasformazione
di un garage interrato in locale commerciale
ed artigianale, ove, a seguito della
notificazione della sentenza al Comune, sia
stata constatata l'inerzia della P.A. in
ordine all'esecuzione della decisione.
La
sentenza fa sorgere a carico
dell'amministrazione comunale l'obbligo di
adeguare la situazione di fatto degli
immobili a quella di diritto; ne consegue,
in accoglimento della pronuncia, l'ordine di
dar esecuzione al giudicato con l'avvertenza
che in caso di inutile decorso del termine
assegnato si procederà alla nomina di un
commissario ad acta che adotti, in
sostituzione dell'amministrazione
inadempiente i provvedimenti necessari per
l'ottemperanza al giudicato (massima tratta
da www.diritto24.ilsole24ore.com -
Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 23.07.2010 n. 4841
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Non
v'è dubbio in ordine alla qualificazione
della sopraelevazione di un edificio alla
stregua di una nuova costruzione per cui
essa deve rispettare le norme di legge e del
piano a tale riguardo.
Il collegio osserva al riguardo che non v’è
dubbio in giurisprudenza in ordine alla
qualificazione della sopraelevazione di un
edificio alla stregua di una nuova
costruzione (ad esempio, in epoca recente,
cons. Stato, 31.03.2009, n. 1998; cass.,
11.06.2008, n. 15527), per cui essa deve
rispettare le norme di legge e del piano a
tale riguardo: la scheda d’ambito prodotta
dalla ricorrente in data 08.04.2009 come
documento sub-13 prescrive una distanza dal
confine metri cinque ed una distanza tra le
pareti finestrate di metri dieci
(TAR Liguria. Sez. I,
sentenza 10.07.2009 n. 1736 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
balcone aggettante può essere ricompreso nel
computo della distanza tra edifici solo nel
caso in cui una norma di piano preveda ciò,
posto che uno sporto come quello effigiato
in atti non integra la specie
dell’intercapedine dannosa che legittima
l’applicazione della norma di ordine
pubblico derivante dal d.m. 02.04.1968, n.
1444 (vengono pertanto in applicazione le
norme di piano, ed a tale stregua si osserva
che l’art. 4 del vigente PUC di Varazze
attribuisce rilevanza ai fini del calcolo
delle distanze solo ai balconi che superano
la misura di m. 1,20, circostanza che
incombeva alla ricorrente comprovare e che
risulta invece senza riscontri in atti,
derivandone l’infondatezza del motivo).
A tale proposito l’amministrazione ha
considerato legittimo il progetto assentito,
dal quale risulta che la distanza tra lo
spigolo più vicino della casa della
ricorrente e la parte meno rientrante della
sopraelevazione in progetto supera i dieci
metri lineari: l’interessata eccepisce che
non s’è tenuto conto dei balconi sporgenti
dalla facciata della sua casa, che
contribuiscono al computo delle distanze (tar
Campania, Napoli, 23.04.2007, n. 4215, cass.,
31.05.2006, n. 12964).
Il tribunale rileva che il balcone
aggettante può essere ricompreso nel computo
della distanza ai sensi della norma in
questione solo nel caso in cui una norma di
piano preveda ciò, posto che uno sporto come
quello effigiato in atti non integra la
specie dell’intercapedine dannosa che
legittima l’applicazione della norma di
ordine pubblico derivante dal d.m.
02.04.1968, n. 1444: vengono pertanto in
applicazione le norme di piano, ed a tale
stregua si osserva che l’art. 4 del vigente
PUC di Varazze attribuisce rilevanza ai fini
del calcolo delle distanze solo ai balconi
che superano la misura di m. 1,20,
circostanza che incombeva alla ricorrente
comprovare e che risulta invece senza
riscontri in atti, derivandone
l’infondatezza del motivo
(TAR Liguria. Sez. I,
sentenza 10.07.2009 n. 1736 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Mentre
rientrano nella categoria delle sporgenze,
non computabili ai fini delle distanze,
soltanto gli elementi con funzione meramente
ornamentale, di rifinitura od accessoria,
come le mensole, le lesene, i cornicioni, le
canalizzazioni di gronda e simili,
costituiscono corpi di fabbrica, computabili
nelle distanze fra costruzioni, le sporgenze
di particolari dimensioni, come i balconi,
costituite da solette aggettanti anche se
scoperte, di apprezzabile profondità ed
ampiezza.
In tema di distanze legali fra edifici non
sono computabili le sporgenze esterne del
fabbricato che abbiano funzione meramente
ornamentale, mentre costituiscono corpo di
fabbrica le sporgenze degli edifici aventi
particolari proporzioni, come i balconi
sostenuti da solette aggettanti, anche se
scoperti, ove siano di apprezzabile
profondità e ampiezza, giacché, pur non
corrispondendo a volumi abitativi coperti,
rientrano nel concetto civilistico di
costruzione, in quanto destinati ad
estendere ed ampliare la consistenza dei
fabbricati.
Ai fini del computo delle distanze, assumono
rilievo tutti gli elementi costruttivi,
anche accessori, qualunque ne sia la
funzione, aventi i caratteri della solidità,
della stabilità e della immobilizzazione,
salvo che non si tratti di sporti ed oggetti
di modeste dimensioni con funzione meramente
decorativa e di rifinitura, tali da potersi
definire di entità trascurabile rispetto
all'interesse tutelato dalla norma
riguardata nel suo triplice aspetto della
sicurezza, della salubrità e dell'igiene.
In tema di distanze fra edifici, infatti,
per consolidato orientamento della
giurisprudenza amministrativa, mentre
rientrano nella categoria delle sporgenze,
non computabili ai fini delle distanze,
soltanto gli elementi con funzione meramente
ornamentale, di rifinitura od accessoria,
come le mensole, le lesene, i cornicioni, le
canalizzazioni di gronda e simili,
costituiscono corpi di fabbrica, computabili
nelle distanze fra costruzioni, le sporgenze
di particolari dimensioni, come i balconi,
costituite da solette aggettanti anche se
scoperte, di apprezzabile profondità ed
ampiezza (cfr: TAR Campania, Napoli, Sez. II,
23.04.2007 n. 4215).
Anche la Corte di Cassazione è pacificamente
orientata nel senso di ritenere che “In
tema di distanze legali fra edifici non sono
computabili le sporgenze esterne del
fabbricato che abbiano funzione meramente
ornamentale, mentre costituiscono corpo di
fabbrica le sporgenze degli edifici aventi
particolari proporzioni, come i balconi
sostenuti da solette aggettanti, anche se
scoperti, ove siano di apprezzabile
profondità e ampiezza, giacché, pur non
corrispondendo a volumi abitativi coperti,
rientrano nel concetto civilistico di
costruzione, in quanto destinati ad
estendere ed ampliare la consistenza dei
fabbricati” (Cass. Civ., Sez. II,
26.05.2006 n. 12964).
Deve quindi concludersi nel senso che, ai
fini del computo delle distanze, assumono
rilievo tutti gli elementi costruttivi,
anche accessori, qualunque ne sia la
funzione, aventi i caratteri della solidità,
della stabilità e della immobilizzazione,
salvo che non si tratti di sporti ed oggetti
di modeste dimensioni con funzione meramente
decorativa e di rifinitura, tali da potersi
definire di entità trascurabile rispetto
all'interesse tutelato dalla norma
riguardata nel suo triplice aspetto della
sicurezza, della salubrità e dell'igiene
(TAR Sardegna, Sez. II,
sentenza 06.04.2009 n. 432 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Ai proprietari di immobili
frontisti è riconosciuta una posizione di
uso speciale della strada dalla quale hanno
accesso ai loro beni, poiché da essa essi
traggono un’utilità diversa e maggiore di
quella accordata alla collettività, non
limitandosi a transitarvi, ma utilizzandola
quale tramite per l’accesso alle loro
proprietà, senza bisogno di costituire
servitù di passaggio, sicché sono titolari
di una posizione di interesse legittimo nei
confronti dell’amministrazione proprietaria.
In linea con tali rilievi, del resto, si è
posta parte della giurisprudenza, affermando
che “ai proprietari di immobili frontisti
è riconosciuta una posizione di uso speciale
della strada dalla quale hanno accesso ai
loro beni, poiché da essa essi traggono
un’utilità diversa e maggiore di quella
accordata alla collettività, non limitandosi
a transitarvi, ma utilizzandola quale
tramite per l’accesso alle loro proprietà,
senza bisogno di costituire servitù di
passaggio, sicché sono titolari di una
posizione di interesse legittimo nei
confronti dell’amministrazione proprietaria”
(Cassazione civile, Sezione III, 18.07.2003
n. 11242)
(TAR Campania-Salerno Sez. II,
sentenza 25.05.2005 n. 834 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
AGGIORNAMENTO AL 02.07.2012 |
ã |
UTILITA' |
APPALTI:
Slides Travaglini sulle cause di
esclusione dopo il decreto sviluppo 2011 e
le manovre Monti.
Pubblichiamo
le slides 15.06.2012 predisposte dal
dott. Travaglini di Confindustria Vicenza
per il convegno di Arzignano sulle cause di
esclusione dalle gare di appalto,
ringraziando sentitamente l'autore (tratto
da e link a http://venetoius.myblog.it). |
DIPARTIMENTO
FUNZIONE PUBBLICA |
ATTI AMMINISTRATIVI - PUBBLICO IMPIEGO: Oggetto:
chiarimenti in ordine all'applicazione
dell'art. 2, l. 07.08.1990 n. 241, nel testo
modificato dall'art. 1, d.l. 09.02.2012, n.
5
(circolare
10.05.2012 n. 4/2012). |
SINDACATI |
PUBBLICO IMPIEGO:
Incentivi all'esodo e danno
erariale
(CGIL-FP dfi Bergamo,
nota 25.06.2012). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Revisione della spesa pubblica:
nuovi tagli per i pubblici dipendenti?
(CGIL-FP dfi Bergamo,
nota 23.06.2012). |
GURI - GUUE -
BURL (e anteprima) |
EDILIZIA PRIVATA:
B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 27 del
02.07.2012, "Precisazioni relative alle
disposizioni per l’efficienza energetica in
edilizia, approvate con d.g.r. 8745/2008,
con riferimento al recupero abitativo dei
sottotetti e della certificazione energetica
in presenza di unità immobiliari con più
destinazioni d’uso" (circolare
regionale 26.06.2012 n. 3). |
AMBIENTE-ECOLOGIA -
EDILIZIA PRIVATA - INCARICHI PROGETTUALI: G.U.
26.06.2012 n. 147, suppl. ord. n. 129/L, "Misure
urgenti per la crescita del Paese"
(D.L.
22.06.2012 n. 83).
---------------
Le disposizioni del Decreto Legge sono
già in vigore; tra queste ricordiamo:
● Innalzamento della detrazione per
ristrutturazione (dal 36% al 50%)
● Credito di imposta per le nuove assunzioni
di profili altamente qualificati
● Tariffe minime nelle gare
● Ripristino Iva sull'invenduto
● Semplificazioni per i titoli abilitativi
(SCIA e DIA)
● Sospensione del Sistri
● Finanziamenti green economy
● Possibilità di costituire “Srl
semplificata” anche agli over 35
In allegato a questo articolo, oltre al
testo del Decreto, riproponiamo
il documento di sintesi delle principali
disposizioni elaborato da BibLus-net
(commento tratto da e link a
http://www.acca.it). |
SICUREZZA LAVORO: Linee
Guida Regionali per la Sorveglianza
Sanitaria in Edilizia: aggiornamento del
decreto Direttore Generale Giunta Regionale
31.10.2002 n. 20647 (decreto
D.G. 19.06.2012 n. 5408).
---------------
Regione Lombardia: ecco
le Linee Guida per la sorveglianza sanitaria
in edilizia.
Le malattie professionali in edilizia sono
le più numerose tra quelle riconosciute
dall’Inail, nonostante sia notoria la
sottostima di tale fenomeno.
Al riguardo, la Regione Lombardia ha
approvato le nuove “Linee Guida Regionali
per la Sorveglianza Sanitaria in Edilizia”,
con il Decreto n. 5408 del 19.06.2012.
Le linee guida, seppur di carattere
regionale, offrono utili indicazioni a tutti
gli operatori della prevenzione, pubblici e
privati, ai medici competenti, ai medici
delle ASL, ai datori di lavoro, ai RSPP, ai
RLS e lavoratori del settore edile,
Il documento è così strutturato:
Parte 1
Þ
Visita ed accertamenti sanitari periodici
Þ
Visite di minori, apprendisti e studenti
della scuola edile
Þ
Accertamenti finalizzati ad escludere o
identificare l’assunzione di sostanze
stupefacenti
Þ
Vaccinazioni
Parte 2
Þ
Esami integrativi per i lavoratori esposti
ad AMIANTO
Þ
Esami integrativi per i lavoratori esposti a
SILICE
Þ
Esami integrativi per i lavoratori esposti a
IPA
Þ
Esami integrativi per i lavoratori che
svolgono attività in quota in sospensione su
funi
Parte 3
Þ
Accertamenti sanitari a richiesta del
lavoratore
Þ
Accertamenti sanitari nel caso di cambio di
mansione del lavoratore
Þ
Accertamenti sanitari nel caso di ripresa
del lavoro dopo assenza per motivi di salute
di durata superiore ai 60 giorni
Þ
Accertamenti sanitari a fine rapporto di
lavoro
Þ
Titolari di impresa, artigiani e
lavoratori autonomi del settore edile che
svolgono attività a rischio come i
lavoratori dipendenti (commento tratto
da www.acca.it). |
AUTORITA'
VIGILANZA CONTRATTI PUBBLICI |
APPALTI FORNITURE E SERVIZI:
FAQ - Risposte a quesiti frequenti sui
“requisiti speciali” dei fornitori e dei
prestatori di servizi per l’affidamento
degli appalti di servizi e di forniture
(aggiornato
al 06.06.2012) (link a
www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI:
FAQ - Istruttoria per i pareri non
vincolanti su questioni insorte durante lo
svolgimento delle procedure di gara (Precontenzioso)
(aggiornato
al 06.06.2012) (link a
www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI:
FAQ - Tracciabilità dei flussi finanziari
(aggiornato
al 14.03.2012)
(link a www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI:
FAQ - Acquisizioni in economia di lavori,
beni e servizi (aggiornato
all’11.04.2012) (link a
www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI:
FAQ - Obblighi informativi verso
l’Autorità di cui all’articolo 7, comma 8,
DEL D.LGS. n. 163/2006 (aggiornato
al 23.11.2011)
A - QUESITI DI NATURA GENERALE
B - QUESITI RELATIVI ALLA FASE DI
AGGIUDICAZIONE O DI DEFINIZIONE DI PROCEDURA
NEGOZIATA
C - QUESITI RELATIVI ALLA FASE INIZIALE DI
ESECUZIONE DEL CONTRATTO
D - QUESITI RELATIVI ALLA FASE DI ESECUZIONE
E AVANZAMENTO DEL CONTRATTO
E - QUESITI RELATIVI ALLA SCHEDE DI
RILEVAZIONE BASATE SU EVENTI (link a
www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI:
FAQ - Controlli sul possesso dei
requisiti di cui all’articolo 48 del d.lgs.
n. 163/2006 (aggiornato
al 28.03.2011) (link a
www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI:
FAQ - Contributi in sede di gara (aggiornato
all'01.03.2011)
(link a www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI:
FAQ - “Decreto” o “determina” a contrarre
di cui all’art. 11 del d.lgs. n. 163/2006 e
s.m. (aggiornato
al 26.01.2011) (link a
www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI:
FAQ - Documento unico di regolarità
contributiva (DURC) (aggiornato
al 26.01.2011) (link a
www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI:
FAQ - Verifica di congruità delle offerte
(aggiornato
al 26.01.2011) (link a
www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI:
FAQ - Istruttoria dei quesiti giuridici
(aggiornato
al 26.01.2011)
(link a www.autoritalavoripubblici.it). |
DOTTRINA E
CONTRIBUTI |
EDILIZIA PRIVATA: M.
Acquasaliente,
L’autorizzazione paesaggistica può essere
rilasciata se l'intervento contrasta con la
disciplina urbanistico-edilizia? (link a
http://venetoius.myblog.it). |
APPALTI:
S. De Blasi,
Annullamento del bando e responsabilità
precontrattuale: Tar Puglia-Lecce, Sez. III,
sentenza 25.01.2012 n. 139 (Appalti –
annullamento – autotutela – revoca –
interesse pubblico – responsabilità
precontrattuale – buona fede – correttezza)
(link a www.diritto.it). |
QUESITI &
PARERI |
AMBIENTE-ECOLOGIA: Se
le emissioni moleste non sono quotidiane si
ha diritto al risarcimento del danno?
(21.06.2012 - link a www.ambientelegale.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA: A
quali condizioni i materiali provenienti da
demolizioni sono sottoprodotti?
(21.06.2012 - link a www.ambientelegale.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA: Come
saranno regolati i processi di riciclaggio
di pile e accumulatori?
(21.06.2012 - link a www.ambientelegale.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA: SISTRI:
sospensione o rinvio?
(21.06.2012 - link a www.ambientelegale.it). |
CORTE DEI
CONTI |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO:
Art. 76, comma 7, D.L. 112/2008 ,
Turn-over.
La Corte dei Conti, sezione Regionale
Marche, con il parere
14.06.2012 n. 29 risponde al Comune
di Macerata che con nota a firma del suo
Sindaco ha formulato, ai sensi dell’art. 7,
comma 8, della L. 131/2003, una richiesta di
parere in materia di personale e,
segnatamente, in ordine alla corretta
interpretazione del vincolo previsto
dall’art. 76, comma 7, DL 112/2008 (c.d.
turn-over).
Richiamate, in particolare, la normativa
vigente, le interpretazioni rese dalle
diverse Sezioni regionali della Corte dei
conti e le indicazioni fornite dal
Dipartimento della Funzione pubblica, il
Comune istante chiede di conoscere il
motivato avviso della Sezione in ordine alla
possibilità di riportare nell’esercizio
finanziario 2012 le quote di turn-over non
utilizzate nel precedente esercizio 2011
svolgendo, peraltro, a sostegno della tesi
favorevole circostanziate ed articolate
argomentazioni.
Queste le conclusioni della Corte dei Conti:
“Venendo alla questione prospettata dal
Comune di Macerata circa la possibilità per
gli Enti di usufruire negli esercizi
successivi delle quote di turn-over non
utilizzato nessun riferimento positivo è
dato rinvenire. La stessa Sezione, invero,
con la recente deliberazione n.
176/PAR/2012, pur mantenendo ferme le
considerazioni svolte in precedenza, ha
rilevato come “pur in assenza di una
normativa o di prassi interpretativa ad hoc
che attribuisca agli enti locali la facoltà
di utilizzare i resti delle cessazioni degli
anni pregressi si ritiene che i principi
vigenti in materia non escludono tale
possibilità”.
Il Collegio ritiene non sussistano i
presupposti per discostarsi da questo
ulteriore orientamento che condivide e fa
proprio.” (tratto da www.publika.it). |
ENTI LOCALI - SEGRETARI COMUNALI: Corte
dei conti. Mobilità ammessa. Segretari
comunali nei costi di personale.
Per la Corte dei conti (sezione autonomie,
deliberazione
30.05.2012 n. 8) le norme che
regolano il ruolo, le funzioni e lo status
dei segretari comunali e provinciali non
giustificano una posizione funzionale
all'interno degli enti locali diversa da
quella attuale. Non si può dunque prevedere
che le relative spese siano allocate in
bilancio diversamente da quelle per il
personale dipendente degli stessi enti.
In
altri termini, la tesi secondo la quale le
assunzioni dei segretari comunali e
provinciali, essendo prive di limitazioni,
non consentono di considerare neutre le
relative mobilità (articolo 1, comma 47,
della legge 311/2004) è smentita
dall'assunto della stessa sezione autonomie
della Corte dei conti. La decisione della
Corte appare risolutiva, dunque, anche del
problema della mobilità dei segretari in
altre amministrazioni.
L'altro orientamento
In base alla circolare del dipartimento
della Funzione pubblica, emanata
congiuntamente alla Ragioneria generale
dello Stato il 22.02.2011, le
assunzioni dei segretari comunali e
provinciali sarebbero escluse dai vincoli
sulle assunzioni e la conseguente mobilità
«ad eccezione dei segretari collocati in
disponibilità nell'elenco di cui
all'articolo 34 del Dlgs 165/2001 non
sarebbe neutra sotto il profilo contabile.
Ciò in quanto l'assunzione degli stessi è
autorizzata in relazione ad un fabbisogno
che non trova copertura finanziaria in un
budget appositamente dedicato dalla legge.
La relativa assunzione è quindi priva di
vincoli normativi specifici. In caso
contrario, si avrebbe un'alterazione dei
livelli occupazionali, rigidamente
controllati finanziariamente, in quanto
l'assunzione di segretari comunali potrebbe
fungere da serbatoio che alimenta le
amministrazioni sottoposte a vincoli».
Questa tesi è dunque smentita dalla Corte
dei conti.
D'altronde, dall'esame del Dpr del ministero
dell'Interno del 21.04.2011 con cui si
autorizzava ad assumere a tempo
indeterminato segretari comunali e
provinciali, si desume come gli oneri
connessi alle assunzioni siano posti
(articolo 3 del Dpr) «a carico del bilancio
degli enti locali presso i quali i segretari
presteranno servizio in qualità di
titolari»: l'affermazione ben si concilia
con la considerazione che il rapporto di
lavoro si instaura solo con la prima nomina
a cura del sindaco di un Comune di classe
adeguata e conseguente entrata in servizio
dei segretari comunali e provinciali di
prima nomina e non certo con l'inserimento
nell'ambito nell'Albo regionale a cura del
ministro dell'Interno e delle singole
prefetture
(articolo Il Sole 24
Ore del 25.06.2012). |
NEWS |
PUBBLICO IMPIEGO: I dipendenti comunali
che non fanno il loro dovere si possono
licenziare. Un sindaco del Veronese ne ha
già mandati a casa sei. E spiega come.
Lo chiamano SuperMario ma Ballotelli, il
bomber azzurro, non c'entra. L'accostamento
giusto è appunto al personaggio dei
videogiochi Nintendo, l'idraulico tuttofare
inarrestabile nell'aggiustare tutto. È Mario
Faccioli, sindaco di Villafranca di Verona
che licenzia i dipendenti comunali e non fa
pagare l'Imu.
SuperMario, classe 1964, da Nagrar (Verona),
perito in telecomunicazioni e impiegato
nella vita, guida il municipio a capo di una
lista civica ma è pidiellino lato An, come
molti da quelle parti, tanto che sotto
quelle insegne ha già fatto il consigliere
provinciale. SuperMario è diventato tale
agli occhi dei suoi 34mila amministrati da
quando s'è messo a usare il pugno duro nel
suo municipio. Non discorsi ma lettere di
richiamo ai dipendenti fannulloni e, in casi
di infedeltà clamorosa, licenziamenti veri e
propri. Un Renato Brunetta della Bassa
veronese che, a differenza dell'ex-ministro
veneziano, non scherza affatto: di travet
furbetti ne ha già cacciati ben sei. Fra
loro, un impiegato che prendeva soldi
indebitamente per pratiche funerarie, un
altro che aveva chiesto e ottenuto una
tangente da 10mila euro e un'altra ancora
che godeva permessi per assistere familiari
e che, al contrario, se ne andava
all'università. Con buona pace di chi
ritiene che i dipendenti statali godano
dell'impunità totale, anche i presenza di
mancanze gravi.
«Le norme per poterlo fare ci sono. Eccome»,
ha spiegato giorni fa al Corriere Veneto, «e
siccome sono un pignolo le conosco. È lo
stesso contratto nazionale che ti permette
di agire. E devi farlo subito, altrimenti
diventa tutto più difficile...». Il segreto?
Il puntiglio. «Sono una zecca fastidiosa e
mi controllo tutti gli atti amministrativi»,
ha chiarito, «non dico che sia facile ma è
probabile trovare anomalie in certi
comportamenti. Sono un pignolo, ripeto,
controllo tutto, faccio rifare. Basta fare
degli incroci e, se c'è qualcosa che non va,
lo scopri...».
Ma non basta essere vigili, non è
sufficienti essere attenti, SuperMario
sindaco ha svelato che occorre anche la
prontezza: «Bisogna anticipare l'atto
penale», ha teorizzato, «perché, quando
inizia l'iter in tribunale, sei fregato,
devi aspettare i tre gradi di giudizio prima
di licenziare. Ma se lo fai prima, avendo
tutte le carte che dimostrano la bontà del
tuo provvedimento, è fatta» Come? «Verifico
gli atti con i miei legali e applico il
licenziamento senza preavviso. Lo dico anche
ai miei colleghi sindaci: se conosci le
norme puoi fare».
Lui le norme dice di averle imparate
nientemeno che nel vecchio Movimento sociale
italiano, in cui militava sin da ragazzo,
tanto che amici e nemici ormai lo chiamano
«il Dux di Villaffranca», in omaggio alle
sue capacità di leadership certo, ma anche
al Capo cui il Msi si richiamava: Benito
Mussolini. «Un partito che faceva
formazione, che ti preparava», ha sospirato
e, sulla scorta di quel ricordo un po'
nostalgico, s'è dichiarato piuttosto
pessimista sulle sorti della politica
attuale: «A tutti i livelli, regionale,
provinciale o locale, molti non hanno una
preparazione politico-amministrativa», ha
osservato mestamente, «oggi si pensa alle
preferenze, alle lobby, non al buongoverno».
Critiche che valgono anche per il suo
partito, il Pdl: «È una storia che mi piace
poco», aveva già ammesso ai microfoni di
Radio Padova, «e sarebbe errato dire che è
una brutta cosa perché ha nei suoi principi
cose belle, ma non siamo stati all'altezza
come classe dirigente, a tutti livelli.
Abbiamo perso il senso dell'appartenenza».
Lui appartiene ai suoi amministrati e, nel
suo piccolo, fa cose importanti: per esempio
ha rinunciato alla quota di Imu di spettanza
municipale, alleggerendo di molto il
prelievo sul cittadino. «Come ho fatto? Da
quando hanno tolto l'Ici abbiamo
ristrutturato le nostre finanze: via mutui,
costi ridotti, nessuna auto di servizio,
niente telefonini, niente mazzette dei
giornali», ha chiarito, «siamo riusciti a
mantenere i servizi essenziali o ora
possiamo anche non chiedere l'Imu». Un duro
che però i suoi collaboratori li difende:
«Ho dei dipendenti di prim'ordine e non
voglio che, per il mal agire di qualcuno, si
pensi che tutti sono dei lavativi. Io li
voglio sul pezzo. E gli faccio la posta». A
suo modo gli vuol bene, SuperMario.
Con lui
l'antipolitica non avrebbe vita facile. Su YouTube circola ancora un video dei grillini
che lo ritrae mentre li ringrazia per le
riprese dei lavori in consiglio comunale:
una prassi contro cui più di un suo collega,
a destra e a sinistra, s'era ribellato. Lui,
invece, sorrideva lieve. O forse sfotteva
(articolo ItaliaOggi del
30.06.2012 - link a
www.ecostampa.it). |
CONSIGLIERI COMUNALI: OSSERVATORIO VIMINALE/ Numero legale fai-da-te.
Il regolamento indica il quorum per le
sedute. Per l'elezione del
presidente alla terza votazione basta la
maggioranza assoluta.
Può ritenersi validamente costituito, ai
fini dell'elezione del presidente, un
consiglio comunale con un numero di
consiglieri inferiore a quello dei due terzi
prescritto per l'elezione in questione?
La disciplina del numero legale per la
validità delle adunanze, «quorum
strutturale», e delle votazioni, «quorum
funzionale o deliberativo», di cui all'art.
38 del dlgs n. 267/2000, si limita a
disporre che «il regolamento indica il
numero dei consiglieri necessario per la
validità delle sedute, prevedendo che in
ogni caso debba esservi la presenza di
almeno un terzo dei consiglieri assegnati
per legge all'ente, senza computare a tal
fine il sindaco».
Nel caso di specie, per quanto riguarda il
quorum strutturale, lo statuto comunale
prevede che «le sedute del consiglio
comunale sono valide con la presenza di 16
consiglieri, o in seconda convocazione, con
almeno undici di essi, computando a tal fine
anche il sindaco», facendo salvi i casi in
cui la legge o lo stesso Statuto «richiedano
una maggioranza qualificata o dispongano
particolari modalità di votazione».
Per lo specifico quorum funzionale, invece,
lo statuto prevede che «il presidente è
eletto tra i consiglieri con il voto
favorevole dei due terzi dei componenti il
consiglio comunale. Qualora tale maggioranza
non venga raggiunta, si procederà a una
nuova votazione con le stesse modalità della
prima. In caso di ulteriore esito negativo,
si procederà a una terza votazione, nella
quale sarà sufficiente raggiungere il voto
favorevole della maggioranza assoluta dei
componenti il consiglio».
Il regolamento consiliare, peraltro,
ribadisce sostanzialmente il contenuto delle
norme statutarie senza apportare ulteriori
integrazioni alle modalità di elezione del
presidente.
Pertanto, in base alle disposizioni sopra
richiamate, per la validità della seduta
sarà necessario il raggiungimento del quorum
strutturale indicato, ovvero la presenza di
16 consiglieri.
Ne consegue che, accertata la validità della
seduta con la presenza del numero dei
consiglieri prescritto dallo statuto,
qualora le prime due votazioni, che
necessitano del voto favorevole di due terzi
dei componenti, dovessero risultare
infruttuose, si potrà procedere alla terza
votazione per la quale è richiesta la
maggioranza assoluta.
Diversamente, qualora si accogliesse la tesi
secondo cui il quorum funzionale iniziale
dei due terzi dei componenti del consiglio
rende necessitato il raggiungimento del
medesimo quorum ai fini della validità della
seduta, ne deriverebbe l'oggettiva
impossibilità, in carenza del suddetto
quorum, di procedere alla terza votazione.
Tale conclusione è incongruente con il
meccanismo contemplato dalla norma
statutaria in argomento, mirante a pervenire
necessariamente all'elezione del presidente.
Si soggiunge, infatti, che il presidente è
un organo obbligatorio previsto dal nostro
ordinamento che svolge funzioni fondamentali
per l'attività del consiglio comunale e ne
garantisce l'ordinato svolgimento dei lavori
a tutela e garanzia della vita democratica
dell'ente stesso
(articolo ItaliaOggi del 29.06.2012 - link a
www.ecostampa.it). |
PUBBLICO IMPIEGO - VARI: La
malattia in vacanza non mina le ferie
retribuite.
Le ferie annuali retribuite sono un diritto
inviolabile. E come tali, non possono essere
sottratte al lavoratore nemmeno se
l'incapacità lavorativa dovesse sopravvenire
proprio durante il periodo di vacanza.
Lo ha
stabilito la Corte di giustizia europea
confermando il diritto a recuperare le ferie
non godute. Il ricorso è arrivato su istanza
del Tribunal supremo spagnolo (Corte
suprema) chiamato a dirimere la causa
intentata dai sindacati dei lavoratori dei
grandi magazzini contro l'Associazione
nazionale delle grandi imprese di
distribuzione (Anged). I primi miravano a
far riconoscere il diritto dei lavoratori di
beneficiare delle ferie annuali retribuite
anche quando fossero coincise con periodi di
congedo per incapacità lavorativa.
Di parere
contrario l'Anged secondo cui «i lavoratori
che si trovano in una situazione di
incapacità lavorativa -prima dell'inizio di
un periodo di ferie previamente stabilito, o
nel corso di tale periodo- non hanno alcun
diritto di beneficiare delle ferie». Ebbene,
la Corte di giustizia europea ha
sottolineato come il diritto alle ferie
annuali retribuite debba essere considerato
come un principio particolarmente importante
del diritto sociale, sancito dalla Carta dei
diritti fondamentali dell'Ue. E come tale
non può essere interpretato in senso
restrittivo.
Secondo i giudici europei, lo
scopo del diritto alle ferie annuali è
quello di consentire al lavoratore di
riposarsi e di beneficiare di un periodo di
distensione e di ricreazione. Le finalità
sono quindi diverse da quelle del diritto al
congedo per malattia, volto a consentire al
lavoratore di ristabilirsi da una malattia
che dà luogo a incapacità lavorativa. La
Corte Ue ha così rigettato le motivazioni
dell'Anged dichiarando che «un lavoratore
che si trovi in una situazione d'incapacità
lavorativa prima dell'inizio di un periodo
di ferie retribuite ha diritto di
beneficiarne in un periodo diverso da quello
coincidente con il periodo di congedo per
malattia. Il momento in cui l'incapacità
sopravviene è irrilevante».
Pertanto, il lavoratore ha diritto a fruire
delle ferie annuali retribuite coincidenti
con un periodo di congedo di malattia in un
periodo successivo. E ciò indipendentemente
dal momento in cui è sopravvenuta
l'incapacità lavorativa. Sarebbe infatti
aleatorio riconoscere questo diritto al
lavoratore soltanto a condizione che questi
si trovi già in una situazione di incapacità
lavorativa all'inizio del periodo di ferie
annuali retribuite
(articolo ItaliaOggi del 27.06.2012). |
EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA: Lavori
senza gara, Italia a rischio.
Il decreto-legge n. 201 del 2011 (cosiddetto
salva Italia) ha modificato le norme
sull'esecuzione delle opere di
urbanizzazione primaria, ammettendo che
quelle d'importo inferiore alla soglia
comunitaria (5 milioni di euro) possano
essere realizzate dal titolare del permesso
di costruire, senza applicare il codice dei
contratti.
La disposizione è, di tutta evidenza, in
contrasto con l'orientamento comunitario, in
base al quale l'esecuzione delle opere di
urbanizzazione, indipendentemente dalla
natura del soggetto che realizza,
costituisce un «appalto pubblico di lavori»
e come tale dev'essere trattato all'interno
degli ordinamenti nazionali.
La disciplina antecedente faceva salva
questa impostazione, prevedendo che, a
scomputo totale o parziale degli oneri
concessori dovuti, il titolare del permesso
potesse obbligarsi a realizzare direttamente
le opere di urbanizzazione, nel rispetto del
codice dei contratti. Limitatamente alle
opere d'importo inferiore alla cosiddetta
soglia comunitaria il medesimo codice
ammetteva il ricorso a una procedura di
evidenza pubblica, seppure semplificata e
meno gravosa, rappresentata dalla cosiddetta
procedura negoziata.
L'operazione correttiva del governo Monti
non soltanto espone lo stato italiano
all'ennesima censura comunitaria, ma pone
problemi interpretativi, determinando il
rischio che la ricercata semplificazione dia
luogo a incertezza e stallo, visti gli
interrogativi cui le amministrazioni locali
dovrebbero dare una risposta prima di
applicare le nuove disposizioni.
L'interrogativo principale è: perché il
legislatore ha qualificato l'esecuzione
delle opere di urbanizzazione primaria
d'importo inferiore alla soglia comunitaria
come «a carico del titolare del permesso di
costruire» e non ha precisato, invece, che
si tratta di una prestazione obbligatoria,
effettuata dal titolare del permesso, in
alternativa al versamento degli oneri
concessori comunque dovuti e dunque a
scomputo di questi ultimi?
Nel caso in cui il governo (eludendo pure
due distinte interrogazioni presentate da
parlamentari radicali sull'argomento)
ritenga che la norma non abbia modificato
sostanzialmente il regime delle prestazioni
obbligatorie a carico del titolare del
permesso di costruire e dunque che le opere
di urbanizzazione primaria vengono comunque
effettuate «a scomputo» degli oneri
concessori dovuti, si pone comunque la
necessità di precisare la norma e di fornire
indicazioni operative.
Per questa ragione, in sede di conversione
in legge del decreto-legge per la crescita,
che contiene anche norme correttive del
testo unico per l'edilizia, sarebbe
opportuno un intervento del parlamento per
abrogare il comma 2-bis dell'art. 16 del dpr
n. 380 del 2001(modificato dal «salva
Italia») ed evitare all'Italia una probabile
procedura d'infrazione.
In via subordinata, nel caso in cui non ci
fossero le condizioni per cancellare la
norma, bisognerebbe emendare tale
disposizione, precisando in che modo debba
essere fissato il valore economico delle
opere di urbanizzazione, realizzate senza
applicare il codice dei contratti, al fine
di determinare l'importo delle somme (il
cosiddetto scomputo) che il privato detrae
da quanto dovuto a titolo di oneri
concessori.
Bisognerebbe altresì individuare la
procedura per assicurare un'appropriata e
corretta destinazione delle eventuali
economie che il privato (anche e soprattutto
grazie alla mancata applicazione del codice
dei contratti) può perseguire
nell'esecuzione delle opere
(articolo ItaliaOggi del 26.06.2012). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Se la scuola è chiusa per neve o per altre
calamità naturali l'assenza non si recupera.
Così la Fornero sulle assenze negli uffici
pubblici. Chiusi per neve, non c'è recupero.
É quanto si evince dall'interpello
07.06.2012 n. 15/2012 emanato
dal ministero del lavoro e delle politiche
sociali.
Il dicastero guidato da Elsa Fornero, è
intervenuto in risposta a un interpello
concernente la chiusura degli uffici
pubblici a Roma, durante la nevicata del
febbraio scorso.
E ha chiarito che, nel settore pubblico, la
mancata effettuazione della prestazione
lavorativa nelle giornate di chiusura può
considerarsi ascrivibile alle ipotesi di
impossibilità sopravvenuta della prestazione
per causa non imputabile al lavoratore.
«Nello specifico» si legge nella nota «la
fattispecie prospettata sembrerebbe afferire
al c.d. factum principis, inteso quale
provvedimento autoritativo –ordinanza di
chiusura degli uffici pubblici causa neve–
che impedisce in modo oggettivo ed assoluto
l'adempimento della prestazione, ossia
l'espletamento dell'attività lavorativa,
fermo restando l'obbligo datoriale di
corrispondere la retribuzione nelle giornate
indicate». Insomma se la scuola è chiusa i
docenti e i non docenti sono impossibilitati
materialmente ad erogare la prestazione. E
ciò non dipende dalla loro volontà, ma da
fatti impeditivi non rimuovibili o
modificabili dagli stessi.
Pertanto, la
prestazione non è dovuta e, soprattutto, non
deve essere recuperata. Il chiarimento del minlavoro fa il paio con la nota 1000 del 22.02.2012 del ministero dell'istruzione.
In quell'occasione il dicastero di viale
Trastevere era intervenuto per spiegare ai
dirigenti scolastici che l'anno scolastico
vale lo stesso, anche se si scende al di
sotto dei 200 giorni di lezione, quando la
riduzione avviene per il verificarsi di «eventi imprevedibili e straordinari (ad
esempio gravi calamità naturali, eccezionali
eventi atmosferici) che inducano i sindaci
ad adottare ordinanze di chiusura delle sedi
scolastiche.».
Tale conclusione era già
stata anticipata dall'ufficio scolastico
regionale per l'Abruzzo che, in merito alle
assenze dovute alla chiusura delle scuole
per neve, nel 2005 (prot. 1700) aveva fatto
presente che: «Per quanto riguarda la
questione dell' obbligo o meno al recupero
delle giornate di lavoro non prestate»
si legge nella nota «lo scrivente ritiene
che in caso di blocco totale delle attività
didattiche ed amministrative delle
istituzioni scolastiche detto obbligo non
esista, avuto riguardo alle cause di forza
maggiore non imputabili al personale»
(articolo ItaliaOggi del 26.06.2012 - link a
www.ecostampa.it). |
APPALTI - ENTI LOCALI: PAGAMENTI
P.A./ Riscossione dei crediti anticipata.
Con la certificazione l'impresa può avere
liquidità immediata. Pubblicati in GU due decreti del Mef.
È possibile anche cedere l'operazione alla
banca.
È possibile accelerare i pagamenti dei
crediti verso le pubbliche amministrazioni,
grazie a due misure ad hoc messe in campo
dal ministero dell'economia e delle finanze.
La prima misura riguarda la possibilità di
richiedere la certificazione dei crediti
verso le pubbliche amministrazioni, la
seconda di ottenere l'estinzione del credito
mediante il rilascio dei titoli di stato.
La
certificazione dei crediti permetterà di
ottenere l'anticipazione del credito dalla
banca e avere quindi subito liquidità,
oppure di effettuare la cessione del credito
in banca o in alternativa la compensazione
dei crediti verso le p.a. con le somme
iscritte a ruolo.
Certificazione dei crediti per accelerare i
pagamenti delle Pubbliche Amministrazioni.
Con decreto del 22 maggio, pubblicato sulla
Gazzetta Ufficiale n. 143 del 21 giugno
scorso (si veda ItaliaOggi del 22 giugno) il
ministero dell'economia e delle Finanze ha
definito le modalità per richiedere la
certificazione del credito di somme per
somministrazione, forniture e appalti da
parte delle Amministrazioni dello Stato e
degli enti pubblici nazionali. La
certificazione dei crediti può essere
richiesta solo per crediti non prescritti,
certi, liquidi ed esigibili.
Con la
certificazione l'amministrazione o ente
debitore accetta preventivamente la
possibilità che il credito venga ceduto a
banche o intermediari finanziari abilitati
ai sensi della legislazione vigente. Gli
obbiettivi di questa misura, possono essere
così riassunti: fornire liquidità alle
imprese, rendere semplice per fornitori e
debitori il meccanismo della certificazione,
superando la frammentazione sul territorio,
ridurre il rischio di inerzia della pubblica
amministrazione ed infine favorire una
risoluzione per i debiti iscritti a ruolo.
Come presentare l'istanza di certificazione
del credito. La certificazione del credito
può essere richiesta in maniera ordinaria
(cartacea), oppure in maniera telematica. Al
momento la possibilità di presentare
l'istanza cartacea è già operativa, mentre
per la modalità telematica sarà necessario
attendere qualche mese affinché la
piattaforma telematica sia attivata.
Nel caso della procedura cartacea il
procedimento è il seguente: i titolari dei
crediti possono presentare
all'amministrazione o ente debitore
l'istanza di certificazione del credito
utilizzando il modello allegato 1
disponibile sul sito web del Mef. Entro 60
giorni dalla ricezione dell'istanza
l'amministrazione o ente debitore, certifica
che il credito è certo, liquido ed
esigibile, oppure ne rileva l'insussistenza
o l'inesigibilità, anche parziale del
credito. La certificazione non può essere
rilasciata qualora risultino procedimenti
giurisdizionali pendenti, per la medesima
ragione di credito.
Prima di rilasciare la
certificazione, per i crediti di importo
superiore a diecimila euro,
l'amministrazione o ente debitore procede,
ricorrendone i presupposti, alla verifica
prescritta dall'art. 48-bis del decreto del
Presidente della Repubblica 29.09.1973, n. 602. Nel caso di accertata
inadempienza all'obbligo di versamento
derivante dalla notifica di una o più
cartelle di pagamento, la certificazione ne
da' atto e viene resa al lordo delle somme
ancora dovute, il cui importo viene comunque
indicato nella certificazione medesima.
Possibile la compensazione dei crediti vs le
p.a. con le somme iscritte a ruolo. Nel caso
di esposizione debitoria del creditore nei
confronti della stessa amministrazione, il
credito può essere certificato, e
conseguentemente ceduto o oggetto di
anticipazione, al netto della compensazione
tra debiti e crediti del creditore istante
opponibile esclusivamente da parte
dell'amministrazione debitrice.
Come procedere se entro la scadenza prevista
la p.a. non certifica il credito. Se entro
60 giorni dalla presentazione dell'istanza
di certificazione l'Amministrazione
debitrice non rilascia la certificazione ne
rileva l'inammissibilità del credito, il
creditore può presentare istanza di nomina
di un commissario ad acta alla competente
Ragioneria territoriale dello Stato
utilizzando l'apposito allegato 1-bis,
disponibile sul sito del Mef. Il direttore
della competente Ragioneria territoriale
dello Stato, entro il termine di dieci
giorni dal ricevimento dell'istanza nomina
un commissario ad acta.
Il commissario ad acta provvede al rilascio della
certificazione, entro i successivi cinquanta
giorni dalla nomina, e ne da' contestuale
comunicazione. Nel caso in cui la domanda di
certificazione sia stata fatta mediante
piattaforma elettronica, anche l'istanza di
nomina di un commissario ad acta deve essere
fatta mediante la procedura informatica. Il
commissario ad acta provvede al rilascio
della certificazione
in forme telematiche utilizzando il modello
generato dal sistema, conforme all'allegato
2-bis entro i successivi cinquanta giorni
dalla nomina, e ne dà contestuale
comunicazione all'ente debitore
(articolo ItaliaOggi
Sette del 25.06.2012). |
ATTI AMMINISTRATIVI -
ENTI LOCALI: Decreto
sviluppo. Le «determine». Dirigenti:
decisioni da pubblicare on-line.
Gli enti locali sono
tenuti a pubblicare le determine, cioè le
decisioni dei dirigenti, sull'albo pretorio
online.
A chiudere l'incertezza sull'esistenza o no
dell'obbligo è il decreto legge sviluppo,
approvato il 15 giugno dal Consiglio dei
ministri.
Il provvedimento, infatti, punta sulla
trasparenza nei rapporti economici tra Pa,
imprese e cittadini e introduce una
disposizione (dal titolo significativo «amministrazione
aperta») che prevede la pubblicità
obbligatoria su internet delle spese
superiori a 1.000 euro: sovvenzioni,
contributi, sussidi e compensi per servizi,
incarichi e consulenze. La pubblicazione
costituirebbe condizione legale di efficacia
del titolo legittimante le concessioni e
delle attribuzioni, vale a dire compensi per
prestazioni, appalti, contributi, sussidi
eccetera.
La norma ha ricadute sugli enti locali. In
primo luogo, ha l'effetto, implicitamente,
di porre fine in via definitiva alla
problematica della sussistenza o no
dell'obbligo di pubblicare i provvedimenti
gestionali, come le determine, che
costituiscono, di fatto, il titolo per lo
svolgimento di incarichi, prestazioni e
forniture nell'ambito dell'ente locale e il
titolo per percepire i compensi.
Finora, infatti, vi è stata incertezza
sull'obbligo di pubblicare le determine
sull'albo pretorio informatico comunale:
alcuni enti ritengono che questo obbligo
normativo non sussista, non ritenendo di
portata generale la sentenza del Consiglio
di Stato 1370 del 2006 secondo la quale «la
pubblicazione all'albo pretorio del Comune è
prescritta dall'articolo 124 del Testo unico
267/2000 per tutte le deliberazioni del
comune e della provincia ed essa riguarda
non solo le deliberazioni degli organi di
governo (consiglio e giunta municipali) ma
anche le determinazioni dirigenziali,
esprimendo la parola "deliberazione" ab
antiquo sia risoluzioni adottate da organi
collegiali che da organi monocratici ed
essendo l'intento quello di rendere pubblici
tutti gli atti degli enti locali di
esercizio del potere deliberativo,
indipendentemente dalla natura collegiale o
meno dell'organo emanante».
In base al decreto sviluppo, quindi, le
determine che comportano impegni di spesa e
in specifico quelle di liquidazione,
vedrebbero al loro interno un ulteriore
elemento costitutivo, ossia la necessaria
pubblicazione del loro contenuto sul sito
web del comune. Di conseguenza, l'ufficio di
ragioneria, prima di emettere il mandato,
dovrebbe verificare l'esecuzione di questo
adempimento per evitare di incorrere in
responsabilità
(articolo Il Sole 24
Ore del 25.06.2012). |
APPALTI SERVIZI: Servizi
pubblici sotto esame. Ridefinizione per
attribuire in esclusiva o liberalizzare le
gestioni. Concorrenza. Le indicazioni
dell'Antitrust sull'attuazione del percorso
delineato dalla legge 148/2011.
La verifica per l'attribuzione dei diritti
di esclusiva serve per una complessiva
ridefinizione del servizio pubblico locale,
consentendo anche di rilevare le criticità
più significative. Lo ha chiarito l'Autorità
garante della concorrenza e del mercato,
che, per voce di Arduino D'Anna, funzionario
della Direzione servizi pubblici locali e
promozione concorrenza, durante un convegno
organizzato il 20 giugno a Bologna, ha
fornito alcune indicazioni sul percorso
previsto dall'articolo 4 della legge
148/2011: in base al quale, entro il 13
agosto, gli enti territoriali con più di
10mila abitanti devono inviare all'Authority
per il parere obbligatorio le delibere con
cui devono decidere se liberalizzare o
attribuire diritti di esclusiva sulle
gestioni.
La legge 148 riguarda i servizi pubblici di
rilevanza economica. D'Anna ha evidenziato
come la rilevanza economica derivi dalla
possibilità del gestore di realizzare ricavi
in grado di coprire i costi, a prescindere
dalla circostanza che i primi siano frutto
di sussidi pubblici. È quindi irrilevante
che il servizio possa essere reso alla
collettività senza oneri diretti a carico
degli utenti, determinando quindi uno
spettro molto ampio di servizi qualificabili
come a rilevanza economica. Da questi,
tuttavia, l'Autorità sembra escludere quelli
sociali, per il loro carattere non profit.
Viene evidenziato come l'obbligo di servizio
pubblico sia direttamente legato
all'esigenza di assicurare l'universalità e
l'accessibilità dei servizi pubblici e
corrisponda a quella parte di servizi che
qualsiasi operatore, se dovesse avere a
riguardo solo il proprio interesse
commerciale, non assumerebbe o assumerebbe
solo se adeguatamente compensato.
L'Autorità rileva come nella verifica per
l'attribuzione dei diritti di esclusiva sia
necessario analizzare il profilo economico
connesso. Infatti le compensazioni per gli
obblighi del servizio, che gli enti possono
prevedere se necessario, possono celare
inefficienze del gestore uscente, ma possono
anche violare (in caso di eccesso) le norme
comunitarie sugli aiuti di stato. In base a
questa valutazione, la scelta tra
affidamento in esclusiva dell'intero
servizio o la sperimentazione di una
concorrenza nel mercato su porzioni di
questo (con la liberalizzazione) è legata ai
possibili benefici delle due alternative
sull'ammontare complessivo delle
compensazioni e sulle tariffe pagate
dall'utenza.
Rispetto al percorso previsto dall'articolo
4 della legge 148/2011, l'Agcm focalizza
vari aspetti critici, a partire dalla
definizione degli ambiti territoriali
ottimali: sul punto l'Antitrust fornisce un
input alle Regioni, evidenziando come
l'operazione dovrebbe avvenire non su
profili amministrativi, ma in modo da
ottenere economie di scala e di
differenziazione (con peculiarità per ogni
settore). Per l'Autorità l'elemento-chiave è
individuato nella definizione dei servizi
minimi e degli obblighi di servizio
pubblico: occorre aggiornare i dati relativi
alla domanda di servizio pubblico e arrivare
a una nuova decisione politica in merito
alla quantità e qualità di questa domanda
che si intende soddisfare con l'intervento
pubblico, anche per eliminare
sovrapposizioni tra servizi.
Una volta ridefinito il servizio pubblico,
l'amministrazione dovrebbe elaborare i dati
a disposizione per tracciare una stima della
redditività reale o potenziale del servizio
o di sue singole parti. Questi dati
dovrebbero essere quindi ricondotti a un
confronto con gli operatori economici
(pubblici e privati), anche per far emergere
le attività più redditive e quelle più
critiche. A fronte dei dati elaborati e dei
riscontri del mercato, secondo l'Agcm,
l'amministrazione dovrebbe verificare
l'esistenza degli eventuali benefici che
deriverebbe dal mantenimento della gestione
in esclusiva e quindi liberalizzare tutte le
attività per le quali questi benefici non ci
sono: come le attività risultanti da
sovrapposizioni di servizi, a loro volta
desumibili dalla pianificazione.
D'Anna ha proposto, interpretando la norma,
che l'obbligatorietà della verifica dovrebbe
essere esclusa in tutti quei casi in cui la
struttura dei mercati coinvolti sia tale da
anticipare ragionevolmente l'assoluta
impossibilità di sperimentare forme di
concorrenza «nel mercato», ossia nei
casi di monopolio naturale.
---------------
le indicazioni sulle gare
01 | I LEGAMI
L'Antitrust raccomanda agli enti locali
anzitutto di evitare che la procedura
concorsuale possa risentire dell'intreccio
tra amministrazione appaltante e impresa
controllata. Attenzione quindi alle
disposizioni contenute nel bando e nel
capitolato di gara: soprattutto alla
delimitazione del servizio oggetto
dell'appalto, alla ripartizione in lotti, ai
requisiti richiesti alle imprese e ai
criteri di aggiudicazione.
02 | LE ASSOCIAZIONI
TEMPORANEE
Nella gara devono essere inserite clausole
per evitare che le associazioni temporanee
di operatori economici si configurino non
come strumenti di partecipazione, ma come
soluzioni per formare intese
anticoncorrenziali.
03 | I DIPENDENTI
Sulla clausola di tutela del personale del
gestore uscente, l'Agcm precisa che, dato
l'obiettivo principale del legislatore di
favorire la protezione dei lavoratori,
tuttavia l'obbligo di rispettare la clausola
sociale non impone un determinato modello di
contrattazione collettiva. L'Autorità ha
anzi evidenziato più volte le distorsioni
legate al fatto che un soggetto pubblico
affidante imponga un contratto per i profili
economici: la previsione riduce la
concorrenza, costituendo una barriera
all'entrata o innalzando i costi degli
operatori già presenti che adottano un
contratto di lavoro diverso.
---------------
Obblighi verso i
cittadini, compensazioni eque.
LA PRECISAZIONE/ Nei mercati «aperti» la Pa
deve permettere a tutti gli imprenditori di
settore di operare contemporaneamente.
Sono in fase di completamento le regole per
la verifica finalizzata all'attribuzione dei
diritti di esclusiva nei servizi pubblici
locali. E alcune modifiche sono state
introdotte dal Consiglio di Stato. La
sezione consultiva per gli atti normativi ha
infatti dato parere favorevole, con il
documento 2805 dell'11 giugno, allo schema
di decreto ministeriale che definisce il
percorso dell'istruttoria e dei contenuti
della delibera quadro, previsto
dall'articolo 4, comma 33-ter, della legge
148/2011, e ha proposto la riformulazione di
numerose disposizioni: modifiche destinate a
essere recepite. Inoltre, il Consiglio di
Stato ha fornito chiarimenti e alcune
definizioni essenziali.
In particolare, il Consiglio di Stato ha
spiegato che nei mercati non ancora
completamente liberalizzati (nei quali,
cioè, non possono operare tutti i soggetti
interessati), la pubblica amministrazione si
limita a rispettare la concorrenza per il
mercato: vale a dire che deve scegliere
l'imprenditore cui affidare l'erogazione di
un determinato servizio mediante procedure a
evidenza pubblica, in modo da assicurare che
vengano individuati l'operatore più idoneo a
effettuare il servizio e gli investimenti
alle migliori condizioni possibili.
In un ambito di servizi liberalizzato,
invece, deve essere assicurata la
concorrenza nel mercato, che consente agli
imprenditori del settore di operare
contemporaneamente nel mercato rilevante ad
armi pari, riuscendo a soddisfare le
esigenze della comunità amministrata, con
accesso allo stesso mercato libero o, al
più, subordinato al rilascio di
autorizzazioni vincolate.
Nel parere si chiarisce anche che in
situazioni di monopolio naturale (come nel
caso di unicità dell'impianto da gestire),
la verifica deve essere anticipata rispetto
a quella relativa alla possibilità di
procedere a una liberalizzazione, per non
appesantire inutilmente l'attività degli
enti locali.
Gli enti affidanti, inoltre, dovranno porre
attenzione particolare nell'analisi delle
compensazioni corrisposte per gli obblighi
di servizio pubblico, verificando che non
siano eccessive e che non vadano a violare,
quindi, la normativa comunitaria in materia
(Comunicazioni e decisioni della commissione
del 20.12.2011), in quanto verrebbero a
configurarsi come aiuti di Stato.
Il Consiglio di Stato evidenzia anche
l'obbligatorietà della consultazione degli
operatori economici quando non sia possibile
stimare la redditività del servizio o non
emerga con chiarezza la possibilità di
liberalizzare il servizio, o singole fasi di
esso.
Per evitare elusioni delle finalità
principali della nuova disciplina, il
Consiglio di Stato chiede che nel decreto
ministeriale sia precisato che l'affidamento
in esclusiva dei servizi non deve essere
esteso o abbinato ad attività che possono
essere svolte in regime di concorrenza.
L'importanza della verifica ai fini del
riassetto strategico e dell'affidamento di
un servizio pubblico locale è dimostrata,
peraltro, da alcune esperienze, come quella
del Comune di Torino, che con la
deliberazione 78 dell'11 giugno ha approvato
il quadro per l'attribuzione dei diritti di
esclusiva in relazione ai servizi ambientali
(gestione del ciclo integrato dei rifiuti)
(articolo Il Sole 24
Ore del 25.06.2012 - link a
www.corteconti.it). |
GIURISPRUDENZA |
AMBIENTE-ECOLOGIA: Il
potere del curatore di disporre dei beni
fallimentari (secondo le particolari regole
della procedura concorsuale e sotto il
controllo del giudice delegato) non
comporta, necessariamente, il dovere di
adottare particolari comportamenti attivi
finalizzati alla tutela sanitaria degli
immobili destinati alla bonifica da fattori
inquinanti [visto] che
la curatela fallimentare non subentr[a]
negli obblighi più strettamente correlati
alla responsabilità dell’imprenditore
fallito a meno che non vi sia una
prosecuzione nell’attività.
Come sostenuto da una
consolidata giurisprudenza, condivisa da
questo Collegio e già richiamata in sede di
adozione della misura cautelare, “il potere
del curatore di disporre dei beni
fallimentari (secondo le particolari regole
della procedura concorsuale e sotto il
controllo del giudice delegato) non
comporta, necessariamente, il dovere di
adottare particolari comportamenti attivi
finalizzati alla tutela sanitaria degli
immobili destinati alla bonifica da fattori
inquinanti (CdS V n. 4328/2003) [visto] che
la curatela fallimentare non subentr[a]
negli obblighi più strettamente correlati
alla responsabilità dell’imprenditore
fallito a meno che non vi sia una
prosecuzione nell’attività” (Consiglio di
Stato, V, 16.06.2009, n. 3885).
Nel caso di specie, la curatela fallimentare
ricorrente, oltre a non avere alcuna
responsabilità nella produzione
dell’inquinamento del sito individuato dal
Comune intimato, non è stata nemmeno
autorizzata a procedere alla prosecuzione
dell’attività.
Infatti, in un diverso
contenzioso instaurato davanti a questo
Tribunale –pur relativo alla stessa vicenda
fattuale– si è appurato che un’impresa
(Isotta Fraschini s.r.l.) ha stipulato dei
contratti di affitto di ramo d’azienda con
il ricorrente Fallimento A.F.L., nei quali è
stato espressamente previsto l’impegno
dell’affittuaria del ramo d’azienda a
procedere al completamento delle operazioni
di smaltimento e alla realizzazione, a
propria cura e spese, di tutti gli
interventi necessari alla bonifica della
predetta area; tali impegni, inoltre, sono
stati assunti anche nei confronti della
Provincia di Como in sede di richiesta della
volturazione dell’Autorizzazione Integrata
Ambientale dal Fallimento A.F.L. all’impresa
affittuaria del ramo d’azienda, cui di
conseguenza è stata imposta l’adozione di un
cronoprogramma per lo smaltimento dei
rifiuti da eseguire in sostituzione del
Fallimento ricorrente (cfr. TAR
Lombardia, Milano, IV, 06.09.2011, n.
2166)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza 29.06.2012 n. 1872 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: In
materia di richiesta dell'accertamento della
compatibilità paesaggistica, le conseguenze
dell’eventuale superamento del termine di
180 gg. previsto dall'art. 167, comma 5, del
Codice dei Beni Culturali, non sono quelle
ritenute dalla parte, vale a dire
l'impossibilità di adottarlo e la
conseguente illegittimità del provvedimento
finale, ma piuttosto il c.d. silenzio-inadempimento, con conseguente ammissibilità
di ricorso ex art. 31 del Codice del
processo amministrativo, al fine di
"..chiedere l'accertamento dell'obbligo
dell'amministrazione di provvedere” e di
ottenere una pronuncia di merito se e nel
caso in cui il provvedimento omesso abbia
natura e contenuto vincolato.
-------------
Si è in presenza di una sopraelevazione
anche quando l'aumento dell'altezza del
fabbricato sia di dimensioni ridotte e la
creazione di volume aggiuntivo non sia
rilevante.
Poiché nella circolare n. 33 del 26.09.2009
del Ministero per i Beni e le Attività
Culturali si chiarisce che per "volumi" deve
intendersi qualsiasi manufatto costruito da
parti chiuse emergenti dal terreno o dalla
sagoma di un fabbricato preesistente
indipendentemente dalla destinazione d'uso
del manufatto, ad esclusione dei volumi
tecnici, anche la sopraelevazione (abusiva)
come sopra declinata non può essere sanata
dal punto di vista ambientale.
---------------
Rispetto al sottotetto e al problema del
computo del volume, vanno considerati come
volumi tecnici (come tali non rilevanti ai
fini della volumetria di un immobile) quei
volumi destinati esclusivamente agli
impianti necessari per l'utilizzo
dell'abitazione e che non possono essere
ubicati al suo interno, mentre non sono tali
-e sono quindi computabili ai fini della
volumetria consentita- le soffitte, gli
stenditori chiusi e quelli «di sgombero»
nonché il piano di copertura, impropriamente
definito sottotetto, ma costituente in
realtà una mansarda in quanto dotato di
rilevante altezza media rispetto al piano di
gronda.
Come dedotto in sede difensiva dal
Comune intimato, le conseguenze
dell’eventuale superamento del termine di
180 gg. previsto dall'art. 167, comma 5, del
Codice dei Beni Culturali, non sono quelle
ritenute dalla parte, vale a dire
l'impossibilità di adottarlo e la
conseguente illegittimità del provvedimento
finale, ma piuttosto il c.d. silenzio-inadempimento, con conseguente ammissibilità
di ricorso ex art. 31 del Codice del
processo amministrativo, al fine di
"..chiedere l'accertamento dell'obbligo
dell'amministrazione di provvedere” e di
ottenere una pronuncia di merito se e nel
caso in cui il provvedimento omesso abbia
natura e contenuto vincolato (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza n. 156
del 31.01.2012).
La ricorrente tuttavia non ha impugnato il
silenzio dell'Autorità preposta ma ha
preferito attendere l'adozione di un
provvedimento espresso che è intervenuto e
che è stato da essa tempestivamente
impugnato.
In ogni caso il Collegio rileva che, come
dedotto in sede difensiva,
dall’amministrazione intimata, il
Responsabile del settore gestione del
territorio ha motivato le ragioni del
ritardo nella conclusione del procedimento,
con la nota prot. n. 15165 del 22.07.2011 indirizzata alla ricorrente ed al suo
difensore, e che tali ragioni, alle quali si
rinvia, appaiono sostanzialmente plausibili
e idonee a giustificare il suddetto ritardo
del provvedimento.
Il protrarsi del procedimento peraltro non
ha, salvo il protrarsi dello stato di
soggettiva incertezza, danneggiato la
ricorrente sotto alcun profilo
giuridicamente rilevante, e in particolare
sotto quello economico, avendo il protrarsi
dello stato di fatto consentito di mantenere
ferme le opere abusivamente realizzate,
nonostante il rigetto della domanda
cautelare e la possibilità astratta
dell’amministrazione di ordinarne d’ufficio
la demolizione.
---------------
In merito
al primo profilo, la difesa
dell’amministrazione correttamente rileva
che con la nota prot. n. 15166 del 22.07.2011, avente ad oggetto il preavviso di
diniego sull’accertamento di compatibilità
paesaggistica, il Responsabile del settore
competente ha puntualmente evidenziato i
motivi ostativi all'accoglimento
dell'istanza della ricorrente.
Il provvedimento di diniego che vi ha fatto
seguito in data 11.10.2011, inoltre, nel
prendere atto delle note del 3 e 05.08.2011 a firma del difensore della ricorrente,
precisa che le stesse non hanno consentito
di superare i motivi ostativi
all'accoglimento dell'istanza, per le
motivazioni contenute nello stesso
provvedimento: e precisamente per la
rilevata circostanza che l'opera abusiva non
rientra tra le tipologie di cui all'art.
167, comma IV e 181, comma 1-ter, del D.lgs.
42/2004, specificando ulteriormente, nei
termini che seguono, le ragioni di tale
conclusione:
a) l’intervento si sostanzia in una sopraelevazione, essendo principio
giurisprudenziale consolidato quello secondo
cui si è in presenza di una sopraelevazione
anche quando l'aumento dell'altezza del
fabbricato sia di dimensioni ridotte e la
creazione di volume aggiuntivo non sia
rilevante (Cass,. Civ. Sez. II 22.02.1999, n.
1474; Cass. Pen. Sez. III 15.06.1998 n. 1898);
che l’intervento pertanto ha ad oggetto una
nuova costruzione con aumento di volume e
modifica della sagoma.
b) nella circolare n. 33 del 26.09.2009 del
Ministero per i Beni e le Attività Culturali
si chiarisce che per "volumi" deve
intendersi qualsiasi manufatto costruito da
parti chiuse emergenti dal terreno o dalla
sagoma di un fabbricato preesistente
indipendentemente dalla destinazione d'uso
del manufatto, ad esclusione dei volumi
tecnici.
Orbene, al riguardo la parte ricorrente
evidenzia, sempre con i motivi aggiunti, in
senso dirimente, il rilascio di un
precedente parere favorevole da parte della
Sovrintendenza in ordine all'assenza di
danno ambientale.
Tuttavia tale rilievo, ancorché corretto in
fatto, appare inconferente poiché, come si
ricava anche dalla nota della Regione
Lombardia (doc. n. 13, prodotto in data
18.10.2011), il parere in questione è stato
rilasciato ”esclusivamente sotto il
profilo della compatibilità ambientale
paesaggistica e fatta salva la verifica da
parte dell’autorità competente. In ordine
all'effettiva ammissibilità dell’istanza".
La predetta nota precisa inoltre che "...
spetta al Comune verificare ai fini
dell'applicazione della sanzione di cui
all'art. 181, comma 1-ter e 1-quater, del
Codice l'ammissibilità dell'istanza di
compatibilità paesaggistica" (cfr. art. 167,
comma 5).
E' pacifico quindi che l'art. 167, IV comma,
trovi applicazione unicamente "...in
relazione ad interventi di minima rilevanza
e consistenza non incidenti ovvero non
idonei ad incidere sull'integrità del bene
ambiente" (Cass. Pen., Sez. III, 25/02/2011
n. 7216).
Nella fattispecie è da escludersi che tale
presupposto ricorra.
Questo TAR, infatti, sulla base di un
precedente conforme orientamento del
Consiglio di Stato, ha già avuto modo di
precisare che: "... rispetto al sottotetto e
al problema del computo del volume, si
richiama l'orientamento del Consiglio di
Stato (sez. IV n. 812 del 07.02.2011,
seguito da questa Sezione, nella sentenza n.
1105/2011), secondo cui "vanno considerati
come volumi tecnici (come tali non rilevanti
ai fini della volumetria di un immobile)
quei volumi destinati esclusivamente agli
impianti necessari per l'utilizzo
dell'abitazione e che non possono essere
ubicati al suo interno, mentre non sono tali
-e sono quindi computabili ai fini della
volumetria consentita- le soffitte, gli
stenditori chiusi e quelli «di sgombero»
nonché il piano di copertura, impropriamente
definito sottotetto, ma costituente in
realtà una mansarda in quanto dotato di
rilevante altezza media rispetto al piano di
gronda" (TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n.
38/2012).
Nella fattispecie oggetto del ricorso, è
altresì da escludere che ricorra un'ipotesi
di "...non percettibilità della
modificazione dell'aspetto esteriore del
bene protetto ..." (come sostiene la
ricorrente a pag. 13 dell'atto di motivi
aggiunti).
Infatti, dal verbale di sopralluogo in data
26.06.2008 si ricava che, oltre
all'incremento dell'altezza del fabbricato
ed alla modifica della sagoma, è stata
rilevata "la posa di n. 6 finestre tipo velux di dimensioni 70 cm x 120 cm ciascuna", unitamente ad una serie di ulteriori
modifiche anche interne, l’ampliamento del
varco di accesso (botola), la creazione
della scala di accesso al sottotetto, etc.
che evidenziano inequivocabilmente la
realizzazione di un nuovo piano abitabile"
(come già rilevato dal TAR in sede
cautelare).
Pertanto e conclusivamente sul punto, il
motivo deve ritenersi interamente infondato
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 29.06.2012 n. 1870 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
vetustà dell'opera non esclude il potere di
controllo e il potere sanzionatorio del
Comune in materia urbanistico-edilizia,
perché l'esercizio di tale potere non è
soggetto a prescrizione o decadenza; ne
consegue che l'accertamento dell'illecito
amministrativo e l'applicazione della
relativa sanzione può intervenire anche a
notevole distanza di tempo dalla commissione
dell'abuso, senza che il ritardo
nell'adozione della sanzione comporti
sanatoria o il sorgere di affidamenti o
situazioni consolidate.
È, difatti, orientamento consolidato di
questa Sezione che la vetustà dell'opera non
escluda il potere di controllo e il potere
sanzionatorio del Comune in materia
urbanistico-edilizia, perché l'esercizio di
tale potere non è soggetto a prescrizione o
decadenza; ne consegue che l'accertamento
dell'illecito amministrativo e
l'applicazione della relativa sanzione può
intervenire anche a notevole distanza di
tempo dalla commissione dell'abuso, senza
che il ritardo nell'adozione della sanzione
comporti sanatoria o il sorgere di
affidamenti o situazioni consolidate (cfr.
fra le tante Tar Lombardia, Milano, sez. II,
17.06.2008, n. 2045)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza
28.06.2012 n.
1821 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI: In
presenza di un provvedimento sostenuto da
più motivi, ciascuno autonomamente idoneo a
darne giustificazione, la giurisprudenza è,
difatti, concorde nel ritenere sufficiente
che sia verificata la legittimità di uno di
essi, per escludere che l’atto possa essere
annullato in sede giurisdizionale.
Il collegio prescinde dall'esame delle
censure proposte avverso la parte del
provvedimento che lamenta la mancanza del
certificato di agibilità: la fondatezza del
motivo non porterebbe comunque
all’annullamento dell’atto.
In presenza di un provvedimento sostenuto da
più motivi, ciascuno autonomamente idoneo a
darne giustificazione, la giurisprudenza è,
difatti, concorde nel ritenere sufficiente
che sia verificata la legittimità di uno di
essi, per escludere che l’atto possa essere
annullato in sede giurisdizionale (Cons.
Stato, sez. V, 29.05.2006, n. 3259)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza
28.06.2012 n.
1821 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: L’amministrazione
comunale non è tenuta ad accertare l’assenso
di terzi all’attività del richiedente, o
l’eventuale danno che qualcuno potrebbe
subire dal provvedimento abilitativo, il
quale viene emanato solamente sulla scorta
della valutazione del titolo formale di
disponibilità dell’area edificabile e con
salvezza delle ragioni dei terzi.
L’amministrazione -in sede di verifica dei
presupposti della dia (o di rilascio del
permesso di costruire)- non è tenuta a
svolgere complessi e laboriosi accertamenti
e non può entrare nel merito di possibili
contestazioni o controversie tra privati .
L’art. 11, ultimo comma, t.u. edilizia
—secondo cui «il rilascio del permesso di
costruire non comporta limitazione dei
diritti dei terzi»— ha sul punto
cristallizzato a livello positivo una prassi
amministrativa e giurisprudenziale
assolutamente pacifica che aveva ricevuto un
primo riconoscimento legale già nell’art. 2,
comma 37, lett. c), l. n. 662 del 1996 (che
ha novellato l’art. 39 l. n. 724 del 1994;
successivamente si veda l’art. 32, comma 31,
d.l. n. 269 cit. in materia di condono
straordinario).
Quanto, poi, alle problematiche legate ai
rapporti di vicinato tra i ricorrenti e il
controinteressato, è evidente come la loro
soluzione dipenda dalla ricostruzione degli
accordi intercorsi tra il dante causa dei
ricorrenti e il controinteressato medesimo,
così come trasfusi nella convenzione
stipulata nel 1957, allegata in atti.
Si tratta, quindi, di problematica di natura
privatistica di non facile e pronta
soluzione, della quale il Comune deve
disinteressarsi, fermo restando che il
terzo, ove leso nei propri diritti
soggettivi, potrà ottenere satisfattiva
tutela davanti al giudice civile, non
subendo alcun pregiudizio dal rilascio del
titolo (cfr., Cons. Stato, V, 02.02.2012 n.
568, secondo cui l’amministrazione comunale
non è tenuta ad accertare l’assenso di terzi
all’attività del richiedente, o l’eventuale
danno che qualcuno potrebbe subire dal
provvedimento abilitativo, il quale viene
emanato solamente sulla scorta della
valutazione del titolo formale di
disponibilità dell’area edificabile e con
salvezza delle ragioni dei terzi; id. sez.
IV, 30.12.2006, n. 8626).
Più in generale, va ribadito come
l’amministrazione -in sede di verifica dei
presupposti della dia (o di rilascio del
permesso di costruire)- non è tenuta a
svolgere complessi e laboriosi accertamenti
e non può entrare nel merito di possibili
contestazioni o controversie tra privati
(cfr. Consiglio di Stato, 08.11.2011 n.
5894, che si sofferma diffusamente a
tratteggiare il quadro delle norme e dei
principi che presiedono al rilascio dei
titoli edilizi, avuto particolare riguardo
all’aspetto della legittimazione del
richiedente e degli impedimenti di carattere
negoziale; nonché, Cons. Stato, sez. IV,
12.03.2007, n. 1206; TAR Lazio, Roma
18.02.2005 n. 1408).
L’art. 11, ultimo comma, t.u. edilizia
—secondo cui «il rilascio del permesso di
costruire non comporta limitazione dei
diritti dei terzi»— ha sul punto
cristallizzato a livello positivo una prassi
amministrativa e giurisprudenziale
assolutamente pacifica che aveva ricevuto un
primo riconoscimento legale già nell’art. 2,
comma 37, lett. c), l. n. 662 del 1996 (che
ha novellato l’art. 39 l. n. 724 del 1994;
successivamente si veda l’art. 32, comma 31,
d.l. n. 269 cit. in materia di condono
straordinario)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza
28.06.2012 n.
1816 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: L'esistenza
del vincolo va valutata al momento della
domanda di condono, a prescindere dall'epoca
della sua introduzione e, quindi, anche per
le opere eseguite anteriormente
all'apposizione del vincolo stesso. La
disamina della domanda di condono edilizio
non può infatti prescindere dai vincoli
esistenti nel momento in cui la stessa viene
esaminata, ancorché essi siano stati
introdotti in un momento successivo
all'edificazione, pena, al contrario, la
sostanziale inoperatività del vincolo
medesimo, e la compromissione in via
definitiva dei sottesi interessi pubblici di
valore primario, culturali, ambientali o
paesaggistici.
Il vincolo non rappresenta poi un fattore di
preclusione assoluta al condono, imponendo
invece un apprezzamento concreto di
compatibilità delle opere con i valori
tutelati, dovendosi accertare che la
costruzione edilizia non comprometta
irreparabilmente i detti interessi.
---------------
Per talune pronunce giurisprudenziali in
caso di vincolo sopravvenuto l'accertamento
della compatibilità delle opere con i valori
ambientali e paesaggistici deve essere
concreto ed approfondito, e nella
motivazione dell'atto devono essere
puntualmente indicate le ragioni per le
quali la conservazione dell'intervento,
conseguente al rilascio della sanatoria, sia
incompatibile con i valori tutelati.
Il Collegio condivide in punto di diritto i
detti principi, che tuttavia non possono
essere invocati nel caso di specie.
La giurisprudenza citata dalla ricorrente si
riferisce infatti a provvedimenti di diniego
fondati su meri richiami all’esistenza di un
vincolo sull’area interessata, senza che,
come invece avvenuto nella fattispecie per
cui è causa, si desse conto della reale
consistenza dei manufatti oggetto di
richiesta di sanatoria, della specifica
situazione dei luoghi nei quali ricadono,
nonché della compatibilità delle opere con
la realizzazione di possibili interventi
sulle aree interessate.
In particolare, le pronunce invocate dalla
ricorrente, si riferivano a “manufatti di
modesta entità”, adibiti a deposito attrezzi
o comunque a fabbricati rurali, laddove nel
caso di che trattasi si è in presenza di
edifici a vocazione industriale, di ingenti
dimensioni, articolati su due piani
(magazzino/deposito), o comunque di
rilevante altezza (4,50 per il silos) e
superficie (9,90 x 7,40 per il silos e 8,50
x 3 per il magazzino). Per quanto concerne
poi la collocazione, le opere abusive di che
trattasi sono state realizzate in prossimità
del greto del fiume, ossia in un’area in cui
l’afferenza degli abusi ad un impianto
industriale ne rende particolarmente
evidente l’incompatibilità con l’ambiente
circostante, ciò che ovviamente attenua gli
oneri motivazionali a carico
dell’Amministrazione.
Anche in questo caso il raffronto con la
casistica citata dalla stessa ricorrente
conferma in realtà le scelte operate
dall’Amministrazione, trattandosi spesso di
sentenze che avevano accolto ricorsi avverso
dinieghi di condono di fabbricati rurali
edificati in zone che, per quanto vincolate,
avevano una vocazione agricola, laddove nel
caso di specie il contrasto tra la natura
industriale delle opere abusive e la
prossimità all’alveo del fiume su cui sono
state realizzate è certamente più stridente.
Non può pertanto sostenersi che la
motivazione, per quanto non particolarmente
estesa, sia insufficiente. La Commissione
Edilizia ha infatti avuto cura di
verificare, oltreché l’inconciliabilità
delle opere con la natura dei luoghi e con
la loro valenza ambientale, anche la loro
incompatibilità con l’utilizzo futuro
dell’area di che trattasi, che alla luce
delle sua peculiarità, potrà essere adibita
a parco urbano comprensoriale. La
possibilità di destinare l’area ad un
utilizzo futuro incompatibile con il
richiesto condono, costituisce così una
motivazione ulteriore e distinta
dall’incompatibilità delle opere a suo tempo
realizzate con il regime urbanistico.
---------------
Nel caso in cui l'espressione del parere e
l'adozione del provvedimento sull'istanza di
sanatoria siano di competenza della medesima
Amministrazione (nella specie, il Comune), è
ben infatti possibile che l'esito negativo
dell'esame sulla compatibilità con il
vincolo consenta all'Amministrazione di
adottare uno actu la determinazione negativa
sul complesso procedimento di cui al citato
art. 32.
Ai fini dello scrutinio delle censure
formulate il Collegio deve preliminarmente
affrontare il problema del rapporto tra la
situazione vincolistica ed urbanistica
presente al momento di realizzazione
dell’abuso, e quella eventualmente
modificata, medio tempore, al momento in cui
si presenta la domanda di condono.
L'esistenza del vincolo va valutata al
momento della domanda di condono, a
prescindere dall'epoca della sua
introduzione e, quindi, anche per le opere
eseguite anteriormente all'apposizione del
vincolo stesso (C.S. Sez. IV 04.05.2012 n.
2576). La disamina della domanda di condono
edilizio non può infatti prescindere dai
vincoli esistenti nel momento in cui la
stessa viene esaminata, ancorché essi siano
stati introdotti in un momento successivo
all'edificazione, pena, al contrario, la
sostanziale inoperatività del vincolo
medesimo, e la compromissione in via
definitiva dei sottesi interessi pubblici di
valore primario, culturali, ambientali o
paesaggistici (TAR Piemonte Sez. II
03.02.2012 n. 143).
Il vincolo non rappresenta poi un fattore di
preclusione assoluta al condono, imponendo
invece un apprezzamento concreto di
compatibilità delle opere con i valori
tutelati (C.S. Sez. IV 04.05.2012 n. 2576),
dovendosi accertare che la costruzione
edilizia non comprometta irreparabilmente i
detti interessi (TAR Lazio, Roma, Sez. II
17.01.2012 n. 504).
---------------
A supporto
delle proprie censure la ricorrente invoca
talune pronunce giurisprudenziali, secondo
cui in caso di vincolo sopravvenuto,
l'accertamento della compatibilità delle
opere con i valori ambientali e
paesaggistici deve essere concreto ed
approfondito, e nella motivazione dell'atto
devono essere puntualmente indicate le
ragioni per le quali la conservazione
dell'intervento, conseguente al rilascio
della sanatoria, sia incompatibile con i
valori tutelati (TAR Lazio-Roma, Sez.
II-quater, 01.09.2011 n. 7099, TAR Lazio,
sez. II-quater, 05.02.2009 n. 1212).
Il Collegio condivide in punto di diritto i
detti principi, che tuttavia non possono
essere invocati nel caso di specie.
La giurisprudenza citata dalla ricorrente si
riferisce infatti a provvedimenti di diniego
fondati su meri richiami all’esistenza di un
vincolo sull’area interessata, senza che,
come invece avvenuto nella fattispecie per
cui è causa, si desse conto della reale
consistenza dei manufatti oggetto di
richiesta di sanatoria, della specifica
situazione dei luoghi nei quali ricadono,
nonché della compatibilità delle opere con
la realizzazione di possibili interventi
sulle aree interessate.
In particolare, le pronunce invocate dalla
ricorrente, si riferivano a “manufatti di
modesta entità”, adibiti a deposito
attrezzi (TAR Lazio n. 7099/2011, TAR
Lombardia, Brescia Sez. I 12.02.2010 n. 731)
o comunque a fabbricati rurali (TAR Lazio n.
1212/2009), laddove nel caso di che trattasi
si è in presenza di edifici a vocazione
industriale, di ingenti dimensioni,
articolati su due piani
(magazzino/deposito), o comunque di
rilevante altezza (4,50 per il silos) e
superficie (9,90 x 7,40 per il silos e 8,50
x 3 per il magazzino). Per quanto concerne
poi la collocazione, le opere abusive di che
trattasi sono state realizzate in prossimità
del greto del fiume, ossia in un’area in cui
l’afferenza degli abusi ad un impianto
industriale ne rende particolarmente
evidente l’incompatibilità con l’ambiente
circostante, ciò che ovviamente attenua gli
oneri motivazionali a carico
dell’Amministrazione.
Anche in questo caso il raffronto con la
casistica citata dalla stessa ricorrente
conferma in realtà le scelte operate
dall’Amministrazione, trattandosi spesso di
sentenze che avevano accolto ricorsi avverso
dinieghi di condono di fabbricati rurali
edificati in zone che, per quanto vincolate,
avevano una vocazione agricola, laddove nel
caso di specie il contrasto tra la natura
industriale delle opere abusive e la
prossimità all’alveo del fiume su cui sono
state realizzate è certamente più stridente.
Non può pertanto sostenersi che la
motivazione, per quanto non particolarmente
estesa, sia insufficiente. La Commissione
Edilizia ha infatti avuto cura di
verificare, oltreché l’inconciliabilità
delle opere con la natura dei luoghi e con
la loro valenza ambientale, anche la loro
incompatibilità con l’utilizzo futuro
dell’area di che trattasi, che alla luce
delle sua peculiarità, potrà essere adibita
a parco urbano comprensoriale. La
possibilità di destinare l’area ad un
utilizzo futuro incompatibile con il
richiesto condono, costituisce così una
motivazione ulteriore e distinta
dall’incompatibilità delle opere a suo tempo
realizzate con il regime urbanistico.
---------------
Come correttamente evidenziato dalla difesa
della resistente, nel diniego impugnato, il
Sindaco ha espressamente “fatto proprio”
il parere della Commissione, emanando così
un atto a contenuto plurimo, comprensivo sia
del parere negativo della Commissione, quale
autorità subdelegata per la gestione del
vincolo, sia il consequenziale diniego di
condono.
Nel caso in cui l'espressione del parere e
l'adozione del provvedimento sull'istanza di
sanatoria siano di competenza della medesima
Amministrazione (nella specie, il Comune), è
ben infatti possibile che l'esito negativo
dell'esame sulla compatibilità con il
vincolo consenta all'Amministrazione di
adottare uno actu la determinazione
negativa sul complesso procedimento di cui
al citato art. 32 (C.S. Sez. VI 24.02.2011
n. 1156) (TAR Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza
27.06.2012 n.
1802 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: In
mancanza di un’espressa indicazione di
legge, per i consorzi caratterizzati da
minore consistenza organizzativa e privi di
personalità giuridica, cioè quelli diversi
dai consorzi tra cooperative, tra imprese
artigiane e dai consorzi stabili (per i
quali l’art. 37, comma 7 e 36, comma 5 del
D.Lgs. 163/2006 espressamente prevedono che
il consorzio deve indicare per quali imprese
concorre), non sarebbe ipotizzabile una
partecipazione parziale. Essa, infatti,
farebbe venire meno il vincolo
dell’organizzazione comune e
conseguentemente quello della responsabilità
solidale.
In senso opposto, un altro orientamento
ritiene che anche il consorzio ordinario,
come gli altri consorzi, possa partecipare
in forma parziale alle gare pubbliche.
---------------
La partecipazione contemporanea alla stessa
gara di due imprese appartenenti al
consorzio, autonomamente qualificate,
costituisce evenienza in sé ammessa sia in
base a quanto prevede l'art. 36, comma 5,
del D.Lgs. 163/2006 –che vieta solo la
partecipazione simultanea del "consorzio
stabile e dei consorziati"– sia in relazione
al disposto dell'art. 37, comma 7, che
preclude l’ingresso alla selezione alle sole
imprese per le quali il Consorzio, ammesso
al confronto comparativo, abbia indicato di
concorrere, facendo dunque salva la
partecipazione delle restanti consorziate.
Quale che sia la natura del consorzio, esso
deve dimostrare il possesso dei requisiti
generali di tutti i consorziati che vengono
individuati come esecutori delle prestazioni
scaturenti dal contratto.
In materia di partecipazione alle gare
occorre rilevare che, secondo un indirizzo
della giurisprudenza, in mancanza di
un’espressa indicazione di legge, per i
consorzi caratterizzati da minore
consistenza organizzativa e privi di
personalità giuridica, cioè quelli diversi
dai consorzi tra cooperative, tra imprese
artigiane e dai consorzi stabili (per i
quali l’art. 37, comma 7 e 36, comma 5 del
D.Lgs. 163/2006 espressamente prevedono che
il consorzio deve indicare per quali imprese
concorre), non sarebbe ipotizzabile una
partecipazione parziale. Essa, infatti,
farebbe venire meno il vincolo
dell’organizzazione comune e
conseguentemente quello della responsabilità
solidale (Cons. Stato, V, 20.01.2004, n.
156; Cons. Stato, V, 28.07.2011, n. 4524;
Tar Toscana, 14.02.2011, n. 317).
In senso opposto, un altro orientamento
ritiene che anche il consorzio ordinario,
come gli altri consorzi, possa partecipare
in forma parziale alle gare pubbliche (Cons.
Stato, IV, 21.04.2008, n. 1778; Cons. Stato,
V, 08.07.2011, n. 4097; Cons. Stato, III,
28.12.2011, n. 6968; V, 17.05.2012, n.
2825).
---------------
In merito la
giurisprudenza (TAR Lombardia, Brescia, I,
07.12.2007, n. 1314) ha chiarito che la
partecipazione contemporanea alla stessa
gara di due imprese appartenenti al
consorzio, autonomamente qualificate,
costituisce evenienza in sé ammessa sia in
base a quanto prevede l'art. 36, comma 5,
del D.Lgs. 163/2006 –che vieta solo la
partecipazione simultanea del "consorzio
stabile e dei consorziati"– sia in
relazione al disposto dell'art. 37, comma 7,
che preclude l’ingresso alla selezione alle
sole imprese per le quali il Consorzio,
ammesso al confronto comparativo, abbia
indicato di concorrere, facendo dunque salva
la partecipazione delle restanti consorziate
(cfr. Consiglio di stato, sez. VI –
23/03/2007, n. 1423).
Il terzo motivo del ricorso principale è
altrettanto privo di pregio, ove si
consideri che, in via generale e del tutto
indipendentemente dalla tipologia del
consorzio partecipante a una gara (consorzio
stabile o consorzio ordinario), la
giurisprudenza ha affermato in diverse
occasioni che, quale che sia la natura del
consorzio, esso deve dimostrare il possesso
dei requisiti generali di tutti i
consorziati che vengono individuati come
esecutori delle prestazioni scaturenti dal
contratto (Cons. St., VI, n. 7380 del 2009,
IV, n. 1485 del 2008, IV, n. 3765 del 2007,
V, n. 4477 del 2005, CGA Reg. Sic., n. 712
del 2007; Cons. Stato, V, 17.05.2012 n.
2825) (TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza
27.06.2012 n. 1797 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: La
mancata indicazione delle cautele seguite
per la conservazione della documentazione è
un rilievo inammissibile in mancanza di
precisazione di avvenute alterazioni,
dovendo invece aversi riguardo al fatto che,
in concreto non si sia verificata
l’alterazione della documentazione specie
quando l’apertura dei plichi sia avvenuta in
seduta pubblica senza osservazioni da parte
dei rappresentati delle ditte presenti.
Il secondo motivo deve essere respinto in
quanto, quand'anche non si sia adeguatamente
verbalizzato il processo di custodia delle
buste contenenti le offerte, ciò, tuttavia,
è irrilevante in quanto non è stato addotto
alcun elemento concreto e specifico atto a
far ritenere che possa essersi verificata la
sottrazione o la sostituzione dei pieghi, la
manomissione delle offerte o un altro fatto
rilevante ai fini della regolarità della
procedura.
Appare, infatti, condivisibile
l’orientamento giurisprudenziale secondo cui
“la mancata indicazione delle cautele
seguite per la conservazione della
documentazione è un rilievo inammissibile in
mancanza di precisazione di avvenute
alterazioni, dovendo invece aversi riguardo
al fatto che, in concreto non si sia
verificata l’alterazione della
documentazione specie quando l’apertura dei
plichi sia avvenuta in seduta pubblica senza
osservazioni da parte dei rappresentati
delle ditte presenti” (Cons. Stato, Sez.
V, 11.08.2010, n. 5624; Cons. Stato, Sez.
III, 22.11.2011, n. 6146 riferita ad un caso
di apertura della busta tecnica in seduta
riservata)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza
27.06.2012 n.
1794 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La Scia è
materia riservata allo stato. Respinti i
ricorsi di quattro regioni.
La Scia (Segnalazione certificata di inizio
attività) va ricondotta al parametro dei
livelli essenziali delle prestazioni (art.
117, II comma, lettera m) Cost. e, in quanto
tale, rientra nella competenza dello Stato.
È quanto ha stabilito la Corte
Costituzionale con la
sentenza
27.06.2012 n. 164 respingendo i
ricorsi presentati da Toscana, Liguria,
Emilia Romagna, e Regione autonoma Valle
d'Aosta/Vallée d'Aoste.
A distanza di due anni, quindi, dalla
modifica dell'articolo 19 della legge
241/1990, con l'introduzione della Scia
(immediatamente efficace) in luogo della Dia
(ad efficacia differita) il giudice delle
leggi ha affermato che la disciplina della
Scia attiene ai livelli essenziali delle
prestazioni e, quindi, di competenza dello
stato. Ciò in quanto tale affidamento in via
esclusiva si collega al fondamentale
principio di uguaglianza stabilito dall'art.
3 della Costituzione. Ciò comporta,
inevitabilmente, ha osservato la Corte, una
restrizione dell'autonomia legislativa delle
regioni, allo scopo di assicurare un livello
uniforme di godimento dei diritti civili e
sociali tutelati dalla stessa Costituzione.
La Corte ha invece condiviso uno dei motivi
di ricorso delle regioni, ovvero che la Scia
non poteva considerarsi attinente anche alla
tutela della concorrenza, così come
affermato dall'art. 49, commi 4-bis e 4-ter,
del dl 78/2010. Il riferimento alla «tutela
della concorrenza» contenuto nella legge
che ha introdotto il nuovo istituto, ha
rilevato la Corte, è del tutto
inappropriato. Perché detta disciplina ha un
ambito applicativo diretto alla generalità
dei cittadini e perciò va oltre tale
materia. anche se è ben possibile che vi
siano casi nei quali quella materia venga in
rilievo. Uno dei motivi di ricorso delle
regioni riguardava anche la Scia ed il
settore dell'edilizia.
A tale proposito, la Corte ha sottolineato
che ogni dubbio interpretativo circa
l'applicabilità a tale settore è stato
superato in forza del fatto che il
legislatore è intervenuto successivamente
con il dl 70/2011. Ma relativamente a tale
aspetto ha precisato che «non può porsi
in dubbio che le esigenze di semplificazione
e di uniforme trattamento sull'intero
territorio nazionale valgano anche per
l'edilizia anche se questa, come
l'urbanistica, rientra nel governo del
territorio», materia appartenente alla
competenza legislativa concorrente tra Stato
e regioni»
(articolo ItaliaOggi del 28.06.2012 - link a
www.ecostampa.it). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Il criterio della minore età
viene introdotto nell’ordinamento quale
elemento preferenziale nel reclutamento nel
pubblico impiego, a parità di merito e degli
altri titoli (di preferenza indicati nel
comma 4 dell’art. 5 D.P.R. n. 487/1994.
Nel ricorso originario è stata evidenziata
la violazione dell’art. 5 del D.P.R. n.
487/1994, laddove la più giovane età del
sig. Valerio Catalano è stata ritenuta
prevalente, rispetto al titolo di preferenza
dichiarato dall’ing. Irace nella domanda di
partecipazione al concorso di coniugato con
figli a carico, titolo questo previsto al n.
18 del comma 4 dell’art. 5 del D.P.R.
citato.
Le argomentazioni effettuate in sede di
originario ricorso, tutte vertenti su tale
tema, sulla vigenza e sugli effetti del
disposto di cui al n. 18 del comma 4 posto
in relazione al successivo comma 5 dello
stesso art. 5, individuano chiaramente la
materia del contendere.
Occorre dunque ora esaminare il primo e
fondamentale motivo di censura, con il quale
in modo articolato l’appellante sostiene che
nella sentenza impugnata vi sarebbe stata
una erronea applicazione dell’art. 5, commi
4 e 5 del D.P.R. n. 487/1994, in quanto con
la innovazione introdotta dalle cc.dd. “leggi
Bassanini” (v. art. 3, comma 7, della
legge n. 127/1997) il criterio della minore
età sarebbe divenuto ragione di preferenza,
mentre il criterio del numero dei figli a
carico sarebbe applicabile in maniera
residuale, quando i candidati a pari merito
abbiano la medesima età.
Le citate disposizioni recitano:
- (art. 5, commi 4 e 5,
d.p.r. n. 487/1994)
4. Le categorie di cittadini che nei
pubblici concorsi hanno preferenza a parità
di merito e a parità di titoli sono appresso
elencate.
A parità di merito i titoli di preferenza
sono:
……
17) coloro che abbiano prestato lodevole
servizio a qualunque titolo, per non meno di
un anno nell'amministrazione che ha indetto
il concorso;
18) i coniugati e i non coniugati con
riguardo al numero dei figli a carico;
…......
5. A parità di merito e di titoli la
preferenza è determinata:
a) dal numero dei figli a carico,
indipendentemente dal fatto che il candidato
sia coniugato o meno;
b) dall'aver prestato lodevole servizio
nelle amministrazioni pubbliche;
c) dalla maggiore età.
- art. 3, comma 7, della
legge n. 127/1997
7. Sono aboliti i titoli preferenziali
relativi all'età e restano fermi le altre
limitazioni e i requisiti previsti dalle
leggi e dai regolamenti per l'ammissione ai
concorsi pubblici. Se due o più candidati
ottengono, a conclusione delle operazioni di
valutazione dei titoli e delle prove di
esame, pari punteggio, è preferito il
candidato più giovane di età.
Va premesso che diversamente da quanto
sostenuto dall’appellante non è in
discussione la vigenza e il disposto
dell’art. 3, comma 7, della legge n.
127/1997 come modificato dalla legge n.
191/1998, la cui legittimità è stata
confermata dalla Corte Costituzionale con
l’ordinanza n. 268/2001.
La Corte Costituzionale ha infatti ritenuto
la manifesta infondatezza della q.l.c.
dell’art. 3, comma 7, L. n. 127 del 1997,
come modificato dall’art. 2, comma 9, L. n.
191 del 1998, censurato, per violazione del
principio di ragionevolezza di cui all’art.
3 Cost., in quanto verrebbe capovolto, senza
che vi soccorra una adeguata
giustificazione, un criterio “fondamentale
nei concorsi pubblici” quale quello
della preferenza, a parità di altri titoli,
accordata al candidato in relazione all’età.
La Corte ha ritenuto rientrassero nella
discrezionalità del legislatore i requisiti
attinenti all’età dei concorrenti e la loro
valutabilità, ma non ha con questo escluso
la valutazione degli altri titoli posseduti
dal candidato nell’ordine stabilito dalla
normativa vigente.
Il Consiglio di Stato, poi, nella decisione
della Sez. V del 07.11.2009, n. 5234,
evocata dalle parti e diversamente
considerata, evidenzia che “l’art. 5,
comma 5, D.P.R. n. 487/1994, si deve
intendere parzialmente abrogato (per
incompatibilità sopravvenuta) dall’art. 3,
comma 7, L. 127/1997 (c.d. “Bassanini 2”),
modif. art. 2, L. n. 191/1998 (c.d.
“Bassanini 3”)”.
Conseguentemente il criterio della minore
età viene introdotto nell’ordinamento quale
elemento preferenziale nel reclutamento nel
pubblico impiego, a parità di merito e degli
altri titoli (di preferenza indicati nel
comma 4 dell’art. 5).
Né il legislatore, né la Corte
Costituzionale hanno d’altra parte messo in
forse la vigenza del comma 4 dell’art. 5 del
D.P.R. 487/1994, che elenca i titoli di
preferenza valutabili con precedenza
rispetto alla preferenza accordata, in via
subordinata dal successivo comma 5.
Tra i titoli di preferenza valutabili al n.
18 del comma 4 sono presi in considerazione
il numero dei figli a carico del candidato,
indipendentemente di un rapporto di coniugio
esistente.
Come correttamente ritenuto dal TAR, sulla
base anche della giurisprudenza evocata,
l’Amministrazione Provinciale,
nell’approvare la graduatoria finale del
concorso aveva l’obbligo di valutare i
titoli di preferenza di cui al comma 4
dell’art. 5 del D.P.R. 487/1994 e, nel caso
di interesse, il titolo previsto al n. 18
del comma 4 e cioè lo stato di soggetto con
figli a carico del candidato ing. Giuseppe
Irace.
Le fattispecie relative alla minore età e al
servizio prestato in amministrazione diversa
da quella che ha bandito il concorso, non
dovevano invece essere oggetto di
considerazione, in quanto previste dal
successivo comma 5 dell’art. 4 e quindi solo
eventuali (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 26.06.2012 n. 3733 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Sussiste la necessità della
determinazione e verbalizzazione dei criteri
di valutazione delle prove concorsuali in un
momento nel quale non può sorgere il
sospetto che essi siano volti a favorire o
sfavorire alcuni concorrenti.
Comunque, v'è legittimità della
determinazione dei predetti criteri anche
dopo la loro effettuazione, purché prima
della loro concreta valutazione.
Il
principio della determinazione dei criteri
di valutazione delle prove concorsuali deve
essere infatti inquadrato nell'ottica della
trasparenza dell'attività amministrativa,
che comporta la necessità della
determinazione e verbalizzazione di essi
criteri in un momento nel quale non può
sorgere il sospetto che essi siano volti a
favorire o sfavorire alcuni concorrenti, con
conseguente legittimità della determinazione
dei predetti criteri di valutazione delle
prove concorsuali, anche dopo la loro
effettuazione, purché prima della loro
concreta valutazione (Consiglio Stato, sez.
IV, 22.09.2005, n. 4989) (Consiglio di
Stato, Sez. V,
sentenza 26.06.2012, n. 3731 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI: La
circolare ministeriale non vincola il
giudice.
Le circolari ministeriali non sono
vincolanti per il giudice penale,
nell'ambito di un processo per evasione
fiscale, per quello tributario né tantomeno
per gli uffici sottoposti e per il
contribuente. Si tratta di atti interni alla
pubblica amministrazione.
È questo il
chiarimento fornito dalla Corte di Cassazione con la
sentenza 25.06.2012 n. 25170.
Lo spunto
per ribadire a ampliare un principio già
sancito nell'ambito del contenzioso fiscale
è stato fornito ai giudici con l'Ermellini
da una controversia edilizia. In particolare
il ricorso alla Suprema corte è stato
presentato in opposizione a un ordine di
demolizione di un'abitazione abusiva. L'uomo
aveva rivendicato l'interpretazione di
alcune norme sul condono edilizio da parte
del Ministero.
Sul punto la terza sezione
penale ha chiarito che la circolare
interpretativa è atto interno alla pubblica
amministrazione che si risolve in un mero
ausilio interpretativo e non esplica alcun
«effetto vincolante non solo per il giudice
penale, ma anche per gli stessi destinatari,
poiché non può comunque porsi in contrasto
con l'evidenza del dato normativo». Già le
Sezioni unite civili avevano precisato in
materia tributaria che la natura di atti
meramente interni alla pubblica
amministrazione delle circolari
interpretative fa si che queste esprimano
esclusivamente «un parere non vincolante per
il contribuente, per gli uffici, per la
stessa autorità che l'ha emanata e per il
giudice».
In altri termini, la circolare
emanata nella materia tributaria non vincola
il contribuente, che resta pienamente libero
di non adottare un comportamento a questa
uniforme, in piena coerenza con la regola
che in un sistema tributario basato
essenzialmente sull'auto tassazione, la
soluzione delle questioni interpretative è
affidata (almeno in una prima fase, quella,
appunto, della determinazione dell'imposta
da corrispondere) direttamente al
contribuente. Di più. La circolare nemmeno
vincola gli uffici gerarchicamente sottordinati,
ai quali non è vietato di disattenderla
(evenienza, questa, che, peraltro, è raro
che si verifichi nella pratica), senza che
per questo il provvedimento concreto
adottato dall'ufficio (atto impositivo,
diniego di rimborso ecc.) possa essere
ritenuto illegittimo per violazione della
circolare. Infatti, se le indicazioni della
circolare sono sbagliate, l'atto emanato
sarà legittimo perché conforme alla legge
(articolo ItaliaOggi del 26.06.2012 - link a
www.corteconti.it). |
APPALTI:
V'è la sussistenza in capo al
cessionario dell’onere di presentare la
dichiarazione relativa al requisito di cui
all’art. 38, comma 1, lett. c), del Codice
dei contratti (d.lgs. n. 163 del 2006) anche
in riferimento agli amministratori ed ai
direttori tecnici che hanno operato presso
la cedente nell’ultimo triennio (ora
nell’ultimo anno), sul fondamentale rilievo
che «la
responsabilità per fatto di soggetto
giuridico terzo a cui soggiace il
cessionario trova risposta nel principio ubi
commoda, ibi incommoda: il cessionario, come
si avvale dei requisiti del cedente sul
piano della partecipazione a gare pubbliche,
così risente delle conseguenze, sullo stesso
piano, delle eventuali responsabilità del
cedente».
Né l’impresa
cessionaria potrebbe invocare quale esimente
il fatto di non
conoscere i nominativi degli amministratori
della società cedente e, tanto meno, i loro
precedenti penali ove gli stessi non
risultino dai certificati del casellario
giudiziale, poiché «il segnalato inconveniente può
esser agevolmente superato dal cessionario
attraverso l’adozione di opportune cautele,
quali il pretendere dall’impresa che si
intenda acquisire l’attestazione circa
intervenute condanne o indagini penali già
in corso sui rispettivi vertici
amministrativi e tecnici per reati che
incidano sull’affidabilità morale e
professionale, nonché prevedendo penali o
garanzie o risoluzione della cessione al
verificarsi di tali fatti, suscettibili di
risolversi negativamente per tali soggetti
entro il successivo triennio (ora entro il
successivo anno)».
Sulla questione di principio dedotta con il
primo motivo dell’appello incidentale –se
l’obbligo di rendere le dichiarazioni di cui
all’art. 38, co. 1, lett. c), debba
riferirsi (oltre che pacificamente agli
amministratori delle società cessionarie)
anche agli amministratori delle società
cedenti l’azienda o rami di azienda in
favore dell’impresa che partecipa alla gara–
si è di recente pronunciata l’Adunanza
Plenaria del Consiglio di Stato, con la
sentenza n. 10 del 2012, risolvendo il
contrasto interpretativo sorto in
giurisprudenza.
La Plenaria ha riconosciuto la sussistenza
in capo al cessionario dell’onere di
presentare la dichiarazione relativa al
requisito di cui all’art. 38, comma 1, lett.
c), del Codice dei contratti (d.lgs. n. 163
del 2006) anche in riferimento agli
amministratori ed ai direttori tecnici che
hanno operato presso la cedente nell’ultimo
triennio (ora nell’ultimo anno), sul
fondamentale rilievo che «la
responsabilità per fatto di soggetto
giuridico terzo a cui soggiace il
cessionario trova risposta nel principio ubi
commoda, ibi incommoda: il cessionario, come
si avvale dei requisiti del cedente sul
piano della partecipazione a gare pubbliche,
così risente delle conseguenze, sullo stesso
piano, delle eventuali responsabilità del
cedente».
Né, ha osservato la Plenaria, l’impresa
cessionaria potrebbe invocare quale esimente
–come dedotto nel caso di specie dalla
difesa di Manutencoop- il fatto di non
conoscere i nominativi degli amministratori
della società cedente e, tanto meno, i loro
precedenti penali ove gli stessi non
risultino dai certificati del casellario
giudiziale, poiché -si legge nella citata
sentenza– «il segnalato inconveniente può
esser agevolmente superato dal cessionario
attraverso l’adozione di opportune cautele,
quali il pretendere dall’impresa che si
intenda acquisire l’attestazione circa
intervenute condanne o indagini penali già
in corso sui rispettivi vertici
amministrativi e tecnici per reati che
incidano sull’affidabilità morale e
professionale, nonché prevedendo penali o
garanzie o risoluzione della cessione al
verificarsi di tali fatti, suscettibili di
risolversi negativamente per tali soggetti
entro il successivo triennio (ora entro il
successivo anno)» (Consiglio di Stato,
Sez. III,
sentenza 25.06.2012 n. 3718 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
PUBBLICO IMPIEGO - VARI:
Ammesso il “vaffa” una tantum al
capo. Via libera al 'vaffa' al capufficio
una tantum.
Lo sancisce la Cassazione, sottolineando
come l'offesa al superiore gerarchico -se
resta circoscritta ad un episodio e non dà
adito ad altre contrapposizioni nel tempo-
non può essere sanzionata con il
licenziamento. Togliersi un sassolino col
superiore per una volta non "compromette
il rapporto fiduciario con l'azienda".
In questo modo, la sezione Lavoro ha
bocciato il ricorso di un'azienda abruzzese,
la Mag., che si opponeva alla reintegra di
un dipendente, Fernando S., 'reo' di
avere offeso la signora Mirella R.,
superiore gerarchica, mandandola
sostanzialmente 'a quel paese'.
La lite giudiziaria -ricostruisce la
sentenza 10426/2012- era scaturita
soprattutto dal fatto che l'offesa aveva
urtato il capufficio in quanto donna. Ne era
seguito il licenziamento disciplinare il
21.10.2005 poi annullato dal Tribunale di
Chieti il 18.03.2009 alla luce del fatto che
l'offesa era stata episodica. Inutile il
ricorso dell'azienda in Cassazione volto a
riottenere l'allontanamento del dipendente
per la sua condotta "gravemente ingiuriosa e
intimidatoria al superiore gerarchico donna
deriso e apostrofato".
Piazza Cavour ha respinto il ricorso
dell'azienda e ha sottolineato che la
motivazione della Corte d'appello
dell'Aquila "appare congrua e logicamente
coerente e supportata da precisi ed univoci
riferimenti alle risultanze processuali che
hanno consentito di ridimensionare la
gravitò dei fatti e di circoscrivere
l'episodio che, sia pure censurabile, non
dimostra la volontà" del dipendente "di
sottrarsi alla disciplina aziendale e di
insubordinarsi, essendo rimasto nei limiti
di una intemperanza verbale". Ancorché "stigmatizzabile",
ma non meritevole di licenziamento.
L'azienda dovrà anche rifondere l'avvocato
del dipendente con 2.500 euro (Corte di
Cassazione, Sez. lavoro,
sentenza 22.06.2012 n. 10426 - commento
tratto da w link a
www.diritto24.ilsole24ore.com). |
APPALTI:
Nell'interpretazione delle
clausole del bando per l'aggiudicazione di
un contratto della P.A. deve darsi
prevalenza alle espressioni letterali in
esse contenute, escludendo ogni procedimento
ermeneutico in funzione integrativa diretto
ad evidenziare pretesi significati e ad
ingenerare incertezze nell'applicazione.
Inoltre, tutte le disposizioni che in
qualche modo regolano i presupposti, lo
svolgimento e la conclusione della gara,
siano esse contenute nel bando ovvero nella
lettera d'invito e nei loro allegati
(capitolati, convenzioni e simili),
concorrono a formarne la disciplina e ne
costituiscono, nel loro insieme, la lex
specialis, per cui, in caso di oscurità ed
equivocità, un corretto rapporto tra
Amministrazione e privato, che sia
rispettoso dei principi generali del buon
andamento dell'azione amministrativa e di
imparzialità e di quello specifico enunciato
nell'art. 1337 c.c. (dovere di buona fede
delle parti nello svolgimento delle
trattative), impone che di quella disciplina
sia data una lettura idonea a tutelare
l'affidamento degli interessati,
interpretandola per ciò che essa
espressamente dice, e restando il
concorrente dispensato dal ricostruire,
attraverso indagini ermeneutiche ed
integrative, ulteriori ed inespressi
significati.
Innanzitutto, nell'interpretazione delle
clausole del bando per l'aggiudicazione di
un contratto della P.A. deve darsi
prevalenza alle espressioni letterali in
esse contenute, escludendo ogni procedimento
ermeneutico in funzione integrativa diretto
ad evidenziare pretesi significati e ad
ingenerare incertezze nell'applicazione
(C.d.S., V, 30.08.2005, n. 4413).
Inoltre, tutte le disposizioni che in
qualche modo regolano i presupposti, lo
svolgimento e la conclusione della gara,
siano esse contenute nel bando ovvero nella
lettera d'invito e nei loro allegati
(capitolati, convenzioni e simili),
concorrono a formarne la disciplina e ne
costituiscono, nel loro insieme, la lex
specialis, per cui, in caso di oscurità
ed equivocità, un corretto rapporto tra
Amministrazione e privato, che sia
rispettoso dei principi generali del buon
andamento dell'azione amministrativa e di
imparzialità e di quello specifico enunciato
nell'art. 1337 c.c. (dovere di buona fede
delle parti nello svolgimento delle
trattative), impone che di quella disciplina
sia data una lettura idonea a tutelare
l'affidamento degli interessati,
interpretandola per ciò che essa
espressamente dice, e restando il
concorrente dispensato dal ricostruire,
attraverso indagini ermeneutiche ed
integrative, ulteriori ed inespressi
significati (C.d.S., V, 01.03.2003, n. 1142)
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 22.06.2012 n. 3687 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Il diritto di accesso non è
meramente strumentale alla proposizione di
una azione giudiziale, ma ha carattere
autonomo rispetto a essa, cosicché il
giudice dell’accesso deve accertare solo
l’esistenza dei presupposti che legittimano
la richiesta di accesso e non anche la
necessità di utilizzare gli atti richiesti
in un altro giudizio, ad es. dinanzi al
giudice civile, fermo restando però che la
disciplina sull’accesso non può essere
rivolta a tutelare l’interesse a eseguire un
controllo generico e generalizzato
sull’attività della P.A..
Detto altrimenti, la necessaria sussistenza
di un interesse diretto, concreto ed
attuale, corrispondente ad una situazione
giuridicamente tutelata e collegata al
documento a cui è chiesto l’accesso, alla
quale fa riferimento l’art. 22/B) della l.
n. 241/1990 non significa che l’accesso sia
stato configurato dal legislatore con
carattere meramente strumentale rispetto
alla difesa in giudizio della situazione
sottostante. Esso assume invece una valenza
autonoma, non dipendente dalla sorte del
processo principale eventualmente instaurato
e dalla stessa possibilità di instaurazione
di tale processo. In questa prospettiva, il
collegamento tra l'interesse giuridicamente
rilevante del soggetto che richiede
l’accesso e la documentazione oggetto della
relativa istanza, sancito dall’art. 22/B)
della l. n. 241/1990, non può che essere
inteso in senso ampio, posto che la
documentazione richiesta deve essere,
genericamente, mezzo utile per la difesa
dell'interesse giuridicamente rilevante, e
non strumento di prova diretta della lesione
di tale interesse.
La domanda di
accesso ai documenti amministrativi non può
essere palesemente sproporzionata rispetto
all'effettivo interesse conoscitivo del
soggetto richiedente, il quale deve
specificare il nesso che lega il documento
richiesto alla propria posizione soggettiva,
ritenuta meritevole di tutela; detta domanda
deve, inoltre, indicare i presupposti di
fatto idonei a rendere percettibile
l'interesse specifico, concreto ed attuale,
corrispondente ad una situazione
giuridicamente tutelata e collegata al
documento “de quo”.
In via preliminare e generale, come questa
Sezione ha più volte osservato (si vedano le
decisioni nn. 942/2011 e 3309/2010, e ivi
richiami ulteriori), il diritto di accesso
non è meramente strumentale alla
proposizione di una azione giudiziale, ma ha
carattere autonomo rispetto a essa, cosicché
il giudice dell’accesso deve accertare solo
l’esistenza dei presupposti che legittimano
la richiesta di accesso e non anche la
necessità di utilizzare gli atti richiesti
in un altro giudizio, ad es. dinanzi al
giudice civile, fermo restando però che la
disciplina sull’accesso non può essere
rivolta a tutelare l’interesse a eseguire un
controllo generico e generalizzato
sull’attività della P.A..
Detto altrimenti, la necessaria sussistenza
di un interesse diretto, concreto ed
attuale, corrispondente ad una situazione
giuridicamente tutelata e collegata al
documento a cui è chiesto l’accesso, alla
quale fa riferimento l’art. 22/B) della l.
n. 241/1990 non significa che l’accesso sia
stato configurato dal legislatore con
carattere meramente strumentale rispetto
alla difesa in giudizio della situazione
sottostante. Esso assume invece una valenza
autonoma, non dipendente dalla sorte del
processo principale eventualmente instaurato
e dalla stessa possibilità di instaurazione
di tale processo. In questa prospettiva, il
collegamento tra l'interesse giuridicamente
rilevante del soggetto che richiede
l’accesso e la documentazione oggetto della
relativa istanza, sancito dall’art. 22/B)
della l. n. 241/1990, non può che essere
inteso in senso ampio, posto che la
documentazione richiesta deve essere,
genericamente, mezzo utile per la difesa
dell'interesse giuridicamente rilevante, e
non strumento di prova diretta della lesione
di tale interesse (Cons. St., V, 3309/2010 e
ivi rif.).
La giurisprudenza (Cons. St., V, nn. 5226 e
3309 del 2010) ha aggiunto che la domanda di
accesso ai documenti amministrativi non può
essere palesemente sproporzionata rispetto
all'effettivo interesse conoscitivo del
soggetto richiedente, il quale deve
specificare il nesso che lega il documento
richiesto alla propria posizione soggettiva,
ritenuta meritevole di tutela; detta domanda
deve, inoltre, indicare i presupposti di
fatto idonei a rendere percettibile
l'interesse specifico, concreto ed attuale,
corrispondente ad una situazione
giuridicamente tutelata e collegata al
documento “de quo” (Consiglio di
Stato, Sez. V,
sentenza 22.06.2012 n. 3683 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Tralicci per antenne: se la Soprintendenza
dice no, il comune deve convocare la
conferenza di servizi.
Con la
sentenza 22.06.2012 n. 878, il
TAR Veneto, Sez. II, ha esaminato un caso
nel quale il dirigente dello sportello unico
attività produttive del comune ha negato il
permesso di costruire in sanatoria richiesto
dalla ricorrente per la realizzazione di un
traliccio porta antenne per
radiocomunicazioni con contestuale riavvio
del procedimento sanzionatorio, a seguito
dei provvedimenti con i quali il
soprintendente ha espresso il parere
vincolante negativo per l'installazione di
un traliccio porta antenne per
radiocomunicazioni.
Il TAR ha ritenuto illegittimo quanto deciso
del comune: "Va rilevato in primo luogo
l’esistenza di un vizio di violazione di
legge in quanto riferita agli art. 86 e 87
del D.Lgs 01/08/2003 n. 259. Dette norme,
nel rilevare come le infrastrutture di
comunicazione elettronica per impianti
radioelettrici costituiscano delle opere di
urbanizzazione primaria di cui all’art. 16,
comma 7, del DPR 380/2001, subordinano il
rilascio dell’autorizzazione alla
convocazione di una conferenza di servizi ai
sensi dell’art. 87 del D.Lgs 01/08/2003 n.
259 e, ciò, in presenza di un dissenso da
parte di un’Amministrazione interessata.
Nulla di tutto ciò ha posto in essere il
Comune che si è limitato a fare proprio il
parere della Soprintendenza e ad emettere il
provvedimento di diniego impugnato".
Il TAR afferma, dunque, che la legge
speciale n. 259/2003 prevale sulla
disciplina generale del vincolo
paesaggistico (decreto legislativo 42 del
2004).
In conclusione, di fronte a un diniego da
parte della Soprintendenza, bisogna
convocare una conferenza di servizi,
convocando anche la Soprintendenza, per
svolgere approfondimenti istruttori
(commento tratto da e link a http://venetoius.myblog.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Sul
rapporto tra ordine di sospensione lavori e
ordinanza di demolizione.
Sia l’ordinanza di
sospensione sia l’ordinanza di rimozione o
demolizione si inseriscono nella medesima
sequenza funzionale e procedimentale in
quanto atti, tutti, diretti a sanzionare
l’esistenza di abusi edilizi ed urbanistici
presumibilmente verificati
dall’Amministrazione comunale.
Va comunque rilevata l’autonomia di ciascuno
di essi in quanto diretti a tutelare
differenti interessi. Se infatti l’ordinanza
di sospensione dei lavori ha essenzialmente
una funzione cautelare ed, in quanto tale
diretta, ed evitare il protrarsi degli
effetti correlati ad un presunto illecito e
abuso, l’ordinanza di riduzione in pristino
costituisce l’inevitabile sanzione
dell’abuso oramai accertato ed è diretta in
quanto tale ad adeguare la situazione di
fatto a quella di diritto.
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Quando l’atto finale,
pur facendo parte della stessa sequenza
procedimentale in cui si colloca l’atto
preparatorio, non ne costituisca conseguenza
inevitabile perché la sua adozione implica
nuove ed ulteriori valutazioni di interessi
anche di terzi soggetti, l’immediata
impugnazione dell’atto preparatorio non fa
venir meno la necessità dell’impugnazione
dell’atto finale”.
In linea generale,
nell'ambito del rapporto di presupposizione
corrente fra atti inseriti all'interno di un
più ampio contesto procedimentale …… occorre
distinguere fra invalidità ad effetto caducante ed invalidità ad effetto viziante;
nel primo caso l'annullamento dell'atto
presupposto determina l'automatico
travolgimento dell'atto conseguenziale,
senza bisogno che quest'ultimo sia stato
autonomamente impugnato; mentre in caso di
illegittimità ad effetto viziante l'atto
consequenziale diviene invalido per vizio di
invalidità derivata, ma resta efficace salva
apposita ed idonea impugnazione, resistendo
all'annullamento dell'atto presupposto".
Ne consegue che l’ordinanza di rimozione,
proprio in considerazione della natura
giuridica del provvedimento sopra ricordata,
non può essere considerata un atto meramente
confermativo o esecutivo, ma al contrario un
provvedimento che comporta comunque una
nuova ed autonoma valutazione degli
interessi pubblici sottostanti. Nel caso di
specie infatti l’Amministrazione avrebbe
potuto far seguire l’ordinanza di
sospensione dei lavori, da un diverso
provvedimento e, ciò, una volta esaurita
l’indispensabile istruttutoria in relazione
al presunto abuso contestato.
Il ricorso è fondato e va accolto sulla base
dei motivi di seguito precisati.
Si deve rilevare come sul punto risulti
determinante la sentenza pronunciata da
questo Tribunale n. 522/2012 con la questa
si è sancito l’annullamento dell’ordinanza
di sospensione dei lavori già intimata dal
Comune di Rovigo e con riferimento alla
stessa vicenda (e procedimento) di cui è
oggetto il presente giudizio.
Il Comune, malgrado la sentenza di
annullamento di questo Tribunale, si è
determinato nel proseguire il procedimento
già instaurato e relativo al presunto venire
in essere della violazione delle
prescrizioni contenute nell’autorizzazione
unica rilasciata dalla Regione Veneto per la
realizzazione ed all’esercizio di un
impianto di cogenerazione per la produzione
di energia termica ed elettrica nel Comune
di Rovigo.
E’ necessario rilevare come, sia l’ordinanza
di sospensione annullata con la sentenza n.
522/2012 sia, l’ordinanza di rimozione o
demolizione di cui si tratta nel presente
giudizio, si inseriscono nella medesima
sequenza funzionale e procedimentale in
quanto atti, tutti, diretti a sanzionare
l’esistenza di abusi edilizi ed urbanistici
presumibilmente verificati
dall’Amministrazione comunale (in questo
senso TAR Lazio 14.02.2005 n. 1264).
Malgrado l’incidenza degli atti sopra citati
nello stesso procedimento amministrativo, va
comunque rilevata l’autonomia di ciascuno di
essi in quanto diretti a tutelare differenti
interessi. Se infatti l’ordinanza di
sospensione dei lavori ha essenzialmente una
funzione cautelare ed, in quanto tale
diretta, ed evitare il protrarsi degli
effetti correlati ad un presunto illecito e
abuso, l’ordinanza di riduzione in pristino
costituisce l’inevitabile sanzione
dell’abuso oramai accertato ed è diretta in
quanto tale ad adeguare la situazione di
fatto a quella di diritto.
Ricordati i caratteri fondamentali dei due
provvedimenti di cui si tratta risulta
evidente come l’annullamento dell’atto
presupposto (e quindi l’ordinanza di
sospensione dei lavori) abbia determinato,
se non l’effetto caducante, certamente
l’invalidità derivata dell’ordinanza di
rimozione impugnata con il presente ricorso.
Questo Collegio è a conoscenza del dibattito
giurisprudenziale che ha riguardato
l’individuazione dei presupposti
dell’invalidità ad effetto caducante.
Detta diversità di orientamenti è stata
ricomposta ad unità con la sentenza del
Consiglio di Stato n. 5539 del 23.10.2007 nella parte in cui (e con riferimento
alla questione di cui si tratta) ha sancito
che…. "al contrario quando l’atto finale,
pur facendo parte della stessa sequenza
procedimentale in cui si colloca l’atto
preparatorio, non ne costituisca conseguenza
inevitabile perché la sua adozione implica
nuove ed ulteriori valutazioni di interessi
anche di terzi soggetti l’immediata
impugnazione dell’atto preparatorio non fa
venir meno la necessità dell’impugnazione
dell’atto finale”.
Ancora più di recente un’ulteriore pronuncia
del Consiglio di Stato (n. 6359/2011 e
sebbene in materia dell’evidenza pubblica)
ha sancito che… ”In linea generale,
nell'ambito del rapporto di presupposizione
corrente fra atti inseriti all'interno di un
più ampio contesto procedimentale …… occorre
distinguere fra invalidità ad effetto caducante ed invalidità ad effetto viziante;
nel primo caso l'annullamento dell'atto
presupposto determina l'automatico
travolgimento dell'atto conseguenziale,
senza bisogno che quest'ultimo sia stato
autonomamente impugnato; mentre in caso di
illegittimità ad effetto viziante l'atto
consequenziale diviene invalido per vizio di
invalidità derivata, ma resta efficace salva
apposita ed idonea impugnazione, resistendo
all'annullamento dell'atto presupposto" (da
ultimo Cons. giust. amm., 15.04.2009, n.
235; Cons. Stato, sez. V, 17.12.2008,
n. 6289; sez. V, 28.03.2008, n. 1331;
sez. I, 17.01.2007, n. 4915/2006).
Ne consegue che l’ordinanza di rimozione,
proprio in considerazione della natura
giuridica del provvedimento sopra ricordata,
non può essere considerata un atto meramente
confermativo o esecutivo, ma al contrario un
provvedimento che comporta comunque una
nuova ed autonoma valutazione degli
interessi pubblici sottostanti. Nel caso di
specie infatti l’Amministrazione avrebbe
potuto far seguire l’ordinanza di
sospensione dei lavori, da un diverso
provvedimento e, ciò, una volta esaurita
l’indispensabile istruttutoria in relazione
al presunto abuso contestato.
Sul punto va pertanto constato il venire in
essere di un efficacia invalidante che
determina illegittimità dell’atto impugnato
e, ciò in considerazione del fatto che il
provvedimento impugnato contiene lo stesso
percorso logico e motivazionale
dell’ordinanza di sospensione dei lavori,
espunta dall’ordinamento giuridico con la
sentenza di questo Tribunale.
In definitiva è essenziale rilevare che il
rapporto di presupposizione fra atto di
sospensione dei lavori ed ordinanza di
rimozione graduatoria si pone in termini di
invalidità viziante e non caducante, atteso
che la volontà provvedimentale
dell'amministrazione si esprime solo a
conclusione dell'intero procedimento
concorsuale e, ciò, pur in presenza di un
provvedimento che riprende lo stesso
percorso logico e motivazionale del
provvedimento annullato.
Va in ultimo stigmatizzato il comportamento
del Comune che pur in presenza di una
pronuncia di annullamento reitera non porta
ad esecuzione un provvedimento
giurisdizionale, ma reitera un atto con un
contenuto analogo a quello annullato.
Deve al contrario rigettarsi la richiesta di
parte ricorrente diretta ad ottenere una
pronuncia di accertamento dell’illegittimità
del silenzio serbato sull’istanza di revoca
in autotutela presentata da E-factory in
data 17/04/2012.
Sul punto va, infatti, rilevato, in ossequio
ad un principio confermato da una
recentissima pronuncia del Consiglio di
Stato (03.05.2012 n. 2549) che i
provvedimenti di autotutela sono
manifestazione dell’esercizio di un potere
tipicamente discrezionale e, in relazione ai
quali l’Amministrazione non ha alcun obbligo
di attivare il procedimento richiesto.
Qualora intenda farlo, deve valutare la
sussistenza o meno di un interesse che
giustifichi la rimozione dell’atto,
valutazione della quale essa sola è titolare
e che non può ritenersi dovuta nel caso di
una situazione già definita con
provvedimento inoppugnabile
(TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 22.06.2012 n. 873 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
distanza minima di 10 metri fra pareti
finestrate è prevista dalla norma –assolutamente inderogabile e
prevalente sulle eventuali differenti
prescrizioni degli strumenti urbanistici– di
cui all’art. 9 del DM 1444/1968.
In ordine alle distanze, come
risulta dalla tavola planimetrica (doc. 5
del Comune), l’edificio del ricorrente,
insistente sul mappale 629, é distante 2,1
metri dal mappale 826, oltre che meno di 10
metri dall’edificio con parete finestrata di
cui al mappale 160.
Si tratta di distanze inferiori a quelle di
legge; in particolare la distanza minima di
10 metri fra pareti finestrate è prevista
dalla norma –assolutamente inderogabile e
prevalente sulle eventuali differenti
prescrizioni degli strumenti urbanistici–
di cui all’art. 9 del DM 1444/1968 (sul
carattere inderogabile della norma,
applicabile a qualsivoglia intervento
edilizio, anche di ristrutturazione, si
vedano, fra le tante, TAR Lombardia, Milano,
sez. II, 08.09.2011, n. 2187 e 04.11.2011, n.
2654; TAR Piemonte, sez. I, 17.01.2007, n. 22
e TAR Lombardia, Brescia, sez. I, 03.07.2008,
n. 788).
Il Comune non poteva pertanto avallare un
intervento edilizio in contrasto con le
prescrizioni degli strumenti urbanistici e
della normativa in materia di distanze
minime fra edifici
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 20.06.2012 n. 1721 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA -
EDILIZIA PRIVATA: Sulla
correlazione tra zonizzazione acustica e
zonizzazione urbanistica.
La classificazione acustica del territorio
comunale –c.d. zonizzazione acustica– avente
il proprio fondamento nell’art. 4 e
nell’art. 6 della legge quadro
sull’inquinamento acustico n. 447/1995, deve
tenere conto di quella urbanistica, al fine
di evitare illogiche discrasie fra le
medesime e di impedire una zonizzazione
acustica in palese contrasto con la realtà
fattuale della zona.
La classificazione acustica del territorio
comunale –c.d. zonizzazione acustica–
avente il proprio fondamento nell’art. 4 e
nell’art. 6 della legge quadro
sull’inquinamento acustico n. 447/1995, deve
tenere conto di quella urbanistica, al fine
di evitare illogiche discrasie fra le
medesime e di impedire una zonizzazione
acustica in palese contrasto con la realtà
fattuale della zona (cfr. TAR Lombardia,
Milano, sez. II, 26.01.2011, n. 229 e sez. IV,
05.07.2011, n. 1781, con la giurisprudenza ivi
richiamata).
Nel caso di specie, la destinazione
urbanistica dell’area (cfr. doc. 8 della
ricorrente), prevede fasce di rispetto
ambientale, stradale e per la presenza del
depuratore, oltre che una destinazione per
“Attrezzature tecnologiche”.
La porzione immobiliare è priva di
insediamenti residenziali, anzi si
caratterizza per un insediamento industriale
di notevole rilevanza, quale è un impianto
di depurazione, circondato dalle vasche di
raccolta dei reflui e vicino anche ad
importanti nodi stradali (cfr. la
documentazione fotografica depositata dalla
ricorrente il 22.03.2012).
Lo stesso Comune di Brugherio, del resto,
forse consapevole dell’illogicità della
propria scelta, ha avviato una revisione
della zonizzazione acustica, come risulta
dalla corrispondenza intercorsa con la
ricorrente (cfr. docc. da 13 a 16 di
quest’ultima), ma tale revisione non è mai
stata portata a compimento.
Ciò premesso, risulta evidente che la scelta
di zonizzazione in classe III (mista
residenziale-produttiva), non appare
rispettosa della normativa primaria in
materia (legge 447/1995), oltre che viziata
da eccesso di potere per travisamento,
illogicità e difetto di istruttoria.
Per effetto dall’accoglimento del motivo n.
2 del ricorso, la deliberazione impugnata
deve essere annullata in parte (laddove,
cioè, provvede alla classificazione acustica
dell’area della ricorrente), salvo il nuovo
esercizio del potere amministrativo, da
effettuarsi nel rispetto di quanto
risultante dalla presente sentenza
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 15.06.2012 n. 1671 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI: Il
silenzio serbato integra la violazione di un
preciso dovere giuridico sanzionabile in
sede giurisdizionale con l'accertamento
dell'obbligo dell'Amministrazione di
esitare, con provvedimento esplicito, la
richiesta del privato, atteso che il rifiuto
di provvedere, senza alcuna giustificazione,
si risolve in una indubbia limitazione del
diritto di difesa del cittadino.
Sotto il profilo normativo, si rileva che
l’art. 2 della L. 07.08.1990, n. 241 impone
all'Amministrazione l'obbligo di fornire un
riscontro esplicito e motivato, riguardo ad
ogni istanza proposta dal cittadino; e che,
nella specie, il Comune di Fiuggi è, invece,
rimasto praticamente inerte in violazione
delle norme della citata legge generale sul
procedimento amministrativo.
... per l'accertamento del silenzio serbato
dall'Amministrazione sulle istanze della
società ricorrente in data 11.12.2007
per il rilascio del permesso a costruire
inerente alla deliberazione n. 26/2006
relativa ad assegnazione aree piano di
edilizia economico-popolare ed approvazione
dello schema di convenzione;
...
Quanto al merito, il presente ricorso,
proposto avverso detto silenzio, è fondato e
va accolto, essendo l’Amministrazione
comunale tenuta a pronunciarsi sulle istanze
della società ricorrente –reiterate con
l’istanza di diffida- di rilascio del
permesso di costruire in conformità alla
vista delibera consiliare n. 26/2006.
Per giurisprudenza consolidata il silenzio
serbato integra la violazione di un preciso
dovere giuridico sanzionabile in sede
giurisdizionale con l'accertamento
dell'obbligo dell'Amministrazione di
esitare, con provvedimento esplicito, la
richiesta del privato, atteso che il rifiuto
di provvedere, senza alcuna giustificazione,
si risolve in una indubbia limitazione del
diritto di difesa del cittadino (TAR
Campania-Napoli, n. 4698 del 26.10.2001; TAR Campania Sez. II Napoli,
12/11/2004 n. 16775; 05/08/2004 n. 11099).
Sotto il profilo normativo si rileva che
l’art. 2 della L. 07.08.1990, n. 241 impone
all'Amministrazione l'obbligo di fornire un
riscontro esplicito e motivato, riguardo ad
ogni istanza proposta dal cittadino; e che,
nella specie, il Comune di Fiuggi è, invece,
rimasto praticamente inerte in violazione
delle norme della citata legge generale sul
procedimento amministrativo (TAR Lazio-Latina,
sentenza 15.06.2012 n. 486 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La precarietà va
esclusa tutte le volte in cui il manufatto
stesso è destinato a recare un'utilità
prolungata e perdurante nel tempo. In questo
caso, infatti, esso produce una
trasformazione urbanistica perché altera in
modo rilevante e duraturo lo stato del
territorio, senza che rilevino i materiali
impiegati, l'eventuale precarietà
strutturale e la mancanza di fondazioni, se
tali elementi non si traducano in un uso
contingente e limitato nel tempo, con
l'effettiva rimozione delle strutture.
La precarietà, infatti, “va
esclusa tutte le volte in cui il manufatto
stesso è destinato a recare un'utilità
prolungata e perdurante nel tempo. In questo
caso, infatti, esso produce una
trasformazione urbanistica perché altera in
modo rilevante e duraturo lo stato del
territorio, senza che rilevino i materiali
impiegati, l'eventuale precarietà
strutturale e la mancanza di fondazioni, se
tali elementi non si traducano in un uso
contingente e limitato nel tempo, con
l'effettiva rimozione delle strutture”
(cfr., tra le tante, TAR Lazio–Latina,
01.10.2010, n. 1626)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 14.06.2012 n. 1660 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
rilascio di concessione edilizia in deroga
ex art. 41 della legge n. 1150/1942 può
giustificarsi soltanto in vista della
soddisfazione di esigenze straordinarie
rispetto agli interessi primari tutelati
dalla disciplina urbanistica generale.
In alcune, risalenti, decisioni della
giurisprudenza si è delineato un improprio
allargamento del campo di applicazione di
siffatta disciplina, estesa fino al punto di
comprendere i tralicci per gli impianti
televisivi o, ancora, gli edifici destinati
all’ampliamento di una sede consolare di uno
Stato estero e, perfino, un impianto per il
tiro a volo.
Nel caso controverso, la realizzazione di
uno dei tanti impianti di telefonia,
nell’ambito della diffusa rete distribuita
sul territorio, non può rivestire importanza
tale da giustificare l’eccezionalità della
valutazione prevista dalla disposizione
censurata.
Legittimo
è il denegato rilascio di concessione in
deroga ex art. 41 della legge n. 1150/1942,
atteso che l’esercizio del relativo potere
può giustificarsi soltanto in vista della
soddisfazione di esigenze straordinarie
rispetto agli interessi primari tutelati
dalla disciplina urbanistica generale.
Il Collegio, sul punto, rileva che in
alcune, risalenti, decisioni della
giurisprudenza si è delineato un improprio
allargamento del campo di applicazione di
siffatta disciplina, estesa fino al punto di
comprendere i tralicci per gli impianti
televisivi (cfr., TAR Puglia–Bari,
09.02.1996, n. 29) o, ancora, gli edifici
destinati all’ampliamento di una sede
consolare di uno Stato estero (cfr., Cons.
St., sez. IV, 23.05.1988, n. 434) e, perfino,
un impianto per il tiro a volo (cfr., TAR
Calabria–Catanzaro, 10.01.1995, n. 3).
Nel caso controverso, la realizzazione di
uno dei tanti impianti di telefonia,
nell’ambito della diffusa rete distribuita
sul territorio, non può rivestire importanza
tale da giustificare l’eccezionalità della
valutazione prevista dalla disposizione
censurata
(TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 14.06.2012 n. 1660 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Ai
sensi dell’art. 5 DPR 447/1998, sussiste
l’obbligo del Comune di concludere comunque
il procedimento, applicando la disposizione
in esame ove ne sussistano i presupposti
(contrasto del progetto proposto con lo
strumento urbanistico): laddove, perciò, vi
sia detto contrasto, il Comune è tenuto a
valutare l’istanza e, in esito a siffatta
valutazione, a rigettarla motivatamente,
ovvero ad indire la Conferenza di Servizi ex
art. 5, comma 1, cit..
In presenza dei presupposti previsti dal
citato comma 1 (conformità del progetto alla
normativa ambientale, sanitaria ed in tema
di sicurezza sul lavoro; mancanza di aree
con destinazione specifica nello strumento
urbanistico), la P.A. è tenuta a
pronunciarsi espressamente, con atto formale
e motivatamente, sulle ragioni per cui
intenda o meno dare corso all’iter di
approvazione del progetto: infatti, la
discrezionalità della P.A. nell’an e nel
quomodo dell’iter approvativo non implica
che essa possa sottrarsi, ove ne ricorrano i
presupposti, all’obbligo del “clare loqui”,
ossia di provvedere esplicitamente e
motivatamente sulle ragioni del suo
intendimento favorevole o sfavorevole
all’interessato.
A
fortiori si deve, dunque, affermare che
quando
sia stata convocata la Conferenza di Servizi
e quest’ultima abbia assunto le relative
determinazioni, il Comune ha l’obbligo di
pronunciarsi sulle stesse, mediante
deliberazione del Consiglio Comunale, nel
termine di sessanta giorni ex art. 5, comma
2, del d.P.R. n. 447/1998, come del resto si
ricava dalla lettera dell’art. 5, comma 2
cit.: in difetto di tale pronuncia si
realizza, pertanto, un’ipotesi di
silenzio-inadempimento, giustiziabile con il
rito ex artt. 31 e 117 del d.lgs. n.
104/2010.
L’art. 5 del d.P.R. n. 447/1998
(regolamento recante norme di
semplificazione dei procedimenti di
autorizzazione per la realizzazione,
ampliamento, ristrutturazione e
riconversione degli impianti produttivi)
prevede al comma 1 che, qualora il progetto
presentato sia in contrasto con lo strumento
urbanistico o richieda una sua variazione,
il responsabile del procedimento rigetta
l’istanza; tuttavia, se il progetto sia
conforme alle norme in materia ambientale,
sanitaria e di sicurezza del lavoro, ma lo
strumento urbanistico non individui aree
destinate all’insediamento di impianti
produttivi, ovvero queste siano
insufficienti in relazione al progetto
presentato, il responsabile del procedimento
può, motivatamente (e dandone nel contempo
pubblico avviso), convocare una Conferenza
di Servizi ex art. 14 della l. n. 241/1990.
A detta Conferenza possono partecipare i
soggetti, portatori di interessi pubblici o
privati, individuali o collettivi, ed i
portatori di interessi diffusi costituiti in
associazioni o comitati, cui possa derivare
un pregiudizio dalla realizzazione
dell’impianto industriale. Al comma 2 si
prevede poi che, ove l’esito della
Conferenza di Servizi comporti la variazione
dello strumento urbanistico, la relativa
determinazione costituisce proposta di
variante, sulla quale –considerate le
osservazioni, proposte e opposizioni
formulate dagli aventi titolo ai sensi della
l. n. 1105/1942– si pronuncia
definitivamente entro sessanta giorni il
Consiglio Comunale, senza che in proposito
sia richiesta l’approvazione della Regione
(le cui attribuzioni sono fatte salve
dall’art. 14, comma 3-bis, della l. n.
241/1990).
La giurisprudenza (cfr. TAR Sicilia,
Catania, Sez. I, 09.12.2008, n. 2325)
ha affermato che, ai sensi dell’art. 5 cit.,
sussiste l’obbligo del Comune di concludere
comunque il procedimento, applicando la
disposizione in esame ove ne sussistano i
presupposti (contrasto del progetto proposto
con lo strumento urbanistico): laddove,
perciò, vi sia detto contrasto, il Comune è
tenuto a valutare l’istanza e, in esito a
siffatta valutazione, a rigettarla
motivatamente, ovvero ad indire la
Conferenza di Servizi ex art. 5, comma 1, cit..
Ancora di recente, si è osservato che,
in presenza dei presupposti previsti dal
citato comma 1 (conformità del progetto alla
normativa ambientale, sanitaria ed in tema
di sicurezza sul lavoro; mancanza di aree
con destinazione specifica nello strumento
urbanistico), la P.A. è tenuta a
pronunciarsi espressamente, con atto formale
e motivatamente, sulle ragioni per cui
intenda o meno dare corso all’iter di
approvazione del progetto: infatti, la
discrezionalità della P.A. nell’an e nel
quomodo dell’iter approvativo non implica
che essa possa sottrarsi, ove ne ricorrano i
presupposti, all’obbligo del “clare loqui”,
ossia di provvedere esplicitamente e
motivatamente sulle ragioni del suo
intendimento favorevole o sfavorevole
all’interessato (v. TAR Campania, Napoli,
Sez. VIII, 26.10.2011, n. 4942).
A
fortiori si deve, dunque, affermare che
quando –come nella vicenda ora in esame–
sia stata convocata la Conferenza di Servizi
e quest’ultima abbia assunto le relative
determinazioni, il Comune ha l’obbligo di
pronunciarsi sulle stesse, mediante
deliberazione del Consiglio Comunale, nel
termine di sessanta giorni ex art. 5, comma
2, del d.P.R. n. 447/1998, come del resto si
ricava dalla lettera dell’art. 5, comma 2
cit.: in difetto di tale pronuncia si
realizza, pertanto, un’ipotesi di
silenzio-inadempimento, giustiziabile con il
rito ex artt. 31 e 117 del d.lgs. n.
104/2010
(TAR Lazio-Latina,
sentenza 12.06.2012 n. 465 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ESPROPRIAZIONE:
Nomina di due tecnici per la determinazione
definitiva dell’indennità di espropriazione:
cosa si fa se l'autorità espropriante non
provvede?
La risposta alla domanda è fornita dalla
sentenza 11.06.2012 n. 802 del
TAR Veneto, Sez. II.
Scrive il TAR: "l’articolo 21 del DPR n.
327/2001 dispone, al comma 2, che, se manca
l’accordo sulla determinazione
dell’indennità di espropriazione, l’autorità
espropriante invita il proprietario
interessato a comunicare entro i successivi
venti giorni se intenda avvalersi del
procedimento di determinazione
dell’indennità previsto dai commi
successivi. In particolare, il comma 3
dispone che, in caso di comunicazione
positiva del proprietario, l’autorità
espropriante nomina due tecnici, tra cui
quello eventualmente già designato dal
proprietario e fissa il termine entro il
quale va presentata la relazione da cui si
evinca la stima del bene, mentre la nomina
di un terzo tecnico spetta al Presidente del
tribunale civile nella cui circoscrizione si
trovi il bene da espropriare.
Nel caso oggetto del presente giudizio, i
ricorrenti non hanno condiviso la misura
della indennità provvisoria, onde hanno
prodotto istanza (in data 08-10-2011) nella
quale, indicato il tecnico di propria
fiducia, hanno richiesto all’autorità
espropriante la nomina di due tecnici, a
mente del richiamato articolo 21 del T.U.
Espropriazioni. Non avendo avuto riscontro
alla loro richiesta, in data 09.02.2012 e
03.02.2012, hanno notificato al Ministero
dello Sviluppo Economico e alla Snam s.p.a.
diffida stragiudiziale, intimando
l’effettuazione dell’adempimento di cui alla
citata norma.
Il Ministero dello Sviluppo Economico,
peraltro, non ha dato corso al procedimento
avviato dai privati, onde si è certamente
formato il silenzio-rifiuto censurato nel
presente giudizio, considerato che
dall’articolo 2 della legge n. 241/199021 e
dell’articolo 21 del dpr n. 327/2001 deriva
indiscutibilmente l’obbligo per l’autorità
espropriante di concludere il procedimento
di determinazione definitiva dell’indennità
con un provvedimento espresso e motivato.
Va, per l’effetto, dichiarata
l’illegittimità del silenzio-rifiuto serbato
sulla richiesta del privato ed impartito
l’ordine giurisdizionale di conclusione del
procedimento per la determinazione
definitiva dell’indennità" (commento
tratto da e link a http://venetoius.myblog.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Centri culturali islamici: in quali zone del
PRG possono collocarsi? La questione delle
associazioni di promozione sociale.
Nel caso esaminato dalla
sentenza 11.06.2012 n. 801 del
TAR Veneto, Sez. II, il comune ha diffidato
un centro culturale islamico a usare un
immobile in modo difforme dalla destinazione
d'uso risultante dal certificato di
agibilità conseguito per il medesimo
immobile (capannone destinato ad attività
produttivo-artigianale).
Il TAR ha ritenuto che le disposizioni del
PRG non consentano destinazioni d'uso
diverse da quelle produttivo-artigianali e
ha concluso che le attività destinate al
culto e/o ad associazioni culturali o
religiose non possono trovare collocazione
in questa zona, ma possono essere svolte
nelle zone a ciò destinate dal P.R.G., ai
sensi dell’art. 30 delle N.T.A.
IL TAR non ha ritenuto applicabile la
disposizione dell'art. 32 della legge 383
del 2000 che stabilisce che le attività
delle associazioni di promozione sociale
sono compatibili con qualsiasi destinazione
urbanistica, in quanto non è stato
conseguito il formale riconoscimento come
associazione di promozione sociale: "che,
invero, ai sensi dell’art. 7 della normativa
invocata è prevista l’iscrizione delle
associazioni di promozione sociale in
appositi registri, su scala nazionale o
regionale a seconda del livello di
operatività delle associazioni, e ai sensi
del successivo art. 8 è prescritto che al
fine di usufruire dei benefici di cui alla
legge de qua è necessario conseguire
l’iscrizione nei suddetti registri,
nazionali o regionali; atteso che
l’associazione ricorrente non ha fornito
alcuna documentazione a tale specifico
riguardo, non dimostrando l’iscrizione nel
registi di cui alla L. n. 383/2000, diversa
essendo la documentazione proveniente
dall’Agenzia delle Entrate ai sensi e per
gli effetti di cui al D.lgs. n. 460/1997"
(commento tratto da e link a http://venetoius.myblog.it). |
ENTI LOCALI: Consiglio
di Stato. Delibera campana. Violazione del
patto, l'atto si annulla con l'autotutela.
IL PRINCIPIO/ Il coordinamento della finanza
pubblica può giustificare limiti all'azione
legislativa e amministrativa regionale.
È legittimo annullare gli atti che hanno
determinato una violazione volontaria del
patto di stabilità.
È arrivato a questa conclusione il Consiglio
di Stato, Sez. V (sentenza
07.06.2012 n. 3361) che conferma la
sentenza 17231/2010 del Tar Campania,
Napoli, Sezione I, che ha respinto il
ricorso di alcuni consiglieri regionali
(attuali appellanti) per l'annullamento di
delibere di giunta regionale che hanno
invalidato, in base all'articolo 14, comma
20, del Dl 78/2010, precedenti delibere e un
verbale con cui la passata amministrazione
aveva intenzionalmente eluso i vincoli del
patto 2009.
L'articolo 14, comma 20 e seguenti del Dl
prevede:
- l'annullamento senza indugio, da parte
dello stesso organo che li ha emessi, degli
atti di giunta o di consiglio regionale che
hanno disposto lo sforamento adottati nei
dieci mesi antecedenti alle elezioni;
- la revoca di diritto, in seguito agli atti
di annullamento, di varie tipologie di
incarichi (dirigenziali, a tempo
determinato, di consulenza) conferiti
all'esterno dalla Regione e dagli enti
partecipati in modo maggioritario;
- l'elaborazione di un piano di rientro da
parte del presidente della Regione.
Il Consiglio di Stato, negando la
legittimazione attiva degli appellanti, ha
ribadito che le autonomie concorrono,
mediante assoggettamento alle regole del
patto, agli obiettivi di finanza pubblica
stabiliti in sede europea.
Le motivazioni sostanziali sono di estremo
interesse, anche alla luce delle difficoltà
della nostra finanza pubblica.
Il Collegio richiama sia il nuovo articolo
97 della Costituzione, integrato con la
legge 1/2012, che, in coerenza con
l'ordinamento dell'Unione europea, impegna
le Pa ad assicurare l'equilibrio dei bilanci
e la sostenibilità del debito pubblico, sia
la posizione della Corte costituzionale
(sentenza 207/2011) che, pronunciandosi
proprio sull'articolo 14 del Dl 78/2010, ha
ritenuto legittime le regole del patto che
pongono vincoli complessivi di spesa e
sanzioni volte ad assicurarne il rispetto.
Si afferma, di conseguenza, che il
coordinamento della finanza pubblica può
giustificare anche limiti all'azione
legislativa e amministrativa regionale in
materie di competenza concorrente e
residuale, derivanti da leggi statali
finalizzate al riequilibrio dei conti
mediante una transitoria limitazione della
spesa corrente.
Il contenimento dell'indebitamento della
Repubblica, per il quale lo Stato risponde
unitariamente in sede comunitaria, può
legittimare anche lo strumento sanzionatorio
di autotutela obbligatoria previsto
dall'articolo 14, comma 20, che non va
confuso con annullamento straordinario del
Governo ex articolo 2, comma 3, lettera p),
della legge 400/1988, dichiarato
incostituzionale nei confronti delle Regioni
(si veda la sentenza della Corte
costituzionale 229/1989).
Nel caso si specie, difatti, sono gli stessi
organi regionali a rimuovere gli atti che
hanno causato lo sforamento, stante la loro
idoneità a mettere in pericolo l'unità
economica della Repubblica. Non si può
parlare, dunque, neanche di intervento
sostitutivo dello Stato nei confronti delle
Regioni ex articolo 120, comma 2, della
Costituzione e articolo 8 della legge
131/2003, ma di strumento di coordinamento
della finanza pubblica che rende cogenti per
tutti i livelli di governo i vincoli di
bilancio, che altrimenti rimarrebbero nella
sola discrezionalità degli enti, con gravi
rischi per l'unità economica della
Repubblica.
Per Palazzo Spada, dunque, l'autotutela
obbligatoria prevista dal Dl 78/2010, non è
in contrasto con il principio di leale
collaborazione fra i livelli di governo, «ma
anzi costituisce una sua manifestazione che
deve caratterizzare il rapporto di tutti gli
enti costituzionali o aventi rilevanza
costituzionale e dotati di reciproca
autonomia garantita dalla Costituzione»
(articolo Il Sole 24
Ore del 25.06.2012 - link a
www.ecostampa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
disciplina delle distanze minime fra gli
edifici tra i quali sono interposte strade
destinate al traffico di veicoli è quella di
cui all'art. 9, d.m. n. 1444/1968.
La definizione di strada cui questa
disposizione fa riferimento, in linea con
l’art. 1 del codice della strada, va
riferita alle sole aree ad uso pubblico
destinate alla circolazione, essendo tali
norme finalizzate a disciplinare le fasce di
rispetto delle costruzioni ai fini della
sicurezza della circolazione.
---------------
L'accertamento in ordine alla natura
pubblica di una strada presuppone
l'esistenza di un atto o di un fatto in base
al quale la proprietà del suolo su cui essa
sorge sia di proprietà di un ente pubblico
territoriale, ovvero che a favore del
medesimo ente sia stata costituita una
servitù di uso pubblico, e che la stessa sia
destinata all'uso pubblico con una
manifestazione di volontà espressa o tacita
dell'ente medesimo, senza che sia
sufficiente, a tal fine, l'esplicarsi di
fatto del transito del pubblico, né la mera
previsione programmatica della sua
destinazione a strada pubblica, o
l'intervento di atti di riconoscimento da
parte dell'amministrazione medesima circa la
funzione da essa assolta
L'art. 28 delle n.t.a. del piano
regolatore comunale disciplina le distanze
minime fra gli edifici tra i quali sono
interposte strade destinate al traffico di
veicoli, riproducendo le prescrizioni di cui
all'art. 9, d.m. n. 1444/1968.
La definizione di strada cui queste
disposizioni fanno riferimento, in linea con
l’art. 1 del codice della strada, va riferita
alle sole aree ad uso pubblico destinate
alla circolazione, essendo tali norme
finalizzate a disciplinare le fasce di
rispetto delle costruzioni ai fini della
sicurezza della circolazione (si richiamano
al riguardo le motivazioni espresse, in una
fattispecie analoga, dal Consiglio di Stato,
sez. V, 28.06.2011, n. 3868).
Nel caso di specie, l'amministrazione ha
invece ritenuto applicabile la normativa in
questione per il solo fatto che si tratta di
strada con passaggio di veicoli, circostanza
meramente fattuale che non coincide con
l'uso pubblico della strada.
L'accertamento in ordine alla natura
pubblica di una strada presuppone, invero,
l'esistenza di un atto o di un fatto in base
al quale la proprietà del suolo su cui essa
sorge sia di proprietà di un ente pubblico
territoriale, ovvero che a favore del
medesimo ente sia stata costituita una
servitù di uso pubblico, e che la stessa sia
destinata all'uso pubblico con una
manifestazione di volontà espressa o tacita
dell'ente medesimo, senza che sia
sufficiente, a tal fine, l'esplicarsi di
fatto del transito del pubblico, né la mera
previsione programmatica della sua
destinazione a strada pubblica, o
l'intervento di atti di riconoscimento da
parte dell'amministrazione medesima circa la
funzione da essa assolta (Cassazione civile,
sez. II, 07.04.2006, n. 8204).
Il provvedimento impugnato è quindi affetto
dai vizi di difetto di istruttoria e di
motivazione. Le ulteriori censure possono
essere assorbite.
La domanda di risarcimento dei danni deve
essere respinta perché la società ha
tempestivamente ottenuto la tutela cautelare
richiesta ed anche poiché non è stata
offerta, in corso di giudizio, una prova dei
danni derivanti del ritardo nella
edificazione, mediante l'allegazione di
precise circostanze di fatto.
Per le ragioni esposte la domanda di
annullamento è fondata e va quindi accolta.
Va invece respinta la domanda di
risarcimento dei danni
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 07.06.2012 n. 1612 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
presentazione, in epoca successiva
all’ingiunzione alla demolizione, di istanza
di condono edilizio e/o di accertamento di
conformità produce
l'effetto di rendere inefficace tale
provvedimento e, quindi, improcedibile il
ricorso proposto avverso la stessa per
sopravvenuta carenza di interesse, in quanto
il riesame dell'abusività dell'opera, sia
pure al fine di verificarne l'eventuale
sanabilità, provocato da detta istanza,
comporta la necessaria formazione di un
nuovo provvedimento (di accoglimento o di
rigetto), che vale comunque a superare il
provvedimento sanzionatorio oggetto
dell'impugnativa.
Pertanto, il ricorso
giurisdizionale avvero un provvedimento
sanzionatorio, proposto anteriormente
all'istanza di condono edilizio, deve
ritenersi improcedibile per sopravvenuta
carenza di interesse, spostandosi
l'interesse del responsabile dell'abuso
edilizio dall'annullamento del provvedimento
già adottato, all'eventuale annullamento del
provvedimento di rigetto.
Costituisce
giurisprudenza ormai consolidata, anche di
questa Sezione, che la presentazione, in
epoca successiva all’ingiunzione alla
demolizione, di istanza di condono edilizio
e/o di accertamento di conformità “produce
l'effetto di rendere inefficace tale
provvedimento e, quindi, improcedibile il
ricorso proposto avverso la stessa per
sopravvenuta carenza di interesse, in quanto
il riesame dell'abusività dell'opera, sia
pure al fine di verificarne l'eventuale
sanabilità, provocato da detta istanza,
comporta la necessaria formazione di un
nuovo provvedimento (di accoglimento o di
rigetto), che vale comunque a superare il
provvedimento sanzionatorio oggetto
dell'impugnativa.
Pertanto, il ricorso
giurisdizionale avvero un provvedimento
sanzionatorio, proposto anteriormente
all'istanza di condono edilizio, deve
ritenersi improcedibile per sopravvenuta
carenza di interesse, spostandosi
l'interesse del responsabile dell'abuso
edilizio dall'annullamento del provvedimento
già adottato, all'eventuale annullamento del
provvedimento di rigetto” (Consiglio di
Stato, sez. VI, 12.11.2008, n. 5846,
TAR Lazio, Roma, sez. II, 10.05.2010, n.
10574) (TAR Lazio-Latina,
sentenza 07.06.2012 n. 451 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
COMPETENZE GESTIONALI - SEGRETARI COMUNALI: Mentre
alla Giunta Comunale è attribuito il compito
di adottare atti di indirizzo che impegnano
dirigenti e responsabili degli uffici e dei
servizi (nei Comuni privi di qualifica
dirigenziale), ai Dirigenti competono, ai
sensi del successivo comma 3 dell’art. 107,
le modalità per assolvere ai compiti di
attuazione degli obiettivi e dei programmi
nonché numerose funzioni con rilevanza
esterna, essendo titolari non solo della
gestione amministrativa, ma anche di quella
finanziaria e tecnica, attraverso degli
autonomi poteri di spesa, di organizzazione
delle risorse umane, strumentali e di
controllo anche e soprattutto nella materia
degli appalti pubblici: in tale ottica si
spiega l’attribuzione, in capo ai dirigenti
degli enti locali, della competenza a
presiedere le commissioni di gara e di
concorso, delle responsabilità delle
procedure di appalto e di concorso, e, di
conseguenza, anche della nomina della
commissione giudicatrice, mediante
disposizioni immediatamente applicabili,
senza necessità d'interposizione di apposite
fonti secondarie.
Con riferimento ai Comuni di piccole
dimensione, nei quali risulta difficile
individuare una figura dirigenziale, trova
applicazione l’art. 109 D.Lgs. 267/2000, il
quale, sebbene sembri lasciare al Sindaco
un’ampia discrezionalità nel delegare, con
provvedimento motivato, dette funzioni
gestionali, ai responsabili degli uffici e
dei servizi, indipendentemente dalla loro
qualifica funzionale, non consente, però,
neanche in lettura combinata con l’art. 53,
comma 23, della L. n. 388/2000, nel testo
modificato dall’art. 29, comma IV, L.
448/2001, che, nei comuni con popolazione
inferiore a 5000 abitanti, la possibilità di
affidare, mediante espresse disposizioni
regolamentari, la responsabilità degli
uffici e dei servizi nonché il potere di
adottare atti anche di natura tecnica-
gestionale, in capo all’intera Giunta, in
sede collegiale, ma, eventualmente, soltanto
in capo al componente dell’organo esecutivo,
uti singulo.
---------------
Nell'attuale assetto normativo, il
Segretario Comunale mantiene con il comune
un mero rapporto organico e non di servizio,
ha istituzionalmente compiti di
collaborazione, di assistenza
giuridico-amministrativa e di sovrintendenza
e di coordinamento del personale
dirigenziale (in presenza di determinati
presupposti), di consulenza, di
verbalizzazione e di ufficiale rogante per
tutti i contratti di cui il comune è parte,
per cui non può espletare altre specifiche
funzioni, come la presidenza di una
Commissione di gara o la direzione di un
ufficio, in assenza di un'espressa
previsione statutaria o regolamentare.
Con il primo motivo, parte ricorrente deduce
che la Commissione di Gara sarebbe stata
nominata dalla Giunta Comunale, con Delibera
n. 17 del 2011, anziché dal competente
Responsabile del Settore Urbanistica.
Viene dedotta la violazione degli articoli
84, comma 2°, del D.Lgs. n. 163 del 2006 e
dell’art. 107 del D.Lgs. n. 267 del 2000, in
relazione al principio della separazione tra
poteri di indirizzo e controllo politico
amministrativo, spettanti agli organi di
governo, e poteri di gestione
ammi-nistrativa finanziaria e tecnica,
attribuiti ai dirigenti, in base al quale
spetta ai dirigenti “la responsabilità
delle procedure di appalto e di concessione”
e, quindi, di qualsiasi provvedimento di
natura tecnico gestionale, tra cui rientra
sicuramente anche la nomina della
commissione di gara .
Si tratta di una norma che generalizza ed
estende a tutti i contratti pubblici di
lavori, servizi, forniture la disciplina
originariamente prevista, quanto agli
appalti per lavori pubblici, dall’art. 21
della legge 109/1994, in tema di nomina e
costituzione della commissione giudicatrice,
allorquando il criterio di aggiudicazione
prescelto è quello dell’offerta economica
più vantaggiosa.
Per correttezza espositiva, va evidenziato
che, con sentenza Corte Cost. n. 401 del
23.11.2007, è stato dichiarato
costituzionalmente illegittimo l’art. 84,
commi 2, 3, 8 e 9, D.lgs. n. 163/2006, nella
parte in cui vincolava le Regioni
all’osservanza di norme in materia di
composizione e modalità di nomina dei
componenti delle commissioni di gara,
anziché disporre che le disposizioni abbiano
carattere suppletivo e cedevole rispetto ad
una divergente normativa regionale (sia che
abbia già diversamente disposto o che
disponga per l’avvenire), trattandosi di
profili che non rientrano nella materia
della tutela della concorrenza, ma nella
materia della organizzazione amministrativa,
che compete alle Regioni .
Ma di una disposizione legislativa
regionale, che abbia disposto sul punto in
divergenza rispetto alle previsioni
invocate, non vi è traccia nel caso di
specie.
I rapporti tra Giunta Comunale ed apparato
burocratico trovano disciplina generale
nell’art. 107, comma 1, del D.Lgs. n. 267
del 2000, secondo cui agli organi di governo
spettano i poteri di indirizzo e di
controllo ed ai dirigenti spetta la gestione
amministrativa.
Il principio di separazione dei poteri tra
organi politici e dirigenti è poi ripreso
dal comma 2° del medesimo art. 107 del D.Lgs. n. 267 del 2000, il quale precisa che
spettano ai dirigenti tutti i compiti,
compresa l’adozione di atti che impegnano
l’amministrazione verso l’esterno, che la
legge e lo statuto espressamente non
riservano agli organi di governo dell’ente
e/o che non rientrano tra le funzioni del
segretario o del direttore generale.
Dall’esegesi di queste norme, si evince
chiaramente che, mentre alla Giunta Comunale
è attribuito il compito di adottare atti di
indirizzo che impegnano dirigenti e
responsabili degli uffici e dei servizi (nei
Comuni privi di qualifica dirigenziale), ai
Dirigenti competono, ai sensi del successivo
comma 3 dell’art. 107, le modalità per
assolvere ai compiti di attuazione degli
obiettivi e dei programmi nonché numerose
funzioni con rilevanza esterna, essendo
titolari non solo della gestione
amministrativa, ma anche di quella
finanziaria e tecnica, attraverso degli
autonomi poteri di spesa, di organizzazione
delle risorse umane, strumentali e di
controllo anche e soprattutto nella materia
degli appalti pubblici: in tale ottica si
spiega l’attribuzione, in capo ai dirigenti
degli enti locali, della competenza a
presiedere le commissioni di gara e di
concorso, delle responsabilità delle
procedure di appalto e di concorso, e, di
conseguenza, anche della nomina della
commissione giudicatrice, mediante
disposizioni immediatamente applicabili,
senza necessità d'interposizione di apposite
fonti secondarie (conf.: Cons. Stato, Sez.
V 28.12.2007 n. 6723).
Con riferimento ai Comuni di piccole
dimensione, nei quali risulta difficile
individuare una figura dirigenziale, trova
applicazione l’art. 109 D.Lgs. 267/2000, il
quale, sebbene sembri lasciare al Sindaco
un’ampia discrezionalità nel delegare, con
provvedimento motivato, dette funzioni
gestionali, ai responsabili degli uffici e
dei servizi, indipendentemente dalla loro
qualifica funzionale, non consente, però,
neanche in lettura combinata con l’art. 53,
comma 23, della L. n. 388/2000, nel testo
modificato dall’art. 29, comma IV, L. 448/2001,
che, nei comuni con popolazione inferiore a
5000 abitanti, la possibilità di affidare,
mediante espresse disposizioni
regolamentari, la responsabilità degli
uffici e dei servizi nonché il potere di
adottare atti anche di natura tecnica-
gestionale, in capo all’intera Giunta, in
sede collegiale, ma, eventualmente, soltanto
in capo al componente dell’organo esecutivo,
uti singulo.
Nel caso di specie, invece, la nomina della
commissione di gara è stata posta in essere
dalla Giunta Comunale Comunale, con
l’impugnata Deliberazione n. 17 del
19.01.2011.
Ne discende l’accoglimento della presente
censura.
---------------
Con il
secondo motivo, parte ricorrente deduce che
la presidenza della commissione di gara, in
violazione degli artt. 107, comma 3, lett.
a), D. L.vo 267/2000 e 84, comma 3, D. L.vo
163/2006, non sarebbe stata attribuita al
Responsabile del Settore, ma al segretario
comunale, peraltro con motivazioni
genericamente riferibili ad esigenze di
servizio e ad eccessivo carico di lavoro al
fine di non pregiudicare il normale
funzionamento del servizio (Deliberazione
G.C. n. 49/2011).
L’art. 84, comma 3°, del D. Lgs 12.04.2006 n.
163 stabilisce: “La commissione è presieduta
da un dirigente della stazione appaltante,
nominato dall'organo competente”.
Ed invero, nell'attuale assetto normativo,
il Segretario Comunale, mantiene con il
comune un mero rapporto organico e non di
servizio, ha istituzionalmente compiti di
collaborazione, di assistenza
giuridico-amministrativa e di sovrintendenza
e di coordinamento del personale
dirigenziale (in presenza di determinati
presupposti), di consulenza, di
verbalizzazione e di ufficiale rogante per
tutti i contratti di cui il comune è parte,
per cui non può espletare altre specifiche
funzioni, come la presidenza di una
Commissione di gara o la direzione di un
ufficio, in assenza di un'espressa
previsione statutaria o regolamentare.
Ma, nel caso di specie, non vi è traccia in
atti dell’esistenza di siffatta previsione
statutaria o regolamentare.
Pertanto, la censura merita adesione
(TAR Calabria-Catanzaro, Sez. I,
sentenza
06.06.2012 n. 538 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
silenzio che, in base al comma 9 dell’art.
20 dpr 380/2001 (nel testo anteriore al d.l.
n. 70/2011), si forma per effetto
dell’inutile decorso del termine di
conclusione del procedimento sull’istanza di
rilascio del permesso di costruire, ha
natura di silenzio-inadempimento, ossia di
un silenzio che esprime la mera inerzia
della P.A. quanto al suo obbligo di
concludere, nei termini di legge, il
procedimento con un provvedimento espresso.
Avverso detta inerzia è, dunque, possibile
esperire il rito speciale, già disciplinato
dall’art. 21-bis della l. n. 1034/1971, ed
ora dagli artt. 31 e 117 del d.lgs. n.
104/2010. Peraltro, il suddetto art. 31, al
comma 2, dispone che l’azione avverso il
silenzio può essere proposta finché perdura
l’inadempimento e, comunque, non oltre un
anno dalla scadenza del termine di
conclusione del procedimento, fatta salva la riproponibilità (ove ne ricorrano i
presupposti) dell’istanza di avvio del
procedimento.
---------------
Ove sopraggiungano modifiche normative in un
momento in cui la fase costitutiva del
procedimento non si è ancora conclusa, di
siffatte modifiche la P.A. dovrà tenere
conto, in base al principio tempus regit
actum.
Con riferimento proprio ad una fattispecie
di silenzio-inadempimento, infatti, la
giurisprudenza ha chiarito che, sebbene in
questo caso la P.A. conservi il potere di
provvedere pur dopo lo spirare del termine
di conclusione del procedimento, le
modifiche normative intervenute prima della
formale adozione debbono essere osservate
dalla P.A. medesima, in adesione al
principio tempus regit actum.
Ed invero, in base al testo
dell’art. 20 del d.P.R. n. 380/2001
anteriore alle modifiche apportate dal d.l.
n. 70/2011 (in vigore al tempo della
presentazione della domanda di permesso di
costruire da parte dei sigg.ri Dell’Uomo),
il responsabile del procedimento ha un
termine di 60 giorni dalla
presentazione della domanda di rilascio del
permesso di costruire per formulare una
proposta di provvedimento, su cui il
dirigente o il responsabile dell’Ufficio
deve provvedere nei successivi 15
giorni, adottando il provvedimento finale.
A
tal proposito, va rammentato che, secondo la
costante giurisprudenza di questa Sezione
(cfr. TAR Lazio, Latina, Sez. I, 03.02.2011, n. 89; id., 14.02.2012,
n. 117), il silenzio che, in base al comma 9
dell’art. 20 cit. (nel testo, si ripete,
anteriore al d.l. n. 70/2011), si forma per
effetto dell’inutile decorso del termine di
conclusione del procedimento sull’istanza di
rilascio del permesso di costruire, ha
natura di silenzio-inadempimento, ossia di
un silenzio che esprime la mera inerzia
della P.A. quanto al suo obbligo di
concludere, nei termini di legge, il
procedimento con un provvedimento espresso.
Avverso detta inerzia è, dunque, possibile
esperire il rito speciale, già disciplinato
dall’art. 21-bis della l. n. 1034/1971, ed
ora dagli artt. 31 e 117 del d.lgs. n.
104/2010. Peraltro, il suddetto art. 31, al
comma 2, dispone che l’azione avverso il
silenzio può essere proposta finché perdura
l’inadempimento e, comunque, non oltre un
anno dalla scadenza del termine di
conclusione del procedimento, fatta salva la riproponibilità (ove ne ricorrano i
presupposti) dell’istanza di avvio del
procedimento.
Andando ad applicare la suesposta
disciplina alla fattispecie in esame, nella
quale l’istanza dei ricorrenti risulta
presentata il 05.11.2010, se ne desume
l’intervenuta scadenza del termine di
conclusione del relativo procedimento in
data 19.01.2011: il ricorso, pertanto,
avrebbe dovuto essere proposto entro il 19.01.2012, il che non è avvenuto, essendo
stato esso notificato per via postale
solamente il 03.02.2012 e, quindi,
oltre il termine ex art. 31, comma 2, del
d.lgs. n. 104 cit., con il corollario della
sua tardività.
Vero è che i ricorrenti hanno
depositato (cfr. all. 4 al ricorso) la nota
del Comune di S. Felice Circeo prot. n. 5795
del 03.03.2011, recante la determinazione
d’esame n. 17/11, con la quale il
responsabile del Settore Edilizia Privata e
Tutela Ambientale del Comune stesso ha
espresso parere favorevole al rilascio del
permesso di costruire, peraltro
subordinandolo ad una serie di condizioni
(tra cui, in particolare, la stipula di un
atto notarile contenente l’obbligo dei
richiedenti di cedere al Comune
gratuitamente un’area da adibire a
parcheggio pubblico delle dimensioni di mq.
79,45 ed il pagamento degli oneri
concessori).
Per quanto appena visto, tale
determinazione è intervenuta dopo la
formazione del silenzio rifiuto, inteso
quale silenzio inadempimento, sulla
richiesta dei ricorrenti. Laddove, peraltro,
la si voglia considerare quale atto
(tardivo) dell’istruttoria procedimentale,
essa potrebbe venire assimilata alle
richieste di integrazione documentale con le
quali, ai sensi dell’art. 20, comma 5, del d.P.R. n. 380/2001, il responsabile del
procedimento può interrompere –per una sola
volta– il procedimento, il cui termine
ricomincia a decorrere ex novo dalla data di
ricevimento della documentazione
integrativa, oppure come atto di sospensione
del decorso del procedimento ex art. 20,
comma 4, cit.: quale che sia la soluzione
prescelta, resta tuttavia fermo che i
ricorrenti hanno provveduto a trasmettere la
documentazione integrativa in epoca
certamente posteriore all’entrata in vigore
del d.l. n. 70/2011 (pubblicato nella G.U.
n. 110 del 13.05.2011), come dimostra il
fatto che le ricevute di pagamento degli
oneri concessori portano la data dell'01.06.2011 (cfr. all. 5/d al ricorso).
Pertanto, l’eventuale nuovo (od ulteriore)
decorso del procedimento è avvenuto sotto la
vigenza del testo dell’art. 20 del d.P.R. n.
380/2001 introdotto dall’art. 5, comma 2,
lett. a), num. 2, del d.l. n. 70/2011
(diventato num. 3 per effetto della legge di
conversione, l. n. 106/2011), il quale,
tuttavia, non sembra più contemplare la
formazione, sulla domanda di permesso di
costruire, del cd. silenzio-inadempimento,
legittimante l’azione ex artt. 31 e 117 del
d.lgs. n. 104/2010. Il nuovo art. 20, nel
testo introdotto dal d.l. n. 70/2011,
infatti, contempla unicamente le fattispecie
del silenzio-assenso (comma 8), nonché, per
i casi (come quello ora in esame) di
intervento su aree sottoposte a vincolo, del
silenzio assenso ovvero, nell’ipotesi di
parere negativo dell’autorità tutoria, del
silenzio diniego (commi 9 e 10): donde la
conclusione dell’inammissibilità del
gravame.
Detta conclusione, peraltro,
resterebbe ferma anche ove si sostenesse che
i nuovi commi 9 e 10 dell’art. 20 cit.
abbiano previsto, per il caso di parere
negativo dell’autorità tutoria sulla
compatibilità dell’intervento con il
vincolo, il silenzio inadempimento e non il
silenzio diniego, poiché nel caso ora in
esame i predetti pareri sembrano, invece,
avere tutti contenuto positivo.
A quanto appena esposto occorre
aggiungere, per completezza, che la
rilevanza della disciplina sopravvenuta ai
fini della fattispecie in esame discende dai
noti insegnamenti della giurisprudenza e
della dottrina, secondo le quali, ove
sopraggiungano modifiche normative in un
momento in cui la fase costitutiva del
procedimento non si è ancora conclusa, di
siffatte modifiche la P.A. dovrà tenere
conto, in base al principio tempus regit
actum.
Con riferimento proprio ad una
fattispecie di silenzio-inadempimento,
infatti, la giurisprudenza ha chiarito che,
sebbene in questo caso la P.A. conservi il
potere di provvedere pur dopo lo spirare del
termine di conclusione del procedimento, le
modifiche normative intervenute prima della
formale adozione debbono essere osservate
dalla P.A. medesima, in adesione al
principio tempus regit actum (cfr. C.d.S.,
Sez. V, 06.06.1990, n. 480).
Donde, per
tal verso, la conferma dell’inammissibilità
del gravame, senza che ciò comporti un
vulnus di tutela per gli odierni ricorrenti,
che potranno, se del caso, proporre l’azione
di accertamento dell’avvenuta formazione,
nella fattispecie de qua, del silenzio-assenso (cfr. TAR Calabria, Catanzaro,
Sez. I, 10.10.2011, n. 1265)
(TAR Lazio-Latina,
sentenza 06.06.2012 n. 445 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI - ENTI LOCALI: L'art.
12, l. n. 241 del 1990 -relativo ai
provvedimenti attributivi di vantaggi
economici- prevede che la concessione di
sovvenzioni, contributi, sussidi ed ausili
finanziari e l'attribuzione di vantaggi
economici di qualunque genere a persone ed
enti pubblici e privati sono subordinate
alla predeterminazione ed alla pubblicazione
da parte delle amministrazioni procedenti,
nelle forme previste dai rispettivi
ordinamenti, dei criteri e delle modalità
cui le amministrazioni stesse devono
attenersi.
Questa regola generale, valevole proprio per
i procedimenti amministrativi concessivi di
finanziamenti, è posta non soltanto a
garanzia della "par condicio" tra i
possibili destinatari delle sovvenzioni, ma
anche a tutela dell'affidamento dei
richiedenti i benefici in questione; e che
tanto la predeterminazione di detti criteri,
quanto la dimostrazione del loro rispetto da
parte delle singole Amministrazioni in sede
di concessione dei relativi benefici, sono
rivolte ad assicurare la trasparenza della
azione amministrativa e si atteggiano a
principio generale, in forza del quale
l'attività di erogazione della pubblica
Amministrazione deve in ogni caso rispondere
a elementi oggettivi.
L’art. 12 della L. 241/1990 dispone che “La
concessione di sovvenzioni, contributi,
sussidi ed ausili finanziari e
l'attribuzione di vantaggi economici di
qualunque genere a persone ed enti pubblici
e privati sono subordinate alla
predeterminazione ed alla pubblicazione da
parte delle amministrazioni procedenti,
nelle forme previste dai rispettivi
ordinamenti, dei criteri e delle modalità
cui le amministrazioni stesse devono
attenersi.
L'effettiva osservanza dei criteri e delle
modalità di cui al comma 1 deve risultare
dai singoli provvedimenti relativi agli
interventi di cui al medesimo comma 1”.
La giurisprudenza costante spiega che “L'art.
12, l. n. 241 del 1990 -relativo ai
provvedimenti attributivi di vantaggi
economici- prevede che la concessione di
sovvenzioni, contributi, sussidi ed ausili
finanziari e l'attribuzione di vantaggi
economici di qualunque genere a persone ed
enti pubblici e privati sono subordinate
alla predeterminazione ed alla pubblicazione
da parte delle amministrazioni procedenti,
nelle forme previste dai rispettivi
ordinamenti, dei criteri e delle modalità
cui le amministrazioni stesse devono
attenersi; questa regola generale, valevole
proprio per i procedimenti amministrativi
concessivi di finanziamenti, è posta non
soltanto a garanzia della "par condicio" tra
i possibili destinatari delle sovvenzioni,
ma anche a tutela dell'affidamento dei
richiedenti i benefici in questione; e che
tanto la predeterminazione di detti criteri,
quanto la dimostrazione del loro rispetto da
parte delle singole Amministrazioni in sede
di concessione dei relativi benefici, sono
rivolte ad assicurare la trasparenza della
azione amministrativa e si atteggiano a
principio generale, in forza del quale
l'attività di erogazione della pubblica
Amministrazione deve in ogni caso rispondere
a elementi oggettivi” (ex multis
TAR Campania-Salerno, sez. I, 18.06.2010 n.
9415; TAR Puglia-Lecce, sez. II, 25.10.2011
n. 1842)
(TAR Lazio-Latina,
sentenza 05.06.2012 n. 438 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Rientra nella giurisdizione del g.o. la domanda con la quale è stata chiesta
la condanna di un Comune al risarcimento dei
danni subiti in conseguenza del rilascio, da
parte dell'ente territoriale, del
certificato di destinazione urbanistica
erroneamente attestante la qualità
edificatoria di un terreno risultato, in
realtà, soltanto in minima parte
edificabile.
In via preliminare deve essere
dichiarato il difetto di giurisdizione del
giudice amministrativo in favore del giudice
ordinario.
Infatti, secondo un indirizzo
giurisprudenziale consolidato, tra cui
Cassazione civile sez. un., 23.09.2010, n. 20072, cui questo collegio ritiene
di aderire, “Rientra nella giurisdizione del g.o. la domanda con la quale è stata chiesta
la condanna di un Comune al risarcimento dei
danni subiti in conseguenza del rilascio, da
parte dell'ente territoriale, del
certificato di destinazione urbanistica
erroneamente attestante la qualità
edificatoria di un terreno risultato, in
realtà, soltanto in minima parte
edificabile”
(TAR Lazio-Latina,
sentenza 01.06.2012 n. 422 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Reato paesaggistico.
Attività edilizia
libera - Riporto di terreno da altro sito -
Reato paesaggistico - Fattispecie.
Il semplice riporto di
terreno da altro sito (di cui non v’è
ragione di dubitare che sia stato effettuato
per esigenze della coltivazione) non esige
il rilascio di alcun titolo edilizio,
necessario solamente quando viene operata la
trasformazione del territorio e non allorché
non è impressa alcuna diversa destinazione
d’uso del terreno.
... per l'annullamento dell'ordinanza n. 265
del 23.04.1998 emessa dal Sindaco del Comune
di Taranto, notificata il 16.06.1998, con la
quale si è ordinata al Silvestri la
remissione in pristino stato dei luoghi
entro novanta giorni dalla notifica,
mediante la rimozione di quanto abusivamente
depositato; di ogni atto antecedente,
conseguente e comunque connesso.
...
Il Tribunale osserva che il semplice riporto
di terreno da altro sito (di cui non v’è
ragione di dubitare che sia stato effettuato
per esigenze della coltivazione) non esige
il rilascio di alcun titolo edilizio,
necessario solamente quando viene operata la
trasformazione del territorio e non allorché
non è impressa alcuna diversa destinazione
d’uso del terreno.
In tal caso, resta escluso che l’attività
materiale posta in essere sia assoggettata
al regime previsto per gli interventi
edilizi, tanto più se si tratta di
interventi finalizzati alla conservazione
agricola del bene (cfr. TAR Lombardia – Sez.
IV, 11.07.2011 n. 1867, per l’ipotesi di
spargimento di ghiaia per esigenze connesse
all’esercizio dell’agricoltura).
Il ricorso va quindi accolto e, per
l’effetto, va annullata l’impugnata
ordinanza del Sindaco di Taranto n. 265 del
23/04/1998 (TAR Puglia-Lecce, Sez. I,
sentenza 09.05.2012 n. 796 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI:
Servizi pubblici locali affidati
in appalto o in concessione.
Il servizio di raccolta dei rifiuti solidi
urbani rientra nella nozione di servizio
pubblico locale; vige il divieto di
partecipazione alle gare previsto per gli
affidatari diretti del servizio stesso.
Come risulta dall’art. 3 del d.lgs. n. 163
del 2006, il servizio pubblico locale non è
configurabile solo quando l’Amministrazione
adotti un atto di concessione (c.d. rapporto
trilaterale, corrispettivo del servizio
fissato dal concessionario, su cui grava il
rischio di impresa), ma anche quando
l’Amministrazione –invece della concessione–
ponga in essere un contratto di appalto
(rapporto bilaterale, versamento di un
importo da parte dell’Amministrazione)
sempre che l’attività sia rivolta
direttamente all’utenza –e non all’ente
appaltante in funzione strumentale
all’amministrazione– e l’utenza sia chiamata
a pagare un compenso, o tariffa, per la
fruizione del servizio.
Costituisce servizio pubblico locale il
servizio di raccolta dei rifiuti solidi
urbani, atteso che lo stesso viene reso
direttamente al singolo cittadino, senza
intermediazione alcuna dal soggetto che lo
eroga, e per il quale l’utente paga una
tariffa, obbligatoria per legge, e di
importo tale da coprire interamente il costo
del servizio (cfr. d.lgs. 03.04.2006 n. 152,
art. 238, e prima, art. 49 d.lgs.
05.02.1997, n. 22). Nei confronti di tale
servizio pubblico è quindi applicabile il
divieto di cui all’art. 23-bis, comma 9, del
d.l. 25.06.2008 n. 112 (convertito con
modificazioni nella legge 06.08.2008 n. 133,
come modificata dall’art. 15, comma, 1 lett.
d), del d.l. n. 135 del 2009), il quale
impedisce ad un soggetto affidatario senza
gara del servizio, di partecipare ad una
gara per il servizio stesso.
E’ legittima la esclusione di un consorzio
sociale da una gara di appalto per
l’affidamento del servizio di raccolta dei
rifiuti solidi urbani, che sia motivata con
riferimento al fatto che al medesimo
consorzio sono stati effettuati, in
precedenza, affidamenti in via diretta del
medesimo servizio, senza il preventivo
esperimento di una procedura di evidenza
pubblica; in tal caso, infatti, costituendo
la raccolta dei rifiuti solidi urbani un
servizio di un servizio pubblico locale di
rilevanza economica, anche se attribuito in
appalto piuttosto che in concessione, trova
applicazione il divieto di partecipazione
alle gare di appalto di soggetti che
gestiscono servizi pubblici locali ad essi
affidati senza il rispetto dei principi
dell'evidenza pubblica, espressamente
previsto dall’articolo 23-bis, comma 9, del
D.L. 25.06.2008 n. 112 (convertito con
modificazioni nella L. 06.08.2008 n. 133,
come modificata dall’art. 15, comma 1, lett.
d, del D.L. n. 135/2009) (massima tratta da
www.regione.piemonte.it - Consiglio di
Stato, Sez. V,
sentenza 03.05.2012 n. 2537 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Certificato di agibilità. Diniego
con riferimento a violazioni della normativa
urbanistica.
E’ da ritenere legittimo, ai sensi artt. 24
e 25 del d.P.R. 06.06.2001 n. 380, il
diniego di rilascio del certificato
agibilità, motivato con riferimento a
violazioni della normativa urbanistica o
edilizia (1).
---------------
(1) Nella motivazione della sentenza in
rassegna si ammette lealmente che esistono
in giurisprudenza differenti orientamenti,
quanto alla legittimità del diniego di
certificato di agibilità per ragioni
esclusivamente o prevalentemente
urbanistico/edilizie ovvero per pendenza di
procedimenti sanzionatori.
Tali differenti orientamenti, secondo la
sentenza stessa, riflettono una ambiguità di
fondo degli artt. 24 e 25 del d.P.R.
380/2001; mentre infatti l’art. 24 cit.
stabilisce che "il certificato di agibilità
attesta la sussistenza delle condizioni di
sicurezza, igiene, salubrità, risparmio
energetico degli edifici e degli impianti
negli stessi installati, valutate secondo
quanto dispone la normativa vigente" (e
quindi pare renderlo del tutto indipendente
dal rapporto che il manufatto ha con la
disciplina urbanistica), tuttavia il
successivo art. 26 impone che tra la
documentazione presentata vi sia anche una
"dichiarazione, sottoscritta dallo stesso
richiedente il certificato di agibilità, di
conformità dell’opera rispetto al progetto
approvato, nonché in ordine alla avvenuta
prosciugatura dei muri e della salubrità
degli ambienti" (il che può far, invece,
ritenere che la mancata conformità di quanto
edificato al relativo progetto -e, quindi,
anche alle norme che disciplinano
l’edificabilità nella zona- sia, di per sé,
ostativa al rilascio dell’abitabilità.
La non perfetta coerenza delle due norme ha
portato quindi:
a) a decisioni che negano la rilevanza di
tali motivazioni (si veda, per tutti: TAR
Liguria, Sez. I, n. 1754/2011, secondo cui,
"essendo finalizzato –il certificato di
agibilità– al controllo di tipo
igienico-sanitario ed escludendo qualsiasi
riferimento alla conformità dell’edificio al
progetto approvato, non assume alcun rilievo
sotto il profilo urbanistico-edilizio, onde
la pendenza di un procedimento repressivo
edilizio di per sé non costituisce idonea
motivazione di diniego del certificato");
b) a decisioni che ritengono invece corretto
il diniego motivato (prevalentemente o
esclusivamente) con riferimento a violazioni
urbanistiche; v., ad esempio, TAR
Lombardia-Milano n. 332/2010, la quale ha
ritenuto che "l’agibilità possa essere
negata non solo in caso di mancanza di
condizioni igieniche ma anche in caso di
contrasto con gli strumenti urbanistici o
con il titolo edilizio (DIA o permesso di
costruire)", precisando che "a tale
conclusione perviene gran parte della
giurisprudenza (TAR Lazio, n. 4129/2005,
Consiglio di Stato, n. 6174/2008 e n.
1542/2005; TAR Lombardia–Milano, n.
4672/2009), senza contare che questa
interpretazione ha anche un supporto
normativo nell’art. 25, comma 1, del Testo
Unico dell’Edilizia"; dovendo, per
l’appunto, la domanda di agibilità deve
essere corredata anche da una dichiarazione
del richiedente di conformità dell’opera
rispetto al progetto approvato, il che
"significa che in caso di difformità
dell’opera dal progetto edilizio, ma anche
evidentemente in caso di assenza di idoneo
progetto, l’agibilità dovrà essere negata".
Le sentenza in rassegna ha ritenuto di
aderire al questo secondo orientamento.
Ha rilevato in ogni caso che la ricorrente,
nella specie, non aveva un apprezzabile
interesse a lamentare il mancato rilascio
del certificato di agibilità di un manufatto
di cui era stata ordinata la demolizione per
violazione delle norme urbanistiche.
Infatti, se otterrà il titolo a sanatoria,
l’istante potrà riproporre la domanda, alla
quale il Comune risponderà previa
valutazione dei soli requisiti
igienico-sanitari dell’edificio (massima
tratta da www.regione.piemonte.it -
TAR Friuli
Venezia Giulia,
sentenza 30.04.2012 n. 146 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Fuori dalla gara la ditta
ausiliaria che produce in fotocopia la
dichiarazione d’impegno.
La questione principale, nella pronuncia in
commento, era stabilire se la mancata
sottoscrizione delle dichiarazioni previste
dall’art. 49 del decreto legislativo 163 del
2011 possa essere sanzionata con
l’esclusione dalla gara. In assenza di una
specifica previsione della lex specialis,
occorre ricordare, che la violazione di
prescrizioni imposte ai partecipanti dalla
legge o dal bando non comporta l’esclusione
solo nei casi in cui ciò sia stato
espressamente previsto dalla stazione
appaltante. Infatti, la mancata osservanza
di previsioni che non abbiano carattere
meramente formale, ma rivestano un
particolare rilievo ai fini del rispetto del
principio della par condicio o della tutela
dell’interesse dell’Amministrazione alla
serietà ed alla attendibilità dell’offerta,
comporta l’esclusione dalla gara anche in
assenza di una corrispondente previsione del
bando o della lettera di invito.
Con riguardo alle dichiarazioni relative
alla moralità professionale previste
dall’art. 38 del D.Lgs. 163 del 2006 parte
della giurisprudenza ha ritenuto che, in
assenza di una specifica previsione della
lex specialis, la loro omissione o
incompletezza non possa comportare
l’esclusione. Tale principio vale anche per
le dichiarazioni dell’impresa ausiliaria nel
caso in cui, anche in assenza di una formale
attestazione, risulti che, nella sostanza, i
suoi amministratori non abbiano riportato
condanne penali tali da minarne la moralità
professionale. Lo stesso ragionamento,
tuttavia, secondo i giudici del Tribunale
amministrativo di Milano, non sembra potersi
automaticamente applicare anche alle
dichiarazioni con cui l’impresa ausiliaria
attesti di possedere i requisiti tecnici che
sono oggetto di avvalimento, essendovi un
evidente interesse della stazione appaltante
ad accertare ex ante la sussistenza dei
requisiti di qualificazione.
Ma ciò che, sicuramente, deve escludersi,
continuano i giudici meneghini, è che possa
mancare la sottoscrizione dell’impegno della
società ausiliaria di mettere a disposizione
dei propri mezzi a favore della società
offerente. Si tratta, infatti, di un impegno
che deve essere contratto anche nei
confronti della stazione appaltante,
divenendo un elemento integrativo
dell’offerta (senza il quale la prestazione
promessa non è giuridicamente e praticamente
realizzabile).
Assolvendo la sottoscrizione la funzione di
assicurare provenienza, serietà,
affidabilità e insostituibilità
dell'offerta, essa costituisce elemento
essenziale per la sua ammissibilità: la
mancanza ne inficia, pertanto, la validità e
la ricevibilità senza che sia necessaria, ai
fini dell'esclusione, una espressa
previsione della legge di gara (commento
tratto da www.documentazione.ancitel.it -
TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 07.03.2012 n. 728 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI - ENTI LOCALI: Ai
fini dell’adozione di provvedimenti tesi a
concedere sovvenzioni, contributi, sussidi,
ecc., le amministrazioni devono attenersi ai
criteri ed alle modalità stabilite da
predisposto apposito regolamento ai sensi
dell’art. 12, l. 07.08.1990 n. 241.
Infatti, tanto la predeterminazione di detti
criteri, quanto la dimostrazione del loro
rispetto da parte delle singole
amministrazioni in sede di concessione dei
relativi benefici, sono rivolte ad
assicurare la trasparenza della azione
amministrativa e si atteggiano a principio
generale, in forza del quale l’attività di
erogazione della p.a. deve in ogni caso
rispondere a referenti oggettivi (e quindi
definiti prima della adozione di ogni
singolo provvedimento).
E' illegittima la nota con cui
l’Amministrazione provinciale, a procedura
già avviata, ha introdotto un vero e proprio
criterio selettivo per l’attribuzione del
finanziamento, atteso che tale criterio
avrebbe dovuto essere introdotto prima
dell’avvio della procedura medesima.
Ciò trova conforto nella giurisprudenza
amministrativa, secondo cui “ai fini
dell’adozione di provvedimenti tesi a
concedere sovvenzioni, contributi, sussidi,
ecc., le amministrazioni devono attenersi ai
criteri ed alle modalità stabilite da
predisposto apposito regolamento ai sensi
dell’art. 12, l. 07.08.1990 n. 241; infatti,
tanto la predeterminazione di detti criteri,
quanto la dimostrazione del loro rispetto da
parte delle singole amministrazioni in sede
di concessione dei relativi benefici, sono
rivolte ad assicurare la trasparenza della
azione amministrativa e si atteggiano a
principio generale, in forza del quale
l’attività di erogazione della p.a. deve in
ogni caso rispondere a referenti oggettivi
(e quindi definiti prima della adozione di
ogni singolo provvedimento)” (TAR Molise
Campobasso, sez. I, 03.03.2011, n. 95; TAR
Campania Salerno, sez. I, 18.06.2010, n.
9415; TAR Campania Salerno, sez. I,
12.04.2010, n. 3590; TAR Molise Campobasso,
sez. I, 20.11.2008, n. 934; TAR Lazio
Latina, 27.10.2006, n. 1380)
(TAR Puglia-Lecce, Sez. II,
sentenza 25.10.2011 n. 1842 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI - ENTI LOCALI: L’articolo
12 della legge n. 241 del 1990 dispone che
la concessione di sovvenzioni, contributi,
sussidi ed ausili finanziari e
l'attribuzione di vantaggi economici di
qualunque genere a persone ed enti pubblici
e privati sono subordinate alla
predeterminazione ed alla pubblicazione da
parte delle amministrazioni procedenti,
nelle forme previste dai rispettivi
ordinamenti, dei criteri e delle modalità
cui le amministrazioni stesse devono
attenersi.
E’ evidente che non si può delegare a
privati, né tantomeno agli stessi privati
potenziali destinatari di tali
finanziamenti, la scelta dei criteri e delle
procedure per la loro assegnazione.
L’articolo 12 della legge n. 241 del 1990
dispone che la concessione di sovvenzioni,
contributi, sussidi ed ausili finanziari e
l'attribuzione di vantaggi economici di
qualunque genere a persone ed enti pubblici
e privati sono subordinate alla
predeterminazione ed alla pubblicazione da
parte delle amministrazioni procedenti,
nelle forme previste dai rispettivi
ordinamenti, dei criteri e delle modalità
cui le amministrazioni stesse devono
attenersi.
E’ evidente che non si può delegare a
privati, né tantomeno agli stessi privati
potenziali destinatari di tali
finanziamenti, la scelta dei criteri e delle
procedure per la loro assegnazione.
Anche gli eventuali ruoli meramente (ed
effettivamente) tecnici che si decide di
affidare ai privati, devono essere assegnati
secondo i ricordati principi generali
dell’azione amministrativa, quindi occorre
dare pubblica evidenza alle ragioni per cui
è più opportuno avvalersi della consulenza
(e non solo della partecipazione
procedimentale) di specifici soggetti;
nonché alle ragioni per cui si decide di
avvalersi di uno specifico soggetto, invece
che di altri
(TAR Molise,
sentenza 03.03.2011 n. 95 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI - ENTI LOCALI: L’art.
12 L. 241 del 1990 –relativo ai
provvedimenti attributivi di vantaggi
economici– prevede che la concessione di
sovvenzioni, contributi, sussidi ed ausili
finanziari e l’attribuzione di vantaggi
economici di qualunque genere a persone ed
enti pubblici e privati sono subordinate
alla predeterminazione ed alla pubblicazione
da parte delle amministrazioni procedenti,
nelle forme previste dai rispettivi
ordinamenti, dei criteri e delle modalità
cui le amministrazioni stesse devono
attenersi.
Ebbene, questa regola generale, valevole
proprio per i procedimenti amministrativi
concessivi di finanziamenti, è posta non
soltanto a garanzia della par condicio tra i
possibili destinatari delle sovvenzioni, ma
anche a tutela dell’affidamento dei
richiedenti i benefici in questione.
Ne consegue quindi l’illegittimità del
comportamento dell’amministrazione la quale,
inizialmente, ha ingenerato nel privato la
convinzione di potere contare sui benefici
promessi, e, successivamente, con molto
ritardo, ha opposto preclusioni ed
impedimenti non preventivabili
dall’interessata.
Il Consiglio di Stato ha rilevato che l’art.
12 L. 241 del 1990 –relativo ai
provvedimenti attributivi di vantaggi
economici– prevede che la concessione di
sovvenzioni, contributi, sussidi ed ausili
finanziari e l’attribuzione di vantaggi
economici di qualunque genere a persone ed
enti pubblici e privati sono subordinate
alla predeterminazione ed alla pubblicazione
da parte delle amministrazioni procedenti,
nelle forme previste dai rispettivi
ordinamenti, dei criteri e delle modalità
cui le amministrazioni stesse devono
attenersi.
Ebbene, ad avviso del Consiglio di Stato
questa regola generale, valevole proprio per
i procedimenti amministrativi concessivi di
finanziamenti, sarebbe posta non soltanto a
garanzia della par condicio tra i
possibili destinatari delle sovvenzioni, ma
anche a tutela dell’affidamento dei
richiedenti i benefici in questione. Ne
consegue quindi l’illegittimità del
comportamento dell’amministrazione la quale,
inizialmente, ha ingenerato nel privato la
convinzione di potere contare sui benefici
promessi, e, successivamente, con molto
ritardo, ha opposto preclusioni ed
impedimenti non preventivabili
dall’interessata
(TAR Campania-Salerno, Sez. I,
sentenza 18.06.2010 n. 9415 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI - ENTI LOCALI: A
mente dell’articolo 12 della legge n. 241
del 1990, la concessione di sovvenzioni,
contributi, sussidi ed ausili finanziari e
l'attribuzione di vantaggi economici di
qualunque genere a persone ed enti pubblici
e privati sono subordinate alla
predeterminazione ed alla pubblicazione da
parte delle amministrazioni procedenti,
nelle forme previste dai rispettivi
ordinamenti, dei criteri e delle modalità
cui le amministrazioni stesse devono
attenersi.
L’amministrazione, d’altra parte, nella
determinazione di tali criteri deve
osservare i principi di trasparenza,
imparzialità e pubblicità.
Nel caso in esame, invece, è stato violato
proprio il principio di imparzialità, atteso
che non è stata garantita ampia
partecipazione, quantomeno ad una fase di
preselezione, ma è stata arbitariamente
riservata la partecipazione, con conseguente
accesso ai finanziamenti, solo a due
associazioni.
A mente dell’articolo 12 della legge n. 241
del 1990, la concessione di sovvenzioni,
contributi, sussidi ed ausili finanziari e
l'attribuzione di vantaggi economici di
qualunque genere a persone ed enti pubblici
e privati sono subordinate alla
predeterminazione ed alla pubblicazione da
parte delle amministrazioni procedenti,
nelle forme previste dai rispettivi
ordinamenti, dei criteri e delle modalità
cui le amministrazioni stesse devono
attenersi.
L’amministrazione, d’altra parte, nella
determinazione di tali criteri deve
osservare i principi di trasparenza,
imparzialità e pubblicità (Consiglio Stato,
04.09.2002, n. 4437).
Nel caso in esame, invece, è stato violato
proprio il principio di imparzialità, atteso
che non è stata garantita ampia
partecipazione, quantomeno ad una fase di
preselezione, ma è stata arbitariamente
riservata la partecipazione, con conseguente
accesso ai finanziamenti, solo a due
associazioni
(TAR Molise,
sentenza 20.11.2008 n. 934 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI - ENTI LOCALI: Le
p.a., per la adozione di provvedimenti tesi
a concedere sovvenzioni, contributi,
sussidi, ecc., devono attenersi ai criteri
ed alle modalità stabilite da predisposto
apposito regolamento, ai sensi dell'art. 12
l. 07.08.1990 n. 241.
Infatti, tanto la predeterminazione di detti
criteri, quanto la dimostrazione del loro
rispetto da parte delle singole
amministrazioni in sede di concessione dei
relativi benefici, sono rivolte ad
assicurare la trasparenza della azione
amministrativa e si atteggiano a principio
generale, in forza del quale l'attività di
erogazione della p.a. deve in ogni caso
rispondere a referenti oggettivi (e quindi
definiti prima della adozione di ogni
singolo provvedimento) nonché pubblici.
In via del tutto preliminare occorre porre
in risalto che l’avviso pubblico disciplina
i termini e le modalità di presentazione
della domanda, l’istruttoria preliminare
alla decisione di ammissibilità o meno al
contributo, nonché la possibile formazione
di una graduatoria.
Si è in presenza quindi di una fattispecie
riconducibile all’art. 12 della legge
07.08.1990, n. 241, nella quale assume
rilievo il principio della trasparenza
implicante la predisposizione, con norme che
vincolano anche l’amministrazione, dei
requisiti di partecipazione e di valutazione
dell’istanza.
Sul punto la giurisprudenza ha evidenziato
che, “Le p.a., per la adozione di
provvedimenti tesi a concedere sovvenzioni,
contributi, sussidi, ecc., devono attenersi
ai criteri ed alle modalità stabilite da
predisposto apposito regolamento, ai sensi
dell'art. 12 l. 07.08.1990 n. 241. Infatti,
tanto la predeterminazione di detti criteri,
quanto la dimostrazione del loro rispetto da
parte delle singole amministrazioni in sede
di concessione dei relativi benefici, sono
rivolte ad assicurare la trasparenza della
azione amministrativa e si atteggiano a
principio generale, in forza del quale
l'attività di erogazione della p.a. deve in
ogni caso rispondere a referenti oggettivi
(e quindi definiti prima della adozione di
ogni singolo provvedimento) nonché pubblici.”
(TAR Lombardia Brescia, 28.12.2000, n. 1077)
(TAR Lazio-Latina,
sentenza 27.10.2006 n. 1380 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
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