e-mail
info.ptpl@tiscali.it

APPALTI
CONVEGNI
FORUM
G.U.R.I. - G.U.U.E. - B.U.R.L.
LINK
NEWS PUBBLICATE:
1-aggiornam. pregressi
2-Corte dei Conti
3-
dite la vostra ...
4-dottrina e contributi
5-funzione pubblica
6-giurisprudenza
7-modulistica
8-news
9-normativa
10-note, circolari e comunicati
11-quesiti & pareri
12-utilità
- - -
DOSSIER
:
13-
ABUSI EDILIZI
14-
AFFIDAMENTO IN HOUSE
15-AGIBILITA'
16-APPALTI
17-ARIA
18-ASL + ARPA
19-ATTI AMMINISTRATIVI
20-ATTI AMMINISTRATIVI (impugnazione-legittimazione)
21-ATTIVITA' COMMERCIALE IN LOCALI ABUSIVI
22-AVCP
23-BOSCO
24-BOX
25-CAMBIO DESTINAZIONE D'USO (con o senza opere)
26-CARTELLI STRADALI
27-CERTIFICATO DESTINAZIONE URBANISTICA
28-CERIFICAZIONE ENERGETICA e F.E.R.
29
-COMPETENZE GESTIONALI
30
-COMPETENZE PROFESSIONALI - PROGETTUALI
31-CONDOMINIO
32-CONSIGLIERI COMUNALI
33-CONTRIBUTO DI COSTRUZIONE
34-CONTRIBUTO DI COSTRUZIONE (gratuità per oo.pp. e/o private di interesse pubblico)
35-CONTRIBUTO DI COSTRUZIONE (prescrizione termine dare/avere)
36-CONTRIBUTO DI COSTRUZIONE (rateizzato e/o ritardato versamento)
37-DEFINIZIONI INTERVENTI EDILIZI
38-DIA e SCIA
39-DIAP
40-DISTANZA dagli ALLEVAMENTI ANIMALI
41-DISTANZA dai CONFINI
42-DISTANZA dai CORSI D'ACQUA
43-DISTANZA dalla FERROVIA

44-DISTANZA dalle PARETI FINESTRATE
45-DURC
46-EDIFICIO UNIFAMILIARE
47-ESPROPRIAZIONE
48-INCARICHI LEGALI e/o RESISTENZA IN GIUDIZIO
49-INCARICHI PROFESSIONALI E PROGETTUALI
50-INCENTIVO PROGETTAZIONE
51-INDUSTRIA INSALUBRE
52L.R. 12/2005
53-L.R. 23/1997
54-LEGGE CASA LOMBARDIA
55-LOTTO INTERCLUSO
56-MAPPE CATASTALI (valore probatorio o meno)
57-MOBBING
58-MURO DI CINTA/RECINZIONE, DI CONTENIMENTO/SOSTEGNO, ECC.
59-OPERE PRECARIE
60-PARERE DI REGOLARITA' TECNICA, CONTABILE E DI LEGITTIMITA'
61-PERGOLATO e/o GAZEBO e/o BERCEAU
62-PERMESSO DI COSTRUIRE (annullamento e/o impugnazione)
63-PERMESSO DI COSTRUIRE (decadenza)
64-PERMESSO DI COSTRUIRE (deroga)
65-PERMESSO DI COSTRUIRE (legittimazione richiesta titolo)
66-PERMESSO DI COSTRUIRE (prescrizioni)
67-PERMESSO DI COSTRUIRE (proroga)
68-PERMESSO DI COSTRUIRE (verifica in istruttoria dei limiti privatistici al rilascio)
69
-
PERMESSO DI COSTRUIRE (volturazione)
70-
PERTINENZE EDILIZIE ED URBANISTICHE
71-PIANI PIANIFICATORI ED ATTUATIVI
72-PIANI PIANIFICATORI ED ATTUATIVI (aree a standard)
73-PISCINE
74-PUBBLICO IMPIEGO
75-RIFIUTI E BONIFICHE
76-
RINNOVO/PROROGA CONTRATTI
77-RUDERI
78-
RUMORE
79-SAGOMA EDIFICIO
80-SANATORIA GIURISPRUDENZIALE E NON (abusi edilizi)
81-SCOMPUTO OO.UU.
82-SEGRETARI COMUNALI
83-SIC-ZPS - VAS - VIA
84-SICUREZZA SUL LAVORO
85
-
SINDACATI & ARAN
86-SOPPALCO
87-SOTTOTETTI
88-SUAP
89-STRADA PUBBLICA o PRIVATA o PRIVATA DI USO PUBBLICO
90-
TELEFONIA MOBILE
91-VERANDA
92-VINCOLO CIMITERIALE
93-VINCOLO IDROGEOLOGICO
94-VINCOLO PAESAGGISTICO + ESAME IMPATTO PAESISTICO + VINCOLO MONUMENTALE
95-VINCOLO STRADALE
96-VOLUMI TECNICI

NORMATIVA:
dt.finanze.it
entilocali.leggiditalia.it

leggiditaliaprofessionale.it

simone.it

SITI REGIONALI
STAMPA
 
C.A.P.
Codice Avviamento Postale

link 1 - link 2
CONIUGATORE VERBI
COSTO DI COSTRUZIONE
(ag
g. indice istat):

link 1-BG - link 2-MI
link 3-CR
DIZIONARI
indici ISTAT:
link 1 - link 2-BG
link 3-MI

interessi legali:
link 1
MAPPE CITTA':
link 1 - link 2 - link 3
link 4 - link 5
METEO
1 - PAGINE bianche
2 - PAGINE gialle
PREZZI:
osservatorio prezzi e tariffe

prodotti petroliferi
link 1
- link 2
PUBBLICO IMPIEGO:
1 - il portale pubblico per il lavoro
2
- mobilità
 

AGGIORNAMENTI PREGRESSI mese di GENNAIO 2012

Alcuni files sono in formato Acrobat (pdf): se non riesci a leggerli, scarica gratuitamente il programma Acrobat Reader (clicca sull'icona a fianco riportata).  -      segnala un errore nei links                                                                                

aggiornamento al 30.01.2012

aggiornamento al 26.01.2012

aggiornamento al 23.01.2012

aggiornamento al 18.01.2012

aggiornamento al 16.01.2012

aggiornamento al 13.01.2012

aggiornamento al 12.01.2012

aggiornamento al 09.01.2012

aggiornamento al 02.01.2012

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

AGGIORNAMENTO AL 30.01.2012

ã

DOTTRINA E CONTRIBUTI

URBANISTICA: M. Bottone, IL GOVERNO DEL TERRITORIO ? FUORI-LEGGE - Quando la Campania afferma dei principi e ne applica altri (29.01.2012).

ATTI AMMINISTRATIVI - ENTI LOCALI: G. Garrisi e L. Foglia, Obbligatorio indicare la PEC negli atti, nella corrispondenza e sul proprio sito Web (link a www.diritto.it).

PUBBLICO IMPIEGO: R. Mancuso, Il Mobbing: problema comune (link a www.diritto.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - PUBBLICO IMPIEGO: L. Laperuta, Decreto sulle semplificazioni, nuovi profili di responsabilità a fronte dei ritardi della P.A. (link a www.diritto.it).

APPALTI: A. Simonato, L’ISTITUTO DELL’AVVALIMENTO ALLA LUCE DELLE PIÙ RECENTI PRONUNCE DEI GIUDICI AMMINISTRATIVI (link a www.osservatorioappalti.unitn.it).

GURI - GUUE - BURL (e anteprima)

APPALTI SERVIZI: G.U. 27.01.2012 n. 22, suppl. ord. n. 20/L, "Regolamento per i criteri di gara e per la valutazione dell’offerta per l’affidamento del servizio della distribuzione del gas naturale, in attuazione dell’articolo 46 -bis del decreto-legge 01.10.2007, n. 159, convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 29.11.2007, n. 222" (Ministero dello Sviluppo Economico, decreto 12.11.2011 n. 226).

APPALTI: G.U. 27.01.2012 n. 22 "Saggio degli interessi da applicare a favore del creditore nei casi di ritardo nei pagamenti nelle transazioni commerciali" (Ministero dell'Economia e delle Finanze, comunicato).

AMBIENTE-ECOLOGIA: G.U. 25.01.2012 n. 20 "Misure straordinarie e urgenti in materia ambientale" (D.L. 25.01.2012 n. 2).

NOTE, COMUNICATI E CIRCOLARI

AMBIENTE-ECOLOGIA: Oggetto: Distributori di carburante ad uso privato (ANCE Bergamo, circolare 27.01.2012 n. 27).

EDILIZIA PRIVATA - ENTI LOCALI - VARI: Oggetto: Decreto Legge n. 201/2011 convertito con modificazioni in Legge 214/2011. Cd “Manovra Monti” o “Manovra Salva Italia”. Principali misure di natura fiscale (ANCE Bergamo, circolare 27.01.2012 n. 24).

APPALTI - EDILIZIA PRIVATA: Oggetto: DURC. Non autocertificabilità. Modifiche apportate dall'art. 15 della L. n. 183/2011 al DPR n. 445/2000 (nota congiunta INPS-INAIL 26.01.2012 n. 573 di prot. - link a www.inail.it).
---------------
DIREZIONE CENTRALE RISCHI INAIL
Ufficio Entrate
DIREZIONE CENTRALE ENTRATE INPS
Prot.INAIL.60010.26/01/2012.0000573

ALLE STRUTTURE CENTRALI E TERRITORIALI

Oggetto: DURC. Non autocertificabilità. Modifiche apportate dall'art. 15 della L. n. 183/2011 al DPR n. 445/2000.

     La Direzione Generale per l'Attività Ispettiva del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, interessata dalle parti sociali delle imprese edili a pronunciarsi in ordine agli effetti sulla normativa Durc delle innovazioni apportate al D.P.R. n. 445/2000 dalla L. n. 183/2011 (Legge di Stabilità 2012), si è pronunciata con l'allegata nota del 16.01.2012 per la non autocertificabilità del DURC.
     Il Ministero, esaminando i contenuti del citato D.P.R. n. 445/2000, ha chiarito che l'articolo 44-bis "stabilisce semplicemente le modalità di acquisizione e gestione del DURC senza però intaccare in alcun modo il principio secondo cui le valutazioni effettuate da un Organismo tecnico (nel caso di specie Istituto previdenziale o assicuratore) non possono essere sostituite da una autodichiarazione", confermando il precedente orientamento espresso in materia
(1).
     Di conseguenza, l'inammissibilità dell'autocertificazione comporta l'esclusione del DURC dall'ambito di applicazione dell'articolo 40, comma 02, del D.P.R. n. 445/2000 secondo cui "Sulle certificazioni da produrre ai soggetti privati è apposta, a pena di nullità, la dicitura: «Il presente certificato non può essere prodotto agli organi della pubblica amministrazione o ai privati gestori di pubblici servizi».".
     Pertanto, l'attuale disciplina speciale in tema di DURC deve ritenersi immutata.
     Nel richiamare i contenuti della citata nota, d'intesa con il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, si ritiene opportuno fornire ulteriori precisazioni sulla "possibilità, da parte della P.A. di acquisire un DURC (non una autocertificazione) da parte del soggetto interessato, i cui contenuti potranno essere vagliati dalla stessa P.A. con le modalità previste per la verifica delle autocertificazioni".
     Tale ipotesi deve intendersi riferita ai soli casi in cui il legislatore ha previsto espressamente la presentazione del DURC da parte dei privati e, specificatamente, all'articolo 90, comma 9, del D.Lgs. 81/2008 secondo cui questo deve essere trasmesso "all'Amministrazione concedente, prima dell'inizio dei lavori oggetto del permesso di costruire o della denuncia di inizio attività". In tale caso, l'Amministrazione che ha ricevuto il DURC può verificare in ogni momento l'autenticità dello stesso attraverso il contrassegno posto in calce al documento
(2).
     D'intesa con il Dicastero, si precisa altresì che resta confermato l'obbligo di acquisire d'ufficio il DURC da parte delle Stazioni Appaltanti pubbliche e delle Amministrazioni procedenti
(3) e che le fattispecie in cui è consentito all'impresa di presentare una dichiarazione in luogo del DURC sono solo quelle espressamente previste dal legislatore. (4) Dette dichiarazioni restano soggette a verifica ai sensi dell'articolo 71, del D.P.R. n. 445/2000, tramite l'acquisizione d'ufficio del DURC da parte dell'Amministrazione che le riceve.
     Si comunica infine che, in conseguenza di quanto sopra precisato, la richiesta di DURC per le seguenti tipologie:
■ appalto/subappalto/affidamento di contratti pubblici di lavori, forniture e servizi
■ contratti pubblici di forniture e servizi in economia con affidamento diretto
■ agevolazioni, finanziamenti, sovvenzioni ed autorizzazioni
dal 13 febbraio p.v. potrà essere effettuata esclusivamente dalle Stazioni Appaltanti pubbliche o dalle Amministrazioni procedenti.
     Le imprese interessate, attraverso l'apposita funzione di consultazione disponibile sull'applicativo www.sportellounicoprevidenziale.it
(5), potranno verificare la richiesta di DURC da parte della Stazione Appaltante pubblica o dell'Amministrazione procedente ed il suo iter.

IL D.C. RISCHI INAIL
F.to Ester Rotoli
IL D.C. ENTRATE INPS
F.to Antonello Crudo
--------------------------------------------------------------------------------
(1) Vedi Lettera Circolare prot. n. 848/2008 della D.G. Attività Ispettiva del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali per cui "il richiamo all'articolo 46 del D.P.R. n. 445/2000 non appare del tutto confacente alla fattispecie in esame in quanto sembra consentire l'autocertificazione del versamento di somme a titolo contributivo" mentre "la verifica della regolarità comporta un accertamento di ordine tecnico che non può, per sua natura, essere demandato al dichiarante".
Sul punto, vedi anche Consiglio di Stato, V Sezione, Sentenza n. 4035/2008, per cui "L'autocertificazione" (cioè la dichiarazione sostitutiva di certificazioni, come meglio si esprime l'art. 46 D.P.R. 28.12.2000, n. 445) è solo un mezzo di speditezza ed alleggerimento provvisori dell'attività istruttoria, cioè di semplificazione delle formalità del rapporto, e non un mezzo di prova legale: sicché il suo contenuto resta sempre necessariamente esposto alla prova contraria e alla verifica ad opera della destinataria amministrazione, che è doverosa prima di procedere, all'esito della aggiudicazione, alla formalizzazione contrattuale dell'affidamento".
(2) Tutti i DURC riportano in calce un contrassegno generato elettronicamente (cd. "glifo") che consente di verificare la provenienza e la conformità del documento cartaceo con il documento informatico presente nella banca dati DURC. Tale verifica può essere effettuata in ogni momento utilizzando un apposito software gratuito disponibile sul sito www.sportellounicoprevidenziale.it e raggiungibile dall'icona "Verifica autenticità dei documenti".
(3) Articolo 16-bis, comma 10, della L. n. 2/2009 e articolo 6 del D.P.R. n. 207/2010.
(4) Articolo 38, comma 1, lett. i), e comma 2, del D.Lgs. n. 163/2006 e articolo 4, comma 14-bis, della L. n. 106/2011, per contratti di forniture e servizi fino a 20.000 euro stipulati con la pubblica amministrazione e con le società in house.
(5)
Dopo l'accesso al sito con le proprie credenziali, l'impresa, selezionando la funzione "pratiche" e "consultazione" può utilizzare, quali criteri di ricerca, il numero di CIP o di protocollo della pratica di DURC che si vuole visualizzare, ovvero può inserire negli appositi campi il range di date rispetto alle quali intende verificare se siano state effettuate richieste di DURC da parte di una o più P.A..

UTILITA'

SICUREZZA LAVOROStress lavoro correlato: la guida con le domande più frequenti.
● Che cos’è lo stress?
● Cosa si intende per “stressor”?
● Lo stress è una malattia?
● Che cos'è il mobbing?
● Che cos’è il “burn-out”?
A tutte queste domande, risposte chiare e precise dall'ASS4 medio Friuli che ha pubblicato una guida sullo stress da lavoro correlato contenente indicazioni per la corretta gestione del rischio e per l’attività di vigilanza alla luce della lettera circolare del 18.11.2010 del Ministero del lavoro e delle Politiche Sociali.
Ricordiamo che dal 31.12.2010 è entrato in vigore l’obbligo di valutazione del rischio da stress correlato al lavoro, introdotto in forma esplicita dall'art. 28 del D.Lgs. 81/2008.
Il documento proposto è strutturato sotto forma di FAQ (Frequently Asked Questions, ossia domande più frequenti) e ha lo scopo di fornire risposte puntuali e sintetiche ai numerosi interrogativi che sono sorti in relazione alla valutazione del rischio da stress (26.01.2012 - link a www.acca.it).

QUESITI & PARERI

APPALTI: Deroghe alle gare, procedura negoziata senza bando.
Domanda.
La procedura negoziata senza previa pubblicazione del bando è possibile sempre o nei soli casi in cui il suo utilizzo è circoscritto alla sussistenza di determinati presupposti?
Risposta.
La procedura negoziata senza previa pubblicazione del bando rappresenta una deroga, nell'ambito degli appalti pubblici, alla procedura di evidenza pubblica, indispensabile presidio a garanzia del corretto dispiegarsi della libertà di concorrenza e della trasparenza dell'operato delle Amministrazioni.
L'Amministrazione, nell'effettuare tale scelta, può tener conto della particolarissima complessità dei prodotti che intende acquisire, cosicché l'unicità dell'imprenditore offerente, presupposto per l'applicazione della procedura in parola, deve essere valutata unitariamente.
Di talché, l'Amministrazione, prima di optare per tale forma di contrattazione, può svolgere una ricerca di mercato, con una successiva sperimentazione anche molto lunga e particolarmente approfondita, specie se il prodotto da acquisire non è ordinario, ovvero è suscettibile di diverse valutazioni, senza che tale modus procedendi possa considerarsi inadeguato ed incompatibile con il rigoroso presupposto previsto per l'applicazione della norma de qua, atteso che esso è volto a verificare concretamente, e non già solo astrattamente, l'unicità del prodotto (25.01.2012 - tratto da www.ipsoa.it).

CORTE DEI CONTI

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGONiente trucchi sui dirigenti. Contratti di diritto pubblico o privato pari sono. Fioccano le sentenze distorsive della riforma Brunetta. L’ultima in Toscana.
Non esiste una distinzione tra contratti di diritto pubblico e di diritto privato, finalizzata a giustificare la possibilità per gli enti locali di assumere dirigenti a tempo determinato oltre i limiti percentuali imposti dalla riforma-Brunetta.
Nonostante la diretta applicazione a comuni e province dell’articolo 19, comma 6, del dlgs 165/2001 sia stata acclarata dalla Corte costituzionale e dalle deliberazioni 12, 13 e 14, delle sezioni riunite della Corte dei conti e sebbene l’articolo 1 del dlgs 141/2011 sancisca senza ombra di dubbio che le assunzioni di dirigenti a contratto debbono essere contenute nel limite massimo del 18% della dotazione organica dirigenziale e solo per gli enti virtuosi, si moltiplicano letture finalizzate a rendere elastica la lettura delle disposizioni della riforma. Che, tuttavia, si pongono in contrasto radicale con essa. Tra le ultime, è il parere 20.12.2011 n. 519 della Corte dei conti, sezione regionale di controllo della Toscana.
Secondo la sezione, i limiti percentuali discendenti dall’articolo 19, comma 6, del dlgs 165/2001 non si riferirebbero al caso dell’assunzione di dirigenti a contratto assunti con «contratto di diritto pubblico». Di conseguenza, ritiene la sezione che «nell’ambito della normativa locale possa essere regolata la disciplina del conferimento di incarichi dirigenziali mediante contratto di diritto pubblico, rispettando i limiti sanciti dal citato art. 110 Tuel e delle altre spese che impongono limitazioni agli enti locali in tema di personale».
L’ipotesi, sostenuta anche da alcuni interpreti, dunque sarebbe quella secondo la quale i limiti percentuali riguardano solo i contratti di diritto privato, perché la sentenza 324/2010 della Consulta ha ritenuto legittima la modifica apportata dalla riforma Brunetta all’articolo 19, comma 6, in quanto il legislatore statale ha correttamente esercitato la propria potestà legislativa esclusiva in tema di disciplina del rapporto di lavoro privatizzato.
Dunque, conclude la tesi, laddove il rapporto di lavoro non derivi da contratti di diritto privato, bensì pubblico, allora si potrebbe ipotizzare la non applicazione dell’articolo 19, comma 6, e dei suoi tetti agli incarichi a contratto. Si tratta di una tesi assolutamente infondata. Un primo elemento per evidenziarne l’erroneità è data dalla circostanza che il rapporto dei dipendenti degli enti locali rientra tra quelli «contrattualizzati», cioè regolati dalle norme generali del dlgs 165/2001 e dalle regole del diritto civile.
Lo stabilisce chiaramente l’articolo 2, comma 2, primo periodo del Testo unico sul pubblico impiego: «I rapporti di lavoro dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche sono disciplinati dalle disposizioni del capo I, titolo II, del libro V del codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell’impresa, fatte salve le diverse disposizioni contenute nel presente decreto, che costituiscono disposizioni a carattere imperativo». Lo ribadisce il primo periodo del successivo comma 3 del medesimo articolo: «I rapporti individuali di lavoro di cui al comma 2 sono regolati contrattualmente».
Dunque, con la sola eccezione dei rapporti di lavoro indicati dall’articolo 3 sempre del dlgs 165/2001, tutti gli altri sono regolati da un contratto: sono, dunque, tutti contratti «di diritto privato», perché la loro fonte di costituzione e di regolazione è privatistica e non pubblicistica. In sostanza, l’ipotesi del rapporto di lavoro di diritto pubblico è venuta totalmente meno, si ribadisce con l’eccezione delle tipologie lavorative specificate dall’articolo 3 del dlgs 165/2001.
Di conseguenza, il riferimento ai contratti «di diritto pubblico» contenuto nell’articolo 110 del dlgs 267/2000 sul quale si basa la teoria secondo la quale gli incarichi a contratto «di diritto pubblico» deve considerarsi un superato ed arcaico residuo del passato: il testo dell’articolo 110 è sostanzialmente rimasto quello dell’articolo 51 della legge 142/1990, approvata quando ancora il rapporto di lavoro dei dipendenti era appunto di diritto pubblico. Infatti, il comma 1 dell’articolo 110 dispone che lo statuto degli enti locali può consentire l’assunzione di dirigenti «possa avvenire mediante contratto a tempo determinato di diritto pubblico o, eccezionalmente e con deliberazione motivata, di diritto privato».
Secondo il testo della norma, la regola sarebbe il contratto di diritto pubblico, mentre l’eccezione (da motivare) quello di diritto privato. Se così stessero davvero le cose, allora la disciplina dell’articolo 19, comma 6, del dlgs 165/2001 sarebbe riferita a un’ipotesi solo residuale ed eccezionale. È esattamente il contrario: i rapporti di lavoro sono tutti di diritto privato, compresi quelli di cui parla l’articolo 110 del dlgs 267/2000, che non sfuggono in alcun modo ai limiti percentuali previsti dalla riforma Brunetta (articolo ItaliaOggi del 27.01.2012 - tratto da www.corteconti.it).

NEWS

APPALTI - EDILIZIA PRIVATAIl Durc rimane solo per l'edilizia. Autocertificazione negli appalti pubblici sotto 20 mila euro. Una nota Inps-Inail spiega che la nuova normativa in realtà lascia immutata la disciplina speciale.
Durc non autocertificabile soltanto nei lavori privati edili; nel caso di appalti pubblici, invece, resta confermata la possibilità all'impresa di sostituirlo con un'autocertificazione. In particolare, non può essere autocertificato il Durc da presentare all'amministrazione concedente prima dell'avvio dei lavori edili, oggetto di permesso di costruire o di denuncia d'inizio attività. Nei contratti pubblici di forniture e servizi fino a 20 mila euro, invece, le imprese possono continuare a sostituire il Durc con una autodichiarazione.
È quanto si legge nella nota 26.01.2012 n. 573 di prot., firmata di Inail e Inps, ed emessa d'intesa con il ministero del lavoro.
Decertificazione e Durc. I chiarimenti riguardano l'operazione di «decertificazione» dalla legge n. 183/2011 (legge Stabilità), per effetto della quale è stata prevista la sostituzione delle certificazioni emesse dalle p.a. con le autocertificazioni (dpr n. 445/2000) dei diretti interessati. Tra l'altro la legge ha inserito l'articolo 44-bis al dpr n. 445/2000, il quale stabilisce che «le informazioni relative alla regolarità contributiva sono acquisite d'ufficio, ovvero controllate ai sensi dell'articolo 71, dalle pubbliche amministrazioni procedenti, nel rispetto della specifica normativa di settore».
Con
nota 16.01.2012 n. 619 di prot., il ministero del lavoro ha precisato che la novità della decertificazione non tocca il Durc: la previsione dell'articolo 44-bis al dpr n. 445/2000, ha detto il ministero, stabilisce semplicemente le modalità di acquisizione e gestione del Durc senza però intaccare in alcun modo il principio secondo cui le valutazioni effettuate da un organismo tecnico (nel caso, l'Inps o l'Inail) non possono essere sostituite da un'autocertificazione.
Settore privato. Di fatto, spiega la nota Inail-Inps, l'operazione di decertificazione lascia immutata la disciplina (che era e che rimane) speciale in materia di Durc; salvo la parte in cui offre la possibilità alle pubbliche amministrazioni di acquisire il Durc da parte del soggetto interessato per poi valutarne i contenuti con le modalità previste per la verifica delle autocertificazioni.
Tale possibilità, precisa la nota Inail-Inps, deve intendersi riferita solo ai casi in cui la normativa prevede espressamente la presentazione del Durc da parte dei privati; vale a dire alle ipotesi individuate dall'articolo 90, comma 9, del dlgs n. 81/2008 (T.u. sicurezza). In base a tale norma, il Durc deve essere trasmesso «all'amministrazione concedente, prima dell'inizio dei lavori oggetto del permesso di costruire o della denuncia di inizio attività»; in tali casi quindi, in applicazione anche della nuova previsione dell'articolo 44-bis del dpr n. 445/2000, l'amministrazione che ha ricevuto il Durc può verificare in ogni momento la sua autenticità attraverso il contrassegno posto in calce al documento (la verifica può essere effettuata utilizzando l'apposito software gratuito disponibile sul sito www.sportellounicoprevidenziale.it).
Settore pubblico. Per le stesse ragioni, aggiunge la nota Inail-Inps, resta confermato l'obbligo di acquisire d'ufficio il Durc da parte delle stazioni appaltanti pubbliche e delle amministrazioni procedenti. E resta altresì confermata la fattispecie in cui è consentito all'impresa di presentare una dichiarazione in luogo del Durc, per espressa previsione di legge, ossia quando si tratti di ipotesi di contratti di forniture e di servizi fino a 20 mila euro stipulati con le p.a. e con società in house (articolo 38 del dlgs n. 163/2006 e articolo 4 della legge n. 106/2011). Anche in questi casi, le dichiarazioni rese dalle imprese restano soggette a verifica ai sensi dell'articolo 71 del dpr n. 445/2000, con l'acquisizione d'ufficio del Durc da parte dell'amministrazione che le riceve.
Infine, la nota Inail-Inps precisa che dal 13 febbraio prossimo la richiesta del Durc per le seguenti tipologie potrà essere effettuata esclusivamente dalle stazioni appaltanti pubbliche o dalle amministrazioni procedenti:
● appalto/subappalto/affidamento di contratti pubblici di lavori, forniture e servizi;
● contratti pubblici di forniture e servizi in economia con affidamento diretto;
● agevolazioni, finanziamenti, sovvenzioni e autorizzazioni (articolo ItaliaOggi del 28.01.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

APPALTI - EDILIZIA PRIVATARegolarità contributiva. Dal 13 febbraio.
Sarà la pubblica amministrazione a chiedere il Durc alle «casse».

Dal 13 febbraio la richiesta del Durc, il documento unico di regolarità contributiva, potrà essere effettuata solo dalle stazioni appaltanti pubbliche o dalle amministrazioni procedenti. La regola si applicherà nei seguenti casi: appalto/subappalto/affidamento di contratti pubblici di lavori, forniture e servizi e per contratti pubblici di forniture e servizi in economia con affidamento diretto e quelli per agevolazioni, finanziamenti, sovvenzioni ed autorizzazioni. Inoltre –spiegano Inps e Inail nella nota congiunta 26.01.2012 n. 573 di prot.– il Durc è un documento non autocertificabile. Il chiarimento arriva dopo le modifiche apportate dall'articolo 15 della legge 183/2011 al Dpr 445/2000.
I due enti ribadiscono quanto precisato dal ministero del Lavoro che con nota del 16 gennaio (si veda Il Sole 24 Ore del 18) si era espresso per la non autocertificabilità del Durc. In particolare il Lavoro ha chiarito che l'articolo 44-bis del Dpr 445/2000 stabilisce le modalità di acquisizione e gestione del documento senza però intaccare in alcun modo il principio secondo cui le valutazioni effettuate da un organismo tecnico, nel caso di specie istituto previdenziale o assicuratore, non possono essere sostituite da un'autodichiarazione.
Di conseguenza, l'inammissibilità dell'autocertificazione comporta l'esclusione del Durc dall'ambito di applicazione dell'articolo 40, comma 2, del Dpr 445/2000 secondo cui «Sulle certificazioni da produrre ai soggetti privati è apposta, a pena di nullità, la dicitura: "Il presente certificato non può essere prodotto agli organi della pubblica amministrazione o ai privati gestori di pubblici servizi"».
I due istituti forniscono chiarimenti sulla possibilità per la Pa di acquisire un Durc, non un'autocertificazione, da parte del soggetto interessato, i cui contenuti potranno essere vagliati dalla stessa pubblica amministrazione con le modalità previste per la verifica delle autocertificazioni. Questa situazione può riferirsi solo alle ipotesi in cui il legislatore ha previsto espressamente la presentazione del documento da parte dei privati.
L'amministrazione che ha ricevuto il Durc potrà verificare, in qualsiasi momento, la sua autenticità attraverso il contrassegno posto in calce al documento (articolo Il Sole 24 Ore del 28.01.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

APPALTIDECRETO SEMPLIFICAZIONI/ Sanzioni più blande alle false dichiarazioni. Certificazioni. Portato a un anno il tetto massimo dell'esclusione in caso di documentazione non veritiera.
Si ammorbidiscono le sanzioni per i fornitori della Pa che presentano false dichiarazioni o falsi documenti nelle gare di appalto: il decreto semplificazioni rende più flessibile la sanzione dell'esclusione dalle gare. Oggi infatti chi viene pizzicato con un documento falso o una falsa dichiarazione subisce in automatico l'esclusione dagli appalti di lavori, servizi e forniture per un anno. Con il decreto questo anno diventa il tetto massimo della sanzione e si affida all'Autorità di vigilanza sui lavori, servizi e forniture il compito di valutare l'effettiva gravità della condotta.
Al di là infatti dei casi gravi o palesi di aggiramento delle norme, nella prassi è capitato che alcuni fornitori autocertificassero, ad esempio, la piena regolarità fiscale o anche di non avere procedimenti giudiziari in corso. Poi all'atto del controllo è saltata fuori una contravvenzione non pagata o una cartella esattoriale «dimenticata», anche di importo minore. Ebbene anche per queste infrazioni lievi non c'era scampo: scattava l'esclusione per un anno, la stessa prevista magari per i grandi evasori. Una pena severa che spesso ha decretato la fine stessa dell'impresa. Ora il sistema è graduale: l'anno di espulsione è il limite massimo. Spetta all'Autorità valutare e decidere la durata, caso per caso.
L'altra grande novità del decreto è la Banca dati nazionale dei contratti pubblici, anche questa affidata all'Autorità degli appalti. Partirà dal 2013 e sarà un grande data base in cui le amministrazioni riverseranno le informazioni sui requisiti di qualificazione alle gare, sia quelli generali (fedina penale, regolarità fiscale ad esempio), sia quelli tecnici ed economici (fatturato e dipendenti). Si va dalle notizie di Inps, Inail e casse edili sul Durc (documento unico di regolarità contributiva) al casellario giudiziale, fino ai certificati di esecuzione dei lavori.
L'obiettivo è fare in modo che le stazioni appaltanti non chiedano più certificati di verifica delle autocertificazioni ai concorrenti ma svolgano i controlli, in tempo reale, attraverso la Banca dati. Il Ministro della Funzione pubblica, Filippo Patroni Griffi ha stimato il risparmio di sola gestione amministrativa per le imprese in 140 milioni. Il suo Dipartimento in un dossier dell'era Brunetta aveva preventivato economie pari 1,3 miliardi per tutte le Pmi grazie alla Banca dati, calcolando che ogni piccola o media impresa partecipa in media a 27 gare l'anno. Anche i professionisti quando parteciperanno alle gare potranno autocertificare l'iscrizione all'Ordine.
Forse sulla scia delle polemiche sul restauro del Colosseo, il decreto regolamenta per la prima volta anche i contratti di sponsorizzazione per il restauro dei beni culturali. Si prevede l'obbligo di ricercare lo sponsor con un bando, in cui indicare se cerca solo un privato finanziatore o anche un soggetto in grado di progettare e realizzare il restauro. Sembra invece accantonato il progetto, contenuto nelle prime bozze, di eliminare la pubblicità legale di bandi e appalti dai quotidiani (articolo Il Sole 24 Ore del 28.01.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

APPALTIDECRETO SEMPLIFICAZIONI/ Appalti, responsabilità meno cara. Il committente non deve pagare in solido le sanzioni per l'appaltatore.
IL PROBLEMA/ La solidarietà nei debiti verso i dipendenti non può essere arginata con il documento di regolarità contributiva.

Il decreto legge sulle semplificazioni tenta di attenuare la rigidità del regime relativo alla responsabilità solidale negli appalti tra committente e appaltatore. In base alle misure approvate ieri dal Consiglio dei ministri il committente resta responsabile in solido con l'appaltatore, per due anni dalla conclusione dell'appalto, per eventuali debiti di natura retributiva verso i lavoratori e contributiva e assicurativa verso gli istituti previdenziali.
Tuttavia, il Governo chiarisce che il committente non risponde per il pagamento delle sanzioni civili applicabili nel caso di inadempienze nelle obbligazioni retributive e contributive. La disciplina sulla solidarietà, nel settore privato, ha subito diverse modifiche. È stata introdotta nel 2003, con l'articolo 29 del decreto legislativo 276, il quale prevede che «in caso di appalto di opere o di servizi» il committente imprenditore o datore di lavoro è obbligato in solido con l'appaltatore, entro il limite di due anni dalla cessazione dell'appalto, a corrispondere ai lavoratori i trattamenti retributivi e i contributi previdenziali dovuti.
La Finanziaria del 2007 ha precisato che il regime di solidarietà opera anche per le obbligazione delle imprese subappaltatrici.
Altro intervento di rilievo è stato operato con l'articolo 35, comma 34, della legge 248/2006 (il decreto Bersani), che ha introdotto un ulteriore meccanismo di responsabilità solidale in materia di appalto.
Quest'ultima norma prevedeva che l'appaltatore era responsabile in solido con gli eventuali subappaltatori per il mancato adempimento dei debiti fiscali, contributivi e assicurativi connessi alle prestazioni di lavoro utilizzate per eseguire il contratto di appalto (il committente rispondeva con una sanzione amministrativa, ma la logica era la stessa). Questo tipo di responsabilità solidale poteva essere esclusa mediante l'adempimento di alcuni oneri di controllo: un soggetto rispondeva solo se ometteva di verificare, acquisendo la relativa documentazione prima del pagamento del corrispettivo, che gli adempimenti connessi con le prestazioni di lavoro dipendente erano stati correttamente eseguiti dal proprio fornitore.
Il meccanismo dell'esimente è stato abrogato in parte nel 2008, quando il Dl 93 ha cancellato la possibilità di ottenere l'esonero dalla responsabilità solidale mediante la richiesta della documentazione comprovante l'adempimento degli oneri fiscali, previdenziali e retributivi.
Sempre nel 2008, è stato riformato il regime di responsabilità solidale tra il committente, l'appaltatore e gli eventuali subappaltatori nella materia della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro; l'articolo 26 del Testo unico (decreto legislativo 81/2008) ha regolato organicamente la materia, affermando anche su questo terreno il principio per cui chi affida lavori in appalto resta responsabile delle vicende dei lavoratori impiegati.
La materia è stata ancora ritoccata la scorsa estate, con l'articolo 8 della legge 111/2011, la norma che ha creato i contratti di prossimità. La norma assegna a tali contratti il potere di regolare in maniera diversa da quanto prevede la legge il regime di responsabilità degli appalti.
Questa lunga serie di modifiche normative testimonia la difficoltà del legislatore di trovare un assetto stabile della materia. Occorre trovare il punto di equilibrio tra le esigenze di tutela dei diritti maturati dai lavoratori (sul piano della contribuzione e della retribuzione) e la necessità di non ostacolare i processi di esternalizzazione e decentramento produttivo che rendono più efficienti le imprese. D'altra parte, per le imprese è spesso arduo capire se l'appaltatore abbia effettivamente rispettato gli obblighi nei confronti dei dipendenti. La richiesta del Durc, dell'elenco dei lavoratori e delle tipologie contrattuali utilizzate potrebbe costituire una prova della volontà dell'impresa committente di non essere coinvolta in situazioni irregolari.
Per le imprese resta prioritario anche arrivare a regolamentazione stabile, così da implementare un sistema di controlli che non deve essere ridisegnato ogni due o tre anni (articolo Il Sole 24 Ore del 28.01.2012).

ATTI AMMINISTRATIVI - VARIDECRETO SEMPLIFICAZIONI/ Addio a 7 milioni di certificati cartacei. Trasmessi online gli atti di nascita e matrimonio - La Pa risparmierà 10 milioni di euro.
MENO FILE ALLO SPORTELLO/ Confermati i cambi di residenza in tempo reale e l'obbligo per gli uffici pubblici di scambiarsi via web tutte le informazioni.

Il cittadino guadagnerà tempo, l'amministrazione risorse. È il duplice effetto che il Governo conta di ottenere con le semplificazioni sui certificati anagrafici. Con un conseguente risparmio di carta (7 milioni di atti in meno) e soldi (10 milioni di minori spese). Almeno a detta dell'Esecutivo.
A rivelare il possibile impatto del pacchetto di norme destinate ai cittadini è stato il ministro della Pubblica amministrazione, Filippo Patroni Griffi, nella conferenza stampa post Cdm. Le modifiche coincidono con quelle anticipate nei giorni scorsi su questo giornale. A cominciare dalla possibilità, concessa dall'articolo 6 del testo di entrata a Palazzo Chigi, di ottenere in tempo reale il cambio di residenza. Un fenomeno che secondo l'Istat ha interessato 1,4 milioni di cittadini. Per rendere effettivo il trasferimento basterà infatti comunicare il nuovo indirizzo all'ufficiale di anagrafe del municipio di destinazione. Toccherà poi a quest'ultimo, nei due giorni successivi, inoltrare la pratica per via telematica al Comune di provenienza.
L'impatto maggiore sulla vita quotidiana delle famiglie l'avranno però le disposizioni sui certificati on-line. L'articolo 9 obbliga le Pa a scambiarsi via internet una serie di dati in loro possesso: dalle comunicazioni tra Comuni di atti e di documenti di stato civile, anagrafici ed elettorali a quelle tra Comuni e questure in materia di pubblica sicurezza e immigrazione fino alle liste di leva. L'obiettivo esplicito è consentire a chi si presenta allo sportello di ottenere in via immediata la trascrizione di un atto di nascita, morte o matrimonio oppure la cancellazione o l'iscrizione alle liste elettorali. Ed è proprio da questa norma che il Governo spera di smaterializzare i 7 milioni di atti oggi prodotti in via cartacea e ridurre di almeno 10 milioni l'esborso per le spese di spedizione.
Confermate anche le novità in tema di carta d'identità. Raccogliendo il suggerimento giunto sul portale di Palazzo Vidoni da parte di un cittadino che si era trovato all'estero con il documento di riconoscimento scaduto, l'Esecutivo ha deciso di farne coincidere la data di scadenza con il compleanno del diretto interessato. Chiaramente nell'anno successivo a quello di scadenza naturale della carta, vale a dire 10 anni dopo il suo rilascio. Contestualmente viene portata da cinque a 10 anni la durata dei tesserini rilasciati dalle amministrazioni statali (ad esempio ad agenti di polizia e forze dell'ordine).
Il pacchetto di esemplificazioni per i cittadini include poi una modifica sui concorsi pubblici. A cui si potrà partecipare solo presentando via web la domande. Con la precisazione che a questa modifica dovranno adeguarsi anche le Regioni. Nello stesso articolo viene anche previsto, senza che questo intacchi il valore legale della laurea, che sia la Funzione pubblica, sentito il Miur, e non più un decreto del presidente del Consiglio a decidere sull'equiparazione dei titoli di studio e professionali e sull'equivalenza tra i titoli accademici e di servizio per l'ammissione al concorso.
A queste disposizioni di portata generale il provvedimento ne aggiunge altre settoriali. È il caso dell'eliminazione delle duplicazioni di adempimenti per i disabili. I verbali delle commissioni mediche integrate dovranno infatti riportare anche l'esistenza dei requisiti sanitari necessari per la richiesta di rilascio del contrassegno invalidi, per la riduzione dell'aliquota Iva sulle auto e per l'esenzione dal pagamento del bollo e dell'Ipt. Senza dimenticare la privacy (su cui si veda altro articolo a pagina 27). A detta di Patroni Griffi solo dall'eliminazione «della documentazione cartacea in materia di protezione dei dati personali, ferma restando tutta la normativa», arriverà un risparmio «di circa 320 milioni annui».
---------------
IL NUMERO E I PUNTI CHIAVE DELLA RIFORMA
10 I milioni all'anno di risparmio per l'eliminazione dei certificati cartacei
Scadenze
I documenti d'identità e di riconoscimento rilasciati dopo l'entrata in vigore del decreto avranno scadenza il giorno e il mese di nascita del titolare del documento stesso immediatamente successivo alla scadenza che sarebbe altrimenti prevista per il documento.
Residenza
Il cambio di residenza avrà effetto dal giorno della richiesta in modo da evitare tempi di attesa (i cambi di residenza tra comuni diversi sono circa 1.400.000 all'anno, fonte Istat). Rimangono fermi i controlli previsti e le sanzioni in caso di dichiarazioni false.
Disabili
Via alle duplicazioni di documenti nelle certificazioni sanitarie a favore dei disabili. Il verbale di accertamento dell'invalidità può sostituire le attestazioni medico-legali richieste per il contrassegno per parcheggio o l'Iva agevolata per l'acquisto dell'auto.
---------------
LE AMMINISTRAZIONI CAMBIANO PASSO
7 milioni - Certificati senza carta
Con il decreto sulle semplificazioni certificati, atti di stato civile e iscrizioni alle liste elettorali, passeranno dalla versione cartacea a quella online. Ogni anno, secondo le stime del Governo, sono circa sette milioni gli atti di questo genere prodotti dalla varie amministrazioni. I soli cambi di residenza effettuati ogni anno, secondo l'Istat, sono pari a un milione e 14mila. Questo provvedimento di «dematerializzazione» farà risparmiare alle amministrazioni circa 10 milioni l'anno.
50% - Tempi certi per le pratiche
Decorso inutilmente il termine per la conclusione del procedimento amministrativo il privato potrà rivolgersi al dirigente responsabile individuato dal vertice politico affinché questi, entro un termine pari alla metà di quello originariamente previsto, concluda il procedimento attraverso le strutture competenti o con la nomina di un commissario ad acta (articolo Il Sole 24 Ore del 28.01.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - VARIIl decreto legge semplificazioni. Un pacchetto di 68 articoli per semplificare.
Pubblichiamo la bozza del decreto legge su semplificazione e sviluppo che è stato esaminato ieri dal Consiglio dei ministri.
Le parti in nero rappresentano le ultime modifiche che sono state introdotte prima della riunione di ieri. Il testo potrebbe subire ulteriori modifiche in sede di coordinamento formale.
Sul sito internet del Sole 24 Ore (www.ilsole24ore.com) l'elenco delle leggi abrogate.
---------------
TITOLO I - Disposizioni in materia di semplificazioni
Capo I - Disposizioni generali in materia di semplificazione
ARTICOLO 1 - Modifiche alla legge n. 241 del 1990 in materia di conclusione del procedimento e poteri sostitutivi
1. All'articolo 2 della legge 7 agosto 1990, n 241, i commi 8 e 9 sono sostituiti dai seguenti: «8. La tutela in materia di silenzio dell'amministrazione è disciplinata dal Codice del processo amministrativo. Tutte le sentenze che accolgono il ricorso proposto avverso il silenzio inadempimento dell'amministrazione possono essere trasmesse in via telematica alla Corte dei conti; sono, in ogni caso, trasmesse le sentenze passate in giudicato. 9. La mancata o tardiva emanazione del provvedimento nei termini costituisce elemento di valutazione della performance individuale, nonché di responsabilità disciplinare e contabile del dirigente e del funzionario inadempiente. 9-bis. Il vertice politico del l'amministrazione individua, nell'ambito delle figure apicali dell'amministrazione, il soggetto cui attribuire il potere sostitutivo in caso di inerzia. Nell'ipotesi di omessa individuazione il potere sostitutivo si considera attribuito al dirigente generale o, in ... (articolo Il Sole 24 Ore del 28.01.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

CONSIGLIERI COMUNALIOSSERVATORIO VIMINALE/ Se la decisione è comunicata prima della nomina va nominato un commissario. Sospensione non retroattiva. Atti validi fino alla notifica del provvedimento.
Il neoeletto sindaco di un comune può porre in essere gli atti di propria competenza, a far tempo dalla data di proclamazione degli eletti, pur in presenza di una condanna con sentenza non definitiva, per il reato di cui all'art. 317 c.p., per il quale l'art. 59, comma 1, del decreto legislativo n. 267/2000, prevede la sospensione di diritto dalla carica ricoperta?

Secondo un principio generale del nostro ordinamento le cariche elettive si assumono all'atto della proclamazione e non già a seguito della delibera di convalida degli eletti.
In ordine alla decorrenza della sospensione di diritto, secondo l'orientamento della Corte suprema di cassazione, «la previsione della operatività di diritto espressamente prevista dal comma 1 dell'art. 59 non consente alcun riferimento di ordine temporale e non può, quindi, considerarsi sinonimo di immediatezza; essa indica, invece, sia l'assenza di ogni discrezionalità da parte del giudice e, conseguentemente, degli organi amministrativi richiamati dalla stessa norma –allorché si accerti la responsabilità per uno dei reati previsti dal combinato disposto di cui al comma 1, lettera a) dell'art. 58 e dell'art. 59 del Tuel– e sia la sua applicazione in sede amministrativa, anche qualora il giudice penale abbia omesso di dichiarare la sospensione, atteso che trattasi di un effetto penale della condanna di natura provvisoria, la cui durata è prevista in misura fissa senza alcuna discrezionalità in merito.
La diversa interpretazione, secondo cui l'intervento del prefetto e quello del consiglio comunale hanno natura meramente dichiarativa, mentre il momento costitutivo è rappresentato unicamente dalla sentenza di condanna priverebbe del resto di ogni significato il comma 4 dello stesso art. 59 il quale prevede la comunicazione della decisione al prefetto il quale, accertata la sussistenza di una causa di sospensione, provvede a notificare il relativo provvedimento agli organi che hanno convalidato l'elezione o deliberato la nomina.
Non si vede, infatti, quale finalità dovrebbe soddisfare l'accertamento da parte del prefetto della causa di sospensione e la successiva comunicazione se la sospensione medesima dovesse intendersi già operante a seguito della sentenza. In tal caso, infatti, sarebbe sufficiente prevedere la comunicazione da parte della cancelleria direttamente all'organo consiliare
» (Cass. civ., sez. I, 08.07.2009, n. 16052). Pertanto, nel caso in questione, la sospensione dalla carica di sindaco decorrerà dalla data della notifica all'ente del provvedimento adottato dal prefetto.
Da ciò discende che qualora la notifica del provvedimento di sospensione intervenga dopo la nomina della giunta, gli eventuali atti posti in essere dal sindaco dovranno ritenersi validamente adottati. In tal caso, le funzioni di vertice dell'amministrazione comunale saranno svolte dal vice sindaco, secondo quanto previsto dal comma 2 dell'art. 53 del citato Testo unico, sino al termine del periodo di sospensione.
Diversamente, nell'eventualità che il provvedimento sia notificato anteriormente alla nomina della giunta, sarà necessario nominare un commissario prefettizio ex art. 19 del rd n. 383/1934, con i poteri di sindaco e giunta (articolo ItaliaOggi del 27.01.2012).

CONSIGLIERI COMUNALIOSSERVATORIO VIMINALE/ Aspettativa non retribuita.
Qual è la corretta applicazione dell'art. 81 del decreto legislativo n. 267/2000, in materia di aspettativa non retribuita per gli amministratori locali lavoratori dipendenti? Tale disposizione, che prevede il pagamento degli oneri previdenziali e assistenziali a carico dei consiglieri collocati in aspettativa a domanda, si applica anche nei confronti degli amministratori che si sono collocati in aspettativa per la rimozione della causa d'ineleggibilità disciplinata dall'art. 60, comma 1, n. 5 del Tuel, in quanto componenti di organi collegiali che esercitano poteri di controllo istituzionale sull'amministrazione del comune?

L'intervento legislativo dell'art. 2, comma 24, della legge n. 244 del 24.12.2007, che ha modificato l'art. 81 del decreto legislativo n. 267/2000, non ha inteso differenziare il nuovo regime normativo in relazione alle diverse motivazioni che si pongono alla base del collocamento in aspettativa non retribuita.
Pertanto, dovendosi riconoscere alla disciplina recata dall'art. 81 una valenza generale, il candidato alla carica consiliare collocato in aspettativa non retribuita per la rimozione della causa di ineleggibilità deve farsi carico di tutte le quote previste dagli oneri in questione.
Avvalendosi della stessa valutazione per quanto concerne il secondo aspetto del quesito, si rileva che nella fattispecie deve considerarsi maturata l'anzianità di servizio durante il periodo di aspettativa non retribuita per la presentazione della propria candidatura (articolo ItaliaOggi del 27.01.2012).

ENTI LOCALIMini-enti, proroga (quasi) a 360°. L'art. 16 slitta di nove mesi. Ma non i tagli alle poltrone. Il nuovo cronoprogramma verso l'associazionismo alla luce delle novità del milleproroghe.
Più tempo per le gestioni associate obbligatorie e per le dismissioni delle partecipazioni dei piccoli comuni. Nessun rinvio, invece, per i tagli alle poltrone di giunte e consigli.
Il disegno di legge di conversione del decreto milleproroghe (su cui ieri la camera dei deputati ha votato la fiducia con 469 sì e 74 no) oltre a sancire il differimento al 30 giugno del termine per l'approvazione dei bilanci di previsione, ricalibra la tempistica di attuazione delle controverse disposizioni che impongono ai municipi minori un complessivo riassetto organizzativo. L'auspicio degli interessati, ovviamente, è che questo lasso di tempo serva a modificare nel profondo tale disciplina, per molti versi discutibile, definendo una riforma più organica e condivisa attraverso la approvazione del c.d. codice delle autonomie.
Il testo del decreto legge n. 216/2011, pubblicato in Gazzetta Ufficiale, si era limitato a prorogare di 12 mesi i termini (previsti dall'art. 14, comma 31, lett. a) e b), del dl 78/2010, come modificato dalla manovra di Ferragosto) entro cui i comuni fra 1.000 e 5 mila abitanti dovranno dare a vita ad unioni o convenzioni per esercitare in forma associata le funzioni fondamentali. Gli emendamenti approvati in commissione, invece, recuperando la più ampia previsione che si era affacciata nelle prime bozze del provvedimento, intervengono anche sull'art. 16 del dl 138/2011, che, come noto, ha imposto obblighi ancora più stringenti ai comuni fino a 1.000 abitanti, imponendo loro di aggregarsi per gestire la totalità delle funzioni e dei servizi.
Per effetto di tale novella, contenuta nei commi 11 e 11-bis dell'art. 29, quasi tutti termini previgenti vengono slittati in avanti di nove mesi (si veda, per maggiori dettagli, la tabella in pagina).
Pertanto, i piccolissimi comuni avranno tempo fino al prossimo 17 dicembre per trasmettere le proprie proposte di aggregazione alle regioni, che a loro volta recuperano il potere (da esercitare entro il 17.08.2012) di ridefinire soglie demografiche minime diverse da quelle previste dal legislatore statale (5 mila abitanti, che scendono a 3 mila per i comuni montani). Rinviata al 13.05.2013 (prima era fissata al 13.08.2012) la data che farà scattare, con il primo rinnovo amministrativo di uno dei comuni coinvolti, la decadenza delle giunte in carica e l'operatività dei nuovi organi delle unioni, che saranno soggette al Patto a partire dal 30.09.2014 (ma, di fatto, dal 2015, essendo difficile ipotizzare un assoggettamento in corso di esercizio). Tutto ciò non riguarderà i soli comuni che riusciranno a beneficiare della deroga concessa (anche in tal caso, con tempi più distesi) dal ministero dell'interno alle convenzioni di «qualità certificata».
Per i comuni fra 1.000 e 5 mila abitanti, invece, il primo appuntamento da segnare in calendario è il 30 settembre 2012: entro tale data, essi dovranno gestire almeno due delle sei funzioni fondamentali in forma associata, dando vita ad aggregazioni di almeno 10 mila abitanti (salva, anche in tal caso, una diversa soglia stabilita a livello regionale). Entro l'anno successivo, poi, l'obbligo si estenderà anche alle altre quattro funzioni. Nessuna proroga in tal caso, invece, per l'estensione del Patto, che per suddetti i comuni scatterà il primo gennaio del prossimo anno.
Fra i termini non prorogati, spicca anche quello previsto dall'art. 16, comma 17, del dl 138/2011, che prevede la riduzione del numero di assessori e consiglieri nei comuni fino a 10 mila abitanti: la mannaia, quindi calerà già dai prossimi rinnovi amministrativi.
Incerta, invece, la decorrenza dei divieto (previsto dal medesimo art. 16, al comma 18) di erogare i gettoni di presenza ai consiglieri dei comuni fino a 1.000 abitanti: tale disposizione, infatti, non è stata espressamente modificata, ma il relativo timing è regolato mediante rinvio al precedente comma 9, che invece è oggetto di una proroga espressa. Secondo l'Anci, il relativo termine (fissato al 13.08.2012) è da considerarsi invariato, ma sul punto sarebbe opportuno un chiarimento.
Qualche dubbio anche sulla tempistica dell'obbligo di dismettere le partecipazioni vietate ai comuni fino a 50 mila abitanti. Il milleproroghe sembra differire (dal 31.12.2012 al 30.09.2013) solo il termine riguardante i comuni fino a 30 mila abitanti, mentre per quelli fra 30 mila e 50 mila abitanti la dead line, come chiarito dalla Corte dei conti Lombardia (pareri n. 602-603/2011) rimane fissata al 31.12.2013.
Da segnalare, infine, la conferma della proroga al 31.12.2012 della soppressione delle Ato per acqua e rifiuti.
Il voto finale sul provvedimento è previsto per martedì prossimo, poi il decreto passerà all'esame del senato (articolo ItaliaOggi del 27.01.2012 - tratto da www.corteconti.it).

APPALTISEMPLIFICAZIONI/ Gare d'appalto, verifiche on-line. Banca dati nazionale per controllare le autodichiarazioni. Il pacchetto di misure è domani all'esame del consiglio dei ministri.
Semplificazione delle gare di appalto con la Banca dati nazionale dei contratti pubblici gestita dall'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici che consentirà di verificare on-line la veridicità delle autodichiarazioni presentate dai concorrenti; eliminato ogni onere documentale a carico di imprese e professionisti che partecipano agli affidamenti di lavori, forniture e servizi; responsabilità in solido di committente, appaltatore e subappaltatore per i pagamenti dei lavoratori utilizzati per l'esecuzione dei contratti; al via il piano di edilizia scolastica.
Sono queste alcune delle novità contenute nello schema di disegno di legge sulle semplificazioni che sarà portato domani all'esame del Consiglio dei Ministri.
Una delle principali novità è rappresentata dalla istituzione presso l'Autorità di vigilanza sui contratti pubblici della Banca dati nazionale dei contratti pubblici che dovrà essere attiva a partire dal primo gennaio 2013. L'obiettivo della norma è quello di ridurre gli oneri amministrativi derivanti dagli obblighi informativi e di assicurare l'efficacia, la trasparenza e il controllo in tempo reale dell'azione amministrativa in materia di appalti, anche sotto il profilo della prevenzione dei fenomeni di corruzione.
Da inizio 2013 la banca dati dovrà acquisire tutta la documentazione comprovante il possesso dei requisiti di carattere generale, tecnico-organizzativo ed economico-finanziario che vengono chiesti per partecipare a procedure di aggiudicazione di contratti pubblici di lavori, servizi e forniture. Sarà poi l'Autorità a mettere a punto, con propria deliberazione, i termini e le regole tecniche per l'acquisizione, l'aggiornamento e la consultazione dei dati contenuti nella predetta Banca dati (ivi compresa la definizione di modelli di certificazioni).
Il punto maggiormente rilevante della proposta contenuta nel pacchetto semplificazione risiede nell'obbligo, per le stazioni appaltanti di verificare il possesso dei requisiti “esclusivamente tramite la Banca dati nazionale dei contratti pubblici”. Ciò significa che i partecipanti alle gare potranno qualificarsi alle procedure semplicemente con una autodichiarazione del possesso dei requisiti di carattere generale e speciale, mentre sarà cura del committente che ha bandito la gara, verificare che quanto dichiarato sia conforme alle risultanze documentali rese disponibili a questo fine dalla Banca dati nazionale dei contratti pubblici. Conseguentemente a tale impostazione la norma prevede anche che sia soppresso l'obbligo di presentare sempre la certificazione inerente la regolarità contributiva, elemento che dovrà essere disponibile on-line per ogni stazione appaltante.
Se si pensa che una buona parte del contenzioso che attualmente si verifica nelle gare si colloca proprio nella fase di verifica dei requisiti, si può comprendere l'elevato grado di semplificazione e snellimento delle procedure che la norma determina. Per l'attivazione della banca dati la proposta prevede, per tutti i soggetti pubblici e privati che detengono dati e documenti relativi ai requisiti di partecipazione, un obbligo di messa a disposizione dell'Autorità; parallelamente gli operatori economici saranno tenuti ad integrare i dati contenuti nella Banca Dati nazionale dei contratti pubblici.
Sotto il profilo sanzionatorio la proposta del Governo incide sull'articolo 38, comma 1-ter, del Codice dei contratti pubblici, stabilendo che in caso di presentazione di falsa dichiarazione o falsa documentazione, nelle procedure di gara e negli affidamenti di subappalto, la stazione appaltante segnali il fatto all'Autorità. Se poi l'autorità ritiene che le dichiarazioni siano state rese con dolo o colpa grave in considerazione della rilevanza o della gravità dei fatti oggetto della falsa dichiarazione o della presentazione di falsa documentazione, essa può disporre l'iscrizione nel casellario informatico ai fini dell'esclusione dalle procedure di gara e dagli affidamenti di subappalto fino ad un anno, decorso il quale l'iscrizione è cancellata e perde comunque efficacia.
Semplificati anche gli oneri di pubblicazione di bandi e avvisi di gara: viene infatti soppresso l'obbligo di pubblicità per estratto sui giornali. Prevista anche una articolata disciplina sulle sponsorizzazioni, con ricerca dello sponsor mediante bando pubblicato sul sito istituzionale dell'amministrazione procedente per almeno trenta giorni e richiesta di offerte in aumento sull'importo del finanziamento minimo indicato.
Prevista per appalti di opere o di servizi, la responsabilità in solido del committente imprenditore o datore di lavoro con l'appaltatore, nonché con ciascuno degli eventuali subappaltatori entro il limite di due anni dalla cessazione dell'appalto, per il pagamento di trattamenti retributivi, compreso il Tfr, e i contributi previdenziali dovuti in relazione al periodo di esecuzione del contratto di appalto.
All'articolo 60 si prevede poi un corposo piano di edilizia scolastica, gestito da Cipe su indicazione e ricognizione dell'Agenzia del demanio e interventi anche in project financing (articolo ItaliaOggi del 26.01.2012 - tratto da www.corteconti.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - PUBBLICO IMPIEGOSEMPLIFICAZIONI/ Pagamenti lenti, danno erariale. Le sentenze dei Tar andranno trasmesse alla Corte conti. La mancata adozione dei provvedimenti costa cara ai dipendenti pubblici.
Contro i ritardi nei procedimenti amministrativi in campo la Corte dei conti, la responsabilità disciplinare ed erariale e l'esercizio di poteri sostitutivi.
Lo schema di disegno di legge sulle semplificazioni presentato dal Ministro della Funzione pubblica prende nuovamente di mira il rispetto dei tempi dei procedimenti amministrativi come elemento di qualità dell'azione amministrativa, introducendo disincentivi e sanzioni a violare i termini fissati dalle norme.
Corte dei conti. Ai sensi dell'articolo 2-bis, comma 1, della legge 241/1990 «Le pubbliche amministrazioni e i soggetti di cui all'articolo 1, comma 1-ter, sono tenuti al risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell'inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento».
I ritardi, dunque, possono costare cari alle amministrazioni. Per questa ragione, lo schema impone di trasmettere per via telematica alla magistratura contabile tutte le sentenze dei giudici amministrativi che accolgano i ricorsi contro il silenzio inadempimento, cioè l'assenza di un provvedimento nei termini, che siano passate in giudicato. Destinataria della comunicazione deve intendersi la procura della Corte dei conti.
Responsabilità. Lo schema presentato dal ministro Patroni Griffi inasprisce il regime delle responsabilità. Attualmente, ai sensi dell'articolo 2, comma 9, della legge 241/1990, la mancata adozione del provvedimento finale nei termini costituisce elemento di valutazione solo dei dirigenti, influendo in particolare sulla responsabilità dirigenziale, non connessa ai singoli provvedimenti, ma alla complessiva conduzione delle strutture.
La modifica proposta punta, invece, direttamente sulla responsabilità individuale derivante dal singolo procedimento. Il ritardo, infatti, costituirà elemento di valutazione della performance individuale: dunque, ai fini delle schede di valutazione occorrerà tracciare se e in che misura ciascun singolo dipendente avrà causato ritardi. Ma non basta l'eventuale riduzione della valutazione: il ritardo potrà essere anche causa di responsabilità disciplinare, se, ovviamente, connesso o causa, di violazioni al codice disciplinare. Inoltre, il ritardo, nei casi di produzione di danno, sarà anche causa di responsabilità contabile (ma, anche se le norme attualmente non lo affermano espressamente è sempre stato così).
Lo schema di riforma della legge indica come soggetti responsabili sia il dirigente, sia il funzionario inadempiente.
Poteri sostitutivi. La riforma punta comunque ad assicurare al privato che un provvedimento, sia pure in ritardo, sia adottato. Pertanto i vertici politici degli enti dovranno individuare tra le «figure apicali» un soggetto cui attribuire un potere sostitutivo in caso di inerzia.
I cittadini potranno rivolgersi a tale soggetto una volta trascorsi inutilmente i termini dei procedimenti di loro interessi. Il sostituto potrà concludere il procedimento entro un termine pari alla metà di quello originariamente previsto (si deve presumere decorrente dall'istanza del cittadino), avvalendosi delle strutture amministrative competenti o anche nominando un commissario ad acta.
Il dirigente incaricato di sostituire gli inadempienti dovrà comunicare entro il 30 gennaio di ogni anno i procedimenti nei quali è intervenuto in via sostitutiva, così da permettere un quadro chiaro delle inadempienze.
In ogni caso, i provvedimenti adottati in ritardo su istanza dei cittadini da parte dei dirigenti sostituti dovranno indicare espressamente il termine previsto dalle leggi o dai regolamenti e quello effettivamente decorso.
Problemi applicativi. La riforma pone non poche questioni applicative. Basti pensare che tra i soggetti chiamati a rispondere a vario titolo dei ritardi non menziona minimamente il «responsabile del procedimento», ma parla impropriamente di «funzionari», termine che anche con le nuove declaratorie contrattuali non potrà che ingenerare equivoci. Nei confronti dei dirigenti, poi, sembra introdurre una sorta di responsabilità oggettiva per i singoli procedimenti condotti da altri, l'esatto opposto delle responsabilità organizzative di stampo manageriale.
Inoltre, la norma non distingue le responsabilità discendenti dai procedimenti avviati a istanza di parte e quelli d'ufficio. Il legislatore dimentica che nei riguardi dei primi il ritardo, se inteso come inerzia nel rilascio di provvedimenti favorevoli, in generale non si può determinare, visto che opera, ai sensi dell'articolo 20 della legge 241/1990, il silenzio-assenso.
Infine, negli enti locali si porrà il problema dei soggetti apicali. Nello Stato i dirigenti generali dispongono per legge di poteri sostitutivi, cosa che negli enti locali non sussiste (articolo ItaliaOggi del 26.01.2012).

GIURISPRUDENZA

APPALTILa censura con la quale è stata rilevata la mancata adozione di idonee misure per garantire la segretezza e l'integrità dei plichi contenenti le offerte è stata ritenuta <<infondata sul rilievo che quand'anche non si sia adeguatamente verbalizzato il processo di custodia delle buste contenenti le offerte, ciò tuttavia è irrilevante in quanto non è stato addotto alcun elemento concreto e specifico atto a far ritenere che possa essersi verificata la sottrazione o la sostituzione dei pieghi, la manomissione delle offerte o un altro fatto rilevante ai fini della regolarità della procedura. Appare, infatti, condivisibile l'orientamento giurisprudenziale secondo cui "...la mancata indicazione delle cautele seguite per la conservazione della documentazione è un rilievo inammissibile in mancanza di precisazione di avvenute alterazioni, dovendo invece aversi riguardo al fatto che, in concreto non si sia verificata l'alterazione della documentazione specie quando l'apertura dei plichi sia avvenuta in seduta pubblica senza osservazioni da parte dei rappresentati delle ditte presenti".
Il Collegio non ignora peraltro, a tale proposito, l’esistenza di precedenti giurisprudenziali di segno contrario, nei quali si afferma che “la commissione giudicatrice deve predisporre particolari cautele a tutela dell'integrità e della conservazione dei plichi contenenti le offerte tecniche ed economiche. Delle cautele e strumenti apprestati deve essere fatta esplicita menzione nel verbale di gara, omissione che non può essere sanata dai responsabili del seggio di gara con attestazioni postume sull'adozione di idonee misure.”

... Ciò in linea con il precedente di cui alla sentenza del Consiglio di Stato, Sez. III, 22.11.2011, n. 6146, in cui si legge che la censura con la quale è stata rilevata la mancata adozione di idonee misure per garantire la segretezza e l'integrità dei plichi contenenti le offerte è stata ritenuta <<infondata sul rilievo che quand'anche non si sia adeguatamente verbalizzato il processo di custodia delle buste contenenti le offerte, ciò tuttavia è irrilevante in quanto non è stato addotto alcun elemento concreto e specifico atto a far ritenere che possa essersi verificata la sottrazione o la sostituzione dei pieghi, la manomissione delle offerte o un altro fatto rilevante ai fini della regolarità della procedura. Appare, infatti, condivisibile l'orientamento giurisprudenziale secondo cui "...la mancata indicazione delle cautele seguite per la conservazione della documentazione è un rilievo inammissibile in mancanza di precisazione di avvenute alterazioni, dovendo invece aversi riguardo al fatto che, in concreto non si sia verificata l'alterazione della documentazione specie quando l'apertura dei plichi sia avvenuta in seduta pubblica senza osservazioni da parte dei rappresentati delle ditte presenti" (Cons. Stato, Sez. V, 11.08.2010 n. 5624).>>.
Come già più sopra anticipato, anche nel caso in esame i plichi contenti la documentazione amministrativa e le buste contenenti le offerte sono stati aperti dal seggio di gara in seduta pubblica, dando atto della loro integrità. Nella seduta successiva, intervenuta a quattordici giorni di distanza, la verifica della presenza e dell’integrità delle buste è avvenuta senza che i delegati delle imprese partecipanti, presenti alle operazioni, tra cui quelli della ricorrente, abbiano avuto da obiettare, con la conseguenza che il Collegio non ravvisa ragione di discostarsi dal precedente citato, pienamente calzante alla questione in esame.
Il Collegio non ignora peraltro, a tale proposito, l’esistenza di precedenti giurisprudenziali di segno contrario, nei quali si afferma che “la commissione giudicatrice deve predisporre particolari cautele a tutela dell'integrità e della conservazione dei plichi contenenti le offerte tecniche ed economiche. Delle cautele e strumenti apprestati deve essere fatta esplicita menzione nel verbale di gara, omissione che non può essere sanata dai responsabili del seggio di gara con attestazioni postume sull'adozione di idonee misure.” (Cons. Stato Sez. VI, Sent., 27.07.2011, n. 4487).
Ciononostante un più approfondito esame di tali pronunce (necessario perché l’applicazione del principio porta spesso a risultati diversi in ragione della specificità della situazione di fatto, come affermato in Cons. Stato Sez. VI, Sent., 30.06.2011, n. 3902, che ancora una volta ha escluso la necessità di specificare le modalità di conservazione dei plichi, se risulta incontestato che gli stessi erano integri in occasione della loro apertura) pone in evidenza come le stesse avessero ad oggetto fattispecie parzialmente diverse, nelle quali era trascorso un notevole lasso di tempo tra le diverse sedute della commissione e ricorrevano elementi e dichiarazioni che potevano far pensare al fatto che la conservazione della documentazione non fosse avvenuta in modo tale da precluderne l’accesso al di fuori della presenza dell’intera commissione di gara.
Nel caso in esame, invece, tra la prima e la seconda seduta sono trascorsi pochi giorni e all’atto della ripresa dei lavori i rappresentanti della ricorrente erano presenti e hanno potuto constatare l’integrità delle buste, come si può desumere dall’assenza di verbalizzazioni in senso contrario. Per quanto attiene alla fase di esame delle offerte, non risulta esservi stata soluzione di continuità tra le sedute della commissione, che si sono susseguite nell’arco della stessa giornata e non risulta nemmeno asserito che la Commissione si sia allontanata dal luogo in cui si sono svolte le operazione lasciando buste e documentazione ivi contenute incustodite.
Si può quindi ritenere che, con riferimento a questa seconda giornata di lavori della Commissione, tra il secondo e il terzo verbale, non risulti essere stata adottata nessuna misura idonea a garantire la custodia delle buste, in quanto non si è presentata nessuna necessità di conservazione delle stesse, date le strettissime scansioni temporali attraverso cui i compiti della Commissione sono stati espletati. Mentre l’omissione della indicazione delle specifiche misure adottate nella conservazione presso la casa comunale (di cui si dà atto nel primo verbale) delle offerte tra la prima e la seconda seduta appare irrilevante alla luce della suddetta presunta integrità delle buste constatata all’atto della ripresa dei lavori nella seconda seduta.
Ne deriva che il primo motivo non merita positivo apprezzamento (TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 25.01.2012 n. 102 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIl permesso di costruire è rilasciato al proprietario dell'immobile o a chi abbia titolo per richiederlo, per cui l'interessato è tenuto a fornire al Comune la prova del suo diritto, mentre l’Ente non deve svolgere sul punto verifiche eccedenti quelle richieste dalla ragionevolezza e dalla comune esperienza, in relazione alle concrete circostanze di fatto, dovendosi così escludere “un obbligo del comune di effettuare complessi accertamenti diretti a ricostruire tutte le vicende riguardanti l'immobile in considerazione".
Spettano all’usufruttuario dell’immobile –escludendo così il nudo proprietario- tutti i diritti, i poteri e le facoltà inerenti alla cosa, da cui egli può trarre ogni utilità che questa può dare (981 c.c.), purché ne rispetti la destinazione: e, dunque, anche lo ius aedificandi correlato al bene, facoltà che in tale ambito palesemente rientra, e che, pertanto, non può essere esercitata dal nudo proprietario.

Invero, ex art. 11, I comma, del d.P.R. 06.06.2001, n. 380, il permesso di costruire è rilasciato al proprietario dell'immobile o a chi abbia titolo per richiederlo, per cui l'interessato è tenuto a fornire al Comune la prova del suo diritto, mentre l’Ente non deve svolgere sul punto verifiche eccedenti quelle richieste dalla ragionevolezza e dalla comune esperienza, in relazione alle concrete circostanze di fatto, dovendosi così escludere “un obbligo del comune di effettuare complessi accertamenti diretti a ricostruire tutte le vicende riguardanti l'immobile in considerazione" (C.d.S., V, 07.09.2007, n. 4703).
Ora, in specie, non è dubbio come l’intervento originariamente proposto determinasse una radicale trasformazione dell’area interessata, coinvolgendo l’appartamento al piano terreno; anche trascurando la servitù di passaggio, il progetto comportava ictu oculi la modificazione dell’accesso ed il tamponamento di una finestra che presenta elementi, i quali permettono di qualificarla come una veduta.
Inoltre, come risulta dagli atti di causa, il nuovo fabbricato abitativo era destinato ad occupare una parte della corte comune, della quale l’usufruttuario poteva evidentemente godere, e che viene così sacrificata.
Infine, come si è visto, la nuova volumetria è stata calcolata con riferimento all’intero edificio principale e, quindi, anche alla parte in usufrutto.
Del resto, non v’è dubbio che spettino all’usufruttuario dell’immobile –escludendone così il nudo proprietario- tutti i diritti, i poteri e le facoltà inerenti alla cosa, da cui egli può trarre ogni utilità che questa può dare (981 c.c.), purché ne rispetti la destinazione: e, dunque, anche lo ius aedificandi correlato al bene, facoltà che in tale ambito palesemente rientra, e che, pertanto, non può essere esercitata dal nudo proprietario.
Insomma, il Comune di Spinea, senza necessità di procedere a complessi accertamenti, avrebbe dovuto rifiutare il permesso di costruire fino al momento in cui non fosse stato positivamente dimostrato il consenso dell’usufruttuaria all’intervento.
Il riferimento al cd. pactum fiduciae, introdotto ex post dall’Amministrazione per giustificarsi, costituisce, in specie, soltanto il richiamo, elegante ma improprio, ad una locuzione romanistica, con cui, nella fattispecie, si vuole significare come il Comune di Spinea, nel rilasciare il titolo, abbia creduto che la Greggio agisse anche per il titolare del diritto di usufrutto sul bene, essenzialmente perché legata a questo da un rapporto parentale, e da precedenti istanze edilizie non opposte: un’apparentia juris, la quale potrebbe forse avere rilievo in una prospettiva risarcitoria, ma che certamente non determina la legittimità del provvedimento amministrativo, emesso in favore di chi non aveva titolo ad ottenerlo, ed in relazione al contenuto immediatamente percepibile dell’intervento progettato.
Insomma, il permesso di costruire de quo è stato emesso in violazione dell’art. 11 del d. lgs. 380/2001 e va annullato, in conformità al primo motivo di ricorso proposto
(TAR Veneto, Sez. II, sentenza 25.01.2012 n. 32 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa norma di cui all’art. 9 del d.m. 02.04.1968 n. 1444  parla genericamente di “pareti finestrate”, e deve dunque essere riferita, in generale, a tutte le pareti con aperture non solo di veduta, ma anche di luce, di qualsiasi genere, verso l'esterno, mentre la distanza a sua volta “va calcolata con riferimento ad ogni punto dei fabbricati e non alle sole parti che si fronteggiano e a tutte le pareti finestrate e non solo a quella principale, prescindendo anche dal fatto che esse siano o meno in posizione parallela”.
La norma di cui all’art. 9 del d.m. 02.04.1968 n. 1444  parla genericamente di “pareti finestrate”, e deve dunque essere riferita, in generale, a tutte le pareti con aperture non solo di veduta, ma anche di luce, di qualsiasi genere, verso l'esterno (conf. TAR Lombardia Milano, sez. IV, 19.05.2011, n. 1282), mentre la distanza a sua volta “va calcolata con riferimento ad ogni punto dei fabbricati e non alle sole parti che si fronteggiano e a tutte le pareti finestrate e non solo a quella principale, prescindendo anche dal fatto che esse siano o meno in posizione parallela” (C.d.S. IV, 02.11.2010, n. 7731) (TAR Veneto, Sez. II, sentenza 25.01.2012 n. 32 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAE' manifestamente improcedibile, per sopravvenuta carenza di interesse, l'impugnazione giurisdizionale di un'ordinanza sindacale di sospensione dei lavori abusivi, divenuta inefficace nel corso del giudizio per decorso del termine di 45 giorni previsto dall'articolo 4 della legge 28.02.1985, n. 47.
La presentazione della domanda di condono o di accertamento di conformità in data successiva all'impugnazione dell'ordinanza di demolizione produce l'effetto di rendere il ricorso improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse a ricorrere, in quanto l'istanza di sanatoria comporta il riesame dell'abusività dell'opera mediante l'emanazione di un nuovo provvedimento, di accoglimento o di rigetto, che vale comunque a superare il provvedimento sanzionatorio oggetto dell'impugnativa.
---------------
Il provvedimento con il quale il comune impone la demolizione di un manufatto abusivo ha evidentemente carattere vincolato.
Anche qualora intercorra un lungo periodo di tempo tra la realizzazione dell'opera abusiva e il provvedimento sanzionatorio, tale circostanza non rileva ai fini della legittimità di quest'ultimo, sia in rapporto al preteso affidamento circa la legittimità dell'opera -che il protrarsi del comportamento inerte del comune avrebbe ingenerato nel responsabile dell'abuso edilizio- sia in relazione ad un presunto ulteriore obbligo, per l'amministrazione procedente, di motivare specificamente in ordine alla sussistenza dell'interesse pubblico attuale a far demolire il manufatto: deve infatti ritenersi che la lunga durata nel tempo dell'opera priva del necessario titolo edilizio ne rafforza il carattere abusivo (trattandosi di illecito permanente), il che preserva il potere-dovere dell'amministrazione di intervenire nell'esercizio dei suoi poteri sanzionatori, tanto più che il provvedimento demolitorio non richiede una congrua motivazione in ordine all'attualità dell'interesse pubblico alla rimozione dell'abuso, che è in re ipsa.
---------------
Decorso infruttuosamente il termine di 90 giorni assegnato al proprietario per la demolizione di un manufatto abusivo, l'effetto acquisitivo al patrimonio comunale, ai sensi dell'articolo 7, della legge n. 47 del 1985, si produce di diritto, con conseguente carattere meramente dichiarativo e vincolato del successivo provvedimento amministrativo.

Per la parte in cui è stata disposta la sospensione dei lavori edilizi abusivi il ricorso deve essere dichiarato improcedibile atteso che, secondo un consolidato orientamento nella materia, è manifestamente improcedibile, per sopravvenuta carenza di interesse, l'impugnazione giurisdizionale di un'ordinanza sindacale di sospensione dei lavori abusivi, divenuta inefficace nel corso del giudizio per decorso del termine di 45 giorni previsto dall'articolo 4 della legge 28.02.1985, n. 47 (TAR Lazio-Roma, sez. II, 22.12.2010, n. 38234).
Per quanto attiene, poi, l’ordinata demolizione -atteso che, sempre secondo un consolidato orientamento nella materia, la presentazione della domanda di condono o di accertamento di conformità in data successiva all'impugnazione dell'ordinanza di demolizione produce l'effetto di rendere il ricorso improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse a ricorrere, in quanto l'istanza di sanatoria comporta il riesame dell'abusività dell'opera mediante l'emanazione di un nuovo provvedimento, di accoglimento o di rigetto, che vale comunque a superare il provvedimento sanzionatorio oggetto dell'impugnativa (TAR Lazio Roma, sez. II, 22.12.2010, n. 38234)- considerato che risulta comprovata in atti l’intervenuta presentazione dell’istanza di rilascio della concessione edilizia in sanatoria relativamente alla scala esterna, nella sola predetta parte il ricorso deve, pertanto, essere dichiarato improcedibile e si tratterà, invece, di verificare nel merito la fondatezza del primo ricorso per motivi aggiunti con il quale, appunto, è stato impugnato il diniego di rilascio della richiesta sanatoria.
---------------
Il provvedimento con il quale il comune imponga la demolizione di un manufatto abusivo ha evidentemente carattere vincolato.
E, atteso il predetto carattere vincolato, anche qualora intercorra un lungo periodo di tempo tra la realizzazione dell'opera abusiva e il provvedimento sanzionatorio, tale circostanza non rileva ai fini della legittimità di quest'ultimo, sia in rapporto al preteso affidamento circa la legittimità dell'opera -che il protrarsi del comportamento inerte del comune avrebbe ingenerato nel responsabile dell'abuso edilizio- sia in relazione ad un presunto ulteriore obbligo, per l'amministrazione procedente, di motivare specificamente in ordine alla sussistenza dell'interesse pubblico attuale a far demolire il manufatto: deve infatti ritenersi che la lunga durata nel tempo dell'opera priva del necessario titolo edilizio ne rafforza il carattere abusivo (trattandosi di illecito permanente), il che preserva il potere-dovere dell'amministrazione di intervenire nell'esercizio dei suoi poteri sanzionatori, tanto più che il provvedimento demolitorio non richiede una congrua motivazione in ordine all'attualità dell'interesse pubblico alla rimozione dell'abuso, che è in re ipsa.
---------------
Premesso che, decorso infruttuosamente il termine di novanta giorni assegnato al proprietario per la demolizione di un manufatto abusivo, l'effetto acquisitivo al patrimonio comunale, ai sensi dell'articolo 7, della legge n. 47 del 1985, si produce di diritto, con conseguente carattere meramente dichiarativo e vincolato del successivo provvedimento amministrativo (TAR Lazio-Roma, sez. II, 09.11.2005, n. 10874)-, da un lato, l’ordinanza di demolizione di cui trattasi non risulta essere stata sospesa nei suoi effetti nel corso del presente giudizio, con la conseguenza che l’amministrazione non era tenuta a sospendere il relativo procedimento per la sola circostanza dell’intervenuta proposizione del ricorso, e, dall’altro, l’intervenuta amministrazione giudiziaria della società non può essere ritenuta di ostacolo al procedere dell’operato dell’amministrazione comunale la cui attività al riguardo è, peraltro, vincolata
(TAR Lazio-Roma, Sez. II-ter, sentenza 24.01.2012 n. 765 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAAnche se la normativa edilizia non prevede l’istituto della concessione edilizia a termine, tuttavia, secondo un consolidato orientamento nella materia, il rilascio di tale titolo può essere vincolato a specifiche prescrizioni e condizioni; si tratta, pertanto, di verificare, da un lato, se sia possibile che la condizione riguardi il termine finale di efficacia del provvedimento, e, dall’altro, se, in caso contrario, dalla violazione dell’eventuale divieto consegua la nullità della detta clausola temporale, ma con salvezza per il residuo del provvedimento concessorio da ritenersi a validità ed efficacia a tempo indeterminato.
Quando la condizione della temporaneità sia apposta alla concessione edilizia riguardi in realtà opere precarie che, per varie e diversificate ragioni, possano essere erette soltanto in alcuni periodi dell’anno o soltanto per un arco temporale limitato, allora si è in presenza di un provvedimento atipico di per sé non illegittimo; si tratta, nella sostanza, di concessione avente ad oggetto opere per loro natura e destinazione di carattere precario e quindi durata limitata e predeterminata.
In passato vi sono state aperture al riguardo essendosi affermato che la “concessione edilizia in precario” costituisce provvedimento atipico utilizzato dalle amministrazioni comunali per assentire opere per loro natura e destinazione di durata limitata e predeterminata, non conformi alla destinazione urbanistica della zona, giustificabile solo proprio in relazione al carattere di precarietà dell’opera ed alla sua modesta consistenza, sì da non assurgere a vera e propria modificazione del territorio; peraltro, l’istituto della concessione in precario andrebbe ritenuto ammissibile solo se previsto dalle norme di piano regolatore, nei limiti, con i presupposti e nei termini che tali norme pongono, salvo i casi che la precarietà stessa costituisca giudizio di non rilevanza urbanistica dell’opera.
Anche se la normativa edilizia non prevede l’istituto della concessione edilizia a termine, tuttavia, secondo un consolidato orientamento nella materia, il rilascio di tale titolo può essere vincolato a specifiche prescrizioni e condizioni; si tratta, pertanto, di verificare, da un lato, se sia possibile che la condizione riguardi il termine finale di efficacia del provvedimento, e, dall’altro, se, in caso contrario, dalla violazione dell’eventuale divieto consegua la nullità della detta clausola temporale, ma con salvezza per il residuo del provvedimento concessorio da ritenersi a validità ed efficacia a tempo indeterminato.
Il Collegio ritiene che quando la condizione della temporaneità sia apposta alla concessione edilizia riguardi in realtà opere precarie che, per varie e diversificate ragioni, possano essere erette soltanto in alcuni periodi dell’anno o soltanto per un arco temporale limitato, allora si è in presenza di un provvedimento atipico di per sé non illegittimo; si tratta, nella sostanza, di concessione avente ad oggetto opere per loro natura e destinazione di carattere precario e quindi durata limitata e predeterminata.
In passato vi sono state aperture al riguardo (TAR Puglia–Bari, sez. II, sent. n. 1281 del 28.09.1994) essendosi affermato che la “concessione edilizia in precario” costituisce provvedimento atipico utilizzato dalle amministrazioni comunali per assentire opere per loro natura e destinazione di durata limitata e predeterminata, non conformi alla destinazione urbanistica della zona, giustificabile solo proprio in relazione al carattere di precarietà dell’opera ed alla sua modesta consistenza, sì da non assurgere a vera e propria modificazione del territorio; peraltro, l’istituto della concessione in precario andrebbe ritenuto ammissibile solo se previsto dalle norme di piano regolatore, nei limiti, con i presupposti e nei termini che tali norme pongono, salvo i casi che la precarietà stessa costituisca giudizio di non rilevanza urbanistica dell’opera
(TAR Lazio-Roma, Sez. II-ter, sentenza 24.01.2012 n. 765 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATASecondo un consolidato orientamento nella materia, dopo l'entrata in vigore della legge 28.01.1977, n. 10, il rilascio del parere favorevole della commissione edilizia comunale e la sua comunicazione non possono più essere considerati equivalenti al rilascio della concessione edilizia comunale.
Detto parere, infatti, va considerato alla stregua di un atto informativo di una fase non ancora conclusa del procedimento; detto parere costituisce, infatti, un atto preparatorio ed interno al procedimento amministrativo di rilascio della concessione edilizia e non equivale, né formalmente né sostanzialmente, all'adozione di quest'ultima.
Secondo altro orientamento, poi, soltanto allorquando il competente responsabile del servizio tecnico non si sia limitato a comunicare all'interessato il parere favorevole della commissione edilizia comunale, ma ne abbia fatto proprie le determinazioni e abbia formulato la nota come comunicazione di accoglimento dell'istanza e del rilascio della concessione secondo specifiche condizioni e prescrizioni, deve ritenersi che in tal modo egli abbia espresso la sua autonoma e conclusiva valutazione in ordine all'assentibilità dell'intervento edilizio, con ciò consumando il relativo potere, con la conseguenza che il rilascio del documento formale di concessione edilizia, pur necessario, diventa atto esecutivo e dovuto, a contenuto ricognitivo.
Vero è che, all’epoca della proposizione del ricorso all’esame, la giurisprudenza sul punto non era uniforme, ma il Collegio non può che attenersi all’orientamento divenuto ora consolidato.
Secondo un consolidato orientamento nella materia, dopo l'entrata in vigore della legge 28.01.1977, n. 10, il rilascio del parere favorevole della commissione edilizia comunale e la sua comunicazione non possono più essere considerati equivalenti al rilascio della concessione edilizia comunale (cfr. ex multis, da ultimo, Consiglio di Stato, sez. IV, 07.02.2011, n. 813).
Detto parere, infatti, va considerato alla stregua di un atto informativo di una fase non ancora conclusa del procedimento; detto parere costituisce, infatti, un atto preparatorio ed interno al procedimento amministrativo di rilascio della concessione edilizia e non equivale, né formalmente né sostanzialmente, all'adozione di quest'ultima (TAR Lazio-Roma, sez. II, 24.04.2007, n. 3674).
Secondo altro orientamento, poi, soltanto allorquando il competente responsabile del servizio tecnico non si sia limitato a comunicare all'interessato il parere favorevole della commissione edilizia comunale, ma ne abbia fatto proprie le determinazioni e abbia formulato la nota come comunicazione di accoglimento dell'istanza e del rilascio della concessione secondo specifiche condizioni e prescrizioni, deve ritenersi che in tal modo egli abbia espresso la sua autonoma e conclusiva valutazione in ordine all'assentibilità dell'intervento edilizio, con ciò consumando il relativo potere, con la conseguenza che il rilascio del documento formale di concessione edilizia, pur necessario, diventa atto esecutivo e dovuto, a contenuto ricognitivo (TAR Lazio-Roma, sez. II, 02.07.2008, n. 6371; TAR Sardegna-Cagliari, sez. II, 08.08.2008, n. 1664).
Vero è che, all’epoca della proposizione del ricorso all’esame, la giurisprudenza sul punto non era uniforme, ma il Collegio non può che attenersi all’orientamento divenuto ora consolidato
(TAR Lazio-Roma, Sez. II-ter, sentenza 24.01.2012 n. 765 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa legittimazione a richiedere il rilascio della concessione edilizia spetta non solo al proprietario dell'area o al titolare di un diritto reale sulla stessa, ma anche a chiunque abbia un qualsiasi altro titolo idoneo a richiederla; in definitiva, sono legittimati a richiedere la concessione edilizia anche i soggetti che si trovano rispetto al bene immobile da edificare in relazione qualificata, come appunto anche i titolari di un diritto personale, quali, ad esempio, il conduttore.
Peraltro il rilascio della concessione edilizia impone all'amministrazione comunale soltanto una preliminare verifica circa la legittimazione sostanziale del soggetto che chiede di esercitare lo "ius edificandi".
Ai sensi del richiamato articolo 4 della legge n. 10 del 1977, “La concessione è data dal sindaco al proprietario dell'area o a chi abbia titolo per richiederla…
Per gli immobili di proprietà dello Stato la concessione è data a coloro che siano muniti di titolo, rilasciato dai competenti organi dell'amministrazione, al godimento del bene. …
”.
La norma, pertanto, dispone che la legittimazione a richiedere il rilascio della concessione edilizia spetti, non solo al proprietario dell'area o al titolare di un diritto reale sulla stessa, ma anche a chiunque abbia un qualsiasi altro titolo idoneo a richiederla; può ritenersi che, in definitiva, sono legittimati a richiedere la concessione edilizia anche i soggetti che si trovano rispetto al bene immobile da edificare in relazione qualificata, come appunto anche i titolari di un diritto personale, quali, ad esempio, il conduttore (come avvenuto nel caso di specie) (Consiglio di Stato, sez. VI, 15.07.2010, n. 4557).
Peraltro il rilascio della concessione edilizia impone all'amministrazione comunale soltanto una preliminare verifica circa la legittimazione sostanziale del soggetto che chiede di esercitare lo "ius edificandi"
(TAR Lazio-Roma, Sez. II-ter, sentenza 24.01.2012 n. 765 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTICostituisce principio generale regolatore delle gare pubbliche il divieto di commistione fra i criteri soggettivi di qualificazione e quelli oggettivi afferenti alla valutazione dell'offerta ai fini dell'aggiudicazione.
Tuttavia, si deve aver presente che spesso il filo che separa il canone oggettivo di valutazione dell'offerta ed il requisito soggettivo del competitore è particolarmente sottile, stante la potenziale idoneità dei profili di organizzazione soggettiva a riverberarsi sull'affidabilità e sull'efficienza dell'offerta e, quindi, della prestazione.
Tale commistione inestricabile, che rende in concreto non pertinente il principio astratto fin qui enucleato, viene tuttavia in rilievo quante volte la lex specialis valorizzi non già i requisiti soggettivi in sé intesi bensì quei profili soggettivi diretti a riverberarsi in modo specifico sull'espletamento dell'attività appaltata.

Costituisce in effetti principio generale regolatore delle gare pubbliche il divieto di commistione fra i criteri soggettivi di qualificazione e quelli oggettivi afferenti alla valutazione dell'offerta ai fini dell'aggiudicazione.
Tuttavia, come rilevato dalla recente giurisprudenza del Consiglio di Stato, si deve aver presente che spesso il filo che separa il canone oggettivo di valutazione dell'offerta ed il requisito soggettivo del competitore è particolarmente sottile, stante la potenziale idoneità dei profili di organizzazione soggettiva a riverberarsi sull'affidabilità e sull'efficienza dell'offerta e, quindi, della prestazione.
Tale commistione inestricabile, che rende in concreto non pertinente il principio astratto fin qui enucleato, viene tuttavia in rilievo quante volte la lex specialis valorizzi non già i requisiti soggettivi in sé intesi bensì quei profili soggettivi diretti a riverberarsi in modo specifico sull'espletamento dell'attività appaltata (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 28.08.2009 n. 5105; Sez. VI, 15.12.2010, n. 8933).
Allo stato degli atti la censura viene dunque a coincidere con quella di difetto di criteri motivazionali, potendo, allo stato degli atti, la Commissione individuare criteri distintivi nell’ambito del generico richiamo quale parametro valutativo alle certificazioni di qualità aziendale possedute dalle concorrenti (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 23.01.2012 n. 266 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI FORNITURE E SERVIZIAnche nella materia del rinnovo o della proroga dei contratti pubblici di appalto non vi è spazio per l'autonomia contrattuale delle parti, in relazione alla normativa inderogabile stabilita dal legislatore per ragioni di interesse pubblico; al contrario, vige il principio in forza del quale, salve espresse previsioni dettate dalla legge in conformità della normativa comunitaria, l'Amministrazione, una volta scaduto il contratto, deve, qualora abbia ancora la necessità di avvalersi dello stesso tipo di prestazioni, effettuare una nuova gara.
Correttamente la ricorrente ricorda che l’abrogazione dell’art. 6 della L. n. 537/1993, ad opera dell’art. 23 della L. n. 62/2005, ha sostanzialmente sancito un generale divieto di ricorrere surrettiziamente a procedure negoziate, mediante l’estensione temporale della durata di un affidamento pregresso.
Tuttavia, va rilevato in proposito che il servizio oggetto della proroga impugnata era stato affidato previo esperimento di procedura ad evidenza pubblica e che l’art. 6 del relativo capitolato speciale prevedeva espressamente che “al termine dell’appalto, fino alla nuova gestione o all’entrata in servizio del nuovo affidatario, e comunque non oltre i dodici mesi dalla scadenza del presente appalto, la ditta appaltatrice si impegna ad effettuare il servizio alle stesse condizioni economico-gestionali”.
Nella fattispecie de qua la stazione appaltante non ha pertanto proceduto ad un “rinnovo”, alias, ad una novazione di un rapporto esaurito, ma si è al contrario avvalsa, prima della sua scadenza, della facoltà, prevista ab origine dal c.s.a., di estendere per un ridotto lasso temporale la durata del rapporto negoziale, e ciò dunque per un periodo limitato e necessario per consentire la conclusione della nuova procedura di selezione.
Le circostanze più sopra esposte nella parte in fatto portano inoltre ad escludere ogni intento elusivo dei ricordati divieti di ricorso ad affidamenti diretti, avendo la stazione appaltante indetto ben due distinte procedure di affidamento nell’ambito di pochi mesi, che non si sono concluse per cause non imputabili alla stessa.
Lo stesso termine massimo di dodici mesi, per quanto significativo, non pare inoltre sproporzionato, ferma restando la sua assoluta insuperabilità una volta giunto a scadenza.
La ricorrente è peraltro civilisticamente tenuta all’osservanza della detta clausola contrattuale, contenuta negli atti di gara ed espressamente accettata senza formulare riserve e/o eccezioni.
Il Collegio condivide l’orientamento restrittivo in materia assunto dalla giurisprudenza e richiamato dal ricorrente, secondo cui “anche nella materia del rinnovo o della proroga dei contratti pubblici di appalto non vi è spazio per l'autonomia contrattuale delle parti, in relazione alla normativa inderogabile stabilita dal legislatore per ragioni di interesse pubblico; al contrario, vige il principio in forza del quale, salve espresse previsioni dettate dalla legge in conformità della normativa comunitaria, l'Amministrazione, una volta scaduto il contratto, deve, qualora abbia ancora la necessità di avvalersi dello stesso tipo di prestazioni, effettuare una nuova gara”; resta per questo aspetto, tuttavia, da sottolineare che si trattava di un principio formatosi su fattispecie differenti da quella per cui è causa, come ha statuito da ultimo il Consiglio Stato Sez. V, 02.02.2010 n. 445, che ha affermato la sua applicabilità con riferimento ad un “proroga” di un contratto scaduto ed avente ad oggetto un servizio di distribuzione automatica di bevande e generi di conforto presso i presidi e gli uffici di una A.S.L., disposta, anziché avvalendosi di una previsione contrattuale ab origine inserita nella lex specialis oggetto di affidamento, a fronte dell'impegno della controinteressata a realizzare un manufatto atto ad ospitare gli impianti di distribuzione delle bevande presso il presidio ospedaliero: il che non ricorre nel caso di specie (TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 23.01.2012 n. 251 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIDeve darsi conto dell’orientamento giurisprudenziale favorevole –in difetto di esplicite previsioni escludenti in base alla lex specialis– ad una valutazione sostanzialistica della sussistenza delle cause di esclusione, nella considerazione che il primo comma dell’art. 38 del D.Lgs 163/2006 ricollega l’esclusione dalla gara al dato sostanziale del mancato possesso dei requisiti indicati, mentre il secondo comma non prevede analoga sanzione per l’ipotesi della mancata o non perspicua dichiarazione, da cui discende che solo l’insussistenza, in concreto, delle cause di esclusione previste dall’art. 38 citato comporta, “ope legis”, l’effetto espulsivo.
Quando il partecipante sia in possesso di tutti i requisiti richiesti e la “lex specialis” non preveda espressamente la sanzione dell’esclusione a seguito della mancata osservanza delle puntuali prescrizioni sulle modalità e sull'oggetto delle dichiarazioni da fornire, l’omissione non produce alcun pregiudizio agli interessi presidiati dalla norma, ricorrendo al più un’ipotesi di “falso innocuo”, come tale non suscettibile, in carenza di una espressa previsione legislativa o della legge di gara, a fondare l’esclusione, le cui ipotesi sono tassative.

Deve peraltro darsi conto dell’orientamento giurisprudenziale favorevole –in difetto di esplicite previsioni escludenti in base alla lex specialis– ad una valutazione sostanzialistica della sussistenza delle cause di esclusione, nella considerazione che il primo comma dell’art. 38 del D.Lgs 163/2006 ricollega l’esclusione dalla gara al dato sostanziale del mancato possesso dei requisiti indicati, mentre il secondo comma non prevede analoga sanzione per l’ipotesi della mancata o non perspicua dichiarazione, da cui discende che solo l’insussistenza, in concreto, delle cause di esclusione previste dall’art. 38 citato comporta, “ope legis”, l’effetto espulsivo (cfr. Consiglio di Stato, sez. V – 24/11/2011 n. 6240).
Quando il partecipante sia in possesso di tutti i requisiti richiesti e la “lex specialis” non preveda espressamente la sanzione dell’esclusione a seguito della mancata osservanza delle puntuali prescrizioni sulle modalità e sull'oggetto delle dichiarazioni da fornire, l’omissione non produce alcun pregiudizio agli interessi presidiati dalla norma, ricorrendo al più un’ipotesi di “falso innocuo”, come tale non suscettibile, in carenza di una espressa previsione legislativa o della legge di gara, a fondare l’esclusione, le cui ipotesi sono tassative (TAR Lazio Roma, sez. III – 31/12/2010 n. 39288; Consiglio di Stato, sez. V – 24/03/2011 n. 1795, che richiamano l’art. 45 della direttiva 2004/18/CE).
Nel caso che ci occupa, la dichiarazione di ... inserita nella busta n. 1 dei documenti amministrativi –in quanto conforme al prestampato predisposto dalla stazione appaltante– era completa e corretta anche in assenza della specificazione dei nominativi per i quali il dichiarante si è comunque assunto in proprio la responsabilità. Peraltro è solo il caso di aggiungere –con riguardo alle affermazioni rese “per quanto a propria conoscenza”– che contemplando fatti attribuibili a soggetti diversi dall’autore delle dichiarazioni, è lo stesso secondo comma dell’art. 47 del D.P.R. 445/2000 che precisa: “La dichiarazione resa nell’interesse proprio del dichiarante può riguardare anche stati, qualità personali e fatti relativi ad altri soggetti di cui egli abbia diretta conoscenza”: è quindi evidente che il contenuto dell’asserzione resa con riferimento a fatti di terzi è limitata –anche sotto il profilo della responsabilità in capo a chi la formula– a quanto rientra nella sua diretta conoscenza (TAR Veneto, sez. I – 19/03/2010 n. 867 confermata in appello dal Consiglio di Stato, sez. V – 20/06/2011 n. 3686)
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 23.01.2012 n. 99 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIDal compendio delle norme enucleabili dall’art. 37 del D.Lgs. 163/2006 si desume che, quale che sia il settore dell’appalto (lavori, servizi, forniture), l’A.T.I. offerente deve indicare sia le quote di partecipazione di ciascun componente, sia le quote di esecuzione dell’appalto, e vi deve essere corrispondenza tra quota di partecipazione e quota di esecuzione: tale obbligo di duplice indicazione è espressione di un principio generale che prescinde dall’assoggettamento della gara alla disciplina comunitaria e non consente distinzioni legate alla morfologia del raggruppamento (verticale o orizzontale), o alla tipologia delle prestazioni, principali o secondarie, scorporabili o unitarie.
In particolare l’art. 37, comma 13, del D.Lgs 163/2006 –con disposizione valida anche per gli appalti di servizi e forniture– stabilisce che i concorrenti riuniti in ATI devono eseguire le prestazioni nella percentuale corrispondente alla quota di partecipazione al raggruppamento, per cui è evidente che deve sussistere una perfetta corrispondenza tra quota di lavori (o, nel caso di forniture o servizi, di parti di esse) eseguita dal singolo operatore economico e quota di effettiva partecipazione al raggruppamento, e che vi è la necessità che sia l’una che l’altra siano specificate dai componenti del raggruppamento all’atto della partecipazione alla gara. In questo senso si è espresso il Consiglio di Stato, sez. III – 11/05/2011 n. 2804, puntualizzando che:
• a fini di garanzia di effettività della disposizione lo stesso art. 37, al comma 4, statuisce che nel caso di servizi o forniture (alle quali ultime si riferisce appunto la gara all’esame) devono essere specificate le parti del servizio o della fornitura che saranno eseguite dai singoli operatori economici riuniti o consorziati;
• l’indicazione delle stesse si rivela dunque requisito di ammissione alla gara e deve quindi provvedersi a tale incombente nella domanda di partecipazione alla gara (valendo anche per le A.T.I. costituende, che sono tenute a fornire l’indicazione già nella fase di ammissione alla gara, e dunque prima dell’aggiudicazione) e non in sede di esecuzione del contratto;
• l’obbligo di specificazione in esame trova la sua ratio nella necessità di assicurare alle amministrazioni aggiudicatrici la conoscenza preventiva del soggetto che in concreto eseguirà la fornitura, non solo per consentire una maggiore speditezza nella fase di esecuzione del contratto, ma anche per rendere edotta l’amministrazione procedente dell’impresa che eseguirà le varie parti dell’appalto e dei requisiti per realizzarle a regola d’arte, così da permettere la previa verifica sulla competenza tecnica dell’esecutore ed evitare che le imprese si avvalgano del raggruppamento non per unire le rispettive disponibilità tecniche e finanziarie, ma per aggirare le norme d’ammissione alle gare;
• trattandosi di norma di rilievo pubblicistico di chiara natura imperativa, che è volta a porre la stazione appaltante nelle migliori condizioni per verificare i requisiti di tutti i soggetti partecipanti alle procedure di evidenza pubblica, la sua cogenza è piena a prescindere da un necessario richiamo negli atti di gara e dall’esistenza di una sanzione espressa di esclusione posta a presidio del rispetto della norma.

Secondo il giudice d’appello la questione sottoposta al Collegio è risolta nel senso che dal compendio delle norme enucleabili dall’art. 37 del D.Lgs. 163/2006 si desume che, quale che sia il settore dell’appalto (lavori, servizi, forniture), l’A.T.I. offerente deve indicare sia le quote di partecipazione di ciascun componente, sia le quote di esecuzione dell’appalto, e vi deve essere corrispondenza tra quota di partecipazione e quota di esecuzione (Consiglio di Stato, sez. IV – 27/11/2010 n. 8253): tale obbligo di duplice indicazione è espressione di un principio generale che prescinde dall’assoggettamento della gara alla disciplina comunitaria e non consente distinzioni legate alla morfologia del raggruppamento (verticale o orizzontale), o alla tipologia delle prestazioni, principali o secondarie, scorporabili o unitarie (Consiglio di Stato, sez. III – 15/07/2011 n. 4323; sez. V – 8/11/2011 n. 5892, che ha dato conto del consolidarsi dell’indirizzo giurisprudenziale ed ha disatteso la richiesta di rimessione dell’affare all’adunanza plenaria).
In particolare l’art. 37, comma 13, del D.Lgs 163/2006 –con disposizione valida anche per gli appalti di servizi e forniture– stabilisce che i concorrenti riuniti in ATI devono eseguire le prestazioni nella percentuale corrispondente alla quota di partecipazione al raggruppamento, per cui è evidente che deve sussistere una perfetta corrispondenza tra quota di lavori (o, nel caso di forniture o servizi, di parti di esse) eseguita dal singolo operatore economico e quota di effettiva partecipazione al raggruppamento, e che vi è la necessità che sia l’una che l’altra siano specificate dai componenti del raggruppamento all’atto della partecipazione alla gara. In questo senso si è espresso il Consiglio di Stato, sez. III – 11/05/2011 n. 2804, puntualizzando che:
• a fini di garanzia di effettività della disposizione lo stesso art. 37, al comma 4, statuisce che nel caso di servizi o forniture (alle quali ultime si riferisce appunto la gara all’esame) devono essere specificate le parti del servizio o della fornitura che saranno eseguite dai singoli operatori economici riuniti o consorziati;
• l’indicazione delle stesse si rivela dunque requisito di ammissione alla gara e deve quindi provvedersi a tale incombente nella domanda di partecipazione alla gara (valendo anche per le A.T.I. costituende, che sono tenute a fornire l’indicazione già nella fase di ammissione alla gara, e dunque prima dell’aggiudicazione) e non in sede di esecuzione del contratto;
• l’obbligo di specificazione in esame trova la sua ratio nella necessità di assicurare alle amministrazioni aggiudicatrici la conoscenza preventiva del soggetto che in concreto eseguirà la fornitura, non solo per consentire una maggiore speditezza nella fase di esecuzione del contratto, ma anche per rendere edotta l’amministrazione procedente dell’impresa che eseguirà le varie parti dell’appalto e dei requisiti per realizzarle a regola d’arte (cfr. Consiglio di Stato, sez. V – 08/09/2010 n. 6490), così da permettere la previa verifica sulla competenza tecnica dell’esecutore ed evitare che le imprese si avvalgano del raggruppamento non per unire le rispettive disponibilità tecniche e finanziarie, ma per aggirare le norme d’ammissione alle gare;
• trattandosi di norma di rilievo pubblicistico di chiara natura imperativa, che è volta a porre la stazione appaltante nelle migliori condizioni per verificare i requisiti di tutti i soggetti partecipanti alle procedure di evidenza pubblica, la sua cogenza è piena a prescindere da un necessario richiamo negli atti di gara e dall’esistenza di una sanzione espressa di esclusione posta a presidio del rispetto della norma.
La chiara disposizione dettata, per gli appalti di servizi, dal comma 4 dello stesso articolo 37 –secondo cui “nel caso di forniture o servizi nell'offerta devono essere specificate le parti del servizio o della fornitura che saranno eseguite dai singoli operatori economici riuniti o consorziati”– non può determinare la non applicazione anche del successivo comma 13 dello stesso articolo: le due disposizioni non sono infatti incompatibili e quella dettata dal comma 4 costituisce (anche) una garanzia di effettività della disposizione di cui al comma 13 (Consiglio di Stato, sez. III – 15/07/2011 n. 4323).
L’ATI dichiarata vincitrice ha soddisfatto soltanto parzialmente il descritto obbligo, limitandosi a dare conto della ripartizione dei prodotti oggetto di fornitura e dell’elenco delle prestazioni svolte da ciascuna impresa (cfr. doc. 6 e 7 controinteressata), senza puntualizzare le quote di partecipazione al raggruppamento, così da impedire il confronto con le quote di esecuzione della fornitura e con il possesso dei requisiti tecnico-economici. Detta omissione non sembra sanabile con l’esternazione dell’effettiva parte di forniture da espletare a cura di ciascun componente, posto che soltanto la formale determinazione della frazione percentuale di adesione è idonea a far sorgere il vincolo ad eseguire l’appalto in un determinato e non modificabile assetto, mentre in caso contrario è impossibile stabilire l’equipollenza tra la spendita dei requisiti di qualificazione e la formale indicazione, ad opera dei relativi componenti, delle quote di partecipazione al raggruppamento (Consiglio di Stato, sez. IV – 27/11/2010 n. 8253)
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 23.01.2012 n. 99 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Deve essere considerato “intervento di nuova costruzione” l’installazione di un manufatto o di struttura di qualsiasi genere (anche roulottes, campers, case mobili o imbarcazioni) che non siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee; e non può ritenersi funzionale ad esigenze di tal sorta l’installazione di una voluminosa copertura in PVC, specie ove destinata all’esercizio di un’attività commerciale, in quanto tale ontologicamente preordinata a soddisfare interessi non precari.
In particolare, è nuova opera -e pertanto i relativi interventi soggiacciono a permesso di costruire- la realizzazione di una stazione di autolavaggio poiché, sebbene priva di fondamenta, consiste in strutture stabilmente infisse al suolo e destinate al soddisfacimento di interessi “non temporanei”.
L’indiscussa qualificazione di “nuova opera” dell’autolavaggio autorizzato comporta la fondatezza sia del primo motivo di gravame che del secondo motivo, dovendo trovare applicazione anche le disposizioni sulle distanze.

Alla luce della più recente giurisprudenza condivisa da questo Collegio, deve essere considerato “intervento di nuova costruzione” l’installazione di un manufatto o di struttura di qualsiasi genere (anche roulottes, campers, case mobili o imbarcazioni) che non siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee; e non può ritenersi funzionale ad esigenze di tal sorta l’installazione di una voluminosa copertura in PVC, specie ove destinata all’esercizio di un’attività commerciale, in quanto tale ontologicamente preordinata a soddisfare interessi non precari.
In particolare, è nuova opera -e pertanto i relativi interventi soggiacciono a permesso di costruire- la realizzazione di una stazione di autolavaggio poiché, sebbene priva di fondamenta, consiste in strutture stabilmente infisse al suolo e destinate al soddisfacimento di interessi “non temporanei” (cfr. in termini C.d.S., Sez. VI, 16.02.2011, n. 986 e 22.10.2008, n. 5191).
L’indiscussa qualificazione di “nuova opera” dell’autolavaggio autorizzato comporta la fondatezza sia del primo motivo di gravame che del secondo motivo, dovendo trovare applicazione anche le disposizioni sulle distanze. E la contro interessata non contesta affatto l’ubicazione del telone lamentata dal ricorrente (si ribadisce, a 50 cm. dal suo affaccio).
Senza trascurare che altrettanto indiscutibilmente l’autolavaggio comporta emissione di rumori ed esalazioni di gas di scarico delle autovetture che vi accedono certamente poco conciliabili con l’ubicazione all’interno di un fabbricato in massima parte destinato ad abitazione. Una simile vicinanza ad unità abitative si pone in contrasto con il buon senso prima ancora che con le disposizioni regolamentari comunali (TAR Puglia-Bari, Sez. II, sentenza 20.01.2012 n. 215 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI FORNITURE E SERVIZI: Appalti pubblici di servizi e forniture: obbligo di indicazione di tutti i costi relativi alla sicurezza.
Con sentenza 19.01.2012 n. 212, il Consiglio di Stato, Sez. III, ha chiarito che gli oneri di sicurezza –sia nel comparto dei lavori che in quelli dei servizi e delle forniture– devono essere distinti tra oneri, non soggetti a ribasso, finalizzati all’eliminazione dei rischi da interferenze ed oneri concernenti i costi specifici connessi con l’attività delle imprese che devono essere indicati, dalle stesse imprese partecipanti, nelle rispettive offerte.
Con questa decisione, i giudici della III sezione hanno confermato la sentenza del TAR Roma che, in accoglimento del ricorso incidentale, aveva dichiarato improcedibile il ricorso principale dell’impresa ricorrente, per aver indicato, in sede di offerta, solo i costi di sicurezza relativi alle interferenze.
Sul punto i giudici hanno così deciso “In proposito si deve ricordare che, come affermato di recente da questa Sezione (con le sentenze n. 5421 del 03.10.2011 e n. 4330 del 15.07.2011), l’art. 86, comma 3-bis, e l’art. 87, comma 4, del Codice dei Contratti Pubblici impongono, anche per gli appalti di servizi e forniture, la specifica indicazione nell’offerta economica di tutti i costi relativi alla sicurezza.
In particolare gli oneri della sicurezza –sia nel comparto dei lavori che in quelli dei servizi e delle forniture– devono essere distinti tra oneri, non soggetti a ribasso, finalizzati all’eliminazione dei rischi da interferenze (che devono essere quantificati dalla stazione appaltante nel DUVRI) ed oneri concernenti i costi specifici connessi con l’attività delle imprese che devono essere indicati dalle stesse nelle rispettive offerte, con il conseguente onere per la stazione appaltante di valutarne la congruità (anche al di fuori del procedimento di verifica delle offerte anomale) rispetto all’entità ed alle caratteristiche del lavoro, servizio o fornitura.
L’art. 86, comma 3-bis, e l’art. 87, comma 4, del d.lgs. n. 163 del 2006 impongono pertanto la specifica stima ed indicazione di tutti i costi relativi alla sicurezza, tanto nella fase della "predisposizione delle gare di appalto" (e quindi nella predisposizione della documentazione di gara) quanto nella fase della formulazione dell’offerta economica.[…]
Ciò significa che, negli atti di gara, devono essere specificamente indicati, separatamente dall’importo dell’appalto posto a base d’asta, i costi relativi alla sicurezza derivanti dalla valutazione delle interferenze, per i quali è precluso qualsiasi ribasso (art. 86, comma 3-bis e comma 3-ter, del d.lgs. n. 163/2006), trattandosi di costi ritenuti necessari per la tutela dei soggetti interessati. Gli atti di gara devono poi prevedere che, nell’offerta economica, siano indicati gli altri oneri per la sicurezza (da rischio specifico) che sono variabili perché legati all’offerta economica delle imprese partecipanti alla gara
”.
Quindi, anche negli appalti di servizi e forniture, al momento dell’offerta, le imprese partecipanti devono indicare, oltre agli oneri di sicurezza per le interferenze (nella misura indicata dalla stazione appaltante), anche gli oneri di sicurezza da rischio specifico (o aziendali) la cui misura può variare in relazione al contenuto dell’offerta economica (commento tratto da www.professioni-imprese24.ilsole24ore.com - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIn tema di contratti pubblici la possibilità che ad un’aggiudicazione provvisoria non segua quella definitiva del contratto di appalto è un evento del tutto fisiologico, disciplinato dagli artt. 11, comma 11, 12 e 48, comma 2, del d.lgs. n. 163 del 2006, inidoneo di per sé a ingenerare qualunque affidamento tutelabile con conseguente obbligo risarcitorio, qualora non sussista nessuna illegittimità nell’operato della p.a..
Giusta la giurisprudenza di questo Consiglio (Cons. St., sez. VI, 27.07.2010, n. 4902; Cons. St., VI, 17.03.2010, n. 1554; Consiglio Stato, sez. V, 15.02.2010, n. 808) in tema di contratti pubblici la possibilità che ad un’aggiudicazione provvisoria non segua quella definitiva del contratto di appalto è un evento del tutto fisiologico, disciplinato dagli artt. 11, comma 11, 12 e 48, comma 2, del d.lgs. n. 163 del 2006, inidoneo di per sé a ingenerare qualunque affidamento tutelabile con conseguente obbligo risarcitorio, qualora non sussista, come nella specie, nessuna illegittimità nell’operato della p.a. (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 19.01.2012 n. 195 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAGli interventi consistenti nella installazione di tettoie o di altre strutture che siano comunque apposte a parti di preesistenti edifici come strutture accessorie di protezione o di riparo di spazi liberi, cioè non compresi entro coperture volumetriche previste in un progetto assentito, possono ritenersi sottratti al regime del permesso di costruire soltanto ove la loro conformazione e le loro ridotte dimensioni rendono evidente e riconoscibile la loro finalità di semplice decoro o arredo o di riparo e protezione (anche da agenti atmosferici) della parte dell'immobile cui accedono.
Tali strutture non possono viceversa ritenersi installabili senza permesso di costruire allorquando le loro dimensioni sono di entità tale da arrecare una visibile alterazione all'edificio o alle parti dello stesso su cui vengono inserite, quando quindi per la loro consistenza dimensionale non possono più ritenersi assorbite, ovvero ricomprese in ragione della accessorietà, nell'edificio principale o nella parte dello stesso cui accedono.
Utilizzando tali criteri anche la realizzazione di una tettoia (di non irrilevante consistenza dimensionale) ancorata al suolo costituisce opera idonea ad alterare lo stato dei luoghi e a trasformare il territorio permanentemente e perciò richiede il rilascio di un permesso di costruire.
La nozione di costruzione, ai fini del rilascio del permesso di costruire, si configura in presenza di opere che attuino una trasformazione urbanistico-edilizia del territorio, con perdurante modifica dello stato dei luoghi, a prescindere dal fatto che essa avvenga mediante realizzazione di opere murarie, essendo irrilevante che le opere siano state realizzate in metallo, in laminati di plastica, in legno o altro materiale, ove si sia in presenza di un'evidente trasformazione del tessuto urbanistico ed edilizio e le opere siano preordinate a soddisfare esigenze non precarie sotto il profilo funzionale. In altri termini, rilevano non soltanto gli elementi strutturali (composizione dei materiali, smontabilità o meno del manufatto) ma anche i profili funzionali dell'opera.
---------------
L'ordine di demolizione di opere abusive è un atto dovuto in presenza di opere realizzate senza alcun titolo abilitativo e quindi abusivamente e non necessita di particolare motivazione sull'interesse pubblico o sulla eventuale sanabilità delle opere.
-------------
La nozione di pertinenza, in materia edilizia, è più ristretta di quella civilistica ed è riferibile ai soli manufatti di dimensioni tanto modeste e ridotte rispetto alla cosa cui ineriscono da potersi considerare sostanzialmente irrilevanti sotto il profilo edilizio.
Non può, invece, attribuirsi carattere pertinenziale ai fini edilizi ad opere di rilevante consistenza anche se destinate al servizio od ornamento del bene principale.

Si deve ricordare che, per giurisprudenza costante di questo Tribunale (fra le più recenti: TAR Campania Napoli, sez. II, n. 3870 del 13.07.2009, n. 492 del 29.01.2009; TAR Campania Napoli, Sez. IV, n. 19754 del 18.11.2008; TAR Campania Napoli, sez. III, n. 10059 del 09.09.2008), gli interventi consistenti nella installazione di tettoie o di altre strutture che siano comunque apposte a parti di preesistenti edifici come strutture accessorie di protezione o di riparo di spazi liberi, cioè non compresi entro coperture volumetriche previste in un progetto assentito, possono ritenersi sottratti al regime del permesso di costruire soltanto ove la loro conformazione e le loro ridotte dimensioni rendono evidente e riconoscibile la loro finalità di semplice decoro o arredo o di riparo e protezione (anche da agenti atmosferici) della parte dell'immobile cui accedono.
Tali strutture non possono viceversa ritenersi installabili senza permesso di costruire allorquando le loro dimensioni sono di entità tale da arrecare una visibile alterazione all'edificio o alle parti dello stesso su cui vengono inserite, quando quindi per la loro consistenza dimensionale non possono più ritenersi assorbite, ovvero ricomprese in ragione della accessorietà, nell'edificio principale o nella parte dello stesso cui accedono (in termini TAR Campania Napoli, sez. II, n. 3870 del 13.07.2009 cit., TAR Campania Napoli, Sez. IV, n. 19754 del 18.11.2008 cit., Consiglio di Stato, Sez. V, 13.03.2001 n. 1442).
Utilizzando tali criteri anche la realizzazione di una tettoia (di non irrilevante consistenza dimensionale) ancorata al suolo costituisce opera idonea ad alterare lo stato dei luoghi e a trasformare il territorio permanentemente e perciò richiede il rilascio di un permesso di costruire (TAR Piemonte Torino, sez. I, 16.03.2009, n. 752).
Del resto, è noto che la nozione di costruzione, ai fini del rilascio del permesso di costruire, si configura in presenza di opere che attuino una trasformazione urbanistico-edilizia del territorio, con perdurante modifica dello stato dei luoghi, a prescindere dal fatto che essa avvenga mediante realizzazione di opere murarie, essendo irrilevante che le opere siano state realizzate in metallo, in laminati di plastica, in legno o altro materiale, ove si sia in presenza di un'evidente trasformazione del tessuto urbanistico ed edilizio e le opere siano preordinate a soddisfare esigenze non precarie sotto il profilo funzionale (TAR Campania Napoli, sez. II, 26.09.2008, n. 11309; Consiglio Stato, Sez. IV, n. 2705 del 2008). In altri termini, rilevano non soltanto gli elementi strutturali (composizione dei materiali, smontabilità o meno del manufatto) ma anche i profili funzionali dell'opera (cfr. TAR Lazio, Roma, Sez. I-quater, n. 11679 del 23.11.2007).
Applicando tali principi al caso in esame si deve ritenere che la tettoia oggetto del provvedimento impugnato, realizzata con orditura in legno e sovrastante manto di perline e tegole poggiante da una parte sulle staffe in ferro infisse alla parete del fabbricato preesistente e dall’altra parte su tre pilastri in muratura, non possa ritenersi irrilevante sotto il profilo edilizio per la sua tipologia (muratura e struttura non leggera), per la sua dimensione (22 mq.), perché suscettibile di autonoma utilizzazione e perché ha determinato una non irrilevante alterazione dello stato dei luoghi, con la conseguenza che per l'installazione di tale struttura era necessario il permesso di costruire (e non una semplice DIA), con l'ulteriore conseguenza che la realizzazione della stessa in assenza del titolo dovuto ne ha determinato l'abusività e quindi l'irrogazione della prevista sanzione ripristinatoria (art. 31 del DPR n. 380 del 2001).
Del resto l'ordine di demolizione di opere abusive è un atto dovuto in presenza di opere realizzate senza alcun titolo abilitativo e quindi abusivamente (giurisprudenza costante anche di questa Sezione, Consiglio di Stato, sez. VI n. 4743 del 28.06.2004) e non necessita di particolare motivazione sull'interesse pubblico o sulla eventuale sanabilità delle opere.
Si deve aggiungere che risulta irrilevante (ai fini della legittimità edilizia) la -per la verità indimostrata- destinazione pertinenziale della tettoia.
Per principio pacifico infatti la nozione di pertinenza, in materia edilizia, è più ristretta di quella civilistica ed è riferibile ai soli manufatti di dimensioni tanto modeste e ridotte rispetto alla cosa cui ineriscono da potersi considerare sostanzialmente irrilevanti sotto il profilo edilizio.
Non può, invece, attribuirsi carattere pertinenziale ai fini edilizi ad opere di rilevante consistenza anche se destinate al servizio od ornamento del bene principale (fra le tante, TAR Lombardia Milano, sez. II, 17.06.2008, n. 2045).
Insomma, la struttura oggetto del provvedimento impugnato per la sua tipologia e dimensione doveva essere realizzata con un permesso di costruire e la mancanza di tale titolo ha determinato l'abusività dell'opera e la conseguente irrogazione della prevista sanzione ripristinatoria (mentre la sanzione pecuniaria è prevista per le opere realizzate in assenza della DIA) (TAR Campania-Salerno, Sez. I, sentenza 19.01.2012 n. 64 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAAi sensi dell’art. 53, comma 4-bis, del D.Lgs. n. 507 del 1993, come modificato dalla legge n. 127 del 1997, l’Amministrazione Comunale ha la possibilità di procedere alla rimozione d’ufficio di manufatti non autorizzati (impianti pubblicitari) senza previa diffida.
Con il ricorso in esame la società odierna ricorrente si duole dell’avvenuta rimozione di numerosi impianti pubblicitari dalla stessa posseduti, lamentando la mancanza di preavviso e l’assenza della notifica delle determinazioni con cui tali rimozioni sono state disposte e dei verbali di accertamento cui le stesse fanno riferimento, in asserita violazione dell’art. 28 del Regolamento AA.PP. del Comune di Roma e della delibera consiliare del Comune di Roma n. 254 del 1995, stante l’avvenuta presentazione di istanza volta ad avvalersi della procedura di riordino.
Il ricorso non merita favorevole esame.
Premesso che la rimozione degli impianti della ricorrente è stata effettuata sulla base delle gravate determinazioni dirigenziali le quali, nel richiamare il relativo verbale di accertamento dei Vigili Urbani ove si riferisce la mancanza di autorizzazione, hanno disposto di procedere all’immediata rimozione e demolizione d’ufficio di tali impianti, rileva il Collegio che ai sensi dell’art. 53, comma 4-bis, del D.Lgs. n. 507 del 1993, come modificato dalla legge n. 127 del 1997, l’Amministrazione Comunale ha la possibilità di procedere alla rimozione d’ufficio di manufatti non autorizzati senza previa diffida.
Trattasi di norma derogatoria rispetto al procedimento dettato dall’art. 28 del Regolamento AA.PP. invocato da parte ricorrente, la quale costituisce il parametro normativo su cui poggiano le gravate determinazioni, che allo stesso fanno espresso richiamo.
Deve ulteriormente rilevarsi che con ordinanza sindacale n. 7 del 10.07.1997 –anch’esso richiamato nelle gravate delibere- è stato disposto di dare applicazione alla citata norma di cui all’art. 53, comma 4-bis, procedendo all’immediata rimozione e demolizione d’ufficio di impianti pubblicitari abusivi che occupano spazi e aree comunali.
In ragione del descritto quadro di riferimento, cui si inscrivono le gravate determinazioni dirigenziali e le conseguenti rimozioni degli impianti pubblicitari della ricorrente, devono quindi essere disattese le censure con cui parte ricorrente lamenta la mancata notifica delle determinazioni, dei verbali di accertamento ed il mancato avviso dell’avvio del procedimento, trattandosi di adempimenti non previsti dalla normativa speciale che privilegia la celerità della rimozione degli impianti abusivi, non potendo trovare applicazione, conseguentemente, l’invocato art. 28 del Regolamento AA.PP.
Peraltro, deve osservarsi che la notificazione dei verbali di accertamento costituisce il presupposto per l’irrogazione della sanzione pecuniaria e non della rimozione, mentre, sulla base della documentazione versata al fascicolo di causa a cura della resistente Amministrazione, risulta che tali verbali di accertamento siano stati notificati alla società ricorrente.
Quanto al profilo di censura con cui parte ricorrente lamenta l’illegittimità dei gravati atti stante la pendenza della procedura di riordino con riferimento agli impianti demoliti, con conseguente affermata necessità di sospensione dell’applicazione delle sanzioni amministrative accessorie, osserva il Collegio come parte ricorrente non abbia in alcun modo comprovato tale circostanza.
Inoltre, sulla base della documentazione depositata dalla resistente Amministrazione, gli impianti sanzionati non risultano corrispondenti a quelli cui si riferiscono le autodenunce di parte ricorrente, la quale non ha in alcun modo efficacemente confutato tale circostanza, né risulta l’esistenza di autorizzazioni riferite a tali impianti, meramente affermata ma non comprovata da parte ricorrente.
Ne discende che con riferimento agli impianti in questione, in quanto non autorizzati né oggetto di richiesta di riordino, non risulta applicabile la sanatoria prevista nell’ambito della procedura di cui alla delibera consiliare del Comune di Roma n. 254 del 1995.
Pertanto gli impianti, in quanto abusivi, sono stati legittimamente rimossi dall’Amministrazione in corretta applicazione della citata norma di cui all’art. 53, comma 4-bis, senza necessità di preavviso, né agli stessi può ritenersi applicabile la sospensione dell’applicazione delle sanzioni amministrative accessorie.
Nelle considerazioni che precedono risiedono, inoltre, le ragioni dell’infondatezza della censura con cui parte ricorrente lamenta la violazione delle indicazioni recate dalla Circolare del Comando della Polizia Municipale di Roma n. 72 del 25.07.1998 che impongono, prima dell’adozione di provvedimenti repressivi, di sollecitare presso il competente Servizio la definizione dell’istanza di riordino (TAR Lazio-Roma, Sez. II, sentenza 18.01.2012 n. 577 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: La segnalazione all'Autorità di Vigilanza sui contratti pubblici non deve essere limitata alla mancanza dei requisiti indicati nell'art. 48 D.lgs. 163/2006.
La segnalazione all'Autorità di Vigilanza sui contratti pubblici, secondo l'orientamento maggioritario della giurisprudenza è nel senso che non deve essere limitata alla mancanza dei requisiti indicati nell'art. 48 D.lgs. 163/2006 essendo ragionevole ritenere che debbano essere segnalati all'Autorità di vigilanza tutte le false dichiarazioni rese in sede di gara anche per consentirgli di esercitare i poteri che gli attribuisce l'art. 6, c. 11, D.lgs. 163/2006 (TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 17.01.2012 n. 173 - link a www.
dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: L'obbligo (illegittimo) fissato da un bando di gara di produrre il DURC va ritenuto assorbito dalla generica dichiarazione di essere in regola con le norme in materia di contributi previdenziali ed assistenziali.
Sulla validità ai fini della partecipazione ad una gara di un DURC con l'apposizione, con riferimento all'Inps, della dicitura "non si è pronunciato".

L'art. 16-bis, c. 10, d.l. n. 185/2008, così come modificato dalla legge di conversione n. 2/2009, stabilisce che le stazioni appaltanti acquisiscono d'ufficio il DURC, anche attraverso gli strumenti informatici, dagli istituti o dagli enti abilitati al rilascio in tutti i casi in cui è richiesto dalla legge. Muovendo da tale presupposto, la giurisprudenza ha chiarito che, ai sensi dell'art. 16-bis, c. 10, d.l. 29.11.2008 n. 185, conv. nella l. 28.01.2009 n. 2, il procedimento di rilascio del DURC è stato semplificato attraverso l'introduzione dell'obbligo in capo alle stazioni appaltanti pubbliche di acquisirlo d'ufficio, anche attraverso strumenti informatici, dagli istituti o dagli enti abilitati al rilascio in tutti i casi in cui è richiesto dalla legge, sicché l'obbligo (illegittimo) fissato dal bando di gara di produrre il d.u.r.c. va ritenuto assorbito dalla generica dichiarazione di essere in regola con le norme in materia di contributi previdenziali ed assistenziali, ferma restando la richiamata acquisizione d'ufficio che la stazione appaltante potrà disporre.
L'indicazione contenuta nel DURC "non si è pronunciato" è coerente con la previsione della procedura prevista nell'ipotesi in cui sia decorso il termine di 30 giorni senza alcuna pronuncia da parte dell' Inps: infatti, il termine massimo per il rilascio del DURC (cfr. Circolare INPS n. 51/2008) è di 30 giorni. Ai sensi, poi, dell'art. 6, c. 3, del Decreto Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale del 24.10.2007, il decorso dei 30 giorni è sospeso per un termine non superiore a 15 giorni per consentire la regolarizzazione della situazione debitoria, quando venga accertata una situazione di irregolarità ("Preavviso di accertamento negativo"). Nel caso in cui decorra il termine di trenta giorni senza pronuncia da parte degli Istituti previdenziali si forma, relativamente alla regolarità nei confronti di questi ultimi, il cosiddetto silenzio assenso (cfr. Circolare Ministero del Lavoro n. 5 del 2008) (Tar Sicilia-Catania, Sez. III, sentenza 16.01.2012 n. 116 - link a www.
dirittodeiservizipubblici.it).

VARIÈ reato non spostare l'auto che blocca l'entrata in garage.
Risponde penalmente chi si ostina a mantenere parcheggiato il proprio veicolo irregolarmente davanti a un garage altrui impedendo di fatto all'utente di entrare in casa.
Lo ha evidenziato la Corte di Cassazione, Sez. IV penale, con la sentenza 12.01.2012 n. 603.
Un utente stradale ha parcheggiato il proprio mezzo in maniera maldestra impedendo di fatto il passaggio a un condomino intenzionato a entrare nel garage.
Nonostante la richiesta espressa di rimozione dell'ostacolo l'automobilista maldestro ha mantenuto dolosamente l'ostacolo e per questo il condomino antagonista si è rivolto alla polizia. Contro la conseguente condanna per il reato di violenza privata l'interessato ha proposto ricorso in Cassazione ma senza successo. È certamente penalmente sanzionato il comportamento di chi parcheggia un veicolo con l'intenzione di impedire l'uscita di terze persone, nonostante l'esplicita richiesta in tal senso.
Ma resta penale, conclude il collegio, anche solo il mantenimento dell'ingombro con il proprio veicolo nonostante la richiesta espressa correttamente effettuata da parte dell'interessato di rimozione del mezzo (articolo ItaliaOggi del 26.01.2012).

EDILIZIA PRIVATAGli edifici per servizi religiosi sono da annoverare tra le opere di urbanizzazione secondaria ai sensi dell’art. 4, 2° comma, lettera ‘e’, della legge 18.04.1962 n. 167, così come modificato dall’art. 44 della legge 22.10.1971 n. 865.
Pertanto, è illegittimo il provvedimento adottato dal Consiglio comunale con il quale si è esclusa la Congregazione Cristiana dei Testimoni di Geova dalla concessione del contributo previsto e disciplinato dalla L. 09.03.1990 n. 27 della Regione Lazio.
... per l'annullamento del provvedimento adottato dal Consiglio comunale del Comune di Guidonia Montecelio in data 28.02.1997, deliberazione n. 9, comunicato con nota prot. n. 5799 del 03.04.1997, con cui l’Amministrazione ha escluso la Congregazione Cristiana dei Testimoni di Geova dalla concessione del contributo previsto e disciplinato dalla L. 09.03.1990 n. 27 della Regione Lazio.
...
RITENUTO
che l’assorbente profilo di doglianza dedotto con il primo motivo di gravame meriti condivisione, in quanto:
a) tanto l’art. 4 della L. n. 847 del 1964, che l’art. 4, comma 2°, della L. 18.04.1962 n. 167 inseriscono le “chiese ed altri edifici religiosi” fra le “opere di urbanizzazione secondaria”;
b) l’art. 2 della L. Reg. Lazio n. 27 del 1990 stabilisce -ancor più specificamente- che gli edifici e le attrezzature di comune interesse religioso devono essere considerate quali opere di urbanizzazione secondaria destinate alle provvidenze di legge;
c) la giurisprudenza amministrativa afferma che “gli edifici per servizi religiosi sono da annoverare tra le opere di urbanizzazione secondaria ai sensi dell’art. 4, 2° comma, lettera ‘e’, della legge 18.04.1962 n. 167, così come modificato dall’art. 44 della legge 22.10.1971 n. 865” (CS, V^, 01.06.1992 n. 489)
(TAR Lazio-Roma, Sez. II, sentenza 10.01.2012 n. 192 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATASull'istituto del certificato di agibilità.
... sotto il profilo giuridico va evidenziato che:
   A) l’art. 4 del D.P.R. 22.04.1994 n. 425 ebbe a prevedere che per utilizzare un edificio fosse necessario ottenere il certificato di agibilità il cui rilascio da parte del sindaco era condizionato alla presentazione di una serie di documenti idonei ad attestare la sussistenza di determinati standards minimi di salubrità. Nel contempo l’art. 5 di detto testo normativo abrogava l’art. 221, primo comma, del regio decreto 27.07.1934 n. 1265 relativamente alla disciplina del procedimento per il rilascio del certificato.
L’intervento normativo in esame ha modificato in termini sostanziali l’istituto dell’agibilità, mutando la denominazione dell’atto da “autorizzazione” amministrativa a “certificato”, semplificando il procedimento di rilascio, e, soprattutto, estendendo l’ambito di valutazione ad interessi diversi e ulteriori rispetto a quelli connaturati alla tutela di carattere meramente sanitario; in altri termini, al concetto di agibilità si è andato sostituendo quello di “vivibilità” della costruzione, che inerisce ad una condizione dell’abitare complessivamente rispettosa della dignità dell’individuo;
   B) successivamente gli articoli da 24 a 26 del D.P.R. 06.06.2001 n. 380 hanno fissato la disciplina attualmente vigente. Anzitutto –per come è ricordato nella relazione illustrativa che ha accompagnato il predetto decreto presidenziale– il legislatore ha provveduto a ricondurre ad unità i termini di agibilità e abitabilità spesso utilizzati indifferentemente nella normativa precedente.
Inizialmente nel linguaggio normativo il termine “licenza di abitabilità” era stato utilizzato in relazione agli immobili ad uso abitativo, mentre il termine “licenza di agibilità” relativamente a quelli non residenziali, quali opifici, uffici, esercizi pubblici e commerciali. In un secondo tempo, il legislatore aveva operato una diversa classificazione, riconducendo all’agibilità la disciplina generale della stabilità e della sicurezza dell’immobile e all’abitabilità la disciplina speciale dei requisiti dell’immobile rispetto a specifiche destinazioni d’uso.
In effetti, alcune disposizioni normative e, soprattutto, una certa prassi giurisprudenziale, avevano indotto a pensare che all’interno del nostro ordinamento esistessero due diversi tipi di certificazioni. In realtà, le due espressioni, se pur diversamente utilizzate, erano di fatto omogenee e non richiedevano procedimenti amministrativi diversi. Dimostrativo ne è il fatto che il corredo documentale dell’istanza, come pure le indagini tecniche preliminari al rilascio del certificato, non cambiavano a seconda del tipo di unità immobiliare da certificare, fatta salva, ovviamente, l’esigenza di valutare la presenza di requisiti igienico-sanitari diversi in ragione dell’uso previsto.
Eliminato il duplice riferimento terminologico, il legislatore del 2001 ha optato per l’onnicomprensivo termine di “certificato di agibilità” attestante l’idoneità abitativa di qualsiasi edificio. Secondo la nuova formulazione, l’ambito di operatività del certificato di agibilità risulta più esteso rispetto al passato, essendo richiesto non solo per i nuovi organismi edilizi, ma anche per gli interventi eseguiti sugli stessi che possiedano l’attitudine a modificare le condizioni igieniche e sanitarie preesistenti. Ai fini dell’accertamento dell’agibilità di un edificio ciò che rileva non è tanto la qualificazione giuridica dell’intervento (ristrutturazione, restauro o risanamento conservativo, oppure manutenzione straordinaria o realizzazione di sole opere interne), quanto piuttosto la qualità e l’entità dell’intervento, nonché i suoi riflessi sulla condizione di salubrità della costruzione o di sue parti.
Il certificato di agibilità è dunque necessario per tutti gli organismi edilizi destinati a un utilizzo che comporti la permanenza dell'uomo che può risolversi sia nel soggiorno prolungato, com'è per le abitazioni, sia nella semplice frequentazione, com’è per l'immobile destinato a un'attività produttiva, che deve comunque essere di durata tale da richiedere la presenza di condizioni minime di igiene e salubrità;
   C) in base a quanto previsto dagli artt. 24 e 25 del D.P.R. n. 380 del 2001, il certificato di abitabilità delle costruzioni costituisce un'attestazione da parte dei competenti uffici tecnici comunali in ordine alla sussistenza delle condizioni di sicurezza, igiene, salubrità e risparmio energetico degli edifici e degli impianti tecnologici in essi installati, alla stregua della normativa vigente.
Ne deriva la legittimità, in via generale, dello svolgimento da parte degli organi comunali competenti di ogni indagine utile al fine di effettuare una consapevole valutazione sulla sussistenza delle surriferite condizioni, soprattutto quando in un edificio (per come è avvenuto nel caso in esame) siano state realizzate modifiche strutturali (cfr., in argomento, TAR Lombardia, Milano, Sez. II, 16.03.2011 n. 740), che implicano anche un cambiamento dell'uso degli spazi (si veda sul punto la relazione prodotta in data 26.10.2010 con allegazione di documenti dall’amministrazione del Condominio dello stabile in questione);
   D) l'art. 25, commi 3-5, del D.P.R. n. 380 del 2001 prevede un procedimento di rilascio del certificato di agibilità, articolato sui seguenti principi fondamentali:
1) il procedimento deve essere concluso nel termine di 30 giorni dalla ricezione della domanda di rilascio del certificato di agibilità o di 60 giorni, nel caso in cui il ricorrente si sia avvalso della possibilità di sostituire con autocertificazione il parere dell'A.S.L. previsto dall'art. 5, 3° comma lett. a) del D.P.R. n. 380 del 2001;
2) il decorso del termine per la definizione del procedimento, importa la formazione del silenzio assenso sull'istanza di rilascio del certificato di agibilità;
3) il termine del procedimento può essere interrotto una sola volta dal responsabile del procedimento, entro quindici giorni dalla domanda, esclusivamente per la richiesta di documentazione integrativa, che non sia già nella disponibilità dell'amministrazione o che non possa essere acquisita autonomamente; in tal caso, il termine per la conclusione del procedimento ricomincia a decorrere dalla data di ricezione della documentazione integrativa;
4) il rilascio del certificato di agibilità non impedisce l'esercizio del potere di dichiarazione di inagibilità di un edificio o di parte di esso ai sensi dell'articolo 222 del regio decreto 27.07.1934, n. 1265 (art. 26 D.P.R. n. 380 del 2001).
Fermo quanto sopra e tenuto conto che la disciplina suesposta presenta una ipotesi di silenzio assenso nell’ipotesi di istanza di agibilità presentata agli Uffici competenti e rispetto alla quale gli stessi non hanno adottato alcun provvedimento espresso, occorre pur tuttavia verificare se l’ordinamento ha previsto casi in cui vi siano criticità riferibili alla acquisibilità implicita –per effetto del silenzio– della dichiarazione di agibilità.
Sul punto vale la pena rammentare che:
   a) in caso di istanza di condono edilizio, il rilascio del c.d. certificato di agibilità può avvenire in deroga soltanto alle norme di tipo secondario e/o regolamentare, ma non anche in deroga alle disposizioni normative di fonte primaria e/o di legge, soprattutto se attinenti alla materia dell'igiene pubblica e dell'inquinamento del suolo, in quanto diversamente, in caso di adesione ad una possibile interpretazione di tipo estensivo delle norme in materia di condono edilizio, l'art. 35, comma 14, della legge 28.02.1985 n. 47 (come le altre norme analoghe ad essa succedute nel tempo in materia di condoni edilizi) sarebbe palesemente incostituzionale per contrasto con il fondamentale principio della tutela della salute ex art. 32 Cost., inteso non solo come diritto alla salute del singolo individuo, ma anche come diritto dell'intera collettività alla salubrità dell'ambiente (sul punto cfr. Cons. Stato, Sez. V, 15.04.2004 n. 2140 e 13.04.1999 n. 414 nonché TAR Sardegna 29.10.2002 n. 1422);
   b) il suesposto orientamento si pone perfettamente in linea con quello espresso dalla Corte Costituzionale la quale, con sentenza n. 256 del 18.06.1996, ha avuto modo di precisare, per un verso, che il certificato di abitabilità non deve necessariamente autorizzare in maniera uniforme tutto l'edificio o parte di esso, dovendo essere distinti gli usi abitativi o di semplice agibilità, quando alcuni locali siano utilizzabili solo come accessori o come locali non destinabili a usi abitativi stabili o come depositi o con altri usi non abitativi, quando non siano strutturalmente idonei sotto il profilo igienico-sanitario per una abitabilità piena, ancorché oggetto di concessione edilizia in sanatoria nonché, per altro verso, la circostanza che le norme sul condono edilizio prevedano, a seguito della concessione in sanatoria, il rilascio del certificato di abitabilità o agibilità anche in deroga ai requisiti fissati da norme regolamentari, purché non sussista contrasto con le disposizioni vigenti in materia di sicurezza statica e di prevenzione degli incendi e degli infortuni, "non riguarda i requisiti richiesti da disposizioni legislative e deve, pertanto, escludersi una automaticità assoluta nel rilascio del certificato di abitabilità (...) a seguito di concessione in sanatoria, dovendo invece il Comune verificare che al momento del rilascio del certificato di abitabilità siano osservate non solo le disposizioni di cui all'art. 221 T.U. delle leggi sanitarie (rectius, di cui all'art. 4 del D.P.R. n. 425 del 1994), ma, altresì quelle previste da altre disposizioni di legge in materia di abitabilità e servizi essenziali relativi e rispettiva normativa tecnica (...) Permangono, infatti, in capo ai Comuni tutti gli obblighi inerenti alla verifica delle condizioni igienico-sanitarie per l'abitabilità degli edifici, con l'unica possibile deroga ai requisiti fissati da norme regolamentari" (così, testualmente, la sentenza della Corte costituzionale n. 256 del 1996 citata);
   c) se è dunque vero che, in base a quanto previsto dagli art. 24 e 25, del n. 380 del 2001, il certificato di agibilità delle costruzioni costituisce un'attestazione da parte dei competenti uffici tecnici comunali in ordine alla sussistenza delle condizioni di sicurezza, igiene, salubrità e risparmio energetico degli edifici e degli impianti tecnologici in essi installati, alla stregua della normativa vigente, appare altrettanto legittimo che una valutazione sulla sussistenza di dette condizioni, sia richiesta a fronte di modifiche strutturali che implicano anche un cambiamento dell'uso degli spazi e che dunque il Comune non perda, neppure per l’ipotesi di rilascio implicito del certificato ovvero per effetto di condono, il potere-dovere di verificare la sussistenza effettiva di dette condizioni di salubrità e di intervenire laddove siano riscontrate carenze (cfr. sul punto TAR Veneto, Sez. III, 02.01.2009 n. 6 nonché TAR Basilicata, Sez. I, 29.11.2008 n. 916) (TAR Lazio-Roma, Sez. II, sentenza 10.01.2012 n. 186 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALe opere di urbanizzazione secondaria (asili, scuole materne, scuole dell'obbligo, strutture e complessi per l'istruzione superiore all'obbligo, mercati di quartiere, delegazioni comunali, chiese e altri edifici religiosi, impianti sportivi di quartiere, centri sociali e attrezzature culturale e sanitarie, aree verdi di quartiere) sono per loro natura strutture a servizio di una parte del territorio.
Occorre, in altre parole, che tali impianti abbiano, in primo luogo, un’attinenza, sotto il profilo delle dimensioni, al quartiere nel quale sorgono (requisito, quest'ultimo, richiesto in specifico, ed esclusivamente, per i mercati, gli impianti sportivi e le aree destinate a verde).
Né possono annoverarsi tra gli impianti sportivi, in quanto opere di urbanizzazione secondaria, le strutture sportive in tutto o in parte riservate, posto che gli impianti sportivi sono opere di urbanizzazione unicamente se siano a disposizione del quartiere e ad esso correlate.
Tali opere di urbanizzazione secondaria possono essere qualificate di quartiere, tuttavia, non soltanto nel caso in cui siano destinate ad essere utilizzate dagli abitanti di una determinata zona urbana, ma anche quando sono realizzate per essere messe a disposizione dell'intera popolazione; infatti, per qualificare l’impianto come impianto di quartiere, occorre che tale impianto sia destinato ad un uso pubblico, ovvero sia messo a disposizione della collettività, anche se dietro pagamento di un corrispettivo, e non sia destinato ad essere utilizzato esclusivamente o prevalentemente da particolari categorie di soggetti, come ad esempio gli iscritti a società sportive, o i tesserati federali, cosa che non accade, infatti (non essendovi alcuna prova, neppure indiziaria al riguardo in atti), per l’impianto in oggetto, destinato, come detto, principalmente allo svolgimento di gare di bocce a vantaggio della collettività del quartiere.

In via generale, le opere di urbanizzazione secondaria (asili, scuole materne, scuole dell'obbligo, strutture e complessi per l'istruzione superiore all'obbligo, mercati di quartiere, delegazioni comunali, chiese e altri edifici religiosi, impianti sportivi di quartiere, centri sociali e attrezzature culturale e sanitarie, aree verdi di quartiere) sono per loro natura strutture a servizio di una parte del territorio (Consiglio di Stato, sez. V, 01.02.1995, n. 162).
Occorre, in altre parole, che tali impianti abbiano, in primo luogo, un’attinenza, sotto il profilo delle dimensioni, al quartiere nel quale sorgono (requisito, quest'ultimo, richiesto in specifico, ed esclusivamente, per i mercati, gli impianti sportivi e le aree destinate a verde) (cfr., a contrariis, Consiglio di Stato , sez. V, 01.06.1992, n. 489).
Né possono annoverarsi tra gli impianti sportivi, in quanto opere di urbanizzazione secondaria, le strutture sportive in tutto o in parte riservate, posto che gli impianti sportivi sono opere di urbanizzazione unicamente se siano a disposizione del quartiere e ad esso correlate.
Come è stato, infatti, chiarito anche sotto il profilo fiscale (Agenzia delle entrate, risoluzione del 12.10.2001, n. 157/E), la realizzazione della citata opera configura opera di urbanizzazione secondaria (e, come tale, soggetta ad aliquota IVA ridotta al 10%) solo se l’impianto è da ritenersi di pubblica utilità e destinato alla collettività, pur se costruito e/o gestito con concessione da un soggetto privato; tuttavia, con riguardo al possibile svolgimento di un’attività agonistica (peraltro di rilievo addirittura internazionale, come nella specie), come ha anche chiarito la risoluzione ministeriale n. 361922 del 04.11.1986, non vengono modificate le caratteristiche di opera di urbanizzazione unicamente se tale attività sia del tutto secondaria e residuale.
Tali opere di urbanizzazione secondaria possono essere qualificate di quartiere, tuttavia, non soltanto nel caso in cui siano destinate ad essere utilizzate dagli abitanti di una determinata zona urbana, ma anche quando sono realizzate per essere messe a disposizione dell'intera popolazione; infatti, per qualificare l’impianto come impianto di quartiere, occorre che tale impianto sia destinato ad un uso pubblico, ovvero sia messo a disposizione della collettività, anche se dietro pagamento di un corrispettivo, e non sia destinato ad essere utilizzato esclusivamente o prevalentemente da particolari categorie di soggetti, come ad esempio gli iscritti a società sportive, o i tesserati federali, cosa che non accade, infatti (non essendovi alcuna prova, neppure indiziaria al riguardo in atti), per l’impianto in oggetto, destinato, come detto, principalmente allo svolgimento di gare di bocce a vantaggio della collettività del quartiere (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 10.01.2012 n. 58 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVILa inottemperanza all’ordinanza sindacale impositiva di urgenti opere edili al fine di evitare pericolo di crollo integra certamente condotta omissiva penalmente rilevante, essendosi in proposito rilevato che “la contravvenzione prevista dall'art. 650 c.p. (inosservanza dei provvedimenti dell'autorità) e consistente nella mancata ottemperanza al provvedimento di urgenza del sindaco che imponga l'esecuzione delle opere necessarie ad evitare il pericolo di crollo di una costruzione, mentre è assorbita da quella di cui all'art. 677, comma 3, stesso codice (omissione di lavori in edifici o costruzioni che minacciano rovina), non lo è con riguardo alla violazione, già costituente reato e ora depenalizzata, contemplata dal comma 1 di quest'ultimo articolo”.
Il Collegio non ignora che per la costante giurisprudenza di legittimità penale la inottemperanza all’ordinanza sindacale impositiva di urgenti opere edili al fine di evitare pericolo di crollo integra certamente condotta omissiva penalmente rilevante, essendosi in proposito rilevato che “la contravvenzione prevista dall'art. 650 c.p. (inosservanza dei provvedimenti dell'autorità) e consistente nella mancata ottemperanza al provvedimento di urgenza del sindaco che imponga l'esecuzione delle opere necessarie ad evitare il pericolo di crollo di una costruzione, mentre è assorbita da quella di cui all'art. 677, comma 3, stesso codice (omissione di lavori in edifici o costruzioni che minacciano rovina), non lo è con riguardo alla violazione, già costituente reato e ora depenalizzata, contemplata dal comma 1 di quest'ultimo articolo” (Cassazione penale, sez. I, 05.06.2002, n. 25796, ma anche Cassazione penale, sez. I, 04.12.2000, n. 7008 e Cassazione penale, sez. I, 19.06.1996, n. 7764)
(Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 10.01.2012 n. 16 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

LAVORI PUBBLICIL'inosservanza da parte della p.a., nella sistemazione e manutenzione di una strada (così come di ogni suolo pubblico), delle regole tecniche, ovvero dei comuni canoni di diligenza e prudenza, può essere denunciata dal privato davanti al g.o., sia quando tenda a conseguire la condanna ad un "facere", sia quando abbia per oggetto la richiesta del risarcimento del danno patrimoniale, giacché una siffatta domanda non investe scelte ed atti autoritativi dell'Amministrazione, bensì un'attività materiale soggetta al rispetto del principio generale del "neminem laedere".
Le S.U., risolvendo un conflitto reale negativo di giurisdizione, hanno affermato la sussistenza della giurisdizione del g.o. in relazione alla cognizione di una domanda di risarcimento danni proposta da privati in ordine agli effetti materiali negativi di cui aveva risentito la loro proprietà in dipendenza di una frana originantesi da un terrapieno posto a confine e realizzato, su suolo pubblico, per il deposito di rifiuti e materiali di riporto, così incentrando il loro "petitum" unicamente sulla condotta dell'ente pubblico, di cui si contestava la liceità, proprio in quanto si assumeva che il danno al loro patrimonio costituiva conseguenza del comportamento omissivo e colposamente inerte del Comune convenuto, che non aveva provveduto al risanamento statico di detto terrapieno.

Rammenta il Collegio che la condivisibile giurisprudenza della Corte regolatrice della giurisdizione ha ritenuto in un caso analogo (Cassazione civile, sez. un., 20.10.2006, n. 22521) che “a seguito della sentenza della Corte cost. n. 204 del 2004 l'inosservanza da parte della p.a., nella sistemazione e manutenzione di una strada (così come di ogni suolo pubblico), delle regole tecniche, ovvero dei comuni canoni di diligenza e prudenza, può essere denunciata dal privato davanti al g.o., sia quando tenda a conseguire la condanna ad un "facere", sia quando abbia per oggetto la richiesta del risarcimento del danno patrimoniale, giacché una siffatta domanda non investe scelte ed atti autoritativi dell'Amministrazione, bensì un'attività materiale soggetta al rispetto del principio generale del "neminem laedere": nella specie, alla stregua dell'enunciato principio, le S.U., risolvendo un conflitto reale negativo di giurisdizione, hanno affermato la sussistenza della giurisdizione del g.o. in relazione alla cognizione di una domanda di risarcimento danni proposta da privati in ordine agli effetti materiali negativi di cui aveva risentito la loro proprietà in dipendenza di una frana originantesi da un terrapieno posto a confine e realizzato, su suolo pubblico, per il deposito di rifiuti e materiali di riporto, così incentrando il loro "petitum" unicamente sulla condotta dell'ente pubblico, di cui si contestava la liceità, proprio in quanto si assumeva che il danno al loro patrimonio costituiva conseguenza del comportamento omissivo e colposamente inerte del Comune convenuto, che non aveva provveduto al risanamento statico di detto terrapieno" (Cassazione civile, sez. un., 20.10.2006, n. 22521) (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 10.01.2012 n. 16 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAL’autorizzazione alla installazione di impianti pubblicitari è subordinata alla valutazione in ordine alla sua compatibilità con il diverso interesse pubblico generale alla ordinata regolamentazione degli spazi pubblicitari (che non possono essere indiscriminatamente lasciati alla libera iniziativa privata), e, quindi, costituisce oggetto di una specifica disciplina, non sovrapponibile o confondibile con quella edilizia.
Il Comune è chiamato ad esercitare, al riguardo, un potere discrezionale, in quanto titolare sia delle funzioni relative alla sicurezza della circolazione (ciò che comporta la titolarità del potere autorizzatorio dell'installazione di impianti pubblicitari, nel rispetto delle prescrizioni del Codice della Strada), sia di quelle relative all'uso del proprio territorio, anche sotto l’aspetto dei monumenti, dell'estetica cittadina e del paesaggio, ben potendo individuare limitazioni e divieti per particolari forme pubblicitarie, in connessione ad esigenze di pubblico interesse.
Siffatto potere, inerente la ponderazione comparativa degli interessi coinvolti, quali, da un lato, quelli pubblici e, dall’altro, quello privato, alla libertà di iniziativa economica -di cui l'attività pubblicitaria rappresenta estrinsecazione- si esprime, innanzitutto, nella potestà pianificatoria e, dunque, nella potestà regolamentare, attraverso la quale il Comune disciplina le modalità dello svolgimento della pubblicità, la tipologia e quantità degli impianti pubblicitari e le modalità per ottenere l'autorizzazione all'installazione di questi, senza violare l’art. 41 Cost., ma, anzi, ponendosi nell'ambito semantico della “utilità sociale” e nel contesto di valori costituzionali equiordinati, quali quello alla difesa dell'ambiente e delle valenze estetiche del patrimonio culturale della Nazione, riconducibili all’art. 9 della Costituzione.
Inoltre, nei casi in cui viene richiesta l’affissione di impianti pubblicitari direttamente su suolo pubblico, l’Amministrazione -nella cui disponibilità, oltretutto, si trova il suolo stesso- è tenuta ad espletare una valutazione complessiva, non limitata soltanto alla mera compatibilità dell’impianto pubblicitario con l’interesse pubblico (come nell’ipotesi in cui il suolo si trovi nella disponibilità dell’interessato), ma estesa anche alla verifica che, attraverso detto uso privato della risorsa pubblica, si realizzino quegli interessi collettivi, di cui l’Amministrazione stessa è portatrice.
Invero, in questi casi, viene richiesto un esame più approfondito e attento, che si articola nell’ambito di un procedimento destinato a sfociare in un provvedimento non già meramente autorizzatorio, ma di natura concessoria, il cui rilascio presuppone la canalizzazione dell’attività privata nell’alveo del pubblico interesse, e non solo la non incompatibilità dell’una rispetto all’altro.
In altri termini, l’installazione di mezzi pubblicitari su suolo pubblico postula un provvedimento di concessione dell’uso del medesimo, non bastando a tale scopo il solo provvedimento autorizzatorio, poiché, mentre il procedimento autorizzatorio si esaurisce nel sopra menzionato giudizio di "non incompatibilità" dell’attività privata con l’interesse pubblico, il procedimento concessorio involve la valutazione della conformità di tale attività con il pubblico interesse.
Ne segue che, quando l’esposizione degli impianti di pubblicità avviene su suolo pubblico, l’occupazione del predetto suolo fa sì che non si possa in alcun modo prescindere dalla citata valutazione di conformità, la cui complessità non consente che si possa formare tacitamente il provvedimento finale concessorio, in quanto involve l’esercizio di una potestà discrezionale, escludente l’applicabilità del regime del silenzio-assenso.
---------------
Non sussiste un rapporto di tipo derogatorio fra la normativa edilizia, oggi compendiata nel D.P.R. 06.06.2001 n. 380, e la normativa per le pubbliche affissioni di cui al D.Lgs. 15.11.1993, n. 507, giacché trattasi di discipline differenti, avente differenti contenuti e finalità, che concorrono nella valutazione della medesima fattispecie ai fini della tutela di interessi pubblici diversi nonché ai fini della definizione di differenti procedimenti amministrativi.
Ed invero, la normativa edilizia trova applicazione in tutte le ipotesi in cui si configura un mutamento del territorio nel suo contesto preesistente, sia sotto il profilo urbanistico che sotto quello edilizio, ed entro questi limiti, pertanto, assume rilevanza la violazione dei regolamenti edilizi.
Conseguentemente, nelle ipotesi in cui la sistemazione di una insegna o di una tabella (cosiddetta tabellone) pubblicitaria o di ogni altro genere quando, per le sue consistenti dimensioni, comporti un rilevante mutamento territoriale, è richiesto l’assenso mediante “permesso di costruire” e mediante semplice s.c.i.a. negli altri casi, in coerenza con le previsioni della normativa edilizia di cui agli artt. 2,6 e 7 del D.P.R. n. 380 del 2001 e succ. mod..
---------------
La violazione della normativa antisismica di cui alla legge 02.02.1974 n. 64, posta a tutela della pubblica incolumità nelle zone dichiarate sismiche, non può essere derogata dalla normativa speciale di cui al D.Lgs. 15.11.1993, n. 507 e trova applicazione, omnicomprensivamente, ai sensi dell'art. 3, co. 1, a "tutte le costruzioni la cui sicurezza possa comunque interessare la pubblica incolumità", a nulla rilevando la natura dei materiali impiegati e delle relative strutture: anzi, proprio l'impiego, come nel caso di specie, di elementi strutturali meno solidi e duraturi di quelli in cemento ed assimilati, rende vieppiù necessari i controlli e le cautele prescritte ai fini preventivi in questione.
Del resto, la normativa sismica ha una portata ben più amia rispetto a quella di cui alla legge 05.11.1971 n. 1086, concernente i soli casi inerenti opere in conglomerato cementizio armato.
--------------
Trattandosi, nel caso di specie, di affissione di impianti pubblicitari direttamente su suolo pubblico, l’Amministrazione è tenuta ad espletare una valutazione complessiva, non limitata soltanto alla mera compatibilità dell’impianto pubblicitario con l’interesse pubblico (come nell’ipotesi in cui il suolo si trovi nella disponibilità dell’interessato), ma estesa anche alla verifica che, attraverso detto uso privato del suolo pubblico, si possa determinare la realizzazione di interessi collettivi, per cui il cui rilascio dell’atto concessorio presuppone la canalizzazione dell’attività privata nell’alveo del pubblico interesse, e non solo un mero giudizio di compatibilità fra i contrapposti interessi.

Va quindi esaminato il secondo profilo di gravame su cui si incentra l’impugnativa in correlazione con lo specifico interesse dedotto in giudizio.
Con tale mezzo, parte ricorrente deduce, in sintesi, che l’attività di installazione di impianti pubblicitari non sarebbe soggetta alla normativa in materia edilizia e, in ogni caso, nella specie, non inciderebbe sull’assetto del territorio, trattandosi di impianti soggetti ad uso precario e temporaneo, benché muniti di idonee strutture di sostegno.
Il D. Lgs. 15.11.1993 n. 507, recante revisione ed armonizzazione dell'imposta comunale sulla pubblicità e del diritto sulle pubbliche affissioni, con l’art. 3, stabilisce che il Comune è tenuto ad adottare apposito regolamento per l'applicazione dell'imposta, con il quale deve disciplinare "le modalità di effettuazione della pubblicità e può stabilire limitazioni e divieti per particolari forme pubblicitarie in relazione ad esigenze di pubblico interesse" (II° comma) e "in ogni caso determinare la tipologia e la quantità degli impianti pubblicitari, le modalità per ottenere il provvedimento per l'installazione ..." (III° comma).
L'installazione di impianti pubblicitari è attività "contingentata", non sussumibile nella disciplina di cui all’art. 19 della legge 07.08.1990 n. 241, in base alla quale l'atto di consenso, cui sia subordinato l'esercizio di un'attività privata, s'intende sostituito dalla denuncia di inizio di attività da parte dell'interessato alla pubblica amministrazione competente, sempre che il suo rilascio dipenda esclusivamente dall'accertamento dei presupposti e dei requisiti di legge, senza l'esperimento di prove a ciò destinate che comportino valutazioni tecniche discrezionali, e non sia previsto alcun limite o contingente complessivo.
Ed invero, l’autorizzazione alla installazione di impianti pubblicitari è subordinata alla valutazione in ordine alla sua compatibilità con il diverso interesse pubblico generale alla ordinata regolamentazione degli spazi pubblicitari (che non possono essere indiscriminatamente lasciati alla libera iniziativa privata), e, quindi, costituisce oggetto di una specifica disciplina, non sovrapponibile o confondibile con quella edilizia.
Il Comune è chiamato ad esercitare, al riguardo, un potere discrezionale, in quanto titolare sia delle funzioni relative alla sicurezza della circolazione (ciò che comporta la titolarità del potere autorizzatorio dell'installazione di impianti pubblicitari, nel rispetto delle prescrizioni del Codice della Strada), sia di quelle relative all'uso del proprio territorio, anche sotto l’aspetto dei monumenti, dell'estetica cittadina e del paesaggio, ben potendo individuare limitazioni e divieti per particolari forme pubblicitarie, in connessione ad esigenze di pubblico interesse (ex plurimis: TAR Lombardia- Brescia, Sez. I, 28.02.2008 n. 174).
Siffatto potere, inerente la ponderazione comparativa degli interessi coinvolti, quali, da un lato, quelli pubblici e, dall’altro, quello privato, alla libertà di iniziativa economica -di cui l'attività pubblicitaria rappresenta estrinsecazione- si esprime, innanzitutto, nella potestà pianificatoria e, dunque, nella potestà regolamentare, attraverso la quale il Comune disciplina le modalità dello svolgimento della pubblicità, la tipologia e quantità degli impianti pubblicitari e le modalità per ottenere l'autorizzazione all'installazione di questi, senza violare l’art. 41 Cost., ma, anzi, ponendosi nell'ambito semantico della “utilità sociale” e nel contesto di valori costituzionali equiordinati, quali quello alla difesa dell'ambiente e delle valenze estetiche del patrimonio culturale della Nazione, riconducibili all’art. 9 della Costituzione (conf.: Corte Cost. sent. 17.07.2002 n. 355).
Inoltre, nei casi in cui viene richiesta l’affissione di impianti pubblicitari direttamente su suolo pubblico, l’Amministrazione -nella cui disponibilità, oltretutto, si trova il suolo stesso- è tenuta ad espletare una valutazione complessiva, non limitata soltanto alla mera compatibilità dell’impianto pubblicitario con l’interesse pubblico (come nell’ipotesi in cui il suolo si trovi nella disponibilità dell’interessato), ma estesa anche alla verifica che, attraverso detto uso privato della risorsa pubblica, si realizzino quegli interessi collettivi, di cui l’Amministrazione stessa è portatrice.
Invero, in questi casi, viene richiesto un esame più approfondito e attento, che si articola nell’ambito di un procedimento destinato a sfociare in un provvedimento non già meramente autorizzatorio, ma di natura concessoria, il cui rilascio presuppone la canalizzazione dell’attività privata nell’alveo del pubblico interesse, e non solo la non incompatibilità dell’una rispetto all’altro.
In altri termini, l’installazione di mezzi pubblicitari su suolo pubblico postula un provvedimento di concessione dell’uso del medesimo, non bastando a tale scopo il solo provvedimento autorizzatorio, poiché, mentre il procedimento autorizzatorio si esaurisce nel sopra menzionato giudizio di "non incompatibilità" dell’attività privata con l’interesse pubblico, il procedimento concessorio involve la valutazione della conformità di tale attività con il pubblico interesse.
Ne segue che, quando –come nel caso di specie– l’esposizione degli impianti di pubblicità avviene su suolo pubblico, l’occupazione del predetto suolo fa sì che non si possa in alcun modo prescindere dalla citata valutazione di conformità, la cui complessità non consente che si possa formare tacitamente il provvedimento finale concessorio (TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, 26.07.2005 n. 3421), in quanto involve l’esercizio di una potestà discrezionale, escludente l’applicabilità del regime del silenzio-assenso (conf.: Corte Cost. 27.07.1995 n. 408).
In coerenza con i principi rivenienti dall’art. 41 Cost., non può neanche prescindere dalla tutela del catalogo dei diritti e delle libertà della persona, costituzionalmente garantiti, che delineano lo "status civitatis" comune all'intera Repubblica italiana.
A quest'ultimo ambito vanno certamente ricondotte le disposizioni, sostanzialmente afferenti alla materia urbanistica ed edilizia (indipendentemente dalla collocazione formale) che, al fine di garantire la generale salubrità degli ambienti di vita e di lavoro (ferme restando le discipline relative a specifiche attività e di tutela dei lavoratori), impongono condizioni minime per l'abitabilità ed agibilità degli edifici e rapporti minimi di aerazione ed illuminazione dei locali, quali requisiti di sicurezza per la loro utilizzazione, che non consentono che i manufatti pubblicitari possano oscurare le facciate degli edifici munite di porte e finestre.
In tale ottica, si deve ritenere che non sussiste un rapporto di tipo derogatorio fra la normativa edilizia, oggi compendiata nel D.P.R. 06.06.2001 n. 380, e la normativa per le pubbliche affissioni di cui al D.Lgs. 15.11.1993, n. 507, giacché trattasi di discipline differenti, avente differenti contenuti e finalità, che concorrono nella valutazione della medesima fattispecie ai fini della tutela di interessi pubblici diversi nonché ai fini della definizione di differenti procedimenti amministrativi.
Ed invero, la normativa edilizia trova applicazione in tutte le ipotesi in cui si configura un mutamento del territorio nel suo contesto preesistente, sia sotto il profilo urbanistico che sotto quello edilizio, ed entro questi limiti, pertanto, assume rilevanza la violazione dei regolamenti edilizi.
Conseguentemente, nelle ipotesi in cui la sistemazione di una insegna o di una tabella (cosiddetta tabellone) pubblicitaria o di ogni altro genere quando, per le sue consistenti dimensioni, comporti un rilevante mutamento territoriale, è richiesto l’assenso mediante “permesso di costruire” e mediante semplice s.c.i.a. negli altri casi, in coerenza con le previsioni della normativa edilizia di cui agli artt. 2,6 e 7 del D.P.R. n. 380 del 2001 e succ. mod..
Analogamente, la violazione della normativa antisismica di cui alla legge 02.02.1974 n. 64, posta a tutela della pubblica incolumità nelle zone dichiarate sismiche, non può essere derogata dalla normativa speciale di cui al D.Lgs. 15.11.1993, n. 507 e trova applicazione, omnicomprensivamente, ai sensi dell'art. 3, co. 1, a "tutte le costruzioni la cui sicurezza possa comunque interessare la pubblica incolumità", a nulla rilevando la natura dei materiali impiegati e delle relative strutture: anzi, proprio l'impiego, come nel caso di specie, di elementi strutturali meno solidi e duraturi di quelli in cemento ed assimilati, rende vieppiù necessari i controlli e le cautele prescritte ai fini preventivi in questione.
Del resto, la normativa sismica ha una portata ben più amia rispetto a quella di cui alla legge 05.11.1971 n. 1086, concernente i soli casi inerenti opere in conglomerato cementizio armato.
Orbene, trattandosi, nel caso di specie, di affissione di impianti pubblicitari direttamente su suolo pubblico, l’Amministrazione è tenuta ad espletare una valutazione complessiva, non limitata soltanto alla mera compatibilità dell’impianto pubblicitario con l’interesse pubblico (come nell’ipotesi in cui il suolo si trovi nella disponibilità dell’interessato), ma estesa anche alla verifica che, attraverso detto uso privato del suolo pubblico, si possa determinare la realizzazione di interessi collettivi, per cui il cui rilascio dell’atto concessorio presuppone la canalizzazione dell’attività privata nell’alveo del pubblico interesse, e non solo un mero giudizio di compatibilità fra i contrapposti interessi.
---------------
Con il quarto motivo, parte ricorrente deduce che, nella specie, si sarebbe formato il silenzio assenso, essendo decorso, alla data del 22.09.2008 per un impianto ed alla data del 05.05.2008 per il gruppo di 5 impianti, il termine dei sessanta giorni, previsto dall’art. 12 della Delibera di G.C. n. 82 del 02.03.2004. Inoltre, la P.A. avrebbe regolarmente riscosso l’imposta comunale sulla pubblicità relativamente agli anni 2009 e 2010.
Osserva il Collegio che l’ipotesi di silenzio-assenso, prevista dalla normativa regolamentare invocata, può valere soltanto in relazione agli interessi ed alla finalità ricadenti nell’alveo della disciplina prevista dal D.Lgs. 15.11.1993, n. 507 e presuppone sempre che ricorrano tutti gli elementi costitutivi della fattispecie, suddivisibili in presupposti essenziali e requisiti essenziali: ma, nella specie, viene contestata dalla P.A. proprio la astratta corrispondenza, sotto il profilo oggettivo (presupposto essenziale), dell’impianto alle previsioni normative regolamentari, particolarmente sotto il profilo dell’ubicazione.
Inoltre, poiché, come già precisato, l’autorizzazione all’esposizione dei mezzi pubblicitari e la concessione dell’uso del suolo pubblico presuppongono valutazioni differenti, attinenti alla tutela di interessi pubblici diversi, quando –come nel caso di specie– l’esposizione degli impianti di pubblicità avviene su suolo pubblico, l’occupazione del predetto suolo fa sì che non si possa in alcun modo prescindere dalla citata valutazione di conformità: la complessità della quale rende inconcepibile che si possa formare tacitamente il provvedimento finale concessorio (TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, 26.07.2005, n. 3421), tenuto conto che nessuna indicazione di segno contrario può desumersi dalla cosiddetta generalizzazione del silenzio-assenso conseguente alla riforma di cui alla legge 14.05.2005 n. 80, giacché quello concessorio è procedimento in cui è esercitata una potestà discrezionale, per la quale, alla luce dell’insegnamento della Corte Costituzionale (v. la sentenza 27.07.1995, n. 408), deve escludersi l’applicabilità del regime del silenzio- assenso.
In definitiva, in mancanza di un espresso provvedimento di concessione di suolo pubblico (non surrogabile, né allora né oggi, “per silentium”), l’autorizzazione alla installazione dei mezzi pubblicitari non può, comunque, formarsi prescindendo dal rilievo della suddetta concessione.
Orbene, calando i precitati principi al caso di specie, si può ritenere che neanche la semplice astratta possibilità di autorizzazione potrebbe ritenersi, stante la complessità della valutazione richiesta in relazione agli interessi coinvolti, un elemento idoneo a determinare “ex se” la caducazione del provvedimento di diniego impugnato, neanche in “parte qua”.
Né, infine, il regolare pagamento dell’imposta di pubblicità può valere ad integrare un’autorizzazione inesistente
(TAR Calabria-Catanzaro, Sez. I, sentenza 05.01.2012 n. 3 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Costruzioni in zone paesaggistiche, si può dire: non lo sapevo? Chi costruisce deve accertarsi di non farlo in zona di notevole interesse paesaggistico.
Si verte in ipotesi di delitto, punibile a titolo di ''dolo generico''. Occorre, quindi, la dimostrazione della coscienza in capo all'agente di realizzare l'intervento in una zona particolarmente vincolata. Ma, a tal riguardo, per andare esenti da punizione non basterebbe addurre semplicisticamente la ''non consapevolezza'' di mettere in pericolo l'ambiente: ergo, la non conoscenza del vincolo.
Interessante puntualizzazione della Cassazione sull’elemento soggettivo del delitto paesaggistico di cui all’articolo 181, comma 1-bis del decreto legislativo 22.01.2004 n. 22,, nella specie contestato ad un imputato per avere realizzato un’opera edilizia abusiva in una zona dichiarata di notevole interesse pubblico paesaggistico [cfr. articolo 181, comma 1-bis, lettera a)].
A differenza della fattispecie incriminatrice prevista e punita nel comma 1 dell’articolo 181, che punisce chiunque, senza la prescritta autorizzazione o in difformità di essa, esegue lavori di qualsiasi genere su beni paesaggistici, che, in quanto reato contravvenzionale, è punibile anche a titolo di colpa (cfr. Cassazione, Sezione III, 10.03.2011, Antelmi), qui si verte in ipotesi di delitto, punibile, come precisato dalla Cassazione, a titolo di “dolo generico”.
Occorre, quindi, la dimostrazione della coscienza in capo all’agente di realizzare l’intervento in una zona particolarmente vincolata.
Ma, a tal riguardo, secondo quanto correttamente precisato dalla Cassazione, per andare esenti da punizione non basterebbe addurre semplicisticamente la “non consapevolezza” di mettere in pericolo l’ambiente: ergo, la non conoscenza del vincolo.
E’ il tema dell’ignoranza della legge penale (articolo 5 c.p.), che la Corte esattamente risolve escludendo la “scusabilità” dell’ignoranza in un contesto in cui il soggetto, in ragione dell’attività che intendeva porre in essere, aveva il dovere di informarsi preventivamente (anche) circa l’eventuale assoggettamento a vincoli dell’area sulla quale andava a costruire.
La decisione è ineccepibile.
Va infatti ricordato che, secondo assunto pacifico, a seguito delle sentenze della Corte costituzionale 24.03.1988 n. 364 e 22.04.1992 n. 185, deve riconoscersi la scusabilità dell’ignoranza della legge penale [solo] se “inevitabile” (articolo 5 c.p.).
A tal fine, come già puntualizzato dalle Sezioni unite della Cassazione (sentenza 10.06.1994, Calzetta), per stabilirne i presupposti e i limiti, deve ritenersi che per il comune cittadino l'inevitabilità dell'errore va riconosciuta in tutte le occasioni in cui l'agente abbia assolto, con il criterio della normale diligenza, al cosiddetto "dovere di informazione", attraverso l'espletamento di qualsiasi utile accertamento per conseguire la conoscenza della legislazione vigente in materia.
In una tale prospettiva, l’ignoranza inevitabile e scusabile sarebbe ammissibile solo se risulti in concreto assolto tale “dovere di informazione” e, se a seguito di tale comportamento, la scusabilità dell’ignoranza sia derivata o da un comportamento positivo degli organi amministrativi o da un complessivo pacifico orientamento giurisprudenziale da cui l'agente abbia tratto il convincimento della correttezza dell'interpretazione normativa e, conseguentemente, della liceità del comportamento tenuto.
Situazioni non ricorrenti nel caso di specie (commento tratto da www.ipsoa.it - Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 28.12.2011 n. 48478 tratta da www.lexambiente.it).

PUBBLICO IMPIEGO: Reati contro la PA. Millantato credito, anche nei confronti della P.A. e' reato.
La pronuncia della II sezione della Corte di Cassazione si colloca nel solco della costante giurisprudenza di legittimità nel ritenere, in materia di millantato credito, che il secondo comma dell'art. 346 c.p. costituisca una fattispecie di reato autonoma e non una semplice circostanza aggravante rispetto al primo comma.
Il ricorrente veniva condannato dalla Corte d’Appello di Milano, in sede di rinvio, per il reato di cui all’art. 346 comma 2 c.p. per aver ricevuto una somma di denaro non quale corrispettivo della propria mediazione, bensì con il pretesto di dover remunerare un pubblico ufficiale onde ottenere l’intervento di quest’ultimo finalizzato alla sospensione e al riavvio di una gara di appalto.
Avverso la sentenza l’imputato proponeva ricorso per Cassazione lamentando l’erronea applicazione della legge penale con riguardo al giudizio di bilanciamento tra l’art. 346 comma 2 c.p. –considerato alla stregua di una circostanza aggravante del millantato credito– e le circostanze attenuanti riconosciute dal giudice del merito.
Il millantato credito si presenta infatti con un duplice schema normativo.
La fattispecie di cui al comma 1 dell'art. 346 c.p. descrive la condotta di chi riceve o accetta la promessa di denaro o di altra utilità quale corrispettivo della propria mediazione verso il pubblico ufficiale nei cui confronti viene millantato un credito.
L'ipotesi di cui al comma 2 riguarda invece la condotta di chi riceve o accetta la promessa di denaro o di altra utilità col pretesto di dover comprare il favore di un pubblico ufficiale o impiegato o di doverlo remunerare.
In ordine ai rapporti tra primo e secondo comma, la dottrina e la giurisprudenza più risalenti ritenevano che il capoverso dell’art. 346 c.p. costituisse una circostanza aggravante autonoma non risultando alterati gli elementi essenziali della fattispecie, consistenti pur sempre nel farsi dare o promettere denaro o altra utilità a seguito di millanteria [così Manzini, Trattato di diritto penale italiano, 1986, 579; Cass. pen. 19.6.1963, in Giust. pen. 1964, II, 179].
La natura di autonoma fattispecie di reato del capoverso dell’art. 346 c.p. è ora invece riconosciuta dalla dottrina assolutamente maggioritaria [cfr. Antolisei, Diritto penale, Parte Speciale, II, 2008, 694; Fiandaca Musco, Diritto penale, Parte Speciale, I, 2007, 314; Benussi, in Dolcini-Marinucci (a cura di), Codice Penale Commentato, II, 2011, art. 346, 3541] e dalla consolidata giurisprudenza di legittimità, pur con alcune sfumature.
Secondo un primo orientamento, che fa leva su di un argomento di ordine teleologico, il comma 2 configura un titolo autonomo di reato poiché descrive una condotta che comporta una lesione anche di interessi non tutelati dal comma 1 [da ultimo, Cass. Sez. VI, 01.07.2002, A., in Cass. Pen. 2004, 3636]: non solo il prestigio della pubblica amministrazione, che è offeso quando un suo organo viene fatto apparire come corrotto o corruttibile o quando la sua attività funzionale viene fatta apparire come ispirata a caratteri incompatibili con quelli di imparzialità o correttezza cui la pubblica amministrazione deve ispirarsi, ma anche il patrimonio del cd. “compratore di fumo”.
Qualora la fattispecie penale tuteli un bene giuridico diverso rispetto a quello tutelato dalla fattispecie penale di riferimento saremmo di fronte a un'autonoma figura di reato e non a una circostanza aggravante.
Tale notazione non appare del tutto soddisfacente poiché -oltre alle difficoltà nell’enucleare l’oggettività giuridica tutelata dall’art. 346 c.p.- si è osservato con la sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione del 10.7.2002, n. 26351, Fedi, che il principale criterio distintivo tra fattispecie autonoma di reato e fattispecie circostanziata non può che attenere alla struttura e alla descrizione del precetto penale, considerata l’insufficienza degli altri criteri discretivi, quale il nomen iuris, la collocazione topografica della norma, o i beni giuridici tutelati.
È proprio in relazione agli elementi costitutivi delle fattispecie che emerge pienamente la differenza tra i due commi dell’art. 346 c.p.
Il comma 2 dell’art. 346 c.p. si caratterizza infatti per una particolare forma di raggiro (consistente nel far passare il pubblico amministratore o impiegato come persona non semplicemente arrendevole alle pressioni ma corrotta, o almeno corruttibile), mentre l’inganno non sarebbe richiesto dalla fattispecie del primo comma, che sarebbe invece implicito nel “pretesto” di cui al comma 2 [in questo senso Cass. pen., sez. VI, 23.05.1990]
Le condotte differiscono quindi per il diverso pretesto adoperato [Cass. pen., Sez. VI, 18.09.1992], cioè la rappresentazione della destinazione del denaro o altra utilità, tale da determinare una chiara alternatività: in un caso sono dati o promessi al millantatore quale prezzo della propria mediazione; nel secondo sono invece falsamente destinati a comprare o remunerare il pubblico ufficiale [cfr. M. Romano, I delitti contro la pubblica amministrazione, I delitti dei privati, 2002, 119].
L’ulteriore conseguenza è un aggravato pregiudizio al prestigio della pubblica amministrazione che si rispecchia ne maggior disvalore della fattispecie penale e gravità della pena.
Aderendo a tale ultimo orientamento la Corte di Cassazione, nella pronuncia in esame, ribadisce pertanto la natura di figura autonoma di reato del comma 2 dell’art. 346 c.p. poiché “mentre nella previsione del comma primo il raggiro consiste nel presentare il pubblico ufficiale, destinatario di pressioni amicali, come arrendevole, in quella del comma secondo il pubblico ufficiale è prospettato dall’agente come persona corrotta o corruttibile” [nello stesso senso Cass. pen., Sez. VI, 23.06.2006, n. 22248, Cass. Sez. VI, 01.07.2002, cit.; Cass. Sez. VI, 09.07.1997, Zanellato, in Giust. Pen. 1998, II, 654].
La principale conseguenza, derivante dalla corretta qualificazione giuridica del capoverso dell’art. 364 c.p., consiste nell’impossibilità di procedere al giudizio di comparazione con le circostanze attenuanti ai sensi dell'art. 69 c.p. (commento tratto da www.ipsoa.it - Corte di Cassazione penale, sentenza 22.12.2012 n. 47906).

LAVORI PUBBLICI: Contratti pubblici. Attività di SOA e di certificatore, dubbi sul conflitto di interessi.
Non è manifestamente infondata, in relazione agli artt. 3 e 41 Cost., la questione di legittimità costituzionale dell'art. 40, comma 3, D.L.vo 12.04.2006 n. 163, nella parte in cui, ponendo il principio di esclusività dell'oggetto delle Società organismo attestazione, ha il duplice corollario di vietare ad un medesimo soggetto di svolgere contemporaneamente attività di organismo di certificazione e di S.O.A. e di vietare ad un organismo di certificazione di avere partecipazioni azionarie in una S.O.A.
Con sentenza 13.12.2011 n. 9717, la I Sez. del TAR Lazio-Roma ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in relazione agli artt. 3 e 41 Cost., dell'art. 40 comma 3 D.L.vo 12.04.2006 n. 163, nella parte in cui, ponendo il principio di esclusività dell'oggetto delle Società organismo attestazione, ha il duplice corollario di vietare ad un medesimo soggetto di svolgere contemporaneamente attività di organismo di certificazione e di S.O.A. e di vietare ad un organismo di certificazione di avere partecipazioni azionarie in una S.O.A.
L'art. 40, co. 3, infatti, prevede come il sistema di qualificazione sia attuato da organismi di diritto privato di attestazione, appositamente autorizzati dall'Autorità, specificando che l'attività di attestazione è esercitata nel rispetto del principio di indipendenza di giudizio, garantendo l'assenza di qualunque interesse commerciale o finanziario che possa determinare comportamenti non imparziali o discriminatori, sicché, ponendo il principio di esclusività dell'oggetto delle SOA, ha il duplice corollario di vietare ad un medesimo soggetto di svolgere contemporaneamente attività di organismo di certificazione e di SOA e di vietare ad un organismo di certificazione di avere partecipazioni azionarie in una SOA.
A tali conclusioni i giudici romani sono giunti sulla base delle considerazioni che seguono.
L'art. 41 Cost. sancisce la libertà dell'iniziativa economica privata (primo comma), stabilendo al contempo che la stessa non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana (secondo comma) e prevedendo che sia la legge a determinare i programmi e i controlli opportuni perché l'attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali (terzo comma).
L'iniziativa economica privata e l'intervento pubblico nell'economia come delineato nella Costituzione, quindi, possono coesistere, ma è necessario che i due tipi di intervento siano resi complementari e armonizzati per il raggiungimento di fini sociali e di benessere collettivo.
Ne consegue che l'esercizio della libertà economica privata può essere limitato, ma solo per ragioni di utilità sociale, sicché il rispetto della norma costituzionale postula che l'imposizione di limiti deve rispondere ai criteri di ragionevolezza e proporzionalità. In particolare, i limiti posti alla libertà di iniziativa economica privata, per essere legittimi, devono essere diretti a tutelare, con carattere di adeguatezza e proporzionalità, altri valori di rilevanza costituzionale.
Ora, se non c'è dubbio che nella fattispecie in esame i limiti discendenti dalla norma di legge, essendo volti a garantire la neutralità e l'imparzialità dei soggetti chiamati a verificare la sussistenza dei requisiti per partecipare alle gare di appalto, sono in linea di massima certamente aderenti a valori di rilievo costituzionale, come la concorrenza, ed ai principi comunitari, occorre però rilevare che lo stesso risultato di indipendenza e neutralità potrebbe essere messo a rischio non già dalla teorica possibilità per uno stesso gruppo societario di attestare sia la certificazione di qualità che i requisiti di qualificazione, ma dalla concreta ipotesi che tale duplice attività sia svolta nei confronti della medesima impresa.
In altri termini, se è vero che potrebbe sussistere un vulnus alla fondamentale esigenza della imparzialità e della indipendenza della SOA nell'accertamento del possesso della certificazione di qualità in capo alle imprese, laddove tale certificazione sia stata rilasciata da un soggetto che partecipa alla SOA stessa, facendo parte della relativa compagine societaria, è altrettanto vero che tale vulnus sembrerebbe sussistere solo ove le attività siano svolte nei confronti della stessa impresa da certificare ed attestare.
Pertanto, se è certamente ragionevole e proporzionato che le due attività in discorso non possano essere svolte da uno stesso soggetto nei confronti della medesima impresa, appare invece sproporzionato rispetto alla finalità perseguita dalla norma e, per tale motivo, irragionevole che sia sic et simpliciter escluso che una società, o un gruppo societario con un medesimo centro di imputazione decisionale, possa svolgere entrambe le attività, senza prevedere invece tale possibilità con il limite del divieto di svolgimento nei confronti della stessa impresa.
D'altra parte, la soluzione ipotizzata era quella già delineata dal legislatore della legge quadro del 1994, prima delle modifiche legislative intervenute con l. 166/2002, e la stessa, ad avviso del Collegio, sembra più congrua e proporzionata e, quindi, maggiormente idonea a garantire l'equilibrio tra tutti i valori costituzionali che assumono rilievo nella fattispecie.
La norma in discorso sembra parimenti contrastare con l'art. 3 Cost., che sancisce il principio di uguaglianza tra i soggetti dell'ordinamento, in quanto si traduce in una disparità di trattamento tra gli operatori economici laddove agli organismi di certificazione preclude sic et simpliciter la possibile partecipazione al capitale delle SOA anche nell'ipotesi in cui, ove previsto il divieto di contestuale attestazione e certificazione nei confronti di una stessa impresa, non sembrerebbe sussistere un vulnus ai principi di imparzialità ed indipendenza e gli altri soggetti che possono liberamente detenere partecipazioni al capitale delle SOA. In altri termini, la discrezionalità legislativa trova sempre un limite nella ragionevolezza delle statuizioni volte a giustificare la disparità di trattamento tra i cittadini.
Nel caso di specie -atteso che il principio di indipendenza ed imparzialità sembra poter essere efficacemente tutelato con una previsione normativa volta ad escludere lo svolgimento delle attività di certificazione e di attestazione nei confronti di una medesima impresa, mentre, come detto, il divieto assoluto per gli organismi di certificazione di partecipare al capitale sociale delle SOA appare sproporzionato e debordante rispetto alla finalità perseguita dalla norma- il trattamento differente riservato agli organismi di certificazioni appare violativo del canone di ragionevolezza al quale la discrezionalità del legislatore deve ontologicamente ispirarsi (commento tratto da www.ipsoa.it - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICA: Approvazione del Piano regolatore generale comunale. Poteri della Regione. Distinzione tra modifiche obbligatorie, concordate e facoltative.
Il Piano regolatore generale comunale, così come qualsivoglia strumento urbanistico, discende dalla concorrente ma autonoma valutazione di due diverse autorità, quali il Comune e la Regione (e per quest'ultima, secondo la maggioranza degli ordinamenti regionali, la Giunta Regionale).
Nell’ambito del relativo procedimento, il ruolo del Comune è, in linea di principio, preponderante, in quanto ad esso spetta l’iniziativa e la formulazione di una compiuta proposta, mediante l’adozione del progetto di piano; alla Regione, invece, spetta non solo di negare l’approvazione, ma anche di approvare il piano apportandogli, entro certi limiti e condizioni, modifiche non accettate dal Comune, così come prevede la disciplina di principio contenuta dall’art. 10 della L. 17.08.1942 n. 1150 e successive modifiche (1).
L’art. 10 della L. 17.08.1942 n. 1150 e successive modifiche prevede che la Regione, all’atto dell’approvazione dello strumento urbanistico, può apportare a quest’ultimo le modifiche che non comportino sostanziali innovazioni, le modifiche conseguenti all’accoglimento di osservazioni presentate al piano ed accettate con deliberazione del Consiglio comunale, nonché le modifiche riconosciute indispensabili per assicurare il rispetto delle previsioni del piano territoriale regionale di coordinamento, la razionale sistemazione delle opere e degli impianti di interesse dello Stato, la tutela del paesaggio e dei complessi storici, monumentali, ambientali e archeologici, nonché l’adozione di standard urbanistici minimi.
In ordine ai poteri della Regione in materia di approvazione degli strumenti urbanistici vanno distinte le modifiche cc.dd. "obbligatorie" dello strumento urbanistico (e, cioè, quelle indispensabili per la tutela del territorio), le modifiche cc.dd. "concordate" (ossia conseguenti all’accoglimento di osservazioni da parte della Regione) e le modifiche cc.dd. "facoltative", le quali ultime, ai sensi del medesimo art. 10 della L. 1150 del 1942 e successive modifiche, non possono incidere sulle caratteristiche essenziali del piano stesso e sui suoi criteri di impostazione (2).
Ai sensi della disciplina di principio contenuta negli artt. 10 e 36 della L. n. 1150 del 1942, la Regione, in sede di approvazione del piano regolatore generale, è autorizzata a introdurre direttamente le modifiche e prescrizioni di cui alle lettere b), c) e d) dello stesso art. 10 (ossia inerenti alla razionale e coordinata sistemazione delle opere e degli impianti di interesse dello Stato, alla tutela del paesaggio e di complessi storici, monumentali, ambientali ed archeologici; al rispetto delle ipotesi in cui è d’obbligo l’introduzione di una disciplina di pianificazione secondaria, ai limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza tra i fabbricati, nonché ai rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, a verde pubblico o a parcheggi), senza alcuna facoltà di controdeduzioni per il Comune e, quindi, senza necessità di porre in essere una procedura ad hoc di adeguamento (3).
Non può considerasi concluso il procedimento di approvazione della variante ad uno strumento urbanistico ove la Giunta Regionale abbia adottato una deliberazione di diniego di approvazione della variante proposta che non rientra nelle ipotesi di modifiche "facoltative", ovvero "concordate", ma abbia evidenziato invece, quale impedimento all’approvazione medesima, una carenza istruttoria in ordine al "carico insediativo della nuova tipizzazione C3" e al "vincolo di tutela imposto con la L. 08.08.1985 n. 431", non risultando su entrambi tali profili "alcuna valutazione" da parte del Comune.
---------------
(1) Cfr. sul punto, ex plurimis, Cons. Stato, Sez. IV, 28.11.1994 n. 970.
Ha aggiunto la sentenza in rassegna che il principio affermato è conforme all’art. 13, comma 1, del T.U. approvato con D.L.vo 18.08.2000 n. 267, laddove si dispone che "spettano al Comune tutte le funzioni amministrative che riguardano … la popolazione ed il territorio comunale, precipuamente nei settori organici … dell’assetto ed utilizzazione del territorio e dello sviluppo economico …, salvo quanto non sia espressamente attribuito ad altri soggetti dalla legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze".
(2) Cfr. sul punto, ad es., Cons. Stato, Sez. IV, 03.03.2009 n. 1214.
(3) Cfr. sul punto, ex plurimis, Cons. Stato, Sez. IV, 08.06.2009 n. 3518 e 01.10.2007 n. 5043
(massima tratta da www.regione.piemonte.it - Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 01.12.2011 n. 6349 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIIl termine di 10 gg., entro il quale l'impresa offerente, sorteggiata a campione per il controllo in ordine al possesso dei requisiti di capacità economico-finanziaria e tecnico-organizzativa, è tenuta ad ottemperare alla richiesta della stazione appaltante, ha natura perentoria, e le sanzioni conseguenti alla sua inosservanza (ndr: escussione della cauzione provvisoria e segnalazione all’Autorità di Vigilanza) sono automatiche e non vanno applicate solo in caso di comprovata impossibilità per l'impresa di produrre la documentazione non rientrante nella sua disponibilità ovvero allorché, comprovando un oggettivo impedimento a rispettare il termine, ne abbia tempestivamente chiesto la proroga.
Premesso che:
- la società ricorrente ha partecipato alla gara indetta dal Comune di Zibido San Giacomo per l’aggiudicazione dei lavori relativi alla realizzazione della pista ciclabile, venendone esclusa all’esito delle indagini a campione, con escussione della cauzione provvisoria e segnalazione all’Autorità di Vigilanza, per la mancata produzione della documentazione richiesta entro il termine perentorio di 10 giorni (30.07.2009) e tardivamente inviata dopo tre giorni (03.08.2009) a causa della asserita mancata ricezione del fax;
...
Considerato che:
- l’art. 48 del decreto legislativo 12.04.2006 n. 163, al primo comma, prescrive che “Le stazioni appaltanti prima di procedere all'apertura delle buste delle offerte presentate, richiedono ad un numero di offerenti non inferiore al 10 per cento delle offerte presentate, arrotondato all'unità superiore, scelti con sorteggio pubblico, di comprovare, entro dieci giorni dalla data della richiesta medesima, il possesso dei requisiti di capacità economico-finanziaria e tecnico-organizzativa, eventualmente richiesti nel bando di gara, presentando la documentazione indicata in detto bando o nella lettera di invito. Quando tale prova non sia fornita, ovvero non confermi le dichiarazioni contenute nella domanda di partecipazione o nell'offerta, le stazioni appaltanti procedono all'esclusione del concorrente dalla gara, all'escussione della relativa cauzione provvisoria e alla segnalazione del fatto all'Autorità per i provvedimenti di cui all'articolo 6, comma 11. L'Autorità dispone altresì la sospensione da uno a dodici mesi dalla partecipazione alle procedure di affidamento”;
- con la determinazione n. 5 del 21.05.2009 l’Autorità di Vigilanza sui contratti pubblici, in merito alla natura del termine di dieci giorni entro cui i concorrenti sorteggiati devono documentare i requisiti richiesti nel bando ed oggetto di autodichiarazione, ha ribadito quanto già precisato dall’Autorità nel precedente atto di regolazione n. 15 del 2000 con riguardo all’art. 10 della legge n. 109/1994 (“Il termine di dieci giorni è perentorio e improrogabile, nel senso che il suo obiettivo decorso senza che il sorteggiato abbia fatto pervenire alla stazione appaltante la necessaria documentazione implica l'automatico effetto dell'esclusione dalla gara, dell'incameramento della cauzione provvisoria e della segnalazione alla stessa Autorità per i provvedimenti di competenza. Né assume rilievo l'effettivo possesso dei requisiti da parte dell'operatore economico ovvero la documentazione degli stessi successivamente al decorso dei dieci giorni assegnati, dal momento che, per come è formulata la norma, rileva, al fine della produzione degli effetti sanzionatori, il solo dato, obiettivo e formale, dell'inadempimento nel termine prescritto”);
- questo Consiglio in più occasioni ha avuto modo di statuire che il suddetto termine di dieci giorni, entro il quale l'impresa offerente, sorteggiata a campione per il controllo in ordine al possesso dei requisiti di capacità economico-finanziaria e tecnico-organizzativa, è tenuta ad ottemperare alla richiesta della stazione appaltante, ha natura perentoria, e le sanzioni conseguenti alla sua inosservanza sono automatiche e non vanno applicate solo in caso di comprovata impossibilità per l'impresa di produrre la documentazione non rientrante nella sua disponibilità ovvero allorché, comprovando un oggettivo impedimento a rispettare il termine, ne abbia tempestivamente chiesto la proroga (sez. V: 13.12.2010 n. 8739 e 01.10.2010 n. 7263; sez. VI, 15.06.2009 n. 3804) (Consiglio di Stato, Sez. I, parere 18.07.2011 n. 2852 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AGGIORNAMENTO AL 26.01.2012

ã

Danno erariale per mancato adeguamento annuale del costo base di costruzione.

     Di seguito si riporta integralmente il dispositivo dell'interessante ed attualissima sentenza, colma di notevoli spunti su cui attentamente riflettere, della Corte dei Conti Emilia Romagna in merito al danno alle casse comunali cagionato dal fatto di non aver adeguato annualmente, e per più anni, il costo unitario di costruzione da parte del responsabile dell'UTC.


EDILIZIA PRIVATA - PUBBLICO IMPIEGO
: La quota di contributo afferente al costo di costruzione va dunque determinata all’atto del rilascio della concessione edilizia o del permesso di costruzione, ma deve essere versata nel corso della costruzione e comunque nei sessanta giorni dalla sua ultimazione.
La data del rilascio della concessione edilizia o del permesso di costruzione è il momento in cui sorge l’obbligazione contributiva rapportata al costo di costruzione, e pertanto è da quella stessa data che l’amministrazione comunale può far valere il suo diritto di credito, ossia esercitare il potere di accertamento dell’importo dovuto, con conseguente decorrenza della prescrizione (decennale) del diritto medesimo il quale, sin dal momento dell’adozione del provvedimento ampliativo della sfera del richiedente la concessione o il permesso di costruzione, è certo, liquido o agevolmente liquidabile ed esigibile.
La suddetta obbligazione è di tipo “acausale”, perché connessa alla mera utilizzazione edificatoria del territorio, e perciò ritenuta di natura paratributaria, a differenza dell’obbligazione per oneri di urbanizzazione che deve, invece, ritenersi “causale” ed ha natura di corrispettivo di diritto pubblico di natura non tributaria, dovuto dal titolare della concessione edilizia per la partecipazione ai costi delle opere di urbanizzazione connessi all’edificazione.
In ogni caso, per entrambe le obbligazioni il rilascio della concessione edilizia o del permesso di costruzione rappresenta il momento costitutivo dell’obbligo giuridico -incombente sul beneficiario del provvedimento autorizzatorio- di corrispondere le somme dovute per il contributo di costruzione.
Con la conseguenza che l’omessa contestuale determinazione di tale contributo o di una delle due voci che lo compongono (oneri di urbanizzazione e costo di costruzione) realizza, sin dal momento del rilascio del titolo abilitativo all’edificazione, una lesione attuale e concreta alla finanza comunale, venendo a mancare, in capo all’ente locale, la disponibilità piena ed immediata di entrate contributive ad esso spettanti.
---------------
Nel nuovo ordinamento delle autonomie locali –art. 58 della legge 08.06.1990 n. 142– è previsto che l’azione di responsabilità si prescrive col decorso del quinquennio “dalla commissione del fatto”.
Tale espressione deve essere intesa nel senso che non è sufficiente a dare inizio al periodo prescrizionale il semplice compimento della condotta trasgressiva degli obblighi di servizio dalla quale non sia ancora scaturito alcun nocumento all’ente pubblico, posto che l’elemento “fatto” comprende non solo la condotta del soggetto ma anche l’evento dannoso che ad essa consegue.
Un indirizzo interpretativo del tutto analogo è stato poi adottato a proposito dell’art. 1, secondo comma, della legge 14.01.1994, n. 20 (come sostituito con legge 20.12.1996, n. 639) -per il quale il diritto al risarcimento del danno si prescrive in ogni caso in 5 anni, decorrenti dalla data in cui si è verificato il “fatto dannoso” (ovvero, in caso d’occultamento doloso del danno, dalla data della sua scoperta)–, affermandosi che ai fini dell’individuazione del “dies a quo” della prescrizione, ai sensi del citato art. 1 l. n. 20/1994 occorre avere riguardo alla fattispecie costituita da condotta ed evento dannoso, che si completa al verificarsi di quest’ultimo, vale a dire del depauperamento dell’amministrazione o dell’ente.
---------------
L
’adeguamento annuo del costo di costruzione secondo l’indice ISTAT ... rientra indiscutibilmente nell’ambito del procedimento autorizzatorio di cui sopra, trattandosi di adempimento strettamente connesso all’esatto computo del contributo dovuto in relazione al permesso di costruire.
An
che per tale adempimento l’ordinaria competenza a provvedere (appartenesse e) appartenga al Responsabile della Unità Operativa interessata, più che al Responsabile dell’Area di riferimento (“Servizi per la Collettività ed il Territorio”) o agli organi deliberativi dell’Ente.
D’altro canto, l’aggiornamento in questione si risolve in una operazione di calcolo da effettuarsi sulla base di un parametro -la variazione ISTAT- fissato da prescrizioni legislative (statali e regionali) alla stregua delle quali si sarebbe dovuto provvedere automaticamente anno per anno, senza alcuna possibilità di valutazioni ed apprezzamenti discrezionali da parte degli organi di governo comunali trattandosi, invero, di adeguamento comunque obbligatorio per legge.
Sul punto le disposizioni di riferimento
, vale a dire l’art. 16, comma 9, del d.P.R. n. 380/2001 –testualmente riproduttivo, in parte qua, dell’art. 6, comma 3, della legge n. 10 del 1977– e l’art. 29, comma 3, della legge regionale Emilia Romagna n. 31 del 2002, risultano univocamente chiare e vincolanti nel prevedere che nei periodi intercorrenti tra le determinazioni regionali il costo di costruzione è adeguato annualmente dai Comuni “in ragione dell'intervenuta variazione dei costi di costruzione accertata dall'Istituto nazionale di statistica”, con l’ulteriore rilevante precisazione, nella norma statale appena citata, che all’adeguamento si procede anche “in eventuale assenza di tali determinazioni” ed “autonomamente”.

---------------
Il mancato aggiornamento del costo di costruzione configura una condotta omissiva dell’odierno convenuto qualificabile, se non come dolosa, certamente come gravemente colposa.
Osserva il Collegio come nella fattispecie in esame difettino i profili del c.d. dolo “erariale” o “contrattuale” non risultando il comportamento del sig. ... improntato a consapevole volontà del medesimo di agire in violazione dei propri doveri d’ufficio e di arrecare un ingiusto pregiudizio all’Ente.
Nella condotta del sunnominato ricorrono, tuttavia, gli elementi della colpa grave, ove si consideri, anzitutto, che l’aggiornamento annuale del costo di costruzione postulava un dovere particolarmente pregnante e puntuale di diligenza nell’adempimento di tale obbligo, specie per i connessi rilevanti riflessi sulle finanze del Comune.
L’inadempienza si è protratta per svariati anni senza che il convenuto abbia mai adottato, nell’ambito dell’autonomia di competenze non meramente esecutive di cui in precedenza si è fatto cenno, alcuna concreta, documentata iniziativa di natura “operativa”, o anche solo “sollecitatoria” e/o “propositiva”, volta a definire la vicenda dell’adeguamento ISTAT di cui si discute; vicenda, occorre ribadirlo, coinvolgente, in via diretta ed immediata, l’importante attività gestionale in materia di edilizia privata propriamente riservata all’Unità Operativa (“Urbanistica–Edilizia Privata–Ambiente”) della quale il sig. ... era Responsabile.
In altre parole, viene qui in rilievo la prolungata, ingiustificata inerzia del convenuto in ordine all’adeguamento del costo di costruzione, inerzia da ritenersi e valutarsi quale espressione di inescusabile e macroscopica superficialità nella cura dell’attività gestoria di un settore comunale, quello dell’edilizia privata, di assoluto rilievo.
Il Collegio ritiene dunque sussistente una condotta gravemente colposa del sig. ..., direttamente causativa del danno alle finanze comunali perseguito in questa sede.

---------------
Non si può non evidenziare come abbia fatto assoluto difetto, nella vicenda in esame, l’esercizio da parte dei dirigenti succedutisi nella carica di Responsabile dell’Area n. 3 (“Servizi per la Collettività ed il Territorio”) dei propri poteri di direttiva, di impulso e di controllo, quando non sostitutivi, in relazione alla specifica attività svolta dall’Unità Operativa “Urbanistica–Edilizia Privata–Ambiente”.
R
esta il fatto che l’assenza di una qualunque iniziativa da parte dei vari soggetti comunali (in primis Consiglio, Giunta e dirigenti Responsabili dell’Area 3), comunque coinvolti dalla discussa problematica in ragione delle rispettive attribuzioni, ha consentito che la grave anomalia gestionale rappresentata dal mancato adeguamento del costo di costruzione si protraesse per diversi anni in una situazione di persistente inazione dell’amministrazione; situazione che ha senza dubbio contribuito al progressivo formarsi dell’ingente danno per cui è causa.
I
l mancato intervento degli altri soggetti comunali interessati, concretizzatosi anch’esso in una continuata ed assolutamente ingiustificabile inerzia, pur non facendo venire meno la responsabilità per colpa grave dell’odierno convenuto assuma, tuttavia, concorrente rilevanza nella produzione dell’evento dannoso.
Tale apporto concausale, valutato con riguardo all’insieme delle accennate condotte “inattive”, appare complessivamente stimabile, per la notevole incidenza che esso ha avuto sul protrarsi per anni dell’inadempimento dell’obbligo di adeguamento del costo di costruzione, nella misura del 75 per cento, con corrispondente riduzione al 25 per cento della percentuale di responsabilità restante a carico del sig. ....

1) L’ipotesi di danno erariale sottoposta all’esame della Corte è costituita –secondo la prospettazione accusatoria- dalle minori entrate, per il complessivo importo di € 386.711,64, derivanti al Comune di Vergato dal mancato adeguamento annuale, relativamente al periodo 2000–2009, del costo di costruzione ai fini della determinazione della quota di contributo per il rilascio della concessione edilizia o del permesso di costruire nuovi edifici.
Per tale evento dannoso è stato chiamato in giudizio il sig. ..., quale responsabile del Settore Urbanistica e Ambiente dal 1999 al 2001 e, poi, della Unità Operativa “Urbanistica–Edilizia Privata–Ambiente” fino al 29.07.2009.
---------------
2) Ai fini della migliore comprensione della causa è opportuno premettere un breve excursus delle norme in materia edificatoria coinvolte nella fattispecie.
2.a) Si deve quindi partire dalla legge 28.01.1977, n. 10 sull’edificabilità dei suoli, che all’art. 1 stabiliva che “Ogni attività comportante trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio comunale partecipa agli oneri ad essa relativi e la esecuzione delle opere è subordinata a concessione da parte del sindaco, ai sensi della presente legge” soggiungendo, all’art. 3, che “la concessione comporta la corresponsione di un contributo commisurato all’incidenza delle spese di urbanizzazione nonché al costo di costruzione”.
Per il successivo art. 5 della legge n. 10 del 1977 appena citata, “l'incidenza degli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria, previsti dall'articolo 4 della legge 29.09.1964, n. 847, modificato dall'articolo 44 della legge 22.10.1971, n. 865, nonché dalle leggi regionali, è stabilita, ai fini del precedente articolo 3, con deliberazione del consiglio comunale in base alle tabelle parametriche che la regione definisce, entro 120 giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, per classi di comuni in relazione…(comma 1).
Fino all'approvazione delle tabelle di cui al precedente comma i comuni continuano ad applicare le disposizioni adottate in attuazione della legge 06.08.1967, n. 765 (comma 2).
Nel caso di mancata definizione delle tabelle parametriche da parte della regione entro il termine stabilito nel primo comma e fino alla definizione delle tabelle stesse, i comuni provvedono, in via provvisoria, con deliberazione del consiglio comunale (comma 3)
”.
Infine, l’art. 6 (nel testo sostituito dall’art. 7 l. 24.12.1993 n. 537) della medesima legge prevedeva che “il costo di costruzione di cui all'articolo 3 della presente legge per i nuovi edifici è determinato periodicamente dalle regioni con riferimento ai costi massimi ammissibili per l'edilizia agevolata, definiti dalle stesse regioni a norma della lettera g) del primo comma dell'art. 4 della L. 05.08.1978, n. 457” (comma 1), soggiungendo che “con gli stessi provvedimenti di cui al primo comma, le regioni identificano classi di edifici con caratteristiche superiori a quelle considerate nelle vigenti disposizioni di legge per l'edilizia agevolata, per le quali sono determinate maggiorazioni del detto costo di costruzione in misura non superiore al 50 per cento” (comma 2) e disponendo, altresì, che “nei periodi intercorrenti tra le determinazioni regionali di cui al primo comma, ovvero in eventuale assenza di tali determinazioni, il costo di costruzione è adeguato annualmente, ed autonomamente, in ragione dell'intervenuta variazione dei costi di costruzione accertata dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT)” (comma 3).
2.b) I sopra citati artt. 1, 3, 5 e 6 (nonché gli artt. 4, 7, 8, 9, 10, 11, 12 e 16) della legge n. 10 del 1977 sono stati, poi, espressamente abrogati dall'art. 136, commi 1 e 2, del d.P.R. 06.06.2001, n. 380 – “Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia (Testo A)”, a decorrere dal 30.06.2003, ai sensi dell'art. 2, del decreto-legge 20.06.2002, n. 122, conv., con modificazioni, in legge 01.08.2002, n. 185.
Per quel che occupa, il predetto Testo unico, definite la natura e le caratteristiche del permesso di costruire (v. artt. 10–15), rilasciato “dal dirigente o responsabile del competente ufficio comunale nel rispetto delle leggi, dei regolamenti e degli strumenti urbanistici” (v. art. 13, comma 1), all’art. 16, ha raccolto le disposizioni (legge 28.01.1977, n. 10, articoli 3; 5, comma 1; 6, commi 1, 4 e 5; 11; legge 05.08.1978, n. 457, art. 47; legge 24.12.1993, n. 537, art. 7; legge 29.09.1964, n. 847, articoli 1, comma 1, lettere b) e c), e 4; legge 22.10.1971, n. 865, art. 44; legge 11.03.1988, n. 67, art. 17; decreto legislativo 05.02.1997, n. 22, art. 58, comma 1; legge 23.12.1998, n. 448, art. 61, comma 2) sul “contributo per il rilascio del permesso di costruire” tra le quali vanno segnalate le seguenti:
- “Salvo quanto disposto dall'articolo 17, comma 3, il rilascio del permesso di costruire comporta la corresponsione di un contributo commisurato all'incidenza degli oneri di urbanizzazione nonché al costo di costruzione, secondo le modalità indicate nel presente articolo” (comma 1);
- “La quota di contributo relativa agli oneri di urbanizzazione è corrisposta al comune all'atto del rilascio del permesso di costruire e, su richiesta dell'interessato, può essere rateizzata…” (comma 2);
- “La quota di contributo relativa al costo di costruzione, determinata all'atto del rilascio, è corrisposta in corso d'opera, con le modalità e le garanzie stabilite dal comune, non oltre sessanta giorni dalla ultimazione della costruzione” (comma 3);
- “Il costo di costruzione per i nuovi edifici è determinato periodicamente dalle regioni con riferimento ai costi massimi ammissibili per l'edilizia agevolata, definiti dalle stesse regioni a norma della lettera g) del primo comma dell'articolo 4 della legge 05.08.1978, n. 457. Con lo stesso provvedimento le regioni identificano classi di edifici con caratteristiche superiori a quelle considerate nelle vigenti disposizioni di legge per l'edilizia agevolata, per le quali sono determinate maggiorazioni del detto costo di costruzione in misura non superiore al 50 per cento. Nei periodi intercorrenti tra le determinazioni regionali, ovvero in eventuale assenza di tali determinazioni, il costo di costruzione è adeguato annualmente, ed autonomamente, in ragione dell'intervenuta variazione dei costi di costruzione accertata dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT). Il contributo afferente al permesso di costruire comprende una quota di detto costo, variabile dal 5 per cento al 20 per cento, che viene determinata dalle regioni in funzione delle caratteristiche e delle tipologie delle costruzioni e della loro destinazione ed ubicazione” (comma 9).
2.c) Da ultimo, la legge regionale Emilia Romagna 25.11.2002, n. 31 (“Disciplina generale dell’edilizia") ha disposto, all’art. 27 (“Contributo di costruzione”), che: “Fatti salvi i casi di riduzione o esonero di cui all'art. 30, il proprietario dell'immobile o colui che ha titolo per chiedere il rilascio del permesso o per presentare la denuncia di inizio attività è tenuto a corrispondere un contributo commisurato all'incidenza degli oneri di urbanizzazione nonché al costo di costruzione” (comma 1); “Il contributo di costruzione è quantificato dal Comune per gli interventi da realizzare attraverso il permesso di costruire ovvero dall'interessato per quelli da realizzare con denuncia di inizio attività” (comma 2); “La quota di contributo relativa agli oneri di urbanizzazione è corrisposta al Comune all'atto del rilascio del permesso ovvero all'atto della presentazione della denuncia di inizio attività. Il contributo può essere rateizzato, a richiesta dell'interessato” (comma 3); “La quota di contributo relativa al costo di costruzione è corrisposta in corso d'opera, secondo le modalità e le garanzie stabilite dal Comune” (comma 4).
Al successivo art. 29, la stessa legge regionale ha stabilito che “Il costo di costruzione per i nuovi edifici è determinato almeno ogni cinque anni dal Consiglio regionale con riferimento ai costi parametrici per l'edilizia agevolata. Il contributo afferente al titolo abilitativo comprende una quota di detto costo, variabile dal 5 per cento al 20 per cento, che viene determinata con l'atto del Consiglio regionale in funzione delle caratteristiche e delle tipologie delle costruzioni e della loro destinazione e ubicazione” (comma 1), e “Nei periodi intercorrenti tra le determinazioni regionali, il costo di costruzione è adeguato annualmente dai Comuni, in ragione dell'intervenuta variazione dei costi di costruzione accertata dall'Istituto nazionale di statistica” (comma 3).
---------------
3) In base alla delineata cornice normativa, la quota di contributo afferente al costo di costruzione va dunque determinata all’atto del rilascio della concessione edilizia o del permesso di costruzione, ma deve essere versata nel corso della costruzione e comunque nei sessanta giorni dalla sua ultimazione.
Secondo giurisprudenza amministrativa ormai consolidata,
la data del rilascio della concessione edilizia o del permesso di costruzione è il momento in cui sorge l’obbligazione contributiva rapportata al costo di costruzione, e pertanto è da quella stessa data che l’amministrazione comunale può far valere il suo diritto di credito, ossia esercitare il potere di accertamento dell’importo dovuto, con conseguente decorrenza della prescrizione (decennale) del diritto medesimo il quale, sin dal momento dell’adozione del provvedimento ampliativo della sfera del richiedente la concessione o il permesso di costruzione, è certo, liquido o agevolmente liquidabile ed esigibile (cfr. Consiglio di Stato – Sez. IV, 06.06.2008 n. 2686; Sez. IV, 05.04.2006 n. 7219; Sez. V, 13.06.2003 n. 3332; TAR Marche Ancona, 01.04.2004 n. 143; TAR Abruzzo Pescara, 10.05.2002 n. 477; TAR Calabria Catanzaro, 06.02.1996 n. 180).
Come ancora precisato dal giudice amministrativo,
la suddetta obbligazione è di tipo “acausale”, perché connessa alla mera utilizzazione edificatoria del territorio, e perciò ritenuta di natura paratributaria, a differenza dell’obbligazione per oneri di urbanizzazione che deve, invece, ritenersi “causale” ed ha natura di corrispettivo di diritto pubblico di natura non tributaria, dovuto dal titolare della concessione edilizia per la partecipazione ai costi delle opere di urbanizzazione connessi all’edificazione (cfr. TAR Lombardia Brescia, 03.12.2007 n. 1268; TAR Toscana Firenze, Sez. III, 11.08.2004 n. 3181).
In ogni caso, per entrambe le obbligazioni il rilascio della concessione edilizia o del permesso di costruzione rappresenta il momento costitutivo dell’obbligo giuridico -incombente sul beneficiario del provvedimento autorizzatorio- di corrispondere le somme dovute per il contributo di costruzione (cfr. Consiglio di Stato – Sezione IV, 06.06.2008 n. 2686).
Con la conseguenza che l’omessa contestuale determinazione di tale contributo o di una delle due voci che lo compongono (oneri di urbanizzazione e costo di costruzione) realizza, sin dal momento del rilascio del titolo abilitativo all’edificazione, una lesione attuale e concreta alla finanza comunale, venendo a mancare, in capo all’ente locale, la disponibilità piena ed immediata di entrate contributive ad esso spettanti.
Analogamente è a dire, in termini di attualità ed effettività del pregiudizio, con riguardo all’errata determinazione del contributo in misura inferiore al dovuto; ciò anche a voler prescindere dal carattere di definitività attribuito da una certa giurisprudenza alla determinazione del quantum della obbligazione contributiva a carico del privato, con esclusione della possibilità per l’amministrazione comunale che abbia erroneamente liquidato l’ammontare del contributo, di richiedere successivamente, in via di autotutela, un importo a titolo di conguaglio (cfr. Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, decisione n. 1007/2000).
---------------
4) Si può ora passare ad esaminare la questione della prescrizione dell’azione di responsabilità eccepita dalla difesa del convenuto.
Sul punto è appena da ricordare che
nel nuovo ordinamento delle autonomie locali –art. 58 della legge 08.06.1990 n. 142– è previsto che l’azione di responsabilità si prescrive col decorso del quinquennio “dalla commissione del fatto”.
Tale espressione, secondo giurisprudenza di questa Corte, deve essere intesa nel senso che non è sufficiente a dare inizio al periodo prescrizionale il semplice compimento della condotta trasgressiva degli obblighi di servizio dalla quale non sia ancora scaturito alcun nocumento all’ente pubblico, posto che l’elemento “fatto” comprende non solo la condotta del soggetto ma anche l’evento dannoso che ad essa consegue (cfr. Sez. II, 03.02.1999 n. 28/A; Sez. giurisd. reg. Lazio, 25.09.2000 n. 1544/R).
Un indirizzo interpretativo del tutto analogo è stato poi adottato a proposito dell’art. 1, secondo comma, della legge 14.01.1994, n. 20 (come sostituito con legge 20.12.1996, n. 639) -per il quale il diritto al risarcimento del danno si prescrive in ogni caso in cinque anni, decorrenti dalla data in cui si è verificato il “fatto dannoso” (ovvero, in caso d’occultamento doloso del danno, dalla data della sua scoperta)–, affermandosi che ai fini dell’individuazione del “dies a quo” della prescrizione, ai sensi del citato art. 1 l. n. 20/1994 occorre avere riguardo alla fattispecie costituita da condotta ed evento dannoso, che si completa al verificarsi di quest’ultimo, vale a dire del depauperamento dell’amministrazione o dell’ente (cfr. Corte dei Conti – Sezioni II, 19.10.1998 n. 212/A).
Tanto premesso, ritiene il Collegio di non poter condividere la tesi di parte attrice secondo la quale si tratterebbe, nella specie, di illecito permanente caratterizzato dal protrarsi nel tempo della condotta antidoverosa la quale dovrebbe, perciò, essere considerata una condotta unica continuata, con conseguente spostamento “in avanti”, sino alla sua cessazione, del "dies a quo" per l'inizio del computo del termine prescrizionale.
In realtà, la contestata vicenda di danno, pur nella sua sostanziale unitarietà, risulta articolata in segmenti temporali corrispondenti ai singoli anni controversi (2000–2009), cui le specifiche minori entrate sono state riferite.
D’altra parte, il criterio -poi confermato dalla Procura attrice– per mezzo del quale il Comune di Vergato è pervenuto alla determinazione del danno in discussione è consistito proprio nel calcolare il mancato adeguamento del costo di costruzione anno per anno, a partire dal 2000 fino al 2009, individuando l’ammontare delle minori entrate per ogni singolo esercizio finanziario ed il loro ammontare complessivo (pari a € 386.711,64).
La decorrenza della prescrizione della domanda risarcitoria va quindi stabilita tenendo conto del criterio appena evidenziato, ovvero avendo riguardo al danno come perdita di entrate contributive subita dal Comune in riferimento ad ogni specifico anno oggetto di contestazione.
Resta da aggiungere che, non sussistendo nella fattispecie alcun occultamento doloso,
il mancato adeguamento automatico del costo di costruzione era comunque rilevabile, e dunque obiettivamente conoscibile, già all’interno di ogni esercizio finanziario di riferimento, attraverso le normali procedure di controllo e di revisione previste dal T.U.EE.LL. (d.lgs. n. 267/2000).
Ne discende, ad avviso del Collegio, che il “dies a quo” del termine prescrizionale deve essere fatto coincidere, anno per anno, con la chiusura dell’esercizio finanziario di riferimento, e pertanto, poiché il primo atto interruttivo del termine prescrizionale (quinquennale) va individuato nell’invito a dedurre emesso il 16.03.2010 dalla Procura attrice, la pretesa risarcitoria azionata da quest’ultima risulta prescritta in relazione al danno per le minori entrate contributive riferite agli anni 2000, 2001, 2002, 2003 e 2004.
L’accertata parziale prescrizione del danno nei termini appena specificati conduce a ritenere assorbita, relativamente e limitatamente agli anni sopra indicati (2000–2004), ogni ulteriore questione dedotta in atti.
---------------
5) Quanto, invece, alla parte restante del danno, costituita dalla perdita di entrate contributive realizzata nel periodo dall'01.01.2005 all’ottobre 2009, occorre prendere le mosse dalla considerazione che tale periodo ricade interamente sotto il vigore del citato Testo unico dell’edilizia (d.P.R. n. 380 del 2001).
Questo corpo normativo è stato emanato –unitamente al d.lgs. 06.06.2001 n. 378, recante “Disposizioni legislative in materia edilizia. (Testo B)” e al d.P.R. 06.06.2001 n. 379 recante “Disposizioni regolamentari in materia edilizia. (Testo C)”- in esecuzione delle norme e dei principi di cui alla legge 08.03.1999, n. 50 (“Delegificazione e testi unici di norme concernenti procedimenti amministrativi – Legge di semplificazione 1998”), che prevedeva, in attuazione dell'art. 20, comma 1, della legge 15.03.1997, n. 59 (c.d. “legge Bassanini”), l’emanazione di regolamenti (ai sensi dell'art. 17, comma 2, della legge 23.08.1988, n. 400) per la delegificazione e la semplificazione dei procedimenti amministrativi (art. 1), nonché il riordino delle norme legislative e regolamentari disciplinanti varie fattispecie e materie “mediante l'emanazione di testi unici riguardanti materie e settori omogenei, comprendenti, in un unico contesto e con le opportune evidenziazioni, le disposizioni legislative e regolamentari” (art. 7).
Le norme del d.P.R. n. 380 del 2001 che interessano in particolare ai fini dell’odierno giudizio sono già state riportate al punto 2.b) della presente esposizione in diritto, cui si rinvia.
Qui preme osservare che le norme anzidette hanno ripreso i contenuti sostanziali delle preesistenti disposizioni della legge n. 10 del 1977 in coerenza, peraltro, ai limiti di intervento del legislatore delegato come segnati dai principi e criteri direttivi fissati dall’art. 7, comma 2, della legge n. 50 del 1999, tra cui il “coordinamento formale delle disposizioni vigenti, apportando, nei limiti di detto coordinamento, le modifiche necessarie per garantire la coerenza logica e sistematica della normativa anche al fine di adeguare e semplificare il linguaggio normativo” (v. art. 7, comma 2, lett. d).
In altre parole, il legislatore delegato, con l’emanazione del Testo unico in oggetto, ha realizzato un unico quadro normativo delle preesistenti disposizioni nella materia che occupa, effettuando un’opera di ricognizione, coordinamento e razionalizzazione delle stesse senza, comunque, introdurre innovazioni sostanziali rispetto al sistema normativo previgente.
Ad avviso del Collegio, in un siffatto contesto non appare quindi configurabile alcuna radicale discontinuità delle disposizioni de quibus raccolte nel Testo unico n. 380 del 2001 rispetto a quelle della legge n. 10 del 1977 sulla edificabilità dei suoli, tale da poter giustificare, per quanto qui interessa, dubbi ed incertezze applicative in ordine alla determinazione del contributo afferente al costo di costruzione.
Ciò anche a voler considerare l’aspetto innovativo riferito alla sostituzione della concessione edilizia con il “permesso di costruire”, che tuttavia non ha comportato modifiche di rilevanza sostanziale alla disciplina del costo di costruzione, come del resto può desumersi dal raffronto tra le sopra riportate disposizioni degli artt. 3 (“contributo per il rilascio della concessione”) e 6 (“determinazione del costo di costruzione”) della legge n. 10 del 1977 e le corrispondenti disposizioni dell’art. 16 (“contributo per il rilascio del permesso di costruire”) del d.P.R. n. 380 del 2001 nonché degli artt. 27 (“contributo di costruzione”) e 29 (“costo di costruzione”) della legge Emilia Romagna n. 31 del 2002.
Al riguardo, peraltro, non appare superfluo osservare che nel presente giudizio oggetto di contestazione non è un (ipotetico) “cattivo” uso del potere abilitativo del Comune in ordine all’attività edificatoria, bensì il mancato aggiornamento ISTAT, negli anni sopra specificati (2005–2009), del costo di costruzione da determinarsi (ed effettivamente determinato) all’atto del rilascio dei provvedimenti di autorizzazione a costruire; provvedimenti -giova sottolinearlo– che in questa sede non hanno formato oggetto di alcuna censura.
---------------
6) Passando al merito degli addebiti mossi a carico dell’odierno convenuto, occorre anzitutto soffermarsi sulla collocazione dell’Unità Operativa “Urbanistica–Edilizia Privata–Ambiente” all’interno del sistema di organizzazione del Comune come ridefinito (con deliberazione di giunta n. 120 del 02.11.2000) a seguito dell’entrata in vigore del decreto legislativo 18.08.2000 n. 267 (T.U. Enti Locali), ed ordinato per “Aree” comprendenti, a loro interno, più Unità Operative.
Orbene, la suddetta Unità Operativa “Urbanistica–Edilizia Privata–Ambiente”, della quale il sig. ... è stato Responsabile dal 2001 al luglio 2009, rappresenta un’articolazione dell’Area n. 3 – “Servizi per la Collettività ed il Territorio” comprendente, oltre alla menzionata Unità, anche le Unità Operative "Attività Produttive-Sportello unico-Turismo (escluso quello culturale)", "Lavori Pubblici e manutenzione” e "Polizia Municipale-Protezione civile".
Come desumibile dalla documentazione in atti (v. Statuto del Comune e Piani Esecutivi di Gestione), l’Unità Operativa in questione, sostitutiva (dall’anno 2001) del Settore “Urbanistica e Ambiente”, ancorché costituisca, così come le altre Unità Operative, una struttura interna (all’Area n. 3) di tipo non apicale, risulta comunque dotata, negli specifici ambiti di competenza, di autonomia funzionale e gestionale per il conseguimento degli obiettivi programmati, con imputazione dei relativi capitoli di bilancio (42035 - oneri su costo di costruzione; 42036 – oneri di urbanizzazione primaria; 42037 – oneri di urbanizzazione secondaria…).
D’altra parte, giusta quanto precisato dal Comune di Vergato, e come sottolineato dalla Procura attrice, senza alcuna contestazione difensiva sul punto, il geom. ..., anche dopo la “trasformazione” del Settore “Urbanistica e Ambiente” in Unità Operativa “Urbanistica–Edilizia Privata–Ambiente”, all’esito allo svolgimento “delle attività istruttorie di natura tecnica in materia urbanistica ed edilizia” provvedeva “autonomamente all’adozione del provvedimento finale” (v. “Prospetto dotazione organica del servizio” trasmesso con nota sindacale 08.01.2010, prot. n. 213), in piena continuità con le funzioni di Responsabile di Settore precedentemente esplicate.
In altre parole, anche successivamente alla creazione -unitamente alla figura dei relativi Responsabili- delle “Aree”, individuate come “strutture operative di massima dimensione, finalizzate a garantire l’efficacia dell’intervento nell’ambito di materie aventi caratteristiche omogenee” (v. Statuto del Comune di Vergato) ed articolate, a loro volta, in Unità Operative, l’intero procedimento abilitativo edilizio, e quindi la determinazione del contributo di costruzione (oneri di urbanizzazione e costo di costruzione) in sede di rilascio del permesso di costruzione, continuava a fare capo, in via diretta, al geom. ..., nella sua qualità di Responsabile della Unità Operativa “Urbanistica–Edilizia Privata–Ambiente”.
Tanto chiarito, va subito aggiunto che
l’adeguamento annuo del costo di costruzione secondo l’indice ISTAT, disciplinato dalla normativa dianzi richiamata (v. art. 16 d.P.R. n. 380/2001; artt. 27 e 29 l.reg. Emilia Romagna n. 31/2002), rientra indiscutibilmente nell’ambito del procedimento autorizzatorio di cui sopra, trattandosi di adempimento strettamente connesso all’esatto computo del contributo dovuto in relazione al permesso di costruire.
Appare perciò evidente, ad avviso del Collegio, che
anche per tale adempimento l’ordinaria competenza a provvedere (appartenesse e) appartenga al Responsabile della Unità Operativa interessata, più che al Responsabile dell’Area di riferimento (“Servizi per la Collettività ed il Territorio”) o agli organi deliberativi dell’Ente.
D’altro canto,
l’aggiornamento in questione si risolve in una operazione di calcolo da effettuarsi sulla base di un parametro -la variazione ISTAT- fissato da prescrizioni legislative (statali e regionali) alla stregua delle quali si sarebbe dovuto provvedere automaticamente anno per anno, senza alcuna possibilità di valutazioni ed apprezzamenti discrezionali da parte degli organi di governo comunali trattandosi, invero, di adeguamento comunque obbligatorio per legge.
Sul punto
le disposizioni di riferimento, vale a dire l’art. 16, comma 9, del d.P.R. n. 380/2001 –testualmente riproduttivo, in parte qua, dell’art. 6, comma 3, della legge n. 10 del 1977– e l’art. 29, comma 3, della legge regionale Emilia Romagna n. 31 del 2002, risultano univocamente chiare e vincolanti nel prevedere che nei periodi intercorrenti tra le determinazioni regionali il costo di costruzione è adeguato annualmente dai Comuni “in ragione dell'intervenuta variazione dei costi di costruzione accertata dall'Istituto nazionale di statistica”, con l’ulteriore rilevante precisazione, nella norma statale appena citata, che all’adeguamento si procede anche “in eventuale assenza di tali determinazioni” ed “autonomamente.
---------------
7) Per quanto precede, ritiene il Collegio che nella fattispecie in esame, riguardo al mancato adeguamento annuale del costo di costruzione, si sia verificata una situazione di illegittima omissione a provvedere da parte del Comune.
Omissione in primo luogo imputabile al geom. ... il quale, nella sua veste di Responsabile della competente Unità Operativa, avrebbe dovuto dare piena e continuativa attuazione, anche dopo l’entrata in vigore del Testo Unico dell’edilizia, alla delibera del Consiglio Comunale n. 58 del 29.09.1999 (di recepimento della deliberazione del Consiglio Regionale n. 1108 in data 29.03.1999) aggiornando annualmente, con propria determinazione, il costo di costruzione, così come stabilito al punto 4) del dispositivo della delibera medesima; adempimento, del resto, di non particolare complessità, già curato dall’odierno convenuto in riferimento all’anno 2001 mediante l’adozione della determinazione n. 58 del 20.12.2000.
Né il contestato inadempimento può trovare valida giustificazione nel documento denominato “Appunti per una discussione della Giunta in merito alla pianificazione urbanistica comunale e ai primi adempimenti conseguenti alla nuova legge di disciplina dell’attività edilizia” allegato dalla difesa del convenuto.
Trattasi infatti, come anche sottolineato dall’Organo requirente, di documento –senza data e senza alcuna sottoscrizione- del quale non è affatto chiara la provenienza, privo comunque di qualsiasi valenza autoritativa e decisoria ed inidoneo, pertanto, ad esplicare efficacia vincolante nei confronti del convenuto, e ciò a fronte –è bene ripeterlo- sia del perdurante obbligo, normativamente espresso, di adeguare annualmente il costo di costruzione, sia del menzionato atto deliberativo comunale (delib. cons. n. 58 del 29.09.1999) che poneva tale incombente a carico del “Capo Settore Urbanistica” (ora Unità Operativa “Urbanistica–Edilizia Privata–Ambiente”).
Incombente, peraltro, mai revocato, né formalmente né implicitamente, ed anzi ribadito, con richiamo testuale ai precedenti e sottostanti provvedimenti regionale (delib. cons. n. 1108/1999) e comunale (delib. cons. n. 58/1999), dalla deliberazione di giunta n. 105 in data 08.10.2009 con la quale, nel prendere atto “…della necessità di procedersi all’aggiornamento del costo di costruzione ai sensi della deliberazione di Consiglio Regionale n. 1108/1999 e della deliberazione di Consiglio Comunale n. 58/1999, alla luce delle intervenute variazioni dei costi di costruzione accertata dall’ISTAT”, si disponeva che il Responsabile della U.O. “Urbanistica Edilizia Privata e Ambiente” avrebbe provveduto “all’aggiornamento annuale ed autonomo del predetto costo di costruzione, secondo le modalità di cui alla deliberazione di CR n. 1108/1999”.
Il che sta a confermare, con tutta evidenza, la piena e perdurante validità ed efficacia delle due suindicate delibere (regionale e comunale) del 1999 anche oltre l’entrata in vigore del Testo unico dell’edilizia.
---------------
8) In sostanza, dunque, il mancato aggiornamento del costo di costruzione configura, ai fini del presente giudizio, una condotta omissiva dell’odierno convenuto qualificabile, se non come dolosa, certamente come gravemente colposa.
A questo riguardo, osserva il Collegio come
nella fattispecie in esame difettino i profili del c.d. dolo “erariale” o “contrattuale, peraltro solo adombrato dalla Procura attrice, non risultando il comportamento del sig. ... improntato a consapevole volontà del medesimo di agire in violazione dei propri doveri d’ufficio e di arrecare un ingiusto pregiudizio all’Ente.
Nella condotta del sunnominato ricorrono, tuttavia, gli elementi della colpa grave, ove si consideri, anzitutto, che l’aggiornamento annuale del costo di costruzione -operazione, come già detto, di relativa semplicità- postulava un dovere particolarmente pregnante e puntuale di diligenza nell’adempimento di tale obbligo, specie per i connessi rilevanti riflessi sulle finanze del Comune.
Va inoltre evidenziato che
l’inadempienza si è protratta per svariati anni senza che il convenuto abbia mai adottato, nell’ambito dell’autonomia di competenze non meramente esecutive di cui in precedenza si è fatto cenno, alcuna concreta, documentata iniziativa di natura “operativa”, o anche solo “sollecitatoria” e/o “propositiva”, volta a definire la vicenda dell’adeguamento ISTAT di cui si discute; vicenda, occorre ribadirlo, coinvolgente, in via diretta ed immediata, l’importante attività gestionale in materia di edilizia privata propriamente riservata all’Unità Operativa (“Urbanistica–Edilizia Privata–Ambiente”) della quale il sig. ... era Responsabile.
In altre parole,
viene qui in rilievo la prolungata, ingiustificata inerzia del convenuto in ordine all’adeguamento del costo di costruzione, inerzia da ritenersi e valutarsi quale espressione di inescusabile e macroscopica superficialità nella cura dell’attività gestoria di un settore comunale, quello dell’edilizia privata, di assoluto rilievo.
Per quanto sin qui dedotto,
il Collegio ritiene dunque sussistente una condotta gravemente colposa del sig. ..., direttamente causativa, nella misura che si andrà a specificare, del danno alle finanze comunali perseguito in questa sede.
---------------
9) Ciò posto, la condotta omissiva del sunnominato va però collocata in un certo contesto fattuale, del quale occorre tenere debitamente conto ai fini della delimitazione della responsabilità posta a carico del convenuto medesimo.
In particolare, con riferimento alla questione che ne occupa, non risulta che i già menzionati “Appunti per una discussione della Giunta in merito alla pianificazione urbanistica comunale e ai primi adempimenti conseguenti alla nuova legge di disciplina dell’attività edilizia” –ove risulta annotato, a proposito del contributo di costruzione, che “Anche in questo caso non sono necessarie, ora, scelte particolari; occorre infatti attendere le nuove determinazione del consiglio regionale e quindi le tabelle per contributi e oneri rimangono quelle in vigore. E' facoltà del Consiglio Comunale l'adeguamento del costo di costruzione sulla semplice base dei dati ISTAT.”- siano stati poi tradotti in formali deliberati del Comune contenenti disposizioni o indicazioni in ordine all’adeguamento del costo di costruzione.
In realtà, allo stato degli atti, nel periodo intercorso tra la determinazione n. 58 del 28.12.2000 (oggetto: Aggiornamento costo di costruzione) adottata dal geom. ... e la delibera giuntale n. 105 in data 08.10.2009 (oggetto: “Aggiornamento ISTAT costo di costruzione”) conseguente alla relazione in pari data dell’arch. ... - subentrata al geom. ... nella responsabilità dell’Unità Operativa Urbanistica–Edilizia Privata–Ambiente-, nessun organo comunale, elettivo e non, risulta in alcun modo essersi formalmente attivato, nell’ambito dell’esercizio delle proprie peculiari competenze, perché le modalità dell’adeguamento ISTAT del costo di costruzione ricevessero certa e sollecita definizione nel vigore della nuova normativa statale e regionale (d.P.R. n. 380/2001 e l.reg. Emilia Romagna n. 31/2002);
fermo restando comunque, come già sottolineato, l’obbligo, non la mera facoltà, del Comune di provvedere a tale adeguamento.
D’altra parte,
anche ammesso e non concesso (stante il chiaro dettato normativo) che fosse effettiva facoltà del Consiglio Comunale deliberare, sulla base di una valutazione politica e discrezionale, in ordine all’adeguamento o meno del costo di costruzione, in ogni caso una tale decisione avrebbe dovuto essere formalizzata con uno specifico atto consiliare (con piena assunzione della conseguente responsabilità); il che non è avvenuto, né le delibere di adozione di variante al PRG (n. 39 dell’11-04-2003; n. 48 del 28-04-2003; n. 35 del 21-04-2009) richiamate nella memoria di costituzione del convenuto (vedasi pag. 6), ed alla stessa allegate, esprimono alcuna volontà politico-amministrativa di mantenere fermo il costo anzidetto.
Non si può, inoltre, non evidenziare come abbia fatto assoluto difetto, nella vicenda in esame, l’esercizio da parte dei dirigenti succedutisi nella carica di Responsabile dell’Area n. 3 (“Servizi per la Collettività ed il Territorio”) dei propri poteri di direttiva, di impulso e di controllo, quando non sostitutivi, in relazione alla specifica attività svolta dall’Unità Operativa “Urbanistica–Edilizia Privata–Ambiente”.
In conclusione, al di là di ipotizzabili profili di responsabilità la cui valutazione appartiene prioritariamente alla competenza della Procura Requirente,
resta il fatto che l’assenza di una qualunque iniziativa da parte dei vari soggetti comunali (in primis Consiglio, Giunta e dirigenti Responsabili dell’Area 3), comunque coinvolti dalla discussa problematica in ragione delle rispettive attribuzioni, ha consentito che la grave anomalia gestionale rappresentata dal mancato adeguamento del costo di costruzione si protraesse per diversi anni in una situazione di persistente inazione dell’amministrazione; situazione che ha senza dubbio contribuito al progressivo formarsi dell’ingente danno per cui è causa.
Tutto ciò risulta ancora più evidente se si considera che, a distanza di anni dall’entrata in vigore della nuova normativa sull’edilizia, è bastata la relazione dell’08.10.2009 dell’arch. ... per attivare il potere deliberativo della Giunta e provvedere all’aggiornamento del costo di costruzione (vedasi deliberazione n. 105 in data 08.10.2009) senza, peraltro, che nel frattempo il Consiglio Regionale avesse adottato alcuna nuova determinazione in materia.
Del resto, e vale la pena di rimarcarlo, nella menzionata relazione si espone testualmente che “
Le procedure di approvazione dell'aggiornamento cambiano secondo indirizzi interni ai Comuni, che non si è potuto riscontrare, a volte delibera di giunta, altre volte determina del responsabile urbanistica-edilizia, ma il riscontro dell'aggiornamento si è potuto avere in quasi tutti i comuni. Tuttavia la scrivente si è premurata di contattare la Regione, dalla quale ha ricevuto rassicurazioni sulla non rilevanza relativamente alla procedura di approvazione, ma certezza sull'obbligo dei comuni di procedere all'aggiornamento” (vedasi pag. 4), a riprova del fatto che se in precedenza i vari organi comunali avessero prestato, ognuno nell’ambito delle proprie prerogative, maggiore cura e attenzione circa la corretta applicazione della procedura di calcolo del costo di costruzione, l’ammontare del danno sarebbe risultato di gran lunga inferiore a quello poi accertato, o forse non si sarebbe realizzato.
Ritiene pertanto il Collegio che nella dedotta vicenda
il mancato intervento degli altri soggetti comunali interessati, concretizzatosi anch’esso in una continuata ed assolutamente ingiustificabile inerzia, pur non facendo venire meno la responsabilità per colpa grave dell’odierno convenuto assuma, tuttavia, concorrente rilevanza nella produzione dell’evento dannoso.
Tale apporto concausale, valutato con riguardo all’insieme delle accennate condotte “inattive”, appare complessivamente stimabile, per la notevole incidenza che esso ha avuto sul protrarsi per anni dell’inadempimento dell’obbligo di adeguamento del costo di costruzione, nella misura del 75 per cento, con corrispondente riduzione al 25 per cento della percentuale di responsabilità restante a carico del sig. ....
---------------
10) Si pone, a questo punto, il problema della quantificazione del danno derivato al Comune dal mancato adeguamento annuale del costo di costruzione; ciò limitatamente al periodo gennaio 2005–ottobre 2009, essendo il periodo precedente coperto, come già detto, da prescrizione.
Al riguardo si deve tornare a rilevare che il danno in questione è costituito dalle minori entrate contributive conseguenti al minor importo, rispetto al dovuto, del costo di costruzione quale determinato dallo stesso geom. ... nell’ambito del rilascio dei permessi di costruire relativi alle pratiche edilizie definite anno per anno.
Pratiche che come già evidenziato nel corso della presente esposizione, e come anche osservato in citazione dalla Procura attrice, non hanno formato oggetto, né in sede amministrativa né in questa sede giurisdizionale, di alcuna contestazione sotto alcun altro profilo diverso dal mancato adeguamento ISTAT del costo di costruzione.
Ne consegue che i rilievi formulati dalla difesa del convenuto per il periodo dal 2005 in poi, e riportati al punto 6) della parte narrativa della presente sentenza (cui si rimanda), appaiono non risolutivi per quanto qui ci occupa, siccome involgenti aspetti e problematiche dei titoli abilitativi a costruire (quali attività edilizie dovessero scontare il costo di costruzione, quali fossero a costo pieno, quali a costo ridotto, quali esenti; …diversità dei costi da scontare a seconda delle varie tipologie di attività…inapplicabilità di alcun tipo di adeguamento del costo di costruzione per i permessi di costruire dei nuovi edifici ad uso terziario; diversa disciplina per le pratiche relative alle ristrutturazioni e alle DIA…) che non possono influire sull’accertamento del quantum del costo di costruzione non introitato dal Comune a causa della mancata applicazione, anno per anno, del meccanismo adeguativo previsto dalla normativa in materia.
Ciò in quanto il dato sostanziale su cui l’Amministrazione ha computato, ai fini risarcitori, l’adeguamento annuale ISTAT è il costo di costruzione, comprendente l’aumento (non aggiornato) a suo tempo applicato, quale risultato del relativo procedimento tecnico all’uopo utilizzato proprio dal geom. ... nelle varie pratiche edilizie come trattate e definite dallo stesso e che non possono ora, in questa sede, essere sottoposte ad una verifica generalizzata stante, tra l’altro, l’assoluta mancanza di indicazione, riguardo alle stesse, di ulteriori circostanze ed elementi concreti e specifici che sarebbe stato onere del convenuto allegare.
A tale proposito, giova richiamare testualmente alcuni passaggi della nota prot. n. 7924 del 14.06.2010 inviata dal Comune di Vergato alla Procura Regionale, ove si precisa -in ordine alle modalità di calcolo del danno erariale– “che il calcolo è stato disposto in relazione alle somme effettivamente accertate per ciascun esercizio finanziario a titolo di costo di costruzione (capitolo di entrata 4035-000 tit. 4 cat. 5, risorsa 44217), pertanto già separato dall'introito per oneri di urbanizzazione (che compongono la voce complessiva del contributo di costruzione dovuto dal cittadino).
Per quanto concerne le osservazioni in ordine alla legittimazione della richiesta del costo di costruzione di cui alla memoria difensiva (e quindi alla differenziazione tra edifici residenziali e terziari, alle verifiche relative alla data di presentazione della pratica, alla distinzione tra nuove costruzioni e ristrutturazioni) si precisa che il calcolo è stato effettuato utilizzando come base sostanziale gli accertamenti tecnici e l'istruttoria già compiuta dal dipendente in ordine rispettivamente alla ricorrenza del titolo legittimante la richiesta del costo di costruzione, alla definizione dei parametri temporali di applicazione ed alla definizione della base di calcolo (vale a dire presupponendo in via esclusiva che l'applicazione del costo di costruzione fosse erronea solo nella quantificazione dell'importo unitario).
Diversamente opinando si dovrebbe ipotizzare una verifica caso per caso con conseguente riesame istruttorio di ciascuna pratica del periodo interessato, con conseguente paralisi delle attività ordinarie dell'Ente. Per questo motivo la formulazione del calcolo del danno erariale (pari ad euro 386.711,64) è stata determinata dall'applicazione per ciascun anno della % di aumento ISTAT effettivamente dovuta e non applicata. Da tale somma è stato scomputato l'aumento percentuale formalmente praticato con decorrenza 2001 (come di seguito specificato). Per la medesima ragione nella quantificazione del danno non si è tenuto in considerazione l'asserito arrotondamento eseguito dal dipendente a € 500,00, posto che lo stesso non risulta formalizzato in alcun atto…
”.
La stessa Amministrazione comunale ha inoltre prodotto un prospetto -a firma del Sindaco– di quantificazione delle minori entrate contributive accertate anno per anno, nel quale sono esposti, per il periodo che qui interessa (2005-2009), i seguenti dati:
- esercizio 2005: “entrata accertata = € 303.674,06; atto di aggiornamento - determina URB 58/2000; cc corretto = € 556,59; ISTAT annuo = 4,3900%; ISTAT totale = € 119,7452%; ISTAT totale = 19,7452%; aumento % ISTAT formalmente applicato = 1,8500%; entrata accertata depurata dell’aumento formalmente applicato = € 298.158,13; aumento applicato su totale accertato = € 5.515,9255; aumento effettivamente dovuto su totale accertato = € 58.871,8626; minore entrata = € 53.355,9371”;
- esercizio 2006: “entrata accertata = € 296.041,52; atto di aggiornamento - determina URB 58/2000; cc corretto = € 577,55; ISTAT annuo = 3,7700%; ISTAT totale = € 124,2596%; ISTAT totale = 24.2596%; aumento % ISTAT formalmente applicato = 1,8500%; entrata accertata depurata dell’aumento formalmente applicato = € 290.693,69; aumento applicato su totale accertato = € 5.377,8332; aumento effettivamente dovuto su totale accertato = € 70.521,0503; minore entrata = € 65.143,2170”;
- esercizio 2007: “entrata accertata = € 254.035,98; atto di aggiornamento - determina URB 58/2000; cc corretto = € 595,58; ISTAT annuo = 3,1200%; ISTAT totale = € 128,1365%; ISTAT totale = 28,1365%; aumento % ISTAT formalmente applicato = 1,8500%; entrata accertata depurata dell’aumento formalmente applicato = € 249.421,68; aumento applicato su totale accertato = € 4.614,3011; aumento effettivamente dovuto su totale accertato = € 70.178,4628; minore entrata = € 65.564,1617”;
- esercizio 2008; “entrata accertata = € 206.657,90; atto di aggiornamento - determina URB 58/2000; cc corretto = € 625,36; ISTAT annuo = 5,000%; ISTAT totale = € 134,5433%; ISTAT totale = 34,5433%; aumento % ISTAT formalmente applicato = 1,8500%; entrata accertata depurata dell’aumento formalmente applicato = € 202.904,17; aumento applicato su totale accertato = € 3.753,7272; aumento effettivamente dovuto su totale accertato = € 70.089,7899; minore entrata = € 66.336,0627”;
- esercizio 2009: “entrata accertata = € 128.047,80; atto di aggiornamento – sino ad aggiornamento (DGC 105/2009-DA3 145/2009); cc corretto = € 654,38; ISTAT annuo = 4,6400%; ISTAT totale = € 140,7861%; ISTAT totale = 40,7861%; aumento % ISTAT formalmente applicato = 1,8500%; entrata accertata depurata dell’aumento formalmente applicato = € 125.721,94; aumento applicato su totale accertato = € 2.325,8560; aumento effettivamente dovuto su totale accertato = € 51.277,0846; minore entrata = € 48.951,2286”.
Ebbene, ritiene il Collegio che i dati appena riportati diano sufficientemente conto del complessivo importo, determinato per arrotondamento in € 299.000, del danno derivato al Comune da minori entrate contributive per mancato adeguamento del costo di costruzione relativamente alle pratiche edilizie definite dall’odierno convenuto nel periodo gennaio 2005–ottobre 2009.
Né d’altra parte, a fronte di tali dati oggettivamente accertati, il convenuto medesimo ha allegato elementi probatori contrari, certi e concreti idonei a dimostrare quanto dedotto nella memoria di costituzione sul fatto che “per moltissime pratiche le entrate introitate dal Comune sono state addirittura superiori a quelle che avrebbe potuto pretendere con l'applicazione rigorosa della l.r. 31/2002 …., è pacifico che il danno richiesto non sia corretto, ma sia molto maggiore di quello effettivamente e se del caso sussistente subito dall'amministrazione” ed “addirittura c'è ragione di credere che il Comune di Vergato non abbia registrato alcuna perdita” (vedasi pag. 26 della memoria difensiva).
Da quanto sopra considerato discende, dunque, che la quota parte di danno addebitabile al sig. ..., pari al 25 per cento dell’importo di € 299.000, risulta fissata in € 74.750.
Inoltre, sempre ad avviso del Collegio, ricorrono i presupposti per un moderato esercizio del potere riduttivo dell’addebito tenuto conto, in particolare, delle circostanze di incertezza amministrativa nel cui contesto il geom. ... ebbe ad operare all’epoca dei fatti di causa; tale riduzione appare equamente calcolabile nella misura del 20 per cento, con susseguente determinazione dell’addebito nel conclusivo importo (arrotondato) pari a € 60.000, comprensivo degli accessori maturati sino alla presente sentenza.
---------------
11) Conclusivamente, va quindi affermata la responsabilità amministrativa dell’odierno convenuto sig. ... per i fatti di cui è causa, con conseguente condanna dello stesso al risarcimento in favore del Comune di Vergato della somma di € 60.0000 (sessantamila), cui devono aggiungersi gli interessi legali dalla data di deposito della presente sentenza sino al saldo; salvo a tenere conto in sede di esecuzione, nella sopra specificata misura del 25 per cento, di quanto eventualmente altrimenti recuperato dal predetto Comune, in via di autotutela ed a titolo di conguaglio, nei confronti dei beneficiari dei provvedimenti autorizzatori edilizi in relazione ai quali, nel periodo di riferimento (2005-ottobre 2009), non si è provveduto alla determinazione del costo di costruzione nella misura aggiornata (Corte dei Conti, Sez. giurisdiz. Emilia Romagna, sentenza 31.05.2011 n. 265).

Tutto qui ??

     Invero, la sentenza de qua è ancor più attuale se si pensa alle ulteriori due fattispecie di attività amministrativa vincolata che riguarda l'UTC ed il Consiglio Comunale ovverosia:

 

2. AGGIORNAMENTO BIENNALE DEGLI IMPORTI DEI DIRITTI DI SEGRETERIA RIGUARDANTI L’AUTORIZZAZIONE EDILIZIA E LA D.I.A.
     Il comma 50 dell'art. 1 Legge 30.12.2004 n. 311 ha sostituito, da ultimo, la lettera c) del comma 10 dell’art. 10 del D.L. 18.01.1993 n. 8 convertito, con modificazioni, dalla legge 19.03.1993 n. 68 in materia di diritti di segreteria di alcuni atti amministrativi attinenti l’Ufficio Tecnico.
    
La suddetta lettera c) così recita: "autorizzazione edilizia, nonché denuncia di inizio dell'attività, ad esclusione di quella per l'eliminazione delle barriere architettoniche, da un valore minimo di euro 51,65 ad un valore massimo di euro 516,46. Tali importi sono soggetti ad aggiornamento biennale in base al 75 per cento della variazione degli indici dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati".
    
Quanto sopra detto è di attualità, evidentemente, qualora le amministrazioni comunali –che non versano nelle situazioni strutturalmente deficitarie di cui all’art. 45 del D.Lgs. 30.12.1992 n. 504, non si siano avvalse della facoltà di cui all’art. 2, comma 15, della legge 15.05.1997 n. 127 (Bassanini-bis) relativamente all’abrogazione dei diritti di segreteria di che trattasi.

3. AGGIORNAMENTO QUINQUENNALE/TRIENNALE DEGLI ONERI DI URBANIZZAZIONE.
     L’art. 16, comma 6, del D.P.R. 06.06.2001 n. 380 (già art. 7, comma 1, della legge 24.12.1993 n. 537) così recita: "Ogni cinque anni i comuni provvedono ad aggiornare gli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria, in conformità alle relative disposizioni regionali, in relazione ai riscontri e prevedibili costi delle opere di urbanizzazione primaria, secondaria e generale".
     In Lombardia, l'art. 44, comma 1, della L.R. 11.03.2005 n. 12 così recita: "Gli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria sono determinati dai comuni, con obbligo di aggiornamento ogni tre anni, in relazione alle previsioni del piano dei servizi e a quelle del programma triennale delle opere pubbliche, tenuto conto dei prevedibili costi delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria, incrementati da quelli riguardanti le spese generali." (ndr: l'obbligo triennale, evidentemente, vale in Lombardia dall'anno 2005 in poi mentre, prima, vigeva l'obbligo quinquennale).
     In questa occasione non approfondiamo alcuni tecnicismi normativi da tenere i considerazione per addivenire alla rideterminazione degli oo.uu. in questione, che rimandiamo ad un prossimo aggiornamento del sito.
     Ci limitiamo soltanto a cogliere l’occasione per richiamare l’attenzione sulla illegittimità della procedura, di cui si è avuta notizia qua e là in Lombardia, adottata da alcune Amministrazioni Comunali nel rideterminare i costi base delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria: infatti, non risulta ammissibile dalla vigente normativa regionale lombarda (procedura già censurata anni addietro dal CO.RE.CO.) aggiornare con la variazione percentuale dell’indice ISTAT (intervenuta dal 1977 ad oggi) i costi base regionali di cui alla deliberazione di C.R. 28.07.1977 n. 557.
     Pertanto, il venire meno dell’obbligatorio controllo interno (parere di legittimità del Segretario Comunale) ed esterno (CO.RE.CO.) sugli atti della pubblica amministrazione, operato dalle normative che ben conosciamo, non ci autorizza proporre, avallare, assumere comportamenti "disinvolti" ovvero esimerci dal contrastare tali comportamenti assunti o che si vorrebbero assumere.

Quindi ??

     Nelle prime due fattispecie illustrate, ossia l'adeguamento annuale del costo base di costruzione e dell'aggiornamento biennale degli importi dei diritti di segreteria, poiché siamo di fronte ad attività vincolata cui la legge non consente alcuna discrezionalità operativa, l'eventuale responsabilità (diretta) è in capo unicamente al dirigente/apicale di settore, il quale provvede in merito con propria determinazione (e non con deliberazione di Giunta Comunale -siccome constatato qua e là nel web- poiché di politico nulla c'è da decidere).

     Nella terza fattispecie, e cioè quella dell'aggiornamento triennale (per la Lombardia) degli oneri di urbanizzazione sulla base degli effettivi costi sostenuti per la realizzazione delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria, siamo altresì in presenza di attività vincolata ma di competenza (e responsabilità diretta) consiliare, il cui consiglio ha margini discrezionali (derivanti da conteggi tabellari) entro cui agire nel determinare i vari importi.
E nel caso di specie sarà bene premurarsi di operare correttamente al fine di evitare ogni responsabilità personale qualora il Consiglio Comunale non deliberi l'obbligatorio aggiornamento triennale e cioè: 1) predisporre per tempo la cartellina di consiglio con tutti gli allegati e/o conteggi di legge; 2) protocollare (perché le parole con contano quando la "rogna" si profila all'orizzonte !!) la lettera di inoltro alla Giunta Comunale della cartellina quale ordine del giorno del prossimo consiglio comunale.

Catastrofismo ?? Terrorismo psicologico ??

     Siamo tutti grandi e vaccinati ed ognuno è libero di agire come meglio crede ... comunque, ai quei comuni (e ce ne sono !!)  che sono 7, 8, 10 anni (e anche di più) che non adeguano gli oneri di urbanizzazione facciamo tanti auguri nella speranza che la Corte dei Conti non suoni il citofono del Palazzo comunale ...
26.01.2012 - LA SEGRETERIA PTPL

AVVISO AI NAVIGANTI DEL PORTALE PTPL:
Il presente sito, con accesso libero, è frutto "artigianale" della passione e dedizione di chi vi opera.
Ricercare le news da pubblicare, nello sconfinato mondo del web, comporta dispendio di tempo inimmaginabile da sottrarre a ciò che rimane dopo il lavoro, la famiglia, i problemi quotidiani, ecc..
Al fine di poter migliorare la qualità dei contenuti del presente sito e la sua efficacia per gli addetti ai lavori -e non solo, si chiede la cortese collaborazione di ogni navigante affinché ci segnali/invii ogni utile materiale da mettere a disposizione di tutti affinché non ci siano differenze interpretative e/o comportamentali tra i vari uffici tecnici comunali, almeno lombardi.
Pertanto, saranno ben gradite segnalazioni (all'indirizzo: info.ptpl@tiscali.it) di sentenze non ancora pubblicate che risultino interessanti per quanto disposto dal giudice, oppure l'invio di quesiti/risposte su argomenti di ordine generale così come note, circolari, pareri e, comunque, ogni altro materiale ritenuto di interesse generale.
Grazie per la collaborazione.
26.01.2012 - LA SEGRETERIA PTPL

NOVITA' NEL SITO

Inserito il nuovo bottone dossier ARIA.

QUESITI & PARERI

APPALTI: Ancora sulla questione del DURC.
La recente
nota 16.01.2012 n. 619 di prot. del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali in materia di DURC ha ribadito, ancora una volta, che lo stesso non può essere autocertificato.
Tuttavia, un piccolo dubbio è rimasto ed è per questo che abbiamo inoltrato, allo stesso Ufficio che ha emanato la nota de qua, il quesito di seguito riportato:

     Abbiamo letto la Vs. nota 16.01.2012 n. 619 di prot. avente per oggetto: Documento Unico di regolarità Contributiva (DURC) - art. 44-bis, D.P.R. n. 445/2000 - non autocertificabilità con la quale si chiarisce che il DURC non è autocertificabile, sempre e comunque, emanata in relazione alla novità di cui alla L. n. 183/2011 in merito al DPR 445/2000.
     Tuttavia, la nota de qua non esamina il contenuto di cui all'art. 4, comma 14-bis, della Legge 12.07.2011 n. 106 il quale così dispone: "14-bis. Per i contratti di forniture e servizi fino a ventimila euro stipulati con la pubblica amministrazione e le società in house, i soggetti contraenti possono produrre una dichiarazione sostitutiva ai sensi dell'articolo 46, comma 1, lettera p), del testo unico di cui al d.P.R. 28.12.2000, n. 445, in luogo del documento di regolarità contributiva. Le amministrazioni procedenti sono tenute ad effettuare controlli periodici sulla veridicità delle dichiarazioni sostitutive, ai sensi dell'articolo 71 del medesimo testo unico di cui al d.P.R. n. 445 del 2000.".
     Orbene, poiché abbiamo ricevuto alcune richieste di chiarimento e siccome il nostro sito web (di libero accesso) è consultato soprattutto da uffici tecnici della Pubblica Amministrazione, con la presente siamo a chiedere un ulteriore chiarimento in materia ovverosia
se la disposizione normativa sopra menzionata sia ancora oggi applicabile, in deroga e per fattispecie limitate (forniture e servizi fino a 20.000,00 € di contratto), oppure la stessa sia da intendere superata implicitamente per il sopravvenire di norma più recente (appunto, la L. n. 183/2011).
     Nell'attesa di un cortese e sollecito riscontro, si ringrazia e si porgono distinti saluti.
18.01.2012 - LA SEGRETERIA PTPL

La risposta (e-mail del 25.01.2012) è stata solerte e, di seguito, ne riproponiamo fedelmente il testo:
     La disposizione normativa di cui all'art. 4, comma 14-bis, L. n. 106/2011, va interpretata alla luce dello specifico ambito settoriale, costituito evidentemente dalle sole fattispecie dei contratti di fornitura e servizi per una soglia non eccedente i 20.000 euro, ovvero consentendo ai contraenti l'esibizione di una dichiarazione sostitutiva, in termini di autocertificazione ex art. 46, comma 1, D.P.R. n. 445/2000, in luogo del DURC.
     Resta, dunque, ferma, in ogni altra ipotesi, la necessità di produrre il DURC, che, come ribadito nella nota ministeriale, non può essere oggetto di autocertificazione.
Dott.ssa Alessia Di Benedetto
Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali
Direzione generale per lattività ispettiva
Via Flavia n. 6 - 00187 Roma
Tel: 06-4683.7288 - e-mail: adibenedetto@lavoro.gov.it

PUBBLICO IMPIEGO: Violazione di un obbligo contrattuale
Lavoratore assente alla visita di controllo domiciliare: quali le sanzioni disciplinari?.
Domanda.
É possibile sanzionare disciplinarmente un dipendente che, assente dal lavoro per malattia, risulti assente alla visita di controllo domiciliare effettuata dal medico del servizio pubblico?
Risposta.
Nel caso in cui un lavoratore risulti assente dal proprio domicilio al momento della visita di controllo (richiesta dal datore di lavoro o dall'Inps), il datore di lavoro può procedere disciplinarmente nei confronti del dipendente.
L'assenza del lavoratore alla visita di controllo domiciliare, infatti, non determina solo conseguenze di carattere economico, ossia la perdita del diritto al trattamento economico di malattia, ma incide anche sul rapporto di lavoro, cosicché il datore di lavoro può sanzionare disciplinarmente tale comportamento del lavoratore.
Peraltro, dal momento che la condotta in esame costituisce violazione di un obbligo derivante direttamente dal contratto di lavoro, si ritiene che ai fini della sanzionabilità di tale condotta non sia necessaria una espressa previsione in tal senso da parte del codice disciplinare; in tal senso si esprime anche la giurisprudenza (Cassaz. 22.04.2004, n. 7691) (24.01.2012 - tratto da www.ipsoa.it).

GURI - GUUE - BURL (e anteprima)

AMBIENTE-ECOLOGIA - APPALTI - ENTI LOCALI - INCARICHI PROFESSIONALI/PROGETTUALI - VARI: G.U. 24.01.2012 n. 19, suppl. ord. n. 18/L, "Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività" (D.L. 24.01.2012 n. 1).

DOTTRINA  E CONTRIBUTI

APPALTI SERVIZI: L. Bellagamba, Pubblica illuminazione, risparmio energetico e finanza tramite terzi (21.01.2012 - link a www.linobellagamba.it).

APPALTI: L. Bellagamba, La comunicazione del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali sulla «non autocertificabilità» del DURC (19.01.2012 - link a www.linobellagamba.it).

APPALTI: F. Federici, Cause esclusione gare appalto: il giudice non può sostituire la lex specialis di gara - Nota a TAR per il Lazio-Latina, sentenza 10.10.2011 n. 792 (link a www.filodiritto.com).

CORTE DEI CONTI

ENTI LOCALI: Mobilità tra Unioni e ASP.
La Corte dei Conti Sez. Reg.le Emilia Romagna, con parere 19.01.2012 n. 3, risponde al seguente quesito del Comune di Savignano sul Rubicone:
"... se, a seguito del trasferimento di un'unità di personale per mobilità volontaria dall'Unione di Comuni (di cui il Comune di Savignano sul Rubicone fa parte) verso un ente sottoposto al patto di stabilità interno (mobilità in uscita), l'Unione dei Comuni può coprire il posto rimasto vacante attraverso la mobilità volontaria in entrata di un dipendente di un'Azienda pubblica per i servizi alla persona (ASP), considerando tale mobilità neutrale al pari di quella in uscita che ha reso il posto vacante."
La Corte, dopo aver ripercorso la normativa in materia di mobilità -sia come istituto giuridico "preferito" dal legislatore per le esigenze di reclutamento nel sistema pubblico in ottica di ottimale distribuzione delle risorse umane nell'ambito dei vari comparti della P.A., che in termini di "neutralità finanziaria" della stessa al ricorrere dei presupposti normativi vigenti (in particolare art. 1, comma 47, L. 311/2004)- formula il proprio parere come segue:
"....in relazione alle Unioni di Comuni, pur trattandosi di enti non sottoposti alle regole del patto di stabilità, sono assoggettati al regime vincolistico in tema di assunzioni di personale previsto dall'articolo 1, comma 562, legge 296/2006 (spesa del personale non superiore a quella sostenuta nel 2004) e, secondo quanto precisato dalle Sezioni Riunite della Corte dei Conti nella deliberazione 3/CONTR/2011, al vincolo relativo all'incidenza della spesa di personale su quella corrente previsto dall'articolo 14, comma 9, d.l. 78/2010 convertito in legge 122/2010. Ne deriva, pertanto, che la mobilità in uscita dell'unità di personale dall'Unione di Comuni verso un ente sottoposto alle regole del patto di stabilità deve essere considerata neutrale dal punto di vista degli effetti finanziari in quanto entrambi i suddetti enti sono sottoposti ad un regime vincolistico in tema di assunzioni di personale.
Le Aziende pubbliche di servizi alla persona (ASP) -che nel caso di specie, dovrebbe essere l'ente cedente l'unità di personale- sono aziende con personalità giuridica di diritto pubblico che nascono dalla trasformazione delle IPAB (.............), sottoposte alla vigilanza dei Comuni singoli o associati (....). Dalla natura giuridica di azienda di diritto pubblico delle ASP discende che anche per tali organismi valgono i vincoli pubblicistici in materia di reclutamento di personale da parte di organismi non societari degli enti locali che discendono direttamente dai principi generali di cui all'art. 97 Cost. in materia di organizzazione e reclutamento del personale alle dipendenze di pubblici uffici (Sez. controllo Lombardia, 350/2011/PAR, Sez. controllo Emilia Romagna, 282/2011/PAR).
In conclusione, ritiene la Sezione che l'operazione che il Comune istante intende realizzare può essere considerata neutrale dal punto di vista finanziario in quanto posta in essere tra enti (Unione di Comuni ed ASP) entrambi sottoposti ad un regime vincolistico in tema di assunzioni di personale, ed in quanto l'operazione di mobilità in entrata ed in uscita è connessa e contemporanea, riguarda il medesimo profilo professionale ed una categoria di inquadramento inferiore cui consegue per l'Unione di Comuni una iniziale riduzione di spesa per il personale
" (tratto da www.publika.it).

INCARICHI PROGETTUALI: Il quesito posto dal Comune, afferisce agli oneri derivanti da eventuale copertura assicurativa per i danni arrecati durante l’espletamento degli incarichi tecnici.
Il Codice dei contratti impone ai professionisti esterni la stipula di apposita polizza, mentre nulla dispone per gli incarichi di direzione lavori, coordinatore della sicurezza e collaudo (anche se nulla esclude che le amministrazioni, in sede di bando di gara o capitolato, possano imporre ai professionisti esterni, nei limiti della proporzionalità alla natura e complessità dell’incarico affidato, la stipula di apposita polizza a copertura dei rischi professionali).
---------------
- il Codice dei contratti ed il Regolamento attuativo non impongono al Comune di sostenere la spesa della polizza per la copertura assicurativa dei rischi derivanti dalla responsabilità civile per i danni arrecati a terzi da propri dipendenti incaricati della funzione di responsabile unico del procedimento, direzione lavori, coordinamento per la sicurezza e collaudo.
Deve stipularla, invece, in virtù dell’espressa previsione legislativa (art. 90, comma 5, e 112, comma 4-bis, d.lgs. 163/2006) e regolamentare (art. 270 DPR n. 207/2010), per i dipendenti interni incaricati della progettazione e nella misura prevista dalle norme richiamate;
- il Comune, in aderenza alle previsioni del Contratto collettivo nazionale, può stipulare apposita copertura assicurativa per i rischi derivanti da responsabilità civile professionale verso terzi di propri dipendenti, purché e nei limiti in cui gli incarichi di RUP (e responsabile del procedimento ai sensi della legge n. 241/1990), direzione lavori, coordinatore per la sicurezza e collaudatore siano ricompresi negli incarichi per i quali, ai sensi del predetto CCNL, può essere stipulata, con oneri a carico del Comune, apposita polizza assicurativa (si rinvia agli artt. 43 del CCNL 14.09.2000 e 8 del CCNL 31/03/1999 del Comparto Regioni e autonomie locali).
Rimane fermo che un ente pubblico può assicurare quei rischi che rientrino nella sfera della propria responsabilità patrimoniale e che trasferiscano all'assicuratore la responsabilità patrimoniale stessa, mentre sarebbe priva di giustificazione e, come tale, causativa di danno erariale, l'assicurazione di eventi per i quali l'ente non deve rispondere e che non rappresentano un rischio per l'ente medesimo.

L’art. 90 del d.lgs. 163/2006 (c.d. Codice dei contratti pubblici) prevede che le prestazioni relative alla progettazione preliminare, definitiva ed esecutiva, nonché alla direzione dei lavori ed agli incarichi di supporto tecnico-amministrativo alle attività del responsabile del procedimento e del dirigente competente alla formazione del programma triennale dei lavori pubblici sono espletate, fra gli altri, dagli uffici tecnici delle stazioni appaltanti (oltre che da professionisti esterni, singoli o associati, e da società di ingegneria).
Nel caso in cui i progetti siano redatti da tecnici interni, la norma sopra citata dispone che siano firmati da dipendenti delle amministrazioni abilitati all'esercizio della professione (di ingegnere, architetto, geometra, etc.), senza richiedere l’iscrizione ai pertinenti albi professionali (che pertanto non è necessaria ai fini della firma dei progetti e, in generale, delle attività tecniche espletate da personale interno).
Analoga previsione si ritrova per la figura del responsabile unico del procedimento (RUP), per il quale la legge non richiede esplicitamente neppure l’abilitazione professionale (l’art. 10 d.lgs. 163/2006 dispone che “deve possedere titolo di studio e competenza adeguati in relazione ai compiti per cui è nominato”, precisando che “per i lavori e i servizi attinenti all’ingegneria e all’architettura deve essere un tecnico” e che “il regolamento determina i requisiti di professionalità richiesti”).
Per il direttore dei lavori l’art. 130 del d.lgs. 163/2006 non specifica le abilitazioni professionali richieste ai dipendenti interni ed ai professionisti esterni, anche se sulla scorta di compiti e funzioni affidate dal Regolamento (cfr. artt. 147 e seguenti DPR n. 207/2010) appare necessario il possesso di idonea abilitazione professionale (fra l’altro trattasi di attività che può espletare cumulativamente anche il RUP o il progettista, figure per le quali il legislatore, come visto, ai sensi di legge, richiede necessariamente una qualifica tecnica).
Anche per l’attività di collaudo gli artt. 120 e 141 del d.lgs. 163/2006 non impongono particolari requisiti professionali ai soggetti incaricati, mentre l’art. 216 del Regolamento prevede che costituisce requisito abilitante l'essere laureato in ingegneria, architettura, e, limitatamente a un solo componente della commissione, in geologia, scienze agrarie e forestali. Richiede inoltre l'abilitazione all'esercizio della professione, mentre esclude espressamente, per i dipendenti delle amministrazioni aggiudicatrici, l'iscrizione ai rispettivi albi professionali.
Appare opportuno precisare che i dipendenti interni incaricati delle attività sopraindicate hanno diritto a percepire, per compensare i maggiori oneri ed i rischi derivanti dall’espletamento di tale attività, oltre la normale retribuzione contrattuale, uno specifico incentivo pari al due per cento dell’importo dell’opera posto a base di gara (art. 92, comma, 5 d.lgs. 163/2006).
Venendo al tema centrale del quesito posto dal Comune, afferente gli oneri derivanti da eventuale copertura assicurativa per i danni arrecati durante l’espletamento degli incarichi tecnici in discorso, il Codice dei contratti impone ai professionisti esterni (incaricati delle attività di supporto al RUP, progettazione e verifica/validazione dei progetti, cfr. artt. 10, comma 7, 111, 112 d.lgs. 163/2006) la stipula di apposita polizza, mentre nulla dispone per gli incarichi di direzione lavori, coordinatore della sicurezza e collaudo (anche se nulla esclude che le amministrazioni, in sede di bando di gara o capitolato, possano imporre ai professionisti esterni, nei limiti della proporzionalità alla natura e complessità dell’incarico affidato, la stipula di apposita polizza a copertura dei rischi professionali).
Mentre, per quanto riguarda le attività espletate da personale interno, in virtù del rapporto di servizio che lega questi ultimi all’ente pubblico appaltante, solo l’art. 90, comma 5, del d.lgs. 163/2006, in tema di progettazione, prevede che “il regolamento definisce i limiti e le modalità per la stipulazione per intero, a carico delle stazioni appaltanti, di polizze assicurative per la copertura dei rischi di natura professionale a favore dei dipendenti incaricati della progettazione”. Analoga previsione è stata poi inserita per il personale interno incaricato dell’attività di verifica della progettazione (cfr. art. 112, comma 4-bis, del d.lgs. 163/2006, introdotto con la novella del d.lgs. 152/2008).
In virtù della richiamata delega legislativa, l’art. 270 del Regolamento DPR n. 207 del 05.10.2010 ha previsto che “qualora la progettazione sia affidata a proprio dipendente, la stazione appaltante provvede, a fare data dal contratto, a contrarre garanzia assicurativa per la copertura dei rischi professionali, sostenendo l'onere del premio con i fondi appositamente accantonati nel quadro economico di ogni singolo intervento ovvero ricorrendo a stanziamenti di spesa all'uopo previsti dalle singole stazioni appaltanti. L'importo da garantire non può essere superiore al dieci per cento del costo di costruzione dell'opera progettata e la garanzia copre, oltre ai rischi professionali, anche il rischio per il maggior costo per le varianti di cui all'articolo 132, comma 1, lettera e), del codice”.
Analoga disposizione non si ritrova, invece, né nel Codice né tantomeno nel Regolamento, per le altre eventuali attività tecniche funzionali all’aggiudicazione ed esecuzione di un contratto d’appalto di lavori affidate ed espletate da personale interno (si rinvia, per l’attività di RUP e coordinatore sicurezza in fase di progettazione, agli artt. 10 del Codice e 9-10 del Regolamento; per la direzione lavori ed il coordinamento per la sicurezza durante l’esecuzione agli artt. 130 del Codice e 147-151 del Regolamento; per il collaudo gli artt. 120 e 141 del Codice e 216 del Regolamento).
In maniera similare, anche all’interno della legge generale sul procedimento amministrativo (legge n. 241 del 07.08.1990) non si ritrova alcuna disposizione che imponga la stipula, con oneri a carico dell’amministrazione, di contratti di assicurazione che coprano il rischio dei danni arrecati a terzi per responsabilità civile del personale interno (in particolare, in questo caso, del responsabile del procedimento individuato ai sensi dell’art. 5 della legge n. 241/1990).
Pertanto le uniche norme di legge che impongano alle amministrazioni aggiudicatrici di stipulare apposita copertura assicurativa a favore dei dipendenti incaricati di attività tecnica inerente l’aggiudicazione ed esecuzione di lavori pubblici, sono quelle dettate in tema di progettazione e verifica dei progetti (ai citati artt. 90, comma 5, e 112, comma 4 bis, del Codice ed all’art. 270 del Regolamento attuativo).
L’art. 90, comma 5, del d.lgs. 163/2006, infatti, in considerazione della responsabilità solidale del dipendente con l’amministrazione per i danni arrecati a terzi nell’esecuzione dell’incarico di progettazione (cfr. art. 28 Costituzione, art. 22 del DPR n. 3/1957 Testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato, art. 93 comma 1 del TUEL d.lgs. 267/2000), solleva il dipendente tecnico dal rischio di dover corrispondere a terzi il risarcimento dei danni derivanti dall’attività svolta per conto della stazione appaltante e ne trasferisce invece l’onere all’amministrazione, che ha comunque interesse alla stipula della prevista polizza assicurativa in quanto responsabile anch’essa verso i terzi danneggiati.
La sopra citata norma non prevede e disciplina, invece, come esposto più avanti, alcuna tutela assicurativa contro il rischio del risarcimento dei danni causati dal dipendente, non a terzi ma all’amministrazione, con dolo o colpa grave (in coerenza agli artt. 18-21 del DPR n. 3/1957, 93 del TUEL d.lgs. 267/2000, 1 della legge n. 20/1994).
La previsione, frutto di una precisa opzione legislativa tesa, dalla riforma della c.d. “legge Merloni” (109/1994) in poi, a favorire la progettazione interna per garantire risparmi di spesa e crescita professionale del personale alle amministrazioni, poiché limita l’applicazione di una regola generale (quella della responsabilità dei dipendenti pubblici per i danni arrecati a terzi nell’esercizio delle funzioni) non può essere applicata oltre i casi e tempi da essa considerati (cfr. art. 14 delle disposizioni preliminari al Codice civile).
Pertanto gli artt. 90, comma 5, e 112, comma 4-bis, del d.lgs. 163/2006 che impongono alle amministrazioni la stipula di apposite polizze assicurative per manlevare i propri dipendenti incaricati della redazione e validazione della progettazione non possono legittimare analoga iniziativa per il rischio di responsabilità in cui possano incorrere gli stessi dipendenti interni ove incaricati delle altre attività tecniche previste dal Codice dei Contratti (RUP, direzione lavori, coordinatori per la sicurezza in fase di progettazione e di esecuzione, collaudo) o il funzionario/dirigente preposto al ruolo di responsabile del procedimento ai sensi della legge n. 241/1990.
Per i dipendenti espletanti queste ultime attività, occorre rinvenire, eventualmente, altra fonte normativa o contrattuale che possa legittimare la stipula di contratti di assicurazione per la copertura dei rischi di danni a terzi, con oneri a carico dell’amministrazione.
In tale direzione l’art. 43, comma 1, del CCNL autonomie locali del 14.09.2000 prevede che “gli enti assumono le iniziative necessarie per la copertura assicurativa della responsabilità civile dei dipendenti ai quali è attribuito uno degli incarichi di cui agli art. 8 e ss. del CCNL del 31.03.1999, ivi compreso il patrocinio legale, salvo le ipotesi di dolo e colpa grave. Le risorse finanziarie destinate a tale finalità sono indicate nei bilanci, nel rispetto delle effettive capacità di spesa”.
Il richiamato art. 8 del CCNL del 31/03/1999 dispone che gli enti del comparto istituiscano posizioni di lavoro che richiedono, con assunzione diretta di elevata responsabilità di prodotto e di risultato:
a) lo svolgimento di funzioni di direzione di unità organizzative di particolare complessità, caratterizzate da elevato grado di autonomia gestionale e organizzativa;
b) lo svolgimento di attività con contenuti di alta professionalità e specializzazione correlate a diplomi di laurea e/o di scuole universitarie e/o alla iscrizione ad albi professionali;
c) lo svolgimento di attività di staff e/o di studio, ricerca, ispettive, di vigilanza e controllo caratterizzate da elevate autonomia ed esperienza.
La norma contrattuale precisa, inoltre, che tali posizioni “possono essere assegnate esclusivamente a dipendenti classificati nella categoria D, sulla base e per effetto di un incarico a termine conferito in conformità alle regole di cui all’art. 9”.
Uno degli incarichi che, come prevede il combinato disposto degli artt. 43 del CCNL del 14/09/2000 e 8 del CCNL del 31/03/1999, legittima la stipula di coperture assicurative da parte del Comune a favore dei propri dipendenti, attiene allo svolgimento di attività con contenuti di alta professionalità e specializzazione correlate a diplomi di laurea e/o all’iscrizione di ad albi professionali, presupposti che si ritrovano, come visto in precedenza, negli incarichi tecnici affidabili ai sensi del d.lgs. 163/2006, ma per i quali il Codice dei contratti non impone alle amministrazioni aggiudicatrici la stipula di alcuna polizza assicurativa (RUP, direttore dei lavori, coordinatori per la sicurezza, collaudatori).
Di conseguenza, ove le attività tecniche in discorso siano comprese e qualifichino uno degli incarichi affidati ai dipendenti, di categoria D, ai sensi dell’art. 8 del CCNL del 31/03/1999, è possibile per questi ultimi beneficiare di eventuale copertura assicurativa stipulata dal Comune contro i rischi di danno a terzi derivanti dall’attività tecnico professionale espletata.
Naturalmente deve trattarsi dell’assicurazione per la responsabilità derivante da danni arrecati a terzi (ex art. 28 Costituzione e 93 del TUEL d.lgs. 267/2000), in cui il Comune in quanto responsabile solidale ha un interesse alla stipula del contratto (cfr. Corte dei Conti sez. giurisdizionale per la Sicilia, sentenza n. 734/2008), non della responsabilità amministrativo contabile del dipendente per i danni arrecati, con dolo o colpa grave, all’amministrazione medesima.
In quest’ultimo caso, infatti, confermando una giurisprudenza ormai consolidata (Corte dei Conti, sezione giurisdizionale Umbria n. 553 del 10/12/2002, sezione giurisdizionale Friuli Venezia Giulia n. 60 del 05/02/2003, oltre che la citata sezione giurisdizionale Sicilia n. 734 del 04/03/2008), il legislatore ha sancito un apposito divieto nell’art. art. 3 comma 59 della legge n. 244/2007 (“È nullo il contratto di assicurazione con il quale un ente pubblico assicuri propri amministratori per i rischi derivanti dall’espletamento dei compiti istituzionali connessi con la carica e riguardanti la responsabilità per danni cagionati allo Stato o ad enti pubblici e la responsabilità contabile. I contratti di assicurazione in corso alla data di entrata in vigore della presente legge cessano di avere efficacia alla data del 30.06.2008”).
Pertanto ai due quesiti formulati dal comune di Berbenno può darsi risposta nei termini che seguono:
- il Codice dei contratti ed il Regolamento attuativo non impongono al Comune di sostenere la spesa della polizza per la copertura assicurativa dei rischi derivanti dalla responsabilità civile per i danni arrecati a terzi da propri dipendenti incaricati della funzione di responsabile unico del procedimento, direzione lavori, coordinamento per la sicurezza e collaudo.
Deve stipularla, invece, in virtù dell’espressa previsione legislativa (art. 90, comma 5, e 112, comma 4-bis, d.lgs. 163/2006) e regolamentare (art. 270 DPR n. 207/2010), per i dipendenti interni incaricati della progettazione e nella misura prevista dalle norme richiamate;
- il Comune, in aderenza alle previsioni del Contratto collettivo nazionale, può stipulare apposita copertura assicurativa per i rischi derivanti da responsabilità civile professionale verso terzi di propri dipendenti, purché e nei limiti in cui gli incarichi di RUP (e responsabile del procedimento ai sensi della legge n. 241/1990), direzione lavori, coordinatore per la sicurezza e collaudatore siano ricompresi negli incarichi per i quali, ai sensi del predetto CCNL, può essere stipulata, con oneri a carico del Comune, apposita polizza assicurativa (si rinvia agli artt. 43 del CCNL 14.09.2000 e 8 del CCNL 31/03/1999 del Comparto Regioni e autonomie locali).
Rimane fermo, come anche evidenziato dalla giurisprudenza contabile sopra richiamata, che un ente pubblico può assicurare quei rischi che rientrino nella sfera della propria responsabilità patrimoniale e che trasferiscano all'assicuratore la responsabilità patrimoniale stessa, mentre sarebbe priva di giustificazione e, come tale, causativa di danno erariale, l'assicurazione di eventi per i quali l'ente non deve rispondere e che non rappresentano un rischio per l'ente medesimo
(Corte dei Conti, Sez. controllo Lombardia, parere 21.12.2011 n. 665).

NEWS

INCARICHI PROFESSIONALI/PROGETTUALILIBERALIZZAZIONI/ Pubblicato in G.U. il decreto 1/2012 che elimina l'obbligo per i professionisti. Compensi, il preventivo non serve. Tutti gli oneri vanno comunicati. Non necessariamente per iscritto.
Il compenso del professionista va pattuito per iscritto solo se è il cliente a chiederlo. Gli iscritti agli ordini avranno il mero obbligo di comunicare il compenso al momento del conferimento dell'incarico indicando il dettaglio delle voci di costo, delle spese e dei contributi.
È quanto emerge dall'articolo 9, inserito nel decreto legge sulle liberalizzazioni n. 1/2012 pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale di ieri, in tema di professioni regolamentate.
Tra la prima versione del dl uscita dal Cdm e quella (rivisitata) oggi disponibile la differenza è sostanziale giacché il preventivo, pena l'apertura di una procedura disciplinare, si rendeva necessario a prescindere che il cliente avesse conferito l'incarico (ante), mentre ora si parla chiaramente di determinazione degli onorari nel momento in cui il cliente ha effettuato la scelta (post), tenendo conto ulteriormente degli «oneri ipotizzabili dal momento del conferimento alla conclusione dell'incarico...».
Inoltre, è stato previsto che il «mandato professionale» (definizione più corretta), peraltro sempre predisposto dall'iscritto all'albo più oculato anche al fine di evitare ripensamenti ingiustificati da parte del cliente, oltre che all'indicazione presuntiva dell'onorario, debba indicare le singole prestazioni e tutte le ulteriori voci di costo, come spese, oneri e contributi. In ogni caso la misura del compenso deve essere adeguata all'importanza dell'opera.
L'incarico professionale, inoltre, va coperto da assicurazione per eventuali danni causati nell'esercizio dell'attività professionale e i dati della polizza vanno comunicati ali cliente. L'inottemperanza di quanto disposto costituisce illecito disciplinare del professionista. Va ancora evidenziata la discriminazione tra gli obblighi posti a carico dei professionisti iscritti agli ordini, rispetto a quelli non iscritti che, guarda caso, non dovendo tenere conto di queste disposizioni, creano vere e proprie «alterazioni» del mercato (articolo ItaliaOggi del 25.01.2012).

ATTI AMMINISTRATIVISEMPLIFICAZIONI/ Venerdì il decreto in cdm. La carta d'identità scadrà il giorno del compleanno. P.a., solo comunicazioni on-line. Cambi di residenza in tempo reale. Verifiche soft sulle imprese.
Dovrà cadere il muro di incomunicabilità telematica che finora ha impedito alle pubbliche amministrazioni di scambiarsi dati online. L'obbligo, che per certi versi costituisce il corollario dell'abolizione dei certificati nei rapporti tra cittadini e p.a. disposta dalla legge di stabilità 2012, è sancito nel decreto sulle semplificazioni, messo a punto dal ministro della funzione pubblica, Filippo Patroni Griffi, e pronto ad approdare venerdì in consiglio dei ministri.
Viaggeranno on-line le comunicazioni relative alla tenuta e alla revisione delle liste elettorali, le comunicazioni tra i comuni e le questure e le annotazioni delle convenzioni matrimoniali inviate dai notai ai municipi.
Ma anche e soprattutto i cambi di residenza che oggi hanno bisogno di mesi per essere formalizzati e che in futuro dovranno essere perfezionati in tempo reale. Il trasferimento da un comune italiano a un altro (o dall'estero) produrrà effetti immediati nell'anagrafe del nuovo ente. Grazie a una nuova e più stringente tempistica che impone all'ufficiale di stato civile di informare entro due giorni mediante comunicazione telematica il comune di provenienza onde evitare che questo continui a emettere certificati intestati al soggetto che intende trasferirsi. E per venire incontro ai più distratti, il governo sta studiando la possibilità di estendere la validità dei nuovi documenti di identità al giorno del compleanno del titolare, in modo da scongiurare ogni possibile dimenticanza.
«Se una amministrazione ha dei dati e un'altra li cerca, dobbiamo fare in modo che i due enti comunichino direttamente, cittadini e imprese hanno bisogno di tempi certi», ha dichiarato il ministro. L'abbattimento dei tempi burocratici andrà di pari passo con la riduzione dei controlli sulle imprese. Le verifiche dovranno essere ispirate ai seguenti principi:
a) semplicità e proporzionalità dei controlli e degli adempimenti amministrativi;
b) eliminazione di attività di controllo non necessarie rispetto alla tutela degli interessi pubblici;
c) coordinamento e programmazione dei controlli da parte delle amministrazioni in modo da assicurare la tutela dell'interesse pubblico evitando duplicazioni e sovrapposizioni. Le p.a. dovranno pubblicare sul proprio sito istituzionale e sul sito www.impresainungiorno.gov.it la lista dei controlli a cui sono assoggettate le imprese in ragione della dimensione e del settore di attività, indicando per ciascuno di essi i criteri e le modalità di svolgimento delle relative attività;
d) collaborazione amichevole con i soggetti controllati;
e) informatizzazione degli adempimenti e delle procedure
f) soppressione di controlli sulle imprese in possesso di certificazione Iso o equivalente, per le attività oggetto di tale certificazione.
In arrivo anche un'autorizzazione unica ambientale per le piccole e medie imprese. Sarà rilasciata da un unico soggetto e sostituirà qualsiasi comunicazione, notifica e autorizzazione prevista dalla legislazione in materia ambientale (articolo ItaliaOggi del 25.01.2012).

VARIRequisiti per la patente accertati dal medico di base.
Requisiti psicofisici per la patente accertati dal medico di base. Rinnovo semplificato della licenza di guida degli ottantenni. Procedure più snelle per il rilascio del contrassegno invalidi. Scadenze allungate per il bollino blu.
Sono queste alcune delle novità in materia stradale previste dalla bozza del decreto legge semplificazioni all'esame del Governo. L'accertamento dei requisiti fisici e psichici per il rilascio della patente di guida potrà essere effettuato semplicemente dal medico di base. Non però nei confronti di chi ha compiuto ottanta anni, per i quali scatterà peraltro una semplificazione.
Infatti, gli ottantenni non dovranno più ottenere lo specifico attestato rilasciato dalla commissione medica locale a seguito di visita medica specialistica, ma dovranno comunque sottoporsi al classico accertamento presso l'unità sanitaria locale o presso gli altri uffici competenti ai sensi dell'art. 119, comma 2, del codice della strada. Semplificazione in arrivo anche per chi ha compiuto sessantacinque anni e deve rinnovare la patente per guidare autocarri di massa complessiva a pieno carico superiore a 3,5 tonnellate, autotreni e autoarticolati, adibiti al trasporto di cose, la cui massa complessiva a pieno carico non è superiore a 20 t, e macchine operatrici: l'accertamento dei requisiti psico-fisici avrà cadenza quinquennale, anziché biennale. Procedure più semplici per il rilascio del contrassegno invalidi.
In presenza dei verbali delle commissioni mediche integrate di cui al decreto legge n. 78 dell'01.07.2009 non servirà più la certificazione medica rilasciata dall'ufficio medico-legale dell'unità sanitaria locale di appartenenza. Tali verbali, infatti, dovranno indicare anche l'esistenza dei requisiti sanitari necessari per il rilascio del contrassegno invalidi e, inoltre, saranno riconosciuti anche per l'esenzione dal pagamento del bollo auto e dell'imposta di trascrizione al Pra nei passaggi di proprietà. Già da quest'anno, dal momento in cui il decreto legge entrerà in vigore, saranno notevolmente diluite le scadenze per il controllo dei gas di scarico degli autoveicoli e dei motoveicoli.
Infatti, il controllo dei dispositivi di combustione e scarico dovrà essere effettuato solo in occasione della revisione periodica. Saranno dispensate dalla frequenza del corso di formazione preliminare per l'esame di idoneità alla professione di trasportatore su strada le persone che hanno superato un corso di istruzione secondaria di secondo grado, mentre saranno esentati dall'esame coloro che hanno diretto in via continuativa l'attività in una o più imprese di trasporto italiane o comunitarie da almeno dieci anni precedenti il 04.12.2009 e siano ancora in attività.
Infine, novità in arrivo per i divieti di circolazione dei mezzi pesanti fuori dei centri abitati. I giorni non festivi dovranno essere individuati dal consueto decreto ministeriale in modo da contemperare le esigenze della sicurezza stradale, correlate alle previsioni di traffico, con gli effetti dei divieti sull'attività di autotrasporto e sul sistema economico produttivo (articolo ItaliaOggi del 25.01.2012).

VARILIMITI VELOCITA'/ Parere Trasporti. Chi sbaglia paga solo per l'eccesso.
Non è ancora possibile sanzionare in modalità automatica gli automobilisti più negligenti che circolano senza adeguare la velocità alle caratteristiche ambientali. E neppure elevare verbali diversi da quelli tradizionali con strumenti come autovelox e photored a parte quelli per assicurazione tarocca.
Lo ha evidenziato il Ministero dei trasporti con il parere 20.12.2011 n. 6217.
Un comune ha richiesto chiarimenti sulle nuove multe automatiche formalmente sdoganate con la legge 120/2010. In pratica con l'ultima corposa riforma del codice della strada è stato allargato il novero delle infrazioni che possono essere accertate con l'uso di strumentazione elettronica, senza agenti. Tra queste ipotesi è prevista pure la possibilità, alquanto teorica, di accertare infrazioni in materia di velocità pericolosa. Ma solo dopo l'approvazione della strumentazione specificamente preposta. In mancanza di queste omologazioni il comune di Pistoia ha quindi richiesto chiarimenti al ministero.
Allo stato attuale, specifica il parere centrale, nessun misuratore elettronico è stato ancora omologato per accertare automaticamente, senza presidio, la velocità pericolosa dei veicoli. Nelle more della loro approvazione, prosegue il ministero, non è però neppure consentito forzare la mano utilizzando autovelox o altri strumenti omologati per altri usi al fine di immortalare comportamenti vietati e puniti dall'art. 141 del codice della strada. La velocità pericolosa, tra l'altro, corrisponde ad una valutazione qualitativa della condotta di guida che difficilmente può essere valutata da una macchina, seppure sofisticata.
Per questo motivo difficilmente, anche nel futuro, potremo avere misuratori omologati ad hoc per sanzionare chi circola non adeguando la sua velocità alle caratteristiche della strada, del tempo e del traffico. Resta vero, conclude il ministero dei trasporti, che da un accertamento automatico possono derivare anche ulteriori sanzioni. Ma al momento l'unica multa certa per chi incappa in un tutor, in un accesso abusivo in una zona ztl oppure in un autovelox sembra essere quella prevista dall'art. 193/4° del codice stradale, ovvero quella prevista per chi circola in mancanza di copertura assicurativa.
Lo prevede la legge 12.11.2011, n. 183 “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato”, in vigore dall'01.01.2012 (articolo ItaliaOggi del 24.01.2012).

ENTI LOCALI - VARICatasto, slitta a fine giugno il termine per le case rurali.
Ancora una proroga per l'accatastamento dei fabbricati rurali. Slitta dal 31.03. al 30.06.2012 il termine per la presentazione delle domande di variazione catastale all'Agenzia del territorio. Le istanze sono finalizzate al godimento delle agevolazioni fiscali per i caseggiati rurali.
Lo prevede un emendamento approvato in commissione bilancio alla camera al ddl di conversione del dl Milleproroghe (dl 216/2011). Segnatamente all'articolo 29, comma otto. Il termine originario per l'accatastamento nelle categorie A6 (abitazioni rurali) e D10 (fabbricati strumentali) era inizialmente fissato al 31.09.2011. Il Milleproroghe ha concesso il rinvio della scadenza al 31.03.2012.
L'emendamento a fine giugno. Stime dell'ufficio studi Confagricoltura, a fine dicembre, rilevavano quasi quattro milioni di fabbricati rurali, di cui 1.100.000 abitazioni occupate, 350 mila case non occupate, 1.100.000 stalle e ricoveri per animali, 1.380.000 fabbricati adibiti a vari usi (tra cui 950 mila a depositi di macchine e attrezzi).
La norma del Milleproroghe fa salvo il classamento originario degli immobili rurali a uso abitativo. Ma alle variazioni catastali sono comunque interessati i titolari di immobili a uso strumentale, che intendono incassare l'inquadramento catastale nella categoria D10. Per costoro con l'Imu, nel 2012, non sarà più prevista l'esenzione, ma un trattamento agevolato con applicazione dell'aliquota del 2 per mille. Che i comuni potranno ridurre all'1.
Comunque sia, il 14.09.2011, un decreto del ministro dell'economia pubblicato in G.U. n. 220/2011, dando attuazione all'art. 7, commi 2-bis, e seguenti del dl sviluppo (70/2011), ha fissato le modalità procedurali per la presentazione delle domande di variazione catastale all'Agenzia del territorio al fine di ottenere i benefici fiscali sui fabbricati rurali (articolo ItaliaOggi del 24.01.2012).

ENTI LOCALIPiù tempo per approvare i bilanci negli enti locali.
Prorogato al 30 giugno il termine per l'approvazione dei bilanci degli enti locali e la deliberazione di aliquote e tariffe. Inoltre, per il 2012 comuni e concessionari possono riscuotere le entrate a mezzo ingiunzione facendo ricorso alle misure esecutive che la legge consente di adottare per la riscossione coattiva privilegiata a mezzo ruolo.
Lo prevede, in sede di conversione in legge, l'articolo 29 del dl Milleproroghe (216/2011). Più tempo, dunque, per le amministrazioni locali per predisporre i bilanci. La proroga trascina con sé anche il termine per deliberare i regolamenti su entrate, aliquote e tariffe.
Mai come quest'anno è opportuno il differimento del termine, considerato che dal 2012 i comuni sono tenuti ad applicare la nuova Imu, il cui gettito va diviso con lo stato. Nulla cambia, invece, per l'anno in corso. I comuni possono riscuotere direttamente le loro entrate spontanee o volontarie, tributarie ed extratributarie, o affidarle ai concessionari iscritti all'albo ministeriale. Non è più previsto l'obbligo di riscossione diretta che in un primo momento era stato imposto dall'articolo 7 del dl sviluppo (70/2011).
La norma è stata modificata dall'articolo 10 del dl Monti. L'unica eccezione è rappresentata dall'Imu. La nuova imposta locale potrà essere pagata dal contribuente solo con modello F24, anche se ancora deve essere chiarito in che modo va effettuato il versamento della quota statale. Il recupero coatto delle entrate locali può avvenire mediante ruolo o tramite ingiunzione fiscale, se svolto in proprio dall'ente locale o dai soggetti abilitati.
Proprio riguardo a quest'ultimo strumento è stato opportuno l'intervento legislativo, in sede di conversione dell'articolo 29 del dl Milleproroghe (216/2011), con il quale viene affermata in modo chiaro la sua utilizzabilità per il 2012 (articolo ItaliaOggi del 24.01.2012).

ENTI LOCALIDl milleproroghe. All'esame dell'aula lo slittamento della riduzione dei contratti flessibili di educatori e polizia municipale. Stop alle unioni dei piccoli enti. Rinvio a metà 2013 per gli accorpamenti e le gestioni associate sotto 5mila abitanti.
Si ferma la "razionalizzazione" disordinata dei Comuni sotto i 5mila abitanti prevista dalla manovra-bis di Ferragosto, e la pioggia di rinvii porta con sé anche lo slittamento in avanti dei termini entro cui gli enti fino a 50mila abitanti dovranno dismettere le proprie partecipazioni societarie.
Frutto del ricchissimo pacchetto enti locali inserito dalle commissioni Affari costituzionali e Bilancio di Montecitorio alla legge di conversione del Milleproroghe, che ha debuttato ieri in Aula alla Camera e che prevede anche il rinvio al 2013 per la tagliola del 50% al personale a tempo determinato dei servizi educativi e della Polizia locale, oltre a rinviare al 30 giugno il termine per l'approvazione dei bilanci preventivi (si veda anche Il Sole 24 Ore del 20 e 21 gennaio).
Lo stop alle Unioni obbligatorie per i 1.948 Comuni fino a mille abitanti, e alle gestioni associate imposte ai 3.735 sindaci che guidano enti compresi fra 1.001 e 5mila residenti, arriva sotto forma di una proroga di 9 mesi a tutti i termini critici previsti dalla manovra-bis (articolo 16 del Dl 138/2011). Il rinvio, almeno nelle intenzioni degli amministratori locali espresse dal coordinatore nazionale Anci piccoli Comuni, Mauro Guerra, se sarà confermato dall'Aula dovrà però servire a «modificare le parti più insensate dell'articolo 16, e dare vita rapidamente ad una normativa razionale ed efficace su piccoli Comuni».
I tempi supplementari concessi dal testo approvato in commissione non sono da poco. Le Unioni obbligatorie avrebbero dovuto "fondere" gli enti fino a mille abitanti in realtà di almeno 5mila abitanti (3mila in montagna, il tutto al netto di eventuali ritocchi regionali) a partire dai rinnovi elettorali successivi al 13.08.2012: il correttivo approvato in commissione propone di spostare il termine di riferimento al 13.05.2013, salvando quindi anche i Comuni interessati dal voto amministrativo il prossimo anno.
Il ritocco salva anche le Giunte negli enti fino a mille abitanti, che sarebbero state cancellate nel nuovo ordinamento, ma non ferma la sforbiciata imposta alla politica locale dal prossimo turno elettorale: il comma 17 dell'articolo 16, infatti, non viene imbarcato nel rinvio, per cui i consigli che usciranno dalle prossime elezioni avranno 6 posti negli enti fino a 3mila abitanti (e due assessori), 7 posti quando gli abitanti sono fra 3.001 e 5mila (tre assessori) e dieci posti (quattro assessori) nei Comuni fra 5.001 e 10mila abitanti.
Slittano a settembre 2013 anche la data per la gestione associata obbligatoria delle sei funzioni fondamentali nei Comuni fra 5.001 e 10mila abitanti (prevista dall'articolo 14, comma 31, del Dl 78/2010) e i termini entro cui gli enti fino a 50mila abitanti dovranno dismettere le partecipazioni "in eccesso" (fino a 30mila abitanti è previsto il divieto di detenere partecipazioni, fra 30.001 e 50mila è possibile mantenerne una, ma alla regola sfuggono le società con i conti in ordine).
Tra i commi della manovra di Ferragosto coinvolti dal rinvio c'è anche la riforma dei revisori contabili (articolo 16, comma 25), ma la firma del decreto attuativo da parte del ministro dell'Interno ha fatto partire il meccanismo che ora attende solo la pubblicazione in «Gazzetta Ufficiale» e l'avvio del sistema informatico di nomina (si veda Il Sole 24 Ore del 21 gennaio).
I correttivi approvati in Commissione intervengono poi sui nodi più spinosi nella gestione del personale. Per quest'anno i Comuni non dovranno ridurre del 50% i contratti a tempo determinato per il personale educativo e scolastico e per quello impiegato nelle funzioni di Polizia municipale (articolo Il Sole 24 Ore del 24.01.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

APPALTI SERVIZIPrimo effetto del Dl «Cresci-Italia». In house: gestioni sopra-soglia attive fino a dicembre.
Non è nel Milleproroghe, ma il primo effetto delle regole sulle società partecipate dagli enti locali previste dal decreto sulle liberalizzazioni varato venerdì scorso è un rinvio. Riguarda la decadenza automatica degli affidamenti diretti effettuati nei confronti di società in house oltre la soglia di valore consentita: il tetto, per effetto dello stesso decreto, scende da 900mila a 200mila euro annui, ma la tagliola scatta viene rinviata al 31 dicembre.
In pratica, gli affidamenti che superano il vecchio tetto di 900mila euro, e che avrebbero dovuto alzare bandiera bianca al 31 marzo, ottengono per questa via dieci mesi di vita aggiuntiva: tre anni in più, poi, sono possibili se le società si fondono in un'unica realtà di bacino, all'interno degli ambiti che dovranno essere individuati dalle Regioni.
Gli affidamenti al minimo
Dal 1° gennaio dell'anno prossimo, quindi, gli affidamenti diretti saranno ridotti al minimo, perché il nuovo tetto di valore esclude una grossa fetta di servizi, ma anche in questo caso la nuova regola aggiunge un tassello che si può rivelare importante: il divieto di affidamento diretto, infatti, non scatta se la società nei confronti del quale viene effettuato è l'unica a gestire il servizio all'interno dell'ambito territoriale ottimale.
Le novità sono contenute nell'articolo 25 del decreto «Cresci-Italia» approvato venerdì, che nell'ottica dichiarata della «promozione della concorrenza nei servizi pubblici locali» rivede profondamente l'assetto delle regole introdotte dalle ultime manovre per disciplinare i rapporti fra Comuni e società in house.
Un altro piccolo rinvio introdotto dalla nuova normativa riguarda il decreto ministeriale che dovrà fissare le regole per la delibera di ricognizione dei servizi pubblici: la disciplina ministeriale dovrà vedere la luce entro il 31 marzo (il vecchio termine era fissato al 31 gennaio), ma la procedura diventa decisamente più stringente rispetto a quella in vigore fino a oggi.
La delibera, infatti, serve a "giustificare" sulla base di un'indagine di mercato la necessità di evitare la gara competitiva per seguire la vecchia strada dell'in house, ma nel nuovo quadro il parere dell'Antitrust diventa obbligatorio e vincolante per le future scelte dell'ente locale.
Nuovi vincoli all'in house
Per limitare il ricorso all'in house, il decreto di venerdì conferma alcuni vincoli già previsti dalla vecchia normativa ma ancora da attuare, e ne aggiunge di nuovi. Del primo gruppo fanno parte l'assoggettamento ai vincoli del Patto di stabilità, che ora si estende anche alle aziende speciali ma attende un decreto attuativo previsto fin dall'articolo 23-bis del Dl 112/2008 ma mai arrivato al traguardo.
Nell'attesa del decreto, però, la riforma pone un limite all'indebitamento: fino al varo delle nuove regole, infatti, i nuovi mutui assunti dalle affidatarie in house non possono far superare agli oneri annuali di ammortamento il tetto del 25% delle entrate effettive accertate nel bilancio dell'esercizio precedente.
Confermato anche l'obbligo di selezione del personale secondo i principi del concorso a evidenza pubblica previsti per le pubbliche amministrazioni dal Dlgs 165/2001, ma su questo versante le novità sono rilevanti. L'articolo 25, comma 4 del «Cresci-Italia» prevede infatti che le società affidatarie in house si adeguino anche alle «disposizioni che stabiliscono a carico degli enti locali divieti o limitazioni alle assunzioni di personale, contenimento degli oneri contrattuali e delle altre voci di natura retributiva o indennitarie e per le consulenze anche degli amministratori».
Si tratta di un gruppo di regole particolarmente significativo dopo gli interventi taglia-spesa delle ultime manovre, per cui la previsione si traduce nell'estensione alle affidatarie dirette, tramite la via obbligata dei regolamenti autonomi, del blocco contrattuale, del tetto agli stipendi e delle regole che tagliano i trattamenti accessori nei primi giorni di malattia.
Una previsione draconiana, che potrebbe porre più di un problema applicativo viste le differenze contrattuali e di struttura stipendiale che le aziende presentano rispetto agli enti pubblici (articolo Il Sole 24 Ore del 24.01.2012 - tratto da www.corteconti.it).

ATTI AMMINISTRATIVISemplificazioni. Addio a 350 leggi inutili. Sanzioni al dirigente che sfora i tempi.
DECRETO SEMPLIFICAZIONI/ Sì ai cambi di residenza in due giorni e ai tempi certi nelle pratiche della Pa A rischio l'addio al bollino blu annuale.

«A volte è meglio un "no" piuttosto che un "ni" o nessuna risposta per tanto tempo». Il ministro della Pubblica amministrazione, Filippo Patroni Griffi, ha riassunto così la ratio del decreto sulle semplificazioni, che sarà venerdì in Consiglio dei ministri e che punta ad assicurare tempi certi a cittadini e imprese. Innanzitutto nei rapporti con la Pa: il dirigente che non completerà la pratica in tempo sarà sanzionato. Ma insieme alla sburocratizzazione dovrebbe arrivare anche l'eliminazione di 350 leggi inutili.
La conferma è giunta ieri dallo stesso responsabile di Palazzo Vidoni. Ai microfoni di Baobab su Radiouno Rai, Patroni Griffi ha parlato di un provvedimento che proseguirà le iniziative già realizzate da Roberto Calderoli. Il dipartimento della Funzione pubblica sta mettendo a punto l'elenco delle disposizioni da abrogare. Si partirà da un nucleo di 35 voci già individuate: si va dalla legge che disciplinava l'ora legale nel 1971 a quella sulle provvidenze per i rifugiati dalla Libia, fino alle disposizioni che rinviavano alcune elezioni amministrative o stabilivano la composizione del Cda del Viminale. A queste se ne aggiungeranno altre, individuate d'intesa con i dicasteri interessati, così da arrivare alle 350 citate dal ministro.
Passando agli altri contenuti, il cantiere sul Dl è più aperto che mai. Anche ieri si sono svolte riunioni tra i tecnici della Semplificazione e quelli dell'Economia. Nelle prossime 48 ore alcune norme potrebbero essere oggetto, se non di eliminazione, almeno di una riscrittura. Ad esempio il bollino blu annuale per auto e moto o dell'inserimento dei crediti delle cooperative di produzione e lavoro tra quelli considerati privilegiati.
Tra quelle sopravvissute alla verifica spiccano gli articoli che obbligano gli uffici pubblici a scambiarsi on-line i dati su anagrafe e stato civile oppure che rendono operativi i cambi di residenza in due giorni. Ma le novità per i cittadini non si fermano qui dal momento che la scadenza per le carte d'identità potrebbe essere fatta coincidere con il compleanno del diretto interessato.
Inoltre, come anticipato nei giorni scorsi su questo giornale, all'Inps dovrebbe essere affidata la gestione del «casellario dell'assistenza» con l'elenco di tutti i percettori di prestazioni sociali agevolate. Al tempo stesso verranno velocizzate alcune procedure per i soggetti con disabilità: basterà il verbale delle commissioni mediche integrate per ottenere il contrassegno di parcheggio, l'Iva ridotta sull'acquisto di veicoli e l'esenzione dal bollo auto e dall'Ipt.
Parecchio coinvolte dal provvedimento saranno anche le imprese. Come confermano l'obbligo per le Pa di pubblicare sul proprio sito istituzionale e sul portale www.impresainungiorno.gov.it la lista dei controlli a cui saranno sottoposte le aziende, la previsione di una serie di regolamenti governativi taglia-oneri da emanare entro fine 2012 e la punibilità dei dirigenti pubblici che non completeranno i procedimenti amministrativi nei termini: «La mancata o tardiva emanazione del provvedimento nei termini –si legge in una delle ultime bozze di Dl– costituisce elemento di valutazione della performance individuale, nonché di responsabilità disciplinare e contabile del dirigente e del funzionario inadempiente» (articolo Il Sole 24 Ore del 24.01.2012 - tratto da www.corteconti.it).

INCARICHI PROFESSIONALI/PROGETTUALIPreventivo scritto su richiesta. Il cliente potrà sollecitare il conteggio - Tirocinio anche negli uffici pubblici.
LA PARTICOLARITÀ/ Atteso un decreto Giustizia-Economia con parametri per calcolare oneri e contribuzioni per la previdenza notarile.

Contrordine: il preventivo del professionista va messo per iscritto solo se a richiederlo è il cliente stesso. Si attenua la formulazione dell'articolo 9 del Dl liberalizzazioni (atteso per la pubblicazione in «Gazzetta Ufficiale») che individua l'obbligo deontologico di fornire per iscritto la pattuizione del compenso e una previsione di onorario. Il testo conferma il vincolo, tra cliente e professionista, di mettere nero su bianco il compenso per le prestazioni richieste (e i dati della copertura assicurativa) con il conferimento dell'incarico, la misura è «previamente resa nota al cliente anche in forma scritta se da questi (il cliente, ndr) richiesta».
Non è l'unica novità. Accanto al decreto ministeriale che dovrà fornire i parametri che servono al giudice nei casi di contenzioso e di liquidazione delle spese giudiziali, si profila un altro decreto Giustizia-Economia dove sono stabiliti «i parametri per oneri e contribuzioni alla Casse professionali e agli archivi precedentemente basati sulle tariffe». Un riferimento alla Cassa dei notai che basa i versamenti sul valore degli atti iscritti dai professionisti nel repertorio notarile. «Dall'onorario di repertorio –ha spiegato Paolo Pedrazzoli, presidente della Cassa del notariato– dipendeva non solo il calcolo dei contributi, ma anche le spese di funzionamento di Ordini e Consiglio nazionale, oltre che la cosiddetta tassa archivio di cui noi siamo solo esattori, visto che la giriamo allo Stato. Speriamo solo che il decreto con i nuovi parametri arrivi presto, perché la Cassa rischia di non poter avere versamenti per settimane. Se dovesse tardare, dovrò mantenere i vecchi parametri tariffari solo per calcolare gli oneri previdenziali».
Per evitare, però, che questi parametri possano rientrare come tariffe "mascherate" nella determinazione degli onorari, la norma chiarisce che ogni pattuizione di compenso fatta sulla loro base è nulla. Nessuna retromarcia, almeno in questa fase, sull'equo compenso per il praticante, già approvato lo scorso agosto con la legge 148/2011 ma cancellato dal decreto legge.
Infine, il tirocinio si arricchisce di una possibilità in più. Confermata la possibilità –previa convenzione tra Ordini e ministero dell'Istruzione– di svolgere i primi sei mesi di tirocinio (su 18 mesi al massimo) in concomitanza con i corsi universitari, analoghe convenzioni possono essere stipulate tra Consigli nazionali e ministero della Pubblica amministrazione per consentire, a laurea ottenuta, di poter svolgere il tirocinio, in tutto o in parte, presso pubbliche amministrazioni.
Capitolo-reazioni. I commercialisti delle sigle sindacali Sic e Andoc non si scandalizzano tanto per le misure sulle tariffe, quanto piuttosto per «i danni» delle semplificazioni su collegio sindacali e tirocinio. Nel primo caso –spiegano– la riduzione da tre a uno dei "controllori" nelle Srl «non comporterà un risparmio a carico delle piccole imprese destinatarie ma solo maggiori responsabilità a carico dei professionisti incaricati, sempre nominati dalla maggioranza societaria». Nel secondo caso, si profila la «mortificazione» del tirocinio.
Contro il Governo anche i giovani avvocati dell'Aiga, che se la prendono contro l'abolizione dell'equo compenso da erogare al praticante, introdotto con la manovra d'agosto: «È evidente –sottolinea il presidente di Aiga, Dario Greco– che il Governo è a favore dei giovani soltanto a parole, ma nei fatti è capace di sfornare esclusivamente provvedimenti punitivi».
---------------
Le entrate in vigore
01 | TARIFFE E PREVENTIVI
Abrogate da subito. Così come l'obbligo di pattuizione scritta dei compensi e, a richiesta, del preventivo.
Due successivi decreti (senza scadenza) prevedono parametri per la liquidazione giurisdizionale dei compensi e per la determinazione di oneri e contribuzioni a fini previdenziali.
02 | TIROCINIO
Le norme sul tirocinio anticipato di 6 mesi all'università non sono subito applicabili perché necessitano di un accordo quadro tra Consigli nazionali degli Ordini e Miur. Stessa cosa per la possibilità di svolgere il tirocinio nella Pa.
03 | CONFIDI
Subito applicabile la norma che apre ai liberi professionisti il patrimonio dei condifi. Si applicano le norme del Dl 201/2011 (legge 214/2011).
04 | NOTAI
Entro 120 giorni dalla pubblicazione in Gazzetta è atteso il decreto con la distribuzione per Comuni della nuova pianta organica aumentata di 500 posti.
Entro il 31.12.2012 sono espletate le procedure del concorso per la nomina di 200 notai e per i concorsi da 200 e 150 posti banditi nel 2010 e 2011.
Entro il 31.12.2013 è bandito un concorso per 500 posti. Entro il 31.12.2014 è bandito un concorso per 470 nuovi posti.
Sono invece immediatamente applicabili sia le norme relative al vincolo, per il notaio, di trascorrere almeno tre giorni la settimana nel suo studio e almeno uno ogni 15 per ciascun Comune o frazione aggregati, sia quelle che riguardano l'avvio dell'azione disciplinare da parte di procuratore della Repubblica e presidente del Consiglio notarile (articolo Il Sole 24 Ore del 24.01.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

VARI: Multiproprietà, acquisti verificati. Controlli allargati sulla regolarità catastale degli immobili. I chiarimenti in uno studio del Notariato sulla legge n. 122/2010. Escluse le vicende successorie.
Verifiche sulla regolarità catastale anche per gli immobili acquistati in multiproprietà. Nello studio n. 426-2011/C il Consiglio nazionale del notariato fornisce infatti importanti chiarimenti in merito al problema dell'applicazione della recente normativa che impone le verifiche catastali dei fabbricati prima del rogito (legge 30.07.2010, n. 122).
Come viene ricordato dai notai, qualsiasi atto di trasferimento costituzione o scioglimento di comunione di diritti in multiproprietà (atti pubblici e scritture private autenticate) su fabbricati già esistenti è assoggettato alla disciplina sulla regolarità catastale, con esclusione degli atti per causa di morte e delle vicende successorie.
La multiproprietà immobiliare. La regolarità catastale riguarda certamente la multiproprietà immobiliare. Tale ipotesi ricorre in primo luogo nel caso in cui il multiproprietario acquisti una quota di una specifica unità immobiliare facente parte di un maggior complesso condominiale con attribuzione del diritto di goderne e fruirne in un particolare periodo dell'anno e della quota millesimale delle parti comuni dell'edificio. È possibile però che il multiproprietario acquisti una quota indivisa di comproprietà dell'intero edificio condominiale unitamente ai servizi comuni in proporzione ai millesimi e con il diritto di godere specificamente di una determinata porzione esattamente individuata del fabbricato per certo periodo di tempo.
In entrambi i casi vi è l'obbligo del rispetto delle norme in materia di coerenza catastale. In particolare la valutazione di conformità dovrà avere ad oggetto rispettivamente nel primo caso la consistenza della singola unità immobiliare (e il richiamo alla relativa planimetria) e nel secondo caso dell'intero maggior fabbricato (e il riferimento alla relativa planimetria o alle relative planimetrie nel caso in cui oggetto della quota sia costituito invece da una pluralità di unità catastali) nonché naturalmente, in ambedue le ipotesi applicative, l'indicazione del tempo di utilizzo.
Al contrario, come precisa lo studio del notariato, si intendono esclusi dalla nuova normativa i cosiddetti «beni comuni non censibili», cioè i beni comuni a più unità immobiliari e privi di rendita catastale come per esempio scale, androni, aree comuni di passaggio, cortili condominiali che non presentano un'intestazione catastale e per i quali non è neppure prevista la redazione di una planimetria. Le nuove regole si applicano invece ai cosiddetti «beni comuni censibili», come per esempio l'alloggio del portiere, che, pur essendo comuni a tutti i condomini hanno una rendita catastale e per i quali la planimetria deve essere depositata in catasto.
La multiproprietà alberghiera. La multiproprietà alberghiera è caratterizzata dal fatto che oggetto del godimento turnario è una struttura recettizia collegata all'esercizio di un'impresa alberghiera. Di conseguenza il multiproprietario non può fruire dell'immobile nel proprio periodo senza l'intervento e la cooperazione del gestore alberghiero: in altre parole al titolare della multiproprietà alberghiera viene attribuito un godimento fondato su una comproprietà (dell'albergo o delle camere), ma che si esercita poi concretamente verso il gestore e solo con la sua cooperazione. Come evidenzia il notariato, perciò, spesso nei contratti di multiproprietà di tipo alberghiero non si riescono a trovare neppure elementi sufficienti ad individuare l'unità immobiliare sulla quale insiste il diritto del multiproprietario.
Tuttavia se il diritto del turnista riguarda una frazione millesimale sul bene immobile, anche in mancanza di un collegamento con una specifica unità (che verrà scelta di volta in volta dall'albergatore ed a lui assegnata), non viene meno il carattere reale della fattispecie e con esso l'obbligo del rispetto delle norme in materia di coerenza catastale.
I controlli del notaio. Prima della stipula di uno degli atti relativi alle ipotesi sopra dette, il notaio deve verificare che la quota dell'immobile sia regolarmente censito in catasto a nome del legittimo proprietario (o titolare del diritto reale), il quale al momento dell'atto deve dichiarare che i dati catastali e le planimetrie depositate in catasto corrispondono allo stato di fatto del fabbricato. Viene quindi chiesto al notaio di accertare se vi è o meno corrispondenza tra l'intestazione catastale e l'intestazione effettiva quale desumibile dalla visura da eseguirsi presso i registri immobiliari.
E, come sottolinea lo studio, il notaio non può limitarsi ad accertare e verificare passivamente i dati soggettivi, ma deve renderli effettivi e quindi è tenuto, prima della stipula, a procedere all'aggiornamento del catasto. Inoltre nel caso del multiproprietario cedente dovrà provvedere a controllare l'emersione dai registri catastali dell'esatta dimensione giuridica del diritto del cedente (cioè la quota di appartenenza del diritto sull'alloggio o edificio) nonché il tempo di fruizione, regolarizzando ed integrando eventuali scritture non complete negli archivi catastali
---------------
Tutela ad ampio raggio per i consumatori.
Tutela della multiproprietà ad ampio raggio. La più recente definizione di questo particolare istituto giuridico, contenuta nel cd Codice del turismo di cui al dlgs n. 79/2011, consente infatti di applicare la normativa a tutela dei consumatori a molte fattispecie di più controversa interpretazione che ricorrono nella prassi del settore turistico. Lo ha evidenziato il recente studio n. 425/2001-C del Consiglio nazionale del notariato, sottolineando però come rimangano tuttora sul tappeto molte delle questioni dogmatiche sollevate nel tempo da questo controverso istituto.
La multiproprietà, infatti, nota anche come time sharing, attribuisce a più titolari nello stesso momento una serie di diritti molto ampi di utilizzo di un bene immobile e, da questo punto di vista, viene generalmente accostata alla proprietà, quale diritto reale disciplinato dagli articoli 832 e seguenti del codice civile. La coesistenza di più diritti è resa possibile dal fatto che il concreto esercizio degli stessi è periodico, ossia avviene secondo un avvicendamento temporale prefissato dalle parti al momento dell'acquisto. In altre parole, l'acquirente in multiproprietà, all'atto della stipula del contratto, è chiamato a scegliere tra i periodi dell'anno solare ancora disponibili quello di proprio gradimento, pagando un corrispettivo che normalmente varia in relazione al periodo.
La nuova definizione normativa di cui al dlgs n. 79/2011, in base al quale la multiproprietà è «un contratto di durata superiore a un anno tramite il quale un consumatore acquisisce a titolo oneroso il diritto di godimento su uno o più alloggi per il pernottamento per più di un periodo di occupazione», diverge significativamente in più punti dalla precedente nozione legislativa, secondo cui detta fattispecie consisteva in «uno o più contratti della durata di almeno tre anni con i quali, verso pagamento di un prezzo globale, si costituisce, si trasferisce o si promette di costituire o trasferire, direttamente o indirettamente, un diritto reale ovvero un altro diritto avente a oggetto il godimento di uno o più beni immobili, per un periodo determinato o determinabile dell'anno non inferiore a una settimana».
Grazie a questa nuova e più ampia definizione, secondo il notariato, oggi possono trovare tutela una serie di tipologie contrattuali che in precedenza non rientravano nella nozione di multiproprietà: dai contratti relativi a un prodotto per le vacanze di lungo termine (che consistono in contratti di durata superiore a un anno in base ai quali un consumatore acquisisce a titolo oneroso il diritto di ottenere sconti o altri vantaggi relativamente a un alloggio, separatamente o unitamente al viaggio o ad altri servizi), i contratti di rivendita (ai sensi dei quali un operatore assiste a titolo oneroso un consumatore nella vendita o nell'acquisto di una multiproprietà o di un prodotto per le vacanze di lungo termine), nonché i contratti di scambio (ai sensi dei quali un consumatore partecipa a titolo oneroso a un sistema di scambio che gli consente l'accesso all'alloggio per il pernottamento o ad altri servizi in cambio della concessione ad altri dell'accesso temporaneo ai vantaggi che risultano dai diritti derivanti dal suo contratto di multiproprietà).
Esigenze di reale tutela del soggetto debole hanno poi correttamente imposto il superamento della definizione di acquirente e venditore a vantaggio di un riferimento onnicomprensivo alle figure, rispettivamente, del consumatore e dell'operatore professionista.
Per quanto riguarda il recesso dal contratto, al consumatore è concesso un periodo di 14 giorni, naturali e consecutivi, per pentirsi di avere stipulato il contratto, senza tra l'altro essere tenuto a specificare il motivo. Il termine in questione si calcola a partire dal giorno della conclusione del contratto definitivo o del contratto preliminare o dal giorno in cui il consumatore riceve uno di questi due contratti, se posteriore alla loro conclusione, e scade dopo un anno e 14 giorni a decorrere dalla data di cui sopra se il formulario di recesso separato allegato al contratto non è stato compilato dall'operatore e consegnato al consumatore per iscritto o dopo tre mesi e 14 giorni, a partire dalla stessa data, se le informazioni sono invece state fornite in forma scritta. Il consumatore che esercita il diritto di recesso non sostiene alcuna spesa e non è tenuto a pagare alcuna penalità (articolo ItaliaOggi Sette del 23.01.2012).

CONSIGLIERI COMUNALI: Il sindaco «vicino» può essere eletto.
È eleggibile alla carica di sindaco di un Comune un cittadino che ha ricoperto per due mandati consecutivi la carica di sindaco in altro Comune confinante. Così ha deciso il Tribunale civile di Padova.
Il caso riguardava due Comuni, Abano Terme e Montegrotto Terme, confinanti tra di loro. Un cittadino aveva ricoperto per varie volte consecutive la carica di sindaco nel Comune di Montegrotto Terme; alle elezioni del 2011 si era presentato come candidato sindaco per il Comune di Abano Terme, ed era stato eletto. Ma alcuni cittadini di Abano Terme hanno proposto ricorso al tribunale, affermando tra l'altro che era stato violato il comma 2 dell'articolo 51, che non fa alcun riferimento al Comune o ai Comuni in cui la carica di sindaco è stata ricoperta, ma prevede solo il fatto che una medesima persona fisica abbia rivestito la carica di sindaco in tre tornate elettorali consecutive, anche se riferite a Comuni diversi.
Questa tesi, indubbiamente sottile, non è stata accolta dal Tribunale, che ha invece stabilito che il comma 2 dell'articolo 51 contiene un'eccezione, non è suscettibile di applicazione analogica, e deve essere interpretato restrittivamente.
La sentenza è coerente con l'interpretazione che i giudici hanno stabilito per questa norma, ma la motivazione non è persuasiva. Infatti, essa non ha considerato che la qualificazione giuridica del territorio dei comuni è oggi cambiata rispetto al passato. Il territorio è anche oggi un elemento costitutivo dell'ente, ma vi sono molti rapporti giuridici che superano la circoscrizione comunale, e se vi è un contesto territoriale amministrativo che ha molti elementi comuni economici e sociali, si dovrebbe tenere conto di ciò, anche ai fini dell'ineleggibilità.
In contrario a quanto esposto si potrebbe obiettare che se un cittadino ha ricoperto in modo positivo la carica di sindaco nel Comune di x, non vi è ragione per vietargli di ricoprire -si presume in modo egualmente positivo- la stessa carica nel Comune di y, anche se è confinante con il Comune di x. Ma l'obiezione non sarebbe persuasiva  (articolo Il Sole 24 Ore del 23.01.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Progettazione. L'interpretazione del Dl Sviluppo (70/2011). La relazione acustica va fatta sempre da un tecnico abilitato.
IL CHIARIMENTO/ Il ministero dell'Ambiente conferma la lettura secondo cui l'asseverazione va sempre firmata da un professionista.

Serve l'opera di un tecnico: l'autocertificazione asseverata da un tecnico abilitato, che sostituisce la «valutazione previsionale di clima acustico» per le residenze nei Comuni dotati di piano comunale di azzonamento acustico (prevista dalla legge 447/95, articolo 8, comma 3), deve essere redatta da un tecnico competente in acustica.
L'interpretazione, già riportata sul Sole 24 Ore del 16.05.2011, è ora confermata dal ministero dell'Ambiente, nella risposta datata 30.11.2011 a un quesito della Fondazione regionale dell'Ordine degli ingegneri della Toscana.
La questione nasce dal Dl 70/2011 (il cosiddetto decreto Sviluppo, convertito dalla legge 106/2011) che all'articolo 5 prevedeva una serie di misure destinate a semplificare la burocrazia nelle costruzioni private. Tra le norme dell'articolo 5 –al comma 1, articolo e)– c'era anche quella che citava genericamente la «relazione acustica». Adesso viene confermato che questa relazione è da intendersi come quella definita dalla legge 447/1995, articolo 8, comma 3, cioè «valutazione previsionale di clima acustico» e il «tecnico abilitato» così definito nel decreto sviluppo altri non è che il «tecnico competente in acustica» ai sensi delle legge 447/1995, articolo 2, comma 6.
Si sottolinea, al di là dei dettagli burocratici, che l'autocertificazione può essere quindi resa in luogo della normale attività di progettazione normalmente svolta che prevede una analisi fonometrica di 24 ore supportata da calcoli sull'evoluzione del clima acustico dell'area che ospiterà l'intervento edilizio e conseguentemente sulla compatibilità di tale clima acustico con l'intervento previsto.
In caso di incompatibilità, sarà il costruttore a dover prevedere idonee opere di mitigazione sonora, quali ad esempio barriere antirumore, serramenti più silenziati, eccetera. Pertanto con l'autocertificazione il tecnico competente si assume una notevole responsabilità: di conseguenza, un tecnico coscienzioso non avallerà, sotto sua personale responsabilità, il rispetto con autocertificazione senza aver svolto un progetto di calcolo analitico e dettagliato (articolo Il Sole 24 Ore del 23.01.2012).

GIURISPRUDENZA

COMPETENZE GESTIONALI - EDILIZIA PRIVATACon riguardo alla pretesa incompetenza del funzionario delegato che ha adottato l’atto di annullamento del permesso di costruire (di competenza dirigenziale) “non è configurabile un vizio di incompetenza ove si sia in presenza non di un atto di delega di funzioni amministrative, ma di una mera delega interorganica o di firma, che, senza alterare l'ordine delle competenze stabilito dalla legge, attribuisca al soggetto delegato il potere di sottoscrivere atti che continuano ad essere, sostanzialmente, atti dell'autorità delegante e non di quella delegata".
Con riguardo alla pretesa incompetenza del funzionario delegato che ha adottato l’atto di annullamento del permesso di costruire (di competenza dirigenziale) “Non è configurabile un vizio di incompetenza ove si sia in presenza non di un atto di delega di funzioni amministrative, ma di una mera delega interorganica o di firma, che, senza alterare l'ordine delle competenze stabilito dalla legge, attribuisca al soggetto delegato il potere di sottoscrivere atti che continuano ad essere, sostanzialmente, atti dell'autorità delegante e non di quella delegata" (cfr. TAR Brescia, Sez. II, 20.05.2010, n. 2070; TAR Toscana, Sez. III, 18.12.2002, n. 3372).
Anche nel caso di specie (come già in quelli trattati con le richiamate sentenze della Sezione), stante la delega di firma disposta con atto 01.10.2008, prot. 54397 -rispetto al quale non sono dedotte specifiche censure- il provvedimento adottato dal geom. ... è senz’altro imputabile alla competenza del dirigente del settore urbanistica e difesa del territorio dell’amministrazione provinciale di Imperia
(TAR Liguria, Sez. I, sentenza 20.01.2012 n. 161 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICALa fattispecie di lottizzazione abusiva si riferisce alla mancanza dell’autorizzazione specifica alla lottizzazione, inizialmente prevista dall'art. 28 della legge urbanistica 17.08.1942 n. 1150 e confermata da tutta la legislazione statale e regionale in tema di pianificazione attuativa, sicché alcun rilievo sanante sull'abuso in questione può rivestire il rilascio di una eventuale concessione edilizia in quanto, ove manchi la specifica autorizzazione a lottizzare, la lottizzazione abusiva sussiste e deve essere sanzionata anche se, per le singole opere facenti parte di tale lottizzazione, sia stata rilasciata una concessione edilizia.
La stessa formulazione dell'art. 30 del d.P.R. n. 380/2001 consente di affermare che può integrare ipotesi di lottizzazione abusiva qualsiasi tipo di opere in concreto idonee a stravolgere l'assetto del territorio preesistente, a realizzare un nuovo insediamento abitativo e, in ultima analisi, a determinare sia un concreto ostacolo alla futura attività di programmazione (che viene posta di fronte al fatto compiuto), sia un carico urbanistico che necessita di adeguamento degli standard.
Il concetto di "opere che comportino trasformazione urbanistica o edilizia" dei terreni deve essere dunque interpretato in maniera "funzionale" alla ratio della norma, il cui bene giuridico tutelato è costituito dalla necessità di preservare la potestà pianificatoria attribuita all'amministrazione nonché l'effettivo controllo del territorio da parte del soggetto titolare della stessa funzione di pianificazione (cioè il comune), al fine di garantire un’ordinata pianificazione urbanistica, un corretto uso del territorio e uno sviluppo degli insediamenti abitativi e dei correlativi standard compatibili con le esigenze di finanza pubblica.
Ne consegue che la verifica circa la conformità della trasformazione realizzata e la sua rispondenza o meno alle previsioni delle norme urbanistiche vigenti deve essere effettuata con riferimento non già alle singole opere in cui si è compendiata la lottizzazione, in ipotesi anche regolarmente assentite (giacché tale difformità è specificamente sanzionata dagli artt. 31 e seguenti d.P.R. n. 380/2001), bensì alla complessiva trasformazione edilizia che di quelle opere costituisce il frutto, sicché essa ben può mancare anche nei casi in cui per le singole opere facenti parte della lottizzazione sia stato rilasciato il permesso di costruire.

Con riguardo alla pretesa insussistenza dei vizi ravvisati dall’atto di annullamento nel permesso di costruire annullato.
È utile premettere che, secondo il provvedimento impugnato, le opere controverse configurano una lottizzazione abusiva ex art. 30 d.P.R. n. 380/2001, avendo trasformato una zona agricola in residenziale in contrasto con le previsioni del P.T.C.P., che fissa un regime di mantenimento per l’intera zona.
Orbene, la tesi del ricorrente si sostanzia nell’affermazione per cui, poiché l’intervento è stato realizzato nel rispetto dello strumento urbanistico a seguito di regolare concessione edilizia rilasciata dal comune di Dolcedo, non sussisterebbe l’affermata lottizzazione abusiva di terreni a scopo edificatorio.
In realtà, le norme sulla lottizzazione abusiva (da ultimo, art. 30 d.P.R. 06.06.2001, n. 380) mirano a prevenire e reprimere le condotte materiali e giuridiche intese a infittire la trama dell’edificato sul territorio, senza che sussista una previa pianificazione capace di tenere conto delle conseguenze dell’edificazione in termini di esigenza di nuovi servizi e opere di urbanizzazione, che il costruttore non ha (e non può avere) adeguatamente riscontrato.
Dunque, la fattispecie di lottizzazione abusiva si riferisce alla mancanza dell’autorizzazione specifica alla lottizzazione, inizialmente prevista dall'art. 28 della legge urbanistica 17.08.1942 n. 1150 e confermata da tutta la legislazione statale e regionale in tema di pianificazione attuativa, sicché alcun rilievo sanante sull'abuso in questione può rivestire il rilascio di una eventuale concessione edilizia in quanto, ove manchi la specifica autorizzazione a lottizzare, la lottizzazione abusiva sussiste e deve essere sanzionata anche se, per le singole opere facenti parte di tale lottizzazione, sia stata rilasciata una concessione edilizia (in tal senso cfr. TAR Campania, Sez. IV, 10.11.2006, n. 9458, che richiama Cons. di Stato, Sez. V, 26.03.1996 n. 301).
Secondo quanto già più volte affermato in giurisprudenza (cfr. TAR Lazio, Sez. I, 09.10.2009, nn. 9859 e 9860; TAR Puglia-Bari, Sez. III, 24.04.2008, n. 1017), la stessa formulazione dell'art. 30 del d.P.R. n. 380/2001 consente di affermare che può integrare ipotesi di lottizzazione abusiva qualsiasi tipo di opere in concreto idonee a stravolgere l'assetto del territorio preesistente, a realizzare un nuovo insediamento abitativo e, in ultima analisi, a determinare sia un concreto ostacolo alla futura attività di programmazione (che viene posta di fronte al fatto compiuto), sia un carico urbanistico che necessita di adeguamento degli standard.
Il concetto di "opere che comportino trasformazione urbanistica o edilizia" dei terreni deve essere dunque interpretato in maniera "funzionale" alla ratio della norma, il cui bene giuridico tutelato è costituito dalla necessità di preservare la potestà pianificatoria attribuita all'amministrazione nonché l'effettivo controllo del territorio da parte del soggetto titolare della stessa funzione di pianificazione (cioè il comune), al fine di garantire un’ordinata pianificazione urbanistica, un corretto uso del territorio e uno sviluppo degli insediamenti abitativi e dei correlativi standard compatibili con le esigenze di finanza pubblica.
Ne consegue che la verifica circa la conformità della trasformazione realizzata e la sua rispondenza o meno alle previsioni delle norme urbanistiche vigenti deve essere effettuata con riferimento non già alle singole opere in cui si è compendiata la lottizzazione, in ipotesi anche regolarmente assentite (giacché tale difformità è specificamente sanzionata dagli artt. 31 e seguenti d.P.R. n. 380/2001), bensì alla complessiva trasformazione edilizia che di quelle opere costituisce il frutto, sicché essa ben può mancare anche nei casi in cui per le singole opere facenti parte della lottizzazione sia stato rilasciato il permesso di costruire (TAR Bari, Sez. III, n. 1017/2008 cit.)
(TAR Liguria, Sez. I, sentenza 20.01.2012 n. 161 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAAppartiene “alla giurisdizione del Tribunale superiore delle acque, prevista dall’art. 143 del r.d. 11.12.1933, n. 1775, la controversia relativa al diniego di rilascio di concessione in sanatoria, opposto dall’autorità comunale in ragione dell’edificazione dell’immobile da condonare in violazione della fascia di rispetto di dieci metri dal piede dell’argine, ai sensi dell’art. 96, lett. f), del r.d. 25.07.1904, n. 523.
Detto provvedimento, infatti, ancorché emanato da un’autorità diversa da quelle specificamente preposte alla tutela delle acque, incide direttamente sul regolare regime delle acque, la cui tutela ha carattere inderogabile in quanto informata alla ragione pubblicistica di assicurare la possibilità di sfruttamento delle acque demaniali e il libero deflusso delle acque scorrenti dei fiumi, torrenti canali e scolatoi pubblici”.

Parte resistente ha preliminarmente eccepito l’inammissibilità del ricorso per difetto di giurisdizione di questo giudice a conoscere della controversia, richiamando a sostegno dell’eccezione recente giurisprudenza delle Sezioni Unite della Cassazione che enuncia il principio il principio secondo cui appartiene “alla giurisdizione del Tribunale superiore delle acque, prevista dall’art. 143 del r.d. 11.12.1933, n. 1775, la controversia relativa al diniego di rilascio di concessione in sanatoria, opposto dall’autorità comunale in ragione dell’edificazione dell’immobile da condonare in violazione della fascia di rispetto di dieci metri dal piede dell’argine, ai sensi dell’art. 96, lett. f), del r.d. 25.07.1904, n. 523; detto provvedimento, infatti, ancorché emanato da un’autorità diversa da quelle specificamente preposte alla tutela delle acque, incide direttamente sul regolare regime delle acque, la cui tutela ha carattere inderogabile in quanto informata alla ragione pubblicistica di assicurare la possibilità di sfruttamento delle acque demaniali e il libero deflusso delle acque scorrenti dei fiumi, torrenti canali e scolatoi pubblici” (Cass. SS.UU., 12.05.2009, n. 10845) (TAR Liguria, Sez. I, sentenza 20.01.2012 n. 162 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVIGdf in trasparenza. Sì alla visione della denuncia. Consiglio di stato dà ragione al contribuente sull'accesso.
Chi subisce un' ispezione tributaria ha diritto a prendere visione e a estrarre copia della denuncia dalla quale tale ispezione è scaturita. A maggior ragione se dall'ispezione non sia venuta fuori alcuna irregolarità.
È questo il principio affermato dalla IV Sez. del Consiglio di stato, con la sentenza 19.01.2012 n. 231.
Il caso verteva su di un diniego opposto dalla Guardia di finanza a una richiesta di accesso ai sensi dell' art. 22 della legge 241/1990, presentata da una società che era stata fatta oggetto di un controllo tributario. La società ricorrente aveva chiesto di accedere agli atti per difendere i propri interessi lesi, per il danno di immagine subito proprio per effetto del controllo dei finanzieri. Che peraltro si era concluso con un nulla di fatto.
E non si trattava di una richiesta formulata in vista di una ipotetica azione di risarcimento, ma di un'istanza diretta ad acquisire documentazione da far valere nel corso di un giudizio pendente davanti al Tribunale, proprio sugli stessi fatti. Il giudizio in sede civile verteva, infatti, su di un inadempimento contrattuale operato ai danni della società da un'impresa pubblicitaria, che aveva impedito alla ricorrente di avvalersi degli strumenti di propaganda pattuiti con la medesima.
Di qui l'azione risarcitoria, che, peraltro, si concludeva con la condanna dell'impresa al risarcimento in forma specifica. E cioè con il reintegro della società ricorrente nel diritto ad avvalersi dei mezzi pubblicitari oggetto del contratto. Mezzi che consistevano nella facoltà di seguire il Giro d'Italia con propri veicoli pubblicitari. Sennonché, subito dopo il reintegro, la società ricorrente era stata fatta oggetto di un'ispezione tributaria dalla quale non era emerso nulla di irregolare. Di qui il danno di immagine alla base della richiesta di accesso che, però, veniva rigettata dalla Guardia di finanza. E dunque, il conseguente esperimento dell'azione giudiziale davanti al Tar, che si concludeva con la soccombenza e la relativa impugnazione davanti al Consiglio di stato, che ha capovolto la decisione del collegio di I grado.
I giudici di Palazzo Spada hanno motivato la decisione facendo presente che le denunce e le comunicazioni non rientrano tra i documenti di interesse pubblicistico coperti dalla preclusione del diritto di accesso. Che si giustifica solo in relazione all'esigenza di salvaguardare l'ordine e la sicurezza pubblica, nonché la prevenzione e la repressione della criminalità. E dunque, con particolare riferimento ai documenti attinenti l'attività informativa nei settori istituzionali e a quelli della Guardia di finanza inerenti l'emanazione di ordini di servizio, nonché l'esecuzione del servizio stesso.
E siccome le denunce e le comunicazioni non pregiudicano gli interessi sottesi alla sicurezza, all'ordine pubblico e alla prevenzione e repressione della criminalità, l'accesso doveva essere consentito. Tanto più che i documenti chiesti in visione non erano oggetto di un procedimento penale e neppure costituivano atti di indagine (articolo ItaliaOggi del 25.01.2012).

APPALTIIl vice-presidente è sempre tenuto a tenere le dichiarazioni sul possesso dei requisiti ai sensi dell'articolo 38, comma 1, lett. b), c) ed m-ter).
Pur in assenza di espresse previsioni da parte dello statuto, è insita nella stessa natura vicaria della vice-presidenza la possibilità di esercizio dei poteri di rappresentanza della società in caso di temporanea assenza o impedimento del titolare, poteri di identico contenuto ed estensione rispetto a quelli esercitabili dal presidente.
Ne discende l'obbligo per il Vice presidente di rendere la dichiarazione relativa al possesso dei requisiti di cui all'articolo 38, comma 1, lett. b), c) ed m-ter) (massima tratta da www.dirittodegliappaltipubblici.it - TAR Sicilia-Palermo, Sez. III, sentenza 19.01.2012 n. 136 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ENTI LOCALI: La dichiarazione di dissesto finanziario prescinde dalle cause che l’hanno prodotta.
La dichiarazione di dissesto rappresenta una situazione generale ed obiettiva in cui versa l’ente, indipendentemente dalle cause che l’hanno generata e dall’accertamento delle relative responsabilità.
La dichiarazione di dissesto finanziario costituisce un evento di carattere eccezionale e patologico della vita dell’ente locale –osservano i giudici del Consiglio di Stato- e alla relativa dichiarazione può farsi luogo solo all’esito dell’accertamento (da parte degli stessi organi ordinari dell’ente o in via eccezionale, nell’ipotesi di cui all’art. 247 del Tuel, da parte del commissario ad acta) della specifica incapacità di assolvimento delle funzioni e dei servizi indispensabili ovvero dell’esistenza nei confronti dell’ente di crediti liquidi ed esigibili di terzi, cui non possa validamente farsi fronte con le modalità di cui all’art. 193 (e per i debiti fuori bilancio, con le modalità di cui all’art. 194).
La decisione di dichiarare lo stato di dissesto finanziario non è pertanto frutto di una scelta discrezionale dell’ente, ma rappresenta piuttosto una decisione vincolata (ed ineludibile) in presenza dei presupposti di fatto fissati dalla legge: la “valutazione”, richiamata dall’articolo 246 del Tuel, riguarda soltanto le cause che hanno determinato la situazione di deficit finanziario economico (e costituisce il presupposto logico–giuridico del procedimento di risanamento della riorganizzazione dell’ente e della corretta impostazione delle indispensabili analisi finanziarie ed organizzative per addivenire alla adeguata definizione del nuovo bilancio stabilizzato).
Tutto ciò si ripercuote nelle gravi conseguenze che il legislatore ricollega alla dichiarazione di dissesto: infatti gli effetti economici negativi che si riverberano immediatamente sui terzi creditori dell’ente (quali, tra l’altro, l’impossibilità di intraprendere o proseguire azioni esecutive ed il blocco della produzione di interessi e rivalutazione monetaria dei debiti insoluti e delle somme già erogate per anticipazioni di cassa) e la stessa procedura di mobilità, che può interessare i dipendenti dell’ente eventualmente eccedenti il nuovo fabbisogno organico, escludono che la dichiarazione di dissesto possa essere il frutto di una valutazione discrezionale degli organi dell’ente.
Definendo espressamente i presupposti di fatto della dichiarazione di dissesto, il legislatore ha altresì armonizzato gli opposti interessi in gioco, pubblici –dell’ente e della sua funzionalità- e privati –degli operatori economici e dei dipendenti (commento tratto da www.documentazione.ancitel.it - Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 16.01.2012 n. 143 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Accesso agli atti di gara, correzione novativa della P.A. da impugnare a sé.
La sopravvenuta adozione dell'atto di riforma, ove non impugnato, determina il venir meno nel ricorrente dell'interesse alla definizione dell'istanza ex art. 116 c.p.a..

 La società ricorrente, nel contesto del giudizio di impugnazione della propria esclusione dalla gara di appalto indetta da un’Amministrazione, ha proposto istanza ex art. 116 c.p.a. mercé la quale ha chiesto l’annullamento della comunicazione di diniego di accesso a tutti gli atti di gara.
La stazione appaltante, successivamente alla notifica della predetta istanza, con ulteriore nota, richiamando il disposto di cui all’art. 79, D.Lgs. n. 163/2006, emendava l’errore riportato nel precedente diniego circa il termine di presentazione dell’istanza di accesso (10 in luogo di 30 giorni decorrenti dalla comunicazione dei provvedimenti chiesti in ostensione), contestualmente confermando il contenuto dello stesso; la ditta interessata, tuttavia, non estendeva l’impugnazione anche alla successiva comunicazione.
L’istanza è stata dichiarata improcedibile.
Il Collegio di Roma, in via preliminare, ha osservato come, in termini generali, il rimedio di cui all'art. 116, comma 2 c.p.a., attivabile “in pendenza di un giudizio cui la richiesta di accesso è connessa”, presuppone la pendenza, nei confronti dell’Amministrazione che ha negato o comunque non soddisfatto la richiesta di accesso, del giudizio sulla controversia cui la richiesta di accesso agli atti s’innesta.
Tanto, ha proseguito, postula la contemporaneità o, quanto meno, la stretta correlazione temporale tra la richiesta di accesso agli atti rivolta a una P.A. e la pendenza del giudizio instaurato nei confronti della medesima, in tal modo consentendo al ricorrente di esperire il rito in materia di accesso nel corso del giudizio pendente con istanza depositata presso la segreteria della Sezione cui è assegnato il ricorso principale (TAR Lazio-Roma, Sez. III-ter, 08.07.02011 n. 6064).
Sicché, ha evidenziato come in un giudizio amministrativo già pendente viene a inserirsi -in via incidentale- un differente giudizio per l’accesso agli atti caratterizzato da autonomia, celerità e specialità rispetto al primo; in particolare, ha rilevato che il carattere autonomo dell’incidente processuale rispetto al giudizio principale vale a mantenere formalmente e concettualmente distinti i due giudizi, nonché il rapporto giuridico processuale costituitosi all’interno di ciascuno di essi.
E così, avuto riguardo al caso di specie, l’adito TAR ha osservato che il rapporto giuridico processuale tra le parti della controversia sull’accesso -ancorché già parti del giudizio impugnatorio principale- si era costituito solo al momento del deposito dell’istanza in questione, di tal ché soltanto in quel momento -e in relazione all’oggetto con essa impugnato– era sorto il potere-dovere del Giudice di pronunciarsi.
Tuttavia, il giudicante ha rilevato come, nelle more del giudizio per l’accesso, la stazione appaltante con successiva nota aveva operato una rettifica della precedente comunicazione in relazione ai termini di presentazione dell’istanza di accesso, confermando, per la parte restante, il provvedimento adottato in precedenza.
Orbene, al fine di apprezzare i rapporti tra le due successive note in riscontro all’istanza di accesso avanzata dalla ricorrente e, di riflesso, gli effetti di tale consecuzione di atti sull’esperito ricorso della concorrente in materia di accesso, il G.A. capitolino ha sottolineato come la seconda nota veniva adottata a iniziativa dell’Amministrazione intimata, operava a parziale modifica della precedente comunicazione e, infine, faceva espresso riferimento a disposizioni normative in precedenza non richiamate, pur mantenendo ferma la decisione di diniego.
Per tale via, a sua opinione, la P.A. sembrava aver innovativamente motivato il diniego sulla base del disposto dell’art. 79, comma 5-quater, D.Lgs. n. 163/2006.
Cosicché, quanto ai rapporti tra le due note, il Tribunale ha ritenuto che la seconda comunicazione non rappresentasse mera rettifica di un errore materiale o ostativo contenuto nella precedente nota, e neppure atto meramente confermativo o ancora conferma del precedente diniego, avendo la stazione appaltante posto in essere un’attività in sede di autotutela amministrativa.
L’intervento operato con la seconda nota, invero, è stato ritenuto dall’adito G.A. quale “riforma sostitutiva” del precedente provvedimento di diniego che, lasciato fermo nella parte dispositiva, era stato modificato nella parte motiva –a seguito dell’apprezzamento delle modifiche normative intervenute nel testo dell’art. 79 del D.Lgs. n. 163/2006 per effetto del D.Lgs. n. 53/2010- attraverso la caducazione e contestuale sostituzione di alcuni elementi di essa con altri diversi da quelli originari; in calce alla comunicazione, infatti, era stato riportato il provvedimento di diniego nella versione corretta all’esito del predetto intervento di sostituzione.
Di conseguenza, il giudicante ha precisato che la seconda comunicazione conteneva in sé ben due provvedimenti amministrativi, distinti e correlati: un atto di riforma del precedente provvedimento di diniego dell’accesso nonché, in calce, il provvedimento riformato.
Quest’ultimo, ha precisato, costituisce un provvedimento diverso dal precedente diniego, tanto è vero che lo sostituisce e, pur nella identità del dispositivo, rappresenta un provvedimento nuovo che la parte ricorrente aveva l’onere di impugnare, a pena di improcedibilità dell’azione proposta contro il precedente diniego, ormai espunto dall’universo giuridico.
Sotto quest’ultimo profilo, il TAR di Roma non ha mancato di evidenziare che la sopravvenuta adozione del provvedimento di diniego, come riformato, ha determinato il venir meno nella ricorrente dell’interesse alla definizione dell’istanza ex art. 116 c.p.a. per l’annullamento della nota di diniego originariamente impugnata.
Infatti, l’interesse della deducente alla definizione del giudizio non è stato ritenuto più configurabile, stante la sopravvenuta mancanza di lesività nei propri confronti dell’atto originariamente impugnato ed essendosi, viceversa, spostato l’interesse della medesima alla rimozione del secondo provvedimento, tuttavia non gravato.
Per siffatta ragione, il Collegio ha dato atto del sopravvenuto difetto di interesse, per l’effetto dichiarando l’improcedibilità del gravame (commento tratto da www.ipsoa.it - TAR Lazio-Roma, Sez. III-ter, sentenza 14.01.2012 n. 356 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

VARISpazio invalidi. Multe pure se la striscia è scolorita.
N
on basta che le strisce siano scolorite per evitare la multa in caso di occupazione abusiva di uno spazio invalidi.
Lo ha chiarito la Corte di Cassazione, Sez. VI civ., con l'ordinanza 12.01.2012 n. 339.
Un utente stradale ha parcheggiato nello spazio riservato ai titolari del classico contrassegno arancio per invalidi. Contro la conseguente sanzione elevata dalla polizia municipale l'interessato ha proposto doglianze fino al tribunale che in seconda battuta ha annullato l'accertamento a causa della scarsa visibilità della segnaletica orizzontale ormai scolorita.
Il comune ha però proposto ricorso con successo in cassazione evidenziando la presenza sul posto del segnale verticale di divieto, nonostante l'irregolarità delle strisce. Il collegio ha quindi confermato la multa che è stata elevata dalla polizia municipale regolarmente. L'art. 38 del codice stradale specifica infatti la chiara prevalenza della segnaletica verticale rispetto a quella tratteggiata a vernice sul manto stradale. Per questo motivo chi parcheggia in modo irregolare deve sempre verificare bene la presenza il loco di segnali, oltre che di stalli magari scoloriti (articolo ItaliaOggi del 24.01.2012).

ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATA: Il vicino può accedere agli atti inerenti interventi edilizi su un’opera confinante.
Il proprietario del fondo vicino a quello sul quale sono state realizzate nuove opere ha diritto di accesso a tutti gli atti abilitativi riguardanti le stesse, quando faccia valere l’interesse ad accertare il rispetto delle previsioni urbanistiche.
Sorge, in tal modo, secondo i giudici del Consiglio di Stato, una posizione qualificata e non puramente emulativa o preordinata ad un controllo generalizzato dell’azione amministrativa, contrariamente a quanto argomentato dal primo giudice in questa vicenda.
Il Tribunale amministrativo regionale, infatti, aveva respinto un ricorso proposto dai proprietari di alcuni terreni contro il rifiuto del Comune alla loro richiesta di accesso ai documenti relativi agli interventi edilizi su una masseria confinante, sul presupposto che i richiedenti non avevano indicato gli estremi identificativi degli atti richiesti.
I giudici d’appello, tuttavia, non hanno raccolto la tesi della genericità dell’istanza: “d’altra parte imporre al cittadino –secondo gli stessi giudici- di conoscere puntualmente gli estremi identificativi degli atti di cui chiede l’accesso, come condizione di ammissibilità dell’accesso stesso, significa negare lo stesso principio di trasparenza dell’azione amministrativa predicato, tanto più quando si è in presenza di una struttura amministrativa (uffici comunali) di dimensioni limitate, tali da far presumere ragionevolmente l’immediata identificabilità di una pratica edilizia relativa ad una immobile ben identificato, anche in ragione della sua peculiare condizione di bene culturale” (commento tratto da www.documentazione.ancitel.it - Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 11.01.2012 n. 85 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Rotazione nelle gare: salva la deroga saltuaria. L'eccezione al principio non falsa la concorrenza. Consiglio di Stato. Interpretazione innovativa sulla selezione negli appalti.
L'episodica mancata applicazione del principio di rotazione relativo agli affidamenti mediante procedure in economia non incide sulla selezione dell'operatore economico, se la stessa è stata svolta garantendo un confronto trasparente.
Il Consiglio di Stato, Sez. VI, con la sentenza 28.12.2011 n. 6906 ha fornito un'interpretazione innovativa della gestione di questo particolare principio, che costituisce il contemperamento della deroga realizzata con le procedure previste dall'articolo 125 del codice dei contratti alle forme di più aperto confronto concorrenziale (gare con procedure aperte e ristrette).
Il criterio di rotazione ha come finalità quella di evitare che la stazione appaltante possa consolidare rapporti solo con alcune imprese venendo meno così al rispetto del principio di concorrenza. Questa situazione verrebbe a prodursi in caso di affidamenti replicativi (specialmente se in un breve arco di tempo) di lavori, servizi o forniture a favore di uno stesso operatore economico. Il principio di rotazione consente di non coinvolgere tale operatore nelle procedure indette per un certo periodo successivo, garantendo ad altre imprese analoghe chance.
La sua gestione nelle procedure derogatorie (negoziate con gara informale e cottimo fiduciario) rispetto alla massima concorrenza è stata analizzata sia dalla giurisprudenza amministrativa (che ne ha sempre dato un'interpretazione molto restrittiva) sia dall'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici nella determinazione 2/2011, la quale ha evidenziato che in attuazione dello stesso il soggetto che risulterà affidatario non sarà invitato alle gare indette successivamente con procedure in economia nell'arco di un certo periodo di tempo.
La sentenza del Consiglio di Stato afferma invece come la rotazione dei soggetti da invitare nelle procedure negoziate sia indubbiamente un principio funzionale ad assicurare un certo avvicendamento delle imprese affidatarie dei servizi con il sistema selettivo del cottimo fiduciario, ma proprio in quanto tale lo stesso non ha, per le stazioni appaltanti, una valenza precettiva assoluta.
Di conseguenza l'eventuale ed episodica mancata applicazione del principio non inficia gli esiti di una gara già espletata, una volta che questa si sia conclusa con l'aggiudicazione in favore di un soggetto già in precedenza invitato a simili selezioni (oppure già affidatario del servizio).
Il Consiglio di Stato richiede tuttavia che sussistano determinate condizioni, in rapporto allo svolgimento del percorso selettivo mediante procedura in economia, affinché il mancato rispetto del principio di rotazione non incida sulla procedura selettiva. La consultazione degli operatori economici deve essere svolta nel rispetto del principio di trasparenza e di parità di trattamento, nonché deve essere conclusa con l'individuazione dell'offerta più vantaggiosa per la stazione appaltante, senza che nel giudizio comparativo tra le offerte abbia inciso la pregressa esperienza specifica maturata dalla impresa aggiudicataria nella veste di partner contrattuale della amministrazione aggiudicatrice.
Pertanto il precedente affidatario di un servizio o di una fornitura aggiudicata in base all'articolo 125 del codice dei contratti pubblici non ha una condizione preferenziale per l'eventuale invito a un ulteriore confronto con le modalità semplificate.
---------------
In sintesi
01 | IL RICORSO
Il ricorso contro l'elezione a sindaco di un cittadino già due volte eletto a primo cittadino del Comune confinante è stato respinto dal tribunale civile di Padova, sez. II, con la sentenza 23.12.2011 n. 2902.
02 | LA NORMA
Il comma 2 dell'articolo 51 del Tuel stabilisce che: «Chi ha ricoperto per due mandati consecutivi la carica di sindaco (…) non è, allo scadere del secondo mandato, immediatamente rieleggibile alla medesima carica».
03 | LA SENTENZA
Secondo i giudici, è eleggibile alla carica di sindaco di un Comune il cittadino che ha ricoperto per due mandati consecutivi la carica di sindaco in altro Comune confinante dal Tribunale. Il comma 2 dell'articolo 51 contiene un'eccezione, non è suscettibile di applicazione analogica, e deve essere interpretato restrittivamente (articolo Il Sole 24 Ore del 23.01.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

PUBBLICO IMPIEGO: Reati contro la pubblica amministrazione. L'assunzione del raccomandato può essere oggetto di corruzione.
Nella corruzione, il vantaggio per il pubblico ufficiale corrotto ben può essere costituito dall'assunzione di personale segnalato. La dazione o la promessa illecita, ossia l'utilità cui tende il pubblico ufficiale corrotto, può avere ad oggetto non solo una somma di denaro, ma qualsivoglia "altra utilità".
Secondo la contestazione, il reato di corruzione era ravvisato ipotizzandosi che l’utilità per il pubblico ufficiale corrotto fosse rappresentata dall’assunzione di comodo di personale “segnalato” [ergo, raccomandato].
La Corte, sotto questo specifico profilo, ha ritenuto corretta la contestazione [pur avendo annullata in parte qua la decisione per una più approfondita disamina sulla configurabilità della corruzione per altri profili che qui non interessano].
In effetti, non è dubitabile che nella fattispecie corruttiva la dazione o la promessa illecita, ossia l’”utilità” cui tende il pubblico ufficiale corrotto, può avere ad oggetto non solo una somma di denaro, ma anche, appunto, qualsivoglia "altra utilità", dovendosi intendere per tale qualsiasi bene che costituisca per il pubblico ufficiale (o anche per un terzo) un vantaggio, materiale o morale, patrimoniale o non patrimoniale, quindi anche non necessariamente economico, ma comunque giuridicamente apprezzabile (tra le altre, Cassazione, Sezione VI, 11.11.1998, Plotino).
Basti pensare, per esemplificare, che nella nozione di “utilità” rientrano non solo le utilità di natura patrimoniale, ma anche quei “vantaggi sociali”, che comunque la collettività percepisce come utile, le cui ricadute patrimoniali siano mediate ed indirette (Cassazione, Sezione VI, 18.06.2010, Cosentino, che, nella specie, ha ritenuta ricompresa nella nozione di “utilità” l’attività di mediazione svolta dal corruttore per alimentare e favorire le aspettative di carriera del corrotto).
Basti pensare, ancora, che nella anzidetta nozione rientrano finanche i “favori sessuali”, i quali rappresentano pur sempre un vantaggio per il corrotto, che ne ottenga la promessa o l'effettiva prestazione (cfr., tra le altre, Cassazione, Sezione VI, 18.11.2004, Vignoni).
E’ evidente allora che un’assunzione ”di comodo” è indubitabilmente rilevante come “utilità” apprezzabile ai fini della configurabilità del reato, risolvendosi in un vantaggio patrimoniale quantomeno per il terzo [l’assunto] beneficato dal pubblico ufficiale corrotto (commento tratto da www.ipsoa.it - Corte di Cassazione penale, sentenza 09.12.2011 n. 45930).

AGGIORNAMENTO AL 23.01.2012

ã

NOVITA' NEL SITO

Inserito il nuovo bottone dossier LOTTO INTERCLUSO.

CORTE DEI CONTI

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Assunzioni negli enti non soggetti al patto di stabilità.
Il parere 12.01.2012 n. 2 della Corte dei Conti Sez. Reg.le Piemonte, anche se non particolarmente significativa, riepiloga le indicazioni normative generali per le assunzioni a tempo indeterminato negli enti non soggetti al patto di stabilità (tratto da www.publika.it).

SINDACATI

PUBBLICO IMPIEGO: OGGETTO: Elezioni RSU 2012 – Nota operativa n. 4 (CSA di Roma, nota 18.01.2012 n. 80 di prot.).

PUBBLICO IMPIEGO: OGGETTO: Elezioni RSU 2012 – Nota operativa n. 3 (CSA di Roma, nota 10.01.2012 n. 47 di prot.).

GURI - GUUE - BURL (ea nteprima)

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 3 del 20.01.2012, "Pubblicazione ai sensi dell’art. 5 del regolamento regionale 21.01.2000, n. 1 dell’elenco dei «Tecnici competenti» in acustica ambientale riconosciuti dalla Regione Lombardia alla data del 20.12.2011, in attuazione dell’art. 2, commi 6 e 7 della legge 26.10.1995, n. 447, della deliberazione 17.05.2006, n. 8/2561 e del decreto 30.05.2006, n. 5985" (comunicato regionale 11.01.2012 n. 4).

ENTI LOCALI - VARI: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 3 del 20.01.2012, "Chiarimenti in merito al soccorso di animali traumatizzati o bisognosi di cure" (circolare regionale 29.12.2011 n. 13).

URBANISTICA: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 3 del 19.01.2012, "Deliberazione di Giunta regionale 30.11.2011 n. IX/2616 “Aggiornamento dei ‘Criteri ed indirizzi per la definizione della componente geologica, idrogeologica e sismica del piano di governo del territorio, in attuazione dell’art. 57, comma 1, della l.r. 11.03.2005, n. 12’, approvati con d.g.r. 22.12.2005, n. 8/1566 e successivamente modificati con d.g.r. 28.05.2008, n. 8/7374”, pubblicata sul BURL n. 50 Serie ordinaria del 15.12.2012" (Errata Corrige ed integrale ripubblicazione).

EDILIZIA PRIVATA: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 3 del 18.01.2012, "Attuazione dei criteri approvati con d.g.r. 2554/2011 per l’accertamento delle infrazioni e l’irrogazione delle sanzioni di competenza regionale, previste dall’art. 27 della l.r. 24/2006, in merito alla certificazione energetica degli edifici" (decreto D.U.O. 09.01.2012 n. 33).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 3 del 18.01.2012, "Testo coordinato della d.g.r. 675/2005 con le modifiche ed integrazioni apportate dalla d.g.r. 2848/2011 “Criteri per la trasformazione del bosco e per i relativi interventi compensativi” (art. 43, comma 8, l.r. 31/2008)" (comunicato regionale 09.01.2012 n. 1).

DOTTRINA E CONTRIBUTI

APPALTI: F. Gavioli, Le nuove soglie e il calcolo del valore del contratto (link a www.ipsoa.it).

EDILIZIA PRIVATA: M. Bottone, IL PIANO CASA SUGLI SCOGLI - Accordi e collisioni tra Piano Urbanistico Territoriale della Penisola Sorrentino-Amalfitana e Piano Casa Campania (17.01.2012).

EDILIZIA PRIVATA: A. Mafrica e M. Petrutti, Alcune recenti precisazioni giurisprudenziali in materia di lotto intercluso (link a www.ufficiopatrimonio.it).

NOTE, CIRCOLARI E COMUNICATI

VARI: Oggetto: Misure urgenti per il coordinamento della lotta contro la delinquenza di tipo mafioso (pos. 201). Decreto legislativo 21.11.2007, n. 231 - Art 12 del D.L. 201 del 2011 – Prelievi e versamenti di contante (ABI, nota 11.01.2012 n. 46 di prot.).
---------------
Antiriciclaggio, chiarimenti dall'Abi. Legittimi i versamenti ed i prelevamenti bancari oltre la soglia di 1.000 euro.
Arriva una schiarita sul fronte dell'antiriciclaggio. E' possibile effettuare prelevamenti e versamenti bancari in misura pari o superiore alla soglia di 1.000 euro senza incorrere nell'irrogazione di specifiche sanzioni.
Il chiarimento e' stato fornito dall'Abi con la nota 11.01.2012 n. 46 di prot..
Il problema si è posto inizialmente quando quest’estate la soglia per il trasferimento del denaro contante tra soggetti diversi è stata drasticamente ridotta da 5.000 a 2.500 euro (cfr. D.L. n. 138/2011).
A questo punto gli istituti di credito hanno iniziato a porre in essere comportamenti non condivisibili.
Infatti, ogni volta che una persona si presentava ad uno sportello per prelevare o versare somme in contante per importi superiori alla predetta soglia gli istituti di credito tendevano ad ostacolare l’operazione. In particolare il malcapitato doveva subire una serie di domande su quale fosse la destinazione finale del denaro contante ovvero, in caso di versamento, quale fosse la provenienza.
Alcune banche obbligavano le persone alla compilazione di uno specifico modello avvertendo che il comportamento sarebbe stato oggetto di segnalazione al Ministero dell’economia e delle finanze configurando un’infrazione dell’art. 49 del D.Lgs. n. 231/2007.
La disposizione citata vieta il trasferimento di denaro contante, di libretti di deposito e di titoli al portatore tra soggetti diversi, a qualsiasi titolo, per importi pari o superiori a 1.000 euro. A tal proposito non v’è dubbio come la norma abbia un ambito applicativo piuttosto ampio non trovando applicazione per le sole transazioni (acquisto e vendita di beni e/o servizi), ma più in generale per ogni trasferimento di denaro.
Ad esempio il limite dovrà essere osservato anche nel caso di liberalità o qualsiasi altro trasferimento come nell’ipotesi di un finanziamento di un socio ad una società di cui lo stesso fa parte.
Tuttavia se da una parte è evidente come i casi di applicazione della disposizione sono numerosi, dall’altra è altrettanto evidente che, affinché il comportamento assunto configuri un’infrazione è necessario un trasferimento di denaro a favore di un soggetto diverso.
Il presupposto sembra quindi mancare laddove il soggetto interessato si limiti ad effettuare un versamento o un prelievo bancario in quanto quella determinata quantità di denaro rimane comune a disposizione del medesimo soggetto.
Al fine di eliminare le numerose incertezze è intervenuta la Circolare del Ministero delle finanze, dipartimento del Tesoro che in data 04.11.2011 ha confermato la predetta interpretazione circa la mancanza della necessità di rispettare il predetto limite, che all’epoca era pari a 2.500 euro. La situazione si è complicata a seguito dell’approvazione dell’art. 12 del D.L. n. 201/2011 che ha ulteriormente ridotto la predetta soglia da 2.500 a 1.000 euro.
In conseguenza di ciò sono stati più numerosi i casi di versamenti e di prelevamenti oltre la nuova soglia.
Le banche hanno quindi continuato a disattendere le istruzioni del Mef “ostacolando” le operazioni allo sportello effettuate in misura pari o superiore a 1.000 euro. I dubbi sono stati chiariti in via definitiva con una circolare dell’ABI dell’11 gennaio.
In base al citato documento di prassi il predetto limite, “avendo a riferimento i soli trasferimenti, non può trovare applicazione ad operazioni di versamento e di prelievo in contanti su conti correnti e libretti di deposito”.
In buona sostanza l’ABI ha sostenuto che manca il presupposto fondamentale affinché si configuri un’ipotesi di violazione: il trasferimento di denaro.
Al contrario, per le suddette operazioni i soggetti interessati, conservano, come ricordato, la disponibilità della somma di denaro oggetto dell’operazione. Pertanto nessuna segnalazione di infrazione dovrà essere effettuata al Ministero competente.
Tuttavia le banche sono comunque tenute ad assolvere gli altri obblighi previsti dalle disposizioni in materia di antiriciclaggio. Conseguentemente dovranno procedere ad un’adeguata verifica della clientela.
Inoltre, ove le operazioni in contante dovessero manifestarsi frequentemente (per la stessa persona) e per importi particolarmente elevati la banca dovrà valutare se i comportamenti descritti possano configurare le ipotesi di operazioni sospette ai fini della normativa antiriciclaggio.
Conseguentemente, laddove la risposta fornisse un esito positivo la banca effettuerà la segnalazione che però rappresenta un’operazione ben diverso rispetto al’obbligo di segnalazione delle infrazioni dell’art. 49 (18.01.2012 - tratto da www.ipsoa.it).

UTILITA'

SICUREZZA LAVOROCome si redige un PiMUS (Piano di Montaggio, Uso e Smontaggio di un ponteggio).
Dopo la pubblicazione del POS nella Newsletter precedente, è la volta del PiMUS (Piano di Montaggio, Uso e Smontaggio di un ponteggio).
Ricordiamo innanzitutto che il PiMUS è un documento obbligatorio per tutti i cantieri in cui si ricorre al ponteggio per l’esecuzione dei lavori. Esso rappresenta lo strumento di lavoro per gli addetti e i preposti all’utilizzo del ponteggio affinché sia tutelata la salute e la sicurezza di tutti i lavoratori.
Il Testo Unico per la Sicurezza (D.Lgs. 81/2008) prevede l'obbligo del datore di lavoro di redigere il PiMUS, rispettando i contenuti minimi previsti dall’Allegato XXII.
In allegato a questo articolo proponiamo uno schema di PiMUS elaborato dal Gruppo di lavoro della Provincia di Padova, di concerto con il Comitato Provinciale di Coordinamento.
Il documento rappresenta uno strumento versatile a disposizione di tutte le imprese che operano con l'utilizzo di ponteggi; in esso sono contenute tutte le misure preventive di sicurezza da adottare in cantiere.
E' così strutturato:
● dati identificativi generali
● verifica del ponteggio
● disegno esecutivo del ponteggio
● caratteristiche degli impalcati, degli appoggi e degli ancoraggi
● indicazioni generali per le operazioni di montaggio, trasformazione, smontaggio
● modalità di tracciamento del ponteggio
● descrizione dei DPI e delle attrezzature da utilizzare
● regole generali
● ponteggi metallici a telai prefabbricati
● ponteggi metallici a montanti e traversi prefabbricati
● ponteggi metallici a tubi e giunti (19.01.2012 - link a www.acca.it).

ENTI LOCALI - VARICome fare la domanda di variazione catastale per i fabbricati rurali.
Come previsto dal Decreto Milleproroghe (v. articolo “Arriva il “Milleproroghe”, ma in versione light!”), fino al 31.03.2012 sarà possibile presentare all'Agenzia del Territorio la domanda di variazione catastale degli immobili per i quali si vuol fare riconoscere la ruralità, con attribuzione delle categorie A/6 per le abitazioni e D/10 per i fabbricati strumentali all'attività agricola.
L’Agenzia del Territorio ha specificato, con Comunicato dell'11.01.2012, le modalità per la presentazione della domanda.
In particolare, possono essere utilizzati i modelli A, B e C, allegati al decreto del ministro dell’Economia del 14/09/2011.
Questi modelli possono essere consegnati con seguenti modalità:
● consegna diretta all’Ufficio
● raccomandata postale con avviso di ricevimento
● fax, ai sensi dell’art. 38, comma 1, del D.P.R. 28.12.2000, n. 445
● invio attraverso posta elettronica certificata
● procedura on-line presente sul sito dell’Agenzia.
La procedura on-line, metodo consigliato dall’Agenzia, prevede l’attribuzione di un codice identificativo di conferma in tempo reale. Entro il 31 marzo occorre comunque presentare la stampa della documentazione presso gli Uffici.
La presentazione può essere effettuata
Þ direttamente dal titolare dei diritti reali sul fabbricato;
Þ tramite professionisti abilitati;
Þ tramite Associazioni di categoria (19.01.2012 - link a www.acca.it).

SICUREZZA LAVORODatore di lavoro, dirigente e preposto: definizioni, obblighi e responsabilità. Dall'ANCE i modelli per incarichi e delega di funzioni.
Il Datore di lavoro è “il soggetto titolare del rapporto di lavoro con il lavoratore o, comunque, il soggetto che, secondo il tipo e l’assetto dell’organizzazione nel cui ambito il lavoratore presta la propria attività, ha la responsabilità dell’organizzazione stessa o dell’unità produttiva in quanto esercita i poteri decisionali e di spesa”.
Il Dirigente è “la persona che, in ragione delle competenze professionali e di poteri gerarchici e funzionali adeguati alla natura dell’incarico conferitogli, attua le direttive del datore di lavoro organizzando l’attività lavorativa e vigilando sulla stessa”.
Il Preposto è “la persona che, in ragione delle competenze professionali e nei limiti dei poteri gerarchici e funzionali adeguati alla natura dell’incarico conferitogli, sovrintende all'attività lavorativa e garantisce l’attuazione delle direttive ricevute, controllandone la corretta esecuzione da parte dei lavoratori ed esercitando un funzionale potere di iniziativa”.
L’RSPP (Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione) è “la persona in possesso delle capacità e dei requisiti professionali di cui all’articolo 32 designata dal datore di lavoro, a cui risponde, per coordinare il servizio di prevenzione e protezione dai rischi”.
L’ANCE ha pubblicato una guida in materia di sicurezza sul lavoro, con l’intento di chiarire le responsabilità in materia di sicurezza delle principali figure dell’impresa e di elencare i ruoli e le possibili deleghe all’interno della stessa e dei cantieri edili.
Gli Argomenti trattati sono:
Le figure previste dal Testo Unico sicurezza e le relative posizioni di garanzia
La delega di funzioni
Applicazione della disciplina al settore dei lavori in edilizia: imprese esecutrici ed impresa affidataria
In allegato sono presenti i seguenti modelli:
● Lettera di incarico per l'intero complesso aziendale
● Lettera di incarico per il singolo cantiere
● Lettera di incarico per l'impresa affidataria
● Delega di funzioni in materia di sicurezza per imprese esecutrici
● Delega di funzioni in materia di sicurezza sul lavoro per imprese affidatarie (19.01.2012 - link a www.acca.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATAAmianto, cos'è e come si smaltisce. Ecco una interessante guida su rischi, interventi di bonifica e smaltimento.
L'amianto è un insieme di minerali del gruppo dei silicati molto comune in natura. La sua estrema resistenza al calore, all’azione di agenti chimici e biologici, all’abrasione e all’usura lo hanno reso un ottimo materiale per tessuti a prova di fuoco, per la coibentazione di edifici e per manufatti in cemento-amianto (eternit) quali tubazioni o lastre.
Tuttavia, l’inalazione delle sue polveri o delle sue fibre è nociva in quanto provoca malattie al sistema respiratorio di natura cancerogena.
L'amianto rappresenta un pericolo per la salute; il suo utilizzo è vietato dalla legge.
La Redazione di BibLus-net, a seguito di alcune richieste da parte dei propri lettori, propone un interessante opuscolo sull'amianto negli edifici a cura dell'ARPA Piemonte (Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale).
La pubblicazione si propone come una guida per tutelarsi da eventuali rischi legati alla presenza di amianto negli edifici e fornisce risposte chiare a domande quali:
Cos’è l’amianto?
Quali sono i rischi di esposizione alle polveri di amianto?
Dove si trova l’amianto negli edifici e quali sono i materiali che possono contenerlo?
Quali sono gli interventi di bonifica e quando sono necessari?
Come smaltire i materiali contenenti amianto?
Quali sono le leggi di riferimento? (19.01.2012 - link a www.acca.it).

EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICADecreto salva-Italia: l'ANCE illustra e commenta le novità del settore edile ed urbanistico.
Il 27.12.2011 sulla Gazzetta Ufficiale n. 300 è stata pubblicata la Legge 22.12.2011 n. 214, di conversione del D.L. 201/2011 (Decreto Salva Italia).
Rispetto al testo del decreto originario, essa ha introdotto alcune novità nel settore edile ed in quello urbanistico che vengono analizzate e commentate in una nota dell’ANCE (Associazione Nazionale Costruttori Edili).
Quelle di maggior interesse riguardano:
● Esecuzione diretta delle opere di urbanizzazione primaria, sotto soglia a scomputo degli oneri concessori, a carico del titolare del Permesso di Costruire;
● Introduzione dell'IMU e rivalutazione dei coefficienti catastali;
● Messa a regime dal 2012 della detrazione del 36% e proroga di quella del 55% fino a dicembre 2012;
● Aumento aliquote IVA di 2 punti percentuale da ottobre 2012;
● Istituzione dal 2013 della T.A.R.E.S (Tassa comunale sui Rifiuti e sui Servizi);
● Istituzione dal 2011 dell'imposta sul valore degli immobili situati all'estero, a qualsiasi uso destinati dalle persone fisiche residenti nel territorio dello Stato:
● Istituzione, presso il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, dell'elenco-anagrafe delle opere pubbliche incompiute;
● Prevista l’approvazione da parte del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e del CIPE dei progetti preliminari relativi ad opere di interesse strategico (19.01.2012 - link a www.acca.it).

EDILIZIA PRIVATASostituzione dei maniglioni anti-panico: proroga di 24 mesi.
È stata prorogata di 24 mesi la data entro cui è obbligatorio provvedere alla sostituzione dei maniglioni antipanico non marcati CE. La nuova data di riferimento è il 18.02.2013.
Lo ha stabilito il Decreto del 06.12.2011 pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 299 del 24/12/2011 relativo alla Modifica al D.M. 03.11.2004 (Disposizioni relative all'installazione ed alla manutenzione dei dispositivi per l'apertura delle porte installate lungo le vie di esodo, relativamente alla sicurezza in caso d'incendio) (19.01.2012 - link a www.acca.it).

EDILIZIA PRIVATADetrazioni per riqualificazione energetica: dall'Agenzia delle Entrate la nuova guida alle agevolazioni fiscali.
L’agevolazione fiscale per la riqualificazione energetica consiste nel riconoscimento di detrazioni d’imposta pari al 55% delle spese sostenute.
Si tratta di riduzioni dell’Irpef (Imposta sul reddito delle persone fisiche) e dell’Ires (Imposta sul reddito delle società) concesse per interventi che aumentino il livello di efficienza energetica degli edifici esistenti.
A seguito delle modifiche apportate dalla Legge salva-Italia in materia di detrazioni fiscali, l’Agenzia delle Entrate ha pubblicato la nuova guida (dicembre 2011) alle agevolazioni relative agli interventi di riqualificazione energetica (detrazione del 55%).
Le novità introdotte riguardano:
● proroga delle detrazioni per riqualificazione fino al 31.12.2012;
● estensione della detrazione a interventi di sostituzione di generatori tradizionali per acqua calda sanitaria con pompe di calore;
● nessun limite temporale per le detrazioni del 36%, che dal 2013 ingloberanno anche quelle del 55%.
La guida è così strutturata:
Introduzione;
L’agevolazione per la riqualificazione energetica;
Gli interventi interessati all’agevolazione;
Tipologia di spesa e relativa detrazione;
Adempimenti necessari per ottenere la detrazione;
Riferimenti normativi;
Appendice (19.01.2012 - link a www.acca.it).

NEWS

INCARICHI PROFESSIONALILIBERALIZZAZIONI/ Approvato in consiglio dei ministri il decreto legge sulla concorrenza. Professioni, nuovi adempimenti. Scatta l'obbligo del preventivo scritto e dell'assicurazione.
Nuovi adempimenti per i professionisti. Debutta l'obbligo del preventivo scritto da rilasciare al cliente sulla prestazione richiesta. E soprattutto scatta il vincolo della polizza assicurativa sui danni eventualmente causati dall'esercizio dell'attività professionale. Vanno quindi in soffitta i tariffari (non più vincolanti dal 2006 ma comunque indicativi) per definire l'onorario su una determinata prestazione.
A meno che non sia il giudice a dover calcolare tale compenso. In questo caso sarà possibile utilizzare i parametri stabiliti con decreto del ministero vigilante (cioè gli stessi tariffari vietati fra privati). Sono queste alcune delle previsioni contenute nel decreto legge sulle liberalizzazioni approvato ieri in consiglio dei ministri.

Tariffe. Il governo sceglie la linea soft (rispetto alle ipotesi della prima ora). Se in una prima versione la definizione del compenso era rimessa alla completa contrattazione fra le parti, nel decreto approvato si rimane confermata l'abrogazione delle tariffe delle professioni nel sistema ordinistico ma il giudice, in caso di liquidazione dei compensi, potrà fare riferimento ai parametri stabiliti con decreto del ministero vigilante.
Questa parte, in un primo momento non c'era. Ma non solo. Restando in tema di compensi, questi devono essere calcoli in base all'importanza dell'opera e vanno pattuiti (oltre che per iscritto) in modo omnicomprensivo. Il che vuol dire che il professionista avrà la possibilità di quantificare la qualità e il rischio della prestazione.
Preventivo. In nome della trasparenza, il decreto conferma che il professionista deve rilasciare un preventivo scritto con il prezzo della prestazione richiesta dal cliente. L'atto deve essere corredato del grado di complessità dell'incarico, fornendo tutte le informazioni circa gli oneri ipotizzabili dal momento del conferimento alla conclusione dell'incarico. L'inottemperanza di quanto disposto costituisce illecito disciplinare e in quanto tale sarà sanzionabile dall'ordine.
Assicurazione. Rappresenta la vera novità del provvedimento. In una prima versione del Dl, infatti, si prevedeva solo l'obbligo per il professionista di indicare nel preventivo se era titolare o meno di una polizza assicurativa. Nella versione approvata ieri invece scatta un vero e proprio vincolo. Anticipando così una misura contenuta all'articolo 3, comma 5, della legge nella legge 148 del 2011. E non è l'unica.
Tirocinio. Un'altra misura che il governo ha inteso anticipare, infatti, è quella sui tirocini. Nel confermare che il periodo di pratica in studio utile ai fini della partecipazione all'esame di stato non potrà essere superiore ai 18 mesi, si prevede che sei mesi potranno essere svolti durante il corso di laurea. Servirà però una convenzione quadro ad hoc stipulata fra i consigli nazionali degli ordini e il ministro dell'istruzione, università e ricerca.
Questa disposizione non si applica alle professioni sanitarie per le quali resta confermata la normativa vigente. In materia di tirocinio però, il governo ha fatto saltare (indirettamente) l'equo compenso previsto per il giovane che nella legge 148/2011 era previsto. Il decreto, sopprime, fra le altre cose, dalla Manovra di Ferragosto alcune sue parti. Una di queste (articolo 3, comma 5, lettera c - secondo periodo) è proprio la previsione della remunerazione per il praticante.
Notai. Più concorrenza fra i notai. L'attuale pianta organica (che prevede sulla carta 5.779 professionisti in servizio anche se al momento ce ne sono poco meno di 4.700), come revisionata da ultimo con i decreti del ministero della giustizia il 23.12.2009 e in data 10.11.2011, è aumentata di 500 posti. Per arrivare a questo risulto si procederà con una serie di concorsi a raffica. Non prima, però, di aver concluso quelli in corso.
Al momento infatti ci sono tre bandi che aspettano di essere conclusi per 550 posti. Il decreto prevede che entro il 2012 siano espletate tutte le procedure per la nomina dei professionisti nei vari distretti che ne necessitano. In un secondo momento, cioè entro il 31.12.2013, ci sarà un nuovo bando per altri 500 posti. Entro il 31.12.2014 toccherà ad altri 470 notai. Così facendo, a giudizio dell'esecutivo, ci saranno abbastanza professionisti sul mercato da creare la concorrenza necessaria.
Tuttavia, «per assicurare il funzionamento regolare e continuo dell'ufficio, il notaro deve tenere nel comune o nella frazione assegnatagli studio aperto con il deposito degli atti, registri e repertori notarili, e deve assistere personalmente allo studio stesso almeno tre giorni a settimana e almeno uno ogni 15 giorni per ciascun comune o frazione di comune aggregati».
Confidi. Nella maggioranza del capitale sociale dei consorzi fidi e delle società cooperative che esercitano l'attività di garanzia collettiva fidi spazio ai liberi professionisti. È quanto emerge dal decreto che modifica il comma 7, del dl n. 201/2011 (cosiddetta «manovra Monti»), convertito nella legge n. 214/2011. I consorzi di garanzia collettiva dei fidi sono enti costituiti nella veste giuridica di cooperativa o società consortile, che esercitano in forma mutualistica attività di garanzia collettiva dei finanziamenti in favore delle imprese socie o consorziate.
La modifica introdotta estende la partecipazione anche ai liberi professionisti (soci) a prescindere dall'attività esercitata che, insieme alle piccole e medie imprese (Pmi), devono detenere almeno la metà più uno dei voti esercitabili in assemblea, con il diritto a nominare gli organi con funzione di gestione e controllo strategico, di cui al richiamato art. 39, dl n. 201/2011 (articolo ItaliaOggi del 21.01.2012).

APPALTI SERVIZIServizi locali, tre anni di in house a chi si fonde.
NUOVA SOGLIA/ Scende a 200mila euro il valore contrattuale minimo per l'affidamento senza gara dei servizi ad aziende controllate dall'ente locale.

Le aziende di servizi pubblici locali che si accorperanno per servire un bacino di traffico più ampio e di dimensione almeno provinciale potranno godere di tre anni di continuazione dell'affidamento in house. È una delle misure che intendono incentivare la crescita dimensionale delle imprese (soprattutto pubbliche) operanti oggi nei mercati piuttosto polverizzati dei servizi pubblici locali.
Il ministro per lo Sviluppo, Corrado Passera, ha esplicitato questo obiettivo che si potrebbe definire di politica industriale con riferimento esplicito al settore dei trasporti, ma la lettura delle norme approvate ieri svela che il trattamento di favore riguarda anche gli altri settori che ricadono sotto la disciplina generale dei servizi pubblici locali, come per esempio la raccolta e la gestione dei rifiuti. Per altro, le aziende che si accorpassero per raggiungere la dimensione auspicata avrebbero anche una serie di vantaggi in termini di minori vincoli del patto di stabilità.
Non è questa l'unica riforma forte in materia di servizi pubblici locali. Il Governo ha deciso di rafforzare, su proposta del ministro delle Regioni, Piero Gnudi, le regole che favoriscono la concorrenza. Per l'in house, per esempio, nell'affidamento senza gara dei servizi ad aziende pubbliche controllate al 100% dall'ente locale, la soglia che oggi è fissata a 900mila euro di valore contrattuale scende a 200mila euro.
In questa direzione anche l'obbligatorietà del parere dell'Autorità Antitrust nel caso in cui un comune rinunci allo svolgimento di un servizio in regime di completa liberalizzazione e decida di confermare lo svolgimento del servizio «in esclusiva» o in concessione. Non ci sarà il silenzio-assenso: i comuni avranno bisogno comunque del parere favorevole dell'Autorità per poter varare la delibera quadro che assegna i servizi in monopolio.
È entrata, alla fine di un lungo tira e molla, anche la norma che reintroduce l'obbligo di gara per il settore del trasporto ferroviario regionale, che nell'attuale disciplina è escluso dal regime generale per una deroga esplicita (insieme a energia elettrica, gas e farmacie). La norma approvata ieri reintroduce l'obbligo per le Regioni di affidare il servizio con una gara ma fa salvi i contratti che le Regioni hanno già firmato in questi anni con Trenitalia per un periodo "protetto" di sei anni.
Non vengono salvati invece gli eventuali rinnovi per ulteriori sei anni che pure erano previsti dalla legge ad hoc. Alla scadenza dei contratti attuali, quindi, gara obbligatoria. L'altro effetto di questo compromesso è che non rischiano di essere azzerati i contratti in essere, come invece avverrà per tutti gli altri affidamenti a servizi pubblici avvenuti in passato senza gara (articolo Il Sole 24 Ore del 21.01.2012).

ENTI LOCALI - VARICasa ai parenti con l'Imu piena. Non più permessa l'assimilazione all'abitazione principale.
ItaliaOggi pubblica le risposte ai quesiti sul tema della nuova imposta municipale propria (Imu) posti dai telespettatori al videoforum ItaliaOggi-Ipsoa.
FABBRICATO CONCESSO A PARENTI
Vorrei capire come viene tassato dall'Imu un immobile utilizzato per intero (posseduto al 100% senza alcun atto) come abitazione principale da un soggetto proprietario per 1/3 e come viene tassato per gli altri familiari proprietari per 2/3; segue le stesse regole dell'Ici?
Risposta
Posto che per verificare il reale impatto dell'Imu si deve attendere l'emanazione dei regolamenti dei singoli comuni e i necessari chiarimenti ministeriali e che l'aliquota dello 0,76% dovrà essere applicata anche all'immobile concesso in uso gratuito a parenti del proprietario (immobili che, in vigenza dell'Ici, godevano dell'esenzione dal tributo in presenza di un regolamento comunale che prevedeva l'assimilazione all'abitazione principale), si ritiene che l'imposta possa essere determinata come di seguito indicato, trattandosi di unità immobiliare inserita nella categoria «A»:
- proprietario (1/3), dimorante e residente: utilizzare la rendita catastale vigente all'01.01.2012, da rivalutare del 5% e moltiplicando il prodotto ottenuto per il moltiplicatore 160, applicando all'ulteriore valore l'aliquota ridotta dello 0,4%. Ottenuta l'imposta, applicare la totale detrazione pari a 200 euro e l'eventuale maggiorazione di quest'ultima;
- familiari proprietari: stesso calcolo per ottenere la base imponibile (rendita x 1,05 x 160) utilizzando, però, l'aliquota dello 0,76% senza decurtare alcuna detrazione.
RENDITA FABBRICATI STRUMENTALI
Per quei fabbricati che, alla data del 16.06.2012, si troveranno ancora censiti al catasto terreni, la manovra prevede che il contribuente debba utilizzare la rendita attribuita a fabbricati similari e, in presenza di scostamenti tra la rendita presunta e quella proposta dal contribuente e accettata dall'Agenzia del territorio sarà il comune a effettuare le operazioni di conguaglio.
Sul punto si chiedono chiarimenti in merito al fatto che la rendita presunta debba essere utilizzata anche per i fabbricati strumentali o se invece, per tali immobili, purché interamente posseduti da imprese agricole e distintamente contabilizzati, si debba fare riferimento ai valori contabili, stante il fatto che il comma 3, dell'articolo 13, dl n. 201/2011 richiama espressamente il comma 3, dell'art. 5, del dlgs 504/1992.
Risposta
Il quesito è stato inoltrato all'Agenzia delle entrate ancor prima che il gentile lettore lo avesse prodotto, essendo un problema ricorrente e già evidenziato dalla più attenta dottrina.
Purtroppo, però, l'Agenzia delle entrate non ha fornito un chiarimento preciso, permanendo allo stato attuale l'incertezza evidenziata e dovendo fornire un'indicazione basata esclusivamente sulle disposizioni vigenti.
Si ricorda, infatti, che le costruzioni rurali censite al catasto terreni, ai sensi del comma 14-ter, dell'articolo 13, dl n. 201/2011, nella stesura definitiva, dovranno essere censite al catasto fabbricati entro il 30/11/2012 e che (comma 14-quater) l'Imu deve essere corrisposta, a titolo di acconto, sulla base della rendita delle unità similari già iscritte in catasto.
Nel caso specifico, però, per quanto concerne in particolare i fabbricati classificabili nella categoria «D», se interamente posseduti da imprese agricole e distintamente contabilizzati, fino al momento del richiesto accatastamento, la base imponibile si ritiene debba essere quantificata con riferimento ai «valori contabili» indicati nel comma 3, dell'art. 5, dlgs n. 504/1992, poiché espressamente richiamato dal comma 3, dell'art. 13, del dl n. 201/2011.
DIFFERENZE TRA IMU E ICI
Quali sono le differenze principali tra Imu e Ici, oltre a quella di dover pagare L'Imu nel caso di abitazione principale e non con l'Ici.
Risposta
Per quanto richiesto, si può evidenziare che, per esempio, il nuovo tributo, ancorché con aliquota ridotta (0,4%), si rende applicabile anche sull'abitazione principale, impattando sulla totalità dei contribuenti italiani.
Inoltre, l'Imu introduce nuovi moltiplicatori ai fini della determinazione della base imponibile che comportano, a decorrere dal 2012, un aumento medio del 60% dei valori catastali degli immobili, ancorché gli stessi siano utilizzati esclusivamente per la determinazione del tributo locale (resta esclusa l'applicazione, per esempio, per determinare il valore catastale ai fini dell'imposta di registro e delle donazioni e successioni).
La nozione di abitazione principale ricalca quella dell'Imu a regime ma è diversa rispetto da quella dell'Ici, poiché occorre la coincidenza della dimora abituale con la residenza anagrafica e che sia presente un'unica unità immobiliare iscritta o iscrivibile in catasto, mentre le pertinenze devono essere collocate nelle specifiche categorie (C/2, C/6 e C/7) con assegnazione dell'agevolazione per l'abitazione principale a una soltanto di esse (due posti auto, uno solo agevolato).
Saltano alcune agevolazioni, quella più nota prescritta dall'art. 59, dlgs n. 446/1997 che prevedeva la possibilità di equiparare all'abitazione principale le unità abitative concesse in uso gratuito (comodato) a parenti e talune esenzioni prescritte dall'art. 7, della legge n. 504/1992.
Del tutto nuove sono l'aliquota dello 0,4%, riferita all'abitazione principale e quella dello 0,2% per le costruzioni rurali strumentali che, insieme alle unità abitative rurali, erano esenti ai fini Ici, se classate nelle categorie specifiche «A/6» (abitazioni) e «D/10» (strumentali).
Infine, si nota un depotenziamento della potestà legislativa dei comuni e, nonostante la definizione «municipale», il 50% dell'introito derivante dall'applicazione dell'aliquota ordinaria dello 0,76% è destinato alle casse dello stato.
ESENZIONI TERRENI AGRICOLI
Vorrei sapere se l'esenzione prevista dalla normativa Ici per i terreni agricoli in zone montane è confermata anche dalla disciplina dell'Imu.
Risposta
Come indicato direttamente in sede di Video Forum 2012, i terreni agricoli collocati nelle aree montane o di collina, delimitate ai sensi dell'articolo 15 della legge n. 984 del 1977, restano esenti dall'imposizione.
Si aggiunge, inoltre, che l'elenco dei comuni è rilevabile all'interno della circolare n. 9/249 del 14.06.1993 (sul tema, risoluzione 17/09/2003 n. 5/DPF e Suprema Corte di cassazione, sentenza 29/10/2010 n. 22125).
FABBRICATI IN CATEGORIA E
I fabbricati accatastati in categoria «E» sono soggetti all'Imposta Municipale Propria sperimentale?
Risposta
Le disposizioni inerenti all'imposta municipale propria «sperimentale» fanno espresso rinvio alle disposizioni indicate negli articoli 8, 9 e 14, commi 1 e 6, del decreto legislativo n. 23/2011, concernente le disposizioni in materia di «Federalismo fiscale».
Nel rispetto del comma 8, dell'articolo 9, del citato decreto sul federalismo fiscale, richiamato espressamente dai commi 1 e 13 delle disposizioni sull'imposta municipale, come appena indicato, sono esenti dal pagamento del tributo i fabbricati classificati o classificabili nelle categorie da «E/1» a «E/9»; trattasi di tutti quegli immobili a destinazione particolare come le stazioni per servizi di trasporto (terrestri, marittimi e aerei), ponti comunali e provinciali soggetti a pedaggio, costruzioni e fabbricati per speciali esigenze pubbliche, recinti chiusi per speciali esigenze pubbliche, fabbricati costituenti fortificazioni e loro dipendenze, fari, semafori, torri per rendere d'uso pubblico l'orologio, fabbricati destinati all'esercizio pubblico dei culti, fabbricati e costruzioni nei cimiteri, con esclusione dei colombari, i sepolcri e le tombe di famiglia e gli edifici a destinazione particolare (categoria residuale).
ESENZIONI IMU PER DISABILI
È ancora attuale l'esenzione Imu per la prima casa abitata da disabile grave?
Risposta
Sul punto non si può che ricordare che il comma 8, dell'articolo 9, del dlgs n. 23 del 2011, espressamente richiamato dal comma 13, dell'art. 13, del dl. n. 201/2011 dispone che «_ sono esenti dall'imposta municipale propria gli immobili posseduti dallo stato, nonché gli immobili posseduti, nel proprio territorio, dalle regioni, dalle province, dai comuni, dalle comunità montane, dai consorzi fra detti enti, ove non soppressi, dagli enti del servizio sanitario nazionale, destinati ai compiti istituzionali. Si applicano, inoltre, le esenzioni previste dall'articolo 7, comma 1, lettere b), c), d), e), f), h) e i) del citato decreto legislativo 504/1992_».
Inoltre, il comma 10, dell'art. 13 in commento ha esteso determinati benefici (aliquota ridotta e detrazione d'imposta) alle fattispecie indicate nel comma 3-bis, dell'art. 6, dlgs n. 504/1992 (casa coniugale o ex coniugale, unità abitative possedute dalle cooperative edilizie a proprietà indivisa, alloggi assegnati dagli Iacp), mentre è possibile applicare l'aliquota ridotta e la detrazione per abitazione principale per le unità immobiliari utilizzate da «anziano» o «disabile», con residenza acquisita in istituti di ricovero a seguito di ricovero permanente, purché non locato.
Rientra, però, nella potestà regolamentare dei comuni di estendere le agevolazioni previste per l'abitazione principale agli anziani o disabili che acquisiscono la residenza in istituti di ricovero o sanitari a seguito di ricovero permanente, ai sensi del comma 10, dell'articolo 13.
Non si riscontra, almeno nella disciplina Imu una specifica esenzione per la prima casa abitata da disabile grave, se dallo stesso utilizzata in assenza di ricovero permanente (articolo ItaliaOggi del 20.01.2012).

AMBIENTE-ECOLOGIARifiuti tracciati, rinvio a giugno. Funzioni associate, per tutti i comuni si va a settembre. Emendamenti approvati al decreto sulle proroghe, che approda lunedì in aula alla Camera.
Slitta di tre mesi (dal 2 aprile al 30 giugno) l'entrata in vigore del Sistri, il Sistema di controllo per la tracciabilità dei rifiuti. E per tutto il 2013 i comuni turistici potranno assumere a tempo determinato vigili urbani.
A prevederlo sono alcuni emendamenti approvati ieri nelle commissioni affari costituzionali e bilancio della camera al decreto milleproroghe (216/2011), che approderà in aula lunedì, dove si attendono passi in avanti su due questioni pensionistiche (riguardanti i lavoratori «precoci» ed «esodati», si veda ItaliaOggi di ieri).
Il congelamento del Sistri, caldeggiato dalla Lega Nord, arriva sei mesi dopo il varo di un'altra norma sul tema nel dl sviluppo (70/2011), che ha dato alle aziende con meno di dieci dipendenti tempo fino al 1° giugno per l'avvio del meccanismo di verifica, al fine di garantire un adeguato periodo transitorio.
Cantano vittoria, invece, le località di attrazione turistica perché è passata la proposta di modifica del centrosinistra che consentirà alle amministrazioni le assunzioni stagionali di vigili, nei periodi di maggiore affluenza, anche nel 2013; i comuni, spiega Giulio Calvisi (Pd), avevano sollecitato la misura perché, soprattutto in estate, «vedono aumentare esponenzialmente la popolazione che gravita sul territorio» e hanno necessità di ricorrere ad altro personale di polizia locale «per evidenti ragioni di tutela della sicurezza, controllo del territorio, lotta all'evasione fiscale, controllo del rispetto della normativa in materia ambientale, nonché gestione del traffico».
Novità anche sul versante dell'istruzione: via libera all'emendamento sull'inserimento nelle graduatorie ad esaurimento di oltre 23 mila docenti, abilitati e abilitandi, di scienze della formazione primaria, strumento musicale e didattica della musica, in base ai loro titoli, fino ad oggi non riconosciuti, e con il punteggio maturato negli anni; ci sarà, inoltre, possibilità fino al 2013 per gli enti locali intenzionati ad assumere con contratti a tempo determinato o di collaborazione, personale scolastico (i supplenti dei servizi educativi e d'infanzia), così come la ripartizione a tutte le università, senza esclusione di quelle che hanno superato il rapporto del 90% tra spese di personale e risorse del fondo di finanziamento universitario, del piano straordinario di reclutamento per professori associati.
Con il sì ad un emendamento del Pd, poi, si concede la proroga fino settembre 2012 a tutti i comuni per la gestione associata delle funzioni. In particolare, la disposizione nasce dall'esigenza di ricomprendere nel rinvio anche i comuni sotto i mille abitanti, che inizialmente ne erano rimasti esclusi.
La proroga, inizialmente fissata a giugno 2012 per gli enti tra 1.000 e 5.000 abitanti, viene ora fissata per tutti, cioè per questi e anche per quelli sotto i 1.000 abitanti, a fine settembre. Da ricordare che l'art. 16 del decreto n. 138 del 13.08.2011 (la manovra bis) aveva inizialmente fissato a fine dicembre 2011 il termine per l'obbligo della gestione associata delle funzioni fondamentali.
Prorogata al 29 febbraio la sanatoria sui cartelloni elettorali abusivi, duramente contestata da Radicali e Idv: le violazioni delle norme su affissioni e pubblicità potranno essere sanate fino alla fine del mese prossimo attraverso il pagamento di 1.000 euro. Passato, poi, l'emendamento fatto proprio da uno dei relatori, Gianclaudio Bressa (Pd), che consentirà di reperire 250 mila euro per far fronte al pagamento dell'assicurazione dei volontari del Soccorso Alpino e speleologico che, si legge in una nota del centrosinistra, «svolgono un servizio universale previsto dalla legge ma fortemente compromesso, a danno della sicurezza in montagna e del turismo montano, dai tagli delle manovre dell'estate scorsa».
Grande la delusione delle associazioni agricole (che promettono battaglia anche perché «il carico fiscale sui fabbricati rurali è rimasto invariato» dichiara Confagricoltura) dopo il ritiro della proposta sull'Imu, che stabiliva una differenziazione del trattamento impositivo di chi il terreno lo usa per vivere e lavorare. Una iniziativa bipartisan, infine, dà una mano all'editoria delle onlus e delle associazioni d'arma, che potranno beneficiare delle tariffe agevolate per la spedizione delle loro pubbblicazioni (articolo ItaliaOggi del 20.01.2012).

APPALTI SERVIZIIn house, la strada è la fusione. Chi si aggrega andrà avanti fino al 2017. Mutui senza paletti.Il dl liberalizzazioni riscrive la disciplina dei servizi locali. Aziende speciali soggette al Patto.
Incentivi alle fusioni delle gestioni in house. Le aziende che si metteranno insieme potranno andare avanti tranquillamente fino alla fine del 2017. L'obiettivo del governo è promuovere l'accorpamento delle realtà locali in modo da avere un unico gestore per ciascun bacino territoriale ottimale coincidente almeno con l'estensione della provincia.
Le società risultanti dalla fusione, inoltre, non avranno paletti nella sottoscrizione di mutui per investimenti, mentre le altre dovranno fare bene i conti perché gli interessi delle rate annuali di ammortamento, sommati a quelli dei mutui precedentemente contratti, non potranno superare il 25% delle entrate effettive dell'azienda.
La soglia per gli affidamenti scende da 900 a 200 mila euro. Quelli di valore economico superiore dovranno cessare a fine 2012. Mentre le gestioni affidate direttamente a società miste pubblico-private (se la selezione del socio è avvenuta senza gara a «doppio oggetto») termineranno il 31.03.2013. L'attribuzione di diritti di esclusiva sarà possibile solo previo parere obbligatorio dell'Antitrust che dovrà pronunciarsi entro 60 giorni dalla ricezione della delibera dell'ente.
Il decreto sulle liberalizzazioni, che oggi il governo Monti porterà sul tavolo del consiglio dei ministri, riscrive in molti punti la disciplina dei servizi pubblici locali già rivista dal governo Berlusconi con la manovra di Ferragosto (dl 138/2011). E per incentivare comuni, province e regioni ad applicare le nuove regole stabilisce che chi lo farà sarà considerato virtuoso ai fini dell'applicazione degli sconti sul patto di stabilità.
Anche le aziende speciali dovranno rispettare i vincoli di bilancio secondo modalità che saranno definite con un decreto ministeriale che il governo approverà entro la fine di giugno. In ogni caso alle partecipate si applicheranno tutte le disposizioni emanate negli ultimi anni per comprimere la spesa degli enti locali: divieti e limiti alle assunzioni, taglio delle retribuzioni, riduzione delle consulenze.
Tutela della concorrenza a livello locale. Per promuovere la concorrenza a livello comunale è prevista l'individuazione di un apposito ufficio presso la presidenza del consiglio che dovrà monitorare la normativa locale alla ricerca di eventuali disposizioni contrastanti con i principi di libero mercato (di veda ItaliaOggi del 12/1/2012). Qualora vengano riscontrate irregolarità il nuovo organismo assegnerà all'ente un «congruo termine» per rimuovere i limiti alla concorrenza, decorso il quale scatteranno i poteri sostitutivi previsti dalla legge La Loggia (n. 131/2003). L'ufficio supporterà gli enti locali anche nella dismissione delle loro quote di partecipazione in società di utility.
Obblighi informativi dei concessionari. I concessionari e affidatari di servizi pubblici locali saranno obbligati a fornire ai comuni, che vogliono bandire una gara per assegnare il servizio da loro svolto, tutte le informazioni utili (impianti, infrastrutture, rivalutazioni, ammortamenti). Dovranno farlo entro 60 giorni dalla richiesta. Diversamente potranno andare incontro a una sanzione da 5 mila a 500 mila euro (articolo ItaliaOggi del 20.01.2012 - tratto da www.corteconti.it).

INCARICHI PROFESSIONALIObbligo di gara per selezionare i professionisti.
Conseguenza diretta della liberalizzazione delle professioni sarà l'obbligatorietà di procedure di gara da parte delle pubbliche amministrazioni per selezionare i professionisti cui affidare servizi, compresi gli avvocati.
La bozza del decreto sulle liberalizzazioni incide sulle professioni con due mosse. In primo luogo, abroga tutte le tariffe professionali, sia minime sia massime (resta il dubbio se l'abrogazione coinvolga anche le tariffe notarili: il testo attualmente circolante si rivolge anche ai notai). In secondo luogo, elemento maggiormente importante per i comportamenti che dovranno assumere le pubbliche amministrazioni, introduce l'obbligo per tutti i professionisti di concordare in forma scritta con il cliente il preventivo per la prestazione richiesta. Il decreto stabilisce che la redazione del preventivo è un obbligo deontologico del professionista, la cui inottemperanza costituisce illecito disciplinare.
Risulta a questo punto chiaro che se il professionista è obbligato nei confronti di ciascun cliente privato a presentare un preventivo scritto, ciò deve valere a maggior ragione per la pubblica amministrazione.
Infatti, tutti i rapporti contrattuali per gli enti pubblici debbono essere regolamentati in forma scritta a pena di nullità. Come il professionista ha l'obbligo deontologico di fornire il preventivo, simmetricamente l'amministrazione pubblica deve pretenderlo, per adempiere ai doveri di imparzialità e trasparenza.
La combinazione tra abolizione delle tariffe e della necessità del preventivo rompe per sempre il fronte della «fiduciarietà» di alcuni tipi di incarichi professionali, tra i quali soprattutto quelli ad avvocati. Nonostante risulti chiarissimo da tempo, per effetto dell'allegato II B, punto 21, del codice dei contratti, che gli incarichi ad avvocati non sono «incarichi» di consulenza o collaborazione, tuttavia è rimasta forte in dottrina e anche giurisprudenza la teoria secondo la quale non si debbano rispettare i canoni delle procedure di appalto, vista la fiduciarietà intrinseca al legame tra avvocato e committente e in presenza di un tariffario minimo.
L'obbligo del preventivo non può non indurre le amministrazioni a considerare l'aspetto economico come elemento o tra gli elementi fondamentali per la scelta del professionista.
È cura minima acquisire più di un preventivo e impostare una procedura concorrenziale, applicando le procedure comunque semplificate previste per i contratti ai quali non si applica interamente la disciplina del codice dei contratti dall'articolo 27 del codice stesso, oppure il cottimo fiduciario ai sensi dell'articolo 125.
L'era dell'affidamento diretto intuitu personae è destinata al definitivo tramonto, tranne per casi da motivare di specifica urgenza e necessità, indotte, nel caso degli incarichi ai legali, dai termini procedimentali previsti dalle leggi processuali (articolo ItaliaOggi del 20.01.2012).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGOEsuberi ai raggi X per assumere. Atti nulli senza la rilevazione del personale in sovrannumero. La legge di stabilità 2012 impone alle amministrazioni la ricognizione dei dipendenti.
Obbligo di rilevazione annuale del personale in sovrannumero e di quello eccedente: è questa la nuova condizione posta a tutte le pubbliche amministrazioni per poter effettuare assunzioni di personale a qualunque titolo. La mancata applicazione di questa prescrizione è sanzionata con la nullità degli atti adottati, il che determina inevitabilmente il maturare di responsabilità amministrativa. Sono questi i principali effetti determinati dal nuovo testo dell'articolo 33 del dlgs n. 165/2011 introdotto dall'articolo 16 della legge n. 183/2011, cd di stabilità 2012.
Il primo elemento da sottolineare è che il legislatore individua le condizioni di sovrannumero nella presenza di personale e/o di dirigenti extra dotazione organica: siamo quindi in presenza di un accertamento esclusivamente formale, che si effettua confrontando il personale a tempo indeterminato in servizio con quello previsto nella dotazione organica. Le condizioni di eccedenza devono essere individuate «in relazione alle esigenze funzionali o alla situazione finanziaria».
Nel testo precedentemente in vigore il riferimento era invece molto più genericamente alle previsioni della legge n. 223/1991, cioè la norma dettata per la individuazione delle condizioni di eccedenza nel settore privato. Il secondo elemento da rilevare è che queste dichiarazioni, a differenza del passato, possono essere disposte solamente al momento dell'adozione di questo documento.
Mancano, nella disposizione, indicazioni sul modo in cui le p.a. devono effettuare questa verifica. Sul terreno delle procedure appare necessario il coinvolgimento di tutti i dirigenti nella definizione della proposta, mentre l'adozione dell'atto appartiene alla competenza della giunta. Espressamente il legislatore prevede il coinvolgimento dei dirigenti: essi sono infatti chiamati ad attivare questa procedura; il mancato rispetto di tale vincolo, sulla base di una esplicita previsione, «è valutabile ai fini della responsabilità disciplinare».
L'accertamento della condizione di eccedenza deve essere effettuato dalle amministrazioni sulla base della condizione finanziaria, il che non è senza conseguenze per gli enti che hanno violato il tetto alla spesa del personale o il rapporto massimo del 50% tra spesa del personale e corrente. Essa deve inoltre essere effettuata in relazione alle attività svolte da ogni unità organizzativa, quindi con riferimento ai procedimenti, al loro numero e alla loro complessità. È verosimile che, al momento in cui saranno determinati i fabbisogni standard, ogni ente dovrà tenerne conto.
La ricognizione può sicuramente essere effettuata unitamente alla programmazione annuale e triennale del fabbisogno del personale. La sua effettuazione, anche in caso di esito negativo, deve essere comunicata alla funzione pubblica. Se invece si sono determinate condizioni di eccedenza o di sovrannumero occorre dare informazione ai soggetti sindacali. Da questo momento le amministrazioni devono attivarsi per superare tali condizioni.
Dopo non meno di dieci giorni dalla comunicazione ai soggetti sindacali, l'ente deve verificare se questa condizione può essere risolta attraverso il ricorso a forme flessibili, al contratti di solidarietà, il collocamento in quiescenza del personale che ha raggiunto 40 anni di anzianità contributiva e l'eventuale mobilità presso amministrazioni della stessa regione. In caso negativo, decorsi 90 giorni dalla comunicazione ai soggetti sindacali, sono collocati in disponibilità i dipendenti individuati come eccedenti.
---------------
Così la delibera di giunta per il monitoraggio.
Visto l'articolo 33 del dlgs n. 165/2001 nel testo modificato da ultimo dall'articolo 16 della legge n. 183/2011, cd legge di stabilità 2012;
Ricordato che questa disposizione impone a tutte le amministrazioni pubbliche di effettuare la ricognizione annuale delle condizioni di soprannumero e di eccedenza del personale e dei dirigenti; che la stessa impegna i dirigenti ad attivare tale procedura per il proprio settore e che sanziona le p.a. inadempienti con il divieto di effettuare assunzioni di personale a qualunque titolo, dettando nel contempo le procedure da applicare per il collocamento in esubero del personale eccedente e/o in soprannumero ai fini della loro ricollocazione presso altre amministrazioni ovvero, in caso di esito negativo, alla risoluzione del rapporto di lavoro;
Assunto che la condizione di soprannumero si rileva dalla presenza di personale in servizio a tempo indeterminato extra dotazione organica;
Assunto che la condizione di eccedenza si rileva dalla impossibilità dell'ente di rispettare i vincoli dettati dal legislatore per il tetto di spesa del personale (cioè l'anno 2004 per gli enti non soggetti al patto e l'anno precedente per quelli soggetti al patto) e dal superamento del tetto del 50% nel rapporto tra spesa del personale e spesa corrente. Si dà atto, come da comunicazione del dirigente del settore economico finanziario, che la spesa del personale è stata nell'anno 2011 pari ad _ , mentre nell'anno 2010 (ovvero nell'anno 2004 per gli enti non soggetti al patto) era stata pari ad _, quindi quella del 2012 è inferiore. Si dà atto, sempre sulla base della comunicazione del dirigente del settore economico finanziario che nell'anno 2011 la spesa corrente è stata pari ad _ , quindi che il rapporto tra spesa del personale e spesa corrente, considerando anche -sulla base delle previsioni del dl n. 98/2011- la spesa sostenuta per il personale delle società cd in house e di quelle controllate che svolgono compiti di supporto, per cui tale rapporto è stato inferiore al 50%. E ancora, dalla assenza di personale dipendente non trasferito alle dipendenze del nuovo soggetto in caso di esternalizzazione, nonché dalla rilevazione del numero e della complessità dei procedimenti attribuiti ai singoli settori;
Valutate le relazioni presentate dai dirigenti dell'ente sulla assenza di tali condizioni nei singoli settori da essi diretti;
Visti i pareri di regolarità tecnica e contabile espressi dal dirigente del settore personale e da quello del settore economico finanziario, ai sensi dell'art. 49 del Testo unico delle Leggi sull'Ordinamento degli enti locali dlgs 18/08/2000, n. 267,
D E L I B E R A
a) nell'ente non sono presenti nel corso dell'anno 2012 né dipendenti né dirigenti in soprannumero;
b) nell'ente non sono presenti nel corso dell'anno 2012 né dipendenti né dirigenti in eccedenza;
c) l'ente non deve avviare nel corso dell'anno 2012 procedure per la dichiarazione di esubero di dipendenti o dirigenti;
d) di dare corso alla adozione del programma del fabbisogno di personale per l'anno 2012 e per il triennio 2012/2014
e) di inviare al dipartimento della funzione pubblica copia della presente deliberazione;
f) di informare i soggetti sindacali dell'esito della ricognizione (articolo ItaliaOggi del 20.01.2012).

ENTI LOCALIImu, la quota statale è intangibile. Le agevolazioni dei comuni non intaccano il 50% erariale. Molti i punti oscuri. Imposta da riversare indipendentemente dal fatto che sia stata riscossa.
Molti i punti oscuri che riguardano la determinazione della quota Imu destinata allo stato e le modalità per il versamento all'erario del 50% della nuova imposta locale, la cui scadenza in acconto è fissata per il 18 giugno. Le agevolazioni Imu per l'anno in corso che i comuni hanno già deliberato o adotteranno entro il 31 marzo, termine previsto per l'approvazione dei bilanci di previsione, non possono intaccare la quota riservata allo stato.
Quindi, le scelte degli enti locali sono condizionate dai riflessi negativi che possono comportare maggiorazioni di detrazione o riduzioni di aliquote deliberate per immobili diversi dall'abitazione principale e dagli immobili rurali strumentali. A differenza che in passato, inoltre, la disciplina Imu impone ai comuni di pagare allo stato la quota del tributo sugli immobili siti sul loro territorio nel caso in cui non abbiano una determinata destinazione.
Peraltro dalla formulazione letterale dell'articolo 13 del dl Monti (201/2011) sembra che allo stato spetti la quota d'imposta dovuta, al di là del fatto che sia stata riscossa o meno dall'ente. Le somme dovute allo stato dovrebbero seguire il criterio di competenza e non di cassa. Al comune spettano le «maggiori somme» derivanti dalle attività di accertamento e riscossione della quota di tributo erariale, a titolo di imposta, interessi e sanzioni. La nuova imposta locale potrà essere pagata dal contribuente solo con il modello F24, ma deve ancora essere chiarito in che modo va effettuato il versamento della quota statale.
Le agevolazioni. I comuni sono esonerati dal pagamento dell'Imu solo per gli immobili siti sul proprio territorio purché destinati esclusivamente ai compiti istituzionali. La novità è rappresentata dal fatto che l'esonero è condizionato dalla destinazione dell'immobile e non compete più per gli immobili ubicati sul territorio di altri comuni.
Sebbene non sia stato abrogato l'articolo 4 del decreto legislativo 504/1992 che esonerava il comune dal pagamento dell'Ici, le nuove disposizioni non richiamano questa norma. Il criterio interpretativo che si ricava dalla relazione tecnica al decreto Monti è che per inquadrare i benefici fiscali occorre tener conto non solo delle disposizioni espressamente abrogate, ma anche di quelle non richiamate.
Per esempio, per quanto concerne le agevolazioni che riguardano i coltivatori diretti e gli imprenditori agricoli che esplicano la loro attività a titolo principale, la relazione tecnica al dl 201/2011 pone in evidenza che viene richiamato solo l'articolo 2 del decreto legislativo 504/1992 e non l'articolo 9 dello stesso decreto.
Quindi, i terreni da questi posseduti e condotti sono considerati non fabbricabili, ma non possono più fruire delle riduzioni d'imposta. Dunque, anche il mancato richiamo dell'articolo 4 del decreto 504, che non assoggettava a imposizione gli immobili di cui il comune era proprietario a prescindere dalla destinazione dell'immobile, non conferma l'esclusione. Il comune, dunque, anche per gli immobili siti sul suo territorio dovrebbe pagare la quota d'imposta riservata allo Stato, qualora non sia destinato a sede o ufficio dell'ente.
Per esempio, un immobile di proprietà dell'ente che viene dato in affitto o concesso in uso allo stato per lo svolgimento di attività scolastiche dovrebbe essere assoggettato a imposizione, non potendosi in senso stretto configurare una finalità istituzionale dell'ente. Inoltre, non spetta più l'esenzione per gli immobili siti sul territorio di altri comuni. L'articolo 9 del decreto legislativo 23/2011 ha ridisegnato le esenzioni dal tributo e non richiama l'articolo 7, comma 1, lettera a), della disciplina Ici che stabiliva quest'ultima agevolazione.
I versamenti. L'articolo 13, comma 11, del dl 201 prevede la riserva per lo stato della quota di imposta pari alla metà dell'importo calcolato applicando l'aliquota dello 0,76% alla base imponibile di tutti gli immobili.
Sono esclusi dal calcolo gli immobili destinati ad abitazione principale e le relative pertinenze. Non rientra nella quota statale neppure il gettito che deriva dai fabbricati rurali ad uso strumentale. Per questi immobili per i quali prima era riconosciuta l'esenzione, dal 2012 è riservato un trattamento agevolato, con applicazione di un'aliquota ridotta del 2 per mille. Non si applicano alla quota statale neppure le detrazioni e riduzioni di aliquota deliberate dai comuni. La norma stabilisce che la somma di competenza dello Stato deve essere versata «contestualmente all'imposta municipale propria».
In deroga a quanto disposto dall'articolo 52 del decreto legislativo 446/1997, che attribuisce ai comuni il potere di decidere le modalità di riscossione, spontanea e coattiva, delle proprie entrate, l'Imu deve essere versata solo con l'F24. Con provvedimento del direttore dell'Agenzia delle entrate dovranno essere indicate le modalità per effettuare i versamenti. Nella relazione ministeriale è indicato che il ricorso a questo modello per il versamento si è reso necessario proprio perché una quota parte del tributo è riservata all'erario. Pertanto, vengono semplificati gli adempimenti del contribuente e si garantisce «un più agevole controllo dei flussi di entrata».
Una cosa che sembra certa è che il contribuente potrà versare l'imposta in un'unica soluzione. Non è chiaro invece se dovrà differenziare, con 2 codici tributo, la quota destinata ai comuni e allo stato. In alternativa, per evitare di porre a carico dei contribuenti l'onere di fare diversi conteggi, le somme incassate dal comune potrebbero essere riversate allo Stato per la quota che gli spetta oppure potrebbero essere ridotti in misura corrispondente i trasferimenti erariali (articolo ItaliaOggi del 20.01.2012).

CONSIGLIERI COMUNALIOSSERVATORIO VIMINALE/ Il presidente del consiglio non può presiedere il cda di un ente non profit. Incompatibilità a 360 gradi. L'assenza di finalità di lucro non esclude l'ipotesi.
La carica di presidente del consiglio comunale è compatibile con quella di presidente del consiglio di amministrazione di un'associazione che non persegue fini di lucro, di cui il comune è socio fondatore, finanziata con fondi del bilancio comunale e con contributo annuale del comune?
La fattispecie rappresentata va esaminata in ragione della statuizione recata dal comma 1, n. 1 dell'art. 63 del dlgs n. 267/2000, che espressamente prevede l'incompatibilità per l'amministratore o il dipendente con poteri di rappresentanza o di coordinamento di ente, istituto o azienda soggetti a vigilanza in cui vi sia almeno il 20% di partecipazione rispettivamente da parte del comune o della provincia o che dagli stessi riceva in via continuativa una sovvenzione in tutto o in parte facoltativa, quando la parte facoltativa superi nell'anno il dieci per cento del totale delle entrate dell'ente.
L'assenza della finalità di lucro nell'associazione non è sufficiente ad escludere la sussistenza dell'ipotesi d'incompatibilità.
In conformità al principio generale secondo cui ogni organo collegiale deve deliberare innanzitutto sulla regolarità dei titoli di appartenenza dei propri componenti, la contestazione della causa ostativa all'espletamento del mandato è compiuta con la procedura consiliare prevista dall'art. 69 del citato decreto legislativo, che garantisce comunque il corretto contraddittorio tra l'organo ed il proprio componente, assicurando a quest'ultimo l'esercizio del diritto di difesa e la possibilità di rimuovere entro un congruo termine la causa d'incompatibilità contestata (articolo ItaliaOggi del 20.01.2012).

CONSIGLIERI COMUNALIOSSERVATORIO VIMINALE/ Ineleggibilità.
Si configura il divieto di ineleggibilità, previsto dall'art. 51 del dlgs n. 267/2000, nel caso di un amministratore eletto alla carica di sindaco per la prima volta, il cui mandato è stato interrotto dallo scioglimento del consiglio comunale con provvedimento ai sensi dell'art. 143 Tuel, successivamente annullato con sentenza del Consiglio di stato, atteso che tra il primo mandato elettorale, nel frattempo scaduto, e la tornata elettorale nella quale l'amministratore è stato nuovamente eletto sindaco, l'ente locale è stato gestito da un commissario?
La continuità dei due mandati consecutivi, al verificarsi dei quali l'art. 51 Tuel dispone la non rieleggibilità alla carica di sindaco, non viene meno per effetto dell'interposizione di una gestione commissariale.
La Corte di cassazione, sebbene chiamata a pronunciarsi su un diverso caso, ha avuto modo di precisare che, affinché non si configuri la condizione ostativa prevista dal citato art. 51, è necessario che il secondo mandato amministrativo sia stato seguito da una tornata elettorale alla quale il sindaco uscente non si è candidato. In particolare è stato precisato che «l'ambito di operatività del divieto (ex art. 51 cit.) è puntualmente e univocamente chiarito, nel senso della sua correlazione a una sequenza temporale caratterizzata dalla compresenza, oltreché dell'avverbio «immediatamente» (già di per sé sufficiente a escludere il permanere dell'ineleggibilità oltre la tornata elettorale successiva alla conclusione del secondo mandato) anche della incidentale (rafforzativa) «allo scadere del secondo mandato», che non lascia alcun margine di dubbio interpretativo in ordine alla circostanza che per le elezioni diverse da quelle immediatamente successive alla scadenza del mandato non operi più la causa di ineleggibilità» (cfr. Corte di cass., sent. 13181 del 05.07.2007).
Pertanto, se tra il primo mandato elettorale, anche se di durata ridotta ma in ogni caso superiore a due anni, sei mesi e un giorno, poi seguito da una gestione commissariale, e il secondo non si è verificata alcuna tornata elettorale intermedia, interruttiva della sequenza temporale di cui al citato art. 51, comma 2, del Tuel, sussiste la causa ostativa alla terza candidatura di cui al citato art. 51 del dlgs. n. 267/2000, atteso che le prossime elezioni sarebbero quelle immediatamente successive alla scadenza del secondo mandato (articolo ItaliaOggi del 20.01.2012).

APPALTI SERVIZILIBERALIZZAZIONI/ Utility, privatizzazioni a tappe. Sulla cessione delle quote la road map termina nel 2015. Ripescata la tempistica del dl Fitto-Ronchi. Risarcimenti agli utenti.
Sulla privatizzazione delle utility si torna all'antico. Gli affidamenti in house di valore superiore a 200 mila euro (la nuova soglia individuata dal governo, rispetto agli attuali 900 mila euro) non solo dureranno fino 31.12.2012 (sarebbero dovuti cessare al 31 marzo) ma potranno sopravvivere anche oltre, fino alla naturale scadenza del contratto di servizio, a condizione che la partecipazione detenuta dai soci pubblici si riduca ad almeno il 40% entro il 30.06.2013 e al 30% entro il 31.12.2015.
Diversamente gli affidamenti termineranno in tali date. La road map sarà la stessa anche per le gestioni affidate direttamente a società a partecipazione mista pubblica e privata, qualora la selezione del partner privato non sia avvenuta con «gara a doppio oggetto», ossia riguardante al tempo stesso la qualità socio e l'attribuzione dei compiti operativi connessi alla gestione del servizio. Anche in questo caso le gestioni potranno durare fino a naturale scadenza a condizione che le quote in mano pubblica si riducano fino a raggiungere le percentuali di cui sopra entro le predette date.

Nella tabella di marcia per favorire l'ingresso dei privati nella gestione dei servizi pubblici locali il governo Monti ripropone tali e quali le norme della riforma Fitto (dl 135/2009) cancellata a giugno 2011 dai referendum sull'acqua pubblica. Il pacchetto liberalizzazioni che andrà venerdì sul tavolo del consiglio dei ministri contiene invece norme tutte nuove sulle dismissioni delle quote da parte dei comuni.
Le regole introdotte dal dl 78/2010 (articolo 14, comma 32) e modificate prima dal decreto milleproroghe di fine 2010 (dl n. 225 convertito nella legge n. 10/2011) e poi dalla manovra di Ferragosto (dl 138/2011) restano confermate. Il che significa che i municipi con popolazione compresa tra 30 mila e 50 mila abitanti avranno tempo fino al 31.12.2013 per ridurre a una sola le partecipazioni societarie detenute. Mentre i comuni sotto i 30 mila abitanti dovranno portare a termine le dismissioni entro il 31.12.2012 a meno che le partecipate abbiano avuto il bilancio in utile negli ultimi tre esercizi, non abbiano subìto riduzioni di capitale sociale e perdite da ripianare.
Ma, ferma restando questa disciplina, i comuni, quando avranno esigenza di ampliare i mercati e ripianare i propri debiti, potranno (la norma parla espressamente di «facoltà» e non di obbligo) cedere le proprie quote tramite gara, comunicandone l'esito inizialmente entro il 30.09.2012 e poi entro il 30 settembre di ogni anno. L'esito delle procedure dovrà essere comunicato alla neonata unità di missione per la tutela dei consumatori e la promozione della concorrenza nelle regioni e negli locali che sarà istituita presso palazzo Chigi.
E a proposito di tutela degli utenti, il pacchetto liberalizzazioni di Monti apre la strada al risarcimento dei danni per violazione degli standard minimi di qualità. Si legge infatti nella bozza di provvedimento che nelle carte di servizio dovranno essere indicati i diritti «anche di natura risarcitoria che i consumatori e le imprese utenti possono esigere nei confronti dei gestori del servizio e dell'infrastruttura».
I comuni dovranno acquisire il parere dell'Antitrust sulle delibere con cui decidono di mantenere i regimi di esclusiva sottraendo uno o più settori alla liberalizzazione. La manovra di Ferragosto (dl 138/2011), nell'art. 4 che ha riscritto la disciplina dei servizi pubblici locali dopo i referendum di giugno, non prevedeva tale obbligo e stabiliva solo che la delibera (di cui doveva essere data adeguata pubblicità) dovesse essere inviata all'Antitrust per l'opportuna relazione al parlamento.
Ora invece il pacchetto liberalizzazioni del governo Monti condiziona l'adozione della delibera al parere dell'Autorità garante della concorrenza che dovrà pronunciarsi entro 60 giorni sulla base dell'istruttoria svolta dall'ente locale (articolo ItaliaOggi del 18.01.2012 - tratto da www.corteconti.it).

ENTI LOCALI«Come fare per»: trasparenti i siti delle amministrazioni.
Obbligo per le p.a. di pubblicare sui siti istituzionali, per ciascun procedimento, modalità di adempimento, documentazione da presentare, modulistica, responsabile e termine di conclusione del procedimento. Al fine di evitare ai cittadini di doversi recare presso un ufficio solo per ottenere informazioni o richiedere un modulo.
Tutto questo sarà possibile attraverso la creazione, senza costi, di un'apposita casella «Come fare per» sull'homepage dei siti istituzionali delle amministrazioni, a partire da quelli della p.a.. Così come previsto dagli artt. 54 e 57 del Codice dell' amministrazione digitale, art. 6, comma 2 del dl n. 70 del 2011 e da ultimo lo Statuto delle imprese.

È quanto anticipato ieri dal ministro della funzione pubblica Giuseppe Patroni Griffi, durante l'audizione alla Commissione affari costituzionali del senato.
Il ministro, ha inoltre sottolineato la necessità che l'amministrazione pubblica recuperi la capacità di attrarre al suo interno le giovani eccellenze. «Servono ingegneri, geologi, matematici, statistici, economisti, oltre che bravi giuristi, orientati al cambiamento e alla modernizzazione dei processi», ha dichiarato Patroni Griffi. Che poi ha aggiunto: «Per farlo, occorre rivitalizzare i canali concorsuali e meritocratici nella selezione del personale, e soprattutto dei dirigenti, in specie riducendo la frammentazione delle procedure concorsuali indette dalle singole amministrazioni ed irrobustendo il rilievo del corso-concorso, da indire con cadenza periodica».
Tra gli altri punti sottolineati al fine di migliorare il funzionamento della pubblica amministrazione ci sono poi quello della spending review, «per avviare un processo di modernizzazione dell'amministrazione pubblica e di riqualificazione dei servizi attraverso un'opera di razionalizzazione»; il potenziamento del «portale della trasparenza», alla cui realizzazione stanno lavorando Civit, Cnr e DigitPa; la riduzione degli oneri amministrativi unitamente al rafforzamento dei servizi ai cittadini e alle imprese.
Patroni Griffi ha infatti ricordato come le analisi condotte dalle principali organizzazioni internazionali individuano nella complicazione burocratica una delle prime cause dello svantaggio competitivo dell'Italia nel contesto europeo e nell'intera area Ocse (l'Italia si colloca al 25° posto su 26 paesi dell'Unione europea, significativamente penultima solo prima della Grecia). Il dipartimento della funzione pubblica ha sinora stimato in oltre 23 miliardi di euro l'anno gli oneri amministrativi relativi a 81 procedure amministrative particolarmente rilevanti per le imprese, selezionate con le associazioni imprenditoriali (articolo ItaliaOggi del 18.01.2012).

APPALTI - EDILIZIA PRIVATAIl Durc senza autocertificazione. Le amministrazioni pubbliche possono continuare a chiederlo. Le indicazioni del ministero del lavoro dopo la semplificazione introdotta dalla legge 183/2011.
Il Durc non è autocertificabile e le amministrazioni possono richiederlo all'interessato, per poi verificarne il contenuto.
Al pasticciaccio brutto causato al rilascio del Durc dalla legge 183/2011 cerca di metterci una pezza il ministero del lavoro, Direzione generale per l'attività ispettiva, con la
nota 16.01.2012 n. 619 di prot.. Difficile, tuttavia, non concludere che la toppa non è sufficiente a tappare il buco.
Il problema sorge dalle modifiche che la legge di stabilità ha apportato alle norme in tema di documentazione amministrativa, fissando il principio della cosiddetta «desertificazione»: in altre parole, mai più le pubbliche amministrazioni, per gestire le procedure di propria competenza, potranno chiedere o comunque utilizzare certificati. Questi sono validi solo nei rapporti tra i privati.
La riforma, tendente a produrre una condivisibile semplificazione per i cittadini, è tuttavia incompleta e frettolosa, perché trascura discipline particolari, quali proprio il regime del Documento unico di regolarità contributiva, fondamentale per le procedure di gara, per esempio.
Il codice dei contratti impone alle amministrazioni appaltanti di verificare le dichiarazioni sostitutive rilasciate dalle imprese in sede di gara circa la regolarità della posizione contributiva e l'unico sistema allo scopo è richiedere il Durc. Ma il Durc è un certificato, dunque, Inps, Inail e Cassa edile non potrebbero rilasciarlo senza la dicitura da inserire obbligatoriamente in tutti i certificati, la quale ricorda che le pubbliche amministrazioni non possono utilizzarli in quanto nulli.
Un bel rompicapo, che il ministero del lavoro cerca di risolvere sostenendo, con la circolare 619/2012, che il Durc non è assolutamente sostituibile con una dichiarazione sostitutiva rilasciata dall'interessato, circa la propria posizione contributiva.
Il ministero del lavoro cerca di motivare la propria posizione spiegando che la nozione di certificato fa sempre e solo riferimento a stati, qualità personali e fatti oggettivamente riferibili alla persona, che dunque non può non conoscere. Non sarebbero, di conseguenza, oggetto di dichiarazione sostitutiva le informazioni connesse al Durc, che non è, spiega il ministero, «la mera certificazione dell'effettuazione di una somma a titolo di contribuzione», bensì «una attestazione dell'Istituto previdenziale circa la correttezza della posizione contributiva di una realtà aziendale effettuata dopo complesse valutazioni tecniche di tipo contabile». Le valutazioni di un organismo tecnico non possono essere oggetto di un'autodichiarazione, perché essa non avrebbe a oggetto stati, fatti o qualità strettamente personali.
La chiusura della circolare, allora, è nel senso che le pubbliche amministrazioni possono acquisire un Durc da parte del soggetto interessato, ma non un'autocertificazione; per poi vagliare i contenuti di questo Durc con le stesse modalità previste per le verifiche delle autocertificazioni.
Si tratta di conclusioni, però, impossibili da condividere. Intanto, il Durc è senza ombra di minimo dubbio un certificato: così prevede espressamente, infatti, 6, comma 1, del dpr 207/2010, norma non certo derogabile da nessuna direttiva o circolare. Inutile affermare che il Durc è un'«attestazione», per negarne la natura di certificato. Attestazione significa esattamente certificato: viene dal latino ad-testari, portare notizie certe a conoscenze di altri, cioè, appunto, certificare.
La nota del ministero, poi, si pone in insanabile diretto contrasto con l'articolo 44-bis del dpr 445/2000, l'articolo 16-bis, comma 10, del dl 185/2008, convertito in legge 2/2009 e dall'articolo 6, comma 3, del dpr 207/2010: tutte norme volte a imporre alle amministrazioni di acquisire «d'ufficio» il Durc. Il che, simmetricamente, costituisce un divieto a chiederlo ai privati, e l'obbligo di acquisirlo richiedendolo solo alle amministrazioni competenti. Se l'intento del ministero consiste nel sottrarre a responsabilità penali e amministrative le amministrazioni che richiedono e continuano a utilizzare il Durc nonostante e in contrasto alle norme vigenti, la cosa è positiva, visto che si consente di non bloccare l'attività amministrativa.
È necessario, però, sottolineare che dovrebbe essere compito del legislatore, compito non più rinviabile, disporre una regolamentazione speciale per il Durc, sottraendolo alle nuove regole per i certificati (articolo ItaliaOggi del 18.01.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

APPALTI - EDILIZIA PRIVATAI contributi regolari non soggetti ad autocertificazione.
POSIZIONE RIVISTA/ Il ministro della Semplificazione aveva sposato un'interpretazione estensiva.

Il ministero del Lavoro salva il Durc dalla "decertificazione" introdotta dall'articolo 15 della legge 183/2011.
Con lettera circolare di cui alla
nota 16.01.2012 n. 619 di prot. il ministero, scostandosi dalla interpretazione più estensiva del ministro della Pa e della Semplificazione (Direttiva del 22 dicembre scorso, si veda Il Sole24Ore del 6 gennaio), esclude che tale intervento interessi il Documento unico di regolarità contributiva (Durc), rispetto al quale «rimane assolutamente impossibile la sostituzione con una dichiarazione di regolarità contributiva da parte del soggetto interessato».
È una precisazione che il Ministero aveva espresso con lettera circolare del 14 luglio 2004, prima, dunque, delle novità introdotte della legge 183/2011 la quale, proprio in relazione all'articolo 44-bis del Dpr 445/2000 stabilisce che «le informazioni relative alla regolarità contributiva sono acquisite d'ufficio, ovvero controllate ai sensi dell'art. 71, dalle pubbliche amministrazioni procedenti, nel rispetto della specifica normativa di settore».
Del resto già con l'articolo 16-bis, comma 10, del decreto legge 185/2008, il legislatore aveva introdotto una prima semplificazione prevedendo negli appalti pubblici l'obbligo delle stazioni appaltanti di chiedere d'ufficio il Durc agli istituti ed enti competenti al loro rilascio, sollevando così le imprese appaltatrici da tale onere.
Il Lavoro a conforto della propria tesi precisa che il novellato articolo 40, del DPR n. 445/2000 nel riferirsi a «stati, qualità personali e fatti» come oggetto di certificazione e di autocertificazione, vi farebbe rientrare elementi di fatto oggettivi riferiti alla persona e che non possano non essere dalla stessa oggetto di sicura conoscenza. Proprio sulla base di tale principio si baserebbe l'autocertificabilità di detti elementi e la conseguente sanzionabilità penale in caso di mendaci dichiarazioni.
Fermo restando che non si comprende perché tale sistema sanzionatorio non possa applicarsi nel caso della regolarità contributiva, la nota ministeriale sostiene che sarebbe, invece, del tutto diversa la certificazione relativa al regolare versamento della contribuzione obbligatoria che, si precisa, non è una mera certificazione dell'effettuazione di una somma a titolo di contribuzione, ma una attestazione dell'Istituto previdenziale circa la correttezza della posizione contributiva di una realtà aziendale.
Da ciò deriva che l'articolo 44-bis del Dpr 445/2000 stabilisce semplicemente le modalità di acquisizione e gestione del Durc senza però intaccare il principio secondo cui le valutazioni effettuate da un organismo tecnico non possono essere sostituite da una autodichiarazione che non riguarda, evidentemente, né fatti, né status, né tantomeno qualità personali (articolo Il Sole 24 Ore del 18.01.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

GIURISPRUDENZA

APPALTI: Sui principi consolidati in tema di cd. interdittiva antimafia tipica.
Con riferimento alla cd. interdittiva antimafia "tipica", prevista dall'art. 4 del D.Lgs. n. 490 del 1994 e dall'art. 10 del D.P.R. 03.06.1998, n. 252 (ed oggi dagli artt. 91 e segg. del D.Lgs. 06.09. 2011, n. 159, recante il Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione) la giurisprudenza amministrativa ha affermato i seguenti principi:
- che l'interdittiva prefettizia antimafia costituisce una misura preventiva volta a colpire l'azione della criminalità organizzata impedendole di avere rapporti contrattuali con la pubblica amministrazione;
- che, trattandosi di una misura a carattere preventivo, l'interdittiva prescinde dall'accertamento di singole responsabilità penali nei confronti dei soggetti che, nell'esercizio di attività imprenditoriali, hanno rapporti con la pubblica amministrazione e si fonda sugli accertamenti compiuti dai diversi organi di polizia valutati, per la loro rilevanza, dal Prefetto territorialmente competente;
- che tale valutazione costituisce espressione di ampia discrezionalità che può essere assoggettata al sindacato del giudice amministrativo solo sotto il profilo della sua logicità in relazione alla rilevanza dei fatti accertati;
- che, essendo il potere esercitato espressione della logica di anticipazione della soglia di difesa sociale, finalizzata ad assicurare una tutela avanzata nel campo del contrasto alle attività della criminalità organizzata, la misura interdittiva non deve necessariamente collegarsi ad accertamenti in sede penale di carattere definitivo e certi sull'esistenza della contiguità dell'impresa con organizzazione malavitose, e quindi del condizionamento in atto dell'attività di impresa, ma può essere sorretta da elementi sintomatici e indiziari da cui emergano sufficienti elementi del pericolo che possa verificarsi il tentativo di ingerenza nell'attività imprenditoriale della criminalità organizzata;
- che, anche se occorre che siano individuati (ed indicati) idonei e specifici elementi di fatto, obiettivamente sintomatici e rivelatori di concrete connessioni o possibili collegamenti con le organizzazioni malavitose, che sconsigliano l'instaurazione di un rapporto dell'impresa con la pubblica amministrazione, non è necessario un grado di dimostrazione probatoria analogo a quello richiesto per dimostrare l'appartenenza di un soggetto ad associazioni di tipo camorristico o mafioso, potendo l'interdittiva fondarsi su fatti e vicende aventi un valore sintomatico e indiziario e con l'ausilio di indagini che possono risalire anche ad eventi verificatisi a distanza di tempo;
- che di per sé non basta a dare conto del tentativo di infiltrazione il mero rapporto di parentela con soggetti risultati appartenenti alla criminalità organizzata (non potendosi presumere in modo automatico il condizionamento dell'impresa), ma occorre che l'informativa antimafia indichi (oltre al rapporto di parentela) anche ulteriori elementi dai quali si possano ragionevolmente dedurre possibili collegamenti tra i soggetti sul cui conto l'autorità prefettizia ha individuato i pregiudizi e l'impresa esercitata da loro congiunti;
- che, infine, gli elementi raccolti non vanno considerati separatamente dovendosi piuttosto stabilire se sia configurabile un quadro indiziario complessivo, dal quale possa ritenersi attendibile l'esistenza di un condizionamento da parte della criminalità organizzata (Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 19.01.2012 n. 254 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Incompatibilità componenti commissioni giudicatrici.
Il Consiglio di Stato, Sez. III, con sentenza 18.01.2012 n. 181, affronta il tema dell'incompatibilità a far parte delle commissioni di concorso per coloro che rivestono cariche politiche.
Nella fattispecie esaminata, il Presidente della Commissione era Presidente di Comunità Montana nonché Consigliere Comunale in ambito territoriale ricompreso nell'area di competenza dell'ente che ha indetto la procedura (ASL). Con motivazione parzialmente diversa da quella espressa dal Giudice di primo grado, il Consesso così conclude:
"La procedura concorsuale risulta viziata esclusivamente dalla partecipazione alla Commissione di concorso, in qualità di Presidente, di una persona che ricopre contemporaneamente due incarichi politici in enti territoriali, entrambi ricompresi nell'area di competenza dell'Azienda Sanitaria .....Pertanto si riscontra la violazione delle disposizioni dell'articolo 36, comma 3, lettera e) D.Lgs. 165/2001, anche considerando l'interpretazione data a tale norma dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato richiamata dall'appellante e dai controinteressati........Infatti, data la connessione territoriale esistente tra gli enti interessati, non può escludersi quella 'incidenza' tra attività esercitabile tra colui che ricopre cariche politiche (...) e l'attività dell'ente che indice il concorso, cui fa riferimento anche la sentenza CdS n. 6526/2003 ai fini della rilevanza della incompatibilità prevista dalla norma, nonché l'effettivo peso di quei legami politici derivanti dall'appartenenza ai partiti cui fa riferimento la sentenza del TAR" (tratto da www.publika.it - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Sulla sussistente dell'obbligo di dichiarazione ex art. 38 d.lgs. n. 163/2006, non solo da parte di chi rivesta formalmente la carica di amministratore, ma anche dei procuratori speciali.
L'art. 38 del d.lgs. n. 163 del 2006, nella parte in cui elenca le dichiarazioni di sussistenza dei requisiti morali e professionali richiesti ai fini della partecipazione alle procedure di gara, assume come destinatari tutti coloro che, in quanto titolari della rappresentanza dell'impresa, siano in grado di trasmettere, con il proprio comportamento, la riprovazione dell'ordinamento nei riguardi della loro personale condotta, al soggetto rappresentato.
Pertanto, deve ritenersi sussistente l'obbligo di dichiarazione non soltanto da parte di chi rivesta formalmente la carica di amministratore, ma anche da parte di colui che, in qualità di procuratore ad negotia, abbia ottenuto il conferimento di poteri consistenti nella rappresentanza dell'impresa e nel compimento di atti decisionali (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 18.01.2012 n. 178 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Sul principio di pubblicità delle gare per i contratti pubblici.
Il principio di pubblicità delle gare per i contratti pubblici è radicato in canoni di diritto comunitario ed interno, costantemente applicati dalla giurisprudenza amministrativa, a norma delle Direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE, nonché dell'art. 2, c. 1, del D.Lgs. n. 163/2006, in applicazione dei principi di par condicio dei concorrenti e di trasparenza dell'azione amministrativa.
Nella sentenza dell'Adunanza Plenaria n. 13/11 del 28.07.2011, si chiarisce anche come debba operarsi in seduta pubblica la verifica dell'integrità dei plichi e la presa d'atto del contenuto dei medesimi, con rinvio alla seduta riservata delle valutazioni di natura tecnico-discrezionale. In tale ottica i partecipanti alla gara debbono essere garantiti dal fatto che la documentazione, prodotta in sede di gara, non abbia subito e non possa ulteriormente essere oggetto di manomissioni o alterazioni, ferme restando la successiva disamina delle offerte, da parte della commissione aggiudicatrice, in seduta non pubblica e la concomitante possibilità per i concorrenti di più approfondita conoscenza della documentazione stessa, ove ritenuto necessario, in sede di accesso agli atti, a norma degli artt. 22 e seguenti della l. n. 241/1990.
Pertanto, nel caso specie, la procedura non può che ritenersi corretta, non risultando contestato che la commissione abbia in seduta pubblica consentito di verificare l'integrità dei plichi, dato lettura del contenuto degli stessi e siglato, quindi, tutte le buste in modo tale da escluderne la successiva manomissione: nulla di più in effetti, doveva ritenersi richiesto, sia dal bando che dalla normativa -nazionale e comunitaria- di riferimento (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 18.01.2012 n. 174 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Legittima appare una diversa e più estesa lettura della norma soltanto nel caso in cui il bando, invece di limitarsi a chiedere una generica dichiarazione di insussistenza delle cause di esclusione di cui all'art. 38 del Codice, avesse imposto, e sanzionato con l'esclusione in caso di omissione, una dichiarazione dal contenuto più ampio rispetto a quanto prescritto dalla norma in esame, al fine di riservare alla stazione appaltante la valutazione della gravità o meno dell'illecito ed anche di ogni omessa dichiarazione. Solo in siffatta ipotesi, dunque, la causa di esclusione non è solo quella, sostanziale, dell'essere stata commessa una grave violazione penale, ma anche quella, formale, di aver omesso una dichiarazione prescritta dal bando.
Diversa sarebbe stata la situazione se fosse stato imposto al concorrente di dichiarare tutti i reati, per i quali fossero intervenute sentenze di condanna passate in giudicato o di applicazione della pena ex art. 444 e segg., c.p.p., affidando poi alla p.a. ogni definitiva valutazione in proposito: in tal caso, infatti, qualora il concorrente avesse omesso di dichiarare alcuno di detti reati, si sarebbe potuta configurare una falsa autocertificazione, con conseguente automatica esclusione dalla gara e salve le eventuali responsabilità penali riscontrabili da parte della competente autorità giudiziaria.

Il bando di concorso nell’allegato B, contenente il fac-simile della dichiarazione che ognuno soggetto tenuto ai sensi dell’art. 38 D.lgs. 163/2006 doveva presentare, prevedeva che fossero comunicate alla Commissione di gara anche l’esistenza di sentenze non definitive.
La società ricorrente non può pertanto invocare la propria buona fede perché non ha segnalato l’esistenza della condanna del Tribunale di Napoli per simulazione di reato neanche come sentenza non definitiva.
La giurisprudenza citata a sostegno della fondatezza del primo motivo di ricorso si riferisce alla valutazione che la commissione di gara deve compiere circa la gravità dei reati perché non è previsto nessun automatismo tra l’esistenza di una condanna e l’esclusione dalla gara, dovendo sempre essere considerata la sua rilevanza ai fini della valutazione della moralità professionale del soggetto che ricopre una delle qualifiche che rendono obbligatorio l’autodichiarazione ex art. 38.
Ma nel caso di specie non si controverte circa l’incidenza o meno che la condanna per il reato di cui all’art. 367 c.p. poteva avere sulla valutazione della moralità professionale, ma sul mendacio contenuto nella dichiarazione prevista a pena di esclusione.
Si veda sul punto la sentenza del T.R.G.A. di Trento che nella sentenza 151/2010 ha in merito affermato: “In conclusione, legittima appare una diversa e più estesa lettura della norma soltanto nel caso in cui il bando, invece di limitarsi a chiedere una generica dichiarazione di insussistenza delle cause di esclusione di cui all'art. 38 del Codice, avesse imposto, e sanzionato con l'esclusione in caso di omissione, una dichiarazione dal contenuto più ampio rispetto a quanto prescritto dalla norma in esame, al fine di riservare alla stazione appaltante la valutazione della gravità o meno dell'illecito ed anche di ogni omessa dichiarazione. Solo in siffatta ipotesi, dunque, la causa di esclusione non è solo quella, sostanziale, dell'essere stata commessa una grave violazione penale, ma anche quella, formale, di aver omesso una dichiarazione prescritta dal bando.”
Esiste un contrasto in giurisprudenza circa il contenuto che deve avere la dichiarazione sostitutiva ex art. 38, sostenendo alcuni giudici che l’obbligo di far conoscere l’esistenza di sentenze a carico degli amministratori o figure assimilate sussiste solamente per i reato che siano ritenuti lesivi della moralità professionale, mentre altri affermano che la discrezionalità nella valutazione i gravità debba essere compiuta dalla Commissione di gara.
In ogni caso anche laddove sia stata sostenuta la prima tesi è stato affermato che, nel caso di previsione da parte del bando di una dichiarazione più specifica, l’omissione di uno degli elementi che avrebbero dovuto caratterizzare la dichiarazione rileva ai fini dell’esclusione come falsa dichiarazione.
Si veda sul punto la sentenza 4082/2009 del Consiglio di Stato che così si esprime in merito: “Diversa sarebbe stata la situazione se fosse stato imposto al concorrente di dichiarare tutti i reati, per i quali fossero intervenute sentenze di condanna passate in giudicato o di applicazione della pena ex art. 444 e segg., c.p.p., affidando poi alla p.a. ogni definitiva valutazione in proposito: in tal caso, infatti, qualora il concorrente avesse omesso di dichiarare alcuno di detti reati, si sarebbe potuta configurare una falsa autocertificazione, con conseguente automatica esclusione dalla gara e salve le eventuali responsabilità penali riscontrabili da parte della competente autorità giudiziaria”.
Affermazioni di analogo tenore si ritrovano anche nelle sentenze TAR Puglia 752/2011, Consiglio di Stato 4905/2009, 1017/2010, 9324/2010.
In conclusione l’esclusione dalla gara è stata determinata dalla sostanziale falsità dell’autodichiarazione e non da una valutazione di gravità relativa al reato per il quale la sentenza di condanna era passata in giudicato (TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 17.01.2012 n. 173 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Circa la questione della escutibilità della cauzione per mancanza dei requisiti generali di partecipazione, esiste un orientamento non uniforme della giurisprudenza.
Esiste un indirizzo che invoca una interpretazione tassativa dell’art. 48 D.lgs. 163/2006 nel senso di non ritenere ammissibile l’incameramento della cauzione fuori dei casi previsti da tale norma e quindi nel caso di mancanza dei requisiti di cui all’art. 38 D.lgs. 163/2006.
Un altro orientamento ha, invece, sottolineato come la funzione della cauzione sia quella di garantire l’amministrazione dalla mancata stipula del contratto per qualsiasi motivo riconducibile all’aggiudicatario e pertanto la mancata menzione nell’art. 48 D.lgs. 163/2006 del potere di escutere la cauzione nel caso di mancato possesso dei requisiti generali di partecipazione non significa che il legislatore abbia voluto impedire l’escussione della cauzione in siffatta ipotesi.
Il Collegio ritiene di aderire a tale indirizzo più rigoroso in quanto l’art. 48 vuole disciplinare le conseguenze della mancanza dei requisiti di capacità economico-finanziaria e tecnico-organizzativa, ma ciò non significa che solamente quando questi vengano a mancare sia possibile escutere la cauzione.
Inoltre l’indirizzo preferito sembra più aderente alla ratio dell’art. 75, comma 6, D.lgs. 163/2006 che prevede che la garanzia copra la mancata sottoscrizione del contratto per fatto dell'affidatario.
Non si vede per quale ragione la circostanza che consentono l’escussione della cauzione debbano rinvenirsi nella sola previsione dell’art. 48 citato quando le cause di mancata stipula del contratto possono derivare da altre cause.

Relativamente al secondo motivo, non sfugge al Collegio che circa la questione della escutibilità della cauzione per mancanza dei requisiti generali di partecipazione, esiste un orientamento non uniforme della giurisprudenza.
Esiste un indirizzo che invoca una interpretazione tassativa dell’art. 48 D.lgs. 163/2006 nel senso di non ritenere ammissibile l’incameramento della cauzione fuori dei casi previsti da tale norma e quindi nel caso di mancanza dei requisiti di cui all’art. 38 D.lgs. 163/2006 (TAR Sicilia 14395/2010, TAR Emilia-Romagna 8108/2010).
Un altro orientamento ha, invece, sottolineato come la funzione della cauzione sia quella di garantire l’amministrazione dalla mancata stipula del contratto per qualsiasi motivo riconducibile all’aggiudicatario e pertanto la mancata menzione nell’art. 48 D.lgs. 163/2006 del potere di escutere la cauzione nel caso di mancato possesso dei requisiti generali di partecipazione non significa che il legislatore abbia voluto impedire l’escussione della cauzione in siffatta ipotesi (TAR Toscana 936/2011 e 606/2011, TAR Lazio 33141/2010, TAR Puglia 3525/2010, TAR Valle d’ Aosta 21/2010).
Il Collegio ritiene di aderire a tale indirizzo più rigoroso in quanto l’art. 48 vuole disciplinare le conseguenze della mancanza dei requisiti di capacità economico-finanziaria e tecnico-organizzativa, ma ciò non significa che solamente quando questi vengano a mancare sia possibile escutere la cauzione.
Inoltre l’indirizzo preferito sembra più aderente alla ratio dell’art. 75, comma 6, D.lgs. 163/2006 che prevede che la garanzia copra la mancata sottoscrizione del contratto per fatto dell'affidatario.
Non si vede per quale ragione la circostanza che consentono l’escussione della cauzione debbano rinvenirsi nella sola previsione dell’art. 48 citato quando le cause di mancata stipula del contratto possono derivare da altre cause (TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 17.01.2012 n. 173 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: La segnalazione all'A.V.C.P. non deve essere limitata alla mancanza dei requisiti indicati nell’art. 48 D.lgs. 163/2006 essendo ragionevole ritenere che debbano essere segnalati all’Autorità di vigilanza tutte le false dichiarazioni rese in sede di gara anche per consentirgli di esercitare i poteri che gli attribuisce l’art. 6, comma 11, D.lgs. 163/2006.
Infine quanto alla segnalazione all’Autorità di Vigilanza sui contratti pubblici, l’orientamento maggioritario della giurisprudenza è nel senso che la segnalazione non debba essere limitata alla mancanza dei requisiti indicati nell’art. 48 D.lgs. 163/2006 (TAR Friuli Venezia Giulia 191/2011, TAR Veneto 455/2011, 4681/2010, 1554/2010, TAR Valle d’Aosta 21/2010, TAR Abruzzo 475/2009) essendo ragionevole ritenere che debbano essere segnalati all’Autorità di vigilanza tutte le false dichiarazioni rese in sede di gara anche per consentirgli di esercitare i poteri che gli attribuisce l’art. 6, comma 11, D.lgs. 163/2006 (TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 17.01.2012 n. 173 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIIl bando di gara non può prevedere l'apertura delle offerte tecniche in seduta riservata.
La pubblicità delle sedute risponde all’esigenza di tutela non solo della parità di trattamento dei concorrenti…, ma anche dell’interesse pubblico alla trasparenza ed alla imparzialità dell’azione amministrativa…”.
L’apertura dei plichi contenenti l’offerta tecnica “costituisce passaggio essenziale e determinante dell’esito della procedura concorsuale, e quindi richiede di essere presieduta dalle medesime garanzie, a tutela degli interessi privati e pubblici coinvolti dal procedimento” (massima tratta da www.dirittodegliappaltipubblici.it -  TAR Sicilia-Catania, Sez. III, sentenza 17.01.2012 n. 131 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTILe norme di legge e di bando, che disciplinano i requisiti soggettivi di partecipazione alle gare pubbliche, devono essere interpretate nel rispetto del principio di tipicità e tassatività delle ipotesi di esclusione.
Secondo pacifica giurisprudenza nelle procedure ad evidenza pubblica le clausole di esclusione, poste dalla legge o dal bando in ordine alle dichiarazioni cui è tenuta la impresa partecipante alla gara, sono di stretta interpretazione dovendosi dare esclusiva prevalenza alle espressioni letterali in esse contenute, restando preclusa ogni forma di estensione analogica diretta ad evidenziare significati impliciti, che rischierebbe di vulnerare l'affidamento dei partecipanti, la "par condicio" dei concorrenti e l'esigenza della più ampia partecipazione; pertanto le norme di legge e di bando, che disciplinano i requisiti soggettivi di partecipazione alle gare pubbliche, devono essere interpretate nel rispetto del principio di tipicità e tassatività delle ipotesi di esclusione che di per sé costituiscono fattispecie di restrizione della libertà di iniziativa economica tutelata dall'art. 41, cost., oltre che dal trattato comunitario (in termini ex multis, C. Statosez. V, sent. n. 3213 del 21.05.2010) (massima tratta da www.dirittodegliappaltipubblici.it - TAR Sicilia-Catania, Sez. III, sentenza 17.01.2012 n. 130 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIIl requisito della regolarità tributaria, costituendo presupposto per la partecipazione alla procedura di gara d'appalto, deve sussistere al momento della scadenza del termine di partecipazione ed essere mantenuto per tutto lo svolgimento della gara fino all'aggiudicazione.
Conformemente è stato di recente sostenuto da un precedente giurisprudenziale simile e/o analogo del Consiglio di Stato che “Il requisito della regolarità tributaria, costituendo presupposto per la partecipazione alla procedura di gara d'appalto, deve sussistere al momento della scadenza del termine di partecipazione ed essere mantenuto per tutto lo svolgimento della gara fino all'aggiudicazione” (Cfr. Sez. V, 10.08.2010 n. 5556) (TAR Lazio-Roma, Sez. II-ter, sentenza 16.01.2012 n. 442 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTILa generale ammissibilità dell'istituto dell'avvalimento trova un limite nel caso in cui, ai fini della partecipazione alla gara, sia necessario il possesso di un requisito soggettivo personalissimo (nella fattispecie "a federazioni Sportive Nazionali o ad Enti di promozione sportiva riconosciuti dal CONI") come quello del capitale sociale minimo preordinato a garantire all'Amministrazione appaltante l'affidabilità dell'impresa partecipante.
Ai fini della partecipazione ad una gara d'appalto mediante l'utilizzo di tale istituto, non può prescindersi dalla presentazione della dichiarazione di avvalimento di cui all'art. 49, comma 2, lett. a), D.L.vo 12.04.2006 n. 163, non potendosi altrimenti derogare al principio di personalità dei requisiti di qualificazione, con la conseguenza che in mancanza di detta dichiarazione l'impresa non può pretendere che la Commissione di gara accerti il possesso dei requisiti di capacità tecnico-economica di altre imprese, magari genericamente solo indicate dal partecipante, così da imputare e attribuire quei requisiti al patrimonio di qualificazione dell'impresa concorrente.

In tema di appalti la generale ammissibilità dell'istituto dell'avvalimento trova un limite nel caso in cui, ai fini della partecipazione alla gara, sia necessario il possesso di un requisito soggettivo personalissimo (nella fattispcie "a federazioni Sportive Nazionali o ad Enti di promozione sportiva riconosciuti dal CONI") come quello del capitale sociale minimo preordinato a garantire all'Amministrazione appaltante l'affidabilità dell'impresa partecipante (nel caso di specie l’affiliazione sopra indicata) (Cfr. Cons. Stato, sez. V, 12.06.2009 n. 3762 TAR Sardegna, Sez. I, 24.02.2011 n. 160 e TAR Lazio, sede di Latina, 05.11.2010 n. 1865).
Ai fini della partecipazione ad una gara d'appalto mediante l'utilizzo di tale istituto, non può prescindersi dalla presentazione della dichiarazione di avvalimento di cui all'art. 49, comma 2, lett. a), D.L.vo 12.04.2006 n. 163, non potendosi altrimenti derogare al principio di personalità dei requisiti di qualificazione, con la conseguenza che in mancanza di detta dichiarazione l'impresa non può pretendere che la Commissione di gara accerti il possesso dei requisiti di capacità tecnico-economica di altre imprese, magari genericamente solo indicate dal partecipante, così da imputare e attribuire quei requisiti al patrimonio di qualificazione dell'impresa concorrente (Cfr. TAR Piemonte, Sez. I, 30.03.2009 n. 837 e TAR Valle d’Aosta 23.01.2009 n. 1) (TAR Lazio-Roma, Sez. II-ter, sentenza 16.01.2012 n. 442 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ENTI LOCALI: La decisione di dichiarare lo stato di dissesto finanziario non è frutto di una scelta discrezionale dell'ente, rappresentando piuttosto una determinazione vincolata (ed ineludibile) in presenza dei presupposti di fatto fissati dalla legge.
La dichiarazione di dissesto finanziario costituisce un evento di carattere eccezionale e patologico della vita dell'ente locale, con la conseguenza che alla relativa dichiarazione può farsi luogo solo all'esito dell'accertamento (da parte degli stessi organi ordinari dell'ente o in via eccezionale, nell'ipotesi di cui all'art. 247 del d.lgs. 18.08.2000, n. 267, da parte del commissario ad acta) della specifica incapacità di assolvimento delle funzioni e dei servizi indispensabili ovvero dell'esistenza nei confronti dell'ente di crediti liquidi ed esigibili di terzi, cui non possa validamente farsi fronte con le modalità di cui all'art. 193 (e per i debiti fuori bilancio, con le modalità di cui all'art. 194).
La decisione di dichiarare lo stato di dissesto finanziario non è, pertanto, frutto di una scelta discrezionale dell'ente, rappresentando piuttosto una determinazione vincolata (ed ineludibile) in presenza dei presupposti di fatto fissati dalla legge, la "valutazione", richiamata dall'art. 246, riguarda soltanto le cause che hanno determinato la situazione di deficit finanziario economico (e costituisce il presupposto logico-giuridico del procedimento di risanamento della riorganizzazione dell'ente e della corretta impostazione delle indispensabili analisi finanziarie ed organizzative per addivenire alla adeguata definizione del nuovo bilancio stabilizzato).
Il sindacato giurisdizionale sulla delibera di dichiarazione di dissesto dell'ente locale è necessariamente incentrato sulla verifica del corretto esercizio del potere (di azione) in ordine all'accertamento dei presupposti di fatto previsti dalla legge, non potendo consentirsi al giudice amministrativo alcun valutazione delle scelte operate (ovvero non operate) per eliminare o ridurre i servizi non essenziali per evitare o limitare lo stato di deficit finanziario (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 16.01.2012 n. 143 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

URBANISTICA: Sussiste un’ampia discrezionalità che connota le scelte dell’Amministrazione in ordine alla destinazione dei suoli in sede di pianificazione generale del territorio, tali da non richiedere una particolare motivazione al di là di quella ricavabile dai criteri e principi generali che ispirano il P.R.G., derogandosi a tale regola solo in presenza di specifiche situazioni di affidamento qualificato del privato a una specifica destinazione del suolo.
Va innanzi tutto richiamato il consolidato indirizzo giurisprudenziale –dal quale questa Sezione non ravvisa alcun motivo per discostarsi– in ordine all’ampia discrezionalità che connota le scelte dell’Amministrazione in ordine alla destinazione dei suoli in sede di pianificazione generale del territorio, tali da non richiedere una particolare motivazione al di là di quella ricavabile dai criteri e principi generali che ispirano il P.R.G. (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 24.02.2011, nr. 1222; id., 18.10.2010, nr. 7554; id., 04.05.2010, nr. 2545; id., 31.07.2009, nr. 4847), derogandosi a tale regola solo in presenza di specifiche situazioni di affidamento qualificato del privato a una specifica destinazione del suolo (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 18.01.2011, nr. 352; id., 12.01.2011, nr. 133; id., 09.12.2010, nr. 8682; id., 13.10.2010, nr. 7492; id., 24.04.2009, nr. 2630; id., 07.04.2008, nr. 1476).
Con ogni evidenza, una siffatta situazione non è rinvenibile in capo all’odierna appellante, non potendo certo un’aspettativa giuridicamente tutelabile discendere dalla pregressa destinazione del suolo (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 29.12.2009, nr. 9006), e nemmeno dalla mera circostanza che nella specie la società istante avesse presentato una proposta di lottizzazione, mai esaminata dal Comune (e ciò in disparte quanto appresso si dirà con riguardo al diverso “trattamento” riservato ad altra proposta formulata in relazione a un suolo limitrofo) (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 16.01.2012 n. 119 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIE' valido, ai fini della partecipazione alle gare, il DURC con l'indicazione "INPS non si è pronunciato".
L'indicazione, contenuta nel d.u.r.c., “non si è pronunciato” è coerente con la previsione della procedura prevista nell'ipotesi in cui sia decorso il termine di 30 giorni senza alcuna pronuncia da parte dell' Inps: infatti, il termine massimo per il rilascio del DURC (cfr. Circolare INPS n. 51/2008) è di 30 giorni.
Ai sensi, poi, dell’articolo 6, comma 3, del Decreto Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale del 24.10.2007, il decorso dei 30 giorni è sospeso per un termine non superiore a 15 giorni per consentire la regolarizzazione della situazione debitoria, quando venga accertata una situazione di irregolarità (“Preavviso di accertamento negativo”).
Nel caso in cui decorra il termine di 30 giorni senza pronuncia da parte degli Istituti previdenziali si forma, relativamente alla regolarità nei confronti di questi ultimi, il cosiddetto silenzio assenso (cfr. Circolare Ministero del Lavoro n. 5 del 2008) (massima tratta da www.dirittodegliappaltipubblici.it - TAR Sicilia-Catania, Sez. III, sentenza 16.01.2012 n. 116 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTILa verifica della regolarità della documentazione rispetto alle norme del bando e del capitolato non va condotta con lo spirito della c.d. "caccia all’errore", ma tenendo conto dell’evoluzione dell’ordinamento in favore della semplificazione e del divieto di aggravamento degli oneri burocratici.
Ai fini dell’individuazione dei soggetti obbligati a rendere, a pena di esclusione, le dichiarazioni relative all’assenza delle cause di esclusione, di cui all’art. 38, comma 1, lett. b) e c), del D.Lgs. n. 163/2006, occorre ricordare che la ratio legis è quella di escludere dalla partecipazione alle procedure di gara le società i cui soggetti -non dichiaranti- abbiano un significativo ruolo decisionale e gestionale: ecco perché l’obbligo fa capo unicamente ai soggetti per i quali ricorrano entrambi i presupposti (titolarità del potere di amministrazione nonché di poteri di rappresentanza).

Il Collegio osserva che “la verifica della regolarità della documentazione rispetto alle norme del bando e del capitolato non va condotta con lo spirito della c.d. "caccia all’errore", ma tenendo conto dell’evoluzione dell’ordinamento in favore della semplificazione e del divieto di aggravamento degli oneri burocratici" (in termini, C.G.A., dec. n. 1311/2010).
La più recente Giurisprudenza del Consiglio di Stato, peraltro, ha preso posizione su analoghe questioni in un’ottica di semplificazione, ed in particolare, con recente decisione n. 513/2011, infra ampiamente riportata, ed alla quale il Collegio ritiene di richiamarsi, ha innanzi tutto ricordato il contrasto in Giurisprudenza circa l’interpretazione del citato art. 38 con riferimento ai soggetti per i quali la dichiarazione deve essere resa.
Infatti, l’art. 38, comma 1, lett. c), del d.lgs. n. 163/2006 fa riferimento agli “amministratori muniti del potere di rappresentanza”, sicché secondo una parte della giurisprudenza, per l’individuazione dei soggetti tenuti alle dichiarazioni sostitutive finalizzate alla verifica del possesso dei requisiti di moralità, quando si tratti di titolari di organi di persone giuridiche da ricondurre alla nozione di "amministratori muniti di poteri di rappresentanza", occorre esaminare i poteri, le funzioni e il ruolo effettivamente e sostanzialmente attribuiti al soggetto considerato, al di là delle qualifiche formali rivestite (Cons. Stato, V, 16.11.2010 n. 8059; VI, 08.02.2007, n. 523, che nella categoria degli amministratori, ai fini dell’art. 38 cit., fanno rientrare sia i "soggetti che abbiano avuto un significativo ruolo decisionale e gestionale societario", sia i procuratori ai quali siano conferiti poteri di partecipare a pubblici appalti formulando le relative offerte).
Altra giurisprudenza ha, da un lato, aderito alla necessità di effettuare una valutazione sostanzialistica della sussistenza delle cause ostative, derivando –in assenza di più restrittive clausole di gara– l’effetto di esclusione dalla procedura solo dal mancato possesso dei requisiti, e non dalla omissione o incompletezza della dichiarazione (Cons. Stato, V, 09.11.2010, n. 7967) e, sotto altro aspetto, ha limitato la sussistenza dell’obbligo di dichiarazione ai soli amministratori muniti di potere di rappresentanza e ai direttori tecnici, e non anche a tutti i procuratori della società (TAR Basilicata, I, 22.04.2009, n. 131; TAR Liguria, II, 11.07.2008, n. 1485; TAR Calabria-Reggio Calabria, I, 08.07.2008, n. 379).
Ciò posto, il Consiglio di Stato ha ricordato che, ai sensi dell’art. 2380-bis c.c., la gestione dell’impresa spetta esclusivamente agli amministratori e può essere concentrata in un unico soggetto (amministratore unico) o affidata a più persone, che sono i componenti del consiglio di amministrazione (in caso di scelta del sistema monistico ex artt. 2380 e 2409-sexiesdecies c.c.) o del consiglio di gestione (in caso di opzione in favore del sistema dualistico ex artt. 2380 e 2409-octies c.c.): ad essi, o a taluni tra essi, spetta la rappresentanza istituzionale della società.
L’art. 38 del d.lgs. n. 163/2006 (norma che limita la partecipazione alle gare e la libertà di iniziativa economica delle imprese, essendo prescrittiva dei requisiti di partecipazione e che, in quanto tale, assume carattere eccezionale ed è, quindi, insuscettibile di applicazione analogica), nell'individuare i soggetti tenuti a rendere la dichiarazione, richiede la compresenza della qualifica di amministratore e del potere di rappresentanza.
Infatti, la disposizione fa riferimento soltanto agli "amministratori muniti di potere di rappresentanza": ossia, ai soggetti che siano titolari di ampi e generali poteri di amministrazione (fin qui, testualmente, Cons. Stato, V, n. 513/2011).
Applicando detti pacifici principi al caso in questione, il Collegio ne trae la conseguenza che il vicepresidente non dovesse rendere la dichiarazione in parola, atteso che, alla stregua della documentazione in atti, il potere di rappresentanza spetta unicamente in via ipotetica e vicaria, e d’altra parte la titolarità del potere decisionale è in capo al consiglio d’amministrazione.
In altri termini, ai fini dell’individuazione dei soggetti obbligati a rendere, a pena di esclusione, le dichiarazioni relative all’assenza delle cause di esclusione, di cui all’art. 38, comma 1, lett. b) e c), del D.Lgs. n. 163/2006, occorre ricordare che la ratio legis è quella di escludere dalla partecipazione alle procedure di gara le società i cui soggetti -non dichiaranti- abbiano un significativo ruolo decisionale e gestionale: ecco perché l’obbligo fa capo unicamente ai soggetti per i quali ricorrano entrambi i presupposti (titolarità del potere di amministrazione nonché di poteri di rappresentanza) (TAR Sicilia-Catania, Sez. III, sentenza 16.01.2012 n. 116 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIIn sede di verifica dell'anomalia dell'offerta presentata da impresa partecipante a gara pubblica sfuggono al sindacato del giudice amministrativo i rilievi svolti dalla stazione appaltante sulle giustificazioni della suddetta impresa, essendo gli stessi espressione di discrezionalità tecnica.
In sede di verifica dell'anomalia dell'offerta il giudizio della stazione appaltante costituisce esplicazione paradigmatica di discrezionalità tecnica, sindacabile solo in caso di illogicità manifesta o di erroneità fattuale; in tal caso l'obbligo di motivare in modo completo e approfondito sussiste solo nel caso in cui la stazione appaltante esprima un giudizio negativo che faccia venir meno l'aggiudicazione, non richiedendosi, per contro, una motivazione analitica nel caso di esito positivo della verifica di anomalia, essendo in tal caso sufficiente motivare per relationem con le giustificazioni presentate dal concorrente; di conseguenza, incombe su chi contesta l'aggiudicazione l'onere di individuare gli specifici elementi da cui il giudice amministrativo possa evincere che la valutazione tecnico-discrezionale dell'amministrazione sia stata manifestamente irragionevole ovvero sia stata basata su fatti erronei o travisati.

La Giurisprudenza si va consolidando nel senso che in sede di verifica dell'anomalia dell'offerta presentata da impresa partecipante a gara pubblica sfuggono al sindacato del giudice amministrativo i rilievi svolti dalla stazione appaltante sulle giustificazioni della suddetta impresa, essendo gli stessi espressione di discrezionalità tecnica (Consiglio Stato , sez. V, 16.03.2011, n. 1636) e che in sede di verifica dell'anomalia dell'offerta il giudizio della stazione appaltante costituisce esplicazione paradigmatica di discrezionalità tecnica, sindacabile solo in caso di illogicità manifesta o di erroneità fattuale; in tal caso l'obbligo di motivare in modo completo e approfondito sussiste solo nel caso in cui la stazione appaltante esprima un giudizio negativo che faccia venir meno l'aggiudicazione, non richiedendosi, per contro, una motivazione analitica nel caso di esito positivo della verifica di anomalia, essendo in tal caso sufficiente motivare per relationem con le giustificazioni presentate dal concorrente; di conseguenza, incombe su chi contesta l'aggiudicazione l'onere di individuare gli specifici elementi da cui il giudice amministrativo possa evincere che la valutazione tecnico-discrezionale dell'amministrazione sia stata manifestamente irragionevole ovvero sia stata basata su fatti erronei o travisati (Consiglio Stato , sez. V, 22.02.2011, n. 1090) (TAR Sicilia-Catania, Sez. III, sentenza 16.01.2012 n. 116 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTICostituisce una mera clausola di stile l'espressione secondo la quale l'impugnazione concerne "ogni altro atto comunque presupposto, conseguente o connesso".
L'espressione indeterminata racchiusa nella clausola di stile secondo cui l'impugnazione concerne altresì "ogni altro atto comunque presupposto, conseguente o connesso a quello odiernamente impugnato" (o simili) è per sua natura priva di attitudine a manifestare quale debba, secondo l'interessato, essere l'oggetto del giudizio e dell'annullamento da parte del giudice, perché solo una inequivoca indicazione consente al giudice stesso di identificare l'oggetto della domanda e ai contraddittori di esercitare il loro diritto di difesa (Consiglio Stato , sez. VI, 13.01.2011, n. 177) (massima tratta da www.dirittodegliappaltipubblici.it - TAR Sicilia-Catania, Sez. III, sentenza 16.01.2012 n. 113 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: E' illegittimo il rigetto generico dell’istanza di autorizzazione ai sensi dell’art. 87 del D.Lgs. 259/2003 per l’installazione di impianti di telefonia mobile.
Infatti, oltre ad essere stato adottato in violazione delle regole del giusto procedimento (non risulta alcuna previa comunicazione dei motivi ostativi ai sensi dell’art. 10-bis della legge n. 241/1990) è privo di adeguata motivazione, essendosi basata l’amministrazione esclusivamente su un generico richiamo al regolamento comunale per l’insediamento delle stazioni radio base, e avendo omesso di indicare in che modo l’impianto progettato sarebbe in contrasto con il regolamento comunale, mentre per giurisprudenza uniforme il provvedimento di diniego deve essere sorretto da motivazioni dettagliate, non essendo sufficiente un generico richiamo alle vigenti disposizioni dei vari strumenti urbanistici o a generiche previsioni contenute nei regolamenti per la disciplina dell’insediamento delle stazioni radio base.

... VISTO il ricorso introduttivo con il quale la società H3G s.p.a. ha impugnato il provvedimento indicato in epigrafe, con il quale il Comune di Aidone si è limitato a rigettare genericamente l’istanza di autorizzazione ai sensi dell’art. 87 del D.Lgs. 259/2003 per l’installazione di impianti di telefonia mobile.
Nel ricorso sono dedotte censure di violazione di legge, difetto di motivazione ed eccesso di potere sotto diversi profili articolati in 5 motivi di ricorso.
RITENUTO che il ricorso è fondato giacché il provvedimento impugnato -oltre ad essere stato adottato in violazione delle regole del giusto procedimento (non risulta alcuna previa comunicazione dei motivi ostativi ai sensi dell’art. 10-bis della legge n. 241/1990)- è privo di adeguata motivazione, essendosi basata l’amministrazione esclusivamente su un generico richiamo al regolamento comunale per l’insediamento delle stazioni radio base, e avendo omesso di indicare in che modo l’impianto progettato sarebbe in contrasto con il regolamento comunale, mentre per giurisprudenza uniforme il provvedimento di diniego deve essere sorretto da motivazioni dettagliate, non essendo sufficiente un generico richiamo alle vigenti disposizioni dei vari strumenti urbanistici o a generiche previsioni contenute nei regolamenti per la disciplina dell’insediamento delle stazioni radio base (tra le tante, cfr. Cons. Stato, sez. VI, 17.10.2008, n. 5044) (TAR Sicilia-Catania, Sez. I, sentenza 16.01.2012 n. 104 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La disciplina urbanistica applicabile alle domande di concessione edilizia è quella vigente al momento del rilascio del titolo abilitativo.
Va, innanzitutto, premesso che, per giurisprudenza costante, la disciplina urbanistica applicabile alle domande di concessione edilizia è quella vigente al momento del rilascio del titolo abilitativo (tra le tante cfr. Cons. Stato, sez. IV, 31.07.2009, n. 4848 e sez. V, 19.09.2008, n. 4528) (TAR Sicilia-Catania, Sez. I, sentenza 16.01.2012 n. 102 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICA: Costituiscono vincoli preordinati all'espropriazione o di carattere sostanzialmente espropriativo solo quelli che implicano uno svuotamento incisivo della proprietà, mentre non lo sono i vincoli di destinazione imposti dal piano regolatore per attrezzature e servizi realizzabili anche ad iniziativa privata o promiscua, in regime di economia di mercato, anche se accompagnati da strumenti di convenzionamento (ad esempio parcheggi, impianti sportivi, mercati e strutture commerciali, edifici sanitari, zone artigianali, industriali o residenziali).
In questa prospettiva le destinazioni a parco urbano, a verde urbano, a verde pubblico, a verde pubblico attrezzato, a parco giochi e simili si pongono al di fuori dello schema ablatorio-espropriativo e costituiscono espressione di potestà conformativa (avente validità a tempo indeterminato), quando lo strumento urbanistico consente di realizzare tali previsioni, non già ad esclusiva iniziativa pubblica, ma ad iniziativa privata o promiscua pubblico-privata, senza necessità di ablazione del bene.

Secondo consolidato orientamento giurisprudenziale, infatti, costituiscono vincoli preordinati all'espropriazione o di carattere sostanzialmente espropriativo solo quelli che implicano uno svuotamento incisivo della proprietà, mentre non lo sono i vincoli di destinazione imposti dal piano regolatore per attrezzature e servizi realizzabili anche ad iniziativa privata o promiscua, in regime di economia di mercato, anche se accompagnati da strumenti di convenzionamento (ad esempio parcheggi, impianti sportivi, mercati e strutture commerciali, edifici sanitari, zone artigianali, industriali o residenziali).
In questa prospettiva le destinazioni a parco urbano, a verde urbano, a verde pubblico, a verde pubblico attrezzato, a parco giochi e simili si pongono al di fuori dello schema ablatorio-espropriativo e costituiscono espressione di potestà conformativa (avente validità a tempo indeterminato), quando lo strumento urbanistico consente di realizzare tali previsioni, non già ad esclusiva iniziativa pubblica, ma ad iniziativa privata o promiscua pubblico-privata, senza necessità di ablazione del bene (cfr. tra le tante: Corte Costituzionale 20.05.1999, n. 179; Cons. St., Ad. plen., 24.05.2007, n. 7 e ad. plen., 16.11.2005, n. 9; Cons. Stato, sez. IV, 23.12.2010, n. 9372; 19.03.2008, n. 1201; 25.05.2005, n. 2718; 05.006.2004, n. 4010; 08.06.2000, n. 3214; Cass. 19.05.2006, n. 11848)
(TAR Sicilia-Catania, Sez. I, sentenza 16.01.2012 n. 102 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICA: L’applicazione delle misure di salvaguardia non determina l'anticipata vigenza degli strumenti urbanistici adottati in sede comunale, ma persegue unicamente lo scopo di inibire il rilascio di concessioni edilizie in contrasto con il nuovo strumento urbanistico in itinere, al fine di evitare che, nelle more della sua approvazione, possa essere compromesso l'assetto territoriale che s’intende realizzare (ad esempio realizzando fabbricati ad uso residenziale in aree destinate a verde). L'attività edificatoria rimane regolata dallo strumento urbanistico vigente, salvo il limite che possono essere rilasciate solo concessioni edilizie che non contrastino con le previsioni del nuovo piano, in attesa di approvazione.
Sulla base di tali presupposti, il Collegio ritiene che le misure di salvaguardia non possano che concernere le prescrizioni positive del nuovo strumento, che contengano una previsione di destinazione del territorio comunale contrastante con quella indicata nell'esistente strumento urbanistico, mentre non può ritenersi oggetto di salvaguardia la previsione di una norma tecnica che -immutata la destinazione del territorio preso in considerazione rispetto al precedente assetto urbanistico- subordina il rilascio di concessioni edilizie alla redazione di una progettazione esecutiva, trattandosi, invero, di disposizione tecnica di attuazione delle previsioni urbanistiche, che sarà operante solo in seguito alla vigenza del nuovo strumento urbanistico.
Le misure di salvaguardia non hanno lo scopo di impedire, in modo generalizzato, qualsiasi tipo di utilizzazione del territorio, ma solo di inibire quelle utilizzazioni che si pongono in contrasto con il nuovo strumento urbanistico, in corso di approvazione. Qualora, invece, venissero ricomprese tra le misure di salvaguardia anche la prescrizione del divieto di rilasciare concessioni edilizie, in assenza della progettazione esecutiva delle aree a verde attrezzato, verrebbe invece inibito il rilascio di qualsiasi concessione edilizia, in quanto è evidente che il Comune non potrebbe provvedere alla redazione di tale progettazione in assenza della definitiva approvazione, e quindi efficacia, dello strumento urbanistico.

Secondo giurisprudenza uniforme, l’applicazione delle misure di salvaguardia non determina l'anticipata vigenza degli strumenti urbanistici adottati in sede comunale, ma persegue unicamente lo scopo di inibire il rilascio di concessioni edilizie in contrasto con il nuovo strumento urbanistico in itinere, al fine di evitare che, nelle more della sua approvazione, possa essere compromesso l'assetto territoriale che s’intende realizzare (ad esempio realizzando fabbricati ad uso residenziale in aree destinate a verde). L'attività edificatoria rimane regolata dallo strumento urbanistico vigente, salvo il limite che possono essere rilasciate solo concessioni edilizie che non contrastino con le previsioni del nuovo piano, in attesa di approvazione (TAR Sicilia Catania, sez. I, 18.09.2002, n. 1568).
Sulla base di tali presupposti, il Collegio ritiene che le misure di salvaguardia non possano che concernere le prescrizioni positive del nuovo strumento, che contengano una previsione di destinazione del territorio comunale contrastante con quella indicata nell'esistente strumento urbanistico, mentre non può ritenersi oggetto di salvaguardia la previsione di una norma tecnica (quale quella dell’art. 28 invocato dal Comune di Adrano) che -immutata la destinazione del territorio preso in considerazione rispetto al precedente assetto urbanistico- subordina il rilascio di concessioni edilizie alla redazione di una progettazione esecutiva, trattandosi, invero, di disposizione tecnica di attuazione delle previsioni urbanistiche, che sarà operante solo in seguito alla vigenza del nuovo strumento urbanistico.
A conferma di quanto indicato si rileva che le misure di salvaguardia non hanno lo scopo di impedire, in modo generalizzato, qualsiasi tipo di utilizzazione del territorio, ma solo di inibire quelle utilizzazioni che si pongono in contrasto con il nuovo strumento urbanistico, in corso di approvazione. Qualora, invece, venissero ricomprese tra le misure di salvaguardia anche la prescrizione del divieto di rilasciare concessioni edilizie, in assenza della progettazione esecutiva delle aree a verde attrezzato, verrebbe invece inibito il rilascio di qualsiasi concessione edilizia, in quanto è evidente che il Comune non potrebbe provvedere alla redazione di tale progettazione in assenza della definitiva approvazione, e quindi efficacia, dello strumento urbanistico (cfr., in tal senso TAR Sicilia Palermo, sez. I, 03.04.2002, n. 869; cfr. anche Cass. civile, sez. II, 28.01.2009, n. 2149)
(TAR Sicilia-Catania, Sez. I, sentenza 16.01.2012 n. 102 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICA: Rientra nella potestà di pianificazione urbanistica la valorizzazione e la salvaguardia delle bellezze naturali e degli interessi storici e ambientali, tale competenza spettando, per giurisprudenza pacifica, oltre che allo Stato anche al Comune ed alla Regione in sede di approvazione del piano regolatore generale e delle sue varianti.
Ne consegue che l'autorità titolare del potere di pianificazione urbanistica è sicuramente da ritenersi legittimata a valutare autonomamente gli interessi storici, ambientali e paesistici e ad imporre, in sede di piano regolatore generale, limitazioni a tutela di quegli interessi.
---------------
In sede di adozione di strumenti urbanistici generali o delle loro successive varianti, le scelte discrezionali del pianificatore riguardo alla destinazione di singole aree non necessitano di apposita motivazione, oltre quella che si può evincere dai criteri generali -di ordine tecnico-discrezionale- seguiti nell'impostazione del piano stesso.
Del resto, nemmeno la L. n. 241/1990 sul procedimento amministrativo si è discostata da tale principio, precedentemente elaborato dalla giurisprudenza amministrativa, posto che, all’art. 3, ha esonerato dall'obbligo della motivazione gli atti a contenuto generale, tra cui sono ricompresi quelli di pianificazione territoriale ed urbanistica.
Solo in alcuni casi l'Amministrazione ha un obbligo di motivazione più specifico, tra cui l'ipotesi di affidamento qualificato del privato, quale l'ipotesi di precedente convenzione di lottizzazione o di accordi di diritto privato intercorsi tra Comune e privati.
In tale prospettiva non può invece ritenersi qualificato l'interesse del privato proprietario correlato ad una precedente previsione urbanistica che consenta un utilizzo dell'area in modo più proficuo, poiché in tal caso viene in considerazione un’aspettativa generica del privato alla non reformatio in pejus delle destinazioni di zona edificabili, cedevole dinanzi alla discrezionalità del potere pubblico di pianificazione urbanistica e per il quale vale il principio generale della non necessità di motivazione ulteriore rispetto a quelle che si possono evincere dai criteri di ordine tecnico urbanistico seguiti per la redazione del progetto di strumento.
In particolare, per ciò che riguarda la preesistenza di un piano di lottizzazione è necessario che lo stesso sia stato non solo approvato, ma anche convenzionato (quindi, divenuto operativo) in epoca anteriore all’adozione del P.R.G..

Rientra nella potestà di pianificazione urbanistica la valorizzazione e la salvaguardia delle bellezze naturali e degli interessi storici e ambientali, tale competenza spettando, per giurisprudenza pacifica, oltre che allo Stato anche al Comune ed alla Regione in sede di approvazione del piano regolatore generale e delle sue varianti (cfr. TAR Trentino Alto Adige, Trento, 05.06.2009, n. 184; TAR Lombardia Brescia, 01.03.2001, n. 93; TAR Catania, sez. I, 30.12.2004, n. 4087).
Ne consegue che l'autorità titolare del potere di pianificazione urbanistica è sicuramente da ritenersi legittimata a valutare autonomamente gli interessi storici, ambientali e paesistici e ad imporre, in sede di piano regolatore generale, limitazioni a tutela di quegli interessi, così come è avvenuto nel caso di specie.
-------------
Sotto un profilo d’ordine generale, il Collegio rileva, nel costante indirizzo della giurisprudenza amministrativa, che in sede di adozione di strumenti urbanistici generali o delle loro successive varianti, le scelte discrezionali del pianificatore riguardo alla destinazione di singole aree non necessitano di apposita motivazione, oltre quella che si può evincere dai criteri generali -di ordine tecnico-discrezionale- seguiti nell'impostazione del piano stesso (cfr. ex multis questa Sezione 27.10.2010, n. 4242).
Del resto, nemmeno la L. n. 241/1990 sul procedimento amministrativo si è discostata da tale principio, precedentemente elaborato dalla giurisprudenza amministrativa, posto che, all’art. 3, ha esonerato dall'obbligo della motivazione gli atti a contenuto generale, tra cui sono ricompresi quelli di pianificazione territoriale ed urbanistica.
Solo in alcuni casi l'Amministrazione ha un obbligo di motivazione più specifico, tra cui l'ipotesi di affidamento qualificato del privato, quale l'ipotesi di precedente convenzione di lottizzazione o di accordi di diritto privato intercorsi tra Comune e privati.
In tale prospettiva non può invece ritenersi qualificato l'interesse del privato proprietario correlato ad una precedente previsione urbanistica che consenta un utilizzo dell'area in modo più proficuo, poiché in tal caso viene in considerazione un’aspettativa generica del privato alla non reformatio in pejus delle destinazioni di zona edificabili, cedevole dinanzi alla discrezionalità del potere pubblico di pianificazione urbanistica e per il quale vale il principio generale della non necessità di motivazione ulteriore rispetto a quelle che si possono evincere dai criteri di ordine tecnico urbanistico seguiti per la redazione del progetto di strumento (TAR Toscana, sez. I, 13.07.2009, n. 1227).
In particolare, per ciò che riguarda la preesistenza di un piano di lottizzazione è necessario che lo stesso sia stato non solo approvato, ma anche convenzionato (quindi, divenuto operativo) in epoca anteriore all’adozione del P.R.G. (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 12.03.2009, n. 1431, 08.06.2007, n. 2999 e 26.04.2006, n. 2301; TAR Sicilia-Catania, sez. I, 16.04.2007, n. 638; TAR Lombardia Milano, sez. II, 06.03.2006, n. 58)
(TAR Sicilia-Catania, Sez. I, sentenza 16.01.2012 n. 88 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: La necessaria sussistenza di un interesse diretto, concreto ed attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto di accedere, non significa che l’accesso sia stato configurato dal legislatore con carattere meramente strumentale rispetto alla difesa in giudizio della situazione sottostante; esso assume invece una valenza autonoma, non dipendente dalla sorte del processo principale, ma anche dall’eventuale infondatezza o inammissibilità della domanda giudiziale che il richiedente, una volta conosciuti gli atti in questione, potrebbe proporre.
Ed invero, il diritto di accesso ai documenti amministrativi, introdotto dalla legge 07.08.1990 n. 241, a norma dell’art. 22, co. 2, della stessa legge costituisce un principio generale dell’ordinamento giuridico, il quale si colloca in un sistema ispirato al contemperamento delle esigenze di celerità ed efficienza dell’azione amministrativa con i principi di partecipazione e di concreta conoscibilità della funzione pubblica da parte dell’amministrato, basato sul riconoscimento del principio di pubblicità dei documenti amministrativi.
In quest’ottica, il “collegamento” tra l’interesse giuridicamente rilevante del soggetto che richiede l’accesso e la documentazione oggetto della relativa istanza, di cui al cit. art. 22, co. 1, lett. b), non può che essere inteso in senso ampio, posto che la documentazione richiesta deve essere, genericamente, mezzo utile per la difesa dell'interesse giuridicamente rilevante, e non strumento di prova diretta della lesione di tale interesse.
---------------
L'accesso di atti che seppur riguardando la sfera personale di altra persona non può comunque essere negato dal momento che la tutela della riservatezza dei terzi è destinata a recedere a norma dell’art. 24, co. 7, della legge n. 241 del 1990 e ss.mm.ii. nel caso in cui i documenti siano necessari per curare o difendere gli interessi giuridici del richiedente.

Secondo principi pacificamente accolti dalla giurisprudenza amministrativa, la necessaria sussistenza di un interesse diretto, concreto ed attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto di accedere, non significa che l’accesso sia stato configurato dal legislatore con carattere meramente strumentale rispetto alla difesa in giudizio della situazione sottostante; esso assume invece una valenza autonoma, non dipendente dalla sorte del processo principale, ma anche dall’eventuale infondatezza o inammissibilità della domanda giudiziale che il richiedente, una volta conosciuti gli atti in questione, potrebbe proporre (cfr. tra le più recenti, Cons. St., Sez. V, 23.02.2010 n. 1067).
Ed invero, il diritto di accesso ai documenti amministrativi, introdotto dalla legge 07.08.1990 n. 241, a norma dell’art. 22, co. 2, della stessa legge (come sostituito dall’art. 15 della legge 11.02.2005 n. 15) costituisce un principio generale dell’ordinamento giuridico, il quale si colloca in un sistema ispirato al contemperamento delle esigenze di celerità ed efficienza dell’azione amministrativa con i principi di partecipazione e di concreta conoscibilità della funzione pubblica da parte dell’amministrato, basato sul riconoscimento del principio di pubblicità dei documenti amministrativi.
In quest’ottica, il “collegamento” tra l’interesse giuridicamente rilevante del soggetto che richiede l’accesso e la documentazione oggetto della relativa istanza, di cui al cit. art. 22, co. 1, lett. b), non può che essere inteso in senso ampio, posto che la documentazione richiesta deve essere, genericamente, mezzo utile per la difesa dell'interesse giuridicamente rilevante, e non strumento di prova diretta della lesione di tale interesse (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 25.05.2010 n. 3309, 10.01.2007 n. 55 e 07.09.2004 n. 5873).
---------------
Infine, neanche possono essere opposte all’interessato ragioni di riservatezza, in quanto gli atti in parola, per un verso, come già sottolineato non incidono sul segreto professionale; e, per altro verso, pur riguardando la sfera personale dell’avv. Russo, non possono comunque essere negati dal momento che la tutela della riservatezza dei terzi è destinata a recedere a norma dell’art. 24, co. 7, della legge n. 241 del 1990 e ss.mm.ii. nel caso, qui ricorrente, in cui i documenti siano necessari per curare o difendere gli interessi giuridici del richiedente (Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 13.01.2012 n. 116 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: La cd. "associazione per cooptazione", già contemplata dall'art. 23 del d.lgs. n. 406/1991 (di attuazione della direttiva 89/440/CEE in materia di procedure di aggiudicazione degli appalti di lavori pubblici), si caratterizza per la possibilità, da parte delle imprese che intendano riunirsi in associazione temporanea e con i requisiti di partecipazione, di associare altre imprese iscritte all'(ex) albo nazionale dei costruttori, anche per categorie ed importi diversi da quelli richiesti nel bando, a condizione che i lavori eseguiti da queste ultime non superino il venti per cento dell'importo complessivo dei lavori oggetto dell'appalto e che l'ammontare complessivo delle iscrizioni possedute da ciascuna di tali imprese fosse almeno pari all'importo dei lavori che sarebbero stati ad essa affidati.
La norma è stata ripresa nel comma 4 dell’art. 95 del regolamento n. 554/1999 (applicabile ratione temporis alla presente controversia, ai sensi dell’art. 256, 4° comma, del d.lgs. 163/2006), per cui può ritenersi ancora operante l’istituto della cooptazione, il quale si caratterizza, come già osservato, per la possibilità di far partecipare all'appalto anche imprese di modeste dimensioni, non suscettibili di raggrupparsi nelle forme previste dai commi 2 e 3 del citato art. 95, purché l'ammontare complessivo delle qualificazioni possedute sia almeno pari all'importo dei lavori che sarebbero stati ad essa affidati e i lavori eseguiti dalle cooptate non superino il 20% dell'importo complessivo dei lavori.
Tuttavia, anche ad ammettere che l’istituto della cooptazione sia un istituto di carattere generale, e come tale applicabile, in astratto, anche in materia di servizi, nondimeno la sua concreta applicazione non può prescindere da una chiara e comunque espressa volontà del partecipante alla gara, il quale è onerato di indicare, già nella domanda di partecipazione, se e quali imprese intenda cooptare nella esecuzione del lavoro o del servizio.
Per vero, una parte della giurisprudenza ritiene che la possibilità dell'impresa singola o delle imprese che intendano riunirsi in associazione temporanea, in possesso dei requisiti di cui all'articolo 95 citato, di associare, nei modi di cui al comma 4, altre imprese qualificate anche per categorie ed importi diversi da quelli richiesti nel bando, sia insita nello stesso dettato normativo che impone alle imprese cooptate il solo obbligo della qualificazione e il solo limite percentuale delle opere; nondimeno appare preferibile ribadire come tale possibilità sia, piuttosto, subordinata ad un'espressa dichiarazione, risultante dalla domanda di partecipazione alla gara, in assenza della quale è da ritenere sussistente la figura (di carattere generale) della associazione temporanea (orizzontale o verticale).
E ciò sia in osservanza al principio della par condicio fra i partecipanti alla gara (non potendosi costringere l'Amministrazione a verificare tutte le ipotesi interpretative in astratto consentite dalla normativa vigente, ai fine di ricondurvi la tipologia realizzata da taluno dei concorrenti), sia in considerazione del diverso grado di impegno, responsabilità e garanzia dei partecipanti alla riunione (che vale a differenziare significativamente l’associazione ordinaria di imprese dalla associazione in cooptazione) cui si riconnette un diverso onere di dimostrazione del possesso dei requisiti di qualificazione.

La cd. "associazione per cooptazione", già contemplata dall'art. 23 del d.lgs. n. 406/1991 (di attuazione della direttiva 89/440/CEE in materia di procedure di aggiudicazione degli appalti di lavori pubblici), si caratterizza per la possibilità, da parte delle imprese che intendano riunirsi in associazione temporanea e con i requisiti di partecipazione, di associare altre imprese iscritte all'(ex) albo nazionale dei costruttori, anche per categorie ed importi diversi da quelli richiesti nel bando, a condizione che i lavori eseguiti da queste ultime non superino il venti per cento dell'importo complessivo dei lavori oggetto dell'appalto e che l'ammontare complessivo delle iscrizioni possedute da ciascuna di tali imprese fosse almeno pari all'importo dei lavori che sarebbero stati ad essa affidati.
La norma è stata ripresa nel comma 4 dell’art. 95 del regolamento n. 554/1999 (applicabile ratione temporis alla presente controversia, ai sensi dell’art. 256, 4° comma, del d.lgs. 163/2006), per cui può ritenersi ancora operante l’istituto della cooptazione, il quale si caratterizza, come già osservato, per la possibilità di far partecipare all'appalto anche imprese di modeste dimensioni, non suscettibili di raggrupparsi nelle forme previste dai commi 2 e 3 del citato art. 95, purché l'ammontare complessivo delle qualificazioni possedute sia almeno pari all'importo dei lavori che sarebbero stati ad essa affidati e i lavori eseguiti dalle cooptate non superino il 20% dell'importo complessivo dei lavori (cfr. Cons. Stato, sez. V, 01.09.2009, n. 5161; Cons. Stato, sez. V, 11.06.2001, n. 3129 e Id., 25.07.2006, n. 4655; nonché, ex plurimis, TAR Salerno, sez. I, 07.07.2006, n. 954).
Tuttavia, anche ad ammettere che l’istituto della cooptazione, le cui coordinate normative di riferimento sono state dianzi evidenziate, sia un istituto di carattere generale, e come tale applicabile, in astratto, anche in materia di servizi, nondimeno la sua concreta applicazione non può prescindere da una chiara e comunque espressa volontà del partecipante alla gara, il quale è onerato di indicare, già nella domanda di partecipazione, se e quali imprese intenda cooptare nella esecuzione del lavoro o del servizio.
Per vero, una parte della giurisprudenza ritiene che la possibilità dell'impresa singola o delle imprese che intendano riunirsi in associazione temporanea, in possesso dei requisiti di cui all'articolo 95 citato, di associare, nei modi di cui al comma 4, altre imprese qualificate anche per categorie ed importi diversi da quelli richiesti nel bando, sia insita nello stesso dettato normativo che impone alle imprese cooptate il solo obbligo della qualificazione e il solo limite percentuale delle opere (in termini, Cons. Stato, sez. V, 11.06.2001, n. 3129); nondimeno appare preferibile ribadire (in conformità ad un più recente e meglio argomentato orientamento: per tutte cfr. Cons. Stato n. 5161/2009 cit.) come tale possibilità sia, piuttosto, subordinata ad un'espressa dichiarazione, risultante dalla domanda di partecipazione alla gara, in assenza della quale è da ritenere sussistente la figura (di carattere generale) della associazione temporanea (orizzontale o verticale).
E ciò sia in osservanza al principio della par condicio fra i partecipanti alla gara (non potendosi costringere l'Amministrazione a verificare tutte le ipotesi interpretative in astratto consentite dalla normativa vigente, ai fine di ricondurvi la tipologia realizzata da taluno dei concorrenti), sia in considerazione del diverso grado di impegno, responsabilità e garanzia dei partecipanti alla riunione (che vale a differenziare significativamente l’associazione ordinaria di imprese dalla associazione in cooptazione) cui si riconnette un diverso onere di dimostrazione del possesso dei requisiti di qualificazione.
Se ne deve dedurre -non essendo, con ogni evidenza, in contestazione la evidenziata diversità giuridica delle due figure- che la controversia va risolta esaminando il tenore della "dichiarazione, risultante dalla domanda di partecipazione alla gara", la quale (in assenza di una espressa manifestazione della volontà di avvalersi della cooptazione) doveva indurre, giusta il richiamato principio, a "ritenere sussistente la figura generale di associazione temporanea" (così, ancora, Cons. Stato, n. 5161/2009 cit.), senza alcuna pratica possibilità di ricorso alla cooptazione.
Infatti è palese che nella domanda di partecipazione alla gara le imprese in ati costituenda hanno dichiarato di partecipare nella forma dell’associazione costituenda, con il rituale impegno a conferire mandato collettivo speciale con rappresentanza ad una delle associate (S.IT Geo) in caso di aggiudicazione.
Nessun riferimento le imprese compiono in ordine alla possibilità di cooptare altri soggetti nella esecuzione della commessa, né tampoco nel dar luogo ad una cooptazione inter se, risultando tale formula partecipativa non soltanto non espressa ma addirittura contraddittoria con quella, al contrario ben espressa, di associazione temporanea da costituire (dato che, essendo soltanto due le imprese associate, se vi è cooptazione di una delle associande non vi può essere ATI, venendo meno uno dei soggetti costitutivi)
Le considerazioni appena svolte sono già di per sé sufficienti a ritenere illegittima la determinazione di ammettere alla gara, all’esito della non consentita operazione ermeneutica di cui si è detto, l’associazione aggiudicataria, nonostante la palese carenza dei requisiti di capacità tecnico professionale in capo alla impresa mandante (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 13.01.2012 n. 115 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: La perdita di chance va rapportata in termini percentuali all’utile in astratto conseguibile in ipotesi di aggiudicazione della gara ed esecuzione dell’appalto: utile che, secondo un consolidato criterio, va presuntivamente stimato nel 10% dell’importo posto a base d’asta, ribassato dall’offerta presentata.
Tale quantificazione va qui poi congruamente ridotta, sia perché si tratta di risarcire una mera chance di aggiudicazione, sia perché l’interessata non ha dimostrato di essere stata nell’impossibilità di utilizzare, durante il tempo di esecuzione del servizio per cui è giudizio, mezzi e maestranze per l’espletamento di altri e diversi servizi.
Invero, ad evitare che a seguito del risarcimento il danneggiato possa locupletare un effetto finanziario addirittura migliore rispetto a quello in cui si sarebbe trovato in assenza dell'illecito, dal decimo dell’importo così stimato va detratto quanto percepito dall’impresa grazie allo svolgimento di attività lucrative diverse, nel periodo in cui avrebbe dovuto eseguire l'appalto in contestazione.
Nondimeno, l'onere di provare (l'assenza del)l'aliunde perceptum vel percipiendum grava non sull'Amministrazione, ma sull'impresa: e ciò in ragione della presunzione, secondo l'id quod plerumque accidit, che l'imprenditore normalmente diligente (cfr. art. 1227 Cod. civ.) non rimane inerte in caso di mancata aggiudicazione di un appalto, ma persegue occasioni contrattuali alternative, dalla cui esecuzione trae il relativo utile.

L’accoglimento della domanda principale di annullamento degli atti impone l’esame della domanda risarcitoria accessoria.
E’ evidente infatti che, essendo stata già esperita la gara ed integralmente eseguito il contratto stipulato con l’ati aggiudicataria, la violazione dell’interesse (partecipativo) della ricorrente può trovare riparazione soltanto per equivalente, e non più in forma specifica.
Va premesso, che non rileva nel presente giudizio la questione di carattere generale se, nella materia degli appalti e ove un provvedimento sia risultato illegittimo, sia ravvisabile una responsabilità in assenza di una specifica rimproverabilità degli organi amministrativi.
Infatti, nel caso in esame l’ammissione alla gara di una impresa priva dei relativi presupposti, in violazione delle regole del bando, evidenzia la sussistenza di una specifica rimproverabilità, che d’altra parte neppure risulta specificamente contestata dall’Amministrazione, che non ha invocato alcuna giustificazione.
Osserva al riguardo la Sezione che l’aggiudicazione è stata disposta mediante una violazione grave delle regole partecipative poste in base alla normativa comunitaria e nazionale sui contratti pubblici, giacché la proposizione della domanda partecipativa in forma di associazione ordinaria tra imprese e la conclamata carenza dei requisiti partecipativi in capo ad una delle associate (in relazione all’unica formula partecipativa di associazione di tipo orizzontale consentita dalla lex specialis) doveva far propendere la stazione appaltante per la esclusione della associazione risultata aggiudicataria.
Quanto alla sussistenza del nesso di causalità e di un danno, ove fosse stata disposta tale esclusione, la odierna appellante avrebbe avuto la quasi certezza di rimanere aggiudicataria della gara (la previsione in termini di certezza assoluta è impedita dalla sussistenza del potere di disporre i consueti controlli sul possesso di tutti i requisiti dichiarati nella domanda).
Orbene, venendo alla quantificazione del danno, va premesso che la società ricorrente ha chiesto di essere ristorata delle seguenti voci di danno, nelle misure di seguito indicate:
a) euro 138.672,80, corrispondente al 20% della propria offerta, a titolo di mancato guadagno;
b) euro 69.336,40 , corrispondenti al 5% dell’offerta, a titolo di imprevisti e spese generali;
c) euro 27.200,00 ed euro 35.340,00 per il mancato ammortamento, rispettivamente, delle strumentazioni e delle macchine;
d) euro 50.000,00 per danno all’immagine e per danno curriculare.
In totale, la domanda risarcitoria è stata determinata in euro 320.539,20 oltre alla maggiorazione per interessi e rivalutazione monetaria.
Il Collegio ritiene di dover accogliere la domanda risarcitoria soltanto nei limiti di cui appresso.
La perdita di chance va rapportata in termini percentuali all’utile in astratto conseguibile in ipotesi di aggiudicazione della gara ed esecuzione dell’appalto: utile che, secondo un consolidato criterio, va presuntivamente stimato nel 10% dell’importo posto a base d’asta, ribassato dall’offerta presentata (Cons. Stato, V, 08.07.2002, n. 3796; IV, 06.07.2004, n. 5012).
Tale quantificazione va qui poi congruamente ridotta, sia perché si tratta di risarcire una mera chance di aggiudicazione, sia perché l’interessata non ha dimostrato di essere stata nell’impossibilità di utilizzare, durante il tempo di esecuzione del servizio per cui è giudizio, mezzi e maestranze per l’espletamento di altri e diversi servizi (Cons. Stato, V 24.10.2002, n. 5860; VI, 09.11.2006, n. 6607).
Invero, come di recente rilevato da questa Sezione (Cons. Stato, VI, 18.03.2011, n. 1681), ad evitare che a seguito del risarcimento il danneggiato possa locupletare un effetto finanziario addirittura migliore rispetto a quello in cui si sarebbe trovato in assenza dell'illecito, dal decimo dell’importo così stimato va detratto quanto percepito dall’impresa grazie allo svolgimento di attività lucrative diverse, nel periodo in cui avrebbe dovuto eseguire l'appalto in contestazione.
Nondimeno, l'onere di provare (l'assenza del)l'aliunde perceptum vel percipiendum grava non sull'Amministrazione, ma sull'impresa: e ciò in ragione della presunzione, secondo l'id quod plerumque accidit, che l'imprenditore normalmente diligente (cfr. art. 1227 Cod. civ.) non rimane inerte in caso di mancata aggiudicazione di un appalto, ma persegue occasioni contrattuali alternative, dalla cui esecuzione trae il relativo utile.
Ciò premesso, appare equo riconoscere alla appellante, a titolo di utile mancato, la somma di euro 34.668,00 corrispondente al 5% della offerta presentata in gara dalla appellante.
La somma appare congrua, avuto riguardo alle concrete chances di aggiudicazione (indubbiamente molto alte), alla media degli utili che le imprese normalmente traggono dalla partecipazione alle gare (media che negli ultimi anni si è ridotta, a fronte della maggiore competitività indotta dalle accresciute regole di pubblicità imposte alle stazioni appaltanti).
Inoltre, il Collegio, nel contenere l’entità del risarcimento da lucro cessante nei termini percentuali suindicati, non può non tener conto del fatto che l’appellante non ha eseguito il servizio e che non ha dato prova di essere rimasta inerte nel tempo che avrebbe dovuto impiegare, ove ne fosse rimasta aggiudicataria, per la esecuzione del contratto d’appalto.
Tale ultima considerazione, in ordine alla mancata prova negativa dell’aliunde perceptum vel percipiendum, dà conto della mancata liquidazione in favore della appellante delle ulteriori voci risarcitorie; in particolare non si può ritenere spettante alla appellante la somma richiesta per il mancato ammortamento dei mezzi e delle attrezzature ovvero a titolo di danno curriculare (dato che se ha eseguito altre opere o servizi è in quell’ambito oggettuale che può imputare gli ammortamenti ovvero può aver arricchito, magari in misura maggiore, il suo curriculum).
Infine non può spettare alcunché a titolo di imprevisti e spese generali di partecipazioni, dato che si tratta di poste insite nel rischio imprenditoriale di chi partecipa alle commesse pubbliche e che non ricevono autonoma considerazione neppure in confronto dell’aggiudicatario (che si remunera soltanto con gli utili di impresa).
In definitiva, all’appellante spetta la somma di euro 34.668,00 a titolo di risarcimento del danno, cui vanno aggiunti, trattandosi di debito di valore e non di valuta, gli interessi legali e la rivalutazione monetaria (da calcolare separatamente sugli importi nominali del credito), a decorrere dalla data della illegittima aggiudicazione e fino al soddisfo.
Da ultimo il Collegio deve precisare, per quanto nessuna richiesta di condanna sia stata articolata nei confronti della associazione aggiudicataria (pur evocata in giudizio quale controinteressata), che la responsabilità civile da illegittima aggiudicazione, nel caso che ne occupa, ha natura solidale, in quanto l’errore (pur inescusabile) della stazione appaltante è stato indotto dal comportamento della odierna ati controinteressata, manifestatosi sia in occasione della domanda partecipativa (dal cui tenore alcun riferimento all’istituto della cooptazione poteva desumersi), sia nella richiamata comunicazione del 09.10.2006, in cui per la prima volta compare il riferimento a tale nuova formula partecipativa, e si realizza la sostanziale mutazione della veste soggettiva di partecipazione.
Pertanto, in base al principio desumibile dall’art. 2055 del codice civile va affermata, ai soli fini della statuizione di accertamento, la natura solidale della responsabilità civile di che trattasi, e ciò anche ai fini dell’eventuale azione di regresso che la stazione appaltante potrà intraprendere per rivalersi, nel concorso di tutte le ulteriori condizioni legittimanti, nei confronti della società beneficiaria degli atti illegittimi e che ha indotto alla loro emanazione (cfr. l’art. 41, comma 2, ultima parte, del Codice per il processo amministrativo) (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 13.01.2012 n. 115 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La ricostruzione di un rudere non è ascrivibile ad ipotesi di ristrutturazione edilizia e meno che meno di risanamento conservativo, integrando in sostanza un'attività di nuova costruzione, attesa la mancanza di elementi sufficienti a testimoniare le dimensioni e le caratteristiche dell'edificio da recuperare.
Intanto può attuarsi un intervento di ristrutturazione edilizia (di demolizione e ricostruzione) in quanto esista un organismo edilizio dotato di mura perimetrali, strutture orizzontali e copertura in stato di conservazione tale da consentire la sua fedele ricostruzione, mentre non è ravvisabile siffatto intervento nei confronti di ruderi o edifici da tempo demoliti, attesa la mancanza di elementi sufficienti a testimoniare le dimensioni e le caratteristiche dell'edificio da recuperare, configurandosi in quest'evenienza, invero, un intervento di nuova costruzione, assoggettato ai limiti stabiliti dalla vigente disciplina urbanistica.
I lavori di rifacimento di un rudere sono qualificabili come nuova costruzione; infatti, manca la possibilità di procedere con certezza alla ricognizione delle strutture portanti dell'edificio ormai irriconoscibile.
Rispetto ad una costruzione che sia ridotta allo stato di un rudere non è possibile compiere una valutazione in termini di compatibilità delle caratteristiche planovolumetriche tra lo stato dell'edificio prima e dopo l'intervento di riedificazione, per cui appare chiaro che la ricostruzione di un edificio debba essere qualificata come nuova costruzione, che deve essere assentita mediante permesso a costruire, ai sensi degli artt. 10 e 22 comma 3, t.u. 06.06.2001 n. 380.
In materia edilizia, la ricostruzione di un rudere costituisce nuova costruzione in quanto il concetto di ristrutturazione edilizia richiede la preesistenza di un fabbricato da ristrutturare, inteso quale organismo edilizio dotato di elementi strutturali, quali muri perimetrali, strutture orizzontali e copertura, in assenza dei quali non è possibile valutare l'esistenza e la consistenza dell'edificio stesso.

Entrando direttamente nel merito della questione concernente il regime giuridico dettato per la ricostruzione di edifici crollati (cd. ruderi), si deve precisare quanto segue.
In Sicilia, sulla base della normativa contenuta nell’art. 20, lett. c e d, della L.R. 71/1978 (tuttora vigente) si distingue tra interventi di “restauro e risanamento conservativo”, da una parte, e di “ristrutturazione edilizia”, dall’altra.
La giurisprudenza, da tempo, ritiene che “Dall'analisi di tale disposizione [lett. c, dell’art. 20, n.d.r.] e dal raffronto della disposizione stessa con quella della successiva lettera d) discende che gli interventi edilizi che non comportino la realizzazione di un organismo edilizio in tutto o in parte diverso debbano rientrare nella nozione di restauro e risanamento conservativo, e ciò anche nel caso limite in cui del fabbricato originario sia rimasto soltanto poco più delle fondazioni.” (CGA, parere n. 151/1989), e ciò in quanto la caratteristica tipica del restauro e del risanamento conservativo siano da individuare nel “rispetto degli elementi tipologici, formali e strutturali dell'organismo edilizio” (CGA sentenza n. 356/1994; Tar Catania 176/2007).
Per contro, in sintonia con la ratio che ispira le predette decisioni, si è affermato che “Necessita di concessione edilizia, non potendosi qualificare intervento di manutenzione o di conservazione, ai sensi dell'art. 20, lett. c), della legge regionale 27.12.1978 n. 71, la ricostruzione, a seguito dell'intervenuto crollo, della vecchia costruzione, mediante riedificazione di strutture radicalmente e qualitativamente diverse da quelle preesistenti” (Tar Catania, 975/1994).
Dalle illustrate decisioni si può trarre il principio per cui la qualificazione giuridica dell’intervento edilizio è determinata dalla circostanza che il progetto preveda o meno la realizzazione di un edificio identico a quello preesistente. Ove tale condizione ricorra, si adopererà lo strumento del restauro e risanamento conservativo; si tratterà di ristrutturazione, invece, nel caso inverso.
Data questa premessa, allora, si può fare un ulteriore passo avanti ed affermare che la distinzione riportata sia valida –non solo nei casi di interventi eseguiti su edifici esistenti che si intende rimaneggiare, ma- anche nelle ipotesi in cui l’oggetto dell’attività edilizia sia precedentemente demolito, o sia comunque crollato. La ricostruzione di un edificio del tutto nuovo e diverso da quello crollato richiederà una nuova concessione; la ricostruzione fedele del rudere, nel rispetto delle caratteristiche formali e dimensionali precedenti, sarà eseguibile sotto forma di restauro e risanamento conservativo.
Deve essere però precisato che –in quest’ultimo caso– la ricostruzione fedele presuppone che vi sia certezza in ordine alla caratteristiche dimensionali e formali dell’edificio in rovina, in modo che possa essere realizzata una sua fedele ricostruzione. Quindi, ciò che rileva ai fini dell’utilizzo dell’istituto del restauro e risanamento conservativo è che siano individuabili, od evincibili aliunde, gli elementi compositivi della struttura da ricostruire che ne rendono possibile la fedele ricostruzione, restando marginale il fatto che allo stato l’edificio si presenti sotto forma di rudere.
Il principio appena affermato si ricava a contrario anche dalla seguente giurisprudenza formatasi con riguardo alla legislazione nazionale:
- “La ricostruzione di un rudere non è ascrivibile ad ipotesi di ristrutturazione edilizia e meno che meno di risanamento conservativo, integrando in sostanza un'attività di nuova costruzione, attesa la mancanza di elementi sufficienti a testimoniare le dimensioni e le caratteristiche dell'edificio da recuperare” (Tar Napoli, 1286/2010);
- “Intanto può attuarsi un intervento di ristrutturazione edilizia (di demolizione e ricostruzione) in quanto esista un organismo edilizio dotato di mura perimetrali, strutture orizzontali e copertura in stato di conservazione tale da consentire la sua fedele ricostruzione, mentre non è ravvisabile siffatto intervento nei confronti di ruderi o edifici da tempo demoliti, attesa la mancanza di elementi sufficienti a testimoniare le dimensioni e le caratteristiche dell'edificio da recuperare, configurandosi in quest'evenienza, invero, un intervento di nuova costruzione, assoggettato ai limiti stabiliti dalla vigente disciplina urbanistica” (Tar Venezia, 1667/2008);
- “I lavori di rifacimento di un rudere sono qualificabili come nuova costruzione; infatti, manca la possibilità di procedere con certezza alla ricognizione delle strutture portanti dell'edificio ormai irriconoscibile.” (Tar Trieste, 749/2007);
- “Rispetto ad una costruzione che sia ridotta allo stato di un rudere non è possibile compiere una valutazione in termini di compatibilità delle caratteristiche planovolumetriche tra lo stato dell'edificio prima e dopo l'intervento di riedificazione, per cui appare chiaro che la ricostruzione di un edificio debba essere qualificata come nuova costruzione, che deve essere assentita mediante permesso a costruire, ai sensi degli artt. 10 e 22 comma 3, t.u. 06.06.2001 n. 380.” (Tar Catanzaro, 1486/2007);
- “In materia edilizia, la ricostruzione di un rudere costituisce nuova costruzione in quanto il concetto di ristrutturazione edilizia richiede la preesistenza di un fabbricato da ristrutturare, inteso quale organismo edilizio dotato di elementi strutturali, quali muri perimetrali, strutture orizzontali e copertura, in assenza dei quali non è possibile valutare l'esistenza e la consistenza dell'edificio stesso” (Cass. pen., III; 20776/2006).
Le riportate massime sono tutte accomunate dall’idea che la riedificazione di un rudere richieda necessariamente l’istituto della concessione per nuova costruzione, in considerazione della obbiettiva impossibilità di valutare la consistenza dell’originario edificio. Se ne può ricavare, a contrario, che valgano invece le regole dettate in tema di ristrutturazione (tramite ricostruzione) ove le dimensioni e la forma del preesistente edificio siano in qualche maniera ricavabili ab externo (anche se ciò, probabilmente, costituisce una eventualità non frequente) (TAR Sicilia-Catania, Sez. I, sentenza 13.01.2012 n. 73 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Nel caso di A.T.I. costituenda, la garanzia deve essere intestata a tutte le associate, che sono individualmente responsabili delle dichiarazioni rese per la partecipazione alla gara, perché diversamente verrebbe a configurarsi una carenza di garanzia per la stazione appaltante, quante volte l'inadempimento non dipenda dalla capogruppo designata, ma dalle mandanti; la fideiussione deve dunque richiamare la natura collettiva della partecipazione e deve garantire non solo la mancata sottoscrizione del contratto, ma anche ogni altro obbligo derivante dalla partecipazione alla gara.
... CONSIDERATO che secondo orientamento giurisprudenziale uniforme nel caso di A.T.I. costituenda, la garanzia deve essere intestata a tutte le associate, che sono individualmente responsabili delle dichiarazioni rese per la partecipazione alla gara, perché diversamente verrebbe a configurarsi una carenza di garanzia per la stazione appaltante, quante volte l'inadempimento non dipenda dalla capogruppo designata, ma dalle mandanti; la fideiussione deve dunque richiamare la natura collettiva della partecipazione e deve garantire non solo la mancata sottoscrizione del contratto, ma anche ogni altro obbligo derivante dalla partecipazione alla gara (Cons. Stato Ad. Plen. 8/2005; Cons. Stato, Sez. V, 02.11.2011 n. 5841; TAR Sicilia Catania, sez. IV, 14.09.2007, n. 1418 e 05.10.2006, n. 1618) (TAR Sicilia-Catania, Sez. I, sentenza 13.01.2012 n. 70 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La presentazione dell'istanza di sanatoria edilizia, anteriormente alla impugnazione dell'ordinanza di demolizione (o del provvedimento di irrogazione delle altre sanzioni per abusi edilizi) produce l'effetto di rendere inammissibile l'impugnazione stessa, per carenza di interesse, in quanto dall’istanza consegue la perdita di efficacia di tale ordinanza ed il riesame dell'abusività dell'opera, sia pure al fine di verificarne la eventuale sanabilità, provocato dalla domanda di sanatoria, comporta la necessaria formazione di un nuovo provvedimento, esplicito od implicito (di accoglimento o di rigetto), che vale comunque a superare il provvedimento sanzionatorio oggetto dell'impugnativa.
Il ricorso giurisdizionale avverso un provvedimento sanzionatorio proposto successivamente all'istanza di concessione in sanatoria, è inammissibile per carenza di interesse, “spostandosi” l'interesse del responsabile dell'abuso edilizio dall'annullamento del provvedimento medesimo, all'eventuale annullamento del provvedimento (esplicito o implicito) di rigetto, in seguito al quale l’Amministrazione è tenuta ad emanare nuove misure sanzionatorie, con l’assegnazione, in tal caso, di un nuovo termine per adempiere.

Considerato:
- che, secondo giurisprudenza ormai consolidata di questo Tribunale (cfr., per tutte TAR Sicilia, Palermo, Sez. II, 12.05.2011, n. 6700 e 23.06.2011, n. 1171 ) la presentazione dell'istanza di sanatoria edilizia, anteriormente alla impugnazione dell'ordinanza di demolizione (o del provvedimento di irrogazione delle altre sanzioni per abusi edilizi) produce l'effetto di rendere inammissibile l'impugnazione stessa, per carenza di interesse, in quanto dall’istanza consegue la perdita di efficacia di tale ordinanza ed il riesame dell'abusività dell'opera, sia pure al fine di verificarne la eventuale sanabilità, provocato dalla domanda di sanatoria, comporta la necessaria formazione di un nuovo provvedimento, esplicito od implicito (di accoglimento o di rigetto), che vale comunque a superare il provvedimento sanzionatorio oggetto dell'impugnativa (cfr., altresì, Cons. Stato, sez. V, 21.04.1997, n. 3563; sez. IV, 11.12.1997, n. 1377; C.G.A. 27.05.1997, n. 187; TAR Toscana, sez. III, 18.12.2001, n. 2024; TAR Puglia, Bari, sez. II, 11.01.2002, n. 154; TAR Campania, Sez. III, 02.03.2004, n. 2579; sez. IV, 18.03.2005, n. 1835; TAR Sicilia, sez. II, 16.03.2004, n. 499, 16.07.2008, n. 921);
- che, pertanto, il ricorso giurisdizionale avverso un provvedimento sanzionatorio proposto successivamente all'istanza di concessione in sanatoria, è inammissibile per carenza di interesse, “spostandosi” l'interesse del responsabile dell'abuso edilizio dall'annullamento del provvedimento medesimo, all'eventuale annullamento del provvedimento (esplicito o implicito) di rigetto (Cons. Stato, sez. V, 04.08.2000, n. 4305; TAR Sicilia, Catania, Sez. II, 16.03.1991, n. 67, Palermo, Sez. II, 27.03.2002, n. 826; TAR Campania, Sez. IV, 24.09.2002, n. 5559; TAR Lazio, sez. II-ter, 04.11.2005, n. 10412), in seguito al quale l’Amministrazione è tenuta ad emanare nuove misure sanzionatorie, con l’assegnazione, in tal caso, di un nuovo termine per adempiere (in tal senso, TAR Lazio, sez. II, 17.01.2001, n. 230; TAR Sicilia, Catania, Sez. I, 12.12.2001, n. 2424; TAR Campania, sez. IV, 26.07.2002, n. 4399; TAR Sicilia, Palermo, Sez. II, 17.05.2005, n. 751, 20.01.2010, n. 588; sez. III, 11.07.2005, n. 1197) (TAR Sicilia-Palermo, Sez. II, sentenza 13.01.2012 n. 50 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: L'avvenuto sequestro penale del manufatto, che renderebbe, secondo la ricorrente, impossibile l'ottemperanza all'ingiunzione di demolizione, non può impedire il valido esercizio del potere di repressione dell'abuso in argomento, considerato che l'esistenza del sequestro non rende illegittimo l'ordine di demolizione di cui all'art. 31 del t.u. 06.06.2001 n. 380, ben potendo il destinatario chiedere al giudice penale il dissequestro delle opere al fine di ottemperare all'ordine, perché altrimenti sarebbe irragionevole che il provvedimento giudiziario, imposto per garantire l'integrità e la non sottrazione del corpo del reato, diventi schermo protettivo dell'inerzia del privato che ha compiuto l'opera abusiva, andando quindi a suo vantaggio.
... Ritenuto che l'avvenuto sequestro penale del manufatto, che renderebbe, secondo la ricorrente, impossibile l'ottemperanza all'ingiunzione di demolizione, non può impedire il valido esercizio del potere di repressione dell'abuso in argomento, considerato che, come da pacifica giurisprudenza (cfr. TAR Sicilia, Sezione II, 10.05.2007, n. 1334; TAR Campania, Sezione II, 14.02.2011, n. 928 e 30.10.2006, n. 9243), l'esistenza del sequestro non rende illegittimo l'ordine di demolizione di cui all'art. 31 del t.u. 06.06.2001 n. 380, ben potendo il destinatario chiedere al giudice penale il dissequestro delle opere al fine di ottemperare all'ordine, perché altrimenti sarebbe irragionevole che il provvedimento giudiziario, imposto per garantire l'integrità e la non sottrazione del corpo del reato, diventi schermo protettivo dell'inerzia del privato che ha compiuto l'opera abusiva, andando quindi a suo vantaggio (TAR Sicilia-Palermo, Sez. II, sentenza 13.01.2012 n. 49 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Va sottratto all'accesso il parere espresso dal Dirigente dell’Ufficio Urbanistica qualora lo stesso interveniva nella definizione della strategia difensiva del Comune riguardo alla proposizione dell’appello contro la sentenza del TAR, analogamente ai pareri legali in senso stretto.
Per quanto concerne il parere espresso dal Dirigente dell’Ufficio Urbanistica in data 26.05.2011 prot. 18912, va osservato che lo stesso interveniva nella definizione della strategia difensiva del Comune riguardo alla proposizione dell’appello contro la sentenza di questo Tribunale n. 173/2011, per cui va sottratto all’accesso analogamente ai pareri legali in senso stretto (quale, ad esempio, il parere espresso dall’Avv. Mastri e acquisito al prot. 18792 del 25.05.2011), secondo l’orientamento assunto, al riguardo, dalla giurisprudenza amministrativa (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 30.09.2010 n. 7237; Sez. IV, 13.10.2003 n. 6200; Sez. V, 02.04.2001 n. 1893) (TAR Marche, sentenza 13.01.2012 n. 46 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa ricostruzione a seguito di crollo non pare concettualmente sovrapponibile alla demolizione e ricostruzione ammesse nell’ambito della ristrutturazione edilizia di cui all’art. 3, comma 1, lett. d), del d.P.R. n. 380/2001, in quanto nella prima ipotesi mancano, all’evidenza, elementi sufficienti a testimoniare le dimensioni e le caratteristiche dell’edificio “da ristrutturare”.
Se l’edificio non è in tutto o in parte fisicamente esistente al momento dell’intervento richiesto (o, come nella specie, al momento dell’esecuzione dell’intervento abusivo), questo non può che essere classificato come nuova costruzione. Un edificio può, infatti, dirsi esistente in quanto “esista un organismo edilizio, seppur non necessariamente abitato od abitabile, connotato nei suoi caratteri essenziali, dotato di mura perimetrali, strutture orizzontali e copertura in stato di conservazione tale da consentire la sua (fedele) ricostruzione”.

La ricostruzione a seguito di crollo non pare concettualmente sovrapponibile alla demolizione e ricostruzione ammesse nell’ambito della ristrutturazione edilizia di cui all’art. 3, comma 1, lett. d), del d.P.R. n. 380/2001, in quanto nella prima ipotesi mancano, all’evidenza, elementi sufficienti a testimoniare le dimensioni e le caratteristiche dell’edificio “da ristrutturare”.
Se l’edificio non è in tutto o in parte fisicamente esistente al momento dell’intervento richiesto (o, come nella specie, al momento dell’esecuzione dell’intervento abusivo), questo non può che essere classificato come nuova costruzione. Un edificio può, infatti, dirsi esistente in quanto “esista un organismo edilizio, seppur non necessariamente abitato od abitabile, connotato nei suoi caratteri essenziali, dotato di mura perimetrali, strutture orizzontali e copertura in stato di conservazione tale da consentire la sua (fedele) ricostruzione” (ex multis C.d.S., V, 10.02.2004, n. 475) (TAR Piemonte, Sez. II, sentenza 12.01.2012 n. 62 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICAIl ricorso avverso le disposizioni di p.r.g. va notificato, oltre che al Comune, anche alla Regione, in considerazione della natura complessa dell'atto impugnato e del concorso della volontà di entrambi gli enti alla sua formazione definitiva; l'omesso assolvimento di tale onere implica l'inammissibilità del ricorso, per la sua mancata notificazione ad una delle autorità emananti.
La giurisprudenza è concorde nel ritenere che il ricorso avverso le disposizioni di p.r.g. vada notificato, oltre che al Comune, anche alla Regione, in considerazione della natura complessa dell'atto impugnato e del concorso della volontà di entrambi gli enti alla sua formazione definitiva (Cons. Stato, sez. II, 12.12.1990, n. 358), e che l'omesso assolvimento di tale onere implichi l'inammissibilità del ricorso, per la sua mancata notificazione ad una delle autorità emananti (Cons. Stato, sez. V, 19.05.1998, n. 616; TAR Lombardia, Milano, sez. II, 17.09.2009 n. 4667)
(TAR Piemonte, Sez. II, sentenza 12.01.2012 n. 51 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa ristrutturazione edilizia consiste in interventi di trasformazione di un immobile nel suo complesso, il che non si configura per un immobile che prima sia crollato o sia stato demolito, quando ci sia soluzione di continuità temporale (in questo caso di diversi anni) tra il crollo e la presentazione del progetto.
---------------
La errata o insufficiente (non importa se dolosa o colposa) rappresentazione di circostanze di fatto esposte nella domanda e relativi allegati di concessione edilizia posta alla base dell’atto della concessione edilizia, che diversamente non sarebbe stata rilasciata, costituisce da sola ragione sufficiente per giustificare un provvedimento di annullamento di ufficio della concessione medesima, tanto che in tale situazione si può prescindere dal contemperamento con un interesse pubblico attuale e concreto.

Da un lato, come affermato dall’orientamento giurisprudenziale cui il Collegio ritiene di aderire, “la ristrutturazione edilizia … consiste in interventi di trasformazione di un immobile nel suo complesso, il che non si configura per un immobile che prima sia crollato o sia stato demolito” (cfr. Cons. St., sez. IV, 05.07.2000, n. 3735), quando ci sia soluzione di continuità temporale (in questo caso di diversi anni) tra il crollo e la presentazione del progetto (cfr. TAR Veneto, sez. II, 31.10.2007 n. 3493), dall’altro “la errata o insufficiente (non importa se dolosa o colposa) rappresentazione di circostanze di fatto esposte nella domanda e relativi allegati di concessione edilizia posta alla base dell’atto della concessione edilizia, che diversamente non sarebbe stata rilasciata, costituisce da sola ragione sufficiente per giustificare un provvedimento di annullamento di ufficio della concessione medesima, tanto che in tale situazione si può prescindere dal contemperamento con un interesse pubblico attuale e concreto” (Cons. St., sez. IV, 24.12.2008, n. 6554; cfr. anche TAR Lombardia, Brescia, 20.11.2002 n. 1881; TAR Puglia, Lecce, sez. I, 04.04.2006 n. 1831) (TAR Piemonte, Sez. II, sentenza 12.01.2012 n. 51 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa mancata indicazione dell'area di sedime, che verrebbe acquisita nell'ipotesi di inottemperanza all'ordine di demolizione, non costituisce elemento essenziale dell'ingiunzione a demolire, sì da determinarne, in caso di assenza, l’illegittimità (o la nullità), in quanto tale indicazione appartiene al successivo atto di accertamento dell'inottemperanza e di acquisizione gratuita al patrimonio comunale.
L'acquisizione gratuita non costituisce sanzione accessoria alla demolizione, volta a colpire l'esecutore delle opere abusive, ma si configura quale sanzione autonoma che consegue all'inottemperanza all'ingiunzione di demolizione. L'inottemperanza integra, infatti, un illecito diverso ed autonomo dalla commissione dell'abuso edilizio, del quale può rendersi responsabile anche il proprietario, qualora risulti che abbia acquistato o riacquistato la disponibilità del bene e non si sia attivato per dare esecuzione all'ordine di demolizione, o qualora emerga che, pur essendo in grado di dare esecuzione all'ingiunzione, non vi abbia comunque provveduto.
----------------
L'ordine di demolizione di opere edilizie abusive e i successivi provvedimenti connessi e/o conseguenti non devono essere preceduti dall'avviso di cui all’art. 7 della L. n. 241/1990, in quanto trattasi di atti dovuti, che vengono emessi quale sanzione, rispettivamente, per l’accertamento dell’inosservanza di disposizioni urbanistiche e per l’inottemperanza dell’ingiunzione di rimessa in pristino, secondo un procedimento di natura vincolata, disciplinato rigidamente dalla legge.
---------------
Nel percorso argomentativo dell’ordine di demolizione non è necessaria alcuna specificazione ulteriore rispetto alla presa d'atto dell'abusività dell'opera. Infatti, i provvedimenti di demolizione di opere abusive sono atti dovuti, sufficientemente motivati con l’affermazione dell’accertata realizzazione di interventi edilizi in carenza del titolo abilitativo richiesto dalla legge. Di conseguenza, in relazione a provvedimenti di tal genere, l’obbligo di motivazione è da intendere nella sua essenzialità ovvero è da intendere assolto con l’indicazione dei meri presupposti di fatto (constatazione dell’esecuzione di opere edilizie in difformità del permesso di costruire o in assenza del medesimo), che poi determinano l’applicazione dovuta delle misure ripristinatorie previste.
L’acquisizione al patrimonio del Comune di un'opera abusivamente realizzata ha come unico presupposto l'accertata inottemperanza ad un ordine di demolizione del manufatto abusivo, di cui è meramente dichiarativo, con la conseguenza che, essendo atto dovuto, è sufficientemente motivato con l'affermazione dell'accertata inottemperanza, essendo "in re ipsa" l'interesse pubblico alla sua adozione. Inoltre, la norma non richiede né che lo svolgimento del sopralluogo, attraverso il quale viene accertata l’inottemperanza all’ordine di demolizione, venga effettuato in contraddittorio, né che il verbale di sopralluogo debba essere comunicato all’interessato, essendo, invero, necessario solo che l’accertamento dell'inottemperanza all’ingiunzione a demolire venga a questi notificato.

Secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, al quale questo Collegio aderisce, la mancata indicazione dell'area di sedime, che verrebbe acquisita nell'ipotesi di inottemperanza all'ordine di demolizione, non costituisce elemento essenziale dell'ingiunzione a demolire, sì da determinarne, in caso di assenza, l’illegittimità (o la nullità), in quanto tale indicazione appartiene al successivo atto di accertamento dell'inottemperanza e di acquisizione gratuita al patrimonio comunale (ex multis C.d.S., IV, 26.09.2008, n. 4659; TAR Lombardia, Milano, 09.03.2011, n. 644; TAR Piemonte, I, 24.03.2010, n. 1577; TAR Puglia, Bari, III, 23.06.2010, n. 2606; Tar Campania, Napoli, III 12.03.2010, n. 1420, Tar Lazio, Latina, I, 06.08.2009, n. 780; Tar Veneto, II, 10.06.2009, n. 1725; Tar Umbria, 26.01.2007, n. 44).
Devesi, infatti, osservare che, come si ricava dalla costante interpretazione della norma di cui all’art. 31, comma 3 del d.P.R. n. 380 del 2001, “L'acquisizione gratuita non costituisce sanzione accessoria alla demolizione, volta a colpire l'esecutore delle opere abusive, ma si configura quale sanzione autonoma che consegue all'inottemperanza all'ingiunzione di demolizione. L'inottemperanza integra, infatti, un illecito diverso ed autonomo dalla commissione dell'abuso edilizio, del quale può rendersi responsabile anche il proprietario, qualora risulti che abbia acquistato o riacquistato la disponibilità del bene e non si sia attivato per dare esecuzione all'ordine di demolizione, o qualora emerga che, pur essendo in grado di dare esecuzione all'ingiunzione, non vi abbia comunque provveduto” (TAR Lazio, Roma, I-quater, 07.10.2011, n. 7819 e la giurisprudenza ivi citata della sezione; id. 22.12.2010, n. 38200; TAR Lombardia, II, 29.04.2009, n. 3597), con la conseguenza che soltanto una volta che sia accertata l’inottemperanza all’ordine di demolire potrà seguire l’acquisizione al patrimonio.
-------------
L'ordine di demolizione di opere edilizie abusive e i successivi provvedimenti connessi e/o conseguenti non devono essere preceduti dall'avviso di cui all’art. 7 della L. n. 241/1990, in quanto trattasi di atti dovuti, che vengono emessi quale sanzione, rispettivamente, per l’accertamento dell’inosservanza di disposizioni urbanistiche e per l’inottemperanza dell’ingiunzione di rimessa in pristino, secondo un procedimento di natura vincolata, disciplinato rigidamente dalla legge (ex multis C.d.S, IV, 26.09.2008, n. 465; TAR Lombardia, Brescia, I, 17.01.2011, n. 69; Tar Campania, Napoli, IV, 10.12.2007, n. 15871).
Va, in ogni caso, evidenziato che, nel caso specifico, il ricorrente è venuto a conoscenza dell’avvio del procedimento sanzionatorio di rimessa in pristino e del possibile avvio del sub-procedimento volto all’acquisizione a titolo gratuito al patrimonio del Comune del bene e delle aree indicate al comma 3 del citato art. 31 del d.P.R. n. 380 del 2001 in forza della comunicazione in data 21.01.2008 – prot. n. 3741, che, peraltro, riconosce esistente. Tale comunicazione, inviata a seguito dell’accertata esecuzione di opere “in assenza del prescritto provvedimento abilitativo edilizio”, non poteva, invero, che preludere all’adozione di un’ordinanza di rimozione o di demolizione e, in caso di sua inottemperanza, all’acquisizione gratuita di cui s’è detto, atteso che queste sono le conseguenze sanzionatorie tipizzate dal legislatore per siffatte ipotesi.
---------------
La giurisprudenza afferma che nel percorso argomentativo dell’ordine di demolizione non è necessaria alcuna specificazione ulteriore rispetto alla presa d'atto dell'abusività dell'opera [cfr. sul punto, anche qui ex plurimis, TAR Lazio, I-quater, 14.01.2008 n. 174: "i provvedimenti di demolizione di opere abusive sono atti dovuti, sufficientemente motivati con l’affermazione dell’accertata realizzazione di interventi edilizi in carenza del titolo abilitativo richiesto dalla legge. Di conseguenza, in relazione a provvedimenti di tal genere, l’obbligo di motivazione è da intendere nella sua essenzialità ovvero è da intendere assolto con l’indicazione dei meri presupposti di fatto (constatazione dell’esecuzione di opere edilizie in difformità del permesso di costruire o in assenza del medesimo), che poi determinano l’applicazione dovuta delle misure ripristinatorie previste"]; nello stesso senso TAR Campania, Napoli, II, 13.10.2008 n. 15498).
Analoghe considerazioni possono essere estese, ad avviso di questo Collegio, al provvedimento ora in esame, in quanto l’acquisizione al patrimonio del Comune di un'opera abusivamente realizzata ha come unico presupposto l'accertata inottemperanza ad un ordine di demolizione del manufatto abusivo, di cui è meramente dichiarativo, con la conseguenza che, essendo atto dovuto, è sufficientemente motivato con l'affermazione dell'accertata inottemperanza, essendo "in re ipsa" l'interesse pubblico alla sua adozione. Inoltre, la norma non richiede né che lo svolgimento del sopralluogo, attraverso il quale viene accertata l’inottemperanza all’ordine di demolizione, venga effettuato in contraddittorio, né che il verbale di sopralluogo debba essere comunicato all’interessato, essendo, invero, necessario solo che l’accertamento dell'inottemperanza all’ingiunzione a demolire venga a questi notificato (cfr. art. 31, comma 4, d.P.R. n. 380/2001)
(TAR Piemonte, Sez. II, sentenza 12.01.2012 n. 35 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa natura vincolata dell'ordine di demolizione comporta che esso non richiede una specifica valutazione delle ragioni di interesse pubblico né una comparazione di quest'ultimo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati né una motivazione sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale alla demolizione, non potendo ammettersi l'esistenza di alcun affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di fatto abusiva che il tempo non può giammai legittimare.
L’orientamento da ultimo riferito è meritevole di apprezzamento nella misura in cui chiarisce come il semplice decorso del tempo, unitamente all’inerzia dei pubblici poteri preposti alla repressione degli abusi edilizi, non valga a generare alcuna aspettativa o legittimo affidamento in capo al contravventore, ossia al soggetto che ha posto in essere l’abuso edilizio, ma solo un consolidamento della sua posizione che viene necessariamente meno a fronte dell’interesse della collettività al ripristino dell’assetto del territorio preesistente all’abuso.

Una diversa valutazione si impone, invece, qualora vengano in rilievo altri fattori idonei a fondare la buona fede del privato, quale fonte di un affidamento meritevole di tutela.
Infatti, nel caso in cui il proprietario dell'immobile risulti estraneo alla realizzazione delle opere abusive, essendo state acquistate 30 anni dopo la realizzazione delle stesse, lo stesso proprietario può non essere consapevole del contrasto delle opere eseguite rispetto al titolo edilizio ottenuto molti anni addietro da terze persone e, per l’effetto, può ipotizzarsi in capo ad essa un legittimo affidamento in ordine al mantenimento del fabbricato edificato in difformità dal titolo abilitativo.
Appare pertanto individuabile un obbligo del Comune di motivare il sacrificio dell’affidamento del privato con ragioni di interesse pubblico prevalenti e ulteriori rispetto al mero ripristino della legalità violata.
---------------
L’autonoma sanzione, destinata a trovare applicazione nel caso di inottemperanza all’ingiunzione di demolizione, rappresentata dall’acquisizione gratuita dell’area di sedime al patrimonio comunale (ex III comma dell’art. 7 della legge n. 47/1985) si riferisce esclusivamente al responsabile dell'abuso e non può operare nella sfera giuridica di altri soggetti e, in particolare, nei confronti del proprietario dell'area quando risulti, in modo inequivocabile, la sua completa estraneità al compimento dell'opera abusiva.
--------------
Gli illeciti edilizi rivestono carattere permanente e la relativa attività di repressione non è soggetta ad alcun termine di decadenza o di prescrizione.
In ragione del contenuto rigidamente vincolato che li caratterizza, gli atti sanzionatori in materia edilizia non necessitano di essere preceduti dalla comunicazione di avvio del relativo procedimento.

Con il secondo motivo, l’esponente denuncia il vizio di eccesso di potere per carenza di motivazione, non avendo il Comune di Candelo dato conto dell’interesse attuale alla rimozione di abusi edilizi risalenti a circa 30 anni prima dell’adozione del provvedimento ripristinatorio, con conseguente radicamento di un legittimo affidamento in capo all’odierna proprietaria in ordine al mantenimento delle opere abusive.
Questo tipo di censura ha ricevuto, nel corso del tempo, valutazioni non univoche da parte della giurisprudenza amministrativa.
L’orientamento più risalente, formatosi sulla scia della decisione dell’Adunanza plenaria n. 12 del 19.05.1983, riteneva che il decorso del tempo costituisse elemento idoneo ad incidere sulla consistenza del supporto motivazionale dei provvedimenti sanzionatori in materia edilizia.
Veniva così affermato che, se gli ordini di demolizione delle opere abusivamente realizzate non abbisognano, di norma, di una specifica motivazione sulle ragioni di pubblico interesse che ne giustificano l'emanazione, tale principio incontra un’eccezione nel caso in cui, a causa del lungo lasso di tempo trascorso dalla perpetuata violazione, si fosse creata a favore del privato una situazione di fatto del tutto consolidata, per la cui modificazione l'autorità precedente è tenuta ad indicare le ragioni che, a distanza di tempo, giustificano l'adozione della sanzione.
Tale orientamento è stato fatto proprio dalla Sezione in molteplici occasioni, anche recenti, soprattutto a fronte di abusi edilizi di modesta consistenza (cfr., fra le altre, la sentenza n. 4052 del 14.12.2005, relativa alla demolizione di una baracca abusiva in legno la cui costruzione risaliva a circa 30 anni prima del provvedimento sanzionatorio, ossia lo stesso arco di tempo che è trascorso nella fattispecie che forma oggetto della presente controversia).
In epoca più recente, si è decisamente affermato nella giurisprudenza amministrativa, sia di primo che di secondo grado, un orientamento ispirato a maggior rigore, secondo cui la natura vincolata dell'ordine di demolizione comporta che esso non richieda una specifica valutazione delle ragioni di interesse pubblico né una comparazione di quest'ultimo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati né una motivazione sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale alla demolizione, non potendo ammettersi l'esistenza di alcun affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di fatto abusiva che il tempo non può giammai legittimare (cfr., fra le molte, Cons. Stato, sez. V, 11.01.2011, n. 79).
L’orientamento da ultimo riferito è meritevole di apprezzamento nella misura in cui chiarisce come il semplice decorso del tempo, unitamente all’inerzia dei pubblici poteri preposti alla repressione degli abusi edilizi, non valga a generare alcuna aspettativa o legittimo affidamento in capo al contravventore, ossia al soggetto che ha posto in essere l’abuso edilizio, ma solo un consolidamento della sua posizione che viene necessariamente meno a fronte dell’interesse della collettività al ripristino dell’assetto del territorio preesistente all’abuso.
Una diversa valutazione si impone, invece, qualora vengano in rilievo altri fattori idonei a fondare la buona fede del privato, quale fonte di un affidamento meritevole di tutela.
E’ quanto si verifica nella fattispecie all’esame, atteso che la ricorrente risulta completamente estranea alla realizzazione delle opere abusive.
Essa, infatti, ha acquistato l’immobile con rogito del 1996, mentre le opere in difformità erano state realizzate dal 1967 al 1968.
Lo stesso provvedimento impugnato, d’altronde, identifica puntualmente i responsabili dell’abuso con riferimento ai soggetti intestatari della licenza edilizia e committenti dei lavori.
Ne deriva che l’odierna ricorrente poteva non essere consapevole del contrasto delle opere eseguite rispetto al titolo edilizio ottenuto molti anni addietro da terze persone e, per l’effetto, può ipotizzarsi in capo ad essa un legittimo affidamento in ordine al mantenimento del fabbricato edificato in difformità dal titolo abilitativo.
Tale valutazione si rafforza alla luce del particolare valore che il manufatto riveste per la sua proprietaria, trattandosi della casa di civile abitazione, nonché della comprova circa la conformità della costruzione al progetto approvato costituita dal certificato di abitabilità rilasciato nel 1969.
Con riferimento a tali elementi, appare pertanto individuabile un obbligo del Comune di motivare il sacrificio dell’affidamento del privato con ragioni di interesse pubblico prevalenti e ulteriori rispetto al mero ripristino della legalità violata.
Il provvedimento impugnato non contiene tale motivazione, limitandosi all’accertamento dell’abusività delle opere, e merita, pertanto, di essere annullato.
---------------
E’ fondato anche l’ottavo motivo di ricorso, inerente l’autonoma sanzione, destinata a trovare applicazione nel caso di inottemperanza all’ingiunzione di demolizione, rappresentata dall’acquisizione gratuita dell’area di sedime al patrimonio comunale.
Tale sanzione, prevista dal terzo comma dell’art. 7 della legge n. 47/1985, si riferisce, infatti, esclusivamente al responsabile dell'abuso e non può operare nella sfera giuridica di altri soggetti e, in particolare, nei confronti del proprietario dell'area quando risulti, in modo inequivocabile, la sua completa estraneità al compimento dell'opera abusiva (cfr., fra le ultime, TAR Campania, Napoli, sez. II, 20.12.2010, n. 27683).
Questo principio trova puntuale applicazione nel caso in esame in quanto, come si è già avuto modo di riferire, la ricorrente ha acquistato l’immobile molti anni dopo l’epoca di realizzazione degli abusi e poteva essere all’oscuro delle difformità successivamente accertate dall’amministrazione.
---------------
Gli illeciti edilizi rivestono carattere permanente e la relativa attività di repressione non è soggetta ad alcun termine di decadenza o di prescrizione (cfr., fra le molte, TAR Campania, Napoli, sez. VII, 29.07.2010, n. 17176).
La giurisprudenza ha chiarito che, in ragione del contenuto rigidamente vincolato che li caratterizza, gli atti sanzionatori in materia edilizia non necessitano di essere preceduti dalla comunicazione di avvio del relativo procedimento (cfr., fra le ultime, TAR Liguria, sez. I, 22.04.2011, n. 666)
(TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 12.01.2012 n. 20 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICALa destinazione di un’area a zona cimiteriale, operata dallo strumento urbanistico generale, implica un vincolo di inedificabilità discendente ex lege da ragioni di tutela dell’igiene pubblica, quindi avente natura conformativa e non espropriativa.
La destinazione di un’area a zona cimiteriale, operata dallo strumento urbanistico generale, implica un vincolo di inedificabilità discendente ex lege da ragioni di tutela dell’igiene pubblica, quindi avente natura conformativa e non espropriativa (TAR Calabria, Catanzaro, sez. I, 29.10.2008, n. 1469; Cons. Stato, sez. IV, 31.07.2007, n. 4259) (TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 12.01.2012 n. 18 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: La gravità delle condanne è valutata dalla stazione appaltante e non dal concorrente. Il quale è dunque tenuto ad indicare i decreti o le sentenze che lo riguardano lasciando che sia la stazione appaltante a valutarne la inerenza all’appalto e la gravità.
Nel caso descritto, pur se il bando prevedeva che si dichiarasse espressamente ( quindi non c’era il generico richiamo tout court all’art. 38 D.lgs163/2006) l’esistenza di “sentenza di condanna passata in giudicato o emesso decreto penale di condanna divenuto irrevocabile, oppure sentenza di applicazione della pena su richiesta, ai sensi dell’art. 444 c.p.p., per reati gravi in danno dello Stato o della Comunità che incidono sulla moralità professionale, anche per soggetti cessati dalla carica nel triennio precedente la pubblicazione del bando”, l’amministratore unico di una società che aveva chiesto la partecipazione alla gara, ometteva l’esistenza di una condanna penale irrevocabile e di una sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti per omicidio colposo. Peraltro il disciplinare di gara comminava l’esclusione dalla gara nel caso di inesatte o incomplete dichiarazioni.
Sulla scorta di tali elementi non può dubitarsi della legittimità del provvedimento di esclusione dalla gara disposta dall’amministrazione appaltante a puntuale previsione della lex specialis, che non si limitava a richiedere una generica dichiarazione circa l’insussistenza delle cause di esclusione di cui all’articolo 38 del decreto legislativo 12.04.2006, n. 163 (solo in presenza della quale avrebbe potuto invocarsi la natura meramente formale della omessa indicazione dei precedenti penali, giustificandosi la valutazione di gravità/non gravità dei reati compiuta direttamente dal concorrente), imponeva la puntuale dichiarazione di tutte le condanne penali, riservando alla stazione appaltante la valutazione di gravità o meno dell'illecito, al fine della esclusione.
La riscontrata omissione giustifica pertanto il provvedimento impugnato, giacché la causa di esclusione non è solo quella, sostanziale, dell'essere stata commessa una grave violazione, ma anche quella, formale, di aver omesso una dichiarazione prescritta dal bando (così C.d.S., sez. VI, 21.12.2010, n. 9324).
Occorre inoltre aggiungere che le valutazioni in ordine alla gravità delle condanne riportate dai concorrenti ed alla loro incidenza sulla moralità professionale spettano esclusivamente alla stazione appaltante e non già al concorrente medesimo, il quale è pertanto tenuto a indicare tutte le condanne riportate, non potendo operare a monte alcun «filtro», omettendo la dichiarazione di alcune di esse sulla base di una selezione compiuta secondo criteri personali (C.d.S., sez. IV, 10.02.2009), dovendo al riguardo precisarsi che, nel caso di specie, come si è auto modo di evidenziare, l’amministrazione, sia pur in modo estremamente sintetico, ha sicuramente considerato le condanne di cui era stata omessa l’indicazione, inerenti all’attività oggetto dell’appalto e quindi incidenti sulla moralità professionale (irrilevante al riguardo essendo la dedotta circostanza che in altra procedura di gara indetta da altra amministrazione gli stessi precedenti penali non siano stati ritenuti ostativi all’aggiudicazione di un appalto) (commento tratto da www.documentazione.ancitel.it - Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 11.01.2012 n. 84 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

PUBBLICO IMPIEGO: Il provvedimento di inquadramento di pubblici dipendenti è atto autoritativo e, come tale soggetto a termine decadenziale di impugnazione; con l'effetto che non si ammette un'azione volta all'ottenimento di un diverso inquadramento, se non tempestivamente proposta avverso il provvedimento di attribuzione della qualifica né, tantomeno, come richiesto dal ricorrente, può trovare ingresso un'azione di accertamento di qualifica superiore per superiori mansioni di fatto svolte in quanto il dipendente è titolare, a fronte della potestà organizzatoria della p.a., di una mera posizione di interesse legittimo.
La giurisprudenza amministrativa, nel solco di un orientamento stabile, ha condivisibilmente avuto modo di affermare che «…il provvedimento di inquadramento di pubblici dipendenti è atto autoritativo e, come tale soggetto a termine decadenziale di impugnazione; con l'effetto che non si ammette un'azione volta all'ottenimento di un diverso inquadramento, se non tempestivamente proposta avverso il provvedimento di attribuzione della qualifica né, tantomeno, come richiesto dal ricorrente, può trovare ingresso un'azione di accertamento di qualifica superiore per superiori mansioni di fatto svolte in quanto il dipendente è titolare, a fronte della potestà organizzatoria della p.a., di una mera posizione di interesse legittimo (Cfr. da ultimo Consiglio Stato, sez. V, 24.09.2010, n. 7104)… » (Cons. Stato, Sez. V, 28.02.2011, n. 1251) (TAR Sicilia-Catania, Sez. II, sentenza 11.01.2012 n. 54 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIl procedimento repressivo di abusi edilizi, in quanto integralmente disciplinato dalla legge e rigidamente dalla stessa vincolato, non richiede la previa comunicazione d’inizio dello stesso e per siffatta ragione non possono assumere rilievo neanche gli accenni alla comparazione degli interessi pubblico e privato coinvolti ed all’esame, perché non richiesto dal ricorrente, della conformità o meno delle opere alla normativa urbanistico-edilizia.
La costante giurisprudenza, condivisa da questo Tribunale, ha avuto modo di affermare che il procedimento repressivo di abusi edilizi, in quanto integralmente disciplinato dalla legge e rigidamente dalla stessa vincolato, non richiede la previa comunicazione d’inizio dello stesso e per siffatta ragione non possono assumere rilievo neanche gli accenni alla comparazione degli interessi pubblico e privato coinvolti ed all’esame, perché non richiesto dal ricorrente, della conformità o meno delle opere alla normativa urbanistico-edilizia (Cfr. Cons. di Stato – Sez. IV – 26/09/2008 n. 4659; TAR Campania – NA – Sez. III – 14/10/2010 n. 19304; id. Sez. SA – Sez. II – 24/09/2006 n. 1799) (TAR Campania-Salerno, Sez. II, sentenza 11.01.2012 n. 27 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AMBIENTE-ECOLOGIAIn tema di abbandono di rifiuti, la giurisprudenza amministrativa, in vigenza dell'art. 14 del D.lgs. n. 22/1997, ha statuito che il proprietario dell'area sia tenuto a provvedere allo smaltimento solo a condizione che ne sia dimostrata almeno la corresponsabilità con gli autori dell'illecito abbandono di rifiuti, per aver posto in essere un comportamento, omissivo o commissivo, a titolo doloso o colposo, escludendo conseguentemente che la norma configuri un'ipotesi legale di responsabilità oggettiva.
La medesima giurisprudenza afferma, in particolare, l'illegittimità degli ordini di smaltimento di rifiuti indiscriminatamente rivolti al proprietario di un fondo in ragione della sua sola qualità, ma in mancanza di adeguata dimostrazione da parte dell'amministrazione procedente, sulla base di un'istruttoria completa e di un'esauriente motivazione (quand'anche fondata su ragionevoli presunzioni o su condivisibili massime d'esperienza), dell'imputabilità soggettiva della condotta.
Altresì, ha ritenuto che i suddetti principi a fortiori si attagliano anche al disposto dell'art. 192 del D.lgs. n. 152/2006, dal momento che tale articolo, non soltanto riproduce il tenore dell'abrogato art. 14 sopra citato, con riferimento alla necessaria imputabilità a titolo di dolo o colpa, ma in più integra il precedente precetto precisando che l'ordine di rimozione può essere adottato esclusivamente “in base agli accertamenti effettuati, in contraddittorio con i soggetti interessati, dai soggetti preposti al controllo”, rimarcando che, in questo modo, il Legislatore delegato ha inteso rafforzare e promuovere le esigenze di un'effettiva partecipazione dei potenziali destinatari del provvedimento ablatorio personale allo specifico procedimento.
Ne deriva da ciò che la preventiva, formale comunicazione dell'avvio del procedimento si configura attualmente come un adempimento indispensabile al fine dell'effettiva instaurazione di un contraddittorio procedimentale con gli interessati, e che, nella specifica materia, appaiono recessive le regole stabilite in via generale dagli artt. 7 e 21-octies della L. n. 241/1990.

E’ pacifico che in tema di abbandono di rifiuti, la giurisprudenza amministrativa, già con riferimento alla misura reintegratoria prevista e disciplinata dall'art. 14 del D.lgs. n. 22/1997 (c.d. “Decreto Ronchi”), statuì che il proprietario dell'area fosse tenuto a provvedere allo smaltimento solo a condizione che ne fosse dimostrata almeno la corresponsabilità con gli autori dell'illecito abbandono di rifiuti, per aver posto in essere un comportamento, omissivo o commissivo, a titolo doloso o colposo (v., tra le molte, Cons. St., sez. V, 25.01.2005, n. 136), escludendo conseguentemente che la norma configurasse un'ipotesi legale di responsabilità oggettiva (vieppiù, per fatto altrui).
La medesima giurisprudenza affermò, in particolare, l'illegittimità degli ordini di smaltimento di rifiuti indiscriminatamente rivolti al proprietario di un fondo in ragione della sua sola qualità, ma in mancanza di adeguata dimostrazione da parte dell'amministrazione procedente, sulla base di un'istruttoria completa e di un'esauriente motivazione (quand'anche fondata su ragionevoli presunzioni o su condivisibili massime d'esperienza), dell'imputabilità soggettiva della condotta.
La successiva giurisprudenza ha ritenuto che i suddetti principi a fortiori si attagliano anche al disposto dell'art. 192 del D.lgs. n. 152/2006, dal momento che tale articolo, non soltanto riproduce il tenore dell'abrogato art. 14 sopra citato, con riferimento alla necessaria imputabilità a titolo di dolo o colpa, ma in più integra il precedente precetto precisando che l'ordine di rimozione può essere adottato esclusivamente “in base agli accertamenti effettuati, in contraddittorio con i soggetti interessati, dai soggetti preposti al controllo”, rimarcando che, in questo modo, il Legislatore delegato ha inteso rafforzare e promuovere le esigenze di un'effettiva partecipazione dei potenziali destinatari del provvedimento ablatorio personale allo specifico procedimento.
Ne deriva da ciò che la preventiva, formale comunicazione dell'avvio del procedimento si configura attualmente come un adempimento indispensabile al fine dell'effettiva instaurazione di un contraddittorio procedimentale con gli interessati, e che, nella specifica materia, appaiono recessive le regole stabilite in via generale dagli artt. 7 e 21-octies della L. n. 241/1990 (TAR Campania-Salerno, Sez. II, sentenza 11.01.2012 n. 23 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVILa nullità dell’atto amministrativo costituisce una forma speciale di invalidità, che si ha nei soli casi (meglio definiti dal legislatore nell’art. 21-septies l. 07.08.1990 n. 241) in cui sia specificamente sancita dalla legge, mentre l’annullabilità costituisce la regola generale di invalidità , a differenza di quanto avviene nel diritto civile, dove la regola generale , in caso di violazione di norme imperative, è quella della nullità; le cause di nullità dell’atto amministrativo elencate nell’art. 21-septies l. 07.08.1990 n. 241 sono tassative.
I termini del procedimento amministrativo, per come indicati nell’art. 2 l. 07.08.1990 n. 241, vanno qualificati come ordinatori ove non siano dichiarati espressamente perentori dalla legge, sicché la loro violazione non comporta l’illegittimità dell’atto adottato tardivamente né, per l’inosservanza del termine finale, si esaurisce il potere dell’amministrazione di provvedere.
-------------
L’art. 7 l. 07.08.1990 n. 241, per i procedimenti non ad istanza di parte e ora l’art. 10-bis della stessa legge per i procedimenti ad istanza di parte, sono due punti particolari di codificazione dei principi di correttezza e buona andamento che impongono all’amministrazione di creare il contraddittorio con i destinatari degli effetti dei provvedimenti sia al fine di consentire il diritto di difesa sia per acquisire ogni utile elemento in modo da ridurre il rischio di motivazioni inadeguate, con la conseguenza che è sempre necessario (tranne nei casi di urgenza) che l’Amministrazione esponga in anticipo le proprie ragioni, quantomeno quando l’esito del procedimento potrebbe essere negativo per il privato e dia agli interessati la possibilità di interloquire, con la precisazione nondimeno che la violazione di tali garanzie procedimentali tuttavia condiziona la legittimità del provvedimento finale solo quando si dimostri che vi è stato un effettivo travisamento dei fatti (principio ora esplicitato nell’art. 21-octies, comma 2, secondo periodo, l. n. 241/1990) perché non sarebbe utile, né economico, annullare un provvedimento che può essere adottato di nuovo con lo stesso contenuto.

E’ pacifico in giurisprudenza che:
- la nullità dell’atto amministrativo costituisce una forma speciale di invalidità, che si ha nei soli casi (meglio definiti dal legislatore nell’art. 21-septies l. 07.08.1990 n. 241) in cui sia specificamente sancita dalla legge, mentre l’annullabilità costituisce la regola generale di invalidità , a differenza di quanto avviene nel diritto civile, dove la regola generale , in caso di violazione di norme imperative, è quella della nullità; le cause di nullità dell’atto amministrativo elencate nell’art. 21-septies l. 07.08.1990 n. 241 sono tassative (ex multis Cons. St. Sez. VI 13.06.2007 n. 3173; 22.11.2006 n. 6820);
- i termini del procedimento amministrativo, per come indicati nell’art. 2 l. 07.08.1990 n. 241, vanno qualificati come ordinatori ove non siano dichiarati espressamente perentori dalla legge, sicché la loro violazione non comporta l’illegittimità dell’atto adottato tardivamente né, per l’inosservanza del termine finale, si esaurisce il potere dell’amministrazione di provvedere (ex multis Tar Lombardia Brescia Sez. I 21.04.2010 n. 1581).
---------------
Con il secondo motivo di ricorso, parte ricorrente lamenta la mancata comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza, in violazione della l. n. 241/1990, integrata dalla l. 15/2005.
La doglianza non coglie nel segno, alla stregua delle considerazioni che seguono.
L’art. 7 l. 07.08.1990 n. 241, per i procedimenti non ad istanza di parte e ora l’art. 10-bis della stessa legge per i procedimenti ad istanza di parte, sono due punti particolari di codificazione dei principi di correttezza e buona andamento che impongono all’amministrazione di creare il contraddittorio con i destinatari degli effetti dei provvedimenti sia al fine di consentire il diritto di difesa sia per acquisire ogni utile elemento in modo da ridurre il rischio di motivazioni inadeguate, con la conseguenza che è sempre necessario (tranne nei casi di urgenza) che l’Amministrazione esponga in anticipo le proprie ragioni, quantomeno quando l’esito del procedimento potrebbe essere negativo per il privato e dia agli interessati la possibilità di interloquire, con la precisazione nondimeno che la violazione di tali garanzie procedimentali tuttavia condiziona la legittimità del provvedimento finale solo quando si dimostri che vi è stato un effettivo travisamento dei fatti (principio ora esplicitato nell’art. 21-octies, comma 2, secondo periodo, l. n. 241/1990) perché non sarebbe utile, né economico, annullare un provvedimento che può essere adottato di nuovo con lo stesso contenuto (ex multis Tar Lombardia Brescia Sez. I 21.04.2010 n. 1581) (TAR Campania-Salerno, Sez. II, sentenza 11.01.2012 n. 22 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa presentazione dell'istanza di sanatoria -sia essa di accertamento di conformità, sia essa di condono- produce l'effetto di rendere inefficace il provvedimento sanzionatorio dell'ingiunzione di demolizione e, quindi, improcedibile l'impugnazione stessa per sopravvenuta carenza di interesse. Invero, il riesame dell'abusività dell'opera provocato dalla predetta istanza di sanatoria comporta la necessaria formazione di un nuovo provvedimento (esplicito o implicito, di accoglimento o di rigetto) che vale comunque a superare il provvedimento sanzionatorio oggetto dell'impugnativa.
Infatti, nell'ipotesi di rigetto dell'istanza, l'Amministrazione dovrà adottare un nuovo provvedimento sanzionatorio, con l'assegnazione di un nuovo termine per adempiere. Del pari, in caso di positiva delibazione dell'istanza non si avrebbe più interesse alla definizione del giudizio, essendo stato sanato il lamentato abuso, con effetto estintivo anche delle sanzioni acquisitive, eventualmente già adottate.

Ritiene il Collegio che il ricorso sia improcedibile, conformemente al consolidato orientamento giurisprudenziale, espresso, da ultimo, nella seguente massima: "La presentazione dell'istanza di sanatoria -sia essa di accertamento di conformità, sia essa di condono- produce l'effetto di rendere inefficace il provvedimento sanzionatorio dell'ingiunzione di demolizione e, quindi, improcedibile l'impugnazione stessa per sopravvenuta carenza di interesse. Invero, il riesame dell'abusività dell'opera provocato dalla predetta istanza di sanatoria comporta la necessaria formazione di un nuovo provvedimento (esplicito o implicito, di accoglimento o di rigetto) che vale comunque a superare il provvedimento sanzionatorio oggetto dell'impugnativa.
Infatti, nell'ipotesi di rigetto dell'istanza, l'Amministrazione dovrà adottare un nuovo provvedimento sanzionatorio, con l'assegnazione di un nuovo termine per adempiere. Del pari, in caso di positiva delibazione dell'istanza non si avrebbe più interesse alla definizione del giudizio, essendo stato sanato il lamentato abuso, con effetto estintivo anche delle sanzioni acquisitive, eventualmente già adottate
" (TAR Campania Napoli, sez. III, 11.09.2009, n. 4918) (TAR Campania-Salerno, Sez. II, sentenza 11.01.2012 n. 15 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIIl Collegio, che non ignora l’orientamento giurisprudenziale secondo cui la mancata verbalizzazione delle cautele adottate per la conservazione dei plichi contenenti le offerte sono di per sé causa d’illegittimità della procedura, ritiene, in adesione del contrario orientamento pur rilevantemente seguito dalla giurisprudenza, che in materia la deduzione d’illegittimità possa rilevare solo se vengano addotti dal deducente, o vengano in evidenza dall’obiettivo esame della documentazione, elementi da cui si evinca, anche sotto l’aspetto meramente probabilistico, l’assenza di certezza in ordine all’adozione delle necessarie cautele di custodia dei plichi e dei relativi contenuti.
---------------
Quanto al dedotto mancato rispetto del canone di concentrazione e continuità della procedura esperita, il Tribunale condivide la giurisprudenza secondo cui tale canone, la cui osservanza comporta in tesi la concentrazione delle operazioni in un'unica seduta, è solo tendenziale e di orientamento operativo ben potendosi verificare talune circostanze che ne impediscano il rigoroso rispetto, e comunque il canone medesimo va interpretato con razionale e giustificata elasticità a proposito di gare, come quella in questione, da aggiudicarsi con il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa che è basato sulla valutazione di una pluralità di elementi ed in cui è connaturale quella complessità di giudizio idonea a spiegarne obiettivamente la deroga.

Il Collegio, che non ignora l’orientamento giurisprudenziale secondo cui la mancata verbalizzazione delle cautele adottate per la conservazione dei plichi contenenti le offerte sono di per sé causa d’illegittimità della procedura, ritiene, in adesione del contrario orientamento pur rilevantemente seguito dalla giurisprudenza, che in materia la deduzione d’illegittimità possa rilevare solo se vengano addotti dal deducente, o vengano in evidenza dall’obiettivo esame della documentazione, elementi da cui si evinca, anche sotto l’aspetto meramente probabilistico, l’assenza di certezza in ordine all’adozione delle necessarie cautele di custodia dei plichi e dei relativi contenuti (Cfr. Consiglio di Stato, sezione V 22/12/2011 n. 1094, sezione IV, 05.10.2005, n. 5360, sez. V, 20.09.2001, n. 4973, sez. V, 10.05.2005, n. 2342 e sez. V, 25.07.2006, n. 4657; TAR Campania, NA, sez. I, 05/09/2010 n. 23126 e 18/03/2011 n. 1496, TAR Sicilia –CT- sez. III 06/02/2007 n. 207).
Nel caso in esame, la Commissione giudicatrice ha dato atto dell’integrità dei plichi e della relativa sigillatura all’incipit della procedura (verbale n. 1) ed il Comune precisa che il materiale della gara è stato custodito nella cassaforte in dotazione all’ufficio, sicché, nell’insussistenza di evincibili elementi o ragioni per reputare l’assenza in concreto delle cautele di custodia (e di manomissioni o negligenze nella cura di custodia), ritiene il Collegio che prevale il principio di conservazione dell’attività provvedimentale esperita e che siffatto principio non contrasta, nella peculiare fattispecie in esame, con i canoni di legalità e trasparenza su cui si basa l’orientamento giurisprudenziale contrario a quello nella fattispecie seguito dal Collegio il quale, contrariamente a quanto si prospetta nel ricorso, non può essere attinto neanche dal ritmo procedurale di non estrema celerità che ha connotato il procedimento.
---------------
Quanto al dedotto mancato rispetto del canone di concentrazione e continuità della procedura esperita, il Tribunale condivide la giurisprudenza secondo cui tale canone, la cui osservanza comporta in tesi la concentrazione delle operazioni in un'unica seduta, è solo tendenziale e di orientamento operativo ben potendosi verificare talune circostanze che ne impediscano il rigoroso rispetto, e comunque il canone medesimo va interpretato con razionale e giustificata elasticità a proposito di gare, come quella in questione, da aggiudicarsi con il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa che è basato sulla valutazione di una pluralità di elementi ed in cui è connaturale quella complessità di giudizio idonea a spiegarne obiettivamente la deroga (Cfr. Cons. di Stato – sez. V – 23/11/2010 n. 8155, - sez. IV – 05/10/2005 n. 5360; TAR Lazio - sez. III – 16/11/2006 n. 12468, TAR Abruzzo – Pescara 19/07/2004 n. 700, TAR Campania – SA - sez. I – 26/06/2003 n. 705) (TAR Campania-Salerno, Sez. II, sentenza 11.01.2012 n. 13 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATANon vi è identità tra le posizioni di coloro che sono legittimati ad impugnare il provvedimento finale, quelle di coloro che possono intervenire nel procedimento ovvero quelle di coloro che hanno titolo a ricevere l'avviso del procedimento.
In materia edilizia, il vicino può intervenire nel corso del relativo procedimento e può impugnare il provvedimento che ritenga illegittimo, ma non ha titolo a ricevere l'avviso dell'avvio del procedimento che per questi casi non è previsto da alcuna norma e che comunque non lo riguarda direttamente, in quanto ciò comporterebbe un aggravio del procedimento stesso, in palese violazione dei principi di economicità ed efficacia dell'attività amministrativa.

- Rilevato che risulta infondato il primo motivo con il quale la ricorrente ha lamentato l'illegittimità del provvedimento di archiviazione del procedimento sanzionatorio in quanto non le è stata data la comunicazione di avvio del procedimento, nonostante da tempo avesse segnalato all'amministrazione comunale le irregolarità commesse dalla confinante.
La giurisprudenza è, infatti, concorde nel ritenere che non vi è identità tra le posizioni di coloro che sono legittimati ad impugnare il provvedimento finale, quelle di coloro che possono intervenire nel procedimento (Cons. Stato, sez. VI, 12.04.2000, n. 2185) ovvero quelle di coloro che hanno titolo a ricevere l'avviso del procedimento (Cons. Stato, sez. VI, 15.09.1999, n. 1197).
In materia edilizia, il vicino può intervenire nel corso del relativo procedimento e può impugnare il provvedimento che ritenga illegittimo, ma non ha titolo a ricevere l'avviso dell'avvio del procedimento che per questi casi non è previsto da alcuna norma e che comunque non lo riguarda direttamente, in quanto ciò comporterebbe un aggravio del procedimento stesso, in palese violazione dei principi di economicità ed efficacia dell'attività amministrativa (Cons. Stato, sez. VI, 15.09.1999, n. 1197; 14.03.2002, n. 1533; 18.04.2005, n. 1773; Tar Liguria, 10.07.2009, n. 1736) (TAR Campania-Salerno, Sez. I, sentenza 11.01.2012 n. 11 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATASe è vero che l'esercizio del potere sanzionatorio amministrativo non è soggetto a prescrizione o decadenza, per cui l'accertamento dell'illecito amministrativo e l'applicazione della relativa sanzione può intervenire anche a notevole distanza di tempo dalla commissione dell'abuso, senza che il ritardo nell'adozione della sanzione comporti sanatoria o il sorgere di affidamenti o situazioni consolidate, è altrettanto vero che l'ordine di demolizione di opere abusive deve essere suffragato da adeguata motivazione se è trascorso un lungo torno di tempo dall'epoca cui risale l'abuso stesso, tale da ingenerare un affidamento del privato circa il mancato esercizio del potere sanzionatorio.
- Osservato peraltro che comunque l’esito del procedimento non avrebbe potuto essere diverso anche se l’Amministrazione avesse optato per la ricostruzione degli avvenimenti fornita dalla parte ricorrente ed avesse comunque ritenuto necessaria la licenza edilizia, in quanto, se è vero che l'esercizio del potere sanzionatorio amministrativo non è soggetto a prescrizione o decadenza, per cui l'accertamento dell'illecito amministrativo e l'applicazione della relativa sanzione può intervenire anche a notevole distanza di tempo dalla commissione dell'abuso, senza che il ritardo nell'adozione della sanzione comporti sanatoria o il sorgere di affidamenti o situazioni consolidate, è altrettanto vero che l'ordine di demolizione di opere abusive deve essere suffragato da adeguata motivazione se è trascorso un lungo torno di tempo dall'epoca cui risale l'abuso stesso, tale da ingenerare un affidamento del privato circa il mancato esercizio del potere sanzionatorio (Cfr. TAR Campania Salerno, sez. II 04.04.2011 n. 626, TAR Campania Napoli, sez. IV 15.02.2011 n. 972 e sez. II 14.02.2011 n. 925); orbene, la stessa parte ricorrente riconosce che le opere in questione risalgono al più tardi <all’inizio degli anno 90> (pag, 1 del ricorso) e, pertanto, quantomeno a più di venti anni addietro; né la ricorrente ha in qualche modo lasciato intendere quale, a suo avviso, avrebbe potuto essere la motivazione di un provvedimento sanzionatorio adottato dopo tanto tempo ed i relazione ad una costruzione di modestissime dimensioni (TAR Campania-Salerno, Sez. I, sentenza 11.01.2012 n. 11 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAGli interventi consistenti nella installazione di tettoie o di altre strutture che siano comunque apposte a parti di preesistenti edifici come strutture accessorie di protezione o di riparo di spazi liberi, cioè non compresi entro coperture volumetriche previste in un progetto assentito, possono ritenersi sottratti al regime del permesso di costruire soltanto ove la loro conformazione e le loro ridotte dimensioni rendono evidente e riconoscibile la loro finalità di arredo o di riparo e protezione (anche da agenti atmosferici) dell’immobile cui accedono.
Tali strutture non possono viceversa ritenersi installabili senza permesso di costruire, o D.I.A "alternativa" ai sensi dell'art. 22 DPR 380/2001, allorquando le loro dimensioni sono di entità tale da arrecare una visibile alterazione all’edificio o alle parti dello stesso su cui vengono inserite; quando quindi per la loro consistenza dimensionale non possono più ritenersi assorbite, ovvero ricomprese in ragione della accessorietà, nell’edificio principale o della parte dello stesso cui accedono.

Invero, come costantemente affermato da questo Tribunale (cfr. TAR Campania, Napoli, Sez. III, 09.11.2010, n. 23699, Sez. IV, n. 897 del 18.02.2003, n. 12962 del 20.10.2003, n. 4107 del 16.07.2002), “gli interventi consistenti nella installazione di tettoie o di altre strutture che siano comunque apposte a parti di preesistenti edifici come strutture accessorie di protezione o di riparo di spazi liberi, cioè non compresi entro coperture volumetriche previste in un progetto assentito, possono ritenersi sottratti al regime del permesso di costruire soltanto ove la loro conformazione e le loro ridotte dimensioni rendono evidente e riconoscibile la loro finalità di arredo o di riparo e protezione (anche da agenti atmosferici) dell’immobile cui accedono.
Tali strutture non possono viceversa ritenersi installabili senza permesso di costruire, o D.I.A "alternativa" ai sensi dell'art. 22 DPR 380/2001, allorquando le loro dimensioni sono di entità tale da arrecare una visibile alterazione all’edificio o alle parti dello stesso su cui vengono inserite; quando quindi per la loro consistenza dimensionale non possono più ritenersi assorbite, ovvero ricomprese in ragione della accessorietà, nell’edificio principale o della parte dello stesso cui accedono
" (in termini Consiglio di Stato, Sez. V, 13.03.2001 n. 1442; Sez. II, 05.02.1997, n. 336; TAR Lazio, Latina, Sez. I, 03.03.2010, n. 205; TAR Lazio, Sez. II n. 1055 del 15.02.2002, TAR Parma n. 114 del 06.03.2003).
Ebbene, nessuna valutazione sul punto è stata espressa dall’amministrazione intimata, la quale si è limitata ad affermare, del tutto apoditticamente (senza cioè considerare l’incidenza delle dimensioni e della finalità della tettoia de qua sul relativo regime edilizio-urbanistico), che la strumentazione urbanistica concernente l’area in questione non consente interventi suscettibili di dare luogo ad incrementi volumetrici, omettendo di considerare che la caratteristica propria della tettoia, rappresentata dall’essere la stessa aperta su tre lati, “è un elemento fondamentale per la definizione dell’intervento in questione perché l’opera di che trattasi non viene a costituire un volume aggiuntivo e quindi rimane nel concetto pertinenziale”, dovendo considerarsi che “in materia urbanistico-edilizia il presupposto per l’esistenza di un volume edilizio è costituito dalla costruzione di almeno un piano di base e due superfici verticali contigue” (cfr. TAR Puglia, Bari, sez. III, 08.10.2009, n. 2375) (TAR Campania-Salerno, Sez. I, sentenza 11.01.2012 n. 9 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Le norme locali possono derogare alle distanze su edifici preesistenti.
Quando gli strumenti urbanistici locali prevedano, riguardo ad edifici preesistenti, la facoltà di costruire in deroga alle prescrizioni contenute nel piano regolatore sulle distanze, si applica il principio di prevenzione.
Questo principio, in caso di sopraelevazione, comporta che “mentre il preveniente deve attenersi, nella prosecuzione in altezza del fabbricato, della scelta operata originariamente, di guisa che ogni parte dell’immobile risulti conforme al criterio di prevenzione adottato sulla base di esso, a ciò non può frapporre ostacoli il confinante (prevenuto) che, se a sua volta abbia costruito in aderenza fino all’altezza inizialmente raggiunta dal preveniente, ha diritto di sopraelevare soltanto sul confine, ovvero a distanza da questo (e, quindi, dalla eventuale sopraelevazione del preveniente) pari a quella globale minima di legge o dei regolamenti” (Cass. civ. Sez. III, 27.08.1990, n. 8849).
Nel caso in commento il ricorrente aveva contestato l’annullamento d’ufficio di una concessione edilizia per un intervento di ristrutturazione e sopraelevazione, motivato sulla violazione dell’art. 873 cod. civ., in quanto la distanza del fabbricato da quello di altra proprietà era risultata inferiore alla normativa. Ma secondo il ricorrente, trattandosi di costruzione su confine eretta anteriormente a quella del vicino (che avrebbe costruito in violazione della distanza di tre metri), spetterebbe al preveniente regolare le distanze anche per la successiva sopraelevazione.
E i giudici del Consiglio di Stato, appoggiando questa posizione, hanno chiarito che, quando gli strumenti urbanistici locali fissino senza alternativa le distanze delle costruzioni dal confine, salva soltanto la possibilità di costruzione in aderenza, non può farsi luogo all’applicazione del principio di prevenzione; ma, al contrario, quando essi prevedano, riguardo ad edifici preesistenti, la facoltà di costruire in deroga alle prescrizioni contenute nel piano regolatore sulle distanze, si versa in ipotesi del tutto analoga a quella disciplinata dall’art. 873 c.c., “con la conseguenza che è consentito al preveniente costruire sul confine, ponendo il vicino, che intenda a sua volta edificare, nell'alternativa di chiedere la comunione del muro e di costruire in aderenza ovvero di arretrare la sua costruzione sino a rispettare la maggiore intera distanza imposta dallo strumento urbanistico (Cassazione civile, sez. II, 09.04.2010, n. 8465)” (Cons. St. Sez. IV, 09.05.2011, n. 2749; analogamente, Cons. St. Sez. IV, 31.03.2009, n. 1998) (commento tratto da www.documentazione.ancitel.it - Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 10.01.2012 n. 53 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAMentre il preveniente deve attenersi, nella prosecuzione in altezza del fabbricato, della scelta operata originariamente, di guisa che ogni parte dell’immobile risulti conforme al criterio di prevenzione adottato sulla base di esso, a ciò non può frapporre ostacoli il confinante (prevenuto) che, se a sua volta abbia costruito in aderenza fino all’altezza inizialmente raggiunta dal preveniente, ha diritto di sopraelevare soltanto sul confine, ovvero a distanza da questo (e, quindi, dalla eventuale sopraelevazione del preveniente) pari a quella globale minima di legge o dei regolamenti.
Mentre quando gli strumenti urbanistici locali fissino senza alternativa le distanze delle costruzioni dal confine, salva soltanto la possibilità di costruzione in aderenza, non può farsi luogo all’applicazione del principio di prevenzione, quando, al contrario, essi prevedono, riguardo ad edifici preesistenti, la facoltà di costruire in deroga alle prescrizioni contenute nel piano regolatore sulle distanze, si versa in ipotesi del tutto analoga a quella disciplinata dall’art. 873 c.c., “con la conseguenza che è consentito al preveniente costruire sul confine, ponendo il vicino, che intenda a sua volta edificare, nell'alternativa di chiedere la comunione del muro e di costruire in aderenza ovvero di arretrare la sua costruzione sino a rispettare la maggiore intera distanza imposta dallo strumento urbanistico.

Il ricorrente ha impugnato dinanzi al Tar per l’Emilia Romagna il provvedimento di annullamento d’ufficio della concessione edilizia rilasciata in suo favore dal Comune di Rimini per un intervento di ristrutturazione e sopraelevazione di edificio di sua proprietà. L’ annullamento è motivato sulla violazione dell’art. 873 cod. civ., in quanto la concessione sarebbe stata rilasciata sul falso presupposto che la distanza del fabbricato di proprietà del ricorrente da quello di altra proprietà fosse di ml 3,00, mentre, successivamente al rilascio, essa sarebbe risultata invece variabile da ml 2,63 a ml 2,70.
Il Tar ha respinto il ricorso, giudicando la concessione effettivamente contrastante con l’art. 873 cod. civ e con gli artt. 19 e 2.04 delle N.T.A. del piano regolatore generale del Comune, che ammettono interventi ampliativi purché nel rispetto delle distanze prescritte dal codice civile.
Propone appello l’interessato, denunciando l’erroneità della sentenza per violazione della normativa urbanistica generale e di zona, l’errata applicazione dell’art. 873 cod. civ e l’irrilevanza dell’errore incolpevole della rappresentazione della distanza negli elaborati grafici. Invero, come evidenziato nell’istruttoria del Responsabile del procedimento, la sopraelevazione per la costruzione del tetto sarebbe impostata sulla stessa quota dell’edificio preesistente e sarebbe conforme alle previsioni dell’art. 4.04, in quanto l’innalzamento era previsto su una parete già preesistente sul confine, e dell’art. 16 della n.t.a. del PRG, che consente la costruzione sul confine.
La costruzione non violerebbe, pertanto, l’art. 873, dovendosi armonizzare il principio della distanza con quello della prevenzione.
Si è costituito in resistenza il Comune di Rimini, evidenziando l’erroneità della rappresentazione grafica presentata dal ricorrente e la non pertinenza del richiamo all’art. 16 n.t.a., riguardante l’ipotesi di distanza degli edifici dai confini di proprietà, e chiedendo la conferma della sentenza di primo grado.
...
Gli art. 2.04 e 19 n.t.a. del piano regolatore generale, nello stabilire le distanze tra costruzioni, ammettono interventi ampliativi, anche tramite sopraelevazione, sugli edifici esistenti in contrasto con dette distanze, purché nel rispetto delle norme del codice civile.
In effetti, il provvedimento di annullamento d’ufficio, riguardante immobili preesistenti non rispettosi delle distanze introdotte dalla normativa urbanistica, è motivato sulla violazione dell’art. 873 c.c. in materia di distanza tra edifici .
Considera, tuttavia, il Collegio che la corretta applicazione dei principi civilistici in materia di distanza tra edifici, richiamati dalle norme tecniche di attuazione del piano regolatore, involga anche quello di prevenzione, data la circostanza (non contestata) che l’edificio che il ricorrente intende sopraelevare preesiste rispetto a quello del vicino, costruito ad una distanza inferiore a tre metri.
Detto principio, in caso di sopraelevazione, comporta che “mentre il preveniente deve attenersi, nella prosecuzione in altezza del fabbricato, della scelta operata originariamente, di guisa che ogni parte dell’immobile risulti conforme al criterio di prevenzione adottato sulla base di esso, a ciò non può frapporre ostacoli il confinante (prevenuto) che, se a sua volta abbia costruito in aderenza fino all’altezza inizialmente raggiunta dal preveniente, ha diritto di sopraelevare soltanto sul confine, ovvero a distanza da questo (e, quindi, dalla eventuale sopraelevazione del preveniente) pari a quella globale minima di legge o dei regolamenti” (Cass. civ. Sez. III, 27.08.1990, n. 8849).
La possibilità, nella specie, di fare applicazione di detto principio trova conferma nel consolidato orientamento per cui, mentre quando gli strumenti urbanistici locali fissino senza alternativa le distanze delle costruzioni dal confine, salva soltanto la possibilità di costruzione in aderenza, non può farsi luogo all’applicazione del principio di prevenzione, quando, al contrario, essi prevedono, riguardo ad edifici preesistenti, la facoltà di costruire in deroga alle prescrizioni contenute nel piano regolatore sulle distanze, si versa in ipotesi del tutto analoga a quella disciplinata dall’art. 873 c.c., “con la conseguenza che è consentito al preveniente costruire sul confine, ponendo il vicino, che intenda a sua volta edificare, nell'alternativa di chiedere la comunione del muro e di costruire in aderenza ovvero di arretrare la sua costruzione sino a rispettare la maggiore intera distanza imposta dallo strumento urbanistico (Cassazione civile, sez. II, 09.04.2010, n. 8465)” (Cons. St. Sez. IV, 09.05.2011, n. 2749; analogamente, Cons. St. Sez.IV, 31.03.2009, n. 1998).
Dalle suesposte considerazioni discende la fondatezza dell’appello in punto di erronea applicazione dell’art. 873 c.c., richiamato dalle n.t.a., non essendosi tenuto conto della prevenzione (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 10.01.2012 n. 53 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

LAVORI PUBBLICI: Il rischio ridotto per l'impresa e la sussistenza di oneri a carico del soggetto pubblico sono elementi compatibili con l'istituto del project financing, che non rendono illegittimo l'utilizzo di tale procedura.
Il project financing comporta la necessaria partecipazione finanziaria del soggetto promotore, cui può aggiungersi l'eventuale contributo pubblico; si tratta, tuttavia, di una procedura caratterizzata da un elevato tasso di elasticità, che consente di adattare il progetto alle specifiche esigenze delle parti.
Nel caso di specie, erano stati previsti oneri a carico dell'amministrazione, che si era assunta l'impegno di pagare per trenta anni i canoni di locazione a fronte delle opere di ristrutturazione e di realizzazione dell'urbanizzazione primaria affidate all'impresa; tale struttura dell'operazione non è di per sé incompatibile con l'istituto, che -si ribadisce- consente che l'utilizzo delle risorse dei soggetti proponenti sia solo parziale.
In sostanza, il rischio ridotto per l'impresa e la sussistenza di oneri a carico del soggetto pubblico sono elementi compatibili con l'istituto del project financing, che non rendono illegittimo l'utilizzo di tale procedura, ma che possono al limite essere rivalutati sotto il profilo dell'opportunità e della convenienza (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 10.01.2012 n. 39 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: In sede di risarcimento dei danni derivanti dalla mancata aggiudicazione di una gara di appalto, il mancato utile nella misura integrale spetta, nel caso di annullamento dell’aggiudicazione e di certezza dell’aggiudicazione in favore del ricorrente, solo se il ricorrente dimostri di non aver potuto altrimenti utilizzare maestranze e mezzi, tenuti a disposizione in vista dell’aggiudicazione; in difetto di tale dimostrazione, è da ritenere che l’impresa possa aver ragionevolmente riutilizzato mezzi e manodopera per altri lavori o servizi e, pertanto, in tale ipotesi deve operarsi una decurtazione del risarcimento per come sopra detto.
Infatti, si è evidenziato che “ai sensi dell’art. 1227 c.c., il danneggiato ha un puntuale dovere di non concorrere ad aggravare il danno. Nelle gare di appalto, l’impresa non aggiudicataria, ancorché proponga ricorso e possa ragionevolmente confidare che riuscirà vittoriosa, non può mai nutrire la matematica certezza che le verrà aggiudicato il contratto, atteso che sono molteplici le possibili sopravvenienze ostative. Pertanto, non costituisce, normalmente, e salvi casi particolari, condotta ragionevole immobilizzare tutti i mezzi di impresa nelle more del giudizio, nell’attesa dell’aggiudicazione in proprio favore, essendo invece ragionevole che l’impresa si attivi per svolgere altre attività”.
Di qui la piena ragionevolezza del risarcimento del mancato utile nella misura del 5% dell’offerta.

Il Collegio ritiene di condividere l’orientamento espresso dalla più recente giurisprudenza (per tutte, Consiglio di Stato, Sez. VI, 21.09.2010 n. 7004), secondo cui, in sede di risarcimento dei danni derivanti dalla mancata aggiudicazione di una gara di appalto, il mancato utile nella misura integrale spetta, nel caso di annullamento dell’aggiudicazione e di certezza dell’aggiudicazione in favore del ricorrente, solo se il ricorrente dimostri di non aver potuto altrimenti utilizzare maestranze e mezzi, tenuti a disposizione in vista dell’aggiudicazione; in difetto di tale dimostrazione, è da ritenere che l’impresa possa aver ragionevolmente riutilizzato mezzi e manodopera per altri lavori o servizi e, pertanto, in tale ipotesi deve operarsi una decurtazione del risarcimento per come sopra detto.
Infatti, si è evidenziato che “ai sensi dell’art. 1227 c.c., il danneggiato ha un puntuale dovere di non concorrere ad aggravare il danno. Nelle gare di appalto, l’impresa non aggiudicataria, ancorché proponga ricorso e possa ragionevolmente confidare che riuscirà vittoriosa, non può mai nutrire la matematica certezza che le verrà aggiudicato il contratto, atteso che sono molteplici le possibili sopravvenienze ostative.
Pertanto, non costituisce, normalmente, e salvi casi particolari, condotta ragionevole immobilizzare tutti i mezzi di impresa nelle more del giudizio, nell’attesa dell’aggiudicazione in proprio favore, essendo invece ragionevole che l’impresa si attivi per svolgere altre attività
.” (cfr. C.S. V 24.02.2011 n. 1193 ; CS 09.12.2010 n. 8646; TAR Lazio III 02.02.2011 n. 974).
Di qui la piena ragionevolezza, affermata dalla giurisprudenza e condivisa dal Collegio, del risarcimento del mancato utile nella misura del 5% dell’offerta (cfr. anche TAR Catania IV n. 2812 del 2010).
Va accolta anche la domanda –contenuta in ricorso– avente ad oggetto la rivalutazione e gli interessi, spettando la prima, secondo gli indici ISTAT, dal giorno in cui è stato stipulato il contratto con l'impresa illegittima aggiudicataria, sino alla pubblicazione della sentenza, mentre gli interessi sulla somma rivalutata andranno corrisposti, nella misura legale, dalla data della pubblicazione della presente decisione fino all'effettiva corresponsione (cfr.: C. S., VI, 23.07.2009, n. 4628; sentenza di questa sezione 29.06.2007, n. 1135) (TAR Sicilia-Catania, Sez. IV, sentenza 10.01.2012 n. 31 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Non costituisce motivo di esclusione, la presentazione in sede di gara di un documento in allegato all'offerta redatto in lingua diversa da quella italiana.
L'art. 67 del d.lgs. n. 163/2006, prevede l'utilizzo della lingua italiana per la redazione delle offerte, e non anche per i documenti da allegare alle offerte.
Ne consegue che, la presentazione in sede di gara di un documento in allegato all'offerta redatto in lingua diversa da quella italiana e privo di relativa traduzione certificata non costituisce motivo di esclusione dalla gara. La necessità di avere la traduzione dei documenti, nel caso, potrebbe determinare una richiesta di integrazione documentale (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 10.01.2012 n. 30 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: La ratio sottesa alla disposizione di cui all'art. 84 d.lgs. 163/2006 costituisce espressione di principi generali, costituzionali e comunitari, volti ad assicurare il buon andamento e l'imparzialità dell'azione amministrativa. Essa, in quanto espressiva di un principio generale è applicabile anche alle procedure di evidenza pubblica non disciplinate dal codice dei contratti pubblici.
La disposizione che governa la fattispecie è quella di cui al citato art. 84, commi 1, 2, 3 ed 8 d.lgs. 163/2006 di cui è utile riportare il testo: ”Quando la scelta della migliore offerta avviene con il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa, la valutazione è demandata ad una commissione giudicatrice, che opera secondo le norme stabilite dal regolamento.
La commissione, nominata dall'organo della stazione appaltante competente ad effettuare la scelta del soggetto affidatario del contratto, è composta da un numero dispari di componenti, in numero massimo di cinque, esperti nello specifico settore cui si riferisce l'oggetto del contratto.
La commissione è presieduta di norma da un dirigente della stazione appaltante e, in caso di mancanza in organico, da un funzionario della stazione appaltante incaricato di funzioni apicali, nominato dall'organo competente.
I commissari diversi dal presidente sono selezionati tra i funzionari della stazione appaltante. In caso di accertata carenza in organico di adeguate professionalità, nonché negli altri casi previsti dal regolamento in cui ricorrono esigenze oggettive e comprovate, i commissari diversi dal presidente sono scelti tra funzionari di amministrazioni aggiudicatrici di cui all'art. 3, comma 25, ovvero con un criterio di rotazione tra gli appartenenti alle seguenti categorie:
a) professionisti, con almeno dieci anni di iscrizione nei rispettivi albi professionali, nell'ambito di un elenco, formato sulla base di rose di candidati fornite dagli ordini professionali;
b) professori universitari di ruolo, nell'ambito di un elenco, formato sulla base di rose di candidati fornite dalle facoltà di appartenenza
.”
La ratio sottesa alla disposizione in esame costituisce espressione di principi generali, costituzionali e comunitari, volti ad assicurare il buon andamento e l'imparzialità dell'azione amministrativa. Secondo la giurisprudenza, essa, in quanto espressiva di un principio generale è applicabile anche alle procedure di evidenza pubblica non disciplinate dal codice dei contratti pubblici (Consiglio Stato, sez. V, 04.03.2011, n. 1386) (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 10.01.2012 n. 27 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAUna concessione edilizia può essere rilasciata in assenza del piano attuativo richiesto dalle norme di piano regolatore (o di p.d.f.) quando (e solo quando) in sede di istruttoria l’Amministrazione accerti che la zona in cui si inserisce il suolo destinato alla realizzanda costruzione sia pressoché completamente edificata, tale da rendere superflua un’opera di lottizzazione.
Tuttavia, ben può configurarsi un’altra situazione in base alla quale pur in presenza di un avanzato stato di urbanizzazione, non può escludersi l’esistenza in capo all’Amministrazione di un apprezzamento tecnico-discrezionale volto a richiedere la predisposizione di un preventivo piano esecutivo. Invero, l’esigenza di un piano di lottizzazione quale presupposto per il rilascio della concessione edilizia s’impone anche al fine di un armonico raccordo con il preesistente aggregato abitativo, allo scopo di potenziare le opere di urbanizzazione già esistenti e quindi anche alla più limitata funzione di armonizzare aree già urbanizzate che richiedono però una più dettagliata pianificazione.
In particolare, la necessità di un piano attuativo può rendersi indispensabile quando s’invera un’ipotesi in cui per effetto di una edificazione disomogenea ci si trovi di fronte ad un situazione che esige un piano attuativo idoneo a restituire efficienza all’abitato, riordinando e talora definendo ex novo un disegno urbanistico di completamento della zona. Tale evenienza può per esempio verificarsi allorché debba essere completato il sistema di viabilità secondaria nella zona o quando debba essere integrata l’urbanizzazione esistente garantendo il rispetto dei prescritti standards minimi per spazi e servizi pubblici e le condizioni per l’armonico collegamento con le zone contigue già asservite all’edificazione.

E’ ben noto alla Sezione il principio più volte affermato secondo il quale una concessione edilizia può essere rilasciata in assenza del piano attuativo richiesto dalle norme di piano regolatore (o di p.d.f.) quando (e solo quando) in sede di istruttoria l’Amministrazione accerti che la zona in cui si inserisce il suolo destinato alla realizzanda costruzione sia pressoché completamente edificata, tale da rendere superflua un’opera di lottizzazione (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 01.08.2007 n. 4276; Sez. V, 05.10.2011 n. 5450) e, con riferimento al caso che ci occupa, ben può essere che il contesto urbanistico in cui si va collocare l’ulteriore costruzione risulti sufficientemente edificato.
Nondimeno a fronte della situazione rappresentata dalle deduzioni formulate dall’interessato ben può configurarsi un’altra situazione in base alla quale pur in presenza di un avanzato stato di urbanizzazione, non può escludersi l’esistenza in capo all’Amministrazione di un apprezzamento tecnico-discrezionale volto a richiedere la predisposizione di un preventivo piano esecutivo.
Invero, come altresì più volte affermato da questo Consiglio di Stato l’esigenza di un piano di lottizzazione quale presupposto per il rilascio della concessione edilizia s’impone anche al fine di un armonico raccordo con il preesistente aggregato abitativo, allo scopo di potenziare le opere di urbanizzazione già esistenti e quindi anche alla più limitata funzione di armonizzare aree già urbanizzate che richiedono però una più dettagliata pianificazione (in tal senso, Cons. Stato, Sez. IV 01.10.2007 n. 5043; Sez. V 01.12.2003 n. 7799 e 06.10.2000 n. 5326).
In particolare, la necessità di un piano attuativo può rendersi indispensabile quando s’invera un’ipotesi in cui per effetto di una edificazione disomogenea ci si trovi di fronte ad un situazione che esige un piano attuativo idoneo a restituire efficienza all’abitato, riordinando e talora definendo ex novo un disegno urbanistico di completamento della zona (Cons. Stato, Sez. IV, 15.05.2002 n. 2592). Tale evenienza può per esempio verificarsi allorché debba essere completato il sistema di viabilità secondaria nella zona o quando debba essere integrata l’urbanizzazione esistente garantendo il rispetto dei prescritti standards minimi per spazi e servizi pubblici e le condizioni per l’armonico collegamento con le zone contigue già asservite all’edificazione.
Se quelle testé descritte sono le ragioni e le finalità connesse all’esigenza di prescrivere la predisposizione e presentazione di un preventivo piano esecutivo, appare ragionevole scorgere una siffatta ratio nella disposizione di tipo limitativo recata dall’art. 17 del Piano di fabbricazione del Comune di Macerata Campania che subordina l’edificazione interessante un lotto di terreno superiore ai 1.000 mq. alla presentazione di un piano di lottizzazione.
Le condizioni di fatto rappresentate dall’appellante e che pure in un situazione di tipo “ordinario” sarebbero sufficienti a giustificare il rilascio del titolo ad aedificandum non valgono dunque a veder assentito in via diretta l’intervento de quo proprio perché ad esso osta una previsione di natura regolamentare che legittimamente impone al richiedente il titolo ad aedificandum un adempimento progettuale-documentale, allo stato, insussistente
Siffatta previsione, in definitiva si pone quale espressione di un apprezzamento tecnico-discrezionale dell’Ente tradotto in una norma che non è irrazionale, non si pone in contrasto con i canoni dottrinari e giurisprudenziali vigenti in tema di pianificazione dell’assetto del territorio e neppure si rivela ingiustamente restrittiva dello jus aedificandi riconosciuto al titolare del diritto dominicale (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 10.01.2012 n. 26 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: L'art. 38 d.lgs. n. 163/2006 al comma primo, lett. c), distingue due categorie di reati: quelli definiti dall’art. 45 della direttiva Ce n. 2004/18, e quelli definiti dalla stessa norma senza individuare precise fattispecie criminose come “reati gravi in danno dello Stato o della Comunità che incidono sulla moralità professionale”.
Le condanne per reati dell’uno e dell’altro tipo comportano conseguenze diverse, con riguardo alla partecipazione alle gare di evidenza pubblica; le prime costituiscono causa automatica di esclusione, le seconde lasciano alla stazione appaltante “un margine di apprezzamento sia sulla incidenza del reato sulla moralità professionale, sia sull’offensività per lo Stato o per la Comunità, sia sulla gravità del fatto.
In conclusione, trattandosi di diverse tipologie di reati, la dichiarazione relativa all’insussistenza di condanne per reati del secondo tipo non comprende in sé anche la dichiarazione di insussistenza di condanne per reati definiti da fonti comunitarie.
Né la mancanza della dichiarazione di cui trattasi potrebbe essere supplita dalla produzione dei certificati del casellario giudiziale e dei carichi pendenti; in proposito, il collegio condivide infatti l’orientamento giurisprudenziale più rigoroso, secondo il quale detti certificati sono parzialmente inadeguati a provare i requisiti di moralità e affidabilità dei concorrenti alle gare pubbliche. Il certificato del casellario giudiziale ottenibile dal privato (al contrario di quello integrale, rilasciabile solo alla pubblica autorità) non riporta, tra le altre, né le sentenze di applicazione della pena su richiesta, di cui agli art. 444 e 445 C.p.p., né le condanne in cui viene concessa la non menzione (art. 175 C.p.), né le misure di prevenzione; il certificato dei carichi pendenti non è rilevante per il contenuto suo proprio (appunto l'esistenza di procedimenti penali in corso), in quanto l'assenza di tali procedimenti non condiziona l'ammissione alla procedura d'appalto.

L'art. 38 d.lgs. n. 163/2006 al comma primo, lett. c), distingue due categorie di reati: quelli definiti dall’art. 45 della direttiva Ce n. 2004/18, e quelli definiti dalla stessa norma senza individuare precise fattispecie criminose come “reati gravi in danno dello Stato o della Comunità che incidono sulla moralità professionale” (cfr. Tar Catania, sez. IV, 25.02.2010 n. 395, confermata dal C.g.a. con sentenza n. 136/2011; v., ancora di questa sezione, le sentenze n. 1325/2011 e n. 2351/2011; C.S., V, n. 3773/2009).
Le condanne per reati dell’uno e dell’altro tipo comportano conseguenze diverse, con riguardo alla partecipazione alle gare di evidenza pubblica; le prime costituiscono causa automatica di esclusione, le seconde lasciano alla stazione appaltante “un margine di apprezzamento sia sulla incidenza del reato sulla moralità professionale, sia sull’offensività per lo Stato o per la Comunità, sia sulla gravità del fatto” (C.S., V, sentenza da ultimo richiamata; Tar Lazio Roma, II, n. 3984/2009).
In conclusione, trattandosi di diverse tipologie di reati, la dichiarazione relativa all’insussistenza di condanne per reati del secondo tipo non comprende in sé anche la dichiarazione di insussistenza di condanne per reati definiti da fonti comunitarie.
Né la mancanza della dichiarazione di cui trattasi potrebbe essere supplita dalla produzione dei certificati del casellario giudiziale e dei carichi pendenti; in proposito, il collegio condivide infatti l’orientamento giurisprudenziale più rigoroso, secondo il quale detti certificati sono parzialmente inadeguati a provare i requisiti di moralità e affidabilità dei concorrenti alle gare pubbliche. Il certificato del casellario giudiziale ottenibile dal privato (al contrario di quello integrale, rilasciabile solo alla pubblica autorità) non riporta, tra le altre, né le sentenze di applicazione della pena su richiesta, di cui agli art. 444 e 445 C.p.p., né le condanne in cui viene concessa la non menzione (art. 175 C.p.), né le misure di prevenzione; il certificato dei carichi pendenti non è rilevante per il contenuto suo proprio (appunto l'esistenza di procedimenti penali in corso), in quanto l'assenza di tali procedimenti non condiziona l'ammissione alla procedura d'appalto (TAR Sicilia Catania, sez. IV, 19.03.2008 , n. 501; Tar Palermo, sez. III, sentenza 17.06.2008, n. 817).
La parte della dichiarazione con la quale si afferma di essere a conoscenza che “è comunque causa di esclusione la condanna, con sentenza passata in giudicato, per uno o più reati di partecipazione a un'organizzazione criminale, corruzione, frode, riciclaggio, quali definiti dagli atti comunitari citati all'articolo 45, paragrafo 1, direttiva Ce 2004/18” non contiene alcuna affermazione di sussistenza o insussistenza di precedenti a carico del dichiarante, e meno che mai una assunzione di responsabilità per eventuale inveridicità della dichiarazione.
E in ogni caso, l’avere ricopiato la formulazione di parte dell’art. 38 non esclude la difformità della dichiarazione dal contenuto prescritto a pena di esclusione dall’art. 4, lett. A.c, del disciplinare, che richiedeva la dichiarazione espressa (anche) di non avere riportato “condanna, con sentenza passata in giudicato, per uno o più reati di partecipazione a un'organizzazione criminale, corruzione, frode, riciclaggio, quali definiti dagli atti comunitari citati all'articolo 45, paragrafo 1, direttiva Ce 2004/18”, con espressa comminatoria di esclusione e indicazione dei soggetti tenuti a rendere la dichiarazione in questione (“la dichiarazione va resa, a pena di esclusione, dai seguenti soggetti: il titolare e il direttore tecnico se si tratta di impresa individuale il socio e il direttore tecnico se si tratta di società in nome collettivo; dai soci accomandatari e dal direttore tecnico, se si tratta di società in accomandita semplice; dagli amministratori muniti di potere di rappresentanza e dal direttore tecnico se si tratta di altro tipo di società o consorzio. In ogni caso l’esclusione e il divieto operano anche nei confronti dei soggetti cessati dalla carica nel triennio antecedente la data di pubblicazione del bando di gara…” (TAR Sicilia-Catania, Sez. IV, sentenza 10.01.2012 n. 23 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

PUBBLICO IMPIEGO: Da un canto, il prestatore di lavoro, che chiede la condanna del datore di lavoro al risarcimento del danno subito a causa della lesione del proprio diritto di eseguire la prestazione lavorativa in base alla qualifica professionale rivestita (lesione idonea a determinare la dequalificazione del dipendente stesso), deve fornire la prova dell’esistenza di tale danno e del nesso di causalità con l’inadempimento, prova che costituisce presupposto indispensabile per procedere ad una valutazione equitativa.
Il riconoscimento del diritto del lavoratore al risarcimento del danno professionale, biologico o esistenziale, che asseritamente ne deriva, non ricorre automaticamente in tutti i casi di inadempimento datoriale e non può prescindere da una specifica allegazione, nel ricorso introduttivo del giudizio, sulla natura e sulle caratteristiche del pregiudizio medesimo. Inoltre mentre il risarcimento del danno biologico è subordinato all’esistenza di una lesione dell’integrità psico-fisica medicalmente accertabile, il danno esistenziale -da intendere come ogni pregiudizio (di natura non meramente emotiva ed interiore, ma oggettivamente accertabile) provocato sul fare areddittuale del soggetto, che alteri le sue abitudini e gli assetti relazionali propri, inducendolo a scelte di vita diverse quanto all’espressione e realizzazione della sua personalità nel mondo esterno- deve essere dimostrato in giudizio con tutti i mezzi consentiti dall’ordinamento, assumendo peraltro precipuo rilievo la prova per presunzioni.
Ne discende che il prestatore di lavoro che chieda la condanna del datore di lavoro al risarcimento del danno (anche nella sua eventuale componente di danno alla vita di relazione o di cosiddetto danno biologico) subìto a causa della lesione del proprio diritto di eseguire la prestazione lavorativa in base alla qualifica professionale rivestita, deve fornire la prova dell’esistenza di tale danno e del nesso di causalità con l’inadempimento, prova che costituisce presupposto indispensabile per procedere ad una valutazione equitativa. Tale danno non si pone, infatti, quale conseguenza automatica di ogni comportamento illegittimo rientrante nella suindicata categoria, cosicché non è sufficiente dimostrare la mera potenzialità lesiva della condotta datoriale, incombendo al lavoratore che denunzi il danno subito di fornire la prova in base alla regola generale di cui all’art. 2697 c.c..
---------------
L'elemento oggettivo della fattispecie del mobbing è integrato dai ripetuti soprusi che, se posti in essere dai superiori dà luogo al c.d. mobbing verticale, mentre se posti in essere dai colleghi origina il c.d. mobbing orizzontale, i quali possono anche essere formalmente legittimi ed assumono connotazione illecita allorquando aventi l'unico scopo di danneggiare il lavoratore nel suo ruolo e nella sua funzione lavorativa, così da determinare il suo isolamento (fisico, morale e psicologico), all'interno del contesto lavorativo. L'elemento psicologico è integrato dal dolo generico o dal dolo specifico di danneggiare psicologicamente la personalità del lavoratore.
Pertanto, ai fini della configurabilità della condotta lesiva, qualificata danno da emarginazione lavorativa o mobbing, sono rilevanti, innanzitutto, la strategia unitaria persecutoria, che non si sostanzia in singoli atti da ricondurre nell'ordinaria dinamica del rapporto di lavoro (come i normali conflitti interpersonali nell'ambiente lavorativo, causati da antipatia, sfiducia, scarsa stima professionale, ma che non sono caratterizzati dalla volontà di emarginare il lavoratore), che ha come disegno unitario la finalità di emarginare il dipendente o di porlo in una posizione di debolezza, con la conseguenza che la ricorrenza di un'ipotesi di condotta mobbizzante deve essere esclusa allorquando la valutazione complessiva dell'insieme di circostanze addotte ed accertate nella loro materialità, pur se idonea a palesare singulatim elementi ed episodi di conflitto sul luogo di lavoro, non consenta di individuare, secondo un giudizio di verosimiglianza, il carattere unitariamente persecutorio e discriminante nei confronti del singolo del complesso delle condotte poste in essere sul luogo di lavoro.
E’ evidente che la fattispecie così descritta postula il riscontro di un elemento psicologico della condotta non semplicemente colposo, ma doloso, sia pur nella forma del dolo generico.
In caso di denunziato mobbing si può ritenere sussistente l'illecito solo se si accerti che l'unica ragione della condotta è consistita nel procurare un danno al lavoratore, mentre bisogna escluderlo in caso contrario, indipendentemente dall'eventuale prevedibilità e occorrenza in concreto di simili effetti. Una restrizione del genere, se permette per un verso di rinvenire nel mobbing un'ulteriore manifestazione del divieto di agire intenzionalmente a danno altrui, che costituisce canone generale del nostro ordinamento giuridico e fondamento dell'"exceptio doli generalis", consente per altro verso di escludere dall'orbita della fattispecie tutte quelle vicende in cui fra datore di lavoro e lavoratore si registrano semplicemente posizioni divergenti o perfino conflittuali, affatto connesse alla fisiologia del rapporto di lavoro.
A fronte della denuncia di un lavoratore di condotte vessatorie da parte del datore, il giudice che esclude la ricorrenza delle caratteristiche proprie del fenomeno mobbing (reiterazione, sistematicità e intenzionalità) deve valutare i fatti accertati anche nell'ambito della fattispecie di inadempimento agli obblighi contrattuali di cui all'art. 2087 c.c., da accertare alla stregua delle regole ivi stabilite per il relativo inadempimento contrattuale, le quali prescindono dalla necessaria presenza del dolo.

Rammenta in proposito il Collegio che la giurisprudenza di legittimità civile –il cui orientamento il Collegio condivide pienamente- si è a più riprese confrontata con un tema che è pienamente assimilabile a quello per cui è causa, riposante nel demansionamento e nella dequalificazione del lavoratore.
In più occasioni si è avuto modo di affermare, a tal proposito, che, da un canto, il prestatore di lavoro, che chiede la condanna del datore di lavoro al risarcimento del danno subito a causa della lesione del proprio diritto di eseguire la prestazione lavorativa in base alla qualifica professionale rivestita (lesione idonea a determinare la dequalificazione del dipendente stesso), deve fornire la prova dell’esistenza di tale danno e del nesso di causalità con l’inadempimento, prova che costituisce presupposto indispensabile per procedere ad una valutazione equitativa (ex multis, Cassazione civile , sez. lav., 05.12.2008, n. 28849).
Sotto altro profilo, ancora di recente si è rilevato che il riconoscimento del diritto del lavoratore al risarcimento del danno professionale, biologico o esistenziale, che asseritamente ne deriva, non ricorre automaticamente in tutti i casi di inadempimento datoriale e non può prescindere da una specifica allegazione, nel ricorso introduttivo del giudizio, sulla natura e sulle caratteristiche del pregiudizio medesimo. Inoltre mentre il risarcimento del danno biologico è subordinato all’esistenza di una lesione dell’integrità psico-fisica medicalmente accertabile, il danno esistenziale -da intendere come ogni pregiudizio (di natura non meramente emotiva ed interiore, ma oggettivamente accertabile) provocato sul fare areddittuale del soggetto, che alteri le sue abitudini e gli assetti relazionali propri, inducendolo a scelte di vita diverse quanto all’espressione e realizzazione della sua personalità nel mondo esterno- deve essere dimostrato in giudizio con tutti i mezzi consentiti dall’ordinamento, assumendo peraltro precipuo rilievo la prova per presunzioni.
Ne discende che il prestatore di lavoro che chieda la condanna del datore di lavoro al risarcimento del danno (anche nella sua eventuale componente di danno alla vita di relazione o di cosiddetto danno biologico) subito a causa della lesione del proprio diritto di eseguire la prestazione lavorativa in base alla qualifica professionale rivestita, deve fornire la prova dell’esistenza di tale danno e del nesso di causalità con l’inadempimento, prova che costituisce presupposto indispensabile per procedere ad una valutazione equitativa. Tale danno non si pone, infatti, quale conseguenza automatica di ogni comportamento illegittimo rientrante nella suindicata categoria, cosicché non è sufficiente dimostrare la mera potenzialità lesiva della condotta datoriale, incombendo al lavoratore che denunzi il danno subito di fornire la prova in base alla regola generale di cui all’art. 2697 c.c. (Cassazione civile, sez. lav., 17.09.2010, n. 19785).
---------------
Rammenta in proposito il Collegio che secondo qualificata dottrina e giurisprudenza, sia civile che amministrativa, l'elemento oggettivo della fattispecie del mobbing è integrato dai ripetuti soprusi che, se posti in essere dai superiori dà luogo al c.d. mobbing verticale, mentre se posti in essere dai colleghi origina il c.d. mobbing orizzontale, i quali possono anche essere formalmente legittimi ed assumono connotazione illecita allorquando aventi l'unico scopo di danneggiare il lavoratore nel suo ruolo e nella sua funzione lavorativa, così da determinare il suo isolamento (fisico, morale e psicologico), all'interno del contesto lavorativo. L'elemento psicologico è integrato dal dolo generico o dal dolo specifico di danneggiare psicologicamente la personalità del lavoratore.
Pertanto, ai fini della configurabilità della condotta lesiva, qualificata danno da emarginazione lavorativa o mobbing, sono rilevanti, innanzitutto, la strategia unitaria persecutoria, che non si sostanzia in singoli atti da ricondurre nell'ordinaria dinamica del rapporto di lavoro (come i normali conflitti interpersonali nell'ambiente lavorativo, causati da antipatia, sfiducia, scarsa stima professionale, ma che non sono caratterizzati dalla volontà di emarginare il lavoratore), che ha come disegno unitario la finalità di emarginare il dipendente o di porlo in una posizione di debolezza, con la conseguenza che la ricorrenza di un'ipotesi di condotta mobbizzante deve essere esclusa allorquando la valutazione complessiva dell'insieme di circostanze addotte ed accertate nella loro materialità, pur se idonea a palesare singulatim elementi ed episodi di conflitto sul luogo di lavoro, non consenta di individuare, secondo un giudizio di verosimiglianza, il carattere unitariamente persecutorio e discriminante nei confronti del singolo del complesso delle condotte poste in essere sul luogo di lavoro.
E’ evidente che la fattispecie così descritta postula il riscontro di un elemento psicologico della condotta non semplicemente colposo, ma doloso, sia pur nella forma del dolo generico.
In caso di denunziato mobbing si può ritenere sussistente l'illecito solo se si accerti che l'unica ragione della condotta è consistita nel procurare un danno al lavoratore, mentre bisogna escluderlo in caso contrario, indipendentemente dall'eventuale prevedibilità e occorrenza in concreto di simili effetti. Una restrizione del genere, se permette per un verso di rinvenire nel mobbing un'ulteriore manifestazione del divieto di agire intenzionalmente a danno altrui, che costituisce canone generale del nostro ordinamento giuridico e fondamento dell'"exceptio doli generalis", consente per altro verso di escludere dall'orbita della fattispecie tutte quelle vicende in cui fra datore di lavoro e lavoratore si registrano semplicemente posizioni divergenti o perfino conflittuali, affatto connesse alla fisiologia del rapporto di lavoro.
La giurisprudenza di legittimità civile, poi, rileva che “a fronte della denuncia di un lavoratore di condotte vessatorie da parte del datore, il giudice che esclude la ricorrenza delle caratteristiche proprie del fenomeno mobbing (reiterazione, sistematicità e intenzionalità) deve valutare i fatti accertati anche nell'ambito della fattispecie di inadempimento agli obblighi contrattuali di cui all'art. 2087 c.c., da accertare alla stregua delle regole ivi stabilite per il relativo inadempimento contrattuale, le quali prescindono dalla necessaria presenza del dolo.” (Cassazione civile , sez. lav., 20.05.2008, n. 12735)
(Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 10.01.2012 n. 14 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: L’ordine di demolizione, come tutti i provvedimenti sanzionatori in materia edilizia, in quanto atto vincolato, non richiede una specifica valutazione delle ragioni di interesse pubblico, né una comparazione di quest’ultimo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati, né una motivazione sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale alla demolizione, non potendo neppure ammettersi l’esistenza di alcun affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di fatto abusiva, che il tempo non può mai legittimare.
La stessa giurisprudenza ha anche chiarito un obbligo di motivazione intorno all’interesse pubblico sottostante alla rimozione dell’abuso sussiste allorché l’ordinanza sanzionatoria intervenga a distanza di lungo tempo dall’ultimazione delle opere tutte le volte in cui l’Amministrazione abbia ingenerato un qualche affidamento nel privato.
In particolare, è stato chiarito che tutte le volte in cui si sia ingenerata una posizione di affidamento nel privato, l’Amministrazione ha l’onere di sorreggere con una congrua motivazione l’ordine di motivazione, con la quale, avuto riguardo anche alla entità e alla tipologia dell'abuso, indichi il pubblico interesse, diverso da quello al ripristino della legalità, idoneo a giustificare il sacrificio del contrapposto interesse privato.

Come questa stessa Sezione ha anche di recente avuto modo di rilevare con sentenza 18.10.2011, n. 562 - l’ordine di demolizione, come tutti i provvedimenti sanzionatori in materia edilizia, in quanto atto vincolato, non richiede una specifica valutazione delle ragioni di interesse pubblico, né una comparazione di quest’ultimo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati, né una motivazione sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale alla demolizione, non potendo neppure ammettersi l’esistenza di alcun affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di fatto abusiva, che il tempo non può mai legittimare (cfr. Cons. St., sez. V, 11.01.2011, n. 79, e, sez. IV, 31.08.2010, n. 3955); ed a tale orientamento è stato oggi costantemente recepito dalla giurisprudenza (cfr., da ultimo, TAR Campania, sede Napoli, sez. VIII, 09.06.2011 n. 3029, TAR Lazio, sede Roma, sez. I, 08.06.2011 n. 5095, TAR Piemonte, sez. I, 06.06.2011 n. 578, TAR Puglia, sez. Lecce, sez. III, 07.04.2011 n. 611, TAR Basilicata, 06.04.2011 n. 159, TAR Trentino-Alto Adige, sede Trento, 05.04.2011 n. 102, TAR Liguria, sez. I, 21.03.2011 n. 432, TAR Calabria, sede Catanzaro, sez. II 11.02.2011 n. 207, TAR Lombardia, sez. Brescia, sez. I 17.01.2011 n. 69).
Ciò premesso, va però anche ricordato che la stessa giurisprudenza ha anche chiarito un obbligo di motivazione intorno all’interesse pubblico sottostante alla rimozione dell’abuso sussiste allorché l’ordinanza sanzionatoria intervenga a distanza di lungo tempo dall’ultimazione delle opere tutte le volte in cui l’Amministrazione abbia ingenerato un qualche affidamento nel privato (in tal senso, da ultimo, TAR Liguria, sez. I, 22.01. 2011, n. 150, TAR Puglia, sez. Lecce, sez. III, 14.01.2011, n. 62, TAR Umbria 07.12.2010, n. 522, e TAR Toscana, sez. III, 26.11.2010, n. 6644).
In particolare, è stato chiarito che tutte le volte in cui si sia ingenerata una posizione di affidamento nel privato, l’Amministrazione ha l’onere di sorreggere con una congrua motivazione l’ordine di motivazione, con la quale, avuto riguardo anche alla entità e alla tipologia dell'abuso, indichi il pubblico interesse, diverso da quello al ripristino della legalità, idoneo a giustificare il sacrificio del contrapposto interesse privato (TAR Abruzzo-Pescara, sentenza 10.01.2012 n. 13 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

LAVORI PUBBLICI: Il potere di ordinanza può dirigersi nei confronti di privati proprietari per lavori da eseguirsi su beni che sono nella loro disponibilità, ma non può valere ad ordinare al privato l’esecuzione di lavori pubblici, incombendo sull’ente proprietario della strada il potere-dovere di provvedere all’esecuzione dei relativi lavori, “altrimenti opinando si ammetterebbe una sorta di sanzione ripristinatoria atipica, non prevista dall’ordinamento, mediante la quale l’ente comunale ordina un facere (esecuzione di lavori pubblici) su strada non privata (comunale), lì dove avrebbe dovuto procedere alla realizzazione dei lavori di ripristino ponendo conseguentemente le relative spese a carico del responsabile del danno causato”.
Relativamente alla manutenzione delle strade e delle relative pertinenze, allorquando il Legislatore ha ritenuto, con previsione speciale, di addossare al privato (o a soggetto diverso dall’ente titolare o gestore della strada) gli interventi di manutenzione e di riparazione di talune opere, lo ha previsto espressamente, mentre fuori dai casi espressamente contemplati dalla legge speciale (quali canali artificiali, muri od altri simili sostegni dei fondi adiacenti), opera la regola generale per cui l’onere della manutenzione e riparazione della strada pubblica grava sull'ente titolare o gestore, salvo, se del caso, il successivo recupero delle spese nei confronti del responsabile, ma non è ammissibile la pronuncia di un ordine di facere a carico di quest'ultimo.

Come ha già chiarito la giurisprudenza amministrativa (TAR Campania, sede Napoli, sez. V, 16.04.2007, n. 3722) - il potere di ordinanza può dirigersi nei confronti di privati proprietari per lavori da eseguirsi su beni che sono nella loro disponibilità, ma non può valere ad ordinare al privato l’esecuzione di lavori pubblici, incombendo sull’ente proprietario della strada il potere-dovere di provvedere all’esecuzione dei relativi lavori, “altrimenti opinando si ammetterebbe una sorta di sanzione ripristinatoria atipica, non prevista dall’ordinamento, mediante la quale l’ente comunale ordina un facere (esecuzione di lavori pubblici) su strada non privata (comunale), lì dove avrebbe dovuto procedere alla realizzazione dei lavori di ripristino ponendo conseguentemente le relative spese a carico del responsabile del danno causato”; in definitiva, relativamente alla manutenzione delle strade e delle relative pertinenze, allorquando il Legislatore ha ritenuto, con previsione speciale, di addossare al privato (o a soggetto diverso dall’ente titolare o gestore della strada) gli interventi di manutenzione e di riparazione di talune opere, lo ha previsto espressamente, mentre fuori dai casi espressamente contemplati dalla legge speciale (quali canali artificiali, muri od altri simili sostegni dei fondi adiacenti), opera la regola generale per cui l’onere della manutenzione e riparazione della strada pubblica grava sull'ente titolare o gestore, salvo, se del caso, il successivo recupero delle spese nei confronti del responsabile, ma non è ammissibile la pronuncia di un ordine di facere a carico di quest'ultimo (TAR Abruzzo-Pescara, sentenza 10.01.2012 n. 9 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATADeve escludersi che la realizzazione di parcheggi interrati, con le relative opere di scavo, sia di per sé idonea a determinare effetti nocivi sull’ambiente superficiario, quindi sui beni ambientali che formano oggetto del vincolo.
Deve conseguentemente escludersi che la realizzazione dei parcheggi interrati, con le relative opere di scavo, sia di per sé idonea a determinare effetti nocivi sull’ambiente superficiario, quindi sui beni ambientali che formano oggetto del vincolo (TAR Abruzzo, Pescara, 01.07.2004, n. 642) (TAR Liguria, Sez. I, sentenza 09.01.2012 n. 18 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTILa circostanza che un concorrente abbia puntualmente seguito le indicazioni fornite dalla medesima stazione appaltante nella modulistica "ufficiale" non può andare in danno del medesimo, se detta modulistica risulta poi non esattamente conforme alle prescrizioni della "lex specialis” di gara; deve prevalere in tal caso, a fronte di una obiettiva incertezza ingenerata dagli atti predisposti dalla stazione appaltante e della buona fede che va riconosciuta al concorrente, il principio del “favor partecipationis”.
La carenza riscontrata non poteva pertanto comportare l'esclusione dalla procedura concorsuale del concorrente interessato (la stazione appaltante, semmai, avrebbe potuto invitare il concorrente stesso ad integrare la documentazione carente, ferma restando, in caso di aggiudicazione, la verifica dell’effettivo possesso anche dei requisiti di cui si tratta).
In applicazione dei principi del “favor partecipationis” e di tutela dell'affidamento, non può procedersi all'esclusione di un'impresa nel caso in cui questa abbia compilato l'offerta in conformità al facsimile all'uopo approntato dalla stazione appaltante, potendo eventuali parziali difformità rispetto al disciplinare costituire oggetto di richiesta di integrazione.

Per arresti giurisprudenziali che hanno censurato la sanzione dell’esclusione in ipotesi in cui il tenore della legge di gara renda dubbia la necessità di presentare una determinata specifica documentazione ovvero ove sussista una modulistica predisposta dall’amministrazione che può aver indotto in errore si veda C.G.A. 11.02.2005 n. 55; Cons. St. sez. V 04.02.2004 n. 364.
In particolare secondo Cons. St. 05.07.2011 n. 4029: “Va osservato che il Giudice di prime cure ha ritenuto che la circostanza che un concorrente abbia puntualmente seguito le indicazioni fornite dalla medesima stazione appaltante nella modulistica "ufficiale" non può andare in danno del medesimo, se detta modulistica risulta poi non esattamente conforme alle prescrizioni della "lex specialis” di gara; deve prevalere in tal caso, a fronte di una obiettiva incertezza ingenerata dagli atti predisposti dalla stazione appaltante e della buona fede che va riconosciuta al concorrente, il principio del “favor partecipationis”.
La carenza riscontrata non poteva pertanto comportare l'esclusione dalla procedura concorsuale del concorrente interessato (la stazione appaltante, semmai, avrebbe potuto invitare il concorrente stesso ad integrare la documentazione carente, ferma restando, in caso di aggiudicazione, la verifica dell’effettivo possesso anche dei requisiti di cui si tratta).
Considera la Sezione che, in applicazione dei principi del “favor partecipationis” e di tutela dell'affidamento, non può procedersi all'esclusione di un'impresa nel caso in cui questa abbia compilato l'offerta in conformità al facsimile all'uopo approntato dalla stazione appaltante (Consiglio Stato, Sezione VI, n. 7278, 10.11.2004), potendo eventuali parziali difformità rispetto al disciplinare costituire oggetto di richiesta di integrazione
.”
Per altro nel caso si specie, a differenza del caso di cui alla decisione del Consiglio di Stato da ultimo riportata neppure sussisteva nella legge di gara una chiara prescrizione a pena di esclusione della presentazione della contestata dichiarazione e quindi, se mai, anche la par condicio, intesa come rigoroso rispetto delle condizioni chiaramente dettate dalle legge di gara, imponeva di non richiedere a pena di esclusione alcuna dichiarazione non espressamente menzionata negli atti di gara; resta così assorbito l’ulteriore profilo contestato dall’amministrazione resistente circa l’insussistenza normativa dell’obbligo di rendere la contestata dichiarazione in capo agli amministratori cessati dalla carica (TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 09.01.2012 n. 5 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA: Costituisce regola generale ed imperativa, in materia di governo del territorio, il rispetto delle previsioni del P.R.G. che impongano, per una determinata zona, la pianificazione di dettaglio: tali prescrizioni sono vincolanti e idonee ad inibire l’intervento diretto costruttivo.
Corollari immediati di tale principio fondamentale sono:
a) quando lo strumento urbanistico generale prevede che la sua attuazione debba aver luogo mediante un piano di livello inferiore, il rilascio del titolo edilizio può essere legittimamente disposto solo dopo che lo strumento esecutivo sia divenuto perfetto ed efficace, ovvero quando è concluso il relativo procedimento;
b) in presenza di una normativa urbanistica generale che preveda per il rilascio del titolo edilizio in una determinata zona l’esistenza di un piano attuativo, non è consentito superare tale prescrizione facendo leva sulla situazione di sufficiente urbanizzazione della zona stessa;
c) l’insurrogabilità dell’assenza del piano attuativo con l’imposizione di opere di urbanizzazione all’atto del rilascio del titolo edilizio; invero, l’obbligo dell’interessato di realizzare direttamente le opere di urbanizzazione è idoneo a sopperire solo alla mancanza fisica e materiale di tali opere ma non è in grado di colmare l’assenza dello strumento esecutivo;
d) l’inconfigurabilità di equipollenti al piano attuativo, circostanza questa che impedisce che in sede amministrativa o giurisdizionale possano essere effettuate indagini volte a verificare se sia tecnicamente possibile edificare vanificando la funzione del piano attuativo, la cui indefettibile approvazione, se ritarda, può essere stimolata dall’interessato con gli strumenti consentiti dal sistema;
e) la necessità dello strumento attuativo anche in presenza di zone parzialmente urbanizzate che sono comunque esposte al rischio di compromissione dei valori urbanistici e nelle quali la pianificazione di dettaglio può conseguire l’effetto di correggere e compensare il disordine edificativo in atto.
-------------

A fronte di tale principio fondamentale e dei suoi corollari, la prassi giurisprudenziale ha coniato una deroga eccezionale in presenza di una peculiare situazione di fatto che ha preso il nome di “lotto intercluso”.
Tale fattispecie si realizza, secondo una preferibile rigorosa impostazione, allorquando l’area edificabile di proprietà del richiedente:
a) sia l’unica a non essere stata ancora edificata;
b) si trovi in una zona integralmente interessata da costruzioni;
c) sia dotata di tutte le opere di urbanizzazione (primarie e secondarie), previste dagli strumenti urbanistici;
d) sia valorizzata da un progetto edilizio del tutto conforme al P.R.G..
In sintesi, si consente l’intervento costruttivo diretto purché si accerti la sussistenza di una situazione di fatto “perfettamente corrispondente” a quella derivante dall’attuazione del piano esecutivo, allo scopo di evitare defatiganti attese per il privato e inutili dispendi di attività procedimentale per l’ente pubblico.
Tali essendo la ratio e la natura eccezionale della regola sottesa al c.d. <<lotto intercluso>>, deve ritenersi che, in assenza di strumento attuativo:
a) la valutazione circa la congruità del grado di urbanizzazione sia rimessa all’esclusivo apprezzamento discrezionale del Comune;
b) il Comune, ove intenda rilasciare il titolo edilizio, deve compiere una penetrante istruttoria per accertare che la pianificazione esecutiva non conservi una qualche utile funzione, anche in relazione a situazioni di degrado che possano recuperare margini di efficienza abitativa, riordino e completamento razionale e che non sia in grado di esprimere scelte programmatorie distinte rispetto a quelle contenute nel P.R.G.;
c) incombe sul Comune l’obbligo di puntuale motivazione solo nell’ipotesi in cui venga rilasciato il permesso di costruire, essendo in caso contrario sufficiente il richiamo alla mancanza del piano attuativo (come verificatosi nel caso di specie).
Si è in sostanza chiarito che si può prescindere dalla pianificazione attuativa richiesta dallo strumento urbanistico, solo ove nella zona interessata sussista una situazione di fatto esattamente corrispondente a quella derivante dalla pianificazione di secondo grado, ovvero siano presenti opere di urbanizzazione primaria e secondaria pari agli standards urbanistici minimi prescritti.

Costituisce regola generale ed imperativa, in materia di governo del territorio, il rispetto delle previsioni del P.R.G. che impongano, per una determinata zona, la pianificazione di dettaglio: tali prescrizioni sono vincolanti e idonee ad inibire l’intervento diretto costruttivo.
Corollari immediati di tale principio fondamentale sono:
a) quando lo strumento urbanistico generale prevede che la sua attuazione debba aver luogo mediante un piano di livello inferiore, il rilascio del titolo edilizio può essere legittimamente disposto solo dopo che lo strumento esecutivo sia divenuto perfetto ed efficace, ovvero quando è concluso il relativo procedimento (cfr. Cons. Stato, sez. V, 01.04.1997, n. 300);
b) in presenza di una normativa urbanistica generale che preveda per il rilascio del titolo edilizio in una determinata zona l’esistenza di un piano attuativo, non è consentito superare tale prescrizione facendo leva sulla situazione di sufficiente urbanizzazione della zona stessa (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 03.11.2008, n. 5471);
c) l’insurrogabilità dell’assenza del piano attuativo con l’imposizione di opere di urbanizzazione all’atto del rilascio del titolo edilizio; invero, l’obbligo dell’interessato di realizzare direttamente le opere di urbanizzazione è idoneo a sopperire solo alla mancanza fisica e materiale di tali opere ma non è in grado di colmare l’assenza dello strumento esecutivo (cfr. Cons. Stato., sez. IV, 26.01.1998, n. 67; Cass. pen., sez. III, 26.01.1998, n. 302; Cons. Stato, sez. V, 15.01.1997, n. 39);
d) l’inconfigurabilità di equipollenti al piano attuativo, circostanza questa che impedisce che in sede amministrativa o giurisdizionale possano essere effettuate indagini volte a verificare se sia tecnicamente possibile edificare vanificando la funzione del piano attuativo, la cui indefettibile approvazione, se ritarda, può essere stimolata dall’interessato con gli strumenti consentiti dal sistema (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 30.12.2008, n. 6625);
e) la necessità dello strumento attuativo anche in presenza di zone parzialmente urbanizzate che sono comunque esposte al rischio di compromissione dei valori urbanistici e nelle quali la pianificazione di dettaglio può conseguire l’effetto di correggere e compensare il disordine edificativo in atto (cfr. Cass. pen., sez. III, 19.09.2008, n. 35880).
A fronte di tale principio fondamentale e dei suoi corollari, la prassi giurisprudenziale ha coniato una deroga eccezionale in presenza di una peculiare situazione di fatto che ha preso il nome di “lotto intercluso”.
Tale fattispecie si realizza, secondo una preferibile rigorosa impostazione, allorquando l’area edificabile di proprietà del richiedente:
a) sia l’unica a non essere stata ancora edificata;
b) si trovi in una zona integralmente interessata da costruzioni;
c) sia dotata di tutte le opere di urbanizzazione (primarie e secondarie), previste dagli strumenti urbanistici;
d) sia valorizzata da un progetto edilizio del tutto conforme al P.R.G..
In sintesi, si consente l’intervento costruttivo diretto purché si accerti la sussistenza di una situazione di fatto “perfettamente corrispondente” a quella derivante dall’attuazione del piano esecutivo, allo scopo di evitare defatiganti attese per il privato e inutili dispendi di attività procedimentale per l’ente pubblico (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 29.01.2008, n. 268; sez. V, 03.03.2004, n. 1013).
Tali essendo la ratio e la natura eccezionale della regola sottesa al c.d. <<lotto intercluso>>, deve ritenersi che, in assenza di strumento attuativo:
a) la valutazione circa la congruità del grado di urbanizzazione sia rimessa all’esclusivo apprezzamento discrezionale del Comune (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 01.08.2007, n. 4276);
b) il Comune, ove intenda rilasciare il titolo edilizio, deve compiere una penetrante istruttoria per accertare che la pianificazione esecutiva non conservi una qualche utile funzione, anche in relazione a situazioni di degrado che possano recuperare margini di efficienza abitativa, riordino e completamento razionale e che non sia in grado di esprimere scelte programmatorie distinte rispetto a quelle contenute nel P.R.G. (cfr. Cons. Stato, sez. V, 27.10.2000, n. 5756; sez. V, 08.07.1997, n. 772);
c) incombe sul Comune l’obbligo di puntuale motivazione solo nell’ipotesi in cui venga rilasciato il permesso di costruire, essendo in caso contrario sufficiente il richiamo alla mancanza del piano attuativo (come verificatosi nel caso di specie) (in termini, Cons. Stato, IV, 10.06.2010, n. 3699).
Si è in sostanza chiarito che si può prescindere dalla pianificazione attuativa richiesta dallo strumento urbanistico, solo ove nella zona interessata sussista una situazione di fatto esattamente corrispondente a quella derivante dalla pianificazione di secondo grado, ovvero siano presenti opere di urbanizzazione primaria e secondaria pari agli standards urbanistici minimi prescritti (cfr. Cons. Stato, IV, 21.12.2006, n. 7769; Tar Campania, Salerno, II, 18.03.2008, n. 308) (TAR Sicilia-Palermo, Sez. III, sentenza 04.01.2012 n. 5 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Sebbene qualora in sede di rilascio della concessione edilizia sia stato acquisito il parere della Commissione Edilizia, tale parere va acquisito anche all'atto dell'annullamento d'ufficio del suddetto titolo abilitativo, vanno fatte salve le ipotesi in cui il provvedimento di autotutela sia supportato da ragioni formali o di tipo esclusivamente giuridico; quindi, non occorre acquisire il parere della Commissione Edilizia Comunale, nel caso in cui la decisione di annullamento discenda direttamente dall'applicazione della disciplina edilizia: in tale ipotesi, infatti, l’atto di annullamento si qualifica come atto dovuto in virtù di una valutazione di carattere formale e giuridico, svincolata da valutazioni implicanti esercizio di discrezionalità tecnica ascrivibili alla Commissione Edilizia.
... RITENUTO, allora, che:
- in deroga alla regola generale, che richiede, soprattutto per i procedimenti di secondo grado, l'invio dell'avviso di inizio del procedimento, l'esigenza di intervenire tempestivamente sull'anzidetto provvedimento giustifica, conformemente a quanto previsto dallo stesso art. 8 della l.r. n. 10 del 1991, per il caso di particolari esigenze di celerità del procedimento, l'omessa previa comunicazione di avvio, oggetto della censura contenuta nel terzo motivo di ricorso (cfr. TAR Sardegna, Cagliari, sez. II, 12.05.2011, n. 485);
- in ogni caso, la destinazione urbanistica dell'area sulla quale doveva essere effettuato l’ampliamento non avrebbe consentito un esito diverso del procedimento in questione, atteggiandosi l’annullamento quale atto di natura vincolata: in altre parole, nel caso in esame, in cui è emersa con certezza l’impossibilità del rilascio di una concessione diretta per mancanza dello strumento attuativo, la comunicazione di avvio non avrebbe avuto ragione di essere (e ciò nonostante, seppure verbalmente, è stata effettuata), così come una diffusa motivazione circa l’interesse pubblico all’annullamento d’ufficio, sussistente in re ipsa (cfr. TAR Sicilia, Palermo, sez. II, 03.06.2005, n. 941; TAR Lazio, Roma 13.02.2006, n. 1052);
- infine, seppure in base al principio del contrarius actus, qualora in sede di rilascio della concessione edilizia sia stato acquisito il parere della Commissione Edilizia, tale parere va acquisito anche all'atto dell'annullamento d'ufficio del suddetto titolo abilitativo, vanno fatte salve le ipotesi in cui il provvedimento di autotutela sia supportato da ragioni formali o di tipo esclusivamente giuridico (Cons. Stato, sez. V, 12.05.2011 , n. 2821; sez. IV, 31.03.2009, n. 1909); quindi, non occorre acquisire il parere della Commissione Edilizia Comunale, nel caso in cui la decisione di annullamento discenda direttamente dall'applicazione della disciplina edilizia: in tale ipotesi, riscontrata nel caso di specie, infatti, l’atto di annullamento si qualifica come atto dovuto in virtù di una valutazione di carattere formale e giuridico, svincolata da valutazioni implicanti esercizio di discrezionalità tecnica ascrivibili alla Commissione Edilizia (cfr. TAR Campania, Napoli, sez. VI, 20.04.2011, n. 2245; 14.04.2010, n. 1975, 03.12.2010, n. 26797) (TAR Sicilia-Palermo, Sez. III, sentenza 04.01.2012 n. 5 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAI provvedimenti repressivi di abusi edilizi non devono essere preceduti dall'avviso dell'inizio del procedimento, trattandosi di procedimenti tipizzati e vincolati -regolati in tutti i loro passaggi nei quali è consentita l'adeguata partecipazione dell'interessato- considerato, altresì, che i provvedimenti sanzionatori presuppongono un mero accertamento tecnico sulla consistenza delle opere realizzate, nonché sul carattere non assentito delle medesime.
La comunicazione di avvio del procedimento, prevista dall'art. 7 della legge 07.08.1990 n. 241, del resto, è necessaria soltanto per i procedimenti iniziati d'ufficio e non già per quelli avviati ad istanza di parte nei quali lo stesso interessato con la sua domanda può inserire tutti gli elementi che ritiene debbano essere presi in considerazione dalla Pubblica Amministrazione ai fini dell'adozione del provvedimento finale.

Secondo la consolidata giurisprudenza, anche di questo Tribunale, i provvedimenti repressivi di abusi edilizi non devono essere preceduti dall'avviso dell'inizio del procedimento, trattandosi di procedimenti tipizzati e vincolati -regolati in tutti i loro passaggi nei quali è consentita l'adeguata partecipazione dell'interessato- considerato, altresì, che i provvedimenti sanzionatori presuppongono un mero accertamento tecnico sulla consistenza delle opere realizzate, nonché sul carattere non assentito delle medesime.
La comunicazione di avvio del procedimento, prevista dall'art. 7 della legge 07.08.1990 n. 241, del resto, è necessaria soltanto per i procedimenti iniziati d'ufficio e non già per quelli avviati ad istanza di parte nei quali lo stesso interessato con la sua domanda può inserire tutti gli elementi che ritiene debbano essere presi in considerazione dalla Pubblica Amministrazione ai fini dell'adozione del provvedimento finale (cfr. ex plurimis: Cons. Stato, sez. IV, 10.10.2007, n. 5314; 30.03.2000, n. 1814; TAR Lombardia Brescia, sez. I, 27.05.2011, n. 781; TAR Toscana, Firenze, sez. III, 13.05.2011; n. 840; TAR Veneto, Venezia, sez. II, 06.05.2011, n. 784; TAR Sicilia, Palermo, II, 06.06.02007, n. 1617; 27.03.2007, n. 979; III, 20.03.2006, n. 608; 20.04. 2005, n. 577; Catania, III, 03.03.2003, n. 374; TAR Campania, IV, 12.02.2003, n. 797; 14.06.2002, n. 3499; 28.03.2001, n. 1404) (TAR Sicilia-Palermo, Sez. III, sentenza 04.01.2012 n. 4 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Gare, quando l'avvalimento riguarda prestazioni eterogenee.
In presenza di una clausola del bando di gara d'appalto che imponga il possesso di un requisito di partecipazione di cui il concorrente sia privo, non necessita, ai fini della legittimazione ad agire, la presentazione della domanda di partecipazione alla gara.
Con sentenza 21.12.2011 n. 1336, la I Sez. del TAR Piemonte ha affermato che in presenza di una clausola del bando di gara d'appalto che imponga, a pena di esclusione il possesso di un requisito di partecipazione di cui il concorrente sia privo, non necessita, al fine di radicare nel medesimo la legittimazione al ricorso, la previa presentazione della domanda di partecipazione alla gara, la quale si risolverebbe in un inutile formalismo poiché l'esclusione dalla procedura sarebbe certa.
Sotto altro profilo, i giudici piemontesi hanno affermato che in tema di appalti pubblici, l'istituto dell'avvalimento, il quale sostanzia una facoltà per le imprese partecipanti alle gare ed è inteso a favorire ed ampliare le possibilità di partecipazione alle stesse, non priva del carattere escludente una clausola che imponga a pena di esclusione un determinato requisito di partecipazione, sia ai concorrenti singoli che a quelli riuniti in raggruppamento o consorzio, in quanto altrimenti, l'utilizzo dell'avvalimento, lungi dall'assurgere a strumento agevolativo della partecipazione alla gara, determinerebbe una ingiustificata compressione della libertà di impresa e di iniziativa economica, addirittura fungendo non da strumento per agevolare il favor partecipationis, ma da congegno processuale necessario a radicare l'interesse a ricorrere a fronte di una siffatta clausola.
Per quanto concerne il bando avente per oggetto assolutamente dominante la riscossione della tassa automobilistica e in via secondaria anche quella di una serie di imposte comunali, si è ritenuto che tale lex specialis è di per sé illegittima in quanto accorpa in sé servizi tra loro eterogenei che non consentono di formulare offerte consapevoli e, comunque, non può richiedere anche per la prima attività, a pena di esclusione, il possesso dell'iscrizione all'albo dei soggetti abilitati alle attività di accertamento, liquidazione e riscossione delle entrate degli enti locali contemplato dall'art. 53 D.L.vo 15.12.1997 n. 446, in quanto altrimenti darebbe corpo all'imposizione di un requisito sproporzionato e in ultima analisi determinerebbe una compressione della concorrenza (Nella specie, le due tipologie di tributo erano assolutamente diverse tra di loro).
E' stato, infine affermato che, ai fini della riscossione della tassa automobilistica, il sistema on-line è quello tipizzato dal legislatore ed è quindi illegittimo il sistema off-line costituito dal pagamento mediante utilizzazione del bollettino mav. (commento tratto da www.ipsoa.it - link a www.giustizia-amministrativa.it).

PUBBLICO IMPIEGO: Il trasferimento per incompatibilità ambientale non ha carattere sanzionatorio, né natura disciplinare, non postulando comportamenti contrari ai doveri d'ufficio ma essendo condizionato solo alla valutazione, ampiamente discrezionale, di fatti che possano far ritenere nociva per il prestigio, il decoro o la funzionalità dell'ufficio la permanenza del dipendente in una determinata sede.
Tale trasferimento ha il fine di tutelare il prestigio ed il corretto funzionamento degli uffici pubblici e di garantire la regolarità e la continuità dell'azione amministrativa e mira ad eliminare la causa obiettiva dei disagi e delle difficoltà che discendono dalla presenza del dipendente, tanto da trascendere da ogni valutazione circa l'imputabilità al dipendente di eventuali profili soggettivi di colpa per la situazione di incompatibilità ambientale ingeneratasi.
L'impossibilità di riconoscere al procedimento un carattere sanzionatorio o disciplinare comporta quindi che siano del tutto ininfluenti i successivi sviluppi di carriera del dipendente o la eventuale successiva attribuzione allo stesso di incarichi di particolare rilevanza, che non incidono sulle ragioni che hanno indotto l’Amministrazione al precedente trasferimento e che quindi non determinano in alcun modo, come nel caso in esame, una qualche carenza di interesse da parte dell’Amministrazione stessa a veder confermata, in sede giurisdizionale, la legittimità della sua precedente, contestata, attività.
---------------
Non si ha violazione dell’avvio del procedimento quando sia comunque intervenuta la conoscenza da parte dell’interessato del procedimento in itinere e la partecipazione dello stesso al procedimento sia stata resa comunque possibile con forme equivalenti, in modo da poter ritenere in concreto raggiunto lo scopo perseguito dalla norma.
---------------
Le esigenze di servizio poste a base del trasferimento per incompatibilità sono sindacabili da parte del giudice amministrativo solo ab externo, sotto il profilo della logicità e completezza della motivazione, rimanendo esclusa ogni indagine del merito della valutazione dell’amministrazione.
D’altro canto, anche la motivazione per relationem è ammessa, purché le ragioni dell’atto richiamato siano esaurienti; in particolare, proprio con riferimento al trasferimento per incompatibilità ambientale, si è rilevato che la motivazione può desumersi anche dall’intero iter procedimentale, ove dalla sequenza degli atti possano essere agevolmente ricavabili le ragioni sottese alle scelte discrezionali della amministrazione.

Al riguardo occorre richiamare pacifici approdi della giurisprudenza amministrativa, secondo i quali il trasferimento per incompatibilità ambientale non ha carattere sanzionatorio, né natura disciplinare, non postulando comportamenti contrari ai doveri d'ufficio ma essendo condizionato solo alla valutazione, ampiamente discrezionale, di fatti che possano far ritenere nociva per il prestigio, il decoro o la funzionalità dell'ufficio la permanenza del dipendente in una determinata sede.
Tale trasferimento ha il fine di tutelare il prestigio ed il corretto funzionamento degli uffici pubblici e di garantire la regolarità e la continuità dell'azione amministrativa e mira ad eliminare la causa obiettiva dei disagi e delle difficoltà che discendono dalla presenza del dipendente, tanto da trascendere da ogni valutazione circa l'imputabilità al dipendente di eventuali profili soggettivi di colpa per la situazione di incompatibilità ambientale ingeneratasi.
L'impossibilità di riconoscere al procedimento un carattere sanzionatorio o disciplinare comporta quindi che siano del tutto ininfluenti i successivi sviluppi di carriera del dipendente o la eventuale successiva attribuzione allo stesso di incarichi di particolare rilevanza, che non incidono sulle ragioni che hanno indotto l’Amministrazione al precedente trasferimento e che quindi non determinano in alcun modo, come nel caso in esame, una qualche carenza di interesse da parte dell’Amministrazione stessa a veder confermata, in sede giurisdizionale, la legittimità della sua precedente, contestata, attività.
-------------
Al riguardo si richiama il consolidato indirizzo giurisprudenziale, in base al quale non si ha violazione dell’avvio del procedimento quando sia comunque intervenuta la conoscenza da parte dell’interessato del procedimento in itinere e la partecipazione dello stesso al procedimento sia stata resa comunque possibile con forme equivalenti, in modo da poter ritenere in concreto raggiunto lo scopo perseguito dalla norma (Cons. Stato, Sez. V, 17.04.2003, n. 2062) .
---------------
Come rilevato dalla giurisprudenza amministrativa, le esigenze di servizio poste a base del trasferimento per incompatibilità sono sindacabili da parte del giudice amministrativo solo ab externo, sotto il profilo della logicità e completezza della motivazione, rimanendo esclusa ogni indagine del merito della valutazione dell’amministrazione (cfr. Cons. Stato, IV, n. 970 del 2010).
D’altro canto, anche la motivazione per relationem è ammessa, purché le ragioni dell’atto richiamato siano esaurienti; in particolare, proprio con riferimento al trasferimento per incompatibilità ambientale, si è rilevato che la motivazione può desumersi anche dall’intero iter procedimentale, ove dalla sequenza degli atti possano essere agevolmente ricavabili le ragioni sottese alle scelte discrezionali della amministrazione (Cons. Stato, IV, 31.01.2001, n. 550)
(Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 16.12.2011 n. 6623 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICA: Valutazione ambientale strategica (VAS) - Autorità competente - Organo o ufficio interno alla stessa autorità procedente.
E' legittimo che l'autorità competente alla v.a.s. sia identificata in un organo o ufficio interno alla stessa autorità procedente.
La scelta dei funzionari apicali dell'ente costituisce una garanzia sufficiente in ordine al possesso, in capo a costoro, delle competenze necessarie per effettuare la valutazione ambientale strategica.

Parimenti infondata è la censura con cui viene lamentata l'assenza di competenze dell'autorità incaricata di effettuare la v.a.s.. Si richiama, al riguardo, quanto recentemente affermato dal Consiglio di Stato circa la legittimità dell'evenienza che l'autorità competente alla v.a.s. sia identificata in un organo o ufficio interno alla stessa autorità procedente (Consiglio Stato, sez. IV, 12.01.2011, n. 133)
La nomina del segretario comunale e dei dirigenti dell'ente, con l'esclusione del dirigente dell'area territorio, ambiente ed attività produttive e la previsione di un supporto tecnico operativo non si presta invero ad alcuna censura: in mancanza di elementi di segno contrario può, invero, ritenersi che la scelta dei funzionari apicali dell'ente costituisca una garanzia sufficiente in ordine al possesso, in capo a costoro, delle competenze necessarie per effettuare la valutazione ambientale strategica (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 15.12.2011 n. 3170 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZI: L'affidamento "in house" è una fattispecie non contrattuale che, come tale, per sua stessa natura si sottrae al diritto comunitario degli appalti e delle concessioni.
-------------
Sui requisiti condizionanti la legittimità del ricorso all'istituto dell'in house.

L'affidamento "in house", che rappresenta il tentativo di conciliare il principio di auto-organizzazione amministrativa con i principi di tutela della concorrenza e del mercato, non è una fattispecie contrattuale eccezionalmente sottratta all'applicazione del diritto comunitario degli appalti e delle concessioni, ma è, al contrario, una fattispecie non contrattuale che, come tale, per sua stessa natura si sottrae al diritto comunitario degli appalti e delle concessioni.
Ciò precisato, dunque, la giurisprudenza comunitaria e nazionale, partendo dal concetto che l'affidamento diretto di un servizio è giustificato quando il soggetto affidatario si trova in una posizione strumentale e di rapporto organico con l'Amministrazione affidante, ha individuato i requisiti in presenza dei quali può ritenersi verificata la sussistenza di detta posizione e, conseguentemente, giustificato il conferimento "in house".
Tali requisiti sono la proprietà, da parte dell'ente pubblico, del capitale sociale del soggetto affidatario e l'esercizio sul medesimo di una forma di controllo analoga a quella svolta sui propri servizi, e l'esercizio, da parte della società affidataria, della quota prevalente della sua attività a favore dei soci.
---------------
In relazione ai requisiti condizionanti la legittimità del ricorso all'istituto dell'in house va evidenziato che, atteso che al momento di scegliere la forma di gestione di un servizio pubblico tra quelle previste dalla legge l'ente locale è sempre tenuto a giustificare la scelta che concretamente effettua, in caso di affidamento "in house" è necessario dimostrare non solo la sussistenza dei presupposti richiesti per l'autoproduzione, ma anche la convenienza rispetto all'affidamento della gestione del servizio a soggetti terzi, perché, in difetto, la scelta sarebbe del tutto immotivata e contraria al principio di buona amministrazione cui deve conformarsi l'operato della PA (TAR Veneto, Sez. I, sentenza 14.12.2011 n. 1823 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI SERVIZI: Esclusione da una gara d’appalto nel caso in cui l’offerta presentata dall’unico concorrente partecipante non abbia raggiunto il punteggio minimo previsto dal bando.
E’ legittima l’esclusione da una gara per l’affidamento di un appalto di servizi, da aggiudicarsi secondo il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, che sia motivata con riferimento al fatto che l’offerta presentata dall’unico concorrente partecipante non ha raggiunto il punteggio minimo previsto dal bando; infatti, nel caso di gara per l’affidamento di un appalto di servizi, con il sistema dell'offerta economicamente più vantaggiosa, devono ritenersi legittime le clausole del bando che prevedono la valutazione dell'offerta economica solo in caso di un punteggio minimo raggiunto dall'offerta stessa, considerata la rilevanza che può avere l'aspetto della qualità tecnica per la amministrazione aggiudicatrice (1).
Il solo punteggio numerico può essere ritenuto una sufficiente motivazione in relazione agli elementi di valutazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa, quando i criteri prefissati di valutazione siano estremamente dettagliati (2).
---------------
(1) Cfr. Cons. Stato, Sez. V, 03.03.2004, n. 1040, che ha affermato la legittimità di una clausola di sbarramento, prevista nel capitolato speciale per una gara di appalto per l'aggiudicazione di un servizio all'offerta economicamente più vantaggiosa, che non consente la valutazione del prezzo nel caso di offerte che sotto il profilo qualitativo non raggiungano un punteggio minimo; v. anche TAR Lazio-Roma, Sez. III, 26.01.2009, n. 630.
(2) Cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 10.01.2003, n. 67
(massima tratta da www.regione.piemonte.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 18.11.2011 n. 2802 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATADi regola, l'astratta nozione di "lotto intercluso" rileva in termini civilistici e si sostanzia nel fatto che un bene immobile (di solito un fondo rustico) non sia accessibile, da nessun lato, da pubbliche strade o da passaggi privati; viceversa, in termini urbanistico-edilizi, la nozione in parola, siccome strettamente correlata alla possibilità di edificare un fondo in assenza di un piano urbanistico attuativo o di un piano di lottizzazione, non richiede affatto l'interclusione del terreno da tutti i lati, ma l'esistenza di un’area c.d. “relitta” ed autonomamente edificabile perché già urbanisticamente definita: ossia, compiutamente e definitivamente collegata ed integrata con già esistenti opere di urbanizzazione (strade, servizi, piazze, giardini) e/o con altri immobili adiacenti.
La nozione di "lotto" in senso urbanistico deve essere tratta dalla disciplina di piano regolatore circa l'ampiezza minima delle aree edificabili, di guisa che la condizione di "lotto intercluso e residuale" di un terreno rende giuridicamente irrilevanti le previsioni del P.R.G. che subordinano il rilascio della concessione edilizia alla preventiva approvazione del piano particolareggiato o del piano di lottizzazione, stante la materiale impossibilità di imprimere alla zona un diverso assetto urbanistico secondo gli ordinari criteri (ed i contenuti) di cui agli artt. 13 e 28 L. 17.08.1942 n. 1150.

Osserva il Collegio che -di regola- l'astratta nozione di "lotto intercluso" rileva in termini civilistici e si sostanzia nel fatto che un bene immobile (di solito un fondo rustico) non sia accessibile, da nessun lato, da pubbliche strade o da passaggi privati; viceversa, in termini urbanistico-edilizi, la nozione in parola, siccome strettamente correlata alla possibilità di edificare un fondo in assenza di un piano urbanistico attuativo o di un piano di lottizzazione, non richiede affatto l'interclusione del terreno da tutti i lati, ma l'esistenza di un’area c.d. “relitta” ed autonomamente edificabile perché già urbanisticamente definita: ossia, compiutamente e definitivamente collegata ed integrata con già esistenti opere di urbanizzazione (strade, servizi, piazze, giardini) e/o con altri immobili adiacenti.
In sostanza, la "regula iuris", cui si ispira l'art. 7 delle N.A. del P.R.G. del Comune di Trabia, è che il lotto è edificabile senza la previa approvazione di un piano attuativo a condizione che non superi i 1.000 mq. e che sia uno mero "relitto" allocato in zona già edificata ed urbanisticamente definita.
Sul punto, infatti, la giurisprudenza ha avuto modo di precisare che la nozione di "lotto" in senso urbanistico deve essere tratta dalla disciplina di piano regolatore circa l'ampiezza minima delle aree edificabili, di guisa che la condizione di "lotto intercluso e residuale" di un terreno rende giuridicamente irrilevanti le previsioni del P.R.G. che subordinano il rilascio della concessione edilizia alla preventiva approvazione del piano particolareggiato o del piano di lottizzazione, stante la materiale impossibilità di imprimere alla zona un diverso assetto urbanistico secondo gli ordinari criteri (ed i contenuti) di cui agli artt. 13 e 28 L. 17.08.1942 n. 1150 (cfr. TAR Lazio 10.10.2001, n. 8424; Cons. Stato, Sez. V, 26.09.1995 n. 1351 e Sez. IV, 10.09.1996 n. 1028; Sez. V, 05.06.1997 n. 612).
Ma proprio su tali aspetti concreti, la motivazione del provvedimento impugnato appare obiettivamente carente.
Né può rilevare, in contrario, il contenuto del verbale n. 2 dell'11.05.2005 versato in atti dal Comune (unitamente alla memoria di costituzione), che risulta redatto dal già citato e c.d. "Gruppo di lavoro" e che ha ad oggetto asserite "linee di orientamento dell'attività edificatoria in ambito di lotto intercluso". Ed invero:
- in tale verbale si identifica la nozione di "lotto intercluso" attraverso una serie di parametri, decisamente innovativi e rilevanti, che non trovano alcun riscontro nella norma di attuazione di cui all'art. 7 cit. (come, ad esempio, laddove si prescrive, tra l'altro, la "cessione gratuita" da parte dei privati "… di una striscia di terreno di lunghezza coincidente con la lunghezza del lotto prospiciente sulla strada e la cui larghezza, rispetto all'asse stradale, sia di ml. 2,00");
- con tale verbale, il Gruppo di lavoro (composto da tecnici, verosimilmente, comunali) ha finito con l'integrare la prescrizione urbanistica in argomento, in evidente carenza -assoluta- di potere, dovendo, semmai, provvedere in materia gli Organi comunali, attraverso una revisione "in parte qua" dello strumento urbanistico.
Sta di fatto che in nessuno degli atti di causa risulta, in qualche modo, specificata la ragione -logica e concreta- per la quale il lotto per cui è causa non possa dirsi intercluso, tanto in relazione alla generica formulazione dell'art. 7 delle N.A., quanto in relazione agli stessi parametri indicati nel detto verbale 11.05.2005.
4. Per completezza va detto, anche, che il Comune di Trabia fa osservare, nelle proprie difese, come il ricorrente si sarebbe limitato a dare "… atto della situazione relativa a tre lati, tacendo su cosa insisterebbe sul quarto" lato del terreno in questione. Ma a parte quanto sopra precisato, circa la distinzione esistente tra la nozione civilistica di interclusione e quella urbanistico-ediliza, si può agevolmente obiettare che nemmeno il Comune stigmatizza la situazione di tale quarto lato e ciò a fronte dell'onere dello stesso Comune di esaminare la questione in termini puntuali e concreti, evidenziando il reale rapporto del terreno del ricorrente con il restante tessuto urbanistico e quindi la sua edificabilità o meno con singola ed autonoma concessione (anziché previa approvazione di un piano attuativo).
In definitiva, poiché nella specie è pacifico che il lotto di terreno del ricorrente sia inferiore a quello massimo di 1.000 mq. prescritto dall’art. 7 delle N.diA. del P.R.G. e poiché dalla perizia prodotta dal ricorrente, con le annesse fotografie e stralcio aerofotogrammetrico scala 1:2.000, la interclusione del lotto, in termini urbanistico-edilizi, non sembra possa dirsi esclusa (per la presenza di due strade adiacenti al lotto), la censura di difetto di motivazione non può non essere condivisa, salvi gli ulteriori provvedimenti del Comune, ivi compresa la facoltà di imporre ogni eventuale cautela o prescrizione ritenuta necessaria ad assicurare l'edificazione nel rispetto di tutti gli indici urbanistici ed edilizi della zona (anche eventualmente prescrivendo la inutilizzabilità edificatoria della porzione del lotto non interessato dal progetto) (TAR Sicilia-Palermo, Sez. II, sentenza 08.05.2008 n. 593 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATANel caso di lotto intercluso o in altri analoghi casi nei quali la zona risulti totalmente urbanizzata, attraverso la realizzazione delle opere e dei servizi atti a soddisfare i necessari bisogni della collettività -quali strade, spazi di sosta, fognature, reti di distribuzione del gas, dell'acqua e dell'energia elettrica, scuole, etc.- lo strumento urbanistico esecutivo non può ritenersi più necessario e non può, pertanto, essere consentito all'Ente locale di trincerarsi dietro l'opposizione di un rifiuto, basato sul solo argomento formale della mancata attuazione della strumentazione urbanistica di dettaglio.
Nel caso di zone parzialmente urbanizzate il diniego può essere opposto soltanto nel caso in cui l'Amministrazione abbia adeguatamente valutato lo stato di urbanizzazione già presente nella zona e abbia congruamente evidenziato le concrete e ulteriori esigenze di urbanizzazione indotte dalla nuova costruzione.
Tuttavia, il richiamato indirizzo giurisprudenziale può trovare applicazione solo nell’ipotesi, del tutto eccezionale, che si sia già realizzata una situazione di fatto che da quegli strumenti consenta con sicurezza di prescindere, in quanto risultano oggettivamente non più necessari, essendo stato pienamente raggiunto il risultato (id est: l’adeguata dotazione di infrastrutture, primarie e secondarie previste dal piano regolatore) cui sono finalizzati.
Per l’applicazione del principio, insomma, è necessario che lo stato delle urbanizzazioni sia tale da rendere assolutamente superflui gli strumenti attuativi.
Tale situazione, del tutto peculiare, deve riguardare l’intero contenuto previsto dal piano regolatore generale e deve concernere le urbanizzazioni primarie e quelle secondarie in riferimento all’assetto definitivo dell’intero ambito territoriale di riferimento.
La verifica, pertanto, non può essere limitata alle sole aree di contorno dell’edificio progettato, ma deve riguardare l’intero comprensorio che dagli strumenti attuativi dovrebbe essere pianificato.
Ogni altra soluzione avrebbe evidentemente il torto di trasformare lo strumento attuativo in un atto sostanzialmente facoltativo, non più necessario ogniqualvolta, a causa di precedenti abusi edilizi sanati, di preesistenti edificazioni ovvero del rilascio di singole concessioni edilizie illegittime, il comprensorio abbia già subito una qualche urbanizzazione, anche se la stessa non soddisfa pienamente le indicazioni del piano regolatore.

Com’è noto, secondo un consolidato indirizzo giurisprudenziale, nel caso di lotto intercluso o in altri analoghi casi nei quali la zona risulti totalmente urbanizzata, attraverso la realizzazione delle opere e dei servizi atti a soddisfare i necessari bisogni della collettività -quali strade, spazi di sosta, fognature, reti di distribuzione del gas, dell'acqua e dell'energia elettrica, scuole, etc.- lo strumento urbanistico esecutivo non può ritenersi più necessario e non può, pertanto, essere consentito all'Ente locale di trincerarsi dietro l'opposizione di un rifiuto, basato sul solo argomento formale della mancata attuazione della strumentazione urbanistica di dettaglio (cfr., per tutte, TAR Campania, IV Sezione, 06.06.2000 n. 1819).
Nel caso di zone parzialmente urbanizzate il diniego può essere opposto soltanto nel caso in cui l'Amministrazione abbia adeguatamente valutato lo stato di urbanizzazione già presente nella zona e abbia congruamente evidenziato le concrete e ulteriori esigenze di urbanizzazione indotte dalla nuova costruzione (cfr., C.d.S., Ad. Plen., 06.10.1992 n. 12; V Sezione, 03.10.1997 n. 1097, 25.10.1997 n. 1189 e 18.08.1998 n. 1273; TAR Lazio, II Sezione, 29.09.2000 n. 7649; TAR Campania, IV Sezione, 02.03.2000 n. 596 e 18.05.2000 n. 1413).
Ritiene però questa Sezione, secondo un orientamento già più volte espresso, che il richiamato indirizzo giurisprudenziale può trovare applicazione solo nell’ipotesi, del tutto eccezionale, che si sia già realizzata una situazione di fatto che da quegli strumenti consenta con sicurezza di prescindere, in quanto risultano oggettivamente non più necessari, essendo stato pienamente raggiunto il risultato (id est: l’adeguata dotazione di infrastrutture, primarie e secondarie previste dal piano regolatore) cui sono finalizzati.
Per l’applicazione del principio, insomma, è necessario che lo stato delle urbanizzazioni sia tale da rendere assolutamente superflui gli strumenti attuativi.
Tale situazione, del tutto peculiare, deve riguardare l’intero contenuto previsto dal piano regolatore generale e deve concernere le urbanizzazioni primarie e quelle secondarie in riferimento all’assetto definitivo dell’intero ambito territoriale di riferimento.
La verifica, pertanto, non può essere limitata alle sole aree di contorno dell’edificio progettato, ma deve riguardare l’intero comprensorio che dagli strumenti attuativi dovrebbe essere pianificato.
Ogni altra soluzione avrebbe evidentemente il torto di trasformare lo strumento attuativo in un atto sostanzialmente facoltativo, non più necessario ogniqualvolta, a causa di precedenti abusi edilizi sanati, di preesistenti edificazioni ovvero del rilascio di singole concessioni edilizie illegittime, il comprensorio abbia già subito una qualche urbanizzazione, anche se la stessa non soddisfa pienamente le indicazioni del piano regolatore (cfr. TAR Campania, Napoli, II, n. 1001/2007, 6538/2005, 2925/2004; 11664/2004) (TAR Campania-Napoli, Sez. II, sentenza 11.07.2007 n. 6669 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AGGIORNAMENTO AL 18.01.2012

ã

UTILITA'

SICUREZZA LAVORO: Responsabilità in materia di sicurezza sul lavoro.
ANCE, come formalizzare un atto di delega di funzioni? L’Associazione Nazionale Costruttori Edili ha predisposto un documento sulla responsabilità in materia di sicurezza sul lavoro che si occupa, in particolare della c.d. “delega di funzioni”. L’art. 16 del D.Lgs. n. 81/2008 e successive modifiche definisce come deve essere formalizzato un atto di delega affinché sia efficace sotto il profilo delle responsabilità del delegato e del delegante.
A tal fine, l’Associazione Nazionale Costruttori Edili ha predisposto un documento sulla “delega di funzioni”, composto da due parti:
- la prima parte approfondisce le figure rilevanti previste dal Testo Unico sulla sicurezza (datore di lavoro, dirigente, proposto, Rspp) analizzando le relative posizioni di garanzia ed effettuando un’ampia trattazione giuridica sulla delega di funzioni;
- la seconda parte riporta esempi di lettere di incarico ed esempi di deleghe di funzioni in materia di sicurezza che possono essere adattare dai datori di lavoro alla realtà organizzativa della loro impresa (16.01.2012 - commento tratto da www.ipsoa.it).

LAVORI PUBBLICI: VADEMECUM DEL LEASING PUBBLICO (ASSILEA, ottobre 2011).

GURI - GUUE - BURL (e anteprima)

AMBIENTE-ECOLOGIA: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 3 del 17.01.2012 "Approvazione del “Manuale dei controlli ispettivi” per l’aiuto “Misure forestali” - L.r. 31/2008 artt. 25, 26, 40 comma 5 lettera B), 55 comma 4 e 56" (decreto D.S. 21.12.2011 n. 12686).

SINDACATI

ENTI LOCALILa gestione associata delle funzioni comunali - La disciplina delle unioni di comuni a seguito dei recenti provvedimenti governativi (CGIL-FP di Bergamo, nota 14.01.2012).

DOTTRINA E CONTRIBUTI

EDILIZIA PRIVATA: A. Quaranta, Eolico, autorizzazione sospesa solo per gravi motivi (link a www.ipsoa.it).

NOTE, CIRCOLARI E COMUNICATI

APPALTI - EDILIZIA PRIVATA: Oggetto: Documento Unico di regolarità Contributiva (DURC) - art. 44-bis, D.P.R. n. 445/2000 - non autocertificabilità (Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, nota 16.01.2012 n. 619 di prot.).
---------------
Il DURC non è autocertificabile.

Anche se secondo la nuova formulazione dell'art. 44-bis del DPR n. 445/2000, le informazioni relative alla regolarità contributiva sono acquisite d’ufficio, ovvero controllate dalla PP.AA. procedenti, nel rispetto della normativa di settore, questo non significa che il DURC sia autocertificabile.
In virtù della Legge n. 183/2011, l’attuale art. 44-bis del DPR n. 445/2000 stabilisce che le informazioni relative alla regolarità contributiva sono acquisite d’ufficio, ovvero controllate ai sensi dell’art. 71, dalla PP.AA. procedenti, nel rispetto della normativa di settore.
Con nota 16.01.2012 n. 619 di prot., il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali chiarisce che l’art. 44-bis citato stabilisce semplicemente le modalità di acquisizione e gestione del DURC senza intaccare il principio secondo cui le valutazioni effettuate da un Organismo tecnico (in questo caso gli istituti previdenziali o assicuratore o Casse edili) non possono essere sostituite da un’autodichiarazione, che non insiste né sui fatti, né su status, né su qualità personali.
Quindi, conclude la nota ministeriale, il riferimento nell’ambito dell’art. 44-bis ad un controllo delle informazioni relative alla regolarità contributiva “ai sensi dell’art. 71” lascia intendere la possibilità, da parte delle PP.AA., di acquisire un DURC (e non un’autocertificazione) da parte del soggetto interessato, i cui contenuti potranno essere vagliati dalla stessa P.A. con le modalità previste per la verifica delle autocertificazioni (commento tratto da www.ispoa.it).

ENTI LOCALI - VARI: Oggetto: Disposizioni in materia di procedimenti sanzionatori antiriciclaggio (decreto legislativo del 27.11.2011, n. 231) (Ragioneria Generale dello Stato, circolare 16.01.2012 n. 2).

CORTE DEI CONTI

CONSIGLIERI COMUNALII chiarimenti delle sezioni unite della corte dei conti. I gettoni dei politici locali restano ridotti del 10%.
Ad oggi, l'ammontare delle indennità e dei gettoni di presenza spettanti agli amministratori e agli organi politici delle regioni e degli enti locali, è quello in godimento alla data di entrata in vigore del dl 112/2008, vale a dire, di quell'importo rideterminato in diminuzione del 10%, dalla legge finanziaria 2006.
Inoltre, rilevato che l'intera materia relativa al meccanismo di determinazione degli emolumenti è stata rivista dall'art. 5, comma 7, del dl 78/2010, la quale demanda a un successivo decreto del ministro dell'interno la revisione degli importi tabellari e che tale decreto non risulta ancora approvato, si deve ritenere ancora vigente il precedente meccanismo di determinazione dei compensi ex dm 04.08.2000.

Lo hanno messo nero su bianco le sezioni riunite di controllo della Corte dei conti, nel testo della delibera 12.01.2012 n. 1 pubblicata ieri sul sito internet istituzionale della magistratura contabile in risposta ad apposita richiesta di intervento posta dalla sezione regionale di controllo ligure, per sapere se, ai fini della quantificazione dell'indennità di funzione degli amministratori locali e dei gettoni di presenza dei consiglieri comunali, sia tuttora vigente l'art. 1, il comma 54 della Finanziaria 2006, che ha disposto la riduzione del 10 per cento dei predetti compensi rispetto a quanto percepito dagli interessati alla data del 30.09.2005.
Sul punto, l'indirizzo prevalente era nel senso di ritenere applicabile la normativa contenuta nella Finanziaria solo per il predetto esercizio finanziario 2006 (sezione Toscana n. 11P/2007) e ritenere la stessa comunque abrogata dall'art. 2, comma 25, della Finanziaria 2008 e dall'art. 61, comma 10, del dl n. 112/2008 (su tutte, sez. autonomie n. 6/2010). La sezione ligure, invece, sostiene l'attuale vigenza del citato art. 1, comma 54, contrariamente all'orientamento maggioritario citato, sulla considerazione che l'art. 2, comma 25, della legge finanziaria 2008 non ha modificato il comma 11 dell'art. 82 del Tuel e non ha introdotto alcun meccanismo di determinazione delle indennità di funzione che non fosse già esistente. L'art. 1, comma 54, legge n. 266/2005 ha disposto che «per esigenze di coordinamento della finanza pubblica, indennità e gettoni di presenza sono rideterminati in diminuzione del 10% rispetto all'ammontare risultante alla data del 30.09.2005».
Ora, in mancanza di un limite temporale alla vigenza della predetta disposizione, per le sezioni unite il taglio operato può ritenersi strutturale, vale a dire con un orizzonte temporale non limitato all'esercizio 2006. A ciò si aggiunga che l'art. 5, comma 7, del dl n. 78/2010 ha previsto che con decreto del ministro dell'interno, gli importi delle indennità già determinate ai sensi dell'articolo 82 Tuel dovranno essere diminuiti in diverse percentuali, con riferimento alla popolazione residente.
Sulla scorta di questa normativa, le sezioni riunite ritengono che, ad oggi, l'ammontare delle indennità e dei gettoni di presenza spettanti agli amministratori e agli organi politici delle Regioni e degli enti locali, non può che essere quello in godimento alla data di entrata in vigore del citato dl 112 del 2008, vale a dire dell'importo rideterminato in diminuzione ai sensi della legge finanziaria 2006. Posto, poi, che il decreto Mininterno di rideterminazione delle indennità e dei gettoni non risulta ancora approvato, si deve ritenere ancora vigente il precedente meccanismo di determinazione dei compensi.
Inoltre, le sezioni riunite hanno ritenuto che la disposizione di cui all'art. 1, comma 54, legge n. 266/2005 sia ancora vigente, in quanto «ha prodotto un effetto incisivo sul calcolo delle indennità che perdura ancora, pur non potendo incrementare i valori delle indennità così come vigenti prima della legge finanziaria 2006». Infatti, essendo il dl n. 78/2010 finalizzato al contenimento della spesa pubblica, di tale vigenza dovrà tenersi altresì conto all'atto della rideterminazione degli importi dei compensi (articolo ItaliaOggi del 17.01.2012 - tratto da www.corteconti.it).

CONSIGLIERI COMUNALIIndennità Amministratori locali.
La Corte dei Conti Sezioni Riunite di Controllo, con delibera 12.01.2012 n. 1, si pronuncia sulla seguente questione di massima rimessa dalla Sez. Reg.le Liguria:
"...stabilire se, ai fini della quantificazione dell'indennità di funzione degli amministratori locali e dei gettoni di presenza dei consiglieri comunali, sia tuttora vigente l'art. 1, comma 54, legge 23.12.2005, che ha disposto la riduzione del 10% dei predetti compensi rispetto a quanto percepito dagli interessati al 30.09.2005".
Questo, in conclusione, il parere della Corte:
"Ritengono, dunque, conclusivamente queste Sezioni Riunite che, all'attualità, l'ammontare delle indennità e dei gettoni di presenza spettanti agli amministratori e agli organi politici delle Regioni e degli Enti locali, non possa che essere quello in godimento alla data di entrata in vigore del citato DL 112 del 2008, cioè dell'importo rideterminato in diminuzione ai sensi della legge finanziaria per il 2006; ritengono altresì di richiamare come l'intera materia concernente il meccanismo di determinazione degli emolumenti all'esame è stata da ultimo rivista dall'art. 5, comma 7, del DL 78 del 2010, convertito nella legge 122 del medesimo anno, che demanda ad un successivo decreto del Ministro dell'Interno la revisione degli importi tabellari, originariamente contenuti nel d.m. 04.08.2000 n. 119 sulla base di parametri legati alla popolazione, in parte diversi da quelli originariamente previsti. Ad oggi, il decreto non risulta ancora approvato e deve pertanto ritenersi ancora vigente il precedente meccanismo di determinazione dei compensi.
Alla luce del quadro normativo richiamato e della ratio di riferimento, nonché di tutte le argomentazioni che precedono, ritengono altresì queste Sezioni riunite che la disposizione di cui all'art. 1, comma 54, legge n. 266/2005 sia disposizione ancora vigente, in quanto ha prodotto un effetto incisivo sul calcolo delle indennità in questione che perdura ancora, e non può essere prospettata la possibilità di riespandere i valori delle indennità così come erano prima della legge finanziaria 2006; ed essendo il DL n. 78 finalizzato al contenimento della spesa pubblica, di tale vigenza dovrà tenersi altresì conto all'atto della rideterminazione degli importi tabellari dei compensi relativi, nel senso che quanto spettante ai singoli amministratori non potrà, in ogni caso, essere superiore a quanto attualmente percepito
." (tratto da www.publika.it).

QUESITI & PARERI

AMBIENTE-ECOLOGIA: Responsabilità da posizione.
Domanda.
In materia di bonifica e di risanamento ambientale di un sito contaminato, cosa deve intendersi per responsabilità da posizione?
Risposta.
Il Consiglio di stato, sezione VI, con la sentenza del 15.07.2010, n. 4561, ha affermato che il proprietario di un sito contaminato, non responsabile di detta contaminazione, è destinatario di una responsabilità «da posizione». Detta responsabilità non soltanto è svincolata dai profili soggettivi di dolo o di colpa, ma è anche svincolata dal nesso di causalità tra la condotta del proprietario e la contaminazione dell'area. Per il consiglio di stato, il proprietario dell'area contaminata, in virtù della responsabilità «da posizione», è «tenuto a sostenere i costi connessi agli interventi di bonifica esclusivamente in ragione dell'esistenza dell'onere reale sul sito».
E, detto proprietario, per evitare detto onere reale sul sito, ha facoltà di scegliere (al riguardo non vi è uno specifico obbligo di legge) di sostenere i costi delle operazioni di bonifica. Infatti, come puntualizzato pure dal Tribunale regionale amministrativo (Tar) Campania, Napoli, Sezione I, con la sentenza dell'08.042010, numero 1824, il proprietario del sito, non responsabile resta, in ogni caso, soggetto «all'onere di eseguire gli interventi ambientali al fine di evitare l'espropriazione del terreno, gravato ex lege da onere reale e privilegio speciale».
Pertanto, nella fattispecie, il proprietario del sito, non responsabile, ha due possibilità, in alternativa: 1) bonificare spontaneamente l'area inquinata; 2) vedere gravare il fondo dell'onere reale, e relativo privilegio speciale, a favore della pubblica amministrazione, obbligata, (mancata l'individuazione del responsabile dell'inquinamento) a procedere d'ufficio.
Pertanto, l'onere reale è una obbligazione che grava sul bene (res); comporta che il proprietario del bene è destinatario degli obblighi di dare o di facere, propri della garanzia che grava sul fondo. Inoltre, detto onere si trasmette con il passaggio di proprietà del bene onerato.
«Il terreno sottoposto a fenomeni di inquinamento è senz'altro soggetto ad espropriazione che il proprietario, ancorché non responsabile, ha l'onere di evitare ponendo in essere gli interventi di bonifica alla stregua del soggetto responsabile», scrive il Tribunale regionale amministrativo (Tar) Piemonte, Torino, con la sentenza del 21.11.2008, n. 2928 (articolo ItaliaOggi Sette del 16.01.2012

AMBIENTE-ECOLOGIA: Responsabilità «da posizione».
Domanda.
Il proprietario di un sito contaminato, non responsabile di detta contaminazione, destinatario di una responsabilità «da posizione», può rivalersi nei confronti dell'autore dell'inquinamento?
Risposta.
Il Tribunale regionale amministrativo (Tar) Lazio, Roma, Sezione I, con la sentenza del 14.03.2011, n. 2263, affrontando la problematica del proprietario di un sito contaminato, non responsabile di detta contaminazione, destinatario di una responsabilità «da posizione», ha affermato che: «Proprio perché il proprietario non è estraneo alle vicende successive all'accertata contaminazione dell'immobile oggetto del suo diritto; proprio perché egli è tenuto ad attuare le misure di prevenzione necessarie; proprio perché egli può –anche in vista delle conseguenze future in cui potrebbe incorrere ex art. 253– sempre farsi carico volontariamente degli interventi necessari, non sussiste alcun impedimento a ritenere che il proprietario possa essere reso destinatario dall'Amministrazione competente –salvo sua rivalsa nei confronti del responsabile– degli interventi di messa in sicurezza, bonifica e ripristino ambientale, e ciò senza che tale attribuzione consegua o sia indice di una sua responsabilità.
In altre parole, se il proprietario è in definitiva il soggetto al quale, pur senza sua responsabilità, vengono poste a carico le obbligazioni risarcitorie conseguenti all'inquinamento (e ciò proprio e solo perché proprietario), ben può lo stesso proprietario essere reso destinatario di un obbligo di attuare i necessari interventi, salva successiva rivalsa nei confronti del responsabile, che l'amministrazione ha l'obbligo di individuare
».
Per il succitato tribunale regionale amministrativo (Tar) Lazio, «chi inquina paga»: Infatti, il nostro ordinamento, aggiungono i suddetti giudici, «che vede giustamente, nei modi sopradescritti, l'affermazione della responsabilità dell'autore dell'illecito, non giunge fino al punto di addossare alla collettività le conseguenze di tale inquinamento, ponendo in rilievo la particolare posizione del proprietario».
Si rimanda, pure, alle sentenze del 17.12.2009, n. 837, Sezione I, del tribunale regionale amministrativo (Tar), Friuli–Venezia Giulia, e del 03.01.2011, n. 6, del tribunale regionale amministrativo (Tar), Friuli–Venezia Giulia, sezione I (articolo ItaliaOggi Sette del 16.01.2012

APPALTI: Fondo di Previdenza Volontario Previambiente, il mancato pagamento contributi esclude dalla gara d'appalto?
Domanda.
Anche il mancato versamento dei contributi al Fondo di Previdenza Volontario Previambiente (fatto che non risulta dal DURC che riguarda contributi INAIL e INPS) può essere considerato una grave violazione in materia di pagamento di contributi che giustifica l'esclusione dalla gara ai sensi dell'art. 38, comma 1, lettera i), del D.Lgs. 12-04-2006, n. 163?
Risposta.
I versamenti volontari possono essere effettuati dai lavoratori che hanno cessato o interrotto l'attività lavorativa, per:
- perfezionare i requisiti di assicurazione e di contribuzione necessari per raggiungere il diritto ad una prestazione pensionistica;
- incrementare l'importo del trattamento pensionistico a cui si avrebbe diritto, se sono già stati perfezionati i requisiti contributivi richiesti.
Il rilascio dell'autorizzazione ai versamenti volontari è subordinato alla cessazione ovvero all'interruzione del rapporto di lavoro che ha dato origine all'obbligo assicurativo.
L'autorizzazione ai versamenti volontari, peraltro, può essere concessa anche se il rapporto di lavoro (subordinato o autonomo) non è cessato nel caso di:
- sospensione dal lavoro, anche per periodi di breve durata se tali periodi sono assimilabili all'interruzione o cessazione del lavoro (aspettativa per motivi di famiglia, ecc... );
- sospensione o interruzione del rapporto di lavoro previsti da specifiche norme di legge o disposizioni contrattuali successivi al 31-12-1996 (congedi per formazione, congedi per gravi e documentati motivi familiari, aspettativa non retribuita per motivi privati o malattia, sciopero, interruzione del rapporto di lavoro con conservazione del posto per servizio militare, ecc....) in alternativa alla possibilità di riscatto come previsto dall'art. 5 del D.Lgs. 16-09-1996, n. 564;
- attività svolta con contratto di lavoro part-time, se effettuati a copertura o ad integrazione dei periodi di attività lavorativa svolta a orario ridotto.
L'art. 38, comma 1, lettera i), D.Lgs. 12-04-2006, n. 163 stabilisce che "sono esclusi dalla partecipazione alle procedure di affidamento delle concessioni e degli appalti di lavori, forniture e servizi, né possono essere affidatari di subappalti, e non possono stipulare i relativi contratti i soggetti che hanno commesso violazioni gravi, definitivamente accertate, alle norme in materia di contributi previdenziali e assistenziali, secondo la legislazione italiana o dello Stato in cui sono stabiliti".
E' evidente che la norma fa riferimento solo alla contribuzione obbligatoria e non a quella facoltativa o volontaria che, peraltro, spetta solo al lavoratore (13.01.2012 - tratto da www.ispoa.it).

NEWS

EDILIZIA PRIVATA - VARI: Case in costruzione in garanzia. Le compravendite di immobili su carta sono meno rischiose. Excursus sugli strumenti legislativi a favore dell'acquirente per tutelarsi dalle truffe.
Risparmiare circa il 10% sul costo della compravendita della casa. In alternativa all'acquisto di un immobile già edificato, infatti, si può ricorrere all'acquisto su carta, in cui occorre versare in anticipo buona parte della somma prevista anche se la casa è ancora solo un progetto o è in costruzione. Una soluzione vantaggiosa che però presenta anche alcune incognite e il rischio truffa è sempre dietro l'angolo. Ma la norma arriva in soccorso degli acquirenti.
A cosa fare attenzione. Oltre al risparmio sul costo totale dell'immobile, l'acquisto su carta presenta anche il vantaggio di non dover sostenere interventi di ristrutturazione per diversi anni. Occorre, però, fare attenzione ad alcuni aspetti, come l'incognita dei tempi di consegna che possono protrarsi ben oltre il previsto. Poi, un capitolo a parte meritano le truffe, anche quelle sempre in agguato se si opta per questo tipo di soluzione.
Per tutelarsi, prima di acquistare il progetto, è bene verificare le autorizzazioni rilasciate al costruttore dal comune. Si tratta di un primo passo per evitare le potenziali truffe, con ditte che vendono i progetti e poi spariscono nel nulla. Quindi meglio ricorrere a imprese edili che non siano alle prime armi e che abbiano già realizzato e soprattutto consegnato altri lavori. Infine, se si acquista da una cooperativa, verificare al catasto che il comune abbia rilasciato i diritti di costruzione oltre a quelli di superficie.
Un decreto legge a tutela dell'acquirente. Fino a qualche anno fa la normativa a riguardo presentava molte lacune e le statistiche parlavano di numerose famiglie messe in ginocchio da truffe immobiliari e fallimenti fraudolenti di ditte di costruzione. Un situazione che ha portato all'emanazione del dlgs 20.06.2005, n. 122 che stabilisce le «Disposizioni per la tutela dei diritti patrimoniali degli acquirenti di immobili da costruire». Un decreto che si applica in tutti i casi di vendita di immobili in costruzione, a prescindere che l'operazione sia conclusa direttamente da chi segue i lavori o tramite intermediario. La tutela, inoltre, è riservata esclusivamente alle persone fisiche (sono escluse le società) e non si applica solo a partire dalla compravendita, ma già in fase di trattativa, quindi al contratto preliminare, al compromesso, alle promesse unilaterali, alle caparre e così via.
La fideiussione per le somme versate. In particolare, per tutelare i compratori, il decreto impone a chi riceve somme per un immobile in costruzione, a titolo di anticipo o caparra, di prestare una fideiussione, che può essere di tipo bancario o assicurativo, a favore del futuro acquirente pari alla cifra versata o da versare in corso di costruzione entro la stipula del contratto preliminare. In caso di inadempimento il compratore può dichiarare il contratto nullo e quindi ottenere indietro la somma, oltre a chiedere eventuali danni. È possibile inoltre aggiornare la fideiussione, ampliando il suo valore ogni volta che vengono versati degli importi in fase di costruzione.
Si tratta di una garanzia che può essere fatta valere in caso di fallimento, esecuzione immobiliare, concordato preventivo, amministrazione controllata o liquidazione coatta e che costituisce un diritto di prelazione sugli altri creditori. La garanzia però non vale al di fuori dei casi indicati: se il cantiere è bloccato per altri motivi bisogna ricorrere alle vie legali. È quindi sempre consigliabile dare meno soldi possibile in anticipo e commisurarli allo stato di avanzamento delle opere. La norma non trova applicazione anche nel caso non sia ancora stato chiesto il permesso di costruire o non sia stata presentata la dichiarazione di inizio attività, così come quando sia già possibile richiedere il rilascio dell'agibilità.
Da non dimenticare che questa regola non rappresenta solo un diritto dell'acquirente ma è soprattutto un obbligo del costruttore. Si tratta però di una garanzia ancora poco conosciuta e poco applicata dalle società edili. «Si tratta», afferma il notaio Gabriele Noto, membro del consiglio nazionale del notariato, «dell'unico strumento serio per recuperare i soldi investiti ma spesso per superficialità o per scarsa conoscenza non ci si avvale di questa possibilità. Infatti, nei preliminari non notarili la percentuale di fideiussioni è drammaticamente bassa, quasi vicina allo zero». In effetti, confrontando il fatturato delle nuove abitazioni al netto degli importi versati al rogito e l'ammontare delle fideiussioni, si stima che solo in un caso su quattro il versamento di denaro dall'acquirente al costruttore è assicurato.
«Un fenomeno», prosegue Noto, «acuito anche dal fatto che non sono previste sanzioni severe per il costruttore in caso di mancato rispetto della norma. È poi difficile controllare la sua applicazione perché l'obbligo scatta al momento del preliminare ed è raro che in questa fase ci si rivolga a un notaio, cosa invece consigliabile. Per aiutare l'acquirente a conoscere e affrontare i rischi legati a questa particolare tipologia di compravendita abbiamo elaborato come Consiglio nazionale del notariato anche una guida “Acquisto in costruzione. La tutela nella compravendita di un immobile da costruire”, in collaborazione con 12 associazioni dei consumatori».
L'assicurazione dell'immobile. Un altro importante aspetto previsto dal dlgs 122/2005 riguarda l'obbligo per il costruttore di rilasciare all'acquirente con cui si è già impegnato una polizza assicurativa della durata di almeno dieci anni, e con effetto a decorrere dalla data di completamento dei lavori, che copra il rischio di danni sopravvenuti all'edificio o difetti costruttivi gravi.
Si tratta di un obbligo che viene in genere rispettato visto che l'assicurazione decorre dal momento del rogito e i notai in genere accertano la sua esistenza. «Anche in questo caso», conclude Noto, «non è prevista una sanzione specifica per il mancato rilascio, ma nella maggior parte dei casi la norma viene rispettata perché il costo per il costruttore è inferiore rispetto alla fideiussione e non mette in discussione la consistenza patrimoniale dell'impresa».
Al notaio è poi vietato di procedere alla compravendita se prima o contestualmente alla stipula non si sia proceduto al frazionamento del mutuo sull'immobile con o senza il suo accollo da parte dell'acquirente (articolo ItaliaOggi Sette del 16.01.2012).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Sistri, nuove regole in corso d'opera. Chiavette usb ad hoc per semplificare l'applicazione del sistema. È in G.U. il decreto 219/2011 che riscrive le procedure per la tracciabilità online dei rifiuti.
Dispositivi usb ad hoc per interoperatività e semplificazioni nelle comunicazioni dei dati. Più strumenti informatici a disposizione delle grandi imprese per colloquiare con il Sistri, dispositivi ad hoc per interfacciare con il cervellone dello stato software gestionali di terze parti, procedure semplificate per la gestione delle emergenze e mutazioni aziendali.
Dopo lo slittamento al 02.04.2012 della partenza degli obblighi operativi del nuovo sistema di tracciamento telematico dei rifiuti, sancito dal dl 216/2011, un nuovo decreto del ministero dell'ambiente (il dm 10.11.2011, n. 219) riformula le regole procedurali per l'interazione con il cervellone Sistri. Il nuovo provvedimento (pubblicato sul supplemento ordinario n. 5 della G.U. 05.01.2012 e in vigore dal giorno successivo) riscrive, infatti, il dm 18.02.2011 n. 52 dello stesso Dicastero (meglio noto come «Testo unico Sistri») rivedendo tutti gli anelli della filiera: dispositivi usb, responsabilità sulla comunicazione dei dati, compilazione schede elettroniche, problemi di connettività e cambiamenti di titolarità nella gestione dei rifiuti.
Dispositivi Usb. Con il nuovo dm 219/2011 cresce il numero di dispositivi usb che gli operatori (ossia gli enti e le imprese che aderiscono al sistema di tracciabilità telematica) possono utilizzare per la comunicazione al Sistri dei dati dei rifiuti gestiti, e ciò anche con la precisazione della loro attribuibilità a singole «unità operative», quali (come definiti dal nuovo decreto) reparti, impianti o stabilimenti (interni alle unità locali) da cui sono autonomamente originati i rifiuti.
Dispositivi Usb interoperatività. Esordiscono con il dm 219/2011 i nuovi «dispositivi Usb per l'interoperatività», quali sistemi che consentono agli operatori di interfacciare direttamente con il cervellone Sistri i software gestionali dei rifiuti di terze parti accreditati. Tali dispositivi consentono di firmare direttamente attraverso il software utilizzato le schede Sistri nelle quali vengono registrati i dati relativi ai beni a fine vita.
Responsabilità. Responsabili della custodia dei dispositivi usb, specifica il nuovo dm ambiente 219/2011, sono da considerarsi sempre i rappresentanti legali delle imprese che aderiscono al sistema di tracciamento telematico dei rifiuti e, dunque, non i soggetti da questi eventualmente delegati al loro utilizzo.
I luoghi di conservazione dei dispositivi, ancora, potranno però essere diversi dalle unità locali (od «operative») nelle quali vengono effettuate operazioni di gestione dei rifiuti qualora esse non abbiano un sistema di vigilanza o di controllo degli accessi. I soggetti delegati all'inserimento dei dati da altri soggetti ricevuti nelle schede Sistri saranno responsabili soltanto del loro corretto inserimento nel sistema informatico e non più (come prevedeva la pregressa e originaria versione del dm 52/2011) della veridicità degli stessi.
Piccoli produttori. I produttori di rifiuti speciali pericolosi con non più di dieci dipendenti, in relazione ai quali gli adempimenti operativi Sistri scatteranno in pieno solo dopo l'01.06.2012 (in una data che specificata da un futuro dm Ambiente) dovranno dal 02.04.2012, nel caso conferiscano i propri rifiuti a imprese di trasporto professionali, comunicare a questi i dati relativi ai rifiuti movimentati necessari alla compilazione della relativa scheda Sistri e conservarne (per tre anni) le relative copie che riceveranno dal trasportatore e dall'impianto di recupero/smaltimento.
Gestione emergenze. La scriminante della mancata disponibilità dei mezzi informatici per effettuare le dovute comunicazioni al Sistri entro le previste tempistiche contemplerà anche le ipotesi in cui il problema sarà dovuto a ritardi nella consegna dei dispositivi da parte della Pubblica amministrazione o da problemi tecnici che hanno colpito soggetti a monte o a valle di quelli obbligati alle dichiarazioni.
In quest'ultimo caso è infatti prevista una procedura ausiliaria che permetterà agli operatori «imbottigliati» di registrare su una nuova scheda Sistri (da scaricare dal relativo portale) le informazioni sulla propria movimentazione dei rifiuti.
Mutazioni aziendali. Nessuna soluzione di continuità in caso di cessioni, affitti, trasformazioni, scissioni e fusioni aziendali. Tramite una apposita procedura (ibrida tra il cartaceo e l'informatico) sarà possibile comunicare i predetti cambiamenti al Sistri senza l'obbligo di dover restituire i dispositivi informatici necessari al colloquio con il sistema, i quali saranno semplicemente reindirizzati nell'intestazione.
L'operatività del Sistri. Il termine a partire dal quale i soggetti interessati dovranno adempiere agli obblighi operativi del Sistri (ossia: comunicazione rifiuti gestiti al cervellone gestito dall'Arma dei Carabinieri; tracciamento satellitare mezzi di trasporto; monitoraggio ingresso/uscite da discariche), lo ricordiamo, dipende dalla natura degli stessi: dal 9 febbraio al 02.04.2012 scatterà, infatti, (in base a quanto stabilito dal dl 216/2011, cd. «Milleproroghe») l'obbligo per i medi e grandi gestori di rifiuti; dopo l'01.06.2012 (e secondo la data stabilita da un futuro dm Ambiente) sarà invece la volta (secondo quanto stabilito dal dl 138/2011) dei produttori di rifiuti speciali pericolosi con non più di 10 dipendenti, compresi i produttori che effettuano il trasporto dei propri rifiuti entro i 30 kg/litri al giorno (articolo ItaliaOggi Sette del 16.01.2012).

APPALTI: Gare preparate nel dettaglio. L'iter da seguire se si deve scegliere l'offerta economicamente più vantaggiosa.
Appalti. Analisi delle proposte e attribuzione dei punteggi: le interpretazioni che sono state fornite dall'Avcp.

La gestione delle gare con l'offerta economicamente più vantaggiosa comporta un'accurata impostazione dei criteri, in rapporto alle specifiche prestazionali contenute nel capitolato, e lo sviluppo di un processo valutativo articolato in più fasi.
L'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici (Avcp) ha prodotto un complesso di importanti spiegazioni sulle modalità di impostazione dei sistemi di analisi delle proposte dei concorrenti e alle metodologie di attribuzione dei punteggi, fornendo un'interpretazione dell'allegato P del Dpr 207/2010 mediante la determinazione 7/2011 e un quaderno di approfondimento operativo.
L'Avcp sottolinea che la fase di gara dev'essere strettamente correlata a quella di progettazione e a quella di esecuzione. I criteri e i sub-criteri di valutazione e i loro pesi e sub-pesi vanno individuati sinergicamente dal responsabile del procedimento e dal progettista del contratto, chiamato a corredare gli elaborati, a base dell'affidamento, da un capitolato speciale descrittivo e prestazionale. Il capitolato e il progetto devono essere estremamente dettagliati e precisi, descrivendo i singoli elementi che compongono la prestazione e definendo i livelli qualitativi cui corrispondono i punteggi, affinché la commissione si limiti ad accertare la corrispondenza tra un punteggio e un livello predefinito. Secondo l'Autorità, infatti, quando si ricorre al criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa non è possibile lasciare parti del capitolato prestazionale generiche o indeterminate, per poi farle completare dalle offerte e, così, permettere alle commissioni valutazioni che integrano le scelte effettuate nel bando di gara.
L'Avcp configura il processo di valutazione delle offerte come combinazione di due fasi. Nella prima si ha la trasformazione dei valori delle offerte in coefficienti variabili tra zero e uno, secondo le indicazioni contenute nell'allegato P del regolamento attuativo, nella parte descrittiva del metodo aggregativo compensatore (ma sono utilizzabili anche con gli altri metodi multicriteriali). Nella determinazione 7/2011 si rileva che, se i criteri di valutazione hanno natura qualitativa, cioè intangibile, la trasformazione si effettua con uno dei metodi di natura scientifica esistenti nella letteratura; se i criteri, invece, hanno natura quantitativa, cioè tangibile, si ricorre a formule matematiche discendenti da cosiddette "funzioni di utilità".
La seconda fase della procedura di valutazione comporta la formazione della graduatoria, applicando il metodo previsto negli atti di gara. La determinazione si effettua sulla base dei coefficienti (variabili tra zero e uno) attribuiti (previa riparametrazione qualora i criteri di valutazione siano suddivisi in sub-criteri). In concreto, dopo che la commissione giudicatrice ha effettuato le valutazioni tecniche (confronto a coppie con tabella triangolare oppure con matrice quadrata, oppure coefficienti attribuiti discrezionalmente dai singoli commissari), trasformato questi valori in coefficienti e attribuito i coefficienti agli elementi quantitativi, occorre, attraverso gli stessi coefficienti, determinare, per ogni offerta, un dato numerico finale atto ad individuare l'offerta migliore. Si applicano quindi i metodi multicriteri e multiobiettivi indicati dal Dps 207/2010, quali l'aggregativo compensatore, l'electre, il topsis, l'evamix. Nessun metodo è in assoluto il migliore.
Quanto ai profili quantitativi, nella determinazione e nel quaderno di approfondimento si precisano alcuni aspetti per la gestione delle formule di attribuzione dei punteggi al prezzo. Il dato più importante è rilevabile nell'applicazione delle formule consigliate (proporzione lineare tra la singola offerta e quella più conveniente, proporzione lineare rispetto alla media delle offerte) con utilizzo del dato di ribasso percentuale. Se si usa il metodo con la soglia media delle offerte, l'Avcp evidenzia la necessità di utilizzare il coefficiente riequilibratore, perciò le stazioni appaltanti devono effettuare adeguate simulazioni per verificare la portata delle formule, al fine di evitare che la metodologia di attribuzione del punteggio al prezzo possa comprimere i valori delle offerte, penalizzando quelle qualitativamente più significative.
Le stazioni appaltanti devono operare la riparametrazione al punteggio massimo attribuibile ai punteggi assegnati ai criteri e ai sub-criteri di tipo qualitativo, poiché, se alla migliore offerta sul piano della qualità non viene attribuito il coefficiente uno, aumenta, nel giudizio, il peso del prezzo, con una conseguente alterazione dell'obiettivo prefissato dalla stazione appaltante (articolo Il Sole 24 Ore del 16.01.2012 - tratto da www.corteconti.it).

APPALTI: Sotto il milione di euro si può usare la procedura negoziata. In alternativa. La possibilità è condizionata al rispetto dell'articolo 122 del Codice dei contratti pubblici.
IL BILANCIAMENTO/ Non c'è obbligo di pubblicità preventiva, ma quella successiva (su lavori oltre 500mila euro) diventa più «ampia».

Le stazioni appaltanti possono utilizzare la procedura negoziata per affidare lavori pubblici per importi inferiori a un milione di euro, rispettando tuttavia in modo rigoroso la disciplina contenuta nell'articolo 122 del Codice dei contratti pubblici.
L'Avcp ha fornito, nella determinazione 8/2011, una serie di precisazioni e chiarimenti in ordine alla gestione delle gare informali per opere entro la soglia specifica, a fronte della riformulazione del comma 7 della stessa disposizione (effettuata dalla legge 106/20211).
Rispetto al numero minimo di operatori economici da invitare alle gare informali per l'aggiudicazione di un appalto entro la soglia particolare, l'Autorità evidenzia come la nuova norma abbia aumentato il numero minimo dei soggetti da coinvolgere, al fine di assicurare la massima concorrenzialità della procedura sia nella fascia entro i 500mila euro sia in quella sino a un milione di euro. Peraltro la determinazione evidenzia che le stazioni appaltanti devono aumentare il novero delle imprese invitate, se intendono ricorrere all'esclusione automatica delle offerte nelle gare con il prezzo più basso, per le quali la norma specifica (comma 9 dello stesso articolo 122) richiede la presentazione di almeno 10 offerte. Un numero più ampio di operatori coinvolti garantisce infatti le amministrazioni dal rischio che qualcuno non presenti l'offerta o la presenti in modo scorretto.
Secondo quanto rileva l'Avcp, nelle procedure negoziate per appalti di lavori di valore inferiore a un milione, se si usa il metodo del prezzo più basso, il regolamento attuativo (articolo 121 del Dpr 207/2010) prevede che, in presenza di meno di dieci offerte, non si proceda all'esclusione, ma alla verifica di congruità (articolo 86, comma 3 del Codice). La stessa procedura si deve attivare quando (a esempio, per un appalto inferiore ai 500mila euro) le offerte siano inferiori a cinque.
La determinazione 8/2011 si concentra sulle problematiche relative alla pubblicità delle procedure negoziate regolate dall'articolo 122 del Codice. La disposizione non ha infatti previsto, per le stazioni appaltanti, l'obbligo di pubblicità preventiva nella gara informale (in quanto rientra pur sempre tra le procedure derogatorie rispetto a quelle di massima evidenza pubblica), ma l'autorità precisa che sussistono ragioni di opportunità per l'evidenziazione del confronto agli operatori di mercato, affermando che ogni decisione in merito spetta a ciascuna amministrazione e va parametrata in funzione della tipologia di appalto e dell'importo.
Un consistente bilanciamento alla mancanza di prescrizioni in tema di pubblicità preventiva è fornito nella normativa dalle nuove e più chiare disposizioni inerenti agli obblighi di pubblicità successiva all'affidamento del l'appalto, che devono essere soddisfatti con avvisi pubblicati sulla «Gazzetta Ufficiale», sui siti del l'amministrazione, dell'osservatorio regionale, del ministero delle Infrastrutture, nonché, per estratto, su quotidiani nazionali e regionali. Tale complesso di adempimenti vale in particolare per gli appalti nella fascia tra 500mila euro e un milione, mentre al di sotto resta la semplificazione stabilita dallo stesso articolo 122, con la pubblicazione necessaria all'albo pretorio della stazione appaltante e del Comune dove si eseguono i lavori (articolo Il Sole 24 Ore del 16.01.2012 - tratto da www.corteconti.it).

GIURISPRUDENZA

EDILIZIA PRIVATAIl potere di applicare misure repressive in materia urbanistica ed edilizia può essere esercitato in ogni tempo, senza necessità, per i relativi provvedimenti, di alcuna specifica motivazione in ordine alla sussistenza dell'interesse pubblico a disporre una demolizione.
Il Collegio non ignora l’esistenza di un orientamento difforme secondo la quale invece “il lungo lasso di tempo trascorso dalla commissione dell'abuso” e “il protrarsi dell'inerzia dell'amministrazione preposta alla vigilanza” potrebbero ingenerare un affidamento del privato, rispetto al quale sussisterebbe un “onere di congrua motivazione” circa il “pubblico interesse, evidentemente diverso da quello al ripristino della legalità, idoneo a giustificare il sacrificio del contrapposto interesse privato”; ritiene però che tale orientamento non vada condiviso.
In proposito, si impone anzitutto il rilievo fatto proprio dalla citata decisione C.d.S. 5509/2009, ovvero che di affidamento si può parlare solo ove il privato, il quale abbia correttamente e in modo compiuto reso nota la propria posizione alla p.a., venga indotto da un provvedimento della stessa a ritenere la legittimità del proprio operato, non già nel caso che rileva, in cui si commette un abuso a tutta insaputa della p.a. medesima. Inoltre, l’abuso edilizio integra un illecito permanente, rappresentato dalla violazione dell’obbligo, perdurante nel tempo, di ripristinare in conformità a diritto lo stato dei luoghi; di talché ogni provvedimento repressivo dell’amministrazione non è emanato a distanza di tempo da un illecito ormai esaurito, ma interviene su una situazione antigiuridica che perdura sino a quel momento.
Non è poi privo di rilievo anche quanto osserva la già citata TAR Napoli 17441/2010. Infatti, la disciplina del potere di sanzionare gli abusi edilizi del quale la p.a. è titolare deve essere ricostruita anche tenendo conto di un dato storico, quello che in proposito ha visto, negli ultimi trent'anni, un costante ripetersi di misure straordinarie di sanatoria, a partire dalla nota l. 28.02.1985 n. 47. Ammettere quindi l’estinzione di un abuso per il mero decorso del tempo significherebbe allora, in primo luogo, costruire una sorta di sanatoria di fatto che opererebbe anche quando l’interessato non abbia ritenuto di avvalersi del corrispondente istituto previsto dalla citata normativa premiale, e quindi senza nemmeno la necessità di versare le oblazioni da essa previste. Per altro verso, poi, è comunque escluso che si possa parlare di affidamento tutelabile nel momento in cui di detta normativa l’interessato non abbia ritenuto di avvalersi.
Infine, si impone un rilievo ulteriore: consentire, così come fa l’interpretazione qui criticata, una sanatoria degli abusi edilizi per effetto del mero decorso di un periodo di tempo “lungo” ovvero “notevole” ma comunque non determinato con precisione, significa inserire nel sistema un pericoloso elemento di indeterminatezza, perché la repressione di un dato abuso nel caso concreto sarebbe rimessa all’apprezzamento del singolo funzionario, oltretutto pressoché impossibile da sindacare nella presente sede giurisdizionale, con intuibile possibilità di strumentalizzazioni.
Costante giurisprudenza della Sezione, da ultimo si citano TAR Brescia sez. I 22.02.2010 n. 860 e 25.11.2011 n. 1632, afferma infatti che il potere di applicare misure repressive in materia urbanistica ed edilizia può essere esercitato in ogni tempo, senza necessità, per i relativi provvedimenti, di alcuna specifica motivazione in ordine alla sussistenza dell'interesse pubblico a disporre una demolizione; in senso poi conforme si sono espresse anche numerose decisioni del C.d.S., ad esempio sez. IV, 15.09.2009, n. 5509, che si cita per tutte.
Il Collegio non ignora l’esistenza di un orientamento difforme, espresso, oltre che dalle decisioni di primo grado citate dalla ricorrente, ad esempio da C.d.S. sez. V 29.05.2006 n. 3270, ma anche dalla stessa sez. V nella decisione 04.03.2008 n. 883, secondo la quale invece “il lungo lasso di tempo trascorso dalla commissione dell'abuso” e “il protrarsi dell'inerzia dell'amministrazione preposta alla vigilanza” potrebbero ingenerare un affidamento del privato, rispetto al quale sussisterebbe un “onere di congrua motivazione” circa il “pubblico interesse, evidentemente diverso da quello al ripristino della legalità, idoneo a giustificare il sacrificio del contrapposto interesse privato”; ritiene però che tale orientamento non vada condiviso.
In proposito, si impone anzitutto il rilievo fatto proprio dalla citata decisione C.d.S. 5509/2009, ovvero che di affidamento si può parlare solo ove il privato, il quale abbia correttamente e in modo compiuto reso nota la propria posizione alla p.a., venga indotto da un provvedimento della stessa a ritenere la legittimità del proprio operato, non già nel caso che rileva, in cui si commette un abuso a tutta insaputa della p.a. medesima. Inoltre, come osservato da questa Sezione nella pure citata sentenza 860/2010, l’abuso edilizio integra un illecito permanente, rappresentato dalla violazione dell’obbligo, perdurante nel tempo, di ripristinare in conformità a diritto lo stato dei luoghi; di talché ogni provvedimento repressivo dell’amministrazione non è emanato a distanza di tempo da un illecito ormai esaurito, ma interviene su una situazione antigiuridica che perdura sino a quel momento.
Non è poi privo di rilievo anche quanto osserva la già citata TAR Napoli 17441/2010. Infatti, la disciplina del potere di sanzionare gli abusi edilizi del quale la p.a. è titolare deve essere ricostruita anche tenendo conto di un dato storico, quello che in proposito ha visto, negli ultimi trent'anni, un costante ripetersi di misure straordinarie di sanatoria, a partire dalla nota l. 28.02.1985 n. 47. Ammettere quindi l’estinzione di un abuso per il mero decorso del tempo significherebbe allora, in primo luogo, costruire una sorta di sanatoria di fatto che opererebbe anche quando l’interessato non abbia ritenuto di avvalersi del corrispondente istituto previsto dalla citata normativa premiale, e quindi senza nemmeno la necessità di versare le oblazioni da essa previste. Per altro verso, poi, è comunque escluso che si possa parlare di affidamento tutelabile nel momento in cui di detta normativa l’interessato non abbia ritenuto di avvalersi.
Infine, si impone un rilievo ulteriore: consentire, così come fa l’interpretazione qui criticata, una sanatoria degli abusi edilizi per effetto del mero decorso di un periodo di tempo “lungo”, come affermano C.d.S. 883/2008 e 3270/2006, ovvero “notevole”, come afferma ad esempio TAR Campania Napoli sez. VII 02.10.2009 n. 5138, ma comunque non determinato con precisione, significa inserire nel sistema un pericoloso elemento di indeterminatezza, perché la repressione di un dato abuso nel caso concreto sarebbe rimessa all’apprezzamento del singolo funzionario, oltretutto pressoché impossibile da sindacare nella presente sede giurisdizionale, con intuibile possibilità di strumentalizzazioni.
---------------
In linea generale, è certo vero quanto afferma anche la più recente giurisprudenza, per tutte C.d.S. sez. VI 16.02.2011 n. 986, ovvero che il provvedimento con il quale si dispone appunto l’archiviazione di un procedimento sanzionatorio in materia edilizia ha la valenza di un vero provvedimento negativo impugnabile, e quindi, secondo logica, che per sanzionare il medesimo abuso occorre una successiva riapertura del medesimo procedimento, con tutti i requisiti dell’autotutela.
E’ però altrettanto vero che nel caso di specie i requisiti in parola devono ritenersi rispettati: l’amministrazione, come si è detto, ha provveduto, con avviso del 12.05.2010 (doc. 7 ricorrente, cit.), e quindi di pochissimo posteriore alla archiviazione, a riaprire il procedimento, rispettando con ciò tutte le garanzie del contraddittorio, e a concluderlo in tempi parimenti assai brevi con il provvedimento impugnato, che quindi vale implicita revoca della precedente archiviazione.
E’ noto poi che per costante giurisprudenza, per tutte già C.d.S. sez. VI 13.02.1987 n. 43, per esercitare l’autotutela non occorre alcuna particolare motivazione sull’interesse pubblico sotteso, ove si vada ad incidere su situazioni non consolidate dal decorso del tempo, così come avvenuto nella specie, in cui in buona sostanza il Comune ha subito posto rimedio ad un errato apprezzamento della fattispecie (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 16.01.2012 n. 59 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICAA differenza di quanto accade per l’impugnativa dell’approvazione, il termine per impugnare l’adozione di uno strumento urbanistico generale decorre non già dalla pubblicazione degli atti relativi –di talché sono non pertinenti le precisazioni, in sé corrette, che il Comune svolge sul punto- ma dall’effettiva conoscenza degli stessi.
Le scelte operate in sede di pianificazione urbanistica sono appunto espressione di una discrezionalità molto ampia di cui l’ente territoriale dispone in materia, e pertanto non sono sindacabili in sede giurisdizionale di legittimità al di fuori dei casi di illogicità ovvero incoerenza manifeste.

Come è noto, a differenza di quanto accade per l’impugnativa dell’approvazione, il termine per impugnare l’adozione di uno strumento urbanistico generale decorre non già dalla pubblicazione degli atti relativi –di talché sono non pertinenti le precisazioni, in sé corrette, che il Comune svolge sul punto- ma dall’effettiva conoscenza degli stessi, così come affermato per tutte da C.d.S. sez. VI 01.03.2005 n. 813 e, nella giurisprudenza della Sezione, dalla sentenza 31.03.2004 n. 371.
E' costante l'insegnamento giurisprudenziale per cui il quale le scelte operate in sede di pianificazione urbanistica sono appunto espressione di una discrezionalità molto ampia di cui l’ente territoriale dispone in materia, e pertanto non sono sindacabili in sede giurisdizionale di legittimità al di fuori dei casi di illogicità ovvero incoerenza manifeste: per tutte, in tal senso, da ultimo C.d.S. sez. IV 24.02.2011 n. 1222 (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 16.01.2012 n. 56 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVILa motivazione di un qualunque provvedimento amministrativo deve rispondere ad un requisito minimo: consentire, quale che ne sia il contenuto, di ricostruire in modo agevole il percorso logico seguito nell’emanare il provvedimento stesso. La regola è intesa in modo ampio, nel senso che la motivazione si considera presente in tutti i casi in cui anche “a prescindere dal tenore letterale dell'atto finale, i documenti dell'istruttoria offrano elementi sufficienti ed univoci dai quali possano ricostruirsi le concrete ragioni… della determinazione assunta”.
L’onere di motivazione può essere assolto anche con il rinvio esplicito ad uno degli atti del procedimento, cd. motivazione per relationem: così come dispone il comma 3 dell’art. 3 L. 241/1990, infatti, “se le ragioni della decisione risultano da altro atto dell'amministrazione richiamato dalla decisione stessa, insieme alla comunicazione di quest'ultima deve essere indicato e reso disponibile, a norma della presente legge, anche l'atto cui essa si richiama”. In proposito, come ha chiarito la giurisprudenza, è sufficiente che l’atto richiamato sia offerto in copia o per lo meno in visione su istanza di parte.
In termini generali, è ben noto che la motivazione di un qualunque provvedimento amministrativo deve rispondere ad un requisito minimo: consentire, quale che ne sia il contenuto, di ricostruire in modo agevole il percorso logico seguito nell’emanare il provvedimento stesso, come affermato in via di principio, per tutte da C.d.S. sez. V 11.11.2005 n. 6347. La regola è intesa in modo ampio, nel senso che la motivazione si considera presente in tutti i casi in cui anche “a prescindere dal tenore letterale dell'atto finale, i documenti dell'istruttoria offrano elementi sufficienti ed univoci dai quali possano ricostruirsi le concrete ragioni… della determinazione assunta”, come affermato di recente da C.d.S. sez. IV 10.05.2005 n. 2231; rimane fermo però che tale ricostruzione deve essere possibile, e non meramente ipotetica o congetturale.
L’onere di motivazione poi, come previsto in modo espresso dall’art. 3 della l. 07.08.1990 n. 241, può essere assolto anche con il rinvio esplicito ad uno degli atti del procedimento, cd. motivazione per relationem: così come dispone il comma 3 dell’articolo in questione, infatti, “se le ragioni della decisione risultano da altro atto dell'amministrazione richiamato dalla decisione stessa, insieme alla comunicazione di quest'ultima deve essere indicato e reso disponibile, a norma della presente legge, anche l'atto cui essa si richiama”. In proposito, come ha chiarito la giurisprudenza, è sufficiente che l’atto richiamato sia offerto in copia o per lo meno in visione su istanza di parte: così sul punto C.d.S. sez. IV 24.12.2007 n. 6653 e 20.10.2000 n. 5619; resta però fermo che esso deve effettivamente consentire la ricostruzione di cui si è detto.
Il requisito minimo di motivazione inteso nei suddetti termini non è stato però nel caso di specie soddisfatto, dato che le ragioni per le quali il Comune ha ritenuto di negare il titolo edilizio richiesto dalla ricorrente sono rimaste, in ultima analisi, non comprensibili pur dopo l’espletata istruttoria. Secondo quanto risulta dal suo tenore letterale, così come riportato in premesse, il provvedimento impugnato ha negato quanto richiesto motivando per relationem con rinvio a due atti preesistenti, il che di per sé non è come si è detto illegittimo (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 16.01.2012 n. 44 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAL'art. 38 dpr 380/2001 rappresenta “speciale norma di favore” che differenzia sensibilmente la posizione di colui che abbia realizzato l’opera abusiva sulla base di titolo annullato rispetto a coloro che hanno realizzato opere parimenti abusive senza alcun titolo, tutelando l’affidamento del privato a poter conservare l’opera realizzata.
In tale ambito, a seguito di annullamento giurisdizionale di titolo abilitativo edilizio l’Amministrazione non può dirsi vincolata ad adottare misure ripristinatorie, dovendo anzi tale scelta tipicamente discrezionale essere adeguatamente motivata quale “extrema ratio” privilegiando ogni volta che ciò sia possibile, la riedizione del permesso di costruire emendato dai vizi riscontrati.
Pertanto a seguito dell’annullamento giurisdizionale (peraltro non definitivo) ben possono il privato interessato e l’Autorità comunale ricondurre a legalità l’intervento edilizio abusivo (rectius parzialmente abusivo) ed in coerenza con il canone di azione codificato dall’art. 38, procedere ove possibile alla rimozione dei vizi del procedimento, ovvero applicare in luogo della sanzione ripristinatoria, la misura riparatoria pecuniaria.

Come preliminarmente evidenziato, dalla sentenza n. 3270/2010 non discende alcun effetto preclusivo in ordine al completamento dell’intervento edilizio oggetto dell’istanza della ricorrente, in relazione alle parti legittime e non incise dalla statuizione di annullamento. Diversamente opinando la statuizione giurisdizionale di annullamento del primo titolo edilizio comporterebbe uno sproporzionato quanto ingiustificato arresto di ogni iniziativa edilizia sino al definitivo esito del giudizio di merito, in difformità dallo stesso art 38 t.u. edilizia in materia di interventi eseguiti in base a permesso annullato.
Infatti, il citato art. 38 rappresenta “speciale norma di favore” (TAR Campania Napoli sez. II 14.02.2011, n. 932) che differenzia sensibilmente la posizione di colui che abbia realizzato l’opera abusiva sulla base di titolo annullato rispetto a coloro che hanno realizzato opere parimenti abusive senza alcun titolo (Consiglio di Stato Adunanza Plenaria 23.04.2008, n. 4, TAR Campania Napoli sez. II 14.02.2011 n. 932), tutelando l’affidamento del privato a poter conservare l’opera realizzata.
In tale ambito, a seguito di annullamento giurisdizionale di titolo abilitativo edilizio -secondo il prevalente indirizzo giurisprudenziale da cui il Collegio non ha motivo di discostarsi- l’Amministrazione non può dirsi vincolata ad adottare misure ripristinatorie, dovendo anzi tale scelta tipicamente discrezionale essere adeguatamente motivata (TAR Abruzzo Pescara sez I 11.03.2008 n. 157, Consiglio di Stato sez. IV 16.03.2010, n. 1535) quale “extrema ratio” (Consiglio di Stato sez. IV 16.03.2010, n. 1535) privilegiando ogni volta che ciò sia possibile, la riedizione del permesso di costruire emendato dai vizi riscontrati (Consiglio di Stato sez. IV 10.04.2008 n. 1546).
Pertanto a seguito dell’annullamento giurisdizionale (peraltro non definitivo) ben possono il privato interessato e l’Autorità comunale ricondurre a legalità l’intervento edilizio abusivo (rectius parzialmente abusivo) ed in coerenza con il canone di azione codificato dall’art. 38, procedere ove possibile alla rimozione dei vizi del procedimento, ovvero applicare in luogo della sanzione ripristinatoria, la misura riparatoria pecuniaria (TAR Campania Napoli sez. II 14.02.2011, n.932)
(TAR Puglia-Bari, Sez. III, sentenza 13.01.2012 n. 187 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAI vicini controinteressati rispetto al rilascio della concessione edilizia non sono annoverabili tra i soggetti destinatari, ai sensi dell'art. 7, l. n. 241 del 1990, della comunicazione di avvio del procedimento per il rilascio di un titolo edilizio (anche in sanatoria) poiché l'invocata estensione ad essi della predetta comunicazione comporterebbe un aggravio procedimentale in contrasto con i principi di economicità e di efficienza dell'attività amministrativa; secondo un orientamento “anche qualora si tratti di soggetti in precedenza oppostisi all'attività edilizia del proprietario confinante”.
Come noto in linea di principio, per giurisprudenza consolidata, i vicini controinteressati rispetto al rilascio della concessione edilizia non sono annoverabili tra i soggetti destinatari, ai sensi dell'art. 7, l. n. 241 del 1990, della comunicazione di avvio del procedimento per il rilascio di un titolo edilizio (anche in sanatoria) poiché l'invocata estensione ad essi della predetta comunicazione comporterebbe un aggravio procedimentale in contrasto con i principi di economicità e di efficienza dell'attività amministrativa (Consiglio Stato, sez. IV, 31.07.2009, n. 4847 TAR Trentino Alto Adige Trento, sez. I, 14.10.2010, n. 194 - TAR Campania Napoli, sez. VIII, 12.04.2010, n. 1918 - TAR Campania Salerno, sez. II, 16.12.2009, n. 7921), secondo un orientamento “anche qualora si tratti di soggetti in precedenza oppostisi all'attività edilizia del proprietario confinante” (così TAR Campania Napoli, sez. VIII, 12.04.2010, n. 1918) (TAR Puglia-Bari, Sez. III, sentenza 13.01.2012 n. 187 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVIL'annullamento d’ufficio presuppone una congrua motivazione sull'interesse pubblico attuale e concreto posto a sostegno dell'esercizio discrezionale dei poteri di autotutela, con adeguata ponderazione comparativa, che tenga anche conto dell'interesse dei destinatari dell'atto al mantenimento delle posizioni che su di esso si sono consolidate e del conseguente affidamento derivante dal comportamento seguito.
L’art 21-nonies nel prevedere il limite temporale del “termine ragionevole” ha dato vita ad un parametro indeterminato ed elastico -a differenza di altre fattispecie tipiche di annullamento codificate da norme speciali quali l’art. 1, c. 136, l. 311/2004- finendo così per lasciare all’interprete il compito di individuarlo in concreto, in considerazione del grado di complessità degli interessi coinvolti e del relativo consolidamento, secondo il parametro costituzionale (art. 3 Cost.) di ragionevolezza.

Come noto, a seguito dell’entrata in vigore dell’art. 21-nonies l. 241/1990 per effetto della novella l. 15/2005, di recepimento di diffuso orientamento giurisprudenziale, l'annullamento d’ufficio presuppone una congrua motivazione sull'interesse pubblico attuale e concreto posto a sostegno dell'esercizio discrezionale dei poteri di autotutela, con adeguata ponderazione comparativa, che tenga anche conto dell'interesse dei destinatari dell'atto al mantenimento delle posizioni che su di esso si sono consolidate e del conseguente affidamento derivante dal comportamento seguito (ex multis Consiglio Stato, sez. IV, 21.12.2009, n. 8529, id. sez IV, 27.11.2010, n. 8291).
L’art 21-nonies nel prevedere il limite temporale del “termine ragionevole” ha dato vita ad un parametro indeterminato ed elastico -a differenza di altre fattispecie tipiche di annullamento codificate da norme speciali quali l’art. 1, c. 136, l. 311/2004- finendo così per lasciare all’interprete il compito di individuarlo in concreto, in considerazione del grado di complessità degli interessi coinvolti e del relativo consolidamento, secondo il parametro costituzionale (art. 3 Cost.) di ragionevolezza (TAR Bari sez. III 11.11.2011, n. 1704) (TAR Puglia-Bari, Sez. III, sentenza 13.01.2012 n. 184 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATADeve essere dichiarato improcedibile il ricorso avverso l'ordine di demolizione “allorquando risulti presentata una domanda di sanatoria (sia per l'accertamento di conformità che per il "condono") in data precedente alla introduzione del ricorso stesso e successivamente alla data del provvedimento di ripristino. E ciò in quanto l'esercizio della facoltà di regolarizzare la propria posizione da parte del privato impedisce l'esercizio del potere repressivo dell'Amministrazione, almeno fino a quando la stessa non si pronunci in senso negativo sulla istanza medesima, ed, inoltre, in quanto l'applicazione di detto principio determina, sotto l'aspetto processuale, la sopravvenuta carenza d'interesse all'annullamento dell'atto sanzionatorio in relazione al quale è stata prodotta la suddetta domanda di sanatoria e la traslazione e differimento dell'interesse ad impugnare verso il futuro provvedimento che, eventualmente, respinga la domanda medesima, disponendo nuovamente la demolizione dell'opera edilizia ritenuta abusiva".
La giurisprudenza amministrativa ha affermato costantemente che deve essere dichiarato improcedibile il ricorso avverso l'ordine di demolizione “allorquando risulti presentata una domanda di sanatoria (sia per l'accertamento di conformità che per il "condono") in data precedente alla introduzione del ricorso stesso e successivamente alla data del provvedimento di ripristino. E ciò in quanto l'esercizio della facoltà di regolarizzare la propria posizione da parte del privato impedisce l'esercizio del potere repressivo dell'Amministrazione, almeno fino a quando la stessa non si pronunci in senso negativo sulla istanza medesima, ed, inoltre, in quanto l'applicazione di detto principio determina, sotto l'aspetto processuale, la sopravvenuta carenza d'interesse all'annullamento dell'atto sanzionatorio in relazione al quale è stata prodotta la suddetta domanda di sanatoria e la traslazione e differimento dell'interesse ad impugnare verso il futuro provvedimento che, eventualmente, respinga la domanda medesima, disponendo nuovamente la demolizione dell'opera edilizia ritenuta abusiva” (Consiglio di Stato, sez. VI, 12.11.2008, n. 5646; negli stessi termini TAR Calabria Catanzaro, sez. II, 07.11.2008, n. 1482; TAR Campania Napoli, sez. IV, 07.11.2008, n. 19352; TAR Sicilia Catania, sez. I, 04.11.2008, n. 1911; TAR Lazio Roma, sez. II, 15.09.2008, n. 8306) (TAR Puglia-Bari, Sez. III, sentenza 13.01.2012 n. 172 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAL’indicazione dell’area di sedime, così come di quella necessaria per opere analoghe a quelle abusive, da acquisire al patrimonio comunale “non deve considerarsi requisito dell’ordinanza di demolizione -e dunque la mancanza non ne inficia la legittimità- giacché siffatta specificazione è elemento essenziale del distinto provvedimento con cui l’Amministrazione accerta la mancata ottemperanza alla demolizione da parte dell’ingiunto”.
Il contenuto essenziale dell’ingiunzione di demolizione va individuato in relazione alla funzione tipica del provvedimento, che è quella di prescrivere la rimozione delle opere abusive. Pertanto, ai fini della legittimità dell’atto è necessaria e sufficiente l’analitica indicazione delle opere abusivamente realizzate in modo da consentire al destinatario della sanzione di rimuoverle spontaneamente.

Uniformandosi alla giurisprudenza prevalente, la Sezione ha ritenuto che l’indicazione dell’area di sedime, così come di quella necessaria per opere analoghe a quelle abusive, da acquisire al patrimonio comunale “non deve considerarsi requisito dell’ordinanza di demolizione -e dunque la mancanza non ne inficia la legittimità- giacché siffatta specificazione è elemento essenziale del distinto provvedimento con cui l’Amministrazione accerta la mancata ottemperanza alla demolizione da parte dell’ingiunto” (TAR Puglia Lecce, sez. III, 15.12.2011, n. 2172, 28.07.2011, n. 1461, 24.03.2011, n. 518 e 09.12.2010, n. 2809; nello stesso senso, TAR Piemonte Torino, sez. I, 24.03.2010, n. 1577).
Il contenuto essenziale dell’ingiunzione di demolizione va individuato in relazione alla funzione tipica del provvedimento, che è quella di prescrivere la rimozione delle opere abusive. Pertanto, ai fini della legittimità dell’atto è necessaria e sufficiente l’analitica indicazione delle opere abusivamente realizzate in modo da consentire al destinatario della sanzione di rimuoverle spontaneamente (TAR Lazio Roma, sez. I, 09.02.2010, n. 1785) (TAR Puglia-Lecce, Sez. III, sentenza 13.01.2012 n. 56 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

PUBBLICO IMPIEGO: P.A, senza illecito l'uso limitato del mezzo di servizio. Permane tuttavia l'eventuale responsabilità disciplinare o contabile.
Non e' configurabile il reato di peculato d'uso in caso di uso momentaneo di un'autovettura di servizio per un tempo trascurabile e per un limitato tragitto.
Sulla base di queste premesse, la Corte di cassazione ha rigettato il ricorso del procuratore della Repubblica avverso la sentenza di non luogo a procedere con cui il Gup aveva escluso il peculato d’uso (articolo 314, comma 2, c.p.) nella condotta di un carabiniere che aveva utilizzato l’auto di servizio, nonostante il divieto del superiore, per recarsi urgentemente a casa per sincerarsi delle condizioni della figlia che aveva avuto un incidente, evidenziando, a supporto della decisione liberatoria, che si era trattato di un fatto privo di lesività, inidoneo a pregiudicare apprezzabilmente la funzione pubblicistica cui era asservito il veicolo.
La soluzione della Cassazione è convincente, fornendo un’equilibrata lettura della disciplina del peculato nel caso di utilizzo improprio dell’autovettura di servizio.
In termini, del resto, si è già espressa la giurisprudenza di legittimità, laddove si esclude costantemente il reato di reato di peculato d’uso (articolo 314, comma 2, c.p.) in caso di uso momentaneo di un'autovettura di ufficio, anche se per finalità, reali o supposte, non corrispondenti a quelle istituzionali, quando si sia trattato di un uso episodico ed occasionale, non caratterizzatosi, quanto a consistenza (distanze percorse) e durata dell’uso, in fatti di effettiva “appropriazione” dell’autovettura di servizio, suscettibili di recare un concreto e significativo danno economico all’ente pubblico (in termini di carburante utilizzato e di energia lavorativa degli autisti addetti alla guida) ovvero di pregiudicarne l’ordinaria attività funzionale [cfr., di recente, Cassazione, Sezione VI, 27.10.2010, PM in proc. Mola ed altri; nonché, Sezione VI, 10.01.2007, Stranieri].
Ciò non esclude che il fatto possa rilevare contabilmente o disciplinarmente (commento tratto da www.ipsoa.it - Corte di Cassazione, Sez. VI penale, sentenza 12.01.2012 n. 809).

EDILIZIA PRIVATANell’ipotesi di intervento edilizio a fronte di DIA, venendo in rilievo un provvedimento per silentium, la tutela del terzo è affidata all’esperimento di un’azione impugnatoria, ex art. 29 del cod. proc. amm. da proporre nell’ordinario termine decadenziale.
Nel caso in cui la piena conoscenza della presentazione della DIA avvenga in uno stadio anteriore al decorso del termine per l’esercizio del potere inibitorio, il dies a quo per l’impugnativa coincide con il decorso del termine per l’adozione delle doverose misure interdittive, ovverosia 30 giorni dalla presentazione della denuncia ex art. 23 DPR 380/2011.

Secondo l’orientamento consolidato della giurisprudenza (da ultimo Ad. Plen. 15/2011), nell’ipotesi di intervento edilizio a fronte di DIA, venendo in rilievo un provvedimento per silentium, la tutela del terzo (nel caso di specie l’odierno ricorrente) è affidata all’esperimento di un’azione impugnatoria, ex art. 29 del cod. proc. amm. da proporre nell’ordinario termine decadenziale.
Nel caso in cui la piena conoscenza della presentazione della DIA avvenga in uno stadio anteriore al decorso del termine per l’esercizio del potere inibitorio, il dies a quo per l’impugnativa coincide con il decorso del termine per l’adozione delle doverose misure interdittive, ovverosia 30 giorni dalla presentazione della denuncia ex art. 23 DPR 380/2011 (TAR Puglia-Lecce, Sez. III, sentenza 12.01.2012 n. 49 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

CONDOMINIO - EDILIZIA PRIVATAL'Amministrazione comunale non è tenuta, in caso di mancata contestazione del condomino pretermesso, a svolgere indagini particolari in presenza della richiesta edificatoria prodotta da un comproprietario; solo, quando uno o più comproprietari si attivino per denunciare il proprio dissenso, rispetto al rilascio del titolo edificatorio, il Comune deve verificare se sussiste la disponibilità del bene oggetto dell'intervento edificatorio e se, più in generale, la situazione di fatto consente di supporre l'esistenza di un tacito "pactum fiduciae" intercorrente tra i comproprietari, il cui assenso può manifestarsi non solo attraverso atti formali che documentino un assenso del condominio, ma anche “per facta concludentia”.
Con il primo motivo di ricorso ci si duole che per l’approvazione del progetto edilizio, per l’edificazione tramite DIA e per il successivo accertamento di conformità non sia stato acquisito il consenso di tutti i comproprietari; in particolare non sarebbe stato acquisito il consenso del comproprietario ....
Il motivo è infondato.
Il Collegio ritiene che l'Amministrazione non sia tenuta, in caso di mancata contestazione del condomino pretermesso, a svolgere indagini particolari in presenza della richiesta edificatoria prodotta da un comproprietario; solo, quando uno o più comproprietari si attivino per denunciare il proprio dissenso, rispetto al rilascio del titolo edificatorio, il Comune deve verificare se sussiste la disponibilità del bene oggetto dell'intervento edificatorio e se, più in generale, la situazione di fatto consente di supporre l'esistenza di un tacito "pactum fiduciae" intercorrente tra i comproprietari, il cui assenso può manifestarsi non solo attraverso atti formali che documentino un assenso del condominio, ma anche “per facta concludentia
(TAR Puglia-Lecce, Sez. III, sentenza 12.01.2012 n. 49 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa valutazione circa la possibilità di dar corso o meno alla misura ripristinatoria e la conseguente scelta tra la demolizione d'ufficio e l'irrogazione della sanzione pecuniaria costituisce solo un'eventualità della fase esecutiva, successiva alla disposta ingiunzione.
La possibilità di sostituire la demolizione con la sanzione pecuniaria -disciplinata, con riferimento alle opere eseguite in parziale difformità dal titolo edificatorio, dal citato art. 34- viene infatti valutata dall'Amministrazione soltanto in un secondo momento, successivo ed autonomo rispetto all'atto di diffida a demolire, ossia quando il soggetto privato non ha ottemperato spontaneamente alla demolizione e l'organo competente emana l'ordine di demolizione in danno delle opere costruite.

Quanto alla dedotta impossibilità di procedere alla rimozione dell’abuso senza causare pregiudizio alla parte regolarmente costruita ai sensi dell’art. 34, comma 2, DPR 380/2001, il Collegio osserva che la valutazione circa la possibilità di dar corso o meno alla misura ripristinatoria e la conseguente scelta tra la demolizione d'ufficio e l'irrogazione della sanzione pecuniaria costituisce solo un'eventualità della fase esecutiva, successiva alla disposta ingiunzione.
La possibilità di sostituire la demolizione con la sanzione pecuniaria -disciplinata, con riferimento alle opere eseguite in parziale difformità dal titolo edificatorio, dal citato art. 34- viene infatti valutata dall'Amministrazione soltanto in un secondo momento, successivo ed autonomo rispetto all'atto di diffida a demolire, ossia quando il soggetto privato non ha ottemperato spontaneamente alla demolizione e l'organo competente emana l'ordine di demolizione in danno delle opere costruite (cfr. Tar Napoli 3418/2010) (TAR Puglia-Lecce, Sez. III, sentenza 12.01.2012 n. 38 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIL’onere di impugnare immediatamente le clausole del bando sorge allorché da esse deriva una immediata lesione in capo all’impresa interessata, quali sono quelle che ostano alla partecipazione alla gara o che non consentono una ragionevole offerta, in quanto manifestamente incomprensibili o implicanti oneri per la partecipazione del tutto sproporzionati per eccesso rispetto ai contenuti della gara o della procedura concorsuale.
L’onere di impugnare immediatamente le clausole del bando sorge allorché da esse deriva una immediata lesione in capo all’impresa interessata, quali sono quelle che ostano alla partecipazione alla gara o che non consentono una ragionevole offerta, in quanto manifestamente incomprensibili o implicanti oneri per la partecipazione del tutto sproporzionati per eccesso rispetto ai contenuti della gara o della procedura concorsuale (Cons. di St., sez. VI, 03.06.2009 n. 3404), come sostenuto nel caso in esame tanto per il progetto che per la dichiarazione (TAR Puglia-Lecce, Sez. III, sentenza 12.01.2012 n. 36 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

CONDOMINIO: Condominio, rientra nei poteri dell’assemblea la rimozione dell’antenna centralizzata.
In materia condominiale la ricezione del segnale radiotelevisivo è argomento fonte di un cospicuo contenzioso. Il diritto d’antenna, tra l'altro, costituendo una specificazione del diritto all’informazione, e pertanto coinvolgendo valutazioni attinenti a situazioni giuridiche protette dalla Costituzione repubblicana, rappresenta, tra quelli dei condomini, uno dei diritti che riceve maggiore tutela.
Secondo quanto declinato dall’art. 1117, n. 3, del codice civile, in situazioni condominiali, sono considerati comuni (fra le altre cose) le opere, le installazioni e i manufatti di qualunque genere che servono all’uso e al godimento comune. In quest’ultima categoria vanno ricomprese le antenne centralizzate, quelle cioè destinate a servire tutte o almeno più unità immobiliari di proprietà esclusiva, le quali, per loro stessa natura non sono fruibili in maniera personale e diretta da ciascun condomino, ma richiedono un’attività d’impianto e di gestione comune che è compito dell’assemblea deliberare istituendo il relativo servizio.

Nella sentenza 11.01.2012 n. 144 la Corte di Cassazione, Sez. II civile, ha avuto modo di ricordare che rientra nei poteri dell’assemblea quello di disciplinare beni e servizi comuni, al fine della relativa migliore e più razionale utilizzazione, anche quando la sistemazione più funzionale del servizio comporta la dismissione o il trasferimento dei beni comuni. Viene cioè riconosciuto all’assemblea
il potere di modificare, sostituire od eventualmente sopprimere un servizio anche laddove esso sia istituito.
E’ stata ritenuta pertanto legittima la delibera dell’assemblea condominiale che a maggioranza abbia decretato la rimozione dell’antenna centralizzata per la ricezione dei canali televisivi. L’antenna, è stato precisato, costituisce bene comune, solo se effettivamente idonea a soddisfare l’interesse dei condomini a fruire del relativo servizio condominiale. Pertanto, la volontà collettiva, regolarmente espressa in assemblea, volta ad escludere siffatto uso, non si pone come contraria al diritto dei singoli condomini sul bene comune, perché quest’ultimo è tale finché assolva la sua funzione a beneficio di tutti i partecipanti.
Non si tratta di impedire il godimento individuale di un bene comune –chiariscono i giudici- bensì di non dar luogo ad un servizio la cui attivazione o prosecuzione non può essere imposta dal singolo partecipante per il solo fatto di essere comproprietario delle cose che ne costituiscono l’impianto materiale (commento tratto da www.diritto.it).

APPALTI SERVIZINon può giudicarsi inaffidabile l’offerta sulla base della mera difformità da minimi tabellari inderogabili (o, come preteso nella fattispecie dalla ricorrente, sulla base della non perfetta corrispondenza tra i valori presi a parametro di verifica dalla commissione di gara e quelli elaborati dall’associazione di categoria per i servizi di pulizia), essendo precluso all’Amministrazione di ritenere inammissibile a priori una determinata tipologia di giustificazione da parte dell’offerente.
Come è noto, l’art. 87, secondo comma, del d.lgs. n. 163 del 2006 contiene un’elencazione meramente esemplificativa (non tassativa) delle giustificazioni che l’impresa migliore offerente può fornire alla stazione appaltante: ivi sono menzionate, tra l’altro, l’economia del procedimento di costruzione ovvero del metodo di prestazione del servizio, le speciali soluzioni tecniche adottate, le condizioni favorevoli per l’esecuzione dei lavori o per la prestazione dei servizi, l’originalità del progetto, dei lavori, delle forniture e dei servizi offerti.
Quanto alla manodopera, l’art. 86, comma 3-bis, del Codice dei contratti pubblici impone alle Amministrazioni di valutare che il valore economico dell’appalto sia adeguato rispetto al costo del lavoro e al costo relativo alla sicurezza, che devono risultare congrui rispetto all’entità ed alle specifiche caratteristiche dei lavori, dei servizi o delle forniture poste in gara, sulla base delle tabelle ministeriali che recepiscono i livelli salariali previsti dalla contrattazione collettiva per i diversi settori merceologici e per le differenti aree territoriali.
La valutazione di congruità del costo della manodopera comporta normalmente, in un appalto di servizi di pulizia, la determinazione del monte ore lavorativo rapportato alle superfici da pulire, alla frequenza degli interventi richiesti ed alla loro tipologia. Ne consegue che, in difetto di un rapporto normativamente predeterminato tra superficie da pulire ed ore di lavoro, l’Amministrazione ben può effettuare detta valutazione prendendo a riferimento lo studio elaborato dall’associazione dei produttori di attrezzature per la pulizia (cfr., in questo senso, Aut. vig. contr. pubbl., deliberazione n. 156 del 23.05.2007).
Tuttavia, l’utilizzo di siffatti strumenti di comparazione soggiace agli stessi principi ripetutamente affermati dalla giurisprudenza amministrativa in ordine alle modalità di verifica dell’anomalia dell’offerta, che deve riguardare globalmente tutti gli elementi che concorrono in concreto a determinare il costo della prestazione: cosicché non può giudicarsi inaffidabile l’offerta sulla base della mera difformità da minimi tabellari inderogabili (o, come preteso nella fattispecie dalla ricorrente, sulla base della non perfetta corrispondenza tra i valori presi a parametro di verifica dalla commissione di gara e quelli elaborati dall’associazione di categoria per i servizi di pulizia), essendo precluso all’Amministrazione di ritenere inammissibile a priori una determinata tipologia di giustificazione da parte dell’offerente (così, tra molte, Cons. Stato, sez. V, 28.02.2006 n. 890) (TAR Puglia-Bari, Sez. I, sentenza 11.01.2012 n. 103 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIIn tema di anomalia dell’offerta negli appalti pubblici, il giudizio della stazione appaltante costituisce esplicazione di discrezionalità tecnica, sindacabile solo in caso d’illogicità manifesta o di erroneità fattuale: l’obbligo di motivare in modo completo ed approfondito sussiste solo nel caso in cui la stazione appaltante esprima un giudizio negativo, che faccia venir meno l’aggiudicazione, non richiedendosi, per contro, una motivazione analitica nel caso di esito positivo della verifica di anomalia, ed essendo in tal caso consentita la motivazione per relationem con le giustificazioni presentate dal concorrente, come avvenuto nella fattispecie in esame.
Inoltre, vale ricordare la regola secondo cui la verifica non deve assumere quale oggetto esclusivo la ricerca di specifiche inesattezze dell’offerta economica o delle giustificazioni, ma deve tendere alla formulazione di un giudizio globale e sintetico sulla serietà ed affidabilità dell’offerta nel suo insieme.
---------------
Quanto alla censura dedotta, secondo cui la commissione avrebbe illegittimamente reso noti i criteri per la valutazione dell’anomalia dopo l’apertura delle buste contenenti le offerte economiche, vale in contrario evidenziare che la gara è stata aggiudicata con il criterio del massimo ribasso e che il principio invocato dalla ricorrente, oggi recepito nell’art. 83, quarto comma, del d.lgs. n. 163 del 2006 (in base al quale le commissioni non possono più fissare in via preventiva i criteri motivazionali cui si atterranno per l’assegnazione dei punteggi e sub-punteggi tra il minimo ed il massimo prestabiliti dal bando), opera esclusivamente per gli appalti da aggiudicarsi con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa e non può essere esteso, in via analogica, al sub-procedimento di verifica dell’anomalia del prezzo, caratterizzato sì dall’ampiezza del potere discrezionale riconosciuto alla commissione ma, a sua volta, non assimilabile tout court alla differente fase della comparazione tecnico-qualitativa delle offerte, per la quale soltanto vengono in rilievo le esigenze di trasparenza ed imparzialità che hanno indotto la giurisprudenza ed il legislatore a vietare la specificazione dei criteri di giudizio in corso di gara.

Come è noto, secondo un principio ripetutamente affermato dalla giurisprudenza in tema di anomalia dell’offerta negli appalti pubblici, il giudizio della stazione appaltante costituisce esplicazione di discrezionalità tecnica, sindacabile solo in caso d’illogicità manifesta o di erroneità fattuale: l’obbligo di motivare in modo completo ed approfondito sussiste solo nel caso in cui la stazione appaltante esprima un giudizio negativo, che faccia venir meno l’aggiudicazione, non richiedendosi, per contro, una motivazione analitica nel caso di esito positivo della verifica di anomalia, ed essendo in tal caso consentita la motivazione per relationem con le giustificazioni presentate dal concorrente, come avvenuto nella fattispecie in esame (cfr., tra molte, Cons. Stato, sez. V, 22.02.2011 n. 1090).
Inoltre, vale ricordare la regola secondo cui la verifica non deve assumere quale oggetto esclusivo la ricerca di specifiche inesattezze dell’offerta economica o delle giustificazioni, ma deve tendere alla formulazione di un giudizio globale e sintetico sulla serietà ed affidabilità dell’offerta nel suo insieme (così, tra molte, Cons. Stato, sez. V, 11.03.2010 n. 1414).
---------------
Quanto, infine, all’ultima delle censure dedotte, secondo cui la commissione avrebbe illegittimamente reso noti i criteri per la valutazione dell’anomalia dopo l’apertura delle buste contenenti le offerte economiche, vale in contrario evidenziare che la gara è stata aggiudicata con il criterio del massimo ribasso e che il principio invocato dalla ricorrente, oggi recepito nell’art. 83, quarto comma, del d.lgs. n. 163 del 2006 (in base al quale le commissioni non possono più fissare in via preventiva i criteri motivazionali cui si atterranno per l’assegnazione dei punteggi e sub-punteggi tra il minimo ed il massimo prestabiliti dal bando), opera esclusivamente per gli appalti da aggiudicarsi con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa e non può essere esteso, in via analogica, al sub-procedimento di verifica dell’anomalia del prezzo, caratterizzato sì dall’ampiezza del potere discrezionale riconosciuto alla commissione ma, a sua volta, non assimilabile tout court alla differente fase della comparazione tecnico-qualitativa delle offerte, per la quale soltanto vengono in rilievo le esigenze di trasparenza ed imparzialità che hanno indotto la giurisprudenza ed il legislatore a vietare la specificazione dei criteri di giudizio in corso di gara
(TAR Puglia-Bari, Sez. I, sentenza 11.01.2012 n. 103 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVICon il decorso del termine di 30 giorni previsto per la giacenza delle raccomandate, a mezzo del rilascio del relativo avviso, l’atto amministrativo può ritenersi regolarmente comunicato al destinatario, in applicazione dell’art. 1335 cod. civ. in combinato disposto con l’art. 40 del D.P.R. n. 655 del 1982 (ai cui sensi le raccomandate, che non sia stato possibile distribuire e non siano state chieste in restituzione dai mittenti, devono esser depositate presso l’Ufficio postale di distribuzione per un periodo di giacenza minimo di 30 giorni): la comunicazione dell’atto si perfeziona per il destinatario necessariamente secondo due modalità alternative, ossia con il ritiro del piego oppure, per fictio juris, al momento della scadenza del termine di compiuta giacenza, purché nella seconda ipotesi la prova dell’avvenuto recapito sia particolarmente rigorosa e corredata dall’attestazione del periodo di giacenza della raccomandata presso l’Ufficio postale.
---------------
La violazione del diritto comunitario implica soltanto un vizio di legittimità, con conseguente annullabilità dell’atto amministrativo, in quanto l’art. 21-septies della legge n. 241 del 1990 ha codificato in numero chiuso le ipotesi di nullità del provvedimento, senza includervi la violazione del diritto comunitario, salva l’ipotesi in cui ad essere in contrasto con il precetto del diritto dell’unione europea sia la norma interna attributiva del potere.
Da tanto consegue, sul piano processuale, l’onere per l’interessato di impugnare il provvedimento contrastante con il diritto comunitario dinanzi al giudice amministrativo, entro il termine di decadenza previsto dalla legge processuale interna, pena la inoppugnabilità dello stesso.

Secondo un principio pacifico, con il decorso del termine di 30 giorni previsto per la giacenza delle raccomandate, a mezzo del rilascio del relativo avviso, l’atto amministrativo può ritenersi regolarmente comunicato al destinatario, in applicazione dell’art. 1335 cod. civ. in combinato disposto con l’art. 40 del D.P.R. n. 655 del 1982 (ai cui sensi le raccomandate, che non sia stato possibile distribuire e non siano state chieste in restituzione dai mittenti, devono esser depositate presso l’Ufficio postale di distribuzione per un periodo di giacenza minimo di 30 giorni): la comunicazione dell’atto si perfeziona per il destinatario necessariamente secondo due modalità alternative, ossia con il ritiro del piego oppure, per fictio juris, al momento della scadenza del termine di compiuta giacenza, purché nella seconda ipotesi la prova dell’avvenuto recapito sia particolarmente rigorosa e corredata dall’attestazione del periodo di giacenza della raccomandata presso l’Ufficio postale (così, tra molte, TAR Lazio, Latina, sez. I, 01.04.2011 n. 305; TAR Sicilia, Catania, sez. III, 16.06.2009 n. 1103; TAR Friuli Venezia Giulia, 11.07.2008 n. 402).
---------------
Secondo l’orientamento tuttora prevalente nella giurisprudenza amministrativa, la violazione del diritto comunitario implica soltanto un vizio di legittimità, con conseguente annullabilità dell’atto amministrativo, in quanto l’art. 21-septies della legge n. 241 del 1990 ha codificato in numero chiuso le ipotesi di nullità del provvedimento, senza includervi la violazione del diritto comunitario, salva l’ipotesi in cui ad essere in contrasto con il precetto del diritto dell’unione europea sia la norma interna attributiva del potere (cfr., tra molte: Cons. Stato, sez. V, 10.01.2003 n. 35; Id., sez. IV, 21.02.2005 n. 579; Id., sez. VI, 20.05.2005 n. 2566; Id., sez. V, 19.05.2009 n. 3072).
Da tanto consegue, sul piano processuale, l’onere per l’interessato di impugnare il provvedimento contrastante con il diritto comunitario dinanzi al giudice amministrativo, entro il termine di decadenza previsto dalla legge processuale interna, pena la inoppugnabilità dello stesso (cfr., da ultimo: Cons. Stato, sez. VI, 31.03.2011 n. 1983, alla cui ampia motivazione può rinviarsi)
(TAR Puglia-Bari, Sez. I, sentenza 11.01.2012 n. 102 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTICirca la corretta sigillatura del plico, secondo quanto disposto dal bando di gara, risulta illegittima l'esclusione ove la commissione di gara, deliberando in merito, non abbia motivato in ordine al rischio che il plico fosse stato manomesso o, quantomeno, fosse suscettibile di esserlo.
Con bando del 21.12.2010, il Comune di Trani ha indetto una procedura aperta ai sensi dell’art. 153 del d.lgs. n. 163 del 2006 per l’affidamento della concessione di ampliamento e gestione del cimitero comunale.
Le imprese ricorrenti, riunite in raggruppamento temporaneo, hanno presentato offerta. Nella seduta del 21.04.2011, la commissione di gara ne ha disposto l’esclusione, sul rilievo che i lembi di chiusura del plico contenente l’offerta non sarebbero stati controfirmati e sigillati con le modalità prescritte dal disciplinare di gara.
...
Il disciplinare di gara prescriveva, al riguardo, di sigillare e controfirmare sui lembi il plico d’offerta, specificando che “… per sigillo deve intendersi l’apposizione sui lembi di chiusura di materiale plastico come ceralacca o piombo, oppure striscia incollata e controfirmata, atto a rendere chiusa la busta contenente l’offerta, a impedire che essa possa subire manomissioni di sorta e quindi ad attestare l’autenticità della chiusura originaria proveniente dal mittente”.
La documentazione fotografica versata in atti mostra che l’a.t.i. ricorrente ha confezionato il plico con modalità sostanzialmente conformi a quanto richiesto dal disciplinare, tali da scongiurare il pericolo di manomissioni o aperture.
Per la sigillatura, è stata utilizzata una serie di strisce di nastro adesivo gommato e trasparente, con cui sono stati avvolti per intero i quattro lati del pacco, così da garantirne la chiusura anche in corrispondenza delle piegature del foglio di carta da imballaggio. Nello stesso modo sono state sigillate le quattro facce laterali del pacco, interamente avvolte dal nastro adesivo, le cui estremità sono state anche parzialmente sovrapposte. Le strisce di nastro adesivo sono state incrociate più volte su ogni lato di piegatura della carta da imballaggio, rendendo pressoché impossibile l’apertura del pacco. I lembi costituiti dalle congiunzioni delle quattro strisce di nastro adesivo sono stati controfirmati e la sottoscrizione ha coperto le due parti sovrapposte del lembo. Sono stati, inoltre, apposti due sigilli di ceralacca sui due lati del plico nei quali erano presenti le piegature della carta.
Risulta, per quanto detto, ingiustificata la decisione assunta dalla commissione di gara, che ha deliberato l’esclusione del raggruppamento ricorrente, senza peraltro motivare in ordine al rischio che il plico fosse stato manomesso o, quantomeno, fosse suscettibile di esserlo.
In conclusione, il ricorso è accolto e per l’effetto è annullata la determina n. 14530 del 28.04.2011, con la quale il Comune di Trani ha disposto l’esclusione delle ricorrenti dalla procedura di project financing per l’ampliamento e la gestione del cimitero comunale (TAR Puglia-Bari, Sez. I, sentenza 11.01.2012 n. 99 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTINelle pubbliche gare, la facoltà di chiedere integrazioni trova ingresso essenzialmente quando si debba porre rimedio a incertezze o equivoci, generati dalla ambiguità delle clausole del bando o comunque presenti nella normativa, ed è soggetta ai limiti costantemente indicati dalla giurisprudenza, che la condiziona al rispetto del principio della par condicio tra i concorrenti ed esclude che essa possa riguardare gli elementi essenziali della domanda ovvero essere utilizzata per supplire alla inosservanza di adempimenti procedimentali o alla omessa produzione di documenti richiesti a pena di esclusione dal bando.
Nelle pubbliche gare, la facoltà di chiedere integrazioni trova infatti ingresso essenzialmente quando si debba porre rimedio a incertezze o equivoci, generati dalla ambiguità delle clausole del bando o comunque presenti nella normativa, ed è soggetta ai limiti costantemente indicati dalla giurisprudenza, che la condiziona al rispetto del principio della par condicio tra i concorrenti ed esclude che essa possa riguardare gli elementi essenziali della domanda ovvero essere utilizzata per supplire alla inosservanza di adempimenti procedimentali o alla omessa produzione di documenti richiesti a pena di esclusione dal bando (cfr., per tutte, Cons. Stato, sez. V, 06.03.2006 n. 1068).
Deve osservarsi che non è applicabile, alla fattispecie controversa, la nuova previsione dell’art. 46, comma 1-bis, del d.lgs. n. 163 del 2006 (introdotta con l’art. 4 del d.l. n. 70 del 2011, ed in vigore dal 28.05.2011), ai cui sensi “La stazione appaltante esclude i candidati o i concorrenti in caso di mancato adempimento alle prescrizioni previste dal presente codice e dal regolamento e da altre disposizioni di legge vigenti, nonché nei casi di incertezza assoluta sul contenuto o sulla provenienza dell’offerta, per difetto di sottoscrizione o di altri elementi essenziali ovvero in caso di non integrità del plico contenente l’offerta o la domanda di partecipazione o altre irregolarità relative alla chiusura dei plichi, tali da far ritenere, secondo le circostanze concrete, che sia stato violato il principio di segretezza delle offerte; i bandi e le lettere di invito non possono contenere ulteriori prescrizioni a pena di esclusione. Dette prescrizioni sono comunque nulle”.
Il nuovo principio di tassatività delle cause di esclusione, con conseguente comminatoria di nullità, attenendo ai bandi di gara e non direttamente ai provvedimenti applicativi che dispongono l’esclusione, non può retroagire ed opera soltanto nei confronti delle clausole dei bandi pubblicati dopo l’entrata in vigore del decreto legge che l’ha introdotto (in questo senso: TAR Puglia, Bari, sez. I, 23.11.2011 n. 1789; TAR Veneto, sez. I, 02.12.2011 n. 1791) (TAR Puglia-Bari, Sez. I, sentenza 11.01.2012 n. 92 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTILa stazione appaltante ha il potere discrezionale di fissare requisiti di partecipazione ad una singola gara, anche più gravosi di quelli previsti dalla legge, in relazione alle peculiari caratteristiche oggettive ed all’importanza del servizio da affidare. Detto potere, che costituisce precipua attuazione dei principi costituzionali di imparzialità e buon andamento, può tradursi anche nell’esigere la dimostrazione del possesso di adeguata capacità economico-finanziaria, correlata allo specifico importo dell’appalto ed alla sua durata, ed è ampiamente discrezionale, sicché il sindacato del giudice amministrativo deve limitarsi alle ipotesi di manifesta irragionevolezza ed illogicità.
E' legittimo il bando di gara che richieda l’apertura di una linea di credito, finalizzata alla verifica in concreto della solidità economica dell’impresa concorrente, in quanto le dichiarazioni degli istituti bancari sono di norma generiche e non “attualizzate” sullo specifico appalto.

Secondo un principio ormai consolidato, non può dubitarsi che la stazione appaltante abbia il potere discrezionale di fissare requisiti di partecipazione ad una singola gara, anche più gravosi di quelli previsti dalla legge, in relazione alle peculiari caratteristiche oggettive ed all’importanza del servizio da affidare. Detto potere, che costituisce precipua attuazione dei principi costituzionali di imparzialità e buon andamento, può tradursi anche nell’esigere la dimostrazione del possesso di adeguata capacità economico-finanziaria, correlata allo specifico importo dell’appalto ed alla sua durata, ed è ampiamente discrezionale, sicché il sindacato del giudice amministrativo deve limitarsi alle ipotesi di manifesta irragionevolezza ed illogicità (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 22.10.2004 n. 6972; Id., sez. V, 31.12.2003 n. 9305).
Con riguardo ad una fattispecie analoga a quella in esame, anche l’Autorità di vigilanza sui contratti pubblici ha chiarito che è legittimo il bando di gara che richieda l’apertura di una linea di credito, finalizzata alla verifica in concreto della solidità economica dell’impresa concorrente, in quanto le dichiarazioni degli istituti bancari sono di norma generiche e non “attualizzate” sullo specifico appalto (cfr. deliberazione A.V.C.P. 27.02.2007 n. 61) (TAR Puglia-Bari, Sez. I, sentenza 11.01.2012 n. 91 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTINell’esegesi della disposizione contenuta nell’art. 48, comma 1, d.lgs. n. 163/2006 è ormai principio consolidato che il termine di 10 giorni [eventualmente prorogabile ove l’impresa richiedente evidenzi un’oggettiva impossibilità ad osservare il termine, come, ad es., il diniego o il ritardo nel rilascio della richiesta documentazione da parte della p.a.], entro il quale l’impresa offerente, sorteggiata a campione per il controllo in ordine al possesso dei requisiti di capacità economico-finanziaria e tecnico-organizzativa, è tenuta ad ottemperare alla richiesta della stazione appaltante, ha natura perentoria.
Le sanzioni conseguenti alla sua inosservanza non vanno applicate solo in caso di comprovata impossibilità per l’impresa di produrre la documentazione non rientrante nella sua disponibilità.

... considerato perciò che alla controversia possono applicarsi i principi enunciati dal Consiglio di Stato, Sezione quinta, 13.12.2010 n. 8739, per il quale, premesso che “nell’esegesi della disposizione contenuta nell’art. 48, comma 1, d.lgs. n. 163/2006 –corrispondente al pregresso art. 10, comma 1-quater l. n. 109/1994– è ormai principio consolidato che il termine di 10 giorni [eventualmente prorogabile ove l’impresa richiedente evidenzi un’oggettiva impossibilità ad osservare il termine, come, ad es., il diniego o il ritardo nel rilascio della richiesta documentazione da parte della p.a.], entro il quale l’impresa offerente, sorteggiata a campione per il controllo in ordine al possesso dei requisiti di capacità economico-finanziaria e tecnico-organizzativa, è tenuta ad ottemperare alla richiesta della stazione appaltante, ha natura perentoria”, ha evidenziato “che le sanzioni conseguenti alla sua inosservanza non vanno applicate solo in caso di comprovata impossibilità per l’impresa di produrre la documentazione non rientrante nella sua disponibilità (v., ex plurimis, C.d.S., Sez. VI, 15.06.2009, n. 3804)” (TAR Puglia-Bari, Sez. I, sentenza 11.01.2012 n. 81 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

LAVORI PUBBLICINiente ripensamenti sul project financing.
Dalla finanza di progetto indietro non si torna, almeno gratis. Paga l'indennizzo all'impresa il comune che ci ripensa: il project financing può ben configurarsi anche se il rischio a carico del privato risulta piuttosto ridotto; l'ente locale non può contrabbandare per annullamento d'ufficio quella che è a tutti gli effetti una revoca, con l'amministrazione che valuta successivamente l'inopportunità del progetto che essa stessa ha approvato e decide di fare retromarcia. Va tuttavia escluso il risarcimento integrale del danno richiesto dall'azienda: la revoca da parte dell'ente locale è del tutto legittima.
È quanto emerge dalla sentenza 10.01.2012 n. 39 della V Sez. del Consiglio di stato.
L'immobile «incriminato» è una prestigiosa villa veneta. Il comune accetta la proposta di project financing: il privato ristrutturerà l'immobile e lo gestirà per trent'anni, dandolo in locazione allo stesso locale in cambio del versamento di un canone. Poi l'amministrazione cambia idea: trova un finanziamento regionale per la biblioteca della villa, situata in un'ala non interessata dall'operazione già pattuita, e affida i lavori a un'altra impresa. Giunta e Consiglio fanno due conti e vogliono annullare del tutto la finanza di progetto: l'impresa, protestano, in realtà non si accolla alcun rischio nell'affare perché il corrispettivo del canone di locazione per trent'anni corrisponde quasi all'importo dei lavori di ristrutturazione e delle opere di urbanizzazione.
Perché sbaglia, il comune? Il project financing, spiegano i giudici, è una procedura caratterizzata da un elevato tasso di elasticità, che consente di adattare il progetto alle specifiche esigenze delle parti. E nella specie la struttura dell'operazione non è incompatibile con l'istituto della finanza di progetto che consente un utilizzo soltanto parziale delle risorse dei soggetti proponenti.
Ha torto l'amministrazione quando, invero tardivamente, denuncia che il rischio dell'impresa risulti in concreto azzerato: i calcoli del comune non considerano che l'impegno finanziario dell'impresa è immediato, con la realizzazione delle opere, mentre gli oneri posti a carico dell'ente locale vengono dilazionati in trenta anni sotto forma di pagamento del canone; insomma, i dati si possono confrontare soltanto indicizzando gli importi alla data degli esborsi. È vero, il rischio a carico dell'azienda è ridotto ma non pari a zero e questo non rende illegittima la procedura, che l'amministrazione ha autonomamente valutato come conveniente al momento dell'approvazione.
Inutile, per il Comune, mettere in mezzo la banca. È vero: nel project financing il piano economico deve comunque essere asseverato da un istituto di credito, ma non servono particolari formalità. Senza dimenticare che la tesi della mancata asseverazione risulta in contrasto con quella dell'assenza di rischio in capo all'impresa. Il «placet» della banca non esonera l'amministrazione dal procedere alla valutazione della coerenza e sostenibilità economica dell'offerta e all'esame del piano economico e finanziario sotto il profilo dei ricavi attesi e dei relativi flussi di cassa in rapporto ai costi di produzione e di gestione.
Nel caso affrontato dai giudici amministrativi l'impresa ha regolarmente ottenuto l'asseverazione bancaria: il Comune avrebbe ben potuto richiedere un'integrazione laddove non fosse stato soddisfatto della documentazione. Il fatto che il dietrofront dell'ente consista in un revoca fa venire meno l'obbligo di risarcimento totale del danno: manca il presupposto dell'illegittimità dell'atto (articolo ItaliaOggi del 14.01.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

APPALTI: La presentazione, in sede di gara, di un documento in allegato all'offerta, redatto in lingua diversa da quella italiana e privo di relativa traduzione certificata non costituisce motivo di esclusione dalla gara. Il disposto normativo di cui all'art. 67 del D.Lgs. n. 163 del 2006 prevede, invero, l'utilizzo della lingua italiana unicamente per la redazione delle offerte, e non anche per i documenti da allegare alle offerte, con la conseguenza che la eventuale necessità della relativa omessa traduzione potrebbe, al più, configurare una richiesta di integrazione documentale, ma non anche motivo di esclusione dalla gara.
Non sussiste l'interesse al ricorso di un concorrente settimo classificato in relazione a censure che non sono dirette a escludere o a contestare il punteggio di tutti i concorrenti che lo precedono, ovvero a determinare la rinnovazione della gara. L'espresso principio deriva dalla logica considerazione che il ricorrente in circostanze siffatte non può trarre alcuna utilità dall'accoglimento della censura.
La presentazione del documento attestante la prova di combustione in lingua tedesca (senza una traduzione certificata in lingua italiana) non costituisce motivo di esclusione dalla gara, in quanto:
- una siffatta clausola di esclusione non è contenuta nella lex specialis della procedura;
- l’art. 67 del D.Lgs. n. 163/2006 prevede l’utilizzo della lingua italiana per la redazione delle offerte, e non anche per i documenti da allegare alle offerte;
- l’allegazione di documenti in lingua tedesca è stata giustificata, nel caso di specie, dall’offerta di macchinari di produzione tedesca e la traduzione certificata in lingua italiana non si è resa necessaria per la presenza di un funzionario della stazione appaltante di madrelingua tedesca (v. la relazione del funzionario della Provincia del 19.11.2009; cfr. Cons. Stato, VI, n. 6519/2005);
- in ogni caso, la necessità di avere la traduzione dei documenti avrebbe al più determinato una richiesta di integrazione documentale (Cons. Giust. Amm. Reg. Sic., n. 7/2007;), non avvenuta per il menzionato apporto fornito dal funzionario della Provincia.
Non sussiste l’interesse al ricorso di un concorrente settimo classificato in relazione a censure che non sono dirette a escludere o a contestare il punteggio di tutti i concorrenti che lo precedono o a determinare la rinnovazione della gara, non potendo il ricorrente trarre in tal caso alcuna utilità dall’accoglimento della censura, non risultando attuale l’interesse ad essere collocato al secondo posto della graduatoria
(Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 10.01.2012 n. 30 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATADifferenziandosi il tacito accoglimento della domanda di condono dalla decisione esplicita solo per l'aspetto formale, la formazione del silenzio-assenso sulla domanda di sanatoria degli abusi edilizi richiede, quale presupposto essenziale, oltre al completo pagamento delle somme dovute a titolo di oblazione, che siano stati integralmente assolti dall'interessato gli oneri di documentazione (che si risolvono evidentemente nella sussistenza del requisito sostanziale), relativi al tempo di ultimazione dei lavori, all'ubicazione, alla consistenza delle opere e ad ogni altro elemento rilevante affinché possano essere utilmente esercitati i poteri di verifica dell'Amministrazione comunale.
Conseguentemente, il termine per la formazione del silenzio-assenso sulla domanda di rilascio della concessione in sanatoria non decorre quando manchino i presupposti di fatto e di diritto previsti dalla norma e/o le opere non siano suscettibili di sanatoria, nonché qualora la domanda stessa sia carente della documentazione prevista dalla legge.
Il termine di 24 mesi, previsto dall'art. 35 della legge 23.02.1985 n. 47, per l'eventuale formazione del silenzio assenso relativo al rilascio di concessione edilizia in sanatoria, e quello collegato di 36 mesi per la prescrizione del diritto al conguaglio degli oneri inizia a decorrere dal momento in cui l'amministrazione procedente è posta in condizioni di esaminare compiutamente la relativa domanda, in quanto integrata la documentazione necessaria richiesta ex lege all'interessato dall'amministrazione.

---------------
La giurisprudenza in ordine alla prescrizione del diritto al conguaglio degli oneri e alla decorrenza dei relativi interessi ha chiarito che:
- il "dies a quo" del termine prescrizionale per l'esercizio del diritto al conguaglio dell'oblazione (e non degli oneri accessori) relativa all'istanza di condono edilizio decorre dalla presentazione della domanda di concessione in sanatoria ovvero dalla integrazione della documentazione da allegare alla domanda, e non dal provvedimento comunale che conclude il procedimento di condono edilizio ovvero dalla maturazione del silenzio assenso;
- invece, il termine per la prescrizione (decennale) per la riscossione del contributo di concessione dovuto decorre dall'emanazione della concessione edilizia in sanatoria o, in alternativa, dalla scadenza del termine perentorio di ventiquattro mesi dalla presentazione della domanda, o dalla data nella quale viene depositata la documentazione completa a corredo della domanda di concessione (formazione del silenzio–assenso);
- nel caso di presentazione delle istanze ex art. 39 l. n. 724/1994, il dies a quo della liquidazione degli interessi legali relativo agli oneri concessori (ma ciò vale anche per l'oblazione) non può che coincidere con la data di presentazione delle istanze di sanatoria configurandosi, a tale data, a carico dell'istante l'assunzione di un'obbligazione pecuniaria, le cui somme la parte è tenuta ad autoliquidare e versare, nei sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge, alla pubblica amministrazione locale in cui è stato commesso l'abuso, risultando definiti e certi tutti gli elementi dell'obbligazione, nella relativa disposizione.
---------------
I provvedimenti con cui l'ente locale rivendica somme a conguaglio dovute a titolo di oblazione o di oneri concessori non abbisognano di particolare motivazione, in quanto la determinazione di tali somme costituisce il risultato di una mera operazione materiale, applicativa di parametri stabiliti dalla legge o da norme di natura regolamentare stabilite dall'Amministrazione, sicché l'interessato può solo contestare l'erroneità dei conteggi effettuati dall'ente.
---------------
Nel caso di presentazione delle istanze ex art. 39 l. n. 724/1994, il dies a quo della liquidazione degli interessi legali relativo agli oneri concessori (ma ciò vale anche per l'oblazione) non può che coincidere con la data di presentazione delle istanze di sanatoria configurandosi, a tale data, a carico dell'istante l'assunzione di un'obbligazione pecuniaria, le cui somme la parte è tenuta ad autoliquidare e versare, nei 60 giorni dalla data di entrata in vigore della legge, alla pubblica amministrazione locale in cui è stato commesso l'abuso, risultando definiti e certi tutti gli elementi dell'obbligazione, nella relativa disposizione.

In base al costante indirizzo giurisprudenziale, va altresì precisato:
- che, differenziandosi il tacito accoglimento della domanda di condono dalla decisione esplicita solo per l'aspetto formale, la formazione del silenzio-assenso sulla domanda di sanatoria degli abusi edilizi richiede, quale presupposto essenziale, oltre al completo pagamento delle somme dovute a titolo di oblazione, che siano stati integralmente assolti dall'interessato gli oneri di documentazione (che si risolvono evidentemente nella sussistenza del requisito sostanziale), relativi al tempo di ultimazione dei lavori, all'ubicazione, alla consistenza delle opere e ad ogni altro elemento rilevante affinché possano essere utilmente esercitati i poteri di verifica dell'Amministrazione comunale (cfr. ex multis Consiglio Stato, IV 30.06.2010 n. 4174; TAR Lombardia Milano, 22.01.2010 n. 127);
- conseguentemente, che il termine per la formazione del silenzio-assenso sulla domanda di rilascio della concessione in sanatoria non decorre quando manchino i presupposti di fatto e di diritto previsti dalla norma e/o le opere non siano suscettibili di sanatoria, nonché qualora la domanda stessa sia carente della documentazione prevista dalla legge (cfr. TAR Trentino Alto Adige Trento 07.01.2010 n. 4);
- che il termine di 24 mesi, previsto dall'art. 35 della legge 23.02.1985 n. 47, per l'eventuale formazione del silenzio assenso relativo al rilascio di concessione edilizia in sanatoria, e quello collegato di 36 mesi per la prescrizione del diritto al conguaglio degli oneri inizia a decorrere dal momento in cui l'amministrazione procedente è posta in condizioni di esaminare compiutamente la relativa domanda, in quanto integrata la documentazione necessaria richiesta ex lege all'interessato dall'amministrazione (cfr. TAR Lazio Latina, 03.03.2010 n. 204).
---------------
Va tuttavia sottolineato che la giurisprudenza in ordine alla prescrizione del diritto al conguaglio degli oneri e alla decorrenza dei relativi interessi ha chiarito che:
- il "dies a quo" del termine prescrizionale per l'esercizio del diritto al conguaglio dell'oblazione (e non degli oneri accessori) relativa all'istanza di condono edilizio decorre dalla presentazione della domanda di concessione in sanatoria ovvero dalla integrazione della documentazione da allegare alla domanda, e non dal provvedimento comunale che conclude il procedimento di condono edilizio ovvero dalla maturazione del silenzio assenso (cfr. TAR Lombardia Milano, 22.01.2010 n. 127; TAR Basilicata, 03.05.2010 n. 2);
- che, invece, il termine per la prescrizione (decennale) per la riscossione del contributo di concessione dovuto decorre dall'emanazione della concessione edilizia in sanatoria o, in alternativa, dalla scadenza del termine perentorio di ventiquattro mesi dalla presentazione della domanda, o dalla data nella quale viene depositata la documentazione completa a corredo della domanda di concessione (formazione del silenzio–assenso) (cfr. TAR Sardegna, 17.11.2010 n. 2600);
- che, per quanto qui di interesse, “nel caso di presentazione delle istanze ex art. 39 l. n. 724/1994, il dies a quo della liquidazione degli interessi legali relativo agli oneri concessori (ma ciò vale anche per l'oblazione) non può che coincidere con la data di presentazione delle istanze di sanatoria configurandosi, a tale data, a carico dell'istante l'assunzione di un'obbligazione pecuniaria, le cui somme la parte è tenuta ad autoliquidare e versare, nei sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge, alla pubblica amministrazione locale in cui è stato commesso l'abuso, risultando definiti e certi tutti gli elementi dell'obbligazione, nella relativa disposizione" (cfr. TAR Campania Salerno, II, 05.10.2009, n. 5318).
---------------
I
l Collegio deve preliminarmente rilevare che per giurisprudenza costante, i provvedimenti con cui l'ente locale rivendica somme a conguaglio dovute a titolo di oblazione o di oneri concessori non abbisognano di particolare motivazione, in quanto la determinazione di tali somme costituisce il risultato di una mera operazione materiale, applicativa di parametri stabiliti dalla legge o da norme di natura regolamentare stabilite dall'Amministrazione, sicché l'interessato può solo contestare l'erroneità dei conteggi effettuati dall'ente (cfr. ex multis TAR Sicilia Catania, 07.07.2010 n. 2847; TAR Lazio Roma, 15.04.2009 n. 3862)
---------------
Il Collegio non ritiene di discostarsi da quell’indirizzo giurisprudenziale (v. TAR Campania Salerno, 05.10.2009, n. 5318; vedi anche Tar Lecce, III, 11.11.2011 n. 1935 relativa a questione analoga sollevata nel ricorso 1917/2005 introitato nella medesima udienza di discussione) secondo il quale “nel caso di presentazione delle istanze ex art. 39 l. n. 724/1994, il dies a quo della liquidazione degli interessi legali relativo agli oneri concessori (ma ciò vale anche per l'oblazione) non può che coincidere con la data di presentazione delle istanze di sanatoria configurandosi, a tale data, a carico dell'istante l'assunzione di un'obbligazione pecuniaria, le cui somme la parte è tenuta ad autoliquidare e versare, nei sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge, alla pubblica amministrazione locale in cui è stato commesso l'abuso, risultando definiti e certi tutti gli elementi dell'obbligazione, nella relativa disposizione
(TAR Puglia-Lecce, Sez. III, sentenza 10.01.2012 n. 16 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATASi realizza la fattispecie che prende il nome di <<lotto intercluso>> “allorquando l'area edificabile di proprietà del richiedente:
a) sia l'unica a non essere stata ancora edificata;
b) si trovi in una zona integralmente interessata da costruzioni;
c) sia dotata di tutte le opere di urbanizzazione (primarie e secondarie), previste dagli strumenti urbanistici;
d) sia valorizzata da un progetto edilizio del tutto conforme al p.r.g.
In sintesi, si consente l'intervento costruttivo diretto purché si accerti la sussistenza di una situazione di fatto perfettamente corrispondente a quella derivante dall'attuazione del piano esecutivo, allo scopo di evitare defatiganti attese per il privato ed inutili dispendi di attività procedimentale per l'ente pubblico.
Tali essendo la ratio e la natura eccezionale della regola sottesa al c.d. <<lotto intercluso>>, deve ritenersi che, in assenza di strumento attuativo:
a) la valutazione circa la congruità del grado di urbanizzazione sia rimessa all'esclusivo apprezzamento discrezionale del comune;
b) il comune, ove intenda rilasciare il titolo edilizio, deve compiere una penetrante istruttoria per accertare che la pianificazione esecutiva:
  I) non conservi una qualche utile funzione, anche in relazione a situazioni di degrado che possano recuperare margini di efficienza abitativa, riordino e completamento razionale;
  II) non sia in grado di esprimere scelte programmatorie distinte rispetto a quelle contenute nel p.r.g.;
c) incombe sul comune l'obbligo di puntuale motivazione solo nell'ipotesi in cui venga rilasciato il permesso di costruire, essendo in caso contrario sufficiente il richiamo alla mancanza del piano attuativo (come verificatosi nel caso di specie);
d) l'equivalenza fra pianificazione esecutiva e stato di sufficiente urbanizzazione della zona ai fini del rilascio del titolo edilizio non opera nel procedimento di formazione del silenzio assenso sulla domanda di costruzione”.
---------------

L'esigenza di un piano esecutivo, quale presupposto per il rilascio della concessione edilizia, s'impone anche “al fine di un armonico raccordo con il preesistente aggregato abitativo, allo scopo di potenziare le opere di urbanizzazione già esistenti e, quindi, anche alla più limitata funzione di armonizzare aree già compromesse ed urbanizzate, che richiedano una necessaria pianificazione della «maglia», e perciò anche in caso di lotto intercluso o di altri casi analoghi di zona già edificata e urbanizzata".
L'assenza del piano attuativo non è surrogabile con l'imposizione di opere di urbanizzazione all'atto del rilascio del titolo edilizio; invero, l'obbligo dell'interessato di realizzare direttamente le opere di urbanizzazione è idoneo a sopperire solo alla mancanza fisica e materiale di tali opere ma non è in grado di colmare l'assenza dello strumento esecutivo.
Né sono configurabili equipollenti al piano attuativo, circostanza questa che impedisce che in sede amministrativa o giurisdizionale possano essere effettuate indagini volte a verificare se sia tecnicamente possibile edificare vanificando la funzione del piano attuativo, la cui indefettibile approvazione, se ritarda, può essere stimolata dall'interessato con gli strumenti consentiti dal sistema
.
Come chiarito dalla giurisprudenza (cfr. per tutte Consiglio Stato, IV, 10.06.2010 n. 3699) si realizza la fattispecie che prende il nome di <<lotto intercluso>> “allorquando l'area edificabile di proprietà del richiedente:
a) sia l'unica a non essere stata ancora edificata;
b) si trovi in una zona integralmente interessata da costruzioni;
c) sia dotata di tutte le opere di urbanizzazione (primarie e secondarie), previste dagli strumenti urbanistici;
d) sia valorizzata da un progetto edilizio del tutto conforme al p.r.g.
In sintesi, si consente l'intervento costruttivo diretto purché si accerti la sussistenza di una situazione di fatto perfettamente corrispondente a quella derivante dall'attuazione del piano esecutivo, allo scopo di evitare defatiganti attese per il privato ed inutili dispendi di attività procedimentale per l'ente pubblico (cfr. Cons. St., sez. IV, 29.01.2008, n. 268; sez. V, 03.03.2004, n. 1013).
Tali essendo la ratio e la natura eccezionale della regola sottesa al c.d. <<lotto intercluso>>, deve ritenersi che, in assenza di strumento attuativo:
a) la valutazione circa la congruità del grado di urbanizzazione sia rimessa all'esclusivo apprezzamento discrezionale del comune (cfr. Cons. St., sez. IV, 01.08.2007, n. 4276);
b) il comune, ove intenda rilasciare il titolo edilizio, deve compiere una penetrante istruttoria per accertare che la pianificazione esecutiva:
  I) non conservi una qualche utile funzione, anche in relazione a situazioni di degrado che possano recuperare margini di efficienza abitativa, riordino e completamento razionale;
  II) non sia in grado di esprimere scelte programmatorie distinte rispetto a quelle contenute nel p.r.g. (cfr. sez. V, 27.10.2000, n. 5756; sez. V, 08.07.1997, n. 772);
c) incombe sul comune l'obbligo di puntuale motivazione solo nell'ipotesi in cui venga rilasciato il permesso di costruire, essendo in caso contrario sufficiente il richiamo alla mancanza del piano attuativo (come verificatosi nel caso di specie);
d) l'equivalenza fra pianificazione esecutiva e stato di sufficiente urbanizzazione della zona ai fini del rilascio del titolo edilizio non opera nel procedimento di formazione del silenzio assenso sulla domanda di costruzione (cfr. Cons. St., sez. V, 14.04.2008, n. 1642)
”.
---------------
Invero, l'esigenza di un piano esecutivo, quale presupposto per il rilascio della concessione edilizia, s'impone anche “al fine di un armonico raccordo con il preesistente aggregato abitativo, allo scopo di potenziare le opere di urbanizzazione già esistenti e, quindi, anche alla più limitata funzione di armonizzare aree già compromesse ed urbanizzate, che richiedano una necessaria pianificazione della «maglia», e perciò anche in caso di lotto intercluso o di altri casi analoghi di zona già edificata e urbanizzata" (cfr. fra le ultime Consiglio Stato, 13.10.2010 n. 7486; idem, V, 05.10.2011 n. 5450).
A completamento di quanto fin qui esposto va infine precisato che l'assenza del piano attuativo non è surrogabile con l'imposizione di opere di urbanizzazione all'atto del rilascio del titolo edilizio; invero, l'obbligo dell'interessato di realizzare direttamente le opere di urbanizzazione è idoneo a sopperire solo alla mancanza fisica e materiale di tali opere ma non è in grado di colmare l'assenza dello strumento esecutivo (cfr. Cons. Sr., sez. IV, 26.01.1998, n. 67; Cass. pen., sez. III, 26.01.1998, n. 302; Cons. St., sez. V, 15.01.1997, n. 39).
Né sono configurabili equipollenti al piano attuativo, circostanza questa che impedisce che in sede amministrativa o giurisdizionale possano essere effettuate indagini volte a verificare se sia tecnicamente possibile edificare vanificando la funzione del piano attuativo, la cui indefettibile approvazione, se ritarda, può essere stimolata dall'interessato con gli strumenti consentiti dal sistema (cfr. Cons. St., sez. IV, 30.12.2008, n. 6625)
(TAR Puglia-Lecce, Sez. III, sentenza 10.01.2012 n. 15 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIL’incameramento della cauzione è misura di natura sanzionatoria che può essere applicata tassativamente solo nelle ipotesi contemplate nell’art. 48, primo comma, del codice dei contratti pubblici, e cioè quando il concorrente non è in grado di comprovare il possesso dei requisiti di carattere speciale (capacità economico–finanziaria e tecnico–organizzativa) richiesti per la partecipazione alla gara.
Va peraltro osservato che la giurisprudenza è costante nell’affermare che l’incameramento della cauzione è misura di natura sanzionatoria che può essere applicata tassativamente solo nelle ipotesi contemplate nell’art. 48, primo comma, del codice dei contratti pubblici, e cioè quando il concorrente non è in grado di comprovare il possesso dei requisiti di carattere speciale (capacità economico–finanziaria e tecnico–organizzativa) richiesti per la partecipazione alla gara (cfr. Consiglio Stato, sez. VI, 28.08.2006, n. 5009; TAR Emilia Romagna Bologna, sez. I, 10.12.2010, n. 8108; TAR Veneto Venezia, sez. I, 12.05.2008, n. 1326) (TAR Lombardia-Milano, Sez. III, sentenza 05.01.2012 n. 21 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ESPROPRIAZIONEE’ sufficiente che la notifica degli atti espropriativi sia stata fatta ai proprietari risultanti dai registri catastali, non essendo tenuta l’Amministrazione, alla stregua delle disposizioni contenute nell’art. 10 L. 22.10.1971 n. 865, ad effettuare specifiche indagini sull’attualità del titolo emergente da tali registri, salvo che da data certa anteriore all’avvio del procedimento espropriativo risulti notificato all’ente procedente, a cura dell’effettivo proprietario del bene fatto oggetto di ablazione, la sua nuova ed effettiva qualità.
Il principio di che trattasi non può subire deroghe neppure quando l’intestatario catastale sia un soggetto terzo, il quale non abbia mai avuto la proprietà del bene oggetto di espropriazione, ma al quale il bene sia stato “volturato” per mero errore. Infatti, ammettere che in simili casi la comunicazione degli atti espropriativi possa essere considerata invalida significherebbe onerare la Amministrazione -al fine di evitare l’insorgere di controversie- di effettuare verifiche di tipo esplorativo, che contraddicono alla presunzione di legittimità degli atti catastali e che, comunque, il legislatore ha inteso evitare al fine di garantire la speditezza dalla azione amministrativa. D’altro canto significherebbe far scontare alla Amministrazione procedente errori che non le sono minimamente addebitabili e che essa a buon diritto é tenuta a prendere in considerazione, nel suo agire, solo allorquando tali errori constino da atti non contestati, o non contestabili, dei quali la Amministrazione medesima abbia ricevuto una comunicazione ufficiale.
Una volta che l’Amministrazione procedente abbia ritualmente effettuato le notifiche agli intestatari catastali, la mancata notifica ai proprietari effettivi non può assumere carattere invalidante degli atti stessi o di quelli successivi, né legittima gli effettivi proprietari ad impugnare tardivamente gli atti espropriativi: tale decadenza consegue, a guisa di corollario, al principio per cui la notifica agli intestatari catastali integra conoscenza legale degli atti della procedura espropriativa anche in capo ai proprietari effettivi.

Il principio della sufficienza della notifica degli atti della procedura espropriativa ai soggetti proprietari in base alle risultanze catastali si era già consolidato in Giurisprudenza in costanza della L. 865/1971, nel vigore della quale sono stati approvati tutti gli atti impugnati nell’ambito del presente giudizio.
Ancora di recente il Consiglio di Stato, sez. IV, con sentenza n. 212 del 14.04.2010 ha avuto modo di ricordare che “E’ sufficiente che la notifica degli atti espropriativi sia stata fatta ai proprietari risultanti dai registri catastali, non essendo tenuta l’Amministrazione, alla stregua delle disposizioni contenute nell’art. 10 L. 22.10.1971 n. 865, ad effettuare specifiche indagini sull’attualità del titolo emergente da tali registri, salvo che da data certa anteriore all’avvio del procedimento espropriativo risulti notificato all’ente procedente, a cura dell’effettivo proprietario del bene fatto oggetto di ablazione, la sua nuova ed effettiva qualità.”.
Il Collegio é dell’opinione che il principio di che trattasi non possa subire deroghe neppure quando –come pare sia avvenuto nel caso di specie– l’intestatario catastale sia un soggetto terzo, il quale non abbia mai avuto la proprietà del bene oggetto di espropriazione, ma al quale il bene sia stato “volturato” per mero errore. Infatti, ammettere che in simili casi la comunicazione degli atti espropriativi possa essere considerata invalida significherebbe onerare la Amministrazione -al fine di evitare l’insorgere di controversie- di effettuare verifiche di tipo esplorativo, che contraddicono alla presunzione di legittimità degli atti catastali e che, comunque, il legislatore ha inteso evitare al fine di garantire la speditezza dalla azione amministrativa. D’altro canto significherebbe far scontare alla Amministrazione procedente errori che non le sono minimamente addebitabili e che essa a buon diritto é tenuta a prendere in considerazione, nel suo agire, solo allorquando tali errori constino da atti non contestati, o non contestabili, dei quali la Amministrazione medesima abbia ricevuto una comunicazione ufficiale.
Non é insomma sufficiente che la Amministrazione sia a conoscenza di fatti che siano in grado di insinuare il dubbio sulla effettiva titolarità del bene assoggettato ad espropriazione, poiché non é l’Amministrazione a dover effettuare gli accertamenti. Sono gli interessati a doversi attivare per rendere la Amministrazione edotta, in maniera compiuta, della effettiva realtà.
Va ancora rilevato che, una volta che l’Amministrazione procedente abbia ritualmente effettuato le notifiche agli intestatari catastali, la mancata notifica ai proprietari effettivi non può assumere carattere invalidante degli atti stessi o di quelli successivi, né legittima gli effettivi proprietari ad impugnare tardivamente gli atti espropriativi: tale decadenza consegue, a guisa di corollario, al principio per cui la notifica agli intestatari catastali integra conoscenza legale degli atti della procedura espropriativa anche in capo ai proprietari effettivi. Per tale ragione il Collegio ritiene condivisibile la pronuncia del Consiglio di Stato n. 7014 del 30.11.2006, richiamata dalla difesa del Comune, che ha affermato il dianzi ricordato principio di diritto (TAR Puglia-Bari, Sez. II, sentenza 02.01.2012 n. 4 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Sempre il modello GAP per l'aggiudicazione di una gara d'appalto.
E' illegittima l'aggiudicazione di una gara di appalto in favore di una ditta che ha omesso di produrre il modello GAP, invero richiesto al fine di accedere a notizie riguardanti le imprese partecipanti alle pubbliche gare.

La segnalata pronuncia affronta la questione sulla legittimità, o meno, dell’aggiudicazione di una gara di appalto in favore di una ditta che ha omesso di presentare la documentazione relativa alla propria attività sotto i profili organizzativi, finanziari e tecnici.
In particolare, la ricorrente, seconda in graduatoria, ha impugnato gli atti inerenti una procedura aperta indetta dal competente Provveditorato interregionale per l’affidamento di alcuni lavori pubblici, nonché il decreto con cui il Provveditore aveva disposto l’aggiudicazione definitiva in favore di altra società.
Ha eccepito, oltre al resto, la violazione e falsa applicazione dell’art. 1, comma 5, del D.L. n. 629/1982, conv. in L. n. 726/1982, degli artt. 38, comma 1, lett. c) e 40, comma 9, del D.Lgs. n. 163/2006, nonché la violazione e falsa applicazione della sezione del disciplinare di gara relativa alla busta A ("Documentazione").
Segnatamente, ha lamentato che l’aggiudicataria avrebbe omesso di allegare alla propria offerta il "modello GAP impresa partecipante", nonché l’attestazione di insussistenza, in capo al proprio legale rappresentante e al proprio direttore tecnico, di sentenze di applicazione della pena su richiesta e di sentenze di condanna incidenti sulla moralità professionale per le quali il destinatario abbia goduto del beneficio della non menzione, mentre, sempre con riferimento agli anzidetti esponenti aziendali, avrebbe esibito certificati del casellario giudiziale e dei carichi pendenti scaduti.
Il Collegio di Napoli, in via preliminare, ha ritenuto che il giudizio poteva essere definito con decisione in forma semplificata, ai sensi dell’art. 60 c.p.a., in considerazione dell’oggetto della causa, dell’integrità del contraddittorio e della completezza dell’istruttoria.
In punto di rito ha dapprima dichiarato la tempestività del gravame sulla scorta della considerazione per cui l’iniziale comunicazione effettuata dal Provveditorato interregionale, nel richiamare soltanto i verbali di gara relativi all’esame della documentazione amministrativa prodotta dalle imprese concorrenti, nonché all’aggiudicazione provvisoria in favore della controinteressata, doveva intendersi riferita all’aggiudicazione provvisoria e non a quella definitiva.
Siffatta comunicazione, pertanto, a suo avviso, non integrava gli estremi propri di quella prevista dall’art. 79, comma 5, lett. a), del D.Lgs. n. 163/2006, secondo cui: "in ogni caso l'amministrazione comunica di ufficio … l'aggiudicazione definitiva, tempestivamente e comunque entro un termine non superiore a cinque giorni, all'aggiudicatario, al concorrente che segue nella graduatoria, a tutti i candidati che hanno presentato un'offerta ammessa in gara, a coloro la cui candidatura o offerta siano state escluse se hanno proposto impugnazione avverso l'esclusione, o sono in termini per presentare dette impugnazioni, nonché a coloro che hanno impugnato il bando o la lettera di invito, se dette impugnazioni non siano state ancora respinte con pronuncia giurisdizionale definitiva".
Di conseguenza, il giudicante, considerato che la ricorrente aveva acquisito piena conoscenza dell’aggiudicazione definitiva attraverso il testuale richiamo a essa contenuto nella successiva nota dell’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici, ha proceduto all’esame del merito della vicenda.
In proposito, ha osservato come, in termini generali, l'onere di presentare il modello GAP risponde a un’esigenza fondamentale di tutela dell’ordine pubblico, consistente nel consentire all'alto Commissario per il coordinamento della lotta contro la delinquenza mafiosa, l’accesso a notizie riguardanti le imprese partecipanti alle pubbliche gare e nell’apprestargli, per tal via, un indefettibile strumento conoscitivo per svolgimento delle sue funzioni (cfr. Cons. Giust. Amm. Sicilia, Sez. giurisd., n. 298/1998; TAR Lazio, Latina, n. 1067/2010).
Conseguentemente ha ritenuto che, nel caso di specie, la rilevanza sostanziale dell'interesse pubblico sotteso alla clausola concorsuale prescrittiva di un simile onere documentale, avrebbe dovuto implicare l'esclusione dalla gara delle imprese resesi inadempienti, pur in difetto di espressa sanzione espulsiva da parte della lex specialis e in virtù del principio di eterointegrazione di quest’ultima a opera della norma imperativa di cui all’art. 1, comma 5, del D.L. n. 629/1982, conv. in L. n. 726/1982 (cfr. Cons. Giust. Amm. Sicilia, Sez. giurisd., n. 94/2003; TAR Sicilia, Palermo, Sez. II, n. 313/2005; idem, Sez. III, n. 1173/2007 e n. 532/2008; TAR Sicilia, Catania, Sez. IV, n. 2024/2009; idem n. 1100/2010 e n. 1900/2011).
Quest’ultima disposizione, infatti, recita testualmente che: “… a richiesta dell'alto Commissario, le imprese, sia individuali che costituite in forma di società aggiudicatarie o partecipanti a gare pubbliche di appalto o a trattativa privata, sono tenute a fornire allo stesso notizie di carattere organizzativo, finanziario e tecnico sulla propria attività, nonché ogni indicazione ritenuta utile ad individuare gli effettivi titolari dell'impresa ovvero delle azioni o delle quote sociali".
E così, ravvisata fondatezza del profilo di doglianza dianzi scrutinato, il G.A. partenopeo ha accolto il gravame, con conseguente annullamento dell’impugnato decreto del competente Provveditore interregionale.
Tuttavia, non ha ritenuto sussistenti le condizioni per dichiarare l’inefficacia del contratto di appalto, atteso che la relativa stipula non risultava avvenuta; né tampoco ha accolto la domanda di risarcimento del danno per equivalente monetario.
A quest’ultimo riguardo, ha infatti evidenziato che attraverso l’annullamento giurisdizionale dei provvedimenti impugnati e l’effetto conformativo da esso derivante, la ricorrente ha ottenuto esattamente il bene della vita ambito, ossia la classificazione al primo posto della graduatoria concorsuale e la connessa possibilità di aggiudicazione (commento tratto da www.ispoa.it - TAR Campania-Napoli, Sez. VIII, sentenza 16.12.2011 n. 5872 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI FORNITURE: Appalti di forniture, per partecipare solo prodotti omologati.
Il Consiglio di Stato ha precisato che i requisiti essenziali per la partecipazione alle gare di appalto devono essere posseduti al momento della presentazione delle offerte. Nel caso di specie la mancanza dell'omologazione dei prodotti al momento della presentazione dell'offerta, rilasciata successivamente alla seduta di gara, è stato ritenuto elemento sufficiente per l'esclusione dalla procedura di gara.
Numerose sono le sfaccettature della decisione, ma in questa sede, riteniamo sottolineare solo un aspetto, ossia quello relativo alla omologazione dei prodotti offerti in sede di gara.
E' stata sollevata con ricorso in appello censura nei confronti dell'aggiudicataria, motivata dal fatto che la lex specialis di gara richiedeva l'omologazione del prodotto al momento della formulazione dell'offerta.
Parte controinteressata ha precisato che la dimostrazione dell'esistenza dell'omologazione poteva essere provata successivamente all'aggiudicazione provvisoria.
La Sezione ha valutato la censura avanti esposta ed ha concluso che astrattamente può essere provato il possesso del certificato di omologazione di un prodotto in sede di dimostrazione dei requisiti di gara, successivamente all'aggiudicazione provvisoria e prima di quella definitiva.
Tuttavia, ha precisato il Giudicante che la previsione del bando di gara del possesso del certificato di omologazione al momento della presentazione dell'offerta, comporta che è in sede di offerta che deve essere esibito il certificato di omologazione e ciò per rispetto della pars condicio tra i concorrenti partecipanti alla gara.
Inoltre, la sezione ha evidenziato che oltre agli aspetti formali della e nell'ambito della procedura di gara, vi è una problematica di tipo sostanziale che impedisce di ammettere legittimamente ad una procedura di gara ditte che non presentano il certificato di omologazione dei prodotti offerti, contestualmente alla presentazione dell'offerta e quindi in sede di gara. Tanto perché il certificato di omologazione di un prodotto è l'attestazione che quel prodotto ha il requisito per essere messo in commercio e ciò sicuramente necessario per essere un prodotto offerto alla Pubblica Amministrazione.
Le considerazioni avanti esposte hanno caratterizzato un settore delle motivazioni contenute nella decisione del Consiglio di Stato che è stata quella del rigetto dell'appello, in quanto solo l'aggiudicazione definitiva rappresenta il momento della perfezione dell'appalto e della nascita di effetti giuridici aventi valore contrattuale tra le parti.
Sostanzialmente il procedimento di gara è ancora aperto tra la fase dell'aggiudicazione provvisoria e quella definitiva e la Stazione Appaltante, attraverso Responsabile del procedimento e Dirigente può esperire ogni accertamento necessario od utile ai fini di gara.
Alla luce di tutto ciò non si può che concludere che la seduta di gara è solo deputata alla raccolta ed all'apertura dell'offerte e si conclude con un atto di aggiudicazione provvisoria, m quale è il verbale di gara, che comunque non impedisce alla Pubblica Amministrazione di ulteriormente provvedere sul procedimento, nei limiti derivati dalla prima fase.
Certamente non è da sottovalutare la fase della seduta di gara che alla presenza di pubblici ufficiali, quali sono i componenti della Commissione di Gara e quella eventuale delle ditte partecipanti, costituisce un momento importante di trasparenza e di certezza per gli atti e le operazioni compiuti che vengono trasfuse nel verbale di gara quale atto pubblico.
A questo punto vi è da aggiungere che, nel caso di specie, non è stata ritenuta valida l'eccezione di essere nel possesso della omologazione perché in effetti alla data di presentazione dell'offerta, corredata da dichiarazione sostitutiva del possesso della omologazione dei prodotti, non è stata idonea in quanto l'omologazione è stata rilasciata in data successiva, quindi al momento di celebrazione della gara non vi era.
Di conseguenza successivamente alla seduta di gara non vi era alcuna attività possibile né da parte della stazione appaltante, né da parte dei concorrenti per l'acquisizione del documento mancante, ma dichiarato, in quanto nella sostanza non vi era l'omologazione dei prodotti e quindi difettava in capo alla concorrente un requisito di partecipazione (commento tratto da www.ipsoa.it - Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 02.12.2011 n. 6376 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

CONDOMINIO: Distanze legali, prevalgono le norme sulle cose comuni. È lecito installare tre pensiline su un bene comune anche se non rispettano le norme sui rapporti di vicinato.
È la conclusione cui è giunta la Corte di Cassazione, Sez. II civile, con la sentenza 25.10.2011 n. 22092 con cui è stato respinto il ricorso del proprietario di un appartamento situato al primo piano di un condominio nei confronti di quello dell'alloggio sottostante.
La Suprema corte ha, infatti, stabilito che le norme sulle distanze legali, rivolte fondamentalmente a regolare rapporti fra proprietà contigue e separate, sono applicabili anche in ambito condominiale quando siano compatibili con l'applicazione delle disposizioni particolari relative alle cose comuni, ma in caso di contrasto prevale, quale diritto speciale, la disciplina della comunione. L'aspetto fondamentale è quindi che il condomino non alteri la destinazione del bene e non ne impedisca l'altrui pari uso.
In particolare, la sentenza ha riguardato il caso di un ricorrente che si è rivolto al tribunale denunciando che il condomino del piano terra aveva realizzato tre pensiline di materiale plastico con intelaiatura in ferro, chiedendone la rimozione. Secondo il condomino, infatti, le opere eseguite risultavano lesive dell'estetica della facciata, violando inoltre il diritto di veduta e le norme sulle distanze legali. I giudici però hanno respinto la domanda sia in primo che in secondo grado.
Secondo la Corte d'appello, infatti, i manufatti erano stati realizzati con materiale elegante, trasparente e in armonia con le caratteristiche strutturali e l'estetica del fabbricato.
La vicenda è quindi approdata in Cassazione dove è stato stabilito che le norme sulle distanze legali sono applicabili anche in ambito condominiale purché non siano in contrasto con le norme particolari relative alle cose comuni, perché in questo caso prevalgono queste ultime. Di conseguenza, il diritto del singolo condomino va incontro a un solo limite, cioè di consentire il potenziale pari uso della cosa anche da parte degli altri (articolo ItaliaOggi Sette del 16.01.2012).
---------------
1. Le norme sulle distanze legali, rivolte fondamentalmente a regolare rapporti fra proprietà contigue e separate, sono applicabili anche nei rapporti tra i condomini di un edificio condominiale quando siano compatibili con l'applicazione delle norme particolari relative alle cose comuni (art. 1102 c.c.), cioè quando l'applicazione di queste ultime non sia in contrasto con le prime; nell'ipotesi di contrasto prevalgono le norme sulle cose comuni con la conseguente inapplicabilità di quelle relative alle distanze legali che nel condominio degli edifici e nei rapporti fra singolo condomino e condominio sono in rapporto di subordinazione rispetto alle prime.
2. In considerazione della peculiarità del condominio degli edifici, caratterizzato dalla coesistenza di una comunione forzosa e di proprietà esclusive, il godimento dei beni, degli impianti e dei servizi comuni è in funzione del diritto individuale sui singoli piani in cui è diviso il fabbricato: dovendo i rapporti fra condomini ispirarsi a ragioni di solidarietà si richiede un costante equilibrio tra le esigenze e gli interessi di tutti i partecipanti alla comunione, dovendo verificarsi necessariamente alla stregua delle norme che disciplinano la comunione - che l'uso del bene comune da parte di ciascuno sia compatibile con i diritti degli altri
(massima tratta da www.neldiritto.it).

AGGIORNAMENTO AL 16.01.2012

ã

GURI - GUUE - BURL (e anteprima)

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: G.U.U.E. 13.01.2012 n. L 11 "DECISIONE DI ESECUZIONE DELLA COMMISSIONE del 18.11.2011 che adotta un quinto elenco aggiornato dei siti di importanza comunitaria per la regione biogeografica continentale [notificata con il numero C(2011) 8278]".

SINDACATI

PUBBLICO IMPIEGO: Il foglio dei lavoratori della Funzione Pubblica (CGIL-FP di Bergamo, dicembre 2011).

NOTE, CIRCOLARI E COMUNICATI

EDILIZIA PRIVATA: Oggetto: Legge 22.12.2011 n. 214 (conversione del cosiddetto decreto Monti). Disposizioni di interesse per il settore dell’urbanistica e dell’edilizia (ANCE Bergamo, circolare 13.01.2012 n. 7).

LAVORI PUBBLICI: Oggetto: Legge 22.12.2011 n. 214 (conversione del cosiddetto decreto Monti). Disposizioni di interesse per le opere pubbliche (ANCE Bergamo, circolare 13.01.2012 n. 6).

DOTTRINA E CONTRIBUTI

APPALTI: V. M. Leone, LA RICOGNIZIONE DEI SOGGETTI OBBLIGATI E LE VICENDE CONTRATTUALI DELLA TRACCIABILITÀ (link a www.osservatorioappalti.unitn.it).

APPALTI SERVIZI: G. Marchianò, CONTRATTI DI SERVIZI NEL REGOLAMENTO DI ESECUZIONE N 207/2010: PRIME OSSERVAZIONI (link a www.osservatorioappalti.unitn.it).

UTILITA'

SICUREZZA LAVOROCome si redige un POS (Piano Operativo di Sicurezza): ecco un modello completo e versatile.
Il POS è il documento in cui sono contenute tutte le misure di prevenzione e protezione da adottare nelle attività di cantiere al fine di salvaguardare l'incolumità fisica dei lavoratori.
Il Testo Unico per la Sicurezza (D.Lgs. 81/2008) prevede l'obbligo del datore di lavoro di un’impresa esecutrice di redigere il POS (Piano Operativo di Sicurezza) con i contenuti minimi previsti all’Allegato XV; il coordinatore della sicurezza in fase di esecuzione avrà l’obbligo di verificare l’idoneità di questo documento.
In allegato a questo articolo proponiamo uno schema di POS elaborato dal Gruppo di lavoro della Provincia di Padova, di concerto con il Comitato Provinciale di Coordinamento.
Il documento rappresenta uno strumento versatile a disposizione di tutti gli operatori del settore (imprese, committenti e coordinatori) improntato alla praticità, all’efficacia e alla concretezza.
In esso sono contenute tutte le misure preventive di sicurezza da adottare in cantiere ed è così strutturato:
dati generali del cantiere
dati identificativi dell'impresa esecutrice
specifiche mansioni inerenti la sicurezza
descrizione dell'attività di cantiere
descrizione delle modalità organizzative
elenco dei ponteggi, delle macchine, attrezzature ed impianti
elenco delle sostanze e preparati pericolosi
elenco dei dispositivi di protezione individuale
esiti dei rapporti di valutazione del rumore e delle vibrazioni
macroclima
procedure complementari e di dettaglio richieste dal PSC (quando previsto)
documentazione in merito all’informazione e formazione fornite ai lavoratori occupati in cantiere
valutazione dei rischi del cantiere (12.01.2012 - link a www.acca.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA - VARIRisparmio energetico con l'illuminazione: facciamo “luce” con il manualetto ENEA.
Dai primi anni del 1900 fino ad oggi la lampadina ha fatto molta strada, modificando radicalmente abitudini e bisogni.
Oggi non sarebbe possibile compiere anche le azioni più comuni senza luce artificiale; basti pensare che circa l'80% di tutta l’energia elettrica che consumiamo nelle nostre case serve ad illuminare.
In questo articolo proponiamo un manualetto pubblicato dall'ENEA sul risparmio energetico ottenibile con l'illuminazione.
Il documento effettua dapprima una panoramica su:
● lampade a incandescenza
● lampade alogene
● lampade fluorescenti
● lampade a LED
● definendo i concetti principali e elencando pro e contro di ciascuna tipologia.
Sono anche presenti utili indicazioni su:
● quali lampade scegliere
● dove e come illuminare
● consigli generali circa la sicurezza, il risparmio energetico e il rispetto dell’ambiente (12.01.2012 - link a www.acca.it).

AMBIENTE-ECOLOGIAQuesto dove lo butto? Ecco il dizionario dei rifiuti!
Quante volte ci è capitato di dimenticare come smaltire o riciclare un rifiuto per una corretta raccolta differenziata?
Da oggi non dovremo più preoccuparci.
Arriva in nostro soccorso il “dizionario dei rifiuti”, disponibile in due versioni, applicazione web (on-line) e App per Android, che ci informa immediatamente come smaltire la maggior parte dei rifiuti.
L’idea nasce da un giovane diciottenne, quando nel suo paese in provincia di Matera viene introdotta per la prima volta la raccolta differenziata.
Il giovane si è accorto che la differenziata creava diversi problemi a molti suoi compaesani. Così, qualche mese dopo, ha realizzato un sito ed un'applicazione che permette di risolvere i dubbi sulla differenziata.
L’applicazione è simile ad un motore di ricerca: basta scrivere il rifiuto che si vuole smaltire o riciclare e ci viene suggerita la destinazione tra le 8 tipologie classificate, cioè umido, carta, plastica, vetro, alluminio, secco indifferenziato, materiale pericoloso e materiale ingombrante.
Per ogni tipologia di rifiuti vengono anche fornite istruzioni su come preparare il rifiuto (12.01.2012 - link a www.acca.it).

NEWS

SEGRETARI COMUNALI: Segretari, anche i rogiti nel taglio di solidarietà. Stipendi. Le indicazioni della Ragioneria.
L'ALTRO CHIARIMENTO/ La stretta sugli aumenti automatici determinata dalla legge di stabilità è interpretativa e valida per il passato.

Due nuovi colpi alla busta paga dei segretari comunali e provinciali. Arrivano dalla Ragioneria generale dello Stato, che in una nota girata a Palazzo Chigi, Viminale, Anci, Upi e Aran risponde ai «numerosi quesiti» che continuano a piovere a Via XX Settembre dalle amministrazioni locali sulla corretta applicazione delle regole per gli stipendi dei vertici amministrativi.
La prima brutta notizia riguarda i diritti di rogito: secondo la Ragioneria rientrano nella base di calcolo del «contributo di solidarietà» che taglia del 5% la quota di trattamento economico superiore a 90mila euro e del 10% quella che supera i 150mila. La tagliola si applica a tutte le entrate dei segretari, compreso lo «scavalco» che viene riconosciuto nei casi di reggenza di altro ente: questi istituti, spiega la Ragioneria, «hanno effetto sulla dinamica retributiva, e di conseguenza concorrono al raggiungimento delle soglie di reddito» che fanno scattare la sforbiciata di solidarietà.
Le istruzioni della Ragioneria tornano poi sull'infinita questione del «galleggiamento», cioè lo strumento che consente alla busta paga del segretario di non fermarsi prima di quella riconosciuta al dirigente più alto in carica. La legge di stabilità (articolo 4, comma 26, della legge 183/2011) ha provato a chiudere una partita aperta dal 2006, stabilendo che il «galleggiamento» si applica dopo le maggiorazioni riconosciute per incarichi aggiuntivi, stoppando una prassi che prima gonfiava la busta paga con il galleggiamento, e poi aggiungeva la maggiorazione come tassello "indipendente".
Il braccio di ferro, allora, si è spostato sul carattere «interpretativo» o «innovativo» della norma: la Ragioneria sancisce la prima ipotesi, che di conseguenza offre alla regola valore retroattivo e impedisce una legittimazione ex post delle applicazioni più "generose" del passato (articolo Il Sole 24 Ore del 13.01.2012).

ENTI LOCALI - VARI: Immobili rurali, pratiche online. Accatastamenti fino al 31 marzo. Domande su internet. Comunicato dell'Agenzia del territorio spiega le novità della manovra Monti e del milleproroghe.
Il comunicato stampa dell'11.01.2012 dell'Agenzia del territorio ricorda che il legislatore, con la legge di conversione 22.12.2011, n. 214, del decreto legge 06.12.2011, n. 201, ha introdotto la lettera d-bis del comma 14 dell'articolo 13, con cui sono state abrogate le disposizioni di cui all'art. 7, commi 2-bis, 2-ter e 2-quater, del decreto legge 13.05.2011, n. 70, convertito, con modificazioni, dalla legge 12.07.2011, n. 106, che prevedevano, per gli immobili rurali a uso abitativo, l'attribuzione della categoria A/6 e, per gli immobili rurali a uso strumentale, la categoria D/10, a seguito della presentazione di apposita domanda di variazione all'Agenzia del territorio.
Come si ricorderà, in un precedente articolo su queste colonne avevamo riferito delle novità con cui il fisco precisava con la circolare ministeriale n. 6/T del 22.09.2011, le nuove regole per l'accatastamento dei fabbricati rurali, carico dei proprietari, per l'iscrizione in catasto dei fabbricati rurali nelle categorie catastali A/6 e D/10.
La nuova norma in realtà reperiva la stretta operata dalla giurisprudenza sui benefici fiscali connessi alla ruralità degli immobili che sono, ad avviso della Cassazione, da destinarsi esclusivamente ai fabbricati censiti come A/6 e D/10, a seconda dell'uso (rispettivamente abitativo o strumentali di detti immobili).
La presentazione della documentazione doveva, originariamente, avvenire mediante presentazione all'Ufficio provinciale dell'Agenzia del territorio territorialmente competente (di seguito «Ufficio»), entro la data del 30.09.2011.
Dati i tempi stretti per l'adempimento in commento, avevamo espresso l'auspicio che vi fosse una riapertura dei termini per tale adempimento.
Infatti adesso con l'art. 29, comma 8, del decreto legge 29.12.2011, n. 216, in corso di conversione, recante «Proroga dei termini previsti da disposizioni legislative», cosiddetto «mille proroghe», è stato, inoltre, previsto che, in relazione al riconoscimento del citato requisito di ruralità, rimangono salvi gli effetti delle domande di variazione presentate anche dopo la scadenza dei termini originariamente previsti, purché entro e non oltre il 31.03.2012.
I fabbricati rurali iscritti nel catasto dei terreni, con esclusione di quelli che non costituiscono oggetto di inventariazione ai sensi dell'articolo 3, comma 3, del decreto del ministro delle finanze 02.01.1998, n. 28, devono essere dichiarati al catasto edilizio urbano entro il 30.11.2012, con le modalità stabilite dal decreto del ministro delle finanze 19.04.1994, n. 701.
Vi è però un'altra novità prevista dalle disposizioni in materia, con cui si precisa che nelle more della presentazione della dichiarazione di aggiornamento catastale di cui al comma 14-ter, l'imposta municipale propria è corrisposta, a titolo di acconto e salvo conguaglio, sulla base della rendita delle unità similari già iscritte in catasto.
Il conguaglio dell'imposta è determinato dai comuni a seguito dell'attribuzione della rendita catastale con le modalità di cui al decreto del ministro delle finanze 19.04.1994, n. 701.
Tali disposizioni che si ritrovano nell'art. 13 nei commi 14-bis, 14-ter e 14-quater, non erano originariamente inserite nel decreto legge del 06.12.2011 (manovra Monti), ma sono state inserite all'ultimo momento nella legge di conversione del decreto legge suddetto, e si ritrovano appunto nella legge 22.12.2011 n. 214.
Data questa frettolosa introduzione modificativa e l'aggiornamento importante ai fini dell'applicazione ai suddetti beni della neonata imposta Imu, l'Agenzia del territorio ha ritenuto opportuno precisare il senso delle nuove disposizioni, con un breve comunicato del 11.01.2012, nel quale ricorda succintamente le novità procedurali introdotte e la nuova proroga al 31.03.2012 delle comunicazioni da farsi a cura dei proprietari degli immobili rurali.
Il comunicato stampa in commento, ricorda infine, che per la presentazione delle suddette domande di variazione, l'Agenzia del territorio, per facilitare al contribuente il disbrigo delle pratiche amministrative relative alla novità legislativa introdotta recentemente, ha reso disponibile nel proprio sito internet un'applicazione che consente la compilazione della domanda e la stampa della stessa con modalità informatiche, con l'attribuzione di uno specifico codice identificativo, a conferma dell'avvenuta acquisizione a sistema dei dati contenuti nella domanda di variazione (articolo ItaliaOggi del 13.01.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

APPALTI SERVIZI: LIBERALIZZAZIONI/ Il governo Monti recepisce molte delle indicazioni dell'Antitrust. Utility, giro di vite sull'in house. Entro fine anno stop alle gestioni che superano i 200 mila.
Stop alle gestioni in house entro fine 2012 se il valore del servizio supera i 200 mila euro. Parere obbligatorio dell'Antitrust sulle delibere degli enti locali che liberalizzano o mantengono diritti di esclusiva (che devono essere motivati). Liberalizzazione anche per il trasporto ferroviario regionale. Scende da 900 mila a 200 mila euro il limite entro il quale si potrà gestire in house. Priorità nei finanziamenti statali agli enti di ambito o di bacino. Applicabilità del Codice dei contratti pubblici e delle norme sulla finanza pubbliche per le aziende speciali.
È quanto prevedono le norme dedicate ai servizi pubblici locali previsti nella bozza del decreto-legge sulle liberalizzazioni predisposto dal governo che, su questa come su altra materia (professioni, taxi, farmacie) mostra di recepire gran parte delle indicazioni fornite dall'Antitrust nella segnalazione del 05.01.2012. In particolare per i servizi pubblici locali si interviene direttamente sulle ultime norme varate a Ferragosto (decreto 138 convertito nella legge 148/2011) dal governo Berlusconi, nello spirito di un maggiore ricorso al mercato e di una liberalizzazione «governata» dalle autorità di controllo e regolazione.
È ad esempio così per la revisione della norma della legge 148 sulla delibera quadro dell'ente locale che dimostri i benefici derivanti dal mantenimento o meno del regime di esclusiva.
Si prevedeva infatti che la delibera quadro fosse semplicemente inviata all'Antitrust, mentre con il nuovo decreto del governo Monti, invece, il provvedimento dell'ente locale potrà essere emanato soltanto dopo il parere obbligatorio dell'Antitrust, che dovrà arrivare entro 60 giorni e che dovrà essere reso pubblico.
La bozza di decreto prevede anche che la delibera sia comunque adottata entro trenta giorni dalla ricezione del parere dell'Autorità e che, in assenza della delibera non si possano attribuire diritti di esclusiva. Se l'ente locale deciderà per l'effettuazione di gare per affidare i servizi, il concessionario o affidatario del servizio avrà l'obbligo di fornire i dati sulle caratteristiche del servizio da mettere in gara previste sanzioni da 5 mila a 500 mila euro per il mancato inoltro dei dati richiesti).
Rilevante è poi l'intervento sulle gestioni cosiddette «in house»: se ad agosto si ammetteva l'affidamento diretto del servizio a società interamente pubbliche se il valore del servizio fosse pari o inferiore a 900 mila euro, con il nuovo decreto questo importo scende drasticamente a 200 mila euro. Non solo: la gestione in house potrà avere una durata massima di cinque anni (a decorrere dal 31.12.2012, data entro la quale dovranno cessare gli affidamenti diretti di valore superiori ai 200 mila euro) per le aziende risultanti da fusioni di preesistenti gestioni dirette che abbiano determinato la nascita di un gestore unico del servizio a livello di ambito ottimale.
Il decreto legge stabilisce anche che siano integralmente applicabili le norme sulle liberalizzazioni dei servizi pubblici locali (come risultanti dalle modifiche apportate all'articolo 4 della legge 148) anche al trasporto ferroviario regionale, in precedenza escluso.
Confermata l'esclusione dall'applicazione delle nuove norme per il servizio idrico integrato per il quale valgono le competenze dell'Autorità per l'energia elettrica e il gas, divenuta competente dopo il decreto Monti di dicembre.
L'organizzazione dei servizi pubblici locali in ambiti o bacini territoriali ottimali e omogenei (che consentano econome di scala e massimizzazione dell'efficienza) costituirà «principio generale dell'ordinamento nazionale», rafforzando il vincolo per il legislatore regionale.
Il rispetto delle norme sulle liberalizzazioni dei servizi pubblici locali rappresenterà per l'ente locale un indice di «virtuosità» per non concorrere alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica.
Prevista una priorità nel finanziamento con risorse statali per gli enti di governo degli ambiti o dei bacini territoriali. Gli enti locali potranno cedere le proprie quote societarie (con procedura di gara aperta) per ripianare posizioni debitorie o promuovere l'ampliamento del mercato.
Vengono toccate anche alcune norme del dlgs 267/2000, prevedendo in particolare che le aziende speciali siano operative solo per gestire servizi diversi da quelli di interesse economico generale e che esse, insieme alle istituzioni, siano assoggettate al patto di stabilità interno secondo modalità che definiranno appositi decreti ministeriali. Si prevede inoltre che alle aziende speciali si applichi il Codice dei contratti pubblici e le norme che prevedono limiti o divieti alle assunzioni di personale, al conferimento di consulenze e in genere le norme sulla finanza pubblica.
---------------
Palazzo Chigi vigilerà sulla concorrenza negli enti. Tra le competenze anche l'accertamento delle clausole vessatorie.
Sarà palazzo Chigi a vigilare sulla concorrenza nelle regioni e negli enti locali. Non attraverso un'Authority vera e propria (come emergeva dalla lettura delle prime bozze del pacchetto liberalizzazioni), ma attraverso un ufficio dedicato che dovrà essere istituito entro due mesi con dpcm.
Alla nuova struttura, il cui mantenimento in vita (il decreto lo dice espressamente) non dovrà comportare oneri ulteriori per le casse dello stato, spetterà innanzitutto monitorare la normativa regionale e locale e individuare, anche su segnalazione dell'Antitrust, se nelle pieghe delle leggi locali si annidano disposizioni contrastanti con la tutela o la promozione della concorrenza.
In questo caso il neonato ufficio fisserà un «congruo termine» per rimuovere i limiti alla concorrenza, decorso il quale il governo potrà esercitare i poteri sostitutivi previsti dall'articolo 8 della legge La Loggia (legge 05.06.2003, n. 131). La nuova struttura dovrà anche supportare gli enti locali nel monitoraggio e nelle procedure di dismissione delle loro partecipazioni nelle società di utility.
Tra le competenze dell'ufficio anche l'accertamento della vessatorietà delle clausole inserite nei contratti tra professionisti e consumatori. Nell'esercizio di tali funzioni all'ufficio è attribuito il potere di richiedere, tramite funzionari appositamente autorizzati, informazioni a privati ed enti pubblici. Le regole sulle procedure istruttorie da tenere e sulle garanzie di contraddittorio saranno individuate con successivo regolamento da emanare ai sensi della legge 400/1988. In ogni caso in questi procedimenti dovranno essere garantiti «la piena cognizione degli atti, la verbalizzazione e la maggiore speditezza possibile dell'intervento amministrativo».
I componenti, i funzionari e i dipendenti dell'ufficio non percepiranno emolumenti aggiuntivi o gettoni di presenza. Dovranno operare con autonomia di giudizio e risponderanno per gli atti compiuti nell'esercizio delle loro funzioni solo per dolo o colpa grave (articolo ItaliaOggi del 13.01.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

AUTORITA' VIGILANZA CONTRATTI PUBBLICI

APPALTI SERVIZI: Quesito posto ai sensi del Regolamento interno sull’istruttoria dei quesiti giuridici dal Comune di Bitonto in ordine alla sussistenza dei presupposti per l’affidamento diretto alla società mista Azienda Servizi Vari S.p.A. di una pluralità di servizi.
In materia di affidamento a società miste, come previamente precisato dal Consiglio di Stato, “la società mista opera nei limiti dell’affidamento iniziale e non può ottenere senza gara ulteriori missioni che non siano già previste nel bando originario” (Consiglio di Stato, sez. V, 13.02.2009, n. 824). Tuttavia, perché la selezione del socio privato possa fungere anche da procedura di affidamento di appalti o concessioni occorre che la gara rispetti alcune condizioni.
In primo luogo, come specifica la Commissione nella citata comunicazione interpretativa, la garanzia, in favore di ogni potenziale offerente, di un adeguato livello di pubblicità che consenta l’apertura del mercato dei servizi alla concorrenza, implica che l’amministrazione aggiudicatrice deve includere nel bando di gara o nel capitolato d’oneri “informazioni di base sull’appalto pubblico o sulla concessione da aggiudicare all’entità a capitale misto” oltre che “qualche informazione sulla durata prevista dell’appalto pubblico che l’entità a capitale misto dovrà eseguire o della concessione che dovrà gestire”. Secondo il Consiglio di Stato “l’affidamento di un servizio ad una società mista è ritenuto ammissibile a condizione che sia svolta una unica gara per la scelta del socio e l’individuazione del determinato servizio da svolgere (delimitato in sede di gara sia temporalmente che con riferimento all’oggetto)” (Consiglio di Stato, sez. V, 30.09.2010, n. 7214).
Per quanto riguarda la determinazione, in sede di gara, dell’oggetto del servizio da affidare alla società mista, la giurisprudenza ha ritenuto, in un bando relativo alla selezione del socio operativo per la costituzione di società mista per la gestione del servizio rifiuti, che l’indicazione dell’oggetto dell’attività posta in affidamento come “attività di raccolta dei rifiuti di tutti i comuni ricompresi nell’ambito territoriale ottimale (…) e di quegli altri che ne avessero fatta richiesta” fosse generica (Consiglio di Stato, sez. V, 13.02.2009, n. 824); del pari generica è stata valutata, in un bando per la selezione di socio operativo cui affidare lavori di manutenzione ordinaria e straordinaria del sistema infrastrutturale per lo svolgimento del servizio idrico integrato, l’indicazione dell’attività come “realizzazione di tutti quei lavori … che l’ATO della provincia di Milano deciderà di finanziare con i suoi piani annuali” (Consiglio di Stato, sez. VI, 23.09.2008, n. 4603).
Al riguardo la Corte di Giustizia ha puntualizzato che, ai fini della compatibilità con la normativa comunitaria in materia di appalti, occorre che il socio privato sia selezionato mediante una procedura ad evidenza pubblica “nella quale il socio privato sia selezionato mediante una procedura ad evidenza pubblica, previa verifica dei requisiti finanziari, tecnici, operativi e di gestione riferiti al servizio da svolgere e delle caratteristiche dell’offerta in considerazione delle prestazioni da fornire, a condizione che detta procedura di gara rispetti i principi di libera concorrenza, di trasparenza e di parità di trattamento imposti dal Trattato” (Corte di Giustizia, causa C-196/08, sentenza 15.10.2009).
Per ciò che concerne la determinazione temporale del servizio, il Consiglio di Stato, sulla scorta di quanto già puntualizzato in sede di Adunanza Plenaria, ha precisato che “le amministrazioni dovranno, fin dalla predisposizione degli atti della gara per la scelta del socio privato, porsi il problema di come consentire alla scadenza del contratto l’eventuale svolgimento di una nuova gara per la scelta di un nuovo socio. Non è sufficiente delimitare temporalmente l’affidamento ma è necessario prevedere un obbligo di cessione della quota del socio privato a condizioni predeterminate all’eventuale nuovo socio, individuato sempre con gara” (Consiglio di Stato, sez. V, 30.09.2010, n. 7214). Lo scopo è quello di evitare che l’assenza della previsione del rinnovo delle procedure di selezione del socio privato alla scadenza del periodo di affidamento renda di fatto tale socio un socio stabile, sottraendo il servizio alla concorrenza ben oltre i limiti temporali e di legittimità cui è condizionato l’affidamento diretto alla società mista.
Infine, per ciò che concerne l’affidamento di servizi ulteriori e il rinnovo degli appalti già affidati, la giurisprudenza amministrativa sottolinea l’illegittimità dell’affidamento di servizi non identificati al momento della selezione del socio privato. L’illegittimità degli ulteriori affidamenti non sarebbe dovuta ad un mero motivo formale ma alla distorsione della concorrenza che ne deriva giacché “è infatti evidente che la scelta di assumere l’incarico operativo per l’esecuzione di servizi indeterminati (…) e per una durata esorbitante (…) è di per sé discriminante in danno delle imprese di settore che ben potrebbero, invece, concorrere per singoli lotti, di portata più limitata e ben precisata” (Consiglio di Stato, sez. V, 04.08.2010, n. 5214; in termini anche Consiglio di Stato, sez. VI, 23.09.2008, n. 4603)
(parere sulla normativa 19.05.2011 - rif. AG-3/11 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: Richiesta di parere ai sensi del Regolamento sulla istruttoria dei quesiti giuridici – commissione di gara.
L’art. 84 del D.Lgs. n. 163/2006 disciplina distintamente la posizione del Presidente da quella degli altri componenti della commissione di gara; in particolare, dal combinato disposto del comma 3 con il comma 8 della disposizione de qua, si evince il principio per cui il Presidente della commissione di gara deve essere necessariamente individuato all’interno dell’ente (dirigente o, in via eccezionale, funzionario apicale dell’amministrazione, ex comma 3), mentre per gli altri componenti è ammesso, in alternativa, il ricorso a funzionari di altre amministrazioni aggiudicatrici o a professionisti esterni, con ricorso in tale ultimo caso esclusivamente alle professionalità ivi indicate (comma 8).
A tal riguardo sembra opportuno rilevare che la giurisprudenza amministrativa ha censurato la nomina di un dirigente di altra amministrazione come Presidente di una commissione di gara (Consiglio di Stato n. 2711/2006), mentre ha ritenuto ammissibile che a rivestire tale ruolo sia il segretario comunale negli enti locali privi di personale dirigenziale, tenuto conto che in applicazione della disciplina recata dal D.Lgs. n. 267/2000 ai segretari comunali possono essere attribuite funzioni dirigenziali (Consiglio di Stato, sez. V, 21.08.2006, n. 4858). In tal senso si è espressa anche l’Autorità con parere di precontenzioso n. 23/2007.
La norma, dunque, deve essere interpretata restrittivamente quanto alla possibilità di ricorrere –per la nomina del Presidente della commissione di gara– a soggetti differenti dal personale dirigenziale della stazione appaltante o di funzionari apicali della stessa, con l’ulteriore considerazione che nel caso in cui l’organizzazione dell’amministrazione non consenta di ricorrere a siffatte professionalità, la giurisprudenza ritiene ammissibile in via residuale una deroga alla predetta norma, nei confronti di soggetti (come il segretario comunale) che comunque garantiscono la rappresentatività dell’ente e la piena tutela degli interessi del medesimo, nonché una adeguata professionalità in relazione all’incarico da svolgere
(parere sulla normativa 05.05.2011 - rif. AG-14/11 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

LAVORI PUBBLICI: Convenzione per la realizzazione in regime di concessione di progetti finanziati con deliberazione del CIPE del 12.05.1988. Richiesta di parere.
La clausola compromissoria contenuta nella Convenzione per la realizzazione in regime di concessione di progetti finanziati con deliberazione del CIPE del 12.05.1988, che rinvia al D.P.R. 16.07.1962, n. 1063 per la definizione delle controversie tra PA ed appaltatore, deve essere letta alla luce dell'avviso del giudice costituzionale in materia che ha comportato il recupero della facoltà di declinare la competenza arbitrale da parte dei contraenti.
Il fondamento di qualsiasi arbitrato, infatti, e da rinvenirsi unicamente nella libera scelta delle parti e, pertanto, il rinvio al D.P.R. 1062/1963 contenuto nella clausola de qua, deve essere letto come possibilità sia per la PA sia per il privato di derogare alla competenza arbitrate anche con atto unilaterale di ciascuno dei contraenti. Una simile lettura trova peraltro conforto nella disciplina attualmente in vigore la quale, come visto, prevede (art. 241 del Codice) per entrambe le parti la possibilità di ricorrere o meno alla competenza arbitrale (la PA in sede di redazione del bando e l'impresa antro 20 giorni dall'aggiudicazione). Ed è evidente che tale facoltà di deroga –laddove non fosse stata esercitata ab origine per effetto dell'obbligatoria devoluzione delle liti al collegio arbitrale sancita dal D.P.R. n. 1063/1962- possa essere esercitata al momento dalle parti, essendo insorta solo successivamente una lite tra le stesse.
A ciò si aggiunga che, ove le parti decidano di ricorrere al giudizio arbitrale per la definizione della predetta lite, posto che nella fattispecie il collegio non è ancora costituito, per tale nomina e per il relativo giudizio, deve trovare applicazione la disciplina attualmente in vigore in materia di arbitrato, come contenuta negli articoli 241 e seguenti del Codice
(parere sulla normativa 08.04.2011 - rif. AG-10/11 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: Istanza di parere ai sensi dell’art. 69, comma 3, del D.Lgs. 163/2006 formulata da ESTAV – Ente per i Servizi Tecnico-Amministrativi di Area Vasta Sud Est.
Una clausola di esecuzione predisposta “nel rispetto dell’art. 5, comma 4, Legge 381/1991” non può che limitarsi ad individuare condizioni di esecuzione (impiego di persone svantaggiate in date percentuali) che debbono poter essere soddisfatte da qualsiasi operatore economico che si impegni in sede di gara ad eseguire il contratto secondo le prescrizioni richiamate.
Debbono pertanto ritenersi conformi al disposto dell’art. 69 del Codice l’inclusione, nei bandi di gara, le clausole comportanti l’impiego (o del mantenimento dell’impiego) di “persone svantaggiate” quali condizioni di esecuzione dell’appalto, in quanto modalità di prestazione del servizio finalizzata al perseguimento di obiettivi sociali, espressamente richiamate dall’art. 69 e dal 33° considerando della Direttiva Unificata, nei limiti in cui non discrimini gli operatori economici diversi dalle cooperative sociali che siano in grado di soddisfare le prescritte condizioni di esecuzione.
---------------
L’art. 69, comma 3, del Codice ha previsto la possibilità per le stazioni appaltanti di richiedere all’Autorità un pronunciamento sulle clausole del bando contemplanti “particolari condizioni di esecuzione del contratto”, onde evitare che esse possano incidere negativamente sulle condizioni di concorrenzialità del mercato “in modo tale da discriminare o pregiudicare alcune categorie di imprenditori, determinando così un’incompatibilità delle previsioni del bando o dell’invito con il diritto comunitario” (Cons. Stato, parere sul Codice n. 355/2006).
Le “particolari condizioni” alle quali le norme in commento si riferiscono, attengono in particolare ad esigenze sociali o ambientali, come chiarito dal 33° considerando della Direttiva unificata: “… esse possono essere finalizzate alla formazione professionale nel cantiere, alla promozione dell'occupazione delle persone con particolari difficoltà di inserimento, alla lotta contro la disoccupazione o alla tutela dell'ambiente.
A titolo di esempio, si possono citare, tra gli altri, gli obblighi applicabili all'esecuzione dell'appalto di assumere disoccupati di lunga durata o di introdurre azioni di formazione per i disoccupati o i giovani, di rispettare in sostanza le disposizioni delle convenzioni fondamentali dell'Organizzazione internazionale del lavoro (OIL) nell'ipotesi in cui non siano state attuate nella legislazione nazionale, di assumere un numero di persone disabili superiore a quello stabilito dalla legislazione nazionale
”.
Ci si riferisce dunque a clausole attinenti ad esigenze sociali –sebbene la norma non escluda che possano riguardare anche altre “esigenze” perseguite dall’amministrazione- con la previsione, ad esempio, di misure di tutela a favore di alcune categorie di persone con particolari difficoltà di inserimento nel mondo del lavoro (persone svantaggiate o lavoratori invalidi, o a sostegno dell’occupazione) e ad esigenze ambientali, con la previsione, ad esempio, di particolari modalità di recupero, riciclaggio o riutilizzo dei materiali e dei prodotti utilizzati dall’appaltatore (
parere sulla normativa 10.03.2011 - rif. AG-6/11 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: Quesito posto ai sensi del Regolamento interno sull'istruttoria dei quesiti giuridici da Istituti Riuniti di Beneficienza in ordine alla natura giuridica delle IPAB trasformate in fondazioni.
Per quanto riguarda l’applicabilità all’IPAB trasformabile in fondazione dell’art. 1, comma 10-ter, del d.l. n. 162/2008 che sottrae alla disciplina di cui al d.lgs. 163/2006 –in quanto non più annoverabili tra gli organismi di diritto pubblico– gli enti di cui al d.lgs. n. 153/1999 (enti creditizi pubblici iscritti all’albo di cui all’art. 29 del r.d.l. n. 375/1936, le casse comunali di credito agrario e i monti di credito su pegno di seconda categoria che hanno effettuato il conferimento dell’intera azienda in una o più società per azioni aventi per oggetto l’attività svolta dall’ente conferente) e gli enti trasformati in associazioni o in fondazioni di cui al d.lgs. n. 509/1994 (enti gestori di forme obbligatorie di previdenza ed assistenza) e al d.lgs. n. 103/1996 (enti gestori sistemi previdenziali lavoratori autonomi), che non usufruiscono di alcun finanziamento o ausilio pubblico, si osserva innanzitutto che l’art. 1, comma 10-ter esclude la rilevanza del controllo della gestione e della nomina dei componenti degli organismi di amministrazione, direzione o vigilanza da parte di Stato ed altri enti pubblici ai fini dell’integrazione del requisito della “dominanza pubblica”.
Come è noto, la norma ha destato perplessità perché in contrasto con l’orientamento giurisprudenziale, nazionale e comunitario, secondo il quale l’elemento della “dominanza pubblica” è rinvenibile nel finanziamento pubblico anche nel caso (tipicamente proprio degli enti gestori di forme obbligatorie di previdenza ed assistenza) in cui l’ente benefici della contribuzione obbligatoria di tipo solidaristico, posta a carico degli iscritti, in quanto si realizzerebbe una forma indiretta di concorso finanziario dello Stato, nonché con il diritto comunitario, poiché l’Allegato III della direttiva 18/2004 include gli “enti che gestiscono forme obbligatorie di previdenza e di assistenza” nella categoria degli organismi di diritto pubblico (TAR Lazio, sez. III-bis, 04.08.2010 n. 30034).
A fronte di tali contraddizioni l’Autorità ha quindi ritenuto opportuna l’adozione di un atto di segnalazione al Governo ed al Parlamento nel quale rilevare che l’articolo in esame può comportare difficoltà applicative, dal momento che le casse previdenziali, ove ricorrano i requisiti comunitari, non possono che essere qualificate come organismi di diritto pubblico e che un atto normativo interno non può costituire implicita modifica a disposizioni trasposte da direttive comunitarie.
Nelle more di eventuali interventi modificativi da parte del legislatore, è possibile comunque osservare che l’art. 1, comma 10-ter, del d.l. n. 162/2008 introduce, a beneficio degli enti in esso identificati, un’eccezione rispetto alla disciplina derivante dal combinato disposto degli articoli 3, commi 25 e 26 e 32, comma 1, lett. a) del d.lgs. n. 163/2006 che e, pertanto, in quanto norma eccezionale, deve intendersi insuscettibile di applicazione analogica nei confronti di enti diversi da quelli tassativamente ivi indicati (art. 14 delle preleggi).
---------------
Le novità introdotte dalla riforma di settore in ordine alla trasformazione obbligatoria delle IPAB in ASP o in associazioni/fondazioni, consentono di ritenere in parte superato l’indirizzo dell’Autorità (di cui alla deliberazione AG 479 del 20/07/2000), che include tout court dette istituzioni nel novero degli organismi di diritto pubblico. Ciò in quanto, se le caratteristiche di questi ultimi sembrano permanere nelle ASP (personalità giuridica di diritto pubblico, finalità socio assistenziali e non di lucro, autonomia statutaria, contabile e finanziaria, operatività con criteri aziendali; membri del Cda nominati dalla regione), si ritiene vadano invece indagate caso per caso nelle istituzioni trasformate in associazioni/fondazioni.
Si tratta, come è noto, dei tre requisiti richiesti, cumulativamente, dall’art. 3, comma 26, del d.lgs. n. 163/2006 ai fini del riconoscimento della qualifica di organismo di diritto pubblico: 1. personalità giuridica; 2. essere istituito per soddisfare esigenze di interesse generale non aventi carattere industriale o commerciale; 3. attività finanziata in modo maggioritario dallo Stato, dagli enti territoriali o da altri organismi di diritto pubblico, oppure gestione sottoposta al controllo di tali soggetti, ovvero organismi di amministrazione, direzione o vigilanza costituiti in misura non inferiore alla metà da componenti designati dai medesimi soggetti.
Se i primi due requisiti paiono sussistere, più incerto appare l’esito della valutazione della sussistenza del terzo requisito, quello della “dominanza pubblica” nelle forme alternative del finanziamento maggioritario, del controllo della gestione o della nomina dei componenti degli organismi di amministrazione, direzione o vigilanza in misura non inferiore alla metà da parte dello Stato o di altri enti pubblici. Ciò in quanto tra i criteri alternativi richiesti dal D.P.C.M. 16.02.1990 ai fini del riconoscimento della personalità giuridica di diritto privato, spicca il “carattere di istituzione promossa ed amministrata da privati” (art. 1, comma 3, lett. b), a sua volta integrato in caso di “esistenza di disposizioni statutarie che prescrivano la designazione da parte di associazioni o di soggetti privati di una quota significativa dei componenti dell'organo deliberante” (art. 1, comma 5, lett. b)) e a condizione “che il patrimonio risulti prevalentemente costituito da beni risultanti dalla dotazione originaria o dagli incrementi e trasformazioni della stessa ovvero da beni conseguiti in forza dello svolgimento dell'attività istituzionale” (art. 1, comma 5, lett. b)).
In termini generali tuttavia, non si ravvisano elementi deducibili dalla pertinente normativa che ostino all’integrazione del requisito in esame che andrà pertanto accertato caso per caso
(parere sulla normativa 10.02.2011 - rif. AG-41/10 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

LAVORI PUBBLICI: Italferr - mancato pagamento dei subappaltatori.
La mancata presentazione da parte dell’appaltatore delle fatture quietanzate determina la sospensione di tutti i successivi pagamenti da parte della stazione appaltante, e non solamente di quelle relative ai rapporti appaltatore–subappaltatore. Tale affermazione viene implicitamente confermato dal regolamento di attuazione del codice, d.P.R. 05.10.2010, n. 207, che prevede, allo stesso tempo, un eccezione a detto principio.
L’art. 170 dispone: “In caso di mancato rispetto da parte dell'esecutore dell'obbligo di cui all'articolo 118, comma 3, del codice, qualora l'esecutore motivi il mancato pagamento con la contestazione della regolarità dei lavori eseguiti dal subappaltatore e sempre che quanto contestato dall'esecutore sia accertato dal direttore dei lavori, la stazione appaltante sospende i pagamenti in favore dell'esecutore limitatamente alla quota corrispondente alla prestazione oggetto di contestazione nella misura accertata dal direttore dei lavori.”
Sebbene, come noto, il regolamento sia destinato ad entrare in vigore a giugno di questo anno e, in particolare gli articoli di cui alla parte II, Titoli VIII, IX e X “non si applicano all'esecuzione, contabilità e collaudo dei lavori per i quali, alla data di entrata in vigore del regolamento, siano già stati stipulati i relativi contratti” (art. 357 del regolamento), si ritiene che la disposizione in commento possa essere un utile strumento ermeneutico per chiarire l’esatta portata applicativa della norma, rendendola idonea e sufficiente a tutelare la posizione del subappaltatore, senza però compromettere la realizzazione delle opere e l’equilibrio economico finanziario degli appaltatori.
Per quanto riguarda, poi, la sorte delle somme trattenute nel caso in cui il contenzioso tra le parti private dovesse protrarsi fino al momento del collaudo dell’opera, si ritiene che la stazione appaltante non possa procedere al pagamento integrale dell’appaltatore in quanto né il codice, né il regolamento di attuazione prevedono un termine finale alla sospensione.
Il pagamento in violazione dell’obbligo di sospensione, peraltro, potrebbe essere inidoneo a liberare la stazione appaltante dall’obbligazione, potendo essere gli effetti della sospensione sostanzialmente assimilabili a quelli del sequestro e del pignoramento. Ai sensi dell’art. 225 del d.P.R. 207/2010 (art. 195 d.P.R. 554/1999), pertanto, l’organo di collaudo procederà a determinare il credito liquido dell’appaltatore. L’obbligazione così sorta, però, non potrà essere adempiuta relativamente alla parte necessaria a coprire il credito del subappaltatore nei confronti dell’appaltatore.
Per il pagamento di tale somma, nel caso prospettato dall’istante, si dovrà attendere le determinazioni del giudice investito della controversia. Le modalità di conservazione delle somme trattenute sono rimesse al prudente apprezzamento delle stazione appaltante (a titolo esemplificativo: intervento e deposito in giudizio, accantonamento in bilancio, deposito presso un notaio)
(parere sulla normativa 10.02.2011 - rif. AG-48/10 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: ATI Orizzontale - sostituzione dell’impresa mandataria a seguito di liquidazione volontaria con una delle imprese mandanti.
La ratio dell’art. 37, co. 9 del Codice è quella di consentire alla p.a. appaltante, in primo luogo, di verificare il possesso dei requisiti da parte dei soggetti che partecipano alla gara e, correlativamente, di precludere modificazioni soggettive, sopraggiunte ai controlli, e dunque, in grado di impedire le verifiche preliminari.
Orbene, se è questa la funzione della disposizione di cui si discute, appare evidente come le uniche modifiche soggettive elusive del dettato legislativo siano unicamente quelle che portano all’aggiunta o alla sostituzione delle imprese partecipanti e non anche quelle che conducono al recesso di una delle imprese del raggruppamento.
In questo secondo caso le predette esigenze non risultano affatto frustrate poiché l’amministrazione, al momento del mutamento soggettivo, ha già provveduto a verificare i requisiti di capacità e di moralità dell’impresa o delle imprese che restano, sicché i rischi che il divieto in questione mira ad impedire non possono verificarsi
(parere sulla normativa 27.01.2011 - rif. AG-2/11 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

LAVORI PUBBLICI: Affidamento dei lavori di realizzazione del nuovo Centro Direzionale Alitalia - richiesta di parere ANCE.
La disciplina sui settori speciali trova applicazione anche nei confronti di soggetti che sono amministrazioni aggiudicatrici, in quanto operanti nei settori indicati dagli articoli da 208 a 213 del Codice. Dette amministrazioni, contrariamente alle imprese pubbliche ed ai soggetti privati operanti in virtù di diritti speciali o esclusivi, applicano la parte generale del Codice per gli appalti non rientranti nelle attività di cui ai citati articoli 208/213.
Giova evidenziare che per amministrazioni aggiudicatrici si intendono le amministrazioni dello Stato secondo la definizione di cui all’art. 3, comma 25, ivi inclusi gli organismi di diritto pubblico. Questi ultimi, ai sensi dell’art. 3, comma 26, sono enti in forma societaria istituiti per soddisfare esigenze di interesse generale, aventi carattere non industriale o commerciale, dotati di personalità giuridica e finanziati in modo maggioritario dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico oppure la cui gestione sia soggetta al controllo di questi ultimi oppure il cui organo d'amministrazione, di direzione o di vigilanza sia costituito da membri dei quali più della metà è designata dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico (comma 26). Elementi che devono sussistere contemporaneamente.
In relazione all’inclusione in tale categoria, degli enti operanti nel settore aeroportuale, si registra un orientamento non univoco della giurisprudenza, tenuto anche conto delle peculiarità e delle modalità operative delle singole società. Pertanto, il giudice amministrativo ha ritenuto annoverabile nella categoria degli organismi di diritto pubblico una società deputata alla gestione di aeroporti (Aeroporto D’Annunzio di Brescia Montichiari spa) affermando che l’attività svolta è di carattere generale (in quanto dell’infrastruttura beneficia una pluralità di soggetti) e che il carattere non industriale o commerciale non è escluso dal metodo imprenditoriale utilizzato nella gestione né dalla presenza di altri soggetti operanti nel mercato di riferimento (TAR Brescia n. 254/2004; in termini TAR Veneto n. 3014/2003, con riferimento a società a prevalente capitale pubblico).
Per converso, è stata negata tale qualifica alla società che gestisce gli aeroporti di Milano (SEA spa), sulla base del suo intrinseco carattere imprenditoriale e del connesso scopo di lucro perseguito (TAR Milano, n. 266/2007). Alla luce di quanto sopra, e con riferimento al caso di specie, Alitalia CAI spa e la concessionaria ADR spa non sembrano possedere i caratteri tipici dell’organismo di diritto pubblico, essendo più correttamente riconducibili nell’alveo dei soggetti privati operanti nel settore aeroportuale in virtù di diritti speciali o esclusivi. La Società ADR spa non ha le caratteristiche dell’organismo di diritto pubblico, secondo i canoni indicati dal legislatore, trattandosi di società con capitale privato, la quale pur svolgendo attività di interesse generale (gestione infrastrutture aeroportuali), svolge al tempo stesso attività di natura commerciale e non è soggetta a forme di controllo pubblico nel senso indicato dal legislatore.
La stessa società è titolare di una concessione ex lege e dunque, sembra annoverabile tra i soggetti privati operanti in virtù di diritti speciali o esclusivi. Analogamente Alitalia CAI SPA, avente come oggetto sociale principale, l’esercizio di linee e collegamenti aerei per il trasporto di persone e cose in Italia, tra Italia e Paesei esteri e tra Paesi esteri, è partecipata da numerose società (Air France – KLM spa, Acqua Marcia finanziaria spa, Atlantia spa, Equinocse sarl, Equinox Two sca, Finanziaria di partecipazioni e investimenti spa, Fingen spa, Fire spa, Fondiaria Sai spa, Fingen spa, Fire spa, Vitrociset ed altre) [come da visura camerale del 06/12/2010].
La società de qua è titolare di sub-concessione del 15.07.2009, da parte di ADR spa, del complesso dei beni demaniali insistenti nell’area denominata “Zona Tecnica Alitalia” (cfr. ordinanza TAR Lazio 3155/2010 citata). Anche per tale società non sembrano sussistere i caratteri tipici dell’organismo di diritto pubblico ma la medesima sembra annoverabile tra le società operanti in virtù di diritti speciali o esclusivi (la sub-concessione)
(parere sulla normativa 27.01.2011 - rif. AG-36/10 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: Quesito posto ai sensi del Regolamento interno sull’istruttoria dei quesiti giuridici dall’Agenzia Regionale per la Protezione dell’Ambiente della Sardegna in ordine alla fase di stipula dei contratti.
Per quanto riguarda l’interpretazione dell’art. 11, comma 13, del d.lgs. n. 163/2006, occorre premettere che la disciplina generale della forma dei contratti pubblici è contenuta nel decreto sull’amministrazione del patrimonio e sulla contabilità generale dello Stato (R.D. n. 2440/1923), agli articoli 16 (I contratti sono stipulati da un pubblico ufficiale delegato a rappresentare l'amministrazione e ricevuti da un funzionario designato quale ufficiale rogante, con le norme stabilite dal regolamento), 17 (I contratti a trattativa privata, oltre che in forma pubblica amministrativa nel modo indicato al precedente art. 16, possono anche stipularsi: per mezzo di scrittura privata firmata dall'offerente e dal funzionario rappresentante l'amministrazione; per mezzo di obbligazione stessa appiedi del capitolato; con atto separato di obbligazione sottoscritto da chi presenta l'offerta; per mezzo di corrispondenza, secondo l'uso del commercio, quando sono conclusi con ditte commerciali) e 18 (I contratti stipulati con ditte o società commerciali devono contenere l'indicazione delle persone legalmente autorizzate a riscuotere e quietanzare. L'accertamento della capacità dello stipulante ad impegnare legalmente la ditta o società, come pure il riconoscimento della facoltà delle persone che nei contratti vengono designate a riscuotere, incombe al funzionario rogante, nei contratti in forma pubblica amministrativa, ed al funzionario che stipula e riceve l'impegno contrattuale, nei contratti in forma privata).
Secondo tale disciplina tutti i contratti stipulati dalla Pubblica Amministrazione, anche quando quest’ultima agisce iure privatorum, richiedono la forma scritta ad substantiam, pur se consistono in appalti di manufatti di modesta entità e vanno consacrati in un unico documento (Corte di Cassazione, sez. I civile, 04.09.2009, n. 19206). In particolare è richiesta la forma pubblica amministrativa (art. 16), fatte salve le deroghe di cui all’art. 17 che consente, in caso di trattativa privata, la stipula a mezzo di scrittura privata ed anche la conclusione a distanza a mezzo di corrispondenza.
I citati articoli della legge di contabilità nazionale non rientrano tra le disposizioni abrogate dall’entrata in vigore del d.lgs. n. 163/2006 elencate nell’art. 256 del medesimo provvedimento normativo. Pare tuttavia legittimo verificare se non possano dirsi abrogati tacitamente o implicitamente, giacché l’art. 15 delle preleggi prevede, oltre al caso dell’abrogazione per dichiarazione espressa del legislatore, anche l’abrogazione “per incompatibilità tra le nuove disposizioni e le precedenti o perché la nuova legge regola l'intera materia già regolata dalla legge anteriore”.
Secondo la Cassazione, “la suddetta incompatibilità si verifica solo quando tra le leggi considerate vi sia una contraddizione tale da renderne impossibile la contemporanea applicazione, cosicché dall’applicazione ed osservanza della nuova legge deriva necessariamente la disapplicazione o l’inosservanza dell’altro” (Cassazione Civile 18.02.1995 n. 1760). Non sembra essere questo il caso, perché il comma 13 dell’art. 11 si limita ad elencare tutte le possibili forme del contratto di appalto, dall’atto pubblico alla forma elettronica, mentre gli articoli del R.D. del 1923 disegnano un sistema, applicabile a tutti i contratti pubblici, che stabilisce in quali casi deve essere rispettata ogni diversa forma del contratto.
Alla luce di quanto sopra, non sembra potersi ritenere che la contemporanea applicazione degli artt. 16 e 17 del R.D. n. 2440/1923 e dell’art. 11, comma 13, del d.lgs. n. 163/2006 sia impossibile giacché quanto disposto da quest’ultima norma non contraddice quanto previamente disciplinato dalla legge di contabilità nazionale. Né può ritenersi che il comma 13 dell’art. 11, che sembra avere una portata ricognitiva, sia provvisto di una propria e autonoma forza precettiva in ordine all’intera materia della forma dei contratti pubblici che è regolata dal R.D. n. 2440/1923.
Non sembra quindi percorribile l’ipotesi dell’abrogazione tacita o implicita, tenuto anche conto che “Nel caso in cui una legge contenga una norma abrogativa espressa, per sostenere l’abrogazione di altre norme diverse da quelle abrogate espressamente non può farsi ricorso all’istituto dell’abrogazione tacita in base la considerazione che quella legge avrebbe regolato l’intera materia, in quanto l’omessa indicazione di alcune leggi e disposizioni nella norma abrogatrice sta ad indicare che il legislatore ha inteso conservarle in vita, e, contemporaneamente è anche la prova che la legge non ha regolato l’intera materia” (Consiglio di Stato, 12.11.1974 n. 767)
(parere sulla normativa 27.01.2011 - rif. AG-43/10 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: Richiesta di parere ex art. 69, comma 3 D.Lgs. 163/2006.
Con l’art. 52 del Codice dei contratti è previsto che le stazioni appaltanti possano riservare la partecipazione alle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici, “a laboratori protetti nel rispetto della normativa vigente, o riservarne l’esecuzione nel contesto di programmi di lavoro protetti quando la maggioranza dei lavoratori interessati è composta di disabili i quali, in ragione della natura o della gravità del loro handicap, non possono esercitare un’attività professionale in condizioni normali”.
Al fine di potersi avvalere della disposizione in parola, le stazioni appaltanti devono rendere nota la propria intenzione dandone indicazione nel bando di gara. Con determinazione n. 2/2008 l’Autorità ha evidenziato che, con l’art. 52, il legislatore ha inteso perseguire le esigenze sociali di cui all’art. 2, comma 2, del D.lgs. n. 163/2006 attraverso la creazione di una riserva di partecipazione operante sia sotto il profilo soggettivo (laboratori protetti) che oggettivo (programmi protetti), in entrambi i casi caratterizzata dall’impiego maggioritario di disabili.
Ha inoltre specificato che la riserva a favore dei programmi di lavoro protetto non si fonda sulla qualifica soggettiva dei partecipanti alla gara ma sul ricorso, da parte delle imprese partecipanti, nella fase esecutiva dell’appalto, all’impiego, in numero maggioritario, di lavoratori disabili che, in ragione della natura o della gravità del loro handicap, non possono esercitare un’attività professionale in condizioni normali.
In tali casi, pertanto, la partecipazione alla gara deve intendersi riservata ai soggetti di cui all’art. 34 del D.lgs. n. 163/2006, anche privi dei requisiti necessari ai fini del riconoscimento come laboratori protetti, che si avvalgono, ai fini dell’esecuzione dello specifico appalto, di piani che vedono coinvolti una maggioranza di lavoratori disabili, anche sulla base di accordi conclusi con soggetti operanti nel settore sociale.
L’Autorità ha rammentato altresì che ai soggetti che si avvalgono della riserva di cui all’art. 52 deve essere richiesto il possesso dei requisiti generali di partecipazione e di quelli speciali previsti in ragione della tipologia dell’appalto.
---------------
La disposizione di cui all’art. 69 del Codice dei contratti consente alle stazioni appaltanti di prevedere particolari condizioni per l'esecuzione del contratto, opportunamente indicate nel bando di gara, nella lettera d’invito o nel capitolato d’oneri e purché compatibili con il diritto comunitario ed in particolare con i principi di parità di trattamento, non discriminazione, trasparenza e proporzionalità.
Al riguardo, il 33° considerando della direttiva 2004/18/CE precisa che tale compatibilità si configura “a condizione che [tali clausole] non siano, direttamente o indirettamente, discriminatorie e siano indicate nel bando di gara o nel capitolato d'oneri”. Le stazioni appaltanti devono quindi effettuare un’attenta valutazione della conformità delle condizioni particolari di esecuzione ai principi del Trattato UE, concernenti la libera circolazione delle merci e la libera prestazione dei servizi di cui agli articoli 28-30 e 43-55, con lo scopo di evitare discriminazioni, dirette o indirette, nei confronti di offerenti degli altri Stati membri.
L’art. 69 citato, al comma 3 ha inoltre previsto la possibilità per le stazioni appaltanti di richiedere all’Autorità un pronunciamento su tale aspetto delle clausole del bando contemplanti “particolari condizioni di esecuzione del contratto”, onde evitare che esse incidano negativamente sulle condizioni di concorrenzialità del mercato “in modo tale da discriminare o pregiudicare alcune categorie di imprenditori, determinando così un’incompatibilità delle previsioni del bando o dell’invito con il diritto comunitario” (Cons. Stato, parere sul Codice n. 355/2006).
Le “particolari condizioni” alle quali le norme in commento si riferiscono attengono (sebbene la norma non escluda che possano riguardare anche altre “esigenze” perseguite dall’amministrazione) ad esigenze sociali o ambientali, come chiarito dal 33° considerando della Direttiva unificata: “… esse possono essere finalizzate alla formazione professionale nel cantiere, alla promozione dell'occupazione delle persone con particolari difficoltà di inserimento, alla lotta contro la disoccupazione o alla tutela dell'ambiente. A titolo di esempio, si possono citare, tra gli altri, gli obblighi applicabili all'esecuzione dell'appalto di assumere disoccupati di lunga durata o di introdurre azioni di formazione per i disoccupati o i giovani, di rispettare in sostanza le disposizioni delle convenzioni fondamentali dell'Organizzazione internazionale del lavoro (OIL) nell'ipotesi in cui non siano state attuate nella legislazione nazionale, di assumere un numero di persone disabili superiore a quello stabilito dalla legislazione nazionale
(parere sulla normativa 19.01.2011 - rif. AG-1/11 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

LAVORI PUBBLICI: Richiesta di parere in merito all’interpretazione dell’art. 3, co. 6, Dpr 34/2000.
Nelle procedure per l’affidamento di lavori di valore maggiore di 40 miliardi di lire (20,658 milioni di euro), con particolare riferimento alla partecipazione di operatori costituiti in ATI orizzontale, è ammessa la sommatoria delle qualificazioni possedute dalle singole imprese.
Infatti, qualora la disposizione dell’art. 3, co. 6, dPR 34/2000 si riferisse ai requisiti posseduti in assoluto dai singoli concorrenti e volesse prescindere dalla facoltà associativa generalmente prevista per la partecipazione alle gare di appalto, si creerebbe un vincolo restrittivo al mercato, in contrasto con il principio di concorrenza, in quanto sarebbero privilegiate le imprese di maggiori dimensioni
(parere sulla normativa 22.07.2010 - rif. AG-30/10 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

LAVORI PUBBLICI: Istanza di parere ai sensi del “Regolamento sulla istruttoria dei quesiti giuridici”- Corretta applicazione dell’art. 89, comma 1, lettera i) del D.Lgs. n. 81/2008 - ANCE.
L’espressione “consorzi di imprese” contenuta nell’art. 89 del D.Lgs. n. 81/2008, deve essere intesa come riferita a tutti i soggetti con natura plurima, abilitati ai sensi del d.lgs. 12.04.2006, n. 163 alla partecipazione a gare pubbliche ed all’assunzione dei relativi lavori, dunque comprensiva anche delle ATI e delle diverse tipologie di consorzio ivi previste. In tutti tali casi, il legislatore richiede l’individuazione di una unica impresa affidataria ai fini dell’espletamento dei compiti in materia di sicurezza sanciti negli articoli 96 e 97 del D.Lgs. n. 81/2008.
Tale individuazione è rimessa alla libera determinazione delle parti -ancorché per le ATI tale ruolo dovrebbe essere svolto dalla mandataria- e deve essere comunicata alla stazione appaltante in sede di stipula del contratto d’appalto
(parere sulla normativa 22.07.2010 - rif. AG-31/10 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: Requisiti impresa cooptata.
Il regime normativo dettato, in materia di imprese cooptate, dall’art. 95 del d.P.R. 554/1999 costituisce una deroga alla disciplina dettata per le ATI di tipo orizzontale e verticale relativamente al possesso dei requisisti c.d. speciali.
Tenuto conto di ciò, tuttavia, non emerge, né dal testo normativo, né da altri elementi di natura interpretativa, che la deroga riguardi anche il possesso dei requisiti c.d. generali di cui all’art. 38 del d.Lgs. 163/2006, il quale si riferisce indistintamente a tutti “i soggetti
(parere sulla normativa 22.07.2010 - rif. AG-27/10 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

LAVORI PUBBLICI: Progettazione e realizzazione dei lavori di Potenziamento ed Ammodernamento della linea ferroviaria MetroCampania NordEst (ex Alifana) – Richiesta di parere in ordine alla legittimità di ulteriori affidamenti nel quadro della prosecuzione della concessione, affidata con convenzione Rep. 11 del 9.12.1981 e successivi atti applicativi ed integrativi.
In materia di concessioni di lavori, occorre esaminare di volta in volta il rapporto concessorio nella sua concreta e complessa configurazione, distinguendo la convenzione quadro che regola a monte ed in via generica i rapporti tra concedente e concessionario, dai successivi ed eventuali contratti specificativi ed applicativi di quanto previsto nella convenzione stessa.
La questione riveste importanza fondamentale con riferimento alla nascita o meno di diritti soggettivi, nonché al loro consolidamento in capo al concessionario; invero, la previsione specifica e pienamente esaustiva, in una convenzione quadro, di una serie di prestazioni aventi ad oggetto la progettazione, l’esecuzione di lavori, la gestione del servizio, con la determinazione di tutti gli aspetti afferenti gli stessi (consistenza dei lavori, penali, polizza fideiussoria, ed ogni altro elemento caratterizzante le prestazioni stesse), non rende necessaria la stipulazione di contratti applicativi, in quanto fa sorgere immediatamente in capo al concessionario il diritto soggettivo a realizzare le prestazioni secondo la normativa in vigore.
Al contrario, se la convenzione è generica e non contiene articoli che regolino in modo esaustivo i rapporti fra concedente e concessionario, sorge, in capo al concessionario, un mero interesse legittimo, che assurge al rango di diritto soggettivo solo con il successivo intervento del singolo atto aggiuntivo il quale ricade, quindi, sotto la disciplina vigente al momento della sua stipulazione.
Ne deriva, pertanto, che, sulla base dei principi che regolano la successione delle leggi nel tempo, i rapporti instauratisi nel regime previgente a quello attuale, continuano a produrre i loro effetti purché si tratti di rapporti definiti in tutti i loro elementi fondamentali, non suscettibili di ulteriori definizioni mediante atti successivi
(parere sulla normativa 22.07.2010 - rif. AG-03/10 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: Richiesta di parere in merito alla possibilità di riservare la partecipazione a una gara pubblica avente ad oggetto l’affidamento di servizi sociali a determinati soggetti, in particolare a soggetti no profit.
Attesa la non piena coincidenza della categoria dei soggetti no profit con le categorie dei laboratori protetti, si deve ritenere che non sia consentito apporre riserve di partecipazione alle gare di appalto sic et simpliciter ai soli soggetti no profit, ma che tale riserva sia consentita solo se rivolta a soggetti che rivestono le caratteristiche dei laboratori protetti.
Come inoltre espressamente previsto dalla norma esaminata, è noto che il bando di gara che a questa disciplina si volesse conformare deve espressamente menzionare la disposizione dell’art. 52 del d.lgs. 12.04.2006, n. 163
(parere sulla normativa 08.07.2010 - rif. AG-24/10 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

LAVORI PUBBLICI: Affidamento dell’incarico di collaudatore statico.
Le s.a. possono affidare incarichi di collaudo statico a dipendenti che, pur non avendo un’anzianità decennale di iscrizione all’albo, siano comunque abilitati all’esercizio della professione e in possesso di equivalente anzianità di servizio e adeguate competenze professionali
(parere sulla normativa 13.05.2010 - rif. AG-15/10 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

INCENTIVO PROGETTAZIONE: Sulla base del presupposto per cui l’incentivo assolve alla funzione di compensare i progettisti dipendenti dell’amministrazione che abbiano in concreto effettuato la redazione degli elaborati progettuali, stante il generico riferimento alla manutenzione di opere ed impianti contenuto nell’art. 2, comma 1, della legge 11.02.1994, n. 109 e successive modificazioni [oggi art. 92 del D.Lgs. n. 163/2006], l’incentivazione di cui all’art. 18 della legge stessa concerne anche la manutenzione ordinaria, ancorché non prevista nella programmazione triennale (cfr. determinazione n. 7 del 17/02/2000) (parere sulla normativa 10.05.2010 - rif. AG-13/10 - link a www.autoritalavoripubblici.it).
---------------
Oggetto: AG 13/2010 - richiesta di parere. Vs rif. Prot. n. 1403 del 01/04/2010.
Si riscontra la Vs. nota pervenuta in data 12.04.2010, prot. n. 22631/SSGG, con la quale è stata sottoposta all’attenzione dell’Autorità la problematica relativa alla corresponsione degli incentivi ex art. 92 del D.Lgs. n. 163/2006, al personale incaricato della progettazione degli interventi di manutenzione nell’ambito del global service della viabilità provinciale.
Si richiama, al riguardo, l’avviso espresso nella deliberazione n. 55 del 03.12.2008, con riferimento alla natura delle prestazioni contemplate nel contratto di Global service indetto da codesta Amministrazione Provinciale e si evidenzia, altresì, che sulla base del presupposto per cui l’incentivo assolve alla funzione di compensare i progettisti dipendenti dell’amministrazione che abbiano in concreto effettuato la redazione degli elaborati progettuali, l’Autorità ha affermato che “stante il generico riferimento alla manutenzione di opere ed impianti contenuto nell’art. 2, comma 1, della legge 11.02.1994, n. 109 e successive modificazioni [oggi art. 92 del D.Lgs. n. 163/2006], l’incentivazione di cui all’art. 18 della legge stessa concerne anche la manutenzione ordinaria, ancorché non prevista nella programmazione triennale" (determinazione n. 7 del 17/02/2000, consultabile sul sito istituzionale).
L’Autorità ha, inoltre, rilevato -in relazione alla “(…) sussistenza del diritto ai compensi in caso di lavori di manutenzione ordinaria e straordinaria che non comportino la predisposizione di elaborati progettuali, quali per esempio i lavori di manutenzione ordinaria e straordinaria fatti eseguire su semplice richiesta di preventivo e con determina di assegnazione e impegno di spesa adottata dal responsabile del servizio”- che “in tal caso, l’assenza di qualsiasi elaborato progettuale contrasterebbe con il principio che collega necessariamente il diritto agli incentivi all’espletamento di un’attività di progettazione (…)” (determinazione n. 43 del 25/09/2000).
Ove si tratti, invece, di documenti identificativi degli interventi manutentivi, tali elaborati rientrano nell’attività di pianificazione ex art. 92, comma 6, del D.Lgs. n. 163/2006, che include “i vari tipi di atti di pianificazione, anche quelli a contenuto normativo, quali per esempio i regolamenti edilizi, che accedono alla pianificazione, purché completi e idonei alla successiva approvazione da parte degli organi competenti” (Det. 43/2000 cit.), con l’ulteriore precisazione che deve intendersi ricompreso nella categoria in esame anche il “documento identificativo degli interventi manutentivi e la loro pianificazione” (nota UAG 26985).

LAVORI PUBBLICI: EUR S.P.A. – realizzazione del nuovo Centro Congressi - istanza di parere.
Qualora ricorrano i presupposti di cui all’art. 57, co. 5, lett. a, del d. lgs. 12.04.2006, n. 163, i lavori da eseguire costituiscono interventi aggiuntivi c.d. suppletivi, da ascrivere nella categoria dei lavori contrattuali, quelli cioè che, pur comportando modifiche al progetto, rientrano comunque nel piano dell’opera (es. variazioni di tracciato, di dimensione, forma, qualità dei lavori), a differenza di quelli extracontrattuali, i quali pur necessari per la completa esecuzione dell’opera in sé considerata, restano estranei al piano della stessa e consistono in lavori aventi una propria individualità distinta da quella dell’opera originaria e che integrano un’opera a sé stante (es. strada di collegamento).
Le caratteristiche descritte dall’art. 57 del Codice portano a concludere che i lavori complementari ivi contemplati, quanto a natura e funzione, si identificano con i lavori suppletivi contrattuali nel senso esplicato, con ciò legittimando solo per essi il ricorso alla procedura negoziata ivi contemplata. Opposte conclusioni, infatti, contrasterebbero apertamente con il contenuto della richiamata disposizione
(parere sulla normativa 29.04.2010 - rif. AG-19/10 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

GIURISPRUDENZA

APPALTI SERVIZI: I contribuenti, singoli o associati in comitato, non possono far valere un interesse (quello alla tutela della concorrenza nell'affidamento dei servizi pubblici locali) di cui non sono titolari.
I contribuenti, singoli o associati in comitato, non possono far valere un interesse (quello alla tutela della concorrenza nell'affidamento dei servizi pubblici locali) di cui non sono titolari (di cui sono, invece, titolari gli imprenditori concorrenti) per far valere un possibile vizio di legittimità (TAR Sicilia-Palermo, Sez. I, sentenza 09.01.2012 n. 15 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI SERVIZI: Sulla distinzione tra servizi pubblici locali di rilevanza economica e servizi pubblici locali privi di tale rilevanza e capacità jure privatorum dei comuni.
Ai fini della distinzione tra servizi pubblici locali di rilevanza economica e servizi pubblici locali privi di tale rilevanza, a fronte della rilevata inidoneità di criteri distintivi di natura astratta, sostanzialistica e/o ontologica, occorre far ricorso ad un criterio relativistico, che tenga conto delle peculiarità del caso concreto, quali la concreta struttura del servizio, le concrete modalità del suo espletamento, i suoi specifici connotati economico-organizzativi, la natura del soggetto chiamato ad espletarlo, la disciplina normativa del servizio. Pertanto, applicando siffatto criterio relativistico e contestualizzante al caso di specie, riguardante il servizio socio sanitario erogato presso una struttura del comune e affidato dal medesimo ad una fondazione dallo stesso costituita si perviene alla conclusione che si versi in fattispecie di servizio privo di rilevanza economica.
I comuni possono organizzare la gestione dei servizi pubblici privi di rilevanza economica anche con forme differenti da quelle previste nell'art. 23-bis, del d.l. 25.06.2008 n. 112, compresa, tra queste, pure la fondazione. La capacità jure privatorum dei comuni, già riconosciuta esplicitamente dall'art. 11 del c.c., si esprime, dopo l'introduzione, da parte della l. 11.02.2005 n. 15, del c. 1-bis, nell'art. 1 della l. 07.08.1990 n. 241, normalmente in un'attività (non autoritativa ma pur sempre funzionalizzata) di diritto privato. Tale clausola generale fuga ogni dubbio sulle potenzialità insite nell'autonomia privata esercitata dall'ente (che, d'altronde, ai sensi dell'articolo dall'art. 114 Cost., ha la facoltà di organizzare, in modo autonomo, le proprie funzioni): esso può non solo istituire una fondazione, ma anche adattare (come si è verificato nel caso di specie) lo schema privatistico alle proprie esigenze, attraverso l'apertura statutaria a più soggetti, pubblici o privati, allo scopo di ottenere l'incremento del fondo patrimoniale e quindi il sostentamento degli scopi istituzionali durante la vita della persona giuridica (TAR Puglia-Bari, Sez. I, sentenza 05.01.2012 n. 24 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Le informative prefettizie interdittive possono essere supportate anche da elementi sintomatici ed indiziari dai quali emergano elementi di pericolo di infiltrazioni mafiose.
Per quanto concerne le informative prefettizie interdittive, le stesse non devono necessariamente collegarsi ad accertamenti in sede penale di carattere definitivo e certo sull'esistenza della contiguità con organizzazioni malavitose e del condizionamento in atto dell'attività di impresa, potendo essere supportate anche da elementi sintomatici ed indiziari dai quali emergano gli elementi di pericolo di dette infiltrazioni mafiose (Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 05.01.2012 n. 12 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

EDILIZIA PRIVATA: Le infrastrutture strumentali alle stazioni radio per la telefonia mobile rientrano nella categoria delle opere di pubblica utilità e non in quella delle opere pubbliche.
E' legittimo l'esercizio del potere espropriativo da parte dell'Amministrazione Comunale per la realizzazione di siti attrezzati da destinare agli impianti di telefonia mobile. In tal senso, si rileva, corretto l'operato della medesima Amministrazione che abbia fatto luogo all'applicazione della normativa dell'espropriazione per pubblica utilità per l'assegnazione dell'area in uso a gestori di telefonia mobile, non potendo certo condividersi il diverso assunto secondo cui questi dovrebbero procurarsi con mezzi privatistici la disponibilità delle aree necessarie per la realizzazione degli impianti in oggetto.

Ad avviso del Collegio, non sono condivisibili neanche le censure dedotte avverso la procedura di espropriazione utilizzata dal Comune di Salsomaggiore nei confronti dell’appellata, al fine di realizzare sull’area di cui è proprietaria le infrastrutture necessarie per l’installazione di stazione di telefonia mobile.
In effetti, premesso che le infrastrutture strumentali alle stazioni radio per la telefonia rientrano nella categoria delle opere di pubblica utilità (come ha statuito la sentenza C.d.S. n. 4847/2003) e non in quella delle opere pubbliche, in punto di fatto la motivazione della sentenza del TAR non è suffragata dagli atti esibiti in giudizio.
Infatti, ad avviso del Giudice di primo grado, il Comune di Salsomaggiore avrebbe illegittimamente iniziato la procedura di esproprio delle aree in questione al fine di assegnarle in affitto agli operatori di telefonia mobile; invece dagli atti risulta che in realtà il Comune (a seguito di una apposita procedura ad evidenza pubblica) ha disposto la realizzazione di una piattaforma attrezzata (idonea all’istallazione di impianti di trasmissione del segnale per la telefonia mobile) che viene messa a disposizione dei vari gestori del servizio in questione, previo pagamento di un canone ed in specifica esecuzione di apposito accordo in precedenza raggiunto tra l’Amm.ne locale e tutti i gestori interessati ad installare nel territorio comunale una propria stazione radio base.
Tra l’altro la stessa sentenza C.d.S. n. 4847/2003 (a differenza di quanto ritenuto dal TAR) riconosce il legittimo esercizio da parte del Comune di Salsomaggiore del potere espropriativo “per la realizzazione di siti attrezzati da destinare agli impianti di telefonia mobile”. Gli esposti argomenti, quindi, consentono di non condividere la motivazione della sentenza appellata laddove ha ritenuto “evidente che l’espropriazione è volta alla realizzazione di opere private, anche se ne è stato ormai dichiarato dal legislatore il carattere di pubblica utilità” (Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 04.01.2012 n. 11 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Stazioni radio base: legittimo il ricorso all'esproprio per i proprietari renitenti.
Con sentenza 04.01.2012 n. 11 il Consiglio di Stato, Sez. III, ha riformato la sentenza n. 98 del TAR Emilia Romagna, Sez. di Parma, del 2011,
riconoscendo la legittimità dei provvedimenti approvati del Comune di Salsomaggiore diretti ad attuare il piano comunale di coordinamento per la installazione di antenne di telefonia mobile, all’individuazione delle aree interessate e all'espropriazione delle stesse, nulla ostando la circostanza della loro successiva concessione in via onerosa ai gestori.
L’art. 90 del Decreto legislativo 01.08.2003 n. 259 e s.m.i. dispone:
1. Gli impianti di reti di comunicazione elettronica ad uso pubblico, ovvero esercitati dallo Stato, e le opere accessorie occorrenti per la funzionalità di detti impianti hanno carattere di pubblica utilità, ai sensi degli articoli 12 e seguenti del decreto del Presidente della Repubblica 08.06.2001, n. 327.
2. Gli impianti di reti di comunicazioni elettronica e le opere accessorie di uso esclusivamente privato possono essere dichiarati di pubblica utilità con decreto del Ministro delle comunicazioni, ove concorrano motivi di pubblico interesse.
3. Per l'acquisizione patrimoniale dei beni immobili necessari alla realizzazione degli impianti e delle opere di cui ai commi 1 e 2, può esperirsi la procedura di esproprio prevista dal decreto del Presidente della Repubblica 08.06.2001, n. 327. Tale procedura può essere esperita dopo che siano andati falliti, o non sia stato possibile effettuare, i tentativi di bonario componimento con i proprietari dei fondi sul prezzo di vendita offerto, da valutarsi da parte degli uffici tecnici erariali competenti .
Con delibera consiliare n. 10/2004 il Comune di Salsomaggiore approvava la variante al vigente strumento urbanistico (P.R.G.) al fine di poter destinare specifiche aree alla localizzazione di antenne per telefonia mobile e, più precisamente, per la realizzazione delle infrastrutture necessarie per concedere in uso, a titolo oneroso, tali infrastrutture agli enti gestori.
Successivamente, con determinazione n. 356 del 2004, il dirigente del settore tecnico comunale deliberava di: a) convalidare il progetto esecutivo delle opere di urbanizzazione necessarie per realizzare le suddette stazioni radio base di telefonia mobile; b) dichiarare la pubblica utilità delle opere; c) emanare il decreto di occupazione d’urgenza ai sensi della legge Reg. n. 37/2002, art. 27.
Avverso i provvedimenti in questione la proprietà di un area interessata proponeva ricorso al TAR Emilia Romagna, Sez. di Parma.
Con sentenza 05.04.2011 n. 98 il TAR accoglieva il ricorso, annullando i provvedimenti impugnati per i seguenti motivi:
1. la variante urbanistica al P.R.G. era illegittima in quanto effettuata ai sensi della L.R. Emilia Romagna n. 47 del 1978, art. 15, non più applicabile a seguito dell’entrata in vigore della successiva L.R. n. 20 del 2000;
2. illegittimamente il Comune aveva applicato nei confronti delle proprietà delle aree interessate la normativa dell’espropriazione per pubblica utilità trattandosi in realtà dell’assegnazione delle aree in questione in uso a gestori di telefonia mobile, i quali avrebbero dovuto procurarsi con mezzi privatistici la disponibilità delle aree necessarie all’installazione di impianti per la telefonia mobile.
Con sentenza n. 11 del 2012 il Consiglio di Stato ha riformato la sentenza n. 98/2011 del TAR Emilia Romagna riconoscendo la legittimità dei provvedimenti adottati del Comune di Salsomaggiore.
Mentre con riferimento ai rilievi mossi alla procedura di variante urbanistica, il Collegio ha riconosciuto il corretto operato del Comune di Salsomaggiore in applicazione della previgente L.R. n. 47 del 1978, con riferimento alla procedura di espropriazione utilizzata dal Comune, il Collegio ha sottolineato che le infrastrutture, strumentali alle stazioni radio per la telefonia, rientrano nella categoria delle opere di pubblica utilità, come peraltro già statuito nella sentenza del Consiglio di Stato n. 4847 del 2003, e non in quella delle opere pubbliche, con quanto ne consegue in termini di corretta applicazione del comma 3 dell'art. 90 d.lgs. 259/2003 ai fini dell'acquisizione alla mano pubblica delle aree interessate (commento tratto da e link a http://studiospallino.blogspot.com).

APPALTI: Sulla legittimità dell'esclusione dalla gara di un'impresa originariamente aggiudicataria motivata dal fatto che in sede di controllo, l'autodichiarazione relativa ai precedenti penali dell'impresa stessa sia risultata non veritiera.
E' legittima l'esclusione dalla gara dell'impresa originariamente aggiudicataria motivata dal fatto che -in sede di controllo successivo dei requisiti- l'autodichiarazione relativa ai precedenti penali dell'impresa stessa sia risultata non veritiera. Al riguardo è rilevante che l'autodichiarazione sia prescritta dal c. 2 dell'art. 38 del Codice degli appalti con le conseguenze previste dall'art. 75 del D.P.R. n. 445/2000, che prevede, in caso di falsità dell'autocertificazione, la perdita dei benefici cui l'autodichiarazione è finalizzata. Pertanto, nel caso di specie, l'esclusione deriva direttamente da cause previste da disposizioni di legge come richiesto dalla puntuale applicazione delle nuove disposizioni di recente introdotte dall'art. 46, c. 1 bis, del Codice dei contratti, che vieta che bandi e lettere di gara prevedano ulteriori cause di esclusione non previste dalla legge.
La giurisprudenza ha più volte avuto occasione di giudicare causa rilevante ai fini della esclusione dalla gara le autodichiarazioni non veritiere in ordine alle condanne penali, a prescindere dalla gravità dei reati, in considerazione del fatto che la verifica circa la loro gravità e rilevanza ai fini delle valutazioni relative alla moralità professionale spetta alla stazione appaltante (Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 04.01.2012 n. 8 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Sulla legittimità dell'esclusione dalla gara per il servizio di ristorazione di una ATI a seguito dell'accertata mancanza di un requisito essenziale per la partecipazione alla gara.
E' legittimo il provvedimento di esclusione dalla gara, con incameramento della cauzione provvisoria e segnalazione del fatto all'Autorità per la Vigilanza sui Contratti Pubblici, di una ATI a seguito dell'accertata mancanza di un requisito essenziale per la partecipazione alla gara per l'affidamento del servizio di ristorazione di un'Azienda ospedaliera.
Il disciplinare di gara prevedeva, infatti, la disponibilità di un centro di cottura dotato di autorizzazione sanitaria e tale autorizzazione, tenuto conto della tipologia del servizio richiesto, non poteva che riguardare la preparazione di pasti da asporto. Con la conseguenza che mancando tale autorizzazione l'ATI non poteva garantire il servizio richiesto nel caso di una indisponibilità, seppure temporanea, delle cucine messe a disposizione dalla stessa Azienda ospedaliera.
L'esclusione della gara per l'accertata mancanza di uno dei requisiti di capacità economico-finanziaria e tecnico-organizzativa determina poi, ai sensi dell'art. 48, c. 1, del Codice dei Contratti, l'escussione della cauzione provvisoria prestata e la segnalazione del fatto all'Autorità per la Vigilanza sui Contratti Pubblici per i provvedimenti di cui all'art. 6, c. 11, dello stesso Codice.
Infatti, anche a volere ammettere la non automaticità della misura dell'incameramento della cauzione in seguito ad un provvedimento di esclusione da una gara, la stessa non può essere comunque esclusa quando, come nel caso di specie, risulti accertata la carenza, sul piano sostanziale, dei requisiti di capacità economico-finanziaria e tecnico-organizzativa che l'impresa avrebbe dovuto possedere per partecipare alla gara (Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 04.01.2012 n. 3 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Le valutazioni della commissione giudicatrice nell'ambito di una gara d'appalto sono espressione dell'esercizio della c.d. discrezionalità tecnica.
Le valutazioni della commissione giudicatrice nell'ambito di una procedura concorsuale per l'affidamento di un appalto costituiscono espressione dell'esercizio della c.d. discrezionalità tecnica, o meglio costituiscono -volendo utilizzare altra terminologia- valutazioni tecniche; tuttavia, a prescindere dalla terminologia prescelta, è oggi pacifico che si tratta di valutazioni pienamente sindacabili dal giudice amministrativo, sia sotto il profilo della ragionevolezza, adeguatezza e proporzionalità che sotto l'aspetto più strettamente tecnico.
Infatti, tramontata l'equazione discrezionalità tecnica-merito insindacabile a partire dalla sentenza n. 601/1999 della IV Sezione del Consiglio di Stato, il sindacato giurisdizionale sugli apprezzamenti tecnici della p.a. può oggi svolgersi in base non al mero controllo formale ed estrinseco dell'iter logico seguito dall'autorità amministrativa, bensì alla verifica diretta dell'attendibilità delle operazioni tecniche sotto il profilo della loro correttezza quanto a criterio tecnico ed a procedimento applicativo (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 29.12.2011 n. 6980 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI SERVIZI: Sull'art. 13 dl 223/2006 (c.d. decreto Bersani) e sulle differenze tra attività strumentale e gestione dei servizi pubblici.
L'art. 13 del d.l. 04.07.2006, n. 223 conv. nella l. 04.08.2006, n. 248 (c.d. decreto Bersani), prevede che le società a capitale interamente pubblico o misto, costituite o partecipate dalle amministrazioni pubbliche regionali e locali per la produzione di servizi strumentali alle attività da esse svolte, devono operare esclusivamente con gli enti costituenti o affidanti e non possono svolgere prestazioni (lavori, servizi, forniture) a favore di altri soggetti pubblici o privati, né partecipare ad altre società o enti. Trattasi di disposizione dal carattere eccezionale che deve, quindi, essere interpretata in stretta aderenza al suo dato letterale e senza possibilità alcuna di applicazione oltre i casi in essa previsti. Ne consegue che, tale norma non può applicarsi nel caso di specie, riguardante una gara per l'affidamento del servizio di verifica degli impianti termici dei comuni della provincia, in quanto la società non presenta quei caratteri di strumentalità e funzionalità individuati dalla normativa citata ma opera nel mercato in diretta concorrenza con le altre imprese.
L'enunciato dell'art. 13 del d.l. n. 223 del 2006, rende evidente che la qualificazione differenziale tra attività strumentale e gestione dei servizi pubblici deve essere riferita non all'oggetto della gara, bensì all'oggetto sociale delle imprese partecipanti ad essa. Il divieto di fornire prestazioni a enti terzi, infatti, colpisce le società pubbliche strumentali alle amministrazioni regionali o locali, che esercitano attività amministrativa in forma privatistica, non anche le società destinate a gestire servizi pubblici locali che esercitano attività d'impresa di enti pubblici, essendo posto, come sancito dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 328 del 2008, al fine di separare le due sfere di attività per evitare che un soggetto che svolge attività amministrativa eserciti allo stesso tempo attività d'impresa, beneficiando dei privilegi dei quali essa possa godere in quanto pubblica amministrazione (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 29.12.2011 n. 6974 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

COMPETENZE PROGETTUALINella competenza all’autorizzazione dei progetti delle opere eseguite sugli edifici soggetti a vincolo culturale rientra anche quella alla verifica dell’idoneità professionale del progettista.
Pertanto, è legittimo che la Soprintendenza rifiuti la valutazione dei progetti relativi ad un intervento di manutenzione di un edificio tutelato in quanto redatti da un ingegnere e non da un architetto abilitato, regolarmente iscritto al relativo albo professionale.

Alberto Maria ... ha conseguito la laurea in ingegneria civile presso l’Università di Padova nel 1973 e, abilitato all’esercizio della professione, opera da molti anni nel settore.
Con provvedimento del 21.04.2010 la Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici per le Province di Vicenza, Verona e Rovigo ha rifiutato la valutazione dei progetti relativi ad un intervento di manutenzione di un edificio tutelato in quanto redatti dal ... e, dunque, da un ingegnere e non da un architetto abilitato, regolarmente iscritto al relativo albo professionale ed in considerazione di alcune carenze documentali, segnatamente riferite alla relazione tecnica ed alla descrizione dei serramenti previsti.
...
Privo di pregio si palesa il primo motivo di ricorso, con il quale la difesa di parte ricorrente ha dedotto la violazione della direttiva CEE n. 85/384 e del d.lgs. n. 129 del 1992, in considerazione della piena equiparazione dei titoli di ingegnere civile e di architetto ai fini dell’accesso alle attività nel campo dell’architettura, quanto meno in relazione ai titoli conseguiti in epoca antecedente alla direttiva in argomento e presi in considerazione dal legislatore comunitario ai fini della parificazione.
Come chiarito, infatti, dalla consolidata giurisprudenza del giudice d’appello, gli artt. 2 e segg. della direttiva comunitaria sopra citata dettano le norme per il reciproco riconoscimento dei titoli di studio conseguiti dai cittadini degli Stati membri a conclusione di studi universitari riguardanti l'architettura, introducendo anche un regime transitorio di reciproco riconoscimento di taluni titoli tassativamente indicati (cfr., ex multis, Cons. St., sez. VI, 11.09.2006, n. 5239).
La stessa Corte di Giustizia delle Comunità Europee ha affermato che la direttiva in argomento non ha attuato nell’ordinamento interno alcuna equiparazione dei titoli di ingegnere civile e di architetto ai fini dell’esercizio delle attività professionali nel campo dell’architettura.
Con ordinanza del 05.04.2004, infatti, la Corte ha evidenziato che "la Direttiva 85/384 non si propone di disciplinare le condizioni di accesso alla professione di architetto, né di definire la natura delle attività svolte da chi esercita tale professione"; ma ha invece ad oggetto solamente "il reciproco riconoscimento, da parte degli Stati membri, dei diplomi, dei certificati e degli altri titoli rispondenti a determinati requisiti qualitativi e quantitativi minimi in materia di formazione allo scopo di agevolare l'esercizio effettivo del diritto di stabilimento e di libera prestazione dei servizi per le attività del settore della architettura...".
In definitiva, secondo la Corte, la direttiva non impone allo Stato membro di porre i diplomi di laurea in architettura e in ingegneria civile indicati all'art. 11 su un piano di perfetta parità per quanto riguarda l'accesso alla professione di architetto in Italia; né tantomeno può essere di ostacolo ad una normativa nazionale che riservi ai soli architetti i lavori riguardanti gli immobili d'interesse storico-artistico sottoposti a vincolo.
Alla stregua delle conclusioni formulate dalla Corte deve dunque ritenersi infondata la tesi di parte ricorrente, secondo cui la disposizione dell'art. 52 R.D. cit. sarebbe in contrasto con la direttiva comunitaria.
Per completezza di analisi si evidenzia, inoltre, che nella competenza all’autorizzazione dei progetti delle opere eseguite sugli edifici soggetti a vincolo culturale rientra anche quella alla verifica dell’idoneità professionale del progettista (Cons. St., sez. VI, 11.09.2006, n. 5239) (TAR Veneto, Sez. II, sentenza 14.12.2011 n. 1833 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: I dirigenti precari sul bilancio. Il costo non deve gravare sul fondo contrattuale dei lavoratori. Il tribunale di Verona smentisce le tesi dell'Aran e della Ragioneria sui manager a termine.
Il costo per la retribuzione di posizione e di risultato dei dirigenti degli enti locali assunti a tempo determinato non deve gravare sul fondo contrattuale decurtandolo a svantaggio dei dipendenti a tempo indeterminato, ma sul bilancio. Almeno fino al 2008.
Il Tribunale di Verona, con la sentenza 13.12.2011 n. 776, smentisce clamorosamente, anche se con efficacia limitata nel tempo, le contrarie tesi proposte dal 2002 dall'Aran e dai servizi ispettivi della Ragioneria dello stato. L'Agenzia e l'Igop per tutta la prima parte dello scorso decennio avevano sostenuto che comuni e province dovessero attingere i fondi per remunerare i dirigenti a tempo determinato dalle risorse contrattuali, nonostante queste abbiano il chiaro ed evidente scopo di finanziare esclusivamente la remunerazione dei dirigenti a tempo indeterminato. Il comune di Verona aveva disposto di finanziare le retribuzioni di posizione e risultato dei dirigenti a tempo determinato a decorrere dal 2002, proprio in conseguenza della verifica amministrativo-contabile effettuata dall'Igop nel marzo 2004.
Gli ispettori, appiattendosi del tutto su alcuni pareri espressi dall'Aran avevano ritento che «le risorse necessarie al finanziamento della retribuzione di posizione e di risultato dei dirigenti assunti con contratto a tempo determinato su posto vacante in dotazione organica, devono essere risparmiate dall'ente in conseguenza della connessa minore destinazione di somme al fondo. Le stesse somme saranno pertanto utilizzate per coprire, a carico del bilancio dell'ente, gli oneri derivanti dalla stipula del contratto dei dirigenti a termine».
Troppo evidente l'inammissibile contrasto di questa teoria con le disposizioni normative. In primo luogo, l'articolo 110, comma 3, del dlgs 267/2000 a mente del quale per i dirigenti a contratto «il trattamento economico e l'eventuale indennità ad personam sono definiti in stretta correlazione con il bilancio dell'ente e non vanno imputati al costo contrattuale e del personale». Il giudice del lavoro di Verona disvela l'erroneità dell'impostazione di Aran e Igop, affermando che appunto la lettura delle disposizioni citate «conduce inevitabilmente all'accoglimento del ricorso».
La sentenza è estremamente importante. Essa rivela come i pareri dell'Aran non possano, al pari di qualsiasi altro atto reso da organi di consulenza o da avvocati, se discosti dalle chiare previsioni normative, avere forza cogente e validità. Allo stesso modo, il delicatissimo ruolo dei servizi ispettivi dovrebbe essere svolto affrancandosi da preconcetti mossi non dall'analisi oggettiva delle norme, bensì da teorie costruite sopra e, talvolta, a prescindere da esse.
Il giudice del lavoro veronese, tuttavia, limita la portata dell'accoglimento del ricorso all'anno 2008. Osterebbe, infatti, al perdurare dell'illegittimità del finanziamento della retribuzione dei dirigenti a contratto mediante il fondo contrattuale l'entrata in vigore dell'articolo 76, comma 1, della legge 133/2008. Tale norma ha modificato l'articolo 1, comma 557 (oggi è il comma 557-bis), della legge 296/2006, indicando espressamente che costituiscono spese di personale quelle sostenute per il personale di cui all'articolo 110 del dlgs 267/2000. In ciò, secondo il giudice, la norma si differenzia dall'articolo 1, comma 198, della legge 266/2005 e avrebbe, così, implicitamente abolito l'articolo 110, comma 3, citato prima (articolo ItaliaOggi del 13.01.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Le acque reflue che fuoriescono da un sistema fognario costituiscono rifiuti ai sensi della direttiva 75/442.
Le acque reflue che fuoriescono da un sistema fognario gestito da un'impresa pubblica che si occupa del trattamento delle acque reflue ai sensi della direttiva del Consiglio 21.05.1991, 91/271/CEE, concernente il trattamento delle acque reflue urbane e della normativa emanata ai fini della sua trasposizione costituiscono rifiuti ai sensi della direttiva del Consiglio 15.07.1975, 75/442/CEE, relativa ai rifiuti, come modificata dalla direttiva del Consiglio 18.03.1991, 91/156/CEE.
La direttiva 91/271 non costituisce "altra normativa" ai sensi dell'art. 2, n. 1, lett. b), della direttiva 75/442 come modificata dalla direttiva 91/156. Spetta al giudice del rinvio verificare, conformemente ai criteri definiti dalla presente sentenza, se possa ritenersi che la normativa nazionale costituisca "altra normativa", ai sensi della detta disposizione, ciò che si verifica se tale normativa nazionale contiene disposizioni precise che organizzano la gestione dei rifiuti di cui trattasi e se è tale da garantire un livello di tutela dell'ambiente equivalente a quello che risulta dalla direttiva 75/442, come modificata dalla direttiva 91/156 e, segnatamente, dagli artt. 4, 8 e 15 della direttiva stessa.
La direttiva 91/271 non può essere ritenuta, con riguardo alla gestione delle acque reflue che fuoriescono dal sistema fognario, come lex specialis rispetto alla direttiva 75/442, come modificata dalla direttiva 91/156 e, pertanto, non può applicarsi ai sensi dell'art. 2, n. 2, di quest'ultima direttiva (Corte di Giustizia Europea, Sez. II,
sentenza 10.05.2007 n. C-252/05 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Sull'illegittimità della risoluzione di un contratto di subappalto per infiltrazione mafiosa.
L'adozione della misura interdittiva di cui all'art. 4 D.Lgs. n. 490/1994, con la quale si esclude dal mercato dei pubblici appalti l'imprenditore che sia sospettato di legami o condizionamenti mafiosi è preordinata all'obbiettivo di mantenere un atteggiamento intransigente contro rischi di infiltrazione mafiosa per contrastare un eventuale utilizzo distorto delle risorse pubbliche. Secondo l'indirizzo della giurisprudenza, la informativa non deve dimostrare l'intervenuta infiltrazione, essendo sufficiente la sussistenza di elementi dai quali sia deducibile il tentativo di ingerenza.
Ciò nondimeno la stessa giurisprudenza ha più volte ribadito come il delicato equilibrio tra gli opposti interessi che fanno capo, da un lato, alla presunzione di innocenza di cui all'art. 27 Cost. ed alla libertà d'impresa costituzionalmente garantita e, dall'altro, alla efficace repressione della criminalità organizzata, comporta che l'interpretazione della normativa in esame debba essere improntata a necessaria cautela); e che l'esigenza di contrastare i tentativi di infiltrazione mafiosa nel modo più efficace non esclude che la determinazione prefettizia (pur se espressione di un ampia discrezionalità) possa essere assoggettata al sindacato giurisdizionale sotto il profili della sua logicità e dell'accertamento dei fatti rilevanti.
E' certamente arbitrario presumere che valutazioni e comportamenti riferibili alla famiglia di appartenenza o a singoli membri della stessa diversi dall'interessato debbano essere automaticamente trasferiti all'interessato medesimo. In difetto dunque di riscontri oggettivi che comprovino l'esistenza in concreto di comportamenti e situazioni dai quali possa desumersi il condizionamento mafioso, deve concludersi che l'informativa prefettizia non può trovare una valida giustificazione con il solo riferimento al richiamato legame di "parentela".
Ne consegue che, è illegittima la risoluzione di un contratto di subappalto per infiltrazione mafiosa in quanto l'informativa prefettizia non può trovare una valida giustificazione con il solo riferimento al richiamato legame di "parentela" (Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 02.05.2007 n. 1916 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Facoltà di ritirare l'offerta sino all'inizio delle operazioni di gara.
Sussiste fino all'inizio delle operazioni di gara la possibilità di ritirare le offerta, anche se il bando preveda un periodo minimo in cui le stesse devono essere tenute ferme.
E' questo il principio con cui il TAR Lecce ha respinto il ricorso proposto da un ATI partecipante ad una gara d'appalto, statuendo che "In aderenza sia alle regole civilistiche di cui agli artt. 1326 e seguenti Cod. civ., sia alla regola speciale di cui all'art. 75, comma 7, del R.D. 23.05.1924, n. 827, deve ritenersi che un'impresa partecipante ad una gara d'appalto possa ritirare la propria offerta fino a quando le operazioni di gara non siano iniziate e ciò anche nel caso in cui il bando preveda un periodo minimo in cui le offerte debbono essere tenute ferme".
Ha poi aggiunto il TAR salentino che "In materia di gare pubbliche, la stazione appaltante, decorso -per causa ad essa imputabile- il termine indicato nel bando durante il quale le offerte debbono essere tenute ferme, deve correttamente interpellare i concorrenti ammessi alla procedura, per verificare la sussistenza del loro interesse all'eventuale aggiudicazione, e ciò soprattutto nei casi in cui, nelle more del procedimento, ci siano state significative variazioni dei costi dei fattori della produzione relativi all'appalto; l'omesso interpello delle imprese concorrenti, tuttavia, non determina ex se l'invalidità sopravvenuta delle offerte per scadenza del termine, in quanto (fermo restando che le offerte conformi al bando non possono essere considerate ad tempus) la persistenza dell'interesse all'aggiudicazione si può desumere anche per facta concludentia (ad esempio dalla circostanza che il concorrente aggiudicatario accetti di rendere le giustificazioni dell'offerta anomala o si presenti per la stipula del contratto, senza formulare riserve o eccezioni)".
Tuttavia si deve segnalare, l'orientamento opposto del massimo organo della Giustizia amministrativa nella materia (cfr. da ult. Cons. Stato, Sez. V, 19.04.2007 n. 1786).
Nello stesso senso, invece, TAR Puglia-Lecce, Sez. II, 18.02.2006, n. 950; sentenza questa recentemente riformata dal Consiglio di Stato in aderenza al richiamato orientamento (TAR Puglia-Lecce, Sez. II,
sentenza 02.05.2007 n. 1790 - massima tratta e link a www.filodiritto.com).

APPALTI SERVIZI: Sui presupposti necessari affinché sia legittimo un affidamento diretto.
Le direttive del Consiglio 18.06.1992, 92/50/CEE, che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di servizi, 14.06.1993, 93/36/CEE, che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture, e 14.06.1993, 93/37/CEE, che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, non ostano ad un regime giuridico quale quello di cui gode la Transformación Agraria SA, che le consente, in quanto impresa pubblica operante in qualità di strumento esecutivo interno e servizio tecnico di diverse amministrazioni pubbliche, di realizzare operazioni senza essere assoggettata al regime previsto dalle direttive in parola, dal momento che, da un lato, le amministrazioni pubbliche interessate esercitano su tale impresa un controllo analogo a quello da esse esercitato sui propri servizi e che, dall’altro, la detta impresa realizza la parte più importante della sua attività con le amministrazioni di cui trattasi (Corte di Giustizia Europea, Sez. II,
sentenza 19.04.2007 n. C-295/05 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: In tema di valutazione dell'anomalia dell'offerta il potere tecnico discrezionale è sindacabile dal giudice amministrativo attraverso il controllo sulla sufficienza della motivazione resa.
La giurisprudenza, in tema di valutazione dell'anomalia dell'offerta, è costante nel ritenere si tratti di un apprezzamento squisitamente tecnico, che riguarda dunque il merito dell'azione amministrativa e si sottragga, pertanto, al sindacato di legittimità del giudice amministrativo se non in limiti ristretti; il subprocedimento di verifica della congruità di un'offerta anomala costituisce, infatti, espressione di un potere tecnico-discrezionale, insindacabile in sede giurisdizionale, salva l'ipotesi in cui le giustificazioni formulate siano manifestamente illogiche o fondate su insufficiente motivazione.
Tale potere tecnico discrezionale è sindacabile dal giudice amministrativo attraverso il controllo sulla sufficienza della motivazione resa; in particolare la motivazione viene richiesta rigorosa e analitica nel caso di giudizio negativo sull'anomalia; in caso, invece, di giudizio positivo, ovvero di valutazione di congruità dell'offerta anomala, non occorre che la relativa determinazione sia fondata su un'articolata motivazione ripetitiva delle medesime giustificazioni ritenute accettabili o espressiva di ulteriori apprezzamenti.
Pertanto, il giudizio favorevole di non anomalia dell' offerta in una gara d'appalto non richiede una motivazione puntuale ed analitica, essendo sufficiente una motivazione espressa "per relationem" alle giustificazioni rese dall'impresa vincitrice, sempre che queste siano a loro volta congrue ed adeguate (TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 17.04.2007 n. 1774 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

EDILIZIA PRIVATA: Protezione delle bellezze naturali - Autorizzazione paesaggistica - Potere di annullamento ed istruttorio dell'amministrazione statale - C.d. concorrenza di poteri - Limiti - D.Lvo n. 42/2004.
In materia di protezione delle bellezze naturali, l’attuale sistema normativo prevede una concorrenza di poteri (non eguali o almeno non equivalenti) dello Stato e delle Regioni regolata dal principio di leale collaborazione. Di conseguenza, al rilascio dell’autorizzazione paesaggistica da parte della Regione o dell’autorità subdelegata, fa riscontro, (ex procedimento disegnato dal D.Lvo n. 42/2004), un potere di annullamento del Ministero dei Beni e delle attività culturali dell’autorizzazione per soli motivi di legittimità (TAR Campania, sez. VI, n. 4720/2005).
Tutela paesistico ambientale - Rilascio dell’autorizzazione regionale o dell’ente locale delegato - Potere di annullamento - Potestà di cogestione dell’interesse paesistico - D.Lvo n. 42/2004.
In materia di tutela paesistico ambientale, il rilascio dell’autorizzazione regionale o dell’ente locale delegato è il presupposto dell’esercizio doveroso del successivo potere statale, posto a garanzia estrema del vincolo paesaggistico; detto potere di annullamento è da considerarsi espressione di un’ulteriore fase necessaria e non autonoma del procedimento di autorizzazione che non si risolve in un mero potere di controllo di legittimità sugli atti autorizzativi quanto piuttosto in una potestà di cogestione dell’interesse paesistico, tutelato dallo Stato attraverso il procedimento di “riesame” delle autorizzazioni paesaggistiche, con il quale si incide sul momento costitutivo degli effetti delle autorizzazioni e sulla conseguente modificabilità delle aree sottoposte a salvaguardia (cf. Cons. di Stato, Ad. Pl. n. 9/2001; sez. VI, n. 685/2001).
Autorizzazione paesaggistica - Principio di “leale collaborazione” - Valutazione di “incompletezza o inconferenza” - Concetto di “necessaria istruttoria” - Interruzione del termine perentorio - Effetti - D.Lvo n. 42/2004.
Nell’ambito del procedimento, l’attività istruttoria pertiene primariamente all’autorità titolare del potere di rilasciare l’atto ampliativo, laddove l’autorità chiamata ad esercitare il controllo, proprio in applicazione del medesimo principio di “leale collaborazione”, opportunamente bilanciato con quello di effettività, che si concreta nella possibilità di “utile esercizio” della funzione attribuita, può svolgere ulteriore attività istruttoria, solo ove questa sia astrattamente ma strettamente necessaria, nel senso che la documentazione trasmessa a corredo dell’autorizzazione paesaggistica, per la sua incompletezza o inconferenza, non consenta l’esercizio della funzione (TAR Campania, sez. VI, n. 4720/2005).
La valutazione di “incompletezza o inconferenza” va svolta evidentemente ex ante ed è come tale sindacabile anche in via giurisdizionale, con la conseguenza che una richiesta istruttoria inidonea ad integrare il concetto di “necessaria istruttoria”, che giustifica anche la interruzione del termine perentorio per l’esercizio della facoltà eventuale di annullamento di sessanta giorni, non dispiega alcuna efficacia né sospensiva né interruttiva sul detto termine (TAR Campania-Napoli, Sez. VI,
sentenza 16.04.2007 n. 3674 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: Canna fumaria - Lavori edili abusivi - Illecito edilizio ed ambientale - Accertamento di conformità - Natura pertinenziale dell’opera - Innovazione abusiva - Sanabilità - Fattispecie - Art. 36 D.P.R. n. 380/2001 - D.L. n. 269/2003 conv. in L. n. 326/2003 - Art. 7 L. n. 241/1990.
In ambito di tutela paesaggistica, i lavori edili abusivi consistenti nella realizzazione di una canna fumaria, costituiscono illecito edilizio ed ambientale, sanzionabile con la sanzione ripristinatoria.
Sul punto, non rileva né la pretesa natura pertinenziale dell’opera (che costituisce nondimeno una innovazione abusiva) né la asserita sanabilità (che tuttavia il ricorrente, non ha richiesto né sollecitato); né rileva, stante la natura sostanziale dell’abuso, l’omessa acquisizione dei pareri della C.E. o della C.E.I., in ragion del carattere vincolato del provvedimento, cui nessun apporto procedimentale avrebbero potuto portare gli organi in questione (Nella specie realizzazione abusiva di canna fumaria in ferro in zona ambientalmente protetta - Comune di Pozzuoli) (TAR Campania-Napoli, Sez. VI,
sentenza 16.04.2007 n. 3671 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: Nulla osta paesaggistico - Creazione di una zona per parcheggio di un autoveicolo - Diniego - illegittimità - Fattispecie.
I valori paesaggistici non risultano obbligatoriamente compromessi ove l’intervento si concreti in un modesto ampliamento del ciglio stradale con la creazione di una zona per parcheggio di un autoveicolo, intervento che di per sé non è necessariamente detrattivo della visuale. (sent. Tar Campania-Napoli nr. 7784/2005).
Nella specie, pur senza che si possa, in via di principio, derogare all’apicale portata dei valori paesaggistici (C. Cost. nr. 46/2001), ci si deve orientare, alla disciplina di favore cui si ispirano gli interventi di realizzazione dei parcheggi (cfr., ex pluris, L. 122/1989; L.R. Campania 19/2001), specie nella vicenda in cui l’intervento non comporta opere che si innalzano dal suolo o, comunque, limitano alla fruibilità del paesaggio (TAR Campania-Napoli, Sez. VI,
sentenza 13.04.2007 n. 3570 - link a www.ambientediritto.it).

LAVORI PUBBLICI: Localizzazione di opere pubbliche o di pubblica utilità - Disposizioni a contenuto espropriativo e disposizioni urbanistiche - Differenze ed effetti - Durata.
Le aree oggetto di localizzazione di opere pubbliche o di pubblica utilità, sono assoggettate dal piano a vincolo preordinato all’esproprio che ha la durata di cinque anni, ed in tale termine può essere emanato il provvedimento che comporta la dichiarazione di pubblica utilità delle opere (art. 9 D.P.R. 08.06.2001, n. 327) (TAR Campania-Napoli, Sez. III,
sentenza 12.04.2007 n. 3452 - link a www.ambientediritto.it).

URBANISTICA: Piani particolareggiati - Piani di lottizzazione - Termine decennale di efficacia - Disposizioni di contenuto espropriativo - Prescrizioni urbanistiche - Operatività.
Il termine decennale di efficacia previsto per i piani particolareggiati dall’art. 16 della L. 17.08.1942, n. 1150, ma applicabile anche ai piani di lottizzazione, si applica solo alle disposizioni di contenuto espropriativo e non anche alle prescrizioni urbanistiche di piano che rimangono pienamente operanti e vincolanti senza limiti di tempo fino all’approvazione di un nuovo piano attuativo (C. di S., Sez. IV, 28.07.2005, n. 4018).
P.I.P. natura di atto amministrativo a contenuto plurimo e scindibile - Annullamento da parte del giudice amministrativo di un P.I.P. - Posizioni soggettive dei proprietari dei fondi espropriati - Effetti - Dichiarazione di pubblica utilità.
L’annullamento da parte del giudice amministrativo di un P.I.P. investe un atto amministrativo di contenuto plurimo scindibile, nella parte in cui incide sulle posizioni soggettive dei proprietari dei fondi espropriati in attuazione del piano medesimo.
Pertanto la posizione del proprietario estraneo al relativo giudizio non è incisa dagli effetti di detto annullamento, il quale non tocca il suo diritto all’indennità e la sua legittimazione ad opporsi contro la stima di essa in sede amministrativa (Cass. Civ. Sez I, 12.04.1990, n. 3123. Inoltre, la dichiarazione di pubblica utilità -che è implicita nell’approvazione del P.I.P.- non è un atto collettivo, ma va inquadrato nella categoria degli atti plurimi, ossia di quelli che riguardano una pluralità di soggetti individuabili in relazione alla titolarità dei vari beni vincolati e considerati “uti singuli”.
Da ciò consegue che il giudicato di annullamento produce effetti ripristinatori della pienezza del diritto di proprietà, già affievolito, solo per il ricorrente e non si estenda ai proprietari rimasti estranei al giudizio dinanzi al giudice amministrativo (Cass. Civ. Sez. I, 16.04.2004, n. 7253) (TAR Campania-Napoli, Sez. III,
sentenza 12.04.2007 n. 3452 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: Soppalco - Natura di opera interna - Ristrutturazione edilizia - Permesso di costruire - Non necessita - Fattispecie.
La costruzione di un soppalco ha natura di opera interna, priva di autonomia funzionale, inidonea a determinare modifiche della sagoma e dei prospetti e perciò soggetta al regime della denuncia di inizio attività (TAR Campania-Napoli, sez. II, 19.10.2006 n. 8680; TAR Calabria-Catanzaro, saez. II, 24.04.2006 n. 406) poiché rientrante nell’accezione lata di “ristrutturazione edilizia” (TAR Piemonte Torino, Sez I, 15.02.2006 n. 910). Fattispecie: “mezzanino”, presuntivamente riattato a soppalco nel corso dei lavori di ristrutturazione (TAR Capmania-Napoli, Sez. VI,
sentenza 11.04.2007 n. 3329 - link a www.ambientediritto.it).

URBANISTICA: Lottizzazione abusiva - Rilevabilità - Cambio di destinazione d'uso - Contratti preliminari di compravendita - Art. 30 D.P.R. n. 380/2001.
In presenza di specifici elementi rilevatori della volontà di procedere al mutamento di destinazione delle unità immobiliari, non vale, richiamare l'astratto dato normativo che, peraltro, certamente non legittima alcuna forma di arbitraria immutazione.
Sicché, l'ipotesi di lottizzazione abusiva, di cui all'art. 30 d.P.R. 06.06.2001 n. 380, è configurabile anche in relazione ad un complesso immobiliare già edificato attraverso il cambio di destinazione d'uso rilevabile dalla stipula di contratti preliminari di compravendita, come quelli aventi ad oggetto unità abitative destinate a residenza privata e facenti parte di un complesso originariamente autorizzato per lo svolgimento di attività alberghiera.
Lottizzazione abusiva - Rilevabilità - Modifica di destinazione d'uso di immobili oggetto di un piano - Frazionamento di un complesso immobiliare - Originaria destinazione d'uso alberghiera.
In materia urbanistica, configura il reato di lottizzazione abusiva la modifica di destinazione d'uso di immobili oggetto di un piano di lottizzazione attraverso il frazionamento di un complesso immobiliare di modo che le singole unità perdano la originaria destinazione d'uso alberghiera per assumere quella residenziale, atteso che tale modificazione si pone in contrasto con lo strumento urbanistico costituito dal piano di lottizzazione (Sez. 3, n. 6990 del 29/11/2005 Rv. 233552) (Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 03.04.2007 n. 13687 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTI SERVIZI: Codice degli appalti e termine per la presentazione delle offerte.
Quando oggetto dell'appalto è un servizio di refezione scolastica non si applicano gli artt. 66 e 70 del D.Lgs. 163/2006 concernenti le modalità di pubblicazione dei bandi e i relativi tempi stabiliti per la presentazione delle offerte (TAR Puglia-Lecce, Sez. II, sentenza 30.03.2007 n. 1333 - link a www.altalex.com).

APPALTI: 1. Sull'interpretazione da parte di una commissione giudicatrice di offerte lacunose rispetto alle prescrizioni del bando.
2. Sull'impugnazione postuma da parte di un concorrente degli atti di gara.

1. E' legittimo il comportamento di una commissione giudicatrice, che trovandosi di fronte ad offerte tutte affette da lacune ed omissioni (rispetto alle prescrizioni del bando e degli altri atti di gara), piuttosto che procedere ad una esclusione generalizzata dei concorrenti, ha, al contrario, privilegiato la generalizzata ammissione, con salvezza e contemperamento dell'interesse degli aspiranti a partecipare alla procedura, in vista dell'aggiudicazione e dell'interesse dell'amministrazione alla stipula del contratto per l'espletamento del servizio.
In caso di clausole equivoche o di dubbio significato, infatti, deve preferirsi l'interpretazione che favorisca la massima partecipazione alla gara (piuttosto che quella che la ostacoli), e quella che sia meno favorevole alle formalità inutili, ciò anche al fine di ottenere le prestazioni richieste ad un prezzo quanto più vantaggioso, in termini qualitativi e quantitativi per l'amministrazione.
2. Una volta che il concorrente abbia partecipato alla gara, scegliendo la via dell'impugnazione postuma degli atti generali, a seguito della sua non favorevole collocazione in graduatoria, la legittimità delle regole concorsuali non può essere valutata in astratto, ma deve essere sempre considerata in rapporto alla illegittimità della lesione che si è verificata nella sfera giuridica dell'interessato, il quale ha l'onere di dimostrare come, in concreto, la lesione della sua personale sfera giuridica si ponga in qualche modo, in rapporto alla posizione fatta all'aggiudicatario, in una relazione di causa/effetto, rispetto alla illegittimità della clausola (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 28.03.2007 n. 1441 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI SERVIZI: In tema di appalti pubblici di servizi è consentita la partecipazione sia di associazioni in raggruppamento orizzontale che verticale.
Negli appalti pubblici di servizi, comprendenti categorie plurime e scorporabili di servizi è consentita la partecipazione di associazioni riunite sia in via orizzontale sia in linea verticale e non può escludersi che, nell'ambito di un medesimo raggruppamento, talune parti del servizio siano eseguite da singole imprese, mentre una determinata parte sia eseguita da più imprese, fra quelle raggruppate.
L'art. 11 del D.Lgs. n. 157 del 1995, che ammette a presentare offerte imprese appositamente e temporaneamente raggruppate, non distingue espressamente fra associazione orizzontale e associazione verticale, prescrive che "l'offerta congiunta e deve specificare le parti del servizio che saranno eseguite dalle singole imprese" (c. 2); stabilisce che "l'offerta congiunta comporta la responsabilità solidale nei confronti dell'amministrazione di tutte le imprese raggruppate" (c. 3).
La norma deve essere interpretata nel senso di ammettere la possibilità di partecipazione sia in raggruppamento orizzontale, sia in raggruppamento verticale, e di non escludere la possibilità che, solo per una determinata parte, il servizio sia eseguito da più di una impresa della medesima associazione (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 28.03.2007 n. 1440 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Sulla legittimità dell'esclusione da una gara di un consorzio per violazione della disciplina di gara che richiedeva espressamente, per i consorzi partecipanti alla gara, l'obbligo per ogni consorziato di produrre la certificazione di qualità.
Per consolidata giurisprudenza, la certificazione di qualità diretta a garantire che un'impresa è in grado di svolgere la sua attività secondo un livello minimo di qualità accertato da un organismo a ciò preposto è un requisito che, allorquando vi è una ripartizione percentuale del servizio tra le associate, dev'essere posseduto da tutte le imprese chiamate a svolgere prestazioni fungibili.
Pertanto, nel caso di specie è legittima l'esclusione dalla procedura concorsuale di un consorzio per violazione degli obblighi di gara, e precisamente per non aver prodotto nei termini richiesti dal bando la copia fotostatica della certificazione di qualità conforma alle norme europee UNI CEI ISO 9000 con riferimento a tutte le imprese aderenti al predetto consorzio.
Non appare decisivo, in contrario, il richiamo alla giurisprudenza, che consente di provare il possesso dei requisiti tecnici e finanziari mediante le referenze di un altro soggetto di cui si dichiari la disponibilità giacché, anche a prescindere dalla dubbia applicabilità di tale principio con riguardo ai requisiti di carattere soggettivo cui sono da taluni ricondotte le certificazioni di qualità, non risulta che in sede di gara il consorzio abbia esercitato tale opzione partecipativa.
Neppure il richiamo all'art. 49 del D.Lgvo n. 163 del 12.04.2006 si rivela fondato, non risultando che il consorzio abbia allegato in gara le dichiarazioni di cui all'art. 49, comma 2°, del D.Lgvo n. 163/2006 necessarie ai fini dell'avvalimento (TAR Sardegna, Sez. I,
sentenza 27.03.2007 n. 556 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI SERVIZI: Sull'illegittimità di un affidamento in via esclusiva e senza gara del servizio idrico integrato comunale ad una società a partecipazione pubblica, di cui il comune è socio minoritario.
In base alla normativa europea gli affidamenti di opere e servizi, in via diretta e senza gara, erano e sono consentiti, solo a condizione che gli stessi avvengano "in house", ossia in favore di società a partecipazione pubblica totalitaria, le quali realizzino la parte più importante della propria attività con l'ente pubblico che le controlla e sulle quali quest'ultimo eserciti un controllo analogo a quello esercitato sui propri apparati burocratici.
Il giudice comunitario ha, di recente, escluso che il richiesto "controllo analogo" possa sussistere in presenza di una partecipazione, anche minoritaria, di un'impresa privata al capitale della società pubblica affidataria. Pertanto, è illegittimo l'affidamento in via esclusiva e senza gara del servizio idrico integrato comunale ad una società a partecipazione pubblica, di cui il comune è socio minoritario, per violazione della normativa comunitaria (TAR Sardegna, Sez. I,
sentenza 27.03.2007 n. 549 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

PUBBLICO IMPIEGO: P.a. e trasferimento del lavoratore per assistere un parente portatore di handicap.
Il trasferimento o l’assegnazione del lavoratore presso una sede che consenta la prosecuzione del rapporto di assistenza verso un parente o un affine entro il terzo grado in situazione di handicap, ai sensi dell’art. 33, comma 5, della legge 104/1992, ha natura di interesse legittimo e, pertanto, è attuabile purché non ostino a tale assegnazione o trasferimento superiori esigenze organizzative dell’Amministrazione (TAR Lazio-Roma, Sez. I-quater, sentenza 22.03.2007 n. 2488 - link a www.altalex.com).

ESPROPRIAZIONI: Illegittimo il decreto di esproprio senza l'avviso dell’avvio del procedimento.
Il Collegio reggino, nella decisione in epigrafe, ritiene che l’avviso dell’avvio del procedimento ex art. 16, comma 4°, del D.P.R. 08.06.2001, n. 327, costituisce una vera e propria “… garanzia partecipativa che non è meramente formale, ma rappresenta un necessario passaggio cognitivo-dialettico, funzionale sia per la parte, che può opporre fatti e/o circostanze non considerati, sia per l’Amministrazione, che deve esaminarli e valutarli prima di approvare il progetto definitivo dell’opera, essendo l’attività espropriativa connotata di ampi margini di discrezionalità amministrativa e tecnica” (TAR Calabria-Reggio Calabria, sentenza 22.03.2007 n. 243 - link a www.altalex.com).

PUBBLICO IMPIEGO: Necessaria predeterminazione dei criteri di valutazione nei concorsi pubblici.
Nei pubblici concorsi, la mancata predeterminazione di criteri oggettivi di valutazione delle prove, che in base all’art. 12 del D.P.R. 487/1994 assolvono ad una precisa funzione di trasparenza ed imparzialità dell’azione amministrativa, rende illegittima la procedura concorsuale (TAR Piemonte, Sez. II, sentenza 10.03.2007 n. 1180 - link a www.altalex.com).

EDILIZIA PRIVATA: Le sanzioni in materia edilizia seguono l’oggetto.
Premesso e non concesso che sia possibile evincere dagli atti di causa che la data di realizzazione dell’abuso sia certamente anteriore a quella di acquisto, ciò non vale ad escludere la legittimità della sanzione amministrativa irrogata all’attuale proprietario.
Le sanzioni amministrative in campo edilizio infatti, sulla scorta della finalità preminente di ripristino della legalità, vengono applicate sulla base dei principi di obbligatorietà, tipicità e vincolatezza; conseguentemente, la relativa imputazione avviene -contrariamente a quanto sostenuto in memoria da parte ricorrente- in termini di responsabilità oggettiva (tanto che la sanzione segue l'immobile, applicandosi anche al proprietario attuale ed essendo trasmissibile agli eredi), né occorre espressa, specifica o diversa valutazione di ulteriori interessi pubblici contrari.
In particolare, con riferimento alle sanzioni pecuniarie, è indifferente ai fini della legittimità della sanzione per un abuso edilizio l'individuazione dell'effettivo responsabile dell'abuso, perché le sanzioni pecuniarie di cui all'art. 10, l. 28.02.1985 n. 47 e all'art. 34 per il loro carattere ripristinatorio
(TAR Campania-Napoli, Sez. IV, sentenza 08.03.2007 n. 1608 - link a www.altalex.com).

EDILIZIA PRIVATA: L’installazione di un impianto non costituisce mutamento di destinazione d’uso.
La circostanza che il locale sia pavimentato e dotato di riscaldamento non è di per sé oggettivamente incompatibile con la qualificazione del vano come "cantina" (intesa, ovviamente, come locale ad uso deposito, e non come locale per la conservazione di vini), né costituisce elemento sufficiente a comprovare la trasformazione della "cantina" in locale accessorio "ad uso sala lettura/musica", tanto più che trattasi di vano non collegato all’abitazione, ma accessibile esclusivamente dalle parti comuni.
Peraltro, non risulta l’esecuzione di altre opere oggettivamente idonee a realizzare la trasformazione contestata, essendo per altro verso irrilevanti, e comunque insufficienti a corroborare un illecito edilizio, la presenza di oggetti di arredo e di apparecchiature elettroniche, nonché il modo e l’ordine in cui sono disposti
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 08.03.2007 n. 382 - link a www.altalex.com).

EDILIZIA PRIVATA: Fascia di trecento metri dal mare - Realizzazione di parcheggio - Preventiva autorizzazione - Necessità - Art. 163 D.Lgs. n. 490/1999 ora art. 181 D.Lgs. n. 42/2004.
Configura il reato di cui all'art. 163 del D.Lgs. n. 490 del 1999 (ora sostituito dall'art. 181 del D.Lgs. 22.01.2004 n. 42), il livellamento del terreno e lo spandimento sullo stesso di materiale per la realizzazione di un parcheggio all'interno della fascia di trecento metri dal mare ed in difetto della preventiva autorizzazione dell'autorità preposta alla tutela del vincolo paesaggistico.
Aree sottoposte a vincoli - Condono - Interventi edilizi di minore rilevanza (restauro, risanamento conservativo e manutenzione straordinaria) - L. n. 326/2003.
Nelle aree sottoposte a vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela degli interessi idrogeologici, ambientali e paesaggistici, la L. n. 326 del 2003, art. 32, comma 26, lett. a) di conversione del D.L. n. 269 del 2003 ammette la possibilità di ottenere il condono unicamente per gli interventi edilizi di minore rilevanza relativi alle tipologie di illecito di cui ai nn. 4, 5 e 6 dell'allegato 1 alla legge (restauro, risanamento conservativo e manutenzione straordinaria), previo parere favorevole dell'autorità preposta alla tutela del vincolo (sull'argomento, cfr. la recente sentenza n. 33297/05 di questa sezione).
Tutela del paesaggio - C.d. mini-condono ambientale e condono edilizio - Differenza giuridica.
In tema di tutela del paesaggio, il cd. mini-condono ambientale non contiene norme analoghe a quelle di cui alle leggi sul condono edilizio succedutesi nel tempo con riguardo alla sospensione del processo penale nel tempo utile per la presentazione della domanda di sanatoria e/o dopo la proposizione di questa (Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 09.01.2007 n. 159 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTI1. Decorrenza del termine per impugnare - Piena conoscenza dell'atto lesivo - Notifica.
2. Appalto concorso - Discrezionalità della P.A. nella valutazione delle proposte - Limiti del sindacato del Giudice amministrativo.
1.
Per la decorrenza del termine per l'impugnazione di un atto o provvedimento amministrativo, non può essere sufficiente la probabilità che l'interessato in un determinato momento abbia avuto cognizione dell'atto contro il quale ha prodotto ricorso (Consiglio di Stato, Sez. V, 14.04.1993, n. 490), altrimenti risulterebbero violati i principi costituzionali stabiliti dagli art. 24 e 113, secondo cui tutti possono agire in giudizio contro gli atti della pubblica amministrazione a tutela dei propri diritti e interessi legittimi (fattispecie in cui il provvedimento impugnato non risultava notificato né comunicato direttamente all'interessata).
2. L'appalto concorso si caratterizza per l'ampia discrezionalità attribuita all'amministrazione nella valutazione delle singole proposte avanzate dai concorrenti e per una certa libertà progettuale che viene lasciata ai partecipanti nei limiti delle indicazioni di massima stabilite nel bando di gara (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 30.08.2005, n. 4413; idem, Sez. IV, n. 651 del 19.08.1994; idem, Sez. IV, n. 1212 del 10.07.1999; idem, Sez. V, n. 1233 dell'11.10.1996).
Sotto tale profilo le valutazioni della Commissione giudicatrice in ordine alla conformità del progetto (definitivo) elaborato dai singoli partecipanti ad una gara rispetto a quello predisposto dalla stazione appaltante sono espressione di un apprezzamento di natura tecnico-discrezionale e, come tali, sono sottratte al sindacato del giudice amministrativo laddove non vengano in rilievo indici sintomatici di eccesso di potere per manifesta illogicità o contraddittorietà (TAR Lombardia-Milano, Sez. III,
sentenza 27.12.2006 n. 3111 - massima tratta da www.solom.it - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIAppalti settori esclusi - Raggruppamenti di imprese - Forma giuridica determinata - limiti.
In materia di appalti di lavori la normativa comunitaria (ed, in particolare, l'art. 21 della direttiva 93/37/CEE, il quale stabilisce che ai raggruppamenti di imprenditori partecipanti a gare d'appalto non può essere richiesta per la presentazione dell'offerta "...la trasformazione ... in una forma giuridica determinata...") vieta alle Amministrazioni aggiudicatici di imporre alle imprese che decidono di partecipare insieme ad una gara d'appalto una forma giuridica specifica fino alla definitiva aggiudicazione (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 05.02.2002, n. 4468; idem, 09.06.2003, n. 3657; idem, 24.03.2001, n. 1708).
Alle medesime conclusioni sopra rassegnate è possibile giungere anche relativamente alle procedure di appalto nei settori esclusi -come quello oggetto della controversia che attiene alla erogazione e distribuzione di gas metano- di cui al D.lgs. 158 del 1995, attuativo della direttiva 93/38/CEE, il cui art. 33, paragrafo 1, (ora sostituito dall'art. 11 della direttiva 2004/17/CEE, che ne riproduce il contenuto in modo pressoché identico), afferma che "non può essere richiesta a tali associazioni la trasformazione in una forma giuridica determinata per proporre un'offerta o per negoziare, ma l'associazione prescelta può essere obbligata a subire tale trasformazione quando le è stato aggiudicato l'appalto, nella misura in cui detta trasformazione è necessaria per la buona esecuzione dell'appalto stesso", con una formula che ricalca, quindi, quanto previsto dal citato art. 21 della direttiva 93/37CEE per gli appalti di lavori e dall'art. 26 della direttiva 92/50/CEE per gli appalti di servizi (TAR Lombardia-Milano, Sez. III,
sentenza 27.12.2006 n. 3101 - massima tratta da www.solom.it - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: INQUINAMENTO ATMOSFERICO - Getto pericoloso di cose (canna fumaria - pizzeria) - Emissione di gas, vapori e fumi - Art. 674 cod. pen. - Idoneità ad arrecare molestia alle persone - Pericolo per la salute pubblica.
E' configurabile, il reato di cui all'art. 674 cod. pen. (emissione di gas, vapori e fumi atti a molestare le persone) quando le emissioni provengano dall'esercizio di un'attività (pizzeria) non conforme alla normativa sull'abbattimento dei fiumi (emessi dalla canna fumaria) ed arrecano concretamente disturbo alle persone superando la normale tollerabilità con conseguente pericolo per la salute pubblica, la cui tutela costituisce la "ratio" della norma incriminatrice (Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 22.12.2006 n. 42213 - link a www.ambientediritto.it).

ATTI AMMINISTRATIVIAccesso agli atti - Controinteressato - Legittimazione attiva - Sussiste - Ricorso ordinario - Necessità - Ricorso ex art. 25 L. 241/1990 - Inammissibilità.
Sebbene, in qualità di controinteressata, il soggetto che dall'esercizio dell'accesso vedrebbe compromesso il diritto alla propria riservatezza così come stabilito all'art. 23, co. 1, lett. c), L. 241/1990, risulta pienamente legittimato ad opporsi alla determinazione che ha accolto l'istanza di accesso, tuttavia, ogni censura avverso l'anzidetta determinazione -proposta appunto dalla parte "controinteressata"- deve assumere la forma di impugnazione, nelle forme ordinarie, dell'atto che ha consentito l'accesso documentale: il rito accelerato ex art. 25 L. 241/1990 risulta, infatti, concepito per assicurare una rapida tutela ai soggetti interessati all'ostensione di atti amministrativi, con esclusione dei portatori dell'opposta istanza alla non esibizione dei medesimi, i quali possono seguire il rito ordinario; il ricorso presentato nelle suddette forme deve pertanto essere dichiarato inammissibile (TAR Lombardia-Brescia,
sentenza 20.12.2006 n. 1622 - massima tratta da www.solom.it - link a www.giustizia-amministrativa.it).

LAVORI PUBBLICIArt. 10, comma 1-bis, L. 109/1994 - Società controllate - Collegamento sostanziale - Differenze probatorie nella turbativa della procedura concorsuale.
L'art. 10, comma 1-bis, legge n. 109 del 1994 si limita a richiamare solo l'ipotesi delle «società controllate» prevista e disciplinata dall'art. 2359 Cod. civ. al fine di disporre la necessaria e automatica esclusione delle offerte dalla gara.
La giurisprudenza ha individuato, tuttavia, ipotesi di "collegamento sostanziale" tra imprese, diverse da quelle indicate dal citato art. 10, comma 1-bis, legge n. 109 del 1994 e ciò nondimeno idonee a giustificare l'esclusione dalle relative gare (Cons. Stato, VI Sez., 07.02.2002 n. 685; Cons. Stato, V Sez., 15.02.2002 n. 923; Cons. Stato, IV Sez., 27.12.2001 n. 6424, in Cons. Stato 2002, I, 267, 337 e 2001, I, 2735; per la giurisprudenza della Sezione si richiamano le sentenze 06.02.2003, n. 203, 17.07.2003, n. 3632, 27.01.2003, n. 177, 28.11.2002, n. 4698).
Con la precisazione che mentre nel caso della sussistenza dell'ipotesi del "controllo" di cui all'art. 10, comma 1-bis, opera un meccanismo di presunzione iuris et de iure circa la sussistenza di una ipotesi perturbativa del corretto svolgimento della procedura concorsuale (e quindi dei principi di segretezza, serietà delle offerte e par condicio tra i concorrenti), nel caso di sussistenza del c.d. "collegamento sostanziale" dovrà essere provato nello specifico e in concreto l'esistenza di elementi oggettivi e concordanti tali da ingenerare pericolo per il rispetto dei richiamati principi (TAR Lombardia-Milano, Sez. III,
sentenza 13.12.2006 n. 2932 - massima tratta da www.solom.it - link a www.giustizia-amministrativa.it).

LAVORI PUBBLICIArt. 10, comma 1-ter, L. 109/1994 - Appalti - Assegnazione del contratto per il completamento delle opere al secondo classificato - limiti.
L'art. 10, comma 1-ter, della legge n. 109/1994, che stabilisce la possibilità per le stazioni appaltanti di "prevedere nel bando la facoltà, in caso di fallimento o di risoluzione del contratto per grave inadempimento dell'originario appaltatore, di interpellare il secondo classificato al fine di stipulare un nuovo contratto per il completamento dei lavori alle medesime condizioni economiche già proposte in sede di offerta" (omissis), è una norma di stretta interpretazione, poiché si pone in termini derogatori rispetto ad un ordinamento (sia interno che comunitario) ispirato a garantire la massima apertura degli appalti pubblici alla concorrenza effettiva fra le imprese (cfr. TAR, Campania-Salerno, n. 1503/2001) e che, quindi, non può essere estesa ad ipotesi diverse da quella in essa direttamente contemplate (TAR Lombardia-Milano, Sez. III,
sentenza 12.12.2006 n. 2900 - massima tratta da www.solom.it - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA1. Condono - Certificato di assenza di danno ambientale - Competenza - Comune - Potere di annullamento - Soprintendenza per i beni ambientali e architettonici - limitazione - Profili di illegittimità.
2. Condono - Certificato di assenza di danno ambientale - Disparità di trattamento - Effettiva identità - Necessità.

1. Nella valutazione di assenza di danno ambientale finalizzata al condono di opere abusive, l'azione tesa a coniugare l'interesse pubblico con le ragioni del privato proprietario costituisce compito precipuo dell'amministrazione comunale, cui unicamente spetta l'apprezzamento ed il giudizio complessivo in ordine ai fatti coinvolti nella vicenda concreta: è pacifico infatti che il potere di annullamento da parte del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, tramite la Soprintendenza per i Beni Ambientali ed Architettonici, può riguardare soltanto profili di illegittimità, ivi compreso il difetto di motivazione o di istruttoria nonché l'eccesso di potere sotto ogni profilo, senza estendersi alle valutazioni di merito che rientrano nelle competenze dei Comuni, preventivamente delegati dalla Regione.
2. La valutazione preordinata al rilascio del nulla osta paesistico ha per oggetto la tutela di un bene costituzionale primario e l'inderogabilità dei valori salvaguardati dal vincolo si riflette sull'azione amministrativa improntata alla massima cautela nell'esaminare ogni profilo dell'intervento edilizio che possa risolversi nella compromissione dei valori ambientali: ne segue che la disparità di trattamento tra situazioni di eguale contenuto in questa materia deve accertarsi con rigore e che la positiva verifica del vizio di legittimità è riscontrabile solo in caso di valutazioni macroscopicamente erronee: sintonia di un'opera abusiva con l'ambiente deve essere verificata in concreto, mentre l'eventuale incontrollato rilascio di titoli edilizi in sanatoria di situazioni ipoteticamente analoghe non può legittimare ex se l'emissione di un provvedimento di condono: in questa materia, dunque, la censura di disparità di trattamento presuppone l'effettiva identità tra il caso già valutato dall'amministrazione e quello oggetto del contenzioso, atteso che la figura sintomatica di eccesso di potere si configura solo quando vi sia un'assoluta identità di situazioni oggettive, che valga a testimoniare l'irrazionalità delle diverse conseguenze tratte dall'amministrazione (TAR Lombardia-Brescia,
sentenza 05.12.2006 n. 1547 - massima tratta da www.solom.it - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: 1. Mancanza della procedura ad evidenza pubblica - Interesse ad agire.
2. Iscrizione all'albo dei soggetti abilitati all'accertamento e alla riscossione dei tributi - Gestione aree di parcheggio - Artt. 52 e 53 D.Lgs. 446/1997 - interpretazione.
1.
È evidente come l'affidamento di un appalto, avvenuto senza il preventivo esperimento di una procedura ad evidenza pubblica leda le aspettative delle imprese operanti nel settore, le quali hanno interesse ad ottenere l'annullamento dell'assegnazione e a far seguire l'indizione di una procedura pubblica. In questo senso, l'impresa ricorrente appare titolare di un interesse processualmente rilevante a conseguire l'annullamento dell'attribuzione, posto che da questo trarrebbe quantomeno il significativo vantaggio, sufficiente a sostenere la procedibilità del ricorso, di ottenere la possibilità di partecipare ad una gara per l'aggiudicazione dell'appalto.
2. L'iscrizione all'albo di cui agli art. 52 e 53 del D.lgs. 446/1997, disciplinata in dettaglio dal D.M. 11.09.2000 n. 289, può trovare giustificazione nell'interesse pubblico ad affidare la gestione delle entrate a soggetti particolarmente controllati e affidabili, qualora il gestore sia investito di potestà tipicamente pubblicistiche, quali la determinazione dell'ammontare del credito, la verifica dei presupposti per la riscossione e l'utilizzo della procedura di riscossione coattiva (cfr. TAR Lombardia Brescia, 17.10.2005, n. 986).
Quando tuttavia il contenuto dell'appalto ha natura essenzialmente commerciale, come nel caso della semplice fornitura di parcometri e nella gestione di aree di parcheggio, che avviene in forma non coattiva, la riserva a favore dei soggetti iscritti all'albo costituirebbe soltanto un oggettivo ostacolo alla concorrenza.
Da ciò consegue che l'interpretazione dell'art. 52 del D.lgs. 446/1997 non può essere estesa fino a conseguire un risultato incompatibile con la disciplina comunitaria, che vieta qualsiasi discriminazione tra gli operatori economici (TAR Lombardia-Milano, Sez. III,
sentenza 30.11.2006 n. 2854 - massima tratta da www.solom.it - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI1. Art. 7 della l. n. 241/1990 - Termine minimo tra comunicazione di avvio del procedimento e adozione dell'atto - Non previsto - Tuttavia necessità di un termine congruo.
2. Art. 21-nonies della l. n. 241/1990 - Annullamento in autotutela - Inosservanza termine ragionevole - Illegittimità.
1.
Sebbene l'art. 7 della l. n. 241/1990 non preveda che un termine minimo debba necessariamente intercorrere tra la comunicazione di avvio del procedimento e l'effettiva adozione dell'atto, tuttavia l'esigenza di concedere al destinatario della comunicazione un congruo spazio temporale per lo svolgimento delle proprie attività difensive (prendere visione degli atti del procedimento, predisporre e presentare specifiche memorie scritte) s'impone in forza della ratio dell'istituto della comunicazione di avvio, pena la riduzione di tale adempimento ad un mero simulacro formale privo di ogni possibile effettiva utilità (cfr. TAR Marche, 07.02.2006, n. 14 e TAR Calabria Catanzaro, sez. I, 19.12.2005, n. 244).
2. L'art. 21-nonies della legge 241 del 1990, codificando principi già elaborati dalla giurisprudenza, prevede che l'annullamento d'ufficio del provvedimento illegittimo debba avvenire "sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati".
Ne deriva che il provvedimento di annullamento d'ufficio adottato dall'Amministrazione a distanza di moltissimo tempo dalla data di adozione (nel caso di specie, rispettivamente a quasi tredici o sette anni) deve essere ritenuto illegittimo in violazione della previsione di un "termine ragionevole" intercorrente tra l'atto amministrativo e l'intervento in autotutela (TAR Lombardia-Milano, Sez. III,
sentenza 13.11.2006 n. 2150 - massima tratta da www.solom.it - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICAReiterazione vincoli espropriativi - Motivazione sulla perdurante attualità - Necessità - Piano finanziario per far fronte agli indennizzi - Contestualità - Non è necessario.
La reiterazione dei vincoli di espropriazione non può prescindere dalla presenza di una congrua e specifica motivazione sulla perdurante attualità della previsione, comparata con gli interessi privati, conseguente allo svolgimento di adeguate indagini, infatti, la motivazione, in tale ipotesi, quale eccezione alla generale regola che non impone tale obbligo per gli atti a carattere generale, deve ancorarsi ad una serie di parametri obiettivi, dovendo essere evidenziate, oltre alla persistenza dell'interesse pubblico e alla sua attualità, le specifiche ragioni del ritardo che hanno determinato la decadenza del vincolo, la mancanza di possibili soluzioni alternative o di perequazione fra i proprietari espropriabili e, dunque, la ineluttabilità della scelta dell'area già vincolata, la serietà e affidabilità della realizzazione entro il termine quinquennale di durata con la precisazione delle iniziative mediante le quali il procedimento ablativo verrà portato a compimento, la ragionevole dimostrazione, sulla scorta della situazione dei luoghi, che la rinnovazione del vincolo sulla stessa area è necessaria per realizzare l'opera o l'intervento pubblico.
Vi è tuttavia da precisare che non è necessaria la contestualità tra piano finanziario per far fronte agli indennizzi conseguenti al rinnovo dei vincoli e la variante al piano regolatore che li prevede (TAR Lombardia-Brescia,
sentenza 10.11.2006 n. 1393 - massima tratta da www.solom.it - link a www.giustizia-amministrativa.it).

LAVORI PUBBLICIVariante semplificata ex L.R. 23/1997 - Rotatoria - Ente nel cui interesse l'opera viene realizzata - Comune - Competenza comunale - Sussiste.
Agli effetti della L.R. 23/1997, una rotatoria situata nel centro abitato di un Comune e riguardante l'incrocio tra una serie di strade comunali e una strada provinciale, non è opera pubblica posta ad esclusivo servizio di quest'ultima, finanziata dal Comune ed espressamente autorizzata dalla Provincia, va considerata di competenza Comunale, nel cui interesse l'opera viene realizzata, non necessitando di valutazioni, sotto il profilo urbanistico, di enti sovraordinati (TAR Lombardia-Brescia,
sentenza 10.11.2006 n. 1391 - massima tratta da www.solom.it - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZI1. Definizione degli elementi indicativi di capacità tecnica e organizzativa per partecipare alla gara - Indeterminatezza degli elementi del rapporto contrattuale - Non sussiste.
2. Proposizione ricorso per motivi aggiunti - Mancata partecipazione alla gara - Inammissibilità del ricorso.
1.
La stazione appaltante è titolare del potere di modulare discrezionalmente il contenuto della lex specialis, in funzione degli obiettivi di sviluppo, affidabilità e miglioramento della qualità dei servizi di trasporto pubblico locale da rendere nel territorio, al fine di delineare -attraverso l'individuazione degli elementi indicativi di capacità tecnica e organizzativa- il profilo delle imprese potenzialmente idonee per affidabilità economica, finanziaria e tecnica a realizzare il programma d'esercizio conformemente all'interesse pubblico.
Ne deriva che, ove il capitolato speciale ponga carico delle imprese l'obbligo di assicurare l'espletamento del servizio mediante un proprio parco autobus adeguato alla realizzazione del programma e rispondente agli standard minimi e agli obiettivi di qualità, lo stesso adempie all'obbligo di precisare gli elementi necessari alla corretta formulazione dell'offerta e tali da garantire l'assolvimento dei compiti derivanti dall'aggiudicazione.
2. Ai fini dell'ammissibilità della impugnazione degli atti di aggiudicazione, è necessaria la partecipazione alla gara o alla procedura concorsuale in quanto è proprio la presentazione dell'offerta, nell'evidenziare l'interesse concreto all'impugnazione, che fa del soggetto che ha provveduto a tale adempimento un destinatario identificato, direttamente inciso dagli esiti della procedura concorsuale.
Solo con la presentazione dell'offerta, l'impresa assume una situazione giuridica differenziata rispetto a quella delle altre ditte presenti sul mercato di riferimento, ergendosi solo in tale caso essa a titolare di un interesse legittimo giudizialmente tutelato, che la abilita a sindacare la legittimità degli esiti della gara alla quale ha dimostrato in concreto di voler prendere parte. (cfr. C.d.S. V Sez., 23.08.2004 n. 5572; id., 04.05.2004 n. 2705; id., TAR Milano sez. III, 17.05.2004 n. 1713) (TAR Lombardia-Milano, Sez. III,
sentenza 08.11.2006 n. 2108 - massima tratta da www.solom.it - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAOpere abusive - Ordinanza di demolizione - Motivazione - Non necessità - Mantenimento dell'opera - Eccezionalità - Motivazione - Necessità.
L'ordinanza di demolizione di opere abusive costituisce atto dovuto al verificarsi dei presupposti ivi indicati e consistenti nell'accertata abusività del manufatto per assenza del titolo concessorio e, di conseguenza, detto provvedimento sanzionatorio non necessita di valutazione e di motivazione in ordine all' interesse pubblico alla demolizione.
E' invece il mantenimento dell'opera ad avere carattere eccezionale, necessitando di un'apposita valutazione, rimessa dall'art. 7 co. 5 L. 47/1985, al Consiglio comunale; tale valutazione attiene al merito dell'azione amministrativa e come tale non è sindacabile in sede di legittimità, salvo sia data la dimostrazione di profili di manifesta arbitrarietà, illogicità o irragionevolezza (TAR Lombardia-Brescia,
sentenza 08.11.2006 n. 1387 - massima tratta da www.solom.it - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATACabina elettrica di trasformazione- Procedura autorizzativa ex LR 52/1982 - Disciplina edilizia - Rapporto - Posizionamento in manufatto abusivo - Mantenimento - Non è necessario.
Tra la procedura autorizzativa di una cabina elettrica di trasformazione e la disciplina edilizia dei manufatti ove questo è localizzato, esiste un rapporto di interferenza, che il legislatore regionale ha risolto prevedendo che l'autorizzazione all'impianto presupponga la regolarità edilizia delle opere, come si evince dall'art. 5, co. 1, L.R. 52/1982, che espressamente dispone che la costruzione di opere edilizie adibite a stazioni e cabine elettriche è subordinata alla concessione edilizia prevista dall' art. 1 della L. 10/1977 rilasciata ai sensi dell' art. 9, lett. f) della suddetta legge.
Pertanto, dalle circostanze che la procedura autorizzativa dell'impianto si fosse a suo regolarmente perfezionata o che nell'ambito di questa il Comune avesse espresso parere favorevole ovvero ancora che compete ad altro ente, diverso dal Comune, l'emanazione del provvedimento necessario alla modifica della sua localizzazione, non può inferirsi l'inderogabile necessità di mantenere la cabina di trasformazione in un manufatto abusivo (TAR Lombardia-Brescia,
sentenza 08.11.2006 n. 1387 - massima tratta da www.solom.it - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI1. Esclusione per aver formulato un'offerta più alta rispetto al prezzo a base d'asta - Impugnazione - Carenza di interesse - Non sussiste - Direttiva 89/665 - Interpretazione della Corte di Giustizia CEE.
2. Prezzo a base d'asta - Garanzia di rispetto del costo del lavoro - Necessità;
3. Annullamento procedura concorsuale - Risarcimento in forma specifica - Rinnovazione procedure di gara.
1.
Non può essere considerato inammissibile per difetto di interesse il ricorso proposto da un concorrente contro la determinazione di esclusione da una gara per aver presentato un'offerta più alta rispetto al prezzo posto a base d'asta. A tal proposito, la Corte di giustizia CEE ha infatti statuito che, ai sensi dell'art. 1, n. 3, della direttiva 89/665, gli Stati membri sono tenuti a garantire che le procedure di ricorso da essa previste siano accessibili "per lo meno" a chiunque abbia o abbia avuto interesse a ottenere l'aggiudicazione di un determinato appalto pubblico e che sia stato o rischi di essere leso a causa di una violazione denunciata del diritto comunitario in materia di appalti pubblici o delle disposizioni nazionali che attuano tale diritto (cfr. sentenza 12.02.2004 resa nel procedimento C 230/02).
Ha altresì osservato, sempre con riguardo all'art. 1, n. 3, della direttiva 89/665, che la partecipazione ad un procedimento di aggiudicazione di un appalto può, in linea di principio, validamente costituire una condizione sufficiente a dimostrare che il ricorrente ha interesse all'aggiudicazione dell'appalto di cui trattasi.
2. Alla stregua della disciplina di cui all'art. 1 della legge 07.11.2000 n. 327, la stazione appaltante nel procedere alla determinazione delle condizioni economiche da porre a base d'asta è tenuta a garantire un livello idoneo a consentire il rispetto del costo del lavoro risultante dalla contrattazione collettiva. Inoltre, per procedere all'individuazione del prezzo base per valutare l'attendibilità delle offerte, deve farsi riferimento ad un unico contratto di categoria e, in particolare, a quello direttamente applicabile al settore di pertinenza dell'appalto, ovvero, ma solo in mancanza di questo, a quello del settore più affine.
3. La pronuncia di annullamento della procedura concorsuale, da cui deriva l'obbligo dell'amministrazione di procedere all'indizione di una nuova procedura per l'affidamento del servizio appaltato, assicura la reintegrazione in forma specifica nella situazione soggettiva lesa dai provvedimenti impugnati, per cui non deve riconoscersi alcuna altra forma di risarcimento per equivalente (cfr C.d.S. VI 04.09.2002 n. 4435) (TAR Lombardia-Milano, Sez. III,
sentenza 06.11.2006 n. 2102 - massima tratta da www.solom.it - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI1. Bando di gara - Clausole immediatamente lesive - Onere di tempestiva impugnazione;
2. Esclusione da gara prima della sua ultimazione - Impugnazione esclusione - Obbligo notifica ai partecipanti - Non sussiste;
3. Mancata enunciazione chiara nella lex specialis delle clausole di esclusione - Illegittimità dell'esclusione.

1. Costituisce principio di diritto consolidato che le clausole del bando, per le quali sussiste un onere di immediata impugnazione, sono quelle che contemplano requisiti soggettivi di partecipazione alla procedura selettiva e che, come tali, impediscano in via immediata la concreta partecipazione dell'impresa alla gara (cfr. C.d.S., Ad. Plen., 29.01.2003, n. 1).
In questa categoria di clausole non può farsi rientrare la prescrizione contenuta in un bando di gara che, posta a base della esclusione da parte dell'amministrazione appaltante, prevedeva "che i concorrenti, con la richiesta di invito, produrranno una dichiarazione di Banca o di Assicurazione operante in Italia disponibile a rilasciare una garanzia provvisoria (al concorrente) per la partecipazione alla gara pari al 5% del valore complessivo dell'appalto, nonché, una garanzia definitiva (all'aggiudicatario) pari a euro (.?)", senza tuttavia statuire che tale documentazione dovesse essere prodotta a pena di non ammissione alla gara.
2. Un consolidato orientamento giurisprudenziale esclude che, nella fase antecedente lo sviluppo della gara e l'individuazione dei soggetti (o del soggetto) aggiudicatari, i soggetti terzi (concorrenti) abbiano un qualificato interesse alla sua positiva evoluzione e, pertanto, siano qualificabili come controinteressati (cfr. TAR Puglia Lecce, sez. II, 18.10.2003, n. 6953; TAR Abruzzo L'Aquila, 08.07.1999, n. 437). Invero, il provvedimento di esclusione inerisce esclusivamente al rapporto tra l'amministrazione ed il soggetto escluso, con la conseguenza che gli altri partecipanti non assumono la veste di contraddittori necessari.
3. La sanzione della esclusione da una procedura di evidenza pubblica per la mancata produzione di documenti di gara deve essere espressamente enunciata nelle disposizioni della lex specialis o in una norma di legge o di regolamento avente portata imperativa, in conformità al principio di trasparenza ed al fine di evitare possibili violazioni del principio della par condicio tra le imprese partecipanti. Per giurisprudenza pacifica (ex multis: TAR Piemonte Torino, sez. II, 08.11.2005, n. 3442; TAR Molise Campobasso, 16.06.2005, n. 745) il rigore della sanzione dell'esclusione esige che la stessa sia esplicitata dall'amministrazione con formule univoche.
Altrettanto pacifica è la giurisprudenza nell'affermare che, qualora il contenuto di una clausola del bando sia equivoco, esso debba essere interpretato nel senso di privilegiare la più ampia partecipazione alla gara (cfr. Consiglio Stato, sez. V, 13.01.2005, n. 82; TAR Sicilia-Palermo, sez. III, 27.12.2005, n. 8432) (TAR Lombardia-Milano, Sez. III,
sentenza 23.10.2006 n. 2067 - massima tratta da www.solom.it - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIOperatività del principio favor partecipationis. Mancanza dei presupposti. Illegittimità.
Il principio del favor partecipationis alle gare pubbliche, inizialmente teorizzato dalla dottrina e successivamente tipizzato dall'art. 6 della legge n. 241 del 1990 è subordinato alla ricorrenza di precisi presupposti di fatto in quanto il dovere di soccorso incombente sulla commissione di gara non è un dovere assoluto ed incondizionato. Secondo la giurisprudenza la possibilità di regolarizzare le dichiarazioni e la documentazione mancante incontra i seguenti limiti applicativi:
1) l'inderogabile necessità del rispetto della par condicio;
2) il c.d. limite degli elementi essenziali, nel senso che la regolarizzazione non può essere riferita agli elementi essenziali della domanda a meno che gli atti tempestivamente prodotti e già in possesso dell'amministrazione costituiscano ragionevole indizio del possesso del requisito di partecipazione non espressamente documentato;
3) la regolarizzazione della documentazione dei requisiti di partecipazione è ammessa solo nei casi di equivocità della clausola del bando relativa alla dichiarazione o alla documentazione da integrare o chiarire (cfr. C.d.S., sez. V, 06.03.2006, n. 1068) (TAR Lombardia-Milano, Sez. III,
sentenza 17.10.2006 n. 2011 - massima tratta da www.solom.it - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVIValutazioni tecniche - Sindacato giudice amministrativo.
Secondo un risalente orientamento giurisprudenziale, al giudice amministrativo è interdetto il sindacato diretto sulle valutazioni tecniche degli organi amministrativi in quanto, ove ammesso, si risolverebbe in un inammissibile giudizio di tipo sostitutivo lesivo della sfera di autonomia decisionale dell'amministrazione; al contrario il sindacato giurisdizionale sull'impiego di regole tecniche alla conoscenza ed all'apprezzamento dei fatti di rilevanza procedimentale deve limitarsi alla verifica circa l'attendibilità della soluzione prescelta dall'organo procedente, verificando in particolare la correttezza del criterio tecnico prescelto e del relativo procedimento applicativo, ferma restando la possibilità di esercitare il sindacato di tipo estrinseco, di natura logico-formale, incentrata sul rispetto del principio di ragionevolezza (TAR Lombardia-Milano, Sez. III,
sentenza 17.10.2006 n. 1999 - massima tratta da www.solom.it - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICAVariante generale al piano regolatore - Reiterazione vincoli urbanistici - Mancata motivazione - Non necessaria.
Stante la natura di atto generale ed in parte normativo del piano regolatore e delle sue varianti generali, le scelte urbanistiche di carattere generale ai sensi dell'art. 3, comma 2, della l. 241/1990, non devono, di massima, essere sorrette da altra motivazione oltre quella che è dato evincere dall'esame dei criteri di ordine tecnico seguiti per la redazione del piano.
La giurisprudenza ha precisato altresì che tra le ipotesi che impongono una motivazione specifica delle scelte contenute nello strumento urbanistico generale (superamento degli standard minimi di cui al DM 02/04/1968; stipula di convenzioni di lottizzazione o di accordi di diritto privato tra il comune ed i proprietari delle aree e in generale tutte le ipotesi in cui vi sia un affidamento qualificato del privato da tutelare) non sono annoverabili quelle dei proprietari delle aree soggette a vincoli urbanistici, non potendosi configurare un'aspettativa qualificata ad una destinazione edificatoria in relazione ad una precedente determinazione dell'amministrazione (che ha gravato l'area dal vincolo), ma soltanto un'aspettativa generica da una reformatio in melius analoga a quella di ogni altro proprietario di aree che aspira ad una utilizzazione più proficua dell'immobile (C.d.S. Ad. Plen., 22.12.1999, n. 24) (TAR Lombardia-Milano, Sez. III,
sentenza 17.10.2006 n. 1998 - massima tratta da www.solom.it - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI1. Appalti di servizi in ATI - Scostamento dai minimi tabellari relativi al costo della manodopera - Mancata esclusione - Legittimità.
2. Giudizio di non anomalia dell'offerta - Motivazione per relationem - Sufficiente.
3. Continuità delle procedure concorsuali - Deroghe - Ammissibilità.
4. Cooperative sociali - Deroghe in peius trattamento economico soci lavoratori - Inammissibilità.
5. Principio di territorialità previdenziale - Derogabilità a favore delle cooperative sociali - Inammissibile per violazione principio di libera concorrenza.
6. Procedura selettiva - Mancata predeterminazione criteri di valutazione - Obbligo p.a. di palesare iter logico seguito per l'attribuzione del punteggio.
7. ATI - Requisiti tecnici - Valutazione del raggruppamento nel suo complesso.
8. Modalità conservazione buste contenenti offerte economiche - Custodia del pubblico ufficiale.
1.
L'eventuale scostamento dai minimi tabellari concernenti i costi della manodopera indicati nelle tabelle FISE (Federazione imprese di servizi) non costituisce ex se motivo di automatica esclusione dell'offerta ove, ai sensi dell'art. 1 della l. 327/2000, le condizioni economiche poste a base di gara risultino adeguate rispetto al costo del lavoro come determinato periodicamente dal Ministro del lavoro sulla base dei valori economici previsti dalla contrattazione collettiva, delle norme in materia previdenziale ed assistenziale, dei diversi settori merceologici e delle differenti aree territoriali; tuttavia, la stessa norma dispone, al quarto comma, che solo uno scostamento evidente dai parametri stabiliti nelle tabelle FISE possa determinare l'inaccettabilità dell'offerta che esponga valori ad essi inferiori.
Ne deriva che i dati risultanti dalle tabelle FISE non costituiscono misure inderogabili, ma si configurano quali indici del giudizio di adeguatezza dell'offerta, cui la stazione appaltante è tenuta a procedere in contraddittorio con l'impresa interessata.
Non può disporsi l'esclusione di un'offerta sul presupposto dell'inderogabilità dei minimi tabellari di cui trattasi, dovendosi consentire all'impresa di rendere giustificazioni in ordine ai costi della manodopera inferiori ai minimi retributivi tabellari, rimettendo al giudizio della commissione la stima della congruità di tali giustificazioni (cfr. C.d.S. V 11.10.2002 n. 5497).
2. Il giudizio favorevole di non anomalia non richiede una motivazione puntuale ed analitica, essendo sufficiente una motivazione espressa per relationem con rinvio alle giustificazioni fornite dall'offerente (ex multis: C.d.S. IV, 15.11.2004 n. 7364; VI, 08.03.2004, n. 1080; id., 06.08.2002, n. 4094; id., 03.04.2002, n. 1853).
3. Il principio di continuità delle procedure concorsuali di cui all'art. 71 RD n. 827/1924, esige che le gare di appalto siano espletate in unica seduta o in più sedute immediatamente consecutive al fine di assicurare l'assoluta indipendenza di giudizio della commissione di gara sottraendola a possibili influenze esterne ed impedire che i criteri di valutazione delle offerte vengano formulati dopo la conoscenza delle stesse.
Tuttavia, il principio non viene violato, se le operazioni di gara si svolgono con ragionevole celerità, anche se non in un unico giorno o in pochi giorni consecutivi, purché la fissazione dei criteri di valutazione delle offerte preceda la conoscenza delle offerte medesime e venga rispettato il principio di segretezza delle operazioni di gara fino alla enunciazione dell'esito della stessa (cfr. C.d.S. VI, 16.11.2000 n. 6128; id., 02.02.2004 n. 324).
4. Ai sensi dell'art. 6 della l. 03.04.2001 n. 142, il regolamento interno della cooperativa può contenere disposizioni derogatorie in peius rispetto alle previsioni dei contratti collettivi applicabili ai soci lavoratori con rapporto di lavoro subordinato, salva comunque l'osservanza del trattamento economico complessivo minimo non inferiore ai minimi previsti, per prestazioni analoghe, dalla contrattazione collettiva nazionale del settore o della categoria affine previsto dall'art. 3, primo comma, della stessa legge, con espressa sanzione di nullità delle clausole derogatorie contrarie.
Come precisato nella circolare del Ministero del Lavoro 18.03.2004 n. 10, al socio lavoratore inquadrato con rapporto di lavoro subordinato deve essere garantito un compenso non inferiore ai minimi contrattuali non solo per quanto riguarda la retribuzione di livello (tabellare o di qualifica, contingenza, EDR), ma anche con riferimento alle altre norme del contratto che prevedano voci retributive fisse.
Ne deriva che l'indennità integrativa di malattia, prevista dall'art. 51 CCNL Multiservizi, non essendo una voce che concorre a definire il trattamento economico minimo di cui all'articolo 3, può formar oggetto di deroghe in peius, ragion per cui non può considerarsi nulla la previsione relativa al "trattamento economico malattia maternità infortunio", contenuta nel regolamento interno di una società cooperativa, nella parte in cui riconosce agli aventi diritto esclusivamente l'anticipazione delle indennità a carico degli enti previdenziali e assicurativi, senza prevedere alcuna integrazione a carico della cooperativa stessa.
5. Il principio di territorialità, cui è improntato il sistema previdenziale, impone di applicare il regime normativo del luogo dove la prestazione è svolta (cfr. Cass. Sez. Lav., 28.06.2004 n. 11979).
6. In tema di attribuzione di punteggi numerici, la più recente giurisprudenza ha ritenuto che, in base al principio di trasparenza cui l'intera attività amministrativa deve conformarsi, nel caso in cui in una procedura selettiva non siano stati predeterminati rigidamente i criteri di valutazione delle offerte, deve essere imposto alle commissioni giudicatrici, a pena di illegittimità, di rendere percepibile l'iter logico seguito nell'attribuzione del punteggio, se non attraverso diffuse esternazioni relative al contenuto delle valutazioni, quanto meno mediante taluni elementi che concorrano ad integrare e chiarire la valenza del punteggio, esternando le ragioni dell'apprezzamento sinteticamente espresso con l'indicazione numerica (cfr., per il principio, C.d.S. VI 30.04.2003 n. 2331; id., 22.03.2004 n. 1458).
7. Il requisito di capacità tecnica deve essere valutato con riferimento all'intero raggruppamento e non alle sue singole componenti. Infatti, l'art. 15, co. 9, del D.P.R. n. 34/2000, in caso di fusione o di altra operazione che comporti il trasferimento di azienda o di un suo ramo, consente al nuovo soggetto di avvalersi, ai fini della qualificazione, dei requisiti posseduti dall'impresa cedente.
In tale quadro, deve trovare quindi applicazione il principio secondo cui, qualora la cessione del ramo d'azienda intervenga prima della presentazione dell'offerta, i requisiti necessari per la partecipazione alla gara devono essere verificati con riferimento esclusivo all'impresa cessionaria (TAR Lombardia, Milano, sez. III, 16.03.2005 n. 611).
8. L'affidamento della custodia ad un pubblico ufficiale, stanti i penetranti obblighi di sorveglianza che il munus impone, è misura idonea, in linea generale, a proteggere il compendio consegnato dal pericolo di indebita interferenza esterna (cfr. C.d.S. V, 02.09.2005 n. 4463) (TAR Lombardia-Milano, Sez. III,
sentenza 10.10.2006 n. 1983 - massima tratta da www.solom.it - link a www.giustizia-amministrativa.it).

COMPETENZE PROGETTUALISe è vero che spetta alla Soprintendenza ai sensi dell’art. 18 L. n. 1089/1939 autorizzare i progetti delle opere concernenti i beni sottoposti alla legge stessa, il controllo del progetto -che mira ad assicurare la conformità dell’intervento alla salvaguardia del valore storico-artistico del bene– non può non estendersi anche alla verifica della idoneità professionale del progettista (come stabilita dal legislatore).
Non la totalità degli interventi concernenti gli immobili di interesse storico e artistico deve essere affidata alla specifica professionalità dell’architetto, ma solo <<le parti di intervento di edilizia civile che riguardino scelte culturali connesse alla maggiore preparazione accademica conseguita dagli architetti nell’ambito del restauro e risanamento degli immobili di interesse storico e artistico>>; restando invece nella competenza dell’ingegnere civile la cd. parte tecnica, cioè <<le attività progettuali e di direzione dei lavori che riguardano l’edilizia civile vera e propria …>>.

Le questioni sulle quali il Collegio deve pronunciarsi possono essere riassunte nei termini che seguono:
a) se la limitazione posta dall’art. 52 del regolamento approvato con R.D. 23.10.1925, n. 2537 (che riserva alla “professione di architetto” “le opere di edilizia civile che presentano rilevante carattere artistico, e il restauro e il ripristino degli edifici contemplati dalla legge 20.06.1909, n. 364” (poi legge 01.06.1939, n. 1089), salvo che la “parte tecnica” che può essere compiuta anche dall’“ingegnere), risulti o meno superata dalla legislazione successiva;
b) se in virtù della direttiva CEE 10.06.1985, n. 384 (recepita in Italia con D.Lgs. 27.01.1992, n. 129) debba ritenersi che il titolo di ingegnere in ingegneria civile sia ormai equiparato a quello di architetto, ai fini dell’accesso alle attività nel settore dell’architettura, con il conseguente superamento della limitazione posta dal citato art. 52 R.D. n. 2537/1925;
c) se appartenga o meno alla competenza della Soprintendenza stabilire quando il progetto delle opere di cui al citato art. 52 debba essere redatto da un ingegnere o da un architetto.
Iniziando, per ordine logico, da quest’ultimo profilo non può essere condivisa la tesi sostenuta nell’atto di appello dell’ing. Rauty, che ha negato il potere della Soprintendenza di verificare la paternità professionale del progetto richiamandosi ad un risalente parere del Consiglio di Stato (parere Cons. St., 12.07.1969, n. 663/1968).
Se è vero infatti che spetta alla Soprintendenza ai sensi dell’art. 18 L. n. 1089/1939 di autorizzare i progetti delle opere concernenti i beni sottoposti alla legge stessa, il controllo del progetto -che mira ad assicurare la conformità dell’intervento alla salvaguardia del valore storico-artistico del bene– non può non estendersi anche alla verifica della idoneità professionale del progettista (come stabilita dal legislatore), secondo quanto riconosciuto in un più recente parere di questo Consiglio (Cfr. Cons. St. II, 23.07.1997, n. 386/1997).
Assodato, per quanto precede, che nella fattispecie in esame il Soprintendente aveva il potere di controllare se il progetto presentato si conformasse alle regole in tema di competenza professionale, si tratta di stabilire se la disposizione contenuta nell’art. 52 del Regolamento per la professione di ingegnere e di architetto (approvato con R.D. n. 2537/1925) debba considerarsi abrogata, come hanno prospettato gli odierni appellanti.
Nella ordinanza n. 2379 dell’11.05.2005, con la quale era stato rimesso alla Corte di Giustizia delle Comunità Europee di decidere pregiudizialmente sulla interpretazione della direttiva comunitaria n. 384/1985, la Sezione ha già riconosciuto che tale asserita abrogazione non può essere comprovata facendo riferimento al T.U. del 1933 sulla istruzione superiore (art. 173 e tabelle allegate), ove il legislatore si è limitato ad equiparare le lauree di architettura e di ingegneria civile in funzione dell’accesso alla professione di architetto; e neppure richiamando la legge 07.12.1961, n. 1264 (art. 15, 3° comma) che, laddove prevede come requisito per ricoprire il ruolo di architetto presso le Soprintendenze il possesso della laurea in architettura o in ingegneria civile, non stabilisce con ciò alcuna equipollenza tra le due lauree ai fini dello svolgimento della attività professionale.
Occorre aggiungere che la ripartizione delle competenze professionali tra architetto e ingegnere, come delineata nel citato art. 52, R.D. n. 2537/1925, non è venuta meno per effetto della normativa successiva che ha innovato la disciplina per il conseguimento del titolo di architetto e di ingegnere.
È bensì vero infatti che nel 1925 per conseguire tali titoli era sufficiente il semplice diploma di istruzione secondaria (e non già il diploma di laurea), e che nell’attuale ordinamento universitario il laureato in ingegneria civile deve avere acquisito una specifica preparazione anche nel campo dell’architettura, talché potrebbe ritenersi ormai anacronistica la limitazione posta dal citato art. 52 alla competenza professionale dell’odierno laureato in ingegneria, e in ogni caso meritevole di essere adeguata alla mutata disciplina delle professioni di architetto e di ingegnere civile.
Nondimeno la norma in questione, nella misura in cui vuole garantire che a progettare interventi edilizi su immobili di interesse storico-artistico siano professionisti forniti di una specifica preparazione nel campo delle arti, e segnatamente di un adeguata formazione umanistica, deve ritenersi tuttora vigente.
Fermo restando che, alla stregua della anzidetta disposizione, non la totalità degli interventi concernenti gli immobili di interesse storico e artistico deve essere affidata alla specifica professionalità dell’architetto, ma solo <<le parti di intervento di edilizia civile che riguardino scelte culturali connesse alla maggiore preparazione accademica conseguita dagli architetti nell’ambito del restauro e risanamento degli immobili di interesse storico e artistico>>; restando invece nella competenza dell’ingegnere civile la cd. parte tecnica, cioè <<le attività progettuali e di direzione dei lavori che riguardano l’edilizia civile vera e propria …>> (in questi termini Cons. St. II, n. 2038/2002 del 24.11.2004).
Si deve infine passare alla questione sulla quale si è maggiormente incentrato il giudizio, vale a dire se la direttiva comunitaria 10.06.1985, n. 384 abbia determinato la equiparazione dei titoli di architetto e di ingegnere civile ai fini dell’esercizio delle attività professionali nel campo della architettura, con conseguente superamento della normativa racchiusa nell’art. 52 R.D. cit..
Al riguardo giova premettere che gli artt. 2 e segg. della direttiva dettano le norme per il reciproco riconoscimento dei titoli di studio conseguiti dai cittadini degli Stati membri a conclusione di studi universitari riguardanti l’architettura, introducendo anche un regime transitorio di reciproco riconoscimento di taluni titoli tassativamente indicati.
Tra i titoli che beneficiano di tale riconoscimento automatico l’art. 11 menziona per l’Italia:
<<- i diplomi di “laurea in architettura” rilasciati dalle università, dagli istituti politecnici e dagli istituti superiori di architettura di Venezia e di Reggio Calabria, accompagnati dal diploma di abilitazione all’esercizio indipendente della professione di architetto, rilasciato dal ministro della Pubblica Istruzione una volta che il candidato abbia sostenuto con successo, davanti ad un’apposita Commissione, l’esame di Stato che abilita all’esercizio indipendente della professione di architetto (dott. architetto);
- i diplomi di “laurea in ingegneria” nel settore della costruzione civile rilasciati dalle università e dagli istituti politecnici, accompagnati dal diploma di abilitazione all’esercizio indipendente di una professione nel settore dell’architettura, rilasciato dal ministro della Pubblica Istruzione una volta che il candidato abbia sostenuto con successo, davanti ad un’apposita Commissione, l’esame di Stato che lo abilita all’esercizio indipendente della professione (dott. ing. architetto o dott. ing. in ingegneria civile
>>.
Con la ordinanza n. 2379 dell’11.05.2005 la Sezione ha rimesso alla Corte di Giustizia delle Comunità Europee di decidere pregiudizialmente se per effetto della applicazione degli artt. 10 e 11 della Direttiva dovesse ritenersi attuata nell’ordinamento interno la equiparazione anzidetta. Con la stessa ordinanza si sottoponeva alla Corte di Giustizia la prospettazione degli odierni appellanti secondo cui, in difetto di una siffatta equiparazione, la normativa italiana avrebbe potuto dar luogo ad una discriminazione alla rovescia poiché, diversamente dagli ingegneri civili che hanno conseguito il titolo rilasciato in Italia, i soggetti in possesso di un titolo di ingegnere civile rilasciato da altro Stato membro avrebbero accesso (ove tale titolo sia menzionato nell’elenco di cui all’art. 11 della Direttiva) alle attività che in Italia sono riservate agli architetti, ai sensi del ripetuto art. 52 R.D. n. 2537/1925.
Ma alla ordinanza della Sezione la Corte ha risposto trasmettendo la decisione già assunta in fattispecie del tutto identica a quella in esame, nella quale si afferma che <<la Direttiva 85/384 non si propone di disciplinare le condizioni di accesso alla professione di architetto, né di definire la natura delle attività svolte da chi esercita tale professione>>; ma ha invece ad oggetto solamente <<il reciproco riconoscimento, da parte degli Stati membri, dei diplomi, dei certificati e degli altri titoli rispondenti a determinati requisiti qualitativi e quantitativi minimi in materia di formazione allo scopo di agevolare l’esercizio effettivo del diritto di stabilimento e di libera prestazione dei servizi per le attività del settore della architettura…>>.
In definitiva, secondo la Corte, la direttiva non impone allo Stato membro di porre i diplomi di laurea in architettura e in ingegneria civile indicati all’art. 11 su un piano di perfetta parità per quanto riguarda l’accesso alla professione di architetto in Italia; né tantomeno può essere di ostacolo ad una normativa nazionale che riservi ai soli architetti i lavori riguardanti gli immobili d’interesse storico-artistico sottoposti a vincolo.
Alla stregua delle conclusioni formulate dalla Corte deve dunque ritenersi infondata la tesi degli appellanti secondo cui la disposizione dell’art. 52 R.D. cit. sarebbe stata superata dalla direttiva comunitaria.
Residua il problema, prospettato nella stessa pronuncia della Corte di Giustizia, se la disposizione in questione per effetto della direttiva comunitaria realizzi una discriminazione vietata dal diritto nazionale in relazione al trattamento che sarebbe riservato a chi è in possesso di uno dei titoli di ingegneria civile elencati all’art. 11 della direttiva; e se dunque possa essere sospettata di illegittimità costituzionale per contrasto con gli artt. 3, 35 e 41 Cost. secondo quanto sostenuto dalle parti appellanti.
Ma siffatti dubbi non hanno ragion d’essere ove si consideri che la stessa Corte di Giustizia ritiene che la direttiva non imponga allo Stato membro di porre su un piano di perfetta parità i diplomi di laurea in architettura e in ingegneria civile per quanto riguarda l’accesso all’attività di architetto in Italia.
In altri termini, dalla applicazione della direttiva non consegue affatto che chi è in possesso di un diploma di laurea in ingegneria civile conseguito in un altro Stato della Comunità possa accedere all’esercizio di attività professionali riservate specificatamente agli architetti (secondo la legislazione italiana), a differenza di chi tale titolo abbia conseguito in Italia.
Alla stregua delle considerazioni che precedono i due atti di appello all’esame del Collegio vanno respinti dovendosi riconoscere che nelle fattispecie in questione la Soprintendenza ha correttamente applicato la disposizione di cui all’art. 52 R.D. n. 2537/1925 (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 11.09.2006 n. 5239 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AGGIORNAMENTO AL 13.01.2012

ã

GURI - GUUE - BURL (e anteprima)

EDILIZIA PRIVATA: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 2 del 13.01.2012, "Criteri e procedure per l’esercizio delle funzioni amministrative in materia di beni paesaggistici in attuazione della legge regionale 11.03.2005, n. 12 - Contestuale revoca della d.g.r. 2121/2006" (deliberazione G.R. 22.12.2011 n. 2727).
---------------
Nuovi criteri regionali per il paesaggio.
Da oggi in vigore i nuovi criteri e procedure per l’esercizio delle funzioni paesaggistiche approvati con la DGR n. IX/2727 del 22.12.2011.
Con la pubblicazione sul BURL n. 2 del 13.01.2012 del provvedimento regionale entrano in vigore, sostituendo quelli approvati nel 2006, i nuovi criteri regionali che costituiscono il riferimento per tutti gli Enti locali lombardi dettando criteri, indirizzi e procedure per il miglior esercizio delle competenze paesaggistiche.
Le principali novità sono costituite dalla complessiva maggior chiarezza espositiva, dall’illustrazione del percorso metodologico che tiene conto delle disposizioni del Piano Paesaggistico Regionale approvato nel 2010, dall’indicazione di criteri paesaggistici per alcune specifiche categorie di opere ed interventi, dalla chiara declinazione dell’attribuzione delle competenze paesaggistiche agli Enti locali, dalla rappresentazione, anche tramite l’utilizzo di diagrammi di flusso, delle fasi del percorso amministrativo per il rilascio dell’autorizzazione paesaggistica, sia per la procedura “ordinaria” che per quella “semplificata”.
Infine costituiscono parte integrante del provvedimento regionale le appendici al documento che riportano la modulistica e la documentazione per la presentazione dei progetti (appendice A) e le schede degli elementi costituivi del paesaggio (appendice B).
Nelle prossime settimane i funzionari della Struttura Paesaggio saranno impegnati, con il supporto decisivo delle Sedi territoriali regionali, nella divulgazione dei contenuti di questo significativo provvedimento della Giunta regionale.
Per maggiori informazioni:
struttura_paesaggio@regione.lombardia.it
luisa_pedrazzini@regione.lombardia.it
sergio_cavalli@regione.lombardia.it
angelo_guasconi@regione.lombardia.it
francesco_solano@regione.lombardia.it
(13.01.2012 - link a www.regione.lombardia.it).

CORTE DEI CONTI

INCARICHI PROFESSIONALI: Rapporti di lavoro ed incarichi legati al mandato del Sindaco/Presidente della Provincia.
Secondo la Corte dei Conti, Sez. Giurisdiz. d'Appello per la Regione Siciliana (sentenza 16.12.2011 n. 377) ogni causa di cessazione dalla carica del Sindaco o del Presidente della Provincia (anche anticipata, per dimissioni) determina automaticamente la decadenza dei contratti/incarichi in oggetto; una loro prosecuzione (anche temporanea ed anche per assicurare una asserita necessità di adeguato funzionamento amministrativo all'ente) è illegittima oltre che foriera di possibile danno erariale qualora si tratti di incarichi extradotazione organica (tratto da www.publika.it).

AUTORITA' VIGILANZA CONTRATTI PUBBLICI

APPALTI: Debbono ritenersi illogiche tutte le previsioni contenute negli atti di gara tendenti ad addossare sull’appaltatore non solo il maggior onere di conferimento in discarica dei rifiuti urbani, ma anche una ulteriore sanzione pecuniaria applicabile semplicemente in ragione del mancato raggiungimento dell’obiettivo del 35%, a prescindere da qualsiasi inadempimento contrattuale.
In funzione di ciò, va considerata illogica anche la prescrizione che impone, a pena di esclusione, di accettare la clausola di recesso anticipato dal contratto la quale opera a giudizio insindacabile dell’Amministrazione e, quindi, a prescindere dall’accertamento di responsabilità in capo all’impresa appaltatrice, anche se è prevista una procedimentalizzazione del recesso mediante una fase in contraddittorio
(parere di precontenzioso 22.06.2011 n. 125 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: L’esclusione deve essere espressamente comminata da una previsione della lex specialis di gara e non può dipendere, genericamente, dalla violazione di una qualsiasi prescrizione del bando. Deve così ritenersi illegittima l’esclusione dalla gara di un concorrente che aveva utilizzato la modalità della consegna diretta dell’offerta a fronte di una clausola del bando che prescriveva la presentazione attraverso la posta o a mezzo dei servizi privati di recapito postale ma non vietava espressamente la consegna diretta, ritenendo che in assenza di un espresso divieto della consegna diretta, tale clausola dovesse essere intesa come indicativa della possibilità di tale consegna.
Pertanto, l’inosservanza di una determinata prescrizione della lex specialis circa le modalità di presentazione dell’offerta implica l’esclusione del concorrente solo quando si tratti di clausole rispondenti ad un particolare interesse dell’Amministrazione appaltante o le stesse siano poste a garanzia della par condicio dei concorrenti e del correlato principio di segretezza delle offerte, giacché tra più interpretazioni delle norme di gara è da preferire quella che conduca alla partecipazione del maggior numero possibile di aspiranti, al fine di consentire, nell’interesse pubblico, una selezione più accurata tra un ventaglio più ampio di offerte
(parere di precontenzioso 22.06.2011 n. 123 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI SERVIZI: In tema di analisi del bando di gara si ritiene che la stazione appaltante può ivi legittimamente prevedere, ai fini della dimostrazione della capacità tecnica, che i concorrenti abbiano svolto servizi identici a quello oggetto dell’appalto, purché l’identità dei servizi sia chiaramente ed inequivocabilmente espressa e risponda ad un precipuo interesse dell’amministrazione.
Si riconosce, inoltre alla stazione appaltante un apprezzabile margine di discrezionalità nel richiedere requisiti di capacità economica, finanziaria e tecnica ulteriori e più severi rispetto a quelli stabiliti dalla legge (artt. 41 e 42 del D.Lgs. n. 163/2006), con il limite del rispetto dei principi di proporzionalità e ragionevolezza; sicché, non è consentito pretendere il possesso di requisiti sproporzionati o estranei rispetto all’oggetto della gara. In tal senso, pertanto, sono da considerare legittimi i requisiti richiesti dalle stazioni appaltanti che, pur essendo ulteriori e più restrittivi di quelli previsti dalla legge, rispettino il limite della logicità e della ragionevolezza e, cioè, della loro pertinenza e congruità a fronte dello scopo perseguito. Tali requisiti possono essere censurati solo allorché appaiano viziati da eccesso di potere, ad esempio per illogicità o per incongruenza rispetto al fine pubblico della gara.
Peraltro, lo stesso controllo giurisdizionale (eventuale) sulle clausole del bando è controllo così detto esterno e si limita ad una verifica dell'assenza di elementi di irragionevolezza palese, che nel caso in esame non sembrano. Ebbene, sotto il profilo dei richiamati canoni di ragionevolezza e proporzionalità, appare del tutto legittimo che la S.A., nell’esercizio dell’ampia discrezionalità di cui è indubbiamente titolare in materia, richieda ai concorrenti il requisito in argomento, proprio in considerazione dell’evidente specificità della gestione del servizio oggetto dell’appalto e della correlata specifica idoneità professionale richiesta al gestore. In questo senso, la clausola del bando che non si presta ad equivoci di sorta circa l’esperienza professionale richiesta, non può certo dirsi arbitraria, stando in tutta evidenza a significare la particolare qualificazione professionale del gestore nello specifico settore oggetto dell’appalto.
In sostanza, è necessario che la discrezionalità della stazione appaltante, nella fissazione dei requisiti, sia esercitata in modo tale da non correre il rischio di restringere in modo ingiustificato lo spettro dei potenziali concorrenti o di realizzare effetti discriminatori tra gli stessi, in linea con quanto stabilito dall’art. 44, par. 2 della direttiva 2004/18/CE, secondo il quale i livelli minimi di capacità richiesti per un determinato appalto devono essere connessi e proporzionati all’oggetto dell’appalto stesso
(parere di precontenzioso 22.06.2011 n. 122 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: La portata delle clausole che comminano l’esclusione in termini generali va valutata alla stregua dell’interesse che la norma violata è destinata a presidiare, per cui, ove non sia ravvisabile la lesione di un interesse pubblico effettivo e rilevante, va accordata la preferenza al favor partecipationis con applicazione del principio di sanabilità delle irregolarità formali e con conseguente attenuazione del rilievo delle prescrizioni formali della procedura concorsuale.
Costituisce, invero, principio pacifico e consolidato quello secondo il quale, in materia di aggiudicazione dei contratti della pubblica amministrazione, l’inosservanza delle prescrizioni del bando -o della lettera di invito- implica l’esclusione dalla gara (solo) quando si tratti di prescrizioni rispondenti ad un interesse dell’amministrazione appaltante e poste a garanzia della par condicio dei concorrenti sussistendo l’interesse pubblico alla più ampia partecipazione alla gara.
In questa logica non può negarsi che il concreto esercizio del potere discrezionale della stazione appaltante debba essere logicamente coerente con l’interesse pubblico perseguito e come (anche) la clausola del bando che commini l’esclusione in termini generali ed onnicomprensivi debba essere valutata alla stregua dell’interesse che la norma violata è destinata a presidiare, nonché tenendo conto della rilevanza della lesione di un interesse pubblico effettivo e rilevante.
Si tratta, all’evidenza, di un’impostazione sostanzialistica protesa a superare le mere irregolarità, con esse intendendosi quelle carenze assolutamente inidonee ad influire sulla certa conoscenza dello stato dei fatti da parte della pubblica amministrazione, atteso che il vizio di forma può invalidare l’atto solo laddove obiettivamente impedisca il conseguimento del risultato
(parere di precontenzioso 22.06.2011 n. 121 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: L'amministrazione può disporre la regolarizzazione della documentazione quando gli atti, tempestivamente depositati, contengano elementi che possano costituire un indizio e rendano ragionevole ritenere sussistenti i requisiti di partecipazione.
Di guisa che, l'Amministrazione non può, in tal caso, pronunciare tout-court l'esclusione dalla procedura, ma è tenuta a richiedere al partecipante di integrare il contenuto di un documento già presente, costituendo siffatta attività acquisitiva un ordinario “modus procedendi”, ispirato all'esigenza di far prevalere la sostanza sulla forma
(parere di precontenzioso 22.06.2011 n. 116 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: La certificazione di qualità non è annoverata né tra i requisiti speciali, per i quali è consentito l’avvalimento, né tra i requisiti generali, per i quali non è consentito l’avvalimento, conseguentemente la vexata quaestio può trovare una soluzione soltanto delineando la natura giuridica della certificazione di qualità.
Al riguardo va osservato che quest’ultima conosce sia a livello europeo (art. 49 Direttiva 18/2004/CE) sia a livello nazionale (art. 43 D.Lgs. 163/2006) una disciplina specifica e distinta rispetto a quella dettata per i requisiti di partecipazione, volta in primo luogo a chiarire che il documento in questione attesta “l’ottemperanza dell’operatore economico a determinate norme in materia di garanzia di qualità” (cfr. art. 49 Direttiva 2004/18 e art. 43 d.lgs. n. 163/2006). Tali norme sono identificate a livello europeo con l’acronimo ISO 9001 e definiscono i principi che l’imprenditore deve seguire nel sistema di gestione per la qualità dell’organizzazione, senza limitare la libertà organizzativa dell’imprenditore.
Ne deriva che la certificazione di qualità ISO 9001 non copre il prodotto realizzato o il servizio/la lavorazione resi, ma attesta che l’imprenditore opera in conformità a specifici standard internazionali per quanto attiene alla qualità dei processi produttivi della propria azienda. La certificazione in esame, quindi, è astrattamente qualificabile come un requisito soggettivo, in quanto attiene ad uno specifico “status” dell’imprenditore; ma che trova fondamento e radici nella concreta organizzazione aziendale, consistendo nell’aver ottemperato alle prescrizioni normative preordinate a garantire la qualità nell’esecuzione delle prestazioni contrattuali.
Muovendo da tale premessa, si ritiene di interpretare l’art. 49 del D.Lgs. n. 163/2006 come non ostativo all’avvalimento della certificazione di qualità ISO 9001 soltanto ove insieme alla stessa certificazione venga “prestata” l’organizzazione aziendale che ne funge da presupposto oggettivo. Questo indirizzo appare condiviso anche dalla giurisprudenza amministrativa più recente (Consiglio di Stato, Sez. III, n. 2344 del 18.04.2011, Tar Piemonte, Sez. I, n. 224 del 15.01.2010), che ha ammesso l’avvalimento della certificazione di qualità a condizione che quest’ultima non sia avulsa dalle risorse alle quali è collegata
(parere di precontenzioso 22.06.2011 n. 115 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: Qualora la lex specialis commini espressamente l’esclusione dalla gara in conseguenza di determinate prescrizioni, l’Amministrazione è tenuta a dare precisa ed incondizionata esecuzione a dette prescrizioni, restando preclusa all’interprete ogni valutazione circa la rilevanza dell’inadempimento, la sua incidenza sulla regolarità della procedura selettiva e la congruità della sanzione contemplata nella lex specialis, alla cui osservanza la stessa Amministrazione si è autovincolata al momento del bando (parere di precontenzioso 22.06.2011 n. 114 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: Quando la stazione appaltante individua negli atti di gara un criterio per la formulazione dei ribassi percentuali delle offerte, stabilendo il numero massimo delle cifre decimali ammesse dopo la virgola (due), detto criterio deve essere osservato per le offerte di tutti i partecipanti alla gara. Tuttavia, il metodo previsto per la formulazione dei ribassi percentuali delle offerte, in mancanza di un’apposita previsione della lex specialis della gara, non si applica automaticamente anche al calcolo della soglia di anomalia.
Conseguentemente, la S.A. non essendo autovincolata ad utilizzare nella determinazione della soglia di anomalia, con riferimento al numero delle cifre decimali ammesse, lo stesso criterio espressamente stabilito per la formulazione dei ribassi (limitazione a due cifre decimali), può discrezionalmente utilizzare nella determinazione di detta soglia un numero di decimali più ampio ed omogeneo, tale da non falsare il risultato del calcolo e da non avvantaggiare alcun concorrente
(parere di precontenzioso 22.06.2011 n. 113 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: In caso di clausola espressa di esclusione, la stazione appaltante è tenuta al rispetto delle norme cui si è autovincolata e che essa stessa ha emanato sulla base di un giudizio di utilità procedimentale.
Sul punto, la stessa giurisprudenza del Consiglio di Stato non ha mancato di chiarire che “Nelle gare pubbliche le regole stabilite dalla lex specialis vincolano rigidamente l'Amministrazione, la quale è tenuta ad applicarle senza alcun margine di discrezionalità nella loro interpretazione, in applicazione del principio di tutela della par condicio e del principio generale che vieta la disapplicazione del bando quale atto con il quale l'Amministrazione si è in origine autovincolata” (Cons. Stato, Sez. V, 29.01.2009, n. 498).
A maggior ragione la commissione di gara non può interpretare discrezionalmente le norme di gara quando queste, come nella fattispecie, contengono espresse clausole a pena di esclusione. Infatti, qualora il bando commini espressamente l'esclusione obbligatoria in conseguenza di determinate violazioni, anche soltanto formali, l'amministrazione è tenuta a dare precisa ed incondizionata esecuzione a tali previsioni, senza alcuna possibilità di valutazione discrezionale circa la rilevanza dell'inadempimento, l'incidenza di questo sulla regolarità della procedura selettiva e la congruità della sanzione contemplata nella lex specialis, alla cui osservanza la stessa amministrazione si è autovincolata al momento dell'adozione del bando.
Il formalismo che caratterizza la disciplina delle procedure per l'aggiudicazione dei contratti della pubblica amministrazione risponde, infatti, da un lato ad esigenze pratiche di certezza e celerità, dall'altro, e soprattutto, alla necessità di garantire l'imparzialità e la trasparenza dell'azione amministrativa e la parità di condizioni tra i concorrenti. D'altra parte, non poteva ritenersi consentita la successiva regolarizzazione della riscontrata omissione, per cui l’opposto principio richiamato dall’istante, volto a favorire la più ampia partecipazione alle gare pubbliche, ha, per quanto ne occupa, carattere recessivo rispetto al principio della par condicio.
Invero, la violazione di oneri formali imposti a pena di esclusione dalla lex specialis esprime la prevalenza del principio di formalità collegato alla garanzia della par condicio che non può essere superato dall'opposto principio del favor partecipationis
(parere di precontenzioso 09.06.2011 n. 110 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: L’art. 38 del D.Lgs. n.163/2006 richiede che la dichiarazione in ordine all'assenza di condanne penali sia rilasciata –nel caso di società di capitali– dai direttori tecnici e dagli amministratori “muniti di poteri di rappresentanza”, e dalla visura camerale in atti, emergono i poteri di rappresentanza dei procuratori speciali indicati nella istanza di parere.
La locuzione “muniti di poteri di rappresentanza” viene costantemente interpretata (cfr., fra le ultime, TAR Lazio, Roma, sez. I, 03.05.2010, n. 9132) nel senso di includere, data l'ampia formulazione utilizzata, nell'ambito di applicazione della relativa norma, tutte le persone fisiche che, essendo titolari del potere di rappresentanza della persona giuridica, risultano comunque in grado di trasmettere, con il proprio comportamento, la riprovazione dell'ordinamento nei riguardi della loro personale condotta al soggetto rappresentato. Pertanto, accertato che i procuratori speciali indicati dall’istante rientrano tra i soggetti che ai sensi dell’art. 38 del D.Lgs. 163/2006 sono tenuti a rendere le dichiarazioni attestanti l’assenza delle cause di esclusione indicate al comma 1, lettere b) e c), della presente disposizione, si pone ora la questione relativa alle conseguenza della omissione segnalata.
A tale proposito si richiama l’orientamento della giurisprudenza amministrativa secondo cui “pur in assenza di una specifica norma del bando, l’obbligo di formulare la dichiarazione di inesistenza di procedimenti penali in corso e di sentenze di condanna sussiste anche nei confronti dei soggetti vicari, titolari di poteri di rappresentanza meramente ipotetici…” (Consiglio di Stato Sez. V 15.01.2008 n. 36)
(parere di precontenzioso 09.06.2011 n. 109 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

LAVORI PUBBLICI: In relazione all’art. 48 del Codice dei contratti, si precisa che, se nella fase di presentazione delle offerte devono essere assicurate tutte le forme di semplificazione procedimentale idonee a garantire, coerentemente con le norme comunitarie, la massima partecipazione alle gare degli operatori economici, nella successiva fase di controllo a campione è legittimo che la stazione appaltante pretenda un onere aggiuntivo di documentazione, onde evitare un inutile duplicato della fase iniziale e al fine di assicurare l’affidabilità dell’offerta.
Inoltre, la dimostrazione documentale del possesso dei requisiti economico-finanziari e tecnico-organizzativi non risulta necessaria nelle gare relative a lavori pubblici di importo a base d’asta superiore a € 150.000,00 in quanto la qualificazione attestata dalla certificazione SOA è sufficiente ad assolvere ogni onere documentale circa la dimostrazione dell’esistenza dei predetti requisiti, alla luce di quanto disposto dall’art. 1, comma 3, del D.P.R. n. 34 del 2000.
Tale norma, ora confluita nell’art. 60 del nuovo regolamento (D.P.R. 5 ottobre 2010, n. 207 in vigore dall’8 giugno 2011), dopo aver disposto che la qualificazione è obbligatoria per chiunque esegua lavori pubblici affidati dalle stazioni appaltanti di importo superiore a € 150.000,00 (comma 2), stabilisce che l’attestazione di qualificazione rilasciata dalle SOA costituisce condizione necessaria e sufficiente per la dimostrazione dell’esistenza dei requisiti di capacità tecnica e finanziaria ai fini dell’affidamento di lavori pubblici.
Per gli appalti di lavori pubblici di importo superiore a € 150.000,00, per i quali vige un sistema unico di qualificazione disciplinato dall’art. 40 del Codice dei contratti, non è applicabile la verifica ex art. 48 del Codice dei contratti in quanto l’attestato SOA costituisce la prova dei requisiti di capacità tecnico-organizzativa ed economico-finanziaria e pertanto le stazioni appaltanti ne verificano il possesso e la validità temporale in capo a tutti i concorrenti mediante l’accesso al casellario informatico di questa Autorità. Unica eccezione a tale regola è dettata per gli appalti di importo superiore a € 20.658.276,00 per i quali l’art. 3, comma 6, del D.P.R. n. 34 del 2000 (ora confluito nell’art. 61 comma 6, del nuovo regolamento di cui al D.P.R. n. 207/2010) prevede che il concorrente, oltre a possedere l’attestazione SOA nella categoria richiesta con classifica VIII (appalti di importo illimitato) deve aver realizzato, nel quinquennio antecedente la data di pubblicazione del bando, una cifra d’affari non inferiore a tre volte (ora a 2,5 volte ai sensi del citato art. 61,comma 6) l’importo a base di gara ed è soggetto a verifica da parte delle stazioni appaltanti.
Peraltro, nel caso in cui il partecipante sia in possesso di valida attestazione SOA relativa ad almeno una categoria attinente alla natura dei lavori da appaltare, questi sarà direttamente ammesso alle operazioni di gara successive al sorteggio, mentre il campione su cui effettuare la verifica sarà pari almeno al 10% del numero dei partecipanti, depurato da quelli in possesso di qualificazione SOA.
In conclusione, quindi, il procedimento di verifica ex art. 48 del Codice dei contratti è quindi applicabile agli appalti di servizi e di forniture nonché agli appalti di lavori di importo inferiore a € 150.000,00 o superiore a € 20.658.276,00
(parere di precontenzioso 09.06.2011 n. 108 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

LAVORI PUBBLICI: Secondo quanto previsto all’art. 40 del D.Lgs. n. 163/2006, il possesso dell’attestato SOA è condizione ineludibile di ammissione alle gare di evidenza pubblica indette per l’aggiudicazione di appalti di lavori di importo superiore ai 150.000 Euro, mentre, per la partecipazione agli appalti di valore pari o inferiore a 150.000 Euro, è sufficiente che il concorrente sia in possesso dei requisiti tecnico–organizzativi di cui all’art. 28 del D.P.R. n. 34/2000.
Ne consegue, quindi, che anche qualora il bando di gara richieda, come nella specie, la presentazione dell'attestazione rilasciata da una SOA per determinate categorie e classifiche di lavorazioni (che esimerebbe l'amministrazione da ogni ulteriore accertamento circa l'effettivo possesso dei requisiti di qualificazione), nulla esclude che l'impresa che ne sia priva possa comunque partecipare all'appalto in forza dell'art. 28 del D.P.R. n. 34/2000, con il conseguente obbligo della stazione appaltante di procedere direttamente all'accertamento dei requisiti tecnico-organizzativi in tale disposizione specificati
(parere di precontenzioso 09.06.2011 n. 107 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: La mancata allegazione all’offerta della dichiarazione di avvenuto sopralluogo, ove prevista nel bando di gara a pena di esclusione, comporta la legittimità dell’esclusione medesima, non solo perché quando il bando commini espressamente l’esclusione dalla gara in conseguenza di determinate prescrizioni, l’Amministrazione è tenuta a dare precisa ed incondizionata esecuzione a dette prescrizioni, restando preclusa all’interprete ogni valutazione circa la rilevanza dell’inadempimento, la sua incidenza sulla regolarità della procedura selettiva e la congruità della sanzione contemplata nella lex specialis, alla cui osservanza la stessa Amministrazione si è autovincolata al momento del bando, ma anche perché va ribadita la particolare importanza del momento del sopralluogo in relazione alla formulazione dell’offerta, in quanto esso mira a rafforzare il coinvolgimento del futuro appaltatore nella valutazione della prestazione richiesta e della situazione dei luoghi, al fine di prevenire eccezioni e riserve o eventuali ostacoli incontrati nella attività di esecuzione del contratto.
D’altra parte, l’obbligo di sopralluogo a carico dei concorrenti trova fondamento in alcune disposizioni del regolamento generale sui lavori pubblici di cui al D.P.R. 554/1999: da un lato l’art. 71, comma 2, stabilisce che in sede di gara i concorrenti devono dichiarare, tra l’altro di aver preso visione dei luoghi; dall’altro, l’art. 79, comma 5, impone un adeguato incremento dei termini per la ricezione delle offerte nei casi in cui le offerte possono essere fatte solo a seguito di visita dei luoghi.
E sebbene in dottrina sia stata posta la questione dell’effettiva portata di tali disposizioni al fine di configurare un obbligo al sopralluogo, il Consiglio di Stato ha chiarito che l’art. 71, comma 2 del D.P.R. 554/1999 impone al concorrente di prendere visione dei luoghi a garanzia della serietà dell’offerta. La stessa giurisprudenza (ex plurimis, C.d.S., sez V, sentenza 07.07.2005 n. 3729) ha affermato che alle predette disposizioni possono corrispondere due distinti adempimenti: la dichiarazione di sopralluogo a cura del partecipante –che si configura come un obbligo ope legis in forza del citato art. 71– e il verbale di sopralluogo a cura della stazione appaltante nella persona del funzionario incaricato –che invece può (e deve) essere richiesto da una apposita statuizione del bando di gara.
Se, dunque, il sopralluogo garantisce la serietà dell’offerta, la richiesta della stazione appaltante nel Capitolato speciale d’appalto di corredare l’offerta, pena l’esclusione dalla gara, della certificazione di avvenuto sopralluogo non può, alla luce di quanto sopra specificato, ritenersi viziata da formalismo in quanto tale richiesta risponde ad un superiore e specifico interesse pubblico
(parere di precontenzioso 09.06.2011 n. 105 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

NEWS

PUBBLICO IMPIEGOIl Santo patrono rimane festivo. Tempo scaduto per il dpcm attuativo. Tutto resta come prima. Lo chiarisce l'Anci. Il decreto con le ricorrenze da fare slittare doveva arrivare entro il 30/11.
I Santi patroni restano dove sono, almeno per il 2012. E i giorni in cui si celebrano continuano a essere considerati festivi se ricadenti in giornate lavorative.
A chiarirlo è il segretario generale dell'Anci, Angelo Rughetti, che nella nota 11.01.2012 è intervenuto a dissipare i dubbi dei comuni sull'applicazione di una delle norme più controverse della manovra di Ferragosto.
Quell'art. 1, comma 24, che per scoraggiare l'invalso costume dei ponti a cavallo delle festività civili e religiose ha stabilito che da quest'anno la gran parte delle ricorrenze (con esclusione di quelle concordatarie, del 25 aprile, del 1° maggio e del 2 giugno) dovesse cadere la domenica seguente oppure il venerdì precedente o il lunedì successivo a quest'ultima.
Peccato che l'individuazione delle festività da spostare sarebbe dovuta arrivare con un decreto di palazzo Chigi da approvare in tempo utile (entro il 30.11.2011) prima dell'inizio del nuovo anno. La scadenza è invece trascorsa invano e il 2012 è iniziato senza che i comuni sapessero la sorte delle rispettive feste patronali. Un particolare non da poco, visto che la ricorrenza del Santo patrono è da considerare giorno festivo a tutti gli effetti.
Secondo l'Anci, in assenza del dpcm e dal momento che la disposizione del dl 138/2011 «non apporta alcuna modifica alle date delle ricorrenze, è da ritenere tuttora vigente la disciplina contrattuale del comparto». Diversamente, sottolinea l'Associazione presieduta da Graziano Delrio, ci si troverebbe davanti a una situazione di vuoto normativo.
Per il comparto dei comuni, chiarisce la nota dell'Anci, continua dunque a trovare applicazione, l'art. 18, comma 6, del Contratto nazionale di lavoro del 06.07.1995 secondo il quale la ricorrenza del Santo patrono dell'ente in cui il dipendente presta servizio è considerata giorno festivo se cade in una giornata lavorativa (articolo ItaliaOggi del 12.01.2012).

VARIGiudici di pace legati ai comuni. Ma se l'ente è in mora per un anno cala il sipario sull'ufficio. Lo schema di decreto sulla soppressione aggancia il mantenimento alla volontà dei sindaci.
Gli enti locali che hanno ottenuto il mantenimento dell'ufficio del giudice di pace sul quale pende la scure della soppressione voluta dalla legge n. 148/2011, non potranno fare i «furbetti». Infatti, se si dovesse accertare che l'amministrazione locale, per un periodo superiore a un anno, non ha ottemperato all'obbligo di provvedere con proprie risorse alle spese di funzionamento della sede e a quelle relative al personale amministrativo, calerà subito il sipario sull'ufficio del giudice di pace.
È quanto si ricava dal testo della lettura dello schema di decreto legislativo sulla «Revisione delle circoscrizioni giudiziarie», redatto a norma dell'articolo 1, comma 2, della legge n. 148/2011, in materia di riorganizzazione della distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari, pubblicato ieri sul sito internet del Ministero della giustizia, (di cui ItaliaOggi ne ha anticipato i contenuti sul numero del 22 dicembre scorso).
Come noto, per effetto delle disposizioni contenute all'articolo 1, comma 2, della legge n. 148/2011 (la norma di conversione del decreto legge di Ferragosto), il governo è delegato a mettere in pratica una revisione delle circoscrizioni giudiziarie, soprattutto in termini di soppressione degli uffici del giudice di pace dislocati in comuni di piccole-medie dimensioni.
Nelle intenzioni dell'esecutivo, questi scompariranno per essere accorpati a quelli ubicati nelle città di dimensioni maggiori. L'obiettivo, non tanto celato, è quello di «recuperare» circa 2 mila magistrati onorari e un pari numero di personale amministrativo da destinare negli organici dei tribunali e delle procure della repubblica.
Allo schema sono allegate due tabelle. Nella prima, è incluso il lungo elenco degli uffici di giudice di pace che verranno colpiti dal taglio. Nella seconda, vi sono elencate le nuove distribuzioni territoriali degli uffici accorpanti. Questi due elenchi verranno pubblicati sul bollettino ufficiale del Ministero della giustizia, oltre che sul sito internet dello stesso dicastero.
Dalla data di pubblicazione, entro il termine di 60 giorni, gli enti locali, anche consorziati tra loro, potranno richiedere il mantenimento della sede di cui si propone la soppressione. A condizione, però, che gli stessi enti si facciano carico delle spese di funzionamento dell'ufficio e di quelle relative all'erogazione del servizio giustizia nelle relative sedi, incluso il fabbisogno del personale amministrativo che sarà messo a disposizione degli enti locali. A carico del Ministero della giustizia, resta l'organico del personale di magistratura onoraria e la sola formazione del personale amministrativo.
L'articolo 3 dello schema in esame prevede poi, una sorta di «clausola di salvaguardia». In pratica, si dispone che se l'ente locale (o gli enti consorziati) non rispetti gli impegni relativi al personale amministrativo e alle spese di funzionamento, per un periodo superiore a un anno, il dicastero di via Arenula non attenderà oltre disponendo l'immediata soppressione dell'ufficio.
Infine, lo schema dispone che il personale amministrativo in organico all'ufficio soppresso, verrà riassegnato, in misura non inferiore al 50% alla sede di tribunale o di procura limitrofa e, nella restante parte, all'ufficio del giudice di pace accorpante (articolo ItaliaOggi del 12.01.2012).

GIURISPRUDENZA

EDILIZIA PRIVATA: La costruzione ex novo di un capannone prefabbricato in cemento armato in zona agricola necessita del preventivo permesso di costruire e non della DIA giacché l’art. 60 della L.R. n. 12/2005 dispone espressamente -al primo comma– che “Nelle aree destinate all'agricoltura, gli interventi edificatori relativi alla realizzazione di nuovi fabbricati sono assentiti unicamente mediante permesso di costruire”.
Conseguentemente, per la richiesta di sanatoria di un abuso edilizio di che trattasi va applicato l’art. 36 e non l’art. 37 del DPR n. 380/2001.

---------------
L’art. 36 del DPR 06.06.2001 n. 380 -al secondo comma– dispone che “Il rilascio del permesso in sanatoria è subordinato al pagamento, a titolo di oblazione, del contributo di costruzione in misura doppia, ovvero, in caso di gratuità a norma di legge, in misura pari a quella prevista dall'articolo 16.”.
E’ quindi evidente che la norma prevede che il rilascio del permesso di costruire in sanatoria sia subordinato al pagamento di una somma di danaro anche per le ipotesi in cui il permesso originariamente non richiesto sia a titolo gratuito.
In altri termini, nel caso di permesso oneroso il pagamento dell’oblazione ha duplice funzione: a) di partecipazione agli oneri urbanistici; b) di riparazione pecuniaria del pregiudizio arrecato all’ordinamento giuridico; mentre nel caso di permesso gratuito svolge esclusivamente la funzione di cui sub b).

Con il ricorso all’esame, l’Azienda agricola ... chiede l’annullamento degli atti con cui il Comune di Suisio -nel rilasciare il richiesto permesso di costruire in sanatoria per la realizzazione sine titulo, in zona agricola, di un capannone prefabbricato ad uso deposito attrezzi e derrate agricole- ha richiesto il pagamento dell’oblazione, determinata in complessivi € 61.923,10.
...
Con il primo motivo la ricorrente Azienda agricola ... afferma che erroneamente il Comune ha qualificato l’intervento in questione come assentibile solo mediante permesso di costruire, mentre esso rientrerebbe nel novero di quelli consentiti dall’art. 62 LR 12/2005 (ampliamento dell’attività agricola) per i quali può essere presentata DIA, sicché non andava applicato l’art. 36, ma l’art. 37 del DPR n. 380/2001 il quale non prevede l’oblazione.
Con il secondo motivo, afferma che -quand’anche fosse applicabile l’art. 36 del DPR n. 380/2001-non sarebbe comunque dovuto il pagamento dell’oblazione, in quanto proprio l’art. 36 rimanda all’art. 16 del T.U. edil. che, al c. 1, fa salvo quanto disposto dall’art. 17, c. 3, vale a dire i casi in cui non è dovuto il contributo di costruzione sicché opererebbe la gratuità spettante agli imprenditori agricoli in forza dell’art. 62 della L.R. n. 12/2005.
I due motivi debbono essere disaminati congiuntamente.
Occorre muovere dalla disciplina regionale in tema di attività edificatoria.
L’art. 60 della L.R. n. 12/2005 dispone espressamente -al primo comma– che “Nelle aree destinate all'agricoltura, gli interventi edificatori relativi alla realizzazione di nuovi fabbricati sono assentiti unicamente mediante permesso di costruire;”.
L’intervento in questione è costituito dalla costruzione ex novo di un capannone prefabbricato in cemento armato, sicché risulta un fuor d’opera il richiamo alla disciplina di cui all’art. 62 della L.R. n. 12/2005 che attiene a interventi sull’esistente e di piccole dimensioni.
Una volta chiarito che l’intervento edilizio in questione non era assentibile a mezzo dichiarazione d’inizio d’attività, va rilevata la necessaria applicabilità alla fattispecie della disposizione in tema di rilascio di permesso in sanatoria dettata dall’art. 36 del T.U. edil.
L’art. 36 del DPR 06.06.2001 n. 380 -al secondo comma– dispone che “Il rilascio del permesso in sanatoria è subordinato al pagamento, a titolo di oblazione, del contributo di costruzione in misura doppia, ovvero, in caso di gratuità a norma di legge, in misura pari a quella prevista dall'articolo 16.”.
E’ quindi evidente che la norma prevede che il rilascio del permesso di costruire in sanatoria sia subordinato al pagamento di una somma di danaro anche per le ipotesi in cui il permesso originariamente non richiesto sia a titolo gratuito.
In altri termini, nel caso di permesso oneroso il pagamento dell’oblazione ha duplice funzione: a) di partecipazione agli oneri urbanistici; b) di riparazione pecuniaria del pregiudizio arrecato all’ordinamento giuridico; mentre nel caso di permesso gratuito svolge esclusivamente la funzione di cui sub b) (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 11.01.2012 n. 11 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: L’ordinanza di sospensione lavori ha carattere temporaneo e provvisorio, si fonda su di un'istruttoria sommaria ed i suoi effetti sono destinati a venir meno o perché venga accertata la legittimità dei lavori in corso o perché vengano adottati definitivi provvedimenti inibitori degli stessi.
L'ordine di sospensione dei lavori non costituisce necessario presupposto di legittimità dell'ingiunzione a demolire, ben potendo quest'ultima essere emanata immediatamente all'esito dell'accertamento della realizzazione di opere abusive, mentre il potere di sospensione dei lavori in corso è solo destinato ad evitare che la prosecuzione dei lavori stessi determini un aggravarsi del danno urbanistico.
Il decorso del termine dell'ordinanza, con la quale è stata provvisoriamente disposta la sospensione dei lavori, non fa venire meno la potestà di irrogare sanzioni qualora siano accertati, dopo il lasso di tempo in discorso, fatti o elementi che integrino gli estremi dell'abuso edilizio, non verificandosi alcuna consumazione del potere di controllo.
Il giudizio impugnatorio avverso le ordinanze di sospensioni lavori –una volta decorso il termine di efficacia della stessa- diviene improcedibile.

L'ordinanza di sospensione dei lavori abusivi, ex art. 27, c. 3, del DPR n. 380 del 2001, possiede una efficacia temporalmente limitata, dato che essa “ha effetto fino all'adozione dei provvedimenti definitivi di cui ai successivi articoli, da adottare e notificare entro 45 giorni dall'ordine di sospensione dei lavori”.
Analogamente è a dirsi in relazione all’ordinanza ex art. 20 della n. L.R. 14.08.1998 n. 14, il cui secondo comma dispone che l'ordine di sospensione cessa di avere efficacia se, entro 30 giorni dalla sua notificazione al titolare dell'autorizzazione, non siano notificati i provvedimenti definitivi.
Più in generale, va ricordato che l’ordinanza di sospensione lavori ha carattere temporaneo e provvisorio, si fonda su di un'istruttoria sommaria ed i suoi effetti sono destinati a venir meno o perché venga accertata la legittimità dei lavori in corso o perché vengano adottati definitivi provvedimenti inibitori degli stessi (cfr. Cons. St., Sez. IV, 24.12.2008 n. 6550; Sez. V, 29.11.2004 n. 7746 e 18.10.1996 n. 1255).
Inoltre, va richiamato l’insegnamento della giurisprudenza secondo cui:
- l'ordine di sospensione dei lavori non costituisce necessario presupposto di legittimità dell'ingiunzione a demolire, ben potendo quest'ultima essere emanata immediatamente all'esito dell'accertamento della realizzazione di opere abusive, mentre il potere di sospensione dei lavori in corso è solo destinato ad evitare che la prosecuzione dei lavori stessi determini un aggravarsi del danno urbanistico (cfr. TAR Campania, sez. VI, 06.11.2008 n. 19290, TAR Liguria, sez. I, 11.12.2007 n. 2050)
- il decorso del termine dell'ordinanza, con la quale è stata provvisoriamente disposta la sospensione dei lavori, non fa venire meno la potestà di irrogare sanzioni qualora siano accertati, dopo il lasso di tempo in discorso, fatti o elementi che integrino gli estremi dell'abuso edilizio, non verificandosi alcuna consumazione del potere di controllo (cfr. TAR Liguria cit. e TAR Lazio, sez. I, 05.01.2011 n. 17).
Per conseguenza, secondo un costante orientamento giurisprudenziale (cfr. ex multis: TAR Lazio, sez. II, 11.09.2009 n. 8644, TAR Puglia, sez. III, 30.09.2010 n. 3524, TAR Lazio, sez. I, 16.07.2009 n. 7031), il giudizio impugnatorio avverso le ordinanze di sospensioni lavori –una volta decorso il termine di efficacia della stessa- diviene improcedibile (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 11.01.2012 n. 10 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

PUBBLICO IMPIEGOConcorsi interni e Riforma Brunetta.
Il Consiglio di Stato, Sez. V, con sentenza 29.12.2011 n. 6981, vaglia una procedura riservata a solo personale interno bandita da un ente locale nel gennaio 2010.
Riformando la sentenza di primo grado, evidenzia (sinteticamente) quanto segue:
- gli enti locali sono tenuti ad adeguare il proprio ordinamento ai principi contenuti nel D.Lgs. 150/2009, ivi compresi quelli dell'art. 24 del medesimo decreto e a ciò dovevano provvedere entro il 31.12.2010 (art. 31); conseguentemente, le disposizioni del citato art. 24 non sono di diretta ed immediata applicazione alle autonomie locali;
- nelle more del predetto adeguamento, agli enti locali era consentito applicare le disposizioni previgenti;
- decorso il termine del 31.12.2010, in assenza di adeguamento, l'art. 24 diviene di diretta, immediata e cogente applicazione anche agli enti locali (tratto da www.publika.it - link a www.giustizia-amministrativa.it).).

APPALTI SERVIZI: Divieto delle società partecipate di intervenire nel libero mercato.
Il divieto di intervenire nel libero mercato e conseguentemente di partecipare alle gare pubbliche è previsto dall’articolo 13 del decreto Bersani (d.l. 04.07.2006, n. 223, convertito con Legge 04.08.2006, n. 248) nei confronti delle società partecipate da amministrazioni pubbliche che svolgono attività strumentale e funzionale a quella svolta dagli enti partecipanti.

Così ha deciso il Consiglio di Stato, Sez. V, con la sentenza 29.12.2011 n. 6974 nell’ambito di una gara per l’affidamento del servizio di verifica degli impianti termici dei comuni della provincia di Roma.
Nel caso in esame l’amministrazione aggiudicatrice aveva proceduto ad affidare il servizio ad una azienda che le ricorrenti (seconda e terza classificata) desumevano essere esposta al divieto di cui all’articolo 13 del d.l. 04.07.2006, n. 223.
E’ necessario considerare che tale norma del decreto Bersani prevede per le società a capitale interamente pubblico o misto, costituite o partecipate dalle amministrazioni pubbliche per la produzione di servizi strumentali alle attività da esse svolte, il divieto di operare nel libero mercato con l’impossibilità di svolgere prestazioni a favore di soggetti pubblici o privati, o di partecipare ad altre società o enti.
Su quale debba essere l’esatta interpretazione della norma la sentenza in commento ha affermato che “Trattasi, come la giurisprudenza ha già affermato, di disposizione dal carattere eccezionale che deve, quindi, essere interpretata in stretta aderenza al suo dato letterale e senza possibilità alcuna di applicazione oltre i casi in essa previsti (Cons. Stato, sez. V, 22.03.2010, n. 1651; 07.07.2009, n. 4346; sez. VI, 16.01.2009, n. 215).
Nel solco della chiara giurisprudenza citata, è evidente che tale norma non può applicarsi alla (omissis) in quanto essa società non presenta quei caratteri di strumentalità e funzionalità individuati dalla normativa citata ma opera nel mercato in diretta concorrenza con le altre imprese
.”
I giudici di Palazzo Spada hanno dunque messo in evidenza due elementi fondamentali per l’applicabilità del divieto in commento:
- L’esame dell’oggetto sociale. Deve trattarsi di società a capitale interamente pubblico o misto;
- L’attività svolta. Tali società devono svolgere attività strumentale e funzionale a quella dall’ente locale partecipante.
La materia trattata nel caso de quo presenta ancora oggi dei passaggi interpretativi di difficile soluzione dovuti alla produzione legislativa spesso contraddittoria ed alle interpretazioni fornite dalla giurisprudenza.
Il faro che comunque ed in ogni momento dovrebbe sempre guidare la pubblica amministrazione, a dispetto di una normativa spesso confusa, è il rispetto dei principi previsti a livello comunitario e nazionale, proporzionalità, par condicio, trasparenza ed economicità.
Soltanto una loro ragionevole applicazione può tenere indenne l’agire amministrativo da eventuali vizi di illegittimità (commento tratto da www.professioni-imprese24.ilsole24ore.com - link a www.giustizia-amministrativa.it).

PUBBLICO IMPIEGOValutazione prove di concorso pubblico.
Il Consiglio di Stato, Sez. V, con sentenza 29.12.2011 n. 6973, conferma l'orientamento consolidato ed anche suffragato dalla Corte Costituzionale, secondo il quale -nella valutazione delle prove concorsuali- l'espressione di un voto numerico ovvero di un giudizio aggettivabile sintetico esprime e sintetizza il giudizio tecnico-discrezionale operato dalla pubblica amministrazione e, in correlazione ai criteri di valutazione formulati dalla lex specialis (bando di concorso) o dalla stessa Commissione, consente il sindacato giurisdizionale sul potere amministrativo.
Infatti, come espresso dalla Suprema Corte (sentenza 08.06.2011 n. 175) "... il criterio del punteggio numerico è idoneo a costituire motivazione del giudizio valutativo espresso dalla commissione esaminatrice in quanto rivela una valutazione che, attraverso la graduazione del dato numerico, conduce ad un giudizio di sufficienza o di insufficienza della prova espletata e, nell'ambito di tale giudizio, rende palese l'apprezzamento più o meno elevato che la commissione esaminatrice ha attribuito all'elaborato oggetto di esame" (tratto da www.publika.it - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Il Comune può impugnare gli atti adottati dal Commissario ad acta in sua sostituzione.
Questa la tesi accolta dal Consiglio di Stato, Sez. V, nella sentenza 28.12.2011 n. 6953.
Nell’esposizione delle argomentazioni logico-giuridiche i giudici di palazzo Spada distinguono il caso in cui nell’ente comunale difetti radicalmente il funzionamento ed il commissario viene pertanto nominato per sostituirsi nell’esercizio di una competenza generale, da quello in cui questi venga invece incaricato di provvedere all’adozione di uno specifico atto (su impulso di un organo avente funzione di vigilanza).
Nella prima ipotesi, quando cioè il commissario è nominato per consentire lo svolgimento delle funzioni dell’Ente locale, onde evitare una paralisi dell’azione amministrativa, senza l’indicazione degli specifici atti che deve emanare, il provvedimento da lui adottato va qualificato -ad avviso del Collegio- alla stregua di atto di un organo comunale, sia pure straordinario, che può anche essere rimosso dallo stesso ente locale in via di autotutela. Diversamente, qualora egli è nominato per l’adozione di un atto specifico, le determinazioni del commissario possono essere impugnate dal Comune innanzi al giudice amministrativo, atteso che la relazione che si stabilisce fra il commissario e l’ente sostituito è di natura intersoggettiva, e non interorganica.
Pertanto nei confronti dei terzi l’atto del commissario può essere considerato quale atto comunale, ma nei confronti del Comune rimane espressione di un potere esercitato da un centro di competenze autonomo ed il Comune è legittimato ad impugnarlo, contestandone la legittimità.
Di più: i giudici di appello rinvengono l’ancoraggio costituzionale dell’eventualità di un sindacato di legittimità sulle scelte e sulle particolari modalità dell’intervento commissariale nel principio di libera determinazione delle autonomie locali di cui all’art. 5 Cost., oltre che nei principi di legalità e del buon andamento di cui all’art. 97 Cost..
Dunque la possibilità riconosciuta al Comune di insorgere avverso il provvedimento adottato, in sua vece, dal commissario deve ammettersi proprio per la necessità, responsabilmente evidenziata dal giudice di appello, di assicurare all’ente medesimo la difesa delle proprie competenze istituzionali e la tutela degli interessi generali di cui è portatore, ma anche perché -aggiungono i giudici- in effetti manca sia nella legislazione statale che in quella regionale un’espressa previsione normativa che autorizza a concludere per la totale identificazione delle competenze commissariali con quelle comunali (tratto da www.diritto.it - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Procedura negoziata ex art. 125 del Codice dei Contratti: al fine di assicurare l'invito ad almeno 5 ditte, vanno invitate anche imprese non iscritte nell'elenco appositamente predisposto dalla stazione appaltante.
In presenza di una procedura negoziata (pur procedimentalizzata), la lex specialis va contemperata con i principi del favor partecipationis e della necessaria chiarezza delle regole di gara, a tutela dell'interesse pubblico alla massima concorrenzialità e di quello privato all'affidamento in base alle condizioni di partecipazione enunciate dalla Stazione appaltante (massima tratta da
www.dirittodegliappaltipubblici.it -  TAR Sicilia-Catania, Sez. III, sentenza 22.12.2011 n. 3153 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Il principio di tassatività delle cause di esclusione non si applica ai bandi pubblicati prima del 14.05.2011.
Il principio della tassatività delle cause legali che legittimano l’esclusione dalle gare di appalto ai sensi dell’art. 46, comma 1-bis, del codice appalti, come modificato dal d.l. n. 70 del 2011 non è estendibile alle procedure iniziate in data antecedente al 14.05.2011, data di entrata in vigore della predetta norma (v. Cons. Stato, ordinanza 12.10.2011, n. 4497) (massima tratta da
www.dirittodegliappaltipubblici.it -  TAR Sicilia-Palermo, Sez. III, sentenza 21.12.2011 n. 2437 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Il certificato di destinazione urbanistica non è un provvedimento amministrativo.
Non è autonomamente impugnabile il certificato di destinazione urbanistica che, per le caratteristiche proprie, si configura come una certificazione redatta da un pubblico ufficiale, avente natura e effetti meramente dichiarativi e non costitutivi di posizioni giuridiche che, invero, discendono da altri provvedimenti, che hanno a loro volta determinato la situazione giuridica acclarata dal certificato stesso.

I ricorrenti, proprietari di un compendio immobiliare costituito da una civile abitazione con annessa area di pertinenza, hanno impugnato la deliberazione della resistente P.A. con cui era stato approvato il Piano di Governo del Territorio, nella parte in cui aveva rigettato le osservazioni da essi presentate a seguito dell’adozione del P.G.T.
In particolare, hanno esposto che l’area di pertinenza era costituita da: a) una striscia di terreno consistente in una rampa di accesso carraio a ovest dell’edificio che costituisce l’unico accesso carraio alla proprietà; b) una porzione di giardino e marciapiede a nord; c) una porzione di giardino a est, a sud e a sud-ovest.
A seguito dell’adozione del P.G.T., gli stessi avevano presentato due osservazioni, con le quali rispettivamente facevano rilevare la presenza di "errori grafici" contenuti nella planimetria, nonché l’indicazione come strada di una pertinenza.
Il Consiglio comunale, tuttavia, non aveva accolto le predette osservazioni, rilevando non solo che "la cartografia di base del nuovo P.G.T. è frutto di un accurato rilievo", ma anche che "considerati i vari atti notarili di provenienza degli immobili oggetto di osservazione e i frazionamenti catastali a essi collegati, si può constatare che quanto osservato non corrisponde al vero”.
Avverso quest’ultima determinazione sono insorti gli interessati, all’uopo eccependo la violazione della L. n. 241/1990, nonché eccesso di potere per travisamento dei fatti, manifesta irragionevolezza, contraddittorietà, sviamento della causa tipica, carenza di motivazione.
Il Collegio di Brescia, in via preliminare, ha esaminato l’eccezione d’inammissibilità sollevata dal Comune che, sul punto, ha rintracciato una carenza d’interesse dei ricorrenti in quanto, già prima della proposizione del gravame, sarebbero state risolte in senso favorevole agli stessi entrambe le questioni sollevate con il ricorso (e precedentemente con le due osservazioni).
L’eccezione è stata ritenuta parzialmente fondata.
Invero, in relazione alla questione della rampa di accesso carraia indicata come strada, il TAR lombardo ha condiviso la prospettazione dell’Amministrazione comunale, dato che –accolta l’osservazione presentata dall’U.T.C finalizzata alla correzione di refusi contenuti negli elaborati cartografici- l’area in contestazione non veniva più indicata come strada, ma era stata ricondotta all’ambito residenziale consolidato.
Per quanto riguarda, invece, l’altra osservazione, non vi era stata alcuna correzione di quanto segnalato dai ricorrenti (errori grafici e mancata indicato nelle tavole del marciapiede), sicché per tale parte il ricorso è stato ritenuto ammissibile.
Tuttavia, il giudicante ha rilevato ex officio che i ricorrenti, nel corso del giudizio, avevano progressivamente ampliato l’oggetto del contendere rispetto a quello delimitato dall’atto gravato e dai motivi di ricorso contenuti nell’atto introduttivo, estendendolo a questioni ulteriori e diverse attinenti ad altri atti o a motivi nuovi rispetto a quelli originari, anche in relazione ad alcune osservazioni svolte dalla difesa del Comune.
Siffatto modus procedendi è stato ritenuto inammissibile.
Il giudicante, invero, non ha mancato di precisare che, in termini generali, l’oggetto del giudizio amministrativo impugnatorio è quello delimitato dall’individuazione dell’atto impugnato e per i motivi di censura articolati nell’atto introduttivo del giudizio, risultando inammissibili le doglianze ulteriori dedotte con semplici atti depositati e non notificati.
Di conseguenza, sono state dichiarate inammissibili le questioni sollevate mediante le memorie non notificate, con le quali erano state svolte contestazioni in ordine alla data di consegna della cartografia corretta, alle risultanze contenute nel certificato di destinazione urbanistica e all’inibizione della D.I.A. presentata dai ricorrenti per la realizzazione di un cancello.
Relativamente al certificato di destinazione urbanistica di cui ai commi 2 e ss. dell'art. 30 del D.Lgs. 380/2001, l’adito TAR, invece, richiamando un fermo indirizzo esegetico, ha rilevato come tale atto si configurasse come certificazione redatta da un pubblico ufficiale, avente natura e effetti meramente dichiarativi e non costitutivi di posizioni giuridiche, le quali discendono invece da altri provvedimenti, che hanno a loro volta determinato la situazione giuridica acclarata dal certificato stesso (cfr. TAR Lombardia, Milano, Sez. II, 12.01.2010, n. 21; TAR Campania, Napoli, Sez. II, 20.09.2010, n. 17479; TAR Toscana, Sez. I, 28.01.2008, n. 55; TAR Valle d'Aosta, 15.02.2008, n. 16; TAR Lombardia, Milano, Sez. II, 04.11.2004, n. 5585; TAR Lazio, Roma, Sez. I, 28.05.1999, n. 542).
Sicché ha precisato, in termini generali, che il certificato, in quanto privo di efficacia provvedimentale, non possiede alcuna concreta lesività, il che rende impossibile la sua autonoma impugnazione; gli eventuali errori in esso contenuti, ha sottolineato, possono essere corretti dalla stessa Amministrazione, su istanza del privato, oppure quest'ultimo può impugnare davanti al Giudice amministrativo gli eventuali successivi provvedimenti concretamente lesivi, adottati in base all'erroneo certificato di destinazione urbanistica.
Così perimetrato l’effettivo ambito del giudizio, il Collegio è passato alla disamina delle dedotte doglianze, con particolare riferimento alla presunta indicazione nel P.G.T. di linee e punti inesistenti o traslati.
Il rilievo, sebbene ritenuto fondato, ha indotto il TAR ad affrontare la problematica se l’erronea indicazione contenuta nelle tavole del Piano di Governo del Territorio poteva mostrarsi lesiva e impugnabile in via giurisdizionale.
Al riguardo, ha osservato che, nella specie, non assumeva rilievo l’impugnativa di mappe catastali, né la contestazione di profili proprietari, bensì la contestazione, da parte del cittadino dell’esattezza e corrispondenza alla realtà effettuale di rappresentazioni cartografiche delle tavole annesse al P.G.T..
In siffatto contesto è sembrata palese la sussistenza di un interesse del privato a chiedere la correzione di discrasie riscontrate, le quali avrebbero potuto lederlo con specifico riguardo alla tematiche urbanistico-edilizie, frapponendo ostacoli o limitazioni all’attività edificatoria in relazione all’indicazione di elementi di cui si contesta l’esistenza.
E così, in virtù dell’ammissibilità e fondatezza delle eccezioni sollevate dai ricorrenti, il gravame è stato accolto con conseguente annullamento della deliberazione consiliare nella parte in cui era stata rigettata, invece di essere accolta, l’osservazione oggetto di esame giudiziale (commento tratto da www.ipsoa.it -
TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 21.12.2011 n. 1779 - link a www.giustizia-amministrativa.it

APPALTI: La dichiarazione sul possesso di requisiti resa per conto di altri soggetti deve contenere l'indicazione nominativa dei soggetti stessi.
Il soggetto che rende le dichiarazioni di cui all’art. 38 anche in relazione agli altri amministratori muniti di legale rappresentanza ed al direttore tecnico, deve indicare quanto meno i nominativi di tali soggetti, al fine di consentire la loro identificazione e quindi la successiva verifica del possesso dei requisiti (massima tratta da
www.dirittodegliappaltipubblici.it - C.G.A.R.S., sentenza 19.12.2011 n. 1025 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

LAVORI PUBBLICI: La presenza di un direttore tecnico ignoto alla SOA vizia il certificato prodotto dall'impresa.
La SOA certifica l’idoneità del direttore tecnico, sicché la presenza di un ulteriore direttore tecnico (tale dovendosi qualificare il condirettore tecnico) ignoto alla SOA vizia il certificato prodotto dall’impresa, non consentendole di partecipare alla gara (massima tratta da
www.dirittodegliappaltipubblici.it - C.G.A.R.S., sentenza 15.12.2011 n. 1015 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: I requisiti di partecipazione devono rispondere ai principi di ragionevolezza e proporzionalità.
Se è vero, in linea generale, che le Amministrazioni, che indicono una gara, possono integrare le previsioni recate dalla normativa interna o anche comunitaria, è altrettanto incontrovertibile che l’esercizio di siffatta potestà non si sottrae all’osservanza dei limiti intrinseci della discrezionalità amministrativa, con particolare riferimento ai principi della ragionevolezza e proporzionalità.
Ai sensi dell’art. 83 del D.Lgs. n. 163/2006, l’Amministrazione è sempre tenuta, nel caso di aggiudicazione dell’appalto con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, a indicare nella lex specialis di gara i criteri di valutazione, con l’indicazione della ponderazione loro attribuita, specificando per ciascun criterio di valutazione prescelto gli eventuali sub criteri e sub pesi o sub punteggi (cfr., di recente, C.d.S., Sez. V, 14.05.2010, n. 2939).
E ciò non solo al fine di assicurare la dovuta trasparenza della fase procedimentale della valutazione delle offerte e la coerenza (logicità, non arbitrarietà, etc.) delle scelte operate dalla commissione di gara, ma anche al fine di consentire ai concorrenti di formulare un’offerta seria, adeguata e responsabile rispetto alle finalità perseguite dall’amministrazione (massima tratta da
www.dirittodegliappaltipubblici.it - C.G.A.R.S., sentenza 15.12.2011 n. 998 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

SICUREZZA LAVORO: Il coordinatore per l'esecuzione deve verificare l'osservanza delle norme.
Il coordinatore ha l'obbligo, oltreché di esser presente in cantiere, di controllare l'osservanza alle regole in materia di sicurezza dettate sia dal piano di sicurezza e di coordinamento, sia dalle susseguenti integrazioni dallo stesso disposti.

Si susseguono le sentenze che forniscono un quadro esemplare della posizione di garanzia del coordinatore per la esecuzione dei lavori nei cantieri temporanei o mobili (sul tema v. i precedenti richiamati da Guariniello, Il T.U. Sicurezza sul lavoro commentato con la giurisprudenza aggiornato con le sentenze sui D.Lgs. n. 81/2008 e 106/2009, terza ed., Milano, 2011, 397 s., cui adde, da ultimo, Cass. 03.10.2011, Bea e altri, in ISL, 2011, 11, 795; Cass. 17.08.2011, Goggi, in Dir. prat. lav., 2011, 36, 2166; Cass. 27.06.2011, Caiazza e altri, in ISL, 2011, 10, 741; Cass. 05.05.2011, Lombardini, ibid., 2011, 7, 409; Cass. 18.04.2011, Marini e altro, ibid., 2011, 6, 359).
La sentenza che qui presentiamo affronta il caso di un coordinatore per la esecuzione (oltre che per la progettazione) dei lavori di posa della copertura di un fabbricato ad uso residenziale commissionati dalla società proprietaria a un’impresa, condannato per l’infortunio mortale in danno di un esperto operaio con mansioni di capocantiere deceduto per precipitazione “attraverso l'apertura di un lucernaio coperta da una guaina protettiva e, pertanto, non visibile in conseguenza delle negligenti ed imprudenti omissioni e della violazione delle specifiche norme antinfortunistiche”.
Questo fu l’addebito mosso al coordinatore: “dopo aver provveduto, in adempimento all'incarico ricevuto previo diretto accesso al cantiere, all'aggiornamento del piano di sicurezza e di coordinamento al fine di delineare la sicura procedura di posa del tetto, prescrivendo in particolare l'uso delle cinture di sicurezza oppure di ponteggi sottostanti e dopo aver constatato, in concomitanza con altri due successivi sopralluoghi, l'omesso rispetto di dette prescrizioni a tutela del rischio di caduta dall'altro, aveva tuttavia omesso di segnalare siffatti reiterati inadempimenti al committente od al responsabile del cantiere, ed aveva altresì mancato di dare comunicazione della rilevata inadempienza alla USL ed alla Direzione provinciale del lavoro, essendo lo stesso tenuto ad ordinare la sospensione dei lavori, ai sensi di legge, fino alla verifica dell'avvenuto adeguamento da parte delle ditte interessate”. Lo stesso si era occupato di effettuare gli aggiornamenti del suddetto piano; che lo stesso, recandosi peraltro, due volte alla settimana, in cantiere, aveva effettuato specifici interventi in data 23 settembre, 6 ottobre e 27.10.2003, in particolare prescrivendo l'uso delle cinture di sicurezza in presenza del rischio di caduta al suolo, da un'altezza superiore ai due metri.
A seguito dei sopralluoghi eseguiti il 6 ed il 27.10.2003, il Tadini aveva verificato che i dipendenti della ditta Lucci Legnami s.r.l., benché impegnati sul tetto, si erano resi inadempienti alle prescrizioni di indossare le cinture di sicurezza. Da qui quindi la ricorrenza della pacifica responsabilità colposa dell'imputato per l'omessa adozione, in presenza di pericolo imminente e grave per l'incolumità dei lavoratori, di quanto previsto dall'art. 5, comma 10, lett. E) ed F) D.I.vo n. 494 del 1996 come novellato dall'art. 5 del D.I.vo n. 528 del 1999. Ed è del tutto ovvio che l'evento sarebbe stato evitato, qualora l'imputato avesse concretamente ed esplicitamente dato corso a quanto previsto dalla legge, fino a giungere a disporre la sospensione delle lavorazioni in caso di reiterata inottemperanza alle già impartite prescrizioni di sicurezza: la sola condotta attiva, dallo stesso esigibile, dotata di incontestabili rilevanza ed efficacia cautelare.
L'obiezione dell'imputato secondo la quale, illogicamente e contraddittoriamente, la Corte distrettuale ne avrebbe ravvisato la colpevole omissione nel provvedere alla sospensione delle lavorazioni sul tetto, in difetto di un pericolo grave ed imminente integra invero un'inammissibile censura in punto di fatto con la quale, in buona sostanza, il ricorrente, sotto l'apparenza di un insussistente vizio motivazionale della sentenza impugnata, intenderebbe, nella presente sede di legittimità, "sostituire" una propria lettura delle risultanze istruttorie, "alternativa" a quella compiuta dai Giudici di merito che hanno ritenuto tutto il tetto zona pericolosa per l'incolumità dei lavoratori per la presenza di aperture e di cavità che era necessario "porre allo scoperto" per eseguire le previste lavorazione, dopodiché peraltro già si era verificata la caduta di altro operaio (Zonca), fortunosamente, senza gravi conseguenze.
A sua discolpa, l’imputato lamenta che “egli stesso, la mattina dell'incidente, aveva ordinato alla vittima di chiudere tutte le aperture ancora rimaste aperte”, e che “siffatta richiesta avrebbe automaticamente comportato la sospensione dei lavori fintantoché non si fosse provveduto a tale operazione proprio perché le maestranze addette alla posa della guaina avrebbero dovuto interrompere tale attività per procedere al posizionamento delle funi di sicurezza cui collegare le cinture di sicurezza”. E ne desume che, “ordinando la chiusura delle aperture, aveva ottemperato di fatto all'onere previsto dall'art. 5, comma 1, lettera f), D.Lgs. n. 494/1996 [e ora dall’art. 92, comma 1, lettera e, D.Lgs. n. 81/2008], dovendo le singole lavorazioni restare sospese fino alla verifica dell'avvenuto adempimento delle prescrizioni imposte”.
Sostiene, inoltre, che i giudici di merito avrebbero “indebitamente ampliato oltre modo il ruolo e le responsabilità del coordinatore per l'esecuzione dei lavori che non era più tenuto ad assicurare l'applicazione del piano di sicurezza, ma solamente a verificarne l'applicazione, non assumendo quindi un'obbligazione c.d. di risultato”, e che, “nel caso di specie, il piano di sicurezza e di coordinamento della impresa appaltatrice rispondeva alle prescrizioni del regolamento, chiaramente imponendo l'adozione della misura di sicurezza prevista, relativamente alla necessità della preventiva chiusura delle aperture del solaio”, sicché “il piano di sicurezza rispondeva ai requisiti di legge e la relativa applicazione esecutiva era stata verificata dal coordinatore, dal quale null'altro poteva esigersi”.
La Sez. IV disattende queste argomentazioni difensive. In accordo con i giudici di merito, osserva che sul coordinatore “gravava l'obbligo, oltreché di esser presente in cantiere, di controllare (id est: ‘di verificare’) l'osservanza alle regole in materia di sicurezza dettate sia dal piano di sicurezza e di coordinamento, sia -ovviamente- dalle susseguenti integrazioni dallo stesso disposti”. E con particolare lucidità precisa che “l'eventuale adozione dei provvedimenti a valenza prettamente cautelare di cui all'art. 5, comma 1, lettere e) ed f), D.Lgs. n. 494/1996 [e ora all’art. 92, comma 1, lettere e) ed f), D.Lgs. n. 81/2008] logicamente e necessariamente implica la preventiva verifica sia delle condizioni di esecuzione delle lavorazioni sia dell'inottemperanza delle prescrizioni antinfortunistiche”. Dove si coglie efficacemente la determinante connessione tra le disposizioni attualmente dettate nell’art. 92, comma 1, D.Lgs. n. 81/2008 alla lettera a) e alla lettera e) (non a caso, quest’ultima, esplicita nel prescrivere l’obbligo di segnalare “le inosservanze alle disposizioni degli articoli 94, 95, 96 e 97, comma 1, e alle prescrizioni del piano di cui all'articolo 100 ove previsto”) (Corte di Cassazione, Sez. IV penale, sentenza 02.12.2011 n. 45009 - tratto da www.ipsoa.it).

APPALTI: Gare d'appalto, gli ''insoluti'' contributivi portano all'esclusione.
La regolarità contributiva costituisce requisito sostanziale di partecipazione alla gara, avendo il legislatore ritenuto tale regolarità indice dell'affidabilità , diligenza e serietà dell'impresa e della sua correttezza nei rapporti con le maestranze.

La decisione in esame affronta la querelle circa la rilevanza del requisito della regolarità contributiva ai fini della partecipazione a una gara di appalto, in quanto indice di affidabilità e diligenza dell’impresa interessata.
Segnatamente, la ricorrente aveva partecipato a una gara d’appalto bandita per l’affidamento del servizio di somministrazione di lavoro a tempo determinato.
Nel corso della valutazione delle offerte, la Commissione aveva disposto l’esclusione della menzionata ditta, sulla scorta della considerazione per cui la medesima era risultata carente del requisito della regolarità contributiva.
Avverso quest’ultimo provvedimento è insorta la ditta, all’uopo deducendo la violazione e falsa applicazione dell’art. 38 del D.Lgs. n. 163/2006, lett. i), nonché la violazione del principio di pubblicità di gara e del principio della trasparenza delle operazioni concorsuali.
Il ricorso è stato rigettato.
Il TAR di Cagliari ha, infatti, rilevato come la controversia, essendo interamente incentrata sulla questione della presenza o meno del requisito della regolarità contributiva in capo alla ricorrente, doveva essere risolta dapprima analizzando le disposizioni che attualmente disciplinano il requisito della regolarità contributiva e i contributi della giurisprudenza in materia; poi, attraverso l’esame della situazione di fatto alla base dell’impugnato provvedimento di esclusione.
Orbene, con riferimento alla normativa vigente in materia, il Collegio ha ricordato che l’art. 38 del Codice dei contratti pubblici (“requisiti di ordine generale”) stabilisce, tra l’altro, che: “Sono esclusi dalla partecipazione alle procedure di affidamento delle concessioni e degli appalti di lavori, forniture e servizi, né possono essere affidatari di subappalti, e non possono stipulare i relativi contratti i soggetti: … i) che hanno commesso violazioni gravi, definitivamente accertate, alle norme in materia di contributi previdenziali e assistenziali, secondo la legislazione italiana o dello Stato in cui sono stabiliti. Lo strumento per la verifica della posizione delle imprese partecipanti alle gare è il documento unico di regolarità contributiva”.
Tanto rammentato, ha così richiamato un recente indirizzo della giurisprudenza amministrativa secondo cui: "La verifica in merito alle dichiarazioni sulla regolarità contributiva rientra nei poteri della stazione appaltante, riconosciuti come compatibili dalla Corte di Giustizia Europea, e non ha quindi carattere di esclusione automatica; inoltre, la regolarità contributiva e fiscale, richiesta come requisito indispensabile per la partecipazione alla gara, deve essere mantenuta per tutto l'arco di svolgimento della gara stessa, sicché legittimamente l'amministrazione accerta, a fronte di DURC negativi, sia l'insussistenza del requisito normativamente richiesto, sia la non veridicità e reticenza sulle dichiarazione rese in sede di gara" (ex multis, TAR Campania, Salerno, Sez. I, 04.04.2011, n. 617).
In ordine alla situazione di fatto che ha dato origine alla controversia, invece, l’adito G.A. ha evidenziato come dalla documentazione prodotta dall’impresa interessata, volta a comprovare i requisiti dichiarati in sede di gara, era emersa la mancata produzione del DURC relativamente alle posizioni Inail e Inps in essere, nonché del certificato di regolarità fiscale del soggetto ausiliario.
Invero, ha specificato che la ricorrente solo dopo la partecipazione alla gara aveva presentato alle competenti sedi Inps apposite istanze di rateizzazione di debiti maturati per omessi versamenti contributivi, unitamente a copia dei modelli F24 di pagamento di un dodicesimo dell’importo dovuto.
Successivamente, il responsabile del procedimento aveva invitato la ditta a dimostrare la formale regolarizzazione presso l’Inps nonché a trasmettere il certificato di regolarità fiscale dell’impresa ausiliaria non ancora prodotto.
La partecipante, tuttavia, aveva provveduto a trasmettere il certificato di regolarità fiscale dell’impresa ausiliaria e copia del DURC rilasciato dall’Inail, comunque incompleto poiché non indicante il pronunciamento della sede centrale.
Sicché, l’Amministrazione aveva successivamente provveduto ad acquisire, di propria iniziativa, il DURC rilasciato dalla sede centrale dell’Inail recante l’attestazione di "non regolarità" della posizione Inps con causale "insoluti" riferita a precedenti debiti contributivi.
Di conseguenza, al giudicante un punto è risultato chiarissimo: alla data di adozione della determinazione di esclusione della ricorrente dalla gara in parola, non era risultato alcun accoglimento dell’istanza di autorizzazione alla rateizzazione dei debiti, istanza peraltro, non prodotta unitariamente ma separatamente per ogni singola posizione.
Per siffatta ragione, in virtù degli elementi di fatto testé illustrati, il Collegio sardo ha osservato come nella vicenda sussistevano sia la gravità dell’inadempimento, sia il difetto della correntezza contributiva posto che, accertata la sussistenza di debiti di rilevante importo, le richieste di rateizzazione, non approvate da parte dell’Istituto competente, erano state presentate dopo l’aggiudicazione provvisoria.
E così, richiamando l’epigrafato principio, il TAR non ha mancato di precisare come la completa e corretta verifica in merito alle dichiarazioni rese dai partecipanti, rientri nei poteri officiosi della stazione appaltante, sia in relazione alle specifiche previsioni del Codice, sia con riguardo ai più generali canoni dell'azione amministrativa di cui al D.P.R. n. 445/2000 in materia di documenti amministrativi e all’art. 6 della legge n. 241/1990.
Difatti, la consapevolezza della mancata correttezza contributiva al momento della richiesta di partecipazione connota di gravità la violazione, essendo la ricorrente onerata, al momento della domanda di partecipazione di rappresentare l'eventuale insoluto, la sua entità e le ragioni che l'avessero determinato, al fine di instaurare, essa stessa, un contraddittorio sul punto onde consentire alla stazione appaltante di escludere la gravità e definitività della violazione che comunque, indiscutibilmente, alla data di presentazione della domanda sussisteva.
In considerazione di tanto, il Collegio ha condiviso l’operato della stazione appaltante nella parte in cui aveva ritenuto che la violazione era grave e definitiva, in ragione del fatto che la ricorrente non l'aveva correttamente rappresentata né tantomeno giustificata al momento della richiesta di partecipazione (commento tratto da www.ipsoa.it - TAR Sardegna, Sez. I, sentenza 01.12.2011 n. 1175 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZI: Revoca di una gara con riferimento alla mutata esigenza di esternalizzare il servizio, potendo la P.A. svolgerlo con personale interno. L’aggiudicazione provvisoria o definitiva non impediscono la revoca della gara per ragioni di pubblico interesse.
Legittimamente la stazione appaltante revoca integralmente gli atti di una gara per l’affidamento di un appalto di servizi, nel caso in cui tale revoca sia motivata con riferimento al fatto che, rispetto al momento in cui è stata indetta la procedura di evidenza pubblica, è successivamente venuta meno l’esigenza di esternalizzare il servizio stesso, potendo la stazione appaltante continuare a svolgerlo con il personale interno; infatti, l’art. 21-quinquies della legge n. 241 del 1990 consente alla P.A. l’esercizio del potere di revoca di atti amministrativi, per sopravvenuti motivi di pubblico interesse, nel caso di mutamento della situazione di fatto che ha dato origine al provvedimento da revocare ed a seguito di una nuova valutazione dell’interesse pubblico originario (1).
In materia di contratti della P.A., il potere di negare l'approvazione dell'aggiudicazione di una gara ben può trovare fondamento, in via generale, in specifiche ragioni di pubblico interesse, senza trovare ostacoli nell'avvenuta aggiudicazione definitiva o provvisoria della stessa (2).
E’ irrilevante, ai fini della sua legittimità, la circostanza che l’Amministrazione nell’atto di revoca non abbia indicato anche l’ammontare dell’indennizzo da liquidare alla parte, così come previsto dai commi 1-bis e 1-ter dell’art. 21-quinquies della legge n. 241 del 1990, atteso che la mancata previsione dell’indennizzo legittima solo il privato ad azionare la relativa pretesa patrimoniale, anche davanti al giudice amministrativo (3).
---------------
(1) V. in generale Cons. Stato, sez. V, 18.01.2011, n. 283, secondo cui l’ordinamento ammette la revoca di provvedimenti amministrativi diventati inopportuni in base a nuove circostanze sopravvenute ed anche per una nuova valutazione dell'interesse pubblico originario.
(2) Cons. Stato, Sez. VI, 17 .03.2010, n. 1554
(3) Cons. Stato, Sez. VI, 17.03.2010, n. 1554
(massima tratta da www.regione.piemonte.it
- Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 15.11.2011 n. 6039 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Lite temeraria, danni morali ''automatici'' per chi la subisce.
Una volta riconosciuta la temerarietà della lite, è scontata l'esistenza, oltre che dei danni patrimoniali, dei danni non patrimoniali, nella forma della lesione dell'equilibrio psico-fisico del soggetto coinvolto in una lite rivelatasi inutile e pretestuosa.
Il principio summenzionato rappresenta l'epicentro dell'ordinanza 12.10.2011 n. 20995, emessa dalla Corte di Cassazione, Sez. VI civile, in riforma di una statuizione del tribunale di Catanzaro che, in una lite rivelatasi inutile, ha negato, per mancanza di prova, la sussistenza dei danni risarcibili in virtù di quanto disposto in tema di responsabilità aggravata ex art. 96. c.p.c..
Per il giudice di merito, infatti, non vi è stata prova, nel caso di specie, della “concreta ed effettiva esistenza di un danno in conseguenza del comportamento processuale della parte medesima”.
Con la decisione in rassegna, la Corte di legittimità torna sull'intricata questione della lite temeraria è sulla forza espansiva della dizione dell'art. 96 c.p.c. in punto risarcimento danni.
La responsabilità aggravata è stata inizialmente inquadrata nell'alveo del torto di matrice extracontrattuale, con la relativa regola processuale dell'onere della prova (su an e quantum dei danni) incombente sulla parte intenzionata a farla valere.
Tale inquadramento, tuttavia, stante la difficoltà di adempiere proficuamente all'onere probatorio, ha trovato il dissenso di molte voci, in dottrina come in giurisprudenza, che ha determinato, sotto la spinta di una interpretazione costituzionalmente orientata, lo sbilanciamento verso un nuovo convincimento.
Si è così passati a considerare la citata responsabilità come un predicato del principio della ragionevole durata del processo, incastonato all'art. 111 della Carta Costituzionale, quale risposta sanzionatoria voluta dall'ordinamento a fronte di un comportamento lesivo degli interessi della collettività.
Promuovere azioni giudiziarie pretestuose o resistere alle domande avversarie mediante condotte tese al mero procrastinamento dei tempi della giustizia sono comportamenti che integrano forme di “abuso del diritto”, nella forma dello sviamento dalla funzione per il quale il diritto di difesa è stato riconosciuto, come tali non tollerabili dal legislatore italiano ed europeo.
Tralasciando i presupposti oggettivi e soggettivi richiesti al fine di attivare la domanda risarcitoria ex art. 96 c.p.c., preme, qui, soffermarsi sull'entità del risarcimento del danno da doversi riconoscere al soggetto leso.
L'ordinanza riporta una soluzione della giurisprudenza di legittimità che milita a favore della portata espansiva della dizione “danni” cristallizzata all'art. 96 c.p.c.. Il plurale usato dal legislatore, secondo la Corte, non è usato casualmente.
Esso comprende, anzitutto, i danni patrimoniali, i quali traggono origine dall'essere obbligati a contrastare una ingiustificata iniziativa dell'avversario che, peraltro, non trovano compensazione nella corresponsione delle mere spese e degli onorari del difensore della parte vittoriosa.
Ciò in base all'assunto per il quale le spese di lite e degli onorari riguardano il rapporto che si consuma tra cliente e difensore e non già quello intercorrente tra cliente e controparte processuale. In tal senso, la giurisprudenza vuole tracciare una linea di demarcazione tra la regola secondo la quale il pagamento delle spese di lite grava sulla parte soccombente e quella prevista per il risarcimento dei danni patrimoniali derivanti da responsabilità aggravata che vuole tutt'altri estremi applicativi.
Quanto all'ammontare dei danni patrimoniali non è necessario che vi sia una esatta quantificazione. In assenza di una dimostrazione concreta e specifica, è il giudice, nel caso concreto, ad indicare una somma in via equitativa nell'ambito del suo potere discrezionale.
Ai danni patrimoniali devono sommarsi quelli non patrimoniali.
La Corte di Cassazione, in tal senso, insiste sull'esistenza, suffragata da massime di esperienza, di un nesso causale, di tipo “fisiologico”, tra le due tipologie di danno.
Quelli non patrimoniali, da tradursi quale lesione dell'equilibrio psico-fisico della parte inutilmente coinvolta nel giudizio, sono, secondo la Corte capitolina, una conseguenza diretta dei danni patrimoniali i quali, per loro natura, causerebbero “ex se anche danni di natura psicologica”.
I danni non patrimoniali risarcibili, anche in questo caso, non sono solo quelli previsti dalla legge (art. 2059 c.c.) ma tutti quelli lesivi di interessi di rango costituzionale riconducibili alla sfera della persona, ancorché non tipizzati.
Si tratta, perlopiù, del danno esistenziale, specie per la “perdita di tempo” che il processo genera, sottraendo il soggetto leso ad attività alternative che lo doterebbero di una qualità di vita sicuramente migliore.
Come riportato in altri arresti giurisprudenziali, anche quest'altra categoria di danni trova una quantificazione in via equitativa, sulla base degli elementi desumibili dagli atti di causa, così come previsto, in modo analogo, per il risarcimento dei danni derivanti dalla eccessiva durata del processo, eventualità disciplinata dal “legge Pinto” (commento tratto da www.ipsoa.it).

CONSIGLIERI COMUNALI: Indennità di funzione e gettoni di presenza per incarichi ricoperti presso enti diversi.
E’ illegittimo il provvedimento con il quale una Amministrazione provinciale ha stabilito di non erogare, in favore di coloro che rivestono la doppia carica di consiglieri provinciali e di amministratori presso altri enti locali, alcuni emolumenti (gettoni di presenza) legati alla partecipazione dei medesimi alle sedute del Consiglio provinciale.
Infatti, il legislatore ha provveduto a dettare espresse previsioni in materia di cumulo delle indennità, indicando all'art. 83, d.lgs. n. 267 del 2000 (Testo unico sull’ordinamento degli enti locali) le ipotesi in cui è puntualmente previsto il divieto di cumulare la percezione di gettoni o indennità in ragione degli incarichi ricoperti, così come ivi individuati, e in tale disposizione non è contemplata l'ipotesi relativa agli incarichi espletati presso enti locali diversi (1).
--------------
(1) V., tuttavia, in senso opposto, di recente, TAR Puglia-Lecce, ordinanza 30.09.2011, n. 680 (sulla legittimità o meno del rigetto di una istanza di alcuni consiglieri provinciali, che rivestono anche la carica di sindaci di altre amministrazioni comunali, tendente ad ottenere gli emolumenti -gettoni di presenza- legati alla partecipazione dei medesimi alle sedute del Consiglio provinciale e delle singole commissioni consiliari) (massima tratta da www.regione.piemonte.it - TAR Veneto, Sez. I, sentenza 06.10.2011 n. 1471 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

COMPETENZE PROGETTUALI: Competenze dei geometri in materia edilizia.
A norma dell'art. 16, lett. m), del R.D. 11.02.1929 n. 274, e come si desume anche dalle leggi 05.11.1971 n. 1086 e 02.02.1974 n. 64, che hanno rispettivamente disciplinato le opere in conglomerato cementizio e le costruzioni in zone sismiche, nonché dalla legge 02.03.1949 n. 144 (recante la tariffa professionale), esula dalla competenza dei geometri la progettazione di costruzioni civili con strutture in cemento armato, trattandosi di attività che, qualunque ne sia l'importanza, è riservata solo agli ingegneri ed architetti iscritti nei relativi albi professionali. Solo le opere in cemento armato relative a piccole costruzioni accessorie rientrano nella competenza dei geometri, risultando ininfluente che il calcolo del cemento armato sia stato affidato ad un ingegnere o ad un architetto (2).
La competenza dei geometri è limitata alla progettazione, direzione e vigilanza di modeste costruzioni civili, con esclusione di quelle che comportino l'adozione -anche parziale- di strutture in cemento armato; solo in via di eccezione si estende anche a queste strutture, a norma della lett. l) del medesimo articolo 16, R.D. n. 274/1929, purché si tratti di piccole costruzioni accessorie nell'ambito di edifici rurali o destinati alle industrie agricole, che non richiedano particolari operazioni di calcolo e che per la loro destinazione non comportino pericolo per le persone. Per il resto, la suddetta competenza è comunque esclusa nel campo delle costruzioni civili ove si adottino strutture in cemento armato, la cui progettazione e direzione, qualunque ne sia l'importanza è pertanto riservata solo agli ingegneri ed architetti iscritti nei relativi albi professionali (3).
E’ legittimo il provvedimento di annullamento, in via di autotutela, di una concessione edilizia per la demolizione di un fabbricato (e la sua ricostruzione, con nuova destinazione d'uso residenziale e commerciale), per l'incompetenza del geometra progettista, sia sotto il profilo dell'entità della costruzione, atteso che la competenza dei geometri è limitata alla progettazione di modeste costruzioni civili, sia sotto il profilo della necessità del rispetto delle prescrizioni antisismiche; il contratto con il quale viene affidata a un geometra la progettazione di una costruzione civile in cemento armato è comunque nullo, indipendentemente dalle dimensioni eventualmente ridotte dell'opera o dalla circostanza che il compito, su richiesta dell'incaricato, è poi svolto da un ingegnere o architetto.
---------------
(1) V. per tutte TAR Campania-Napoli, sez. III, 01.12.2008 n. 20723.
(2-3) Giurisprudenza costante: v. Cass. civ., sez. II, 07.09.2009 n. 19292; id., 08.04.2009 n. 8543; 25.05.2007 n. 12193; Cons. Stato, sez. V, 28.04.2011 n. 2537, id., sez. IV, 05.09.2007 n. 4652, Cass. pen., sez. III, 26.09.2000
(massima tratta da www.regione.piemonte.it -
TAR Lazio-Roma, Sez. II-bis, sentenza 03.10.2011 n. 7670 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AGGIORNAMENTO AL 12.01.2012

ã

SINDACATI E ARAN

PUBBLICO IMPIEGO: Il pubblico impiego e l'art. 18 dello statuto dei lavoratori (CGIL-FP di Bergamo, nota 09.01.2012).

ENTI LOCALICorte dei Conti: il computo delle società partecipate per le assunzioni negli enti locali (CGIL-FP di Bergamo, nota 03.01.2012).

DOTTRINA E CONTRIBUTI

ENTI LOCALI: G. Bertagna, IL RAPPORTO TRA LE SPESE DI PERSONALE E LE SPESE CORRENTI (tratto dalla newsletter di www.publika.it n. 46 - gennaio 2012).

ENTI LOCALI: C. Rapicavoli, Norme di interesse per gli enti locali nel Decreto Legge 29.12.2011 n. 216 - Proroga di termini previsti da disposizioni legislative (link a www.filodiritto.com).

APPALTI: F. Federici, Tracciabilità dei flussi finanziari: facciamo il punto (link a www.filodiritto.com).

GURI - GUUE - BURL (e anteprima)

ENTI LOCALI - VARI: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 2 dell'11.01.2012, "Linee guida per la fruibilità e la sicurezza nei Parchi Avventura" (decreto D.S. 13.12.2011 n. 12317).

AMBIENTE-ECOLOGIA: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 2 del 10.01.2012, "Approvazione dell’allegato tecnico relativo all’autorizzazione in via generale ex art. 272, comma 2, del d.lgs. 152/2006 per l’attività in deroga di lavorazioni meccaniche in genere e/o pulizia meccanica/asportazione di materiale effettuate su metalli e/o leghe metalliche – Sostituzione dell’allegato n. 32 del d.d.s. n. 532 del 26.01.2009" (decreto D.U.O. 23.12.2011 n. 12772).

LAVORI PUBBLICI: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 2 del 10.01.2012, "Approvazione dell’aggiornamento tecnico della direttiva regionale per la gestione organizzativa e funzionale del sistema di allerta per i rischi naturali ai fini di protezione civile, approvata con d.g.r. 22.12.2008 n. 8/8753" (decreto D.U.O. 22.12.2011 n. 12722).

ENTI LOCALI: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 2 del 10.01.2012, "Aggiornamento della individuazione e della classificazione dei piccoli Comuni della Lombardia in zone che presentano simili condizioni di sviluppo socio - economico e infrastrutturale ai sensi dell’art. 2 della legge regionale 05.05.2004, n. 11" (deliberazione G.R. 22.12.2011 n. 2710).

AMBIENTE-ECOLOGIA: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 2 del 09.01.2012, "Ricognizione sistematica e riordino degli atti amministrativi regionali in materia di gestione dei rifiuti" (deliberazione G.R. 29.12.2011 n. 2880).

QUESITI & PARERI

ATTI AMMINISTRATIVI: Diritto d'accesso agli atti amministrativi. Richiesta di copie di atti amministrativi, quando sussiste l'obbligo di motivazione?
Domanda.
L'art. 25, L. 07-08-1990, n. 241 e ss.mm. ed ii. stabilisce che, in ordine al diritto di accesso agli atti amministrativi, l'estrazione di copia di atti è subordinata alla presentazione di idonea motivazione a dimostrazione dell'interesse concreto, attuale, ecc. ...
Un cittadino ha chiesto formalmente e senza motivazione di avere copia di sentenze, provvedimenti giurisdizionali esecutivi (TAR, CdS), a carico del Comune e tenuti dall'Amministrazione comunale. L'Amministrazione comunale, tramite il Dirigente preposto, ha richiesto al cittadino di integrare la nota per ottenere copie con la motivazione ex art. 25, L. 07-08-1990, n. 241. Il cittadino ha risposto che per tali atti (sentenze, ecc...) non sussiste obbligo di motivazione che si applica solo per i provvedimenti amministrativi.
Si chiede pertanto se per la richiesta di copie, la motivazione deve esservi solo se la richiesta riguarda atti amministrativi e non per gli atti di autorità giudiziarie, tenuti dal Comune quale parte in causa.
Risposta.
Il diritto d'accesso agli atti amministrativi, per le sue rilevanti finalità di pubblico interesse, rappresenta un principio generale dell'attività amministrativa volto a favorire la partecipazione e assicurare l'imparzialità e la trasparenza dell'attività di un Ente Pubblico.
L'art. 22 della L. 07-08-1990, n. 241 e ss.mm. definisce l'accesso come il diritto degli interessati a prendere visione ed estrarre copia di documenti amministrativi.
Secondo costante Giurisprudenza Amministrativa (cfr., ex aliis, Cons. Stato Sez. IV, 15.09.2010, n. 6899), il diritto di accesso ai documenti, pur essendo finalizzato ad assicurare la trasparenza dell'azione amministrativa e a favorirne lo svolgimento imparziale, tuttavia non si configura come un'azione popolare, esercitabile da chiunque, indipendentemente da una posizione differenziata giuridicamente. Questo perché l'istituto dell'accesso non è teso ad un controllo generalizzato sull'attività amministrativa, dal momento che, correlativamente all'esercizio del diritto alla conoscenza degli atti, sussiste la legittima pretesa dell'Amministrazione a non subire intralci nella propria attività istituzionale, possibili in ragione della presentazione di istanze strumentali e/o dilatorie. Ne consegue che l'accesso è consentito soltanto a coloro ai quali gli atti si riferiscono direttamente o indirettamente e sempre che questi se ne possano avvalere per tutelare una posizione giuridicamente rilevante.
Pertanto, il principio base è che l'accesso deve essere motivato con una richiesta rivolta all'Ente che ha formato il documento o che lo detiene stabilmente, indicando i presupposti di fatto e l'interesse specifico, concreto ed attuale che lega il documento alla situazione giuridicamente rilevante (cfr. Cons. Stato Sez. V, 04.08.2010, n. 5226, e Cons. Stato Sez. V, 25.05.2010, n. 3309, e Cons. Stato Sez. IV, 03.08.2010, n. 5173).
Fermo restando, quindi, che ai fini dell'esercizio del diritto di accesso è sempre necessaria un'adeguata motivazione, va ulteriormente precisato che oggetto del diritto in esame è "il documento amministrativo, inteso come ogni rappresentazione grafica, fotocinematografica, elettromagnetica o di qualunque altra specie del contenuto di atti, anche interni o non relativi ad uno specifico procedimento, detenuti da una pubblica amministrazione e concernenti attività di pubblico interesse, indipendentemente dalla natura pubblicistica o privatistica della loro disciplina sostanziale" (art. 22, L. 07-08-1990, n. 241).
Alla stregua di ciò, con riferimento agli atti dell'Autorità Giudiziaria di cui al presente quesito, a parere della scrivente, il diritto d'accesso non può essere proprio esercitato.
Infatti, come si legge, tra le altre, nella sentenza della Prima Sezione del TAR Molise - Campobasso, 09.12.2010, n. 1528, anche se "la nozione di documento amministrativo, quale definito dall'art. 22 della L. 07.08.1990, n. 241, ha un'ampia latitudine, tale nozione non può, però, essere estesa fino a comprendere anche gli atti giudiziari".
Tale pronuncia ripete una Giurisprudenza Amministrativa che possiamo reputare consolidata, in base alla quale, sotto tale profilo, la domanda di accesso è ammessa solo se ha ad oggetto documenti qualificabili come amministrativi, quanto meno in senso soggettivo e funzionale, mentre, all'opposto, è da ritenersi inammissibile la domanda di accesso agli atti processuali ed a quelli espressione di attività giurisdizionale (cfr., da ultimo, Cons. Stato Sez. IV, 31.03.2008, n. 1363, Cons. Stato Sez. IV Sent., 12.12.2008, n. 6187, Cons. Stato Sez. IV, 22.06.2004, n. 4471, Cons. Stato Sez. IV, 22.02.2003, n. 961 e Cons. Stato Sez. IV, 14.02.2002, n. 883).
In definitiva, l'accesso è ammesso solo se ha ad oggetto "documenti amministrativi", mentre è preclusa l'esibizione di tutti gli atti processuali e di quelli espressione di attività giurisdizionale.
La preclusione è estesa a tutti gli atti dell'Autorità Giudiziaria, ancorché non immediatamente collegati a provvedimenti che siano espressione dello ius dicere ma intimamente e strumentalmente connessi a questi ultimi (TAR Emilia Romagna-Parma Sez. I, 04.10.2011, n. 329) (05.01.2012 - tratto da www.ipsoa.it).

CORTE DEI CONTI

INCARICHI PROFESSIONALI: Incarichi di collaborazione esterna.
Torna sull'argomento la Corte dei Conti, Sez. I Appello Giurisdiz. Centrale che, con sentenza 27.12.2011 n. 577, illustra la normativa e la prassi giurisprudenziale in tema di conferimento di incarichi di collaborazione da parte delle pubbliche amministrazioni (tratto da www.publika.it - link a www.corteconti.it).
---------------
I presupposti di legittimità per il conferimento dell'incarico o la stipula del contratto di collaborazione sono così schematizzabili:
1) l'oggetto deve essere corrispondente alle competenze attribuite dall'ordinamento all'amministrazione conferente e ad obiettivi e progetti specifici e determinati; si tratta, cioè, di perseguire obiettivi e progetti specifici contenutisticamente e temporalmente predeterminati e non determinati in modo del tutto generico ab origine;
2) occorre il preventivo accertamento, da parte dell'amministrazione conferente, dell'impossibilità oggettiva di utilizzare le risorse umane disponibili al proprio interno; dunque, la previa verifica organizzativa, puntuale e documentata, della quale occorre dare conto nella lettera di incarico o nel contratto di collaborazione;
3) la prestazione deve essere di natura temporanea, con conseguente necessaria predeterminazione del termine di scadenza, per cui non sono consentiti incarichi generici rinnovabili a tempo indefinito; per questo, si richiede che vengano preventivamente definiti gli elementi essenziali del contratto, in modo da delineare ex ante il perimetro dei principali diritti e obblighi dei contraenti:
4) infine, la prestazione deve essere "altamente qualificata"; dunque, la qualità della professionalità coinvolta deve chiaramente risultare da un apposito procedimento di verifica di evidenza pubblica, idoneo a dimostrare erga omnes la specifica esperienza del soggetto incaricato nell'attività dedotta in contratto.

Poiché a tutte le pubbliche amministrazioni si applicano, in materia di incarichi a soggetti esterni, i limiti previsti dall'art. 7, comma 6, del D.Lgs. n. 165/2001, una volta individuata la necessità di affidare incarichi all'esterno, la singola amministrazione, nel rispetto dei principi di imparzialità e buon andamento sanciti dall'art. 97 Cost., deve accertare che l'incarico venga assegnato ad esperti di particolare e comprovata esperienza, abbia una durata limitata nel tempo, un oggetto ben determinato e deve predeterminare l'entità del compenso e l'onere di spesa.
Ancora, è stata affermata chiaramente l’impossibilità di ricorrere a rapporti di collaborazione esterna per attività ordinarie, con la conseguente illegittimità dei contratti stipulati in violazione di tali presupposti e conseguente responsabilità erariale per gli indebiti costi gravanti sull'ente.

Con la sentenza in epigrafe il geom. ... è stato condannato a risarcire il comune di Sant’Arcangelo (PZ) della somma di € 10.000,00, oltre le spese del giudizio, corrispondente al 50% del danno che sarebbe stato prodotto all’ente locale medesimo in relazione ad un incarico, ritenuto illegittimo e parzialmente inutile, che era stato affidato dall’interessato ad un professionista esterno.
In particolare, l’appellante, nella sua qualità di responsabile dell’area tecnica del comune, aveva predisposto e sottoposto all’approvazione della Giunta il piano economico-finanziario di attuazione di un progetto (“Casa sicura”) nell’ambito dei Programmi Integrativi di Conservazione – cc.dd. “PIC” - finanziati dalla regione Basilicata, con la previsione anche dell’eventuale ricorso a personale esterno. Nella fattispecie l’appellante, adducendo carenze di organico, assenza di personale laureato ed eccessivo carico di lavoro, con proprio provvedimento aveva affidato un incarico di consulenza ad un architetto, libero professionista, che avrebbe dovuto supportare la prevista attività in progetto.
Di fatto, tale attività era stata svolta da un geometra (collaboratore in convenzione con l’affidatario dell’incarico) e si era risolta in una mera predisposizione di tabelle e tabulati, che secondo il Giudice qualunque geometra interno (dei quattro a disposizione dell’ente) avrebbe potuto agevolmente svolgere. Di qui, la riscontrata responsabilità dell’appellante e la sua condanna, con riduzione del 50% dell’addebito ipotizzato in citazione; ciò, da un lato per il parziale concorso della giunta municipale nella causazione del danno -con l’acritica approvazione della proposta avanzata dal sig. ...– e, sotto altro profilo, per una qualche utilità, comunque riconosciuta dal primo Giudice al lavoro svolto.
...
Ritiene questo Collegio opportuno, prima di affrontare l’esame del merito, illustrare la normativa e la prassi giurisprudenziale in tema di conferimento di incarichi di collaborazione da parte di pubbliche amministrazioni.
In passato, le norme non disciplinavano in via generale la fattispecie, se non per casi particolari: cfr. l'art. 380 del D.P.R. 10.01.1957, n. 3 - T.U. sugli impiegati civili dello Stato, che regolamentava gli incarichi conferiti dai ministri a professori universitari ed esperti di analoga qualificazione. Altre normative specifiche, vietavano poi in determinate ipotesi il conferimento di incarichi esterni: si citano, al riguardo, l'art. 1 del D.P.R. 28.05.1981, n. 247; l'art. 1 del d.l. 26.11.1981, n. 678, conv. con legge 26.01.1982, n. 12, sul blocco degli organici delle USL; infine, l'art. 14, comma 8, della legge 20.05.1985, n. 207, recante la disciplina transitoria per l'inquadramento del personale non di ruolo delle USL.
Le riforme recenti -tanto quelle riguardanti gli enti locali, quanto le norme generali sull'organizzazione dei pubblici uffici- si sono preoccupate, opportunamente, di disciplinare la fattispecie, con la fissazione di regole e princìpi che peraltro già da diversi anni avevano trovato ampia considerazione nella giurisprudenza contabile.
La prima disposizione di legge in materia, in ordine di tempo, è stata dettata per gli enti locali dall'art. 51 della legge 08.06.1990, n. 142, come modificato dalla legge 15.05.1997, n. 127; la norma è stata poi trasfusa nell’art. 110 del T.U. n. 267/2000.
Per la generalità degli enti pubblici, opera invece l'art. 7, c. 6, del decreto legislativo 30.03.2001, n. 165 (già D.lgs. 03.02.1993, n. 29), che consente alle amministrazioni pubbliche di conferire incarichi individuali ad esperti di provata competenza e per esigenze cui non possano fra fronte con le risorse interne. Le relative attribuzioni spettano ai dirigenti i quali, sulla scorta proprio della riforma in tema di organizzazione del lavoro pubblico hanno assunto un ruolo diverso, con la conseguente assunzione dei poteri del privato datore di lavoro nella gestione delle risorse umane e più in generale nell’organizzazione degli uffici.
La crescita del fenomeno e l’utilizzo improprio delle collaborazioni negli ultimi anni, hanno successivamente portato il legislatore, in sede di legge finanziaria -v. gli artt. 34 della legge 27.12.2002, n. 289 e 3 della legge 24.12.2003, n. 350- ad intervenire in materia con disposizioni restrittive ai fini del contenimento della spesa; sempre al medesimo scopo di contenere le relative spese, l’articolo 1, commi 9 e 11 del d.l. 12.07.2004, n. 168, convertito con legge 30.07.2004, n. 191, poneva un limite alla spesa per gli incarichi per le regioni, le province e i comuni con popolazione superiore a 5.000 abitanti, prevedendo altresì che l’affidamento d’incarichi, in assenza dei presupposti stabiliti dall’articolo 1, comma 9, “… costituisce illecito disciplinare e determina responsabilità erariale”.
In ordine a tale normativa è intervenuta la circolare della Funzione pubblica n. 4 del 15.07.2004, nella quale si afferma (in piena sintonia con la giurisprudenza della Corte dei conti nella materia, puntualmente richiamata) che la possibilità di ricorrere a rapporti di collaborazione sussiste solo per prestazioni di elevata professionalità, contraddistinte da una elevata autonomia nel loro svolgimento, tale da caratterizzarle quali prestazioni di lavoro autonomo; l’affidamento dell’incarico a terzi può dunque avvenire solo nell’ipotesi in cui l’amministrazione non sia in grado di far fronte ad una particolare e temporanea esigenza con le risorse professionali presenti in quel momento al suo interno.
Le disposizioni dei commi 9 e 11 dell’articolo 1 della legge n. 191/2004 hanno cessato di essere in vigore il 31.12.2004 e sono state sostituite, a decorrere dall'01.01.2005, dall’articolo 1, commi 11 e 42, della legge 30.12.2004, n. 311 (legge finanziaria 2005), il cui contenuto è stato peraltro illustrato dalle SS.RR. della Corte dei conti, con deliberazione n. 6/2005, “Linee di indirizzo e criteri interpretativi sulle disposizioni della legge 30.12.2004, n. 311 (finanziaria 2005) in materia di affidamento d’incarichi di studio o di ricerca ovvero di consulenza (art. 1, commi 11 e 42)”.
Più in particolare il comma 11, che si applica alle pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, d.lgs. n. 165/2001, dispone che il conferimento dell’incarico deve essere adeguatamente motivato ed “… è possibile soltanto nei casi previsti dalla legge ovvero nelle ipotesi di eventi straordinari”.
Il comma 42, che si applica agli enti locali con popolazione superiore a 5.000 abitanti, prevede analoghi principi (“L’affidamento da parte degli enti locali di incarichi di studio o di ricerca, ovvero di consulenze a soggetti estranei all’amministrazione, deve essere adeguatamente motivato con specifico riferimento all’assenza di strutture organizzative o professionalità interne all’ente in grado di assicurare i medesimi servizi, ad esclusione degli incarichi conferiti ai sensi della legge 11.02.1994, n. 109, e successive modificazioni.
In ogni caso l’atto di affidamento di incarichi e consulenze di cui al primo periodo deve essere corredato della valutazione dell’organo di revisione economico-finanziaria dell’ente locale e deve essere trasmesso alla Corte dei conti. L’affidamento di incarichi in difformità dalle previsioni di cui al presente comma costituisce illecito disciplinare e determina responsabilità erariale
”).
Insomma, il principio generale in materia è quello secondo cui le amministrazioni pubbliche possano conferire incarichi esterni solo nei casi eccezionali sopra ricordati.
Il D.L. n. 223/2006, conv. con L. n. 248/2006 e la legge finanziaria n. 244/2007 per l’anno 2008 (legge 24.12.2007, n. 244, art. 3, commi da 54 a 57 e 76), con diverse disposizioni, hanno definito ulteriormente il già articolato regime delle collaborazioni esterne nella P.A., consolidando la tendenza a limitare il ricorso a tali tipologie contrattuali ad ipotesi eccezionali e, indirettamente, costituendo i presupposti per una riduzione della spesa correlata, con apposita modifica del testo dell’art. 7 D.Lgs. n. 165/2001. I principi recati da tali ultime normative –che hanno confermato e, anzi, ulteriormente delimitato quelli già in vigore– sono stati oggetto anch’essi di apposita deliberazione della Corte dei conti, Sez. autonomie, n. 6/2008, che ha precisato i relativi criteri interpretativi.
In anni ancor più recenti si è poi assistito ad un profluvio di interventi legislativi in materia di incarichi, spesso scoordinati e a poca distanza di tempo tra di loro, sempre mossi dalla preoccupazione di contenere il fenomeno (e la relativa spesa pubblica); sono intervenute in materia (tra le altre) pressoché tutte le ultime leggi finanziarie, il decreto c.d. Bersani (D.L. n. 223/2006, convertito con L. n. 248/2006), il decreto sullo sviluppo economico (D.L. 112/2008, conv. con legge n. 133/2008), il decreto legislativo n. 150/2009, la manovra economica di cui al D.L. n. 78/2010, conv. con L. n. 122/2010, etc.. Il legislatore ha tentato di volta in volta –sempre allo scopo di contenere e scoraggiare il fenomeno- di meglio precisare i presupposti e le condizioni che possono legittimare le amministrazioni pubbliche a ricorrere agli incarichi esterni; ha imposto svariati oneri di pubblicità e comunicazione per le amministrazioni; ha, infine, stabilito severi limiti alla relativa spesa.
Per quel che riguarda invece la posizione della giurisprudenza, va evidenziato come il conferimento di incarichi di consulenza a soggetti esterni all'amministrazione abbia costituito, e costituisca tuttora, una fattispecie ricorrente in tema di responsabilità amministrativa.
Molte, tra le pronunzie più recenti, hanno provveduto a chiarire in via generale la portata delle norme in materia, e i corrispondenti limiti alla possibilità, per le amministrazioni pubbliche, del ricorso a tali forme di collaborazione.
E’ stato evidenziato, in proposito, che le pubbliche amministrazioni hanno l'obbligo di far fronte alle competenze istituzionali mediante il più proficuo utilizzo di risorse umane e professionali esistenti nell'ambito delle proprie strutture, e il ricorso ad incarichi professionali esterni, avendo natura eccezionale, può avvenire solo in presenza delle condizioni previste dalle disposizioni legislative in materia (in particolare, l’art. 7 D.L.vo n. 165/2001, cit.), che esprimono principi di stretta interpretazione (Corte dei conti, Sez. II app., 26.08.2008, n. 363).
Più in generale, molte decisioni hanno provveduto a ribadire che i presupposti di legittimità per il conferimento dell'incarico o la stipula del contratto di collaborazione sono così schematizzabili:
1) l'oggetto deve essere corrispondente alle competenze attribuite dall'ordinamento all'amministrazione conferente e ad obiettivi e progetti specifici e determinati; si tratta, cioè, di perseguire obiettivi e progetti specifici contenutisticamente e temporalmente predeterminati e non determinati in modo del tutto generico ab origine;
2) occorre il preventivo accertamento, da parte dell'amministrazione conferente, dell'impossibilità oggettiva di utilizzare le risorse umane disponibili al proprio interno; dunque, la previa verifica organizzativa, puntuale e documentata, della quale occorre dare conto nella lettera di incarico o nel contratto di collaborazione;
3) la prestazione deve essere di natura temporanea, con conseguente necessaria predeterminazione del termine di scadenza, per cui non sono consentiti incarichi generici rinnovabili a tempo indefinito; per questo, si richiede che vengano preventivamente definiti gli elementi essenziali del contratto, in modo da delineare ex ante il perimetro dei principali diritti e obblighi dei contraenti:
4) infine, la prestazione deve essere "altamente qualificata"; dunque, la qualità della professionalità coinvolta deve chiaramente risultare da un apposito procedimento di verifica di evidenza pubblica, idoneo a dimostrare erga omnes la specifica esperienza del soggetto incaricato nell'attività dedotta in contratto (Corte dei conti, Sez. I app., 02.09.2008 n. 393; Sez. reg. Lombardia, 20.10.2009, n. 642 e 10.03.2006, n. 172; Sez. reg. Friuli-Venezia Giulia, 28.01.2008, n. 41; Sez. reg. Basilicata, 16.10.2008, n. 252).
E’ stato ancora precisato che, poiché a tutte le pubbliche amministrazioni si applicano, in materia di incarichi a soggetti esterni, i limiti previsti dall'art. 7, comma 6, del D.Lgs. n. 165/2001, una volta individuata la necessità di affidare incarichi all'esterno, la singola amministrazione, nel rispetto dei principi di imparzialità e buon andamento sanciti dall'art. 97 Cost., deve accertare che l'incarico venga assegnato ad esperti di particolare e comprovata esperienza, abbia una durata limitata nel tempo, un oggetto ben determinato e deve predeterminare l'entità del compenso e l'onere di spesa (Corte dei conti, Sez. reg. Lombardia, 05.03.2007, n. 141, 08.05.2009, n. 324 e 09.07.2009, n. 473).
Ancora, è stata affermata chiaramente l’impossibilità di ricorrere a rapporti di collaborazione esterna per attività ordinarie, con la conseguente illegittimità dei contratti stipulati in violazione di tali presupposti e conseguente responsabilità erariale per gli indebiti costi gravanti sull'ente (Corte dei conti, Sez. reg. Lombardia, 20.10.2009, n. 642).

PUBBLICO IMPIEGOVertici. Il caso dei dipendenti di categoria «D». Incarichi dirigenziali fuori dall'8%.
L'ORIENTAMENTO/ I magistrati contabili hanno concesso ai Comuni la libertà di disciplinare la materia con regolamento.

Il conferimento di incarichi dirigenziali a dipendenti di categoria D dello stesso ente sfugge ai vincoli del contenimento entro l'8% della dotazione organica dettati dall'articolo 19 del Dlgs 165/2001, così come modificato dalla legge Brunetta (Dlgs 150/2009).
È questa l'innovativa lettura data dalla sezione regionale di controllo della Corte dei conti dell'Abruzzo con il parere 05.12.2011 n. 384.
Il parere prevede inoltre che i Comuni utilizzino procedure ispirate ai principi della «pubblicità e selettività da definire a livello regolamentare», quindi con ampi margini di autonomia nella scelta dei dipendenti a cui conferire questi incarichi. Il lungo e argomentato parere dei giudici contabili abruzzesi offre una lettura assai estensiva dei vincoli dettati dal legislatore e delle interpretazioni fornite dalle sezioni unite di controllo della Corte dei conti con i pareri 12, 13 e 14 del 2011. Esso consente alla gran parte dei Comuni di risolvere direttamente i problemi connessi alla mancanza di dirigenti a tempo indeterminato, problemi che si manifestano in modo assai marcato soprattutto dopo l'elezione del nuovo sindaco e la scadenza degli incarichi precedentemente conferiti, come appunto nel comune di Lanciano (Chieti) che ha sollevato il quesito.
In premessa viene ricordato che le nuove regole non hanno abrogato né implicitamente né esplicitamente le previsioni dettate per gli enti locali dall'articolo 110 del Dlgs 267/2000: esse «possono essere intese unicamente come integrative rispetto a quelle già contenute nel Tuel, con le quali vanno perciò necessariamente coordinate», operazione che peraltro è niente affatto facile. E ancora le norme per gli enti locali non prevedono limiti per la copertura dei posti vacanti in dotazione organica, ma solo per quelli extra dotazione organica.
La deliberazione ricorda che nel conferimento di incarichi per la copertura di posti vacanti in dotazione organica non possono essere invocate esigenze di contenimento della spesa, né essa può essere ascritta alla disciplina dell'ordinamento civile, per cui la materia è sostanzialmente preclusa a interventi restrittivi del legislatore nazionale. Conclusione che è rafforzata dalla tutela offerta dalla stessa Costituzione all'autonomia regolamentare ed organizzativa degli enti locali. Si deve inoltre ricordare che i principi di carattere generale dettati dalla normativa più recente vanno nella direzione della «valorizzazione delle professionalità interne rispetto al ricorso a soggetti esterni».
La materia è da considerare quindi rimessa alla autonomia dei singoli enti locali, i quali «potranno conferire incarichi temporanei tenendo comunque presente, da un lato, i limiti imposti dai principi di sana gestione delle risorse pubbliche a disposizione degli enti; d'altro lato, dell'eccezionalità della disposizione di cui all'articolo 110 Tuel nel sistema del conferimento d'incarichi dirigenziali».
Infine, il parere ricorda che non siamo nell'ambito di incarichi che possano essere concessi sulla base del criterio della fiduciarietà personale, il cosiddetto spoil system. Per cui ogni ente deve utilizzare procedure ispirate ai principi per cui si «devono prevedere adeguate forme procedimentali idonee a garantire l'oggettività e la trasparenza nella selezione del personale dirigenziale». E infine è sufficiente che questi dipendenti si collochino in aspettativa, non essendo in alcun modo necessaria la conclusione del rapporto di lavoro (articolo Il Sole 24 Ore del 09.01.2012 - tratto da www.corteconti.it).

PUBBLICO IMPIEGO: Utilizzo, per fini personali, del PC dell'Ente e danno erariale.
Di questo si occupa la Corte dei Conti, Sez. Giurisdiz. Liguria, con sentenza 26.10.2011 n. 319.
Sottolinea anche l'indipendenza del giudizio contabile (per responsabilità patrimoniale) rispetto sia al procedimento disciplinare che all'eventuale giudizio penale (tratto da www.publika.it - link a www.corteconti.it).

NEWS

PUBBLICO IMPIEGOAssistenza, congedi una tantum. Permessi fruibili solo per due anni in tutta la vita lavorativa. La stretta in una nota dell'Inpdap che scalza la Funzione pubblica: impossibile cumulare.
L'Inpdap ha bypassato la Funzione pubblica e ha dettato le regole per la fruizione dei congedi biennali per assistere i portatori di handicap, limitandone complessivamente la fruizione a soli due anni nell'arco della vita lavorativa. Anche se i disabili da assistere sono più di uno e le necessità si verificano in epoche diverse.
É quanto si evince dalla
circolare 28.12.2011 n. 22 emanata dall'ente previdenziale (INPDAP) guidato da Paolo Crescimbeni, ente in corso di trasferimento all'Inps in virtù dell'accorpamento deciso dalla manvora salva-Italia.
L'istituto si spinge fino ad impartire disposizioni alle altre amministrazioni dello stato su come fruire dei congedi previsti dall'art. 42 del decreto legislativo 151/2001. La materia dei congedi è stata decontrattualizzata e, per effetto della delega contenuta nell'articolo 23 della legge 04.11.2010, n. 183, è ormai riservata ai regolamenti. Ciò comporta che non sia più il tavolo negoziale a dettare le regole, ma direttamente il governo, per il tramite di decreti legislativi. Più che all'Inpdap, dunque, il potere di orientare le amministrazioni centrali e periferiche dello stato nell'applicazione della complessa materia dei permessi decontrattualizzati spetta alla Funzione pubblica.
All'Inpdap toccherebbe indicare alle proprie sedi periferiche come far pagare i contributi alle amministrazioni quando i dipendenti fruiscono dei congedi. Resta il fatto, però, che l'ente previdenziale è andato ben oltre e ha messo nero su bianco che i due anni del congedo per assistere i disabili sono da considerarsi una tantum. A prescindere dl fatto che vi siano più leggi che prevedono diverse tipologie di congedi biennali e a nulla rilevando che vi sia più di un disabile da assistere.
Pertanto, una volta esauriti i due anni, secondo l'Inpdap, non si può più fruire di altro. Il tutto senza tenere conto che il diritto al congedo, pur assumendo rilievo in capo al soggetto che ne richiede la fruizione, trova la sua causa nelle necessità di ciascuno dei disabili da assistere e non in capo al lavoratore che lo assista. Oltre tutto l'ente ha i giorni contati, perché la manovra Monti ne ha previsto la cessazione per incorporazione nell'Inps insieme all'Enpals.
Ma nonostante il de profundis intonato dal governo, l'Inpdap non ha voluto rinunciare ad un ultimo pronunciamento per dire no al cumulo tra il congedo biennale per assistere il disabile grave (art. 42, dlgs n. 151/2001) e il congedo non retribuito per gravi motivi di famiglia (art. 4, comma 2, della legge n. 53/2000). Secondo l'ente previdenziale le due tipologie di congedo non sono cumulabili e, in ogni caso, anche se la stessa persona dovesse assistere nel corso della vita due disabili diversi in epoche diverse, una volta esauriti i 2 anni di congedo, ciò comporterà la preclusione del diritto al congedo biennale di cui all'art. 42 del dlgs 151/2001. E ciò determinerà l'ulteriore effetto di non poter fruire nemmeno di quello previsto dall'art. 4 della legge 53/2000.
Il ragionamento seguito dall'Inpdap è il seguente: il congedo biennale non può superare la durata di due anni per ciascuna persona portatrice di handicap e nell'arco della vita lavorativa. Pertanto, chi fruisce del congedo biennale di cui all'art. 42 del dlgs 151/2000 perde la possibilità di giovarsi del congedo biennale previsto dalla legge 53.
---------------
Fuori nipoti e cugini del lavoratore con handicap.
Il congedo biennale per assistere il portatore di handicap grave può essere fruito, nell'ordine: dal coniuge, dai genitori, dai figli, dai fratelli e dalle sorelle. Sono esclusi, invece, nipoti, cugini, generi o altri familiari, anche se convivono con il portatore di handicap.

E' questo uno dei chiarimenti contenuti nella
circolare 28.12.2011 n. 22 emanata dall'Inpdap.
Il provvedimento dedica un paragrafo all'individuazione degli aventi diritto ai congedi previsti dall'art. 42 del decreto legislativo 151/2001, la cui disciplina è stata interessata da alcune recenti modifiche. In particolare, l'ente previdenziale ha spiegato che, fermo il requisito della convivenza con l'assistito, il congedo spetta in via prioritaria al coniuge della persona gravemente disabile. In mancanza del coniuge convivente il diritto al congedo insorge in capo ai genitori, naturali o adottivi.
L'ente previdenziale ha chiarito inoltre che il beneficio spetta in via subordinata in caso di mancanza, decesso o in presenza di patologie invalidanti del coniuge convivente, alla madre o al padre e non può essere utilizzato contemporaneamente da entrambi i genitori. È possibile usufruire del beneficio anche se l'altro genitore non lavora, sia in caso di figlio minorenne che maggiorenne. Non è richiesta la dichiarazione/prova di convivenza con il soggetto disabile e non è previsto alcun limite di età del soggetto che assiste il disabile. In assenza dei genitori il diritto al congedo scatta per il figlio convivente del soggetto disabile grave. Se non vi sono figli nelle condizioni previste dalla legge, il congedo può essere fruito dai fratelli e dalle sorelle.
Lo scorrimento della scala di priorità deve avvenire secondo l'ordine fissato dalla legge: coniuge, genitore, figlio, fratello, a prescindere dal sesso degli interessati e fermo il requisito necessario della convivenza con il disabile. Sono esclusi nipoti, cugini, generi o altri familiari che, pur assistendo, in convivenza, un familiare con handicap grave, non hanno diritto alla concessione del congedo.
Quanto al requisito della convivenza esso si intende soddisfatto qualora l'assistito e l'assistente abbiano la stessa residenza, intendendo per tale la medesima dimora abituale. E cioè l'abitazione nel medesimo stabile avente lo stesso numero civico, a nulla rilevando che i soggetti abitino in interni diversi.
---------------
Anche il congedo fa festa quando capita di domenica. Ammessa la fruizione frazionata, ma solo su base giornaliera.
Se il congedo va dal lunedì a un giorno prefestivo, non è necessario ritornare in servizio per evitare che il festivo rientri nel periodo di congedo. La sospensione delle lezioni, infatti, sposta l'obbligo della presa di servizio al primo giorno utile dopo la festa. Ma se l'assenza del lavoratore riparte dal giorno dopo la festa, anche il giorno festivo rientra nel congedo.

É questo uno dei chiarimenti sulle assenze previste dall'art. 42 del dlgs 151/2001, contenuti nella
circolare 28.12.2011 n. 22, emanata dall'Inpdap.
L'ente previdenziale ha chiarito, inoltre, che la fruizione del congedo per l'assistenza dei portatori di handicap non può eccedere il decorso del termine del certificato della Asl che attesta lo stato di handicap dell'assistito. Pertanto, anche se la legge fissa il limite massimo del congedo in due anni, la relativa fruizione non può andare oltre il periodo di vigenza del certificato sanitario. Si pensi, per esempio al caso del portatore di handicap giudicato rivedibile che, all'atto del successivo accertamento, perda lo stato di handicap per effetto dell'intervenuta guarigione.
L'Inpdap ha spiegato, inoltre, che il congedo è fruibile anche in modo frazionato. La frazionabilità però va intesa nel senso che l'assenza può essere fruita a giorni, rimanendo preclusa la possibilità della fruizione ad ore in quanto non espressamente prevista dalla legge. Ai fini della frazionabilità, tra un periodo e l'altro di fruizione, per evitare che vengano computati nel periodo di congedo i giorni festivi, i sabati e le domeniche, è necessaria, l'effettiva ripresa del lavoro. Il requisito della ripresa del lavoro non è richiesto nei casi di domanda di congedo dal lunedì al venerdì.
A questo proposito l'Inpdap ha fatto riferimento all'ipotesi della settimana corta (che viene adottata talvolta anche nelle istituzioni scolastiche). In tal caso, secondo l'ente previdenziale, il sabato e la domenica antecedenti la ripresa del lavoro non devono essere conteggiati. Sempre che non si presenti una nuova richiesta di congedo dello stesso tipo per il lunedì successivo.
La ripresa di servizio non è necessaria anche se muta il titolo dell'assenza. Per esempio se, una volta esaurito il periodo di congedo richiesto, l'interessato prosegua l'assenza fruendo di ferie, di permessi o si assenti per malattia. In questi casi, cioè nell'ipotesi di giorni di ulteriori assenze a diverso titolo collocate immediatamente dopo il congedo le giornate festive ed i sabati (in caso di settimana corta) non vanno computate nel congedo (articolo ItaliaOggi del 10.01.2012).

PUBBLICO IMPIEGO: Statali, i vincoli al part-time. Entro 60 giorni la Pa accoglie o respinge (con motivi) la domanda (articolo Il Sole 24 Ore del 09.01.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

ENTI LOCALIConsolidamento solo sul personale. Nei calcoli dei tetti le società «pesano» per le spese in stipendi ma non per le correnti.
Corte dei conti. I chiarimenti della Sezione autonomie sull'applicazione del limite del 50% di uscite per risorse umane che blocca le assunzioni.

L'illusione è durata pochi giorni. La legge di stabilità 2012 ha regalato un allentamento della morsa sui vincoli alle assunzioni, aumentando dal 40 al 50% il limite del rapporto fra spesa di personale e spesa corrente, oltre al quale scatta lo stop ai contratti di lavoro. Ma è stata la Corte dei conti, sezione autonomie, a riportare gli enti con i piedi per terra. Interpretando le modalità di applicazione dell'articolo 76, comma 7, del Dl 78/2010, ha indicato criteri di calcolo che comportano, quasi certamente, lo sforamento del vincolo appena indicato e, quindi, l'applicazione della sanzione. Nel contempo ha, forse involontariamente, indicato una strada per sopperire al problema.
Ma andiamo con ordine. Con la deliberazione 14/Aut/2011, i magistrati contabili risolvono alcuni dubbi sul consolidamento della spesa di personale delle società partecipate con quella degli enti locali ai fini del calcolo dell'incidenza della spesa di personale sulla spesa corrente. Il principio posto a base del consolidamento sta nella proporzionalità diretta: il valore dei corrispettivi pagati da ogni singolo ente determina il quantum della spesa di personale che spetta a ogni soggetto che partecipa in società a capitale pubblico totalitario o di controllo, che abbia ottenuto affidamenti senza gara (si veda l'articolo a lato).
Tre sono, quindi, le quantità che devono essere recuperate dal bilancio della società stessa o dalla relazione al rendiconto che i revisori inviano alla stessa Corte dei conti e che, a sua volta, richiama lo schema di conto economico del Codice civile:
- la spesa di personale della società, coincidente con la voce B9 del conto economico, senza alcuna decurtazione per fondi o accantonamenti. Ne fanno, quindi, parte anche l'accantonamento per il Tfr e per eventuali fondi di previdenza complementare. A questi fini, il concetto di spesa e di costo coincidono e il criterio guida è rappresentato dalla competenza economica;
- il valore della produzione della società, corrispondente, come specificato nelle istruzioni alla relazione, alla lettera A del conto economico;
- i corrispettivi pagati alla società per le prestazioni rese a favore dell'ente. Sottolineano i magistrati contabili che, in caso di servizio a tariffa, si devono considerare anche i ricavi associati agli utenti di ciascun ente partecipante alla società.
Il riparto avviene rapportando i corrispettivi (punto 3) al valore della produzione (punto 2) e moltiplicando il quoziente per la spesa di personale (punto 1). Questo è l'importo da consolidare con la spesa di personale dell'ente e l'operazione va ripetuta per ogni amministrazione partecipante la società.
I conti, però, non quadrano. Infatti, nel valore della produzione il Codice civile ricomprende anche altre voci che non sono direttamente correlate alle prestazioni di servizi, quali i contributi in conto esercizio, le variazioni delle rimanenze e gli incrementi delle immobilizzazioni per lavori interni. Ne consegue che una parte della spesa di personale potrebbe non essere imputata ai singoli enti o, in caso di variazione negativa delle scorte, la spesa imputata potrebbe superare la spesa effettiva di personale della società.
Ma la forte penalizzazione per gli enti è rappresentata dal consolidamento della sola spesa di personale, senza alcun incremento della quantità "spesa corrente". È evidente come, operando in tal modo, il valore del rapporto spesa di personale sulla spesa corrente si incrementi in modo significativo, in spregio a quel criterio di ragionevolezza e ai principi che si pongono a base del bilancio consolidato, che la stessa Corte auspica nella delibera in commento. Aumentare anche la spesa corrente dei costi che la società sostiene a fronte di ricavi non correlati a corrispettivi pagati dai singoli enti rappresenterebbe una misura sicuramente più equa. Emblematico è il caso delle farmacie.
Con molta probabilità, comunque, non è stata messa la parola fine: l'interpretazione proviene dalla sezione autonomie della Corte dei conti e non dalle sezioni riunite, e quindi non ha effetto vincolante per le sezioni regionali (articolo Il Sole 24 Ore del 09.01.2012 - tratto da www.corteconti.it).

AMBIENTE-ECOLOGIARifiuti, semplificazioni beffa. Per gli operatori resta l'obbligo di inviare il Mud entro aprile. Le misure introdotte dal dm 298/2011. Al Sistri vanno comunicati codici, quantità e destinazione.
Ormai è ufficiale: il termine per l'invio dei dati su produzione, recupero e smaltimento rifiuti relativi al periodo 2011 non coperto dal Sistri è slittato dal 31.12.2011 al 30.04.2012. Come disposto dal decreto 12.11.2011 dell'ormai ex ministro all'Ambiente Stefania Prestigiacomo approdato finalmente alla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale n. 298 del 23.12.2011.
L'esigenza di rinviare la scadenza al 30.04.2012 nasce da una serie di proroghe succedutesi a catena. Da ultimo quella dell'art. 13, comma 2, del dl 216/2011 (c.d. decreto «mille proroghe») pubblicato in G.U. n. 302 del 29.12.2011 che posticipava l'entrata in vigore del Sistri al 02.04.2012. Una posticipazione che seguiva quella già disposta dall'art. 6, comma 2, del dl 138/2011 (la manovra di fine estate), convertito con legge 14.09.2011 n. 148 e che prorogava il termine di entrata in operatività del Sistri al 09.02.2012.
Ciò in costanza dell'art. 12, comma 1, del dm 17.12.2009, come modificato con successivo dm del 22.12.2010, che disponeva che le informazioni relative all'anno 2011 sui rifiuti prodotti o gestiti fossero comunicate al Sistri entro il 31.12.2011 da parte dei soggetti tenuti alla presentazione del modello unico di dichiarazione ambientale (Mud) di cui alla legge 25.01.1994, n. 70.
Da ora, pertanto, sia i produttori iniziali di rifiuti sia le imprese e gli enti che effettuano operazioni di recupero e smaltimento, e che erano tenuti alla presentazione del Mud, dovranno comunicare al Sistri entro il prossimo 30 di aprile, compilando l'apposita scheda, le seguenti informazioni, relative al periodo dell'anno 2010 precedente all'operatività del sistema Sistri, sulla base dei dati inseriti nel registro di carico e scarico di cui all'articolo 190 del dlgs 03.04.2006, n. 152:
a) il quantitativo totale di rifiuti annotati in carico sul registro, suddiviso per codice Cer;
b) per ciascun codice Cer, il quantitativo totale annotato in scarico sul registro, con le relative destinazioni;
c) per le imprese e gli enti che effettuano operazioni di recupero e di smaltimento dei rifiuti, le operazioni di gestione dei rifiuti effettuate;
d) per ciascun codice Cer, il quantitativo totale che risulta in giacenza.
A questo punto è opportuno ricordare che tra gli obiettivi del Sistri c'era quello della semplificazione normativa ed operativa in favore delle imprese, oltre a quello del miglioramento della tracciabilità dei rifiuti. In realtà, sembra che così non si riesca affatto a ridurre il numero di adempimenti per le imprese. Il «tormentone» del Sistri e della sua entrata in vigore ha inoltre avuto il demerito di distrarre amministrazioni e opinione pubblica da altri temi di fondamentale importanza per l'Italia e l'Europa. Per esempio la Direttiva rifiuti n. 98/2008 (recepita dal dlgs n. 205/2010), che introduce degli obiettivi vincolanti di riuso e riciclaggio per i rifiuti domestici e per quelli derivanti dall'edilizia.
La recente Tabella di marcia per l'uso efficiente delle risorse, pubblicata nello scorso mese di settembre, prevede, fra l'altro, il miglioramento della gestione dei rifiuti attraverso un miglior utilizzo delle risorse e può aprire nuovi mercati e creare posti di lavoro, favorendo una minore dipendenza dalle importazioni di materie prime e consentendo di ridurre gli impatti ambientali (articolo ItaliaOggi Sette del 09.01.2012).

ENTI LOCALI - VARIImu-Ici, dieci gradi di separazione. Tra detrazioni familiari e case all'estero, cosa fa la differenza. Similitudini e diverse caratteristiche delle due imposte immobiliari, con gli effetti per i contribuenti.
L'Imu non è l'Ici. Almeno dieci differenze fanno sì che la nuova imposta abbia effetti diversi dalla vecchia comunale sugli immobili. Da quando la manovra Monti ha anticipato al 2012 l'entrata in vigore dell'Imu, questa è stata spesso definita come una sorta di Ici allargata e nulla più.
Si tratta, invece, di una nuova imposta che è vero che sostituisce l'Ici (ma non solo) e che ha non pochi punti in comune con la stessa, ma è anche vero che ha caratteristiche proprie. Ecco allora le dieci differenze di maggior rilevanza che saranno quelle che i contribuenti dovranno considerare per verificare convenienze e sconvenienze della nuova imposta.
1. Abitazione principale. Forse è la differenza che ha avuto la maggior pubblicità. Al contrario di quanto accadeva con l'Ici, con la nuova imposta anche l'abitazione principale sarà da assoggettare al tributo con un evidente aggravio per i titolari dell'abitazione principale (che fino a oggi non pagavano alcunché né ai fini Ici né ai fini Irpef). L'imposta sull'abitazione principale è fissata allo 0,4% ma i comuni hanno il potere di modificarla di 0,2 punti percentuali in più o in meno. Quindi la stessa potrà variare dallo 0,2 allo 0,6%.
2. Detrazione per carichi di famiglia. In sede di conversione per ogni figlio fino ai 26 anni di età, che vive in famiglia, è concessa una detrazione aggiuntiva a quella stabilita per l'abitazione principale di 50 euro. Il tetto massimo della nuova detrazione sarà di 400 euro da sommare ai 200 concessi in generale per l'abitazione principale (quindi il bonus massimo sarà di 600 euro). Lo sconto sarà efficace nel 2012 e 2013 mentre nulla si prevede con riguardo al 2014. Nessun previsione similare esisteva ai fini Ici (nemmeno quando era tassata l'abitazione principale).
3. Sostituzione dell'Irpef. Questa ulteriore differenza non sempre è stata messa in evidenza. La nuova Imu infatti oltre a sostituire l'Ici sostituisce anche l'Irpef e le addizionali sugli immobili non locati differenti dall'abitazione principale.
Da ciò i calcoli di convenienza rispetto al passato dovranno tener conto anche di tale situazione. Per le seconde o terze case solo un calcolo sul singolo caso potrà consentire di verificare l'effetto della nuova previsione anche se molto spesso si giungerà a individuare anche in questo caso un aggravio. I calcoli dell'esborso e quindi del confronto con la situazione attuale dovranno però tener conto anche del potere che è assegnato ai comuni per la rimodulazione delle aliquote e delle misure delle detrazioni.
4. Valore immobili. La base imponibile Imu è individuata partendo dal valore della rendita catastale rivalutato. Poi, come già succedeva con l'Ici, per passare dalla rendita al valore dell'immobile sono stati individuati alcuni moltiplicatori. Ma tali moltiplicatori sono ben più alti rispetto a quelli in vigore con l'Ici. Da qui naturalmente una logica conseguenza è quella che si assisterà a un incremento della base imponibile dell'imposta municipale rispetto a quella Ici.
Almeno per ora il nuovo valore così individuato esplica efficacia solo con riferimento all'imposta comunale. Guardando ai casi più comuni, gli effetti si faranno sentire non poco. Basti pensare che sulle abitazioni il nuovo moltiplicare di 160 sostituisce il precedente di 100 e sugli uffici il nuovo di 100 sostituisce il precedente di 50 (con una sorta di raddoppio della base imponibile).
5. Aliquote. Anche sul fronte delle aliquote non mancano le novità. La vecchia Ici prevedeva per le abitazioni una imposta che poteva variare dal 4 al 7 per mille, spazio entro cui i comuni poteva scegliere le differenziazioni che volevano introdurre nel loro territorio comunale. Ora invece sull'abitazione principale è fissata allo 0,4% ma i comuni hanno il potere di modificarla di 0,2 punti percentuali in più o in meno. Quindi la stessa potrà variare dallo 0,2 allo 0,6%.
Sugli immobili è fissata allo 0,76%, ma i comuni hanno il potere di modificarla di 0,3 punti percentuali in più o in meno. Quindi la stessa potrà variare dall'1,06% allo 0,46%. Inoltre la stessa è fissata allo 0,2% per i fabbricati rurali a uso strumentale e i comuni possono ridurre la suddetta aliquota fino allo 0,1%. Inoltre i comuni possono ridurre l'aliquota di base fino allo 0,4% nel caso di immobili non produttivi di reddito fondiario o nel caso di immobili posseduti da soggetti Ires, ovvero nel caso di immobili locati.
6. Potere regolamentare dei comuni. Anche in ambito Imu rimane fermo il potere regolamentare dei comuni, ovvero la possibilità degli stessi di modulare l'imposta con riguardo a specifiche fattispecie. Una particolarità riguarda però gli immobili inagibili e per i fabbricati realizzati per la vendita e non venduti dalle imprese che hanno per oggetto esclusivo o prevalente dell'attività la costruzione e l'alienazione di immobili. In tal caso l'Ici non era dovuta per espressa previsione normativa mentre di tale esclusione non vi è traccia nell'Imu. La stessa quindi potrà essere accordata, ma solo in via opzionale dai comuni esercitando il loro potere regolamentare.
7. Compartecipazioni erariale. L'Ici era un'imposta comunale il cui gettito finiva interamente nelle casse dell'ente periferico. Non è così per l'Imu. È stata, infatti, prevista una compartecipazione dello stato all'Imu nella misura: del 50% dell'imposta determinata applicando l'aliquota di base di cui al (0,76%) alla base imponibile di tutti gli immobili, a eccezione dell'abitazione principale e dei fabbricati rurali. In tal caso le detrazioni e le riduzioni di aliquota deliberate dai comuni, non si applicano alla quota di imposta riservata allo stato di cui al periodo precedente.
Ora ciò può avere un effetto diretto per i contribuenti. Se gli immobili diversi dalla casa di abitazione e quelli rurali il gettito dovrà essere devoluto allo stato nella misura del 50% dell'imposta totale calcolata con l'aliquota dello 0,76% sarà ben difficile che i comuni sfruttando il loro potere giungeranno ad abbattere tale aliquota perché così facendo correrebbero il rischio di incassare solo poco più di quello che in ogni caso sarà il gettito di competenza (per legge) dell'erario centrale.
8. Fabbricati rurali. Niente sconti per i fabbricati rurali. La nuova Imu cancella l'esenzione Ici per i fabbricati rurali. Tali immobili pagheranno con un'aliquota ridotta allo 0,2% nel caso di fabbricati rurali ad uso strumentale (quindi stalle, depositi attrezzi, ecc). Vi è però la possibilità dei comuni di abbattere l'aliquota allo 0,1%. Nel caso di fabbricati rurali a destinazione abitativa non vi sono differenze rispetto alla tassazione di tutti i fabbricati abitativi non rurali. Se il fabbricato rurale a uso abitativo, è abitazione principale pagherà l'Imu in base all'aliquota e alle detrazioni stabilite per detta fattispecie. Se invece non è abitazione principale, sarà assoggettato all'Imu secondo le regole ordinarie.
9. Fabbricati esteri. Anche se tecnicamente ha un altro nome un'altra differenza rispetto all'Ici è che la nuova imposizione colpirà anche gli immobili esteri. Il decreto Monti ha introdotto un'imposta sul valore degli immobili situati all'estero stabilita nella misura dello 0,76% del valore degli immobili specificando che lo stesso è costituito dal costo risultante dall'atto di acquisto o dai contratti e, in mancanza, secondo il valore di mercato rilevabile nel luogo in cui è situato l'immobile. Quindi in prima battuta vale il costo di acquisto, ma se non vi è la possibilità di dimostrarlo (o forse anche se lo stesso non esiste in quanto l'immobile è pervenuto in forma gratuita) ecco allora che interviene il valore di mercato.
10. Pagamenti. Qui il cantiere è ancora aperto. Le abituali scadenze Ici erano quella del 16 giugno e del 16 dicembre. Entro la prima data occorreva versare l'acconto d'imposta per l'anno in corso ed entro la seconda il saldo di quanto dovuto.
Il decreto sul federalismo prevede invece scadenze differenti. Si prevede infatti che il pagamento dell'Imu intervenga in un minimo di 4 rate:
● 31 marzo
● 16 giugno
● 30 settembre
● 16 dicembre.
Sul punto saranno necessari i chiarimenti della prassi soprattutto in sede di prima applicazione che presumibilmente dovranno indicheranno anche gli obblighi dichiarativi correlati alla nuova imposta (articolo ItaliaOggi Sette del 09.01.2012).

PUBBLICO IMPIEGO - VARIDalla riforma delle pensioni a guadagnarci sono gli autonomi. Le nuove prestazioni previdenziali: accesso ridotto di un semestre per artigiani e commercianti.
Artigiani e commercianti vanno in pensione di vecchiaia sei mesi prima. Gli unici a guadagnarci dalla riforma Monti, infatti, sono i lavoratori autonomi che già da quest'anno possono accedere sei mesi prima al riposo. È la nuova pensione di vecchiaia, che eleva il requisito dell'età (senza più la vecchia «finestra mobile») quasi a 66 anni per dipendenti e autonomi uomini e per le donne del pubblico impiego, a 63 anni e 6 mesi per le lavoratrici autonome e a 62 anni per le donne del privato (requisiti per il 2012).
La nuova pensione di vecchiaia. Dall'anno 2012 scompaiono le pensioni di vecchiaia, di vecchiaia anticipata e di anzianità, sostituite da due sole prestazioni: la «pensione di vecchiaia» e la «pensione anticipata». Dal 2012, in particolare, esiste un solo trattamento di vecchiaia che si consegue, con riferimento a «tutti» i lavoratori e per l'anno 2012, in presenza di un requisito minimo contributivo pari a 20 anni (che sostituisce il vecchio requisito di 20 di contribuzione per la pensione di vecchiaia retributiva e quello di 5 anni per la pensione di vecchiaia contributiva) e un'età non inferiore: 66 anni per i lavoratori dipendenti e autonomi, compresi quelli iscritti alla gestione separata Inps (co.co.co. e lavoratori a progetto); 62 anni per le lavoratrici dipendenti del settore privato; 63 anni e 6 mesi per le lavoratrici autonome del settore privato, comprese quelle iscritte alla gestione separata Inps (co.co.co. e lavoratrici a progetto); 66 anni per i lavoratori dipendenti del settore pubblico.
Va notato, tuttavia, che l'innalzamento dell'età non sempre corrisponde a un effettivo aumento del requisito per il diritto alla pensione, perché i nuovi requisiti inglobano anche il tempo di attesa per la «decorrenza» della pensione, che nella vecchia disciplina era rappresentato dalla «finestra mobile».
Oltre al requisito di età e di contribuzione, inoltre, se il lavoratore appartiene pienamente al regime contributivo (cioè ha iniziato a lavorare a partire dall'01.01.1996), per il diritto alla pensione di vecchiaia occorre che soddisfi un'ulteriore condizione: l'assegno di pensione non deve risultare di importo inferiore a 1,5 volte l'assegno sociale (in precedenza questo limite era di 1,2 volte). Non è necessario soddisfare la predetta soglia minima da parte di chi è in possesso di un'età pari a 70 anni; in tal caso, inoltre, è sufficiente anche un'anzianità contributiva minima effettiva di soli 5 anni. Tale importo soglia (1,5 volte l'assegno sociale) è soggetto all'annuale rivalutazione sulla base della variazione media quinquennale del prodotto interno lordo (pil) nominale, appositamente calcolata dall'Istat, con riferimento al quinquennio precedente l'anno da rivalutare.
Novità assoluta della nuova pensione di vecchiaia è la flessibilità che si sostanzia in un meccanismo premiale a favore di chi ritardi l'accesso alla pensione, rispetto all'età minima prestabilita per legge e fino a 70 ani. Chi prosegue l'attività lavorativa oltre l'età minima di pensione, in altre parole, è premiato con l'applicazione di un «coefficiente di trasformazione» di misura più conveniente. A tal fine, questi coefficienti (che sono i tassi percentuali che applicati al montante contributivo danno la misura della pensione) saranno predeterminati fino all'età di 70 anni (salvo successivi adeguamenti alla speranza di vita).
Poiché, come già detto, la revisione del requisito di età ha decretato l'abrogazione definitiva delle finestre di pensionamento, dall'01.01.2012 la pensione decorre dal mese successivo a quello di maturazione dei requisiti per il diritto (ossia cessazione dal lavoro) (articolo ItaliaOggi Sette del 09.01.2012).

GIURISPRUDENZA

APPALTIL'art. 38, del D.Lgs. 12.04.2006 n. 163, nel prevedere l'esclusione dalla gara pubblica dell'impresa che sia incorsa in grave negligenza o malafede nell'esecuzione di lavori affidati dalla stazione appaltante, postula una valutazione di gravità fatta dalla stessa Amministrazione; infatti l'esclusione, in tale ipotesi, non ha carattere sanzionatorio, ma è prevista a presidio dell'elemento fiduciario destinato a connotare, sin dal momento genetico, i rapporti contrattuali con la P.A., sicché, in mancanza di vulnus a siffatto elemento, la comminatoria dell’esclusione non ha ragion d’essere.
---------------
Secondo un primo filone giurisprudenziale in tema di dichiarazioni ex art. 38 del D.Lgs. 12.04.2006 n. 163, la puntualizzazione del tipo "per quanto a mia conoscenza" inserita in una dichiarazione sostitutiva, resa ai sensi dell'art. 47 comma 2, D.P.R. 28.12.2000 n. 445, relativa all'inesistenza di condanne nei confronti di amministratori e direttori tecnici cessati dalla carica, renderebbe del tutto priva di valore e tamquam non esset la dichiarazione rilasciata, venendo a mancare una vera e propria assunzione di responsabilità insita, invece, in tale tipo di dichiarazione e alla base dell'affidamento che è chiamata a riporvi l'amministrazione appaltante.
Secondo un diverso e più recente orientamento non deve ritenersi viziata la dichiarazione contenente l’inciso “per quanto a mia conoscenza” in quanto esso sarebbe giustificato dal fatto che la dichiarazione riguarda gli amministratori cessati dalla carica, cui non può essere imposto il rilascio di dichiarazioni personali e in riferimento ai quali chi rappresenta l’impresa può attestare quanto è a sua conoscenza, salvo ovviamente possibili richieste integrative da parte della stazione appaltante.
Il Collegio ritiene più persuasivo l’orientamento da ultimo riportato in quanto più aderente alla ratio sottesa al dato normativo in rassegna, dovendosi fare salva, in ogni caso e anche alla luce dell’ormai codificato principio di tassatività delle cause di esclusione per vizi meramente formali, la possibilità per la stazione appaltante di attivare il cosiddetto dovere di soccorso chiedendo, eventualmente, integrazioni e chiarimenti in ordine alle dichiarazioni rese.
---------------
L'art. 84 del D.Lgs. 12.04.2006, n. 163, nel dettare le regole per la nomina della commissione giudicatrice nelle gare da aggiudicare con il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa, non codifica un principio di carattere generale in materia di appalti e di conseguenza non trova applicazione nelle gare indette con il criterio del prezzo più basso.
Ciò in quanto l'applicazione del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa implica l'esercizio di un potere di scelta tecnico-discrezionale da parte della commissione, mentre al criterio del prezzo più basso fa da sponda una scelta pressoché automatica da effettuare mediante il mero utilizzo dei parametri tassativi prescritti dal disciplinare di gara.
---------------
In tema di procedure di affidamento di appalti pubblici, l'art. 81 del D.Lgs. 12.04.2006 n. 163, pone una sostanziale equipollenza tra i criteri di valutazione delle offerte, la cui scelta è rimessa all'apprezzamento discrezionale della Stazione appaltante, con il limite dell'adeguatezza, della logicità e della ragionevolezza del sistema prescelto in relazione alle caratteristiche dell'appalto desumibili dalle prescrizioni del bando di gara e del capitolato speciale.

In proposito si osserva che l’art. 38, comma 1, lett. f, del D.Lgs. 163/2006 stabilisce che sono esclusi dalla partecipazione alle procedure di affidamento i soggetti che “secondo motivata valutazione della stazione appaltante, hanno commesso grave negligenza o malafede nell'esecuzione delle prestazioni affidate dalla stazione appaltante che bandisce la gara”.
Nel caso di specie, come risulta dalla documentazione in atti, si era trattato di prestazioni aggiuntive non dedotte in convenzione: come condivisibilmente osservato dalla difesa della stazione appaltante si trattava di forme di incentivazione degli obiettivi premiali della ASL non facenti parte delle prestazioni dovute in forza della convenzione, con la conseguenza della non riconducibilità di detta inadempienza a fattispecie di grave negligenza o malafede.
In ogni caso la valutazione della gravità è rimessa, ex lege, alla stazione appaltante la quale, con tutta evidenza, non ha ritenuto le pregresse vicende occorse in fase di sperimentazione di gravità tale da vulnerare il rapporto fiduciario con le imprese in questione.
Invero, l'art. 38, del D.Lgs. 12.04.2006 n. 163, nel prevedere l'esclusione dalla gara pubblica dell'impresa che sia incorsa in grave negligenza o malafede nell'esecuzione di lavori affidati dalla stazione appaltante, postula una valutazione di gravità fatta dalla stessa Amministrazione; infatti l'esclusione, in tale ipotesi, non ha carattere sanzionatorio, ma è prevista a presidio dell'elemento fiduciario destinato a connotare, sin dal momento genetico, i rapporti contrattuali con la P.A., sicché, in mancanza di vulnus a siffatto elemento, la comminatoria dell’esclusione non ha ragion d’essere (cfr. per il principio: Cons. Stato, sez. V, 21.01.2011, n. 409).
---------------
Con i primi motivi aggiunti la ricorrente ha, poi, censurato la mancata esclusione dalla gara di Vitalaire, risultata aggiudicataria dei lotti 3, 5, 6 e 7, in quanto tutte le dichiarazioni riguardanti i soggetti cessati dalla carica nel triennio sia di Vitalaire che dell’ausiliaria Air Liquide, rese ai sensi dell’art. 38, comma 1, lett. c), del codice dei contratti, contenenti la precisazione “per quanto a mia conoscenza”, sarebbero inesistenti in quanto contenenti una inammissibile limitazione all’assunzione di responsabilità.
Osserva il Collegio che sul tema si registrano, in giurisprudenza, orientamenti contrastanti.
Secondo un primo filone giurisprudenziale in tema di dichiarazioni ex art. 38 del D.Lgs. 12.04.2006 n. 163, la puntualizzazione del tipo "per quanto a mia conoscenza" inserita in una dichiarazione sostitutiva, resa ai sensi dell'art. 47 comma 2, D.P.R. 28.12.2000 n. 445, relativa all'inesistenza di condanne nei confronti di amministratori e direttori tecnici cessati dalla carica, renderebbe del tutto priva di valore e tamquam non esset la dichiarazione rilasciata, venendo a mancare una vera e propria assunzione di responsabilità insita, invece, in tale tipo di dichiarazione e alla base dell'affidamento che è chiamata a riporvi l'amministrazione appaltante (TAR Sicilia Palermo, sez. III, 22.10.2010, n. 13015; TAR Sicilia Catania, sez. IV, 09.12.2009, n. 2032).
Secondo un diverso e più recente orientamento non deve ritenersi viziata la dichiarazione contenente l’inciso “per quanto a mia conoscenza” in quanto esso sarebbe giustificato dal fatto che la dichiarazione riguarda gli amministratori cessati dalla carica, cui non può essere imposto il rilascio di dichiarazioni personali e in riferimento ai quali chi rappresenta l’impresa può attestare quanto è a sua conoscenza, salvo ovviamente possibili richieste integrative da parte della stazione appaltante (Cons. Stato, Sez. V, 30.06.2011, n. 3926).
Il Collegio ritiene più persuasivo l’orientamento da ultimo riportato in quanto più aderente alla ratio sottesa al dato normativo in rassegna, dovendosi fare salva, in ogni caso e anche alla luce dell’ormai codificato principio di tassatività delle cause di esclusione per vizi meramente formali, la possibilità per la stazione appaltante di attivare il cosiddetto dovere di soccorso chiedendo, eventualmente, integrazioni e chiarimenti in ordine alle dichiarazioni rese.
---------------
Il primo di tali motivi riguarderebbe la violazione dell’art. 84, comma 4, del D.Lgs. 163/2006, in quanto sarebbe stata nominata componente della commissione giudicatrice la dott.ssa ... che ha svolto anche funzioni di RUP.
Il motivo è infondato.
Come correttamente osservato dalla difesa dell’amministrazione, quella invocata è una norma inapplicabile alla fattispecie per cui è causa in cui, essendo l’aggiudicazione da effettuare con il criterio del prezzo più basso, la commissione si limiterebbe a svolgere funzioni per così dire notarili; viceversa nelle gare da aggiudicarsi con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, a presidio delle quali è dettata la suddetta norma, va controbilanciato con opportune cautele di imparzialità, il potere discrezionale riservato alla commissione di gara.
Del resto è innegabile la differenza ontologica esistente tra i due sistemi di aggiudicazione: invero l'art. 84 del D.Lgs. 12.04.2006, n. 163, nel dettare le regole per la nomina della commissione giudicatrice nelle gare da aggiudicare con il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa, non codifica un principio di carattere generale in materia di appalti e di conseguenza non trova applicazione nelle gare indette con il criterio del prezzo più basso.
Ciò in quanto l'applicazione del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa implica l'esercizio di un potere di scelta tecnico-discrezionale da parte della commissione, mentre al criterio del prezzo più basso fa da sponda una scelta pressoché automatica da effettuare mediante il mero utilizzo dei parametri tassativi prescritti dal disciplinare di gara (Cons. Stato, sez. IV, 23.09.2008, n. 4613).
D’altra parte non va sottaciuto che la ricorrente si è limitata a prospettare la censura sotto un profilo meramente formale senza esplicitare in alcun modo le eventuali ricadute sul piano sostanziale o l’eventuale vulnus che la asserita irregolarità avrebbe arrecato alla procedura di gara e al principio di correttezza e buon andamento dell’azione amministrativa.
---------------
In tema di procedure di affidamento di appalti pubblici, l'art. 81 del D.Lgs. 12.04.2006 n. 163, pone una sostanziale equipollenza tra i criteri di valutazione delle offerte, la cui scelta è rimessa all'apprezzamento discrezionale della Stazione appaltante, con il limite dell'adeguatezza, della logicità e della ragionevolezza del sistema prescelto in relazione alle caratteristiche dell'appalto desumibili dalle prescrizioni del bando di gara e del capitolato speciale (TAR Sicilia Palermo, sez. III, 26.06.2008, n. 853)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 10.01.2012 n. 57 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: L'onere di immediata impugnazione del bando di gara è strettamente riconnesso alla contestazione di clausole riguardanti requisiti soggettivi di partecipazione, ostative all'ammissione dell'interessato o al più impositive, ai fini della partecipazione, di oneri manifestamente incomprensibili o del tutto sproporzionati per eccesso rispetto ai contenuti della procedura concorsuale, laddove siano assimilabili, per struttura e modo di operare, a quelle concernenti i requisiti soggettivi.
Va, viceversa, escluso un siffatto onere nei riguardi di ogni altra clausola dotata solo di astratta e potenziale lesività, la cui idoneità a produrre una concreta e attuale lesione può essere valutata unicamente all'esito, non scontato, della medesima procedura e solo in caso in cui tale esito sia negativo per l'interessato; è evidente, tuttavia, che un siffatto onere non sussiste nel caso della particolare previsione della lex specialis di gara che non sortisca valenza immediatamente escludente, né renda oltremodo difficoltosa la partecipazione alla procedura.

L'onere di immediata impugnazione del bando di gara è strettamente riconnesso alla contestazione di clausole riguardanti requisiti soggettivi di partecipazione, ostative all'ammissione dell'interessato o al più impositive, ai fini della partecipazione, di oneri manifestamente incomprensibili o del tutto sproporzionati per eccesso rispetto ai contenuti della procedura concorsuale, laddove siano assimilabili, per struttura e modo di operare, a quelle concernenti i requisiti soggettivi.
Va, viceversa, escluso un siffatto onere nei riguardi di ogni altra clausola dotata solo di astratta e potenziale lesività, la cui idoneità a produrre una concreta e attuale lesione può essere valutata unicamente all'esito, non scontato, della medesima procedura e solo in caso in cui tale esito sia negativo per l'interessato; è evidente, tuttavia, che un siffatto onere non sussiste nel caso della particolare previsione della lex specialis di gara che non sortisca valenza immediatamente escludente, né renda oltremodo difficoltosa la partecipazione alla procedura (Cons. Stato, sez. VI, 04.10.2011, n. 5434) (TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 10.01.2012 n. 56 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIIn sede di valutazione comparativa delle offerte, il giudizio di discrezionalità tecnica –caratterizzato dalla complessità delle discipline specialistiche di riferimento e dalla opinabilità dell'esito della valutazione– sfugge al sindacato del giudice amministrativo in sede di legittimità laddove non vengano in rilievo indici sintomatici del non corretto esercizio del potere sotto il profilo del difetto di motivazione, di illogicità manifesta, della erroneità dei presupposti di fatto e di incoerenza della procedura valutativa e dei relativi esiti.
-------------
Spesso il filo che separa il canone oggettivo di valutazione dell’offerta ed il requisito soggettivo delle imprese concorrenti è particolarmente sottile, attesa la potenziale idoneità dei profili di organizzazione soggettiva a riverberarsi sull’affidabilità e sull’efficienza dell’offerta e, quindi, della prestazione. Tale commistione inestricabile, che rende in concreto non pertinente il principio astratto fin qui enucleato, viene, segnatamente, in rilievo quante volte la lex specialis valorizzi non già i requisiti soggettivi in sé intesi, bensì quei profili soggettivi capaci di ripercuotersi in modo specifico sull’espletamento dell’attività appaltata, con riferimento precipuo alle caratteristiche del personale, delle attrezzature e delle strutture logistiche da adibire alle prestazioni oggetto dell’appalto.
Dall’esperienza maturata da una concorrente possono trarsi indici significativi della qualità delle prestazioni e dell’affidabilità dell’impresa, qualora tali aspetti non risultino preponderanti nella valutazione complessiva dell’offerta.
---------------
La gara aggiudicata con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa è una procedura composta da varie fasi, alcune delle quali necessitano di competenze amministrative ed altre, invece, di competenze tecniche: le fasi amministrative possono state espletate in seduta pubblica da un funzionario/dirigente coadiuvato da testimoni e dall’Ufficiale rogante, mentre la fase di valutazione delle offerte tecniche può essere demandata ad una diversa Commissione composta da esperti.
--------------
Non è impedita la nomina di consulenti esterni alla Commissione di gara qualora ciò sia necessario per determinate circostanze tecniche e lo stesso non partecipi alla fase deliberativa.
---------------
Il principio di continuità della procedura ad evidenza pubblica ha valenza solo orientativa, potendo essere derogato sia in ragione della complessità delle operazioni di gara, sia in presenza di situazioni particolari che impediscono la concentrazione delle attività in una sola seduta.
Anche il Consiglio di Stato ha affermato che il principio di continuità delle gare pubbliche è meramente tendenziale, ben suscettibile di deroga laddove affiorino circostanze oggettive, non necessariamente richiamate nei verbali, che impongano una ponderata attività di valutazione in relazione alla complessità dell’oggetto della gara e ai requisiti richiesti.

In linea generale premette il Collegio che la giurisprudenza amministrativa è concorde nell'affermare che, in sede di valutazione comparativa delle offerte, il giudizio di discrezionalità tecnica –caratterizzato dalla complessità delle discipline specialistiche di riferimento e dalla opinabilità dell'esito della valutazione– sfugge al sindacato del giudice amministrativo in sede di legittimità laddove non vengano in rilievo indici sintomatici del non corretto esercizio del potere sotto il profilo del difetto di motivazione, di illogicità manifesta, della erroneità dei presupposti di fatto e di incoerenza della procedura valutativa e dei relativi esiti (cfr. Consiglio di Stato, sez. V – 01/10/2010 n. 7262; TAR Trentino Alto Adige Trento – 28/10/2010 n. 207; TAR Campania Napoli, sez. VII – 08/06/2007 n. 6043, confermata in appello).
---------------
E’ stato rilevato in giurisprudenza che spesso il filo che separa il canone oggettivo di valutazione dell’offerta ed il requisito soggettivo delle imprese concorrenti è particolarmente sottile, attesa la potenziale idoneità dei profili di organizzazione soggettiva a riverberarsi sull’affidabilità e sull’efficienza dell’offerta e, quindi, della prestazione. Tale commistione inestricabile, che rende in concreto non pertinente il principio astratto fin qui enucleato, viene, segnatamente, in rilievo quante volte la lex specialis valorizzi non già i requisiti soggettivi in sé intesi, bensì quei profili soggettivi capaci di ripercuotersi in modo specifico sull’espletamento dell’attività appaltata, con riferimento precipuo alle caratteristiche del personale, delle attrezzature e delle strutture logistiche da adibire alle prestazioni oggetto dell’appalto (Consiglio di Stato, sez. V – 21/05/2010 n. 3208).
Nella fattispecie ad avviso del Collegio gli aspetti organizzativi del servizio (organizzazione generale, tipo di automezzi, procedure di pulizia e disinfezione, caratteristiche dell’hardware e del software dedicato, imballaggi, detergenti e mezzi di trasporto a basso impatto ambientale) non sono apprezzati in modo autonomo, avulso dal contesto dell’offerta, ma quali elementi idonei ad incidere sulle modalità esecutive del servizio specifico e, quindi, quale parametro afferente alle caratteristiche oggettive dell’offerta (TAR Lazio Roma, sez. III – 07/02/2011 n. 1128). In altri termini i citati criteri di valutazione dell’offerta tecnica attengono ad aspetti organizzativi e logistici della struttura aziendale da predisporre a supporto dell’espletamento del servizio ed idonei a qualificarne sotto un profilo oggettivo la prestazione: essi costituiscono cioè il portato di esigenze logistiche, strutturali ed organizzative strettamente inerenti alla natura oggettiva delle prestazioni da assolvere da parte dell’impresa aggiudicataria.
Peraltro occorre anche dare conto dell’orientamento secondo il quale dall’esperienza maturata da una concorrente possono trarsi indici significativi della qualità delle prestazioni e dell’affidabilità dell’impresa, qualora tali aspetti non risultino preponderanti nella valutazione complessiva dell’offerta (TAR Umbria – 25/02/2011 n. 61; si veda anche TAR Lombardia Brescia, sez. II – 21/01/2011 n. 140).
---------------
La giurisprudenza ha recentemente statuito (cfr. Consiglio di Stato, sez. V – 13/10/2010 n. 7470; sentenza Sezione 05/01/2011 n. 21) che la gara aggiudicata con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa è una procedura composta da varie fasi, alcune delle quali necessitano di competenze amministrative ed altre, invece, di competenze tecniche: le fasi amministrative possono state espletate in seduta pubblica da un funzionario/dirigente coadiuvato da testimoni e dall’Ufficiale rogante, mentre la fase di valutazione delle offerte tecniche può essere demandata ad una diversa Commissione composta da esperti.
-------------
Il Collegio richiama le conclusioni giurisprudenziali secondo cui non è impedita la nomina di consulenti esterni alla Commissione di gara qualora ciò sia necessario per determinate circostanze tecniche e lo stesso non partecipi alla fase deliberativa (TAR Toscana, sez. II – 13/10/2010 n. 6455).
---------------
Il principio di continuità della procedura ad evidenza pubblica ha valenza solo orientativa, potendo essere derogato sia in ragione della complessità delle operazioni di gara, sia in presenza di situazioni particolari che impediscono la concentrazione delle attività in una sola seduta (TAR Campania Napoli, sez. VIII – 02/07/2010 n. 16568; TAR Lazio Roma, sez. III – 09/12/2010 n. 35952).
Anche il Consiglio di Stato (sez. VI – 29/12/2010 n. 9577) ha affermato che il principio di continuità delle gare pubbliche è meramente tendenziale, ben suscettibile di deroga laddove affiorino circostanze oggettive, non necessariamente richiamate nei verbali, che impongano una ponderata attività di valutazione in relazione alla complessità dell’oggetto della gara e ai requisiti richiesti.
Il caso esaminato riguarda una procedura selettiva delicata ed importante, che ha richiesto una pluralità di sedute solo per l’esame della documentazione tecnica e l’attribuzione dei relativi punteggi, e rispetto alla quale era prevista dalla lex specialis la possibilità di ricorrere a sopralluoghi di verifica.
Pertanto il prolungamento della tempistica può considerarsi nella specie pienamente giustificato
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 10.01.2012 n. 4 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVIL'atto con cui si dispone il differimento dell'accesso deve, tuttavia, specificamente indicare l'analitica sussistenza delle circostanze a ciò legittimanti, in tale norma previste (e consistenti nella salvaguardia di “specifiche esigenze dell'amministrazione, specie nella fase preparatoria dei provvedimenti, in relazione a documenti la cui conoscenza possa compromettere il buon andamento dell'azione amministrativa”); e deve, altresì, indicare il termine e la durata di tale differimento.
Invero, in ordine alla domanda di accesso di quest’ultimo, in detta nota il Consorzio oppone unicamente la circostanza obiettiva dell’essere il procedimento amministrativo in corso, precisando che “ogni ulteriore documento amministrativo inerente la pratica in discorso potrà essere visionato, previa esplicita richiesta (…)” successivamente alla sua conclusione.
Si tratta, cioè, di un vero e proprio differimento dell’accesso ex artt. 9 D.P.R. 12.04.2006 n. 184.
Ma sul punto la giurisprudenza, condivisa dal Collegio, è nel senso che l'atto con cui si dispone il differimento dell'accesso deve, tuttavia, specificamente indicare l'analitica sussistenza delle circostanze a ciò legittimanti, in tale norma previste (e consistenti nella salvaguardia di “specifiche esigenze dell'amministrazione, specie nella fase preparatoria dei provvedimenti, in relazione a documenti la cui conoscenza possa compromettere il buon andamento dell'azione amministrativa”); e deve, altresì, indicare il termine e la durata di tale differimento (cfr., per questi principi: TAR Lazio, sez. III, 07.04.2010, n. 5760, par. 2.3.1.) (TAR Lombardia-Brescia, sez. II, sentenza 09.01.2012 n. 3 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Lavori abusivi ultimati, dissequestro e prosecuzione lavori: meglio non fare i furbi.
Integra il reato di costruzione senza concessione edilizia la condotta di colui che, dopo aver ottenuto il dissequestro e la restituzione dell'immobile abusivamente realizzato per intervenuta ultimazione dei lavori, prosegue l'attività edilizia illecita, a nulla rilevando l'entità dei lavori medio tempore eseguiti.
Interessante la questione affrontata dalla Suprema Corte con la sentenza in esame, relativa all’esecuzione di lavori edilizi abusivamente realizzati in difetto di titolo abilitativo che, a seguito del sequestro intervenuto da parte dell’Autorità giudiziaria, avevano consentito al contravventore di rientrare nella disponibilità del manufatto abusivo, di cui era stata constatata l’avvenuta ultimazione. Quest’ultimo, però, non appena rientrato in possesso dell’immobile aveva ben pensato di completare l’attività edilizia abusivamente iniziata, proseguendo i lavori senza richiedere alcun titolo abilitativo.
La Corte, con una decisione ineccepibile, ha rigettato il ricorso per cassazione proposto dall’imputato contro l’ordinanza del tribunale del riesame che, nel confermare il nuovo sequestro disposto dall’Autorità giudiziaria, aveva rigettato le doglianze difensive secondo cui l’immobile non sarebbe stato più sequestrabile dopo l’intervenuta restituzione, in quanto i lavori eseguiti dopo il dissequestro erano consistiti in sole opere interne.
Il fatto.
Come anticipato, i fatti addebitati all’imputato conseguivano all’intervenuto sequestro, operato di iniziativa da parte della polizia giudiziaria, di un immobile abusivamente realizzato dall’imputato, sequestro che era stato determinato dalla prosecuzione dei lavori (si trattava di opere interne in assenza di titolo abilitativo) accertata dopo che il predetto immobile, di cui era stata ordinata la demolizione, era stato dissequestrato e restituito al medesimo imputato da parte del tribunale, dopo che era intervenuta la condanna per essere stato edificato senza titolo abilitativo, in zona sismica, senza osservare le norme in materia di conglomerato cementizio armato e, come se non bastasse, anche per il reato di violazione di sigilli.
Il ricorso.
Resisteva alla condanna la difesa dell’imputato, eccependo il vizio di violazione di legge sul presupposto che la condotta accertata, autonomamente valutata, non integrava alcuna reato non richiedendo l’esecuzione delle opere interne alcun titolo concessorio.
La decisione della Cassazione.
La Corte ha, però, disatteso la prospettazione difensiva, rigettando il ricorso dell’imputato. Osservano, sul punto gli Ermellini, come il provvedimento impugnato abbia correttamente focalizzato la natura permanente dell’illecito urbanistico che, in base alla consolidata giurisprudenza di legittimità, cessa nel caso di realizzazione di immobile privo di titolo abilitativo con la sua ultimazione, ivi comprese le rifiniture.
Sulla natura di illecito permanente del reato urbanistico, non v’è invero alcun dubbio in giurisprudenza (v. per tutte, Cass., Sez. U, n. 17178 del 27/02/2002, dep. 08/05/2002, imp. Cavallaro, in Ced Cass., n. 221399, secondo cui il reato di costruzione in assenza di concessione edilizia -previsto dall'allora vigente art. 20, lett. b), della legge 28.02.1985 n. 47, oggi sostituito dall’art. 44, comma 1, lett. b), del d.P.R. 06.06.2001, n. 380- ha natura permanente e la relativa consumazione perdura fino alla cessazione dell'attività abusiva).
Prosegue, peraltro, la Cassazione, osservando come è senz’altro vero che la sentenza di condanna –ove l’immobile non risulti ultimato– determina la cessazione della permanenza secondo i principi generali ovviamente valevoli anche nella materia specifica; tuttavia, proseguono i giudici di Piazza Cavour, ciò accade in quanto la condanna medesima va considerata, al pari del sequestro, evento impeditivo della prosecuzione dei lavori.
Anche su tale profilo, la giurisprudenza appare unanime e concordemente orientata, sia quanto al reato edilizio che quanto al reato paesaggistico. Ad esempio, si è affermato che tali reati sono reati permanenti, nel senso che la loro consumazione si protrae fino al compimento dell'opera abusiva, o comunque fino al verificarsi di un evento impeditivo della prosecuzione dei lavori; evento che, con riferimento alle vicende del processo penale, si individua nella sentenza di condanna in primo grado o, ancor prima, nel sequestro dell'opera e che determina "ex se" la cessazione della condotta antigiuridica. L'eventuale prosecuzione di questa dà luogo ad una nuova violazione della legge penale (Cass., Sez. 3, n. 7286 del 06/05/1994, dep. 23/06/1994, imp. C., in Ced Cass., n. 198200).
Alla stregua delle considerazioni che precedono, dunque, la continuazione dei lavori sull’immobile non ultimato (e non restituito a seguito della decisione di condanna in vista della demolizione) non può che sostanziarsi, secondo la Corte, se non nella prosecuzione dell’attività illecita. Ed è, quindi, per tale ragione, che la condotta successiva alla restituzione in vista dell’ultimazione dei lavori costituisce, in sé, illecito penale a prescindere, soggiunge la Cassazione, dalla entità dell’intervento realizzato.
Trattasi di valutazione che, secondo la Cassazione, è valevole anche in caso di condono edilizio. Come, infatti, affermato già in passato, nel caso di restituzione dell'immobile oggetto di condono al legittimo proprietario a seguito di dissequestro la costruzione può essere proseguita soltanto nel rispetto della procedura stabilita dall'art. 35, comma 15, della legge 28.02.1985 n. 47 (che prevede, decorsi 120 giorni dal versamento della seconda rata la notifica al Comune dell'intendimento di proseguire i lavori, con allegazione di una perizia giurata o di una documentazione equipollente sullo stato dei lavori abusivi, i quali possono essere ripresi dopo 30 giorni dalla suddetta notificazione): in difetto, la prosecuzione dei lavori configura un nuovo ed autonomo reato urbanistico (Cass., Sez. 3, Ord. n. 3530 del 08/11/2000, dep. 01/12/2000, imp. M., in Ced Cass., n. 218001).
Conclude, infine, la Corte il proprio percorso argomentativo evidenziando come non vi è alcuno spazio, nel caso in esame, per invocare la lesione di principi costituzionali, essendo errata la premessa secondo cui, in tal modo, assumono rilevanza penale condotte altrimenti sanzionate solo sul piano amministrativo, in quanto il diverso regime delle sanzioni si giustifica in relazione all’illiceità originaria del manufatto su cui avviene la prosecuzione dei lavori.
Anche su tale questione, non possono esservi dubbi. Ed infatti, a prescindere dalla necessità o meno di titolo abilitativo edilizio per le opere interne, la stessa Cassazione ha da sempre ritenuto legittimo il sequestro preventivo di un immobile nel quale risultano realizzate opere interne che ne abbiano comportato il mutamento della destinazione d'uso, realizzandosi in questo caso un'ipotesi di aggravamento del carico urbanistico (Cass., Sez. 4, n. 34976 del 09/07/2010, dep. 28/09/2010, imp. N., in Ced Cass., n. 248345; Id., Sez. 3, n. 22866 del 19/04/2007, dep. 13/06/2007, imp. L., in Ced Cass., n. 236881; Id., Sez. 3, n. 594 del 07/12/2006, dep. 15/01/2007, imp. M., in Ced Cass., n. 235870, che peraltro precisa che ciò è possibile ogni qual volta le “opere interne” comportino mutamento di destinazione d'uso tra categorie funzionalmente autonome dal punto di vista urbanistico e, qualora debbano essere realizzati nei centri storici, anche nel caso in cui comportino mutamento di destinazione d'uso all'interno di una categoria omogenea).
Si tratta di considerazioni assolutamente condivisibili, laddove si consideri che il sequestro preventivo, diretto ad impedire la prosecuzione del reato edilizio, può essere disposto fino alla ultimazione dei lavori, che si verifica con il completamento delle opere di rifinitura interna: tale interpretazione è confermata dalla eccezionalità della previsione contraria, concernente i casi di sanatoria di fabbricati costruiti prima dell'01.10.1983 (art. 31, legge n. 47 del 1985) e dalla esclusione della necessità del provvedimento amministrativo, soltanto per le opere interne poste in essere in fabbricati già esistenti (e non in corso) e non abusivi (art. 26 legge cit.): Cass., Sez. 3, n. 2469 del 18/11/1993, dep. 25/01/1994, imp. C., in Ced Cass., n. 196471) (commento tratto da www.ipsoa.it - Corte di Cassazione penale, sentenza 11.11.2011 n. 41079).

CONDOMINIOSì al diritto di critica verso l'amministratore.
Definire pubblicamente latitante e incompetente l'amministratore di condominio non è un reato ma un semplice diritto di critica.

A stabilirlo è la Corte di Cassazione, Sez. V penale con la sentenza 31.01.2011 n. 3372, in riferimento al caso di una condòmina che ha affisso nell'atrio dello stabile un volantino in cui si alludeva alla presunta latitanza dell'amministratore di condominio, accusandolo di incassare il denaro senza però provvedere alla manutenzione dell'immobile.
Nel volantino si chiedeva, inoltre, la sostituzione dell'amministratore. Che ha risposto denunciando la donna per diffamazione e ingiuria. Il Gup ha disposto il non luogo a procedere nei confronti della condòmina e contro tale decisione l'amministratore è ricorso per Cassazione. La Suprema corte ha però bocciato il ricorso poiché, nel caso in esame, sussiste la discriminante del diritto di critica, che, a differenza del diritto di cronaca, si caratterizza proprio per l'espressione di un giudizio o di un'opinione, che in quanto tale, non può considerarsi rigorosamente obiettivo, posto che la critica, per sua natura, si fonda su un'interpretazione, necessariamente soggettiva, di fatti e comportamenti.
Quindi, secondo la Cassazione, l'imputata, rivolgendo delle critiche all'operato dell'amministratore per le gravi carenze di manutenzione del palazzo e invitando gli altri condomini ad attivarsi, ha esercitato non solo il diritto di libera manifestazione del proprio pensiero, ma anche quello più specifico, come condomino dello stabile, di controllare l'operato dell'amministratore e di denunciare le eventuali irregolarità riscontrate.
Pertanto, le espressioni usate dalla donna non costituiscono un'aggressione gratuita alla sfera morale dell'amministratore, ma solo una censura delle attività non svolte. In questo senso, secondo la Suprema corte, la parola latitante è stata usata nel senso corrente di qualcuno che evita di farsi vedere per non rispettare i suoi doveri, per i quali è pagato (articolo ItaliaOggi Sette del 09.01.2012).

AGGIORNAMENTO AL 09.01.2012

ã

Lombardia, Scia sì, Scia no: l'atto finale ??

     Da questo Portale ci siamo prodigati più volte (e, precisamente, lo scorso: 06.06.2011; 13.07.2011; 17.10.2011; 27.10.2011) nel cercare di far capire la bontà delle nostre ragioni secondo cui, ad oggi, in Lombardia non è possibile applicare l'istituto della Scia (Segnalazione certificata di inizio attività) nella materia edilizia.
     Nello specifico, lo scorso 27.10.2011 davamo conto come l'ANCI Lombardia avesse diffuso, il 21.10.2011, la bozza del Pdl “Norme per la valorizzazione del patrimonio edilizio esistente e altre disposizioni in materia urbanistico-edilizia” (testo 19.10.2011) ove, in pratica, si tratta del cosiddetto "PIANO CASA-BIS" con altre modifiche legislative di non poco conto. E, nel contempo, evidenziavamo come il Pdl lombardo NULLA dicesse in merito all'istituto della Scia edilizia, ovverosia NULLA avesse recepito per quanto disposto dal noto D.L. n. 70/2011 convertito con modificazioni dalla legge 12.07.2011 n. 106, pervenendo, per l'ennesima volta, alla conclusione che in Lombardia NON si può applicare (nella materia edilizia) l'istituto della Scia.
     Ciò premesso e ricordato, la Giunta Regionale lombarda con la recente deliberazione 09.11.2011 n. 2428 ha approvato la bozza di Pdl di cui sopra e cioè la proposta di progetto di legge recante “Norme per la valorizzazione del patrimonio edilizio esistente e altre disposizioni in materia urbanistico-edilizia", definito comunemente "PIANO CASA-BIS", già presentato l'11.11.2011 al Consiglio Regionale per il vaglio preliminare delle competenti commissioni assumendo l'identificativo "progetto di legge n. 0133". E le novità introdotte all'ultimo momento non sono di poco conto ...
     Ma andiamo con ordine.
     L'art. 14 del Pdl de quo così recita: "
Art. 14 - (Disposizioni in materia di titoli abilitativi)
1. Ai fini del rilascio del permesso di costruire si applica la disciplina di cui all’articolo 20 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia) (testo A).
2. L'articolo 38 della l.r. 12/2005 è sostituito dal seguente: “Art. 38 - (Oneri di urbanizzazione afferenti il permesso di costruire)
1. L’ammontare degli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria dovuti è determinato con riferimento alla data di presentazione della richiesta del permesso di costruire, purché completa della documentazione prevista. Nel caso di piani attuativi o di atti di programmazione negoziata con valenza territoriale, l’ammontare degli oneri è determinato al momento della loro approvazione, a condizione che la richiesta del permesso di costruire, ovvero la denuncia di inizio attività siano presentate entro e non oltre trentasei mesi dalla data della approvazione medesima.
2. Fatta salva la facoltà di rateizzazione, la corresponsione al comune della quota di contributo relativa agli oneri di urbanizzazione, se dovuti, dev’essere fatta all’atto del rilascio del permesso di costruire, ovvero allo scadere del termine di trenta giorni previsto dall’articolo 20, comma 6, primo periodo, del d.P.R. 380/2001 nei casi di cui al comma 8 del medesimo articolo 20.
”.
3. All’articolo 40 della l.r. 12/2005 è apportata la seguente modifica:
a) al comma 2 sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: ", nonché la destinazione d'uso.".
4. All’articolo 41 della l.r. 12/2005 sono apportate le seguenti modifiche:
a) la rubrica è sostituita dalla seguente: “(Interventi realizzabili mediante denuncia di inizio attività e segnalazione certificata di inizio attività)”;
b) al comma 1 sono inserite, all’inizio, le seguenti parole: “Ferma restando l’applicabilità della segnalazione certificata di inizio attività (SCIA) nei casi e nei termini previsti dall’articolo 19 della legge 241/1990 e dall’articolo 5, comma 2, lett. c), del D.L. 70/2011,
.
5.
Alla lettera a) del comma 1 dell’articolo 103 della l.r. 12/2005 sono soppressi i seguenti numeri: “20” e “21”.
".
     La relazione di accompagnamento al Pdl così spiega la portata del sopra riportato art. 14: "
L’articolo 14 chiarisce che ai fini del rilascio del permesso di costruire si applica la nuova disciplina introdotta dal D.L. n. 70/2011 (cfr. art. 5, comma 2, lett. a), punto 3), basata sul silenzio-assenso, con conseguente riscrittura dell’articolo 38 della l.r. n. 12/2005, recuperando, dal testo precedente, le sole disposizioni in materia di oneri di urbanizzazione, opportunamente integrate in relazione alla nuova procedura.
Al comma 4 del medesimo articolo si recepisce all’interno dell’ordinamento regionale lombardo la SCIA in materia edilizia.".

Avete letto bene ??

     E' la stessa Regione Lombardia a scrivere, nero su bianco, che il suddetto comma 4 "recepisce all'interno dell'ordinamento regionale lombardo la SCIA in materia edilizia": quindi, ad oggi in Lombardia NON esiste la Scia edilizia !!
     Ma andiamo con ordine e cerchiamo di capire ogni singolo dettaglio della questione.
     Innanzitutto, proviamo a rileggere il testo coordinato dell'articolo 41 L.R. 12/2005, siccome modificato/integrato dal Pdl de quo, che di seguito si riporta:

Art. 41. (Interventi realizzabili mediante denuncia di inizio attività) (Interventi realizzabili mediante denuncia di inizio attività e segnalazione certificata di inizio attività)
     1. Ferma restando l’applicabilità della segnalazione certificata di inizio attività (SCIA) nei casi e nei termini previsti dall’articolo 19 della legge 241/1990 e dall’articolo 5, comma 2, lett. c), del D.L. 70/2011, Chi ha titolo per presentare istanza di permesso di costruire ha facoltà, alternativamente e per gli stessi interventi di trasformazione urbanistica ed edilizia, di inoltrare al comune denuncia di inizio attività, salvo quanto disposto dall'articolo 52, comma 3-bis. Gli interventi edificatori nelle aree destinate all’agricoltura sono disciplinati dal Titolo III della Parte II.
     2. Nel caso di interventi assentiti in forza di permesso di costruire o di denuncia di inizio attività, è data facoltà all’interessato di presentare comunicazione di eseguita attività sottoscritta da tecnico abilitato, per varianti che non incidano sugli indici urbanistici e sulle volumetrie, che non modifichino la destinazione d’uso e la categoria edilizia, non alterino la sagoma dell’edificio e non violino le eventuali prescrizioni contenute nel permesso di costruire. Ai fini dell’attività di vigilanza urbanistica ed edilizia, nonché ai fini del rilascio del certificato di agibilità, tali comunicazioni costituiscono parte integrante del procedimento relativo al titolo abilitativo dell’intervento principale e possono essere presentate al comune sino alla dichiarazione di ultimazione dei lavori.

 

Ma cosa significano le nuove parole inserite al comma 1 ??

     L'art. 19 della legge n. 241/1990 così recita:


Art. 19 (Segnalazione certificata di inizio attività - SCIA)
(articolo così sostituito dall'articolo 49, comma 4-bis, legge n. 122 del 2010) - (per l'interpretazione si veda l'articolo 5, comma 2, legge n. 106 del 2011)
     1. Ogni atto di autorizzazione, licenza, concessione non costitutiva, permesso o nulla osta comunque denominato, comprese le domande per le iscrizioni in albi o ruoli richieste per l’esercizio di attività imprenditoriale, commerciale o artigianale il cui rilascio dipenda esclusivamente dall’accertamento di requisiti e presupposti richiesti dalla legge o da atti amministrativi a contenuto generale, e non sia previsto alcun limite o contingente complessivo o specifici strumenti di programmazione settoriale per il rilascio degli atti stessi, è sostituito da una segnalazione dell’interessato, con la sola esclusione dei casi in cui sussistano vincoli ambientali, paesaggistici o culturali e degli atti rilasciati dalle amministrazioni preposte alla difesa nazionale, alla pubblica sicurezza, all’immigrazione, all’asilo, alla cittadinanza, all’amministrazione della giustizia, all’amministrazione delle finanze, ivi compresi gli atti concernenti le reti di acquisizione del gettito, anche derivante dal gioco, nonché di quelli previsti dalla normativa per le costruzioni in zone sismiche e di quelli imposti dalla normativa comunitaria. La segnalazione è corredata dalle dichiarazioni sostitutive di certificazioni e dell’atto di notorietà per quanto riguarda tutti gli stati, le qualità personali e i fatti previsti negli articoli 46 e 47 del testo unico di cui al d.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445, nonché dalle attestazioni e asseverazioni di tecnici abilitati, ovvero dalle dichiarazioni di conformità da parte dell’Agenzia delle imprese di cui all’articolo 38, comma 4, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, relative alla sussistenza dei requisiti e dei presupposti di cui al primo periodo; tali attestazioni e asseverazioni sono corredate dagli elaborati tecnici necessari per consentire le verifiche di competenza dell’amministrazione. Nei casi in cui la legge prevede l’acquisizione di pareri di organi o enti appositi, ovvero l’esecuzione di verifiche preventive, essi sono comunque sostituiti dalle autocertificazioni, attestazioni e asseverazioni o certificazioni di cui al presente comma, salve le verifiche successive degli organi e delle amministrazioni competenti. La segnalazione, corredata delle dichiarazioni, attestazioni e asseverazioni nonché dei relativi elaborati tecnici, può essere presentata a mezzo posta con raccomandata con avviso di ricevimento, ad eccezione dei procedimenti per cui è previsto l’utilizzo esclusivo della modalità telematica; in tal caso la segnalazione si considera presentata al momento della ricezione da parte dell'amministrazione. (comma così modificato dall'articolo 5, comma 2, lettera b), legge n. 106 del 2011)
     2. L’attività oggetto della segnalazione può essere iniziata dalla data della presentazione della segnalazione all’amministrazione competente.
     3. L’amministrazione competente, in caso di accertata carenza dei requisiti e dei presupposti di cui al comma 1, nel termine di sessanta giorni dal ricevimento della segnalazione di cui al medesimo comma, adotta motivati provvedimenti di divieto di prosecuzione dell’attività e di rimozione degli eventuali effetti dannosi di essa, salvo che, ove ciò sia possibile, l’interessato provveda a conformare alla normativa vigente detta attività ed i suoi effetti entro un termine fissato dall’amministrazione, in ogni caso non inferiore a trenta giorni. E ' fatto comunque salvo il potere dell’amministrazione competente di assumere determinazioni in via di autotutela, ai sensi degli articoli 21-quinquies e 21-nonies. In caso di dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell’atto di notorietà false o mendaci, l’amministrazione, ferma restando l’applicazione delle sanzioni penali di cui al comma 6, nonché di quelle di cui al capo VI del testo unico di cui al d.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445, può sempre e in ogni tempo adottare i provvedimenti di cui al primo periodo.
     4. Decorso il termine per l’adozione dei provvedimenti di cui al primo periodo del comma 3 ovvero di cui al comma 6-bis, all’amministrazione è consentito intervenire solo in presenza del pericolo di un danno per il patrimonio artistico e culturale, per l’ambiente, per la salute, per la sicurezza pubblica o la difesa nazionale e previo motivato accertamento dell’impossibilità di tutelare comunque tali interessi mediante conformazione dell’attività dei privati alla normativa vigente.
(comma così modificato dall'art. 6, comma 1, decreto-legge n. 138 del 2011, convertito dalla legge n. 148 del 2011)
     4-bis. Il presente articolo non si applica alle attività economiche a prevalente carattere finanziario, ivi comprese quelle regolate dal testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, e dal testo unico in materia di intermediazione finanziaria di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58. (comma introdotto dall'articolo 2, comma 1-quinquies, legge n. 163 del 2010)
     5. (comma abrogato dal n. 14 del comma 1 dell'art. 4 dell'allegato 4 al d.lgs. n. 104 del 2010)
     6. Ove il fatto non costituisca più grave reato, chiunque, nelle dichiarazioni o attestazioni o asseverazioni che corredano la segnalazione di inizio attività, dichiara o attesta falsamente l’esistenza dei requisiti o dei presupposti di cui al comma 1 è punito con la reclusione da uno a tre anni.
     6-bis. Nei casi di Scia in materia edilizia, il termine di sessanta giorni di cui al primo periodo del comma 3 è ridotto a trenta giorni. Fatta salva l'applicazione delle disposizioni di cui al comma 4 e al comma 6, restano altresì ferme le disposizioni relative alla vigilanza sull'attività urbanistico-edilizia, alle responsabilità e alle sanzioni previste dal d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, e dalle leggi regionali.
(comma aggiunto dall'art. 5, comma 2, legge n. 106 del 2011, poi così modificato dall'art. 6, comma 1, decreto-legge n. 138 del 2011, convertito dalla legge n. 148 del 2011)
     6-ter. La segnalazione certificata di inizio attività, la denuncia e la dichiarazione di inizio attività si riferiscono ad attività liberalizzate e non costituiscono provvedimenti taciti direttamente impugnabili. Gli interessati possono sollecitare l'esercizio delle verifiche spettanti all'amministrazione e, in caso di inerzia, esperire esclusivamente l'azione di cui all'articolo 31, commi 1, 2 e 3 del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104. (comma aggiunto dall'art. 6, comma 1, decreto-legge n. 138 del 2011, convertito dalla legge n. 148 del 2011)
 

     L'art. 5, comma 2, lett. c), del D.L. n. 70/2011 così recita:


c) le disposizioni di cui all'articolo 19 della legge 7 agosto 1990, n. 241 si interpretano nel senso che le stesse si applicano alle denunce di inizio attività in materia edilizia disciplinate dal d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, con esclusione dei casi in cui le denunce stesse, in base alla normativa statale o regionale, siano alternative o sostitutive del permesso di costruire. Le disposizioni di cui all'articolo 19 della legge 7 agosto 1990, n. 241 si interpretano altresì nel senso che non sostituiscono la disciplina prevista dalle leggi regionali che, in attuazione dell'articolo 22, comma 4, del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, abbiano ampliato l'ambito applicativo delle disposizioni di cui all'articolo 22, comma 3, del medesimo decreto e nel senso che, nei casi in cui sussistano vincoli ambientali, paesaggistici o culturali, la Scia non sostituisce gli atti di autorizzazione o nulla osta, comunque denominati, delle amministrazioni preposte alla tutela dell'ambiente e del patrimonio culturale.

Tutto chiaro ??

     A noi sembra di sì nel senso di seguito esposto: la Regione Lombardia con le nuove parole da introdursi al comma 1 dell'art. 41 L.R. n. 12/2005 non fa altro che ribadire quanto già statuito dall'art. 5, comma 2, lett. c), del D.L. n. 70/2011 e cioè che "le disposizioni di cui all'articolo 19 della legge 7 agosto 1990, n. 241 si interpretano nel senso che le stesse si applicano alle denunce di inizio attività in materia edilizia disciplinate dal d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, con esclusione dei casi in cui le denunce stesse, in base alla normativa statale o regionale, siano alternative o sostitutive del permesso di costruire". In altri termini, e per l'ennesima volta, si ribadisce che in Lombardia -ad oggi- non si può applicare in materia edilizia l'istituto della Scia (Segnalazione certificata di inizio attività) e, men che meno, quando il Pdl "PIANO CASA-BIS" sarà pubblicato sul BURL siccome approvato nel testo sopra indicato.
     Se la Regione Lombardia vuole, nei fatti e non solo a parole, che l'istituto della Scia in materia edilizia sia realmente applicabile anche nel proprio ordinamento ha solo una cosa da fare:
modificare/integrare la L.R. n. 12/2005 nel senso di restringere la gamma di interventi edilizi che oggi possono essere realizzati con la DIA in alternativa al permesso di costruire.
     In altri termini, deve elencare puntualmente gli interventi edilizi che sono obbligatoriamente soggetti a DIA: magari, riprendendo pedissequamente la formulazione dell'art. 22, comma 1, del DPR n. 380/2001. Allora sì che per questi interventi si potrà applicare la Scia e, nel contempo, avrà ragion d'essere l'esposizione argomentativa di cui al
comunicato regionale 08.10.2010 (circa l'esistenza della Scia già dal lontano 31.07.2010 ... il che -ad oggi- non è affatto vero !!).
09.01.2012 - LA SEGRETERIA PTPL

UTILITA'

ENTI LOCALI - VARI: DL “MILLEPROROGHE”: IN VIGORE I RINVII AL 2012 (link a www.http://static.ilsole24ore.com).

GURI - GUUE - BURL (e anteprima)

AMBIENTE-ECOLOGIA: G.U. 05.01.2012 n. 4 "Regolamento recante modifiche e integrazioni al decreto ministeriale del 18.02.2011, n. 52, concernente il regolamento di istituzione del sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti (SISTRI)" (Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, decreto 10.11.2011 n. 219).

URBANISTICA: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 1 del 05.01.2012, "Adozione delle linee guida per l’elaborazione dei progetti strategici di sottobacino, ai sensi della legge regionale 11.03.2005, n. 12, art. 55-bis" (deliberazione G.R. 22.12.2011 n. 2764).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 1 del 04.01.2012, "Modifiche ed integrazioni alla d.g.r. VIII/675/2005 «Criteri per la trasformazione del bosco e per i relativi interventi compensativi» (art. 43, comma 8, l.r. 31/2008)" (deliberazione G.R. 29.12.2011 n. 2848).

EDILIZIA PRIVATA: G.U. 02.01.2012 n. 1 "Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee - Legge comunitaria 2010" (Legge 15.12.2011 n. 217).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: G.U. 02.01.2012 n. 1 "Offerte lavoro pubblico su clic lavoro" (Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, decreto 13.10.2011).

DOTTRINA E CONTRIBUTI

EDILIZIA PRIVATA - VARI: G. Bordolli, Preliminare di edifici su "carta": quali le tutele per l'acquirente? (link a www./www.professioni-imprese24.ilsole24ore.com).

ESPROPRIAZIONE: R. Greco, IL RISARCIMENTO DEL DANNO DA OCCUPAZIONE ILLEGITTIMA: PROFILI SOSTANZIALI E PROCESSUALI (link a www.giustizia-amministrativa.it).

PUBBLICO IMPIEGO: L. Laperuta, Pubblico impiego: dal 2012 si potrà licenziare dopo la messa in disponibilità (link a www.diritto.it).

SINDACATI

PUBBLICO IMPIEGO: OGGETTO: Elezioni RSU 2012 – Nota operativa n. 2 (CSA di Roma, nota 05.01.2012 n. 3 di prot.).

PUBBLICO IMPIEGO: Nessuna novità positiva per le pensioni dalla conversione in legge del decreto Monti (CGIL-FP di Bergamo, nota 03.01.2012).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGODecreto milleproroghe: sei mesi in più per la gestione associata delle funzioni fondamentali (CGIL-FP di Bergamo, nota 02.01.2012).

PUBBLICO IMPIEGO: OGGETTO: Elezioni RSU 2012 – Nota operativa n. 1 (CSA di Roma, nota 15.12.2011 n. 774 di prot.).

QUESITI & PARERI

APPALTI: Responsabilità solidale, si estende anche alle omissioni contributive?
Domanda.
La responsabilità solidale tra impresa ed Ente Appaltante per i contributi previdenziali si estende anche ai mancati versamenti al Fondo Previambiente, Fondo di previdenza complementare al quale risultano iscritti molti addetti ai servizi di igiene urbana?
Risposta.
Giova ricordare che l'art. 29, comma 2, D.Lgs. 10-09-2003, n. 276, recante "Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla L. 14.02.2003, n. 30", prevede che "In caso di appalto di opere o di servizi il committente imprenditore o datore di lavoro è obbligato in solido con l'appaltatore, nonché con ciascuno degli eventuali ulteriori subappaltatori entro il limite di due anni dalla cessazione dell'appalto, a corrispondere ai lavoratori i trattamenti retributivi e i contributi previdenziali dovuti".
La norma persegue la finalità di incrementare il livello di adempimento degli obblighi fiscali, previdenziali, assicurativi e di sicurezza sul lavoro cui sono tenute le imprese che operano in qualità di appaltatori o subappaltatori. In tale ottica, la norma prevede un vincolo di responsabilità solidale tra committente, appaltatore ed eventuali subappaltatori, entro il limite di due anni dalla cessazione dell'appalto senza limiti quantitativi, per la corresponsione ai lavoratori dei trattamenti retributivi e dei contributi previdenziali dovuti.
Dopo alcune oscillazioni della prassi e non senza alcune voci in senso contrario in dottrina, la disciplina dell'art. 29, comma 2, D.Lgs. 10-09-2003, n. 276 è stata ritenuta applicabile dalla Giurisprudenza prevalente anche agli appalti (di opere o di servizi) della P.A. (v. per tutti Trib. Milano Sez. lavoro, 22.01.2010).
Ai fini della corretta applicazione della disposizione in esame, si è posto altresì il problema di definire la portata dell'espressione "contributi previdenziali dovuti".
Sul punto la dottrina più autorevole ha ritenuto che il vincolo di solidarietà riguarda qualsiasi omissione contributiva posta in essere dall'appaltatore o dal subappaltatore, comprese le contribuzioni da versare agli Enti esercenti forme di previdenza complementare.
La soluzione appare condivisibile perché, in effetti, si rivela la più coerente, oltre che con il dato letterale -che non autorizza ad operare distinzioni di sorta- con la ratio della disciplina in esame, che mira, come già ricordato, a rafforzare l'effettività della complessiva posizione giuridica retributiva e previdenziale dei lavoratori impiegati nell'appalto (03.01.2012 - tratto da www.ipsoa.it).

CORTE DEI CONTI

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGONella p.a. no a contratti fotocopia. Servono ragioni eccezionali e comparazione tra candidati. La Corte dei conti ha bocciato il rinnovo di tre co.co.co. dell'università di Catanzaro.
Non sono conformi alle previsioni contenute all'articolo 7, comma 6 del Testo unico sul pubblico impiego, i contratti di collaborazione coordinata e continuativa che, non appena scaduti, vengono riaffidati agli stessi soggetti e per le medesime finalità. In tali fattispecie, infatti, posto che tra i requisiti legittimanti l'affidamento di una prestazione co.co.co. vi è la temporaneità, manca altresì una seppur minima procedura comparativa di affidamento richiesta dalla norma.
Lo ha messo nero su bianco la Sezione centrale di controllo sulle amministrazioni dello Stato della Corte dei conti, nel testo della delibera 20.12.2011 n. 24/2011, pubblicata lo scorso 4 gennaio, ricusando il visto e la conseguente registrazione dei rinnovi di tre contratti di co.co.co. (riferiti al biennio 2009-2011) stipulati dall'Università di Catanzaro con soggetti esterni all'organigramma dell'Ateneo.
La Corte ha rilevato che ai sensi dell'art. 7, commi 6 e 6-bis, del dlgs n. 165/2001, le pubbliche amministrazioni, per esigenze cui non siano in grado di far fronte con personale in servizio, possano ricorrere al conferimento di incarichi individuali, con contratti di lavoro autonomo di natura occasionale o coordinata e continuativa, affidati a esperti di particolare e comprovata specializzazione, anche universitaria, al ricorrere di ben precisi presupposti.
Tra le prerogative legittimanti l'affidamento esterno, l'oggetto della prestazione non deve mai consistere nello svolgimento di funzioni ordinarie.
Inoltre, l'amministrazione conferente deve avere preliminarmente accertato l'impossibilità oggettiva di utilizzare le risorse umane disponibili al suo interno e tale indisponibilità deve avere sempre carattere qualitativo e non quantitativo. Infine, la prestazione deve essere di natura temporanea ed altamente qualificata.
A proposito della durata dei contratti di collaborazione, è stata in più occasioni ribadita sia dalla giurisprudenza che dalla prassi amministrativa la necessità che gli incarichi ex art. 7, comma 6, del dlgs n. 165/2001 abbiano natura temporanea, in quanto conferiti allo scopo di sopperire ad esigenze di carattere temporaneo per le quali l'amministrazione non possa oggettivamente fare ricorso alle risorse umane e professionali presenti al suo interno.
Al riguardo, infatti, l'indirizzo giurisprudenziale prevalente in materia considera l'incarico di collaborazione coordinata e continuativa non prorogabile, se non a fronte di un ben preciso interesse dell'amministrazione committente, adeguatamente motivato e al solo fine di completare le attività oggetto dell'incarico, limitatamente all'ipotesi di completamento di attività avviate, contenute all'interno di uno specifico programma e neppure rinnovabile.
Quindi, il ricorso ad incarichi di collaborazione di tipo coordinato e continuativo deve costituire un rimedio eccezionale per far fronte ad esigenze peculiari, per le quali l'Amministrazione necessiti dell'apporto di specifiche competenze professionali esterne, in quanto non sono rinvenibili al suo interno. Ora, nel caso in esame, a due anni di distanza dall'adozione dei primi contratti, non si possono considerare l'eccezionalità e la temporaneità quali presupposti che giustifichino l'affidamento di nuovi incarichi alle stesse persone, in assenza, peraltro, di una procedura comparativa.
A ciò si aggiunga che in questo frangente, l'Ateneo non ha trovato medio tempore, una soluzione in termini di programmazione dei fabbisogni di personale, nonché in termini di aggiornamento dei profili professionali già incardinati nella propria struttura amministrativa (articolo ItaliaOggi del 07.01.2011 - tratto da www.ecostampa.it).

APPALTI SERVIZICorte dei conti Lombardia. Vietato «allungare» il contratto di servizio all'in house che gestisce funzioni strumentali. Niente proroga dell'affido diretto. No alla raccolta rifiuti, anche se a tempo, per la partecipata con doppia attività.
EFFETTI A CASCATA/ Impossibile riassorbire il personale non trasferito con l'esternalizzazione perché l'operazione è finanziariamente onerosa.

Niente affidamento diretto del servizio rifiuti alla propria partecipata che svolga sia attività nell'ambito dei servizi pubblici locali, sia servizi strumentali all'attività degli enti soci. E neppure proroga in via eccezionale del servizio nelle more del riassetto societario necessario per adeguare l'oggetto sociale dell'in house ai vincoli dell'articolo 13 del Dl 223/2006 proprio per evitare questa doppia attività.
Questo il principio ribadito dalla Corte dei conti, sezione controllo della Lombardia, nel parere 12.12.2011 n. 653, con cui ha risposto alla richiesta di chiarimenti inviata da un Comune in merito alla possibilità di rinnovo dell'affidamento diretto alla propria in house –nelle more della scadenza del contratto di servizio– nonostante la società gestisse sia servizi pubblici, sia attività strumentali.
La richiesta
Il Comune aveva anche precisato che tale partecipata «effettivamente non si era ancora attivata per allinearsi ai dettati normativi di cui all'articolo 13 del Dl 223/2006, in quanto il termine del 04.01.2010... è caduto in periodo di scadenza del vecchio consiglio di amministrazione e del vecchio collegio sindacale».
L'ente aveva comunque manifestato la volontà di apportare le modifiche statutarie e attuare il riassetto societario necessario per garantire la legittima gestione dei servizi: queste modifiche, tuttavia, non potevano diventare operative entro la scadenza del contratto di servizio e non essendo più in tempo per procedere a una gara, l'ente locale aveva manifestato l'intenzione di affidare direttamente il servizio e adeguare lo statuto solo successivamente.
Il Comune, infine, aveva chiesto ai magistrati contabili se, in caso di risposta negativa, era possibile riassumere direttamente il servizio, assorbendo il personale dalla società, anche se non aveva rispettato il patto di stabilità nel 2010 e nel 2011.
La risposta
La Corte ha chiarito preliminarmente che l'eventuale ritorno alla gestione diretta, con conseguente assorbimento dei dipendenti della società, non risulta ammissibile non avendo il Comune trasferito il proprio personale, al momento dell'esternalizzazione del servizio, ma avendolo ricollocato all'interno dell'ente con diverse mansioni.
La dotazione organica del Comune quindi non è stata diminuita all'epoca e, pertanto, la prospettata ipotesi di reinternalizzazione del servizio, con contestuale assunzione di nuove unità di personale, è un'operazione finanziariamente non neutra per le casse comunali.
Inoltre, la Corte ha ribadito che gli enti che non rispettano il patto di stabilità interno non possono comunque assumere.
Per quanto riguarda la possibilità di poter prorogare l'affidamento del servizio nelle more degli adempimenti obbligatori dello statuto della partecipata, i magistrati hanno definito incompatibile con l'attuale assetto legislativo il fatto che la società svolga servizi pubblici locali e strumentali in contemporanea. Le società strumentali non possano svolgere, in relazione alla loro posizione privilegiata, altre attività a favore di altri soggetti pubblici o privati poiché, in caso contrario, si verificherebbe un'alterazione o comunque una distorsione della concorrenza all'interno del mercato locale di riferimento.
Era onere degli enti intervenire entro il 04.01.2010 per adottare soluzioni organizzative che comportassero la reinternalizzazione dei servizi strumentali ovvero l'affidamento a terzi con gara dei servizi pubblici locali a rilevanza economica o, ancora, la creazione di distinti organismi societari per la gestione in modo separato delle attività strumentali e dei servizi pubblici locali.
La Corte ha chiarito quindi che gli enti, che detengono partecipazioni in società che gestiscano contestualmente le due attività, non possono affidare legittimamente a tali in house la gestione di alcun servizio (articolo Il Sole 24 Ore 02.01.2011 - tratto da www.corteconti.it).

INCARICHI PROFESSIONALIIncarichi esterni con il bollino blu.
Le amministrazioni e gli enti pubblici devono svolgere i propri compiti istituzionali, di norma, avvalendosi del personale interno. Tale regola è espressione del principio costituzionale di buon andamento della pubblica amministrazione ed è volta ad assicurare l'economicità dell'azione pubblica. Il conferimento degli incarichi di consulenza a soggetti esterni rappresenta un'opzione operativa percorribile solo in presenza di speciali condizioni, ovvero l'assenza di una apposita struttura organizzativa, una carenza organica che impedisca o renda oggettivamente difficoltoso l'esercizio di una determinata funzione, da accertare per mezzo di una reale ricognizione e la complessità dei problemi da risolvere che richiedono conoscenze ed esperienze eccedenti le normali competenze del personale. Nel caso in cui vengano conferiti incarichi a soggetti esterni senza che l'amministrazione conferente abbia attivato la preventiva ricognizione di detti presupposti, scatta il danno erariale pari ai compensi complessivamente erogati ai professionisti esterni.
È quanto ha messo nero su bianco la sezione giurisdizionale della Corte dei conti siciliana, nel testo della sentenza 09.12.2011 n. 4037, con cui ha condannato il sindaco di Campofelice di Roccella (Pa) a una somma di poco superiore ai 215 mila euro per l'illegittimo conferimento di alcuni incarichi a personale esterno, risalenti al biennio 2003-2005.
Scorrendo gli atti di conferimento, infatti, la Corte ha potuto accertare che gli incarichi professionali sono stati assegnati senza rispettare le condizioni sopra evidenziate. In particolare, non risulta essere stata compiuta alcuna concreta verifica circa la sussistenza di risorse interne, attraverso una concreta valutazione dei livelli di esperienza dei dipendenti e un apprezzamento del grado di adeguatezza delle cognizioni specialistiche degli stessi, non vi è una congrua specificazione dell'attività richiesta ai soggetti incaricati e non sono stati esplicitati i parametri in base ai quali sono stati quantificati i compensi dei consulenti.
Ma vi è di più. La Corte ha sottolineato che gli incarichi sono stati conferiti senza che fossero avviate procedure pubbliche «che consentissero di contemperare i principi generali della trasparenza e del buon andamento con l'esigenza dell'ente di approvvigionarsi all'esterno di apporti collaborativi a costi congrui» (articolo ItaliaOggi del 07.01.2011 - tratto da www.ecostampa.it).

ENTI LOCALIDue anni in più per le dismissioni ai Comuni fino a 50mila abitanti.
IL PRINCIPIO/ Secondo i magistrati contabili c'è tempo fino al 2013 (e non entro dicembre 2011) per ridurre a una sola le società locali.

I Comuni tra 30mila e 50mila abitanti hanno due anni in più per ridurre a una sola le partecipazioni societarie.
Lo ha affermato la Corte dei conti, sezione controllo della Lombardia, con i pareri 15.11.2011 n. 602 e n. 603, stabilendo –con un'interpretazione "innovativa" dell'articolo 14, comma 32 del Dl 78/2010– che le partecipazioni detenute potranno essere riorganizzate entro il 31.12.2013 e non entro la fine del 2011.
I magistrati contabili hanno ricostruito il dettato legislativo, richiamando le numerose modifiche introdotte dal legislatore nel corso dell'ultimo anno, sostenendo che il termine del 31.12.2013 rispetterebbe sostanzialmente la ratio ispiratrice della norma, «nonostante» l'assetto legislativo sia formalmente diverso.
La Corte ha precisato che la diversa scansione temporale per le dismissioni contra legem in funzione delle soglie dimensionali «non appare ex se irragionevole, in quanto la ratio può essere individuata in una diversa esigenza di snellimento degli apparati» ed è coerente con l'impianto generale del citato articolo 14. Inoltre, appare logico che la medesima soglia dimensionale dei 30mila abitanti ponga uno spartiacque in materia di partecipazioni societarie (oltre che nell'an e nel quantum) anche nel «quando», differenziando le categorie di enti locali per la scansione cronologica delle dismissioni.
Il testo del citato comma 32 indica però testualmente, per i Comuni maggiori, il termine del 31.12.2011; ulteriormente "aggravato" dopo che il Dl 98/2011 ha soppresso la norma di delega a un apposito decreto ministeriale delle eventuali deroghe.
Questa possibilità era attesa soprattutto dai Comuni più grandi, in quanto quelli con popolazione inferiore a 30mila abitanti hanno già tempo fino al 31.12.2012 per effettuare verifiche sulle loro partecipazioni societarie e potranno mantenerle e costituirne altre rispettando alcune condizioni espressamente disciplinate nello stesso comma 32. Al contrario, sembrava che gli enti fino a 50mila abitanti potessero mantenere soltanto una partecipazione e mettere in liquidazione tutte le altre, formalmente, entro il 31.12.2011.
La presa di posizione dei magistrati contabili lombardi non può che essere accolta con favore, date le rilevanti criticità connesse alla messa in liquidazione di numerose partecipazioni (nonostante le perplessità circa la sostenibilità giuridica e la valenza vincolante che tale interpretazione può avere): la norma così "ricostruita" sembrerebbe consentire ai Comuni interessati di godere di un arco temporale più congruo –fino a fine 2013– per ridurre e riorganizzare le proprie partecipazioni.
La questione comunque non può considerarsi risolta, anche perché ha posticipato di due anni il termine per la messa in liquidazione, lasciando inalterate le rilevanti problematiche economiche e sociali che si produrrebbero laddove gli enti fossero chiamati al rispetto meramente formale del comma 32. È quindi quanto mai necessario un intervento legislativo che affronti la questione, non più rinviabile, della selezione qualitativa (e non meramente quantitativa) di tutte le partecipazioni societarie pubbliche, che impegni gli enti verso una reale razionalizzazione delle partecipazioni in essere, salvaguardando però le realtà societarie strategiche, che rappresentano una fonte importante di risorse, oltreché buone pratiche gestionali (articolo Il Sole 24 Ore 02.01.2011 - tratto da www.corteconti.it).

AUTORITA' VIGILANZA CONTRATTI PUBBLICI

LAVORI PUBBLICI: L’obbligo di eseguire un sopralluogo posto a carico dei concorrenti trova fondamento in precise disposizioni del d.P.R. 554/99 (art. 71 comma 2, e art. 79 comma 5); è stato affermato che la prescrizione del bando di gara che consente di effettuare la presa visione dei luoghi solo ad alcune figure di vertice dell’impresa, appare restrittiva e rigida, avuto riguardo al fatto che è insito nel favor partecipationis che una stessa impresa possa partecipare contemporaneamente ad una pluralità di gare e a tale potenzialità non possono essere frapposte limitazioni che non discendano da un superiore e specifico interesse pubblico.
In linea con quanto sopra affermato, va considerato che l’interesse della stazione appaltante alla serietà dell’offerta e ad essere garantita rispetto a successive possibili contestazioni connesse ad una carente conoscenza dei luoghi è soddisfatto già con lo svolgimento del sopralluogo da parte dell’impresa concorrente che avviene alla presenza del funzionario dell’Amministrazione, il quale, delegato dalla stazione appaltante, certifica l’avvenuto sopralluogo.
Al limite, per evitare che tale accertamento tecnico sia ridotto ad un mero adempimento burocratico, la stazione appaltante può sempre prescrivere nel bando che la visita dei luoghi venga effettuata da soggetto comunque riconducibile alla struttura organizzativa dell’impresa concorrente, secondo la relativa disciplina codicistica
(parere di precontenzioso 09.06.2011 n. 104 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: Sulla base degli articoli 71, comma 2, e 90, comma 5 del D.P.R. n. 554/1999 e secondo quanto previsto dalla direttiva comunitaria 93/37/CEE, non può essere imposto al concorrente l’obbligo di acquistare la documentazione inerente l’appalto e che l’unica forma di partecipazione consentita è il rimborso delle spese di riproduzione della documentazione di gara.
Tale rimborso deve essere conforme alla normativa generale in materia di accesso alla documentazione amministrativa di cui alla legge 07.08.1991, n. 241, la quale, all’articolo 25, dispone che il rilascio delle copie dei documenti è subordinato soltanto al rimborso del costo di riproduzione. Con la conseguenza che “in riferimento agli elaborati progettuali, stabilire forfettariamente un rimborso spese a carico del concorrente, determinato in misura inversamente proporzionale all’importo a base di gara e svincolando l’entità del rimborso dall’effettivo costo di riproduzione degli elaborati progettuali stessi, costituisce un ostacolo alla libera partecipazione agli appalti da parte degli operatori economici
(parere di precontenzioso 09.06.2011 n. 103 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI SERVIZI: Il D.Lgs. n. 163/2006 elenca diversi documenti che comprovano la capacità tecnica e professionale del concorrente: in particolare quest’ultima può essere dimostrata anche con la presentazione dell’elenco dei principali servizi prestati negli ultimi tre anni, con l’indicazione degli importi, delle date e dei destinatari, pubblici o privati, dei servizi o forniture stessi (se trattasi di servizi e forniture prestati a privati, l’effettuazione effettiva della prestazione è dichiarata da questi o, in mancanza, dallo stesso concorrente).
Il successivo comma impone alla stazione appaltante di precisare nel bando di gara o nella lettera d’invito quali dei documenti e requisiti indicati nel comma precedente devono essere presentati o dimostrati. Al riguardo l’Autorità ha già ricordato (parere n. 114 del 16.06.2010) che secondo la Corte di Giustizia europea è illegittimo l’operato della stazione appaltante, che impone mezzi di prova diversi da quelli contemplati dalla disciplina comunitaria –riprodotta nel citato art. 42– al fine di dimostrare il possesso dei requisiti in esame (CGCE 17.11.1993, causa n. C-71/92).
Tuttavia, è ammissibile fissare nel bando di gara requisiti (non tipologicamente ulteriori, ma) più stringenti sul piano quantitativo rispetto a quelli previsti nell’elencazione legislativa (Cons. Stato, Sez. V, 07.04.2006, n. 1878), purché siano rispettati i limiti della ragionevolezza e della proporzionalità.
In sostanza, è necessario che la discrezionalità della stazione appaltante nella fissazione dei requisiti sia esercitata in modo tale da non correre il rischio di restringere in modo ingiustificato lo spettro dei potenziali concorrenti o di realizzare effetti discriminatori tra gli stessi, in linea con quanto stabilito dall’art. 44, par. 2 della direttiva 2004/18/CE, secondo il quale i livelli minimi di capacità richiesti devono essere connessi e proporzionati all’oggetto dell’appalto stesso
(parere di precontenzioso 09.06.2011 n. 102 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

LAVORI PUBBLICI: L’Autorità (determinazione n. 8/02) ha già chiarito che il principio dell’assorbenza fra categorie generali e categorie specializzate trova applicazione esclusivamente in riferimento alla categoria OG11, nel senso che, ove nel bando sia richiesta la qualificazione di cui alle categorie di opere specializzate OS3, OS5, OS30, OS28, è consentita la partecipazione anche delle imprese qualificate in categoria OG11.
Ciò in quanto detta categoria generale è, in effetti, la sommatoria di categorie speciali e sussiste, pertanto, la presunzione che un soggetto qualificato in OG11 sia in grado di svolgere mediamente tutte le lavorazioni speciali contenute in tale categoria generale. Tuttavia, la qualificazione per la categoria di opere generali OG11 assorbe quella per la categoria di opere speciali, solo nel caso in cui la disciplina speciale della singola gara non rechi alcuna clausola in contrario e purché l’importo di classifica posseduto sia sufficiente a coprire le somme degli importi delle suddette categorie OS28 e OS30.
Quindi, secondo quanto affermato in più occasioni da questa Autorità, la regola dell’assorbenza, che non si traduce nella possibilità indiscriminata per le imprese qualificate in OG di partecipare a gare i cui bandi prevedono come categoria prevalente una categoria specializzata OS, richiede che l’importo di classifica della qualificazione nella categoria di opera generale OG11 sia sufficiente a coprire la somma degli importi delle singole categorie di opere specializzate OS3, OS5, OS28 e OS30
(parere di precontenzioso 09.06.2011 n. 101 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: La disciplina di cui all’art. 49 D.Lgs. n. 163/2006 richiede un contratto di avvalimento e, per esigenze di certezza dell’amministrazione, una dichiarazione di impegno proveniente dall’impresa ausiliaria volta a soddisfare l’interesse della stazione appaltante ad evitare, dopo l’aggiudicazione, l’insorgere di contestazioni sugli obblighi dell’ausiliario.
Nell’istituto dell’avvalimento l’impresa ausiliaria non è semplicemente soggetto terzo rispetto alla gara, dovendosi essa impegnare, non soltanto verso l’impresa concorrente ausiliata, ma anche verso la stazione appaltante, a mettere a disposizione del concorrente le risorse di cui questi sia carente, sicché l’ausiliario è tenuto a produrre il contenuto del contratto di avvalimento in una dichiarazione resa nei confronti della stazione appaltante.
In tale ipotesi, quindi, l’impresa ausiliaria diventa titolare passivo di una obbligazione accessoria dipendente rispetto a quella principale del concorrente, e tale obbligazione si perfeziona con l’aggiudicazione a favore del concorrente ausiliato, di cui segue le sorti. Pertanto, la mancanza di una espressa dichiarazione di impegno da parte della ausiliaria nei confronti della stazione appaltante, come nel caso di specie, dà vita ad una carenza documentale che non può superarsi con la sola allegazione del contratto di avvalimento.
La potestà di avvalimento, infatti, costituisce un principio di fonte comunitaria di portata generale per cui non solo non è necessario un espresso richiamo ad esso nella lex specialis affinché il concorrente possa avvalersi dei requisiti di altra impresa, ma in tal caso l’ausiliato è tenuto a rispettare la disciplina prevista dal Codice così come descritta all’art. 49 e ad allegare quindi tutte le dichiarazioni in questo prescritte
(parere di precontenzioso 09.06.2011 n. 100 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: L’art. 43 del D.Lgs. n. 163/2006 qualifica in termini sostanziali la certificazione in esame come attestazione dell’“ottemperanza dell’operatore economico a determinate norme in materia di garanzia di qualità”. Le norme a cui fa riferimento la predetta disposizione sono quelle identificate a livello europeo con l’acronimo ISO 9001, le quali definiscono i principi che l’imprenditore deve seguire nel sistema di gestione per la qualità dell’organizzazione, ma non disciplinano il modo in cui l’imprenditore deve realizzare le proprie lavorazioni.
Va, quindi, sgombrato il campo da un possibile equivoco: la certificazione di qualità ISO 9001 non copre il prodotto realizzato o il servizio/la lavorazione resi, ma attesta che l’imprenditore opera in conformità a specifici standard internazionali per quanto attiene la qualità dei propri processi produttivi. Ne deriva, quindi, che la certificazione in esame è un requisito soggettivo, in quanto attiene ad uno specifico “status” dell’imprenditore: l’aver ottemperato a determinate disposizioni normative, preordinate a garantire alla stazione appaltante che l’esecuzione delle prestazioni contrattuali dovute avverrà nel rispetto della normativa in materia di processi di qualità.
Muovendo da tale premessa, si ritiene di dover confermare l’indirizzo già espresso dall’Autorità, secondo cui, in assenza dell’espressa menzione della certificazione di qualità nell’ambito dell’art. 49 del D.Lgs. n. 163/2006, è preferibile interpretare quest’ultima norma nel senso di ritenere che la stessa non consente l’avvalimento della certificazione di qualità ISO 9001 (cfr. Avcp pareri n. 64 del 20.05.2009 e n. 254 del 10.12.2008).
Simile orientamento, infatti, risulta quello più conforme ai criteri di interpretazione della legge fissati dall’art. 12 delle disposizioni preliminare al codice civile, in quanto, da un lato in ossequio al criterio letterale, tiene conto del dato testuale del diritto comunitario e nazionale, che, come sopra evidenziato, circoscrivono l’avvalimento ai soli requisiti speciali, e dall’altro in ossequio al criterio logico-sistematico, tiene conto sia della natura sostanziale della certificazione in questione, come sopra ricostruita, sia della circostanza che il legislatore comunitario e nazionale disciplinano la certificazione di qualità in una disposizione distinta rispetto a quelle relative all’avvalimento.
L’indirizzo dell’Autorità, inoltre, è condiviso anche dalla giurisprudenza amministrativa maggioritaria, che qualifica la certificazione in esame come requisito soggettivo, preordinato a garantire all’amministrazione appaltante la qualità dell’esecuzione delle prestazioni contrattuali dovute (Cons. di Stato, Sez. V, n. 4668 del 25.7.2006, Cons. Stato, 18.10.2001 n. 5517, Tar Sardegna, Sez. I, 27.03.2007 n. 556, TAR Lazio, Sez. II-ter, n. 923 del 06.02.2007) e precisa che tale “obiettivo, per essere effettivamente perseguito, richiede necessariamente che la certificazione di qualità riguardi direttamente l’impresa appaltatrice” (Tar Sardegna, Sez. I, 06.04.2010 n. 665).
Tanto è vero che, ai fini del dimezzamento della cauzione provvisoria ai sensi dell’art. 75, comma 7, del D.Lgs. n. 163/2006, il giudice ha ritenuto sufficiente per il concorrente produrre la certificazione di qualità della propria controllante, solo nell’ipotesi in cui nella suddetta certificazione sia previsto espressamente che la stessa copra tutte le società controllate (TAR Veneto, Sez. I, 01.10.2010 n. 5257).
---------------
L’avvalimento è istituto di origine pretoria, frutto dell’elaborazione giurisprudenziale della Corte di Giustizia Europea, attenta a realizzare nel settore delle commesse pubbliche la più ampia partecipazione degli operatori economici, con il fine di garantire la libertà di circolazione dei servizi, dei capitali e la tutela del mercato.
Se le prime pronunce in argomento hanno affermato la possibilità per la società capogruppo di soddisfare la richiesta dei requisiti speciali, per il tramite delle capacità economico-finanziarie e tecnico-organizzative di soggetti terzi appartenenti al medesimo gruppo, successivamente la giurisprudenza comunitaria ha ammesso l’utilizzo più vasto e generalizzato dell’avvalimento, anche al di fuori dei rapporti infragruppo, purché il concorrente, privo delle predette capacità, fornisca la prova di disporre effettivamente dei mezzi necessari per l’esecuzione del contratto; in caso contrario, infatti, l’istituto in esame potrebbe essere utilizzato per eludere la disciplina dettata dal Codice dei Contratti Pubblici in materia di requisiti di partecipazione alle procedure di selezione.
La definitiva positivizzazione dell’istituto si deve alle Direttive 2004/18 (artt. 47 e 48) e 2004/17 (art. 54), le quali circoscrivono espressamente il campo di applicazione dell’istituto in esame alla capacità economico-finanziaria ed alla capacità tecnico-professionale. Più precisamente l’art. 47 della Direttiva 2004/18, dopo aver indicato le referenze che possono provare la capacità economica e finanziaria di un operatore, riconosce a quest’ultimo, la possibilità, di “fare affidamento sulle capacità di altri soggetti, a prescindere dalla natura giuridica dei suoi legami con questi ultimi. In tal caso deve dimostrare alla amministrazione aggiudicatrice che disporrà dei mezzi necessari, ad esempio mediante presentazione dell'impegno a tal fine di questi soggetti”.
Parimenti il successivo art. 48, dopo aver indicate le modalità di valutazione e di verifica delle capacità tecniche e professionali di un operatore economico, riconosce a quest’ultimo la facoltà “di fare affidamento sulle capacità di altri soggetti, a prescindere dalla natura giuridica dei suoi legami con questi ultimi. Deve, in tal caso, provare all'amministrazione aggiudicatrice che per l'esecuzione dell'appalto disporrà delle risorse necessarie ad esempio presentando l'impegno di tale soggetto di mettere a disposizione dell'operatore economico le risorse necessarie”.
La normativa comunitaria configura, quindi, l’avvalimento quale strumento che permette di ampliare la platea dei partecipanti alle procedure per l’affidamento di contratti pubblici, consentendo l’accesso al confronto concorrenziale non soltanto agli operatori economici che possiedono “in proprio” i requisiti di capacità economica, finanziaria, tecnica ed organizzativa prescritti dalla legge o richiesti dalla singola stazione appaltante, ma anche a quegli operatori che, pur non avendo di per sé i predetti requisiti, intendono utilizzare le capacità di altri soggetti, dando la prova di averne l’effettiva disponibilità per tutta la durata del contratto pubblico. Rimangono esclusi dall’ambito oggettivo di applicazione della disciplina in esame i requisiti più direttamente afferenti agli stati soggettivi dell’operatore economico, che la Direttiva 18/2004 elenca all’art. 45, rubricato Situazione personale del candidato o dell’offerente.
Il legislatore italiano ha recepito l’istituto dell’avvalimento all’art. 49 del Codice dei contratti pubblici, riconoscendo all’istituto in esame, anche a seguito dei decreti correttivi, la medesima portata che ha nel diritto comunitario. La norma nazionale, infatti, così come quella comunitaria, prevede che possono essere oggetto di avvalimento i soli requisiti di carattere economico-finanziario, tecnico-organizzativo e la certificazione SOA. All’interno del perimetro appena tracciato l’istituto in questione ha portata generale, mentre all’esterno di esso l’istituto non trova applicazione e, pertanto non si estende ai requisiti generali, tradizionalmente definiti di ordine pubblico o di moralità.
Osta a ciò non soltanto il dato letterale delle direttive comunitarie e del Codice dei contratti pubblici, che non prendono in considerazione i requisiti generali ai fini dell’avvalimento, ma anche la loro natura sostanziale, consistendo questi ultimi essenzialmente in condizioni soggettive del concorrente, suscettibili, ove presenti, di precludere la partecipazione alla gara e la stipulazione del contratto
(parere di precontenzioso 19.05.2011 n. 97 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: Se è vero che ai sensi dell’art. 46 e in considerazione dei principi di proporzionalità, di massima partecipazione alla gara e di previa audizione dei privati l'Amministrazione ha il “potere-dovere” di disporre la regolarizzazione degli atti quando questi, tempestivamente depositati, rendano ragionevole ritenere sussistenti i requisiti di partecipazione, è pur vero che lo stesso art. 46 prevede che le stazioni appaltanti invitano i concorrenti a completare o a fornire chiarimenti in ordine al contenuto dei certificati, documenti e dichiarazioni presentati, nei limiti degli articoli da 38 a 45.
Ciò significa che la mancanza, come nel caso di specie, di dichiarazioni richieste a pena di esclusione e ricollegabili a specifiche cause di esclusione di cui all’art. 38 del Codice, non consentiva all’amministrazione l’esercizio di quel potere discrezionale di interlocuzione che trova, tra l’altro, il suo limite, nel rispetto della par condicio dei concorrenti
(parere di precontenzioso 19.05.2011 n. 96 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: La valutazione in ordine al possibile annullamento in autotutela di una procedura di gara rientra nella esclusiva potestà discrezionale della stazione appaltante, che è chiamata a decidere, secondo gli ordinari canoni della autotutela, laddove sussistano ragioni di opportunità e di interesse pubblico attuale e concreto.
La potestà di agire in autotutela per revocare o annullare la documentazione di gara, infatti, come è noto, risiede nel principio costituzionale di buon andamento che impegnando l’amministrazione ad adottare atti per la migliore realizzazione del fine pubblico perseguito, si traduce nell’esigenza che l’azione amministrativa si adegui all’interesse pubblico allorquando questo muti o vi sia una sua diversa valutazione.
L’amministrazione, qualora decidesse di adottare un provvedimento in autotutela, lo dovrà fare fondando il proprio giudizio, non sulla mera esigenza di ripristino della legalità, ma dando conto, nella motivazione, della sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale alla rimozione dell’atto
(parere di precontenzioso 19.05.2011 n. 95 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: L’esclusione non può essere disposta nei confronti di quei soggetti che abbiano regolarizzato la loro posizione tributaria in sede giurisdizionale o amministrativa o che abbiano quantomeno presentato istanza di rateizzazione o di riduzione del debito entro il termine di scadenza per la presentazione della domanda di partecipazione alla gara ovvero di presentazione dell’offerta (parere di precontenzioso 19.05.2011 n. 94 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: L’art. 46, d.lgs. 12.04.2006 n. 163 (in base al quale, nei limiti previsti dagli articoli da 38 a 45, le stazioni appaltanti invitano, se necessario, i concorrenti a completare o a fornire chiarimenti in ordine al contenuto dei certificati, documenti e dichiarazioni presentati) deve essere inteso nel senso che l'Amministrazione ha il potere-dovere di disporre la regolarizzazione quando gli atti, tempestivamente depositati, contengano elementi che possano costituire un indizio e rendano ragionevole ritenere sussistenti i requisiti di partecipazione. Di guisa che l'Amministrazione non può pronunciare l'esclusione dalla procedura, ma è tenuta a richiedere al partecipante di integrare o chiarire il contenuto di un documento già presente, costituendo siffatta attività acquisitiva un ordinario “modus procedendi”, ispirato all'esigenza di far prevalere la sostanza sulla forma (cfr. in tal senso ex multis TAR Sardegna Cagliari, sez. I, 09/10/2009, n. 1537; TAR Piemonte Torino, sez. I, 30/03/2009, n. 837; TAR Sardegna Cagliari, sez. I, 23/06/2008, n. 1253; TAR Lazio Roma, sez. III, 05/06/2008, n. 5491; TAR Lazio Roma, sez. III, 26/03/2007, n. 2586; TAR Lazio Roma, sez. I 19/11/2004 n. 13555; TAR Lombardia Brescia 23.08.2001 n. 725; TAR Bari, Sez. II, 10.05.1996 n. 253).
Invero, le disposizioni dettate dall'art. 46 D.Lgs. n.163/2006, nella parte in cui prevedono che le amministrazioni invitano, se necessario, le ditte partecipanti a gare per l'aggiudicazione di appalti pubblici a fornire chiarimenti e ad integrare la carente documentazione presentata, sono da intendersi non come una mera facoltà o un potere eventuale, ma piuttosto come la codificazione di un ordinario modo di procedere, volto a far valere, entro certi limiti e nel rispetto della “par condicio” dei concorrenti, la sostanza sulla forma, orientando l'azione amministrativa sulla concreta verifica dei requisiti di partecipazione e della capacità tecnica ed economica, coerentemente con la disposizione di carattere generale contenuta nell'art. 6 l. n. 241/1990, sempre che, naturalmente, la procedura di regolarizzazione e di ulteriore chiarificazione non debba cedere di fronte al limite della garanzia della “par condicio” dei partecipanti.
Non va, inoltre, sottaciuta -sotto il profilo sostanziale- la circostanza che la stessa stazione appaltante ha comunicato all’impresa la propria intenzione di non segnalare la disposta esclusione all’Autorità “in quanto la stessa è riconducibile ad un errore materiale”. Tale circostanza va coniugata con la possibilità -generalmente riconosciuta nell'ambito degli appalti pubblici, seppur nei limiti sopra indicati- di integrazione della documentazione, senza che tale possibilità possa configurare una violazione della par condicio dei concorrenti, rispetto ai quali, al contrario, assume rilievo l'effettività del possesso del requisito (Cons. Stato, Sez. VI, 18.05.2001 n. 2781).
In proposito, deve sottolinearsi che nelle gare per l'aggiudicazione di contratti della Pubblica Amministrazione, il solo limite del potere discrezionale di interlocuzione è costituito dal rispetto della par condicio dei concorrenti, nel senso che la richiesta di integrazione e di chiarimenti non deve tradursi in un'indebita sostituzione della stazione appaltante alla diligenza ordinamentale, esigibile da parte di tutti i concorrenti alla procedura selettiva e ravvisabile nella completezza della documentazione presentata a corredo dell'offerta e specificamente richiesta a pena di esclusione dal bando di gara.
Invero, il potere di richiedere chiarimenti alla ditta partecipante ad una gara per l'aggiudicazione di un contratto della Pubblica Amministrazione previsto dall'art. 46 del D.Lgs. n. 163/2006 deve trovare applicazione nelle ipotesi in cui sussistano dubbi circa la sussistenza di requisiti richiesti dal bando e in ordine ai quali vi sia, tuttavia, un principio di prova circa il loro possesso da parte della ditta medesima, non essendovi, per contro, alcuno spazio per l'esercizio del potere di integrazione nel caso in cui la documentazione o la dichiarazione siano del tutto mancanti o assolutamente inidonee, oppure non sia possibile per l'Amministrazione evincere alcuna certezza, dovendo in tale ipotesi necessariamente comminarsi l'esclusione (
parere di precontenzioso 19.05.2011 n. 93 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: E’ conforme alla normativa di settore in quanto conforme ai parametri della logicità e della ragionevolezza, ed essendo redatta in termini chiari e prevedendo un adempimento non sproporzionato, la clausola che preveda, a pena di esclusione, che la cauzione provvisoria rechi l’espressa previsione della copertura della garanzia per l’Ente in caso di mancata ottemperanza del concorrente alla richiesta di dimostrazione del possesso dei requisiti di capacità economico-finanziaria e tecnico-organizzativa ex art. 48 del d.lgs. n. 163/2006, ovvero in caso di verificata non corrispondenza tra quanto autodichiarato dal concorrente e quanto accertato dalla stazione appaltante (parere di precontenzioso 19.05.2011 n. 92 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: La stazione appaltante può fissare, nell’ambito della propria discrezionalità, requisiti di partecipazione ad una gara di appalto e di qualificazione più rigorosi e restrittivi di quelli minimi stabiliti dalla legge, purché, tuttavia, tali prescrizioni si rivelino rispettose dei principi di proporzionalità e ragionevolezza, non limitino indebitamente l’accesso alla procedura di gara e siano giustificate da specifiche esigenze imposte dal peculiare oggetto dell’appalto. L’adeguatezza e la proporzionalità dei requisiti richiesti dalla documentazione di gara vanno, dunque, valutate con riguardo all’oggetto dell’appalto ed alle sue specifiche peculiarità.
In una gara per l’affidamento dei servizi di gestione del servizio sociale professionale e del servizio spazio protetto a supporto dell’analogo servizio comunale, non è conforme alla normativa di settore la clausola del bando che prevede che possano partecipare alla selezione solo “gli enti iscritti ad una qualunque sezione dell’Albo Regionale ex art. 26 della L.R. n. 22/1986” in quanto sproporzionata e incongruente rispetto alle esigenze sottese all’espletamento della gara e perché non consente alle cooperative sociali iscritte nell’Albo nazionale tenuto presso il Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale di partecipare alla selezione
(parere di precontenzioso 19.05.2011 n. 91 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

LAVORI PUBBLICI: In una gara avente ad oggetto la progettazione esecutiva, realizzazione e successiva manutenzione di un sistema di videosorveglianza in fibra ottica a fini di sicurezza urbana, relativa ad impianti esterni ad edifici, appare corretta la richiesta della categoria OS19 (“Impianti di reti di telecomunicazioni e di trasmissione dati - Fornitura, montaggio e manutenzione o ristrutturazione di impianti di commutazione per reti pubbliche o private, locali o interurbane, di telecomunicazione per telefonia, telex, dati e video su cavi in rame, su cavi in fibra ottica, su mezzi radioelettrici, su satelliti telefonici, radiotelefonici, televisivi e reti di trasmissione dati e simili, qualsiasi sia il loro grado di importanza, completi di ogni connessa opera muraria, complementare o accessoria, da realizzarsi, separatamente dalla esecuzione di altri impianti, in opere generali che siano state già realizzate o siano in corso di costruzione”) quale categoria prevalente dei lavori da affidare, in luogo della S30, relativa ad impianti interni ad edifici e concernente il differente caso di interventi accessori ad opere di costruzione più ampie (parere di precontenzioso 19.05.2011 n. 89 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: La previsione dell’avviso di preinformazione che ammette a presentare domanda ai fini dell’inserimento nell’elenco delle imprese da invitare per le procedure di affidamento di appalti pubblici gli operatori economici che abbiano la sede operativa nella provincia in cui ha sede la stazione appaltante è contraria ai principi generali in materia di evidenza pubblica, in tema di tutela della concorrenza, del diritto di stabilimento e del libero mercato in quanto costituisce una irragionevole limitazione soggettiva della possibilità di partecipare alle procedure di affidamento alle sole imprese aventi sede operativa in un territorio limitato (parere di precontenzioso 19.05.2011 n. 88 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: Non sussistono ostacoli normativi ad ammettere alle procedure di gara le cooperative sociali, rientrando tra i soggetti a cui possono essere affidati contratti pubblici (art. 34, comma 1, lettera a).
Infatti, le cooperative sociali di tipo “B” che si avvalgono prevalentemente di personale svantaggiato ai sensi della legge 381/1991, potendo fruire di una base imponibile contributiva ridotta e di un regime tributario agevolato, possono formulare offerte economiche contenute. Lo scopo delle cooperative sociali è infatti quello di offrire una “occasione di lavoro protetta” al personale svantaggiato, così perseguendo finalità sociali più che economiche che non implicano margini di guadagno significativi, ma un sostanziale pareggio dei costi.
Tale circostanza non determina di per sé una turbativa della concorrenza e della par condicio nell’accesso ai pubblici appalti costituendo il riflesso dell’applicazione di una normativa speciale rivolta ad obiettivi di interesse pubblico.
---------------
Compete all’Amministrazione il giudizio tecnico sulla congruità, serietà e realizzabilità dell’offerta, non essendo ammissibile una sindacabilità nel merito con effetto sostitutivo nell’esercizio di tale potere di valutazione (parere n. 173 del 20.10.2010).
Pertanto, gli apprezzamenti compiuti dall’amministrazione in sede di valutazione della congruità delle offerte costituiscono espressione di un potere di natura tecnico–discrezionale, improntato a criteri di ragionevolezza, logicità e proporzionalità, che resta prerogativa di esclusiva competenza della stazione appaltante.
A tal fine possono ritenersi congrue le offerte che indicano un costo medio orario inferiore ai minimi tabellari, purché lo scostamento non sia eccessivo e vengano salvaguardate le retribuzioni dei lavoratori, così come stabilito dalla contrattazione collettiva.
---------------
Il cottimo fiduciario di cui all’art. 125 del D.Lgs. n.163/2006 è una procedura negoziata nella quale, secondo quanto previsto dall’art. 331 del Regolamento, le stazioni appaltanti devono assicurare il rispetto del principio della massima trasparenza, contemperando altresì l’efficienza dell’azione amministrativa con i principi di parità di trattamento, non discriminazione e concorrenza tra gli operatori economici.
Figura centrale nel sistema dell’acquisizione in economia di lavori, servizi e forniture è il responsabile unico del procedimento
(parere di precontenzioso 19.05.2011 n. 87 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: In linea con quanto stabilito dall’art. 38 del D.Lgs. n. 163/2006, gli operatori economici devono indicare tutte le condanne riportate, indipendentemente dal fatto che siano o meno ritenute (dal concorrente) preclusive della partecipazione alla gara, al fine di consentire alla stazione appaltante di valutare la gravità della condotta tenuta e del reato commesso.
Infatti, in assenza di parametri normativi fissi e predeterminati per l’individuazione di reati gravi in danno dello Stato o della Comunità europea che incidono sulla moralità professionale delle imprese partecipanti alle gare di appalto, è la pubblica amministrazione che nell’esercizio del potere discrezionale tecnico ad essa spettante, con adeguata e congrua motivazione, valuta l’idoneità del reato ad integrare la causa di esclusione in argomento
(parere di precontenzioso 05.05.2011 n. 86 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: L'istituto dell'avvalimento, di origine comunitaria, si delinea quale strumento in grado di consentire la massima partecipazione dei concorrenti alle gare pubbliche permettendo alle imprese non in possesso dei requisiti oggettivi di ordine speciale, economico–finanziari e tecnici, ivi compresa l’attestazione SOA, di sommare -unicamente per la gara in espletamento- le proprie capacità tecniche ed economico-finanziarie a quelle di altre imprese.
Il principio generale che permea l'istituto è quello secondo cui, ai fini della partecipazione alle procedure concorsuali, il concorrente -per dimostrare le capacità tecniche, finanziarie ed economiche nonché il possesso dei mezzi necessari all'esecuzione dell'appalto- può fare riferimento alla capacità e ai mezzi di uno o più soggetti diversi ai quali conta di ricorrere, qualunque sia la natura giuridica dei vincoli intercorrenti con questi ultimi. Tale istituto presuppone non soltanto che, in sede di gara, siano indicati i soggetti ed i requisiti specifici di cui il concorrente si intende avvalere, ma anche che sia data la prova, mediante presentazione di dichiarazione, dell’impegno da parte dell'impresa ausiliaria.
Peraltro, poiché la facoltà di avvalimento costituisce una rilevante eccezione al principio generale che impone che i concorrenti ad una gara pubblica possiedano in proprio i requisiti di qualificazione, la prova circa l'effettiva disponibilità dei mezzi dell'impresa avvalsa deve essere fornita in maniera rigorosa. Non costituisce avvalimento, secondo le disposizioni dell’art. 49 del Codice, la possibilità -contemplata dall’art. 53, comma 3- per gli operatori economici che partecipano a gare che hanno per oggetto anche la progettazione, di “avvalersi” di progettisti qualificati.
Tale possibilità, infatti, era già prevista all’art. 19, comma 1-ter, della legge n. 109/1994, che non prevedeva l’istituto dell’avvalimento, il quale consentiva, in caso di appalto integrato, alle imprese prive di qualificazione per la progettazione, di “avvalersi” di progettisti qualificati senza dover ricorrere ad un raggruppamento temporaneo di operatori economici
(parere di precontenzioso 05.05.2011 n. 85 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

INCARICHI PROGETTUALI: Nelle procedure selettive volte all’affidamento di incarichi di progettazione, la presenza di un giovane professionista costituisce una condizione di ammissibilità dell’istanza di partecipazione alla gara; tuttavia la legge non richiede che questa presenza assuma la connotazione di una partecipazione in veste di socio del R.T.P. ma è sufficiente che essa si manifesti in un mero rapporto di collaborazione professionale o di dipendenza.
Anche la giurisprudenza sostiene che ai fini della valida partecipazione di un R.t.i. a procedure indette per l’aggiudicazione di servizi di progettazione, è sufficiente che nella compagine del raggruppamento sia contemplata la presenza, con rapporto di collaborazione professionale o di dipendenza, di un professionista abilitato iscritto all'albo da meno di cinque anni, senza la necessità che questi assuma anche responsabilità contrattuali (CdS, sez. V, n. 6347 del 24/10/2006)
(parere di precontenzioso 05.05.2011 n. 84 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI FORNITURE E SERVIZI: Ai sensi dell’art. 42, comma 1, del D.Lgs. n. 163/2006 la dimostrazione dei requisiti di capacità tecnica e professionale può essere fornita attraverso la presentazione dell’elenco dei principali servizi e forniture eseguiti negli ultimi tre anni, con le indicazioni degli importi e degli altri dati rilevanti (lettera a).
La Stazione appaltante vanta un apprezzabile margine di discrezionalità nel chiedere requisiti di capacità economica, finanziaria e tecnica ulteriori e più severi rispetto a quelli indicati nella disciplina richiamata, ma con il limite del rispetto dei principi di proporzionalità e ragionevolezza; sicché non è consentito pretendere il possesso di requisiti sproporzionati o estranei rispetto all’oggetto della gara (Cons. Stato, Sez. V, 08.09.2008, n. 3083; Cons. Stato, Sez. VI, 23.07.2008, n. 3655).
Quindi sono da considerare legittimi i requisiti richiesti dalle stazioni appaltanti che, pur essendo ulteriori e più restrittivi di quelli previsti dalla legge, rispettino il limite della logicità e della ragionevolezza e, cioè, della loro pertinenza e congruità a fronte dello scopo perseguito. Tali requisiti possono essere censurati solo allorché appaiano viziati da eccesso di potere, ad esempio per illogicità o per incongruenza rispetto al fine pubblico della gara (Cons. Stato, 15.12.2005, n. 7139)
(parere di precontenzioso 05.05.2011 n. 83 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

LAVORI PUBBLICI: Il principio dell’assorbenza fra categorie generali e categorie specializzate trova applicazione esclusivamente in riferimento alla OG11, nel senso che, ove nel bando sia richiesta la qualificazione di cui alle categorie di opere specializzate OS3, OS30, OS28, è consentita la partecipazione anche delle imprese qualificate in categoria OG11. Ciò in quanto detta categoria generale è in effetti la sommatoria di categorie speciali e pertanto sussiste la presunzione che un soggetto qualificato in OG11 sia in grado di svolgere mediamente tutte le lavorazioni speciali contenute in tale categoria generale.
Tuttavia, la qualificazione per la categoria di opere generali OG11 assorbe quella per la categoria di opere speciali solo nel caso in cui la disciplina speciale della singola gara non rechi alcuna clausola in contrario
(parere di precontenzioso 05.05.2011 n. 82 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: Qualora il bando commini espressamente l’esclusione dalla gara in conseguenza di determinate prescrizioni, l’Amministrazione è tenuta a dare precisa ed incondizionata esecuzione a dette prescrizioni, restando preclusa all’interprete ogni valutazione circa la rilevanza dell’inadempimento, la sua incidenza sulla regolarità della procedura selettiva e la congruità della sanzione contemplata nella lex specialis, alla cui osservanza la stessa Amministrazione si è autovincolata al momento del bando.
Ciò specialmente laddove le clausole (oltre ad essere pienamente in linea con il quadro normativo di riferimento), siano chiaramente evidenziate nell’ambito della lex specialis, essendo riportate come previste a pena di esclusione, nonché formulate in termini letterali che non presentano profili di dubbio interpretativo, cosicché i partecipanti risultino correttamente informati
(parere di precontenzioso 05.05.2011 n. 81 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: L’avvalimento è istituto di origine pretoria, frutto dell’elaborazione giurisprudenziale della Corte di Giustizia europea attenta a realizzare nel settore delle commesse pubbliche la più ampia partecipazione degli operatori economici, con il fine di garantire la libertà di circolazione dei servizi, dei capitali e la tutela del mercato.
La giurisprudenza comunitaria ha ammesso l’utilizzo più vasto e generalizzato dell’avvalimento, anche al di fuori dei rapporti infragruppo, purché il concorrente, privo delle predette capacità, fornisca la prova di disporre effettivamente dei mezzi necessari per l’esecuzione del contratto. Non è possibile applicare l’avvalimento ai requisiti di ordine generale, tradizionalmente definiti di ordine pubblico o di moralità.
La certificazione di qualità ISO 9001:2008 non copre il prodotto realizzato o il servizio/la lavorazione resi, ma testimonia semplicemente che l’imprenditore opera in conformità a specifici standard internazionali per quanto attiene la qualità dei propri processi produttivi. Ne deriva che la certificazione di qualità è un requisito soggettivo, in quanto attiene ad uno specifico “status” dell’imprenditore: l’aver ottemperato a determinate disposizioni normative, preordinate a garantire alla stazione appaltante che l’esecuzione delle prestazioni contrattuali dovute avverrà nel rispetto della normativa in materia di processi di qualità. E’ preferibile interpretare l’art. 49 del D.Lgs. n. 163/2006 nel senso che non consente l’avvalimento della certificazione di qualità ISO 9001:2008.
Anche la giurisprudenza amministrativa maggioritaria qualifica la certificazione in esame come requisito soggettivo, preordinato a garantire all’amministrazione appaltante la qualità dell’esecuzione delle prestazioni contrattuali dovute, e precisa che tale “obiettivo, per essere effettivamente perseguito, richiede necessariamente che la certificazione di qualità riguardi direttamente l’impresa appaltatrice
(parere di precontenzioso 05.05.2011 n. 80 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

LAVORI PUBBLICI: E’ dato consolidato che l'espressione “avvalersi di progettisti qualificati”, contenuta nell'art. 53, comma 3, del Codice dei Contratti pubblici, vada letta come un mero richiamo al ricorso all'opera o alla attività di altro soggetto (da indicarsi nell’offerta da parte dell’Impresa partecipante).
Appare chiaro, altresì, dalla lettura della norma, come tale opzione sia alternativa a quell’altra “partecipare in raggruppamento con soggetti qualificati per la progettazione”. Il principio di libertà di scelta delle forme di collaborazione tra imprese, cui si ispira l'art. 53, è di provenienza direttamente comunitaria, e non può, quindi, ragionevolmente essere contestato in questa sua concreta applicazione. La citata norma consente, invero, all'impresa priva dei requisiti di qualificazione per la progettazione, la più ampia libertà nell'individuazione della forma di collaborazione professionale che intende effettuare con il progettista.
Al riguardo, i progettisti non assumono la qualità di “concorrenti”, né quella di titolari del rapporto contrattuale con l’Amministrazione in caso di eventuale aggiudicazione
(parere di precontenzioso 05.05.2011 n. 79 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: In attuazione dei principi (comunitari e nazionali) di proporzionalità, di massima partecipazione alla gara e di previa audizione dei privati, l'art. 46 del D.Lgs. 12.04.2006 n. 163 (in base al quale, nei limiti previsti dagli articoli da 38 a 45, le stazioni appaltanti invitano, se necessario, i concorrenti a completare o a fornire chiarimenti in ordine al contenuto dei certificati, documenti e dichiarazioni presentati) deve essere inteso nel senso che l’Amministrazione ha il “potere-dovere” di disporre la regolarizzazione quando gli atti, tempestivamente depositati, rendano ragionevole ritenere sussistenti i requisiti di partecipazione.
Di guisa che l’Amministrazione non può, in tal caso, pronunciare tout-court l’esclusione dalla procedura, ma è tenuta a richiedere al partecipante di integrare il contenuto di un documento già presente, costituendo siffatta attività acquisitiva un ordinario “modus procedendi”, ispirato all’esigenza di far prevalere la sostanza sulla forma Nelle gare per l’aggiudicazione di contratti della Pubblica Amministrazione, il solo limite del potere discrezionale di interlocuzione è costituito dal rispetto della par condicio dei concorrenti, nel senso che la richiesta di integrazione non deve tradursi in un’indebita sostituzione della Stazione appaltante alla diligenza ordinamentale, esigibile da parte di tutti i concorrenti alla procedura selettiva e ravvisabile nella completezza della documentazione presentata a corredo dell'offerta e specificamente richiesta a pena di esclusione dal bando di gara. Non vi è spazio alcuno per l’esercizio del potere di integrazione nel solo caso in cui la documentazione o la dichiarazione siano del tutto mancanti, dovendo, in tale ipotesi, necessariamente comminarsi l'esclusione
(parere di precontenzioso 05.05.2011 n. 78 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: La procedura prevista dall'art. 48 del D.Lgs. n. 163/2006 si applica ai contratti aventi ad oggetto lavori, servizi, e forniture, nei settori ordinari, sia sopra che sotto soglia comunitaria (il Titolo II del Codice non ne esclude, infatti, l'applicazione ai contratti sotto soglia).
Sempre dal tenore letterale della norma in commento si evince che essa trova applicazione agli appalti di lavori ed agli appalti di servizi e forniture che si svolgono con procedura aperta, ristretta, negoziata, con o senza pubblicazione di un bando di gara, o con dialogo competitivo, sempre che sia stata richiesta ai concorrenti, per la partecipazione alla gara, una dichiarazione sostitutiva circa il possesso dei requisiti speciali, individuati nei loro livelli minimi. Nella medesima ottica, si deve ribadire che l’attivazione del procedimento di verifica di cui all'art. 48 del Codice è obbligatorio, così come si evince dalla lettera della norma, senza alcun margine di discrezionalità da parte della stazione appaltante.
Ne consegue che non occorre preventivamente indicare negli atti di gara, né l'attivazione della procedura di verifica, né il numero di soggetti che ne saranno interessati; le sole indicazioni destinate ad essere espresse nel bando o nella lettera di invito riguardano i mezzi di prova che gli operatori economici saranno tenuti a produrre per dimostrare la veridicità di quanto dichiarato, nonché i requisiti minimi di partecipazione previsti nel bando di gara e i criteri per la valutazione degli stessi.
Inoltre, con specifico riguardo agli appalti di lavori pubblici di importo inferiore a € 150.000,00, il sorteggio sarà condotto esclusivamente sui concorrenti non in possesso di attestato SOA e, di conseguenza, il 10% sarà calcolato sul numero di partecipanti al netto di quelli qualificati; questi ultimi saranno direttamente ammessi alle successive fasi di gara.
Se, invece, la documentazione comprovativa da questi presentata, in sede di domanda di partecipazione o di offerta, sia integrata da dichiarazioni sostitutive circa il possesso dei residui requisiti richiesti, detto concorrente sarà inserito nel numero di partecipanti da cui estrarre il campione su cui effettuare la verifica e, se individuato mediante sorteggio, o in qualità di primo o secondo classificato, la stazione appaltante ne richiederà la documentazione di comprova limitatamente ai requisiti oggetto di dichiarazione
(parere di precontenzioso 21.04.2011 n. 75 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

LAVORI PUBBLICI: Nel caso in cui l’oggetto dell'appalto sia costituito da lavori “concernenti” un palazzo di interesse storico-artistico, sottoposto come tale alla tutela del D.Lgs. n. 42/2004, per la loro esecuzione, sulla base delle declaratorie di cui all'allegato 1 al D.P.R. n. 34/2000, non è sufficiente il possesso della qualificazione per la categoria individuata con l'acronimo OG1 (relativa agli edifici civili e industriali) occorrendo, invece, possedere la qualificazione per la categoria contrassegnata dall'acronimo OG2 (riguardante il restauro e la manutenzione dei beni immobili sottoposti a tutela ai sensi delle disposizioni in materia di beni culturali e ambientali).
Il possesso della qualificazione per la categoria OG2 è necessario, non già per il solo caso in cui sui beni vincolati si vadano ad eseguire lavorazioni particolarmente specifiche o complesse; poiché, invece, è la peculiarità del bene, sul quale si va ad intervenire, a richiedere la speciale qualificazione dell'esecutore indipendentemente ed a prescindere dal tipo di intervento da praticare
(parere di precontenzioso 21.04.2011 n. 74 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

INCARICHI PROGETTUALI: Rientrano nell'ambito oggettivo di applicazione dell'articolo 90, co. 1, del d.Lgs. 163/2006 tutte le attività di progettazione di opere e lavori pubblici finalizzate alla redazione dei progetti, consistenti nel tipo e numero di elaborati individuati per i singoli livelli di progettazione -preliminare, definitivo ed esecutivo- dagli articoli da 18 a 45 del D.P.R. 21.12.1999 n. 554 e s.m., nonché l'attività di direzione lavori e quelle di tipo accessorio connesse alla predetta attività di progettazione elencate nell'articolo 17, commi 1 e 14-quinquies della legge quadro.
Ne deriva che, ad esempio, nell’ipotesi di affidamento della progettazione e della direzione lavori, ai fini della dimostrazione della specifica esperienza pregressa, anche per i servizi cd. di punta, in relazione ad ognuna delle classi e categorie dei lavori cui si riferiscono i servizi da affidare, detti requisiti possono essere dimostrati con l’espletamento pregresso di incarichi di progettazione e direzione lavori, di sola progettazione ovvero di sola direzione lavori.
La logica sottesa alla richiesta del requisito del “servizio di punta”, infatti, è quella di aver svolto singoli servizi di una certa entità complessivamente considerati e non di aver svolto servizi identici a quelli da affidare
(parere di precontenzioso 21.04.2011 n. 73 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: Nel contrasto tra clausole del bando e quelle del capitolato va sempre accordata prevalenza alle prime, atteso che il capitolato assolve alla preminente funzione di predeterminare l’assetto negoziale degli interessi dell’amministrazione e dell’impresa aggiudicataria in seguito all’espletamento della gara e non di regolamentare direttamente la procedura selettiva (parere di precontenzioso 21.04.2011 n. 72 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: L’integrazione della documentazione carente ai sensi dell’art. 46 del Codice dei contratti pubblici costituisce una facoltà dell’amministrazione esercitabile nel rispetto della parità di trattamento (Cons. Stato, Sez. IV, 10.05.2007, n. 2254), al fine di favorire la più ampia partecipazione alla gara (pareri di questa Autorità n. 89 del 10.09.2009; n. 3 del 15.01.2009) e presuppone il completamento ed il chiarimento “in ordine al contenuto dei certificati, documenti e dichiarazioni presentati” e non già la produzione ex novo di documentazione richiesta dal bando e non prodotta, pena la violazione della par condicio tra i partecipanti alla gara (come si evince dalla stessa decisione del Consiglio di Stato n. 7758/2004 invocata dalla concorrente esclusa) (parere di precontenzioso 21.04.2011 n. 71 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: Secondo un costante orientamento giurisprudenziale, indipendentemente dalla presenza di un espresso riscontro nella normativa di gara, l’operatività dell’art. 38, globalmente inteso, deve ammettersi in virtù della dovuta eterointegrazione delle disposizioni del bando di gara, concernenti il contenuto delle offerte, con le prescrizioni legislative di natura obbligatoria e tassativa contenute nel Codice dei contratti pubblici (cfr., da ultimo, TAR Puglia, Lecce, Sez. III, 29.11.2010, n. 2734).
Ciò in forza del generale principio della necessaria eterointegrazione della lex specialis con le norme di legge di natura imperativa aventi un chiaro contenuto di ordine pubblico, cui la stazione appaltante non può derogare (cfr., in tale senso, Consiglio di Stato, Sez. V, 24.01.2007, n. 256). In particolare, è lo stesso art. 74 del citato D.Lgs. n. 163/2006 ad imporre, in sede di presentazione delle offerte, quale norma generale, l’espressa indicazione di tutte le condizioni soggettive di partecipazione, così come richiesto dall’art. 38 citato e con riferimento ai soggetti ivi indicati in quanto dotati di poteri di rappresentanza.
Dispone, infatti, il comma 2 del predetto art. 74 del D.Lgs. n. 163/2006 che “Le offerte contengono gli elementi prescritti dal bando o dall’invito ovvero dal capitolato d’oneri, e, in ogni caso, gli elementi essenziali per identificare l’offerente e il suo indirizzo e la procedura a cui si riferiscono, le caratteristiche e il prezzo della prestazione offerta, le dichiarazioni relative ai requisiti soggettivi di partecipazione”.
Ne consegue che, in tema di ammissione alle gare d'appalto, l'omissione delle dichiarazioni da rendere ai sensi dell'art. 38 del D.Lgs. n. 163/2006 costituisce di per sé motivo di esclusione e, pertanto, è rilevante anche in assenza di qualsivoglia richiamo alla predetta disposizione (cfr. C.G.A. Reg. Siciliana, Sez. Giurisdizionale 04.02.2010 n. 117).
Tale qualificazione giuridica delle prescrizioni contenute nella norma più volte richiamata costituisce un impedimento valido e sufficiente a che la stazione appaltante possa consentire qualsiasi integrazione documentale successiva al termine di presentazione delle offerte, senza che ciò incida sul principio della par condicio dei concorrenti
(parere di precontenzioso 21.04.2011 n. 69 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

LAVORI PUBBLICI: La previsione di cui all’art. 75, comma 7, del Codice è finalizzata a consentire il beneficio del dimezzamento della cauzione alle imprese munite di certificazione di qualità, in considerazione del fatto che tale certificazione garantisce che l’impresa è in grado di svolgere la sua attività secondo un livello minimo di qualità accertato da un organismo a ciò preposto e pertanto offre garanzie di maggiore affidabilità, con conseguente attenuazione del rischio di inadempimento.
Questa Autorità ha già riconosciuto che la certificazione in questione costituisce un requisito di natura soggettiva delle imprese, preordinato a garantire all’Amministrazione la qualità dell’esecuzione delle prestazioni dovute (cfr. AVCP pareri n. 64 del 20.05.2009 e n. 245 del 10.12.2008, TAR Sardegna, Sez. I, n. 665 del 06.04.2010, TAR Lazio, Sez. II-ter, n. 923 del 06.02.2007).
Ne deriva che un concorrente non può servirsi dell’attestazione di qualità che riguarda altra società, sebbene quest’ultima detenga la totalità delle sue azioni, salvo l’ipotesi in cui nella certificazione della controllante sia previsto espressamente che essa copra le società controllate (cfr. TAR Veneto, Sez. I, n. 5257 del 01.10.2010).
Diversamente opinando, infatti, si violerebbe la stessa ratio dell’art. 75, comma 7, D.L.gs n. 163/2006, perché si consentirebbe ad un concorrente, le cui lavorazioni e processi produttivi non sono certificati, di godere di un beneficio, che il legislatore ha previsto esclusivamente a favore di coloro che in virtù della certificazione richiesta riducono il rischio di inadempimento
(parere di precontenzioso 07.04.2011 n. 68 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: Laddove il titolare dell’impresa, che abbia beneficiato della non menzione della pena irrogata con il decreto penale di condanna debitamente dichiarato, in un caso siffatto, la stazione appaltante, sebbene non possa automaticamente escludere l’impresa per il motivo in esame, è comunque tenuta a compiere, ai sensi dell’art. 38, comma 1, lett. c), del D.Lgs. n. 163/2006, la necessaria valutazione discrezionale della incidenza della condanna, irrogata con il suddetto decreto penale, sulla moralità professionale del concorrente ai fini dell’esclusione dalla gara (parere di precontenzioso 07.04.2011 n. 67 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: Per determinare correttamente la soglia di anomalia si devono eseguire, nell’ordine, le seguenti operazioni:
a) si forma l'elenco delle offerte ammesse disponendole in ordine crescente dei ribassi;
b) si calcola il dieci per cento del numero delle offerte ammesse e lo si arrotonda all'unità superiore;
c) si accantona in via provvisoria un numero di offerte, pari al numero di cui alla lettera b), di minor ribasso nonché un pari numero di offerte di maggior ribasso (cosiddetto taglio delle ali);
d) si calcola la media aritmetica dei ribassi delle offerte che restano dopo l'operazione di accantonamento di cui alla lettera c);
e) si calcola -sempre con riguardo alle offerte che restano dopo l'operazione di accantonamento di cui alla lettera c)- lo scarto dei ribassi superiori alla media di cui alla lettera d) e, cioè, la differenza fra tali ribassi e la suddetta media;
f) si calcola la media aritmetica degli scarti e cioè la media delle differenze; qualora il numero dei ribassi superiori alla media di cui alla lettera d) sia pari ad uno la media degli scarti si ottiene dividendo l'unico scarto per il numero uno;
g) si somma la media di cui alla lettera d) con la media di cui alla lettera f); tale somma costituisce la soglia di anomalia
(parere di precontenzioso 07.04.2011 n. 66 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: In merito alla problematica relativa alla legittimità dell’esclusione, disposta per aver consegnato il plico-offerta “a mano” presso l’Ufficio protocollo dell’Istituto appaltante anziché nella forma di “autoprestazione”, ai sensi dell’art. 8 del D.Lgs. n. 261/1999 si rileva quanto segue.
Il citato art. 8 del D.Lgs. n. 261/1999, recante l’attuazione della Direttiva 97/67/CE sulle regole comuni per lo sviluppo del mercato interno dei servizi postali comunitari e per il miglioramento della qualità del servizio, dispone che “è consentita senza autorizzazione la prestazione di servizi postali da parte di persona fisica o giuridica che è all'origine della corrispondenza (autoprestazione) oppure da parte di un terzo che agisce esclusivamente in nome e nell'interesse dell’autoproduttore”.
Tale modalità di invio consiste nella consegna diretta al ricevente previa affrancatura del plico in base alle vigenti tariffe del “corriere prioritario”, annullata con “bollo a data” da un qualsiasi Ufficio postale. La norma permette di fruire delle garanzie caratteristiche della prestazione del servizio postale, analoghe a quelle rese dal fornitore del servizio universale, nei particolari casi in cui l'autoproduttore intenda non avvalersi del servizio di “trasporto della corrispondenza”, sia pur conservando la particolare certezza della data di invio e del contenuto del plico (cfr. Cons. di Stato, sez. V, 05.09.2005, n. 4485 che cita, al riguardo la direttiva delle Poste Italiane n. XXXIX prot. 10005/dir in data 05.10.1999).
Anche questa Autorità –proprio con riferimento a questa “particolare e specifica modalità di trasmissione del plico riconosciuta dalla norma di recepimento della Direttiva comunitaria”– ha avuto occasione di rilevare che tale modalità “consente di ritenere la consegna in autoprestazione equivalente alla trasmissione a mezzo del servizio postale”, aggiungendo che “diversamente interpretando si contravviene al disposto normativo di cui al citato articolo 8 del d.Lgs. n. 261/1999” (deliberazione 30.05.2007, n. 175). La procedura richiesta per il suo utilizzo, soprattutto per quanto attiene all’annullamento con “bollo a data” da parte dell’Ufficio postale, distingue tale modalità di inoltro dei plichi dalla “consegna a mano” e garantisce l’amministrazione in ordine alla integrità e provenienza del plico.
L'istituto della cd. “autoprestazione” non può, infatti, essere associato all’ipotesi in cui la presentazione dell'offerta di gara avvenga mediante “consegna a mano” della stessa da parte della ditta concorrente, distinguendosene per la previa attestazione della data da parte dell'Ufficio postale, con la conseguenza che la norma del disciplinare di gara non è suscettibile di interpretazione estensiva.
Pertanto, qualora la disciplina di gara non preveda fra le modalità di recapito dei plichi-offerta, la possibilità di effettuare la mera “consegna a mano”, svincolata da una specifica forma, correttamente la Commissione di gara procede all’esclusione del concorrente che ha utilizzato una modalità di recapito diversa da quelle consentite (cfr. in tal senso il parere di questa Autorità n. 99 dell’08.11.2007)
(parere di precontenzioso 07.04.2011 n. 63 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: La potestà di avvalimento –che consente a un concorrente, per comprovare il possesso dei requisiti economici, finanziari e tecnici di partecipazione a una gara d'appalto ai fini dell'aggiudicazione di un appalto pubblico di servizi, di far riferimento alle capacità di altri soggetti, qualunque sia la natura giuridica dei vincoli che ha con essi, a condizione che sia in grado di provare di disporre effettivamente dei mezzi di tali soggetti necessari all'esecuzione dell'appalto– costituisce un principio, di fonte sia comunitaria che nazionale, avente portata generale, in quanto esteso a tutti i pubblici appalti dalla direttiva unificata 18/2004 (art. 47, par. 2, nonché art. 48, par. 3) e disciplinato nel nostro ordinamento dall'art. 49 del Codice dei contratti pubblici.
Ne consegue che l'assenza di espresse previsioni al riguardo nella "lex specialis" di gara non costituisce affatto motivo di impedimento al suo utilizzo, ma al contrario legittima i concorrenti a far uso di tale facoltà nella sua più ampia portata (Consiglio Stato, Sez. V, 12.06.2009, n. 3762).
Precisato ciò, occorre rilevare che l’art. 49 del D.Lgs. n. 163/2006 è inequivoco nell’ammettere la possibilità di avvalimento anche ai Raggruppamenti Temporanei di Imprese. Il primo comma del citato articolo 49, infatti, consente l’avvalimento al "concorrente, singolo o consorziato o raggruppato ai sensi dell'articolo 34" (al riguardo, cfr. Consiglio Stato, Sez. VI, 20.12.2004, n. 8145; TAR Friuli Venezia Giulia Trieste, 12.04.2005, n. 230). A sua volta l’art. 91 del Codice dei contratti pubblici, nel dettare disposizioni specifiche per l’affidamento degli incarichi di progettazione, di direzione dei lavori, di coordinamento della sicurezza e di collaudo, sopra e sotto la soglia di € 100.000,00, richiama le disposizioni contenute nella parte seconda dello stesso Codice, tra le quali è ricompreso anche l’art. 34.
Non si può pertanto dubitare che l’istituto dell’avvalimento costituisca uno strumento generale utilizzabile anche dai Raggruppamenti Temporanei di Professionisti (società di professionisti, società di ingegneria o professionisti singoli), né dell’ammissibilità dell’avvalimento c.d. "esterno", che si realizza nel caso in cui il Raggruppamento si avvalga di capacità di un imprenditore terzo, oltre che di quello cd. "interno", che si concretizza nell’ipotesi in cui il Raggruppamento si avvalga di capacità di imprese partecipanti all’A.T.I. (cfr., in tal senso, con specifico riferimento all’applicabilità ai servizi di progettazione, Consiglio di Stato, Sez. V, 12.11.2009, n. 7054)
(parere di precontenzioso 07.04.2011 n. 61 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI SERVIZI: La scelta della stazione appaltante di fare ricorso ad un contratto di prestazione professionale ai sensi dell’art. 2222 c.c. per l’affidamento del servizio di controllo qualitativo della refezione scolastica anziché ad un appalto di servizi affidato tramite procedura ad evidenza pubblica, in carenza di elementi conoscitivi utili a suffragare la presunta maggiore efficacia dell’attività di cui trattasi resa attraverso un contratto di collaborazione ad un professionista, è potenzialmente elusiva della normativa in materia di appalti pubblici (parere di precontenzioso 07.04.2011 n. 60 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: E’ conforme alla normativa di settore la clausola del bando che richiede le dichiarazioni di cui all’art. 38, comma 1, lett. b) e c), del d.lgs. n. 163/2006 anche da parte del procuratore speciale, in presenza di procuratori speciali che rivestono effettivamente un significativo ruolo decisionale e gestionale, in quanto la ratio legis delle citate disposizioni è propriamente quella di escludere dalla partecipazione alle procedure di gara le società i cui soggetti che abbiano un significativo ruolo decisionale e gestionale, compresi gli institori e i vicari, incorrano in qualcuna delle cause di esclusione ivi indicate (parere di precontenzioso 07.04.2011 n. 59 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: Il versamento del contributo all’Autorità effettuato secondo modalità diverse da quelle impartite dalla stessa Autorità non costituisce una causa di esclusione ma rappresenta una mera irregolarità formale della procedura.
Un inadempimento meramente formale –quale il pagamento del contributo attraverso modalità diverse- non può essere considerato dalla stazione appaltante nel bando di gara sic et simpliciter causa di esclusione, senza procedere ad un previo accertamento dell’effettivo versamento a favore dell’Autorità, in quanto l’esclusione dalla gara rappresenta un atto dovuto ogni qual volta si presenti un inadempimento di tipo sostanziale, consistente nel mancato pagamento delle contribuzioni dovute all’Autorità, e non un inadempimento di tipo formale
(parere di precontenzioso 23.03.2011 n. 58 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: Il versamento del contributo all’Autorità effettuato secondo modalità diverse da quelle impartite dalla stessa Autorità non costituisce una causa di esclusione ma rappresenta una mera irregolarità formale della procedura.
Un inadempimento meramente formale –quale il pagamento del contributo attraverso modalità diverse- non può essere considerato dalla stazione appaltante nel bando di gara sic et simpliciter causa di esclusione, senza procedere ad un previo accertamento dell’effettivo versamento a favore dell’Autorità, in quanto l’esclusione dalla gara rappresenta un atto dovuto ogni qual volta si presenti un inadempimento di tipo sostanziale, consistente nel mancato pagamento delle contribuzioni dovute all’Autorità, e non un inadempimento di tipo formale.
E’ pertanto conforme alla normativa di settore l’operato della stazione appaltante che non ha escluso l’operatore economico che ha effettuato il pagamento del contributo a favore dell’Autorità mediante versamento sul conto corrente postale intestato a quest’ultima, in conformità a quanto previsto dalla lex specialis, ma in modo difforme da quanto previsto dalla nuova procedura deliberata dall’Autorità, ossia o on-line, registrandosi sull’apposito sito dell’Autorità, o presso le ricevitorie Lottomatica.
---------------
I principi di ragionevolezza e proporzionalità dell’azione amministrativa impongono alla stazione appaltante di distinguere, all’interno della lex specialis, tra inadempimenti di tipo sostanziale, comportanti l’esclusione del concorrente, ed inadempimenti di tipo formale, non aventi le stesse conseguenze dei primi
(parere di precontenzioso 23.03.2011 n. 57 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: In presenza di adempimenti di carattere formale contrassegnati da un ragionevole tasso di scusabilità dell’errore, anche per effetto della possibile induzione in errore creata dalle prescrizioni del bando di gara merita di essere tutelato l’affidamento e la buona fede dei partecipanti, salvaguardando l’ammissibilità delle offerte, per consentire al contempo la più ampia partecipazione di concorrenti alla gara, in difesa dell'interesse pubblico al confronto concorrenziale più ampio possibile fra gli aspiranti contraenti.
Non è conforme alla normativa di settore l’esclusione dalla gara per mancata allegazione della dichiarazione di cui all’art. 90, comma 5, del d.P.R. n. 554/1999, richiesta dal bando a pena di esclusione, dell’operatore economico che ha utilizzato il modello appositamente predisposto dalla stazione appaltante, nelle forme della dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà ai sensi del D.P.R. n. 445/2000, all’interno del quale era riportata una dichiarazione standard che poteva ragionevolmente essere ritenuta dal concorrente satisfattiva del contenuto della dichiarazione “di presa d’atto” di cui all’art. 90, comma 5, del n. 554/1999, richiesta dal bando di gara, rinvenendosi nella medesima quanto di interesse al riguardo per l’Amministrazione, ossia la consapevolezza dell’aspirante contraente, per un verso, della precisa articolazione dei lavori da svolgere –risultante da tutti gli atti tecnici e amministrativi– e delle condizioni contrattuali, per altro verso, di dover ritenere gli stessi eseguibili con l’importo dell’offerta presentato.
---------------
E’ conforme alla normativa di settore, in una gara di appalto “a corpo” da aggiudicare secondo il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa in cui sono consentite “variazioni progettuali”, ai sensi dell’art. 76 del d.lgs. n. 163/2006 e nei limiti stabiliti dal capitolato, nell’ambito delle quali il concorrente “può integrare o ridurre le quantità che ritiene carenti o eccessive ed inserire le voci e le relative quantità ritenute mancanti o insufficienti”, l’applicazione analogica dell’art. 90, comma 5, del d.P.R. n. 554/1999, che richiede, a pena di inammissibilità, una dichiarazione di presa d’atto che l’indicazione delle voci e delle quantità non ha effetto sull’importo complessivo dell’offerta, stante l’esistenza di oggettivi elementi che consentono di ritenere sussistente, nella specie, l’eadem ratio di conferma dell’invariabilità dell’importo complessivo offerto “a corpo”, conseguente alla facoltà di “intervento” consentita al concorrente su “voci” e “quantità”.
Anche in tale particolare fattispecie risulta pertanto giustificata l’acquisizione di una esplicita dichiarazione formale in tal senso, in analogia a quanto previsto dall’art. 90, comma 5, del d.P.R. n. 554/1999, ancorché tale disposizione prescriva espressamente la presentazione di tale dichiarazione esclusivamente con riferimento ai casi di offerte “a prezzi unitari
(parere di precontenzioso 23.03.2011 n. 56 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

NEWS

ENTI LOCALIComuni, no ai bilanci che snobbano il Patto. Cndcec, in arrivo il parere dell'organo di revisione.
Parere non favorevole al bilancio dell'ente locale, da parte dei revisori, nel caso in cui le previsioni di bilancio annuali e pluriennali: non siano atte a rispettare il principio della coerenza esterna ed in particolare gli obiettivi programmatici disposti dalla legge per il patto di stabilità interno; non tengano conto degli effetti sanzionatori per il mancato rispetto del patto di stabilità interno anno, in particolare per le limitazioni imposte alle spese.
È quanto specificato nella versione aggiornata del parere dell'Organo di Revisione sulla proposta di bilancio 2012 elaborata dal Consiglio nazionale dei dottori commercialisti ed esperti contabili, disponibile nei prossimi giorni (i lavori della commissione sono stati coordinati da Giosuè Boldrini).
Le principali novità del nuovo parere (che sostituisce integralmente quello pubblicato lo scorso 23 dicembre), riguardano, nella sezione dedicata ai controlli, l'introduzione dei paragrafi relativi all'Imu ed al Tributo Comunale sui Rifiuti nonché l'apporto di significative modifiche nei paragrafi relativi al Patto di Stabilità (inserendo anche il calcolo del saldo obiettivo 2013 e 2014 per i Comuni da 1.000 a 5.000 abitanti), all'applicazione dell'avanzo presunto, all'Addizionale Comunale IRPEF, al Fondo Sperimentale di Riequilibrio ed alle Spese di Personale.
Nella sezione dedicata alle Osservazioni ed ai Suggerimenti le principali novità riguardano l'introduzione di specifici paragrafi che riguardano le delibere regolamentari e tariffarie relative ad entrate tributarie, le gare bandite dal 31/03/2012 dai Comuni inferiori a 5.000 abitanti, la «delibera quadro» sui servizi pubblici, il «regime transitorio» degli affidamenti non conformi, la riduzione del numero dei componenti degli organi di amministrazione, di vigilanza e di controllo negli enti e negli organismi strumentali.
Va ricordato che con decreto del Ministro dell'Interno è stato prorogato al 31.03.2012 il termine per l'approvazione del bilancio di previsione degli enti locali. Dovrebbe consentire di risolvere le difficoltà in ordine alla esatta quantificazione del Fondo di Riequilibrio e degli obiettivi del Patto di Stabilità per effetto delle modifiche e delle novità introdotte dalla decreto Monti, oltre a consentire una più puntuale elaborazione delle previsioni di gettito Imu. Il parere richiama i nuovi Principi di Vigilanza e Controllo approvati dallo stesso Cndcec lo scorso 21 dicembre (articolo ItaliaOggi del 07.01.2011 - tratto da www.ecostampa.it).

ATTI AMMINISTRATIVISemplificazione. La legge di stabilità 2012 taglia la richiesta di certificati da parte degli uffici. Autocertificazione estesa nella Pa.
La «decertificazione» nei rapporti tra privati e Pubblica amministrazione introdotta dalla legge di stabilità 2012 (legge 183/2011), in base alla quale le Pa centrali e locali e i gestori di servizi non possono più richiedere al privato, né accettare certificati, riguarda tutte le tipologie di certificati, da qualsiasi ente pubblico o gestore di servizi pubblici siano emessi. I certificati rilasciati dall'amministrazione potranno essere usati solo nei rapporti fra privati (si veda «Il Sole 24 Ore» di ieri). Questo significa che, in ogni caso, le Amministrazioni devono procurarsi le informazioni necessarie direttamente dagli enti certificanti, o accettare dai cittadini solo dichiarazioni sostitutive di certificati o di atti di notorietà.
Autocertificazione estesa.
È destinato a estendersi, dunque, il perimetro dell'autocertificazione tracciato dall'articolo 46 del Dpr 445/2000. Fra le informazioni autocertificabili (si veda la tabella a lato), figura ad esempio, per le imprese, l'iscrizione in registri (come il Registro imprese) e in Albi pubblici, nonché il fatto di non trovarsi in stato di liquidazione o di fallimento e di non aver presentato domanda di concordato.
La portata generale della nuova disposizione interessa, per esempio, i soggetti che intendano intraprendere un'attività imprenditoriale, con o senza dipendenti. In questa seconda ipotesi, la semplificazione riguarda la documentazione da allegare alla comunicazione unica per l'avvio dell'attività di impresa, che l'interessato (articolo 9 del Dl 7/2007) dovrà presentare all'ufficio del Registro imprese. La riduzione dei documenti da presentare diventa poi rilevante quando l'attività d'impresa deve essere iniziata tramite la Scia (Segnalazione certificata di inizio attività).
Per quanto riguarda i datori di lavoro, la semplificazione è sempre applicata in occasione del riconoscimento di particolari benefici per l'assunzione di lavoratori che hanno uno status occupazionale di disagio, in base all'età, alla durata della disoccupazione, alle condizioni fisiche, e così via.
Per le lavoratrici madri, decade l'obbligo di produrre il certificato di nascita del figlio, da presentare all'Inps entro 15 giorni dall'evento (articolo 21 del Testo unico 151/2001). Per la presentazione dello stesso certificato al datore di lavoro, l'Inps aveva già stabilito (messaggio 14488/1999) che potesse essere sostituito con una dichiarazione di responsabilità.
Autocertificazione esclusa.
Restano, però, dei casi in cui l'autocertificazione è esplicitamente esclusa, che sono regolati dall'articolo 49 del Dpr 445/2000. È il caso, ad esempio, del certificato di origine di una merce, rilasciato dalla Camera di commercio e generalmente destinato all'export. Non può essere il produttore, infatti, ad autocertificare l'origine della propria merce. Rientrano in questa categoria anche i certificati medici, sanitari, veterinari, di conformità Ce, di marchi e brevetti (articolo Il Sole 24 Ore del 07.01.2011 - tratto da www.ecostampa.it).

VARIUE E TRASPORTI/1 - Nuovi requisiti di sicurezza. I catarifrangenti su tutte le biciclette.
Sono stati fissati dalla Commissione europea i requisiti di sicurezza delle biciclette.
È stata infatti pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale dell'Unione Europea L319 del 02.12.2011 la decisione della Commissione n. 2011/786/Ue del 29.11.2011, che entra in vigore il 22.12.2011.
La decisione, adottata conformemente alle norme e alle procedure previste dalla direttiva n. 2001/95/Ce del Parlamento europeo e del Consiglio del 03.12.2001 sulla sicurezza generale dei prodotti, definisce i requisiti specifici di sicurezza per le biciclette. Spetterà ora agli organismi europei di normalizzazione elaborare in dettaglio le norme tecniche conformemente a quanto specificato dalla Commissione europea.
Rientrano nel campo di applicazione della decisione n. 2011/786/Ue le biciclette per bambini (con un'altezza massima della sella superiore a 435 mm e inferiore a 635 mm, destinata a persone di un peso massimo di 30 kg), le biciclette da città e da trekking, le mountain bikes, le biciclette da corsa e i portapacchi fissati sulla ruota anteriore o su quella posteriore per trasportare bagagli o bambini seduti su un apposito seggiolino. Fra i requisiti generali, la decisione prevede che, per garantire un'adeguata visibilità del mezzo e del suo guidatore, tutte le biciclette devono essere munite di dispositivi di illuminazione e catarifrangenti davanti, dietro e ai lati, secondo le disposizioni in vigore nel paese in cui il prodotto è commercializzato.
Il fabbricante deve indicare la capacità massima di carico ammissibile e specificare se è possibile fissare alla bicicletta il portapacchi o il seggiolino per bambini. Devono essere presenti almeno due sistemi di frenatura indipendenti, che agiscono sulla ruota anteriore e su quella posteriore. Sul telaio deve essere indicato in modo visibile e permanente il numero di serie e i riferimenti di chi ha effettuato il montaggio. Particolare attenzione viene riservata alle biciclette per i bambini, considerato che, secondo la banca dati europea sulle lesioni, per il 37% i danni fisici connessi all'utilizzo del velocipede riguardano bambini di età compresa fra 5 e 9 anni.
Le biciclette per bambini, che non siano considerate giocattoli ai sensi della direttiva n. 2009/48/Ce, devono essere progettate in modo che non siano montati cinturini o staffe per pedali e dispositivi di sganciamento rapido, sia limitata la forza dei freni anteriori e non ci siano pericoli di intrappolamento.
La decisione n. 2011/786/Ue definisce anche i requisiti di sicurezza dei portapacchi per biciclette, dove possono essere trasportati bagagli o bambini sull'apposito seggiolino. In dettaglio, il portapacchi non deve ostacolare la visibilità del mezzo in condizioni di oscurità o scarsa visibilità. Le sporgenze e gli angoli taglienti non devono comportare rischi di lesione. Insieme al prodotto devono essere fornite ai consumatori le necessarie informazioni sull'utilizzo e sull'eventuale montaggio, con le avvertenze sull'utilizzo in condizioni di sicurezza (articolo ItaliaOggi del 06.01.2011).

PUBBLICO IMPIEGOUno stop all'equo indennizzo. Addio a pensioni privilegiate e rimborsi per cause di servizio. Ecco le novità in materia di personale contenute nella manovra Monti (legge 214 del 2011).
Abrogazione dell'equo indennizzo, del rimborso delle spese di degenza e delle pensioni privilegiate in caso di cause di servizio; innalzamento al 50% del tetto massimo del rapporto tra spesa per il personale e spesa corrente ed utilizzazione nel corso del 2012 delle graduatorie approvate dopo il dicembre del 2005: sono queste le principali novità in materia di personale dipendente dalle P.a. contenute nel decreto legge n. 201, per come convertito dalla legge n. 214/2011, cd salva Italia, e nel decreto n. 216/2011, cd milleproroghe.
Le novità contenute in queste disposizioni non sono certamente le parti più importanti di questi provvedimenti, in quanto le misure di maggiore rilievo innovativo per il pubblico impiego erano state già assunte con le precedenti manovre. Ma il loro rilievo è comunque assai importante, in particolare per l'apertura che consente alla possibilità di utilizzare i ridotti margini di assunzioni previsti dall'ordinamento.
Vengono abrogati i benefici previsti per i dipendenti che hanno contratto patologie per cause di servizio: l'accertamento della dipendenza dell'infermità da causa di servizio, il rimborso delle spese di degenza per causa di servizio, l'equo indennizzo e la pensione privilegiata. Ricordiamo che l'equo indennizzo si concretizza nella erogazione di un compenso una tantum e la pensione privilegiata è il collocamento in quiescenza di coloro che hanno acquisito una grave inabilità, a prescindere dalla anzianità effettivamente maturata. Questi benefici erano tra loro sommabili, previo accertamento medico. L'abrogazione si applica a tutti i dipendenti, tranne che a quelli impegnati in uno dei seguenti comparti: sicurezza, difesa e soccorso pubblico, nonché ai vigili del fuoco.
L'abrogazione non interessa i procedimenti che sono in corso, nonché quelli per cui non sia scaduto il termine di presentazione delle domande e quelli instaurabili d'ufficio per fatti accaduti precedentemente alla data di entrata in vigore del decreto stesso. Il decreto legge cd salva Italia aumenta al 50% il tetto massimo del rapporto tra spese del personale e spese correnti che consente agli enti locali di effettuare assunzioni di personale a qualsiasi titolo. Ricordiamo che tale tetto era stato fissato, a decorrere dallo scorso 01.01.2011, nel 40%. In questo modo si torna ad offrire a numerose amministrazioni locali, siano esse soggette o meno al patto di stabilità, la possibilità di effettuare assunzioni di personale a tempo indeterminato e determinato.
Infatti la sanzione per gli enti inadempienti di questo vincolo, come del rispetto del patto di stabilità e del rispetto del tetto di spesa del personale dell'anno precedente (per gli enti non soggetti al patto del 2004) è il divieto di effettuare assunzioni di dipendenti a qualunque titolo, ivi comprese le mobilità, nonché di utilizzare i contratti di somministrazione.
Ricordiamo che con la lettura data dalle sezioni riunite di controllo della Corte dei Conti (deliberazione n. 27/2011) la nozione di spesa del personale è stata fortemente ampliata e con le previsioni contenute nel dl n. 98/2011 è stato previsto l'inserimento della spesa del personale delle società controllate dagli enti locali. Il decreto legge milleproroghe 2011 dispone la utilizzazione nel corso del 2012 delle graduatorie concorsuali approvate dopo il 31/12/2005.
Ricordiamo che, prima con il decreto milleproroghe 2012 e poi con uno specifico decreto del ministro per la Pubblica Amministrazione e l'Innovazione, era stata disposta nel 2011 la utilizzazione delle graduatorie concorsuali approvate dopo il mese di settembre del 2003. Ed ancora, che in assenza di norme di proroga, la durata delle graduatorie concorsuali è fissata in un triennio (articolo ItaliaOggi del 06.01.2011).

PUBBLICO IMPIEGOIl 2012 potrebbe essere un anno molto delicato per il personale delle amministrazioni pubbliche. Riqualificazione, futuro in bilico. Dipendenti in esubero, blocco delle risorse per la formazione.
La riqualificazione dei dipendenti pubblici in esubero viene messa a rischio dal blocco delle risorse da spendere per la formazione.
Il 2012 potrebbe essere un anno molto delicato per il personale pubblico. Vi è, infatti, una normativa che nel suo complesso può preludere ad una forte redistribuzione e reimpiego del personale.
In primo luogo, l'articolo 33 del dlgs 165/2001 impone alle amministrazioni pubbliche di effettuare annualmente la ricognizione di eventuali esuberi, giustificati sia da esigenze funzionali, sia da problemi di bilancio e finanziari. Poi, le varie manovre finanziarie hanno imposto un ulteriore taglio del 10 per cento della spesa relativa alle dotazioni organiche delle amministrazioni statali da effettuare entro il 31 marzo. Infine, l'accorpamento tra Inps e Inpdap ha già determinato la previsione di circa 700 esuberi. La stima è di oltre 15.000 dipendenti pubblici in eccedenza rispetto ai fabbisogni.
Anche nella pubblica amministrazione, dunque, si pone un potenziale problema di rilevanti fuoriuscite di personale. Occorre ricordare, infatti, che i dipendenti in esubero se non sono ricollocati all'interno degli enti che li considerano in eccedenza in altre mansioni o non sono trasferiti verso altri enti per mobilità, vengono inseriti nelle liste di «disponibilità». Il che equivale ad essere sulle soglie del licenziamento: il dipendente in disponibilità, infatti, non svolge più attività lavorative per l'ente di appartenenza e riceve per 24 mesi un'indennità pari all'80% del trattamento economico fondamentale oltre all'assegno di famiglia. Decorsi i 24 mesi, il rapporto di lavoro si chiude.
Proprio i tagli alla spesa per le dotazioni organiche (che considerando il periodo 2008-2010 ammonta, ormai, a quasi il 30%) renderanno piuttosto difficile il trasferimento dei dipendenti per mobilità. Gran parte delle amministrazioni statali, infatti, potrebbe ritrovarsi in condizione di esubero, sicché non potrebbero accogliere personale proveniente da altri enti.
La mobilità intercompartimentale, cioè trasferimenti tra enti diversi, per esempio Stato ed enti locali, potrebbe essere resa complicata sia dall'attuazione dell'articolo 33 del dlgs 165/2001, sia dalla manovra intricatissima relativa alle province: potenzialmente, ben 56.000 dipendenti provinciali potrebbero essere coinvolti in processi di esubero e trasferimenti.
Un'arma per contenere gli effetti anche sociali enormi che esuberi così massicci di personale potrebbero determinare, allora, è la già ricordata possibilità di reimpiego dei dipendenti in esubero in altre mansioni e ruoli, sia all'interno degli enti da cui dipendono, sia presso altri enti.
A questo scopo, allora, risulta fondamentale investire in formazione e aggiornamento: solo in questo modo si può garantire ai lavoratori la possibilità di acquisire competenze nuove e diverse, utili per una ricollocazione lavorativa.
Tuttavia, l'articolo 6, comma 13, del dl 78/2010, convertito in legge 122/2010, continua ad inchiodare la spesa per formazione sostenibile dalle amministrazioni entro il tetto del 50% di quella sostenuta nel 2009.
Risulta evidente che col nuovo assetto normativo il tetto alla formazione, già di per sé poco strategico ed asfittico, visto che il recupero di efficienza del pubblico impiego non potrebbe che passare per attività formative di qualità, non è coerente. Potenziali esuberi per decine di migliaia di dipendenti vanno necessariamente gestiti anche tramite la formazione, la cui spesa dovrebbe aumentare, piuttosto che restare ancorata ad un tetto.
In assenza di un'urgente cancellazione del vincolo alla spesa, l'attuazione delle misure di contenimento della spesa di personale e l'avvio degli esuberi potrebbe determinare una Caporetto organizzativa ed occupazionale, della quale proprio non si sentirebbe il bisogno (articolo ItaliaOggi del 06.01.2011).

CONSIGLIERI COMUNALIOSSERVATORIO VIMINALE/ Accesso per il candidato. L'aspirante sindaco può visionare l'esposto. La trasparenza prevale se in ballo ci sono interessi giuridici del richiedente.
Come si configura l'esercizio del diritto di accesso nel caso di un candidato a sindaco, poi eletto, interessato ad acquisire copie di un esposto volto a segnalare una causa ostativa all'assunzione della candidatura?
Nell'impianto normativo di cui agli artt. 22 e segg. della legge n. 241/1990 e successive modifiche, il diritto di accesso ai documenti amministrativi si configura come diritto alla conoscenza di fatti incidenti nella sfera giuridica del richiedente per la tutela di situazioni giuridicamente rilevanti.
Tale diritto è naturalmente subordinato alla prova della corretta correlazione tra le posizioni dell'istante e l'oggetto della richiesta rivolta alla pubblica amministrazione. L'istanza deve, dunque, essere motivata in relazione ad un interesse giuridicamente rilevante, nonché concreto ed effettivo, cioè immediatamente riferibile al soggetto che pretende di conoscere i documenti e specificatamente inerente alla situazione da tutelare (art. 22, l. 241/1990; art. 2, comma 1, dpr 12.04.2006, n. 184). Ancora, l'interesse del richiedente deve essere serio e non emulativo, né riconducibile a mere curiosità (cfr. Tar Campania, sez. V, sent. n. 131 del 07.01.2002) e deve essere attuale (cfr. Tar Campania, sez. I, sent. n. 121 del 12.02.2003).
Per «documento amministrativo» si intende ogni rappresentazione grafica, fotocinematografica, elettromagnetica o di qualunque altra specie del contenuto di atti, anche interni o non relativi ad uno specifico procedimento, detenuti da una pubblica amministrazione e concernenti attività di pubblico interesse, indipendentemente dalla natura pubblicistica o privatistica della loro disciplina sostanziale. A norma dell'art. 22, comma 3, della legge n. 241/1990, come riformulato dall'art. 15 della legge n. 15/2005, tutti i documenti amministrativi sono accessibili ad eccezione di quelli previsti dall'art. 24, commi 1, 2, 3, 5 e 6 della legge 07.08.1990, n. 241 (c. d. fattispecie di esclusione dell'accesso), tra i quali è contemplata l'esclusione per le richieste di accesso agli atti preordinati ad un controllo generalizzato dell'operato delle pubbliche amministrazioni (cfr. Cds, sez. V, sent. n. 421 dell'01.02.2010) e per le istanze che, ove soddisfatte, possano pregiudicare il diritto alla riservatezza di persone fisiche, persone giuridiche, gruppi, imprese e associazioni.
Deve, comunque, essere garantito ai richiedenti l'accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici (art. 24, comma 7). Il principio della trasparenza amministrativa accolto dall'ordinamento non è affatto assoluto e incondizionato, ma subisce alcuni temperamenti e limitazioni in relazione ai soggetti attivi del diritto di accesso, al tipo di documenti richiesti o alla posizione del richiedente. La posizione legittimante l'accesso è costituita da una situazione giuridicamente rilevante e dal collegamento qualificato tra questa posizione sostanziale e la documentazione di cui si pretende la conoscenza, come nel caso di specie l'esercizio delle funzioni sindacali.
L'accoglimento della richiesta di accesso a un documento comporta anche la facoltà di accesso agli altri documenti nello stesso richiamati e appartenenti al medesimo procedimento, fatte salve le eccezioni di legge o di regolamento (art. 7, comma 2, del dpr 12.04.2006, n. 184).
In merito, sia la giurisprudenza sia la commissione per l'accesso ai documenti amministrativi, hanno ritenuto che nel bilanciamento di interessi che connota la disciplina del diritto di accesso, quest'ultimo prevale sull'esigenza di riservatezza del terzo ogniqualvolta l'accesso venga in rilievo per la cura o la difesa di interessi giuridici del richiedente.
Pertanto, sussiste il diritto del richiedente di ottenere l'accesso al documento richiesto unitamente ai relativi allegati (articolo ItaliaOggi del 06.01.2011 - tratto da www.ecostampa.it).

CONSIGLIERI COMUNALIOSSERVATORIO VIMINALE/ Rimborso spese.
Possono essere rimborsate le spese di giudizio richieste all'attuale amministrazione dall'ex sindaco, per un giudizio instaurato dal suo predecessore?

Non è dato rinvenire nell'ordinamento vigente norme che prevedono la possibilità di rimborsare agli amministratori locali le spese legali sostenute per giudizi instaurati in relazione a fatti asseritamente posti in essere nell'esercizio delle proprie funzioni. Benché in passato parte della giurisprudenza abbia ritenuto di poter estendere in via analogica agli amministratori locali la normativa che consente, a determinate condizioni, tale rimborso per i dipendenti degli enti locali, secondo orientamenti ermeneutici più recenti la possibilità di tale ricorso all'analogia nella materia in questione è stata decisamente negata.
In base a tali orientamenti è stato, infatti, ritenuto non pertinente il richiamo all'analogia, che risulta correttamente evocabile quando emerga un vuoto normativo nell'ordinamento, vuoto che nella specie non è configurabile, atteso che il legislatore si è limitato a dettare una diversa disciplina per due situazioni non identiche fra loro, e la detta diversità non appare priva di razionalità, atteso che gli amministratori pubblici non sono dipendenti dell'ente ma sono eletti dai cittadini, ai quali rispondono (e quindi non all'ente) del loro operato (cfr. sent. Cassazione civile, sezione I, n. 12645 del 25.05.2010) (articolo ItaliaOggi del 06.01.2011 - tratto da www.ecostampa.it).

CONSIGLIERI COMUNALIOSSERVATORIO VIMINALE/ Incompatibilità del consigliere.
Sussiste un'ipotesi di incompatibilità nel caso di un consigliere comunale che, in qualità di ingegnere, ha ricevuto incarichi tecnici dallo stesso comune per la progettazione e direzione di lavori di ammodernamento del campo sportivo comunale e per il consolidamento del dissesto idrogeologico di competenza dello stesso ente?

La Corte di cassazione, sez. I, con sentenza n. 550 del 16.01.2004, ha affermato che «l'art. 63 del dlgs. n. 267/2000, comma 1, n. 2, nello stabilire la causa di «incompatibilità di interessi» (non può ricoprire la carica di consigliere comunale) colui che, come titolare, ha parte, direttamente o indirettamente, in servizi, nell'interesse del comune) ivi prevista e rivelante nella fattispecie, pone, ai fini della sua sussistenza, una duplice, concorrente condizione: la prima, di natura soggettiva; la seconda, di natura oggettiva. È necessario, innanzitutto (condizione soggettiva), che il soggetto, in ipotesi incompatibile all'esercizio della carica elettiva, rivesta la qualità di «titolare» (ad es., di impresa individuale ), o di amministratore (ad es., di società di persone o di capitali) ovvero di «dipendente con poteri di rappresentanza o di coordinamento».
In secondo luogo, il legislatore prevede -come condizione «oggettiva», che deve necessariamente concorrere con quella «soggettiva» per la sussistenza della causa di «incompatibilità di interessi»- che il soggetto, rivestito di una delle predette qualità, intanto è incompatibile, in quanto «ha parte in servizi, nell'interesse del comune».
Appare chiaro che la locuzione «aver parte» allude alla contrapposizione tra interesse «particolare» del soggetto, in ipotesi incompatibile, ed interesse del comune, istituzionalmente «generale», in relazione alle funzioni attribuitegli (cfr., ad es., art. 13 del dlgs n. 267/2000), e, quindi allude alla situazione di potenziale conflitto di interesse, in cui trova tale soggetto rispetto all'esercizio imparziale della carica elettiva. In altri termini e ad esempio, se un professionista ha parte, nel senso ora indicato, in cui servizio, al quale l'ente locale è interessato, lo stesso non è idoneo, secondo la previsione tipica del legislatore, ad adempiere imparzialmente i doveri connessi all'esercizio della carica elettiva.
Ha ritenuto, in particolare, la Suprema corte, che il professionista cui sia conferito, dal comune presso il quale svolge il proprio mandato di consigliere, l'incarico di progettista di opere pubbliche, viene a trovarsi in una specifica situazione di incompatibilità di interessi risultante dalla contestuale e contraddittoria coincidenza, in quanto eletto alla carica di consigliere comunale, delle posizioni di «controllato» ( quale professionista, poiché i progetti redatti sono assoggettati all'adozione e all'approvazione del consiglio comunale) e «controllore» (quale consigliere comunale chiamato a concorrere alla deliberazione di adozione ed approvazione dei progetti dal medesimo elaborati).
L'ipotesi prospettata, pertanto, configura la causa di incompatibilità prevista dal citato articolo 63, comma 1, n. 2), del decreto legislativo n. 267/2000 (articolo ItaliaOggi del 06.01.2011 - tratto da www.ecostampa.it).

CONSIGLIERI COMUNALIOSSERVATORIO VIMINALE/ Permessi.
Quali permessi spettano al presidente del consiglio comunale, che voglia partecipare anche alle sedute delle commissioni consiliari di cui non è componente?

Se il legislatore regionale disciplina la fattispecie adottando l'espressione “facente parte” (delle commissioni consiliari), sembra esclusa, nel caso di specie, la possibilità di fruire di tali permessi.
Tuttavia, per la partecipazione alle riunioni delle commissioni in questione, il presidente del consiglio comunale potrà avvalersi degli eventuali permessi non retribuiti, ove previsti dalla norma regionale (articolo ItaliaOggi del 06.01.2011 - tratto da www.ecostampa.it).

ATTI AMMINISTRATIVISemplificazione. È entrata in vigore il 1° gennaio la «decertificazione» che è stata prevista dalla legge di stabilità 2012. La Pa non chiede più certificati. Gli uffici possono acquisire i dati o accettare un'autocertificazione dell'utente.
IL PROBLEMA/ La dichiarazione sostitutiva di numerose informazioni può esporre al rischio di commettere errori.

Con l'inizio del nuovo anno, si chiude un'epoca nei rapporti tra cittadini e pubbliche amministrazioni. Ha trovato attuazione, infatti, la norma per cui le pubbliche amministrazioni non possono chiedere ai privati informazioni già in loro possesso. Così, i privati (cittadini, imprese, professionisti) non faranno più la spola da un ente pubblico all'altro (compresi i gestori di servizi pubblici) per consegnare i certificati che attestano situazioni e qualità che li riguardano.
Le nuove disposizioni sui certificati e sulle dichiarazioni sostitutive sono previste dalla legge 183/2011 (legge di stabilità 2012), all'articolo 15. In particolare, si dispone che:
- i certificati rilasciati dalle Pubbliche amministrazioni riguardanti stati e qualità di un privato (residenza, iscrizione in un Albo, situazione penale, elencati nell'articolo 46 del Dpr 445/2000) sono validi e utilizzabili dal privato soltanto nei rapporti con un altro privato. Sui certificati sarà posta una dicitura che precisa questo vincolo («Il presente certificato non può essere prodotto agli organi della pubblica amministrazione o ai privati gestori di pubblici servizi»). Il certificato senza questa dicitura è considerato inesistente.
- le Pubbliche amministrazioni e i gestori di servizi non possono quindi né richiedere al privato, né accettare certificati
- le Pubbliche amministrazioni e i gestori hanno due possibilità per conoscere stati e qualità del privato: ottenere i dati direttamente dagli enti che li possiedono, oppure richiedere al privato interessato di compilare una dichiarazione che riporti i dati richiesti (autocertificazione).
Queste due modalità, però, non comportano analoghe conseguenze per il privato.
Compilare una dichiarazione sostitutiva di certificazione è un'operazione rischiosa quando i dati da riportare sono di comprensione non immediata, complessi o numerosi. Questo è il caso, per esempio, delle aziende che devono autocertificare i dati riportati negli attuali certificati o visure del Registro imprese: i dati sono numerosi, e in certi casi (come l'attività economica svolta e le eventuali condanne subite) non sempre memorizzati dall'imprenditore.
Il rischio di errore, anche in buona fede, è altissimo e le conseguenze penali e amministrative sono molto pesanti.
Se si vuole instaurare un corretto rapporto con i cittadini, l'unica modalità utilizzabile da una Pubblica amministrazione è l'acquisizione d'ufficio delle notizie detenute dagli enti che hanno il potere di certificare.
Lo strumento della dichiarazione sostitutiva dovrebbe essere usato solo quando riguarda atti di notorietà, cioè atti con i quali si dichiarano fatti che non sono certificati da nessun ente pubblico (articolo 47 del Dpr 445/2000) e non quando la dichiarazione riguarda notizie certificabili dalle Pa. Così operando, si ottengono due risultati: i funzionari pubblici sono quasi del tutto liberati dal lavoro di controllo dell'autocertificazione. Inoltre, l'obiettivo della certezza pubblica è raggiunto perché i privati evitano il rischio di una dichiarazione infedele.
A sostegno dell'esigenza di un leale ed efficiente rapporto con il cittadino, che può essere garantito solo quando la Pa che deve gestire la pratica richiede alle altre amministrazioni i dati in loro possesso, si deve richiamare il comma 3 dell'articolo 18 della legge 241/1990, che è la legge fondamentale dell'azione amministrativa. Questo comma prevede come unica modalità operativa la richiesta d'ufficio dei certificati e non l'autocertificazione: c'è quindi una incongruenza con il comma 1 dell'articolo 43 del Dpr 445/2000.
Un altro chiarimento si impone sulla durata della validità dei vari tipi di certificati, considerato che sono rilasciati esclusivamente per essere usati nelle relazioni tra privati.
L'articolo 41, comma 1, del Dpr 445/2000 stabilisce che hanno validità illimitata i certificati che attestano stati e qualità non soggetti per loro natura a modifiche (si possono citare quelli di nascita e i titoli di studio). Gli altri certificati, che contengono notizie variabili nel tempo, valgono per sei mesi dalla data del rilascio, salvo che le norme non prevedano un durata più lunga (si possono citare quelli dell'Albo artigiani, del registro imprese, di residenza).
Ovviamente, però, il cittadino non è in grado di conoscere la durata dei vari certificati se la Pa che li emette non aggiunge una dicitura che la indica. È necessario, dunque, risolvere ancora alcuni dubbi per la completa «decertificazione» nei rapporti tra privati e pubblica amministrazione, che deve anche tradursi in minori oneri per le strutture pubbliche.
---------------
Le nuove regole
01 | LA DECERTIFICAZIONE
La legge 183/2011 prevede che, dal 01.01.2012, i certificati rilasciati dalle pubbliche amministrazioni riguardanti stati e qualità di un privato (come residenza, iscrizione in un Albo, situazione penale) sono validi e utilizzabili dal privato solo nei rapporti con un altro privato. Le Pa e i gestori di servizi non possono quindi né richiedere al privato, né accettare certificati.
02 | LE ALTERNATIVE
Le pubbliche amministrazioni e i gestori hanno due possibilità per conoscere stati e qualità del cittadino: ottenere i dati direttamente dagli enti che li possiedono, o chiedere al privato interessato di compilare una dichiarazione che riporti i dati richiesti (autocertificazione).
03 | LA VIA PREFERIBILE
Fare un'autocertificazione può esporre al rischio di una dichiarazione infedele quando i dati da riportare sono complessi o numerosi. Inoltre, i funzionari pubblici devono effettuare un controllo sulle autocertificazioni. Sarebbe dunque preferibile l'acquisizione d'ufficio delle notizie dagli enti certificatori.
Il cittadino dovrebbe usare la dichiarazione sostitutiva solo quando riguarda atti di notorietà (con cui si dichiarano fatti che non sono certificati da nessun ente pubblico) (articolo Il Sole 24 Ore del 06.01.2011 - tratto da www.ecostampa.it).

APPALTI - EDILIZIA PRIVATACertificati, il pasticcio del Durc. Informazioni da acquisire d'ufficio. Ma ad oggi è impossibile. Le procedure gestite da Inps, Inail e Cassa edile consentono solo la richiesta online del documento.
L'01.01.2012 è partito il sistema della «decertificazione», ma rimane il nodo irrisolto del Durc. Come largamente prevedibile, l'entrata in vigore delle previsioni contenute nell'articolo 15, comma 1, della legge 183/2011, il cui scopo è la semplificazione mediante l'eliminazione dei certificati, creerà all'inizio più problemi di quanti ne vorrebbe risolvere.
Le disposizioni della norma sono chiare: i certificati potranno essere emessi solo in favore di privati.
Le pubbliche amministrazioni né potranno chiederli né potranno utilizzarli ai fini delle proprie attività. Per loro sarà ammissibile solo verificare la veridicità delle dichiarazioni sostitutive ricevute dai privati, mediante l'acquisizione d'ufficio dei documenti conservati nelle banche dati delle amministrazioni certificanti, le quali dovranno rispondere alle richieste di verifica entro 30 giorni, oppure consentire l'accesso diretto alle proprie banche dati.
Il caso del documento unico di regolarità contributiva, tuttavia, appare del tutto peculiare. Le previsioni della legge 183/2011 non semplificano nulla, anzi appare vero il contrario. In primo luogo, l'aggiunta dell'articolo 44-bis al dpr 445/2000, ai sensi del quale «le informazioni relative alla regolarità contributiva sono acquisite d'ufficio, ovvero controllate ai sensi dell'articolo 71, dalle pubbliche amministrazioni procedenti, nel rispetto della specifica normativa di settore» non ha alcuna concreta utilità, visto che la medesima disposizione è stata già fissata ben due volte in precedenza dall'articolo 16-bis, comma 10, del dl 185/2008, convertito in legge 2/2009 e dall'articolo 6, comma 3, del dpr 207/2010.
Soprattutto il Durc è un vero e proprio certificato, come del resto indicato dalla disciplina normativa che lo regola. Infatti, ai sensi dell'articolo 6, comma 1, del dpr 207/2010 «per documento unico di regolarità contributiva si intende il certificato che attesta contestualmente la regolarità di un operatore economico per quanto concerne gli adempimenti Inps, Inail, nonché cassa edile per i lavori, verificati sulla base della rispettiva normativa di riferimento».
Trattandosi, allora, di un certificato vero e proprio, le pubbliche amministrazioni non potrebbero più richiedere né utilizzare il Durc, né le amministrazioni competenti emetterlo. Questo creerebbe non pochi problemi operativi, visto che il Durc è un certificato fondamentale per tutte le fasi delle procedure di appalto.
Un primo sistema per evitare il cortocircuito innescato dalla frettolosa formulazione dell'articolo 15 della legge 183/2011 potrebbe consistere nell'applicare anche al Durc il nuovo sistema di verifiche imposto dalla riforma. Le pubbliche amministrazioni titolari della competenza di un iter per il quale sia necessario acquisire informazioni un tempo inserite in certificati non dovranno chiedere alle altre amministrazioni che possiedano dette informazioni nelle proprie banche dati l'emanazione del certificato; potranno solo chiedere la verifica della veridicità delle autocertificazioni ricevute dai privati. Le amministrazioni certificanti potranno rispondere confermando la rispondenza al vero delle autocertificazioni o spiegando le ragioni del mendacio rilevato, senza emettere certificati e, così, rispettare le previsioni normative.
Ma, a oggi, questo per il Durc è impossibile: le procedure telematiche gestite da Inps, Inail e Cassa edile consentono solo di effettuare la richiesta on-line finalizzata all'emanazione di ciò che la legge vieta: il certificato relativo alla posizione contributiva.
Una seconda via potrebbe consistere nell'accesso diretto delle amministrazioni alle banche dati di Inps, Inail e Cassa edile. Del resto, l'articolo 72, comma 1, novellato del dpr 445/2000 prevede espressamente che le amministrazioni certificanti predispongano «convenzioni quadro» per garantire l'accesso diretto alle altre amministrazioni. Ma questa ipotesi, alla data del 28 dicembre, non è nemmeno stata lontanamente presa in considerazione dal portale del Durc, la cui pagina di informazioni è ferma alla data del 10.03.2011 (articolo ItaliaOggi del 04.01.2011 - tratto da www.ecostampa.it).

PUBBLICO IMPIEGO - VARIMa le attestazioni dei medici sono fuori dalla semplificazione.
I certificati medici non rientrano nell'ambito delle semplificazioni anti burocrazia contenute nell'articolo 15 della legge 183/2010.

Tale disposizione ha modificato, come noto, l'articolo 40 del dpr 445/2001, inserendo un nuovo comma 01, ai sensi del quale «le certificazioni rilasciate dalla pubblica amministrazione in ordine a stati, qualità personali e fatti sono valide e utilizzabili solo nei rapporti tra privati.
Nei rapporti con gli organi della pubblica amministrazione e i gestori di pubblici servizi i certificati e gli atti di notorietà sono sempre sostituiti dalle dichiarazioni di cui agli articoli 46 e 47
».
Il successivo comma 02 impone che sulle certificazioni da produrre ai soggetti privati è apposta, a pena di nullità, la dicitura: «Il presente certificato non può essere prodotto agli organi della pubblica amministrazione o ai privati gestori di pubblici servizi».
Queste disposizioni hanno lo scopo di indurre le pubbliche amministrazioni a utilizzare pienamente l'accesso diretto alle proprie banche dati, sollevando i privati dall'onere di reperire o produrre e, poi, trasmettere i certificati relativi a informazioni che le amministrazioni stesse già possiedono o sono in condizione di acquisire dialogando tra loro.
Risulta, dunque, palpabile l'inapplicabilità alla fattispecie dei certificati medici. Ancorché detti certificati possano considerarsi provenienti da una pubblica amministrazione, alcuni elementi indicano senza ombra di dubbio che i certificati medici sono totalmente fuori dalla nuova regolamentazione.
In primo luogo, la semplificazione prevista dalla legge di stabilità è connessa all'autocertificabilità di stati, fatti o qualità comprovabili mediante i certificati. In altre parole, ai cittadini è consentito di chiedere e ottenere benefici sulla semplice base di loro dichiarazioni sostitutive, che sostituiscono in via definitiva ogni certificato. Ma, ai sensi dell'articolo 49, comma 1, del dpr 445/2001 «i certificati medici, sanitari, veterinari, di origine, di conformità Ce, di marchi o brevetti non possono essere sostituiti da altro documento, salvo diverse disposizioni della normativa di settore».
Mancando, dunque, la possibilità di sostituire il certificato medico con dichiarazioni, non può sorgere il presupposto per attuare la semplificazione disposta dall'articolo 15 della legge 183/2011. Del resto, l'amministrazione datore di lavoro non avrebbe nessuna possibilità di verificare lo stato di salute del proprio dipendente accedendo a banche dati di altre amministrazioni.
Se la questione relativa ai certificati medici appare abbastanza chiara, vi sono però molte zone che l'articolo 15 lascia in ombra. Per esempio, rientrano nella categoria dei certificati i certificati di destinazione urbanistica, fondamentali per provvedimenti amministrativi che concernono la gestione del territorio; si tratta di certificati che spessissimo hanno come destinatari pubbliche amministrazioni, per loro natura impossibili da sostituire con dichiarazioni dei privati. Piuttosto difficile immaginare di sottrarre tali certificati alla trasmissione tra pubbliche amministrazioni.
C'è, per esempio, il problema degli attestati di servizio dei dipendenti pubblici che abbiano vinto un concorso presso un'altra amministrazione.
Altro paradosso della normativa riguarda, per esempio, i certificati di frequenza di istituti scolastici o centri di formazione professionale, richiesti dalle aziende dei trasporti, per applicare le tariffe agevolate agli studenti. Tutte queste aziende rientrano nella categoria dei «gestori di pubblici servizi», che al pari delle pubbliche amministrazioni non possono legittimamente utilizzare i certificati per svolgere le proprie attività.
Dunque, gli studenti dovrebbero presentare ai gestori una dichiarazione sostitutiva nella quale attestare di frequentare una certa scuola e dovrebbero essere, poi, le aziende di trasporto a chiedere ai singoli istituti conferma della veridicità della dichiarazione o, cosa del tutto improbabile, accedere direttamente alle loro banche dati. Ovviamente, se si vuole rispettare la lettera di una norma che rivela da subito una serie di difetti operativi piuttosto gravi.
Infine, l'irrisolto problema del Durc, che altro non è se non un certificato, da produrre prevalentemente alle pubbliche amministrazioni per le tante finalità cui è destinato. Pare oggettivamente improponibile sostenere che esso sia soggetto al divieto di produzione a pubbliche amministrazioni a pena di nullità.
L'articolo 15 della legge 183/2011 pare una norma troppo poco ponderata, che necessiterebbe di un urgente intervento normativo posto a chiarirne esattamente la portata e i confini (articolo ItaliaOggi del 04.01.2011 - tratto da www.ecostampa.it).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGOI concorsi pubblici su Cliclavoro.
Le pubbliche amministrazioni devono comunicare alla borsa nazionale del lavoro (cliclavoro) tutte le procedure comparative e selettive (concorsi) per l'attribuzione di incarichi di collaborazione e per l'assunzione con ogni tipo di contratto di lavoro.

Lo prevede il decreto ministeriale 13.10.2011 pubblicato in G.U. n. 1/2012.
Per l'operatività del provvedimento, in vigore dal 1° febbraio, occorrerà attendere la direttiva del ministro per la pubblica amministrazione che, peraltro, potrà prevedere un periodo di sperimentazione non superiore a 12 mesi. Il nuovo obbligo, che interessa tutte le p.a., mira a favorire una maggiore efficienza del mercato del lavoro, con la disponibilità online (www.cliclavoro.gov.it) delle offerte di impiego pubblico sull'intero territorio nazionale (articolo ItaliaOggi del 04.01.2011 - tratto da www.ecostampa.it).

APPALTI SERVIZIServizi locali più aperti al mercato. Pronto il decreto Monti-Gnudi: in esclusiva solo le reti non pienamente liberalizzabili.
LOGICA RIBALTATA
Comuni e Province dovranno motivare con una delibera-quadro la scelta di riconfermare i monopoli nella fornitura.

Gli enti locali potranno dare in esclusiva, in monopolio, in concessione -sempre passando per una gara- soltanto quei servizi pubblici locali per cui non ci siano le condizioni di mercato per una liberalizzazione piena, con più operatori pronti a fornire il servizio in regime di concorrenza. Comuni e province dovranno anche motivare, con un'apposita analisi di mercato e una delibera-quadro, una scelta esplicita di riconferma dei monopoli nella fornitura dei servizi.
Questo ribaltamento in chiave concorrenziale del regime attuale, che prevede invece un netto prevalere delle "esclusive", riguarderà intere reti di servizi locali come i trasporti o la raccolta dei rifiuti o anche parti di queste reti di servizio (per esempio i collegamenti per gli aeroporti o i servizi notturni).
Il Governo Monti è pronto ora a confermare e ad attuare con la "fase due" le scelte fatte con la manovra di Ferragosto dall'ex ministro Raffaele Fitto che aveva fatto inserire nell'articolo 4 del decreto legge 138/2011, oltre allo stop degli affidamenti in house sopra 900mila euro l'anno e all'obbligo di gara (la cosiddetta "concorrenza per il mercato"), anche il principio di affidare al mercato tutte le attività liberalizzabili ("concorrenza nel mercato"). Un ribaltamento che era stato richiesto più volte in passato anche dall'Antitrust guidato da Antonio Catricalà, che ora da sottosegretario alla presidenza del Consiglio sta lavorando al dossier liberalizzazioni.
A lavorare a questo aspetto delle liberalizzazioni nei servizi pubblici locali è oggi il ministro delle Regioni, Piero Gnudi, che ha confermato in Parlamento la volontà di procedere nell'attuazione della manovra di Ferragosto. Gnudi sta lavorando in particolare al decreto interministeriale Regioni-Economia-Interno che dà attuazione al ribaltamento voluto da Fitto, dettando ai Comuni e agli altri enti locali le direttive sulla delibera quadro e sull'analisi di mercato da svolgere prima di nuovi affidamenti di servizi. Il decreto interministeriale deve essere emanato entro il 31 gennaio dopo essere passato alla conferenza unificata Stato-Regioni-città e finirà naturalmente nel "pacchetto liberalizzazioni". I Comuni avranno tempo per adeguarsi fino alla scadenza delle attuali gestioni: la prima applicazione sarà quindi già al 31 marzo, quando scadranno le cosiddette gestioni "non conformi" perché affidate senza gara e senza alcuna legittimazione.
Nel decreto interministeriale Gnudi-Monti-Cancellieri sarà contenuta anche un'altra rivoluzione voluta dall'articolo 4: l'obbligo di rendere pubblici, anche in modalità on-line, «i dati concernenti il livello di qualità del servizio reso, il prezzo medio per utente e il livello degli investimenti effettuati». Il decreto interministeriale detterà i criteri con cui i comuni dovranno procedere a rendere pubblici i dati. La finalità del provvedimento è quella di «assicurare il progressivo miglioramento della qualità di gestione dei servizi pubblici locali e di effettuare valutazioni comparative delle diverse gestioni». Cittadini, utenti, imprese potranno confrontare le performance dei singoli gestori, anche se qui non mancano nodi da sciogliere, quali sono l'asimmetria informativa e i dati riservati che i gestori accampano per limitare non di rado la trasparenza.
Gnudi ha anche riconfermato nel question time di quindici giorni fa in Parlamento le tre direttrici in cui si muove la disciplina dei servizi pubblici locali a proposito delle modalità di affidamento dei servizi in esclusiva: affidamento a gara per la selezione del soggetto gestore; affidamento a gara "a doppio oggetto" per la selezione del socio privato della società mista, con partecipazione pubblica non inferiore al 40%; affidamenti in house, senza gara a società controllate al 100% dagli enti locali, circoscritti ai soli servizi pubblici locali di valore economico inferiore a 900.000 euro/anno (articolo Il Sole 24 Ore del 04.01.2011 - tratto da www.corteconti.it).

ENTI LOCALI - VARICasa, il Comune sceglie gli sconti. Spetta al nuovo regolamento decidere le agevolazioni applicabili all'Imu.
Nella stesura del nuovo regolamento comunale per l'applicazione dell'Imu i comuni devono valutare quali agevolazioni previste per l'Ici possono essere confermate, sia con riferimento ai vincoli normativi che di bilancio.
Occorre districarsi in un quadro normativo che non brilla per chiarezza, visto che l'Imu è disciplinata dall'articolo 13 del decreto Monti, dagli articoli 8 e 9 del Dlgs 23/2011 «in quanto compatibili» e dal Dlgs 504/1992 «in quanto richiamato».
L'articolo 14, comma 6 del Dlgs 23/2011 conferma la potestà regolamentare –prevista dagli articoli 52 e 59 del Dlgs 446/1997– anche per il nuovo tributo. Il Dl 201/2011 (convertito dalla legge 214) individua a sua volta una ristretta casistica di intervento, come la possibilità di assimilare all'abitazione principale quella posseduta da anziani o disabili che acquisiscono la residenza in istituto di ricovero o la possibilità di ridurre l'aliquota fino allo 0,4 per cento per gli immobili locati.
Il primo nodo da sciogliere è capire qual è il rapporto che esiste tra le possibilità elencate nel decreto Monti e l'esercizio in generale della potestà regolamentare, espressamente confermata anche per l'Imu. La soluzione dovrebbe essere quella di ritenere che le previsioni del decreto Monti rappresentano una limitazione alla potestà regolamentare e che per il resto il comune abbia ampia potestà di scelta. Così, per esempio, sarebbe illegittimo stabilire un'aliquota dello 0,39 per cento per gli immobili locati, visto che è espressamene previsto che la riduzione può arrivare fino allo 0,4.
Non sarebbe però illegittimo individuare all'interno della più ampia categoria "immobili locati" alcune casistiche, come quella delle abitazioni locate con contratto concordato, e limitare solo a queste la riduzione di aliquota.Il comune può anche differenziare con riferimento a categorie di immobili. Tale possibilità è stata prevista dall'articolo 8, comma 7, del Dlgs 23/2011 con riferimento ai fabbricati utilizzati dalle imprese, ma può essere estesa anche ad altre casistiche. Sarebbe, pertanto, legittima la previsione di un'aliquota più alta, ma entro il tetto dell'1,06 per cento, solo per le abitazioni tenute sfitte.
Sarà poi possibile intervenire ulteriormente sulla detrazione principale –che con i figli può arrivare fino a 600 euro– anche con riferimento a particolari situazioni di disagio economico, possibilità questa espressamene prevista nell'Ici, ma confermabile anche nell'Imu, considerato che è espressamente prevista la possibilità di intervenire «genericamente» sulla detrazione. Infatti, l'articolo 13, comma 11 prevede che le «detrazioni e le riduzioni di aliquota deliberate dai comuni non si applicano alla quota di imposta riservata allo Stato» (articolo Il Sole 24 Ore del 04.01.2011 - tratto da www.corteconti.it).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO«Cliclavoro» apre anche al pubblico.
Cliclavoro apre al pubblico. È stato infatti pubblicato sulla «Gazzetta Ufficiale» n. 1 del 02.01.2012 il decreto del ministero del Lavoro 13.10.2011 sulla trasmissione informatica delle informazioni e dei dati relativi alle procedure di reclutamento dei lavoratori da parte delle amministrazioni e società pubbliche.
Scopo della normativa è favorire l'efficienza e la trasparenza del mercato del lavoro pubblico in Italia tramite "Cliclavoro". Si tratta di un luogo di incontro virtuale che ha lo scopo di agevolare l'occupazione dei lavoratori su tutto il territorio nazionale attraverso un catalogo completo e dettagliato di informazioni e servizi per il lavoro. Questi servizi permetteranno alle amministrazioni pubbliche di pubblicare le candidature e le offerte di lavoro ed effettuare ricerche per entrare più facilmente in contatto con i lavoratori. La navigazione tra le informazioni del portale è libera, senza bisogno di registrazione, necessaria invece per iscriversi alla newsletter o per rimanere aggiornati sulle novità mediante la sezione rassegna stampa periodica e sui sondaggi.
Con la pubblicazione del decreto si completa la riforma sull'attività di intermediazione, prezioso strumento per la promozione dell'occupazione e le cui procedure sono state oggi snellite. Lo spirito della riforma sembra posarsi in primo luogo sulla creazione di un sistema flessibile e veloce di gestione del mercato del lavoro, dove il collocamento dei lavoratori risulti fondato su un immediato ed effettivo scambio di informazioni e notizie. La riforma si propone di completare il processo di liberalizzazione del collocamento, avviato già dal 1997 con il superamento del regime di "monopolio pubblico" e portato avanti dalla legge Biagi, che aveva dato la possibilità di svolgere attività di intermediazione anche a specifiche agenzie private (le Agenzie per il lavoro) e altri operatori. Con il collegato lavoro era stata poi ampliata la platea dei soggetti abilitati a operare nel mercato del lavoro. La lista era molto lunga e includeva gli enti locali, le Università, le Scuole superiori, statali e parificate, le Camere di commercio, i gestori di siti Internet, i consulenti del lavoro e le associazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.
Le novità più importanti, nell'ottica di una semplificazione dell'attività di collocamento, riguardano il nuovo regime di autorizzazione allo svolgimento dell'attività di intermediazione. Ferme restando le normative regionali vigenti per specifici regimi di autorizzazione su base regionale, i soggetti abilitati che intendano effettivamente svolgere attività di intermediazione non saranno più tenuti a ottenere il consenso delle Regioni o del ministero del Lavoro.
Le recenti riforme sono intervenute, altresì, sui requisiti cui è condizionata l'autorizzazione, ora esclusivamente subordinata all'interconnessione alla Borsa continua nazionale del lavoro (Bcnl) per il tramite del portale "Cliclavoro", nonché al rilascio alle Regioni e al ministero del Lavoro di ogni informazione "strategica" al monitoraggio dei fabbisogni professionali e al buon funzionamento del mercato del lavoro. Il mancato conferimento dei dati alla Borsa continua nazionale del lavoro –prosegue la norma– comporterà l'applicazione di pesanti sanzioni amministrative pecuniarie che vanno da 2mila a 12mila euro, nonché la cancellazione dall'albo degli intermediari e conseguente divieto di proseguire l'attività di intermediazione (articolo Il Sole 24 Ore del 04.01.2011).

AMBIENTE-ECOLOGIAIl nuovo modello ambientale entro fine aprile. In Gazzetta Ufficiale il restyling del Mud. Che dovrà essere utilizzato anche dai soggetti rimasti orfani del Sistri.
Entro fine aprile 2012 va presentato il nuovo Mud, il modello unico di dichiarazione ambientale per le dichiarazioni inerenti i rifiuti prodotti o trattati nell'ambito delle specifiche attività previste dalla legge.
Il modello è quello di riferimento per l'anno 2011 ed è stato approvato con decreto del presidente del consiglio dei ministri del 23.12.2011 e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 30 dicembre scorso.
Il nuovo formulario sostituisce quello precedente, che era stato approvato con dpcm del 27.04.2010.
Il nuovo Mud verrà utilizzato dai soggetti che nel 2010, non essendosi realizzata la piena operatività del nuovo sistema di tracciabilità dei rifiuti (Sistri) per effetto delle proroghe succedutesi nel tempo fino alla più recente, disposta dal «decreto milleproroghe» (dl n. 216/2011), hanno continuato a utilizzare i registri cartacei di carico e scarico dei rifiuti.
Lo scorso anno, con circolare del 03.03.2011, il ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare aveva chiarito che la dichiarazione ai fini Mud andava presentata, ai sensi dell'art. 28, comma 1, del decreto 18.02.2011, n. 52, dai produttori iniziali di rifiuti pericolosi e da quelli dei rifiuti non pericolosi di cui all'articolo 184, comma 3, lettere c), d) e g) del dlgs n 152/2006 con più di 10 dipendenti (rifiuti da lavorazioni industriali; rifiuti da lavorazioni artigianali; rifiuti derivanti dalla attività di recupero e smaltimento di rifiuti, fanghi prodotti dalla potabilizzazione e da altri trattamenti delle acque e dalla depurazione delle acque reflue e da abbattimento di fumi), nonché dalle imprese ed enti che effettuano operazioni di recupero e di smaltimento dei rifiuti che già erano tenuti alla presentazione del modello unico di dichiarazione ambientale (Mud) di cui alla legge 25.01.1994, n. 70.
Ciò sebbene l'articolo 264-bis del Codice dell'ambiente, aggiunto dal dlgs n. 205/2010, avesse provveduto ad abrogare le norme concernenti le parti del modello unico di dichiarazione ambientale di cui al dpcm 27.04.2010 riguardanti i produttori di rifiuti e le imprese e gli enti che effettuano il trasporto di rifiuti speciali, nonché i soggetti che effettuano operazioni di recupero e smaltimento dei rifiuti e gli intermediari e commercianti di rifiuti senza detenzione, tenuti a iscriversi al Sistri.
Nelle more della piena entrata a regime del Sistri quale unico strumento per la registrazione e la tracciabilità dei rifiuti, infatti, il dm 17.12.2009, istitutivo del Sistri, aveva previsto, a carico dei soli produttori iniziali di rifiuti e delle imprese ed enti che effettuano operazioni di recupero e di smaltimento dei rifiuti che erano tenuti a presentare il Mud, l'obbligo di comunicare al Sistri determinate informazioni. I trasportatori di rifiuti e coloro che effettuano attività di commercio e intermediazione dei rifiuti senza detenzione non erano tenuti, pertanto, a porre in essere alcun adempimento di comunicazione a decorrere dall'anno 2010.
Fermo il Sistri ancora per tutto il 2011, si riproponeva l'esigenza di utilizzare ancora il previgente sistema, aggiornando il modello Mud, anche in relazione alle modifiche al codice dell'ambiente apportate dal richiamato dlgs n. 205/2010. Va ricordato che intanto, sulla Gazzetta Ufficiale n. 298, del 23.12.2011, è stato pubblicato il decreto del ministero dell'ambiente del 12.11.2011, recante proroga dei termini per la presentazione della comunicazione di cui all'art. 28, comma 1, del decreto 18.02.2011, n. 52.
Ne consegue che i soggetti obbligati devono effettuare le dovute comunicazioni entro il 30.04.2012, con riferimento alle informazioni relative all'anno 2011, ed entro sei mesi dalla data di entrata in operatività del Sistri per ciascuna categoria di soggetti di cui all'art. 1 del decreto ministeriale 26.05.2011, con riferimento alle informazioni relative all'anno 2012 (articolo ItaliaOggi del 03.01.2011).

ENTI LOCALINei tetti al personale entra anche lo «staff» del sindaco. Dalla Corte dei conti le istruzioni sul nuovo vincolo del 50%.
La conversione del decreto Monti introduce una novità di forte impatto sulla gestione del personale delle autonomie locali per il 2012. Viene infatti riportato al 50% il limite massimo del rapporto tra spese di personale e spese correnti per stabilire la possibilità di assunzione degli enti. Nel calcolo sono da includere anche i costi delle società partecipate.
E proprio al foto-finish sono giunti i necessari chiarimenti della Sezione autonomie su come correttamente procedere (si veda Il Sole 24 Ore di venerdì 30 dicembre scorso). La deliberazione 14/aut/2011 identifica quindi aspetti soggettivi e modalità di calcolo: si agisce soltanto sul numeratore, ma le spese di personale delle società da sommare a quelle dell'ente sono da proporzionare in base ai corrispettivi a carico del l'ente medesimo (o ai ricavi derivanti da tariffa). E cioè: il valore della produzione della partecipata sta alle spese totali del personale della stessa come il corrispettivo sta alla quota del costo di personale attribuibile all'ente, che è appunto l'incognita da calcolare.
L'altro problema
Negli ultimi mesi i dubbi si sono però estesi anche su un'altra questione destinata ad avere conseguenze rilevanti nel 2012: i limiti alle assunzioni con le forme del lavoro flessibile. A oggi solo la Corte dei conti della Campania ha preso in esame il caso degli incarichi in staff degli organi politici e le situazioni correlate al comando dei dipendenti degli enti locali.
Fino alla legge di stabilità, il lavoro flessibile e le co.co.co non avevano per le amministrazioni territoriali un tetto preciso e definito; contribuivano a determinare il limite complessivo delle spese di personale di cui al comma 557 o 562 della legge finanziaria 2007. Con l'avvento della regola del turn-over del 20% delle cessazioni dell'anno precedente (solo per gli enti soggetti a Patto di stabilità) la situazione si è complicata in quanto, la delibera 46/2011 della Corte dei conti, sezioni riunite, ha ricompreso in questa percentuale ogni tipologia di assunzione e non solo quelle a tempo indeterminato.
A chiudere la vicenda, almeno dal punto di vista normativo, ci ha pensato la legge 183/2011 facendo rientrare gli enti locali tra le amministrazioni che, ai sensi dell'articolo 9, comma 28, del Dl 78/2010, devono contenere nel limite del 50% della spesa sostenuta nel 2009 le assunzioni a tempo determinato per contratti di formazione e lavoro, attraverso convenzioni, voucher (buoni lavoro), contratti di somministrazione e co.co.co.
Un quadro quindi particolarmente complesso che lascia non pochi dubbi concreti agli operatori. Anche perché, secondo alcuni, tra cui l'Anci (si veda anche la successiva pagina 12), la norma non avrebbe carattere imperativo, ma costituirebbe un semplice "principio" a cui gli enti locali dovrebbero adeguarsi.
Norma cogente
La Corte dei conti della Campania non è però d'accordo e ritiene la norma cogente e di diretta applicazione anche per le Autonomie. Anche per questo motivo la Sezione campana ricomprende nel limite del 50% le assunzioni che avvengono ai sensi dell'articolo 90 del Dlgs 267/2000 e le situazioni di comando dei dipendenti. Con la deliberazione 493/2011 innanzitutto afferma che è completamente mutato il quadro preso in riferimento dalla Corte dei conti, sezioni riunite, nella deliberazione 46/2011 che, tra l'altro, prevedeva casi di deroga in presenza di eccezioni espressamente stabilite per legge.
La disposizione -che è entrata in vigore ieri- non ammette quindi alcuna deroga e secondo i giudici contabili campani si estende anche alle assunzioni in staff degli organi politici. La delibera 497/2011 affronta, invece, il caso del comando ricompendendolo nel calcolo del 50% rispetto alla spesa del 2009 in quanto viene di fatto assimilato a un'assunzione a tempo determinato (articolo Il Sole 24 Ore 02.01.2011 - tratto da www.corteconti.it).

APPALTI SERVIZIRischio nullità per gli atti che violano la concorrenza.
LA NOVITÀ/ L'Antitrust può cancellare le decisioni locali. Se l'ente non si adegua al parere motivato scatta il ricorso dell'Avvocatura.

Ai più sembra sfuggito l'articolo 35 del decreto salva Italia (legge n. 214/2011), eppure esso è la conferma che a Roma inizia a destare preoccupazione il fatto che molte norme sulla pubblica amministrazione rimangano di fatto lettera morta.
Il riferimento è al comma 2 dell'articolo citato, ove si prevede che «l'Autorità garante della concorrenza e del mercato, se ritiene che una pubblica amministrazione abbia emanato un atto in violazione delle norme a tutela della concorrenza e del mercato, emette, entro sessanta giorni, un parere motivato, nel quale indica gli specifici profili delle violazioni riscontrate. Se la pubblica amministrazione non si conforma nei sessanta giorni successivi alla comunicazione del parere, l'Autorità può presentare, tramite l'Avvocatura dello Stato, il ricorso, entro i successivi trenta giorni».
In pratica l'Autorità, se ritiene che un atto violi i principi di libera concorrenza, può muoversi prima con le buone e poi arrivare a promuovere la rimozione dell'atto (con quanto ne può conseguire sul piano delle responsabilità contabili e degli allarmi penali). Chi pensava di avere rimosso l'ostacolo rappresentato dall'Autorità con l'abrogazione del 23-bis della manovra estiva 2008 è servito.
Il tutto dovrebbe suscitare non poca preoccupazione nei nostri amministratori e dirigenti: «non è che questa volta si fa sul serio?». Nel Paese dei rinvii e dei "penultimatum" siamo certo portati a dubitare che davvero si decida di verificare con determinazione la corretta applicazione di norme difficili da digerire. È quindi difficile prevedere che cosa potrà mai avvenire in concreto, ma certo, a giudicare dagli ultimi interventi normativi, è innegabile che si abbia la sensazione che molte cose stiano cambiando.
Fino a poco tempo fa, infatti, niente era più facile del l'elusione delle norme o, per i meno raffinati, del semplice ignorarle. Eppure l'articolo 35 del decreto salva Italia è solo l'ultima norma di una lunga serie di interventi tesi a far rispettare le regole con maggiore rigore. Gli effetti del decreto "premi e sanzioni", ad esempio, lo ha provato per primo il Comune di Castiglion Fiorentino, del quale la Corte dei conti ha chiesto e ottenuto il dissesto (ma altri atti del genere sembrano essere in dirittura d'arrivo).
Ancora, si ricorda che il Dl 138/2011 prima (articolo 16, comma 14) e la legge di stabilità poi (introducendo all'articolo 4 del Dl 138/2011 il comma 32-bis) hanno affidato alle prefetture il compito di verificare gli adempimenti dei Comuni sia in tema di messa in liquidazione delle società non ammesse sia di correttezza delle procedure in tema di servizi pubblici locali, fino ad arrivare all'esercizio del potere sostitutivo con tutto ciò che ne consegue: «nel caso in cui, all'esito dell'accertamento, il Prefetto rilevi la mancata attuazione di quanto previsto dalle disposizioni (...), assegna agli enti inadempienti un termine perentorio entro il quale provvedere. Decorso inutilmente detto termine, il Prefetto nomina un commissario ad acta per l'adozione dei provvedimenti necessari».
E non è finita qui. L'antesignano di queste norme sono certo i commi da 10 a 12 del l'articolo 20 del Dl 98/2011 che esordiscono stabiliscono «i contratti di servizio e gli altri atti posti in essere dalle Regioni e dagli enti locali che si configurano elusivi delle regole del patto di stabilità interno sono nulli» e che affidano alla Corte dei conti il potere di perseguire e sanzionare con una consistente sanzione pecuniaria il responsabile dei servizi finanziari e gli «amministratori che hanno posto in essere atti elusivi delle regole del patto di stabilità interno».
Vedremo come verranno applicate queste norme. Ma è bene non sottovalutare il rafforzamento dei controlli che il legislatore sta, gradualmente, realizzando (articolo Il Sole 24 Ore 02.01.2011 - tratto da www.corteconti.it).

AMBIENTE-ECOLOGIARifiuti, un'ondata di proroghe. Il Sistri slitta al 2 aprile, addio alla discarica al 31 dicembre. Con due decreti di fine anno ufficializzato il rinvio degli ultimi adempimenti ambientali.
Appuntamento dall'aprile 2012 in poi per l'operatività del nuovo sistema di tracciamento telematico rifiuti, per la denuncia dei rifiuti gestiti nel 2011 e per il divieto di conferimento in discarica di determinati rifiuti.
Con due provvedimenti di fine anno, il rituale decreto legge «Milleproroghe» e un parallelo dm Ambiente (il primo approvato il 23 dicembre, il secondo pubblicato sulla G.U. della medesima data), il Legislatore ha fatto slittare tutti i principali termini di scadenza in materia ambientale, quali la partenza dell'atteso «Sistri» (posticipata al 02.04.2012) e del connesso «Mudino» (la denuncia dei dati relativi ai rifiuti gestiti nel corso dell'anno 2011, prorogata al 30.04.2012), l'avvio a pieno regime del meccanismo di «addio alla discarica» imposto dalle norme comunitarie (saltato all'01.01.2013).
Sistri.
In base al nuovo «Milleproroghe» è slittato dal 9 febbraio al 02.04.2012 l'obbligo per i medi e grandi gestori di rifiuti di adempiere agli obblighi operativi del nuovo sistema di tracciamento telematico dei rifiuti (ossia comunicazione telematica al sistema informativo centrale dei rifiuti gestiti, tracciamento satellitare dei mezzi di trasporto, monitoraggio ingresso/uscite dalle discariche).
L'appuntamento per i piccoli produttori non partirà invece prima dell'01.06.2012, poiché nel prorogare di due mesi il termine generale di partenza del sistema Sistri stabilito dal dl 138/2011 il nuovo «Milleproroghe» ha salvato il più lungo termine concesso dal dl 70/2011 ai produttori di rifiuti speciali pericolosi con non più di dieci dipendenti, compresi i produttori che effettuano il trasporto dei propri rifiuti entro i 30 Kg/litri al giorno (novero di soggetti individuato dal combinato disposto degli articoli 212, comma 8, dlgs 152/2006, comma 5, dm Ambiente 26.05.2011, 3, comma 1, dm Ambiente 52/2011) termine che scatterà dalla data stabilita da un futuro dm Ambiente e che non potrà essere (per espressa statuizione dello stesso dl 138/2011) anteriore all'01.06.2012.
Il nuovo «Milleproroghe» fa altresì slittare dal 31.12.2011 al 02.07.2012 il termine iniziale (previsto dal dlgs 205/2010) dell'obbligo di iscrizione al Sistri per gli imprenditori agricoli che producono e trasportano a una piattaforma di conferimento, oppure conferiscono a un circuito organizzato di raccolta, i propri rifiuti pericolosi in modo «occasionale e saltuario».
Sempre tramite un decreto del dicastero dell'ambiente (questa volta previsto però dal citato dl 138/2011 e i cui termini di adozione sono già scaduti lo scorso 16.12.2011) arriverà un ulteriore alleggerimento degli oneri Sistri, alleggerimento consistente nella mera facoltatività (in luogo della obbligatorietà) di aderire al sistema di tracciamento telematico per chi gestisce in quantità limitate specifiche tipologie di rifiuti a «bassa criticità ambientale».
Fino allo scoccare dei nuovi termini di operatività del Sistri, lo ricordiamo, il regime per il tracciamento dei rifiuti continuerà a essere quello del cosiddetto «doppio binario» previsto dall'articolo 12, comma 2, del dm 17.12.2009, ossia: obbligatorietà della tenuta dei registri di carico e scarico dei rifiuti e formulario di trasporto; facoltatività di adesione al sistema di tracciamento telematico.
Denuncia rifiuti (cosiddetto «Mudino»). Come accennato, parallelamente al rinvio degli adempimenti operativi Sistri, il nuovo decreto del ministero dell'ambiente di fine anno (dm 12.11.2011, pubblicato sulla G.U. del 23.12.2011 n. 298) ha spostato i termini per la denuncia (da effettuarsi mediante l'apposita scheda Sistri prevista dm 17.12.2009, scheda meglio nota come «Mudino») dei dati relativi ai rifiuti gestiti nel corso dell'anno 2011 e non coperti dal Sistri, prevedendo inoltre (sulla base del fatto che il sistema di tracciamento telematico dei rifiuti non partirà che dal 02.04.2012, come previsto dal citato dl «Milleproroghe») il calendario per l'analoga denuncia relativa ai rifiuti gestiti «fuori Sistri» nel corso del 2012.
In base al nuovo scadenzario disegnato dal dm Ambiente 12.11.2011 gli appuntamenti sono i seguenti: le informazioni relative ai rifiuti gestiti nel corso dell'anno 2011 dovranno essere comunicate entro il 30.04.2012; le informazioni relative ai rifiuti gestiti nel corso dell'anno 2012 non coperti dal Sistri dovranno essere invece comunicate entro i successivi sei mesi dalla operatività del nuovo sistema di tracciamento telematico dei rifiuti, operatività che scatterà (rispettivamente, come accennato) il 02.04.2012 per i medi e grandi gestori di rifiuti (con conseguente obbligo di comunicazione dati entro il 02.10.2012) e dopo l'01.06.2012 per i piccoli gestori (in una data, come stabilito dal dl 70/2011 più sopra ricordato, che sarà precisata dal Minambiente con decreto e che farà scattare da quel momento i sei mesi entro cui effettuare la comunicazione dei dati «Mudino»).
A essere obbligati alla «Mudino» sono i produttori iniziali di rifiuti e le imprese e gli enti che effettuano operazioni di recupero e di smaltimento dei rifiuti già tenuti alla presentazione del «modello Unico di dichiarazione ambientale» (cosiddetto «Mud») previsto dalla legge 25.01.1994, n. 70.
«Addio alla discarica». I rifiuti con «Pci» (ossia potere calorifico inferiore) superiore a 13 mila kJ/kg potranno continuare a essere ammessi in discarica fino al 31.12.2012. Il citato dl «Milleproroghe» ha spostato dall'01.01.2012 all'01.01.2013 l'«addio alla discarica» per i rifiuti in parola previsto dal dlgs 36/2003 in attuazione della direttiva comunitaria 1999/31/Ce. La scelta, si legge nella relazione al decreto legge approvato il 23.12.2011, è stata informata dalla carenza di impianti di recupero energetico da rifiuti a livello nazionale.
Una nuova stretta alla gestione dei rifiuti in discarica arriverà però proprio nel 2013, anno che costringerà l'Italia a tradurre sul piano nazionale (e attraverso la rivisitazione del dlgs 36/2003 in parola) le ultime disposizioni comunitarie dettate dalla direttiva 2011/31/Ce, direttiva che, riformulando l'omonimo provvedimento comunitario madre n. 1999/31/Ce, impone nuovi adempimenti alla discariche che ospitano mercurio metallico per oltre un anno.
In base alla nuova direttiva 2011/31/Ce (Guue del 10.12.2011 n. L328) l'ammissibilità di tali rifiuti da parte delle discariche dovrà infatti essere subordinata dagli Stati membri al rispetto di particolari procedure preliminari (campionamento «ad hoc» compreso), lo stoccaggio temporaneo dovrà poi essere effettuato in modo separato dagli altri rifiuti e tramite serbatoi rispondenti a precisi parametri tecnici.
Con l'upgrade delle norme sul deposito dei rifiuti scatterà inoltre dal 2013 la piena applicabilità allo stoccaggio del mercurio metallico il meccanismo di controllo dei pericoli di incidenti rilevanti previsto dalla direttiva 96/82/Ce, meccanismo (meglio noto come «Seveso» e tradotto sul piano nazionale con il dlgs 334/1999) fino a oggi non pienamente declinabile alla fattispecie in esame a causa (come sottolinea la stessa Ue nella nuova direttiva 2011/31/Ce) della mancanza di requisiti tecnici supplementari di sicurezza analoghi a quelli ora previsti (articolo ItaliaOggi Sette del 02.01.2011).

GIURISPRUDENZA

PUBBLICO IMPIEGOCassazione. I limiti al diritto di critica. Reato dare del «colluso» senza prove al dirigente di un ente locale.
Rischia sanzioni penali chi definisce un dirigente comunale «colluso con la mafia locale».
Lo afferma la Corte di Cassazione, Sez. V penale (sentenza 05.01.2012 n. 87) ponendo fine al contrasto tra un consigliere comunale agrigentino e un dirigente di quel Comune.
La condanna è scaturita dall'«incontinenza espressiva» dell'imputato: pur ammettendo la Cassazione che la critica all'esercizio dei pubblici poteri deve essere ampia e penetrante, perché i cittadini debbono poter conoscere il funzionamento della cosa pubblica e formarsi una opinione corretta sui fatti che si verificano, conclude però che è necessario non eccedere. La conoscenza, la critica e la discussione di fatti di pubblico interesse arricchiscono infatti la democrazia, e anzi più elevato è l'incarico di responsabilità pubblica ricoperto, più si è esposti a legittime critiche.
Tuttavia, continua la Suprema Corte, la critica non deve trasmodare in attacchi personali e deve sempre essere rispettosa sia dei criteri della verità dei fatti che costituiscono il presupposto della critica, sia della continenza espressiva e, ovviamente, dell'interesse pubblico per i fatti raccontati e criticati. Nel caso specifico, anche se il dirigente era stato coinvolto in alcuni processi per abusi in atti di ufficio, non vi era mai stato un processo di mafia. In conseguenza, eventuali misfatti non hanno potuto essere provati nel processo per diffamazione, in quanto, pur essendo possibile provare una qualche irregolarità qualificabile come abuso, non è assolutamente lecito qualificare mafioso o colluso con la mafia chi si sia macchiato di mere irregolarità amministrative.
Ciò è in linea con il precedente espresso dalla Cassazione 10125/2011, che ha riconosciuto, a chi invoca il diritto di critica, la possibilità di non essere assolutamente obiettivo e di usare un linguaggio colorito e pungente: in quel caso ne ha fatto le spese il Consiglio dei geometri, che riteneva lesivo della categoria un articolo sul condono edilizio, ritenuto invece dalla Cassazione genericamente critico verso tutti coloro i quali avevano determinato danni all'ambiente (articolo Il Sole 24 Ore del 06.01.2011 - tratto da www.ecostampa.it).

EDILIZIA PRIVATAVanno considerati come volumi tecnici (come tali non rilevanti ai fini della volumetria di un immobile) quei volumi destinati esclusivamente agli impianti necessari per l'utilizzo dell'abitazione e che non possono essere ubicati al suo interno, mentre non sono tali -e sono quindi computabili ai fini della volumetria consentita- le soffitte, gli stenditori chiusi e quelli «di sgombero», nonché il piano di copertura, impropriamente definito sottotetto, ma costituente in realtà una mansarda, in quanto dotato di rilevante altezza media rispetto al piano di gronda.
Rispetto al sottotetto e al problema del computo del volume, si richiama l’orientamento del Consiglio di Stato (sez. IV n. 812 del 07.02.2011, seguito da questa Sezione, nella sentenza n. 1105/2011), secondo cui “vanno considerati come volumi tecnici (come tali non rilevanti ai fini della volumetria di un immobile) quei volumi destinati esclusivamente agli impianti necessari per l'utilizzo dell'abitazione e che non possono essere ubicati al suo interno, mentre non sono tali -e sono quindi computabili ai fini della volumetria consentita- le soffitte, gli stenditori chiusi e quelli «di sgombero», nonché il piano di copertura, impropriamente definito sottotetto, ma costituente in realtà una mansarda, in quanto dotato di rilevante altezza media rispetto al piano di gronda” (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 05.01.2012 n. 38 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIl Comune non ha alcuna potestà di introdurre un divieto generalizzato di installazione delle stazioni radio base, né di introdurre misure che, pur essendo di natura tipicamente urbanistica (distanze, altezze, quote, ecc.) non siano funzionali al governo del territorio, quanto piuttosto alla tutela dai rischi dell'elettromagnetismo che rientra nelle esclusive attribuzioni statali, non già in quelle comunali; di conseguenza la localizzazione degli impianti solo in determinate zona si pone in contrasto non solo con l'esigenza di permettere la copertura del servizio di telefonia mobile sull'intero territorio comunale, ma anche con la loro natura di infrastrutture primarie e impianti di interesse generale, posti al servizio della comunità e quindi compatibili con qualsiasi destinazione urbanistica.
L'assimilazione, per effetto dell'art. 86, d.lgs. 01.08.2003 n. 259, delle infrastrutture di reti pubbliche di telecomunicazione alle opere di urbanizzazione primaria, implica che le stesse debbano avere una diffusione capillare sul territorio, collegarsi ed essere poste al servizio dell'insediamento abitativo e non essere dalle stesso avulse.
E illegittimo il diniego comunale nella parte in cui richiama un presunto contrasto con la zona, in quanto l’Amministrazione non ha considerato che l'impianto di telefonia mobile in argomento è annoverabile tra le infrastrutture di reti pubbliche di comunicazione e, come tale, esso può essere equiparato -a tenore dell'art. 86, comma terzo, del citato Codice delle comunicazioni elettroniche- alle ordinarie opere di urbanizzazione primaria, che sono compatibili con qualsiasi destinazione urbanistica

Secondo la giurisprudenza prevalente e pacifica il Comune non ha alcuna potestà di introdurre un divieto generalizzato di installazione delle stazioni radio base, né di introdurre misure che, pur essendo di natura tipicamente urbanistica (distanze, altezze, quote, ecc.) non siano funzionali al governo del territorio, quanto piuttosto alla tutela dai rischi dell'elettromagnetismo che rientra nelle esclusive attribuzioni statali, non già in quelle comunali; di conseguenza la localizzazione degli impianti solo in determinate zona si pone in contrasto non solo con l'esigenza di permettere la copertura del servizio di telefonia mobile sull'intero territorio comunale, ma anche con la loro natura di infrastrutture primarie e impianti di interesse generale, posti al servizio della comunità e quindi compatibili con qualsiasi destinazione urbanistica.
L'assimilazione, per effetto dell'art. 86, d.lgs. 01.08.2003 n. 259, delle infrastrutture di reti pubbliche di telecomunicazione alle opere di urbanizzazione primaria, implica che le stesse debbano avere una diffusione capillare sul territorio, collegarsi ed essere poste al servizio dell'insediamento abitativo e non essere dalle stesso avulse.
Va poi richiamata la disciplina regionale per gli impianti inferiori a 300 W, per i quali l'art. 4 comma 7, l. reg. Lombardia n. 11 del 2001 stabilisce che gli impianti radio base di tale potenza "non richiedono una specifica regolamentazione urbanistica".
Pertanto, indipendentemente dalla questione della applicabilità del Regolamento Comunale al caso de quo, è illegittimo il diniego nella parte in cui richiama un presunto contrasto con la zona, in quanto l’Amministrazione non ha considerato che l'impianto di telefonia mobile in argomento è annoverabile tra le infrastrutture di reti pubbliche di comunicazione e, come tale, esso può essere equiparato -a tenore dell'art. 86, comma terzo, del citato Codice delle comunicazioni elettroniche- alle ordinarie opere di urbanizzazione primaria, che sono compatibili con qualsiasi destinazione urbanistica (cfr. TAR Sicilia Palermo II, 11.01.2011 n. 22) (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 05.01.2012 n. 35 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La classificazione di un intervento deve essere effettuata considerando globalmente le opere e non individualmente.
Va innanzitutto ricordato che la classificazione di un intervento deve essere effettuata considerando globalmente le opere e non individualmente.
Quindi in una visione complessiva dell’intervento, il Collegio condivide la decisione dell’Amministrazione di qualificare l’intervento come ristrutturazione, dal momento che l’immobile, complessivamente considerato, risulta indubbiamente differente rispetto al precedente: i prospetti sono interessati da venticinque interventi, che hanno comportato la realizzazione di nuovi accessi (le modifiche sono evidenziate nelle tavole nn. 3 e 6); l’originario lucernario è sostituito da una nuova copertura, ad una quota più alta, con modifica della sagoma; viene prevista una copertura sovrastante, prima inesistente e viene ampliato il piano interrato con la realizzazione di cantine e depositi.
L’aumento di volumetria è conseguente anche alla creazione, all’interno, delle celle frigorifere.
Indici rivelatori di un intervento che non si limita ad un adeguamento dell’immobile, ma tende a creare un quid novi, sono altresì la creazione dell’ascensore all’esterno del fabbricato e, infine, le modifiche del piano seminterrato, interessato da interventi di demolizione delle pareti, ridistribuzione degli spazi e creazione di nuove scale.
Tutti questi interventi, globalmente considerati, non possono essere ricondotti nell'ambito degli interventi di manutenzione straordinaria, né di restauro o risanamento conservativo (i quali presuppongono, ai sensi dell'art. 3, lett. b-c del d.P.R. n. 380/2001, la sostituzione o la conservazione di elementi -anche strutturali- degli edifici, che siano comunque preesistenti, ovvero l'inserimento di elementi nuovi, che abbiano tuttavia carattere accessorio), ma nel novero degli interventi di ristrutturazione edilizia di cui alla lett. c), del comma 1, dell'art. 10, d.P.R. n. 380/2001, dal momento che si realizza un'oggettiva trasformazione dell’immobile, mediante la sostituzione e l'inserimento di elementi, nonché con la modifica di altri (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 05.01.2012 n. 34 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: L’amministrazione (i.e. l’ente proprietario della strada), nel momento in cui decide la rimozione della cartellonistica abusiva, opera attraverso l’adozione di un provvedimento amministrativo espresso.
Peraltro, il comma 13-quater del dlgs 30.04.1992, n. 285
contempla la possibilità per l’ente proprietario di disporre liberamente dei mezzi pubblicitari rimossi in conformità all’art. 23 dlgs n. 285/1992, una volta che sia decorso il termine di 60 giorni senza che l’autore della violazione, il proprietario o il possessore del terreno ne abbiano richiesto la restituzione, specificando che “Il predetto termine decorre dalla data della diffida, nel caso di rimozione effettuata ai sensi del comma 13-bis, e dalla data di effettuazione della rimozione, nell’ipotesi prevista dal comma 13-quater.”.
Da tale prescrizione si desume come l’autore della violazione, il proprietario ovvero il possessore del terreno su cui sono installati gli impianti abusivi debbano ricevere comunicazione della diffida alla rimozione, anche al fine di potere richiedere successivamente la restituzione degli impianti rimossi dall’amministrazione.

Va evidenziato, a tal riguardo, che ai sensi dell’art. 23, comma 13-bis dlgs 30.04.1992, n. 285 (codice della strada) “In caso di collocazione di cartelli, insegne di esercizio o altri mezzi pubblicitari privi di autorizzazione o comunque in contrasto con quanto disposto dal comma 1, l’ente proprietario della strada diffida l’autore della violazione e il proprietario o il possessore del suolo privato, nei modi di legge, a rimuovere il mezzo pubblicitario a loro spese entro e non oltre dieci giorni dalla data di comunicazione dell’atto.
Decorso il suddetto termine, l’ente proprietario provvede ad effettuare la rimozione del mezzo pubblicitario e alla sua custodia ponendo i relativi oneri a carico dell’autore della violazione e, in via tra loro solidale, del proprietario o possessore del suolo; a tal fine tutti gli organi di polizia stradale di cui all’articolo 12 sono autorizzati ad accedere sul fondo privato ove è collocato il mezzo pubblicitario.
Chiunque viola le prescrizioni indicate al presente comma e al comma 7 è soggetto alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 4.455 a euro 17.823; nel caso in cui non sia possibile individuare l’autore della violazione, alla stessa sanzione amministrativa è soggetto chi utilizza gli spazi pubblicitari privi di autorizzazione
.”.
Dal tenore letterale della disposizione emerge in modo manifesto che l’amministrazione (i.e. l’ente proprietario della strada), nel momento in cui decide la rimozione della cartellonistica abusiva, opera attraverso l’adozione di un provvedimento amministrativo espresso.
Peraltro, il comma 13-quater della disposizione in commento contempla la possibilità per l’ente proprietario di disporre liberamente dei mezzi pubblicitari rimossi in conformità all’art. 23 dlgs n. 285/1992, una volta che sia decorso il termine di 60 giorni senza che l’autore della violazione, il proprietario o il possessore del terreno ne abbiano richiesto la restituzione, specificando che “Il predetto termine decorre dalla data della diffida, nel caso di rimozione effettuata ai sensi del comma 13-bis, e dalla data di effettuazione della rimozione, nell’ipotesi prevista dal comma 13-quater.”.
Da tale prescrizione si desume come l’autore della violazione, il proprietario ovvero il possessore del terreno su cui sono installati gli impianti abusivi debbano ricevere comunicazione della diffida alla rimozione, anche al fine di potere richiedere successivamente la restituzione degli impianti rimossi dall’amministrazione (TAR Puglia-Bari, Sez. I, sentenza 05.01.2012 n. 30 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Sebbene secondo un certo orientamento, la clausola inserita nel bando di gara che preveda limitazioni alla possibilità di associarsi in ATI per le imprese che singolarmente sarebbero in grado di partecipare alla gara, pur non essendo imposta da alcuna disposizione normativa (ma contenuta in una indicazione dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato), è legittima, in quanto l'introduzione della menzionata limitazione rientra tra le opzioni a disposizione della stazione appaltante, da esercitare in relazione alle specifiche caratteristiche del mercato oggetto della procedura, di recente è stato sostenuto che non vi sia alcun limite legale ad associarsi in ATI per imprese già autonome e che, pertanto, sarebbe illegittimo precludere la partecipazione in ATI di società che avrebbero i requisiti per partecipare anche singolarmente, non vigendo alcun espresso divieto legale in tal senso.
In punto di diritto si premette che, sebbene secondo un certo orientamento, la clausola inserita nel bando di gara che preveda limitazioni alla possibilità di associarsi in ATI per le imprese che singolarmente sarebbero in grado di partecipare alla gara, pur non essendo imposta da alcuna disposizione normativa (ma contenuta in una indicazione dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato), è legittima, in quanto l'introduzione della menzionata limitazione rientra tra le opzioni a disposizione della stazione appaltante, da esercitare in relazione alle specifiche caratteristiche del mercato oggetto della procedura (Consiglio di Stato, sez. VI, 19.06.2009, n. 4145), di recente è stato sostenuto che non vi sia alcun limite legale ad associarsi in ATI per imprese già autonome e che, pertanto, sarebbe illegittimo precludere la partecipazione in ATI di società che avrebbero i requisiti per partecipare anche singolarmente, non vigendo alcun espresso divieto legale in tal senso (TAR Lazio-Roma, Sez. II-ter, sentenza 04.01.2012 n. 82 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Le clausole del bando o della lettera di invito, che onerano l'interessato ad una immediata impugnazione, sono quelle che prescrivono requisiti di ammissione o di partecipazione alla gara, in riferimento sia a requisiti soggettivi che a situazioni di fatto, la carenza dei quali determina immediatamente l'effetto escludente, configurandosi il successivo atto di esclusione come meramente dichiarativo e ricognitivo di una lesione già prodotta.
In tutti gli altri casi diversi da quanto in precedenza riportato, i bandi di gara, di concorso, i disciplinari e le lettere di invito vanno, di regola, impugnati unitamente agli atti che di essi fanno applicazione, e, pertanto, conclusivamente insieme all’aggiudicazione definitiva della gara (o ad ogni altro provvedimento che segni, comunque, per il soggetto un arresto del procedimento), dal momento che sono questi ultimi ad identificare, in concreto, il soggetto leso dal provvedimento ed a rendere attuale e concreta la lesione della situazione soggettiva dell'interessato.
-------------
Secondo un orientamento in materia, la presenza nelle sedute di gara di un rappresentante della ditta partecipante alla competizione comporta ex se piena conoscenza degli atti lesivi, ai fini della decorrenza del termine per la relativa impugnazione, soltanto qualora nelle predette riunioni vengano adottate determinazioni negative per la stessa ditta (es. esclusione dalla gara).
Va però rilevato che, secondo altro orientamento che si ritiene di condividere, la semplice attestazione da parte dell'amministrazione della presenza durante le sedute di gara di un soggetto qualificato come rappresentante di un concorrente non comporta ex se la piena conoscenza dell'atto di esclusione, qualora non risulti che il rappresentante era munito di un mandato ad hoc o che rivestiva specifica carica sociale, tale da riferire automaticamente la sua conoscenza alla società concorrente, atteso che, a ben vedere, si tratta di fare applicazione degli ordinari principi che regolano l'istituto della rappresentanza, il quale produce effetti giuridici in capo al rappresentato solo se sussistono i requisiti della contemplatio domini, desumibile dal contesto dell'atto (sia esso soggetto a forma libera o meno) e dell'effettivo conferimento del potere di rappresentanza ad un determinato soggetto.
Pertanto, nel caso in cui dai verbali di seduta non sia palese l'affidamento di poteri rappresentativi ad hoc, la presenza (e addirittura la consegna di eventuali deduzioni da parte) di un delegato della ditta, in qualità dunque di semplice nuncius, resta del tutto improduttiva di effetti in tal senso con la conseguenza che il termine di impugnazione non può farsi decorrere dalla data della seduta medesima.
---------------
Nel caso in cui la procedura di gara, come nell'ipotesi di aggiudicazione con il sistema dell'offerta economicamente più vantaggiosa, sia caratterizzata da una netta separazione tra la valutazione dell'offerta tecnica e dell'offerta economica, il principio di segretezza comporta che, fino a quando non si sia conclusa la valutazione delle offerte tecniche, è interdetta al seggio di gara la conoscenza delle percentuali di ribasso offerta, onde evitare ogni possibile influenza nella valutazione dell'offerta tecnica.

Secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale nella materia le clausole del bando o della lettera di invito, che onerano l'interessato ad una immediata impugnazione, sono quelle che prescrivono requisiti di ammissione o di partecipazione alla gara, in riferimento sia a requisiti soggettivi che a situazioni di fatto, la carenza dei quali determina immediatamente l'effetto escludente, configurandosi il successivo atto di esclusione come meramente dichiarativo e ricognitivo di una lesione già prodotta (Consiglio di Stato, sez. V, 04.03.2011, n. 1380).
Nel caso di specie, invece, la ricorrente lamentava la mancata previsione nel bando di una clausola apposita che prescrivesse la presentazione delle tre distinte buste, contenenti rispettivamente la documentazione amministrativa, l’offerta tecnica e l’offerta economica.
E’ evidente che, pertanto, la doglianza non ha ad oggetto una clausola che si presenti come immediatamente lesiva della posizione giuridica della ricorrente stessa; la clausola della quale si lamenta la carenza attiene, nello specifico, alle modalità di presentazione delle domande di partecipazione alla gara e, sempre per giurisprudenza consolidata in materia, in tutti gli altri casi diversi da quanto in precedenza riportato, i bandi di gara, di concorso, i disciplinari e le lettere di invito vanno, di regola, impugnati unitamente agli atti che di essi fanno applicazione, e, pertanto, conclusivamente insieme all’aggiudicazione definitiva della gara (o ad ogni altro provvedimento che segni, comunque, per il soggetto un arresto del procedimento), dal momento che sono questi ultimi ad identificare, in concreto, il soggetto leso dal provvedimento ed a rendere attuale e concreta la lesione della situazione soggettiva dell'interessato (Consiglio di Stato, sez. III, 13.01.2011, n. 2463; Consiglio di Stato, sez. VI, 06.03.2009, n. 1348).
-------------
Altrettanto infondata è l’ulteriore eccezione di tardività formulata con riferimento ai verbali di gara redatti da parte della commissione, in conseguenza della verbalizzata presenza del rappresentante della società ricorrente alle sedute di gara, per le considerazioni che seguono.
Vero è che, secondo un orientamento in materia, la presenza nelle sedute di gara di un rappresentante della ditta partecipante alla competizione comporta ex se piena conoscenza degli atti lesivi, ai fini della decorrenza del termine per la relativa impugnazione, soltanto qualora nelle predette riunioni vengano adottate determinazioni negative per la stessa ditta (es. esclusione dalla gara) (TAR Puglia-Lecce, sez. I, 19.06.2009, n. 1583). Va però rilevato che, secondo altro orientamento che si ritiene di condividere, la semplice attestazione da parte dell'amministrazione della presenza durante le sedute di gara di un soggetto qualificato come rappresentante di un concorrente non comporta ex se la piena conoscenza dell'atto di esclusione, qualora non risulti che il rappresentante era munito di un mandato ad hoc o che rivestiva specifica carica sociale, tale da riferire automaticamente la sua conoscenza alla società concorrente, atteso che, a ben vedere, si tratta di fare applicazione degli ordinari principi che regolano l'istituto della rappresentanza, il quale produce effetti giuridici in capo al rappresentato solo se sussistono i requisiti della contemplatio domini, desumibile dal contesto dell'atto (sia esso soggetto a forma libera o meno) e dell'effettivo conferimento del potere di rappresentanza ad un determinato soggetto (TAR Lombardia-Milano, sez. III, 10.12.2009, n. 5306).
Pertanto, nel caso in cui dai verbali di seduta non sia palese l'affidamento di poteri rappresentativi ad hoc, la presenza (e addirittura la consegna di eventuali deduzioni da parte) di un delegato della ditta, in qualità dunque di semplice nuncius, resta del tutto improduttiva di effetti in tal senso con la conseguenza che il termine di impugnazione non può farsi decorrere dalla data della seduta medesima (TAR Trentino Alto Adige-Trento, sez. I, 14.09.2009, n. 239).
---------------
Nel caso in cui la procedura di gara, come nell'ipotesi di aggiudicazione con il sistema dell'offerta economicamente più vantaggiosa, sia caratterizzata da una netta separazione tra la valutazione dell'offerta tecnica e dell'offerta economica, il principio di segretezza comporta che, fino a quando non si sia conclusa la valutazione delle offerte tecniche, è interdetta al seggio di gara la conoscenza delle percentuali di ribasso offerta, onde evitare ogni possibile influenza nella valutazione dell'offerta tecnica (cfr. nei termini, da ultimo, Consiglio di Stato, sez. V, 21.03.2011, n. 1734) (TAR Lazio-Roma, Sez. II-ter, sentenza 04.01.2012 n. 80 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: L'annullamento di una gara pubblica, specie se in stato avanzato di espletamento, implica la frustrazione dell'affidamento ingenerato in capo ai partecipanti e, segnatamente, all'aggiudicatario; ne consegue la necessità, consacrata dal disposto dell'art. 21-nonies e dell'art. 21-quinquies, l. n. 241 del 1990, della precisa individuazione della ragione di interesse pubblico che giustifichi il provvedimento di secondo grado reso in autotutela e del rispetto dei principi in tema di giusto procedimento.
Infatti, il provvedimento di annullamento di una gara d’appalto va considerato illegittimo se si limita a richiamare la sussistenza di errori e discrepanze della procedura concorsuale, senza evidenziarli in modo puntuale, e, soprattutto, senza motivare in modo idoneo in merito alla loro incidenza negativa sul corretto dispiegarsi della procedura di gara; ciò in quanto è necessario che il provvedimento adottato in autotutela indichi puntualmente la natura, la gravità e l’incidenza delle anomalie che, alla luce della comparazione dell’interesse pubblico con le contrapposte posizioni consolidatesi in capo alle ditte partecipanti alla procedura, impone l’annullamento integrale degli atti di gara.
---------------
La clausola del bando integrale di gara, secondo la quale “la Stazione Appaltante si riserva di differire, spostare o revocare il presente procedimento di gara senza alcun diritto dei concorrenti a rimborsi spese o quant’altro” deve considerarsi nulla, ai sensi dell'art. 1355 c.c. (condizione meramente potestativa), poiché subordina qualsiasi responsabilità dell'Amministrazione alla mera volontà dell'Amministrazione medesima.
Da una parte, la scelta di procedere al ritiro degli atti di gara deve ritenersi sempre sindacabile in sede giurisdizionale (avuto riguardo, peraltro, ai principi e alle regole contenute nella legge n. 241/1990 e nel d.lgs. n. 163/2006, che disciplinano il potere di autotutela) e, dall’altra, non risulta consentito rendere vana la tutela offerta al soggetto pregiudicato da atti amministrativi prescrivendo l’impossibilità di chiedere il risarcimento del danno o l’indennizzo in conseguenza di provvedimenti di autotutela che dovessero rivelarsi illegittimi.

La giurisprudenza ha affermato che l'annullamento di una gara pubblica, specie se in stato avanzato di espletamento, implica la frustrazione dell'affidamento ingenerato in capo ai partecipanti e, segnatamente, all'aggiudicatario; ne consegue la necessità, consacrata dal disposto dell'art. 21-nonies e dell'art. 21-quinquies, l. n. 241 del 1990, della precisa individuazione della ragione di interesse pubblico che giustifichi il provvedimento di secondo grado reso in autotutela e del rispetto dei principi in tema di giusto procedimento (TAR Campania Napoli, sez. I, 18.03.2011, n. 1500; Cons. Stato, sez. V, n. 01.10.2010, n. 7273).
Infatti, il provvedimento di annullamento di una gara d’appalto va considerato illegittimo se si limita a richiamare la sussistenza di errori e discrepanze della procedura concorsuale, senza evidenziarli in modo puntuale, e, soprattutto, senza motivare in modo idoneo in merito alla loro incidenza negativa sul corretto dispiegarsi della procedura di gara; ciò in quanto è necessario che il provvedimento adottato in autotutela indichi puntualmente la natura, la gravità e l’incidenza delle anomalie che, alla luce della comparazione dell’interesse pubblico con le contrapposte posizioni consolidatesi in capo alle ditte partecipanti alla procedura, impone l’annullamento integrale degli atti di gara (Cons. Stato, sez. V, 07.01.2009, n. 17).
---------------
Va verificata, infine, la possibilità della Stazione appaltante di agire in via di autotutela avvalendosi della clausola di cui art. 25, lett. p), del bando integrale di gara, secondo la quale “la Stazione Appaltante si riserva di differire, spostare o revocare il presente procedimento di gara senza alcun diritto dei concorrenti a rimborsi spese o quant’altro”.
Sulla base di tale clausola, la Regione Lazio avrebbe potuto decidere di revocare motivatamente la procedura di gara, mentre ha scelto di disporre un annullamento d’ufficio della procedura ad evidenza pubblica deducendo genericamente la presenza di vizi di legittimità.
Se, invece, si volesse ritenere che tale clausola attribuiva all’Amministrazione un insindacabile (da parte dei concorrenti) potere di scelta in ordine alle sorti della procedura ad evidenza pubblica, allora se ne dovrebbe affermare l’invalidità in quanto, da una parte, la scelta di procedere al ritiro degli atti di gara deve ritenersi sempre sindacabile in sede giurisdizionale (avuto riguardo, peraltro, ai principi e alle regole contenute nella legge n. 241/1990 e nel d.lgs. n. 163/2006, che disciplinano il potere di autotutela) e, dall’altra, non risulta consentito rendere vana la tutela offerta al soggetto pregiudicato da atti amministrativi prescrivendo l’impossibilità di chiedere il risarcimento del danno o l’indennizzo in conseguenza di provvedimenti di autotutela che dovessero rivelarsi illegittimi.
Una clausola del genere, in sostanza, deve considerarsi nulla, ai sensi dell'art. 1355 c.c. (condizione meramente potestativa), poiché subordina qualsiasi responsabilità dell'Amministrazione alla mera volontà dell'Amministrazione medesima (Cons. Stato, Sez. V, 07.09.2009 n. 5245; Cass. S.U. 16.10.2007 n. 8951)
(TAR Lazio-Roma, Sez. I-ter, sentenza 04.01.2012 n. 70 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICALa previsione dell'indennizzo, in caso di reiterazione dei vincoli, è doverosa non solo per i vincoli preordinati all'ablazione del suolo, ma anche per quelli "sostanzialmente espropriativi" (secondo la definizione di cui all'art. 39, comma 1, d.P.R. 08.06.2001, n. 327), i quali comportano l'azzeramento del contenuto economico del diritto di proprietà.
Non possono essere considerati come vincoli "sostanzialmente espropriativi", ma costituiscono dei vincoli conformativi, quelli derivanti da destinazioni realizzabili anche attraverso l'iniziativa privata in regime di economia di mercato .
Non sono vincoli "sostanzialmente espropriativi", ma sono da ritenere vincoli conformativi, le destinazioni a parco urbano, a parcheggio e viabilità. Tali destinazioni, infatti, non comportano automaticamente l'ablazione dei suoli ed ammettono, anzi, chiaramente la realizzazione, anche da parte di privati in regime di economia di mercato, delle relative attrezzature destinate all'uso pubblico. Per tali tipi di destinazione, conseguentemente, nel caso in cui siano confermate da un nuovo strumento urbanistico o da una sua variante generale, non occorre né la previsione di indennizzo né una particolare motivazione per giustificare la loro conferma.
L'art. 2 della legge 19.11.1968 n. 1187 (secondo cui: "le indicazioni di piano regolatore generale, nella parte in cui incidono su beni determinati ed assoggettano i beni stessi a vincoli preordinati all'espropriazione od a vincoli che comportino l'inedificabilità, perdono ogni efficacia qualora entro cinque anni dalla data di approvazione del piano regolatore generale non siano stati approvati i relativi piani particolareggiati od autorizzati i piani di lottizzazione convenzionati") si riferisce soltanto alle fattispecie in cui l'amministrazione esercita il proprio potere ablativo e non ai casi in cui essa, così come consentito in via generale dall'art. 42 Cost., si limita a conformare il contenuto del diritto di proprietà, sia pure in modo tale da diminuire l'utile economico che da un dato terreno si può in astratto trarre.
Sono vincoli di tipo conformativo quelli che importano destinazioni, anche di contenuto specifico, realizzabili ad iniziativa privata o promiscua, ovvero sia pubblica sia privata, senza comportare necessariamente espropriazione o interventi ad esclusiva iniziativa pubblica, atteso che, tali vincoli non svuotano di contenuto il diritto di proprietà, ma si limitano a imporre al titolare del bene, il quale ne voglia trarre le relative utilità, di seguire una data modalità.
Ne deriva che, nel caso di specie, di destinazione a verde privato, non sussiste alcuna reiterazione di vincoli espropriativi e, di conseguenza, l'amministrazione non era sottoposta ad un particolare dovere motivazionale.
In ogni caso, sempre a proposito della motivazione che deve assistere le scelte in materia di pianificazione urbanistica, va richiamato l’orientamento giurisprudenziale consolidato nel senso di ritenere assolto il suddetto onere facendo riferimento alle linee guida illustrate nella relazione generale allo strumento urbanistico, salvo che si sia in presenza di particolari condizioni, che consentano di configurare, in capo al privato, situazioni di aspettativa qualificata.
Osserva il Collegio come la destinazione a verde privato impressa al fondo del ricorrente non comporti un vincolo preordinato all'esproprio, essendo espressione della potestà conformativa propria dello strumento urbanistico che qui occupa, non soggetta a decadenza, né a indennizzo.
La motivazione della scelta (a proposito della necessità di salvaguardare un “polmone verde”) evoca chiaramente una esigenza di tutela ambientale sulla quale, come ricordato da parte resistente, la giurisprudenza ha ripetutamente affermato che non è richiesta una motivazione particolarmente ampia, avuto riguardo al valore costituzionale dell’ambiente, come presidiato dall’art. 9 Cost..

La prima questione da affrontare è quella della corretta qualificazione giuridica del vincolo reiteratamente imposto sull'area di proprietà del ricorrente.
La giurisprudenza che, dopo la sentenza della Corte costituzionale n. 179 del 1999, si è occupata della problematica della reiterazione dei vincoli decaduti, è pervenuta all’affermazione di alcuni principi, che è opportuno richiamare per una corretta disamina dell’odierna controversia.
In primo luogo, si è ritenuto che la previsione dell'indennizzo, in caso di reiterazione dei vincoli, è doverosa non solo per i vincoli preordinati all'ablazione del suolo, ma anche per quelli "sostanzialmente espropriativi" (secondo la definizione di cui all'art. 39, comma 1, d.P.R. 08.06.2001, n. 327), i quali comportano l'azzeramento del contenuto economico del diritto di proprietà.
Non possono essere considerati come vincoli "sostanzialmente espropriativi", ma costituiscono dei vincoli conformativi, quelli derivanti da destinazioni realizzabili anche attraverso l'iniziativa privata in regime di economia di mercato .
Non sono vincoli "sostanzialmente espropriativi", ma sono da ritenere vincoli conformativi, le destinazioni a parco urbano, a parcheggio e viabilità. Tali destinazioni, infatti, non comportano automaticamente l'ablazione dei suoli ed ammettono, anzi, chiaramente la realizzazione, anche da parte di privati in regime di economia di mercato, delle relative attrezzature destinate all'uso pubblico. Per tali tipi di destinazione, conseguentemente, nel caso in cui siano confermate da un nuovo strumento urbanistico o da una sua variante generale, non occorre né la previsione di indennizzo né una particolare motivazione per giustificare la loro conferma (cfr. Consiglio di Stato, Sez. IV - sentenza 01.10.2007 n. 5059; TAR Veneto, Venezia, 18.04.2011 n. 639; TAR Lazio, Latina, 20.05.2008 n. 575; TAR Puglia, Lecce, 07.02.2008 n. 378; TAR Sicilia, Catania, 15.10.2007 n. 1662).
L'art. 2 della legge 19.11.1968 n. 1187 (secondo cui: "le indicazioni di piano regolatore generale, nella parte in cui incidono su beni determinati ed assoggettano i beni stessi a vincoli preordinati all'espropriazione od a vincoli che comportino l'inedificabilità, perdono ogni efficacia qualora entro cinque anni dalla data di approvazione del piano regolatore generale non siano stati approvati i relativi piani particolareggiati od autorizzati i piani di lottizzazione convenzionati") si riferisce soltanto alle fattispecie in cui l'amministrazione esercita il proprio potere ablativo e non ai casi in cui essa, così come consentito in via generale dall'art. 42 Cost., si limita a conformare il contenuto del diritto di proprietà, sia pure in modo tale da diminuire l'utile economico che da un dato terreno si può in astratto trarre.
Sono vincoli di tipo conformativo quelli che importano destinazioni, anche di contenuto specifico, realizzabili ad iniziativa privata o promiscua, ovvero sia pubblica sia privata, senza comportare necessariamente espropriazione o interventi ad esclusiva iniziativa pubblica, atteso che, tali vincoli non svuotano di contenuto il diritto di proprietà, ma si limitano a imporre al titolare del bene, il quale ne voglia trarre le relative utilità, di seguire una data modalità (cfr. in argomento e in relazione ad una causa analoga a quella in esame: TAR Lombardia, Milano, sez. II, 29.01.2009, n. 989, nonché la giurisprudenza ivi richiamata e, più di recente, TAR Lombardia Milano, sez. III, 21.12.2010, n. 7636, secondo cui: “l'individuazione, in sede di pianificazione urbanistica, delle aree soggette a tale regime non comporta alcuna reiterazione di vincoli espropriativi e non impone un particolare onere motivazionale”, con l’ulteriore precisazione per cui: “le destinazioni a parco urbano, a verde urbano, a verde pubblico, a verde pubblico attrezzato, a parco giochi e simili si pongono al di fuori dello schema ablatorio-espropriativo e costituiscono espressione di potestà conformativa avente validità a tempo indeterminato, quando lo strumento urbanistico consente di realizzare tali previsioni, non già ad esclusiva iniziativa pubblica, ma ad iniziativa privata o promiscua pubblico-privata, senza necessità di ablazione del bene”. Analogamente cfr. TAR Lombardia, Brescia, Sez. I, 11.06.2007 n. 507).
Ne deriva che, nel caso di specie, di destinazione a verde privato, non sussiste alcuna reiterazione di vincoli espropriativi e, di conseguenza, l'amministrazione non era sottoposta ad un particolare dovere motivazionale.
In ogni caso, sempre a proposito della motivazione che deve assistere le scelte in materia di pianificazione urbanistica, va richiamato l’orientamento giurisprudenziale consolidato nel senso di ritenere assolto il suddetto onere facendo riferimento alle linee guida illustrate nella relazione generale allo strumento urbanistico, salvo che si sia in presenza di particolari condizioni, che consentano di configurare, in capo al privato, situazioni di aspettativa qualificata (sulle quali, cfr., da ultimo, sentenza TAR Lombardia, Milano, II, 06.10.2011 n. 2379: che richiama i casi di: a) superamento degli standard minimi di cui al d.m. 02.04.1968 — con l'avvertenza che la motivazione ulteriore va riferita esclusivamente alle previsioni urbanistiche complessive di sovradimensionamento, indipendentemente dal riferimento alla destinazione di zona di determinate aree; b) lesione dell'affidamento qualificato del privato derivante da convenzioni di lottizzazione, accordi di diritto privato intercorsi tra il Comune e i proprietari delle aree, dalle aspettative nascenti da giudicati di annullamento di dinieghi di permesso di costruire o di silenzio-rifiuto su una domanda di concessione; c) modificazione in zona agricola della destinazione di un'area limitata, interclusa da fondi edificati in modo non abusivo).
Per quanto sin qui evidenziato, osserva il Collegio come la destinazione a verde privato impressa al fondo del ricorrente non comporti un vincolo preordinato all'esproprio, essendo espressione della potestà conformativa propria dello strumento urbanistico che qui occupa, non soggetta a decadenza, né a indennizzo.
La motivazione della scelta (a proposito della necessità di salvaguardare un “polmone verde”) evoca chiaramente una esigenza di tutela ambientale sulla quale, come ricordato da parte resistente, la giurisprudenza ha ripetutamente affermato che non è richiesta una motivazione particolarmente ampia, avuto riguardo al valore costituzionale dell’ambiente, come presidiato dall’art. 9 Cost. (cfr. Consiglio di Stato, Sez. IV, 01.02.2001 n.420, ove si sottolinea la chiara valenza conservativa dei valori naturalistici della zona destinata a verde privato, la quale, “venendo a costituire il polmone dell'insediamento urbano”, assume per tale via “la funzione decongestionante e di contenimento dell'espansione dell'aggregato urbano”. Analogamente cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 08.05.2000 n. 2639; 19.01.2000 n. 245; 13.03.1998, n. 431) (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 04.01.2012 n. 15 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICALa più recente impostazione giurisprudenziale è incline a porre forti limiti alla configurabilità dell’interesse cd. strumentale all’impugnazione dello strumento urbanistico, sul presupposto che, in subiecta materia, l’interesse al ricorso non può sostanziarsi in un generico interesse a una migliore pianificazione dei suoli di propria spettanza, che in quanto tale non si differenzia dall’eguale interesse che quisque de populo potrebbe nutrire.
E’ utile rammentare, al riguardo, anche l’insegnamento recentemente espresso dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato secondo cui: <<…in sé considerata, la semplice possibilità di ricavare dalla invocata decisione di accoglimento una qualche utilità pratica, indiretta ed eventuale, non dimostra la sussistenza della posizione legittimante. È forse vero che l’accertamento di un vantaggio ritraibile dalla sentenza di annullamento può costituire, talvolta, un indice della esistenza di una posizione giuridica sostanziale attiva, che potrebbe attribuire la legittimazione al ricorso. Questa circostanza spiega perché, tra gli interpreti …sia presente un filone ricostruttivo che tende ad attenuare, se non ad annullare, la differenza tra la legittimazione e l’interesse al ricorso.
Tuttavia, in linea generale, il possibile vantaggio ottenibile dalla pronuncia di annullamento non risulta affatto idoneo a determinare, da solo, il riconoscimento di una situazione differenziata, fondante la legittimazione al ricorso. In particolare, a tale fine risulta del tutto insufficiente il riferimento a una utilità meramente ipotetica o eventuale, che richiede, per la sua compiuta realizzazione, come avviene nella vicenda in esame, il passaggio attraverso una pluralità di fasi e di atti ricadenti nella sfera della più ampia disponibilità dell’amministrazione.
In altri termini, ai fini della legittimazione al ricorso, l’asserito valore sintomatico derivante dal riscontro fattuale della "utilità pratica" della decisione di accoglimento presenta un risalto del tutto marginale, in assenza di ulteriori, convergenti, dati significativi>>.

L’esponente lamenta, in sostanza, l’illegittimità della scelta dell’amministrazione di avvalersi della procedura semplificata in assenza dei relativi presupposti.
Si tratta, com’è evidente, di censure che, ove ritenute fondate, sarebbero idonee a travolgere l’intero strumento urbanistico (variante) in contestazione, per cui s’impone al Collegio la preliminare verifica in termini di ammissibilità del motivo così dedotto, sotto il profilo dell’interesse al ricorso.
Ciò, alla luce della più recente impostazione giurisprudenziale, incline a porre forti limiti alla configurabilità dell’interesse cd. strumentale all’impugnazione dello strumento urbanistico, sul presupposto che, in subiecta materia, l’interesse al ricorso non può sostanziarsi in un generico interesse a una migliore pianificazione dei suoli di propria spettanza, che in quanto tale non si differenzia dall’eguale interesse che quisque de populo potrebbe nutrire (cfr. Consiglio di Stato 12.01.2011 n. 133; id. 12.10.2010 n. 7439; 13.07.2010 n. 4542; 06.05.2010 n. 2629).
E’ utile rammentare, al riguardo, anche l’insegnamento recentemente espresso dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (cfr. decisione del 07.04.2011 n.b4), secondo cui: <<…in sé considerata, la semplice possibilità di ricavare dalla invocata decisione di accoglimento una qualche utilità pratica, indiretta ed eventuale, non dimostra la sussistenza della posizione legittimante. È forse vero che l’accertamento di un vantaggio ritraibile dalla sentenza di annullamento può costituire, talvolta, un indice della esistenza di una posizione giuridica sostanziale attiva, che potrebbe attribuire la legittimazione al ricorso. Questa circostanza spiega perché, tra gli interpreti …sia presente un filone ricostruttivo che tende ad attenuare, se non ad annullare, la differenza tra la legittimazione e l’interesse al ricorso.
Tuttavia, in linea generale, il possibile vantaggio ottenibile dalla pronuncia di annullamento non risulta affatto idoneo a determinare, da solo, il riconoscimento di una situazione differenziata, fondante la legittimazione al ricorso. In particolare, a tale fine risulta del tutto insufficiente il riferimento a una utilità meramente ipotetica o eventuale, che richiede, per la sua compiuta realizzazione, come avviene nella vicenda in esame, il passaggio attraverso una pluralità di fasi e di atti ricadenti nella sfera della più ampia disponibilità dell’amministrazione.
In altri termini, ai fini della legittimazione al ricorso, l’asserito valore sintomatico derivante dal riscontro fattuale della "utilità pratica" della decisione di accoglimento presenta un risalto del tutto marginale, in assenza di ulteriori, convergenti, dati significativi
>>.
Ebbene, reputa il Collegio che l’utilità che l’odierno ricorrente aspira a conseguire dall’annullamento della variante de qua è “meramente ipotetica ed eventuale”, richiedendo per la sua compiuta realizzazione il passaggio attraverso una rinnovata attività di pianificazione urbanistica, ricadente nella sfera della più ampia disponibilità dell’amministrazione.
Non va sottaciuto, infatti, come la destinazione impressa all’area dell’esponente con la deliberazione qui gravata risulti confermativa o, addirittura, in parte (in relazione all’osservazione accolta) migliorativa rispetto a quella preesistente.
Né può dirsi in alcun modo chiarito dall’esponente come e perché l’adozione della variante con la procedura semplificata avrebbe svolto un ruolo decisivo sulle opzioni relative al regime dei suoli in sua proprietà (cfr. in caso di censure afferenti la V.A.S., come tali idonee a travolgere l’intero piano in caso di accoglimento, le puntuali osservazioni in tema di legittimazione e interesse al ricorso contenute nella recente decisione del Consiglio di Stato del 12.01.2011 n. 133, ove si sottolinea la necessità, onde scongiurare una legitimatio generalis in subjecta materia, che le determinazioni lesive fondanti l’interesse al ricorso siano effettivamente condizionate, ossia causalmente riconducibili in modo decisivo, alle preliminari conclusioni raggiunte in sede di VAS. Analogamente, in relazione a fattispecie di inammissibilità per difetto di concretezza e attualità dell’interesse, cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 29.12.2010, n. 9537; sez. V, 07.09.2009, n. 5244; sez. IV, 22.12.2007, n. 6613; TAR Lombardia, Milano, II, 02.09.2011 n. 2154; id. 08.02.2011 n. 383; TAR Veneto Venezia, sez. III, 16.02.2011, n. 265; TAR Lombardia Brescia, sez. II, 19.11.2009, n. 2238)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 04.01.2012 n. 15 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Il proprietario di un fondo confinante con quello interessato dalla costruzione asseritamente abusiva, vanta una posizione qualificata e differenziata al corretto assetto del territorio, a prescindere da qualsiasi esame sul tipo di lesione che in concreto sia riconducibile alle opere compiute.
E’ orientamento giurisprudenziale consolidato, e condiviso dal collegio riguardo al caso in esame, quello secondo cui il proprietario di un fondo confinante con quello interessato dalla costruzione asseritamente abusiva, vanta una posizione qualificata e differenziata al corretto assetto del territorio, a prescindere da qualsiasi esame sul tipo di lesione che in concreto sia riconducibile alle opere compiute (tra le più recenti, cfr. Cons. Stato, sez. VI, 10.12.2010, n. 8705; sez. VI, 20.10.2010, n. 7591; sez. IV, 16.03.2010, n. 1535; TAR Campania, Napoli, sez. VII, 15.07.2010, n. 16811)
(TAR Sicilia-Palermo, Sez. III, sentenza 04.01.2012 n. 1 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Una ristrutturazione edilizia, e maggior ragione una manutenzione straordinaria, postulano necessariamente la preesistenza di un fabbricato da ristrutturare -ossia di un organismo edilizio dotato di mura perimetrali, strutture orizzontali e copertura-, onde la ricostruzione su ruderi o su un edificio già da tempo demolito, anche se soltanto in parte, costituisce una nuova opera e, come tale, è soggetta alle comuni regole edilizie vigenti al momento della riedificazione.
Ne consegue che la ricostruzione di ruderi deve essere considerata, a tutti gli effetti, realizzazione di una nuova costruzione che non può essere equiparata al recupero edilizio o alla manutenzione straordinaria non essendoci nulla da recuperare o manutenere come entità edilizia esistente e quale unità abitativa e per simile attività, perciò, deve essere richiesta apposita concessione edilizia.

Secondo un costante e consolidato orientamento giurisprudenziale, una ristrutturazione edilizia, e maggior ragione una manutenzione straordinaria, postulano necessariamente la preesistenza di un fabbricato da ristrutturare -ossia di un organismo edilizio dotato di mura perimetrali, strutture orizzontali e copertura-, onde la ricostruzione su ruderi o su un edificio già da tempo demolito, anche se soltanto in parte, costituisce una nuova opera e, come tale, è soggetta alle comuni regole edilizie vigenti al momento della riedificazione (Cons. Stato, sez. IV, 15.09.2006, n. 5375; sez. V; 15.04.2004, n. 2142; 29.10.2001, n. 5642; 01.12.1999, n. 2021; 10.03.1997, n. 240).
Ne consegue che la ricostruzione di ruderi –nel caso di specie, in base alla documentazione fotografica in atti (vedi foto nn. 3, 4, 5 e 6 allegate alla perizia tecnica di parte ricorrente), non esistono né mura perimetrali portanti, né strutture orizzontali, né solaio ma, su un unico lato prospiciente la via, una chiusura di mattoni e lamiera di, evidente, recente costruzione e ben distinta dal rudere del preesistente muro di facciata, quest’ultimo presente in minima parte ed addossato all’adiacente edificio posto alla sua destra- deve essere considerata, a tutti gli effetti, realizzazione di una nuova costruzione che non può essere equiparata al recupero edilizio o alla manutenzione straordinaria non essendoci nulla da recuperare o manutenere come entità edilizia esistente e quale unità abitativa e per simile attività, perciò, deve essere richiesta apposita concessione edilizia
(TAR Sicilia-Palermo, Sez. III, sentenza 04.01.2012 n. 1 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: In caso di ordine di demolizione delle opere abusive, non è necessaria la previa comunicazione dell’avvio procedimentale di cui all’articolo 7 della legge n. 241 del 1990, trattandosi di atto dovuto e rigorosamente vincolato; inoltre l'ordine di demolizione di una opera edilizia abusiva è sufficientemente motivato con l’affermazione della accertata abusività dell'opera stessa e, proprio in quanto atto vincolato, il suddetto ordine non richiede una specifica valutazione delle ragioni di interesse pubblico né una comparazione di quest'ultimo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati né una motivazione sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale alla demolizione, non potendo neppure ammettersi l'esistenza di alcun affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di fatto abusiva, che il tempo non può giammai legittimare.
In caso di ordine di demolizione delle opere abusive, non è necessaria la previa comunicazione dell’avvio procedimentale di cui all’articolo 7 della legge n. 241 del 1990, trattandosi di atto dovuto e rigorosamente vincolato; inoltre l'ordine di demolizione di una opera edilizia abusiva è sufficientemente motivato con l’affermazione della accertata abusività dell'opera stessa (Consiglio di Stato, sez. IV, 12.04.2011, n. 2266) e, proprio in quanto atto vincolato, il suddetto ordine non richiede una specifica valutazione delle ragioni di interesse pubblico né una comparazione di quest'ultimo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati né una motivazione sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale alla demolizione, non potendo neppure ammettersi l'esistenza di alcun affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di fatto abusiva, che il tempo non può giammai legittimare (Consiglio di Stato, sez. V, 11.01.2011, n. 79) (TAR Lazio-Roma, Sez. II-ter, sentenza 03.01.2012 n. 53 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: L'art. 24 della L. n. 241/1990, al comma 3, opportunamente esclude dall'accesso ai documenti amministrativi le istanze preordinate ad un controllo generalizzato dell'operato delle pubbliche amministrazioni. Infatti lo strumento dell'accesso, postulando a norma dell'art. 22, comma 1, lett. b), "un interesse concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è richiesto l'accesso", non è dato in funzione della tutela di un interesse generico e diffuso alla conoscenza degli atti amministrativi, vale a dire a un controllo generalizzato da parte di chiunque sull'attività dell'amministrazione, ma alla salvaguardia di singole posizioni differenziate e qualificate e correlate a specifiche situazioni rilevanti per la legge, che vanno dimostrate dal richiedente che intende tutelarle.
D
eve ritenersi inapplicabile l'art. 10-bis della L. n. 241 del 1990 ai procedimenti diretti ad ottenere l'accesso ad atti, sia in base all'elemento testuale, in quanto l'elenco dei procedimenti cui non è applicabile contenuto in tale disposizione non si ritiene che abbia carattere di tassatività, sia in base al dato sistematico, poiché il procedimento di accesso realizza un interesse meramente partecipativo, strumentale alla soddisfazione di un interesse primario, che non si concilia con la previsione di una ulteriore fase subprocedimentale.
Secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale, meticolosamente richiamato dalle resistenti amministrazioni, l'art. 24 della L. n. 241/1990, al comma 3, opportunamente esclude dall'accesso ai documenti amministrativi le istanze preordinate ad un controllo generalizzato dell'operato delle pubbliche amministrazioni. Infatti lo strumento dell'accesso, postulando a norma dell'art. 22, comma 1, lett. b), "un interesse concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è richiesto l'accesso", non è dato in funzione della tutela di un interesse generico e diffuso alla conoscenza degli atti amministrativi, vale a dire a un controllo generalizzato da parte di chiunque sull'attività dell'amministrazione, ma alla salvaguardia di singole posizioni differenziate e qualificate e correlate a specifiche situazioni rilevanti per la legge, che vanno dimostrate dal richiedente che intende tutelarle.
Come costantemente affermato da questo Tribunale deve ritenersi inapplicabile l'art. 10-bis della L. n. 241 del 1990 ai procedimenti diretti ad ottenere l'accesso ad atti, sia in base all'elemento testuale, in quanto l'elenco dei procedimenti cui non è applicabile contenuto in tale disposizione non si ritiene che abbia carattere di tassatività, sia in base al dato sistematico, poiché il procedimento di accesso realizza un interesse meramente partecipativo, strumentale alla soddisfazione di un interesse primario, che non si concilia con la previsione di una ulteriore fase subprocedimentale (TAR Lazio Roma, sez. I, n. 13562/2005; sez. II, n. 71/2008) (TAR Lazio-Roma, Sez. III, sentenza 03.01.2012 n. 30 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

INCARICHI PROGETTUALI: È illegittimo l’affidamento fiduciario dell’intervento esecutivo al medesimo progettista dell’intervento preliminare.
Tale modus operandi è in contrasto con i principi europei di trasparenza, di correttezza e di libera concorrenza ed è stato pertanto stigmatizzato dal TAR Campania-Napoli, Sez. II, nella sentenza 03.01.2012 n. 6.
Il Collegio giudicante conforta il proprio orientamento richiamando in punto di diritto:
a) la circolare 06.06.2002, n. 8756 della Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento per le politiche comunitarie (G.U. n. 178 del 31.07.2002), nel punto in cui si afferma come le pubbliche amministrazioni, che intendono stipulare contratti non regolamentati sul piano europeo, pur non essendo vincolate da regole analitiche in punto di pubblicità e di procedura, siano comunque tenute ad osservare, alla stregua dei principi di diritto europeo, criteri di condotta che, in proporzione alla rilevanza economica della fattispecie ed alla sua pregnanza sotto il profilo della concorrenza nel mercato comune, consentano senza discriminazioni su base di nazionalità e di residenza, a tutte le imprese interessate di venire per tempo a conoscenza dell’intenzione amministrativa di stipulare il contratto e di giocare le proprie chances competitive attraverso la formulazione di un’offerta appropriata;
b) la primauté del diritto europeo ora cristallizzata dal nuovo testo dell’art. 117, primo comma, della Costituzione;
c) le determinazioni dell’Autorità di Vigilanza dei lavori pubblici, nel punto in cui ha censurato affidamenti di singoli livelli progettuali, in epoche diverse ed al medesimo professionista, affidamento che dev’essere adeguatamente motivato per non risultare un “frazionamento artificioso”, potenzialmente elusivo delle regole applicabili all’affidamento considerato nella sua globalità (determinazioni 18/2001, 27/2002, 30/2002 e deliberazioni 328/2002 e 176/2003);
d) gli indirizzi espressi dal Consiglio di Stato che in ripetute occasioni ha escluso la possibilità per le Amministrazioni appaltanti di rinegoziare con il soggetto prescelto come contraente alcune condizioni di esecuzione dei contratti aggiudicati in esito a procedure concorsuali.
In particolare, i giudici di Palazzo Spada hanno negato la possibilità di modificare l’oggetto del contratto di affidamento di un servizio o di una fornitura o della realizzazione di un’opera, perché vi è palese violazione delle regole di concorrenza e parità di condizioni tra i partecipanti alla gara, concretandosi, pertanto, un illegittimo esercizio della funzione amministrativa, in palese contrasto con le norme in tema di procedure di evidenza pubblica (cfr. Cons. Stato, sez. V, sent. 6281/2002; Consiglio di Stato, sez. IV, sent. n. 1544/2003).
Non si può, in altri termini, alterare il contesto di rigore e di imparzialità entro cui, conformemente alla normativa generale e speciale di riferimento, necessariamente deve svolgersi la competizione e di cui resta unicamente garante proprio la stessa Amministrazione aggiudicatrice.
Pertanto, il conferimento di un ulteriore incarico professionale di progettazione di opere pubbliche, mediante affidamento diretto o fiduciario, c.d. “intuitu personae”, completamente svincolato da qualsiasi iter procedimentale, appare in contrasto con i principi di trasparenza, di correttezza e di libera concorrenza tra gli operatori, nonché in contrasto con il Codice dei contratti, di cui al D.Lgs. 163/2006, che all’art. 91 prevede la regola dell’affidamento effettuato sulla base di un procedimento di evidenza pubblica (commento tratto da www.diritto.it - link a www.giustizia-amministrativa.it e www.autoritalavoripubblici.it).

EDILIZIA PRIVATAL’annullamento di ufficio del titolo edilizio presuppone una congrua motivazione sull’interesse pubblico attuale e concreto a sostegno dell’esercizio discrezionale dei poteri di autotutela, con una adeguata ponderazione comparativa, che tenga anche conto dell’interesse dei destinatari dell'atto al mantenimento delle posizioni, che su di esso si sono consolidate e del conseguente affidamento derivante dal comportamento seguito dall’Amministrazione.
La ricorrente lamenta, con il ricorso in esame, che l’amministrazione comunale intimata, dopo averla autorizzata a ristrutturare il fabbricato di sua proprietà e dopo che i lavori assentiti si trovavano in un avanzato stato di esecuzione (essendo stati realizzati il consolidamento strutturale dell’immobile, i muri di contenimento, il completamento del piano terra e del corpo centrale del fabbricato), ha disposto, mediante i provvedimenti impugnati, l’annullamento dei relativi titoli edilizi e la conseguente demolizione delle opere realizzate.
La domanda di annullamento proposta con il ricorso in esame è meritevole di accoglimento.
Per costante giurisprudenza, infatti, “l’annullamento di ufficio presuppone una congrua motivazione sull’interesse pubblico attuale e concreto a sostegno dell’esercizio discrezionale dei poteri di autotutela, con una adeguata ponderazione comparativa, che tenga anche conto dell’interesse dei destinatari dell'atto al mantenimento delle posizioni, che su di esso si sono consolidate e del conseguente affidamento derivante dal comportamento seguito dall’Amministrazione” (cfr., ex multis, Consiglio di Stato, Sez. IV, 16.04.2010, n. 2178);
Ebbene, deve rilevarsi che nell’impugnato provvedimento di autotutela non vi è traccia della richiesta motivazione, tesa a comparare l’interesse pubblico all’annullamento dell’atto ampliativo con l’affidamento maturato dal destinatario in ordine all’esercizio (già peraltro, nella specie, ampiamente avvenuto) delle facoltà con lo stesso attribuite (TAR Campania-Salerno, Sez. I, sentenza 03.01.2012 n. 3 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Non è motivo di esclusione l’espletamento dei sopralluoghi da parte di soggetti delegati del costituendo R.T.I., quando “la “lex specialis” della procedura aperta in questione non contiene alcuna precisazione con riguardo alle modalità di adempimento dell’obbligo di sopralluogo da parte dei Raggruppamenti Temporanei di Imprese (già costituiti o costituendi), né impone a ciascuna impresa da associare la presentazione delle attestazioni di avvenuto sopralluogo presso le strutture interessate dal servizio oggetto di gara, sicché il difetto di chiarezza degli atti inditivi impone nel caso di specie un’interpretazione nel senso del “favor partecipationis”.
La Sezione, invero, ha già avuto modo di pronunciarsi su di una fattispecie del tutto analoga con sentenza n. 1880 del 31.10.2011, in cui si afferma che non è motivo di esclusione l’espletamento dei sopralluoghi da parte di soggetti delegati del costituendo R.T.I., quando “la “lex specialis” della procedura aperta in questione (contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa dell’Azienda Sanitaria Locale resistente) non contiene alcuna precisazione con riguardo alle modalità di adempimento dell’obbligo di sopralluogo da parte dei Raggruppamenti Temporanei di Imprese (già costituiti o costituendi), né impone a ciascuna impresa da associare la presentazione delle attestazioni di avvenuto sopralluogo presso le strutture interessate dal servizio oggetto di gara, sicché il difetto di chiarezza degli atti inditivi impone nel caso di specie un’interpretazione nel senso del “favor partecipationis” (Cfr: Consiglio di Stato, V Sezione, 11.01.2011, n. 78; 12.07.2010, n. 4474; 09.12.2008, n. 6057)” (TAR Puglia-Lecce, Sez. II, sentenza 02.01.2012 n. 12 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAL'individuazione dell'area di pertinenza della "res abusiva" deve compiersi al momento dell'emanazione del provvedimento con il quale viene accertata l'inottemperanza e con cui si procede all'acquisizione gratuita del bene al patrimonio del Comune, ai sensi dell'art. 7 della legge 28.02.1985 n. 47, indicazione che deve, quindi, essere contenuta nell'atto d'acquisizione, a pena d'illegittimità di quest'ultimo, costituendo esso titolo per l'immissione in possesso dell'opera e per la trascrizione nei registri immobiliari.
L’esigenza di procedere all’esatta individuazione dell’area privata da acquisire gratuitamente al patrimonio pubblico è dettata dal fatto che, trattandosi di una misura sanzionatoria che incide sul diritto di proprietà ovvero su un diritto costituzionalmente garantito, è necessario il rispetto delle garanzie anche formali dettate da norme di relazione che regolano i rapporti tra il potere pubblico ed i diritti di cui sono titolari i soggetti privati.

E' noto l’orientamento giurisprudenziale secondo cui l'individuazione dell'area di pertinenza della "res abusiva" deve compiersi al momento dell'emanazione del provvedimento con il quale viene accertata l'inottemperanza e con cui si procede all'acquisizione gratuita del bene al patrimonio del Comune, ai sensi dell'art. 7 della legge 28.02.1985 n. 47, indicazione che deve, quindi, essere contenuta nell'atto d'acquisizione, a pena d'illegittimità di quest'ultimo, costituendo esso titolo per l'immissione in possesso dell'opera e per la trascrizione nei registri immobiliari (cfr, per tutte, TAR Campania, sez. IV, 21.09.2002, n. 5429).
Nel caso di specie, non risulta che l’amministrazione resistente abbia proceduto all’esatta individuazione dell’area da acquisire al patrimonio in quanto, come affermato e provato dalla parte ricorrente e non smentito dall’amministrazione resistente, le particelle indicate nel provvedimento impugnato non corrispondevano ai frazionamenti intervenuti nel tempo (e che avevano assegnato una numerazione diversa all’area di che trattasi, facendo diventare non più attuale l’indicazione delle particelle nn. 666 e n. 1164 del foglio n. 1125), con ciò determinando incertezza sulla individuazione del bene immobile da sottrarre alla titolarità della parte ricorrente.
L’esigenza di procedere all’esatta individuazione dell’area privata da acquisire gratuitamente al patrimonio pubblico è dettata dal fatto che, trattandosi di una misura sanzionatoria che incide sul diritto di proprietà ovvero su un diritto costituzionalmente garantito, è necessario il rispetto delle garanzie anche formali dettate da norme di relazione che regolano i rapporti tra il potere pubblico ed i diritti di cui sono titolari i soggetti privati (TAR Lazio-Roma, Sez. II-ter, sentenza 02.01.2012 n. 9 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA - COMPETENZE GESTIONALI: La competenza ad emettere l'ordinanza di rimozione dei rifiuti in un'area interessata da deposito abusivo spetta al dirigente dell'ufficio tecnico a ciò proposto.
Anche a voler aderire all’orientamento che reputa competente il sindaco all’adozione di siffatto tipo di ordinanze, nel caso di specie, trattandosi –a ben vedere– di un provvedimento vincolato (che l’Amministrazione Comunale adotta una volta accertati i presupposti indicati dalla legge, non essendo prevista alcuna valutazione comparativa di interessi), trova applicazione l’art. 21-octies, comma 2, della legge n. 241/1990, secondo cui l’atto impugnato non è comunque annullabile per il vizio in esame quando il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato.
---------------
I presupposti per poter emettere l’ordine di rimozione di cui all'art. 192, comma 3, del d.lgs. n. 152/2006 sono da ravvisare nell’esistenza di un rapporto, anche di mero fatto, tra il bene immobile oggetto dell’illecito abbandono di rifiuti ed il destinatario dell’ordine predetto, nonché nell’imputabilità a quest’ultimo della relativa responsabilità a titolo di dolo o colpa.
Costituisce un’ipotesi di colpa ai sensi dell'art. 192 del d.lgs. n. 152 del 2006, anche l’atteggiamento omissivo del proprietario che non predispone le cautele necessarie ad evitare il danno (omessa recinzione del suolo, omessa denuncia all'autorità, ecc.), di per sé atto ad escludere il configurarsi di una responsabilità oggettiva.

La censura di incompetenza del dirigente che ha adottato l’atto impugnato non convince per due ordini di ragioni.
In primo luogo, il Collegio, pur consapevole del fatto che non mancano pronunce contrastanti sul punto, ritiene di dover aderire all’orientamento giurisprudenziale secondo cui la competenza ad emettere l'ordinanza di rimozione dei rifiuti in un'area interessata da deposito abusivo spetta al dirigente dell'ufficio tecnico a ciò proposto (Cons. Stato, sez. V, 12.06.2009, n. 3765; TAR Sardegna, sez. II, 04.11.2009, n. 1598).
In secondo luogo, anche a voler aderire all’orientamento che reputa competente il sindaco all’adozione di siffatto tipo di ordinanze, nel caso di specie, trattandosi –a ben vedere– di un provvedimento vincolato (che l’Amministrazione Comunale adotta una volta accertati i presupposti indicati dalla legge, non essendo prevista alcuna valutazione comparativa di interessi), trova applicazione l’art. 21-octies, comma 2, della legge n. 241/1990, secondo cui l’atto impugnato non è comunque annullabile per il vizio in esame quando il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato.
---------------
L’art. 192, comma 3, del d.lgs. n. 152/2006 stabilisce che “fatta salva l'applicazione della sanzioni di cui agli articoli 255 e 256, chiunque viola i divieti di cui ai commi 1 e 2 è tenuto a procedere alla rimozione, all'avvio a recupero o allo smaltimento dei rifiuti ed al ripristino dello stato dei luoghi in solido con il proprietario e con i titolari di diritti reali o personali di godimento sull'area, ai quali tale violazione sia imputabile a titolo di dolo o colpa, in base agli accertamenti effettuati, in contraddittorio con i soggetti interessati, dai soggetti preposti al controllo”.
I presupposti per poter emettere l’ordine di rimozione di cui alla citata norma, quindi, sono da ravvisare nell’esistenza di un rapporto, anche di mero fatto, tra il bene immobile oggetto dell’illecito abbandono di rifiuti ed il destinatario dell’ordine predetto, nonché nell’imputabilità a quest’ultimo della relativa responsabilità a titolo di dolo o colpa.
Al riguardo, si cita una pronuncia della Cassazione Penale, secondo cui costituisce un’ipotesi di colpa ai sensi dell'art. 192 del d.lgs. n. 152 del 2006, anche l’atteggiamento omissivo del proprietario che non predispone le cautele necessarie ad evitare il danno (omessa recinzione del suolo, omessa denuncia all'autorità, ecc.), di per sé atto ad escludere il configurarsi di una responsabilità oggettiva (Cassazione penale, sez. III, 11.03.2008, n. 14747) (TAR Puglia-Lecce, Sez. II, sentenza 02.01.2012 n. 6 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIBando annullato, spese rimborsate. Cds: è legittima l'autotutela dell'ente.
Bando di gara annullato dopo l'aggiudicazione: l'Ati perdente è rimborsata delle spese di partecipazione. Legittima l'autotutela dell'ente se le prescrizioni sono «ambigue», ma scatta il danno da responsabilità precontrattuale.
È quanto emerge dalla sentenza 30.12.2011 n. 7000 della V Sez. del Consiglio di stato.
Il bando si rivela «ambiguo» soltanto dopo l'aggiudicazione dell'appalto: è l'Ati perdente che solleva la questione, con fondati motivi, evidenziando come non sia chiaro se i materiali dell'opera siano fungibili o meno. E deve essere risarcita del danno per le spese sostenute per la partecipazione alla gara, mentre la perdita di chance non scatta unicamente perché l'azienda non riesce a dimostrare di aver dovuto rinunciare ad altri contratti per colpa della stazione appaltante, che si è «rimangiata» il progetto.
Progettista incerto. Con quale materiale devono essere realizzati i tubi per convogliare l'acqua piovana? Non lo sa neppure il comune che ha realizzato il progetto per la costruzione delle condotte. Ad aprire il fronte è l'Ati che ha perso la gara: l'aggiudicataria -è la censura- ha vinto perché ha proposto una variante progettuale, evidentemente più economica, ma non consentita. Il dubbio viene alla stessa stazione appaltante, che pure ha provveduto nel frattempo ad assegnare l'opera: l'incertezza è oggettiva, non resta che annullare gli atti di gara.
L'autotutela risulta sì legittima, ma non esclude di per sé il risarcimento all'impresa che ha partecipato alla procedura. L'Ati perdente ha riposto affidamento nel bando, che invece non chiarisce se il materiale delle tubazioni sia o no un elemento fondamentale e imprescindibile dell'opera.
Sarà il progettista, spiega il comune dopo l'annullamento, a doversi schiarire le idee e a dover chiarire la questione della fungibilità: intanto l'Ati ottiene un risarcimento di oltre 43 mila euro, relativo ai costi sostenuti per la redazione dell'offerta e per la partecipazione alla gara; si tratta delle spese di progettazione, consulenza, rilievi, analisi prezzi, riepilogo dei versamenti per il contributo all'Autorità di vigilanza sui contratti pubblici di lavori, oltre che servizi e forniture, per la polizza fideiussoria, valori bollati e per servizi (articolo ItaliaOggi Sette del 03.01.2011).

AMBIENTE-ECOLOGIAL’art. 192 del D.Lgs. 156/2006, dopo aver posto il divieto di abbandono e deposito di rifiuti sui fondi, stabilisce che della condotta vietata risponde –in solido con l’autore materiale, anche– il proprietario dell’area, o il titolare di diritto reale o personale di godimento, al quale l’azione sia addebitabile a titolo di dolo o colpa. La giurisprudenza individua poi il coefficiente della colpa, sotto il profilo della violazione dei doveri di efficace protezione e custodia del bene, anche nella ipotesi in cui il proprietario abbia omesso di adottare gli accorgimenti necessari affinché nessuno potesse introdursi nel fondo ed esercitarvi l’attività vietata dalla norma.
---------------
Qualora non sia stata né accertata, né tantomeno dimostrata la sussistenza dell'elemento psicologico (ossia almeno la colpa), in difetto quindi di accertato concorso con il terzo autore dell'illecito di una condotta colpevole del proprietario del fondo, non è dato ricavare alcuna sua responsabilità per la bonifica da effettuare, per cui è illegittima l'ordinanza di bonifica emessa unicamente sul rilievo dell'appartenenza del bene interessato.
Peraltro, la ricerca di un necessario criterio di imputazione della responsabilità in capo al proprietario del fondo, che vada al di là della mera titolarità giuridica del bene, risulta perfettamente in linea col principio di derivazione comunitaria secondo cui “chi inquina paga”, espresso nell’art. 191, par. 2 del Trattato UE, indubbiamente recepito anche nel D.Lgs. 156/2006.
La responsabilità dei proprietari del terreno deve essere “(…) a loro imputabile a titolo di dolo o colpa, in base agli accertamenti effettuati, in contraddittorio con i soggetti interessati, dai preposti al controllo”.

Va premesso che l’art. 192 del D.Lgs. 156/2006, dopo aver posto il divieto di abbandono e deposito di rifiuti sui fondi, stabilisce che della condotta vietata risponde –in solido con l’autore materiale, anche– il proprietario dell’area, o il titolare di diritto reale o personale di godimento, al quale l’azione sia addebitabile a titolo di dolo o colpa (in questo senso v. Cons. Stato, V, 807/2008; Cons. Stato, IV, 84/2010; Tar Firenze 663/2009; Tar Catanzaro 1118/2009). La giurisprudenza individua poi il coefficiente della colpa, sotto il profilo della violazione dei doveri di efficace protezione e custodia del bene, anche nella ipotesi in cui il proprietario abbia omesso di adottare gli accorgimenti necessari affinché nessuno potesse introdursi nel fondo ed esercitarvi l’attività vietata dalla norma (cfr. Cass., SS.UU., 4472/2009).
Sebbene il Collegio conosca –e condivide – la citata giurisprudenza, ispirata dall’intento di massimizzare la tutela ambientale, non può non essere rilevato il fatto che  -nel caso in esame- l’accertamento della condotta asseritamente colposa della ricorrente non sia stato assolutamente eseguito dall’amministrazione resistente. Nel provvedimento impugnato, infatti, l’addebito di responsabilità viene effettuato, non per la violazione di un obbligo di custodia (profilo che non risulta affatto indagato o chiarito dalla PA), ma in base al riscontro della mera titolarità dominicale del fondo. Si legge, infatti, nell’atto impugnato che “gli autori della violazione sono ignoti, mentre la proprietà dell’area è ascrivibile (…) alla Rete Ferroviaria Italiana per il relitto della linea ferrata dimessa adiacente la Strada Provinciale S.P. n. 4 al Km 7,000”.
L’illegittimità di siffatto corto-circuito interpretativo è già stata, in precedenza, evidenziata dalla giurisprudenza che ha precisato “qualora non sia stata né accertata, né tantomeno dimostrata la sussistenza dell'elemento psicologico (ossia almeno la colpa), in difetto quindi di accertato concorso con il terzo autore dell'illecito di una condotta colpevole del proprietario del fondo, non è dato ricavare alcuna sua responsabilità per la bonifica da effettuare, per cui è illegittima l'ordinanza di bonifica emessa unicamente sul rilievo dell'appartenenza del bene interessato” (Tar Catanzaro, 1118/2009; negli stessi termini, Tar Firenze 1524/2010).
Peraltro, la ricerca di un necessario criterio di imputazione della responsabilità in capo al proprietario del fondo, che vada al di là della mera titolarità giuridica del bene, risulta perfettamente in linea col principio di derivazione comunitaria secondo cui “chi inquina paga”, espresso nell’art. 191, par. 2 del Trattato UE, indubbiamente recepito anche nel D.Lgs. 156/2006 (così, Tar Catania 1254/2007).
In conclusione, nel caso in esame, l’individuazione del titolo di imputazione della società ricorrente risulta essere fatta dalla difesa dell’ente convenuto, in sede processuale, e non dalla PA procedente, che invece avrebbe dovuto preventivamente accertare, in contraddittorio, l’esistenza di un presupposto fondamentale richiesto dalla legge ai fini della qualificazione della condotta, e per il conseguente esercizio del potere repressivo/ripristinatorio contemplato dalla disposizione normativa applicata. La giurisprudenza del Consiglio di Stato (sentenza sez. V, n. 4073/2010) ha precisato, infatti, che la responsabilità dei proprietari del terreno deve essere “(…) a loro imputabile a titolo di dolo o colpa, in base agli accertamenti effettuati, in contraddittorio con i soggetti interessati, dai preposti al controllo”.
In altri termini, al di là delle unilaterali affermazioni della difesa del Comune, non risulta essere stato accertato in sede amministrativa, ed in contraddittorio, se la ricorrente avesse adottato o meno misure protettive atte ad impedire l’invasione del terreno e l’abbandono di rifiuti (TAR Sicilia-Catania, Sez. I, sentenza 30.12.2011 n. 3235 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAL'ingiunzione a demolire un manufatto abusivo può essere legittimamente assunta quale presupposto per i successivi atti della procedura repressiva, trattandosi di provvedimento valido ed efficace (cfr. art. 21-quater L. 241/1990), anche ove sia stato impugnato in sede giurisdizionale, quando l’A.G. non lo abbia sospeso o annullato.
---------------
L’accertamento dell’inottemperanza all’ingiunzione a demolire ha il solo scopo di verificare l’adempimento della parte intimata rispetto al termine assegnato; in caso di inerzia rispetto all’intimata demolizione si verifica ope legis l’acquisizione del bene al patrimonio comunale.
Di fronte a questa sequenza procedimentale, allora, l’unico intervento in funzione dialettica che la parte può validamente effettuare è quello volto a dimostrare che, contrariamente a quanto ritenuto dall’ente pubblico, la demolizione sia stata effettivamente realizzata dal destinatario del provvedimento (nessuna altro tipo di censura o obiezione può essere introdotta in quella sede).
Ove ciò non venga dimostrato l’eventuale vizio procedimentale risiedente nella omessa o inesatta notificazione dell’accertamento di inottemperanza costituirebbe una irregolarità non invalidante, ai sensi dell’art. 21-octies L. 241/1990, in quanto il provvedimento non potrebbe assumere un diverso contenuto: id est, non potrebbe scongiurare l’effetto acquisitivo prodottosi ex lege, né l’idoneità dell’accertamento a fondare l’immissione in possesso.

Un provvedimento amministrativo (nella fattispecie, ingiunzione a demolire un manufatto abusivo) può essere legittimamente assunto quale presupposto per i successivi atti della procedura repressiva, trattandosi di provvedimento valido ed efficace (cfr. art. 21-quater L. 241/1990), anche ove sia stato impugnato in sede giurisdizionale, quando l’A.G. non lo abbia sospeso o annullato.
---------------
Sotto il profilo della possibile partecipazione dell’avente diritto al procedimento di repressione dell’abuso, va precisato che l’accertamento dell’inottemperanza all’ingiunzione a demolire ha il solo scopo di verificare l’adempimento della parte intimata rispetto al termine assegnato; in caso di inerzia rispetto all’intimata demolizione si verifica ope legis l’acquisizione del bene al patrimonio comunale.
Di fronte a questa sequenza procedimentale, allora, l’unico intervento in funzione dialettica che la parte può validamente effettuare è quello volto a dimostrare che, contrariamente a quanto ritenuto dall’ente pubblico, la demolizione sia stata effettivamente realizzata dal destinatario del provvedimento (nessuna altro tipo di censura o obiezione può essere introdotta in quella sede).
Ove ciò non venga dimostrato l’eventuale vizio procedimentale risiedente nella omessa o inesatta notificazione dell’accertamento di inottemperanza costituirebbe una irregolarità non invalidante, ai sensi dell’art. 21-octies L. 241/1990, in quanto il provvedimento non potrebbe assumere un diverso contenuto: id est, non potrebbe scongiurare l’effetto acquisitivo prodottosi ex lege, né l’idoneità dell’accertamento a fondare l’immissione in possesso
(TAR Sicilia-Catania, Sez. I, sentenza 30.12.2011 n. 3234 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa questione in esame (ndr: l'impugnazione del provvedimento con il quale l’Ufficio del Genio civile di Siracusa ha ordinato la parziale demolizione di un immobile, già oggetto di sanatoria edilizia concessa nel 1991, in quanto ricadente all’interno della fascia di rispetto di 10 metri dall’argine del fiume Gioi, come stabilita dagli artt. 93 e 96, lett. f, del T.U. approvato con R.D. 523/1904) rientra nella giurisdizione del Tribunale Superiore delle acque pubbliche (TSAP) ove si consideri che è stato impugnato per vizi tipici di legittimità dell’atto amministrativo un provvedimento definitivo adottato dall’amministrazione a tutela delle acque pubbliche, ed in particolare al fine di garantire l’intangibilità della fascia di rispetto del fiume normativamente individuata (cfr. art. 143, lett. a).
La soluzione non cambia –ma, anzi, ne esce confermata– ove si voglia inquadrare il provvedimento impugnato fra quelli adottati dal Genio civile ai sensi dell’art. 221 del R.D. 1775/1993 per ordinare la riduzione in pristino a seguito di contravvenzione alle norme del T.U. che abbia determinato l’alterazione dello stato delle cose. Ed infine, la giurisdizione del T.S.A.P. emerge anche sulla base di quanto prevede l’art. 2 del R.D. 523/1904 con riguardo al potere della PA di “(…) statuire e provvedere, anche in caso di contestazione, sulle opere di qualunque natura, (…), che possono aver relazione col buon regime delle acque pubbliche”.
---------------
La giurisprudenza più recente avalla la sussistenza della giurisdizione del T.S.A.P. in casi come quello in esame, allorquando fa leva sui provvedimenti amministrativi che, sebbene non costituiscano esercizio di un potere propriamente attinente alla materia delle acque pubbliche, pure riguardino l'utilizzazione del demanio idrico, incidendo in maniera diretta e immediata sul regime delle acque (Cass., sez. un. 9149/2009, relativa a fattispecie in cui era stato impugnato il diniego di rilascio della concessione per la costruzione di un fabbricato sito nelle adiacenze del fiume Piave, in area da considerare esondabile).
Analogamente, in una vicenda ancora più simile a quella in esame, è stata ritenuta sussistente la giurisdizione del Tribunale Superiore delle acque pubbliche sulla “(…) controversia relativa al diniego di rilascio di concessione in sanatoria, opposto dall'autorità comunale in ragione dell'edificazione dell'immobile da condonare in violazione della fascia di rispetto di 10 metri dal piede dell'argine, ai sensi dell'art. 96, lett. f), del r.d. 25.07.1904, n. 523; detto provvedimento, infatti, ancorché emanato da un'autorità diversa da quelle specificamente preposte alla tutela delle acque, incide direttamente sul regolare regime delle acque pubbliche, la cui tutela ha carattere inderogabile in quanto informata alla ragione pubblicistica di assicurare la possibilità di sfruttamento delle acque demaniali e il libero deflusso delle acque scorrenti dei fiumi, torrenti, canali e scolatoi pubblici”.

Il R.D. 1775/1933, recante Testo unico delle disposizioni di legge sulle acque e impianti elettrici, stabilisce le competenze giurisdizionali del Tribunale delle Acque Pubbliche.
In particolare, per l’art. 140 del suddetto T.U. “Appartengono in primo grado alla cognizione dei Tribunali delle acque pubbliche: a) le controversie intorno alla demanialità delle acque; b) le controversie circa i limiti dei corsi o bacini, loro alvei e sponde; c) le controversie, aventi ad oggetto qualunque diritto relativo alle derivazioni e utilizzazioni di acqua pubblica; d) le controversie di qualunque natura, riguardanti la occupazione totale o parziale, permanente o temporanea di fondi e le indennità previste dall'art. 46 della L. 25.06.1865, n. 2359, in conseguenza dell'esecuzione o manutenzione di opere idrauliche, di bonifica e derivazione utilizzazione delle acque. Per quanto riguarda la determinazione peritale dell'indennità prima dell'emissione del decreto della espropriazione resta fermo il disposto dell'art. 33 della presente legge; e) le controversie per risarcimenti di danni dipendenti da qualunque opera eseguita dalla pubblica amministrazione e da qualunque provvedimento emesso dall'autorità amministrativa a termini dell'art. 2 del T.U. 25.07.1904, n. 523 , modificato con l'art. 22 della L. 13.07.1911, n. 774; f) i ricorsi previsti dagli artt. 25 e 29 del testo unico delle leggi sulla pesca approvato con R.D. 08.10.1931, n. 1604;”, mentre per il successivo art. 143 “Appartengono alla cognizione diretta del Tribunale Superiore delle acque pubbliche: a) i ricorsi per incompetenza, per eccesso di potere e per violazione di legge avverso i provvedimenti definitivi presi dall'amministrazione in materia di acque pubbliche; b) i ricorsi, anche per il merito, contro i provvedimenti definitivi dell'autorità amministrativa adottata ai sensi degli artt. 217 e 221 della presente legge; nonché contro i provvedimenti definitivi adottati dall'autorità amministrativa in materia di regime delle acque pubbliche ai sensi dell'art. 2 del testo unico delle leggi sulle opere idrauliche approvato con R.D. 25.07.1904, n. 523, modificato con l'art. 22 della L. 13.07.1911, n. 774, del R.D. 19.11.1921, n. 1688, e degli artt. 378 e 379 della L. 20.03.1865, n. 2248, all. F; c) i ricorsi la cui cognizione è attribuita al Tribunale superiore delle acque dalla presente legge e dagli artt. 23, 24, 26 e 28 del testo unico delle leggi sulla pesca, approvato con R.D. 08.10.1931, n. 1604 .(…)”.
La riportata normativa deve essere evidenziata nella parte in cui (art. 143, lett. a e b) conferisce giurisdizione al Tribunale Superiore delle acque pubbliche con riguardo ai provvedimenti definitivi presi dall'amministrazione in materia di acque pubbliche, ai provvedimenti definitivi dell'autorità amministrativa adottati ai sensi degli artt. 217 e 221 della legge; nonché ai provvedimenti definitivi adottati dall'autorità amministrativa in materia di regime delle acque pubbliche ai sensi dell'art. 2 del testo unico delle leggi sulle opere idrauliche approvato con R.D. 25.07.1904, n. 523.
Anche le ultime due richiamate normative devono essere allora esaminate, nelle parti rilevanti ai fini della questione posta:
A) l’art. 217 del T.U. 1775/1933 recita che “Salvo quanto dispone l'art. 49 della presente legge, sono opere ed atti che non si possono eseguire senza speciale autorizzazione del competente ufficio del Genio civile e sotto l'osservanza delle condizioni dal medesimo imposte: (…omissis…) h) le opere alle sponde dei pubblici corsi di acqua che possono alterare o modificare le condizioni delle derivazioni o della restituzione delle acque derivate”;
B) l’art. 221 del T.U. 1775/1933 prevede che “Per le contravvenzioni alle norme della presente legge, che alterano lo stato delle cose, è riservato all'ingegnere capo dell'ufficio dei Genio civile la facoltà di ordinare la riduzione al primitivo stato, dopo di aver riconosciuta la regolarità della denuncia. Nei casi di urgenza, l'ingegnere capo fa eseguire immediatamente di ufficio i lavori per il ripristino”;
C) il R.D. 523/1904, Testo unico delle disposizioni di legge intorno alle opere idrauliche delle diverse categorie, all’art. 2 stabilisce che “Spetta esclusivamente alla autorità amministrativa lo statuire e provvedere, anche in caso di contestazione, sulle opere di qualunque natura, e in generale sugli usi, atti o fatti, anche consuetudinari, che possono aver relazione col buon regime delle acque pubbliche, con la difesa e conservazione, con quello delle derivazioni legalmente stabilite, e con l'animazione dei molini ed opifici sovra le dette acque esistenti; e così pure sulle condizioni di regolarità dei ripari ed argini od altra opera qualunque fatta entro gli alvei e contro le sponde.”.
Alla luce dei richiamati referenti legislativi, allora, è possibile trarre le prime conclusioni.
Non sussiste, nel caso in esame, giurisdizione del Tribunale delle acque pubbliche, inteso quale organo specializzato della giurisdizione ordinaria (Cass., I, 8239/2002), giacché il suddetto giudice –ai sensi dell’art. 140 del R.D. 1775/1933– è competente a conoscere le questioni di diritti soggettivi inerenti la materia delle acque pubbliche (ad esempio, controversie sulla demanialità; sui limiti ed alvei dei corsi d’acqua; su diritti di uso e derivazione delle acque; sul risarcimento dei danni conseguenti alla esecuzione pubblica di opere idrauliche; ecc.). Nel caso a mani, invece, il ricorrente vanta una posizione di interesse legittimo teso a contestare l’esercizio del potere pubblicistico di repressione dell’attività edilizia svolta in prossimità, o in maniera potenzialmente pregiudizievole, rispetto alle acque pubbliche.
Astrattamente –in assenza di una norma specifica– si dovrebbe predicare in materia la sussistenza della giurisdizione del giudice amministrativo, quale giudice degli interessi legittimi, in base al normale criterio di riparto della giurisdizione fissato nell’art. 2 della L. 2248/1865 all. E.
Ma, come detto, è stato istituito un giudice speciale in materia, da individuare per mezzo dell’art. 143 del R.D. 1775/1933, in combinato disposto con l’art. 221 e con l’art. 2 del R.D. 523/1904.
Alla luce di tali norme di legge –il cui testo è stato riportato sopra- si può affermare che la questione in esame rientri nella giurisdizione del Tribunale Superiore delle acque pubbliche ove si consideri che è stato impugnato per vizi tipici di legittimità dell’atto amministrativo un provvedimento definitivo adottato dall’amministrazione a tutela delle acque pubbliche, ed in particolare al fine di garantire l’intangibilità della fascia di rispetto del fiume normativamente individuata (cfr. art. 143, lett. a).
La soluzione non cambia –ma, anzi, ne esce confermata– ove si voglia inquadrare il provvedimento impugnato fra quelli adottati dal Genio civile ai sensi dell’art. 221 del R.D. 1775/1993 per ordinare la riduzione in pristino a seguito di contravvenzione alle norme del T.U. che abbia determinato l’alterazione dello stato delle cose. Ed infine, la giurisdizione del T.S.A.P. emerge anche sulla base di quanto prevede l’art. 2 del R.D. 523/1904 con riguardo al potere della PA di “(…) statuire e provvedere, anche in caso di contestazione, sulle opere di qualunque natura, (…), che possono aver relazione col buon regime delle acque pubbliche”.
E’ evidente che, nel caso trattato, la PA resistente abbia inteso adottare un provvedimento direttamente funzionale alla tutela del corso d’acqua pubblico, garantendo l’inedificabilità nella fascia di rispetto di dieci metri normativamente fissata dall’art. 96 del R.D. 523/1904.
La giurisprudenza più recente avalla la sussistenza della giurisdizione del T.S.A.P. in casi come quello in esame, allorquando fa leva sui provvedimenti amministrativi che, sebbene non costituiscano esercizio di un potere propriamente attinente alla materia delle acque pubbliche, pure riguardino l'utilizzazione del demanio idrico, incidendo in maniera diretta e immediata sul regime delle acque (Cass., sez. un. 9149/2009, relativa a fattispecie in cui era stato impugnato il diniego di rilascio della concessione per la costruzione di un fabbricato sito nelle adiacenze del fiume Piave, in area da considerare esondabile).
Analogamente, in una vicenda ancora più simile a quella in esame, è stata ritenuta sussistente la giurisdizione del Tribunale Superiore delle acque pubbliche sulla “(…) controversia relativa al diniego di rilascio di concessione in sanatoria, opposto dall'autorità comunale in ragione dell'edificazione dell'immobile da condonare in violazione della fascia di rispetto di dieci metri dal piede dell'argine, ai sensi dell'art. 96, lett. f), del r.d. 25.07.1904, n. 523; detto provvedimento, infatti, ancorché emanato da un'autorità diversa da quelle specificamente preposte alla tutela delle acque, incide direttamente sul regolare regime delle acque pubbliche, la cui tutela ha carattere inderogabile in quanto informata alla ragione pubblicistica di assicurare la possibilità di sfruttamento delle acque demaniali e il libero deflusso delle acque scorrenti dei fiumi, torrenti, canali e scolatoi pubblici” (Cass., sez. un., 10845/2009).
D’altra parte, anche la giurisprudenza elaborata dal giudice amministrativo finisce col rafforzare la tesi qui propugnata, nel momento in cui ritiene sussistere la giurisdizione dei TT.AA.RR. nelle controversie che incidono solo in via “indiretta” e “mediata” sul regime delle acque pubbliche (si vedano, al riguardo le decisioni di Tar Liguria 406/2006; Tar Basilicata 993/2005; Tar Piemonte 2420/2005, riguardanti: a) le procedure pubbliche di selezione del concessionario per la gestione agricola di un’area di demanio fluviale; b) la demolizione di un impianto idroelettrico; c) l’occupazione per la realizzazione di un’opera pubblica che non incide sul regime delle acque).
E’ il caso di sottolineare il fatto che, per contro, la vicenda in esame -come già detto– investe in via diretta ed immediata la tutela delle acque pubbliche, sotto lo specifico aspetto della garanzia riservata a quel settore di territorio protetto definito “fascia di rispetto” e connotato da un regime di inedificabilità (TAR Sicilia-Catania, Sez. I, sentenza 30.12.2011 n. 3233 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

VARIAUTOVELOX/ Sentenza sulle multe. Verbali regolari con lo specialista.
La presenza di un tecnico in affiancamento alla polizia municipale costituisce una ulteriore garanzia di affidabilità dell'autovelox. E queste considerazioni valgono anche per l'espletamento delle altre operazioni come lo sviluppo e la stampa dei rilievi fotografici.
Lo ha evidenziato la Corte di Cassazione, Sez. II civ., con la sentenza 29.12.2011 n. 29388.
Un automobilista ha proposto ricorso contro una multa accertata dai vigili con il sistema autovelox preso a noleggio evidenziando l'ingerenza eccessiva dei privati nella gestione del procedimento sanzionatorio. Il giudice di pace ha accolto le censure mettendo in risalto che il controllo stradale è stato effettuato senza garanzie di legalità e obiettività, in mancanza di revisione periodica dei sistemi elettronici. La Corte di cassazione ha bocciato questa interpretazione.
L'assistenza tecnica dell'operatore privato, specifica la sentenza, limitata all'installazione e all'impostazione dell'apparecchiatura secondo le indicazioni del pubblico ufficiale, non interferisce sull'attività di accertamento poi direttamente svolta da quest'ultimo e, anzi, offre agli utenti della strada nei confronti dei quali è effettuato il controllo una più sicura garanzia di precisione nel funzionamento degli strumenti di rilevazione ove tenuti sotto sorveglianza da parte di personale tecnico specializzato.
In buona sostanza il supporto tecnico fornito dagli ausiliari privati «nelle fasi di impostazione e installazione degli apparecchi non pregiudica, ma anzi costituisce una ulteriore garanzia di affidabilità dell'accertamento stesso». Ma le stesse considerazioni, prosegue il collegio, valgono anche per la delega al compimento delle attività puramente tecniche di sviluppo e stampa dei rilievi fotografici. Gli ausiliari privati in questo caso non hanno possibilità di effettuare alcuna valutazione discrezionale e la successiva trasmissione dei rilievi ai vigili costituisce attività puramente materiale non interferente con lo svolgimento degli obblighi istituzionali.
Circa la questione della mancata taratura gli Ermellini confermato i recenti orientamenti finalizzati a escludere il controllo elettronico della velocità dei veicoli dal campo di applicazione della legge n. 73/1991, istitutiva del servizio nazionale di taratura. La materia stradale è infatti estranea alle questioni metrologiche (articolo ItaliaOggi del 04.01.2011).

CONDOMINIO: Condominio: grava sull’amministratore l'onere di attivarsi per comunicare il verbale dell’assemblea al condomino assente.
Sull’amministratore di condominio grava l’onere di comunicare al condomino assente all’assemblea il verbale della deliberazione adottata e ciò al fine di far decorrere, in mancanza di una conoscenza acquisita aliunde, il termine di decadenza stabilito dall’art. 1137 c.c. per la proposizione dell’eventuale ricorso in opposizione.
È quanto sancito dalla Corte di Cassazione nella sentenza 29.12.2011 n. 29386, che esclude, invece, la configurabilità in capo al condomino assente, ai fini del decorso del termine per l’impugnativa, di un dovere di attivarsi per conoscere le decisioni assembleari adottate, quando difetti la prova dell’avvenuto recapito, all’indirizzo del destinatario, del verbale che le contenga.
Si legge nel testo della sentenza che, a soddisfare l’esigenza della comunicazione al condomino assente della deliberazione dell’assemblea condominiale, ai fini del decorso del termine di impugnazione innanzi all’Autorità giudiziaria, occorre che tale comunicazione segua all’assemblea, in modo tale che il destinatario, pur non avendo preso parte alla deliberazione, possa conoscerne e apprezzarne il contenuto in maniera adeguata alla tutela delle sue ragioni.
La presunzione iuris tantum di conoscenza ex art. 1335 c.c., spiegano gli ermellini, sorge dalla trasmissione del verbale all’indirizzo del condomino destinatario -che nella specie non risulta provata- e non dal mancato esercizio da parte di quest’ultimo della diligenza nel seguire l’andamento della gestione comune e nel documentarsi in proposito (tratto da www.diritto.it).

APPALTI: La segnalazione all'Autorità per la Vigilanza sui Contratti Pubblici può essere effettuata anche nei casi di esclusione dalla gara disposta per l'accertata carenza dei requisiti di ordine generale.
Per escludere un'impresa ritenendola in collegamento sostanziale non bastano degli indici meramente formali, ma occorre che la stazione appaltante dia la prova concreta dell'esistenza di un unico centro decisionale che governi le due o più imprese.

La segnalazione all'Autorità per la Vigilanza sui Contratti Pubblici va fatta non soltanto nel caso di riscontrato difetto dei requisiti di ordine speciale in sede di controllo a campione, ma anche in caso di riscontrato difetto dei requisiti di ordine generale, trattandosi di esclusione idonea a segnalare una circostanza di estrema rilevanza per la corretta conduzione delle procedure di affidamento dei lavori pubblici.
A seguito della sentenza della Corte di Giustizia Ce, sez. IV, 19.05.2009-C-538/2007 che ha ritenuto l'incompatibilità dell'art. 34, d.lgs. n. 163 del 2006 con il diritto comunitario, non è più possibile sanzionare il collegamento tra più imprese mediante l'automatica esclusione dalla procedura selettiva, sulla scorta di una presunzione di "inquinamento" del confronto concorrenziale concretatasi in un'anticipazione della soglia di tutela, occorrendo invece accertare se in concreto tale situazione abbia influito sul loro rispettivo comportamento nell'ambito della gara. La disciplina interna deve essere cioè intesa nel senso che il rapporto tra le imprese può giustificare l'esclusione soltanto se la stazione appaltante accerti che tale rapporto abbia influenzato la formulazione delle offerte, in modo che dette imprese siano messe in grado di dimostrare l'insussistenza di rischi di turbative della selezione. Per escludere un'impresa ritenendola in collegamento sostanziale, quindi, non bastano degli indici meramente formali, ma occorre che la stazione appaltante dia la prova concreta dell'esistenza di un unico centro decisionale che governi le due o più imprese (TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 21.12.2011 n. 1343 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

AMBIENTE-ECOLOGIAA carico dell’incolpevole proprietario di un'area inquinata non incombe alcun obbligo di porre in essere interventi di messa in sicurezza ed emergenza, ma solo la facoltà di eseguirli per mantenere l'area interessata libera da pesi, tenendo presente che dal combinato disposto degli artt. 244, 245, 250 e 253 D.L.vo 03.04.2006 n. 152 si ricava che, nell'ipotesi di mancata esecuzione degli interventi ambientali in esame da parte del responsabile dell'inquinamento, ovvero di mancata individuazione dello stesso —e sempreché non provvedano volontariamente né il proprietario del sito, né altri soggetti interessati— le opere di recupero ambientale devono essere eseguite dalla pubblica amministrazione competente, che può rivalersi sul soggetto responsabile nei limiti del valore dell'area bonificata, anche esercitando, ove la rivalsa non vada a buon fine, le garanzie gravanti sul terreno oggetto dei medesimi interventi.
Sulla base di un orientamento giurisprudenziale che il Collegio condivide, a carico dell’incolpevole proprietario di un'area inquinata non incombe alcun obbligo di porre in essere interventi di messa in sicurezza ed emergenza, ma solo la facoltà di eseguirli per mantenere l'area interessata libera da pesi, tenendo presente che dal combinato disposto degli artt. 244, 245, 250 e 253 D.L.vo 03.04.2006 n. 152 si ricava che, nell'ipotesi di mancata esecuzione degli interventi ambientali in esame da parte del responsabile dell'inquinamento, ovvero di mancata individuazione dello stesso —e sempreché non provvedano volontariamente né il proprietario del sito, né altri soggetti interessati— le opere di recupero ambientale devono essere eseguite dalla pubblica amministrazione competente, che può rivalersi sul soggetto responsabile nei limiti del valore dell'area bonificata, anche esercitando, ove la rivalsa non vada a buon fine, le garanzie gravanti sul terreno oggetto dei medesimi interventi (cfr Cons. Stato, V Sez., 16/06/2009 n. 3885; TAR Toscana, II sez., 03/03/2010, n. 594) (TAR Sardegna, Sez. I, sentenza 16.12.2011 n. 1239 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVIE' legittima l'ordinanza contingibile ed urgente con la quale il Sindaco ha ordinato al ricorrente (ndr: pastore) di “trovare un idoneo percorso alternativo (considerato che il Comune non dispone di strada di proprietà nelle vicinanze) almeno per un tratto di circa 700 mt. per il transito di animali in gregge o in mandria ... e di provvedere, immediatamente, ad ogni passaggio abusivo effettuato ... alla pulizia totale delle deiezioni prodotte dal suo gregge (ripristino dello stato dei luoghi) avendo cura di avere al seguito strumenti idonei alla raccolta delle suddette deiezioni e alla disinfestazione settimanale del tratto in narrativa allo scopo di evitare prolificazioni di insetti”.
Ai fini dell'esercizio legittimo del potere di ordinanza sindacale contingibile e urgente ex art. 54, dlgs. n. 267 del 2000 ciò che rileva è l'attualità della situazione di pericolo al momento dell’adozione del provvedimento sindacale e l'idoneità del provvedimento a porvi rimedio, mentre è irrilevante che la fonte del pericolo risalga nel tempo.
Il provvedimento contingibile non può essere considerato automaticamente illegittimo solo perché sprovvisto di un termine finale di durata o di efficacia.

Il ricorrente, pastore e proprietario di un gregge, ha impugnato, con il presente ricorso, l’ordinanza n. 14 dell’11.05.2010 del comune di Fasano, con la quale il Sindaco, ha ordinato al ricorrente di “trovare un idoneo percorso alternativo (considerato che il Comune non dispone di strada di proprietà nelle vicinanze) almeno per un tratto di circa 700 mt. per il transito di animali in gregge o in mandria sulla strada di San Martino di Tours dell’abitato di Pezze di Greco frazione di Fasano e di provvedere, immediatamente, ad ogni passaggio abusivo effettuato nell’abitato di San Martino di Tours alla pulizia totale delle deiezioni prodotte dal suo gregge (ripristino dello stato dei luoghi) avendo cura di avere al seguito strumenti idonei alla raccolta delle suddette deiezioni e alla disinfestazione settimanale del tratto in narrativa allo scopo di evitare prolificazioni di insetti”.
...
È da premettere che, nel caso in esame, sussiste il potere del Sindaco di emanare l'ordinanza impugnata, che, in base all'art. 54 Tuel, è diretta a prevenire ed eliminare gravi pericoli che minacciano l'incolumità dei cittadini, individuati nella "diffusione di malattia a causa della prolificazione di insetti", nella necessità di "garantire il decoro urbano" e nella necessità di evitare "incidenti con i veicoli e i danni alle persone o cose".
Inoltre, "ai fini dell'esercizio legittimo del potere di ordinanza sindacale contingibile e urgente ex art. 54, dlgs. n. 267 del 2000 ciò che rileva è l'attualità della situazione di pericolo al momento dell’adozione del provvedimento sindacale e l'idoneità del provvedimento a porvi rimedio, mentre è irrilevante che la fonte del pericolo risalga nel tempo." (Tar Piemonte, sez. I, 08.04.2011, n. 376).
La giurisprudenza ha poi precisato che il provvedimento contingibile non può essere considerato automaticamente illegittimo solo perché sprovvisto di un termine finale di durata o di efficacia (Con. St., sez. V, 30.06.2011, n. 3922).
Risulta, inoltre, provato in giudizio che il ricorrente può raggiungere il pascolo attraverso un percorso alternativo; pertanto, non appare illogica o arbitraria l'ordinanza in questione che prescrive la necessità, per il passaggio nel tratto di strada abitato, di "strumenti idonei alla raccolta delle suddette deiezioni e alla disinfestazione settimanale del tratto in narrativa allo scopo di evitare prolificazioni di insetti".
Si deve infine considerare che, secondo l'art. 184, comma 5, del Codice della Strada, "Gli armenti, le greggi e qualsiasi altre moltitudini di animali quando circolano su strada devono essere condotti da un guardiano fino al numero di cinquanta e da non meno di due per un numero superiore", mentre per il comma 6 "I guardiani devono regolare il transito degli animali in 'modo che resti libera sulla sinistra almeno la metà della carreggiata. Sono, altresì, tenuti a frazionare e separare i gruppi di animali superiori al numero di cinquanta ad opportuni intervalli al fine di assicurare la regolarità della circolazione.".
Pertanto, proprio la necessità, richiesta dal suddetto articolo, che il gregge sia accompagnato da non meno di due guardiani, rende la richiesta di pulizia e bonifica sicuramente più agevole, senza comportare un eccessivo sacrificio al proprietario del gregge.
In sostanza, risulta che l'impugnata ordinanza contenga un'effettiva e adeguata comparazione degli interessi, anche alla luce del fatto che comunque esiste un percorso alternativo per condurre il gregge al pascolo (TAR Puglia-Lecce, Sez. I, sentenza 14.12.2011 n. 2085 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Atto di avvio del procedimento al vicino di casa? Proprio no.
E' illegittima, per nullità della notifica dell'atto presupposto, una nota con la quale un Ente locale ha comunicato l'avvio del procedimento di esecuzione lavori in danno, per accertata inottemperanza alla precedente ordinanza di demolizione di un manufatto abusivo, nel caso in cui, da una parte, detta ordinanza sia stata notificata ai sensi dell'art. 139 c.p.c. e, dall'altra, a seguito di apposita istruttoria disposta in sede giurisdizionale, sia emerso che il soggetto che ha ricevuto la notifica dell'ordine di demolizione non poteva rivestire la qualifica di "vicino di casa", ai sensi e per gli effetti del citato art. 139 c.p.c..

La segnalata pronuncia affronta la questione sulla legittimità, o meno, di un provvedimento con cui si dispone la decadenza di un permesso di costruire a fronte della notifica della presupposta ordinanza di demolizione.
Segnatamente, il ricorrente ha impugnato il provvedimento con cui un Comune aveva disposto l'avvio del procedimento di esecuzione in danno a cagione dell'accertata inottemperanza dell'ordinanza di demolizione di opere abusive precedentemente notificata.
Ha lamentato, oltre al resto, la violazione degli artt. 138 e ss. c.p.c. e dell'art. 97 Cost. per violazione del principio del contraddittorio partecipativo, oltre all'eccesso di potere per travisamento dei fatti, carenza di istruttoria e sviamento.
In particolare, ha assunto la nullità della notifica dell'atto presupposto costituito dall'ordinanza di demolizione, sì come effettuata, ai sensi dell'art. 139 c.p.c., ad altro soggetto erroneamente qualificato come "vicino di casa" del ricorrente ai sensi e per gli effetti della normativa richiamata.
Siffatta circostanza, a suo dire, avrebbe determinato l'illegittimità anche dell'impugnata nota, in quanto al ricorrente sarebbe stata preclusa la possibilità di dare spontanea esecuzione a quanto ingiunto con la predetta ordinanza, evitando così di subire l'esecuzione in danno. Il Collegio di Napoli, in via preliminare, ha ritenuto che il giudizio poteva essere definito con decisione in forma semplificata, ai sensi dell'art. 60 c.p.a., in considerazione dell'oggetto della causa, dell'integrità del contraddittorio e della completezza dell'istruttoria. Tanto, ha proseguito, in quanto il ricorso è apparso manifestamente fondato.
Lo stesso, infatti, era rivolto avverso una nota con cui il competente Dirigente comunale, accertata l'inottemperanza alla -pure impugnata- ordinanza di demolizione "regolarmente notificata", aveva comunicato l'attivazione del procedimento esecuzione lavori in danno. Orbene, il giudicante, in relazione alla regolarità della notifica della precedente ordinanza di demolizione, ha rammentato come l'art. 139 c.p.c., nel prevedere la "notifica nella residenza, nel domicilio o nella dimora", stabilisce che: "Se avviene nel modo previsto nell'articolo precedente, la notificazione deve essere fatta nel comune di residenza del destinatario, ricercandolo nella casa di abitazione o dove ha l'ufficio o esercita l'industria o il commercio.
Se il destinatario non viene trovato in uno di tali luoghi, l'ufficiale giudiziario consegna copia dell'atto a una persona di famiglia. In mancanza delle persone indicate nel comma precedente, la copia è consegnata al portiere dello stabile, e quando anche il portiere manca, a un vicino di casa che accetti di riceverla
".
Di conseguenza, il TAR campano, se da un canto ha ritenuto la menzionata disposizione criticabile per la sua formulazione, in quanto suppone che nel rapporto di vicinanza sia necessariamente insito un vincolo fiduciario che, in concreto, potrebbe rivelarsi insussistente, così lasciandosi al "vicino" la facoltà di accettare o meno la notifica di atti giudiziari per conto terzi, dall'altro ha precisato come la stessa norma richieda, ai fini della notifica, un rigoroso accertamento in ordine alla sussistenza in ogni singolo caso dell'unica condizione ivi richiesta.
Pertanto, nella vicenda sottoposta al suo vaglio, il G.A. partenopeo ha osservato che, contrariamente a quanto argomentato dal resistente Comune, ai fini della regolarità della notifica, alcun rilievo poteva assumere la circostanza che il supposto "vicino di casa", al momento della notifica della ordinanza, si era dichiarato "persona di fiducia delegata a ricevere" per conto del ricorrente, giusta quanto evincibile dalla relata di notifica apposta a tergo dell'ordinanza di demolizione.
Analogamente e all'inverso, privo di rilievo è apparso quanto dedotto dal ricorrente relativamente alla circostanza di ritenere il predetto individuo "persona estranea alla sfera di frequentazione del ricorrente e dei suoi familiari".
Non a caso, il Collegio, al fine di accertare se il menzionato soggetto avesse potuto rivestire o meno la qualifica di "vicino di casa", ai sensi e per gli effetti del citato art. 139 c.p.c., ha ordinato un'istruttoria per accertare "l'esatta ubicazione (Palazzo, Interno, Scala, Piano ed ogni altro elemento identificativo) dei locali adibiti a propria abitazione della predetta persona, evidenziandone la distanza dall'abitazione del ricorrente".
All'esito, era emerso che i locali adibiti a abitazione dal supposto "vicino di casa" erano ubicati nella medesima palazzina del ricorrente, ma in differente scala, con la conseguenza che: "i due pur essendo abitanti nella stessa Palazzina distano tra loro di circa 30 metri, distanza che intercorre tra la scala A e la scala B". Inoltre, era altresì risultato che l'individuo in questione non era stato mai delegato a rappresentare il ricorrente, neppure nelle assemblee condominiali, e che tra gli stessi non vi era nessun grado di parentela.
Sicché, stante le risultanze del predetto accertamento istruttorio, il TAR di Napoli ha osservato come il predetto soggetto, non potendo considerarsi "vicino di casa" del ricorrente, era privo di qualsivoglia legittimazione a ricevere notifiche di atti giudiziari per conto di quest'ultimo ai sensi e per gli effetti dell'art. 139 c.p.c..
Per tal ragione, ha ritenuto che la notifica della presupposta ordinanza di demolizione doveva considerarsi tamquam non esset e, quindi, nulla, con la conseguenza che, considerata la natura costitutiva rivestita dalla notifica in relazione agli atti recettivi, la medesima ingiunzione doveva essere annullata.
All'annullamento di quest'ultima è conseguito l'annullamento della successiva nota inerente l'esecuzione in danno, atteso che, ove la notifica dell'atto presupposto fosse andata a buon fine, il ricorrente avrebbe potuto liberamente scegliere di conformarsi al contenuto precettivo, di subire l'esecuzione in danno ovvero, ancora, di spiegare tempestiva impugnativa dinanzi alla giurisdizione amministrativa (commento tratto da www.ipsoa.it - TAR Campania-Napoli, Sez. V, sentenza 07.12.2011 n. 5711 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICAStop alla lottizzazione solo con indizi seri. Il Consiglio di stato annulla l'ordinanza sindacale.
Il terreno è a rischio lottizzazione abusiva, ma il sindaco deve andarci coi piedi di piombo prima di bloccare i lavori in corso, ritenuti preordinati alla consumazione dell'illecito urbanistico. E ciò anche se l'area incriminata è al centro di un'indagine penale che ha indotto il gip a sequestrare il fondo. I tecnici del Comune devono comunque avere in mano indizi molto seri affinché possa scattare l'ordinanza di sospensione dei lavori: il fatto che il terreno sia frazionato e venduto a porzioni che lasciano presagire la realizzazione di lotti abusivi non risulta di per sé sufficiente e, in ogni caso, l'avvio del procedimento deve essere comunicato all'interessato.
Lo precisa la sentenza 21.11.2011 n. 6128, pubblicata dalla V Sez. del Consiglio di Stato.
La vigna della signora nasconde una nuova colata di cemento? Sarà la magistratura penale a stabilirlo. Di certo c'è che l'ordinanza del Comune emessa per stoppare le opere asseritamente preordinate alla lottizzazione edilizia risulta illegittima e viene annullata dai giudici di Palazzo Spada.
Quando è in corso l'inchiesta del pm, l'amministrazione che intende intervenire sul terreno a rischio-abuso non può appiattirsi sulle risultanze dell'indagine penale ma deve comunque compiere un'autonoma valutazione, motivandola adeguatamente. Nel mirino, stavolta, c'è una delle ultime aree agricole sopravvissute nel territorio del Comune di Napoli e vari elementi lasciano presagire che stia per scattare l'ennesimo intervento edilizio non autorizzato.
L'amministrazione, tuttavia, si limita a recepire «supinamente» gli elementi che emergono dall'inchiesta penale: i tecnici comunali non descrivono la consistenza dei lotti né lo stato dei terreni, oltre a non riferire informazioni utili sulla creazione di opere di urbanizzazione a servizio di costruzioni abusive; si annota genericamente che esistono le recinzioni e una strada di collegamento fra i lotti, mentre non risulta contestata la circostanza che i terreni siano adibiti tuttora a frutteti: è ancora poco, insomma, per far scattare il provvedimento inibitorio del sindaco per la cui emissione si richiede invece un quadro indiziario dal quale sia possibile desumere in modo non equivoco la destinazione dell'area «a scopo edificatorio» (articolo ItaliaOggi del 07.01.2011 - tratto da www.ecostampa.it).

LAVORI PUBBLICI: Sicurezza: R.U.P. deve sorvegliare anche durante la fase di svolgimento dei lavori.
A carico del responsabile unico del procedimento (R.U.P.) grava una posizione di garanzia connessa ai compiti di sicurezza non solo nella fase genetica dei lavori, laddove vengono redatti i piani di sicurezza, ma anche durante il loro svolgimento, ove è previsto che debba svolgere un'attività di sorveglianza del loro rispetto.
E’ questo il principio ribadito dalla Suprema Corte di Cassazione, Sez. IV penale, con la sentenza 15.11.2011 n. 41993.
Nel caso di specie il giudice di prime cure condannava per il delitto di cui all’art. 589 c.p. per omicidio colposo, il responsabile del procedimento amministrativo di lavori pubblici e responsabile dei lavori, il coordinatore in materia di sicurezza e il titolare della ditta subappaltatrice, rispettivamente a 6 mesi di reclusione il primo e a 5 mesi di reclusione gli altri due con l’ulteriore risarcimento danni in favore della parte civile. Ai tre, infatti, era stato addebitato di avere consentito, in violazione degli obblighi di sicurezza a loro carico gravanti, che un operaio, intento alla posa in opera della copertura di una piscina, lavorasse in totale assenza delle opere di protezione collettiva previste dal piano di sicurezza e senza precauzioni atte ad evitare la caduta dall'alto. In tale frangente l’operaio cadeva da un'altezza di circa 10 m. decedendo per gravi lesioni al capo.
La situazione viene confermata anche in secondo grado, ad eccezione del titolare della ditta dichiarando l'estinzione del reato a suo carico per morte dell'imputato. Il ricorso per cassazione procede solo per il responsabile del procedimento amministrativo di lavori pubblici, in quanto quello presentato dal coordinatore in materia di sicurezza è dichiarato inammissibile per presentazione tardiva.
Sul responsabile dei lavori, ai sensi dell'art. 6 del d.p.r. 494 del 1996, incombe l’obbligo delle verifica delle condizioni di sicurezza del lavoro in attuazione dei relativi piani (art. 4 ed art. 5, co. 1, lett. a), d.p.r. cit.). Inoltre, il responsabile del procedimento provvede a creare le condizioni affinché il processo realizzativo dell'intervento risulti condotto nei tempi e costi preventivati e nel rispetto della sicurezza e la salute dei lavoratori, in conformità a qualsiasi altra disposizione di legge in materia.
Sommando i diversi compiti a carico del responsabile deriva quella posizione di garanzia ai compiti di sicurezza non solo nella fase genetica dei lavori, laddove vengono redatti i piani di sicurezza, ma anche durate il loro svolgimento, ove è previsto che debba svolgere un'attività di sorveglianza del loro rispetto.
Da ciò ne consegue che in ogni caso era onere del RUP, a fronte di modifiche progettuali, in adempimento degli obblighi sopra richiamati, controllare la adeguatezza dei piani di sicurezza alla salvaguardia dell'incolumità dei lavoratori.
Né il lamentato comportamento negligente della persona offesa (che non avrebbe utilizzato le cinture), può escludere la rilevanza causale della condotta omissiva dell'imputato. Infatti, «la condotta colposa del lavoratore infortunato non assurge a causa sopravvenuta da sola sufficiente a produrre l'evento quando sia comunque riconducibile all'area di rischio propria della lavorazione svolta».
La vittima ha subito l'infortunio mentre svolgeva, senza alcuna abnormità di condotta, la sua ordinaria attività di lavoro. Da qui il rigetto del ricorso da parte dei giudici del Palazzaccio e la condanna al pagamento delle spese processuali (link a www.altalex.com).

ATTI AMMINISTRATIVI: Conferenza servizi, silenzio-inadempimento se manca l'atto finale.
Il Consiglio di Stato chiarisce come lo svolgimento della conferenza di servizi sul rilascio di un'autorizzazione, senza l'adozione del provvedimento finale, non renda improcedibile il ricorso avverso il silenzio della PA.
La sentenza in esame si richiama a quell'orientamento giurisprudenziale secondo cui il giudizio avverso il silenzio non risulta improcedibile per il compimento da parte della PA di atti soprassessori e infraprocedimentali o per l'adozione di atti che non definiscano il procedimento amministrativo con una statuizione che dia risposta all'istanza del privato.
Secondo la pronuncia del Consiglio di Stato, solo l'adozione della determinazione finale soddisfa l'interesse del privato e implica per il ricorrente il sopravvenuto difetto di interesse alla coltivazione del rimedio avverso il silenzio.
Nel caso oggetto della sentenza, il ricorrente aveva chiesto l'accertamento dell'illegittimità del silenzio-inadempimento serbato della PA in merito ad un'istanza autorizzatoria per la costruzione e l'esercizio di un impianto per la produzione di energia elettrica di fonte eolica.
Il giudice di primo grado aveva riconosciuto l'improcedibilità del ricorso a fronte della mera riattivazione del procedimento di rilascio dell'autorizzazione, dimostrata con la celebrazione della conferenza di servizi sul rilascio dell'autorizzazione in discussione.
In riforma della sentenza di primo grado, il Consiglio di Stato, proprio alla luce dell'indizione della conferenza di servizi, ha condannato la PA alla conclusione del procedimento, prevedendo la nomina di un commissario ad acta.
La pronuncia introduce, dunque, una specifica limitazione a quella giurisprudenza amministrativa che, nel definire l'ambito degli atti che determinano l'improcedibilità del giudizio avverso il silenzio si richiama alla configurazione di tale processo così come ora delineata dal codice del processo amministrativo.
Il codice limita, infatti, il potere del giudice a conoscere della fondatezza della pretesa giuridica introdotta solo quando si tratta di attività vincolata o quando risulta che non residuano ulteriori margini di esercizio della discrezionalità e non sono necessari adempimenti istruttori che debbano essere compiuti dall'amministrazione.
Secondo la giurisprudenza, la disciplina della tutela in materia di silenzio dell'amministrazione non introduce una norma sulla giurisdizione, ma, nel solco di quanto già tracciato con l'art. 21-bis, legge 1034/1971, sul rito con finalità acceleratorie, non essendo ammissibile, sul piano costituzionale, l'introduzione di fatto di una sconfinata cognizione di merito, attraverso la possibilità di conoscere della fondatezza o meno della pretesa sostanziale, con un generalizzato potere del giudice amministrativo di sostituirsi alla P.A.
Da tale configurazione del rito sul silenzio discendono, secondo la giurisprudenza, precisi corollari processuali, in primo luogo quello che l'adozione di qualsivoglia atto da parte dell'amministrazione, in quanto espressione di funzione pubblica in risposta alla diffida dell'interessato, determina l'inammissibilità del ricorso, o improcedibilità del ricorso, a seconda che intervenga prima o dopo la proposizione del ricorso medesimo (commento tratto da www.ipsoa.it - Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 07.11.2011 n. 5878 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

CONDOMINIOIMMOBILI & CONDOMINIO/ I requisiti dell'avviso di convocazione. Non indicare il luogo può costare la nullità.
L'avviso di convocazione deve essere predisposto dall'amministratore e inviato, a pena di nullità, a tutti i condomini presso la propria residenza o il proprio domicilio. La legge non prevede forme specifiche per l'avviso di convocazione, né particolari modalità di notifica dello stesso.

L'avviso non ha un contenuto predeterminato dalla legge, fermo restando il limite del raggiungimento dello scopo cui l'atto è destinato (ovvero la partecipazione del condomino alla riunione assembleare). Di qui la necessità di indicare, quantomeno, il luogo, la data e l'ora fissati per l'incontro.
La giurisprudenza ritiene che la mancata indicazione del luogo possa comportare l'impugnabilità della deliberazione assembleare, ove il condomino per tale motivo non abbia avuto la possibilità di parteciparvi. Nel caso in cui il regolamento di condominio stabilisca a priori la sede deputata allo svolgimento delle assemblee, l'eventuale mancanza di tale indicazione nell'avviso di convocazione potrà essere sanata dal richiamo ivi contenuto al regolamento medesimo.
Per quanto riguarda la data è prassi ampiamente diffusa quella di indicare nell'avviso due date diverse e successive (purché contenute entro il periodo di 10 giorni una dall'altra e, comunque, in giorni diversi), facenti riferimento rispettivamente alla prima e alla seconda convocazione (c.d. doppia convocazione), in modo da evitare un raddoppio delle formalità e delle spese necessarie allo svolgimento della riunione condominiale.
L'avviso di convocazione, come ricordato dal Tribunale di Roma nella sentenza 03.11.2011 n. 21319, deve poi evidenziare in modo opportuno gli argomenti che saranno trattati nella riunione assembleare, in modo da consentire ai condomini di prepararsi adeguatamente alla discussione. È l'art. 1105, comma 3, c.c., applicabile anche in tema di condominio, in forza del rinvio di cui all'art. 1139 c.c., a richiedere che per la validità delle deliberazioni assembleari «tutti i partecipanti siano stati preventivamente informati dell'oggetto della deliberazione». L'elencazione dell'ordine del giorno deve essere specifica e puntuale, ma non è necessario che sia così analitica da mettere in evidenza eventuali argomenti di carattere preliminare ricompresi nei punti principali oggetto di discussione.
Una voce che per prassi compare sempre alla fine dell'ordine del giorno è poi quella «varie ed eventuali», nella quale sono ricompresi quei possibili argomenti di discussione che non sempre è facile prevedere in anticipo e che, solitamente, comprendono comunicazioni a titolo informativo da parte dell'amministratore o dei condomini, richieste di chiarimento, istanze volte all'inserimento di un determinato argomento all'ordine del giorno della prossima assemblea, ovvero questioni di minore importanza che non si è ritenuto necessario specificare.
Quest'ultimo chiarimento, secondo la giurisprudenza, rende più che evidente come la voce «varie ed eventuali» non possa essere utilizzata dall'amministratore per inserire a sorpresa nella discussione argomenti di una certa rilevanza per la gestione del condominio, in violazione dell'obbligo di informare i condomini sui temi che verranno trattati nella riunione assembleare, svuotando per altro di significato lo stesso avviso di convocazione. Sul punto si può riportare quanto osservato dalla seconda sezione della Suprema Corte nella sentenza n. 4316 del 28.06.1986 in una fattispecie relativa all'esecuzione di lavori di rifacimento della facciata dell'edificio condominiale, che i giudici hanno escluso potersi fare rientrare nella voce «varie ed eventuali», in quanto attività riguardante l'amministrazione straordinaria del bene comune.
L'incompletezza dell'ordine del giorno costituisce semplice causa di annullabilità della deliberazione assunta dall'assemblea, da impugnarsi entro il termine di decadenza di 30 giorni di cui al terzo comma dell'art. 1137 c.c. Tuttavia il condomino che abbia partecipato all'assemblea e non abbia sollevato il problema dell'irregolarità dell'ordine del giorno al momento della votazione non potrà poi impugnare la relativa deliberazione, in quanto il proprio comportamento varrà come acquiescenza.
Ai sensi dell'ultimo comma dell'art. 66 disp. att. c.c. «l'avviso di convocazione deve essere comunicato ai condomini almeno cinque giorni prima della data fissata per l'adunanza». Si tratta di una disposizione introdotta dal legislatore per meglio tutelare la posizione dei condomini, in modo da dare agli stessi la possibilità di organizzare i propri impegni in modo da poter presenziare alla riunione e prepararsi in modo adeguato alla discussione dei singoli argomenti posti all'ordine del giorno.
Il computo del termine in questione, secondo quanto disposto dalla norma appena citata, si effettua a partire dalla data fissata per l'assemblea (che non deve essere conteggiata) e procedendo a ritroso nel tempo. Se, tanto per fare un esempio, l'assemblea è stata convocata per il 27 marzo, la comunicazione ai condomini dovrà essere effettuata entro e non oltre il 22 marzo.
In caso di avviso che contenga la data sia della prima che della seconda convocazione, il termine in questione, ovviamente, dovrà essere calcolato sulla prima, anche se sia già certo che la stessa andrà deserta (articolo ItaliaOggi Sette del 02.01.2011).

CONDOMINIOIMMOBILI & CONDOMINIO/ Assemblea, l'odg è vincolante. Annullabile la delibera su materie non all'ordine del giorno. Il tribunale di Roma: i condomini vanno informati delle questioni su cui sono chiamati a decidere.
Non è valida la delibera assembleare relativa ad argomenti non indicati all'ordine del giorno, perché così facendo non si consente ai singoli condomini di valutare se partecipare o meno alla riunione e, in caso di scelta positiva, stabilire per tempo se proporre obiezioni o suggerimenti a quanto riportato dall'amministratore.
È questo il principio affermato dal Tribunale di Roma nella sentenza 03.11.2011 n. 21319.
La vicenda. Due condomini decidevano di impugnare la delibera dell'assemblea che, in riferimento al punto dell'ordine del giorno dedicato alle «varie ed eventuali» (riservato in genere a comunicazioni da parte dell'amministratore o dei condomini a puro titolo informativo, oppure a suggerimenti e raccomandazioni all'amministratore), aveva dato incarico a un professionista di redigere un capitolato per esecuzioni di lavori già deliberati in precedenti sedute.
Secondo i condomini tale decisione si doveva considerare invalida per la mancata indicazione nell'ordine del giorno dell'oggetto della decisione adottata, tenendo anche conto del fatto che l'incarico riguardava delibere precedenti per opere di manutenzione oggetto di impugnativa da parte di altri condomini. Il condominio si difendeva sostenendo che la richiesta degli attori era generica, inammissibile perché proposta con ricorso e non con atto di citazione, nonché infondata, in quanto l'impugnata decisione di affidamento dell'incarico al professionista era necessaria per dare esecuzione agli interventi già decisi dall'assemblea.
Il tribunale di Roma, però, ritenendo infondate le obiezioni del condominio, ha dato ragione ai due condomini. I giudici hanno infatti sottolineato come, secondo la legge, tutti i partecipanti al condominio debbano essere preventivamente informati delle questioni e delle materie sulle quali sono chiamati a deliberare. Del resto, per legge, tutti i condomini devono essere invitati alla riunione assembleare, invito che presuppone che gli stessi debbano essere previamente messi al corrente dei temi oggetto della delibera assembleare in modo da consentire una partecipazione effettiva e concreta.
In altre parole deve essere consentito a ciascun condomino di comprendere esattamente il tenore e l'importanza dell'ordine del giorno e di poter valutare l'atteggiamento da tenere, in relazione sia all'opportunità o meno di partecipare, sia alle eventuali obiezioni o suggerimenti da sottoporre alla discussione. Di conseguenza l'eventuale delibera su questioni che non siano state inserite all'ordine del giorno e di cui i condomini non siano stati precedentemente informati, proprio perché pregiudica il diritto alla partecipazione effettiva e consapevole previsto dalla legge, è annullabile, con la conseguenza che la stessa dovrà essere impugnata nel termine di 30 giorni.
Come ha precisato il tribunale, però, tale situazione ricorre quando la delibera sia stata presa su un tema radicalmente estraneo all'ordine del giorno o non direttamente e logicamente riconducibile a esso. L'indicazione specifica di un argomento non è infatti necessaria allorché questo possa ritenersi contenuto in altro a esso strettamente collegato. Ne consegue che non può esservi contestazione da parte dei condomini se quanto deliberato e quanto in precedenza indicato nell'ordine del giorno sia, in buona sostanza, coincidente perché il dovere informativo si deve ritenere rispettato.
Alla luce delle precedenti considerazioni il tribunale ha sottolineate che la decisione di affidare a un tecnico la stesura del capitolato degli interventi relativi al caseggiato che erano già stati oggetto di precedenti delibere dava ulteriore concreto impulso e prosecuzione all'attività manutentiva, ma, poiché era stata assunta sotto la voce «varie ed eventuali», era da considerarsi invalida: tale formula, infatti, a causa della sua genericità non è idonea a conseguire l'obiettivo della preventiva informazione dei condomini convocati all'assemblea.
Del resto, posto che i lavori di ristrutturazione vanno a incidere sulle finanze dei condomini, sarebbe stata necessaria una conoscenza di quanto si andava a deliberare al fine di poter permettere, a ciascun condominio, un valido intervento partecipativo in merito all'incarico che si stava decidendo (per esempio consentendo di indicare altro professionista rispetto a quello proposto in sede assembleare).
In ogni caso, il tribunale ha sottolineato che non era stato neppure messo a disposizione della collettività condominiale il preventivo di spesa che, al contrario, in base alla delibera impugnata, sarebbe stato richiesto sola una volta decisa la sua esecuzione (articolo ItaliaOggi Sette del 02.01.2011).

EDILIZIA PRIVATAL'ordine di rimessione in pristino dello stato dei luoghi costituisce una sanzione amministrativa irrogata dal giudice penale con potere autonomo, che tuttavia deve essere necessariamente coordinato con la normativa di riferimento e con le scelte della pubblica amministrazione; tale sanzione è sottratta alla regola del giudicato ed è riesaminabile in fase esecutiva, atteso che spetta al giudice dell’esecuzione valutare la compatibilità dell’ordine medesimo con i provvedimenti eventualmente emessi dall’amministrazione o dall’autorità giurisdizionale amministrativa, disponendone la revoca in caso di contrasto insanabile o la sospensione, se può ragionevolmente presumersi, sulla base di elementi concreti, che tali provvedimenti stanno per essere emessi in tempi brevi.
--------------
La sanzione demolitoria costituisce l'ordinaria e legittima reazione ordinamentale all'accertata abusività di un'opera in un territorio sottoposto al vincolo paesaggistico sicché è l’applicazione della sanzione pecuniaria a costituire l’eccezione.
---------------
Il parziale degrado di un'area sottoposta a tutela piuttosto che autorizzare l'amministrazione a tollerare ulteriori abusi, rilasciando pareri favorevoli alla sanatoria di opere che comprometterebbero ancor più le aree rimaste integre, dovrebbe indurre questa ad adottare provvedimenti volti a salvaguardare il residuo valore paesistico delle zone ancora non del tutto compromesse, salva restando ovviamente la possibilità di attivare il procedimento per la rimozione del vincolo al fine di adeguare lo strumento di pianificazione paesistica, ormai divenuto obsoleto, alle modifiche ambientali sopravvenute, qualora l'effettivo stato dei luoghi sia, a giudizio degli organi competenti, irrimediabilmente compromesso.
---------------
L'ordinanza di demolizione di opere edilizie abusive è atto dovuto e vincolato e non necessita di motivazione ulteriore rispetto all'indicazione dei presupposti di fatto e all'individuazione e qualificazione degli abusi edilizi, con la conseguenza che l'ingiunzione a demolire è sufficientemente motivata con l'accertamento dell'abuso, essendo in re ipsa l'interesse pubblico alla sua rimozione; ciò in specie nei casi in cui, come nella fattispecie in esame, la demolizione è stata valutata dall’amministrazione quale unico rimedio congruo per la salvaguardia dei valori paesaggistici ed ambientali.
---------------
In materia di dinieghi di sanatoria, le specifiche caratteristiche dei manufatti, nel concreto spazio in cui insistono, possono consentire al giudice, cui sia offerto un adeguato supporto probatorio, di intendere ed eventualmente approvare (sempre, naturalmente, nei limiti del sindacato di legittimità) le ragioni del diniego stesso, per quanto solo compendiate nel provvedimento: ed in tal senso, l'obbligo di motivazione, ex art. 3 l. 241/1990 può essere assolto in forma sintetica, laddove le ragioni della determinazione amministrativa risultino dal contesto evidenti.
--------------
Come affermato dall’orientamento giurisprudenziale maggioritario, al quale il Collegio aderisce, l’ordine di rimessione in pristino dello stato dei luoghi costituisce una sanzione amministrativa irrogata dal giudice penale con potere autonomo, che tuttavia deve essere necessariamente coordinato con la normativa di riferimento e con le scelte della pubblica amministrazione; tale sanzione è sottratta alla regola del giudicato ed è riesaminabile in fase esecutiva, atteso che spetta al giudice dell’esecuzione valutare la compatibilità dell’ordine medesimo con i provvedimenti eventualmente emessi dall’amministrazione o dall’autorità giurisdizionale amministrativa, disponendone la revoca in caso di contrasto insanabile o la sospensione, se può ragionevolmente presumersi, sulla base di elementi concreti, che tali provvedimenti stanno per essere emessi in tempi brevi (cfr., Cass. Pen., sez. III, 03.12.2009, n. 3918 e 17.11.2009, n. 7111).
--------------
Il Collegio sottolinea, in primo luogo, che la sanzione demolitoria costituisce l'ordinaria e legittima reazione ordinamentale all'accertata abusività di un'opera in un territorio sottoposto, come nella fattispecie in esame, al vincolo paesaggistico sicché è l’applicazione della sanzione pecuniaria a costituire l’eccezione.
---------------
Quanto poi alla sostanziale compromissione dell’area asserita dalla difesa della ricorrente il Collegio sottolinea che, come affermato dalla consolidata giurisprudenza, il parziale degrado di un'area sottoposta a tutela piuttosto che autorizzare l'amministrazione a tollerare ulteriori abusi, rilasciando pareri favorevoli alla sanatoria di opere che comprometterebbero ancor più le aree rimaste integre, dovrebbe indurre questa ad adottare provvedimenti volti a salvaguardare il residuo valore paesistico delle zone ancora non del tutto compromesse, salva restando ovviamente la possibilità di attivare il procedimento per la rimozione del vincolo al fine di adeguare lo strumento di pianificazione paesistica, ormai divenuto obsoleto, alle modifiche ambientali sopravvenute, qualora l'effettivo stato dei luoghi sia, a giudizio degli organi competenti, irrimediabilmente compromesso (TAR Lazio Roma, sez. II, 06.03.2007, n. 2182).
-------------
L’ordinanza gravata, dunque, non presenta alcuna inadeguatezza sotto il profilo motivazionale, evidenziandosi, peraltro, che, per giurisprudenza consolidata, l'ordinanza di demolizione di opere edilizie abusive è atto dovuto e vincolato e non necessita di motivazione ulteriore rispetto all'indicazione dei presupposti di fatto e all'individuazione e qualificazione degli abusi edilizi, con la conseguenza che l'ingiunzione a demolire è sufficientemente motivata con l'accertamento dell'abuso, essendo in re ipsa l'interesse pubblico alla sua rimozione; ciò in specie nei casi in cui, come nella fattispecie in esame, la demolizione è stata valutata dall’amministrazione quale unico rimedio congruo per la salvaguardia dei valori paesaggistici ed ambientali (TAR Puglia Bari, sez. II, 11.11.2010, n. 3902).
---------------
Come già affermato da questa Sezione, in materia di dinieghi di sanatoria, le specifiche caratteristiche dei manufatti, nel concreto spazio in cui insistono, possono consentire al giudice, cui sia offerto un adeguato supporto probatorio, di intendere ed eventualmente approvare (sempre, naturalmente, nei limiti del sindacato di legittimità) le ragioni del diniego stesso, per quanto solo compendiate nel provvedimento: ed in tal senso va intesa la decisione (TAR Veneto, II, 24.01.2009, n. 151) in cui la Sezione ha rammentato che l'obbligo di motivazione, ex art. 3 l. 241/1990, può essere assolto in forma sintetica, laddove le ragioni della determinazione amministrativa risultino dal contesto evidenti
(TAR Veneto, Sez. II, sentenza 23.02.2011 n. 305 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATASolo per strutture di piccole dimensioni si ritiene sufficiente l'autorizzazione mentre per le canne fumarie di palese evidenza rispetto alla costruzione e alla sua sagoma è necessaria la concessione edilizia (oggi permesso di costruire).
Anche per tale tipologia di interventi è necessaria l’autorizzazione paesaggistica nella misura in cui alterino lo stato dei luoghi e l’aspetto esteriore dell’edificio e non vi è dubbio che una canna fumaria di rilevanti dimensioni, tinteggiata con i colori rosso e viola sia vistosamente e evidentemente impattante.
Si evidenzia, inoltre, che, come affermato dalla costante giurisprudenza anche di questa sezione, solo per strutture di piccole dimensioni (quale certamente non è quella della ricorrente), si ritiene sufficiente l'autorizzazione (cfr. TAR Campania Napoli, sez. VI, 03.06.2009, n. 3039; Tar Lazio-Roma, sez. II-ter, 18.05.2001, n. 4246) mentre per le canne fumarie di palese evidenza rispetto alla costruzione e alla sua sagoma è necessaria la concessione edilizia (oggi permesso di costruire).
Anche ove si ritenesse di qualificare l’intervento de quo in termini di manutenzione straordinaria in considerazione della preesistenza di un precedente impianto –qualificazione comunque da escludere posto che dalla documentazione versata in atti emerge solo la preesistenza di un tubo aspira fumi di dimensioni minori e tale preesistenza è peraltro asserita esclusivamente dal tecnico, Geom. Calò, incaricato dalla ricorrente di predisporre la relazione depositata all’amministrazione in sede di presentazione della seconda istanza di sanatoria– si evidenzia che anche per tale tipologia di interventi è necessaria l’autorizzazione paesaggistica nella misura in cui alterino lo stato dei luoghi e l’aspetto esteriore dell’edificio e non vi è dubbio che, come emerge dalla documentazione anche fotografica versata in atti, una canna fumaria di rilevanti dimensioni, tinteggiata con i colori rosso e viola sia vistosamente e evidentemente impattante (cfr., ex multis, TAR Campania Napoli, sez. IV, 31.01.2008, n. 430)
(TAR Veneto, Sez. II, sentenza 23.02.2011 n. 305 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVILa censura circa la sussistenza del vizio di potere per sviamento deve essere supportata da precisi e concordanti elementi di prova, idonei a dar conto delle divergenze dell'atto dalla sua tipica funzione istituzionale, non essendo a tal fine sufficienti semplici supposizioni o indizi che non si traducano nella dimostrazione dell'illegittima finalità perseguita in concreto dall'organo amministrativo.
Come già il Collegio ha avuto modo di evidenziare, per consolidata giurisprudenza, la censura con la quale si deduce il vizio di eccesso di potere per sviamento deve essere supportata da precisi e concordanti elementi di prova, idonei a dar conto delle divergenze dell'atto dalla sua tipica funzione istituzionale, non essendo a tal fine sufficienti semplici supposizioni o indizi che non si traducano nella dimostrazione dell'illegittima finalità perseguita in concreto dall'organo amministrativo (TAR Sicilia Palermo, sez. II, 24.06.2010, n. 7921) (TAR Veneto, Sez. II, sentenza 23.02.2011 n. 305 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAL’art. 9 del D.M. n. 1444/1968 è norma assolutamente inderogabile, sicché le previsioni urbanistiche locali, con essa contrastanti, devono essere disapplicate dal giudice, tenuto ad applicare direttamente quelle di cui all’art. 9: e ciò perché la ratio di questa prescrizione non è tanto la tutela di interessi di carattere privatistico come la riservatezza, bensì la salvaguardia d’imprescindibili esigenze di natura pubblicistica quali la sicurezza e la salubrità dei luoghi.
L’ultimo motivo di ricorso lamenta la violazione dell’art. 9 del D.M. n. 1444/1968, nonché l’eccesso di potere per travisamento dei presupposti di fatto: l’intervento autorizzato comporterebbe, infatti, la violazione della disciplina delle distanze tra pareti finestrate rispetto ad un fabbricato, distante sette metri, preesistente e parzialmente prospiciente.
Orbene, il citato art. 9 dispone che per i “nuovi edifici”, ricadenti in zone diverse dalla A –come nel caso– “è prescritta in tutti i casi la distanza minima assoluta di m. 10 tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti”.
Si tratta, non v’è dubbio, di una norma assolutamente inderogabile, sicché le previsioni urbanistiche locali, con essa contrastanti, devono essere disapplicate dal giudice, tenuto ad applicare direttamente quelle di cui all’art. 9: e ciò perché la ratio di questa prescrizione non è tanto la tutela di interessi di carattere privatistico come la riservatezza, bensì la salvaguardia d’imprescindibili esigenze di natura pubblicistica quali la sicurezza e la salubrità dei luoghi (cfr., ex multis Cass. 07.01.2010, n. 56; id. 03.03.2008, n. 5741, C.d.S., IV, 12.03.2009, n. 1491).
Ciò posto, è tuttavia da ritenere che, nella fattispecie, non tale disposizione sia rilevante, ma vi si applichino soltanto le norme civilistiche sulle distanze, la cui osservanza non è qui in questione.
L’art. 9, infatti, trova applicazione ai “nuovi edifici”, mentre, nel caso in esame, si è ristrutturato un edificio preesistente, conservandone dimensioni e sagoma.
E se è bensì vero che la forometria è stata modificata, bisogna osservare che lo stesso edificio già prima dell’intervento presentava, sul lato fronteggiante la costruzione più vicina –posta in effetti a meno di 10 metri- una serie di aperture, alcune vere e proprie finestre, altre semplici luci: tali tuttavia, nel complesso, da poter escludere che la ristrutturazione operata abbia condotto, almeno sotto questo specifico profilo, ad un nuovo edificio (TAR Veneto, Sez. II, sentenza 23.02.2011 n. 300 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAL'art. 9, d.m. 02.04.1968 n. 1444 è inteso a impedire la formazione di intercapedini nocive sotto il profilo igienico-sanitario.
Si tratta poi di disposizione tassativa ed inderogabile, la quale trova applicazione anche nel caso in cui solo una delle pareti antistanti risulti finestrata e non entrambe.

Per costante giurisprudenza (tra le ultime, TAR Liguria Genova, sez. I, 30.06.2009, n. 1621), l'art. 9, d.m. 02.04.1968 n. 1444 è inteso a impedire la formazione di intercapedini nocive sotto il profilo igienico-sanitario.
Si tratta poi di disposizione tassativa ed inderogabile, la quale trova applicazione anche nel caso in cui solo una delle pareti antistanti risulti finestrata e non entrambe (Cass., sez. II, 26.10.2007, n. 22495) (TAR Veneto, Sez. II, sentenza 23.02.2011 n. 298 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AGGIORNAMENTO AL 02.01.2012

ã

Anno nuovo ... antichi vizietti !!
La mela marcia c'è in ogni migliore famiglia ... e nel pubblico impiego è ancor più disgustosa !!

     Pochi farabutti devono sempre screditare la maggioranza di bravi, responsabili ed onesti dipendenti pubblici ... E allora, si facciano i nomi e cognomi e li si pubblichino in prima pagina affinché gli "onesti tutti" li possano guardare negli occhi !! Non solo, i colleghi di ufficio che sanno non si facciano remore, rompano l'omertà, e telefonino al 117 per denunciarli ... solo così si può estirpare questo cancro (uno dei tanti !!) della società civile.
     E' vero che siamo in uno Stato di diritto ove sussiste la presunzione di innocenza fino al 3° grado di giudizio in Cassazione ... ma in questi casi la flagranza c'è (laddove non esiste, a priori, l'autorizzazione dell'ente di appartenenza) e, quindi, si sanzionino senza indugio i malfattori senza aspettare che la "flemmatica" Giustizia italiana si pronunci con sentenza passata in giudicato:
licenziamento in tronco, restituzione delle somme indebitamente percepite con interessi e rivalutazione monetaria, risarcimento del danno all'immagine dell'Ente di appartenenza e differimento dell'età pensionabile al compimento del 90° anno di età !!
    
E questi "furbetti di quartiere" nulla hanno da invidiare nei confronti di altri loschi individui che, di continuo e sottovoce, "predicano bene ma razzolano male" ed amano la "sfida" per non macchiarsi di: Peculato (art. 314 c.p.); Peculato mediante profitto dell'errore altrui (art. 316 c.p.); Concussione (art. 317); Corruzione per un atto d'ufficio (art. 318 c.p.); Corruzione per un atto contrario ai doveri d'ufficio (art. 319 c.p.); Abuso di ufficio (art. 323 c.p.); Rivelazione ed utilizzazione di segreti di ufficio (art. 326 c.p.); Rifiuto di atti d'ufficio. Omissione (art. 328 c.p.).
     Ebbene, che anno nuovo è se non lo iniziamo con la consueta, bella, sana e vitale inkazzatura quotidiana?? E allora, leggete l'articolo sotto riportato.
     Comunque,
a tutti i nostri lettori i migliori Auguri di Nuovo Anno ricolmo di salute e serenità.
02.01.2012 - LA SEGRETERIA PTPL

 

PUBBLICO IMPIEGOConsulenze e incarichi privati. Il doppio lavoro degli statali. Il rapporto della Guardia di Finanza: già scoperti 3.300 casi.
C'è chi cartellino ed esce subito dopo, chi sbriga in ufficio le pratiche dei suoi clienti privati. Addirittura chi accetta consulenze su progetti che poi dovrà valutare per conto dell'Amministrazione. Sono i dipendenti pubblici che svolgono il doppio lavoro senza aver ottenuto l'autorizzazione. E in questo modo causano un grave danno all'erario.
Sono i numeri a dimostrarlo. Negli ultimi tre anni sono circa 3.300 gli impiegati e i funzionari, anche di livello alto, scoperti dalla Guardia di Finanza e dagli ispettori della Funzione pubblica a svolgere attività esterne. Hanno guadagnato illecitamente oltre 20 milioni di euro, causando un danno alle casse dello Stato che sfiora i 55 milioni di euro. Il settore degli sprechi nella spesa pubblica si conferma, dunque, quello dove maggiormente bisogna intensificare controlli e verifiche per recuperare denaro e soprattutto evitare ulteriori perdite.
La dimostrazione è nella relazione annuale delle Fiamme gialle sul fenomeno dei «doppi stipendi» che evidenzia i dati relativi al periodo che va dal 2009 al 2011 e soprattutto fa emergere i casi più eclatanti. E nella quale viene sottolineata «l'importanza di intervenire nel settore degli sprechi della spesa pubblica che da un punto di vista ragionieristico pesa quanto e forse più di quello delle entrate fiscali. Un'importanza che oggi traspare in maniera ancor più evidente in ragione del perdurante momento di crisi e degli impegni politici assunti dall'Italia nei confronti della comunità internazionale, i quali impongono che le risorse disponibili siano spese sino all'ultimo euro per sostenere l'economia e le classi più deboli, eliminando sprechi, inefficienze e -nei casi più gravi- distrazioni di fondi pubblici che rappresentano un ostacolo alla crescita del Paese».
I progetti di geometri e ingegneri.
La legge che disciplina «le incompatibilità, il cumulo degli impieghi e gli incarichi» consente ai dipendenti pubblici di eseguire attività professionali al di fuori dell'orario di lavoro, «purché lo svolgimento del lavoro venga preventivamente portato a conoscenza della Pubblica amministrazione di appartenenza ai fini della valutazione della sussistenza di situazioni di incompatibilità o di conflitto d'interesse con la stessa». Ed è proprio questo il nodo che ha evidentemente impedito a queste migliaia di persone di chiedere l'autorizzazione.
Nel dossier gli analisti della Finanza sottolineano come «non sia possibile stereotipare il profilo del dipendente pubblico che viola queste norme, perché si va dai lavoratori con bassa qualifica fino a dirigenti con posizioni apicali», ma chiariscono che «i doppi lavori esercitati sono dei più eterogenei, spaziando dai lavori più umili alle alte consulenze professionali e tecniche prestate in cambio di laute retribuzioni. In sostanza si va da chi tenta di arrotondare magri stipendi a chi invece con il doppio lavoro incrementa redditi già invidiabili».
Tra le denunce del 2011 spicca quella di un geometra in servizio in un'amministrazione provinciale che ha percepito consulenze per 885 mila euro senza aver mai chiesto alcun nulla osta. Ma la circostanza più grave è che i pareri riguardavano nella maggior parte dei casi le pratiche che doveva poi esaminare nello svolgimento del proprio incarico presso l'Ente locale.
Poco meno ha guadagnato un ingegnere che è riuscito a ottenere compensi extra per poco più di 514 mila euro grazie al rapporto che aveva con alcuni studi specializzati.
L'esperto di Fisco dell'Agenzia.
Sembra incredibile, ma persino alcuni dirigenti dell'Agenzia delle entrate hanno accettato di svolgere mansioni per cittadini e società private in materia fiscale. Il record spetta a un alto funzionario che senza chiedere alcuna autorizzazione ha svolto incarichi per 850 mila euro. Introiti di tutto rispetto anche per un professore universitario che oltre alle lezioni presso l'ateneo, ha percepito 266 mila euro di compensi aggiuntivi. Nel suo caso -come spesso accade- è stato l'organo di vigilanza interno ad attivare l'Ispettorato, ma molto più spesso i controlli vengono effettuati su segnalazioni di cittadini -talvolta colleghi di chi risulta al lavoro e invece non si presenta- oppure grazie a indagini autonome attivate dalla Guardia di Finanza.
Nel 2009 le Fiamme gialle hanno effettuato 738 interventi. Risultato: «Sono stati 738 soggetti verbalizzati, 15 milioni e mezzo di euro le sanzioni contestate a fronte di 1 milione e 161 mila euro di compensi percepiti senza autorizzazione». L'anno del boom è stato certamente il 2010, quando l'allora ministro Renato Brunetta chiese un'intensificazione delle verifiche proprio in questo settore. Il dato registra «983 interventi effettuati, 1.324 denunce e ben 28 milioni 296 mila euro in sanzioni, a fronte di introiti illegittimi che superano i 13 milioni di euro». Buoni risultati anche nei primi 10 mesi di quest'anno (il dato contenuto nella relazione arriva fino agli inizi di novembre).
Pur essendo calato il numero dei controlli a 722, le persone scoperte sono state 1.029 e 10 milioni e mezzo di euro l'ammontare complessivo delle contestazioni a fronte di cinque milioni e mezzo di euro guadagnati dai dipendenti pubblici senza autorizzazione.
Il record di 62 consulenze.

È proprio nella relazione pubblicata a fine ottobre scorso dagli ispettori del ministero allora guidato da Brunetta che viene citato il caso di «dodici tra funzionari e dirigenti in rapporto di lavoro con Aziende sanitarie che hanno ricevuto compensi superiori a 100 mila euro ciascuno» per attività extra. Ma il vero record l'ha raggiunto un dipendente statale citato in giudizio dalla magistratura contabile.
Si legge nella relazione della Funzione pubblica: «Anche il procuratore capo della Corte dei conti della Regione Lazio ha citato durante l'inaugurazione dell'anno giudiziario 2011 la "vicenda paradossale" di un dipendente sottoposto a giudizio per un'ipotesi di danno erariale di 2 milioni e mezzo di euro. Il dipendente è risultato titolare contemporaneamente di più rapporti di pubblico impiego, espletando altresì in un arco temporale di qualche anno ben 62 incarichi e consulenze professionali, figurando come avvocato e fatturando con la partita Iva della quale era titolare in quanto intestatario -tra l'altro- di un'attività commerciale di ristorazione».
La direttiva d'intervento del comandante generale della Guardia di Finanza per il prossimo anno impone che l'attività dei vari reparti debba essere intensificata -oltre che nella lotta all'evasione fiscale- proprio sugli sprechi della spesa pubblica, così come del resto è stato più volte sollecitato dal governo. E quello dei doppi stipendi è certamente uno dei settori in cima alle liste di priorità per incrementare i «fondi di produttività» dei dipendenti pubblici (che servono tra l'altro a pagare gli straordinari); la legge prevede infatti che vengano incamerate non soltanto le somme ingiustamente percepite dai lavoratori, ma anche «gli introiti delle sanzioni comminate ai soggetti committenti, per lo più privati, che si avvalgono irregolarmente delle prestazioni dei pubblici dipendenti» (articolo Corriere della Sera del 27.12.2011 - tratto da www.corteconti.it).

NOTE, CIRCOLARI E COMUNICATI

EDILIZIA PRIVATA: Oggetto: Regione Lombardia – Esercizio, controllo, manutenzione ed ispezione degli impianti termici nel territorio regionale - Delibera Regionale IX/2601: disposizioni per la termoregolazione e la contabilizzazione di energia delle singole unità immobiliari (ANCE Bergamo, circolare 30.12.2011 n. 292).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Oggetto: Rifiuti - proroga del MUD e del SISTRI (ANCE Bergamo, circolare 30.12.2011 n. 288).

PUBBLICO IMPIEGOOggetto: Art. 42, commi da 5 a 5-quinquies, del decreto legislativo 151/2001 - Retribuzione e copertura contributiva per periodi di congedo riconosciuti in favore dei familiari di portatori di handicap. Chiarimenti (INPDAP, circolare 28.12.2011 n. 22).

EDILIZIA PRIVATA: Oggetto: competenze dei comuni in merito al controllo e all'irrogazione delle sanzioni in materia di certificazione energetica degli edifici ed annunci commerciali per la loro vendita o locazione (Regione Lombardia, Direzione Generale Ambiente, Energia e Reti, U.O. Energia e Reti Tecnologiche, nota 13.12.2011 n. 25944 di prot.).

CORTE DEI CONTI

ENTI LOCALI - SEGRETARI COMUNALI: Maggiori oneri di personale derivanti da nomina Segretario Comunale titolare.
Secondo la Corte dei Conti Sez. Reg.le Lombardia (parere 28.12.2011 n. 680) anche la nuova nomina di Segretario Comunale titolare (in precedenza ruolo ricoperto con "reggenza") -con conseguenti maggiori oneri- non consente all'ente di sottrarsi al rispetto dei vincoli di finanza pubblica relativi alle spese di personale; è onere dell'amministrazione adottare modelli organizzativi che consentano eventualmente di nominare un Segretario titolare con i necessari risparmi di spesa, ad esempio, la nomina con la formula del convenzionamento con altri enti (tratto da www.publika.it).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Comando.
La Corte dei Conti Sez. Reg.le Campania, con parere 20.12.2011 n. 497, esami l'istituto del comando (passivo) e ritiene:
- gli oneri che l'ente utilizzatore deve rimborsare all'ente datore di lavoro debbono essere conteggiati ai fini del rispetto del comma 557 (o 562) dell'art. 1 L. 296/2006
- il comando può essere "assimilato" ad una assunzione a tempo determinato e, come tale, a decorrere dal 01.01.2012, concorrerà a determinare il rispetto del limite di spesa imposto dall'art. 9, comma 28, D.L. 78/2010 (esteso agli enti locali per effetto dell'art. 4, comma 102, L. 183/2011) (tratto da www.publika.it).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Incremento orario di rapporto di lavoro part-time.
La Corte dei Conti Sez. Reg.le Campania, con parere 20.12.2011 n. 496 (riformando proprio precedente parere, recependo orientamenti successivi, facendo salvi pronunciamenti attesi dalla SS.RR. su questioni connesse) reputa non interferente l'incremento orario di un rapporto di lavoro a tempo parziale con le disposizioni di cui all'art. 9, comma 1, del D.L. 78/2010 (tratto da www.publika.it).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGOAssunzioni ex art. 90 TUEL.
La Corte dei Conti Sez. Reg.le Campania, con parere 20.12.2011 n. 493, esamina il caso di un ente che intende procedere ad una assunzione ex art. 90 D.Lgs. 267/2000; dal parere emerge anche quanto segue:
- la natura interpretativa del comma 103 dell'art. 4 della legge di stabilità 2012 (legge 183/2011) in relazione al limite assunzionale del 20% riferito al solo reclutamento a tempo indeterminato (conferma interpretazione sezione Toscana con delibera n. 410/2011)
- per l'anno 2011, quindi, la non attualità della ricostruzione ermeneutica offerta dalle SS.RR. con deliberazione n. 46/2011
- trattandosi di assunzione a tempo determinato, il rispetto -a decorrere dal 01.01.2012- delle disposizioni limitative di cui all'art. 9, comma 28, D.L. 78/2010 (50% spesa anno 2009) esteso agli enti locali ad opera della precitata legge di stabilità 2012 (art. 4, comma 102) (tratto da www.publika.it).

QUESITI & PARERI

AMBIENTE-ECOLOGIA: I produttori di rifiuti speciali pericolosi devono iscriversi al SISTRI indipendentemente dal numero di dipendenti impiegati? (link a www.ambientelegale.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Come è regolata la movimentazione di rifiuti da attività di manutenzione riguardo al SISTRI? (link a www.ambientelegale.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Come si configura il divieto di miscelazione di rifiuti? (link a www.ambientelegale.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Chi è obbligato alla messa in sicurezza e ripristino ambientale dei siti inquinati? (link a www.ambientelegale.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Il deposito temporaneo di rifiuti che superi le quantità consentite configura abbandono di rifiuti? (link a www.ambientelegale.it).

DOTTRINA E CONTRIBUTI

INCARICHI PROFESSIONALI: D. Immordino, Presupposti di legittimità per l’affidamento di incarichi professionali esterni - Corte dei Conti Sez. Giurisdizionale per il Lazio, con sentenza 18.11.2011 n. 1619 (link a www.diritto.it).

APPALTI: F. Gavioli, Subappalti sì ma la check-list deve essere rispettata (link a www.ipsoa.it).

SINDACAI E ARAN

PUBBLICO IMPIEGOEE.LL.: la disciplina delle assunzioni dopo la legge di stabilità per il 2012 (CGIL-FP di Bergamo, nota 28.12.2011).

PUBBLICO IMPIEGO: Oggetto: Rinnovo R.S.U. Elezioni del 05-07.03.2012. Chiarimenti circa lo svolgimento delle elezioni (ARAN, circolare 22.12.2011 n. 4/2011).

UTILITA'

SICUREZZA LAVORO: Obbligo di formazione per i datori di lavoro con funzioni di RSPP: finalmente l'accordo Stato-Regioni.
Il Testo Unico sulla Sicurezza (D.Lgs. 81/2008) prevede che il datore di lavoro garantisca che ciascun lavoratore riceva adeguata formazione in materia di salute e sicurezza, anche rispetto alle conoscenze linguistiche, con particolare riferimento a:
● concetti di rischio, danno, prevenzione, protezione, organizzazione della prevenzione aziendale, diritti e doveri dei vari soggetti aziendali, organi di vigilanza, controllo, assistenza;
● rischi riferiti alle mansioni e ai possibili danni e alle conseguenti misure e procedure di prevenzione e protezione caratteristici del settore o comparto di appartenenza dell'azienda.
Inoltre il Testo Unico prevede che la durata, i contenuti minimi e le modalità della formazione siano definiti mediante accordo in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome, previa consultazione delle parti sociali.
Il 21.12.2011 la Conferenza Permanente per i rapporti tra Stato e Regioni ha approvato gli Accordi relativi alla formazione sulla sicurezza.
Le nuove regole entreranno in vigore dopo la pubblicazione degli accordi in Gazzetta Ufficiale, prevista per gennaio.
La novità principale riguarda l’individuazione della durata della formazione in base al rischio dell’attività aziendale: basso, medio, alto.
In particolare, le imprese saranno suddivise per grado di rischio cui competeranno diversi obblighi formativi.
I livelli saranno:
Basso: uffici e servizi, commercio, artigianato e turismo
Medio: agricoltura, pesca, P.A., istruzione, trasporti, magazzinaggio,
Alto: costruzioni, industria, alimentare, tessile, legno, manifatturiero, energia, rifiuti, raffinerie, chimica, sanità, servizi residenziali.
Tutti i lavoratori, nessuno escluso dovranno seguire corsi specifici in base al livello di rischio:
Þ Rischio Basso: 4 ore
Þ Rischio Medio: 8 ore
Þ Rischio Alto: 16 ore
con aggiornamento obbligatorio quinquennale.
La formazione può essere seguita in modalità e-learning.
I datori di lavoro che svolgano funzioni di RSPP dovranno seguire corsi specifici in base al livello di rischio:
◊ Rischio Basso: 16 ore
◊ Rischio Medio: 32 ore
◊ Rischio Alto: 48 ore
Preposti e Dirigenti dovranno seguire corsi di formazione specifici con aggiornamenti obbligatori.
In allegato a questo articolo proponiamo il testo dell'Accordo Stato-Regioni e uno schema riepilogativo predisposto dall'AiFOS (Associazione italiana FOrmatori della Sicurezza sul lavoro) (29.12.2011 - link a www.acca.it).

EDILIZIA PRIVATADa UMAN la guida alla manutenzione e ai rifiuti prodotti nel settore antincendio.
UMAN (Associazione dei Costruttori di Materiale ANtincendio) ha pubblicato una guida sulla gestione dello smaltimento dei rifiuti prodotti durante l’attività di manutenzione dei sistemi di protezione antincendio.
Il documento nasce dall'esperienza delle aziende che si occupano dell’attività di manutenzione nel settore dell’antincendio e dei loro consulenti e costituisce un vademecum a disposizione dei tecnici e dei manutentori, di supporto nella gestione dei principali rifiuti originatisi dalle proprie attività.
Gli argomenti trattati sono:
definizioni su rifiuti e manutenzione
classificazione e identificazione dei rifiuti pericolosi
casi pratici di manutenzione e sostituzione terminali antincendio
prove di spegnimento con estintori a norme con revisione scaduta
guida al sistri (sistema di tracciabilità dei rifiuti) (29.12.2011 - link a www.acca.it).

GURI - GUUE - BURL (e anteprima)

ENTI LOCALI: G.U. 31.12.2011 n. 304 "Differimento del termine per la deliberazione del bilancio di previsione per l’anno 2012 da parte degli enti locali" (Ministero dell'Interno, decreto 21.12.2011).

AMBIENTE-ECOLOGIA: G.U. 30.12.2011 n. 303, suppl. ord. n. 283, "Approvazione del modello unico di dichiarazione ambientale per l’anno 2012" (D.P.C.M. 23.12.2011).

AMBIENTE-ECOLOGIA - ENTI LOCALI - VARI: G.U. 29.12.2011 n. 302 "Proroga di termini previsti da disposizioni legislative" (D.L. 29.12.2011 n. 216).
---------------
Arriva il “Milleproroghe”, ma in versione light!
Il Consiglio dei Ministri ha approvato il Decreto Legge Milleproroghe che, diversamente dal passato, arriva in versione light, ossia proroga un numero limitato di termini previsti.
Tra le principali proroghe relative al settore edile segnaliamo:
Domande variazione categoria catastale fabbricati rurali
Per il riconoscimento della ruralità degli immobili sarà possibile presentare entro il 31.01.2012 all'Agenzia del Territorio domanda di variazione della categoria catastale per l'attribuzione della categoria A/6 alle abitazioni rurali o della categoria D/10 per i fabbricati rurali strumentali.
Termine per l'entrata in vigore del (SISTRI)
Vengono posticipati i termini di entrata in vigore del SISTRI (Sistema di tracciabilità dei rifiuti) con queste scadenze:
● 02.04.2012 per la piena operatività del SISTRI;
● 01.01.2012 per l'iscrizione al SISTRI da parte di piccole imprese agricole che producono e trasportano modesti quantitativi di rifiuti;
● 02.07.2012 per l'iscrizione per le piccole imprese agricole al SISTRI.
Prevenzione incendi per strutture alberghiere
Viene prorogato al 31.12.2012 il termine ultimo per adeguare le strutture ricettive turistico-alberghiere con oltre venticinque posti letto esistenti che non abbiano completato l'adeguamento alle disposizioni di prevenzione incendi e siano ammesse al piano straordinario biennale di adeguamento antincendio.
Verifiche sismiche
Prorogata al 31.12.2012 la scadenza per le attività connesse con le verifiche sismiche, ossia le verifiche tecniche previste dall’O.P.C.M. 3274/2003 relative a edifici di interesse strategico e ad opere infrastrutturali la cui funzionalità durante gli eventi sismici assume rilievo fondamentale per le finalità di protezione civile (commento tratto da www.acca.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA - ENTI LOCALI - VARI: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 52 del 29.12.2011, "Disposizioni per l’attuazione della programmazione economico-finanziaria regionale, ai sensi dell’art. 9-ter della l.r. 31.03.1978, n. 34 ‘Norme sulle procedure della programmazione, sul bilancio e sulla contabilità della Regione’ - Collegato 2012" (L.R. 28.12.2011 n. 22).

URBANISTICA: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 52 del 29.12.2011, "Determinazione della procedura di valutazione ambientale di piani e programmi - VAS (art. 4, l.r. n. 12/2005) - Criteri per il coordinamento delle procedure di valutazione ambientale (VAS) – Valutazione di incidenza (VIC) - Verifica di assoggettabilità a VIA negli accordi di programma a valenza territoriale (art. 4, comma 10, l.r. 5/2010)" (deliberazione G.R. 22.12.2011 n. 2789).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 52 del 29.12.2011, "Modifiche alla legge regionale 05.12.2008, n. 31 (Testo unico delle leggi regionali in materia di agricoltura, foreste, pesca e sviluppo rurale) e disposizioni in materia di riordino dei consorzi di bonifica" (L.R. 28.12.2011 n. 25).

AMBIENTE-ECOLOGIA: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 52 del 29.12.2011, "Approvazione delle disposizioni attuative per la presentazione delle domande per l’accesso al Fondo Aree Verdi secondo procedure a sportello, in attuazione della d.g.r. 11297/2010 (l.r. 12/2005, art. 43, c. 2-bis e segg.)" (decreto D.G. 22.12.2011 n. 12754).

EDILIZIA PRIVATA: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 52 del 29.12.2011, "Semplificazione dei canoni di polizia idraulica e riordino dei reticoli idrici" (deliberazione G.R. 22.12.2011 n. 2762).

AMBIENTE-ECOLOGIA: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 52 del 28.12.2011, "Revisione della normativa tecnica di riferimento per la formazione dei piani provinciali delle cave, ai sensi del terzo comma dell’art. 2 e del secondo comma, lettera g), dell’art. 6 della l.r. 08.08.1998, n. 14" (deliberazione G.R. 22.12.2011 n. 2752).

AMBIENTE-ECOLOGIA: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 52 del 28.12.2011, "Determinazioni in merito ai criteri di gestione obbligatoria e delle buone condizioni agronomiche e ambientali ai sensi del reg. CE 73/2009 - Modifiche ed integrazioni alla d.g.r. 4196/2007" (deliberazione G.R. 22.12.2011 n. 2738).

ENTI LOCALI - VARI: G.U. 27.12.2011 n. 300, suppl. ord. n. 276/L, "Testo del decreto-legge 06.12.2011, n. 201, coordinato con la legge di conversione 22.12.2011, n. 214, recante: «Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici.»".
---------------
Pubblicata in Gazzetta la Legge Monti. Ecco le principali novità relative al settore edile.
Pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 300 del 27.12.2011 la Legge n. 241 del 23.12.2011 di conversione del Decreto Monti.
Tra i punti principali e le modifiche apportate al Decreto Legge, segnaliamo:
● Detrazione fiscale del 36%
● Detrazione fiscale del 55%
● Imposta propria sulla casa (IMU)
Al riguardo ricordiamo che è possibile calcolare l'importo dell'IMU per i fabbricati con Imus, l'applicativo gratuito ACCA per calcolare l'Imposta Municipale Propria
● Opere di urbanizzazione a scomputo
● Iva
● Costo lavoro
● Limite ai pagamenti in contante
La redazione di BibLus-net propone, oltre alla Legge di conversione e al testo coordinato, un documento con la sintesi dei provvedimenti relativi al settore edile (commento tratto da e link a www.acca.it).

AUTORITA' VIGILANZA CONTRATTI PUBBLICI

APPALTI: Gli obblighi informativi sui contratti pubblici all’Osservatorio non sono delegabili a soggetti esterni all’amministrazione.
Emanato il comunicato 27.12.2011 con il quale il Presidente dell’Autorità informa che le credenziali di accesso alle banche dati dell'Autorità non possono essere cedute a soggetti diversi da quelli a cui sono state rilasciate.
Di conseguenza non è consentito esternalizzare l'attività di assolvimento degli obblighi informativi sui contratti pubblici verso l'Autorità (link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: Procedura negoziata - In una determinazione nuove indicazioni operative per la procedura negoziata senza previa pubblicazione del bando di gara nei contratti di importo inferiore alla soglia comunitaria.
Aggiornate con la determinazione 14.12.2011 n. 8 le indicazioni operative per la procedura negoziata senza previa pubblicazione del bando di gara nei contratti di importo inferiore alla soglia comunitaria già pubblicate con la Determinazione n. 2 nell’aprile scorso. L’atto si è reso necessario a seguito delle modifiche del quadro normativo introdotte dal decreto-legge 13.05.2011, n. 70, Semestre Europeo – Prime disposizioni urgenti per l’economia, convertito in legge dalla legge 12.07.2011, n. 106.
L’innovazione principale è l’aumento da 500.000 ad un milione di euro della soglia entro la quale è consentito affidare i lavori con la procedura negoziata senza bando a cura del responsabile del procedimento. Le altre novità sono l’innalzamento della soglia per l’affidamento tramite procedura negoziata dei lavori sui beni culturali, l’intervento sul regime generale della procedura negoziata (art. 56 e 57 del Codice), l’innalzamento della soglia per l’affidamento diretto dei contratti di servizi e forniture (link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: La stazione appaltante può fissare, nell’ambito della propria discrezionalità, requisiti di partecipazione ad una gara di appalto e di qualificazione più rigorosi e restrittivi di quelli minimi stabiliti dalla legge, purché, tuttavia, tali prescrizioni si rivelino rispettose dei principi di proporzionalità e ragionevolezza, non limitino indebitamente l’accesso alla procedura di gara e siano giustificate da specifiche esigenze imposte dal peculiare oggetto dell’appalto. L’adeguatezza e la proporzionalità dei requisiti richiesti dalla documentazione di gara vanno, dunque, valutate con riguardo all’oggetto dell’appalto ed alle sue specifiche peculiarità.
In una gara per l’affidamento della gestione dei servizi di una casa di riposo comunale, è conforme alla normativa di settore la richiesta, ai fini della dimostrazione della capacità tecnica, dell’esibizione dell’elenco dei servizi già effettuati in appalto negli ultimi tre anni inerenti l’oggetto della gara e non dei servizi semplicemente analoghi, proprio in considerazione dell’evidente specificità della gestione del servizio oggetto dell’appalto e della correlata specifica idoneità professionale richiesta al gestore, non surrogabile dalla allegata gestione di servizi similari, nella specie gestione di Centri riabilitativi per disabili psichici
(parere di precontenzioso 23.03.2011 n. 55 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

INCARICHI PROGETTUALI: Come precisato nella determinazione n. 5/2010, non è conforme ai principi di non discriminazione e proporzionalità l’utilizzo, per l’affidamento di incarichi di progettazione di importo pari o inferiore centomila euro, dei requisiti previsti dalla normativa per gli affidamenti di progettazione di importo superiore a centomila euro ed in particolare i requisiti economico-finanziari.
---------------
Il servizio concernente la redazione e la revisione delle norme tecniche di attuazione di un PRG non rientra tra quelli elencati dagli artt. 91 d.lgs. n. 163/2006 e 50 d.P.R. n. 554/1999. Appare più corretto ricondurre tali servizi tra quelli attinenti all’urbanistica ed alla paesaggistica, atteso che l’urbanistica comprende la totalità degli aspetti dell’uso del territorio.
Tali servizi sono ricompresi dal legislatore nell’Allegato II A al codice dei contratti pubblici e, quindi, in conformità a quanto disposto dall’art. 20 d.lgs. n. 163/2006, sono soggetti integralmente al codice stesso
(parere di precontenzioso 23.03.2011 n. 54 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

LAVORI PUBBLICI: E’ conforme alla normativa di settore l’esclusione dalla gara di un operatore economico in possesso di una qualificazione SOA la cui validità quinquennale è scaduta nel corso dello svolgimento della procedura di gara e rispetto alla quale non abbia dimostrato di avere avviato la procedura di rinnovo dell’attestazione nei termini richiesti dall’art. 15 del d.P.R. n. 34/2000 (parere di precontenzioso 23.03.2011 n. 53 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: In caso di informativa prefettizia a carico dell’impresa mandante di un consorzio, ai sensi dell’art. 12 del d.P.R. 03.06.1998, n. 252 l’impresa mandataria può estromettere o sostituire l’impresa mandante con altra impresa dotata dei necessari requisiti, anche prima della stipula del contratto (parere di precontenzioso 23.03.2011 n. 52 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: E’ conforme alla normativa di settore la condotta della stazione appaltante che, in sede di autotutela, verificata la sussistenza di una irregolarità nella verifica dei requisiti di uno degli operatori economici, dopo avere escluso detto operatore economico, ha rideterminato la media ed ha disposto una nuova aggiudicazione provvisoria in favore di impresa diversa da quella previamente individuata come aggiudicataria provvisoria.
Ciò in quanto l’aggiudicazione provvisoria ha natura di atto endoprocedimentale, ad effetti instabili e del tutto interinali, inidonei a produrre la lesione definitiva della posizione dell’impresa aggiudicataria, situazione che si verifica solo con l’aggiudicazione definitiva e la natura non definitiva dell’atto inciso esclude che si possa ragionare in termini di vera e propria autotutela, con conseguente inapplicabilità dei limiti propri dell’art. 21-nonies della legge n. 241/1990
(parere di precontenzioso 23.03.2011 n. 51 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

LAVORI PUBBLICI: E’ conforme alla normativa in tema di pubblicità prevista dall’art. 122 del Codice dei contratti pubblici per gli appalti di lavori sotto soglia, la fissazione da parte della stazione appaltante della data di effettuazione del sopralluogo a cinque giorni dalla pubblicazione del bando sulla GURI (parere di precontenzioso 23.03.2011 n. 50 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: La certificazione prevista dall’art. 44 del d.lgs. n. 163/2006, cioè la presentazione di certificati rilasciati da organismi indipendenti per attestare il rispetto da parte dell’operatore economico di determinate norme di gestione ambientale, è diretta ad attestare una qualificazione soggettiva dell’impresa concorrente e non una qualità tecnica dell’offerta predisposta dal soggetto partecipante alla gara.
Non è pertanto conforme alla normativa di settore la previsione della stazione appaltante di inserire tra gli elementi di valutazione dell’offerta il possesso da parte dell’operatore economico di “Requisiti di sistema di gestione ambientale”, giacché in tal modo si introduce una evidente commistione tra requisiti soggettivi di capacità tecnica e professionale dell’impresa e criteri di valutazione di ogni singola offerta ai fini dell’aggiudicazione
(parere di precontenzioso 23.03.2011 n. 49 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

LAVORI PUBBLICI: In caso di gara da aggiudicare secondo il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa da individuarsi secondo il metodo aggregativo compensatore di cui all’allegato B del d.P.R. n. 554/1999 il quale, a sua volta, per gli elementi di valutazione di natura qualitativa rinvia al sistema del confronto a coppie di cui all’allegato A del d.P.R. n. 554/1999, la stazione appaltante che ha escluso l’offerta dell’aggiudicataria provvisoria, non può procedere all’aggiudicazione della gara alla seconda classificata, ma deve ripetere il giudizio di valutazione delle offerte tecniche, secondo il criterio stabilito dal bando di gara giacché la metodologia del confronto a coppie, per sua stessa natura, non permette di individuare la migliore offerta in assoluto, ma soltanto quella che, nel confronto con le altre, si rivela essere la migliore con la conseguenza che, in caso di annullamento dell’ammissione alla gara di una delle concorrenti, non possono essere considerati né i punteggi del concorrente escluso né i punteggi conseguiti dagli altri concorrenti nel confronto a coppia con il primo, con conseguente necessità di procedere ad una rimodulazione della graduatoria.
---------------
Il requisito della qualificazione SOA deve sussistere non solo al momento della presentazione dell’offerta, ma permanere anche in ogni successiva fase del procedimento ad evidenza pubblica e, nel caso in cui l’impresa risulti aggiudicataria, persistere per tutta la durata dell’appalto.
Tenuto conto che gli effetti della verifica triennale decorrono dalla data di scadenza del triennio solo se l’impresa si sottopone a verifica almeno 60 giorni prima dello scadere del terzo anno dalla data del rilascio dell’attestazione -mentre se la verifica è compiuta dopo la scadenza predetta, l’efficacia della stessa decorre dalla ricezione della comunicazione da parte dell’impresa– e che, dunque, l’impresa rimane in possesso della qualificazione senza soluzione di continuità, solo in tali casi l’impresa può partecipare alle gare anche nelle more della effettuazione della verifica triennale, anche quando sia scaduto il triennio di validità
(parere di precontenzioso 10.03.2011 n. 48 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: La stazione appaltante può fissare, nell’ambito della propria discrezionalità, requisiti di partecipazione ad una gara di appalto e di qualificazione più rigorosi e restrittivi di quelli minimi stabiliti dalla legge, purché, tuttavia, tali prescrizioni si rivelino rispettose dei principi di proporzionalità e ragionevolezza, non limitino indebitamente l’accesso alla procedura di gara e siano giustificate da specifiche esigenze imposte dal peculiare oggetto dell’appalto.
L’adeguatezza e la proporzionalità dei requisiti richiesti dalla documentazione di gara vanno, dunque, valutate con riguardo all’oggetto dell’appalto ed alle sue specifiche peculiarità. In una gara per l’affidamento del servizio biennale di monitoraggio della qualità erogata e della qualità percepita negli aeroporti “L. Da Vinci” di Fiumicino e “G.B. Pastine” di Ciampino avente un importo a base d’asta annuo pari a € 750.000,00 non è conforme alla normativa di settore la richiesta di un fatturato specifico per ciascun esercizio del triennio antecedente la gara non inferiore a € 2.500.000,00.
Non è del pari conforme alla normativa di settore la richiesta che il requisito tecnico dell’avvenuta regolare esecuzione di almeno un servizio svolto nell’ambito di una infrastruttura aperta al pubblico analoga a quelle oggetto della procedura di importo annuo non inferiore a € 500.000,00, in caso di riunione di imprese, debba essere posseduto per intero rispettivamente dalla mandataria o dalla stessa consorziata del Consorzio ordinario di concorrenti già in possesso, almeno per il 60%, del requisito del fatturato specifico
(parere di precontenzioso 10.03.2011 n. 46 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: Qualora le disposizioni della lex specialis con le quali sono prescritti particolari adempimenti per l’ammissione alla gara indichino in modo equivoco taluni di detti adempimenti, esse vanno interpretate nel senso più favorevole all’ammissione degli operatori economici, corrispondendo all’interesse pubblico di assicurare un ambito più vasto di partecipanti e quindi, un’aggiudicazione alle condizioni migliori possibili.
E’ conforme al richiamato principio l’operato della Commissione di gara che, in presenza di profili di dubbio interpretativo ingenerato da difformità presenti nei documenti di gara (dichiarazioni richieste dal Capitolato di Appalto e dichiarazioni riprodotte nel fac-simile allegato al bando di gara) ha ritenuto di ammettere alla gara l’operatore economico che ha reso la dichiarazione attenendosi al fac-simile allegato al bando
(parere di precontenzioso 10.03.2011 n. 45 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: Costituisce jus receptum il principio per cui i requisiti richiesti dal bando devono essere posseduti dai concorrenti entro i termini richiesti dalla lex specialis al fine di assicurare l’affidabilità dell’offerta; né ciò può essere rinviato ad un momento successivo ed eventuale, quale l’esecuzione del contratto, pena la violazione del superiore principio della par condicio dei concorrenti, nonché per l’evidente rischio che correrebbero le stazioni appaltanti di affidare compiti fondamentali a soggetti di cui non si sia accertata tempestivamente la relativa capacità in termini adeguati alle esigenze sottese all’interesse pubblico perseguito ed esplicato nella medesima lex specialis (parere di precontenzioso 10.03.2011 n. 44 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI SERVIZI: La gestione di una Comunità alloggio (art. 55 L.R. Puglia n. 19/2006) richiede lo svolgimento di attività socio-assistenziali e di attività socio-riabilitative, riconducibili queste ultime ai sensi degli artt. 55 e 57 della citata legge ad interventi concernenti la cura della persona, la promozione e tutela dei processi di partecipazione sociale degli utenti, l’attivazione delle potenzialità relazionali, organizzative, espressive di questi ultimi.
Pertanto, nel caso di gara per l’affidamento della concessione di immobile comunale per la gestione di una comunità alloggio per soggetti diversamente abili, la richiesta tra i requisiti, da parte della stazione appaltante, anche di una competenza in attività socio-riabilitative non appare irragionevole
(parere di precontenzioso 10.03.2011 n. 43 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: Non è consentito chiedere l’integrazione della documentazione in presenza di clausole del bando chiare e dell’espressa previsione dell’esclusione in caso di mancato rispetto della lex specialis, pena la violazione della par condicio tra i concorrenti.
---------------
Le amministrazioni possono richiedere alle imprese requisiti di partecipazione ad una gara di appalto e di qualificazione più rigorosi e restrittivi di quelli minimi stabiliti dalla legge, purché tali prescrizioni rispettino il limite della logicità e ragionevolezza, e cioè della pertinenza e congruità a fronte dello scopo perseguito.
Tale limite non è superato dalla richiesta di referenze bancarie recanti l’attestazione che il fido generale eventualmente concedibile sarebbe di importo non inferiore alla somma del valore stimato dei singoli lotti dell’appalto giacché tale richiesta è chiaramente finalizzata a verificare l’affidabilità che le stesse banche dichiaranti attribuiscono all’operatore economico concorrente
(parere di precontenzioso 10.03.2011 n. 42 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: La richiesta ai concorrenti alle gare di appalto del pagamento di un doppio onere di partecipazione, rappresenta una violazione del principio della libera partecipazione agli appalti da parte degli operatori economici, atteso che l’unica forma di partecipazione consentita è il rimborso delle spese di riproduzione della documentazione di gara (fattispecie relativa alla previsione del pagamento di una somma di € 50,00 per il ritiro dell’attestazione di avvenuta presa visione dei luoghi e dei documenti inerenti l’appalto nonché di € 200,00 per il ritiro su supporto informatico (CD-ROM) di copia completa degli elaborati progettuali a base di gara).
---------------
La direttiva 2004/18/CE ("considerando" n. 46) prevede, nel caso di aggiudicazione all’offerta economicamente più vantaggiosa, la piena discrezionalità dell’amministrazione aggiudicatrice nella fissazione dei criteri, purché tali criteri siano indicati nel bando di gara.
La scelta del peso da attribuire a ciascun elemento dell’offerta è rimessa, quindi, caso per caso alla stazione appaltante, in relazione alle peculiarità specifiche dell’appalto e, dunque, all’importanza che, nel caso concreto, hanno il fattore economico quantitativo e gli elementi qualitativi.
Costituisce erronea applicazione dell'art. 83 del D.Lgs. n. 163/2006 la commistione fra requisiti soggettivi di partecipazione ed elementi oggettivi di valutazione dell'offerta, che si verifica quando elementi di valutazione specificati riguardano caratteristiche organizzative e soggettive del concorrente, che afferiscono all'esperienza pregressa maturata dalla concorrente ed al suo livello di capacità tecnica e specializzazione, ovvero ad aspetti che, in quanto tali, possono legittimamente rilevare solo in sede di qualificazione alla gara, e quindi solo quali criteri di ammissione alla stessa e non di valutazione dell’offerta
(parere di precontenzioso 10.03.2011 n. 40 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: Appare conforme alla disciplina di settore l’esclusione da una procedura di gara di un concorrente che abbia prodotto la documentazione concernente l’avvalimento priva di sottoscrizione autografa in originale da parte del rappresentante legale dell’impresa ausiliaria.
Infatti, ai sensi dell'art. 49, comma 2, lett. f), del D.Lgs. n. 163/2006, il concorrente che intende utilizzare l'istituto dell'avvalimento deve presentare, "in originale o copia autentica, il contratto in virtù del quale l'impresa ausiliaria si obbliga nei confronti del concorrente a fornire i requisiti e a mettere a disposizione le risorse necessarie per tutta la durata dell'appalto". E ciò in aggiunta ad una dichiarazione della impresa ausiliaria di analogo ma non identico tenore, ai sensi dell’art. 49, comma 2, lett. d), essendo quest’ultima rivolta "verso il concorrente e verso la stazione appaltante”.
La mancanza di sottoscrizione autografa originale, da parte del rappresentante legale dell'impresa ausiliaria del contratto di avvalimento, a fronte della necessaria forma scritta ad substantiam ex art. 1350, n. 13 c.c., non consente di attribuire con la necessaria certezza il documento al suo autore ed il relativo negozio ad una volontà validamente espressa, con ciò risultando evidentemente il contratto voluto dalla norma formalmente privo di valore alcuno, con conseguente inevitabile esclusione dalla gara per mancanza di un documento di rito
(parere di precontenzioso 10.03.2011 n. 39 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: I requisiti di capacità economica e finanziaria e di capacità tecnica e professionale per le imprese esecutrici di lavori pubblici, per i fornitori e per i prestatori di servizi, previsti, rispettivamente, dagli artt. 28, comma l, lett. a), b) e c), del D.P.R. n. 34/2000, dall'art. 41, comma 1, lett. b) e c) e dall'art. 42, comma 1, D.Lgs. n. 163/2006 possono essere provati dai concorrenti in sede di gara mediante dichiarazione sottoscritta in conformità alle disposizioni del D.P.R. del 28.12.2000, n. 445.
La loro sussistenza è, poi, accertata dalla stazione appaltante in base all'art. 48 D. Lgs. n. 163/2006, richiedendo ai concorrenti sorteggiati e ai primi due classificati la documentazione probatoria, che gli stessi sono tenuti ad esibire a conferma delle dichiarazioni rilasciate.
Nell’ambito delle verifiche ex art. 48 del Codice, ove la stazione appaltante richieda al concorrente la comprova dei requisiti dichiarati mediante l’esibizione dei relativi documenti in “originale” o “copia autentica”, tale ultima locuzione deve essere letta in conformità alla disciplina di carattere generale (applicabile anche alle procedure di scelta del contraente per espressa disposizione dell’art. 77-bis D.P.R. n. 445/2000) contenuta negli artt. 18 e 19 D.P.R. n. 445/2000, dal cui combinato disposto risulta che il legislatore -pur nei limiti fissati dal predetto art. 19- ha introdotto una modalità alternativa all’autenticazione di copie, che coinvolge direttamente il soggetto privato, il quale mediante dichiarazione sostitutiva dell'atto di notorietà, può attestare, per proprio conto, che è conforme all'originale la copia di:
- un documento conservato o rilasciato da una Pubblica amministrazione;
- una pubblicazione; un titolo di studio;
- un titolo di servizio; un documento fiscale che deve essere obbligatoriamente conservato dal privato.
In tale fase di verifica, dunque, legittimamente l’operatore economico può utilizzare le modalità alternative all’autenticazione di copie, essendo tale facoltà ammessa direttamente dal legislatore e non espressamente esclusa dalla stazione appaltante
(parere di precontenzioso 24.02.2011 n. 38 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: In ordine alle modalità di pagamento del contributo in favore dell’Autorità, è corretto prevedere l’esclusione da una gara solo nel caso in cui non sia stato effettuato tale pagamento e non nel differente caso in cui lo stesso sia stato effettuato mediante versamento su conto corrente postale, anziché secondo le nuove modalità.
L’esclusione dalla gara rappresenta un atto dovuto ogni qual volta si presenti un inadempimento di tipo sostanziale, consistente nel mancato pagamento delle contribuzioni dovute all’Autorità, e non un inadempimento di tipo formale (cfr. AVCP pareri n. 8 del 14.01.2010, n. 67 del 25.03.2010, n. 225 del 16.12.2010).
Ne deriva che se è corretto riportare nella lex specialis il contenuto delle istruzioni operative concernenti il versamento del contributo all’Autorità, prevedendo, altresì, l’esclusione in caso di mancato pagamento, non è, invece, corretto prevedere la medesima sanzione nel caso di violazione meramente formale delle predette istruzioni
(parere di precontenzioso 24.02.2011 n. 37 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: In ordine alle modalità di pagamento del contributo in favore dell’Autorità, è corretto prevedere l’esclusione da una gara solo nel caso in cui non sia stato effettuato tale pagamento e non nel differente caso in cui lo stesso sia stato effettuato mediante versamento su conto corrente postale, anziché secondo le nuove modalità.
L’esclusione dalla gara rappresenta un atto dovuto ogni qual volta si presenti un inadempimento di tipo sostanziale, consistente nel mancato pagamento delle contribuzioni dovute all’Autorità, e non un inadempimento di tipo formale (cfr. AVCP pareri n. 8 del 14.01.2010, n. 67 del 25.03.2010, n. 225 del 16.12.2010).
Ne deriva che se è corretto riportare nella lex specialis il contenuto delle istruzioni operative concernenti il versamento del contributo all’Autorità, prevedendo, altresì, l’esclusione in caso di mancato pagamento, non è, invece, corretto prevedere la medesima sanzione nel caso di violazione meramente formale delle predette istruzioni
(parere di precontenzioso 24.02.2011 n. 36 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

LAVORI PUBBLICI: Ai sensi dell’art. 90, comma 8, del D.Lgs. n. 163/2006 incorre nel divieto ivi sancito il partecipante alla procedura di affidamento di lavori che abbia predisposto o abbia avuto modo di conoscere, anche indirettamente, la progettazione preliminare, in quanto è sufficiente il solo sospetto della possibile lesione della trasparenza nella circolazione delle informazioni legate all’intervento, a costituire un vulnus al principio della par condicio (parere di precontenzioso 24.02.2011 n. 35 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: L’art. 41 del D.Lgs. n. 163/2006, come modificato dal D.Lgs. n. 152/2008, annovera tra i mezzi probatori che la stazione appaltante può richiedere ai concorrenti ai fini della dimostrazione della loro capacità economica e finanziaria, alla lettera a), la “dichiarazione di almeno due istituti bancari o intermediari autorizzati ai sensi del decreto legislativo 01.09.1993, n. 385”. Il comma 3, della disposizione prevede a tal riguardo l’ipotesi dell’impossibilità di presentare le referenze richieste “per giustificati motivi, ivi compreso quello concernente la costituzione o l’inizio di attività da meno di tre anni”; in tal caso, il legislatore consente di “provare la propria capacità economica e finanziaria mediante qualsiasi altro documento considerato idoneo dalla stazione appaltante”.
Tale facoltà, in quanto espressamente prevista dalla citata norma primaria (art. 41, comma 3, del D.Lgs. n. 163/2006), pur in assenza di una esplicita previsione del bando a proposito della produzione di una sola referenza bancaria, in luogo delle due richieste, è ugualmente esercitabile in virtù del carattere obbligatorio della previsione normativa di che trattasi.
Il concorrente ha la possibilità di presentare una sola referenza bancaria, o comunque di esonerarsi in parte dalla dimostrazione dei requisiti di capacità economico-finanziaria richiesti nel bando, a condizione che, nell’esplicitarne il giustificato motivo alla stregua del comma 3 dell’art. 41, contestualmente produca la documentazione alternativa atta a comprovare il possesso del requisito richiesto in sede di gara, poiché uno solo è il termine, essenziale a pena di esclusione, per la produzione della documentazione richiesta per l’ammissione ed illegittima è ogni integrazione postuma ai sensi dell’art. 46 del D.Lgs. n. 163/2006
(parere di precontenzioso 24.02.2011 n. 34 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: Per le società e gli enti l’obbligo di dichiarare l'assenza del c.d. “pregiudizio penale” ex art. 38 del Codice concerne tutti i soggetti, in atto, muniti dei poteri di rappresentanza, anche institoria o vicaria, ovvero il direttore tecnico, nonché tutti i soggetti cessati dalla carica nel triennio antecedente la pubblicazione del bando, indipendentemente dalla circostanza che non abbiano materialmente speso i loro poteri nella specifica gara.
Tale obbligo, espressivo di principi fondamentali di ordine pubblico, in caso di previsioni generiche della lex specialis, ne consente la eterointegrazione, ove manchino clausole esplicite con esso contrastanti.
Con riguardo ai soggetti cessati dalla carica, ai sensi dell’art. 47, comma 2, del D.P.R. n. 445/2000, al legale rappresentante è consentito produrre una dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà “per quanto a propria conoscenza
(parere di precontenzioso 24.02.2011 n. 33 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: In tema di dichiarazioni ex art. 38, per quanto concerne la corretta interpretazione da attribuirsi alla dichiarazione sull’insussistenza delle condizioni ostative alla partecipazione a gare pubbliche di appalto, di cui all’art. 38, lett. da “a” ad “m-quater” del D.Lgs. 163/2006 –ovvero se la stessa debba contenere la riproduzione integrale del contenuto delle lettere da “a” ad “m-quater”, oppure debba considerarsi sufficiente, ai fini della sua regolarità, il richiamo complessivo alla norma ed alle relative ipotesi– deve privilegiarsi un’interpretazione non formalistica, soprattutto a fronte di una lex specialis che non preveda la necessità di una dichiarazione che riporti integralmente il testo della norma in questione a pena di esclusione.
Deve quindi considerarsi sufficiente, ai fini della regolarità, il richiamo alla singola causa di esclusione dettata dalla norma di cui all’art. 38 citato, e la commissione di gara non può determinare l’esclusione dei partecipanti che abbiano presentato una dichiarazione nella quale vi sia un riferimento specifico alla norma di cui al citato art. 38 ed alla singola specifica condizione prevista dalla lex specialis, anche in coerenza con il principio in tema di contratti ad evidenza pubblica secondo cui le disposizioni del bando devono essere interpretate in modo da consentire la più ampia partecipazione dei concorrenti.
---------------
E’ noto il principio fondamentale a tenore del quale, mentre a fronte della violazione di un chiaro disposto della lex specialis previsto a pena di esclusione la stazione appaltante è vincolata a disporre il provvedimento esclusivo dell’offerta, diversamente, laddove tale specifica violazione non ci sia, ovvero nelle ipotesi in cui le prescrizioni del bando di gara siano possibili fonti di equivoci interpretativi, si impone, in un corretto rapporto tra Amministrazione e privato, una lettura applicativa del bando idonea a tutelare il principio di massima partecipazione e l’interesse pubblico all’individuazione della migliore offerta
(parere di precontenzioso 24.02.2011 n. 32 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: E’ noto il principio fondamentale a tenore del quale, mentre a fronte della violazione di un chiaro disposto della lex specialis previsto a pena di esclusione la stazione appaltante è vincolata a disporre il provvedimento di esclusione dell’offerta, diversamente, laddove tale specifica violazione non ci sia, ovvero nelle ipotesi in cui le prescrizioni del bando di gara siano possibili fonti di equivoci interpretativi, si impone, in un corretto rapporto tra Amministrazione e privato, una lettura applicativa del bando idonea a tutelare il principio di massima partecipazione e l’interesse pubblico all’individuazione della migliore offerta (parere di precontenzioso 24.02.2011 n. 31 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: In ordine alle modalità di pagamento del contributo in favore dell’Autorità, è corretto prevedere l’esclusione da una gara solo nel caso in cui non sia stato effettuato tale pagamento e non nel differente caso in cui lo stesso sia stato effettuato mediante versamento su conto corrente postale, anziché secondo le nuove modalità.
L’esclusione dalla gara rappresenta un atto dovuto ogni qual volta si presenti un inadempimento di tipo sostanziale, consistente nel mancato pagamento delle contribuzioni dovute all’Autorità, e non un inadempimento di tipo formale (cfr. AVCP pareri n. 8 del 14.01.2010, n. 67 del 25. 3.2010, n. 225 del 16.12.2010).
Ne deriva che se è corretto riportare nella lex specialis il contenuto delle istruzioni operative concernenti il versamento del contributo all’Autorità, prevedendo, altresì, l’esclusione in caso di mancato pagamento, non è, invece, corretto prevedere la medesima sanzione nel caso di violazione meramente formale delle predette istruzioni
(parere di precontenzioso 09.02.2011 n. 30 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: In ordine alle modalità di pagamento del contributo in favore dell’Autorità, è corretto prevedere l’esclusione da una gara solo nel caso in cui non sia stato effettuato tale pagamento e non nel differente caso in cui lo stesso sia stato effettuato mediante versamento su conto corrente postale, anziché secondo le nuove modalità.
L’esclusione dalla gara rappresenta un atto dovuto ogni qual volta si presenti un inadempimento di tipo sostanziale, consistente nel mancato pagamento delle contribuzioni dovute all’Autorità, e non un inadempimento di tipo formale (cfr. AVCP pareri n. 8 del 14.01.2010, n. 67 del 25.03.2010, n. 225 del 16.12.2010).
Ne deriva che se è corretto riportare nella lex specialis il contenuto delle istruzioni operative concernenti il versamento del contributo all’Autorità, prevedendo, altresì, l’esclusione in caso di mancato pagamento, non è, invece, corretto prevedere la medesima sanzione nel caso di violazione meramente formale delle predette istruzioni
(parere di precontenzioso 09.02.2011 n. 29 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: In ordine a regole della lex specialis che derogano alla disciplina di cui al D.Lgs. n. 231/2002, si osserva che la direttiva n. 2000/35/CE –recepita in Italia con il citato D.Lgs. n. 231/2002 sulla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali– contiene norme imperative, applicabili anche alle pubbliche amministrazioni, che non sono derogabili mediante la tacita accettazione delle condizioni difformi con la presentazione di una offerta in una gara pubblica di appalto.
La deroga ai termini di pagamento e agli interessi moratori per ritardato pagamento, fissati dalle menzionate disposizioni del predetto D.Lgs. n. 231/2002 è, pertanto, consentita solo previo accordo liberamente sottoscritto dalle parti (cfr. Consiglio Stato, Sez. V, 12.04.2005, n. 1638), assente nel caso di predeterminazione unilaterale nella lex specialis non negoziabile.
---------------
L’articolo 89, comma 3, del D.Lgs. n. 163/2006 stabilisce che nella predisposizione delle gare di appalto le stazioni appaltanti sono tenute a valutare che il valore economico sia adeguato e sufficiente rispetto al costo del lavoro come determinato ai sensi dell’art. 87, comma 2, lettera g).
Al decreto ministeriale di determinazione periodica del costo del lavoro non può che attribuirsi un valore meramente ricognitivo del costo del lavoro formatosi in un certo settore merceologico sulla base dei valori economici previsti dalla contrattazione collettiva, non potendo peraltro, mediante l’imposizione di determinati parametri nella formulazione delle offerte, eventualmente pregiudicare la partecipazione alle procedure di gara di operatori economici che, per particolari ragioni giuridico-economiche, valutate dalla stazione appaltante in sede di accertamento della congruità dell’offerta, possano presentare offerte più vantaggiose.
---------------
Per consolidata giurisprudenza della Corte di Giustizia europea, la differenza tra un appalto di servizi e una concessione di servizi risiede principalmente nelle modalità previste per l’attribuzione del corrispettivo dovuto a fronte del servizio reso dall’operatore economico.
Un appalto pubblico di servizi, ai sensi delle direttive 2004/18/CE e 2004/17/CE, comporta un corrispettivo che è pagato direttamente dall'amministrazione aggiudicatrice al prestatore di servizi; si è in presenza, invece, di una concessione di servizi quando le modalità di remunerazione pattuite consistono nel diritto dell’operatore economico di sfruttare la propria prestazione ed implicano che quest'ultimo assuma il rischio legato alla gestione dei servizi in questione.
Il vero discrimen tra concessione ed appalto deve essere ricercato nel differente destinatario della prestazione e nella diversa allocazione del rischio di gestione del servizio. In particolare, può parlarsi di concessione se il servizio è rivolto al pubblico e non direttamente all'Amministrazione e se, almeno per la parte prevalente, la remunerazione del concessionario derivi dalla gestione del servizio
(parere di precontenzioso 09.02.2011 n. 28 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: Ai sensi dell’art. 46 del Codice sussiste la facoltà della stazione appaltante di chiedere chiarimenti all’impresa concorrente in ordine alle attestazioni già presentate in sede di gara ed al contenuto delle stesse.
---------------
In ordine alle modalità di pagamento del contributo in favore dell’Autorità, è corretto prevedere l’esclusione da una gara solo nel caso in cui non sia stato effettuato tale pagamento e non nel differente caso in cui lo stesso sia stato effettuato mediante versamento su conto corrente postale, anziché secondo le nuove modalità. L’esclusione dalla gara rappresenta un atto dovuto ogni qual volta si presenti un inadempimento di tipo sostanziale, consistente nel mancato pagamento delle contribuzioni dovute all’Autorità, e non un inadempimento di tipo formale (cfr. AVCP pareri n. 8 del 14.01.2010, n. 67 del 25.03.2010, n. 225 del 16.12.2010).
Ne deriva che se è corretto riportare nella lex specialis il contenuto delle istruzioni operative concernenti il versamento del contributo all’Autorità, prevedendo, altresì, l’esclusione in caso di mancato pagamento, non è, invece, corretto prevedere la medesima sanzione nel caso di violazione meramente formale delle predette istruzioni
(parere di precontenzioso 09.02.2011 n. 27 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: Qualora il disciplinare di gara preveda chiaramente, a pena di esclusione, l’obbligo dell’offerente di includere taluni documenti nella busta comprendente la documentazione amministrativa, la commissione di gara –al fine di non violare il principio di par condicio– è tenuta ad escludere il concorrente che abbia omesso la presentazione dei richiesti documenti, non essendo possibile in tali casi consentire l’integrazione della documentazione mancante (parere di precontenzioso 09.02.2011 n. 26 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: Qualora la lex specialis commini espressamente l’esclusione dalla gara in conseguenza di determinate prescrizioni, l’Amministrazione è tenuta a dare precisa ed incondizionata esecuzione a dette prescrizioni, restando preclusa ogni valutazione circa la rilevanza dell’inadempimento, la sua incidenza sulla regolarità della procedura selettiva e la congruità della sanzione contemplata nella lex specialis, alla cui osservanza la stessa Amministrazione si è autovincolata al momento del bando.
Pertanto, laddove la clausola sia chiaramente evidenziata nell’ambito della lex specialis e formulata in termini letterali che non presentano profili di dubbio interpretativo, non può trovare applicazione il principio a tenore del quale le disposizioni con le quali siano prescritti particolari adempimenti per l’ammissione alla gara, ove indichino in modo equivoco taluni dei detti adempimenti, vanno interpretate nel senso più favorevole all’ammissione degli aspiranti, corrispondendo all’interesse pubblico di assicurare un ambito più vasto di valutazioni, e quindi, un’aggiudicazione alle condizioni migliori possibili.
Allo stesso modo, in presenza di una prescrizione del bando chiara, non è consentito alla stazione appaltante rivolgere un eventuale invito ai concorrenti alla regolarizzazione dei documenti prodotti; tale possibilità è riconosciuta solo in caso di equivocità della clausola del bando di gara
(parere di precontenzioso 09.02.2011 n. 25 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: Deve ritenersi conforme ai parametri di ragionevolezza, adeguatezza e proporzionalità, la clausola di un bando di gara contemplante, ai fini dell’ammissione dei concorrenti, la produzione del documento in originale o copia autentica comprovante l’avvenuta costituzione della cauzione provvisoria stabilendo, altresì, che “il relativo documento dovrà recare, a pena d’esclusione, la firma in originale del rappresentante legale, o suo delegato, sia dell’impresa concorrente che dell’istituto emittente”.
Tale clausola garantisce in maniera più forte l’impegno dei soggetti fideiussori (istituti di credito e assicurazioni) e non costituisce l’imposizione di un onere sproporzionato rispetto agli scopi perseguiti dalla stazione appaltante ovvero ex se eccessivamente gravoso
(parere di precontenzioso 09.02.2011 n. 24 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: L’art. 79 del D.Lgs. n. 163/2006, come modificato dal D.Lgs. n. 53/2010, consente alle stazioni appaltanti di chiedere ai partecipanti alle gare di indicare, all’atto di presentazione della candidatura o dell’offerta, il domicilio eletto ma riconosce, altresì, la facoltà di chiedere l’indicazione di altre forme di ricezione delle comunicazioni di gara, individuandole espressamente nella “posta elettronica”, genericamente menzionata senza fare alcun riferimento alla PEC, o nel “numero di fax”, senza possibilità di individuare ulteriori mezzi di comunicazione rispetto a quelli ordinari previsti; ciò anche alla luce della normativa di settore (cfr.: decreto legge 29.11.2008, n. 185, art. 16, comma 6) che impone alle società già operanti di munirsi di un indirizzo PEC non prima del mese di novembre 2011.
Si evidenzia, peraltro, che la disposizione in questione individua mezzi di comunicazione alternativi (l’indirizzo di posta elettronica o il numero di fax) e non cumulativi, pertanto non è conforme a tale previsione la clausola del bando di gara che preveda l’obbligo per i concorrenti di indicare “domicilio, fax e posta elettronica certificata (PEC)"
(parere di precontenzioso 09.02.2011 n. 23 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: Nell’ambito dei requisiti di partecipazione alle gare d’appalto, l’iscrizione in albi o elenchi (nella specie Albo regionale delle associazioni per la protezione degli animali) non rientra tra i “requisiti generali” tassativamente previsti dall’art. 38 del D.Lgs. n. 163/2006 ma va considerata quale requisito di “capacità” e, quindi, di idoneità allo svolgimento di una determinata attività, sicché può costituire oggetto di avvalimento ai sensi dell’articolo 49 del Codice dei contratti pubblici.
In mancanza di indicazioni (confermative o restrittive) contenute nel bando di gara, infatti, trova applicazione l'istituto dell'avvalimento nella sua massima estensione, avendo l'art. 49 del D.Lgs. n. 163/2006, di fonte comunitaria, un'efficacia integrativa automatica del bando di gara, anche laddove non vi sia un espresso richiamo e, dunque, l'assenza di espresse previsioni nella lex specialis di gara non costituisce motivo di impedimento al suo utilizzo, ma al contrario legittima i concorrenti a far uso della facoltà prevista dalla norma nella sua più ampia portata
(parere di precontenzioso 09.02.2011 n. 22 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: La clausola della lex specialis contemplante la necessità che l’offerta economica sia accompagnata da una fotocopia del documento di identità, pena l’esclusione dalla gara, costituisce un aggravio formale per i concorrenti, estendendo erroneamente ed ingiustificatamente all’offerta economica la disciplina prevista dal legislatore nell’art. 38, comma 3, del D.P.R. n. 445/2000 per le sole istanze e dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà da produrre alla pubblica amministrazione.
L’obbligo di allegazione del documento di identità stabilito dalla richiamata normativa non sussiste per le dichiarazioni di volontà di natura negoziale, qual è l’offerta, atteso che i dati identificativi di chi la sottoscrive non influiscono sulla valutazione della stessa
(parere di precontenzioso 09.02.2011 n. 21 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: La disciplina dell’affidamento degli appalti pubblici è governata dai principi di derivazione comunitaria in materia di concorrenza, libertà di stabilimento e libera prestazione dei servizi, che vedono quale corollario i principi di massima partecipazione alle pubbliche gare e, quindi, di tassatività delle cause di esclusione le quali, come evidenziato dalla giurisprudenza “possono essere legittimamente apposte dal legislatore nazionale, ovvero dalle singole stazioni appaltanti mediante una espressa clausola del bando, solo ove sorrette da un apprezzabile interesse pubblico nazionale riferito allo svolgimento della gara, ovvero alla successiva esecuzione del contratto, ovvero alla garanzia di par condicio dei concorrenti, purché alla stregua di canoni di ragionevolezza, adeguatezza e proporzionalità”.
Rispetta i predetti parametri di ragionevolezza, adeguatezza e proporzionalità, la richiesta, a pena di esclusione, di una dichiarazione del produttore tesa a garantire al committente, sin dalla fase di scelta del contraente, la corrispondenza dei prodotti offerti con quelli richiesti, a tutela dell’apprezzabile interesse pubblico alla realizzazione a regola d’arte dell’opera oggetto dell’appalto
(parere di precontenzioso 26.01.2011 n. 20 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: Secondo un consolidato indirizzo di questa Autorità (cfr.: determinazione n. 17 del 10.07.2002) e della stessa giurisprudenza amministrativa la scelta di intervenire in via di autotutela da parte della stazione appaltante costituisce frutto di una determinazione discrezionale e non vincolata.
---------------
Questa Autorità ha già chiarito che non può essere considerata in linea con le disposizioni contenute nell’allegato B del D.P.R. n. 554/1999 la formula adottata per l’attribuzione del punteggio relativo al prezzo offerto che comporta, nel caso l’offerta corrisponda al prezzo a base di gara, che il coefficiente di interpolazione risulti diverso da zero.
Con determinazione n. 4 del 20.05.2009 l’Autorità ha confermato che l’espressione che meglio risponde alle disposizioni vigenti è la seguente: “a) nel caso in cui il prezzo offerto è espresso in Euro: PPi = PPmax x (Pbase – Pi)/ (Pbase-Pmin), nella quale: PPi è il punteggio attribuito all’offerta del concorrente in rapporto all’elemento prezzo; Pmin è il prezzo minimo offerto; Pi è il prezzo offerto dal concorrente; PPmax è il punteggio massimo attribuibile all’elemento prezzo; Pbase è il prezzo posto a base di gara;
b) nel caso l’offerta è espressa in termini di ribasso percentuale rispetto all’importo a base di appalto: PPi = PPmax x ( Pr%i / Pr%max), nella quale: PPi è il punteggio attribuito all’offerta del concorrente in rapporto all’elemento prezzo; PPmax è il punteggio massimo attribuibile all’elemento prezzo; Pr%i è il ribasso offerto dal concorrente; Pr%max è il massimo ribasso offerto.

Infatti, da un lato, il mero rapporto tra i dati numerici delle offerte espresse in euro, se non raffrontato con il prezzo posto a base di gara (per differenza numerica) non ha alcun significato, dall’altro lato, l’utilizzo del dato percentuale per l’individuazione dei coefficienti di cui trattasi permette di tener conto dell’importo a base di gara e quindi dell’effettiva differenza tra le offerte.
E’ vero che quando si sceglie come criterio di aggiudicazione quello dell’offerta economicamente più vantaggiosa, l’individuazione della migliore offerta deve derivare da un apprezzamento complessivo dei fattori tecnici ed economici, dando prevalenza ai primi (cfr. art. 83, D.Lgs. n. 163/2006), ma tale esigenza, da una parte, non può comportare la scelta di derogare al criterio dell’interpolazione lineare (da 0 punti da assegnare all’offerta ipoteticamente pari all’importo posto a base di gara, a 40 punti da attribuire all’offerta economica caratterizzata dal miglior ribasso) al cui rispetto la stazione appaltante si è autovincolata e, dall’altra, risulta adeguatamente soddisfatta dalla scelta di attribuire 60 punti (dei 100 a disposizione) all’offerta tecnica
(parere di precontenzioso 26.01.2011 n. 19 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: Un inadempimento meramente formale non può essere considerato dalla stazione appaltante nel bando di gara sic et simpliciter causa di esclusione, senza procedere ad un previo accertamento dell’effettivo versamento dell’importo dovuto all’Autorità, in quanto l’esclusione dalla gara rappresenta un atto dovuto ogni qual volta che si presenti un inadempimento di tipo sostanziale, consistente nel mancato pagamento delle contribuzioni dovute all’Autorità, e non un inadempimento di tipo formale.
Ne deriva che se è corretto riportare nella lex specialis il contenuto delle istruzioni operative concernenti il versamento del contributo all’Autorità, prevedendo, altresì, l’esclusione in caso di mancato pagamento, non è invece corretto prevedere la medesima sanzione nel caso di violazione meramente formale delle predette istruzioni.
Osta a ciò, da un lato, il principio di stretta interpretazione della cause di esclusione dalle gare pubbliche –avendo previsto il legislatore l’esclusione solo in caso di mancato versamento del contributo– e dall’altro, i principi di ragionevolezza e proporzionalità dell’azione amministrativa –che sarebbero violati se la stazione appaltante non distinguesse, all’interno della lex specialis, tra inadempimenti di tipo sostanziale, comportanti l’esclusione del concorrente, ed inadempimenti di tipo formale, non aventi le stesse conseguenze dei primi
(parere di precontenzioso 26.01.2011 n. 18 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI FORNITURE: Come evidenziato nella determinazione n. 2 del 29.03.2007, sono da reputarsi in contrasto con il diritto comunitario e con l’art. 68, comma 13, del D.Lgs. n. 163/2006 “l'inserimento nei documenti di gara e nel progetto di clausole che di fatto impongono l'impiego di materiali o prodotti acquistabili da produttori determinati”.
Deve trovare applicazione e costituire fonte di orientamento della stazione appaltante il disposto dell’art. 68 comma 4, a tenore del quale, “quando si avvalgono della possibilità di fare riferimento alle specifiche di cui al comma 3, lettera a), le stazioni appaltanti non possono respingere un'offerta per il motivo che i prodotti e i servizi offerti non sono conformi alle specifiche alle quali hanno fatto riferimento, se nella propria offerta l'offerente prova in modo ritenuto soddisfacente dalle stazioni appaltanti, con qualsiasi mezzo appropriato, che le soluzioni da lui proposte ottemperano in maniera equivalente ai requisiti definiti dalle specifiche tecniche”.
Occorre, da un lato, fornire elementi tali da individuare le concrete esigenze di servizio e, dall’altro lato, garantire la verifica di equivalenza senza imporre paletti rigorosi e, in quanto privi di riferimento alle proprie esigenze ma solo riferibili ad alcuni limitati produttori, discriminatori. Se tale principio assume rilievo preminente a fronte del richiamo di specifiche norme tecniche e di omologazione, ancor più dovrà imporsi rispetto a requisiti di dettaglio autonomi e privi di analogo richiamo, cosicché in tal caso deve essere garantita la possibilità di dimostrare con qualsiasi mezzo appropriato che le soluzioni tecniche e dimensionali proposte, seppur diverse, garantiscono lo stesso risultato perseguito e le esigenze sottese.
Pertanto, un eccessivo dettaglio dei requisiti richiesti deve essere armonizzato con i principi di cui all’art. 68 del D.Lgs. n. 163/2006
(parere di precontenzioso 26.01.2011 n. 17 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: I punti cardine della disciplina legislativa dell’offerta anomala sono i seguenti: la determinazione della soglia di presunta anomalia che dà luogo al doveroso esercizio, da parte della stazione appaltante, della potestà di valutazione della congruità dell'offerta; l'esclusione dell'applicazione di tale criterio di determinazione soltanto qualora il numero delle offerte ammesse sia inferiore a cinque; in ogni caso, la facoltà di valutare la congruità di ogni altra offerta che, in base a elementi specifici, appaia anormalmente bassa.
L'art. 86 del D.Lgs. n. 163/2006 sottopone il canone dell'anomalia ad un criterio di valutazione oggettivo, a tutela di un bene generale quale il rispetto della concorrenza e del mercato; e il rispetto di tale valore, cui è funzionalizzato il relativo procedimento delineato nei successivi articoli 87 e 88, si traduce nel rigoroso controllo della serietà dell'offerta e dell'affidabilità dell'offerente, imponendosi a tutti i soggetti che operano in veste di partecipanti alla pubblica gara. L'articolo 88 del Codice delinea un sub-procedimento di verifica delle offerte anomale di cui disciplina la fase istruttoria, prevedendo le modalità di richiesta di giustificazioni, i termini concessi al concorrente, le modalità di svolgimento in contraddittorio della fase di verifica.
La valutazione della congruità o non congruità delle offerte deve essere effettuata attraverso un’analisi globale e sintetica delle singole componenti di cui si articola l’offerta e della incidenza che queste hanno sull’offerta considerata nel suo insieme. La verifica deve essere, pertanto, finalizzata ad accertare se la non congruità di una o più componenti dell'offerta si traduce nella inattendibilità dell'offerta nel suo insieme
(parere di precontenzioso 26.01.2011 n. 16 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: Costituisce jus receptum il principio per cui la regolarizzazione documentale può essere consentita solo quando i vizi siano puramente formali, o chiaramente imputabili ad errore solo materiale, e sempre che riguardino dichiarazioni o documenti non richiesti a pena di esclusione, non essendo, in quest'ultima ipotesi, ammessa la sanatoria o l’integrazione postuma, che si tradurrebbe in una violazione dei termini massimi di presentazione dell’offerta e, in definitiva, in una violazione della par condicio.
Sanatorie documentali sono dunque consentite –con la possibilità di integrare successivamente la documentazione prodotta con la domanda di partecipazione alla gara o, comunque, con l’offerta– nel rispetto di un duplice limite: la regolarizzazione deve riferirsi a carenze puramente formali od imputabili ad errori solo materiali; non può mai riguardare produzioni documentali che abbiano violato prescrizioni del bando o della lettera di invito sanzionate con una comminatoria di esclusione.
---------------
La ratio della normativa di cui all’art. 38 del D.Lgs. n. 163/2006 risiede nella esigenza di verificare l’affidabilità complessivamente considerata dell’operatore economico che andrà a contrattare con la p.a., per evitare, a tutela del buon andamento dell’azione amministrativa, che quest’ultima entri in contatto con soggetti privi di affidabilità morale e professionale. Di volta in volta la lex specialis della singola gara detta regole di specificazione di tale onere che, se da un lato assumono il valore di vincolo per la stessa stazione appaltante e per gli aspiranti partecipanti, dall’altro devono sottostare agli ordinari criteri della chiarezza di redazione e della ragionevolezza di applicazione.
La mancanza della dichiarazione da parte di alcuni dei professionisti concorrenti in costituendo raggruppamento temporaneo comporta necessariamente l’esclusione dalla procedura concorsuale ai sensi dell’art. 9, comma 3.1, del bando, sia in termini formali di violazione delle statuizioni della lex specialis previste a pena di esclusione sia in termini sostanziali a fronte dell’impossibilità per la stazione appaltante di valutare l’assenza di cause ostative ex art. 38 del D.Lgs. n. 163/2006.
Né appare ipotizzabile un’esclusione in parte qua dei professionisti facenti parte dei costituendi raggruppamenti, in quanto le offerte devono essere valutate nella loro interezza. Altrimenti opinando si violerebbe il principio del generale divieto di modificabilità soggettiva della composizione dei partecipanti alla gara
(parere di precontenzioso 26.01.2011 n. 15 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: E’ conforme l’esclusione dell’operatore economico che, tra la documentazione allegata all’offerta, ha omesso di includere la dichiarazione espressamente prevista dal disciplinare di gara relativa ai soggetti cessati dalla carica (parere di precontenzioso 26.01.2011 n. 13 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: La sigillatura mediante ceralacca e il timbro della società risultano esaustivamente rispondenti al fine di assicurare la chiusura e di confermare l'autenticità della chiusura originaria proveniente dal mittente, al fine di evitare manomissioni del contenuto del plico stesso e, quindi, la necessaria segretezza dell’offerta, a tutela della par condicio.
Inoltre, l’apposizione della controfirma sui lembi di chiusura, nonché del timbro della società è idonea a evitare (non solo) la manomissione da parte di terzi del plico, ma anche ad attestare che il contenuto dello stesso fosse quello approvato dal concorrente che lo aveva presentato e, quindi, la provenienza dall’offerente, nel rispetto del principio dell'integrità e imputabilità dell’offerta che governa la materia delle gare pubbliche.
L’esegesi della portata delle clausole che comminano l’esclusione dell’offerta per violazione delle regole di formazione della stessa, nell’ambito di una gara pubblica, deve essere condotta secondo un criterio rigoroso, che impedisce ogni lettura che ne estenda l’efficacia oltre i limiti di riferimento chiaramente ricavabili dal dato testuale
(parere di precontenzioso 26.01.2011 n. 12 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: L’azione dell’amministrazione conosce dei limiti interni, costituiti dal necessario rispetto dei principi costituzionali ed in particolare dei principi di contabilità pubblica ex art. 81 e di legalità e buon andamento ex art. 97.
Pertanto, secondo la giurisprudenza amministrativa, “il corretto svolgimento dell’azione amministrativa ed un generale principio di contabilità dello Stato risalente all’art. 81 della Costituzione esigono che i provvedimenti comportanti una spesa siano adottati solo se provvisti di adeguata copertura finanziaria”, e tale non può considerarsi il riferimento contenuto in un bando di gara ad un finanziamento solo ipotetico e potenziale.
L’amministrazione non avrebbe potuto dar corso ad una procedura ad evidenza pubblica avente quale atto presupposto una determinazione a contrarre non esecutiva per mancanza del visto di regolarità contabile.
---------------
Nei casi in cui la richiesta di parere ex articolo 6, comma 7, lettera n), del DLgs. n. 163/2006 censuri profili della lex specialis che attengono alla corretta applicazione della disciplina legislativa di settore, impedendo la partecipazione, ostacolando o comunque restringendo la concorrenza, può sussistere un interesse strumentale di un soggetto non partecipante alla gara all’enunciazione di principi che possano orientare, anche in futuro, le stazioni appaltanti nella stesura dei bandi di gara nel pieno rispetto della disciplina legislativa vigente in materia di appalti pubblici.
In particolare, laddove si sia in presenza di clausole c.d. escludenti -cioè di clausole che precludono la partecipazione alla gara, impedendo l'ammissione alla stessa, o di quelle che non consentono di effettuare un'offerta concorrenziale- l'onere di presentare la domanda di partecipazione costituisce un inutile aggravio a carico dell'impresa.
L’Autorità è competente ad esaminare l’avvenuto rispetto della concorrenza sotto il profilo della garanzia di un’ampia apertura al mercato a tutti gli operatori economici del settore ed in particolare è chiamata a vigilare su un’effettiva concorrenza che, come statuito dalla Corte Costituzionale nella sentenza del 22.11.2007, n. 401, deve essere intesa come concorrenza “per” il mercato, in cui il contraente venga scelto mediante procedure di garanzia che assicurino il rispetto dei valori comunitari e costituzionali
(parere di precontenzioso 12.01.2011 n. 11 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

INCARICHI PROGETTUALI: La determinazione n. 5/2010 ha chiarito che “qualora la prestazione riguardi opere caratterizzate da più aspetti per esempio, qualora si tratti di progetti integrati e cioè progetti che prevedano prestazioni di natura architettonica, strutturale ed impiantistica, il criterio di valutazione a) (professionalità o adeguatezza dell’offerta) dovrebbe essere suddiviso in sub criteri e relativi sub pesi (professionalità o adeguatezza dell’offerta sul piano architettonico, professionalità o adeguatezza dell’offerta su piano strutturale, professionalità o adeguatezza dell’offerta sul piano impiantistico).
Tale tipo di scomposizione non deve, invece, riguardare il criterio di valutazione b) (caratteristiche qualitative e metodologiche dell’offerta o caratteristiche metodologiche dell’offerta), in quanto è proprio la metodologia progettuale offerta che deve tenere conto che il progetto, pur presentando aspetti architettonici, strutturali ed impiantistici, resta un unico ed è proprio la migliore modalità proposta dai concorrenti per dare soluzione al rapporto fra i tre aspetti che condiziona la valutazione dell’offerta
”.
Non è conforme alla specifica normativa di settore e risulta lesiva della concorrenza la lex specialis che abbia omesso di indicare i cd. criteri motivazionali, e, là dove necessari, i sub criteri di valutazione dell’offerta.
---------------
Costituisce una limitazione della partecipazione alla gara contraria al principio della massima concorrenza, l’aver fissato i requisiti tecnico-organizzativi di partecipazione in maniera difforme rispetto all’art. 66 del D.P.R. n. 554/1999 (applicabile fino all'entrata in vigore del regolamento di attuazione del Codice dei contratti), ed in particolare in modo più restrittivo.
Un bando di gara che prenda in considerazione o i soli servizi di progettazione o i soli servizi di direzione dei lavori e, per la figura del direttore dei lavori, richieda esclusivamente l’esperienza professionale acquisita nello svolgimento dei servizi di direzione contrasta con la norma citata la quale, ai fini della dimostrazione della capacità tecnica ed organizzativa, ritiene utile l’esperienza acquisita nello svolgimento di tutti i servizi di ingegneria di cui all’art. 50 del medesimo D.P.R..
---------------
L’Autorità, con la determinazione n. 5/2010, ha precisato che nel caso dei servizi tecnici si possono verificare due ipotesi: l’appalto prevede l’affidamento di servizi appartenenti ad una sola classe e categoria; l’appalto prevede l’affidamento di servizi appartenenti a più classe e categorie.
Nel primo caso, possono partecipare all’appalto concorrenti singoli e raggruppamenti temporanei di tipo orizzontale. Nel secondo caso, possono partecipare concorrenti singoli e concorrenti in raggruppamento di tipo verticale o misto. Si precisa che, nel caso di raggruppamenti orizzontali, il requisito di cui all’articolo 65, comma 4 del d.P.R. n. 554/1999 per la mandataria riguarda una percentuale di requisiti minimi, che la stazione appaltante può fissare entro il limite massimo del 60%. Le mandanti devono coprire la restante quota del limite stabilito per la mandataria. (…).
Nel caso di raggruppamento di tipo verticale, la mandataria, ai sensi di quanto disposto dall’articolo 37, comma 2, del Codice, deve possedere i requisiti nella percentuale del 100% di quanto previsto nel bando e con riferimento alla classe e categoria dei lavori di maggiore importo e, pertanto da considerarsi la classe e categoria principale in termini economici, e ognuna delle mandanti deve possedere i requisiti nella percentuale del 100% di quanto previsto nel bando e con riferimento alla classe e categoria dei lavori che intende progettare.
Sulla base di quanto sopra evidenziato, in caso di raggruppamento di tipo misto, qualora il bando preveda una prestazione principale e più prestazioni secondarie, deve essere presente per ogni classe e categoria un concorrente che possieda i requisiti nella percentuale almeno pari a quella indicata nei documenti di gara come requisiti minimi della mandataria.
---------------
Nei casi in cui la richiesta di parere ex articolo 6, comma 7, lettera n), del DLgs. n. 163/2006 censuri profili della lex specialis che attengono alla corretta applicazione della disciplina legislativa di settore, impedendo la partecipazione, ostacolando o, comunque, restringendo la concorrenza, può sussistere un interesse strumentale di un soggetto non partecipante alla gara all’enunciazione di principi che possano orientare, anche in futuro, le stazioni appaltanti nella stesura dei bandi di gara nel pieno rispetto della disciplina legislativa vigente in materia di appalti pubblici
(parere di precontenzioso 12.01.2011 n. 10 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: Se è corretto riportare nella lex specialis il contenuto delle istruzioni operative concernenti il versamento del contributo all’Autorità, prevedendo, altresì, l’esclusione in caso di mancato pagamento, non è, invece, corretto prevedere la medesima sanzione nel caso di violazione meramente formale delle predette istruzioni.
Osta a ciò, da un lato, il principio di stretta interpretazione della cause di esclusione dalle gare pubbliche –avendo previsto il legislatore l’esclusione solo in caso di mancato versamento del contributo– e dall’altro, i principi di ragionevolezza e proporzionalità dell’azione amministrativa –che sarebbero violati se la stazione appaltante non distinguesse, all’interno della lex specialis, tra inadempimenti di tipo sostanziale, comportanti l’esclusione del concorrente, ed inadempimenti di tipo formale, non aventi le stesse conseguenze dei primi
(parere di precontenzioso 12.01.2011 n. 9 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI SERVIZI: L’individuazione del corrispettivo d’appalto non può prescindere, per il rispetto dei basilari principi di efficienza, efficacia e correttezza, da una verifica sostanziale della sua congruità, che deve essere valutata su una puntuale verifica delle singole prestazioni dedotte in appalto. Per ricondurre ad unità tutte le diverse prestazioni richieste e addivenire alla remunerazione complessiva del prestatore del servizio, l’amministrazione può individuare un prezzo a forfait, che presuppone, ovviamente, l’effettuata analisi dei costi delle singole prestazioni dedotte nel contratto.
Per l’affidamento di un servizio di ossigenoterapia domiciliare è compatibile con la normativa di settore la scelta della ASL di configurare il prezzo a base d’asta sulla base di un canone giornaliero forfetario per assistito, purché la stazione appaltante effettui, preventivamente, una puntuale analisi dei costi delle singole prestazioni dedotte nel contratto per garantire la remuneratività del corrispettivo d’appalto, tenuto conto dell’obbligo incombente sulle stazioni appaltanti ai sensi dell’art. 89, comma 1, del D.Lgs. n. 163/2006, sia un’adeguata stima, ancorché in termini presuntivi, dei fabbisogni di ossigeno per paziente al metro cubo.
---------------
La qualificazione giuridica dell’appalto misto avente per oggetto prodotti e servizi deve essere effettuata utilizzando il c.d. “principio della prevalenza economica”, in base al quale l’appalto è considerato un appalto di servizi solo se il valore di questi è complessivamente superiore al totale delle voci previste nel quadro economico per i prodotti oggetto delle forniture
(parere di precontenzioso 12.01.2011 n. 8 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

LAVORI PUBBLICI: Non appare ragionevole giustificare la scelta del Comune appaltante di non valutare i servizi eseguiti in relazione a lavori espletati in favore di privati, perché anche la corretta esecuzione di interventi del genere può garantire alla stazione appaltante la necessaria competenza dei concorrenti in relazione all’oggetto della gara (caso di progettazione esecutiva e realizzazione di un asilo nido), considerato che la prestazione richiesta non si differenzia, sostanzialmente, sotto il profilo tecnico-professionale, dagli interventi eseguiti in favore di privati.
A conferma della correttezza dell’interpretazione proposta si evidenzia che nel nuovo Regolamento di esecuzione ed attuazione del D.Lgs. n. 163/2006, pubblicato nella G.U. 10.12.2010, n. 288, l’art. 263 (che riproduce con modifiche l’art. 66 del D.P.R. n. 554/1999) al comma 2, quarto periodo opportunamente precisa che “Sono valutabili anche i servizi svolti per committenti privati documentati attraverso certificati di buona e regolare esecuzione rilasciati dai committenti privati o dichiarati dall’operatore economico che fornisce, su richiesta della stazione appaltante, prova dell’avvenuta esecuzione attraverso gli atti autorizzativi o concessori, ovvero il certificato di collaudo, inerenti il lavoro per il quale è stata svolta la prestazione, ovvero tramite copia del contratto e delle fatture relative alla prestazione medesima
(parere di precontenzioso 12.01.2011 n. 7 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

LAVORI PUBBLICI: Il Decreto ministeriale n. 37/2008 ha innovato alla precedente disciplina in materia di sicurezza degli impianti; nondimeno, non è stata prevista la completa abrogazione della disciplina previgente. Tale circostanza determina un duplice ordine di effetti: da un lato, non è possibile “traslare” automaticamente le abilitazioni riconosciute ai sensi della legge n. 46/1990 in quelle concesse ai sensi del D.M. n. 37/2008; dall’altro, non è possibile ritenere che le precedenti abilitazioni siano divenute totalmente prive di efficacia.
Se la stazione appaltante non ha inequivocabilmente formulato una richiesta di possesso della sola abilitazione ai sensi del D.M. n. 37/2008, l’applicazione del canone della cd. interpretazione oggettiva comporta che tra “interno volere” e “dichiarazione esteriore” deve prevalere quest’ultima, per cui ciò che conta è la dichiarazione che è cristallizzata nel bando di gara.
L’abilitazione di cui alla legge 46/1990, in quanto non annoverata nella tassativa elencazione dei requisiti di qualificazione d’ordine generale e d’ordine speciale previsti rispettivamente dagli artt. 17 e 18 del D.P.R. 34/2000, viene in rilievo solo ai fini dell’esecuzione dell’appalto, ma non costituisce requisito di partecipazione alle gare, onde è in linea generale irrilevante ai fini dell’esclusione dalle stesse
(parere di precontenzioso 12.01.2011 n. 6 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: La stazione appaltante vanta un apprezzabile margine di discrezionalità nel chiedere requisiti di capacità economica e finanziaria ulteriori e più severi rispetto a quelli indicati all’art. 41, comma 1, del D.Lgs n. 163/2006, ma con il limite del rispetto dei principi di proporzionalità e ragionevolezza e, cioè, della loro pertinenza e congruità a fronte dello scopo perseguito; sicché non è consentito pretendere il possesso di requisiti sproporzionati o estranei rispetto all’oggetto della gara (parere di precontenzioso 12.01.2011 n. 5 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: La previsione della lex specialis che sanziona con l’esclusione non soltanto il mancato pagamento del contributo a favore dell’Autorità, ma anche l’avvenuto pagamento con modalità difformi da quelle prescritte nel disciplinare di gara, non è corretta ed anzi si pone in contrasto con i principi di derivazione comunitaria che regolano la materia degli affidamenti degli appalti pubblici.
Infatti, se è corretto riportare nella lex specialis il contenuto delle istruzioni operative concernenti il versamento del contributo all’Autorità, prevedendo l’esclusione in caso di mancato pagamento, non è, invece, corretto prevedere la medesima sanzione nel caso di violazione meramente formale delle predette istruzioni.
Osta a ciò, da un lato, il principio di stretta interpretazione della cause di esclusione dalle gare pubbliche –avendo previsto il legislatore l’esclusione solo in caso di mancato versamento del contributo– e dall’altro, i principi di ragionevolezza e proporzionalità dell’azione amministrativa –che sarebbero violati se la stazione appaltante non distinguesse, all’interno della lex specialis, tra inadempimenti di tipo sostanziale, comportanti l’esclusione del concorrente, ed inadempimenti di tipo formale, non aventi le stesse conseguenze dei primi
(parere di precontenzioso 12.01.2011 n. 4 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: In generale va ribadito il principio per cui la facoltà delle stazioni appaltanti di richiedere nel bando di gara requisiti di partecipazione e di qualificazione ulteriori rispetto a quelli espressamente stabiliti dalla legge trova un limite nel principio di proporzionalità e ragionevolezza, nonché nel divieto di inutile aggravamento del procedimento di cui all'art. 1, comma 2, della legge n. 241 del 1990.
Pertanto, l’adeguatezza e la proporzionalità dei requisiti richiesti dal bando vanno valutate con riguardo non solo all’importo dell’appalto, ma al suo oggetto ed alle sue specifiche peculiarità, sicché la richiesta di un determinato fatturato, sia globale che in servizi analoghi, va commisurata al concreto interesse della stazione appaltante a una certa affidabilità del proprio interlocutore contrattuale, avuto riguardo alle prestazioni oggetto di affidamento.
Risultano congrue e proporzionali, sia con riguardo al valore dell’appalto sia rispetto allo specifico oggetto della gara ed alla sua importanza, in definitiva adeguate in relazione all’interesse pubblico perseguito, la richiesta di un fatturato globale nel triennio solo di un terzo superiore rispetto alla stima del servizio posto a base di gara per la durata di un anno, e la richiesta di un fatturato in servizi analoghi, nello stesso triennio considerato, addirittura inferiore al suddetto importo a base d’asta; per altro verso, l’oggettiva complessità del servizio oggetto di gara (e, quindi, tale da esigere un’organizzazione particolarmente solida, articolata e rodata), rende del tutto giustificata la volontà della stazione appaltante di individuare interlocutori in possesso di un’esperienza specifica particolarmente profonda, e quindi tali da garantire anche sul piano economico una speciale affidabilità
(parere di precontenzioso 12.01.2011 n. 3 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

INCARICHI PROGETTUALI: Costituisce una limitazione della partecipazione alla gara contraria al principio della massima concorrenza la fissazione di requisiti tecnici e professionali minimi di accesso dei candidati che prenda in considerazione i soli servizi di “direzione dei lavori”, quindi in maniera più restrittiva rispetto all’art. 66 del D.P.R. n. 554/1999.
Tale norma infatti, ai fini della dimostrazione della capacità tecnico-organizzativa, ritiene utile l’esperienza pregressa acquisita nello svolgimento di tutti i servizi di ingegneria.
---------------
L’art. 42, comma 1, del D.Lgs. n. 163/2006 attribuisce eguale valore alle prestazioni pregresse eseguite nei confronti di soggetti pubblici e di soggetti privati, prevedendo solo una diversa modalità probatoria del requisito.
Non appare ragionevole la scelta della stazione appaltante di non considerare i servizi eseguiti in relazione a lavori espletati in favore di privati, e nemmeno quelli svolti per conto di soggetti comunque tenuti al rispetto di procedure e regole proprie dei contratti pubblici, al di là della formale qualificazione soggettiva di pubblica amministrazione, perché anche la corretta esecuzione di interventi del genere può garantire alla stazione appaltante la necessaria competenza dei concorrenti in relazione all’oggetto della gara, considerato che la prestazione non si differenzia, sotto il profilo tecnico-professionale, dagli interventi eseguiti in favore di privati (
parere di precontenzioso 12.01.2011 n. 2 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza, il divieto di commistione tra requisiti di partecipazione alla gara e criteri di valutazione dell’offerta costituisce un sicuro principio di derivazione nazionale e comunitaria, con la sola eccezione nel caso in cui gli aspetti organizzativi o le esperienze pregresse, per il loro stretto collegamento con lo specifico oggetto dell’appalto, non vengano considerati in quanto tali, ma come elemento incidente sulle modalità esecutive dello specifico servizio, e quindi come parametro afferente alle caratteristiche oggettive dell’offerta.
Il divieto in questione può quindi essere “attenuato” solo quando consente di rispondere in concreto alle possibili specificità che le procedure di affidamento degli appalti pubblici in talune ipotesi presentano. In ogni caso la pregressa esperienza non può avere un valore preponderante nella valutazione complessiva dell’offerta.
Pertanto, se il requisito della pregressa esperienza dei concorrenti è suscettibile di attribuzione di un massimo di 40 punti su 100, esso è potenzialmente in grado di incidere in maniera rilevante sulla determinazione del punteggio complessivo, e appare tale da alterare la concorrenza e il principio di parità di trattamento tra i concorrenti
(parere di precontenzioso 12.01.2011 n. 1 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

NEWS

ENTI LOCALI - VARIFabbricati rurali, le domande da presentare fino al 31.03.2012.
Prorogato al 31.03.2012 il termine per la presentazione delle domande di variazione catastale all'agenzia del Territorio al fine di ottenere le agevolazioni fiscali sui fabbricati rurali.

Il differimento del termine è previsto dall'articolo 29, comma 8, del dl 216, che considera regolari anche le domande presentate dopo la scadenza del termine originario fissato al 30.09.2011.
La norma fa salvo però il classamento originario degli immobili rurali a uso abitativo.
Quindi sono interessati alle variazioni i titolari di immobili strumentali, per ottenere l'inquadramento catastale nella categoria D/10, per i quali dal prossimo anno con l'introduzione dell'Imu non sarà più prevista l'esenzione, ma un trattamento agevolato con applicazione dell'aliquota del 2 per mille, che i comuni potranno ridurre all'1 per mille.
Va ricordato che con decreto del ministro dell'Economia e delle finanze del 14.09.2011, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 220/2011, è stata data attuazione alle disposizioni contenute nell'art. 7, commi 2-bis e seguenti, del Dl Sviluppo (70/2011).
Sono state infatti fissate le modalità procedurali per la presentazione delle domande di variazione catastale all'agenzia del Territorio al fine di ottenere i benefici fiscali sui fabbricati rurali. Inoltre, sono stati indicati i documenti necessari che i contribuenti devono allegare alle richieste che potranno essere presentate, in seguito alla proroga, entro il 31.03.2012. Il provvedimento ministeriale ha dato indicazioni sul contenuto delle domande di variazione catastale e delle autocertificazioni che i contribuenti devono allegare alle istanze.
L'agenzia del Territorio, con la circolare 6/2011, ha fornito dei chiarimenti sugli adempimenti che devono porre in essere gli interessati.
Nella circolare viene precisato che la domanda di variazione per il riconoscimento della categoria catastale deve essere presentata solo per le unità immobiliari già iscritte al Catasto edilizio urbano, secondo le seguenti modalità:
● mediante consegna diretta all'ufficio;
● tramite servizio postale, con raccomandata con avviso di ricevimento;
● tramite fax;
● mediante posta elettronica certificata.
Gli indirizzi degli uffici locali dell'Agenzia e ogni altro riferimento o indicazione utili alla presentazione della domanda di variazione sono consultabili sul sito internet: www.agenziaterritorio.gov.it.
L'istanza deve presentata all'ufficio competente, in duplice originale, direttamente dal proprietario o titolare del diritto reale sui fabbricati rurali o tramite i soggetti incaricati, vale a dire i professionisti abilitati alla redazione degli atti di aggiornamento del Catasto terreni ed edilizio urbano oppure tramite le associazioni di categoria degli agricoltori.
Un originale deve essere restituito come ricevuta al soggetto che ha presentato la domanda. Se la richiesta viene spedita tramite raccomandata con avviso di ricevimento, mediante fax o per posta elettronica certificata fanno fede, rispettivamente, le date di spedizione, di invio del fax o l'attestato di trasmissione elettronica. La compilazione e la presentazione della domanda è consentita anche con modalità informatiche (articolo ItaliaOggi del 31.12.2011).

ENTI LOCALIVecchie regole per i revisori locali.
Per la scelta dei propri nuovi revisori dei conti, gli enti locali devono continuare a seguire le vecchie regole, sia per quanto riguarda le modalità di nomina sia per la durata del mandato.

Nell'ultima versione del «Milleproroghe» (Dl 216/2011), è saltata la norma che avrebbe dato più tempo per la fissazione delle nuove regole, introdotte dalla manovra-bis di Ferragosto (articolo 16, comma 25, del Dl 138/2011) con il principio del sorteggio presso le Prefetture (si veda anche Il Sole 24 Ore di ieri).
I termini previsti dalla norma per l'emanazione del decreto ministeriale con cui il Viminale avrebbe dovuto indicare le modalità operative della nuova disciplina sono abbondantemente scaduti (andava pubblicato entro il 15 novembre) e nel frattempo rimangono, dunque, valide le indicazioni ministeriali sulla necessità di seguire le vecchie procedure fino a quando le nuove non saranno pronte.
Anche perché la pubblicazione del decreto, che oltre ai requisiti per accedere alle varie fasce demografiche dovrebbe indicare anche le modalità per esprimere le preferenze territoriali degli aspiranti revisori, non basta da sola a far partire la giostra dei sorteggi, a cui serve anche il varo delle liste regionali e la preparazione dei sistemi informatici per gestire le richieste. Nel frattempo, quindi, è il decreto legislativo 293/1994 (articolo 3, comma 1) a dettare legge, prevedendo una proroga massima di 45 giorni per i collegi in carica e il rinnovo con il passaggio in consiglio comunale.
Per quanto riguarda le altre scadenze, invece, si sposta a giugno il termine per la gestione associata delle prime due funzioni fondamentali nei Comuni fino a 10mila abitanti, e slitta di un anno l'applicazione della "riforma" della riscossione come previsto dal Dl 201/2011 (articolo Il Sole 24 Ore del 31.12.2011).

ENTI LOCALIRevisori estratti a sorte, anzi no. Salta il rinvio della riforma che è in stand by in attesa del dm. La mancata proroga dell'art. 16 lascia invariata anche la dead line per le dismissioni societarie.
Nessun rinvio per l'estrazione a sorte dei revisori locali e la dismissione delle società partecipate. La mancata proroga delle norme sull'associazionismo dei piccoli comuni contenute nell'art. 16 della manovra di Ferragosto (dl n. 138/2011) vanifica anche due differimenti molto attesi dagli enti.
E che, stando alle prime indiscrezioni sul decreto milleproroghe (dl n. 216/2011), avrebbero dovuto trovare posto nel provvedimento, salvo poi scomparire all'improvviso nel testo pubblicato giovedì sera in Gazzetta Ufficiale (si veda ItaliaOggi di ieri).

Il primo rinvio avrebbe dovuto riguardare il comma 25 dell'art. 16, quello per intenderci che ha affidato la nomina dei revisori locali a una sorta di lotteria con tanto di estrazione a sorte da un elenco in cui i professionisti saranno inseriti in base a criteri non ancora definiti da parte del ministero dell'interno. Il mancato rinvio non avrà però conseguenze pratiche sulla gestione dei comuni perché come chiarito dal Viminale e dalla Corte dei conti (si veda ItaliaOggi di ieri), la riforma non può considerarsi applicabile fino a quando non sarà stato approvato il decreto che il ministero avrebbe dovuto licenziare entro 60 giorni dalla conversione in legge del dl 138.
Il termine è trascorso invano, ma proprio la natura stessa di scadenza ordinatoria (e dunque non sanzionata in caso di inottemperanza) mal si concilia con l'eventualità che possa essere differita con una proroga. «In effetti non c'era bisogno di un rinvio visto che le nuove regole possono considerarsi già in stand-by in attesa del decreto ministeriale», osserva Antonino Borghi, presidente dell'Ancrel. «Basta che il Viminale non approvi il decreto e l'estrazione a sorte dei revisori non diventerà mai operativa».
Discorso diverso per le dismissioni delle partecipate da parte dei comuni con meno di 30 mila abitanti. La manovra di Ferragosto ha anticipato di un anno (dal 31.12.2013 al 31.12.2012) la dead line per mettere in liquidazione le società o cederne le quote di partecipazione. La modifica è contenuta nel comma 27 dell'art. 16 che in un primo momento figurava nell'elenco di norme che avrebbero dovuto beneficiare della proroga di un anno. Dunque il termine sarebbe dovuto slittare nuovamente a fine 2013. Ma il fatto che la versione definitiva del milleproroghe non ne faccia menzione riporta tutto come prima. E assegna ai comuni un orizzonte temporale di un solo anno per portare a termine le dismissioni, salvo un ripensamento globale da parte del governo Monti che secondo quanto risulta a ItaliaOggi appare assai probabile.
Confermata invece la proroga di un anno della riforma della riscossione locale introdotta dal decreto sviluppo di maggio (dl n. 70/2011) e differita di 12 mesi dalla manovra Monti (dl n. 201/2011) (articolo ItaliaOggi del 31.12.2011 - tratto da www.ecostampa.it).

ENTI LOCALIMini-enti, proroga con giallo. Salta la sospensione dell'art. 16. Funzioni associate dal 30/06/2012. La sorpresa nel testo definitivo del milleproroghe in Gazzetta Ufficiale. I comuni: andiamo avanti.
Proroga con giallo per i piccoli comuni. Nel testo definitivo del decreto milleproroghe (dl n. 216/2011), pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 302 di ieri, i mini-enti che già festeggiavano per lo slittamento di un anno della marcia di avvicinamento verso l'associazionismo forzoso scandita dall'art. 16 della manovra di Ferragosto (dl 138/2011), trovano invece una proroga a metà.
Con buona pace dell'Anci (che dopo il varo del decreto aveva ringraziato il governo per la «sensibilità mostrata») e di un ordine del giorno ad hoc approvato dalla camera, del differimento dell'art. 16 non c'è infatti traccia. E delle modifiche, già date per acquisite dall'Anci, resta solo la proroga della scadenza più ravvicinata: quella che entro la fine di quest'anno avrebbe imposto ai piccoli comuni di svolgere in forma associata almeno due delle sei funzioni fondamentali individuate dalla legge delega sul federalismo fiscale: amministrazione, gestione e controllo; polizia locale; istruzione pubblica, compresi gli asili nido e l'edilizia scolastica; viabilità e trasporti; gestione del territorio e ambiente; welfare.
La proroga c'è, ma a differenza delle aspettative, non è più di un anno, ma di sei mesi. La dead line per quello che prima di questo pasticcio era considerato il primo step dell'associazionismo scadrà dunque il 30.06.2012 (per esercitare in forma associata tutte e sei le funzioni ci sarà tempo fino al 30.06.2013). Ma prima di questa data, visto che è sfumato lo slittamento di un anno del cronoprogramma imposto dall'art. 16, i piccoli comuni troveranno una scadenza molto più ravvicinata e per di più perentoria: entro il 17.03.2012 (salvo proroghe) gli enti sotto i mille abitanti dovranno trasmettere alle regioni le proprie proposte di unione. Meno di tre mesi, dunque, per capire se Mario Monti intenda proseguire sulla strada tracciata da Berlusconi e Tremonti o piuttosto sospendere l'art. 16 per ripensare in maniera globale la materia.
Il dietrofront del decreto milleproroghe lascerebbe propendere per la prima ipotesi, tanto più che nelle stanze del Mef e di palazzo Chigi l'associazionismo obbligatorio dei piccoli comuni può vantare sostenitori di tutto rispetto (tra questi il sottosegretario alla presidenza del consiglio, Antonio Catricalà).
Ma in realtà l'impressione è che si sia trattato solo di un pasticcio. Del resto, dopo il varo del decreto, era stato lo stesso ministro dell'interno Anna Maria Cancellieri a telefonare al presidente dell'Anci, Graziano Delrio per rassicurarlo sul recepimento delle richieste di proroga dell'Anci. Solo un qui pro quo, dunque? È possibile, ma resta in piedi l'ipotesi che il governo abbia consapevolmente rinviato di affrontare il capitolo relativo all'art. 16 preferendo invece concentrarsi sui soli termini di immediata scadenza (quelli sull'esercizio associato delle funzioni contenuti nell'art. 14, comma 31, lettere a) e b) del dl 78/2010). E le dichiarazioni di Monti al termine del consiglio dei ministri, in cui il premier ha vantato il numero limitato di differimenti presenti nel decreto (per questo non più etichettabile, ha detto, come «milleproroghe») potrebbero essere un indizio in tal senso.
I comuni dal canto loro non fanno drammi. «Siamo comunque soddisfatti per la proroga del termine per l'esercizio delle funzioni fondamentali in forma associata», ha dichiarato a ItaliaOggi Delrio. «Sarebbe scaduto domani ed era urgente spostarlo in avanti». «Possiamo dire che se non è stato sospeso l'art. 16 ne è stata sospesa la premessa».
Per Mauro Guerra, coordinatore nazionale dei piccoli comuni dell'Anci, «questi pochi mesi che ci separano dalla scadenza di marzo devono servire per riscrivere le norme in modo che l'associazionismo non pregiudichi le unioni già in atto da anni». Mentre Franca Biglio, presidente dell'Anpci, invita a «lavorare con ancora più forza per far comprendere al parlamento e al governo che obbligare i piccoli comuni ad associarsi non genera risparmi» (articolo ItaliaOggi del 30.12.2011).

ENTI LOCALIIn house, paletti dalla Corte conti. Dai corrispettivi dell'ente almeno l'80% della produzione. La sezione autonomie pone un punto fermo sulle spese di personale delle società partecipate.
Ai fini del calcolo dell'incidenza delle spese di personale negli enti locali, che si riflettono sulla possibilità di effettuare assunzioni, con riferimento alle spese sostenute da società partecipate, queste devono intendersi quelle partecipate dall'ente o da più enti in modo totalitario, il cui valore della produzione è costituito da corrispettivi dell'ente proprietario in misura non inferiore all'80% dei ricavi complessivi.
Inoltre, ai fini della determinazione della spesa complessiva, in attesa della riforma dei sistemi contabili degli enti locali, si assume quale riferimento la spesa inserita nei questionari che i revisori dei conti sono tenuti a trasmettere alla Corte dei conti sul rendiconto dell'ente. Infine, per determinare la quota delle spese di personale della società partecipata, occorrerà una semplice proporzione matematica, il cui calcolo va effettuato per ciascun organismo partecipato.

È quanto ha messo nero su bianco la sezione delle autonomie della Corte dei conti, nel testo della deliberazione 28.12.2011 n. 14, in merito alla determinazione della quota di spese di personale da assumere ai fini del rispetto del limite imposto dall'articolo 76, comma 7, del dl n. 112/2008, norma che impedisce agli enti locali di procedere ad assunzioni se l'incidenza della spesa di personale è pari o superiore al quaranta per cento delle spese correnti.
Su impulso del comune di Campi Bisenzio (Fi), la sezione autonomie ha inteso dirimere i dubbi sussistenti sulla corretta applicazione della disposizione, con particolare riferimento alle spese delle società partecipate, sia singolarmente sia in consorzio, da enti locali.
In particolare, la Corte ha rilevato che l'ambito soggettivo della disposizione si applica a quelle società partecipate in modo totalitario da un ente pubblico o da più enti pubblici congiuntamente, tenuto conto del concetto di società in house, come società che vive «prevalentemente» di risorse provenienti dall'ente locale (o da più enti locali), caratterizzata da un valore della produzione costituito per non meno dell'80% da corrispettivi dell'ente proprietario ovvero società che presentano le caratteristiche di cui all'art. 2359 del codice civile, purché affidatarie dirette di servizi pubblici locali.
In merito al secondo quesito posto, ovvero su quali basi (numeriche) porre a fondamento la spesa di personale, la Corte ha sottolineato che, al momento, gli enti locali sono interessati da una profonda ristrutturazione dei loro sistemi contabili. Infatti, il dlgs n. 118/2011, all'articolo 11, prevede che le p.a. (tra cui enti locali e loro società strumentali) sono tenuti ad adottare schemi di bilancio finanziari, economici e patrimoniali e schemi di bilancio consolidato con i propri enti e organismi strumentali, aziende, società controllate e partecipate e altri organismi controllati. Sistema che, terminata la fase di sperimentazione che interessa una trentina circa di amministrazioni appositamente indicate, andrà a regime dall'01/01/2014.
In attesa della «rivoluzione contabile», con riferimento alle partecipate, i dati rilevanti ai fini del computo possono essere tratti dai questionari allegati alle relazioni degli organi di revisione al rendiconto dell'ente locale, trattandosi di dati certificati provenienti dalle contabilità degli enti e verificati dagli organi di revisione. Quindi, la Corte ha individuato nei corrispettivi a carico dell'ente, desumibili dai questionari delle predette linee guida, lo strumento che consente di attribuire al medesimo le spese di personale della società che possono essere associati alla prestazione dei servizi erogati a fronte di quel corrispettivo.
Infine, per determinare la quota delle spese di personale della società partecipata, da sommare alle spese di personale degli enti proprietari, la Corte ha elaborato un metodo sintetico. In pratica, occorrerà effettuare una semplice proporzione, secondo cui il valore della produzione della società sta alle spese totali del personale della stessa come il corrispettivo sta alla quota del costo di personale attribuibile all'ente, che è poi l'incognita da calcolare. Quindi, moltiplicare le spese di personale per il corrispettivo e dividere tale risultato per il valore della produzione.
La quota, così individuata, va a sommarsi alle spese di personale dell'ente e il totale si divide per le spese correnti dell'ente stesso. Questo calcolo, rileva la corte, va effettuato per ciascun organismo partecipato, sia che si tratti di società posseduta da uno o più enti, ovvero di società miste pubblico-privato, che l'ente controlla (articolo ItaliaOggi del 30.12.2011 - tratto da www.corteconti.it).

ENTI LOCALIL'estrazione dei revisori non è immediatamente applicabile. Novità congelate in assenza del regolamento del Viminale.
La riforma del sistema di nomina dei revisori dei conti negli enti locali, sia in forma monocratica sia collegiale, dettata dalla manovra-bis di Ferragosto (il dl n. 138/2011), non è immediatamente applicabile. Almeno fino a quando non sarà pienamente operativo il meccanismo di nomina dei revisori che implica la preventiva definizione dei criteri e dei principi cui attenersi nella predisposizione degli elenchi da cui trarre i nominativi ai quali conferire l'incarico.
Così, in attesa di questi criteri, la nomina dei revisori resta regolata, ancora oggi, dall'articolo 234 del Tuel.

È quanto ha messo nero su bianco la sezione regionale di controllo della Corte dei conti Basilicata, nel testo del parere 16.12.2011 n. 136, con cui, per la prima volta sul panorama giurisprudenziale, ha fatto chiarezza sulla portata applicativa delle disposizioni contenute all'articolo 16, comma 25, del decreto legge n. 138/2011.
Come noto, tale norma prevede che a decorrere dal primo rinnovo dell'organo di revisione, i revisori dei conti degli enti locali sono scelti mediante estrazione da un elenco nel quale possono essere inseriti, a richiesta, i soggetti iscritti, a livello regionale, nel registro dei revisori legali, nonché gli iscritti all'Ordine dei dottori commercialisti e degli esperti contabili. Con un decreto del Mininterno, che avrebbe dovuto essere emanato entro lo scorso mese di ottobre, ma di cui si sono perse le tracce, sono stabiliti i criteri per l'inserimento degli interessati nel predetto elenco, sulla scorta di alcuni parametri tra cui la precedente richiesta degli interessati di voler svolgere la funzione di revisore per enti locali e il possesso di una specifica qualificazione professionale in materia di contabilità pubblica.
Sulla vicenda, il sindaco di Banzi (Pz), nell'esporre alla Corte che l'incarico di revisore nel suo comune è scaduto il 30 settembre scorso, chiede se, nelle more dell'emanazione del citato decreto Mininterno, possa ritenersi vigente un regime di prorogatio, secondo cui siano ancora applicabili le disposizioni di nomina dei revisori contenuti all'articolo 234 del Testo unico sugli enti locali.
Per il collegio della Corte lucana, le disposizioni contenute nella manovra di Ferragosto sono destinate a sostituire il vigente sistema di nomina dei revisori, con nuove modalità. Ma è altrettanto vero che per prodursi l'effetto abrogativo di tale sistema, occorra la piena operatività della nuova disposizione, destinata a prendere il posto della precedente. Se tale operatività non sia piena o non sia assicurata l'effetto abrogativo non può realizzarsi.
In poche parole, per la Corte, nel caso in esame, la mancanza degli elenchi in cui gli interessati alla nomina di revisore avrebbero potuto chiedere di far inserire il proprio nominativo, sulla base dei titoli e dei criteri stabiliti dal Ministero dell'interno, rende la disposizione di legge non immediatamente operativa, con la conseguenza che anche l'effetto abrogativo della disposizione contenuta nell'art. 234 del Testo unico resta, al momento, impedito.
Sulla base di queste considerazioni, ha concluso il collegio, fino a quando non sarà pienamente operativo e applicabile il meccanismo di nomina dei revisori previsto dall'art. 16, comma 25, del decreto legge n. 138/2011, che implica la preventiva definizione dei criteri e dei principi cui attenersi nella predisposizione degli elenchi da cui trarre i nominativi ai quali conferire l'incarico, resta immutato e vigente il sistema oggi regolato dall'art. 234 del Testo unico (articolo ItaliaOggi del 30.12.2011 - tratto da www.corteconti.it).

CONSIGLIERI COMUNALIOSSERVATORIO VIMINALE/ Dallo stadio al comune. Molti ostacoli per il patron che vuole candidarsi. L'incompatibilità del presidente di un club sportivo va valutata caso per caso.
La carica di sindaco è incompatibile con quella di presidente di una società sportiva che ha in concessione beni comunali, oltre a ricevere dal comune aiuti economici sotto forma di contributi?

L'eventuale incompatibilità potrebbe configurarsi in base all'art. 63, comma 1, n. 1 del Tuel, qualora risulti che la società riceva in via continuativa la sovvenzione, purché quest'ultima sia in tutto o in parte facoltativa e la parte facoltativa superi nell'anno il 10% del totale delle entrate della società.
Una causa ostativa all'esercizio del mandato potrebbe altresì verificarsi in base all'ipotesi di cui al n. 2 del comma 1 del citato art. 63, qualora risultasse dall'analisi dell'eventuale convenzione stipulata con il comune, che la società «ha parte, direttamente o indirettamente, in servizi nell'interesse del comune», ovvero che si tratti di impresa volta al profitto di privati, sovvenzionata dal comune in modo continuativo, qualora la sovvenzione non sia dovuta in forza di una legge dello stato o della regione.
In ogni caso sarebbe necessario accertare se il consiglio comunale si sia già espresso sulla posizione del sindaco, in sede di convalida degli eletti o, successivamente, in esito alla procedura prevista dall'art. 69 del citato testo unico (articolo ItaliaOggi del 30.12.2011 - tratto da www.ecostampa.it).

LAVORI PUBBLICIOSSERVATORIO VIMINALE/ Consorzi per strade vicinali.
Qual è l'attuale disciplina dei consorzi per le strade vicinali ad uso pubblico e la misura della partecipazione alle spese da parte dell'ente locale, posto che l'unica disposizione in vigore in materia sembrerebbe essere l'art. 14 della legge 12/02/1958, n. 126, sulla base del presupposto che il d.llgt. 01/09/1918, n. 1446 risulterebbe abrogato dal dl 22/12/2008, n. 200, convertito dalla legge 18/02/2009, n. 9?

Dalla ricostruzione dei passaggi normativi che hanno interessato la disciplina in materia, emerge che il dllgt n. 1446/1918 era stato mantenuto in vigore dalla citata legge 18-2-2009 n. 9 fino al 15/12/2009.
Sennonché, il decreto legislativo 01.12.2009, n. 179, ha sottratto all'effetto abrogativo le disposizione di cui al suddetto dllgt 01/09/1918, n. 1446 (art. 1, comma 2, all. 2); inoltre ha ritenuto indispensabile la permanenza in vigore dell'art. 14 della legge 12/12/1958, n. 126, relativamente all'obbligo delle strade vicinali di uso pubblico (art. 1, comma 1, in combinato disposto con l'allegato 1 al dlgs n. 179/ 2009).
Ciò stante, la disciplina relativa alla manutenzione e riscossione delle strade vicinali, ed alla facoltà per gli utenti delle stesse di costituirsi in consorzio, può essere tutt'ora ricondotta alle disposizioni di cui al dllgt 01/09/1918, n. 1446 e all'art 14 della legge n. 126 del 1958.
Occorre, tuttavia, distinguere se si tratti di strade vicinali soggette ad uso pubblico o esclusivamente ad uso privato.
Nel primo caso, quando il comune è titolare di un diritto reale di uso pubblico sulla strada vicinale, che è sempre di proprietà privata, la costituzione di consorzi per la manutenzione, sistemazione e ricostruzione di dette strade, ai sensi dell'art. 14 della legge n. 126 del 12/2/1958, è obbligatoria, mentre rimane facoltativa nel secondo caso.
Dalla sussistenza o meno del pubblico utilizzo deriva anche l'obbligo, per il comune, di concorrere alle spese; in applicazione, infatti, dell'art. 3 del citato dllgt n. 1446 del 1918, che fissa i limiti di compartecipazione per le strade vicinali soggette al pubblico transito, il comune è tenuto a concorrere alle spese di manutenzione, sistemazione e ricostruzione nella misura variabile da un quinto sino alla metà della spesa, a seconda dell'importanza della strada.
Detti limiti, che riguardano il comune, sono inderogabili in quanto con tale disciplina, tenuto conto dello speciale regime giuridico di queste strade, il legislatore ha già contemperato a monte gli interessi pubblici e privati in gioco, demandando ai comuni solo la possibilità di scegliere in concreto l'ammontare della contribuzione all'interno dei limiti minimi e massimi consentiti, motivando esaurientemente tale scelta (in tal senso la Corte dei conti, sez. reg. di controllo per il Veneto n. 140/2008).
Pertanto, nella fattispecie prospettata, che riguarda i consorzi per le strade vicinali ad uso pubblico, nella ritenuta applicazione dell'art. 14 della legge n. 126/1958, che rende obbligatoria la costituzione della forma associativa, e degli artt. 1 e 3 del dllgt n. 1446/1918, si deduce che gli oneri per la manutenzione e sistemazione delle strade vicinali gravano essenzialmente sui soggetti privati che le utilizzano, salvo il concorso del contributo comunale nei limiti e termini stabiliti dalla legge (articolo ItaliaOggi del 30.12.2011 - tratto da www.ecostampa.it).

ENTI LOCALIMilleproroghe. Sei mesi in più (invece di 12) per risolvere i problemi applicativi della riforma della riscossione locale.
Niente rinvio per i mini-Comuni. Salta la dilazione sulle Unioni obbligatorie per gli enti fino a mille abitanti.

Nella versione definitiva del decreto «Milleproroghe» (battezzato come Dl 216/2011 nella «Gazzetta Ufficiale» di ieri) scompaiono i tempi supplementari per le Unioni obbligatorie previste dalla manovra-bis di Ferragosto, si riduce a sei mesi il rinvio della "riforma" della riscossione locale scritta (male) nel decreto Sviluppo di maggio, mentre vengono confermati i sei mesi in più per il calendario attuativo dell'esercizio in forma associata delle funzioni fondamentali da parte dei Comuni sotto i 10mila abitanti. Saltata anche la proroga per le nuove regole sui revisori.
In pratica, per i piccoli Comuni l'unica concessione del decreto di fine anno nella sua versione definitiva riguarda la prima "razionalizzazione" amministrativa, quella introdotta dalla manovra correttiva dell'anno scorso (Dl 78/2010, articolo 14, comma 31) e tutta concentrata sull'esercizio associato delle sei «funzioni fondamentali» individuate dalla legge sul federalismo fiscale (si tratta di amministrazione generale, Polizia locale, istruzione pubblica, viabilità e trasporti, territorio e ambiente –tranne l'edilizia residenziale pubblica– e settore sociale). La norma chiede di aggregare almeno 10mila abitanti nella gestione di due funzioni fondamentali entro fine 2011, quattro entro il 2012 e tutte e sei entro il 2013, e con l'intervento del Milleproroghe i termini si spostano dall'ultimo giorno dell'anno al 30 giugno di quello successivo.
Nelle ultime settimane, però, la battaglia da parte degli amministratori locali si era accesa soprattutto sul secondo passo della "razionalizzazione", quello che impone di aggregare in Unioni di Comuni con almeno 5mila abitanti tutte le attività e i servizi pubblici oggi gestiti da enti con meno di mille residenti, e di far convogliare in gestioni associate di almeno 10mila abitanti tutte le funzioni fondamentali dei Comuni oggi compresi fra mille e 5mila persone. L'obbligo è molto più stringente rispetto al primo, perché determina in pratica la scomparsa delle attuali strutture amministrative nei mini-enti (che perdono anche le Giunte e si vedono ridotti i posti in Consiglio) e lo spostamento delle attività cruciali (bilancio compreso) dal Comune all'Unione.
La prima scadenza è ad agosto 2012, e questo potrebbe spiegare l'uscita dal Milleproroghe. Il problema, però, è che la maggior parte delle Regioni non hanno individuato in tempo limiti demografici adeguati ai propri territori, e l'applicazione rischia di trasformarsi in un rebus insolubile (articolo Il Sole 24 Ore del 30.12.2011 - tratto da www.ecostampa.it).

ENTI LOCALI - VARIImu, niente sgravi al comodato. Non è possibile usufruire dell'aliquota ridotta pari a 0,4%. L'imposta municipale propria manda in soffitta l'agevolazione per la casa concessa in uso gratuito.
Con l'introduzione dell'imposta municipale propria (Imu) esce di scena l'agevolazione sulle unità abitative destinate ad abitazione principale concesse in uso gratuito a parenti e la riduzione del 50% del tributo sull'immobile locato.
Dal 2012 troverà applicazione, in luogo dell'imposta comunale sugli immobili (Ici), di cui al dlgs. 504/1992, l'imposta municipale propria che, ancorché introdotta in via sperimentale dal dl. 201/2011, è del tutto autonoma e svincolata complessivamente dal vecchio tributo locale.
A sostegno di quanto indicato, si evidenzia l'assoggettamento al tributo anche dei fabbricati rurali, sia a destinazione abitativa (0,4%) che strumentale (0,2%), ancorché rispettosi dei requisiti di ruralità, di cui ai commi 3 e 3-bis, dell'art. 9, dl. 557/1993 e ancorché censiti nelle categorie specifiche (A/6 o D/10).
Sulla medesima falsariga non si rendono più applicabili gli abbattimenti disposti dall'art. 9, del dlgs.504/1992 per i terreni agricoli, ancorché permanga la nota «finzione giuridica», stante il richiamo all'art. 2 del medesimo decreto istitutivo dell'imposta comunale (Ici), secondo la quale i terreni fabbricabili devono essere considerati agricoli, se coltivati.
Permangono, inoltre, numerose perplessità sulle modalità applicative dell'imposta municipale, con la necessità di attendere l'approvazione dei singoli regolamenti comunali, considerata l'ampia potestà legislativa concessa a tali enti, che non si limita alla modulazione dell'aliquota, in aumento o in diminuzione, fino a 0,2 punti percentuali.
L'unica certezza è l'impossibilità di usufruire dell'aliquota ridotta pari allo 0,4% per le abitazioni principali concesse in uso gratuito (comodato) a parenti, con la conseguenza che, fatte salve indicazioni regolamentari diverse, a questa tipologia si rende applicabile l'aliquota maggiorata pari allo 0,76% e che soltanto le unità inserite nelle categorie C/2, C/6 e C/7 possono essere considerate pertinenze dell'abitazione principale, con l'applicazione della relativa aliquota ridotta.
Peraltro, rispetto all'imposta municipale a regime, non è prevista neppure la riduzione al 50% dell'imposta dovuta per gli immobili locati, stante il rinvio alla potestà legislativa dei comuni che hanno la facoltà di ridurre l'aliquota di tali immobili fino allo 0,4%.
Con riferimento alle ulteriori perplessità, permane quella dei fabbricati inagibili o non abitabili, per i quali il comma 1, dell'art. 8, dlgs n. 504/1992, dispone la riduzione del 50% dell'imposta dovuta, se non utilizzati nel periodo, mentre le disposizioni di cui all'art. 13, dl n. 201/2011 non ne fanno alcun cenno, richiamando l'articolo 8 solo nella parte inerente (comma 4) le unità immobiliari, appartenenti alle cooperative a proprietà indivisa, adibite ad abitazione principale dai soci assegnatari, ai fini del riconoscimento della detrazione di 200 euro, rapportata al periodo dell'anno in cui l'unità è adibita a tale scopo.
Nessun riferimento specifico alle esenzioni prescritte dall'art. 7, dlgs 504/1992 con riferimento agli immobili destinati «esclusivamente» ai compiti istituzionali posseduti da Stato, regioni, province e comuni, i fabbricati classificati nelle categorie «E» (da E/1 a E/9), i fabbricati destinati a usi culturali o all'esercizio del culto o posseduti dalla Santa Sede o Onlus, i terreni agricoli collocati nelle zone collinari o montane e gli immobili utilizzati dagli enti pubblici o privati diversi dalle società per l'esercizio di attività assistenziali, previdenziali, sanitarie e didattiche o del culto.
Il nuovo tributo prevede esplicitamente l'applicazione di un'aliquota ridotta solo per l'abitazione principale e la detrazione per il coniuge separato o divorziato non assegnatario della casa coniugale, di cui al comma 3-bis, art. 6, dlgs n. 504/1992 e per l'unità immobiliare, non locata, posseduta a titolo di proprietà o usufrutto da anziani o disabili che prendono la residenza presso istituti di ricovero o sanitari per ricovero permanente, di cui al comma 56, dell'art. 3, legge n. 662/1996.
Dubbi sull'applicazione delle agevolazioni destinate agli immobili di interesse storico-artistico, compresi quelli appartenuti a enti pubblici o non commerciali, restando in piedi le disposizioni introdotte dall'art. 10, del dlgs n. 42/2004 per la determinazione della base imponibile ai fini dell'Ici, che non sono state abrogate.
Infine, si prende atto dell'innalzamento (in sede di conversione) della maggiorazione della detrazione limitata ai primi due anni di applicazione (2012 e 2013) che, con la nuova formulazione, non può superare l'importo massimo di 400 euro; di conseguenza, se la maggiorazione massima (400) si somma alla detrazione base (200), l'ammontare complessivo potrà raggiungere 600 euro.
Sul punto, infine, si ritiene che la detrazione di 50 euro per ciascun figlio di età non superiore a 26 anni, purché dimorante e residente nell'unità immobiliare adibita ad abitazione principale, dovrà essere applicata pro rata temporis, mentre non risulta necessario che i figli siano fiscalmente a carico del proprietario, in attesa dei necessari chiarimenti sulla corretta ripartizione in presenza di figli di un solo coniuge o di figli comproprietari dell'unità immobiliare (articolo ItaliaOggi del 29.12.2011 - tratto da www.corteconti.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - VARIP.a., certificati in soffitta dal 2012. Chi continuerà a chiederli rischierà sanzioni disciplinari. Direttiva di Patroni Griffi. Due le chance: autocertificazioni o acquisizione dei dati d'ufficio.
Dall'01.01.2012 niente più certificati alla p.a.. Gli uffici pubblici dal prossimo anno avranno solo due possibilità: acquisire d'ufficio dati e informazioni sui cittadini o accettare le autocertificazioni. Ma non potranno più richiedere certificati. E chi continuerà a farlo rischierà grosso perché si tratterà di un'ipotesi di violazione dei doveri d'ufficio.
Sui documenti dovrà essere obbligatoriamente inserita la seguente avvertenza: «Il presente certificato non può essere prodotto agli organi della pubblica amministrazione o ai privati gestori di pubblici servizi». Una dicitura essenziale per la validità stessa del certificato, in assenza della quale, oltre alla nullità del documento, potranno scattare pesanti sanzioni per il dipendente pubblico responsabile.

Sulla «decertificazione» dei rapporti tra p.a. e privati il ministro della funzione pubblica Filippo Patroni Griffi si muove nel solco avviato dal suo predecessore Renato Brunetta. E con
la direttiva 22.12.2011 n. 14 richiama tutte le amministrazioni a un'applicazione immediata delle norme contenute nella legge di stabilità 2012 (legge n. 183/2011) che in realtà non si inventano nulla di nuovo, ma semplicemente puntano ad attuare due principi esistenti nel nostro ordinamento da oltre 20 anni, ma mai attuati. Il primo si trova nell'art. 18 della legge sul procedimento amministrativo (n. 241/1990) secondo cui «i documenti attestanti atti, fatti, qualità e stati soggettivi» sono «acquisiti d'ufficio» quando «sono in possesso dell'amministrazione procedente, ovvero sono detenuti, istituzionalmente, da altre pubbliche amministrazioni».
Il secondo nell'art. 43 del dpr 445/2000 (Testo unico sulla documentazione amministrativa) che recita: «Le amministrazioni pubbliche e i gestori di pubblici servizi non possono richiedere atti o certificati concernenti stati, qualità personali e fatti che siano attestati in documenti già in loro possesso o che comunque esse stesse siano tenute a certificare». E prosegue: «In luogo di tali atti», le p.a. sono tenute «ad acquisire d'ufficio le relative informazioni, ovvero ad accettare la dichiarazione sostitutiva prodotta dall'interessato». Eppure gli uffici pubblici non li applicano mai, costringendo i cittadini a file interminabili e disagi.
I due principi per volere di Renato Brunetta sono stati inseriti dapprima nella bozza di decreto sviluppo che il governo Berlusconi avrebbe dovuto presentare a fine ottobre ma poi sono transitati nella legge di stabilità.
Ora Patroni Griffi stringe i tempi. E la direttiva è il chiaro segno della volontà del ministro di non trasformare questa opportunità di semplificazione nell'ennesima occasione mancata. A farne le spese, oltre ai cittadini, sarebbero soprattutto le imprese a cui le nuove norme portano in dote due ulteriori opportunità: l'acquisizione d'ufficio del Durc (il Documento unico di regolarità contributiva che attesta l'assolvimento degli obblighi legislativi e contrattuali nei confronti di Inps, Inail e Cassa Edile) e la trasmissione telematica dei certificati antimafia (che tanto ha fatto discutere al momento dell'annuncio da parte di Brunetta, si veda ItaliaOggi del 27/09/2011).
Per scongiurare il rischio di un nuovo flop le p.a. che emettono i certificati dovranno individuare un ufficio responsabile «per tutte le attività volte a gestire, garantire e verificare la trasmissione dei dati o l'accesso diretto alle informazioni da parte delle amministrazioni». La mancata risposta alle richieste di controllo entro 30 giorni costituirà violazione dei doveri d'ufficio e verrà presa in considerazione ai fini della valutazione delle performance individuali. Non solo. Le amministrazioni certificanti dovranno pubblicare sul proprio sito internet istituzionale le misure organizzative adottate per garantire una «efficiente, efficace e tempestiva acquisizione d'ufficio dei dati».
La correttezza delle autocertificazioni sarà verificata attraverso controlli a campione, mentre l'acquisizione dei dati da altre p.a. dovrà avvenire senza oneri «con qualunque mezzo idoneo ad assicurare la certezza della loro fonte di provenienza».
A questo scopo le p.a. titolari di banche dati accessibili per via telematica dovranno predisporre, sulla base delle linee guida di DigitPa e sentito il Garante privacy, apposite convenzioni aperte a tutte le amministrazioni e soprattutto senza oneri a loro carico (articolo ItaliaOggi del 28.12.2011 - tratto da www.corteconti.it).

ENTI LOCALISlittano le unioni, non i tagli. Proroga di un anno. La falcidia delle poltrone scatta nel 2012. Il dl Milleproroghe modifica il programma della manovra di Ferragosto per i piccoli comuni.
L'associazionismo forzato dei piccoli comuni può attendere ma non i tagli alle poltrone. Il tradizionale decreto legge di fine anno con le proroghe dei termini in scadenza (limitato dal governo Monti a pochi, fondamentali differimenti e per questo non più etichettabile come milleproroghe), licenziato venerdì scorso dal consiglio dei ministri, (si veda ItaliaOggi del 24/12/2011) fa slittare di un anno gran parte del cronoprogramma fissato dall'art. 16 della manovra di Ferragosto (dl 138/2011), ma non le norme che a partire dalle prossime elezioni amministrative alleggeriranno gli organi di governo dei comuni fino a 10 mila abitanti.
Il dl proroghe, infatti, sposta in avanti di 12 mesi solo le scadenze contenute nei commi da 1 a 16 e nei commi 22, 24, 25 e 27 dell'art. 16. Non, quindi, il taglio di consigli e giunte, disciplinato dal comma 17, che scatterà «dal primo rinnovo amministrativo di ciascun comune a partire dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del dl 138». E dunque dalla tornata elettorale della prossima primavera.
Nei comuni fino a 1.000 abitanti le giunte verranno eliminate e resteranno solo il sindaco e sei consiglieri. Nei municipi fino a 3.000 abitanti a questi si aggiungeranno anche due assessori. Negli enti tra 3.000 e 5.000 abitanti il sindaco sarà coadiuvato da 7 consiglieri e 3 assessori, mentre nei comuni tra 5.000 e 10.000 abitanti il consiglio sarà composto da 10 consiglieri e le giunte da 4 assessori.
Resta invariato anche il timing del taglio dei gettoni di presenza ai consiglieri dei comuni fino a 1.000 abitanti. Come previsto dal comma 18 dell'art. 16, che non è stato prorogato dal dl varato venerdì, la falcidia scatterà a partire dalle prime elezioni amministrative successive alla data del 13.08.2012 e dunque dalla primavera 2013. Tutte le altre scadenze legate al termine del 13.08.2012 (obbligo di esercizio associato di tutte le funzioni amministrative e dei servizi pubblici, successione dell'unione di comuni in tutti i rapporti giuridici degli enti associati) slittano di un anno e con esse il momento dal quale saranno operative, ossia, verosimilmente, la primavera del 2014.
Nessuna novità anche per l'applicazione del patto di stabilità ai piccoli comuni. L'appuntamento resta il 2013 (essendo previsto nel comma 31 non prorogato dal decreto legge) mentre slitta di un anno il debutto del patto di stabilità per le unioni costituite dai comuni fino a 1.000 abitanti.
A parte questi punti fermi tutto il resto dell'art. 16 guadagna 12 mesi di tempo in più per diventare operativo. A cominciare dal primo step, l'individuazione da parte delle regioni di limiti demografici ulteriori per la costituzione delle unioni, rispetto a quelli individuati dalla norma. La dead line era il 17 novembre scorso, ma pochi governatori l'hanno centrata, preferendo invece ricorrere alla Consulta (lo hanno fatto Toscana e Lombardia, si veda ItaliaOggi del 16/11/2011) contro le norme sull'associazionismo ritenute lesive delle prerogative regionali.
Tra i tanti adempimenti prorogati di un anno (riassunti nel cronoprogramma pubblicato in pagina) i sindaci dei mini-enti dovranno tenerne a mente soprattutto due perché si tratta di termini perentori: la data entro cui i comuni fino a 1.000 abitanti dovranno avanzare alle rispettive regioni le loro proposte di unione e la data entro cui i governatori dovranno istituirle sulla base delle indicazioni degli enti o in modo autonomo in caso di mancanza di proposte da parte dei municipi.
I due appuntamenti sono rinviati rispettivamente al 17.03. e al 31.12.2013. Un tempo che dovrebbe essere sufficiente per adeguarsi alle nuove norme o affossarle del tutto. L'Anci, per esempio, plaude alla «sensibilità mostrata dal governo Monti» (così il presidente Graziano Delrio) ma auspica un ripensamento globale della disciplina dell'associazionismo «per non compromettere i processi già in atto da anni» (articolo ItaliaOggi del 27.12.2011 - tratto da www.corteconti.it).

ESPROPRIAZIONEAree fabbricabili: una sentenza della Corte costituzionale tutela il diritto alla proprietà. Indennità di esproprio al sicuro. Garantito un ragionevole rapporto con il valore del suolo.
Per la Consulta, l'indennità di esproprio di un'aera fabbricabile non può essere totalmente azzerata (confiscata) per effetto dell'assenza di un valore minimo di riferimento, in caso di omissione della presentazione della dichiarazione Ici.
Questo, in estrema sintesi, il principio sancito dalla Corte costituzionale che,
con la sentenza 22.12.2011 n. 338, è intervenuta sull'illegittimità costituzionale del comma 1, dell'art. 16, del dlgs n. 504/1992, come trasfuso, con decorrenza dal 30/06/2003, nel comma 7, dell'art. 37, del dpr 327/2001.
La questione di illegittimità parte dall'assunto, indicato nelle disposizioni richiamate, che «l'indennità è ridotta a un importo pari al valore indicato nell'ultima dichiarazione o denuncia presentata dall'espropriato ai fini dell'imposta comunale sugli immobili prima della determinazione formale dell'indennità (_), qualora il valore dichiarato risulti contrastante con la normativa vigente e inferiore all'indennità di espropriazione come determinata in base ai commi precedenti».
Di conseguenza, in assenza di una dichiarazione ai fini del tributo locale o per indicazione di un valore irrisorio, l'indennità si sarebbe potuta azzerare per carenza del valore di riferimento, stante il fatto che le disposizioni richiamate condizionano la quantificazione dell'indennità all'originario comportamento tenuto ai fini tributari dall'espropriato.
Sul punto, con la recente sentenza 21/07/2000 n. 351, la stessa Corte costituzionale aveva dichiarato inammissibili le questioni di legittimità costituzionale sollevate, con riferimento a taluni articoli della carta costituzionale per irragionevole disparità di trattamento tra espropriato e proprietario privato dell'immobile (art. 3), per disparità di trattamento tra evasori totali ed evasori parziali (articoli 3 e 24), per inadeguatezza della sanzione o indennizzo (art. 42, terzo comma), per la natura extrafiscale della sanzione per mancato rispetto di un dovere tributario (art. 53) e per l'arbitrario e indiretto recupero di un tributo non più dovuto a soggetto espropriato (art. 97); l'infondatezza delle questioni sollevate, per la Consulta, non modificava i criteri stabiliti per il calcolo dell'indennizzo, di cui all'art. 5-bis, dl 333/1992, come modificato dal comma 65, dell'art. 3, legge 662/1996.
Per la Consulta, la sanzione relativa alla riduzione dell'indennità di esproprio, in caso di omessa o dichiarazione infedele (ai fini Ici) trova applicazione con riferimento all'ultima dichiarazione o denuncia presentata, a prescindere da eventuali ravvedimenti o presentazioni spontanee successive alla determinazione formale dell'indennità, resta esclusa ogni possibilità di garantire un valore minimo garantito, ma la vanificazione totale del ristoro resta costituzionalmente illegittima, a prescindere che la misura sanzionatoria sia dipendente o meno dalla volontà dell'espropriato o da un mero errore.
Di conseguenza, ancorché le disposizioni possano essere ritenute applicabili per effetto del comportamento omissivo del contribuente, non si può non tenere conto del principio della tutela del diritto della proprietà, di cui al terzo comma, dell'art. 42 della carta costituzionale e di quanto sancito dall'art. 1 per primo protocollo addizionale della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (Cedu).
Pertanto, la Corte costituzionale ha concluso che la norma censurata (art. 16, dlgs n. 504/1992), nell'interpretazione fornita dalle sezioni unite, viola gli articoli 42, terzo comma e 117, primo comma, della carta, con riferimento a quanto indicato dal citato art. 1 del protocollo addizionale Cedu, poiché «non contempla alcun meccanismo che, in caso di omessa dichiarazione/denuncia Ici, consenta di porre un limite alla totale elisione di tale indennità, garantendo comunque un ragionevole rapporto tra il valore venale del suolo espropriato e l'ammontare dell'indennità», anche in presenza di una denuncia a valori irrisori; di fatto, via libera alla possibile applicazione di sanzioni, anche deterrenti, a cura del legislatore, ma da escludere la «reale» confisca del bene (articolo ItaliaOggi del 27.12.2011 - tratto da www.corteconti.it).

GIURISPRUDENZA

EDILIZIA PRIVATA: Ai sensi dell’art. 24 d.P.R. n. 380/2001, il “certificato di agibilità attesta la sussistenza delle condizioni di sicurezza, igiene, salubrità, risparmio energetico degli edifici e degli impianti negli stessi installati, valutate secondo quanto dispone la normativa vigente”, e che, conseguentemente, eventuali difformità esecutive rispetto al progetto assentito non sono ex se idonee a precludere il rilascio del certificato medesimo, laddove inerenti ad aspetti marginali del manufatto e/o, comunque, riconducibili all’ambito dell’attività edilizia cd. libera, come affermato dal magistrato penale.
Ai sensi dell’art. 24 d.P.R. n. 380/2001, il “certificato di agibilità attesta la sussistenza delle condizioni di sicurezza, igiene, salubrità, risparmio energetico degli edifici e degli impianti negli stessi installati, valutate secondo quanto dispone la normativa vigente”, e che, conseguentemente, eventuali difformità esecutive rispetto al progetto assentito non sono ex se idonee a precludere il rilascio del certificato medesimo, laddove inerenti ad aspetti marginali del manufatto (in particolare se, come nel caso di specie, prive di incidenza sulla volumetria e sulla superficie dell’immobile interessato) e/o, comunque, riconducibili all’ambito dell’attività edilizia cd. libera, come affermato dal magistrato penale (TAR Campania-Salerno, Sez. I, sentenza 30.12.2011 n. 2105 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Le valutazioni della commissione giudicatrice nell'ambito di una gara d'appalto sono espressione dell'esercizio della c.d. discrezionalità tecnica.
Le valutazioni della commissione giudicatrice nell'ambito di una procedura concorsuale per l'affidamento di un appalto costituiscono espressione dell'esercizio della c.d. discrezionalità tecnica, o meglio costituiscono -volendo utilizzare altra terminologia- valutazioni tecniche; tuttavia, a prescindere dalla terminologia prescelta, è oggi pacifico che si tratta di valutazioni pienamente sindacabili dal giudice amministrativo, sia sotto il profilo della ragionevolezza, adeguatezza e proporzionalità che sotto l'aspetto più strettamente tecnico.
Infatti, tramontata l'equazione discrezionalità tecnica-merito insindacabile a partire dalla sentenza n. 601/1999 della IV Sezione del Consiglio di Stato, il sindacato giurisdizionale sugli apprezzamenti tecnici della p.a. può oggi svolgersi in base non al mero controllo formale ed estrinseco dell'iter logico seguito dall'autorità amministrativa, bensì alla verifica diretta dell'attendibilità delle operazioni tecniche sotto il profilo della loro correttezza quanto a criterio tecnico ed a procedimento applicativo (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 29.12.2011 n. 6980 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

EDILIZIA PRIVATA: Il particolare procedimento sanzionatorio di cui all’art. 31 del DPR 380/2001 prevede che, in caso di inosservanza dell’ordine di demolizione delle opere abusive nel termine di novanta giorni dalla notificazione dell’ordine stesso, il bene e l’area di sedime sono <<..acquisiti di diritto gratuitamente al patrimonio del comune>> (così il comma 3° dell’articolo citato).
L'acquisizione si realizza automaticamente per effetto della scadenza del termine suindicato, per cui il successivo atto di formale accertamento dell’inottemperanza ha un valore meramente dichiarativo e ricognitivo e non costitutivo del diritto del Comune; parimenti anche la trascrizione nei pubblici registri serve esclusivamente per l’opponibilità dell’acquisto già perfezionatosi ai terzi e non ha carattere costitutivo.

Preliminarmente, pare utile rammentare che il particolare procedimento sanzionatorio di cui all’art. 31 del DPR 380/2001 (Testo Unico dell’edilizia) prevede che, in caso di inosservanza dell’ordine di demolizione delle opere abusive nel termine di novanta giorni dalla notificazione dell’ordine stesso, il bene e l’area di sedime sono <<..acquisiti di diritto gratuitamente al patrimonio del comune>> (così il comma 3° dell’articolo citato).
Per la giurisprudenza, l’acquisizione si realizza automaticamente per effetto della scadenza del termine suindicato, per cui il successivo atto di formale accertamento dell’inottemperanza ha un valore meramente dichiarativo e ricognitivo e non costitutivo del diritto del Comune; parimenti anche la trascrizione nei pubblici registri serve esclusivamente per l’opponibilità dell’acquisto già perfezionatosi ai terzi e non ha carattere costitutivo (cfr., fra le tante, TAR Lazio, sez. I, 07.03.2011, n. 2031; TAR Campania, Napoli, sez. II, 14.02.2011, n. 928 e Cassazione Penale, sez. III, 22.04.2010, n. 22237) (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 29.12.2011 n. 3368 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

LAVORI PUBBLICI: La qualificazione di una strada comunale come pubblica o di uso pubblico non può che avvenire in concreto, tenendo conto delle effettive condizioni del bene ed in particolare di una serie di elementi, quali l’utilizzo da parte di una collettività di persone, l’idoneità del bene a soddisfare esigenze di carattere generale, oltre ad un titolo valido a sorreggere l’affermazione di un diritto di uso pubblico, vale a dire l’uso da tempo immemorabile.
L’inserimento di una strada nell’elenco delle vie pubbliche o soggette ad uso pubblico, effettuato dagli stessi Comuni, ha un valore meramente ricognitivo e non costitutivo, potendo così dare luogo -tutt’al più- ad una mera presunzione, superabile mediante prova contraria.

La qualificazione di una strada comunale come pubblica o di uso pubblico non può che avvenire in concreto, tenendo conto delle effettive condizioni del bene ed in particolare di una serie di elementi, quali l’utilizzo da parte di una collettività di persone, l’idoneità del bene a soddisfare esigenze di carattere generale, oltre ad un titolo valido a sorreggere l’affermazione di un diritto di uso pubblico, vale a dire l’uso da tempo immemorabile (cfr., fra le tante, Consiglio di Stato, sez. V, 28.06.2011, n. 3868; 24.05.2007, n. 2621; TAR Puglia, Lecce, sez. III, 01.06.2011, n. 999; TAR Campania, Salerno, sez. II, 11.04.2011, n. 660; si noti che gli elementi di cui sopra sono i medesimi che il Consiglio di Stato, adito in sede di appello cautelare nella presente fattispecie, ha ritenuto di accertare tramite verificazione).
Ciò premesso, l’inserimento di una strada nell’elenco delle vie pubbliche o soggette ad uso pubblico, effettuato dagli stessi Comuni, ha un valore meramente ricognitivo e non costitutivo, potendo così dare luogo -tutt’al più- ad una mera presunzione, superabile mediante prova contraria (cfr., fra le più recenti, TAR Lazio, Latina, 13.05.2011, n. 410; TAR Campania, Salerno, sez. II, 11.04.2011, n. 660, oltre a Consiglio di Stato, sez. IV, 24.03.2009, n. 1769 e sez. V, 24.05.2007, n. 2621)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 29.12.2011 n. 3364 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: L’autotutela avente per oggetto la DIA –o meglio il titolo formatosi a seguito della sua presentazione– deve rispettare i requisiti previsti dalle norme di legge succitate e quindi si impone, a carico del Comune, l’obbligo di indicare lo specifico interesse pubblico, diverso da quello al mero ripristino della legalità, posto a fondamento dell’autotutela, oltre alla considerazione sia degli interessi dei privati coinvolti, sia del tempo trascorso dalla presentazione della DIA a quello di adozione del provvedimento.
Il provvedimento impugnato appare però viziato non solo da evidente difetto di istruttoria e di motivazione sulla questione della natura della strada, ma anche dalla violazione delle norme riguardanti l’autotutela amministrativa (artt. 21-quinquies e 21-nonies della legge 241/1990, articoli entrambi richiamati dall’art. 19 di quest’ultima, sia nel precedente testo relativo alla DIA sia in quello attuale relativo alla SCIA, segnalazione certificata di inizio attività).
L’ordinanza comunale gravata, infatti, dispone (così testualmente) la “revoca” della DIA n. 232/2000 (anche se, più correttamente, si sarebbe dovuto parlare di “annullamento d’ufficio”), presentata dagli attuali esponenti al Comune di Limbiate per la posa dei cancelli carrai sulla strada vicinale di cui è causa (cfr. doc. 2 dei ricorrenti, copia della DIA).
In realtà, com’è noto, l’autotutela avente per oggetto la DIA –o meglio il titolo formatosi a seguito della sua presentazione– deve rispettare i requisiti previsti dalle norme di legge succitate e quindi si impone, a carico del Comune, l’obbligo di indicare lo specifico interesse pubblico, diverso da quello al mero ripristino della legalità, posto a fondamento dell’autotutela, oltre alla considerazione sia degli interessi dei privati coinvolti, sia del tempo trascorso dalla presentazione della DIA (luglio 2000) a quello di adozione del provvedimento, nel caso di specie oltre nove anni (cfr. sul punto, TAR Lombardia, Milano, sez. II, 01.03.2011, n. 596; TAR Marche, 08.11.2010, n. 3373; TAR Toscana, sez. II, 24.08.2010, n. 4882)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 29.12.2011 n. 3364 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La mancata indicazione dell'area di sedime, che verrebbe acquisita nell'ipotesi di inottemperanza all'ordine di demolizione, non costituisce causa di illegittimità dell'ingiunzione a demolire, in quanto tali indicazioni appartengono al successivo atto di accertamento dell'inottemperanza e di acquisizione gratuita al patrimonio comunale.
---------------
La sanzione demolitoria, non avendo natura afflittiva ma ripristinatoria non soggiace al principio di retroattività.
L’illecito edilizio ha carattere permanente onde il fatto che consente l’irrogazione della sanzione della demolizione è costituito dall’omessa spontanea demolizione di quanto è stato realizzato e dalla attuale incidenza sugli interessi urbanistici, onde sono soggette al regime sanzionatorio di cui alla l. 47/1985 anche le opere edilizie ultimate prima della sua entrata in vigore.
---------------
L'ordine di demolizione, come tutti i provvedimenti sanzionatori in materia edilizia, è atto vincolato e, quindi, non richiede una specifica valutazione delle ragioni di interesse pubblico, né una comparazione di quest'ultimo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati, né una motivazione sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale alla demolizione. Non può, peraltro, ammettersi alcun affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di fatto abusiva che il tempo non può avere legittimato.

Parimenti infondato è il motivo n. 3 con cui si lamenta la mancata individuazione del sedime oggetto di acquisizione gratuita in caso di inottemperanza all’ordine di demolizione.
Infatti, la mancata indicazione dell'area di sedime, che verrebbe acquisita nell'ipotesi di inottemperanza all'ordine di demolizione, non costituisce causa di illegittimità dell'ingiunzione a demolire, in quanto tali indicazioni appartengono al successivo atto di accertamento dell'inottemperanza e di acquisizione gratuita al patrimonio comunale (TAR Piemonte Torino, sez. I, 24.03.2010, n. 1577).
---------------
Quanto poi all’asserita impossibilità di ordinare la demolizione è sufficiente rilevare che, in disparte l’accertamento della data di effettiva realizzazione dell’ampliamento B di cui alla istanza di condono, la sanzione demolitoria, non avendo natura afflittiva ma ripristinatoria non soggiace al principio di retroattività (C.S. V 29.04.2000 n. 2544).
Peraltro, l’illecito edilizio ha carattere permanente onde il fatto che consente l’irrogazione della sanzione della demolizione è costituito dall’omessa spontanea demolizione di quanto è stato realizzato e dalla attuale incidenza sugli interessi urbanistici (C.S. V 24.03.1998 n. 345), onde sono soggette al regime sanzionatorio di cui alla l. 47/1985 anche le opere edilizie ultimate prima della sua entrata in vigore (C.S. VI 22.04.1997 n. 632).
---------------
Per costante giurisprudenza, anche della Sezione, "l'ordine di demolizione, come tutti i provvedimenti sanzionatori in materia edilizia, è atto vincolato e, quindi, non richiede una specifica valutazione delle ragioni di interesse pubblico, né una comparazione di quest'ultimo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati, né una motivazione sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale alla demolizione. Non può, peraltro, ammettersi alcun affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di fatto abusiva che il tempo non può avere legittimato" (Cons. di St., V, 11.01.2011, n. 79; id., IV, 31.08.2010, n. 3955; TAR Liguria, I, 14.01.2011, n. 43)
(TAR Liguria, Sez. I, sentenza 29.12.2011 n. 1943 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

PUBBLICO IMPIEGOBacchettati i fannulloni. Mobbing, nessun danno per chi non è produttivo. Sentenza della Cassazione sui dipendenti della pubblica amministrazione.
La Cassazione ammonisce i «fannulloni» all'interno della pubblica amministrazione. Non ha infatti diritto al risarcimento per il danno da mobbing il dipendente pubblico che viene sanzionato e sostituito perché l'ufficio è poco produttivo.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione civile che, con la sentenza 27.12.2011 n. 28962, ha respinto il ricorso di un funzionario pubblico sanzionato e poi sostituito per la scarsa produttività del suo ufficio che, dopo alcuni mesi, si era dimesso.
In questi casi, ha spiegato la sezione lavoro, il capo non pone in essere una condotta persecutoria finalizzata alle dimissioni del lavoratore ma aumenta l'efficienza degli uffici.
In particolare gli Ermellini hanno ricordato che per mobbing si intende una condotta del datore di lavoro o del superiore gerarchico, sistematica e protratta nel tempo, tenuta nei confronti del lavoratore nell'ambiente di lavoro, che si risolve in sistematici e reiterati comportamenti ostili che finiscono per assumere forme di prevaricazione o di persecuzione psicologica, da cui può conseguire la mortificazione morale e l'emarginazione del dipendente, con effetto lesivo del suo equilibrio fisio-psichico e del complesso della sua personalità.
In altri termini, «ai fini della configurabilità della condotta lesiva del datore di lavoro sono, pertanto, rilevanti: a) la molteplicità di comportamenti di carattere persecutorio, illeciti o anche leciti se considerati singolarmente, che siano stati posti in essere in modo miratamente sistematico e prolungato contro il dipendente con intento vessatorio; b) l'evento lesivo della salute o della personalità del dipendente; c) il nesso eziologico tra la condotta del datore o del superiore gerarchico e il pregiudizio all'integrità psicofisica del lavoratore; d) la prova dell'elemento soggettivo, cioè dell'intento persecutorio».
Dunque, la domanda di risarcimento del danno proposta dal lavoratore per il mobbing subito è soggetta a specifica allegazione e prova in ordine agli specifici fatti asseriti come lesivi e l'illecito del datore di lavoro nei confronti del lavoratore consistente nell'osservanza di una condotta protratta nel tempo e con le caratteristiche della persecuzione finalizzata all'emarginazione del dipendente (cosiddetto mobbing, che rappresenta una violazione dell'obbligo di sicurezza posto a carico dello stesso datore dall'art. 2087 cc) si può realizzare con comportamenti materiali o provvedimentali dello stesso datore di lavoro indipendentemente dall'inadempimento di specifici obblighi contrattuali previsti dalla disciplina del rapporto di lavoro subordinato.
La sussistenza della lesione del bene protetto e delle sue conseguenze deve essere verificata, procedendosi alla valutazione complessiva degli episodi dedotti in giudizio come lesivi, considerando l'idoneità offensiva della condotta del datore di lavoro.
Anche la procura generale del Palazzaccio aveva sollecitato di negare il risarcimento al funzionario dell'Agenzia delle entrate (articolo ItaliaOggi del 29.12.2011 - tratto da www.corteconti.it).

EDILIZIA PRIVATA: A seguito della sent. 15.07.1991 n. 345 della Corte costituzionale, l'acquisizione gratuita dell'area e dei manufatti abusivi a favore del comune, prevista dall'art. 7 l. 28.02.1985 n. 47 nel caso d'inottemperanza all'ordine di demolizione, non può considerarsi misura strumentale diretta a consentire al comune la demolizione, ma costituisce autonoma sanzione da applicare al trasgressore inadempiente: di conseguenza, l'acquisizione non può essere disposta nei confronti del proprietario non responsabile dell'abuso e nei suoi confronti può essere eseguita solo la demolizione d'ufficio, con addebito delle spese.
E’ fondato ed assorbente il terzo motivo di ricorso, con il quale la ricorrente lamenta che l’acquisizione gratuita dell’opera abusiva al patrimonio comunale non può colpire il proprietario che non sia –contemporaneamente– responsabile dell’abuso edilizio.
In effetti, secondo una costante giurisprudenza, a seguito della sent. 15.07.1991 n. 345 della Corte costituzionale, l'acquisizione gratuita dell'area e dei manufatti abusivi a favore del comune, prevista dall'art. 7 l. 28.02.1985 n. 47 nel caso d'inottemperanza all'ordine di demolizione, non può considerarsi misura strumentale diretta a consentire al comune la demolizione, ma costituisce autonoma sanzione da applicare al trasgressore inadempiente: di conseguenza, l'acquisizione non può essere disposta nei confronti del proprietario non responsabile dell'abuso e nei suoi confronti può essere eseguita solo la demolizione d'ufficio, con addebito delle spese (TAR Marche, 2.10.2001, n. 1105) (TAR Liguria, Sez. I, sentenza 27.12.2011 n. 1924 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: L'ordinanza di demolizione di una costruzione abusiva può legittimamente essere emanata nei confronti del proprietario, anche se non responsabile dell'abuso, considerato che l'abuso edilizio costituisce illecito permanente e che l'ordinanza stessa ha carattere ripristinatorio e non prevede l'accertamento del dolo o della colpa del soggetto cui si imputa la trasgressione, ferma restando la non acquisibilità dell'area di sedime delle opere abusive in danno del proprietario estraneo all'abuso.
Qualsiasi nuova opera eseguita su di una preesistente costruzione abusiva è infatti anch'essa abusiva e soggetta a demolizione, integrando finanche un nuova violazione della legge penale.
La mera “avvertenza” circa la futura ed eventuale conseguenza dell’acquisizione del bene al patrimonio comunale non integra propriamente il contenuto dispositivo dell’ingiunzione di demolizione e non ha un immediato ed attuale effetto lesivo, effetto che è eventualmente destinato a prodursi soltanto successivamente all’accertamento dell’ottemperanza, in caso di emissione del relativo formale provvedimento.

Per costante giurisprudenza, ai sensi dell'art. 7 L. 28.02.1985 n. 47, l'ordinanza di demolizione di una costruzione abusiva può legittimamente essere emanata nei confronti del proprietario, anche se non responsabile dell'abuso, considerato che l'abuso edilizio costituisce illecito permanente e che l'ordinanza stessa ha carattere ripristinatorio e non prevede l'accertamento del dolo o della colpa del soggetto cui si imputa la trasgressione, ferma restando la non acquisibilità dell'area di sedime delle opere abusive in danno del proprietario estraneo all'abuso (TAR Umbria, I, 23.07.2009, n. 441).
Ai sensi dell’art. 7 L. n. 47/1985, “il sindaco, accertata l'esecuzione di opere in assenza di concessione […] ingiunge la demolizione”.
Si tratta di sanzione ripristinatoria di generale applicazione, giacché la sanzione pecuniaria di cui al successivo art. 10 riguarda esclusivamente gli interventi abusivi minori soggetti a semplice autorizzazione gratuita, purché eseguiti su immobili già regolari dal punto di vista urbanistico-edilizio.
Qualsiasi nuova opera eseguita su di una preesistente costruzione abusiva è infatti anch'essa abusiva e soggetta a demolizione, integrando finanche un nuova violazione della legge penale (Cass. Pen., III, 11.10.2005, n. 40843).
Nel caso di specie, la società ricorrente –pur essendone proprietaria- non ha dedotto né dimostrato la regolarità edilizia del capannone sul quale sono stati effettuati gli interventi edilizi contestati, sicché non può invocare il più mite regime sanzionatorio previsto per gli interventi soggetti ad autorizzazione gratuita.
Del resto, si osserva che le opere contestate, comportando l'inserimento di nuovi elementi ed impianti (quali la cabina di verniciatura, il tamponamento della parete nord, l’installazione di canna fumaria e del relativo impianto di depurazione ed allontanamento di fumi) rivolti a “trasformare” l’organismo edilizio da ricovero natanti ad officina, integrano propriamente un intervento di ristrutturazione ex art. 31, lett. d), L. n. 457/1978, parimenti assoggettato –ove realizzato, come nel caso di specie, abusivamente– alla sanzione ripristinatoria ex art. 9 L. 47/1985, anche se realizzato su immobile regolarmente assentito.
Come visto supra in relazione al primo motivo, l'ordinanza di demolizione di una costruzione abusiva può legittimamente essere emanata nei confronti del proprietario.
Per il resto, la mera “avvertenza” circa la futura ed eventuale conseguenza dell’acquisizione del bene al patrimonio comunale non integra propriamente il contenuto dispositivo dell’ingiunzione di demolizione e non ha un immediato ed attuale effetto lesivo, effetto che è eventualmente destinato a prodursi soltanto successivamente all’accertamento dell’ottemperanza, in caso di emissione del relativo formale provvedimento (TAR Liguria, Sez. I, sentenza 27.12.2011 n. 1923 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Il provvedimento di accertamento dell'inottemperanza all'ordine di demolizione e quello di acquisizione gratuita delle opere abusive e dell'area di sedime debbono considerarsi consequenziali, connessi e conseguenti all'ordine di demolizione delle opere e ripristino dello stato primitivo dei luoghi, con la conseguenza che non sono autonomamente impugnabili, in mancanza di impugnazione dell'atto con cui si ingiunge la demolizione o di irricevibilità dell'impugnazione tardivamente proposta avverso tale atto.
E’ noto come, per costante giurisprudenza, il provvedimento di accertamento dell'inottemperanza all'ordine di demolizione e quello di acquisizione gratuita delle opere abusive e dell'area di sedime debbono considerarsi consequenziali, connessi e conseguenti all'ordine di demolizione delle opere e ripristino dello stato primitivo dei luoghi, con la conseguenza che non sono autonomamente impugnabili, in mancanza di impugnazione dell'atto con cui si ingiunge la demolizione o di irricevibilità dell'impugnazione tardivamente proposta avverso tale atto (Cons. di St., V, 10.01.2007, n. 40; TAR Emilia-Romagna, II, 24.09.2010, n. 7897) (TAR Liguria, Sez. I, sentenza 27.12.2011 n. 1920 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Nell’ipotesi in cui la domanda di sanatoria segua temporalmente il provvedimento sanzionatorio, se questa viene favorevolmente definita, l’ingiunzione di demolizione perde efficacia e non può essere eseguita, mentre se essa viene respinta, l’amministrazione dovrà necessariamente procedere, con autonomo procedimento, al riesame dell’intera fattispecie ed emanare un nuovo provvedimento sanzionatorio con assegnazione, in tal caso, di un nuovo termine per eseguirlo, con la conseguenza, anche in quest’ultimo caso, dell’inefficacia del precedente provvedimento demolitorio.
Nell’ipotesi in cui la domanda di sanatoria segua temporalmente il provvedimento sanzionatorio, se questa viene favorevolmente definita, l’ingiunzione di demolizione perde efficacia e non può essere eseguita, mentre se essa viene respinta, l’amministrazione dovrà necessariamente procedere, con autonomo procedimento, al riesame dell’intera fattispecie ed emanare un nuovo provvedimento sanzionatorio con assegnazione, in tal caso, di un nuovo termine per eseguirlo, con la conseguenza, anche in quest’ultimo caso, dell’inefficacia del precedente provvedimento demolitorio (cfr. TAR Salerno, Sez. II, 04.05.2006 n. 596 e 20.01.2003 n. 26) (TAR Campania-Salerno, Sez. II, sentenza 23.12.2011 n. 2070 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZIAnche nelle concessioni di servizi è ammissibile l'avvalimento. Il Tar molise ritiene la normativa comunitaria prevalente sul codice dei contratti pubblici.
È illegittima per violazione del diritto comunitario la limitazione del ricorso all'avvalimento e della possibilità di partecipare alla gara in raggruppamento.
È quanto afferma il TAR Molise con la sentenza 23.12.2011 n. 990 rispetto a una procedura di gara per l'affidamento di una concessione di servizi da parte di un comune.
Il bando di gara veniva impugnato nella parte in cui non ammetteva la possibilità di costituire associazioni di più soggetti per la partecipazione alla gara ed escludeva l'istituto dell'avvalimento per la dimostrazione dei requisiti di capacità tecnico-organizzativi ed economico-finanziari. Le censura che veniva portata davanti ai giudici molisani era fondata sul mancato rispetto della normativa comunitaria che (direttive 2004/18 e 17) prevede in via generale sia la possibilità di partecipare alle procedure concorsuali pubbliche per ogni tipo di affidamento (appalti e concessioni), singolarmente e in forma associata, sia l'utilizzo dell'avvalimento. A ciò si aggiungeva la censura di mancanza di ragionevolezza e proporzionalità nell'introduzione delle clausole restrittive del bando di gara emesso dal comune. Il Tar Molise accoglie integralmente il ricorso e annulla gli atti di gara.
La sentenza, dopo avere ritenuto pacifico che si tratti di una concessione di servizi pubblici (gestione di una piscina), analizza l'articolo 30 del Codice dei contratti pubblici (dlgs 163/2006). In particolare la sentenza evidenzia che la norma prevede che alle concessioni di servizi non si applichino le norme del Codice, fra cui vi sarebbe anche l'articolo 49 sull'avvalimento.
In base alla parte iniziale della disposizione esaminata, effettivamente l'avvalimento non dovrebbe essere applicato alle concessioni di servizi e quindi non sarebbe possibile documentare e provare requisiti di ordine economico-finanziario e tecnico-organizzativo facendo ricorso ad altri soggetti. La restante parte della disposizione fa però salve le disposizioni di deroga del principio della generale inapplicabilità delle norme del Codice dettate nello stesso articolo.
Se si osserva, dice la sentenza, il terzo comma dell'articolo 30 si può quindi notare come sia affermata esplicitamente l'applicabilità dei principi del Trattato e di quelli «generali relativi ai contratti pubblici e, in particolare, dei principi di trasparenza, adeguata pubblicità, non discriminazione, parità di trattamento, mutuo riconoscimento, proporzionalità». Proprio con riguardo all'applicazione e al rispetto di questi principi i giudici ritengono in particolare che i principi di non discriminazione e di proporzionalità, postulino «senza dubbio che sia consentita la facoltà di riunirsi in associazione per soddisfare i requisiti di partecipazione ovvero di avvalersi di altri soggetti per conseguire lo stesso effetto».
Al riguardo la sentenza si richiama anche a precedenti decisioni del Consiglio di stato che, ancorché non specificamente su affidamenti di concessioni, ha comunque ritenuto applicabile a tutto tondo l'istituto dell'avvalimento. In particolare, la sentenza n. 9577 del 29.12.2010, sezione sesta, ha affermato testualmente che una norma restrittiva dell'avvalimento «sarebbe contraria al diritto comunitario» e che «non vi sono limiti legali quantitativi al ricorso all'avvalimento, potendo lo stesso essere utilizzato anche per le percentuali di capacità minima richiesti dalla legge per ciascun singolo mandante» (articolo ItaliaOggi del 31.12.2011 - tratto da www.ecostampa.it).

EDILIZIA PRIVATALa presentazione dell'istanza di sanatoria -sia essa di accertamento di conformità, sia essa di condono- produce l'effetto di rendere inefficace il provvedimento sanzionatorio dell'ingiunzione di demolizione e, quindi, improcedibile l'impugnazione stessa per sopravvenuta carenza di interesse.
Per costante giurisprudenza, condivisa dal Collegio, “La presentazione dell'istanza di sanatoria -sia essa di accertamento di conformità, sia essa di condono- produce l'effetto di rendere inefficace il provvedimento sanzionatorio dell'ingiunzione di demolizione e, quindi, improcedibile l'impugnazione stessa per sopravvenuta carenza di interesse" (ex multis ancora di recente TAR Campania-Salerno, sez. II, 08.01.2010, n. 8) (TAR Sicilia-Palermo, Sez. II, sentenza 21.12.2011 n. 2439 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVIIl provvedimento che dispone la sospensione degli effetti di un precedente atto ha natura strumentale e funzione meramente cautelare, in relazione alla prevista adozione di un eventuale provvedimento definitivo di autotutela; sicché, attesa la rilevata funzione cautelare di tale tipo di atto, è applicabile l’art. 7, comma 2, della L. n. 241/1990, che consente l’emanazione di provvedimenti cautelari senza necessità di preventiva comunicazione e di termini a difesa, ancor prima che venga inviato l’avviso dell’inizio del procedimento volto all’assunzione del provvedimento finale.
Va parimenti respinta la doglianza volta a contestare l’omessa comunicazione di avvio del procedimento di adozione del provvedimento di sospensione ex art. 21-quater della L. n. 241/1990.
Ed invero, il provvedimento che dispone la sospensione degli effetti di un precedente atto ha natura strumentale e funzione meramente cautelare, in relazione alla prevista adozione di un eventuale provvedimento definitivo di autotutela; sicché, attesa la rilevata funzione cautelare di tale tipo di atto, è applicabile, per consolidata giurisprudenza, l’art. 7, comma 2, della L. n. 241/1990, che consente l’emanazione di provvedimenti cautelari senza necessità di preventiva comunicazione e di termini a difesa, ancor prima che venga inviato l’avviso dell’inizio del procedimento volto all’assunzione del provvedimento finale (Consiglio di Stato, VI, 29.11.2006, n. 6978; V, 30.10.2002, n. 5975; Tar Lazio, Roma, I-quater, 04.07.2007, n. 5993; III, 19.07.2006, n. 6050) (TAR Sicilia-Palermo, Sez. III, sentenza 21.12.2011 n. 2436 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICAIn caso di impugnazione di Piano regolatore Generale, il termine di decadenza di giorni 60 decorre dalla data di pubblicazione del provvedimento regionale di approvazione del P.R.G., in quanto atto a contenuto generale.
L’eventuale formazione del silenzio assenso in relazione all’approvazione del Piano regolatore può produrre effetti nei confronti del Comune, ma non anche del singolo cittadino, il quale non può certo ritenersi a conoscenza del momento in cui il provvedimento di adozione è stato trasmesso o addirittura ricevuto dalla Regione.

E' regola generale (cfr. TAR Palermo, sentenza n. 585/2007 e TAR Catania, sez. I, 22.02.2005, n. 289) che, in caso di impugnazione di Piano regolatore Generale, il termine di decadenza di giorni sessanta decorra, per principio assolutamente pacifico, dalla data di pubblicazione del provvedimento regionale di approvazione del P.R.G., in quanto atto a contenuto generale.
L’eventuale formazione del silenzio assenso in relazione all’approvazione del Piano regolatore può produrre effetti nei confronti del Comune, ma non anche del singolo cittadino, il quale non può certo ritenersi a conoscenza del momento in cui il provvedimento di adozione è stato trasmesso o addirittura ricevuto dalla Regione
(TAR Sicilia-Palermo, Sez. II, sentenza 20.12.2011 n. 2429 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATASe è vero che la decadenza di una concessione edilizia "avviene "di diritto" al verificarsi dei presupposti di legge (art. 15, comma 2, D.P.R. n. 380 del 2001) e la pronuncia di decadenza ha natura ricognitiva con effetto retroattivo”, resta comunque ferma la necessità dell’adozione di un atto formale dell'Amministrazione in proposito.
Per quanto attiene al successivo atto implicito di dichiarazione della decadenza della concessione edilizia, si ritiene opportuno premettere che, pur non essendo stato dimostrato l’effettivo, tempestivo, invio della comunicazione di inizio dei lavori, il comportamento del Comune, che ha consentito il completamento, almeno al rustico, di tutti gli edifici previsti, che ha incassato gli oneri concessori e che ha preteso, successivamente, la cessione delle aree da destinare ad opere di urbanizzazione, induce a ritenere che tale comunicazione vi sia effettivamente stata e sia stata in concreto ricevuta dal Comune. In caso contrario, infatti, si dovrebbe ritenere gravemente omissivo e comunque contradditorio l’agire dell’Amministrazione.
Con riferimento al rispetto dei termini di completamento dei lavori, invece, il Collegio ritiene di poter condivide la tesi di cui alla sentenza del Consiglio di Stato, sez. IV, 10.05.2011, n. 2765, secondo cui: “se è vero che la decadenza stessa "avviene "di diritto" al verificarsi dei presupposti di legge (art. 15, comma 2, D.P.R. n. 380 del 2001) e la pronuncia di decadenza ha natura ricognitiva con effetto retroattivo”, resta comunque ferma la necessità dell’adozione di un atto formale dell'Amministrazione in proposito (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 09.10.2007 n. 5228).
Anche nel caso di specie, quindi, non può ritenersi in concreto intervenuta la dichiarazione di decadenza, con la conseguenza che il provvedimento impugnato, con cui il Comune ha negato la possibilità di proseguire i lavori, risulta fondato su di un presupposto, l’intervenuta decadenza della concessione edilizia, inesistente per carenza del provvedimento di formale accertamento della stessa e che, peraltro, non sembrerebbe comunque precludere il rilascio di un nuovo titolo legittimante il suddetto completamento
(TAR Sicilia-Palermo, Sez. II, sentenza 20.12.2011 n. 2429 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICAL'omessa impugnazione del provvedimento di approvazione di un piano regolatore generale non determina, quindi, alcuna preclusione all'ammissibilità del ricorso proposto contro la delibera di adozione dello stesso strumento urbanistico, in quanto l'annullamento di quest'ultima, comportando il venir meno di uno degli elementi necessari di un atto complesso il cui procedimento si conclude solo con l'approvazione, esplica effetti automaticamente caducanti e non meramente vizianti su quest'ultimo provvedimento, nella parte in cui lo stesso si limita a confermare le previsioni già contenute nel piano adottato e fatto oggetto di impugnativa.
Va richiamato il consolidato orientamento, anche del Consiglio di Stato, secondo cui “L'omessa impugnazione del provvedimento di approvazione di un piano regolatore generale non determina, quindi, alcuna preclusione all'ammissibilità del ricorso proposto contro la delibera di adozione dello stesso strumento urbanistico, in quanto l'annullamento di quest'ultima, comportando il venir meno di uno degli elementi necessari di un atto complesso il cui procedimento si conclude solo con l'approvazione, esplica effetti automaticamente caducanti e non meramente vizianti su quest'ultimo provvedimento, nella parte in cui lo stesso si limita a confermare le previsioni già contenute nel piano adottato e fatto oggetto di impugnativa” (ex plurimis: Consiglio di Stato, IV, 23.07.2009, n. 4662; nello stesso senso: Consiglio di Stato, IV, 24.04.2009, n. 2630; 13.04.2005, n. 1743; 06.05.2003, n. 2386; TAR Sicilia, Palermo, I, 08.04.2008, n. 449; TAR Puglia Bari, I, 13.01.2009, n. 11; TAR Campania, Salerno, I, 23.12.2008, n. 4286) (TAR Sicilia-Palermo, Sez. III, sentenza 20.12.2011 n. 2407 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Appalti pubblici e principio di tassatività delle cause di esclusione.
Contrasta con l’articolo 46, comma 1-bis, del d.lgs. 163/2006 la legge di gara che chiede, a pena di esclusione, l’attestazione notarile relativa ai poteri del funzionario che rilascia la polizza fideiussoria; ed infatti questa formalità non incide sul contenuto formativo dell’offerta in quanto non priva di certezza la provenienza della garanzia, né impedisce a quest’ultima di raggiungere il suo scopo.

Questo è il principio espresso dal TAR Lazio-Roma, Sez. I-bis, con la sentenza 15.12.2011 n. 9791.
Il ricorso veniva introdotto da un società, esclusa da un appalto di servizi in quanto il notaio non aveva attestato i poteri del funzionario che aveva rilasciato la polizza fideiussoria, inviata a garanzia dell’offerta, in conformità alla clausola della lettera di invito secondo cui “La firma dei funzionari che rilasceranno la polizza dovrà essere autenticata da un notaio (pena l’esclusione dalla gara) il quale dovrà, altresì, attestarne i relativi poteri”.
Avverso questa esclusione, la società contestava, tra l’altro, la nullità della clausola in quanto contraria alle regole previste dall’articolo 46, comma 1-bis, del d.lgs. 163/2006.
Come noto, il comma 1-Bis è stato introdotto dal decreto legge 70/2011 (convertito in legge n. 106/2011) e prevede che “La stazione appaltante esclude i candidati o i concorrenti in caso di mancato adempimento alle prescrizioni previste dal presente codice e dal regolamento e da altre disposizioni di legge vigenti, nonché nei casi di incertezza assoluta sul contenuto o sulla provenienza dell'offerta, per difetto di sottoscrizione o di altri elementi essenziali ovvero in caso di non integrità del plico contenente l'offerta o la domanda di partecipazione o altre irregolarità relative alla chiusura dei plichi, tali da far ritenere, secondo le circostanze concrete, che sia stato violato il principio di segretezza delle offerte; i bandi e le lettere di invito non possono contenere ulteriori prescrizioni a pena di esclusione. Dette prescrizioni sono comunque nulle”.
In merito alla ratio della recente modifica il TAR Roma ha chiarito come “Il Legislatore, ispirato anche dal principio del favor partecipationis, ha limitato il numero di esclusioni fondate su elementi di carattere formale.
L’intento è stato quello di tutelare in modo sostanziale e concreto il principio di derivazione comunitaria della concorrenza oltre quello, più squisitamente politico-economico-sociale, di ridurre il contenzioso in materia di appalti.
Secondo il nuovo testo del citato art. 46, la stazione appaltante può escludere le imprese dalla gara di appalto esclusivamente in caso di:
- mancato adempimento a prescrizioni di legge previste dal codice degli appalti, dal regolamento attuativo (DPR n. 207/2010) e da altre disposizioni legislative vigenti;
- incertezza assoluta sul contenuto o sulla provenienza dell’offerta per difetto di sottoscrizione o di altri elementi essenziali;
- non integrità del plico contenente l’offerta o la domanda di partecipazione o altre irregolarità relative alla chiusura del plico, tale da far ritenere, secondo le circostanze concrete, che sia stato violato il principio di segretezza delle offerte.
Queste cause di esclusione sono tassative ed ogni altra prescrizione prevista dagli atti di gara deve considerarsi nulla (nullità testuale).
Il Collegio ritiene che, seppure lo sforzo Legislatore sia apprezzabile, l’interpretazione delle norme non possa andare a discapito dell’altro fondamentale principio della par condicio o della certezza dell’agire della pubblica amministrazione.
Si tratta di appurare, pertanto, se nel caso concreto siano state o meno violate le norme regolatrici dell’appalto ed insieme a queste i cennati principi informatori della procedura di gara
”.
In base a queste considerazioni i giudici del TAR Roma hanno annullato il provvedimento di esclusione, dichiarando nulla la clausola impugnata, in quanto la mancata attestazione notarile, attenendo al contenuto meramente formale della garanzia, non poteva essere considerata come un elemento integrativo co-necessario dell’offerta e dunque non rendeva incerto il contenuto sostanziale dell’offerta medesima.
Con questa decisione i giudici hanno dunque chiarito come il principio della tassatività delle cause di esclusione, debba essere contemperato con gli altri principi fondamentali, nell’ambito degli appalti pubblici, della par condicio e della certezza dell’agire della pubblica amministrazione (commento tratto da www.professioni-imprese24.ilsole24ore.com - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATAL'art. 216 r.d. 27.07.1934 n. 1265, nel prescrivere che le industrie insalubri di prima classe devono essere isolate dalle campagne e tenute lontane dall'abitazione, non fissa specifiche distanze; pertanto, se il titolare dimostra che, per l'introduzione di nuovi metodi o speciali cautele, l'esercizio dell'attività non reca nocumento alla salute del vicinato, le distanze eventualmente prescritte dal p.r.g. possono essere derogate.
Gli art. 216 e 217 r.d. 27.07.1934 n. 1265 conferiscono al comune ampi poteri in materia di industrie insalubri, anche prescindendo da situazioni di emergenza e dall'autorizzazione a suo tempo rilasciata, a condizione, però, che siano dimostrati, da congrua e seria istruttoria, gli inconvenienti igienici e che si sia vanamente tentato di eliminarli.
---------------
L'obbligo di motivazione del provvedimento amministrativo non può ritenersi violato quando, anche a prescindere dal tenore letterale dell'atto finale, i documenti dell'istruttoria offrano elementi sufficienti ed univoci dai quali possano ricostruirsi le concrete ragioni e l'iter motivazionale della determinazione assunta..
In sintesi: nel rilasciare un permesso di costruire di un'attività quale "industria insalubre", l’amministrazione comunale sarebbe tenuta ad un obbligo di stringente motivazione soltanto allorché intenda discostarsi dal parere (sia esso di natura favorevole, che negativo) reso dall’autorità sanitaria, mentre, laddove ne condivida gli approdi e ad essi intenda conformarsi, potrebbe semplicemente richiamarlo.

Il parere della AUSL sotteso al provvedimento reiettivo reso dall’amministrazione comunale risulta governato dalla disposizione di cui all’art. 216 del Regio Decreto 27.07.1934, n. 1265 (recante approvazione del testo unico delle leggi sanitarie) che così dispone: “Le manifatture o fabbriche che producono vapori, gas o altre esalazioni insalubri o che possono riuscire in altro modo pericolose alla salute degli abitanti sono indicate in un elenco diviso in due classi.
La prima classe comprende quelle che debbono essere isolate nelle campagne e tenute lontane dalle abitazioni; la seconda quelle che esigono speciali cautele per la incolumità del vicinato.
Questo elenco, compilato dal consiglio superiore di sanità, è approvato dal Ministro della sanità, sentito il Ministro del lavoro e della previdenza sociale, e serve di norma per l'esecuzione delle presenti disposizioni.
Le stesse norme stabilite per la formazione dell'elenco sono seguite per iscrivervi ogni altra fabbrica o manifattura che posteriormente sia riconosciuta insalubre.
Una industria o manifattura la quale sia inscritta nella prima classe, può essere permessa nell'abitato, quante volte l'industriale che l'esercita provi che, per l'introduzione di nuovi metodi o speciali cautele, il suo esercizio non reca nocumento alla salute del vicinato.
Chiunque intende attivare una fabbrica o manifattura compresa nel sopra indicato elenco, deve quindici giorni prima darne avviso per iscritto al sindaco, il quale, quando lo ritenga necessario nell'interesse della salute pubblica, può vietarne l'attivazione o subordinarla a determinate cautele.
Il contravventore è punito con la sanzione amministrativa da lire 40.000 a lire 400.000.
”.
Come è agevole rilevare, il comma 5 della citata disposizione non vieta in assoluto che una industria o manifattura del genere di quelle per cui è causa sia esercitata nell'abitato allorché si provi che il suo esercizio non rechi nocumento alla salute del vicinato.
Peraltro la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato si è spinta in passato ancora oltre, ed è pervenuta alla significativa affermazione per cui “l'art. 216 r.d. 27.07.1934 n. 1265, nel prescrivere che le industrie insalubri di prima classe devono essere isolate dalle campagne e tenute lontane dall'abitazione, non fissa specifiche distanze; pertanto, se il titolare dimostra che, per l'introduzione di nuovi metodi o speciali cautele, l'esercizio dell'attività non reca nocumento alla salute del vicinato, le distanze eventualmente prescritte dal p.r.g. possono essere derogate.” (Consiglio Stato, sez. V, 13.10.2004, n. 6648).
...
Un punto deve essere chiarito in via assolutamente preliminare: pur con le precisazioni che verranno fatte di seguito, devono comunque essere disattesi –laddove intesi in termini categorici- gli argomenti contenuti nell’appello secondo cui il comune non avrebbe potuto in via assoluta discostarsi dal parere preclusivo dell’Azienda sanitaria (si veda, ex multis, in materia di poteri comunali, comunque sussistenti, in subiecta materia, Consiglio Stato, sez. V, 19.04.2005, n. 1794, ma anche Sezione V 05.02.1985 n. 67, 01.04.1996 n. 338, 17.09.1992 n. 809).
Peraltro lo stesso parere preclusivo dell’Azienda sanitaria (si veda l’ultima pagina, in particolare), dava atto della circostanza che il comune avrebbe potuto eventualmente discostarsi dalle conclusioni cui era giunta l’Azienda sanitaria medesima.
Ciò è certamente esatto perché, infatti, in via di principio l’amministrazione comunale mantiene proprie potestà (si vedano in proposito le decisioni prima richiamate) in subiecta materia e potrebbe motivatamente discostarsi dalle determinazioni rese dall’Autorità sanitaria.
L’affermazione, tuttavia, merita talune importanti precisazioni.
Le suindicate decisioni del Consiglio di Stato, ed il relativo consolidato orientamento giurisprudenziale -che ha costantemente affermato come gli art. 216 e 217 r.d. 27.07.1934 n. 1265 conferiscono al comune ampi poteri in materia di industrie insalubri, anche prescindendo da situazioni di emergenza e dall'autorizzazione a suo tempo rilasciata, a condizione, però, che siano dimostrati, da congrua e seria istruttoria, gli inconvenienti igienici e che si sia vanamente tentato di eliminarli (Consiglio Stato, sez. V, 19.04.2005, n. 1794)- hanno in realtà esaminato la situazione (speculare a quella odierna) in cui, pur a fronte di una determinazione favorevole dell’autorità sanitaria, l’amministrazione comunale era addivenuta all’emissione di una ordinanza contingibile ed urgente di natura inibitoria resa necessitata dal permanere di una grave situazione igienico-sanitaria.
Affermata la persistenza di discrezionalità valutativa del comune in materia, appare ovvio che essa possa e debba riscontrarsi anche in senso inverso (id est: quello invocato dall’appellata società, ampliativo rispetto ad un parere negativo rilasciato dall’autorità sanitaria).
Ma, affermato in via di principio detto potere, è evidente che il comune (che non possiede né strumenti né competenze per accertare “in proprio” le condizioni sanitarie di una industria insalubre) possa esercitarlo –così discostandosi dal parere negativo reso dall’Autorità sanitaria- in ipotesi che configurano veri e propri casi limite e che potrebbero sinteticamente indicarsi in una compresenza di due condizioni: l’assoluta insufficienza, carenza, approssimazione del parere negativo reso dall’azienda sanitari, e la contemporanea sussistenza di allegazioni di parte –o comunque acquisite dall’amministrazione comunale- che provino oltre ogni dubbio l’inattendibilità del parere negativo e la sussistenza di comprovati elementi che escludano inconvenienti sanitari ascrivibili all’azienda.
Soltanto in presenza di tale coacervo di condizioni l’amministrazione comunale potrebbe motivatamente discostarsi dal parere reso dall’autorità che ha competenza in materia (e possiede le professionalità necessarie).
Di converso, è ovvio che, laddove non si riscontrino tali condizioni, l’amministrazione comunale è tenuta ad attenersi alle prescrizioni dell’autorità sanitaria e dalle stesse -laddove espressione di discrezionalità tecnica ragionevolmente esercitata– non si possa discostare senza stravolgere l’ordine delle competenze e macchiare, a propria volta, di illegittimità la propria azione amministrativa.
Puntualizzati tali principi, ritiene il Collegio di interrogarsi in ordine ai doveri dell’amministrazione comunale allorché -trovatasi al cospetto di un parere negativo (rectius: diniego di autorizzazione) reso dall’autorità sanitaria, che non appaia né irragionevole, né abnorme, ed in relazione al quale non siano stati acquisiti al procedimento elementi che inducano a metterne in discussione le conclusioni- decida di attenervisi.
Appare evidente che in una simile evenienza la “motivazione” del diniego di permesso di costruire non farebbe che richiamare il contenuto del parere negativo dell’autorità sanitaria e l’assenza di elementi che inducano a discostarsene.
La “motivazione” della reiezione, in un simile caso, a ben guardare, riposerebbe in una semplice esternazione della circostanza che non ci si intende discostare dal parere negativo e, al di là della forma più o meno diffusa, e delle espressioni assertive od enfatiche utilizzate, non consisterebbe in altro che nel richiamo delle risultanze del parere e della insussistenza di emergenze procedimentali con lo stesso collidenti.
Se così è, ed esclusa la condivisibilità di una visione meramente meccanicistica e formale dell’obbligo generale di motivazione, ben le ragioni del convincimento reiettivo (a propria volta reso in conformazione al parere negativo) potrebbero desumersi dagli atti istruttori sottesi al procedimento: il Collegio condivide pienamente infatti la consolidata giurisprudenza di questo Consiglio di Stato secondo cui “l'obbligo di motivazione del provvedimento amministrativo non può ritenersi violato quando, anche a prescindere dal tenore letterale dell'atto finale, i documenti dell'istruttoria offrano elementi sufficienti ed univoci dai quali possano ricostruirsi le concrete ragioni e l'iter motivazionale della determinazione assunta.” (Consiglio Stato, sez. V, 20.05.2010, n. 3190).
In sintesi: ritiene il Collegio che l’amministrazione comunale sarebbe tenuta ad un obbligo di stringente motivazione soltanto allorché intenda discostarsi dal parere (sia esso di natura favorevole, che negativo) reso dall’autorità sanitaria, mentre, laddove ne condivida gli approdi e ad essi intenda conformarsi, potrebbe semplicemente richiamarlo
(Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 15.12.2011 n. 6612 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AMBIENTE-ECOLOGIALe emissioni inquinanti integrano reato contravvenzionale penale: la costante giurisprudenza di legittimità ne ha interpretato l’ambito oggettivo in senso largamente estensivo (“ai fini della sussistenza del reato di cui all'art. 674 c.p. non è richiesta la prova di un concreto pericolo per la salute delle persone in quanto tale norma fa riferimento al concetto più attenuato di molestia") ed ha costantemente affermato che esso è configurabile “indipendentemente dal superamento dei valori limite di emissione stabiliti dalla legge qualora le emissioni moleste non siano una diretta conseguenza dell'attività autorizzata, ma siano dovute all'omessa attuazione degli accorgimenti tecnici idonei ad eliminarle o contenerle.”.
La contravvenzione di cui all'art. 674 c.p. sussiste anche in presenza di rituali autorizzazioni amministrative per l'esercizio di un'attività d'impresa, ove da tale esercizio derivino esalazioni odorifere moleste alle persone, poiché l'imprenditore ha comunque il dovere di adottare tutte le misure consigliate dall'esperienza e dalla tecnica atte a evitare il disagio, fastidio o disturbo generalizzati ovvero a turbare il modo di vivere quotidiano.
Né in proposito rileva che la competente autorità amministrativa abbia attestato che l'impianto "non produce inquinamento atmosferico", giacché la norma incriminatrice "de qua" non tutela il bene giuridico "aria" in sé considerato, bensì le persone che possono ricevere pregiudizio diretto da eventuali emissioni, eccedenti il limite della normale tollerabilità.”.
---------------
In tema di immissioni, l'art. 844, comma 2, c.c., nella parte in cui prevede la valutazione, da parte del giudice, del contemperamento delle esigenze della produzione con le ragioni della proprietà, considerando eventualmente la priorità di un determinato uso, deve essere letto, tenendo conto che il limite della tutela della salute è da ritenersi ormai intrinseco nell'attività di produzione oltre che nei rapporti di vicinato, alla luce di una interpretazione costituzionalmente orientata, dovendo considerarsi prevalente rispetto alle esigenze della produzione il soddisfacimento ad una normale qualità della vita.
Ne consegue che le immissioni acustiche determinate da un'attività produttiva che superino i normali limiti di tollerabilità fissati, nel pubblico interesse, da leggi o regolamenti, e da verificarsi in riferimento alle condizioni del fondo che le subisce, sono da reputarsi illecite, sicché il giudice, dovendo riconoscerle come tali, può addivenire ad un contemperamento delle esigenze della produzione soltanto al fine di adottare quei rimedi tecnici che consentano l'esercizio della attività produttiva nel rispetto del diritto dei vicini a non subire immissioni superiori alla normale tollerabilità.”.
Ciò si inquadra nel condivisibile orientamento per cui “l'art. 844 c.c. impone, nei limiti della normale tollerabilità e dell'eventuale contemperamento delle esigenze della proprietà con quelle della produzione, l'obbligo di sopportazione di quelle inevitabili propagazioni attuate nell'ambito delle norme generali e speciali che ne disciplinano l'esercizio. Viceversa, l'accertamento del superamento della soglia di normale tollerabilità di cui all'art. 844 c.c., comporta, nella liquidazione del danno da immissioni, sussistente "in re ipsa", l'esclusione di qualsiasi criterio di contemperamento di interessi contrastanti e di priorità dell'uso, in quanto venendo in considerazione, in tale ipotesi, unicamente l'illiceità del fatto generatore del danno arrecato a terzi, si rientra nello schema dell'azione generale di risarcimento danni di cui all'art. 2043 c.c. e specificamente, per quanto concerne il danno alla salute, nello schema del danno non patrimoniale risarcibile ai sensi dell'art. 2059 c.c..

Secondariamente, si evidenzia che le emissioni inquinanti integrano reato contravvenzionale penale: la costante giurisprudenza di legittimità ne ha interpretato l’ambito oggettivo in senso largamente estensivo (“ai fini della sussistenza del reato di cui all'art. 674 c.p. non è richiesta la prova di un concreto pericolo per la salute delle persone in quanto tale norma fa riferimento al concetto più attenuato di molestia". -Cassazione penale, sez. III, 07.04.1994-) ed ha costantemente affermato che esso è configurabile “indipendentemente dal superamento dei valori limite di emissione stabiliti dalla legge qualora le emissioni moleste non siano una diretta conseguenza dell'attività autorizzata, ma siano dovute all'omessa attuazione degli accorgimenti tecnici idonei ad eliminarle o contenerle.” (Cassazione penale, sez. III, 16.05.2007, n. 23796).
Appare poi sintomatico della correttezza della impostazione prevenzionistica dell’autorità sanitaria -e del comune che ad essa si è pedissequamente riportato- l’orientamento della costante giurisprudenza di legittimità, secondo il quale “la contravvenzione di cui all'art. 674 c.p. sussiste anche in presenza di rituali autorizzazioni amministrative per l'esercizio di un'attività d'impresa, ove da tale esercizio derivino esalazioni odorifere moleste alle persone, poiché l'imprenditore ha comunque il dovere di adottare tutte le misure consigliate dall'esperienza e dalla tecnica atte a evitare il disagio, fastidio o disturbo generalizzati ovvero a turbare il modo di vivere quotidiano.
Né in proposito rileva che la competente autorità amministrativa abbia attestato che l'impianto "non produce inquinamento atmosferico", giacché la norma incriminatrice "de qua" non tutela il bene giuridico "aria" in sé considerato, bensì le persone che possono ricevere pregiudizio diretto da eventuali emissioni, eccedenti il limite della normale tollerabilità
.” (Cassazione penale, sez. III, 13.10.1999, n. 11688).
Infine, costituisce elemento processuale pacificamente provato quello per cui nell’area vicina all’impianto sorgevano costruzioni adibite a civile abitazione.
---------------
V’è disaccordo tra le parti in ordine alla circostanza relativa all’epoca di realizzazione di queste ultime, ed alla diretta insistenza –o meno- delle stesse nell’area industriale.
Ritiene tuttavia il Collegio che non sia dirimente accertare se le stesse siano insorte anteriormente o successivamente all’impianto per cui è causa, ovvero se esse siano state ivi allocate legittimamente o meno.
Si rammenta in proposito che il comma 2 dell’art. 844 del codice civile (“Il proprietario di un fondo non può impedire le immissioni di fumo o di calore, le esalazioni, i rumori, gli scuotimenti e simili propagazioni derivanti dal fondo del vicino, se non superano la normale tollerabilità, avuto anche riguardo alla condizione dei luoghi. Nell'applicare questa norma l'autorità giudiziaria deve contemperare le esigenze della produzione con le ragioni della proprietà. Può tener conto della priorità di un determinato uso.”) fa riferimento al criterio della “prevenzione nell’uso”, ma ciò costituisce elemento meramente facoltativo a fini valutativi (“Il criterio di prevenzione, dettato per la disciplina delle immissioni, dall'ultima parte del comma 2 dell'art. 844 c.c., ha carattere meramente complementare e sussidiario: ne consegue che il giudice ha la facoltà, non l'obbligo, di tener conto della priorità di un determinato uso, e il mancato esercizio di tale facoltà non può costituire motivo di cassazione della sentenza”.) (Cassazione civile, sez. II, 06.03.1979, n. 1404).
Più di recente, la Cassazione ha chiarito che il principio, dettato in tema di immissioni acustiche è agevolmente traslabile a quelle odorigene; si è detto, così: “In tema di immissioni, l'art. 844, comma 2, c.c., nella parte in cui prevede la valutazione, da parte del giudice, del contemperamento delle esigenze della produzione con le ragioni della proprietà, considerando eventualmente la priorità di un determinato uso, deve essere letto, tenendo conto che il limite della tutela della salute è da ritenersi ormai intrinseco nell'attività di produzione oltre che nei rapporti di vicinato, alla luce di una interpretazione costituzionalmente orientata, dovendo considerarsi prevalente rispetto alle esigenze della produzione il soddisfacimento ad una normale qualità della vita.
Ne consegue che le immissioni acustiche determinate da un'attività produttiva che superino i normali limiti di tollerabilità fissati, nel pubblico interesse, da leggi o regolamenti, e da verificarsi in riferimento alle condizioni del fondo che le subisce, sono da reputarsi illecite, sicché il giudice, dovendo riconoscerle come tali, può addivenire ad un contemperamento delle esigenze della produzione soltanto al fine di adottare quei rimedi tecnici che consentano l'esercizio della attività produttiva nel rispetto del diritto dei vicini a non subire immissioni superiori alla normale tollerabilità
.” (Cassazione civile, sez. II, 08.03.2010, n. 5564).
Ciò si inquadra nel condivisibile orientamento per cui “l'art. 844 c.c. impone, nei limiti della normale tollerabilità e dell'eventuale contemperamento delle esigenze della proprietà con quelle della produzione, l'obbligo di sopportazione di quelle inevitabili propagazioni attuate nell'ambito delle norme generali e speciali che ne disciplinano l'esercizio. Viceversa, l'accertamento del superamento della soglia di normale tollerabilità di cui all'art. 844 c.c., comporta, nella liquidazione del danno da immissioni, sussistente "in re ipsa", l'esclusione di qualsiasi criterio di contemperamento di interessi contrastanti e di priorità dell'uso, in quanto venendo in considerazione, in tale ipotesi, unicamente l'illiceità del fatto generatore del danno arrecato a terzi, si rientra nello schema dell'azione generale di risarcimento danni di cui all'art. 2043 c.c. e specificamente, per quanto concerne il danno alla salute, nello schema del danno non patrimoniale risarcibile ai sensi dell'art. 2059 c.c.” (Cassazione civile, sez. III, 13.03.2007, n. 5844)
(Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 15.12.2011 n. 6612 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Gli spazi da destinare a parcheggio ex art. 18 l. 06.08.1967 n. 765 sono qualificati dall'art. 26 l. 28.02.1985 n. 47 "pertinenze"; come tali essi rientrano nel fenomeno dell'aggregazione funzionale e non strutturale di cosa a cosa, sicché non debbono, necessariamente essere in rapporto di congiunzione fisica o di stretta contiguità con l'edificio da costruire, essendo, invece sufficiente che essi siano collegati da un rapporto di strumentalità o complementarità funzionale (es., dislocati anche in aree esterne, circostanti o adiacenti all'edificio, e persino ad una certa distanza da questo).
Si rammenta, quanto a simile profilo, che per dottrina e giurisprudenza gli spazi da destinare a parcheggio ex art. 18 l. 06.08.1967 n. 765 sono qualificati dall'art. 26 l. 28.02.1985 n. 47 "pertinenze"; come tali essi rientrano nel fenomeno dell'aggregazione funzionale e non strutturale di cosa a cosa, sicché non debbono, necessariamente essere in rapporto di congiunzione fisica o di stretta contiguità con l'edificio da costruire, essendo, invece sufficiente che essi siano collegati da un rapporto di strumentalità o complementarità funzionale (es., dislocati anche in aree esterne, circostanti o adiacenti all'edificio, e persino ad una certa distanza da questo)
(Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 15.12.2011 n. 6606 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Il vicino, sebbene abbia provocato interventi repressivi o in via di autotutela, non assume la veste di controinteressato nei ricorsi che il titolare della concessione edilizia promuove avverso provvedimenti di revoca e/o di annullamento di ufficio.
L'invocata estensione ad esso della predetta comunicazione comporterebbe un aggravio procedimentale in contrasto con i principi di economicità e di efficienza dell'attività amministrativa.

Il Collegio rammenta il condivisibile orientamento giurisprudenziale secondo il quale il vicino, sebbene abbia provocato interventi repressivi o in via di autotutela, non assume la veste di controinteressato nei ricorsi che il titolare della concessione edilizia promuove avverso provvedimenti di revoca e/o di annullamento di ufficio. Come in passato evidenziato da questo Consiglio di Stato, infatti, (Consiglio Stato, sez. VI, 18.04.2005, n. 1773), l'invocata estensione ad esso della predetta comunicazione comporterebbe un aggravio procedimentale in contrasto con i principi di economicità e di efficienza dell'attività amministrativa (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 15.12.2011 n. 6606 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa natura precaria di un intervento edilizio va valutata in relazione non ai connotati della struttura realizzata e, ancora, ai materiali utilizzati, ma alle esigenze ed all'utilità che la struttura stessa è destinata obiettivamente a soddisfare.
In via fattuale va, anzitutto, evidenziato, che l’impugnato diniego ha riguardo alle seguenti opere edilizie realizzate dalla società ricorrente:
1) ampliamento di superficie coperta e di volume per la chiusura dell’esistente terrazza di collegamento con il limitrofo edificio, per tutti i piani in elevazione, con utilizzo delle stesse a locali deposito, trasmissioni, condizionatori, sala operatori, uffici e segreteria;
2) installazione sul terrazzo di copertura di strutture ed apparecchiature tecnologiche, quali pedane pedane metalliche, pompe di calore, e collocazione di n. 2 tralicci in ferro a supporto di n. 2 antenne aventi altezze pari a ml. 15,00 e 7,00 rispetto al piano del terrazzo.
Ora, va dato atto che il Comune di Palermo, in ordine alle opere di cui al punto 2), intervenendo in autotutela, con provvedimento n. 9 del 22.11.2011 ha annullato in parte qua il provvedimento impugnato.
Ne discende la sopravvenuta cessazione della materia del contendere per tale parte di ricorso.
Quanto, poi, alle opere indicate sub 1), in ordine alle quali muove soltanto la censura di eccesso di potere per errore nei presupposti e violazione dell’art. 71 delle norme di attuazioni del P.R.G. (primo motivo), trattandosi di opere amovibili che non fanno perdere la caratteristica “di struttura aperta” alle terrazze di collegamento, non modificano la struttura e non aumentano la volumetria del fabbricato, va rilevato, che le opere descritte nel provvedimento sono ben riconducibili nell'ambito degli interventi che determinano una variazione planivolumetrica ed architettonica dell’immobile con perdurante modifica dello stato dei luoghi, a prescindere dai materiali utilizzati e, dunque, dalla amovibilità o meno delle opere.
A conferma, è sufficiente ricordare che la natura precaria di un intervento edilizio va valutata in relazione non ai connotati della struttura realizzata e, ancora, ai materiali utilizzati, ma alle esigenze ed all'utilità che la struttura stessa è destinata obiettivamente a soddisfare.
Tenuto conto di quanto avanti esposto, appare doveroso riconoscere che le opere realizzate dalla società ricorrente non risultano funzionalmente connesse a specifiche e ben individuate esigenze di carattere transitorio, idonee a rivelare un utilizzo precario e temporaneo per fini contingenti e cronologicamente determinati, bensì concretizzano nuove strutture destinate a dare un'utilità prolungata nel tempo.
Contrariamente a quanto dedotto dalla società ricorrente, infatti, nell'ipotesi di specie non si è in presenza di interventi irrilevanti sul piano urbanistico, atteso che le opere in argomento realizzano in maniera stabile la chiusura delle terrazze di collegamento adibiti a svariati usi (locali deposito, trasmissioni, sala operatori, uffici, ecc.), con conseguente aumento di volumetria e modifica del prospetto (TAR Sicilia-Palermo, Sez. II, sentenza 15.12.2011 n. 2392 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIl provvedimento di rigetto dell'istanza di permesso di costruire in sanatoria deve essere supportato da una motivazione consistente nella concreta individuazione di un contrasto del progetto presentato con specifiche norme urbanistiche, esplicitamente indicate, dovendosi procedere ad una valutazione della compatibilità dell'intervento già realizzato con la disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello stesso che al momento della presentazione della domanda, valutazione che costituisce l'essenza dell'istituto dell'accertamento di conformità di cui all'art. 36, d.P.R. 06.06.2001 n. 380.
Ed invero, il provvedimento censurato, a supporto del rigetto della domanda di sanatoria, si limita a riportare pedissequamente il contenuto dell’art. 36 del D.P.R. 381/2001.
Viceversa, rileva il Collegio, che il provvedimento di rigetto dell'istanza di permesso di costruire in sanatoria deve essere supportato da una motivazione consistente nella concreta individuazione di un contrasto del progetto presentato con specifiche norme urbanistiche, esplicitamente indicate, dovendosi procedere ad una valutazione della compatibilità dell'intervento già realizzato con la disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello stesso che al momento della presentazione della domanda, valutazione che costituisce l'essenza dell'istituto dell'accertamento di conformità di cui all'art. 36, d.P.R. 06.06.2001 n. 380 (TAR Sicilia-Palermo, Sez. II, sentenza 15.12.2011 n. 2391 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa sagoma di una costruzione attiene alla conformazione planovolumetrica ed al suo perimetro inteso in senso verticale ed orizzontale, coincidendo con il contorno che viene ad assumere l’edificio, ivi comprese le strutture perimetrali come gli aggetti e gli sporti.
---------------
Gli interventi di risanamento conservativo presuppongono la conservazione della tipologia, forma e struttura e il mantenimento anche della sagoma preesistente.
L'intervento di ristrutturazione c.d. leggera di cui all’art 22, c. 1, t.u. edilizia, presuppone l’invariabilità di sagoma, volume e destinazione d’uso.

La documentazione depositata in giudizio evidenzia il mutamento quantomeno delle sagome preesistenti, non potendosi condividere le risultanze di cui alla perizia depositata dai ricorrenti, poiché non vi è attinenza tra “orma d’imposta” dell’edificio, rimasta immutata, e sagoma, giacché quest’ultima non riguarda esclusivamente l’area di sedime ma l’intero profilo del fabbricato, il quale invece risulta mutato.
Infatti, la sagoma di una costruzione attiene alla conformazione planovolumetrica ed al suo perimetro inteso in senso verticale ed orizzontale, coincidendo con il contorno che viene ad assumere l’edificio, ivi comprese le strutture perimetrali come gli aggetti e gli sporti (ex multis Cassazione penale, sez. III, 06.02.2001, n. 9427).
Il progetto presentato dai ricorrenti interviene su due fabbricati diversi accomunando una porzione di uno con la totalità dell’altro, generando tra l’altro la fusione di tre distinte unità abitative e la realizzazione di nuove aperture esterne, giusta documentazione allegata alla perizia tecnica depositata dal Comune.
Ne consegue l’infondatezza della tesi prospettata da parte ricorrente circa la riconducibilità nel novero degli interventi di risanamento conservativo, che per giurisprudenza consolidata presuppongono la conservazione della tipologia, forma e struttura e il mantenimento anche della sagoma preesistente (Consiglio di Stato, sez IV, 16.01.2008 n. 2981, id sez V 09.10.2007 n. 5273, TAR Campania Napoli, sez IV, 29.01.2009 n. 505) così come a quello di ristrutturazione c.d. leggera di cui all’art. 22, c. 1, t.u. edilizia, presupponente l’invariabilità di sagoma, volume e destinazione d’uso (TAR Piemonte Torino, sez. I, 16.12.2010, n. 4551)
L’intervento realizzato dai ricorrenti va quindi qualificato quale ristrutturazione c.d. "pesante", prevista e disciplinata dall'art. 10, comma 1, lettera c), del D.P.R. 380/2001 portando comunque alla realizzazione di un quid novi comportando modifiche della sagoma, come tale subordinato a permesso di costruire ai sensi dell'art. 10, comma 1, D.P.R. 380/2001 e sanzionato in ipotesi di abusività con la rimozione o la demolizione dell'opera.
E ciò tanto più in un sistema quale quello pugliese in cui il legislatore regionale, a differenza di altre Regioni, non ha inteso ampliare il concetto di ristrutturazione, non eliminando la sagoma quale vincolo da rispettare (TAR Lombardia Brescia, sez I, 13.04.2011, n. 552) (TAR Puglia-Bari, Sez. III, sentenza 15.12.2011 n. 1889 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICAL’art. 27, c. 4, l. 457/1978 consente per gli immobili ricompresi nella perimetrazione della zona di recupero -nelle more della formazione degli strumenti attuativi- anche la realizzazione di interventi di ristrutturazione rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistemativo di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente, comprensivi di ripristino o sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell'edificio, eliminazione, modifica e inserimento di nuovi elementi ed impianti, giusto il richiamo operato nei confronti dell’art. 31, c. 1, lett. d), della medesima legge.
Il piano di recupero del patrimonio edilizio esistente, disciplinato dagli art. 27-30, l. n. 457 del 1978 quale tipico strumento di pianificazione urbanistica di carattere esecutivo vincolato al rispetto di ogni previsione contenuta nell'atto di pianificazione generale può avere ad oggetto non solo il recupero urbanistico, ma anche quello edilizio, riferito anche a singoli "compendi" immobiliari.

L’art. 27, c. 4, l. 457/1978 invocato dalla difesa dei ricorrenti consente per gli immobili ricompresi nella perimetrazione della zona di recupero -nelle more della formazione degli strumenti attuativi- anche la realizzazione di interventi di ristrutturazione rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistemativo di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente, comprensivi di ripristino o sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell'edificio, eliminazione, modifica e inserimento di nuovi elementi ed impianti, giusto il richiamo operato nei confronti dell’art. 31, c. 1, lett. d), della medesima legge.
Ritiene il Collegio, condividendo le tesi del Comune resistente, che la localizzazione dei PES (progetto edilizio singolo) e dei PEU (progetto edilizio unitario) effettuata con deliberazione C.C. n. 68 dell'01.01.2003 ai sensi dell’art. 6, c. 1, Direttiva Commissario delegato del 28.08.2008, possa avere sotto il profilo urbanistico-edilizio valenza sostanzialmente attuativa del PRG, al fine di introdurre una disciplina di maggior tutela rispetto alle vigenti NTA per la zona omogenea A.
D’altronde, il piano di recupero del patrimonio edilizio esistente, disciplinato dagli art. 27-30, l. n. 457 del 1978 quale tipico strumento di pianificazione urbanistica di carattere esecutivo vincolato al rispetto di ogni previsione contenuta nell'atto di pianificazione generale (TAR Campania Napoli, sez. IV, 24.06.2002, n. 3725) può avere ad oggetto non solo il recupero urbanistico, ma anche quello edilizio, riferito anche a singoli "compendi" immobiliari (Consiglio Stato, sez. IV, 19.04.2000 , n. 2336).
Ne consegue che gli strumenti adottati con deliberazione dell’organo consiliare n. 68 dell'01.01.2003 -rimasta inoppugnata- lungi dal derogare al principio di nominatività e tipicità degli strumenti urbanistici (ex multis TAR Lazio Roma, sez. II, 04.02.2010, n. 1524) perseguono quoad effectum le medesime finalità del piano di recupero ex l.457/78 ed introducono una coerente e non irragionevole disciplina ispirata alla tutela del patrimonio edilizio-urbanistico del centro storico, comunque ostativa all’assentibilità dell’intervento per cui è causa, con conseguente infondatezza delle corrispondenti censure.
Osserva il Collegio che anche a voler aderire alla tesi di parte ricorrente circa la carenza di pianificazione attuativa (piano di recupero), il risultato finale non sarebbe l’assenza di disciplina urbanistica alla stregua delle c.d. zone bianche -tipica della diversa ipotesi della sopravvenuta inefficacia di vincoli preordinati all’esproprio e/o strumentali- bensì la permanente applicazione dello strumento generale (Consiglio di Stato sez IV 14.10.2005, n. 5801) che nella fattispecie per cui è causa esclude espressamente la ristrutturazione edilizia nel centro storico
(TAR Puglia-Bari, Sez. III, sentenza 15.12.2011 n. 1889 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAE' pacifica l’applicabilità dell’istituto di cui all’art 10-bis nell’ambito edilizio, ed in particolare ai procedimenti volti al rilascio del permesso a costruire pur se a contenuto vincolato in quanto costituenti mero risultato dell’attività di controllo circa la conformità alla normativa urbanistico-edilizia.
Il vizio di violazione dell’art 10-bis l. 241/1990, in ipotesi di attività vincolata, al pari degli altri vizi di carattere “formale” assume in linea di principio carattere recessivo -anche ai fini dell’applicazione dell’art 21-octies, c. 2, primo allinea, l. 241/1990 e s.m.- di fronte alla verifica in sede giurisdizionale dei presupposti che rendono fondata la pretesa sostanziale azionata, nell’ambito di un giudizio il cui oggetto è oramai trasformato a seguito dell’entrata in vigore del Codice del processo amministrativo, da verifica formale della legittimità del provvedimento impugnato nei limiti dei vizi dedotti e con salvezza del potere riesercitato, in giudizio di accertamento della fondatezza del rapporto sostanziale sottostante azionato.

Per giurisprudenza consolidata e condivisa da questa Sezione, è pacifica l’applicabilità dell’istituto di cui all’art 10-bis nell’ambito edilizio, ed in particolare ai procedimenti volti al rilascio del permesso a costruire (ex multis TAR Lazio Roma sez II 15.04.2009 n. 3847, TAR Veneto sez II 03.10.2008 n. 3116, Consiglio di Stato sez VI 17.01.2011, n. 256) pur se a contenuto vincolato (TAR Emilia Romagna Parma 17.06.2008 n. 314, TAR Emilia Romagna Bologna sez II 06.11.2006 n. 2875, TAR Liguria sez I 16.02.2008 n. 305, Consiglio di Stato sez V 24.08.2007, n. 4507) in quanto costituenti mero risultato dell’attività di controllo circa la conformità alla normativa urbanistico-edilizia.
Ritiene il Collegio che il vizio di violazione dell’art 10-bis l. 241/1990, in ipotesi di attività vincolata, al pari degli altri vizi di carattere “formale” (TAR Puglia Lecce sez I 07.10.2008, n. 2791) assume in linea di principio carattere recessivo -anche ai fini dell’applicazione dell’art 21-octies, c. 2, primo allinea, l. 241/1990 e s.m.- di fronte alla verifica in sede giurisdizionale dei presupposti che rendono fondata la pretesa sostanziale azionata, nell’ambito di un giudizio il cui oggetto è oramai trasformato a seguito dell’entrata in vigore del Codice del processo amministrativo, da verifica formale della legittimità del provvedimento impugnato nei limiti dei vizi dedotti e con salvezza del potere riesercitato, in giudizio di accertamento della fondatezza del rapporto sostanziale sottostante azionato (Consiglio di Stato Adunanza Plenaria 23.03.2011, n. 3, TAR Puglia Bari sez III 25.11.2011, n. 1807)
(TAR Puglia-Bari, Sez. III, sentenza 15.12.2011 n. 1889 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Costituisce principio generale regolatore delle pubbliche gare quello che vieta la commistione fra criteri soggettivi di prequalificazione e quelli oggettivi afferenti alla valutazione dell'offerta. Tale principio trova il suo sostanziale supporto logico nella necessità di tenere separati i requisiti richiesti per la partecipazione alla gara da quelli che attengono all'offerta e, quindi, all'aggiudicazione; detto canone operativo, che affonda le sue radici nell'esigenza di aprire il mercato premiando le offerte più competitive ove presentate da imprese comunque affidabili, unitamente al canone di par condicio che osta ad asimmetrie pregiudiziali di tipo meramente soggettivo, trova in definitiva il suo sostanziale supporto logico nel bisogno di tenere separati i requisiti richiesti per la partecipazione alla gara da quelli che invece attengono all'offerta e all'aggiudicazione.
A titolo esemplificativo del principio, che requisiti soggettivi e di esperienza (come fatturati precedenti o titoli curriculari) costituiscono elementi che, attenendo all'affidabilità dell'offerente e dunque alla sua capacità tecnica di corretta esecuzione dell'appalto, appartengono propriamente alla fase di qualificazione; dunque, essendo essi estranei alle caratteristiche ed all'oggetto dell'offerta e del contratto concretamente dedotti in gara, non possono essere assunti quali validi criteri di aggiudicazione.
Alle stazioni appaltanti è comunque garantita un’ampia fascia di discrezionalità in sede di determinazione dei criteri di valutazione: costituisce parimenti principio consolidato quello a mente del quale la scelta del criterio di aggiudicazione rientra nella discrezionalità tecnica delle stazioni appaltanti che devono valutarne l'adeguatezza rispetto alle caratteristiche oggettive e specifiche del singolo contratto, applicando criteri obiettivi che garantiscano il rispetto dei principi di trasparenza, di non discriminazione e di parità di trattamento e che assicurino una valutazione delle offerte in condizioni di effettiva concorrenza. Peraltro, anche in tale principio è insito il limite del carattere oggettivo del criterio, scollegato da elementi soggettivi propri di una fase anteriore di prequalificazione e quindi di ammissione alla gara.
---------------
La commissione di gara può integrare e specificare i criteri di bando, con il solo limite di non poter introdurre nuovi criteri di qualificazione, né modificare i limiti di punteggio massimo e minimo stabiliti nel bando. Nel caso di specie pertanto all’illegittimità predetta si aggiunge il carattere di novità dei criteri contestati.
---------------
Il possesso in capo ai componenti di una commissione di gara dei requisiti tecnici e della professionalità necessaria a formulare un giudizio pienamente consapevole, costituisce principio immanente nell'ordinamento generale, che oltretutto trascende il settore dei lavori pubblici, per rendersi operativo in qualsiasi gara, in quanto risponde ai criteri di rango costituzionale di buon andamento ed imparzialità dell'azione amministrativa; in particolare, la commissione giudicatrice avendo il compito di valutare la qualità dell’offerta, deve essere composta, almeno prevalentemente, da persone fornite di specifica competenza tecnica o munite di qualificazioni professionali che tale competenza facciano presumere.

In ordine al primo ordine di motivi, dall’analisi degli atti di gara emerge all’evidenza la violazione dei principi invocati da parte ricorrente. Infatti, rispetto ai criteri di valutazione delle offerte così come correttamente predeterminati dalla lex specialis (cfr. punto 13 del disciplinare), la commissione risulta aver aggiunto i criteri motivazionali in termini incompatibili con i consolidati principi predetti, in specie rimettendo la valutazione dell’offerta (anche) all’attività svolta in precedenza ed al curriculum. A quest’ultimo proposito, appare manifestamente irragionevole, ad esempio, la valutazione della metodologia dell’intervento proposto con l’offerta sulla scorta del curriculum cioè di elementi soggettivi, del tutto estranei all’offerta in quanto relativi ai titoli soggettivi in possesso dei singoli partecipanti.
In tale contesto appare prima facie violato il consolidato orientamento a mente del quale costituisce principio generale regolatore delle pubbliche gare quello che vieta la commistione fra criteri soggettivi di prequalificazione e quelli oggettivi afferenti alla valutazione dell'offerta. Tale principio trova il suo sostanziale supporto logico nella necessità di tenere separati i requisiti richiesti per la partecipazione alla gara da quelli che attengono all'offerta e, quindi, all'aggiudicazione; detto canone operativo, che affonda le sue radici nell'esigenza di aprire il mercato premiando le offerte più competitive ove presentate da imprese comunque affidabili, unitamente al canone di par condicio che osta ad asimmetrie pregiudiziali di tipo meramente soggettivo, trova in definitiva il suo sostanziale supporto logico nel bisogno di tenere separati i requisiti richiesti per la partecipazione alla gara da quelli che invece attengono all'offerta e all'aggiudicazione (cfr. ex multis Consiglio Stato , sez. VI, 15.12.2010 , n. 8933).
A titolo esemplificativo del principio, la sezione ha già avuto modo di evidenziare che requisiti soggettivi e di esperienza (come fatturati precedenti o titoli curriculari) costituiscono elementi che, attenendo all'affidabilità dell'offerente e dunque alla sua capacità tecnica di corretta esecuzione dell'appalto, appartengono propriamente alla fase di qualificazione; dunque, essendo essi estranei alle caratteristiche ed all'oggetto dell'offerta e del contratto concretamente dedotti in gara, non possono essere assunti quali validi criteri di aggiudicazione (cfr. TAR Liguria Genova, sez. II, 27.02.2008, n. 335).
E dire che alle stazioni appaltanti è comunque garantita un’ampia fascia di discrezionalità in sede di determinazione dei criteri di valutazione: costituisce parimenti principio consolidato quello a mente del quale la scelta del criterio di aggiudicazione rientra nella discrezionalità tecnica delle stazioni appaltanti che devono valutarne l'adeguatezza rispetto alle caratteristiche oggettive e specifiche del singolo contratto, applicando criteri obiettivi che garantiscano il rispetto dei principi di trasparenza, di non discriminazione e di parità di trattamento e che assicurino una valutazione delle offerte in condizioni di effettiva concorrenza. Peraltro, anche in tale principio è insito il limite del carattere oggettivo del criterio, scollegato da elementi soggettivi propri di una fase anteriore di prequalificazione e quindi di ammissione alla gara. Nel caso di specie la commistione, imputabile ai criteri illegittimamente aggiunti dalla commissione, appare evidente come sopra riportata.
---------------
Va ricordato che secondo la giurisprudenza comunitaria, condivisa dal Collegio e sotto il cui faro va interpretata la norma nazionale (cfr. ad es. Corte di Giust., sez. II, 24.11.2005, C-331/04) la commissione di gara può integrare e specificare i criteri di bando, con il solo limite di non poter introdurre nuovi criteri di qualificazione, né modificare i limiti di punteggio massimo e minimo stabiliti nel bando. Nel caso di specie pertanto all’illegittimità predetta si aggiunge il carattere di novità dei criteri contestati.
---------------
Valenza autonoma, parimenti fondata, assume il quarto ordine di rilievi, concernente l’illegittima composizione della commissione stessa.
Secondo la normativa invocata da parte ricorrente, come noto, “la commissione, nominata dall’organo della stazione appaltante competente ad effettuare la scelta del soggetto affidatario del contratto, è composta da un numero dispari di componenti, in numero massimo di cinque, esperti nello specifico settore cui si riferisce l’oggetto del contratto”.
Pur dinanzi alla ampiezza del concetto di esperto nello specifico settore inerente l’oggetto del contratto, è ben possibile svolgere un’adeguata esegesi della norma, sia in termini di principio che di specificazione delle professionalità.
Nella prima direzione, dopo aver ricordato la pacifica qualificazione della norma come principio in quanto regola attuativa del canone costituzionale del buon andamento (cfr. Consiglio di Stato n. 1408/2004), pur rientrando nella sfera discrezionale dell’Ente la scelta dei commissari deputati a far parte della commissione giudicatrice, tale provvedimento non può ritenersi avulso dall’obbligo di motivazione, soprattutto quando la Commissione, peraltro composta quasi integralmente da soggetti sforniti di titoli di studio di livello universitario, sia destinata ad esaminare proposte progettuali particolarmente complesse, da valutare per di più con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa.
Non è rispondente ai criteri di logica e ragionevolezza, che devono in particolare presidiare l'attività della pubblica amministrazione, che l'attività valutativa debba essere posta in essere da soggetti privi delle necessarie cognizioni tecniche correlate all'oggetto della gara, ovvero che il giudizio sia il frutto di una valutazione individuale e non collegiale. Nel caso de quo la scelta di commissari tutti privi di titoli adeguati alla formulazione di atti analoghi a quelli da valutare si accompagna al tentativo di integrazione (inammissibile) della motivazione posta a base della scelta attraverso la produzione di curricula, che peraltro confermano la carenza predetta.
Nella seconda direzione, va reputata come illegittima la composizione della commissione giudicatrice di una gara di appalto per l’affidamento della progettazione di una opera pubblica nel caso in cui risulti che nessuno dei commissari possieda alcun diploma di laurea ovvero titolo equipollente o comunque adeguato, atteso che in tale ipotesi nessuno dei commissari avrebbe potuto progettare ciò su cui erano chiamati ed esprimere il proprio giudizio, non essendo possibile fare riferimento esclusivamente alla pregressa attività lavorativa dei commissari, occorrendo invece una valutazione della professionalità di questi ultimi, in relazione al giudizio che sono chiamati a rendere (cfr. per una analoga fattispecie Consiglio di Stato n. 4829/2008).
In definitiva, va ribadito che il possesso in capo ai componenti di una commissione di gara dei requisiti tecnici e della professionalità necessaria a formulare un giudizio pienamente consapevole, costituisce principio immanente nell'ordinamento generale, che oltretutto trascende il settore dei lavori pubblici, per rendersi operativo in qualsiasi gara, in quanto risponde ai criteri di rango costituzionale di buon andamento ed imparzialità dell'azione amministrativa; in particolare, la commissione giudicatrice avendo il compito di valutare la qualità dell’offerta, deve essere composta, almeno prevalentemente, da persone fornite di specifica competenza tecnica o munite di qualificazioni professionali che tale competenza facciano presumere
(TAR Liguria, Sez. II, sentenza 15.12.2011 n. 1841 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAGli allevamenti equini possono stare vicino alle case.
Un allevamento equino può insediarsi, in zona agricola, vicino alle abitazioni, non essendovi obblighi legali di distanza (e fatta salva la tutela civilistica in caso di immissioni moleste). Di interesse le considerazioni sulla disciplina regionale lombarda in materia di infrastrutture agricole che, essendo contenuta in mera deliberazione della Giunta Regionale, non ha carattere normativo.

... per l'annullamento del permesso di costruire n. 7/2010 del 25.05.2010 rilasciato dal Comune di Sesto Calende alle Aziende Agricole ... e ... per la realizzazione in Via Legnate, di una nuova stalla per l'allevamento dei cavalli e di ogni altro atto comunque preordinato, connesso e/o dipendente, ivi compresi, per quanto occorra, il Regolamento Comunale di Igiene, qualora lo stesso sia da interpretare come non dispositivo di una distanza minima tra allevamenti di equini e bovini e abitazioni e l'art. 70 del Piano delle Regole del P.G.T. adottato, nonché dell'Autorizzazione Paesaggistica prot. n. 115/2501/08 del 31.03.2008 rilasciata dal Consorzio Parco Lombardo della Valle del Ticino per la "realizzazione di allevamento per cavalli" nonostante una pregressa contestazione non sanata di opere non autorizzate di movimento terra e con l'estensione dell'impugnativa alla nota comunale 02.09.2010 e relativi allegati con la quale è stata comunicata la revoca della sospensione temporanea dell'efficacia del permesso di costruire n. 7/2010.
...
Con il primo mezzo di censura i ricorrenti assumono, indicando tra le norme violate l’art. 216 del T.U.L.P.S., che l’opera illegittimamente assentita non rispetta le distanze minime imposte tra gli allevamenti di animali e le abitazioni.
Le norme violate prescrivono, infatti, che “dette attività (insalubri) debbono essere isolate nelle campagne e tenute lontane dalle abitazioni”.
In realtà, è ben vero che le norme invocate esprimono il principio di cautela sopraenunciato, ma è altrettanto vero che l’art. 216, comma 5, del TULP, non prescrive alcuna distanza minima, ponendo, come spiegato, una regola di carattere generale in base alla quale gli opifici classificati come industrie insalubri devono essere tenuti ad una distanza adeguata dalle abitazioni, in funzione dei rischi concreti che rappresentano e tenuto conto delle possibili opere di mitigazione degli stessi.
Non sussiste quindi, quantomeno nel T.U.L.P.S. alcuna norma che prescriva per gli allevamenti equini la distanza dalle abitazioni preesistenti nella misura prudenzialmente ritenuta applicabile dai ricorrenti (100 metri lineari).
Né risultano prescrittive di distanze minime le linee guida regionali adottate con DDG n. 20109 del 29.12.2005 e richiamate dall’art. 33, punto 8, del PGT, di cui i ricorrenti invocano l’applicazione, trascurando che le distanze minime ivi suggerite sono espressamente riferite al settore bovino e suino con esclusione, quantomeno implicita, di quello equino.
Il decreto dirigenziale che approva le Linee Guida Regionali: criteri igienici e di sicurezza in edilizia rurale è, d’altronde, assolutamente chiaro sul punto specifico, e non può essere oggetto di interpretazione estensiva, come pretendono i ricorrenti, non solo perché le linee guida si sostanziano nella formulazione di “criteri di valutazione e parametri di riferimento in materia di igiene e sicurezza nonché di indicazioni tecniche allineate allo stato dell’arte”, che in quanto tali non possono che inerire a ciò che da esse è espressamente previsto e richiamato, ma anche perché, non essendo ascrivibili ad una fonte normativa tipica (né essendo chiaro, oltretutto, da quale fonte normativa traggano la loro efficacia) non è possibile applicare alle stesse un criterio di interpretazione che è esclusivamente riferibile alle fonti normative.
E non solo: posto, infatti, che le linee guida in questione ineriscono al rapporto tra l’amministrazione regionale, che dispone del potere normativo su un determinato ambito di attività (nella specie quella relativa all’igiene e alla sicurezza in materia di edilizia rurale) e le amministrazioni destinatarie (nella specie i comuni) che dispongono dei poteri regolamentari o di gestione nella stessa materia, è escluso che l’inosservanza delle linee guida (che consistono, come già chiarito in una serie di parametri di riferimento generali, indicativi e orientativi, che non hanno, in quanto tali, un valore cogente o prescrittivo né normativo per i terzi) possa integrare il dedotto vizio di violazione di legge se la prescrizione o l’indirizzo non sia stato recepito in una norma interna dell’amministrazione stessa, e da quest’ultima, successivamente al recepimento, violata.
E comunque, non trattandosi, come è pacifico, di atto a contenuto normativo, le linee guida non possono mai prevalere sulle norme regolamentari e, a fortiori, primarie che eventualmente disciplinino specificamente la materia e quindi fissino, per stare all’oggetto della controversia, distanze diverse da quelle in esse contenute.
Ciò premesso, e chiarito che la censura dedotta dai ricorrenti in merito all’opportunità che le linee guida sulle distanze (degli allevamenti suini e bovini) vengano estese in via interpretativa anche agli allevamenti equini è inconferente e infondata , per quanto già ampiamente rilevato sul contenuto e sulla natura della fonte, non è tuttavia superfluo sottolineare la genericità della stessa censura che si incentra su una serie di considerazioni di cd. "opportunità" che trascurano come il legislatore (termine comprensivo anche della regolamentazione locale) abbia già effettuato una scelta discriminante tra i diversi tipi di allevamento, tenendo conto verosimilmente anche della natura e della vocazione delle diverse zone del proprio territorio comunale (nel senso che in zona agricola, e soprattutto in zone storicamente già destinate a talune tipologie di allevamento le distanze dalle abitazioni sono state ritenute, all’evidenza, compatibili con le preesistenze assai più di quanto non lo siano state attività diverse da quelle ovvero collocate nelle zone contigue alle aree residenziali o caratterizzate da maggiore consistenza insediativa.
Invero i ricorrenti trascurano, per quanto attiene al luogo di ubicazione delle opere contestate, che l’area di localizzazione dell’allevamento dei resistenti è classificata agricola; che la stessa si trova in una zona di campagna dove preesistono altri impianti di allevamento equino (scuderie e stalle); e, da ultimo, ma unicamente per sottolineare la vocazione della zona, che gli stessi ricorrenti sono titolari di un allevamento agricolo.
Va soggiunto, inoltre, che la censura mossa in ordine all’opportunità di mantenere l'edificio più vicino ad una distanza di 100 mt. dall’abitazione dei ricorrenti, non attiene, come correttamente opposto dai resistenti, a profili di legittimità edilizi e/o urbanistici, bensì ai diversi interessi di matrice civilistica rappresentati, nella specie, dalle molestie derivanti dal nuovo (e più consistente) allevamento realizzato a ridosso delle abitazioni, ma piuttosto, come si avrà modo di chiarire in prosieguo e soprattutto in sede di disamina del ricorso per motivi aggiunti, a profili che non ineriscono al legittimo rilascio del titolo edilizio, in quanto tale, ma al supposto invasivo esercizio dell’attività sottostante.
Ne consegue che è questa concreta attività, e non il rilascio del permesso di costruire impugnato,che può eventualmente giustificare (non questo ma) altri tipi di azione a salvaguardia della salute con specifico riferimento alle temute immissioni nocive o pericolose.
E’ infatti evidente che chi colloca la propria attività potenzialmente insalubre in prossimità di abitazioni di terzi, anche quando le norme non fissino distanze minime, non può sottrarsi all’obbligo di esercitare tali attività in maniera compatibile con i limiti e con i diritti dei terzi, sia che discendono dalle norme del codice civile che dalle disposizioni speciali riferite alla natura delle suddette attività,.
Ne consegue che la violazione di tali norme può, in astratto, comportare l’applicazione delle sanzioni previste dalla legge (tra cui l’inibizione dell’attività ovvero l’imposizione di prescrizioni per la riduzione degli effetti nei limiti di legge); il che è quanto avverrebbe se l’allevamento equino dell’Azienda Agricola “La Corte” e dell’Azienda Agricola “I Mulini” dovesse generare emissioni dannose o pericolose, della cui tollerabilità i titolari dell’azienda sono tenuti a rispondere in funzione della localizzazione aziendale prescelta e attuata (e quindi in funzione della maggiore o minore distanza delle strutture aziendali dalla proprietà di terzi).
I controinteressati, d’altra parte, proprio per contrastare tale profilo, evidenziano che l’impianto di maggiore impatto (la vasca di raccolta del letame) è stata collocata a ben maggior distanza (circa 200 metri ) rispetto ai 10 metri dei box e che l’allevamento (complessivamente di 42 cavalli, di cui 14 al pascolo per tutto l’anno e 21 capi adulti allevati nei 21 box di progetto oltre ai 7 collocati nella struttura preesistente) è di dimensioni tali da essere compatibile, quanto ad allocazione, con la zona di insediamento, e, quanto a dislocazione delle strutture fisse, con le abitazioni esistenti in prossimità.
Per tali condivise ragioni il primo motivo di ricorso va quindi respinto.
---------------
Per considerazioni parzialmente analoghe merita di essere respinto anche il secondo motivo, con cui i ricorrenti si dolgono del fatto che mentre le norme esistenti prevedono distanze minime di mt. 10 per porcilaie pollai e conigliaie a carattere familiare, nulla di specifico viene previsto per le stalle e gli allevamenti di cavalli, ritenendo, pertanto, il regolamento comunale illegittimo nella parte in cui omette di disciplinare la materia, trascurando i gravi problemi igienici che possono derivare dalla contiguità tra animali di grossa taglia e abitazioni limitrofe.
In realtà come già sopra evidenziato dal Collegio, nella specie non si pone un problema di vuoto normativo da colmare con la creazione di una regola ad hoc; la norma regolamentare comunale sulle distanze, infatti, sussiste, ma non ritiene di prescrivere una distanza maggiore di 10 metri per gli allevamenti equini, che evidentemente non sono ritenuti (si può supporre in funzione della natura e della vocazione delle zone agricole) impattanti quanto e più di altri tipi di allevamento.
E tutto ciò appare legittimo, quantomeno in sede di rilascio dei permessi di costruire per la realizzazione delle strutture aziendali: l’eventuale profilo igienico sanitario resta infatti affidato, anche qui come già in precedenza evidenziato, ad altre e diverse norme che non rilevano sulla legittimità dei permessi assentiti.
Per analoghe ragioni è infondato e va respinto anche il terzo motivo con cui si ripropone, sotto altro profilo, la dedotta illegittimità del permesso di costruire per la mancata applicazione delle linee guida regionali e per violazione dell’art. 70 (in materia di disposizioni transitorie) del PGT adottato, in quanto si assume che la pratica , alla data del 28.02.2009 non sarebbe stata “completa ai fini istruttori”, difettando ogni riferimento, in essa, alle distanze dai confini e l’indicazione degli edifici confinanti, oltre che per una falsa rappresentazione dei livelli altimetrici.
In realtà, a parte il rilievo assorbente, relativo all’inconferenza delle più volte menzionate linee guida regionali, il Collegio osserva che quand’anche la pratica edilizia non avesse contenuto adeguati riferimenti alle distanze dai confini e dagli edifici confinanti, ciò che la documentazione in atti peraltro smentisce, la stessa pratica sarebbe rientrata comunque nella previsione dell’art. 70 (id est di pratica in corso di istruzione) e quindi sarebbe stata comunque esclusa dall’applicazione delle norme a regime (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 14.12.2011 n. 3167 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa presentazione dell’istanza di sanatoria rende improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse l’eventuale ricorso proposto avverso l’ordinanza di demolizione precedentemente emessa.
---------------
Gli interventi che portano ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente e che comportano modifiche del volume, della sagoma, dei prospetti o delle superfici, se eseguiti in assenza di titolo edilizio, vanno sanzionati con la demolizione.

L’eccezione preliminare è infondata e va disattesa giacché, dopo l’emissione del primo ordine di demolizione, i ricorrenti hanno presentato un’istanza di sanatoria e, a seguito del rigetto di quest’ultima, il Comune ha emesso una nuova ingiunzione per il ripristino dello stato dei luoghi.
Ne discende, quindi, che è del tutto irrilevante ai fini del presente giudizio la mancata impugnazione del primo ordine di demolizione, anche alla luce del costante orientamento giurisprudenziale, secondo il quale la presentazione dell’istanza di sanatoria rende improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse l’eventuale ricorso proposto avverso l’ordinanza di demolizione precedentemente emessa (cfr. in termini TAR Campania, Napoli, sez. VI, 15.07.2010, n. 16806; TAR Liguria, sez. I, 15.05.2010, n. 2583; TAR Toscana, sez. III, 26.02.2010, n. 520; TAR Emilia Romagna, Bologna, sez. II, 11.01.2010, n. 8).
---------------
V
anno, infine, disattese anche le censure incentrate sulla erronea qualificazione delle opere e sull'omessa valutazione della possibilità di applicare una sanzione pecuniaria, in luogo della sanzione demolitoria, perché gli interventi che portano ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente e che comportano modifiche del volume, della sagoma, dei prospetti o delle superfici, se eseguiti in assenza di titolo edilizio, vanno sanzionati con la demolizione (cfr. TAR Campania, Napoli, sez. VII, 15.12.2010, n. 27387) (TAR Veneto, Sez. II, sentenza 14.12.2011 n. 1831 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAUna tettoia avente carattere di stabilità, realizzata in aderenza ad un preesistente fabbricato ed idonea ad un'utilizzazione autonoma, oltre a non poter essere considerata una mera pertinenza, costituisce un'opera esterna per la cui realizzazione occorre il permesso di costruire.
Gli interventi consistenti nell’installazione di tettoie o di altre strutture che siano comunque apposte a parti di preesistenti edifici come strutture accessorie di protezione o di riparo di spazi liberi, cioè non compresi entro coperture volumetriche previste in un progetto assentito, possono ritenersi sottratti al regime del permesso di costruire soltanto ove la loro conformazione e le loro ridotte dimensioni rendano evidente e riconoscibile la loro finalità di arredo o di riparo e protezione dell'immobile cui accedono.
Tali strutture non possono, viceversa, ritenersi installabili senza permesso di costruire o D.I.A "alternativa", allorquando le loro dimensioni sono di entità tale da arrecare una visibile alterazione all'edificio o alle parti dello stesso su cui vengono inserite; quando, quindi, per la loro consistenza dimensionale non possono più ritenersi assorbite, ovvero ricomprese in ragione della accessorietà, nell'edificio principale o della parte dello stesso cui accedono.

Dalla documentazione allegata emerge che la tettoia realizzata dai ricorrenti ha una superficie di 15 mq., è “posta in aderenza ai muri a est e sud del fabbricato principale“, risultando quindi chiusa su due lati, e che, inoltre, “il lato aperto a sud è stato parzialmente chiuso da un pannello plastico rigido, fissato stabilmente alla struttura della tettoia e al pavimento”.
Tanto premesso in fatto, il Collegio condivide l'orientamento giurisprudenziale secondo il quale una tettoia avente carattere di stabilità, realizzata in aderenza ad un preesistente fabbricato ed idonea ad un'utilizzazione autonoma, oltre a non poter essere considerata una mera pertinenza, costituisce un'opera esterna per la cui realizzazione occorre il permesso di costruire (cfr. in termini TAR Lombardia, Milano, sez. II, 04.12.2007, n. 6544).
Al riguardo va rammentato che, per giurisprudenza costante, gli interventi consistenti nell’installazione di tettoie o di altre strutture che siano comunque apposte a parti di preesistenti edifici come strutture accessorie di protezione o di riparo di spazi liberi, cioè non compresi entro coperture volumetriche previste in un progetto assentito, possono ritenersi sottratti al regime del permesso di costruire soltanto ove la loro conformazione e le loro ridotte dimensioni rendano evidente e riconoscibile la loro finalità di arredo o di riparo e protezione dell'immobile cui accedono (cfr. TAR Campania, Napoli, sez. III, 09.11.2010, n. 23699; TAR Piemonte, sez. I, 04.09.2009, n. 2247).
Tali strutture non possono, viceversa, ritenersi installabili senza permesso di costruire o D.I.A "alternativa", allorquando le loro dimensioni sono di entità tale da arrecare una visibile alterazione all'edificio o alle parti dello stesso su cui vengono inserite; quando, quindi, per la loro consistenza dimensionale non possono più ritenersi assorbite, ovvero ricomprese in ragione della accessorietà, nell'edificio principale o della parte dello stesso cui accedono (cfr. in termini Consiglio di Stato, sez. V, 13.03.2001 n. 1442).
Nel caso in esame la dimensione della tettoia di cui trattasi, pari a 15 mq., è visibilmente idonea a modificare la sagoma ed il prospetto dell'edificio, con conseguente alterazione del fabbricato cui accede. Ne discende, dunque, che correttamente l’Amministrazione comunale ha qualificato il predetto manufatto come nuova costruzione priva di carattere pertinenziale e, quindi, non assentibile in centro storico con conseguente legittimità del diniego di sanatoria impugnato.
Né, infine, la "tettoia" di cui trattasi potrebbe essere considerata un "volume tecnico", malgrado l'asserita destinazione a mera copertura della caldaia a servizio dell’abitazione, in assenza dei requisiti di strumentalità necessaria con l'utilizzo della costruzione e della necessaria proporzionalità fra tali volumi e le esigenze effettivamente presenti (cfr. TAR Campania, Napoli, sez. IV, 09.09.2009, n. 4903; TAR Campania, Napoli, sez. II, 11.09.2009, n. 4949)
(TAR Veneto, Sez. II, sentenza 14.12.2011 n. 1831 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICA: Ai sensi dell'art. 13 l. n. 241 del 1990, l'adozione di una variante al piano regolatore generale, in quanto provvedimento di pianificazione, non deve essere necessariamente preceduta dalla comunicazione di avvio del procedimento nei confronti dei soggetti interessati.
Il principio di partecipazione di cui agli artt. 7 e 8 della legge summenzionata non si applica, infatti, ai procedimenti di adozione di strumenti urbanistici (oltre che per il rispetto della lettera della disposizione dell'art. 13 l. n. 241 del 1990), giacché, sul piano ontologico, l'esigenza del contraddittorio tra le parti pubbliche e private risulta già salvaguardata nell'ambito della vigente disciplina di formazione degli strumenti urbanistici primari (pubblicazione, presentazione di osservazioni, esame, controdeduzioni, approvazione.
Secondo il costante orientamento della giurisprudenza, condiviso dal Collegio, "ai sensi dell'art. 13 l. n. 241 del 1990, l'adozione di una variante al piano regolatore generale, in quanto provvedimento di pianificazione, non deve essere necessariamente preceduta dalla comunicazione di avvio del procedimento nei confronti dei soggetti interessati.
Il principio di partecipazione di cui agli artt. 7 e 8 della legge summenzionata non si applica, infatti, ai procedimenti di adozione di strumenti urbanistici (oltre che per il rispetto della lettera della disposizione dell'art. 13 l. n. 241 del 1990), giacché, sul piano ontologico, l'esigenza del contraddittorio tra le parti pubbliche e private risulta già salvaguardata nell'ambito della vigente disciplina di formazione degli strumenti urbanistici primari (pubblicazione, presentazione di osservazioni, esame, controdeduzioni, approvazione)
" (cfr. in termini Cons. Stato, sez. IV, 22.03.2005, n. 1236; TAR Veneto, sez. II, 22.11.2010, n. 6083)
(TAR Veneto, Sez. II, sentenza 14.12.2011 n. 1829 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICA: Sul procedimento che conduce all'approvazione dei piani di recupero che è analiticamente disciplinato nel titolo IV della legge n. 457/1978 e, segnatamente, dagli artt. 27 e 28, da un lato, e l'art. 30, dall'altro, i quali delineano una precisa scansione degli adempimenti procedurali per la formazione di validi piani di recupero d'iniziativa, rispettivamente, pubblica o privata.
Il procedimento che conduce all'approvazione dei piani di recupero è analiticamente disciplinato nel titolo IV della legge n. 457/1978 e, segnatamente, gli artt. 27 e 28, da un lato, e l'art. 30, dall'altro, delineano una precisa scansione degli adempimenti procedurali per la formazione di validi piani di recupero d'iniziativa, rispettivamente, pubblica o privata.
In entrambi i casi la pianificazione comincia con l'individuazione ad opera dei comuni, con deliberazione consiliare, delle zone degli strumenti urbanistici generali ove, per le condizioni di degrado, si rende opportuno il recupero del patrimonio edilizio ed urbanistico esistente mediante la realizzazione di interventi variamente rivolti alla conservazione, al risanamento, alla ricostruzione ed alla migliore utilizzazione degli immobili già edificati.
L'atto di individuazione delle zone di recupero segue le sorti dello strumento urbanistico generale al quale accede ed è, dunque, destinato a valere, almeno tendenzialmente, per un tempo indeterminato. Nell'ambito di tali zone il Comune ha la facoltà di individuare –“con le stesse modalità di approvazione”– “gli immobili, i complessi edilizi, gli isolati e le aree” per i quali subordinare il rilascio del titolo edilizio alla preventiva formazione di piani di recupero (art. 27).
Questi ultimi sono disciplinati dal successivo art. 28 che ne prevede l'approvazione con una deliberazione del Consiglio comunale, recante contestualmente la decisione delle opposizioni eventualmente presentate. Orbene, ai sensi del citato art. 28, comma 3,”ove la deliberazione del consiglio comunale di cui al comma precedente non sia assunta, per ciascun piano di recupero, entro tre anni dalla individuazione di cui al terzo comma del precedente articolo 27, ovvero non sia divenuta esecutiva entro il termine di un anno dalla predetta scadenza, l'individuazione stessa decade ad ogni effetto. In tal caso, sono consentiti gli interventi edilizi previsti dal quarto e quinto comma del precedente articolo 27”. Infine, l'art. 27, comma 4, chiarisce quali siano gli effetti giuridici dell'individuazione soggetta a decadenza .
Infatti, mentre per le aree e gli immobili, non assoggettati ai piani di recupero e comunque in questi non compresi, possono attuarsi tutti gli interventi che non siano in contrasto con le previsioni degli strumenti urbanistici generali, diversamente, nei casi di avvenuta individuazione degli immobili da recuperare, sono unicamente realizzabili gli interventi edilizi diretti alla conservazione dell'esistente, peraltro variamente limitati sul piano qualitativo e quantitativo, a seconda che si tratti di singole unità immobiliari e di parti di esse oppure di uno o più edifici globalmente considerati.
La restrizione delle potenzialità edificatorie degli immobili individuati a norma dell’art. 27, comma 3, non può però durare per oltre tre anni, secondo quanto stabilito dal successivo art. 28. Secondo la giurisprudenza, condivisa dal Collegio, dalla lettura in combinato disposto di tutte le richiamate disposizioni emergono le ragioni sottese alla previsione di decadenza: il vincolo di piano attuativo, che viene in essere a seguito della deliberazione consiliare di individuazione degli immobili, assolve ad una chiara funzione di salvaguardia, mirante alla conservazione interinale del compendio immobiliare esistente, onde consentire in futuro la piena realizzazione degli interventi previsti dallo strumento urbanistico esecutivo, nel frattempo eventualmente adottato.
Qualora, tuttavia, siffatta adozione non segua entro i successivi tre anni, il vincolo scaturente dalla deliberazione consiliare summenzionata necessariamente decade e, pertanto, torna ad applicarsi la regola generale della possibilità di realizzare ogni intervento edilizio conforme agli strumenti urbanistici generali, posto che nel novero degli immobili non assoggettati al piano di recupero o non compresi in questo devono includersi anche quelli per i quali sia scaduta l'individuazione deliberata a norma dell'art. 27, comma 3.
Le considerazioni sin qui svolte conducono, quindi, al rigetto della terza censura giacché la decadenza in parola di per sé non precludeva né rendeva illegittima l'approvazione tardiva del piano presentato. Occorre, infatti, precisare che l'approvazione del piano di recupero può intervenire dopo lo spirare del termine triennale a condizione della perdurante eseguibilità degli interventi previsti nello strumento urbanistico attuativo, ovverosia soltanto nell'ipotesi dell'assenza di modifiche dei luoghi -comunque diverse da quelle assentibili anche durante il regime di salvaguardia- verificatesi in epoca successiva alla decadenza (cfr. Cons. Stato, sez. V, 01.07.2005, n. 3666)
(TAR Veneto, Sez. II, sentenza 14.12.2011 n. 1829 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIDeve essere escluso dalla gara il partecipante la cui busta contenente l’offerta non è controfirmata sui lembi di chiusura dal legale rappresentante della ditta offerente o dal suo procuratore, atteso che, nelle avvertenze della lettera invito, si legge: “si farà luogo all’esclusione dalla gara nel caso … non venga osservata qualunque altra prescrizione o formalità …”.
La previsione della lex specialis di cui trattasi mira a garantire in astratto ogni rischio di compromissione dei plichi contenenti le offerte; essa stabilisce modalità di chiusura delle buste facilmente rispettabili procedendo con attenzione; dette modalità sono, al contempo, l’apposizione della ceralacca e della firma; risulta quindi del tutto irrilevante ogni indagine sull'effettiva integrità e segretezza dell'offerta presentata.
La firma, in aggiunta alla ceralacca, costituisce una maggiore garanzia nei confronti di eventuali frodi od indebite violazioni del segreto a tutela dell'interesse della p.a. e dei partecipanti affinché le buste non possano essere in astratto manomesse.

Invero, il plico contenente l’offerta avrebbe dovuto essere chiuso con ceralacca e controfirmato sui lembi di chiusura dal legale rappresentante della ditta offerente o dal suo procuratore.
Detta prescrizione doveva essere osservata a pena di esclusione atteso che, nelle avvertenze della lettera invito, si legge: “si farà luogo all’esclusione dalla gara nel caso … non venga osservata qualunque altra prescrizione o formalità …”.
Nel caso di specie risulta dalla documentazione in atti, ed è peraltro incontestato tra le parti, che i lembi di chiusura del plico presentato dalla ricorrente principale non sono stati controfirmati dal legale rappresentante dell’offerente.
Segue da ciò che la stazione appaltante avrebbe dovuto comminare la sanzione dell’esclusione dalla gara di cui trattasi.
D’altra parte, irrilevante appare l’osservazione della difesa della ricorrente principale secondo cui in sede di gara non risulta essere stata sollevata alcuna eccezione sull’integrità del plico, garantita dalla presenza della ceralacca.
Invero, la previsione della lex specialis di cui trattasi mira a garantire in astratto ogni rischio di compromissione dei plichi contenenti le offerte; essa stabilisce modalità di chiusura delle buste facilmente rispettabili procedendo con attenzione; dette modalità sono, al contempo, l’apposizione della ceralacca e della firma; risulta quindi del tutto irrilevante ogni indagine sull'effettiva integrità e segretezza dell'offerta presentata (v. Cons. Stato, sez. V, 30.09.2010, n. 7219).
Il Collegio ritiene altresì che la firma, in aggiunta alla ceralacca, costituisca una maggiore garanzia nei confronti di eventuali frodi od indebite violazioni del segreto a tutela dell'interesse della p.a. e dei partecipanti a che le buste non possano essere in astratto manomesse (TAR Sicilia-Palermo, Sez. III, sentenza 07.12.2011 n. 2304 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATASull'istituto dell'usucapione.
In punto di diritto, deve anzitutto sottolinearsi che l'usucapione costituisce un modo di acquisto a titolo originario dei diritti reali avente portata generale, e che generali sono, soprattutto, le funzioni cui essa assolve, di rendere certa e stabile la proprietà e di favorire, sul piano giuridico, chi occupa un bene e lo rende socialmente utile. Le esigenze, appena indicate, ricorrono in maniera particolarmente intensa nell'ipotesi in esame.
L'usucapione dell'immobile occupato illegittimamente dalla p.a. (per scadenza dei termini fissati negli atti finalizzati all’espropriazione), ma senza violenza o clandestinità (cfr. art. 1163 cod. civ.), invero, consente di ricondurre al sistema degli artt. 922 ss. cod. civ. una vicenda fino ad allora connotata da permanente illiceità: l'amministrazione, infatti, diviene proprietaria a titolo originario dell'immobile quale conseguenza del suo possesso protratto ininterrottamente per vent'anni che, altrimenti, proprio in ragione del carattere permanente dell'illecito commesso, comporterebbe l'indefinito protrarsi di una situazione di incertezza, connotata per un verso da un utilizzo sine titulo di un bene ancora privato ma di fatto in mano pubblica, e, per altro verso, dalla possibilità di un'azione di restitutio in pristinum o, alternativamente, di risarcimento del danno perpetuamente esercitabile da parte del soggetto privato (in termini v. TAR Puglia Lecce, sez. I, 08.07.2004, n. 4916).
Ed è proprio l’avvenuta usucapione ventennale del bene espropriato illegittimamente che la giurisprudenza amministrativa ha costantemente indicato quale limite temporale all’azione di risarcimento del danno esperita dal privato (tra le più recenti, v. TAR Lazio, Roma, sez. II, 14.04.2011, n. 3260; TAR Palermo, 01.02.2011, n. 175; TAR Sicilia, Palermo, sez. III, 21.01.2011, n. 115; TAR Campania, Napoli, sez. V, 15.10.2010 , n. 19648; TAR Sardegna, Cagliari, sez. II, 16.03.2010, n. 3035; TAR Sicilia, Palermo, III, 02.09.2009, n. 1462).
Il compimento dell'usucapione, poi, così specificamente venendo alle questioni risarcitorie, estingue non solo le forme di tutela reale spettanti al proprietario del fondo ma anche quelle obbligatorie tese al ristoro dei danni subiti, poiché retroagendo gli effetti della usucapione, quale acquisto del diritto reale a titolo originario, al momento dell'iniziale esercizio della relazione di fatto con il fondo altrui, viene meno "ab origine" il connotato di illiceità del comportamento dell’amministrazione che occupava "sine titulo” il bene poi usucapito (cfr. Cass. civile, sez. II, 24.02.2009, n. 4434).
Secondo la giurisprudenza della Corte di Cassazione, d'altronde, tutti i comportamenti tenuti dall'usucapiente rispetto alla cosa posseduta durante il tempo necessario all'acquisto devono considerarsi esercizio della situazione giuridica appunto acquistata in virtù del possesso: ciò è essenziale alle finalità stesse dell'istituto, rivolto ad adeguare la situazione di fatto a quella di diritto, così che il fenomeno della "retroattività degli effetti acquisitivi" si configura come necessaria garanzia del pieno soddisfacimento dell'interesse del quale è stata solo rinviata, allo scadere del termine ventennale, la realizzazione (cfr. Cass. civile, sez. II, 25.03.1998, n. 3153) (TAR Siclia-Palermo, Sez. II, sentenza 06.12.2011 n. 2278 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa sanatoria di edifici non ultimati per effetto di provvedimenti di sospensione postula la mancanza dei lavori strettamente necessari alla funzionalità di quanto già costruito e non consente l'integrazione delle opere con interventi edilizi che diano luogo a nuove strutture: di conseguenza, la realizzazione della sola struttura portante in travi e pilastri non risulta sufficiente, mancando il completamento delle strutture edilizie necessarie a definire la volumetria edilizia.
La richiamata disposizione normativa (ndr: art. 43, comma 5, L. n. 47/1985)  può essere applicata agli edifici che, anche se non ultimati, abbiano acquistato una fisionomia che ne renda riconoscibile il disegno progettuale e la destinazione e debba essere solo completato ai fini della sua funzionalità; pertanto, la sanatoria anzidetta non può essere concessa nel caso in cui i lavori di costruzione si siano arrestati alla prima fase e non siano riconoscibili oggettivamente né la funzione, né la configurazione generale del costruendo edificio.
Il requisito della "non ultimazione" previsto dall'art. 43 deve essere logicamente letto in relazione a quello ordinario della "ultimazione" previsto dall'art. 31 della legge n. 47/1985, secondo cui "si intendono ultimati gli edifici nei quali sia stato eseguito il rustico e completata la copertura ovvero, quanto alle opere interne e a quelle non destinate alla residenza, quando esse siano completate funzionalmente", con la conseguenza che possono conseguire la sanatoria edilizia anche manufatti la cui realizzazione sia arrestata ad uno stadio anteriore a quello di configurabilità dei predetti requisiti.
Avendo la disposizione di cui all'art. 43 carattere eccezionale rispetto alla regola generale sancita dall'articolo 31, essa è di stretta interpretazione ed applicabile in termini restrittivi (vertendosi, tra l'altro, in materia di condono di lavori abusivi), richiedendosi necessariamente che il manufatto, pur non ultimato, sia suscettibile di una sicura identificazione edilizia, sia da un punto di vista strutturale che della destinazione.

La questione giuridica agitata in giudizio concerne l'applicabilità, al manufatto per il quale è stato richiesto il condono edilizio, del comma 5 dell'articolo 43 della legge 47/1985, secondo il quale "possono ottenere la sanatoria le opere non ultimate per effetto di provvedimenti amministrativi o giurisdizionali limitatamente alle strutture realizzate e ai lavori che siano strettamente necessari alla loro funzionalità".
L'interpretazione giurisprudenziale della norma, condivisa dal Collegio, (cfr. Cons. Stato, IV, 30.06.2005, n. 3542; V, 20.12.2001, n. 6327; TAR Toscana Firenze, III, 06.04.2010, n. 927; TAR Campania, Salerno, II, 26.01.2009, n. 177) ha chiarito che la sanatoria di edifici non ultimati per effetto di provvedimenti di sospensione postula la mancanza dei lavori strettamente necessari alla funzionalità di quanto già costruito e non consente l'integrazione delle opere con interventi edilizi che diano luogo a nuove strutture: di conseguenza, la realizzazione della sola struttura portante in travi e pilastri non risulta sufficiente, mancando il completamento delle strutture edilizie necessarie a definire la volumetria edilizia.
È stato anche affermato (cfr. Cons. Stato, II, 14.03.1990, n. 669) che la richiamata disposizione normativa può essere applicata agli edifici che, anche se non ultimati, abbiano acquistato una fisionomia che ne renda riconoscibile il disegno progettuale e la destinazione e debba essere solo completato ai fini della sua funzionalità; pertanto, la sanatoria anzidetta non può essere concessa nel caso in cui i lavori di costruzione si siano arrestati alla prima fase e non siano riconoscibili oggettivamente né la funzione, né la configurazione generale del costruendo edificio.
Rileva il Collegio che il requisito della "non ultimazione" previsto dall'art. 43 deve essere logicamente letto in relazione a quello ordinario della "ultimazione" previsto dall'art. 31 della legge n. 47/1985, secondo cui "si intendono ultimati gli edifici nei quali sia stato eseguito il rustico e completata la copertura ovvero, quanto alle opere interne e a quelle non destinate alla residenza, quando esse siano completate funzionalmente", con la conseguenza che possono conseguire la sanatoria edilizia anche manufatti la cui realizzazione sia arrestata ad uno stadio anteriore a quello di configurabilità dei predetti requisiti.
Tuttavia, avendo la disposizione di cui all'art. 43 carattere eccezionale rispetto alla regola generale sancita dall'articolo 31, essa è di stretta interpretazione ed applicabile in termini restrittivi (vertendosi, tra l'altro, in materia di condono di lavori abusivi), richiedendosi necessariamente che il manufatto, pur non ultimato, sia suscettibile di una sicura identificazione edilizia, sia da un punto di vista strutturale che della destinazione (TAR Sicilia-Palermo, Sez. III, sentenza 06.12.2011 n. 2277 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: E' illegittima l’apertura delle buste contenenti le offerte tecniche avvenuta in occasione della seduta riservata dedicata alla loro valutazione poiché risulta in contrasto con il principio di pubblicità affermato dalla sentenza dell’adunanza plenaria del Consiglio di Stato n. 13/2011.
L’assenza di motivazione dei provvedimenti che hanno condotto alla nomina del dirigente della stazione appaltante come segretario, anziché come presidente della commissione di gara e alla designazione dei componenti della stessa mediante il ricorso a professionalità esterne, inficia la legittimità degli stessi, in quanto vìola principi generali applicabili anche in relazione all’affidamento di concessioni di servizi.

Considerato:
- che, a prescindere dalla prova della preclusione dell’accesso alla seduta pubblica in cui sono state aperte le buste contenenti la documentazione amministrativa, l’apertura delle buste contenenti le offerte tecniche risulta essere avvenuta in seduta riservata, in contrasto non solo con il principio di pubblicità recentemente ribadito dal Consiglio di Stato, nella sentenza dell’Adunanza plenaria n. 13/2001, ma anche con la stessa lex specialis della gara.
Contrariamente a quanto asserito da parte resistente, infatti, il verbale della prima seduta, pubblica, dà atto solo della <<presenza, integrità e la correttezza delle buste “Domanda di partecipazione”, “Offerta tecnica” e "Offerta economica”>>, dell’avvenuto accantonamento, in ordine progressivo, delle suddette buste, del riscontro della correttezza della sola documentazione contenuta nelle buste n. 1;
- che, conseguentemente, deve presumersi che l’apertura delle buste contenenti le offerte tecniche sia avvenuta in occasione della seduta riservata dedicata alla loro valutazione, in contrasto con il principio di pubblicità affermato dalla sentenza dell’adunanza plenaria del Consiglio di Stato n. 13/2011 e, prima ancora e soprattutto, con il bando di gara;
- che l’assenza di motivazione dei provvedimenti che hanno condotto alla nomina del dirigente della stazione appaltante come segretario, anziché come presidente della commissione di gara e alla designazione dei componenti della stessa mediante il ricorso a professionalità esterne, inficia la legittimità degli stessi, in quanto vìola principi generali applicabili anche in relazione all’affidamento di concessioni di servizi.
Il Collegio non ravvisa, infatti, ragione di discostarsi dal precedente di questo Tribunale (sentenza TAR Brescia, II, 05.03.2010, n. 1122), in cui si legge, con riferimento all’art. 84 del d.lgs. 163/2006, come la giurisprudenza sia ormai costante nel ritenere che: “la norma sia volta a garantire l'imparzialità della commissione incaricata di valutare le offerte, e quindi, in ultima analisi, un principio fondamentale delle gare come quello della parità fra i concorrenti; si tratta in altre parole, come sottolineato dalla citata TAR Lazio-Roma, sez. III, 21.11.2008 n. 10565, di norma di rilievo procedimentale, ma non formalistico, che prescinde come tale "da ogni considerazione circa la specifica professionalità, competenza e serietà dei soggetti in concreto nominati", ma che, ove violata, vizia in modo irrimediabile l'esito finale della procedura”.
Ne discende che la mancata rappresentazione delle ragioni per cui, nella designazione dei membri della commissione giudicatrice, si è fatto ricorso a membri esterni alla stazione appaltante, omettendo anche di assegnare all’unico componente interno il ruolo di Presidente, inficia la legittimità di tutti gli atti adottati da tale commissione (TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 01.12.2011 n. 1685 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

PUBBLICO IMPIEGO: Riforma Brunetta. Legittima la revoca dell'incarico al dirigente pubblico.
La Corte di Cassazione ha confermato che è legittimo il provvedimento di revoca dell'incarico se è giustificato da manchevolezze e negligenze del dirigente pubblico. La vicenda presa in esame dai giudici di legittimità è di notevole importanza per il mondo del pubblico impiego che dopo una serie di riforme attuate in questo ultimo decennio e, dopo la cura "Brunetta" del precedente esecutivo di Governo, tende ad assomigliare sempre più al privato.
Con la sentenza 28.11.2011 n. 25036 la Corte di Cassazione, Sez. lavoro, in tema di pubblica amministrazione, ha confermato che è legittimo il provvedimento di revoca se è giustificato da manchevolezze e negligenze del dirigente pubblico.
La vicenda presa in esame dai giudici di legittimità è di notevole importanza per il mondo del lavoro del pubblico impiego che dopo una serie di riforme attuate in questo ultimo decennio e, dopo la cura “Brunetta“ del precedente esecutivo di Governo, tende ad assomigliare sempre più al privato.
Il caso nasce a seguito del fatto che il Tribunale ordinario aveva dichiarato l’illegittimità del decreto della Agenzia delle Entrate, con cui un suo dirigente pubblico era stato rimosso dall'incarico di Capo di un Reparto dell'Ufficio IVA di una città siciliana, ordinando alla stessa Agenzia delle Entrate di reintegrare il ricorrente in mansioni ritenute equivalenti a quelle svolte in precedenza dal lavoratore presso il suddetto Ufficio e condannando, l'Amministrazione, al risarcimento dei danni patrimoniali subiti dal ricorrente per effetto del demansionamento.
Per converso i giudici di secondo grado hanno “ribaltato” la sentenza dei giudici di primo grado ritenendo che il provvedimento di revoca dell’Agenzia delle Entrate fosse giustificato alla luce di una valutazione complessiva delle numerose violazioni dei doveri d'ufficio commesse dal dipendente e dei risultati negativi della gestione del reparto, osservando altresì che non vi era comunque prova che le nuove mansioni assegnate al dipendente ricorrente non rientrassero tra quelle proprie della qualifica rivestita dal ricorrente.
Avverso tale sentenza il dirigente pubblico ricorre in Cassazione.
La rimozione dell’incarico nella pubblica amministrazione.
Occorre preliminarmente rilevare che con la riforma Brunetta viene introdotto per la prima volta il criterio della trasparenza e della pubblicità nel procedimento per l’affidamento degli incarichi e, dando un forte rilievo alla valutazione, si punta sulla rivoluzione del merito.
Occorre rilevare che dopo i numerosi interventi interpretativi della magistratura volti a tutelare la dirigenza riaffermando la separazione del potere politico da quello gestionale (vedi in particolare le sentenze della Corte Costituzionale 103/2007 e 104/2007, nonché 161/2008) la riforma Brunetta ha cercato (e sta cercando nel suo intento) di porre rimedio ai problemi connessi con l’attribuzione e la revoca degli incarichi dirigenziali.
L’incarico può essere revocato (art. 21 del D.Lgs 165/2001) in caso di responsabilità dirigenziale per mancanza di raggiungimento degli obiettivi fissati, da accertare attraverso le risultanze del sistema di valutazione previsto dal D.Lgs. 150/2009, o per inosservanza delle direttive; la revoca deve essere ancorata a dati oggettivi e valutabili e non già “ad nutum e deve seguire precise garanzie procedimentali (atto comunicato al dirigente con congruo avviso, motivato e previo contraddittorio, sottoposto al controllo giurisdizionale in relazione alla sua legittimità sostanziale e al rispetto delle garanzie procedimentali)”.
Il D.Lgs. 165/2001 prevede, infatti, che il mancato raggiungimento degli obiettivi accertato attraverso le risultanze del sistema di valutazione di cui al Titolo II del decreto legislativo di attuazione della legge 04.03.2009, n. 15, in materia di ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e di efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni ovvero l'inosservanza delle direttive imputabili al dirigente comportano, previa contestazione e ferma restando l'eventuale responsabilità disciplinare secondo la disciplina contenuta nel contratto collettivo, l'impossibilità di rinnovo dello stesso incarico dirigenziale.
A proposito della gravità dei casi, l'amministrazione può, inoltre, previa contestazione e nel rispetto del principio del contraddittorio, revocare l'incarico collocando il dirigente a disposizione dei ruoli o può recedere dal rapporto di lavoro secondo le disposizioni del contratto collettivo.
L’analisi dei giudici.
I giudici di legittimità con la sentenza citata nel paragrafo iniziale osservano che i giudici di merito hanno ritenuto giustificato il provvedimento di revoca dell'incarico, adottato dall'Amministrazione nei confronti del dirigente ricorrente, sulla base di un esame complessivo delle manchevolezze riscontrate nella gestione del reparto al quale il dirigente ricorrente era preposto, manchevolezze ritenute "di essenziale importanza, in quanto relative alla principale finalità istituzionale dell'Agenzia delle Entrate", oltre che reiterate in un arco temporale inferiore ad un anno, osservando che il ritardo nell'invio di numerosi atti di contestazione e avvisi di accertamento alla firma del Dirigente non poteva trovare alcuna valida giustificazione, considerato anche "il rischio derivante dal ritardo nell'attività di riscossione" e "il pregiudizio che ne risente l'attività amministrativa, gravemente penalizzata dalla necessità di avviare alla notifica, in prossimità della scadenza, una gran mole di atti che ben potevano, invece, se correttamente gestiti, essere scaglionati nel tempo".
Altrettanto grave e ingiustificato era il calo di produttività del reparto, che si attestava intorno al 74% e che, date le proporzioni, non poteva essere spiegato con le pur lamentate carenze di organico.
Per i giudici di legittimità si tratta, come è evidente, di una valutazione di fatto, devoluta al giudice del merito, non censurabile in cassazione in quanto comunque assistita da motivazione sufficiente e non contraddittoria.
Per la Corte di Cassazione, quindi, il ricorso deve essere pertanto respinto con la conferma della sentenza impugnata (commento tratto da www.ipsoa.it).

APPALTI: Esclusi dalla gara, serve il punteggio minimo: anche per l'unico partecipante.
E' legittima l'esclusione da una gara per l'affidamento di un appalto di servizi, da aggiudicarsi secondo il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa, che sia motivata con riferimento al fatto che l'offerta presentata dall'unico concorrente partecipante non ha raggiunto il punteggio minimo previsto dal bando.

La segnalata pronuncia risolve la questione circa la legittimità dell'esclusione di una ditta partecipante a una gara di appalto che, sebbene unica concorrente, non ha raggiunto il punteggio minimo imposto dalla lex specialis.
Segnatamente, un'Amministrazione indiceva una procedura di gara per l'affidamento del servizio di nettezza urbana per la durata di anni 7 da aggiudicarsi mediante il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa, prevedendo l'assegnazione di 25 punti per l'offerta economica e 75 punti per l'offerta tecnica, quale punteggio massimo per entrambe, suddiviso sulla base di una pluralità di singoli parametri e sottoparametri prestabiliti, ma con previsione di una soglia minima (di punti 36) ai fini dell'ammissione all'esame dell'offerta economica.
Nella seduta di valutazione delle offerte pervenute, la Commissione procedeva a vagliare l'offerta della ricorrente, unica partecipante alla gara, e con successivo predisponeva l'esclusione della stessa per mancato raggiungimento della soglia minima per l'offerta tecnica (30 punti contro i 36 necessari).
Avverso quest'ultimo provvedimento, nonché tutti gli atti di gara, è insorta la società interessata, all'uopo eccependo l'illegittimità della previsione di una soglia minima di punteggio tecnico necessaria ai fini dell'ammissione alle successive fasi di gara; il mancato esperimento del contraddittorio orale prima dell'adozione dell'esclusione; l'illegittimità della griglia di valutazione che, in relazione a ciascun parametro, prevedeva unicamente un punteggio massimo e non anche uno minimo; l'illegittima fissazione, da parte della Commissione, dei criteri di valutazione, nonché la mancata descrizione del "metodo di lavoro" adottato; l'insufficienza del punteggio espresso unicamente con un dato numerico, nonché l'erroneità della valutazione della propria offerta tecnica, frutto dei travisamenti in cui sarebbe incorsa la Commissione che non avrebbe tenuto conto delle numerose migliorie proposte.
Orbene, il Collegio di Milano ha ritenuto infondata l'eccezione d'illegittimità della soglia di sbarramento di 36 punti come imposta dalla stazione appaltante.
Al riguardo, richiamando un consolidato indirizzo giurisprudenziale, ha precisato che "rispetto all'aggiudicazione con il sistema dell'offerta economicamente più vantaggiosa, si reputano legittime le clausole del bando che prevedono la valutazione dell'offerta economica solo in caso di un punteggio minimo raggiunto dall'offerta, considerata la rilevanza che può avere l'aspetto della qualità tecnica per la Amministrazione aggiudicatrice (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 03.03.2004, n. 1040, che ha affermato la legittimità di una clausola di sbarramento, prevista nel capitolato speciale per una gara di appalto per l'aggiudicazione di un servizio all'offerta economicamente più vantaggiosa, che non consente la valutazione del prezzo nel caso di offerte che sotto il profilo qualitativo non raggiungano un punteggio minimo)" (TAR Lazio, Roma, Sez. III, 26.01.2009, n. 630).
Parimenti infondata è stata ritenuta la seconda censura con cui la ricorrente ha dedotto l'illegittimità della propria esclusione in quanto non preceduta da contraddittorio orale.
Sul punto, infatti, è stato evidenziato che una volta determinato lo standard cui l'offerta deve conformarsi, il mancato raggiungimento dei livelli minimi prescritti costituisce elemento di per sé legittimante l'esclusione del concorrente senza necessità di instaurare alcun confronto in contraddittorio non previsto da alcuna norma in relazione alla fattispecie in esame.
E ancora, in relazione al terzo ordine di censure, la ricorrente ha dedotto la violazione dell'art. 83, D.Lgs. n. 163/2006 per illogicità e violazione del principio di proporzionalità, dell'art. 3, L. n. 241/1990 e dell'art. 53 della Dir. 2004/18/CE in relazione alla previsione di un punteggio massimo e non anche di un punteggio minimo: le censure sono state reputate inammissibili e infondate.
Sotto il primo profilo, il giudicante ha precisato che la disciplina dettata dal disciplinare di gara esprime una scelta discrezionale della stazione appaltante, non sindacabile da parte del G.A. qualora esente da vizi di evidente incongruità e irragionevolezza.
Quanto al secondo, ha soggiunto che la graduazione del punteggio nell'ambito del range prefissato costituisce valutazione di merito tecnico che viene espressa dai componenti della Commissione sulla base della rispondenza o meno delle componenti di offerta alla prestazione richiesta, come formulata dalla disciplina di gara secondo un apprezzamento che sfugge al sindacato giurisdizionale.
Inoltre, il TAR lombardo ha ritenuto infondata la doglianza con cui la ricorrente ha eccepito che la Commissione avrebbe definito i criteri di valutazione e adottato un "metodo di lavoro" non altrimenti illustrato a verbale.
In proposito, ha precisato che la definizione del "metodo di lavoro" non necessitava di alcuna esplicitazione ulteriore rispetto a quella contenuta nel bando di gara, in quanto riguardava aspetti organizzativi privi di interesse ai fini della valutazione.
Con un quinto ordine di censure la ricorrente ha dedotto, con riferimento alle valutazioni tecniche, il difetto di motivazione quale conseguenza dell'assegnazione di un punteggio numerico non corredato da un giudizio.
Anche quest'ultima censura è stata reputata infondata.
Difatti, l'adito Tribunale ha rimarcato che, come in giurisprudenza ripetutamente evidenziato, "il solo punteggio numerico può essere ritenuto una sufficiente motivazione in relazione agli elementi di valutazione dell'offerta economicamente più vantaggiosa, quando i criteri prefissati di valutazione siano estremamente dettagliati" (ex multis, Cons. Stato, Sez. VI, 10.01.2003, n. 67).
In ragione di tanto, il Collegio lombardo ha rigettato il ricorso in quanto in parte infondato, in parte inammissibile, contestualmente condannando la ricorrente al pagamento delle spese di lite (commento tratto da www.ipsoa.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 18.11.2011 n. 2802 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Legittimazione a ricorre delle associazioni a tutela dell'ambiente.
La sentenza si sofferma sia sulla individuazione dei soggetti collettivi e non, legittimati a ricorrere per la tutela di interessi ambientali sia sulla nozione interesse di natura ambientale.

La controversia oggetto della sentenza in esame riguardava in primo luogo la legittimazione attiva a ricorrere avverso provvedimenti lesivi di interessi ambientali.
Il Consiglio di Stato conferma l’orientamento, ormai consolidato in giurisprudenza, secondo cui, tale interesse deve essere riconosciuto non soltanto alle associazioni ed ai comitati stabili, cui tale facoltà è stata conferita con legge (art. 13 legge n. 349 del 1986), nella fattispecie tale interesse risultava così riconosciuto in capo alla Onlus Italia Nostra, ma anche a diversi soggetti, singoli o collettivi, che assumano di difendere tale interesse.
In particolare, deve ammettersi la legittimazione a ricorrere sia di comitati sorti spontaneamente allo specifico scopo di proteggere l’ambiente, la salute e/o la qualità della vita delle popolazioni residenti su un circoscritto territorio, sia di singole persone fisiche che risultino in una posizione differenziata, sulla base del criterio della vicinitas quale elemento qualificante dell’interesse a ricorrere.
Il Consiglio di Stato si sofferma inoltre sui limiti entro cui è possibile riconoscere l’esistenza di un interesse di natura ambientale di cui si assuma le lesione.
Nella fattispecie oggetto della sentenza risultava infatti impugnato l’atto con cui era stata approvata una variante urbanistica ed era, pertanto, in discussione la possibilità di configurare la lesione di un interesse alla tutela dell’ambiente a fronte del coinvolgimento di disposizioni di natura prettamente urbanistica.
Anche a questo riguardo la sentenza in esame conferma un orientamento consolidato secondo cui, “la materia ambientale per le peculiari caratteristiche del bene protetto, si atteggia in modo particolare: la tutela dell’ambiente, infatti, lungi dal costituire un autonomo settore d’intervento dei pubblici poteri, assume il ruolo unificante e finalizzante di distinte tutele giuridiche predisposte a favore dei diversi beni della vita che nell’ambiente si collocano (assumendo un carattere per così dire trasversale rispetto alle ordinarie materie e competenze amministrative, che connotano anche le distinzioni fra ministeri)”.
La giurisprudenza riconosce in tal modo la possibilità di tutelare i cd. interessi ambientali in senso lato, “comprendenti proprio la conservazione e valorizzazione dei beni culturali, dell'ambiente in senso ampio, del paesaggio urbano, rurale e naturale, dei monumenti e dei centri storici e della qualità della vita”.
In particolare, ai fini della verifica della legittimazione a ricorrere, il giudice deve verificare caso per caso se l’annullamento, richiesto per violazione di una norma urbanistica, presupponga la lesione di un interesse ambientale, rappresentando la tutela di quest’ultimo la vera ragione dell’azione giurisdizionale promossa (commento tratto da www.ipsoa.it - Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 11.11.2011 n. 5986 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Edificio abusivo e "ultimazione" ai fini della prescrizione.
L'uso effettivo dell'immobile, accompagnato dall'attivazione delle utenze e dalla presenza di persone al suo interno, non è sufficiente al fine di ritenere "ultimato" l'immobile abusivamente realizzato, coincidendo l'ultimazione con la conclusione dei lavori di rifinitura interni ed esterni, quali gli intonaci e gli infissi (fattispecie in tema di prescrizione).

Sicuramente destinata a far discutere è la sentenza con cui la Corte di Cassazione ha respinto il ricorso di un indagato cui era contestato di aver abusivamente realizzato un manufatto. La Corte, infatti, pur assumendo come provata la presenza di persone occupanti l’immobile, l’avvenuta attivazione delle utenze domestiche e, dunque, emergendo con certezza che il manufatto, seppur abusivo, era in realtà “vissuto” ed effettivamente utilizzato dall’abusivo proprietario, ha escluso che ciò sia sufficiente per ritenere “ultimato” l’immobile, essendo necessario “ben altro”.
Ha, quindi, negato il proscioglimento per prescrizione del reato edilizio, poiché la materiale utilizzazione di un immobile e l'eventuale attivazione di utenze non sono elementi da soli sufficienti per dimostrare la sua concreta ed effettiva funzionalità e la presenza di tutti i requisiti di agibilità o abitabilità che consentano di ritenerlo ultimato.
Il fatto
La vicenda processuale in esame trae origine da un provvedimento emesso dal Tribunale del riesame confermativo del decreto con il quale veniva disposto il sequestro preventivo di tre manufatti, realizzati in assenza di permesso di costruire in violazione del d. P.R. n. 380 del 2001, articolo 44, lettera c), nonché delle disposizioni in materia di costruzioni in zone sismiche e sulle opere in cemento armato.
In sostanza, affermava il Tribunale, come l’illecito fosse di macroscopica evidenza e che, in assenza di idonea documentazione fotografica, catastale, amministrativa o di altro genere, comprovante con certezza la data di ultimazione degli interventi, non potesse ritenersi diversamente individuato da quello accertato il momento consumativo dei reati da considerare ai fini del calcolo della prescrizione. Evidenziava, in particolare, come la documentazione prodotta dalla difesa non offrisse alcun elemento tale da fornire una descrizione dettagliata dello stato dei manufatti.
Il ricorso
L’ordinanza del tribunale del riesame veniva impugnata mediante ricorso per cassazione proposto dalla difesa dell’indagato, proprietario dell’immobile abusivamente costruito. Per quanto di interesse in questa sede, la difesa contestava l’ordinanza del tribunale, osservando di aver documentalmente dimostrato la intervenuta prescrizione dei reati ipotizzati sulla scorta di verbali di perquisizione e contratti di utenze relative alla fornitura di elettricità e linee telefoniche che, contrariamente a quanto sostenuto dal Tribunale, comprovavano una funzionalità all'uso degli immobili sequestrati risalente negli anni.
La decisione della Cassazione
La Corte ha, tuttavia, rigettato il ricorso ritenendo del tutto prive di fondamento le doglianze difensive. In merito al fatto contestato, osservano gli Ermellini come nel ricorso si sostenga che il completamento funzionale sarebbe dimostrato dall'esistenza delle utenze e dal fatto che gli immobili fossero abitati. Date tali premesse, la Corte ricorda quale sia l'orientamento giurisprudenziale di legittimità sul concetto di “ultimazione” dell'immobile abusivo.
Si e' detto, a tale proposito, che il reato urbanistico ha natura di reato permanente, la cui consumazione ha inizio con l'avvio dei lavori di costruzione e perdura fino alla cessazione dell'attività edificatoria abusiva (v., per tutte: Cass. pen., Sez. U, n. 17178 del 27/02/2002, dep. 08/05/2002, imp. C., in Ced Cass., n. 221399).
Si è poi precisato (v., tra le tante: Cass. pen., Sez. 3, n. 38136 del 25/09/2001, dep. 24/10/2001, imp. T., in Ced Cass., n. 220351) che la cessazione dell'attività si ha con l'ultimazione dei lavori per completamento dell'opera, con la sospensione dei lavori volontaria o imposta (ad esempio, mediante sequestro penale), con la sentenza di primo grado, se i lavori continuano dopo l'accertamento del reato e sino alla data del giudizio.
Si e' inoltre chiarito che l'ultimazione dei lavori coincide con la conclusione dei lavori di rifinitura interni ed esterni quali gli intonaci e gli infissi (Cass. pen., Sez. 3, n. 32969 del 08/07/2005, dep. 07/09/2005, imp. A., in Ced Cass., n. 232182). Deve trattarsi, in altre parole, secondo la Corte, di un edificio concretamente funzionale che possegga tutti i requisiti di agibilità o abitabilità, come si ricava dal disposto dell'articolo 25, comma 1, d.P.R., n. 380 del 2001, che fissa "entro quindici giorni dall'ultimazione dei lavori di finitura dell'intervento" il termine per la presentazione allo sportello unico della domanda di rilascio del certificato di agibilità.
Le opere devono essere, inoltre, valutate nel loro complesso, non potendosi, in base al concetto unitario di costruzione, considerare separatamente i singoli componenti (Cass. pen., Sez. 3, n. 4048 del 06/11/2002, dep. 29/01/2003, imp. T., in Ced Cass., n. 223365). Tali caratteristiche riguardano, inoltre, anche le parti che costituiscono annessi dell'abitazione (Cass. pen., Sez. 3, n. 8172 del 27/01/2010, dep. 02/03/2010, imp. V., in Ced Cass., n. 246221).
Ciò posto, secondo i giudici di Piazza Cavour, deve rilevarsi come le conclusioni dei giudici di merito siano da considerarsi condivisibili.
In fatto, il Tribunale ha ritenuto che fosse necessaria altra e più pregnante documentazione per dimostrare lo stato di avanzamento dei lavori, poiché la presenza di utenze -che se effettivamente riferite agli immobili abusivi sarebbero state attivate in palese violazione del divieto di cui al d.P.R. n. 380 del 2001, articolo 48 (che fa divieto a tutte le aziende erogatrici di servizi pubblici di somministrare le loro forniture per l'esecuzione di opere prive di permesso di costruire, nonché ad opere in assenza di titolo iniziate dopo il 30.01.1977 e per le quali non siano stati stipulati contratti di somministrazione anteriormente al 17.03.1985)- e la presenza di persone all'interno del manufatto dimostrano, al più, che l'immobile era abitato o comunque utilizzato ma non che l'intervento edilizio potesse ritenersi ultimato.
Lo stesso Tribunale ha, inoltre, considerato anche altri dati fattuali, quali l'iter di alcune pratiche edilizie, una delle quali riferita ad un immobile rurale non reperito all'atto del sopralluogo e le condizioni di un immobile con il terzo piano ancora non completato.
A fronte di ciò i giudici del riesame non potevano ritenere determinato il momento consumativo del reato e, conseguentemente, maturata la prescrizione, poiché –conclude la Cassazione- la materiale utilizzazione di un immobile e l'eventuale attivazione di utenze non sono elementi da soli sufficienti per dimostrare la sua concreta ed effettiva funzionalità e la presenza di tutti i requisiti di agibilità o abitabilità che consentano di ritenerlo ultimato.
In ogni caso, infine, soggiunge la Corte, grava comunque sull'indagato che voglia giovarsi della causa estintiva della prescrizione, in contrasto o in aggiunta a quanto già risulta in proposito dagli atti di causa, l'onere di allegare gli elementi in suo possesso (v., da ultimo: Cass. pen., Sez. 3, n. 19082 del 24/03/2009, dep. 07/05/2009, imp. C., in Ced Cass., n. 243765) e, per le medesime ragioni in precedenza indicate, tale onere non poteva ritenersi adeguatamente assolto.
La pronuncia si segnala per il particolare rigore interpretativo con cui àncora il dies a quo di decorrenza del termine di prescrizione alla disposzione dell’art. 25, comma 1, d.P.R. n. 380 del 2001, che obbliga il soggetto titolare del permesso di costruire -o il soggetto che ha presentato la denuncia di inizio attività, o i loro successori o aventi causa-, “entro quindici giorni dall’ultimazione dei lavori di finitura dell’intervento”, a presentare allo sportello unico la domanda di rilascio del certificato di agibilità, corredata dalla documentazione ivi indicata.
E’ la prima volta, infatti, che gli Ermellini utilizzano tale argomento normativo per qualificare la nozione di “ultimazione” dei lavori in relazione alla decorrenza del termine di prescrizione, essendo invece ormai pacifico che la particolare nozione di "ultimazione", contenuta invece nell'art. 31 della L. 28.02.1985, n. 47, è funzionale ed applicabile solo in materia di condono edilizio e non anche per stabilire in via generale il momento consumativo del reato (v., tra le tante: Cass. pen., Sez. 3, n. 33013 del 03/06/2003, dep. 05/08/2003, imp. S. e altro, in Ced Cass., n. 225553) (commento tratto da www.ipsoa.it - Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 03.11.2011 n. 39733 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATACirca la natura del “parere” previsto dalla L. 28.02.1985 n. 47 sul condono edilizio (l’art. 31 di detta legge subordina la concessione o l’autorizzazione in sanatoria per opere eseguite su aree sottoposte a vincoli “al parere favorevole delle Amministrazioni preposte alla tutela del vincolo stesso”), la giurisprudenza ha chiarito che esso, al di là dell’imprecisa terminologia usata, è un atto vincolante, il quale esprime il consenso o il dissenso di autorità, diverse da quelle operanti in materia urbanistica, la cui individuazione va operata alla stregua delle disposizioni che, nelle varie materie, indicano l’organo competente al rilascio di nulla-osta o autorizzazioni.
---------------

Le misure sanzionatorie previste dall’art. 15 della legge n. 1439 del 1939 devono essere comminate anche in presenza del solo comportamento colposo o doloso da parte di chi ha commesso l’abuso, prescindendo dall’esistenza del danno ambientale.
Tale articolo va, infatti, interpretato nel senso che l’indennità ivi prevista per abusi edilizi in zone soggette a vincolo paesaggistico non costituisce un’ipotesi di risarcimento del danno ambientale, ma rappresenta una sanzione amministrativa, applicabile sia nel caso di illeciti sostanziali (cioè nel caso di compromissione dell’integrità paesaggistica) sia in ipotesi di illeciti formali, come deve ritenersi il caso della violazione dell’obbligo di conseguire l’autorizzazione preventiva a fronte di un intervento compatibile col contesto paesistico oggetto della protezione.

Giova in proposito osservare che questa Sezione con le decisioni n. 241 del 06.04.1987 e 114 del 28.01.1998 ha avuto modo di occuparsi della natura del “parere” previsto dalla L. 28.02.1985 n. 47 sul condono edilizio (l’art. 31 di detta legge subordina la concessione o l’autorizzazione in sanatoria per opere eseguite su aree sottoposte a vincoli “al parere favorevole delle Amministrazioni preposte alla tutela del vincolo stesso”), chiarendo che esso, al di là dell’imprecisa terminologia usata, è un atto vincolante, il quale esprime il consenso o il dissenso di autorità, diverse da quelle operanti in materia urbanistica, la cui individuazione va operata alla stregua delle disposizioni che, nelle varie materie, indicano l’organo competente al rilascio di nulla-osta o autorizzazioni.
In tale occasione si è avuto modo di precisare che –dovendo per le aree soggette a vincolo paesistico trovare applicazione la disciplina dettata dalla L. 08.08.1985 n. 431, la quale, modificando l’art. 82 del D.P.R. 24.07.1977 n. 616, conferma la delega alle Regioni a statuto ordinario delle funzioni amministrative statali per la protezione delle bellezze naturali “per quanto attiene alla loro individuazione, alla loro tutela e alle relative sanzioni”– l’autorizzazione ex art. 7 legge n. 1497 del 1939 rientra nel potere delle Regioni.
Si è però subito sottolineato che restano salve le misure (di sostituzione in caso di inerzia e di annullamento in caso di autorizzazione illegittima) la cui adozione è riservata al Ministero per i beni culturali ed ambientali.
A tale conclusione si è pervenuti nella considerazione che tali misure sono astrattamente compatibili con la disciplina particolare del “parere” vincolante inserito nel procedimento di sanatoria degli abusi edilizi, anche se la norma attribuisce al silenzio protrattosi per più di 180 giorni dalla domanda il significato di parere negativo. Ciò in quanto l’intervento del Ministro in via sostitutiva o repressiva può avvenire in concreto prima di 180 giorni dalla domanda, posto che il termine dato alla Regione per provvedere è di soli sessanta giorni.
Le riferite precisazioni dimostrano che il parere vincolante di cui all’art. 32 della legge n. 47 del 1985 in realtà è un atto di volizione e non di opinione, ha cioè natura e funzioni identiche all’autorizzazione ex art. 7 legge n. 1497 del 1939; entrambi detti atti, nei procedimenti nei quali s’inseriscono –di rilascio della concessione edilizia ordinaria ovvero in sanatoria– svolgono sempre la stessa funzione di presupposto per l’assentimento del titolo che legittima la trasformazione urbanistico-edilizia.
In ogni caso, si deve rilevare che ogni dubbio è stato risolto dall’art. 1 della L. 13.03.1988 n. 68, secondo cui “per le aree soggette al vincolo paesistico ai sensi della L. 29.06.1939 n. 1497 e successive modificazioni e del D.L. 27.06.1985 n. 312, convertito, con modificazioni, dalla L. 08.08.1985 n. 431, il parere prescritto dall’art. 32 della L. 28.02.1985 n. 47 è reso del nono comma dell’art. 82 del D.P.R. 24.07.1977 n. 616, come modificato dal citato D.L. 27.06.1985 n. 312…”.
Come pure precisato dalle summenzionate decisioni della Sezione, il rinvio operato da tale norma al nono comma dell’art. 82 non può essere limitato all’individuazione del soggetto chiamato ad esprimere il parere di cui all’art. 32 citato, ma comprende anche la restante disciplina ed in particolare il potere di annullamento del Ministro dei pareri favorevoli rilasciati dalle Regioni o dagli Enti subdeledgati.
Sotto il profilo funzionale, il parere ex art. 32 è assimilabile all’autorizzazione paesaggistica intesa come strumento di gestione del vincolo, per cui l’annullamento ministeriale, posto ad estrema difesa del vincolo, non può non comprendere anche la valutazione di compatibilità paesistica da effettuare in sede di condono.
In definitiva, il modello prescelto dal legislatore nazionale con la legge n. 431 del 1985 per la realizzazione di un valore primario, quale quello del paesaggio, espressamente previsto dalla Costituzione (art. 9, secondo comma), è caratterizzato da un rapporto di concorrenza fra competenze statali e competenze regionali, improntato nel loro svolgimento al principio di leale collaborazione. Tale modello di gestione del “paesaggio” deve trovare applicazione anche in sede di attuazione della legge sul condono edilizio, essendo evidente che pure in tale ipotesi deve essere valutata la compatibilità della res abusiva con le esigenze di salvaguardia del vincolo.
---------------
Parimenti fondato è il secondo motivo di appello con il quale la difesa dell’Amministrazione ha sostenuto che le misure sanzionatorie previste dall’art. 15 della legge n. 1439 del 1939 devono essere comminate anche in presenza del solo comportamento colposo o doloso da parte di chi ha commesso l’abuso, prescindendo dall’esistenza del danno ambientale.
Tale articolo va, infatti, interpretato nel senso che l’indennità ivi prevista per abusi edilizi in zone soggette a vincolo paesaggistico non costituisce un’ipotesi di risarcimento del danno ambientale, ma rappresenta una sanzione amministrativa, applicabile sia nel caso di illeciti sostanziali (cioè nel caso di compromissione dell’integrità paesaggistica) sia in ipotesi di illeciti formali, come deve ritenersi il caso della violazione dell’obbligo di conseguire l’autorizzazione preventiva a fronte di un intervento compatibile col contesto paesistico oggetto della protezione (cfr., di recente, C.d.S., Sez. IV, 25.11.2003 n. 7765 e Sezione VI, 15.05.2003, n. 2653) (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 28.07.2006 n. 4690 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

inizio home-page