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AGGIORNAMENTO AL 30.01.2012 |
ã |
DOTTRINA E
CONTRIBUTI |
URBANISTICA: M.
Bottone,
IL GOVERNO
DEL TERRITORIO ? FUORI-LEGGE - Quando la
Campania afferma dei principi e ne applica
altri (29.01.2012). |
ATTI AMMINISTRATIVI - ENTI LOCALI:
G. Garrisi e L. Foglia,
Obbligatorio indicare la PEC negli atti,
nella corrispondenza e sul proprio sito Web
(link a www.diritto.it). |
PUBBLICO IMPIEGO:
R. Mancuso,
Il Mobbing: problema comune (link
a www.diritto.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI - PUBBLICO IMPIEGO:
L. Laperuta,
Decreto sulle semplificazioni, nuovi profili
di responsabilità a fronte dei ritardi della
P.A. (link a www.diritto.it). |
APPALTI:
A. Simonato,
L’ISTITUTO DELL’AVVALIMENTO ALLA LUCE DELLE
PIÙ RECENTI PRONUNCE DEI GIUDICI
AMMINISTRATIVI (link a
www.osservatorioappalti.unitn.it). |
GURI - GUUE -
BURL (e anteprima) |
APPALTI SERVIZI: G.U.
27.01.2012 n. 22, suppl. ord. n. 20/L, "Regolamento
per i criteri di gara e per la valutazione
dell’offerta per l’affidamento del servizio
della distribuzione del gas naturale, in
attuazione dell’articolo 46 -bis del
decreto-legge 01.10.2007, n. 159, convertito
in legge, con modificazioni, dalla legge
29.11.2007, n. 222"
(Ministero dello Sviluppo Economico,
decreto 12.11.2011 n. 226). |
APPALTI: G.U.
27.01.2012 n. 22 "Saggio degli interessi
da applicare a favore del creditore nei casi
di ritardo nei pagamenti nelle transazioni
commerciali" (Ministero dell'Economia e
delle Finanze,
comunicato). |
AMBIENTE-ECOLOGIA: G.U.
25.01.2012 n. 20 "Misure straordinarie e
urgenti in materia ambientale"
(D.L.
25.01.2012 n. 2). |
NOTE,
COMUNICATI E CIRCOLARI |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Oggetto: Distributori di carburante ad
uso privato (ANCE Bergamo,
circolare 27.01.2012 n. 27). |
EDILIZIA PRIVATA - ENTI LOCALI - VARI:
Oggetto: Decreto Legge n. 201/2011
convertito con modificazioni in Legge
214/2011. Cd “Manovra Monti” o “Manovra
Salva Italia”. Principali misure di natura
fiscale (ANCE Bergamo,
circolare 27.01.2012 n. 24). |
APPALTI -
EDILIZIA PRIVATA:
Oggetto: DURC. Non autocertificabilità.
Modifiche apportate dall'art. 15 della L. n.
183/2011 al DPR n. 445/2000 (nota
congiunta INPS-INAIL 26.01.2012 n. 573 di
prot. - link a www.inail.it).
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DIREZIONE CENTRALE RISCHI INAIL
Ufficio Entrate
DIREZIONE CENTRALE ENTRATE INPS
Prot.INAIL.60010.26/01/2012.0000573
ALLE STRUTTURE CENTRALI E TERRITORIALI
Oggetto: DURC. Non autocertificabilità.
Modifiche apportate dall'art. 15 della L. n.
183/2011 al DPR n. 445/2000.
La Direzione Generale per l'Attività Ispettiva del
Ministero del Lavoro e delle Politiche
Sociali, interessata dalle parti sociali
delle imprese edili a pronunciarsi in ordine
agli effetti sulla normativa Durc delle
innovazioni apportate al D.P.R. n. 445/2000
dalla L. n. 183/2011 (Legge di Stabilità
2012), si è pronunciata con l'allegata nota
del 16.01.2012 per la non
autocertificabilità del DURC.
Il Ministero, esaminando i contenuti del citato D.P.R.
n. 445/2000, ha chiarito che l'articolo
44-bis "stabilisce semplicemente le
modalità di acquisizione e gestione del DURC
senza però intaccare in alcun modo il
principio secondo cui le valutazioni
effettuate da un Organismo tecnico (nel caso
di specie Istituto previdenziale o
assicuratore) non possono essere sostituite
da una autodichiarazione", confermando
il precedente orientamento espresso in
materia (1).
Di conseguenza, l'inammissibilità
dell'autocertificazione comporta
l'esclusione del DURC dall'ambito di
applicazione dell'articolo 40, comma 02, del
D.P.R. n. 445/2000 secondo cui "Sulle
certificazioni da produrre ai soggetti
privati è apposta, a pena di nullità, la
dicitura: «Il presente certificato non può
essere prodotto agli organi della pubblica
amministrazione o ai privati gestori di
pubblici servizi».".
Pertanto, l'attuale disciplina speciale in tema di DURC
deve ritenersi immutata.
Nel richiamare i contenuti della citata nota, d'intesa
con il Ministero del Lavoro e delle
Politiche Sociali, si ritiene opportuno
fornire ulteriori precisazioni sulla "possibilità,
da parte della P.A. di acquisire un DURC
(non una autocertificazione) da parte del
soggetto interessato, i cui contenuti
potranno essere vagliati dalla stessa P.A.
con le modalità previste per la verifica
delle autocertificazioni".
Tale ipotesi deve intendersi riferita ai soli casi in
cui il legislatore ha previsto espressamente
la presentazione del DURC da parte dei
privati e, specificatamente, all'articolo
90, comma 9, del D.Lgs. 81/2008 secondo cui
questo deve essere trasmesso "all'Amministrazione
concedente, prima dell'inizio dei lavori
oggetto del permesso di costruire o della
denuncia di inizio attività". In tale
caso, l'Amministrazione che ha ricevuto il
DURC può verificare in ogni momento
l'autenticità dello stesso attraverso il
contrassegno posto in calce al documento
(2).
D'intesa con il Dicastero, si precisa altresì che resta
confermato l'obbligo di acquisire d'ufficio
il DURC da parte delle Stazioni Appaltanti
pubbliche e delle Amministrazioni procedenti
(3)
e che le fattispecie in cui è consentito
all'impresa di presentare una dichiarazione
in luogo del DURC sono solo quelle
espressamente previste dal legislatore.
(4)
Dette dichiarazioni restano soggette a
verifica ai sensi dell'articolo 71, del
D.P.R. n. 445/2000, tramite l'acquisizione
d'ufficio del DURC da parte
dell'Amministrazione che le riceve.
Si comunica infine che, in conseguenza di quanto sopra
precisato, la richiesta di DURC per le
seguenti tipologie:
■ appalto/subappalto/affidamento di
contratti pubblici di lavori, forniture e
servizi
■ contratti pubblici di forniture e servizi
in economia con affidamento diretto
■ agevolazioni, finanziamenti, sovvenzioni
ed autorizzazioni
dal 13 febbraio p.v. potrà essere effettuata
esclusivamente dalle Stazioni Appaltanti
pubbliche o dalle Amministrazioni
procedenti.
Le imprese interessate, attraverso l'apposita funzione
di consultazione disponibile
sull'applicativo
www.sportellounicoprevidenziale.it
(5),
potranno verificare la richiesta di DURC da
parte della Stazione Appaltante pubblica o
dell'Amministrazione procedente ed il suo
iter.
IL D.C. RISCHI INAIL
F.to Ester Rotoli
IL D.C. ENTRATE INPS
F.to Antonello Crudo
--------------------------------------------------------------------------------
(1)
Vedi Lettera Circolare prot. n. 848/2008
della D.G. Attività Ispettiva del Ministero
del Lavoro e delle Politiche Sociali per cui
"il richiamo all'articolo 46 del D.P.R. n.
445/2000 non appare del tutto confacente
alla fattispecie in esame in quanto sembra
consentire l'autocertificazione del
versamento di somme a titolo contributivo"
mentre "la verifica della regolarità
comporta un accertamento di ordine tecnico
che non può, per sua natura, essere
demandato al dichiarante".
Sul punto, vedi
anche Consiglio di Stato, V Sezione,
Sentenza n. 4035/2008, per cui
"L'autocertificazione" (cioè la
dichiarazione sostitutiva di certificazioni,
come meglio si esprime l'art. 46 D.P.R.
28.12.2000, n. 445) è solo un mezzo di
speditezza ed alleggerimento provvisori
dell'attività istruttoria, cioè di
semplificazione delle formalità del
rapporto, e non un mezzo di prova legale:
sicché il suo contenuto resta sempre
necessariamente esposto alla prova contraria
e alla verifica ad opera della destinataria
amministrazione, che è doverosa prima di
procedere, all'esito della aggiudicazione,
alla formalizzazione contrattuale
dell'affidamento".
(2)
Tutti i DURC riportano in calce un
contrassegno generato elettronicamente (cd.
"glifo") che consente di verificare la
provenienza e la conformità del documento
cartaceo con il documento informatico
presente nella banca dati DURC. Tale
verifica può essere effettuata in ogni
momento utilizzando un apposito software
gratuito disponibile sul sito
www.sportellounicoprevidenziale.it e
raggiungibile dall'icona "Verifica
autenticità dei documenti".
(3)
Articolo 16-bis, comma 10, della L. n.
2/2009 e articolo 6 del D.P.R. n. 207/2010.
(4)
Articolo 38, comma 1, lett. i), e comma 2,
del D.Lgs. n. 163/2006 e articolo 4, comma
14-bis, della L. n. 106/2011, per contratti
di forniture e servizi fino a 20.000 euro
stipulati con la pubblica amministrazione e
con le società in house.
(5)
Dopo l'accesso al sito con le proprie
credenziali, l'impresa, selezionando la
funzione "pratiche" e "consultazione" può
utilizzare, quali criteri di ricerca, il
numero di CIP o di protocollo della pratica
di DURC che si vuole visualizzare, ovvero
può inserire negli appositi campi il range
di date rispetto alle quali intende
verificare se siano state effettuate
richieste di DURC da parte di una o più P.A.. |
UTILITA' |
SICUREZZA LAVORO: Stress
lavoro correlato: la guida con le domande
più frequenti.
● Che cos’è lo stress?
● Cosa si intende per “stressor”?
● Lo stress è una malattia?
● Che cos'è il mobbing?
● Che cos’è il “burn-out”?
A tutte queste domande, risposte chiare e
precise dall'ASS4 medio Friuli che ha
pubblicato una guida sullo stress da lavoro
correlato contenente indicazioni per la
corretta gestione del rischio e per
l’attività di vigilanza alla luce della
lettera circolare del 18.11.2010 del
Ministero del lavoro e delle Politiche
Sociali.
Ricordiamo che dal 31.12.2010 è entrato in
vigore l’obbligo di valutazione del rischio
da stress correlato al lavoro, introdotto in
forma esplicita dall'art. 28 del D.Lgs.
81/2008.
Il documento proposto è strutturato sotto
forma di FAQ (Frequently Asked Questions,
ossia domande più frequenti) e ha lo scopo
di fornire risposte puntuali e sintetiche ai
numerosi interrogativi che sono sorti in
relazione alla valutazione del rischio da
stress
(26.01.2012 - link a www.acca.it). |
QUESITI &
PARERI |
APPALTI:
Deroghe alle gare, procedura negoziata senza
bando.
Domanda.
La procedura negoziata senza previa
pubblicazione del bando è possibile sempre o
nei soli casi in cui il suo utilizzo è
circoscritto alla sussistenza di determinati
presupposti?
Risposta.
La procedura negoziata senza previa
pubblicazione del bando rappresenta una
deroga, nell'ambito degli appalti pubblici,
alla procedura di evidenza pubblica,
indispensabile presidio a garanzia del
corretto dispiegarsi della libertà di
concorrenza e della trasparenza dell'operato
delle Amministrazioni.
L'Amministrazione, nell'effettuare tale
scelta, può tener conto della
particolarissima complessità dei prodotti
che intende acquisire, cosicché l'unicità
dell'imprenditore offerente, presupposto per
l'applicazione della procedura in parola,
deve essere valutata unitariamente.
Di talché, l'Amministrazione, prima di
optare per tale forma di contrattazione, può
svolgere una ricerca di mercato, con una
successiva sperimentazione anche molto lunga
e particolarmente approfondita, specie se il
prodotto da acquisire non è ordinario,
ovvero è suscettibile di diverse
valutazioni, senza che tale modus
procedendi possa considerarsi inadeguato
ed incompatibile con il rigoroso presupposto
previsto per l'applicazione della norma de
qua, atteso che esso è volto a verificare
concretamente, e non già solo astrattamente,
l'unicità del prodotto (25.01.2012 -
tratto da www.ipsoa.it). |
CORTE DEI
CONTI |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Niente
trucchi sui dirigenti. Contratti di diritto
pubblico o privato pari sono. Fioccano le
sentenze distorsive della riforma Brunetta.
L’ultima in Toscana.
Non esiste una
distinzione tra contratti di diritto
pubblico e di diritto privato, finalizzata a
giustificare la possibilità per gli enti
locali di assumere dirigenti a tempo
determinato oltre i limiti percentuali
imposti dalla riforma-Brunetta.
Nonostante la diretta applicazione a comuni
e province dell’articolo 19, comma 6, del
dlgs 165/2001 sia stata acclarata dalla
Corte costituzionale e dalle deliberazioni
12, 13 e 14, delle sezioni riunite della
Corte dei conti e sebbene l’articolo 1 del
dlgs 141/2011 sancisca senza ombra di dubbio
che le assunzioni di dirigenti a contratto
debbono essere contenute nel limite massimo
del 18% della dotazione organica
dirigenziale e solo per gli enti virtuosi,
si moltiplicano letture finalizzate a
rendere elastica la lettura delle
disposizioni della riforma. Che, tuttavia,
si pongono in contrasto radicale con essa.
Tra le ultime, è il
parere 20.12.2011 n. 519 della Corte
dei conti, sezione regionale di controllo
della Toscana.
Secondo la sezione, i limiti percentuali
discendenti dall’articolo 19, comma 6, del
dlgs 165/2001 non si riferirebbero al caso
dell’assunzione di dirigenti a contratto
assunti con «contratto di diritto
pubblico». Di conseguenza, ritiene la
sezione che «nell’ambito della normativa
locale possa essere regolata la disciplina
del conferimento di incarichi dirigenziali
mediante contratto di diritto pubblico,
rispettando i limiti sanciti dal citato art.
110 Tuel e delle altre spese che impongono
limitazioni agli enti locali in tema di
personale».
L’ipotesi, sostenuta anche da alcuni
interpreti, dunque sarebbe quella secondo la
quale i limiti percentuali riguardano solo i
contratti di diritto privato, perché la
sentenza 324/2010 della Consulta ha ritenuto
legittima la modifica apportata dalla
riforma Brunetta all’articolo 19, comma 6,
in quanto il legislatore statale ha
correttamente esercitato la propria potestà
legislativa esclusiva in tema di disciplina
del rapporto di lavoro privatizzato.
Dunque, conclude la tesi, laddove il
rapporto di lavoro non derivi da contratti
di diritto privato, bensì pubblico, allora
si potrebbe ipotizzare la non applicazione
dell’articolo 19, comma 6, e dei suoi tetti
agli incarichi a contratto. Si tratta di una
tesi assolutamente infondata. Un primo
elemento per evidenziarne l’erroneità è data
dalla circostanza che il rapporto dei
dipendenti degli enti locali rientra tra
quelli «contrattualizzati», cioè
regolati dalle norme generali del dlgs
165/2001 e dalle regole del diritto civile.
Lo stabilisce chiaramente l’articolo 2,
comma 2, primo periodo del Testo unico sul
pubblico impiego: «I rapporti di lavoro
dei dipendenti delle amministrazioni
pubbliche sono disciplinati dalle
disposizioni del capo I, titolo II, del
libro V del codice civile e dalle leggi sui
rapporti di lavoro subordinato nell’impresa,
fatte salve le diverse disposizioni
contenute nel presente decreto, che
costituiscono disposizioni a carattere
imperativo». Lo ribadisce il primo
periodo del successivo comma 3 del medesimo
articolo: «I rapporti individuali di
lavoro di cui al comma 2 sono regolati
contrattualmente».
Dunque, con la sola eccezione dei rapporti
di lavoro indicati dall’articolo 3 sempre
del dlgs 165/2001, tutti gli altri sono
regolati da un contratto: sono, dunque,
tutti contratti «di diritto privato»,
perché la loro fonte di costituzione e di
regolazione è privatistica e non
pubblicistica. In sostanza, l’ipotesi del
rapporto di lavoro di diritto pubblico è
venuta totalmente meno, si ribadisce con
l’eccezione delle tipologie lavorative
specificate dall’articolo 3 del dlgs
165/2001.
Di conseguenza, il riferimento ai contratti
«di diritto pubblico» contenuto
nell’articolo 110 del dlgs 267/2000 sul
quale si basa la teoria secondo la quale gli
incarichi a contratto «di diritto
pubblico» deve considerarsi un superato
ed arcaico residuo del passato: il testo
dell’articolo 110 è sostanzialmente rimasto
quello dell’articolo 51 della legge
142/1990, approvata quando ancora il
rapporto di lavoro dei dipendenti era
appunto di diritto pubblico. Infatti, il
comma 1 dell’articolo 110 dispone che lo
statuto degli enti locali può consentire
l’assunzione di dirigenti «possa avvenire
mediante contratto a tempo determinato di
diritto pubblico o, eccezionalmente e con
deliberazione motivata, di diritto privato».
Secondo il testo della norma, la regola
sarebbe il contratto di diritto pubblico,
mentre l’eccezione (da motivare) quello di
diritto privato. Se così stessero davvero le
cose, allora la disciplina dell’articolo 19,
comma 6, del dlgs 165/2001 sarebbe riferita
a un’ipotesi solo residuale ed eccezionale.
È esattamente il contrario: i rapporti di
lavoro sono tutti di diritto privato,
compresi quelli di cui parla l’articolo 110
del dlgs 267/2000, che non sfuggono in alcun
modo ai limiti percentuali previsti dalla
riforma Brunetta
(articolo ItaliaOggi del 27.01.2012 -
tratto da www.corteconti.it). |
NEWS |
APPALTI -
EDILIZIA PRIVATA: Il
Durc rimane solo per l'edilizia.
Autocertificazione negli appalti pubblici
sotto 20 mila euro. Una nota Inps-Inail
spiega che la nuova normativa in realtà
lascia immutata la disciplina speciale.
Durc non
autocertificabile soltanto nei lavori
privati edili; nel caso di appalti pubblici,
invece, resta confermata la possibilità
all'impresa di sostituirlo con
un'autocertificazione. In particolare, non
può essere autocertificato il Durc da
presentare all'amministrazione concedente
prima dell'avvio dei lavori edili, oggetto
di permesso di costruire o di denuncia
d'inizio attività. Nei contratti pubblici di
forniture e servizi fino a 20 mila euro,
invece, le imprese possono continuare a
sostituire il Durc con una
autodichiarazione.
È quanto si legge nella
nota 26.01.2012 n. 573 di prot.,
firmata di Inail e Inps, ed emessa d'intesa
con il ministero del lavoro.
Decertificazione e Durc.
I chiarimenti riguardano l'operazione di «decertificazione»
dalla legge n. 183/2011 (legge Stabilità),
per effetto della quale è stata prevista la
sostituzione delle certificazioni emesse
dalle p.a. con le autocertificazioni (dpr n.
445/2000) dei diretti interessati. Tra
l'altro la legge ha inserito l'articolo
44-bis al dpr n. 445/2000, il quale
stabilisce che «le informazioni relative
alla regolarità contributiva sono acquisite
d'ufficio, ovvero controllate ai sensi
dell'articolo 71, dalle pubbliche
amministrazioni procedenti, nel rispetto
della specifica normativa di settore».
Con
nota 16.01.2012 n. 619 di prot., il ministero del lavoro ha
precisato che la novità della
decertificazione non tocca il Durc: la
previsione dell'articolo 44-bis al dpr n.
445/2000, ha detto il ministero, stabilisce
semplicemente le modalità di acquisizione e
gestione del Durc senza però intaccare in
alcun modo il principio secondo cui le
valutazioni effettuate da un organismo
tecnico (nel caso, l'Inps o l'Inail) non
possono essere sostituite da
un'autocertificazione.
Settore privato.
Di fatto, spiega la nota Inail-Inps,
l'operazione di decertificazione lascia
immutata la disciplina (che era e che
rimane) speciale in materia di Durc; salvo
la parte in cui offre la possibilità alle
pubbliche amministrazioni di acquisire il
Durc da parte del soggetto interessato per
poi valutarne i contenuti con le modalità
previste per la verifica delle
autocertificazioni.
Tale possibilità, precisa la nota Inail-Inps,
deve intendersi riferita solo ai casi in cui
la normativa prevede espressamente la
presentazione del Durc da parte dei privati;
vale a dire alle ipotesi individuate
dall'articolo 90, comma 9, del dlgs n.
81/2008 (T.u. sicurezza). In base a tale
norma, il Durc deve essere trasmesso «all'amministrazione
concedente, prima dell'inizio dei lavori
oggetto del permesso di costruire o della
denuncia di inizio attività»; in tali
casi quindi, in applicazione anche della
nuova previsione dell'articolo 44-bis del
dpr n. 445/2000, l'amministrazione che ha
ricevuto il Durc può verificare in ogni
momento la sua autenticità attraverso il
contrassegno posto in calce al documento (la
verifica può essere effettuata utilizzando
l'apposito software gratuito disponibile sul
sito
www.sportellounicoprevidenziale.it).
Settore pubblico.
Per le stesse ragioni, aggiunge la nota
Inail-Inps, resta confermato l'obbligo di
acquisire d'ufficio il Durc da parte delle
stazioni appaltanti pubbliche e delle
amministrazioni procedenti. E resta altresì
confermata la fattispecie in cui è
consentito all'impresa di presentare una
dichiarazione in luogo del Durc, per
espressa previsione di legge, ossia quando
si tratti di ipotesi di contratti di
forniture e di servizi fino a 20 mila euro
stipulati con le p.a. e con società in
house (articolo 38 del dlgs n. 163/2006
e articolo 4 della legge n. 106/2011). Anche
in questi casi, le dichiarazioni rese dalle
imprese restano soggette a verifica ai sensi
dell'articolo 71 del dpr n. 445/2000, con
l'acquisizione d'ufficio del Durc da parte
dell'amministrazione che le riceve.
Infine, la nota Inail-Inps precisa che dal
13 febbraio prossimo la richiesta del Durc
per le seguenti tipologie potrà essere
effettuata esclusivamente dalle stazioni
appaltanti pubbliche o dalle amministrazioni
procedenti:
● appalto/subappalto/affidamento di
contratti pubblici di lavori, forniture e
servizi;
● contratti pubblici di forniture e servizi
in economia con affidamento diretto;
● agevolazioni, finanziamenti, sovvenzioni e
autorizzazioni
(articolo ItaliaOggi del 28.01.2012 -
tratto da www.ecostampa.it). |
APPALTI - EDILIZIA PRIVATA: Regolarità
contributiva. Dal 13 febbraio.
Sarà la pubblica amministrazione a chiedere
il Durc alle «casse».
Dal 13 febbraio la richiesta del Durc, il
documento unico di regolarità contributiva,
potrà essere effettuata solo dalle stazioni
appaltanti pubbliche o dalle amministrazioni
procedenti. La regola si applicherà nei
seguenti casi:
appalto/subappalto/affidamento di contratti
pubblici di lavori, forniture e servizi e
per contratti pubblici di forniture e
servizi in economia con affidamento diretto
e quelli per agevolazioni, finanziamenti,
sovvenzioni ed autorizzazioni. Inoltre
–spiegano Inps e Inail nella
nota congiunta 26.01.2012 n. 573 di prot.–
il Durc è un documento non
autocertificabile. Il chiarimento arriva
dopo le modifiche apportate dall'articolo 15
della legge 183/2011 al Dpr 445/2000.
I due enti ribadiscono quanto precisato dal
ministero del Lavoro che con nota del 16
gennaio (si veda Il Sole 24 Ore del 18) si
era espresso per la non autocertificabilità
del Durc. In particolare il Lavoro ha
chiarito che l'articolo 44-bis del Dpr
445/2000 stabilisce le modalità di
acquisizione e gestione del documento senza
però intaccare in alcun modo il principio
secondo cui le valutazioni effettuate da un
organismo tecnico, nel caso di specie
istituto previdenziale o assicuratore, non
possono essere sostituite da
un'autodichiarazione.
Di conseguenza, l'inammissibilità
dell'autocertificazione comporta
l'esclusione del Durc dall'ambito di
applicazione dell'articolo 40, comma 2, del Dpr 445/2000 secondo cui «Sulle
certificazioni da produrre ai soggetti
privati è apposta, a pena di nullità, la
dicitura: "Il presente certificato non può
essere prodotto agli organi della pubblica
amministrazione o ai privati gestori di
pubblici servizi"».
I due istituti forniscono chiarimenti sulla
possibilità per la Pa di acquisire un Durc,
non un'autocertificazione, da parte del
soggetto interessato, i cui contenuti
potranno essere vagliati dalla stessa
pubblica amministrazione con le modalità
previste per la verifica delle
autocertificazioni. Questa situazione può
riferirsi solo alle ipotesi in cui il
legislatore ha previsto espressamente la
presentazione del documento da parte dei
privati.
L'amministrazione che ha ricevuto il Durc
potrà verificare, in qualsiasi momento, la
sua autenticità attraverso il contrassegno
posto in calce al documento
(articolo Il Sole 24
Ore del 28.01.2012 -
tratto da www.ecostampa.it). |
APPALTI: DECRETO
SEMPLIFICAZIONI/
Sanzioni più blande alle false
dichiarazioni. Certificazioni. Portato a un
anno il tetto massimo dell'esclusione in
caso di documentazione non veritiera.
Si ammorbidiscono le sanzioni per i
fornitori della Pa che presentano false
dichiarazioni o falsi documenti nelle gare
di appalto: il decreto semplificazioni rende
più flessibile la sanzione dell'esclusione
dalle gare. Oggi infatti chi viene pizzicato
con un documento falso o una falsa
dichiarazione subisce in automatico
l'esclusione dagli appalti di lavori,
servizi e forniture per un anno. Con il
decreto questo anno diventa il tetto massimo
della sanzione e si affida all'Autorità di
vigilanza sui lavori, servizi e forniture il
compito di valutare l'effettiva gravità
della condotta.
Al di là infatti dei casi gravi o palesi di
aggiramento delle norme, nella prassi è
capitato che alcuni fornitori
autocertificassero, ad esempio, la piena
regolarità fiscale o anche di non avere
procedimenti giudiziari in corso. Poi
all'atto del controllo è saltata fuori una
contravvenzione non pagata o una cartella
esattoriale «dimenticata», anche di
importo minore. Ebbene anche per queste
infrazioni lievi non c'era scampo: scattava
l'esclusione per un anno, la stessa prevista
magari per i grandi evasori. Una pena severa
che spesso ha decretato la fine stessa
dell'impresa. Ora il sistema è graduale:
l'anno di espulsione è il limite massimo.
Spetta all'Autorità valutare e decidere la
durata, caso per caso.
L'altra grande novità del decreto è la Banca
dati nazionale dei contratti pubblici, anche
questa affidata all'Autorità degli appalti.
Partirà dal 2013 e sarà un grande data base
in cui le amministrazioni riverseranno le
informazioni sui requisiti di qualificazione
alle gare, sia quelli generali (fedina
penale, regolarità fiscale ad esempio), sia
quelli tecnici ed economici (fatturato e
dipendenti). Si va dalle notizie di Inps,
Inail e casse edili sul Durc (documento
unico di regolarità contributiva) al
casellario giudiziale, fino ai certificati
di esecuzione dei lavori.
L'obiettivo è fare in modo che le stazioni
appaltanti non chiedano più certificati di
verifica delle autocertificazioni ai
concorrenti ma svolgano i controlli, in
tempo reale, attraverso la Banca dati. Il
Ministro della Funzione pubblica, Filippo
Patroni Griffi ha stimato il risparmio di
sola gestione amministrativa per le imprese
in 140 milioni. Il suo Dipartimento in un
dossier dell'era Brunetta aveva preventivato
economie pari 1,3 miliardi per tutte le Pmi
grazie alla Banca dati, calcolando che ogni
piccola o media impresa partecipa in media a
27 gare l'anno. Anche i professionisti
quando parteciperanno alle gare potranno
autocertificare l'iscrizione all'Ordine.
Forse sulla scia delle polemiche sul
restauro del Colosseo, il decreto
regolamenta per la prima volta anche i
contratti di sponsorizzazione per il
restauro dei beni culturali. Si prevede
l'obbligo di ricercare lo sponsor con un
bando, in cui indicare se cerca solo un
privato finanziatore o anche un soggetto in
grado di progettare e realizzare il
restauro. Sembra invece accantonato il
progetto, contenuto nelle prime bozze, di
eliminare la pubblicità legale di bandi e
appalti dai quotidiani
(articolo Il Sole 24
Ore del 28.01.2012 -
tratto da www.ecostampa.it). |
APPALTI: DECRETO
SEMPLIFICAZIONI/ Appalti, responsabilità
meno cara. Il committente non deve pagare in
solido le sanzioni per l'appaltatore.
IL PROBLEMA/ La solidarietà nei debiti verso
i dipendenti non può essere arginata con il
documento di regolarità contributiva.
Il decreto legge sulle semplificazioni tenta
di attenuare la rigidità del regime relativo
alla responsabilità solidale negli appalti
tra committente e appaltatore. In base alle
misure approvate ieri dal Consiglio dei
ministri il committente resta responsabile
in solido con l'appaltatore, per due anni
dalla conclusione dell'appalto, per
eventuali debiti di natura retributiva verso
i lavoratori e contributiva e assicurativa
verso gli istituti previdenziali.
Tuttavia, il Governo chiarisce che il
committente non risponde per il pagamento
delle sanzioni civili applicabili nel caso
di inadempienze nelle obbligazioni
retributive e contributive. La disciplina
sulla solidarietà, nel settore privato, ha
subito diverse modifiche. È stata introdotta
nel 2003, con l'articolo 29 del decreto
legislativo 276, il quale prevede che «in
caso di appalto di opere o di servizi»
il committente imprenditore o datore di
lavoro è obbligato in solido con
l'appaltatore, entro il limite di due anni
dalla cessazione dell'appalto, a
corrispondere ai lavoratori i trattamenti
retributivi e i contributi previdenziali
dovuti.
La Finanziaria del 2007 ha precisato che il
regime di solidarietà opera anche per le
obbligazione delle imprese subappaltatrici.
Altro intervento di rilievo è stato operato
con l'articolo 35, comma 34, della legge
248/2006 (il decreto Bersani), che ha
introdotto un ulteriore meccanismo di
responsabilità solidale in materia di
appalto.
Quest'ultima norma prevedeva che
l'appaltatore era responsabile in solido con
gli eventuali subappaltatori per il mancato
adempimento dei debiti fiscali, contributivi
e assicurativi connessi alle prestazioni di
lavoro utilizzate per eseguire il contratto
di appalto (il committente rispondeva con
una sanzione amministrativa, ma la logica
era la stessa). Questo tipo di
responsabilità solidale poteva essere
esclusa mediante l'adempimento di alcuni
oneri di controllo: un soggetto rispondeva
solo se ometteva di verificare, acquisendo
la relativa documentazione prima del
pagamento del corrispettivo, che gli
adempimenti connessi con le prestazioni di
lavoro dipendente erano stati correttamente
eseguiti dal proprio fornitore.
Il meccanismo dell'esimente è stato abrogato
in parte nel 2008, quando il Dl 93 ha
cancellato la possibilità di ottenere
l'esonero dalla responsabilità solidale
mediante la richiesta della documentazione
comprovante l'adempimento degli oneri
fiscali, previdenziali e retributivi.
Sempre nel 2008, è stato riformato il regime
di responsabilità solidale tra il
committente, l'appaltatore e gli eventuali
subappaltatori nella materia della salute e
sicurezza sui luoghi di lavoro; l'articolo
26 del Testo unico (decreto legislativo
81/2008) ha regolato organicamente la
materia, affermando anche su questo terreno
il principio per cui chi affida lavori in
appalto resta responsabile delle vicende dei
lavoratori impiegati.
La materia è stata ancora ritoccata la
scorsa estate, con l'articolo 8 della legge
111/2011, la norma che ha creato i contratti
di prossimità. La norma assegna a tali
contratti il potere di regolare in maniera
diversa da quanto prevede la legge il regime
di responsabilità degli appalti.
Questa lunga serie di modifiche normative
testimonia la difficoltà del legislatore di
trovare un assetto stabile della materia.
Occorre trovare il punto di equilibrio tra
le esigenze di tutela dei diritti maturati
dai lavoratori (sul piano della
contribuzione e della retribuzione) e la
necessità di non ostacolare i processi di
esternalizzazione e decentramento produttivo
che rendono più efficienti le imprese.
D'altra parte, per le imprese è spesso arduo
capire se l'appaltatore abbia effettivamente
rispettato gli obblighi nei confronti dei
dipendenti. La richiesta del Durc,
dell'elenco dei lavoratori e delle tipologie
contrattuali utilizzate potrebbe costituire
una prova della volontà dell'impresa
committente di non essere coinvolta in
situazioni irregolari.
Per le imprese resta prioritario anche
arrivare a regolamentazione stabile, così da
implementare un sistema di controlli che non
deve essere ridisegnato ogni due o tre anni
(articolo Il Sole 24
Ore del 28.01.2012). |
ATTI AMMINISTRATIVI - VARI: DECRETO
SEMPLIFICAZIONI/
Addio a 7 milioni di certificati cartacei.
Trasmessi online gli atti di nascita e
matrimonio - La Pa risparmierà 10 milioni di
euro.
MENO FILE ALLO SPORTELLO/
Confermati i cambi di residenza in tempo
reale e l'obbligo per gli uffici pubblici di
scambiarsi via web tutte le informazioni.
Il cittadino guadagnerà tempo,
l'amministrazione risorse. È il duplice
effetto che il Governo conta di ottenere con
le semplificazioni sui certificati
anagrafici. Con un conseguente risparmio di
carta (7 milioni di atti in meno) e soldi
(10 milioni di minori spese). Almeno a detta
dell'Esecutivo.
A rivelare il possibile impatto del
pacchetto di norme destinate ai cittadini è
stato il ministro della Pubblica
amministrazione, Filippo Patroni Griffi,
nella conferenza stampa post Cdm. Le
modifiche coincidono con quelle anticipate
nei giorni scorsi su questo giornale. A
cominciare dalla possibilità, concessa
dall'articolo 6 del testo di entrata a
Palazzo Chigi, di ottenere in tempo reale il
cambio di residenza. Un fenomeno che secondo
l'Istat ha interessato 1,4 milioni di
cittadini. Per rendere effettivo il
trasferimento basterà infatti comunicare il
nuovo indirizzo all'ufficiale di anagrafe
del municipio di destinazione. Toccherà poi
a quest'ultimo, nei due giorni successivi,
inoltrare la pratica per via telematica al
Comune di provenienza.
L'impatto maggiore sulla vita quotidiana
delle famiglie l'avranno però le
disposizioni sui certificati on-line.
L'articolo 9 obbliga le Pa a scambiarsi via
internet una serie di dati in loro possesso:
dalle comunicazioni tra Comuni di atti e di
documenti di stato civile, anagrafici ed
elettorali a quelle tra Comuni e questure in
materia di pubblica sicurezza e immigrazione
fino alle liste di leva. L'obiettivo
esplicito è consentire a chi si presenta
allo sportello di ottenere in via immediata
la trascrizione di un atto di nascita, morte
o matrimonio oppure la cancellazione o
l'iscrizione alle liste elettorali. Ed è
proprio da questa norma che il Governo spera
di smaterializzare i 7 milioni di atti oggi
prodotti in via cartacea e ridurre di almeno
10 milioni l'esborso per le spese di
spedizione.
Confermate anche le novità in tema di carta
d'identità. Raccogliendo il suggerimento
giunto sul portale di Palazzo Vidoni da
parte di un cittadino che si era trovato
all'estero con il documento di
riconoscimento scaduto, l'Esecutivo ha
deciso di farne coincidere la data di
scadenza con il compleanno del diretto
interessato. Chiaramente nell'anno
successivo a quello di scadenza naturale
della carta, vale a dire 10 anni dopo il suo
rilascio. Contestualmente viene portata da
cinque a 10 anni la durata dei tesserini
rilasciati dalle amministrazioni statali (ad
esempio ad agenti di polizia e forze
dell'ordine).
Il pacchetto di esemplificazioni per i
cittadini include poi una modifica sui
concorsi pubblici. A cui si potrà
partecipare solo presentando via web la
domande. Con la precisazione che a questa
modifica dovranno adeguarsi anche le
Regioni. Nello stesso articolo viene anche
previsto, senza che questo intacchi il
valore legale della laurea, che sia la
Funzione pubblica, sentito il Miur, e non
più un decreto del presidente del Consiglio
a decidere sull'equiparazione dei titoli di
studio e professionali e sull'equivalenza
tra i titoli accademici e di servizio per
l'ammissione al concorso.
A queste disposizioni di portata generale il
provvedimento ne aggiunge altre settoriali.
È il caso dell'eliminazione delle
duplicazioni di adempimenti per i disabili.
I verbali delle commissioni mediche
integrate dovranno infatti riportare anche
l'esistenza dei requisiti sanitari necessari
per la richiesta di rilascio del
contrassegno invalidi, per la riduzione
dell'aliquota Iva sulle auto e per
l'esenzione dal pagamento del bollo e dell'Ipt.
Senza dimenticare la privacy (su cui si veda
altro articolo a pagina 27). A detta di
Patroni Griffi solo dall'eliminazione «della
documentazione cartacea in materia di
protezione dei dati personali, ferma
restando tutta la normativa», arriverà un
risparmio «di circa 320 milioni annui».
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IL NUMERO
E I PUNTI CHIAVE
DELLA RIFORMA
10
I milioni all'anno di
risparmio per l'eliminazione
dei certificati cartacei
Scadenze
I documenti d'identità e di riconoscimento
rilasciati dopo l'entrata in vigore del
decreto avranno scadenza il giorno e il mese
di nascita del titolare del documento stesso
immediatamente successivo alla scadenza che
sarebbe altrimenti prevista per il
documento.
Residenza
Il cambio di residenza avrà effetto dal
giorno della richiesta in modo da evitare
tempi di attesa (i cambi di residenza tra
comuni diversi sono circa 1.400.000
all'anno, fonte Istat). Rimangono fermi i
controlli previsti e le sanzioni in caso di
dichiarazioni false.
Disabili
Via alle duplicazioni di documenti nelle
certificazioni sanitarie a favore dei
disabili. Il verbale di accertamento
dell'invalidità può sostituire le
attestazioni medico-legali richieste per il
contrassegno per parcheggio o l'Iva
agevolata per l'acquisto dell'auto.
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LE AMMINISTRAZIONI CAMBIANO PASSO
7 milioni - Certificati senza carta
Con il decreto sulle semplificazioni
certificati, atti di stato civile e
iscrizioni alle liste elettorali, passeranno
dalla versione cartacea a quella online.
Ogni anno, secondo le stime del Governo,
sono circa sette milioni gli atti di questo
genere prodotti dalla varie amministrazioni.
I soli cambi di residenza effettuati ogni
anno, secondo l'Istat, sono pari a un
milione e 14mila. Questo provvedimento di «dematerializzazione»
farà risparmiare alle amministrazioni circa
10 milioni l'anno.
50% - Tempi certi per le pratiche
Decorso inutilmente il termine per la
conclusione del procedimento amministrativo
il privato potrà rivolgersi al dirigente
responsabile individuato dal vertice
politico affinché questi, entro un termine
pari alla metà di quello originariamente
previsto, concluda il procedimento
attraverso le strutture competenti o con la
nomina di un commissario ad acta
(articolo Il Sole 24
Ore del 28.01.2012 -
tratto da www.ecostampa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI - VARI: Il
decreto legge semplificazioni. Un pacchetto
di 68 articoli per semplificare.
Pubblichiamo la bozza del decreto legge su
semplificazione e sviluppo che è stato
esaminato ieri dal Consiglio dei ministri.
Le parti in nero rappresentano le ultime
modifiche che sono state introdotte prima
della riunione di ieri. Il testo potrebbe
subire ulteriori modifiche in sede di
coordinamento formale.
Sul sito internet del Sole 24 Ore
(www.ilsole24ore.com) l'elenco delle leggi
abrogate.
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TITOLO I - Disposizioni in materia di
semplificazioni
Capo I - Disposizioni generali in materia di
semplificazione
ARTICOLO 1 - Modifiche alla legge n. 241 del
1990 in materia di conclusione del
procedimento e poteri sostitutivi
1. All'articolo 2 della legge 7 agosto 1990,
n 241, i commi 8 e 9 sono sostituiti dai
seguenti: «8. La tutela in materia di
silenzio dell'amministrazione è disciplinata
dal Codice del processo amministrativo.
Tutte le sentenze che accolgono il ricorso
proposto avverso il silenzio inadempimento
dell'amministrazione possono essere
trasmesse in via telematica alla Corte dei
conti; sono, in ogni caso, trasmesse le
sentenze passate in giudicato. 9. La mancata
o tardiva emanazione del provvedimento nei
termini costituisce elemento di valutazione
della performance individuale, nonché di
responsabilità disciplinare e contabile del
dirigente e del funzionario inadempiente.
9-bis. Il vertice politico del
l'amministrazione individua, nell'ambito
delle figure apicali dell'amministrazione,
il soggetto cui attribuire il potere
sostitutivo in caso di inerzia. Nell'ipotesi
di omessa individuazione il potere
sostitutivo si considera attribuito al
dirigente generale o, in ...
(articolo Il Sole 24
Ore del 28.01.2012 -
tratto da www.ecostampa.it). |
CONSIGLIERI COMUNALI: OSSERVATORIO VIMINALE/
Se la decisione è
comunicata prima della nomina va nominato un
commissario. Sospensione non retroattiva.
Atti validi fino alla notifica del
provvedimento.
Il neoeletto sindaco di un comune può porre
in essere gli atti di propria competenza, a
far tempo dalla data di proclamazione degli
eletti, pur in presenza di una condanna con
sentenza non definitiva, per il reato di cui
all'art. 317 c.p., per il quale l'art. 59,
comma 1, del decreto legislativo n.
267/2000, prevede la sospensione di diritto
dalla carica ricoperta?
Secondo un principio generale del nostro
ordinamento le cariche elettive si assumono
all'atto della proclamazione e non già a
seguito della delibera di convalida degli
eletti.
In ordine alla decorrenza della
sospensione di diritto, secondo
l'orientamento della Corte suprema di
cassazione, «la previsione della operatività
di diritto espressamente prevista dal comma
1 dell'art. 59 non consente alcun
riferimento di ordine temporale e non può,
quindi, considerarsi sinonimo di
immediatezza; essa indica, invece, sia
l'assenza di ogni discrezionalità da parte
del giudice e, conseguentemente, degli
organi amministrativi richiamati dalla
stessa norma –allorché si accerti la
responsabilità per uno dei reati previsti
dal combinato disposto di cui al comma 1,
lettera a) dell'art. 58 e dell'art. 59 del Tuel– e sia la sua applicazione in sede
amministrativa, anche qualora il giudice
penale abbia omesso di dichiarare la
sospensione, atteso che trattasi di un
effetto penale della condanna di natura
provvisoria, la cui durata è prevista in
misura fissa senza alcuna discrezionalità in
merito.
La diversa interpretazione, secondo
cui l'intervento del prefetto e quello del
consiglio comunale hanno natura meramente
dichiarativa, mentre il momento costitutivo
è rappresentato unicamente dalla sentenza di
condanna priverebbe del resto di ogni
significato il comma 4 dello stesso art. 59
il quale prevede la comunicazione della
decisione al prefetto il quale, accertata la
sussistenza di una causa di sospensione,
provvede a notificare il relativo
provvedimento agli organi che hanno
convalidato l'elezione o deliberato la
nomina.
Non si vede, infatti, quale finalità
dovrebbe soddisfare l'accertamento da parte
del prefetto della causa di sospensione e la
successiva comunicazione se la sospensione
medesima dovesse intendersi già operante a
seguito della sentenza. In tal caso,
infatti, sarebbe sufficiente prevedere la
comunicazione da parte della cancelleria
direttamente all'organo consiliare» (Cass.
civ., sez. I, 08.07.2009, n. 16052).
Pertanto, nel caso in questione, la
sospensione dalla carica di sindaco
decorrerà dalla data della notifica all'ente
del provvedimento adottato dal prefetto.
Da ciò discende che qualora la notifica del
provvedimento di sospensione intervenga dopo
la nomina della giunta, gli eventuali atti
posti in essere dal sindaco dovranno
ritenersi validamente adottati. In tal caso,
le funzioni di vertice dell'amministrazione
comunale saranno svolte dal vice sindaco,
secondo quanto previsto dal comma 2
dell'art. 53 del citato Testo unico, sino al
termine del periodo di sospensione.
Diversamente, nell'eventualità che il
provvedimento sia notificato anteriormente
alla nomina della giunta, sarà necessario
nominare un commissario prefettizio ex art.
19 del rd n. 383/1934, con i poteri di
sindaco e giunta
(articolo ItaliaOggi del 27.01.2012). |
CONSIGLIERI COMUNALI: OSSERVATORIO VIMINALE/
Aspettativa non
retribuita.
Qual è la corretta applicazione dell'art. 81
del decreto legislativo n. 267/2000, in
materia di aspettativa non retribuita per
gli amministratori locali lavoratori
dipendenti? Tale disposizione, che prevede
il pagamento degli oneri previdenziali e
assistenziali a carico dei consiglieri
collocati in aspettativa a domanda, si
applica anche nei confronti degli
amministratori che si sono collocati in
aspettativa per la rimozione della causa
d'ineleggibilità disciplinata dall'art. 60,
comma 1, n. 5 del Tuel, in quanto componenti
di organi collegiali che esercitano poteri
di controllo istituzionale
sull'amministrazione del comune?
L'intervento legislativo dell'art. 2, comma
24, della legge n. 244 del 24.12.2007,
che ha modificato l'art. 81 del decreto
legislativo n. 267/2000, non ha inteso
differenziare il nuovo regime normativo in
relazione alle diverse motivazioni che si
pongono alla base del collocamento in
aspettativa non retribuita.
Pertanto, dovendosi riconoscere alla
disciplina recata dall'art. 81 una valenza
generale, il candidato alla carica
consiliare collocato in aspettativa non
retribuita per la rimozione della causa di
ineleggibilità deve farsi carico di tutte le
quote previste dagli oneri in questione.
Avvalendosi della stessa valutazione per
quanto concerne il secondo aspetto del
quesito, si rileva che nella fattispecie
deve considerarsi maturata l'anzianità di
servizio durante il periodo di aspettativa
non retribuita per la presentazione della
propria candidatura
(articolo ItaliaOggi del 27.01.2012). |
ENTI LOCALI: Mini-enti, proroga (quasi) a
360°.
L'art. 16 slitta di nove mesi. Ma non i
tagli alle poltrone. Il nuovo cronoprogramma verso l'associazionismo
alla luce delle novità del
milleproroghe.
Più tempo per le gestioni associate
obbligatorie e per le dismissioni delle
partecipazioni dei piccoli comuni. Nessun
rinvio, invece, per i tagli alle poltrone di
giunte e consigli.
Il disegno di legge di conversione del
decreto milleproroghe (su cui ieri la camera
dei deputati ha votato la fiducia con 469 sì
e 74 no) oltre a sancire il differimento al
30 giugno del termine per l'approvazione dei
bilanci di previsione, ricalibra la
tempistica di attuazione delle controverse
disposizioni che impongono ai municipi
minori un complessivo riassetto
organizzativo. L'auspicio degli interessati,
ovviamente, è che questo lasso di tempo
serva a modificare nel profondo tale
disciplina, per molti versi discutibile,
definendo una riforma più organica e
condivisa attraverso la approvazione del
c.d. codice delle autonomie.
Il testo del decreto legge n. 216/2011,
pubblicato in Gazzetta Ufficiale, si era
limitato a prorogare di 12 mesi i termini
(previsti dall'art. 14, comma 31, lett. a) e
b), del dl 78/2010, come modificato dalla
manovra di Ferragosto) entro cui i comuni
fra 1.000 e 5 mila abitanti dovranno dare a
vita ad unioni o convenzioni per esercitare
in forma associata le funzioni fondamentali.
Gli emendamenti approvati in commissione,
invece, recuperando la più ampia previsione
che si era affacciata nelle prime bozze del
provvedimento, intervengono anche sull'art.
16 del dl 138/2011, che, come noto, ha
imposto obblighi ancora più stringenti ai
comuni fino a 1.000 abitanti, imponendo loro
di aggregarsi per gestire la totalità delle
funzioni e dei servizi.
Per effetto di tale novella, contenuta nei
commi 11 e 11-bis dell'art. 29, quasi tutti
termini previgenti vengono slittati in
avanti di nove mesi (si veda, per maggiori
dettagli, la tabella in pagina).
Pertanto, i piccolissimi comuni avranno
tempo fino al prossimo 17 dicembre per
trasmettere le proprie proposte di
aggregazione alle regioni, che a loro volta
recuperano il potere (da esercitare entro il
17.08.2012) di ridefinire soglie
demografiche minime diverse da quelle
previste dal legislatore statale (5 mila
abitanti, che scendono a 3 mila per i comuni
montani). Rinviata al 13.05.2013 (prima
era fissata al 13.08.2012) la data che
farà scattare, con il primo rinnovo
amministrativo di uno dei comuni coinvolti,
la decadenza delle giunte in carica e
l'operatività dei nuovi organi delle unioni,
che saranno soggette al Patto a partire dal
30.09.2014 (ma, di fatto, dal 2015,
essendo difficile ipotizzare un
assoggettamento in corso di esercizio).
Tutto ciò non riguarderà i soli comuni che
riusciranno a beneficiare della deroga
concessa (anche in tal caso, con tempi più
distesi) dal ministero dell'interno alle
convenzioni di «qualità certificata».
Per i comuni fra 1.000 e 5 mila abitanti,
invece, il primo appuntamento da segnare in
calendario è il 30 settembre 2012: entro
tale data, essi dovranno gestire almeno due
delle sei funzioni fondamentali in forma
associata, dando vita ad aggregazioni di
almeno 10 mila abitanti (salva, anche in tal
caso, una diversa soglia stabilita a livello
regionale). Entro l'anno successivo, poi,
l'obbligo si estenderà anche alle altre
quattro funzioni. Nessuna proroga in tal
caso, invece, per l'estensione del Patto,
che per suddetti i comuni scatterà il primo
gennaio del prossimo anno.
Fra i termini non prorogati, spicca anche
quello previsto dall'art. 16, comma 17, del
dl 138/2011, che prevede la riduzione del
numero di assessori e consiglieri nei comuni
fino a 10 mila abitanti: la mannaia, quindi
calerà già dai prossimi rinnovi
amministrativi.
Incerta, invece, la decorrenza dei divieto
(previsto dal medesimo art. 16, al comma 18)
di erogare i gettoni di presenza ai
consiglieri dei comuni fino a 1.000
abitanti: tale disposizione, infatti, non è
stata espressamente modificata, ma il
relativo timing è regolato mediante rinvio
al precedente comma 9, che invece è oggetto
di una proroga espressa. Secondo l'Anci, il
relativo termine (fissato al 13.08.2012)
è da considerarsi invariato, ma sul punto
sarebbe opportuno un chiarimento.
Qualche dubbio anche sulla tempistica
dell'obbligo di dismettere le partecipazioni
vietate ai comuni fino a 50 mila abitanti.
Il milleproroghe sembra differire (dal 31.12.2012 al 30.09.2013) solo il
termine riguardante i comuni fino a 30 mila
abitanti, mentre per quelli fra 30 mila e 50
mila abitanti la dead line, come chiarito
dalla Corte dei conti Lombardia (pareri n.
602-603/2011) rimane fissata al 31.12.2013.
Da segnalare, infine, la conferma della
proroga al 31.12.2012 della
soppressione delle Ato per acqua e rifiuti.
Il voto finale sul provvedimento è previsto
per martedì prossimo, poi il decreto passerà
all'esame del senato
(articolo ItaliaOggi del 27.01.2012 -
tratto da www.corteconti.it). |
APPALTI: SEMPLIFICAZIONI/ Gare d'appalto,
verifiche on-line.
Banca dati nazionale per controllare le
autodichiarazioni. Il pacchetto di misure è
domani all'esame del consiglio dei ministri.
Semplificazione delle gare di appalto con la
Banca dati nazionale dei contratti pubblici
gestita dall'Autorità per la vigilanza sui
contratti pubblici che consentirà di
verificare on-line la veridicità delle
autodichiarazioni presentate dai
concorrenti; eliminato ogni onere
documentale a carico di imprese e
professionisti che partecipano agli
affidamenti di lavori, forniture e servizi;
responsabilità in solido di committente,
appaltatore e subappaltatore per i pagamenti
dei lavoratori utilizzati per l'esecuzione
dei contratti; al via il piano di edilizia
scolastica.
Sono queste alcune delle novità
contenute nello
schema di disegno di legge sulle
semplificazioni che sarà portato domani
all'esame del Consiglio dei Ministri.
Una
delle principali novità è rappresentata
dalla istituzione presso l'Autorità di
vigilanza sui contratti pubblici della Banca
dati nazionale dei contratti pubblici che
dovrà essere attiva a partire dal primo
gennaio 2013. L'obiettivo della norma è
quello di ridurre gli oneri amministrativi
derivanti dagli obblighi informativi e di
assicurare l'efficacia, la trasparenza e il
controllo in tempo reale dell'azione
amministrativa in materia di appalti, anche
sotto il profilo della prevenzione dei
fenomeni di corruzione.
Da inizio 2013 la
banca dati dovrà acquisire tutta la
documentazione comprovante il possesso dei
requisiti di carattere generale,
tecnico-organizzativo ed
economico-finanziario che vengono chiesti
per partecipare a procedure di
aggiudicazione di contratti pubblici di
lavori, servizi e forniture. Sarà poi
l'Autorità a mettere a punto, con propria
deliberazione, i termini e le regole
tecniche per l'acquisizione, l'aggiornamento
e la consultazione dei dati contenuti nella
predetta Banca dati (ivi compresa la
definizione di modelli di certificazioni).
Il
punto maggiormente rilevante della proposta
contenuta nel pacchetto semplificazione
risiede nell'obbligo, per le stazioni
appaltanti di verificare il possesso dei
requisiti “esclusivamente tramite la Banca
dati nazionale dei contratti pubblici”. Ciò
significa che i partecipanti alle gare
potranno qualificarsi alle procedure
semplicemente con una autodichiarazione del
possesso dei requisiti di carattere generale
e speciale, mentre sarà cura del committente
che ha bandito la gara, verificare che
quanto dichiarato sia conforme alle
risultanze documentali rese disponibili a
questo fine dalla Banca dati nazionale dei
contratti pubblici. Conseguentemente a tale
impostazione la norma prevede anche che sia
soppresso l'obbligo di presentare sempre la
certificazione inerente la regolarità
contributiva, elemento che dovrà essere
disponibile on-line per ogni stazione
appaltante.
Se si pensa che una buona parte
del contenzioso che attualmente si verifica
nelle gare si colloca proprio nella fase di
verifica dei requisiti, si può comprendere
l'elevato grado di semplificazione e
snellimento delle procedure che la norma
determina. Per l'attivazione della banca
dati la proposta prevede, per tutti i
soggetti pubblici e privati che detengono
dati e documenti relativi ai requisiti di
partecipazione, un obbligo di messa a
disposizione dell'Autorità; parallelamente
gli operatori economici saranno tenuti ad
integrare i dati contenuti nella Banca Dati
nazionale dei contratti pubblici.
Sotto il
profilo sanzionatorio la proposta del
Governo incide sull'articolo 38, comma 1-ter,
del Codice dei contratti pubblici,
stabilendo che in caso di presentazione di
falsa dichiarazione o falsa documentazione,
nelle procedure di gara e negli affidamenti
di subappalto, la stazione appaltante
segnali il fatto all'Autorità. Se poi
l'autorità ritiene che le dichiarazioni
siano state rese con dolo o colpa grave in
considerazione della rilevanza o della
gravità dei fatti oggetto della falsa
dichiarazione o della presentazione di falsa
documentazione, essa può disporre
l'iscrizione nel casellario informatico ai
fini dell'esclusione dalle procedure di gara
e dagli affidamenti di subappalto fino ad un
anno, decorso il quale l'iscrizione è
cancellata e perde comunque efficacia.
Semplificati anche gli oneri di
pubblicazione di bandi e avvisi di gara:
viene infatti soppresso l'obbligo di
pubblicità per estratto sui giornali.
Prevista anche una articolata disciplina
sulle sponsorizzazioni, con ricerca dello
sponsor mediante bando pubblicato sul sito
istituzionale dell'amministrazione
procedente per almeno trenta giorni e
richiesta di offerte in aumento sull'importo
del finanziamento minimo indicato.
Prevista
per appalti di opere o di servizi, la
responsabilità in solido del committente
imprenditore o datore di lavoro con
l'appaltatore, nonché con ciascuno degli
eventuali subappaltatori entro il limite di
due anni dalla cessazione dell'appalto, per
il pagamento di trattamenti retributivi,
compreso il Tfr, e i contributi
previdenziali dovuti in relazione al periodo
di esecuzione del contratto di appalto.
All'articolo 60 si prevede poi un corposo
piano di edilizia scolastica, gestito da Cipe su indicazione e ricognizione
dell'Agenzia del demanio e interventi anche
in project financing
(articolo ItaliaOggi del 26.01.2012 -
tratto da www.corteconti.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI - PUBBLICO IMPIEGO: SEMPLIFICAZIONI/ Pagamenti
lenti, danno erariale.
Le sentenze dei Tar andranno trasmesse alla
Corte conti. La mancata adozione dei
provvedimenti costa cara ai dipendenti
pubblici.
Contro i ritardi nei procedimenti
amministrativi in campo la Corte dei conti,
la responsabilità disciplinare ed erariale e
l'esercizio di poteri sostitutivi.
Lo
schema di disegno di legge sulle
semplificazioni presentato dal Ministro
della Funzione pubblica prende nuovamente di
mira il rispetto dei tempi dei procedimenti
amministrativi come elemento di qualità
dell'azione amministrativa, introducendo
disincentivi e sanzioni a violare i termini
fissati dalle norme.
Corte dei conti. Ai sensi dell'articolo
2-bis, comma 1, della legge 241/1990 «Le
pubbliche amministrazioni e i soggetti di
cui all'articolo 1, comma 1-ter, sono tenuti
al risarcimento del danno ingiusto cagionato
in conseguenza dell'inosservanza dolosa o
colposa del termine di conclusione del
procedimento».
I ritardi, dunque, possono costare cari alle
amministrazioni. Per questa ragione, lo
schema impone di trasmettere per via
telematica alla magistratura contabile tutte
le sentenze dei giudici amministrativi che
accolgano i ricorsi contro il silenzio
inadempimento, cioè l'assenza di un
provvedimento nei termini, che siano passate
in giudicato. Destinataria della
comunicazione deve intendersi la procura
della Corte dei conti.
Responsabilità. Lo schema presentato dal
ministro Patroni Griffi inasprisce il regime
delle responsabilità. Attualmente, ai sensi
dell'articolo 2, comma 9, della legge
241/1990, la mancata adozione del
provvedimento finale nei termini costituisce
elemento di valutazione solo dei dirigenti,
influendo in particolare sulla
responsabilità dirigenziale, non connessa ai
singoli provvedimenti, ma alla complessiva
conduzione delle strutture.
La modifica proposta punta, invece,
direttamente sulla responsabilità
individuale derivante dal singolo
procedimento. Il ritardo, infatti,
costituirà elemento di valutazione della
performance individuale: dunque, ai fini
delle schede di valutazione occorrerà
tracciare se e in che misura ciascun singolo
dipendente avrà causato ritardi. Ma non
basta l'eventuale riduzione della
valutazione: il ritardo potrà essere anche
causa di responsabilità disciplinare, se,
ovviamente, connesso o causa, di violazioni
al codice disciplinare. Inoltre, il ritardo,
nei casi di produzione di danno, sarà anche
causa di responsabilità contabile (ma, anche
se le norme attualmente non lo affermano
espressamente è sempre stato così).
Lo schema di riforma della legge indica come
soggetti responsabili sia il dirigente, sia
il funzionario inadempiente.
Poteri sostitutivi. La riforma punta
comunque ad assicurare al privato che un
provvedimento, sia pure in ritardo, sia
adottato. Pertanto i vertici politici degli
enti dovranno individuare tra le «figure
apicali» un soggetto cui attribuire un
potere sostitutivo in caso di inerzia.
I cittadini potranno rivolgersi a tale
soggetto una volta trascorsi inutilmente i
termini dei procedimenti di loro interessi.
Il sostituto potrà concludere il
procedimento entro un termine pari alla metà
di quello originariamente previsto (si deve
presumere decorrente dall'istanza del
cittadino), avvalendosi delle strutture
amministrative competenti o anche nominando
un commissario ad acta.
Il dirigente incaricato di sostituire gli
inadempienti dovrà comunicare entro il 30
gennaio di ogni anno i procedimenti nei
quali è intervenuto in via sostitutiva, così
da permettere un quadro chiaro delle
inadempienze.
In ogni caso, i provvedimenti adottati in
ritardo su istanza dei cittadini da parte
dei dirigenti sostituti dovranno indicare
espressamente il termine previsto dalle
leggi o dai regolamenti e quello
effettivamente decorso.
Problemi applicativi. La riforma pone non
poche questioni applicative. Basti pensare
che tra i soggetti chiamati a rispondere a
vario titolo dei ritardi non menziona
minimamente il «responsabile del
procedimento», ma parla impropriamente di
«funzionari», termine che anche con le nuove
declaratorie contrattuali non potrà che
ingenerare equivoci. Nei confronti dei
dirigenti, poi, sembra introdurre una sorta
di responsabilità oggettiva per i singoli
procedimenti condotti da altri, l'esatto
opposto delle responsabilità organizzative
di stampo manageriale.
Inoltre, la norma non distingue le
responsabilità discendenti dai procedimenti
avviati a istanza di parte e quelli
d'ufficio. Il legislatore dimentica che nei
riguardi dei primi il ritardo, se inteso
come inerzia nel rilascio di provvedimenti
favorevoli, in generale non si può
determinare, visto che opera, ai sensi
dell'articolo 20 della legge 241/1990, il
silenzio-assenso.
Infine, negli enti locali si porrà il
problema dei soggetti apicali. Nello Stato i
dirigenti generali dispongono per legge di
poteri sostitutivi, cosa che negli enti
locali non sussiste
(articolo ItaliaOggi del 26.01.2012). |
GIURISPRUDENZA |
APPALTI: La
censura con la quale è stata rilevata la
mancata adozione di idonee misure per
garantire la segretezza e l'integrità dei
plichi contenenti le offerte è stata
ritenuta <<infondata sul rilievo che
quand'anche non si sia adeguatamente
verbalizzato il processo di custodia delle
buste contenenti le offerte, ciò tuttavia è
irrilevante in quanto non è stato addotto
alcun elemento concreto e specifico atto a
far ritenere che possa essersi verificata la
sottrazione o la sostituzione dei pieghi, la
manomissione delle offerte o un altro fatto
rilevante ai fini della regolarità della
procedura. Appare, infatti, condivisibile
l'orientamento giurisprudenziale secondo cui
"...la mancata indicazione delle cautele
seguite per la conservazione della
documentazione è un rilievo inammissibile in
mancanza di precisazione di avvenute
alterazioni, dovendo invece aversi riguardo
al fatto che, in concreto non si sia
verificata l'alterazione della
documentazione specie quando l'apertura dei
plichi sia avvenuta in seduta pubblica senza
osservazioni da parte dei rappresentati
delle ditte presenti".
Il Collegio non ignora peraltro, a tale
proposito, l’esistenza di precedenti
giurisprudenziali di segno contrario, nei
quali si afferma che “la commissione
giudicatrice deve predisporre particolari
cautele a tutela dell'integrità e della
conservazione dei plichi contenenti le
offerte tecniche ed economiche. Delle
cautele e strumenti apprestati deve essere
fatta esplicita menzione nel verbale di
gara, omissione che non può essere sanata
dai responsabili del seggio di gara con
attestazioni postume sull'adozione di idonee
misure.”
... Ciò in linea con il precedente di cui
alla sentenza del Consiglio di Stato, Sez.
III, 22.11.2011, n. 6146, in cui si legge
che la censura con la quale è stata rilevata
la mancata adozione di idonee misure per
garantire la segretezza e l'integrità dei
plichi contenenti le offerte è stata
ritenuta <<infondata sul rilievo che
quand'anche non si sia adeguatamente
verbalizzato il processo di custodia delle
buste contenenti le offerte, ciò tuttavia è
irrilevante in quanto non è stato addotto
alcun elemento concreto e specifico atto a
far ritenere che possa essersi verificata la
sottrazione o la sostituzione dei pieghi, la
manomissione delle offerte o un altro fatto
rilevante ai fini della regolarità della
procedura. Appare, infatti, condivisibile
l'orientamento giurisprudenziale secondo cui
"...la mancata indicazione delle cautele
seguite per la conservazione della
documentazione è un rilievo inammissibile in
mancanza di precisazione di avvenute
alterazioni, dovendo invece aversi riguardo
al fatto che, in concreto non si sia
verificata l'alterazione della
documentazione specie quando l'apertura dei
plichi sia avvenuta in seduta pubblica senza
osservazioni da parte dei rappresentati
delle ditte presenti" (Cons. Stato, Sez. V,
11.08.2010 n. 5624).>>.
Come già più sopra anticipato, anche nel
caso in esame i plichi contenti la
documentazione amministrativa e le buste
contenenti le offerte sono stati aperti dal
seggio di gara in seduta pubblica, dando
atto della loro integrità. Nella seduta
successiva, intervenuta a quattordici giorni
di distanza, la verifica della presenza e
dell’integrità delle buste è avvenuta senza
che i delegati delle imprese partecipanti,
presenti alle operazioni, tra cui quelli
della ricorrente, abbiano avuto da
obiettare, con la conseguenza che il
Collegio non ravvisa ragione di discostarsi
dal precedente citato, pienamente calzante
alla questione in esame.
Il Collegio non ignora peraltro, a tale
proposito, l’esistenza di precedenti
giurisprudenziali di segno contrario, nei
quali si afferma che “la commissione
giudicatrice deve predisporre particolari
cautele a tutela dell'integrità e della
conservazione dei plichi contenenti le
offerte tecniche ed economiche. Delle
cautele e strumenti apprestati deve essere
fatta esplicita menzione nel verbale di
gara, omissione che non può essere sanata
dai responsabili del seggio di gara con
attestazioni postume sull'adozione di idonee
misure.” (Cons. Stato Sez. VI, Sent.,
27.07.2011, n. 4487).
Ciononostante un più approfondito esame di
tali pronunce (necessario perché
l’applicazione del principio porta spesso a
risultati diversi in ragione della
specificità della situazione di fatto, come
affermato in Cons. Stato Sez. VI, Sent.,
30.06.2011, n. 3902, che ancora una volta ha
escluso la necessità di specificare le
modalità di conservazione dei plichi, se
risulta incontestato che gli stessi erano
integri in occasione della loro apertura)
pone in evidenza come le stesse avessero ad
oggetto fattispecie parzialmente diverse,
nelle quali era trascorso un notevole lasso
di tempo tra le diverse sedute della
commissione e ricorrevano elementi e
dichiarazioni che potevano far pensare al
fatto che la conservazione della
documentazione non fosse avvenuta in modo
tale da precluderne l’accesso al di fuori
della presenza dell’intera commissione di
gara.
Nel caso in esame, invece, tra la prima e la
seconda seduta sono trascorsi pochi giorni e
all’atto della ripresa dei lavori i
rappresentanti della ricorrente erano
presenti e hanno potuto constatare
l’integrità delle buste, come si può
desumere dall’assenza di verbalizzazioni in
senso contrario. Per quanto attiene alla
fase di esame delle offerte, non risulta
esservi stata soluzione di continuità tra le
sedute della commissione, che si sono
susseguite nell’arco della stessa giornata e
non risulta nemmeno asserito che la
Commissione si sia allontanata dal luogo in
cui si sono svolte le operazione lasciando
buste e documentazione ivi contenute
incustodite.
Si può quindi ritenere che, con riferimento
a questa seconda giornata di lavori della
Commissione, tra il secondo e il terzo
verbale, non risulti essere stata adottata
nessuna misura idonea a garantire la
custodia delle buste, in quanto non si è
presentata nessuna necessità di
conservazione delle stesse, date le
strettissime scansioni temporali attraverso
cui i compiti della Commissione sono stati
espletati. Mentre l’omissione della
indicazione delle specifiche misure adottate
nella conservazione presso la casa comunale
(di cui si dà atto nel primo verbale) delle
offerte tra la prima e la seconda seduta
appare irrilevante alla luce della suddetta
presunta integrità delle buste constatata
all’atto della ripresa dei lavori nella
seconda seduta.
Ne deriva che il primo motivo non merita
positivo apprezzamento
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. II,
sentenza 25.01.2012 n. 102 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
permesso di costruire è rilasciato al
proprietario dell'immobile o a chi abbia
titolo per richiederlo, per cui
l'interessato è tenuto a fornire al Comune
la prova del suo diritto, mentre l’Ente non
deve svolgere sul punto verifiche eccedenti
quelle richieste dalla ragionevolezza e
dalla comune esperienza, in relazione alle
concrete circostanze di fatto, dovendosi
così escludere “un obbligo del comune di
effettuare complessi accertamenti diretti a
ricostruire tutte le vicende riguardanti
l'immobile in considerazione".
Spettano all’usufruttuario dell’immobile
–escludendo così il nudo proprietario- tutti
i diritti, i poteri e le facoltà inerenti
alla cosa, da cui egli può trarre ogni
utilità che questa può dare (981 c.c.),
purché ne rispetti la destinazione: e,
dunque, anche lo ius aedificandi correlato
al bene, facoltà che in tale ambito
palesemente rientra, e che, pertanto, non
può essere esercitata dal nudo proprietario.
Invero, ex art. 11, I comma, del d.P.R.
06.06.2001, n. 380, il permesso di costruire
è rilasciato al proprietario dell'immobile o
a chi abbia titolo per richiederlo, per cui
l'interessato è tenuto a fornire al Comune
la prova del suo diritto, mentre l’Ente non
deve svolgere sul punto verifiche eccedenti
quelle richieste dalla ragionevolezza e
dalla comune esperienza, in relazione alle
concrete circostanze di fatto, dovendosi
così escludere “un obbligo del comune di
effettuare complessi accertamenti diretti a
ricostruire tutte le vicende riguardanti
l'immobile in considerazione" (C.d.S.,
V, 07.09.2007, n. 4703).
Ora, in specie, non è dubbio come
l’intervento originariamente proposto
determinasse una radicale trasformazione
dell’area interessata, coinvolgendo
l’appartamento al piano terreno; anche
trascurando la servitù di passaggio, il
progetto comportava ictu oculi la
modificazione dell’accesso ed il
tamponamento di una finestra che presenta
elementi, i quali permettono di qualificarla
come una veduta.
Inoltre, come risulta dagli atti di causa,
il nuovo fabbricato abitativo era destinato
ad occupare una parte della corte comune,
della quale l’usufruttuario poteva
evidentemente godere, e che viene così
sacrificata.
Infine, come si è visto, la nuova volumetria
è stata calcolata con riferimento all’intero
edificio principale e, quindi, anche alla
parte in usufrutto.
Del resto, non v’è dubbio che spettino
all’usufruttuario dell’immobile –escludendone così il nudo proprietario-
tutti i diritti, i poteri e le facoltà
inerenti alla cosa, da cui egli può trarre
ogni utilità che questa può dare (981 c.c.),
purché ne rispetti la destinazione: e,
dunque, anche lo ius aedificandi correlato
al bene, facoltà che in tale ambito
palesemente rientra, e che, pertanto, non
può essere esercitata dal nudo proprietario.
Insomma, il Comune di Spinea, senza
necessità di procedere a complessi
accertamenti, avrebbe dovuto rifiutare il
permesso di costruire fino al momento in cui
non fosse stato positivamente dimostrato il
consenso dell’usufruttuaria all’intervento.
Il riferimento al cd. pactum fiduciae,
introdotto ex post dall’Amministrazione per
giustificarsi, costituisce, in specie,
soltanto il richiamo, elegante ma improprio,
ad una locuzione romanistica, con cui, nella
fattispecie, si vuole significare come il
Comune di Spinea, nel rilasciare il titolo,
abbia creduto che la Greggio agisse anche
per il titolare del diritto di usufrutto sul
bene, essenzialmente perché legata a questo
da un rapporto parentale, e da precedenti
istanze edilizie non opposte: un’apparentia
juris, la quale potrebbe forse avere rilievo
in una prospettiva risarcitoria, ma che
certamente non determina la legittimità del
provvedimento amministrativo, emesso in
favore di chi non aveva titolo ad ottenerlo,
ed in relazione al contenuto immediatamente
percepibile dell’intervento progettato.
Insomma, il permesso di costruire de
quo è stato emesso in violazione dell’art.
11 del d. lgs. 380/2001 e va annullato, in
conformità al primo motivo di ricorso
proposto
(TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 25.01.2012 n. 32 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
norma di cui all’art. 9 del d.m. 02.04.1968 n. 1444 parla
genericamente di “pareti finestrate”, e deve
dunque essere riferita, in generale, a tutte
le pareti con aperture non solo di veduta,
ma anche di luce, di qualsiasi genere, verso
l'esterno, mentre la
distanza a sua volta “va calcolata con
riferimento ad ogni punto dei fabbricati e
non alle sole parti che si fronteggiano e a
tutte le pareti finestrate e non solo a
quella principale, prescindendo anche dal
fatto che esse siano o meno in posizione
parallela”.
La norma di cui
all’art. 9 del d.m. 02.04.1968 n. 1444 parla
genericamente di “pareti finestrate”, e deve
dunque essere riferita, in generale, a tutte
le pareti con aperture non solo di veduta,
ma anche di luce, di qualsiasi genere, verso
l'esterno (conf. TAR Lombardia Milano,
sez. IV, 19.05.2011, n. 1282), mentre la
distanza a sua volta “va calcolata con
riferimento ad ogni punto dei fabbricati e
non alle sole parti che si fronteggiano e a
tutte le pareti finestrate e non solo a
quella principale, prescindendo anche dal
fatto che esse siano o meno in posizione
parallela” (C.d.S. IV, 02.11.2010, n.
7731)
(TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 25.01.2012 n. 32 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: E'
manifestamente improcedibile, per sopravvenuta carenza di
interesse, l'impugnazione giurisdizionale di
un'ordinanza sindacale di sospensione dei
lavori abusivi, divenuta inefficace nel
corso del giudizio per decorso del termine
di 45 giorni previsto dall'articolo 4 della
legge 28.02.1985, n. 47.
La presentazione della domanda di condono o
di accertamento di conformità in data
successiva all'impugnazione dell'ordinanza
di demolizione produce l'effetto di rendere
il ricorso improcedibile per sopravvenuta
carenza di interesse a ricorrere, in quanto
l'istanza di sanatoria comporta il riesame
dell'abusività dell'opera mediante
l'emanazione di un nuovo provvedimento, di
accoglimento o di rigetto, che vale comunque
a superare il provvedimento sanzionatorio
oggetto dell'impugnativa.
---------------
Il provvedimento con il quale il comune
impone la demolizione di un manufatto
abusivo ha evidentemente carattere
vincolato.
Anche qualora intercorra un lungo periodo di
tempo tra la realizzazione dell'opera
abusiva e il provvedimento sanzionatorio,
tale circostanza non rileva ai fini della
legittimità di quest'ultimo, sia in rapporto
al preteso affidamento circa la legittimità
dell'opera -che il protrarsi del
comportamento inerte del comune avrebbe
ingenerato nel responsabile dell'abuso
edilizio- sia in relazione ad un presunto
ulteriore obbligo, per l'amministrazione
procedente, di motivare specificamente in
ordine alla sussistenza dell'interesse
pubblico attuale a far demolire il
manufatto: deve infatti ritenersi che la
lunga durata nel tempo dell'opera priva del
necessario titolo edilizio ne rafforza il
carattere abusivo (trattandosi di illecito
permanente), il che preserva il
potere-dovere dell'amministrazione di
intervenire nell'esercizio dei suoi poteri
sanzionatori, tanto più che il provvedimento
demolitorio non richiede una congrua
motivazione in ordine all'attualità
dell'interesse pubblico alla rimozione
dell'abuso, che è in re ipsa.
---------------
Decorso infruttuosamente il termine di 90
giorni assegnato al proprietario per la
demolizione di un manufatto abusivo,
l'effetto acquisitivo al patrimonio
comunale, ai sensi dell'articolo 7, della
legge n. 47 del 1985, si produce di diritto,
con conseguente carattere meramente
dichiarativo e vincolato del successivo
provvedimento amministrativo.
Per la parte in cui è stata disposta la
sospensione dei lavori edilizi abusivi il
ricorso deve essere dichiarato improcedibile
atteso che, secondo un consolidato
orientamento nella materia, è manifestamente
improcedibile, per sopravvenuta carenza di
interesse, l'impugnazione giurisdizionale di
un'ordinanza sindacale di sospensione dei
lavori abusivi, divenuta inefficace nel
corso del giudizio per decorso del termine
di 45 giorni previsto dall'articolo 4 della
legge 28.02.1985, n. 47 (TAR Lazio-Roma, sez. II, 22.12.2010, n.
38234).
Per quanto attiene, poi, l’ordinata
demolizione -atteso che, sempre secondo un
consolidato orientamento nella materia, la
presentazione della domanda di condono o di
accertamento di conformità in data
successiva all'impugnazione dell'ordinanza
di demolizione produce l'effetto di rendere
il ricorso improcedibile per sopravvenuta
carenza di interesse a ricorrere, in quanto
l'istanza di sanatoria comporta il riesame
dell'abusività dell'opera mediante
l'emanazione di un nuovo provvedimento, di
accoglimento o di rigetto, che vale comunque
a superare il provvedimento sanzionatorio
oggetto dell'impugnativa (TAR Lazio Roma,
sez. II, 22.12.2010, n. 38234)- considerato che risulta comprovata in atti
l’intervenuta presentazione dell’istanza di
rilascio della concessione edilizia in
sanatoria relativamente alla scala esterna,
nella sola predetta parte il ricorso deve,
pertanto, essere dichiarato improcedibile e
si tratterà, invece, di verificare nel
merito la fondatezza del primo ricorso per
motivi aggiunti con il quale, appunto, è
stato impugnato il diniego di rilascio della
richiesta sanatoria.
---------------
Il
provvedimento con il quale il comune imponga
la demolizione di un manufatto abusivo ha
evidentemente carattere vincolato.
E, atteso il predetto carattere vincolato,
anche qualora intercorra un lungo periodo di
tempo tra la realizzazione dell'opera
abusiva e il provvedimento sanzionatorio,
tale circostanza non rileva ai fini della
legittimità di quest'ultimo, sia in rapporto
al preteso affidamento circa la legittimità
dell'opera -che il protrarsi del
comportamento inerte del comune avrebbe
ingenerato nel responsabile dell'abuso
edilizio- sia in relazione ad un presunto
ulteriore obbligo, per l'amministrazione
procedente, di motivare specificamente in
ordine alla sussistenza dell'interesse
pubblico attuale a far demolire il
manufatto: deve infatti ritenersi che la
lunga durata nel tempo dell'opera priva del
necessario titolo edilizio ne rafforza il
carattere abusivo (trattandosi di illecito
permanente), il che preserva il
potere-dovere dell'amministrazione di
intervenire nell'esercizio dei suoi poteri
sanzionatori, tanto più che il provvedimento demolitorio non richiede una congrua
motivazione in ordine all'attualità
dell'interesse pubblico alla rimozione
dell'abuso, che è in re ipsa.
---------------
Premesso
che, decorso infruttuosamente il termine di
novanta giorni assegnato al proprietario per
la demolizione di un manufatto abusivo,
l'effetto acquisitivo al patrimonio
comunale, ai sensi dell'articolo 7, della
legge n. 47 del 1985, si produce di diritto,
con conseguente carattere meramente
dichiarativo e vincolato del successivo
provvedimento amministrativo (TAR Lazio-Roma, sez. II,
09.11.2005, n. 10874)-, da un lato,
l’ordinanza di demolizione di cui trattasi
non risulta essere stata sospesa nei suoi
effetti nel corso del presente giudizio, con
la conseguenza che l’amministrazione non era
tenuta a sospendere il relativo procedimento
per la sola circostanza dell’intervenuta
proposizione del ricorso, e, dall’altro,
l’intervenuta amministrazione giudiziaria
della società non può essere ritenuta di
ostacolo al procedere dell’operato
dell’amministrazione comunale la cui
attività al riguardo è, peraltro, vincolata (TAR Lazio-Roma, Sez. II-ter,
sentenza 24.01.2012 n. 765 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Anche
se la normativa edilizia non prevede
l’istituto della concessione edilizia a
termine, tuttavia, secondo un consolidato
orientamento nella materia, il rilascio di
tale titolo può essere vincolato a
specifiche prescrizioni e condizioni; si
tratta, pertanto, di verificare, da un lato,
se sia possibile che la condizione riguardi
il termine finale di efficacia del
provvedimento, e, dall’altro, se, in caso
contrario, dalla violazione dell’eventuale
divieto consegua la nullità della detta
clausola temporale, ma con salvezza per il
residuo del provvedimento concessorio da
ritenersi a validità ed efficacia a tempo
indeterminato.
Quando la condizione della temporaneità sia
apposta alla concessione edilizia riguardi
in realtà opere precarie che, per varie e
diversificate ragioni, possano essere erette
soltanto in alcuni periodi dell’anno o
soltanto per un arco temporale limitato,
allora si è in presenza di un provvedimento
atipico di per sé non illegittimo; si
tratta, nella sostanza, di concessione
avente ad oggetto opere per loro natura e
destinazione di carattere precario e quindi
durata limitata e predeterminata.
In passato vi sono state aperture al
riguardo essendosi affermato che la
“concessione edilizia in precario”
costituisce provvedimento atipico utilizzato
dalle amministrazioni comunali per assentire
opere per loro natura e destinazione di
durata limitata e predeterminata, non
conformi alla destinazione urbanistica della
zona, giustificabile solo proprio in
relazione al carattere di precarietà
dell’opera ed alla sua modesta consistenza,
sì da non assurgere a vera e propria
modificazione del territorio; peraltro,
l’istituto della concessione in precario
andrebbe ritenuto ammissibile solo se
previsto dalle norme di piano regolatore,
nei limiti, con i presupposti e nei termini
che tali norme pongono, salvo i casi che la
precarietà stessa costituisca giudizio di
non rilevanza urbanistica dell’opera.
Anche se
la normativa edilizia non prevede l’istituto
della concessione edilizia a termine,
tuttavia, secondo un consolidato
orientamento nella materia, il rilascio di
tale titolo può essere vincolato a
specifiche prescrizioni e condizioni; si
tratta, pertanto, di verificare, da un lato,
se sia possibile che la condizione riguardi
il termine finale di efficacia del
provvedimento, e, dall’altro, se, in caso
contrario, dalla violazione dell’eventuale
divieto consegua la nullità della detta
clausola temporale, ma con salvezza per il
residuo del provvedimento concessorio da
ritenersi a validità ed efficacia a tempo
indeterminato.
Il Collegio ritiene che quando la condizione
della temporaneità sia apposta alla
concessione edilizia riguardi in realtà
opere precarie che, per varie e
diversificate ragioni, possano essere erette
soltanto in alcuni periodi dell’anno o
soltanto per un arco temporale limitato,
allora si è in presenza di un provvedimento
atipico di per sé non illegittimo; si
tratta, nella sostanza, di concessione
avente ad oggetto opere per loro natura e
destinazione di carattere precario e quindi
durata limitata e predeterminata.
In passato vi sono state aperture al
riguardo (TAR Puglia–Bari, sez. II,
sent. n. 1281 del 28.09.1994)
essendosi affermato che la “concessione
edilizia in precario” costituisce
provvedimento atipico utilizzato dalle
amministrazioni comunali per assentire opere
per loro natura e destinazione di durata
limitata e predeterminata, non conformi alla
destinazione urbanistica della zona,
giustificabile solo proprio in relazione al
carattere di precarietà dell’opera ed alla
sua modesta consistenza, sì da non assurgere
a vera e propria modificazione del
territorio; peraltro, l’istituto della
concessione in precario andrebbe ritenuto
ammissibile solo se previsto dalle norme di
piano regolatore, nei limiti, con i
presupposti e nei termini che tali norme
pongono, salvo i casi che la precarietà
stessa costituisca giudizio di non rilevanza
urbanistica dell’opera (TAR Lazio-Roma, Sez. II-ter,
sentenza 24.01.2012 n. 765 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Secondo
un consolidato orientamento nella materia,
dopo l'entrata in vigore della legge
28.01.1977, n. 10, il rilascio del parere
favorevole della commissione edilizia
comunale e la sua comunicazione non possono
più essere considerati equivalenti al
rilascio della concessione edilizia
comunale.
Detto parere, infatti, va considerato alla
stregua di un atto informativo di una fase
non ancora conclusa del procedimento; detto
parere costituisce, infatti, un atto
preparatorio ed interno al procedimento
amministrativo di rilascio della concessione
edilizia e non equivale, né formalmente né
sostanzialmente, all'adozione di
quest'ultima.
Secondo altro orientamento, poi, soltanto
allorquando il competente responsabile del
servizio tecnico non si sia limitato a
comunicare all'interessato il parere
favorevole della commissione edilizia
comunale, ma ne abbia fatto proprie le
determinazioni e abbia formulato la nota
come comunicazione di accoglimento
dell'istanza e del rilascio della
concessione secondo specifiche condizioni e
prescrizioni, deve ritenersi che in tal modo
egli abbia espresso la sua autonoma e
conclusiva valutazione in ordine all'assentibilità
dell'intervento edilizio, con ciò consumando
il relativo potere, con la conseguenza che
il rilascio del documento formale di
concessione edilizia, pur necessario,
diventa atto esecutivo e dovuto, a contenuto
ricognitivo.
Vero è che, all’epoca della proposizione del
ricorso all’esame, la giurisprudenza sul
punto non era uniforme, ma il Collegio non
può che attenersi all’orientamento divenuto
ora consolidato.
Secondo
un consolidato orientamento nella materia,
dopo l'entrata in vigore della legge 28.01.1977, n. 10, il rilascio del parere
favorevole della commissione edilizia
comunale e la sua comunicazione non possono
più essere considerati equivalenti al
rilascio della concessione edilizia comunale
(cfr. ex multis, da ultimo, Consiglio di
Stato, sez. IV, 07.02.2011, n. 813).
Detto parere, infatti, va considerato alla
stregua di un atto informativo di una fase
non ancora conclusa del procedimento; detto
parere costituisce, infatti, un atto
preparatorio ed interno al procedimento
amministrativo di rilascio della concessione
edilizia e non equivale, né formalmente né
sostanzialmente, all'adozione di
quest'ultima (TAR Lazio-Roma, sez. II, 24.04.2007, n. 3674).
Secondo altro orientamento, poi, soltanto
allorquando il competente responsabile del
servizio tecnico non si sia limitato a
comunicare all'interessato il parere
favorevole della commissione edilizia
comunale, ma ne abbia fatto proprie le
determinazioni e abbia formulato la nota
come comunicazione di accoglimento
dell'istanza e del rilascio della
concessione secondo specifiche condizioni e
prescrizioni, deve ritenersi che in tal modo
egli abbia espresso la sua autonoma e
conclusiva valutazione in ordine all'assentibilità
dell'intervento edilizio, con ciò consumando
il relativo potere, con la conseguenza che
il rilascio del documento formale di
concessione edilizia, pur necessario,
diventa atto esecutivo e dovuto, a contenuto
ricognitivo (TAR Lazio-Roma, sez. II, 02.07.2008, n. 6371; TAR Sardegna-Cagliari, sez. II, 08.08.2008,
n. 1664).
Vero è che, all’epoca della proposizione del
ricorso all’esame, la giurisprudenza sul
punto non era uniforme, ma il Collegio non
può che attenersi all’orientamento divenuto
ora consolidato (TAR Lazio-Roma, Sez. II-ter,
sentenza 24.01.2012 n. 765 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
legittimazione a richiedere il rilascio
della concessione edilizia spetta non solo
al proprietario dell'area o al titolare di
un diritto reale sulla stessa, ma anche a
chiunque abbia un qualsiasi altro titolo
idoneo a richiederla; in definitiva, sono
legittimati a richiedere la concessione
edilizia anche i soggetti che si trovano
rispetto al bene immobile da edificare in
relazione qualificata, come appunto anche i
titolari di un diritto personale, quali, ad
esempio, il conduttore.
Peraltro il rilascio della concessione
edilizia impone all'amministrazione comunale
soltanto una preliminare verifica circa la
legittimazione sostanziale del soggetto che
chiede di esercitare lo "ius edificandi".
Ai sensi
del richiamato articolo 4 della legge n. 10
del 1977, “La concessione è data dal sindaco
al proprietario dell'area o a chi abbia
titolo per richiederla…
Per gli immobili di proprietà dello Stato la
concessione è data a coloro che siano muniti
di titolo, rilasciato dai competenti organi
dell'amministrazione, al godimento del bene.
…”.
La norma, pertanto, dispone che la
legittimazione a richiedere il rilascio
della concessione edilizia spetti, non solo
al proprietario dell'area o al titolare di
un diritto reale sulla stessa, ma anche a
chiunque abbia un qualsiasi altro titolo
idoneo a richiederla; può ritenersi che, in
definitiva, sono legittimati a richiedere la
concessione edilizia anche i soggetti che si
trovano rispetto al bene immobile da
edificare in relazione qualificata, come
appunto anche i titolari di un diritto
personale, quali, ad esempio, il conduttore
(come avvenuto nel caso di specie) (Consiglio di Stato, sez. VI, 15.07.2010,
n. 4557).
Peraltro il rilascio della concessione
edilizia impone all'amministrazione comunale
soltanto una preliminare verifica circa la
legittimazione sostanziale del soggetto che
chiede di esercitare lo "ius edificandi" (TAR Lazio-Roma, Sez. II-ter,
sentenza 24.01.2012 n. 765 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Costituisce
principio generale regolatore delle gare
pubbliche il divieto di commistione fra i
criteri soggettivi di qualificazione e
quelli oggettivi afferenti alla valutazione
dell'offerta ai fini dell'aggiudicazione.
Tuttavia, si deve aver presente che spesso
il filo che separa il canone oggettivo di
valutazione dell'offerta ed il requisito
soggettivo del competitore è particolarmente
sottile, stante la potenziale idoneità dei
profili di organizzazione soggettiva a
riverberarsi sull'affidabilità e
sull'efficienza dell'offerta e, quindi,
della prestazione.
Tale commistione inestricabile, che rende in
concreto non pertinente il principio
astratto fin qui enucleato, viene tuttavia
in rilievo quante volte la lex specialis
valorizzi non già i requisiti soggettivi in
sé intesi bensì quei profili soggettivi
diretti a riverberarsi in modo specifico
sull'espletamento dell'attività appaltata.
Costituisce in effetti principio generale
regolatore delle gare pubbliche il divieto
di commistione fra i criteri soggettivi di
qualificazione e quelli oggettivi afferenti
alla valutazione dell'offerta ai fini
dell'aggiudicazione.
Tuttavia, come rilevato dalla recente
giurisprudenza del Consiglio di Stato, si
deve aver presente che spesso il filo che
separa il canone oggettivo di valutazione
dell'offerta ed il requisito soggettivo del
competitore è particolarmente sottile,
stante la potenziale idoneità dei profili di
organizzazione soggettiva a riverberarsi
sull'affidabilità e sull'efficienza
dell'offerta e, quindi, della prestazione.
Tale commistione inestricabile, che rende in
concreto non pertinente il principio
astratto fin qui enucleato, viene tuttavia
in rilievo quante volte la lex specialis
valorizzi non già i requisiti soggettivi in
sé intesi bensì quei profili soggettivi
diretti a riverberarsi in modo specifico
sull'espletamento dell'attività appaltata
(cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 28.08.2009
n. 5105; Sez. VI, 15.12.2010, n. 8933).
Allo stato degli atti la censura viene
dunque a coincidere con quella di difetto di
criteri motivazionali, potendo, allo stato
degli atti, la Commissione individuare
criteri distintivi nell’ambito del generico
richiamo quale parametro valutativo alle
certificazioni di qualità aziendale
possedute dalle concorrenti
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 23.01.2012 n. 266 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI FORNITURE E SERVIZI: Anche
nella materia del rinnovo o della proroga
dei contratti pubblici di appalto non vi è
spazio per l'autonomia contrattuale delle
parti, in relazione alla normativa
inderogabile stabilita dal legislatore per
ragioni di interesse pubblico; al contrario,
vige il principio in forza del quale, salve
espresse previsioni dettate dalla legge in
conformità della normativa comunitaria,
l'Amministrazione, una volta scaduto il
contratto, deve, qualora abbia ancora la
necessità di avvalersi dello stesso tipo di
prestazioni, effettuare una nuova gara.
Correttamente la ricorrente ricorda che
l’abrogazione dell’art. 6 della L. n.
537/1993, ad opera dell’art. 23 della L. n.
62/2005, ha sostanzialmente sancito un
generale divieto di ricorrere
surrettiziamente a procedure negoziate,
mediante l’estensione temporale della durata
di un affidamento pregresso.
Tuttavia, va rilevato in proposito che il
servizio oggetto della proroga impugnata era
stato affidato previo esperimento di
procedura ad evidenza pubblica e che l’art.
6 del relativo capitolato speciale prevedeva
espressamente che “al termine dell’appalto,
fino alla nuova gestione o all’entrata in
servizio del nuovo affidatario, e comunque
non oltre i dodici mesi dalla scadenza del
presente appalto, la ditta appaltatrice si
impegna ad effettuare il servizio alle
stesse condizioni economico-gestionali”.
Nella fattispecie de qua la stazione
appaltante non ha pertanto proceduto ad un
“rinnovo”, alias, ad una novazione di un
rapporto esaurito, ma si è al contrario
avvalsa, prima della sua scadenza, della
facoltà, prevista ab origine dal c.s.a., di
estendere per un ridotto lasso temporale la
durata del rapporto negoziale, e ciò dunque
per un periodo limitato e necessario per
consentire la conclusione della nuova
procedura di selezione.
Le circostanze più sopra esposte nella parte
in fatto portano inoltre ad escludere ogni
intento elusivo dei ricordati divieti di
ricorso ad affidamenti diretti, avendo la
stazione appaltante indetto ben due distinte
procedure di affidamento nell’ambito di
pochi mesi, che non si sono concluse per
cause non imputabili alla stessa.
Lo stesso termine massimo di dodici mesi,
per quanto significativo, non pare inoltre
sproporzionato, ferma restando la sua
assoluta insuperabilità una volta giunto a
scadenza.
La ricorrente è peraltro civilisticamente
tenuta all’osservanza della detta clausola
contrattuale, contenuta negli atti di gara
ed espressamente accettata senza formulare
riserve e/o eccezioni.
Il Collegio condivide l’orientamento
restrittivo in materia assunto dalla
giurisprudenza e richiamato dal ricorrente,
secondo cui “anche nella materia del rinnovo
o della proroga dei contratti pubblici di
appalto non vi è spazio per l'autonomia
contrattuale delle parti, in relazione alla
normativa inderogabile stabilita dal
legislatore per ragioni di interesse
pubblico; al contrario, vige il principio in
forza del quale, salve espresse previsioni
dettate dalla legge in conformità della
normativa comunitaria, l'Amministrazione,
una volta scaduto il contratto, deve,
qualora abbia ancora la necessità di
avvalersi dello stesso tipo di prestazioni,
effettuare una nuova gara”; resta per questo
aspetto, tuttavia, da sottolineare che si
trattava di un principio formatosi su
fattispecie differenti da quella per cui è
causa, come ha statuito da ultimo il
Consiglio Stato Sez. V, 02.02.2010 n.
445, che ha affermato la sua applicabilità
con riferimento ad un “proroga” di un
contratto scaduto ed avente ad oggetto un
servizio di distribuzione automatica di
bevande e generi di conforto presso i
presidi e gli uffici di una A.S.L.,
disposta, anziché avvalendosi di una
previsione contrattuale ab origine inserita
nella lex specialis oggetto di affidamento,
a fronte dell'impegno della
controinteressata a realizzare un manufatto
atto ad ospitare gli impianti di
distribuzione delle bevande presso il
presidio ospedaliero: il che non ricorre nel
caso di specie
(TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 23.01.2012 n. 251 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Deve
darsi conto dell’orientamento
giurisprudenziale favorevole –in difetto di
esplicite previsioni escludenti in base alla
lex specialis– ad una valutazione
sostanzialistica della sussistenza delle
cause di esclusione, nella considerazione
che il primo comma dell’art. 38 del D.Lgs
163/2006 ricollega l’esclusione dalla gara
al dato sostanziale del mancato possesso dei
requisiti indicati, mentre il secondo comma
non prevede analoga sanzione per l’ipotesi
della mancata o non perspicua dichiarazione,
da cui discende che solo l’insussistenza, in
concreto, delle cause di esclusione previste
dall’art. 38 citato comporta, “ope legis”,
l’effetto espulsivo.
Quando il partecipante sia in possesso di
tutti i requisiti richiesti e la “lex
specialis” non preveda espressamente la
sanzione dell’esclusione a seguito della
mancata osservanza delle puntuali
prescrizioni sulle modalità e sull'oggetto
delle dichiarazioni da fornire, l’omissione
non produce alcun pregiudizio agli interessi
presidiati dalla norma, ricorrendo al più
un’ipotesi di “falso innocuo”, come tale non
suscettibile, in carenza di una espressa
previsione legislativa o della legge di
gara, a fondare l’esclusione, le cui ipotesi
sono tassative.
Deve peraltro darsi conto dell’orientamento
giurisprudenziale favorevole –in difetto di
esplicite previsioni escludenti in base alla
lex specialis– ad una valutazione
sostanzialistica della sussistenza delle
cause di esclusione, nella considerazione
che il primo comma dell’art. 38 del D.Lgs
163/2006 ricollega l’esclusione dalla gara
al dato sostanziale del mancato possesso dei
requisiti indicati, mentre il secondo comma
non prevede analoga sanzione per l’ipotesi
della mancata o non perspicua dichiarazione,
da cui discende che solo l’insussistenza, in
concreto, delle cause di esclusione previste
dall’art. 38 citato comporta, “ope legis”,
l’effetto espulsivo (cfr. Consiglio di
Stato, sez. V – 24/11/2011 n. 6240).
Quando il partecipante sia in possesso di
tutti i requisiti richiesti e la “lex
specialis” non preveda espressamente la
sanzione dell’esclusione a seguito della
mancata osservanza delle puntuali
prescrizioni sulle modalità e sull'oggetto
delle dichiarazioni da fornire, l’omissione
non produce alcun pregiudizio agli interessi
presidiati dalla norma, ricorrendo al più
un’ipotesi di “falso innocuo”, come
tale non suscettibile, in carenza di una
espressa previsione legislativa o della
legge di gara, a fondare l’esclusione, le
cui ipotesi sono tassative (TAR Lazio Roma,
sez. III – 31/12/2010 n. 39288; Consiglio di
Stato, sez. V – 24/03/2011 n. 1795, che
richiamano l’art. 45 della direttiva
2004/18/CE).
Nel caso che ci occupa, la dichiarazione di
... inserita nella busta n. 1 dei documenti
amministrativi –in quanto conforme al
prestampato predisposto dalla stazione
appaltante– era completa e corretta anche in
assenza della specificazione dei nominativi
per i quali il dichiarante si è comunque
assunto in proprio la responsabilità.
Peraltro è solo il caso di aggiungere –con
riguardo alle affermazioni rese “per
quanto a propria conoscenza”– che
contemplando fatti attribuibili a soggetti
diversi dall’autore delle dichiarazioni, è
lo stesso secondo comma dell’art. 47 del
D.P.R. 445/2000 che precisa: “La
dichiarazione resa nell’interesse proprio
del dichiarante può riguardare anche stati,
qualità personali e fatti relativi ad altri
soggetti di cui egli abbia diretta
conoscenza”: è quindi evidente che il
contenuto dell’asserzione resa con
riferimento a fatti di terzi è limitata
–anche sotto il profilo della responsabilità
in capo a chi la formula– a quanto rientra
nella sua diretta conoscenza (TAR Veneto,
sez. I – 19/03/2010 n. 867 confermata in
appello dal Consiglio di Stato, sez. V –
20/06/2011 n. 3686) (TAR
Lombardia-Brescia, Sez. II,
sentenza 23.01.2012 n. 99 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Dal
compendio delle norme enucleabili dall’art.
37 del D.Lgs. 163/2006 si desume che, quale
che sia il settore dell’appalto (lavori,
servizi, forniture), l’A.T.I. offerente deve
indicare sia le quote di partecipazione di
ciascun componente, sia le quote di
esecuzione dell’appalto, e vi deve essere
corrispondenza tra quota di partecipazione e
quota di esecuzione: tale obbligo di duplice
indicazione è espressione di un principio
generale che prescinde dall’assoggettamento
della gara alla disciplina comunitaria e non
consente distinzioni legate alla morfologia
del raggruppamento (verticale o
orizzontale), o alla tipologia delle
prestazioni, principali o secondarie,
scorporabili o unitarie.
In particolare l’art. 37, comma 13, del
D.Lgs 163/2006 –con disposizione valida
anche per gli appalti di servizi e
forniture– stabilisce che i concorrenti
riuniti in ATI devono eseguire le
prestazioni nella percentuale corrispondente
alla quota di partecipazione al
raggruppamento, per cui è evidente che deve
sussistere una perfetta corrispondenza tra
quota di lavori (o, nel caso di forniture o
servizi, di parti di esse) eseguita dal
singolo operatore economico e quota di
effettiva partecipazione al raggruppamento,
e che vi è la necessità che sia l’una che
l’altra siano specificate dai componenti del
raggruppamento all’atto della partecipazione
alla gara. In questo senso si è espresso il
Consiglio di Stato, sez. III – 11/05/2011 n.
2804, puntualizzando che:
• a fini di garanzia di effettività della
disposizione lo stesso art. 37, al comma 4,
statuisce che nel caso di servizi o
forniture (alle quali ultime si riferisce
appunto la gara all’esame) devono essere
specificate le parti del servizio o della
fornitura che saranno eseguite dai singoli
operatori economici riuniti o consorziati;
• l’indicazione delle stesse si rivela
dunque requisito di ammissione alla gara e
deve quindi provvedersi a tale incombente
nella domanda di partecipazione alla gara
(valendo anche per le A.T.I. costituende,
che sono tenute a fornire l’indicazione già
nella fase di ammissione alla gara, e dunque
prima dell’aggiudicazione) e non in sede di
esecuzione del contratto;
• l’obbligo di specificazione in esame trova
la sua ratio nella necessità di assicurare
alle amministrazioni aggiudicatrici la
conoscenza preventiva del soggetto che in
concreto eseguirà la fornitura, non solo per
consentire una maggiore speditezza nella
fase di esecuzione del contratto, ma anche
per rendere edotta l’amministrazione
procedente dell’impresa che eseguirà le
varie parti dell’appalto e dei requisiti per
realizzarle a regola d’arte, così da
permettere la previa verifica sulla
competenza tecnica dell’esecutore ed evitare
che le imprese si avvalgano del
raggruppamento non per unire le rispettive
disponibilità tecniche e finanziarie, ma per
aggirare le norme d’ammissione alle gare;
• trattandosi di norma di rilievo
pubblicistico di chiara natura imperativa,
che è volta a porre la stazione appaltante
nelle migliori condizioni per verificare i
requisiti di tutti i soggetti partecipanti
alle procedure di evidenza pubblica, la sua
cogenza è piena a prescindere da un
necessario richiamo negli atti di gara e
dall’esistenza di una sanzione espressa di
esclusione posta a presidio del rispetto
della norma.
Secondo il
giudice d’appello la questione sottoposta al
Collegio è risolta nel senso che dal
compendio delle norme enucleabili dall’art.
37 del D.Lgs. 163/2006 si desume che, quale
che sia il settore dell’appalto (lavori,
servizi, forniture), l’A.T.I. offerente deve
indicare sia le quote di partecipazione di
ciascun componente, sia le quote di
esecuzione dell’appalto, e vi deve essere
corrispondenza tra quota di partecipazione e
quota di esecuzione (Consiglio di Stato,
sez. IV – 27/11/2010 n. 8253): tale obbligo
di duplice indicazione è espressione di un
principio generale che prescinde
dall’assoggettamento della gara alla
disciplina comunitaria e non consente
distinzioni legate alla morfologia del
raggruppamento (verticale o orizzontale), o
alla tipologia delle prestazioni, principali
o secondarie, scorporabili o unitarie
(Consiglio di Stato, sez. III – 15/07/2011
n. 4323; sez. V – 8/11/2011 n. 5892, che ha
dato conto del consolidarsi dell’indirizzo
giurisprudenziale ed ha disatteso la
richiesta di rimessione dell’affare
all’adunanza plenaria).
In particolare l’art. 37, comma 13, del D.Lgs
163/2006 –con disposizione valida anche per
gli appalti di servizi e forniture–
stabilisce che i concorrenti riuniti in ATI
devono eseguire le prestazioni nella
percentuale corrispondente alla quota di
partecipazione al raggruppamento, per cui è
evidente che deve sussistere una perfetta
corrispondenza tra quota di lavori (o, nel
caso di forniture o servizi, di parti di
esse) eseguita dal singolo operatore
economico e quota di effettiva
partecipazione al raggruppamento, e che vi è
la necessità che sia l’una che l’altra siano
specificate dai componenti del
raggruppamento all’atto della partecipazione
alla gara. In questo senso si è espresso il
Consiglio di Stato, sez. III – 11/05/2011 n.
2804, puntualizzando che:
• a fini di garanzia di effettività della
disposizione lo stesso art. 37, al comma 4,
statuisce che nel caso di servizi o
forniture (alle quali ultime si riferisce
appunto la gara all’esame) devono essere
specificate le parti del servizio o della
fornitura che saranno eseguite dai singoli
operatori economici riuniti o consorziati;
• l’indicazione delle stesse si rivela
dunque requisito di ammissione alla gara e
deve quindi provvedersi a tale incombente
nella domanda di partecipazione alla gara
(valendo anche per le A.T.I. costituende,
che sono tenute a fornire l’indicazione già
nella fase di ammissione alla gara, e dunque
prima dell’aggiudicazione) e non in sede di
esecuzione del contratto;
• l’obbligo di specificazione in esame trova
la sua ratio nella necessità di
assicurare alle amministrazioni
aggiudicatrici la conoscenza preventiva del
soggetto che in concreto eseguirà la
fornitura, non solo per consentire una
maggiore speditezza nella fase di esecuzione
del contratto, ma anche per rendere edotta
l’amministrazione procedente dell’impresa
che eseguirà le varie parti dell’appalto e
dei requisiti per realizzarle a regola
d’arte (cfr. Consiglio di Stato, sez. V –
08/09/2010 n. 6490), così da permettere la
previa verifica sulla competenza tecnica
dell’esecutore ed evitare che le imprese si
avvalgano del raggruppamento non per unire
le rispettive disponibilità tecniche e
finanziarie, ma per aggirare le norme
d’ammissione alle gare;
• trattandosi di norma di rilievo
pubblicistico di chiara natura imperativa,
che è volta a porre la stazione appaltante
nelle migliori condizioni per verificare i
requisiti di tutti i soggetti partecipanti
alle procedure di evidenza pubblica, la sua
cogenza è piena a prescindere da un
necessario richiamo negli atti di gara e
dall’esistenza di una sanzione espressa di
esclusione posta a presidio del rispetto
della norma.
La chiara disposizione dettata, per gli
appalti di servizi, dal comma 4 dello stesso
articolo 37 –secondo cui “nel caso di
forniture o servizi nell'offerta devono
essere specificate le parti del servizio o
della fornitura che saranno eseguite dai
singoli operatori economici riuniti o
consorziati”– non può determinare la non
applicazione anche del successivo comma 13
dello stesso articolo: le due disposizioni
non sono infatti incompatibili e quella
dettata dal comma 4 costituisce (anche) una
garanzia di effettività della disposizione
di cui al comma 13 (Consiglio di Stato, sez.
III – 15/07/2011 n. 4323).
L’ATI dichiarata vincitrice ha soddisfatto
soltanto parzialmente il descritto obbligo,
limitandosi a dare conto della ripartizione
dei prodotti oggetto di fornitura e
dell’elenco delle prestazioni svolte da
ciascuna impresa (cfr. doc. 6 e 7
controinteressata), senza puntualizzare le
quote di partecipazione al raggruppamento,
così da impedire il confronto con le quote
di esecuzione della fornitura e con il
possesso dei requisiti tecnico-economici.
Detta omissione non sembra sanabile con
l’esternazione dell’effettiva parte di
forniture da espletare a cura di ciascun
componente, posto che soltanto la formale
determinazione della frazione percentuale di
adesione è idonea a far sorgere il vincolo
ad eseguire l’appalto in un determinato e
non modificabile assetto, mentre in caso
contrario è impossibile stabilire
l’equipollenza tra la spendita dei requisiti
di qualificazione e la formale indicazione,
ad opera dei relativi componenti, delle
quote di partecipazione al raggruppamento
(Consiglio di Stato, sez. IV – 27/11/2010 n.
8253) (TAR
Lombardia-Brescia, Sez. II,
sentenza 23.01.2012 n. 99 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Deve essere considerato
“intervento di nuova costruzione”
l’installazione di un manufatto o di
struttura di qualsiasi genere (anche
roulottes, campers, case mobili o
imbarcazioni) che non siano diretti a
soddisfare esigenze meramente temporanee; e
non può ritenersi funzionale ad esigenze di
tal sorta l’installazione di una voluminosa
copertura in PVC, specie ove destinata
all’esercizio di un’attività commerciale, in
quanto tale ontologicamente preordinata a
soddisfare interessi non precari.
In particolare, è nuova opera -e pertanto i
relativi interventi soggiacciono a permesso
di costruire- la realizzazione di una
stazione di autolavaggio poiché, sebbene
priva di fondamenta, consiste in strutture
stabilmente infisse al suolo e destinate al
soddisfacimento di interessi “non
temporanei”.
L’indiscussa qualificazione di “nuova opera”
dell’autolavaggio autorizzato comporta la
fondatezza sia del primo motivo di gravame
che del secondo motivo, dovendo trovare
applicazione anche le disposizioni sulle
distanze.
Alla luce della più recente giurisprudenza
condivisa da questo Collegio, deve essere
considerato “intervento di nuova
costruzione” l’installazione di un
manufatto o di struttura di qualsiasi genere
(anche roulottes, campers, case mobili o
imbarcazioni) che non siano diretti a
soddisfare esigenze meramente temporanee; e
non può ritenersi funzionale ad esigenze di
tal sorta l’installazione di una voluminosa
copertura in PVC, specie ove destinata
all’esercizio di un’attività commerciale, in
quanto tale ontologicamente preordinata a
soddisfare interessi non precari.
In particolare, è nuova opera -e pertanto i
relativi interventi soggiacciono a permesso
di costruire- la realizzazione di una
stazione di autolavaggio poiché, sebbene
priva di fondamenta, consiste in strutture
stabilmente infisse al suolo e destinate al
soddisfacimento di interessi “non
temporanei” (cfr. in termini C.d.S.,
Sez. VI, 16.02.2011, n. 986 e 22.10.2008, n.
5191).
L’indiscussa qualificazione di “nuova
opera” dell’autolavaggio autorizzato
comporta la fondatezza sia del primo motivo
di gravame che del secondo motivo, dovendo
trovare applicazione anche le disposizioni
sulle distanze. E la contro interessata non
contesta affatto l’ubicazione del telone
lamentata dal ricorrente (si ribadisce, a 50
cm. dal suo affaccio).
Senza trascurare che altrettanto
indiscutibilmente l’autolavaggio comporta
emissione di rumori ed esalazioni di gas di
scarico delle autovetture che vi accedono
certamente poco conciliabili con
l’ubicazione all’interno di un fabbricato in
massima parte destinato ad abitazione. Una
simile vicinanza ad unità abitative si pone
in contrasto con il buon senso prima ancora
che con le disposizioni regolamentari
comunali
(TAR Puglia-Bari, Sez. II,
sentenza 20.01.2012 n. 215 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI FORNITURE E SERVIZI:
Appalti pubblici di servizi e forniture:
obbligo di indicazione di tutti i costi
relativi alla sicurezza.
Con
sentenza
19.01.2012 n. 212, il
Consiglio di Stato, Sez. III, ha chiarito
che gli oneri di sicurezza –sia nel
comparto dei lavori che in quelli dei
servizi e delle forniture– devono essere
distinti tra oneri, non soggetti a ribasso,
finalizzati all’eliminazione dei rischi da
interferenze ed oneri concernenti i costi
specifici connessi con l’attività delle
imprese che devono essere indicati, dalle
stesse imprese partecipanti, nelle
rispettive offerte.
Con questa decisione, i giudici della III
sezione hanno confermato la sentenza del
TAR Roma che, in accoglimento del ricorso
incidentale, aveva dichiarato improcedibile
il ricorso principale dell’impresa
ricorrente, per aver indicato, in sede di
offerta, solo i costi di sicurezza relativi
alle interferenze.
Sul punto i giudici hanno così deciso “In
proposito si deve ricordare che, come
affermato di recente da questa Sezione (con
le sentenze n. 5421 del 03.10.2011 e n.
4330 del 15.07.2011), l’art. 86, comma 3-bis, e l’art. 87, comma 4, del Codice dei
Contratti Pubblici impongono, anche per gli
appalti di servizi e forniture, la specifica
indicazione nell’offerta economica di tutti
i costi relativi alla sicurezza.
In particolare gli oneri della sicurezza –sia nel comparto dei lavori che in quelli
dei servizi e delle forniture– devono
essere distinti tra oneri, non soggetti a
ribasso, finalizzati all’eliminazione dei
rischi da interferenze (che devono essere
quantificati dalla stazione appaltante nel DUVRI) ed oneri concernenti i costi
specifici connessi con l’attività delle
imprese che devono essere indicati dalle
stesse nelle rispettive offerte, con il
conseguente onere per la stazione appaltante
di valutarne la congruità (anche al di fuori
del procedimento di verifica delle offerte
anomale) rispetto all’entità ed alle
caratteristiche del lavoro, servizio o
fornitura.
L’art. 86, comma 3-bis, e l’art. 87, comma
4, del d.lgs. n. 163 del 2006 impongono
pertanto la specifica stima ed indicazione
di tutti i costi relativi alla sicurezza,
tanto nella fase della "predisposizione
delle gare di appalto" (e quindi nella
predisposizione della documentazione di
gara) quanto nella fase della formulazione
dell’offerta economica.[…]
Ciò significa che, negli atti di gara,
devono essere specificamente indicati,
separatamente dall’importo dell’appalto
posto a base d’asta, i costi relativi alla
sicurezza derivanti dalla valutazione delle
interferenze, per i quali è precluso
qualsiasi ribasso (art. 86, comma 3-bis e
comma 3-ter, del d.lgs. n. 163/2006),
trattandosi di costi ritenuti necessari per
la tutela dei soggetti interessati. Gli atti
di gara devono poi prevedere che,
nell’offerta economica, siano indicati gli
altri oneri per la sicurezza (da rischio
specifico) che sono variabili perché legati
all’offerta economica delle imprese
partecipanti alla gara”.
Quindi, anche negli appalti di servizi e
forniture, al momento dell’offerta, le
imprese partecipanti devono indicare, oltre
agli oneri di sicurezza per le interferenze
(nella misura indicata dalla stazione
appaltante), anche gli oneri di sicurezza da
rischio specifico (o aziendali) la cui
misura può variare in relazione al contenuto
dell’offerta economica (commento tratto da
www.professioni-imprese24.ilsole24ore.com -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: In
tema di contratti pubblici la possibilità
che ad un’aggiudicazione provvisoria non
segua quella definitiva del contratto di
appalto è un evento del tutto fisiologico,
disciplinato dagli artt. 11, comma 11, 12 e
48, comma 2, del d.lgs. n. 163 del 2006,
inidoneo di per sé a ingenerare qualunque
affidamento tutelabile con conseguente
obbligo risarcitorio, qualora non sussista
nessuna illegittimità nell’operato della p.a..
Giusta la giurisprudenza di questo Consiglio
(Cons. St., sez. VI, 27.07.2010, n. 4902;
Cons. St., VI, 17.03.2010, n. 1554;
Consiglio Stato, sez. V, 15.02.2010, n. 808)
in tema di contratti pubblici la possibilità
che ad un’aggiudicazione provvisoria non
segua quella definitiva del contratto di
appalto è un evento del tutto fisiologico,
disciplinato dagli artt. 11, comma 11, 12 e
48, comma 2, del d.lgs. n. 163 del 2006,
inidoneo di per sé a ingenerare qualunque
affidamento tutelabile con conseguente
obbligo risarcitorio, qualora non sussista,
come nella specie, nessuna illegittimità
nell’operato della p.a.
(Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 19.01.2012 n. 195 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Gli
interventi consistenti nella installazione
di tettoie o di altre strutture che siano
comunque apposte a parti di preesistenti
edifici come strutture accessorie di
protezione o di riparo di spazi liberi, cioè
non compresi entro coperture volumetriche
previste in un progetto assentito, possono
ritenersi sottratti al regime del permesso
di costruire soltanto ove la loro
conformazione e le loro ridotte dimensioni
rendono evidente e riconoscibile la loro
finalità di semplice decoro o arredo o di
riparo e protezione (anche da agenti
atmosferici) della parte dell'immobile cui
accedono.
Tali strutture non possono viceversa
ritenersi installabili senza permesso di
costruire allorquando le loro dimensioni
sono di entità tale da arrecare una visibile
alterazione all'edificio o alle parti dello
stesso su cui vengono inserite, quando
quindi per la loro consistenza dimensionale
non possono più ritenersi assorbite, ovvero
ricomprese in ragione della accessorietà,
nell'edificio principale o nella parte dello
stesso cui accedono.
Utilizzando tali criteri anche la
realizzazione di una tettoia (di non
irrilevante consistenza dimensionale)
ancorata al suolo costituisce opera idonea
ad alterare lo stato dei luoghi e a
trasformare il territorio permanentemente e
perciò richiede il rilascio di un permesso
di costruire.
La nozione di costruzione, ai fini del
rilascio del permesso di costruire, si
configura in presenza di opere che attuino
una trasformazione urbanistico-edilizia del
territorio, con perdurante modifica dello
stato dei luoghi, a prescindere dal fatto
che essa avvenga mediante realizzazione di
opere murarie, essendo irrilevante che le
opere siano state realizzate in metallo, in
laminati di plastica, in legno o altro
materiale, ove si sia in presenza di
un'evidente trasformazione del tessuto
urbanistico ed edilizio e le opere siano
preordinate a soddisfare esigenze non
precarie sotto il profilo funzionale. In
altri termini, rilevano non soltanto gli
elementi strutturali (composizione dei
materiali, smontabilità o meno del
manufatto) ma anche i profili funzionali
dell'opera.
---------------
L'ordine di demolizione di opere abusive è
un atto dovuto in presenza di opere
realizzate senza alcun titolo abilitativo e
quindi abusivamente e non necessita di
particolare motivazione sull'interesse
pubblico o sulla eventuale sanabilità delle
opere.
-------------
La nozione di pertinenza, in materia
edilizia, è più ristretta di quella
civilistica ed è riferibile ai soli
manufatti di dimensioni tanto modeste e
ridotte rispetto alla cosa cui ineriscono da
potersi considerare sostanzialmente
irrilevanti sotto il profilo edilizio.
Non può, invece, attribuirsi carattere
pertinenziale ai fini edilizi ad opere di
rilevante consistenza anche se destinate al
servizio od ornamento del bene principale.
Si deve ricordare che, per giurisprudenza
costante di questo Tribunale (fra le più
recenti: TAR Campania Napoli, sez. II, n.
3870 del 13.07.2009, n. 492 del 29.01.2009;
TAR Campania Napoli, Sez. IV, n. 19754 del
18.11.2008; TAR Campania Napoli, sez. III,
n. 10059 del 09.09.2008), gli interventi
consistenti nella installazione di tettoie o
di altre strutture che siano comunque
apposte a parti di preesistenti edifici come
strutture accessorie di protezione o di
riparo di spazi liberi, cioè non compresi
entro coperture volumetriche previste in un
progetto assentito, possono ritenersi
sottratti al regime del permesso di
costruire soltanto ove la loro conformazione
e le loro ridotte dimensioni rendono
evidente e riconoscibile la loro finalità di
semplice decoro o arredo o di riparo e
protezione (anche da agenti atmosferici)
della parte dell'immobile cui accedono.
Tali strutture non possono viceversa
ritenersi installabili senza permesso di
costruire allorquando le loro dimensioni
sono di entità tale da arrecare una visibile
alterazione all'edificio o alle parti dello
stesso su cui vengono inserite, quando
quindi per la loro consistenza dimensionale
non possono più ritenersi assorbite, ovvero
ricomprese in ragione della accessorietà,
nell'edificio principale o nella parte dello
stesso cui accedono (in termini TAR Campania
Napoli, sez. II, n. 3870 del 13.07.2009
cit., TAR Campania Napoli, Sez. IV, n. 19754
del 18.11.2008 cit., Consiglio di Stato,
Sez. V, 13.03.2001 n. 1442).
Utilizzando tali criteri anche la
realizzazione di una tettoia (di non
irrilevante consistenza dimensionale)
ancorata al suolo costituisce opera idonea
ad alterare lo stato dei luoghi e a
trasformare il territorio permanentemente e
perciò richiede il rilascio di un permesso
di costruire (TAR Piemonte Torino, sez. I,
16.03.2009, n. 752).
Del resto, è noto che la nozione di
costruzione, ai fini del rilascio del
permesso di costruire, si configura in
presenza di opere che attuino una
trasformazione urbanistico-edilizia del
territorio, con perdurante modifica dello
stato dei luoghi, a prescindere dal fatto
che essa avvenga mediante realizzazione di
opere murarie, essendo irrilevante che le
opere siano state realizzate in metallo, in
laminati di plastica, in legno o altro
materiale, ove si sia in presenza di
un'evidente trasformazione del tessuto
urbanistico ed edilizio e le opere siano
preordinate a soddisfare esigenze non
precarie sotto il profilo funzionale (TAR
Campania Napoli, sez. II, 26.09.2008, n.
11309; Consiglio Stato, Sez. IV, n. 2705 del
2008). In altri termini, rilevano non
soltanto gli elementi strutturali
(composizione dei materiali, smontabilità o
meno del manufatto) ma anche i profili
funzionali dell'opera (cfr. TAR Lazio, Roma,
Sez. I-quater, n. 11679 del 23.11.2007).
Applicando tali principi al caso in esame si
deve ritenere che la tettoia oggetto del
provvedimento impugnato, realizzata con
orditura in legno e sovrastante manto di
perline e tegole poggiante da una parte
sulle staffe in ferro infisse alla parete
del fabbricato preesistente e dall’altra
parte su tre pilastri in muratura, non possa
ritenersi irrilevante sotto il profilo
edilizio per la sua tipologia (muratura e
struttura non leggera), per la sua
dimensione (22 mq.), perché suscettibile di
autonoma utilizzazione e perché ha
determinato una non irrilevante alterazione
dello stato dei luoghi, con la conseguenza
che per l'installazione di tale struttura
era necessario il permesso di costruire (e
non una semplice DIA), con l'ulteriore
conseguenza che la realizzazione della
stessa in assenza del titolo dovuto ne ha
determinato l'abusività e quindi
l'irrogazione della prevista sanzione
ripristinatoria (art. 31 del DPR n. 380 del
2001).
Del resto l'ordine di demolizione di opere
abusive è un atto dovuto in presenza di
opere realizzate senza alcun titolo
abilitativo e quindi abusivamente
(giurisprudenza costante anche di questa
Sezione, Consiglio di Stato, sez. VI n. 4743
del 28.06.2004) e non necessita di
particolare motivazione sull'interesse
pubblico o sulla eventuale sanabilità delle
opere.
Si deve aggiungere che risulta irrilevante
(ai fini della legittimità edilizia) la -per
la verità indimostrata- destinazione
pertinenziale della tettoia.
Per principio pacifico infatti la nozione di
pertinenza, in materia edilizia, è più
ristretta di quella civilistica ed è
riferibile ai soli manufatti di dimensioni
tanto modeste e ridotte rispetto alla cosa
cui ineriscono da potersi considerare
sostanzialmente irrilevanti sotto il profilo
edilizio.
Non può, invece, attribuirsi carattere
pertinenziale ai fini edilizi ad opere di
rilevante consistenza anche se destinate al
servizio od ornamento del bene principale
(fra le tante, TAR Lombardia Milano, sez. II,
17.06.2008, n. 2045).
Insomma, la struttura oggetto del
provvedimento impugnato per la sua tipologia
e dimensione doveva essere realizzata con un
permesso di costruire e la mancanza di tale
titolo ha determinato l'abusività dell'opera
e la conseguente irrogazione della prevista
sanzione ripristinatoria (mentre la sanzione
pecuniaria è prevista per le opere
realizzate in assenza della DIA)
(TAR Campania-Salerno, Sez. I,
sentenza 19.01.2012 n. 64 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Ai
sensi dell’art. 53, comma 4-bis, del D.Lgs. n. 507 del 1993, come
modificato dalla legge n. 127 del 1997,
l’Amministrazione Comunale ha la possibilità
di procedere alla rimozione d’ufficio di
manufatti non autorizzati (impianti
pubblicitari) senza previa
diffida.
Con il ricorso in esame la società odierna
ricorrente si duole dell’avvenuta rimozione
di numerosi impianti pubblicitari dalla
stessa posseduti, lamentando la mancanza di
preavviso e l’assenza della notifica delle
determinazioni con cui tali rimozioni sono
state disposte e dei verbali di accertamento
cui le stesse fanno riferimento, in asserita
violazione dell’art. 28 del Regolamento
AA.PP. del Comune di Roma e della delibera
consiliare del Comune di Roma n. 254 del
1995, stante l’avvenuta presentazione di
istanza volta ad avvalersi della procedura
di riordino.
Il ricorso non merita favorevole esame.
Premesso che la rimozione degli impianti
della ricorrente è stata effettuata sulla
base delle gravate determinazioni
dirigenziali le quali, nel richiamare il
relativo verbale di accertamento dei Vigili
Urbani ove si riferisce la mancanza di
autorizzazione, hanno disposto di procedere
all’immediata rimozione e demolizione
d’ufficio di tali impianti, rileva il
Collegio che ai sensi dell’art. 53, comma
4-bis, del D.Lgs. n. 507 del 1993, come
modificato dalla legge n. 127 del 1997,
l’Amministrazione Comunale ha la possibilità
di procedere alla rimozione d’ufficio di
manufatti non autorizzati senza previa
diffida.
Trattasi di norma derogatoria rispetto al
procedimento dettato dall’art. 28 del
Regolamento AA.PP. invocato da parte
ricorrente, la quale costituisce il
parametro normativo su cui poggiano le
gravate determinazioni, che allo stesso
fanno espresso richiamo.
Deve ulteriormente rilevarsi che con
ordinanza sindacale n. 7 del 10.07.1997
–anch’esso richiamato nelle gravate
delibere- è stato disposto di dare
applicazione alla citata norma di cui
all’art. 53, comma 4-bis, procedendo
all’immediata rimozione e demolizione
d’ufficio di impianti pubblicitari abusivi
che occupano spazi e aree comunali.
In ragione del descritto quadro di
riferimento, cui si inscrivono le gravate
determinazioni dirigenziali e le conseguenti
rimozioni degli impianti pubblicitari della
ricorrente, devono quindi essere disattese
le censure con cui parte ricorrente lamenta
la mancata notifica delle determinazioni,
dei verbali di accertamento ed il mancato
avviso dell’avvio del procedimento,
trattandosi di adempimenti non previsti
dalla normativa speciale che privilegia la
celerità della rimozione degli impianti
abusivi, non potendo trovare applicazione,
conseguentemente, l’invocato art. 28 del
Regolamento AA.PP.
Peraltro, deve osservarsi che la
notificazione dei verbali di accertamento
costituisce il presupposto per l’irrogazione
della sanzione pecuniaria e non della
rimozione, mentre, sulla base della
documentazione versata al fascicolo di causa
a cura della resistente Amministrazione,
risulta che tali verbali di accertamento
siano stati notificati alla società
ricorrente.
Quanto al profilo di censura con cui parte
ricorrente lamenta l’illegittimità dei
gravati atti stante la pendenza della
procedura di riordino con riferimento agli
impianti demoliti, con conseguente affermata
necessità di sospensione dell’applicazione
delle sanzioni amministrative accessorie,
osserva il Collegio come parte ricorrente
non abbia in alcun modo comprovato tale
circostanza.
Inoltre, sulla base della documentazione
depositata dalla resistente Amministrazione,
gli impianti sanzionati non risultano
corrispondenti a quelli cui si riferiscono
le autodenunce di parte ricorrente, la quale
non ha in alcun modo efficacemente confutato
tale circostanza, né risulta l’esistenza di
autorizzazioni riferite a tali impianti,
meramente affermata ma non comprovata da
parte ricorrente.
Ne discende che con riferimento agli
impianti in questione, in quanto non
autorizzati né oggetto di richiesta di
riordino, non risulta applicabile la
sanatoria prevista nell’ambito della
procedura di cui alla delibera consiliare
del Comune di Roma n. 254 del 1995.
Pertanto gli impianti, in quanto abusivi,
sono stati legittimamente rimossi
dall’Amministrazione in corretta
applicazione della citata norma di cui
all’art. 53, comma 4-bis, senza necessità di
preavviso, né agli stessi può ritenersi
applicabile la sospensione dell’applicazione
delle sanzioni amministrative accessorie.
Nelle considerazioni che precedono
risiedono, inoltre, le ragioni
dell’infondatezza della censura con cui
parte ricorrente lamenta la violazione delle
indicazioni recate dalla Circolare del
Comando della Polizia Municipale di Roma n.
72 del 25.07.1998 che impongono, prima
dell’adozione di provvedimenti repressivi,
di sollecitare presso il competente Servizio
la definizione dell’istanza di riordino
(TAR Lazio-Roma, Sez. II,
sentenza 18.01.2012 n. 577 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
La segnalazione all'Autorità di
Vigilanza sui contratti pubblici non deve
essere limitata alla mancanza dei requisiti
indicati nell'art. 48 D.lgs. 163/2006.
La segnalazione all'Autorità di Vigilanza
sui contratti pubblici, secondo
l'orientamento maggioritario della
giurisprudenza è nel senso che non deve
essere limitata alla mancanza dei requisiti
indicati nell'art. 48 D.lgs. 163/2006
essendo ragionevole ritenere che debbano
essere segnalati all'Autorità di vigilanza
tutte le false dichiarazioni rese in sede di
gara anche per consentirgli di esercitare i
poteri che gli attribuisce l'art. 6, c. 11,
D.lgs. 163/2006 (TAR Lombardia-Milano, Sez.
IV,
sentenza 17.01.2012 n. 173 - link
a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
L'obbligo (illegittimo) fissato
da un bando di gara di produrre il DURC va
ritenuto assorbito dalla generica
dichiarazione di essere in regola con le
norme in materia di contributi previdenziali
ed assistenziali.
Sulla validità ai fini della partecipazione
ad una gara di un DURC con l'apposizione,
con riferimento all'Inps, della dicitura
"non si è pronunciato".
L'art. 16-bis, c. 10, d.l. n. 185/2008, così
come modificato dalla legge di conversione
n. 2/2009, stabilisce che le stazioni
appaltanti acquisiscono d'ufficio il DURC,
anche attraverso gli strumenti informatici,
dagli istituti o dagli enti abilitati al
rilascio in tutti i casi in cui è richiesto
dalla legge. Muovendo da tale presupposto,
la giurisprudenza ha chiarito che, ai sensi
dell'art. 16-bis, c. 10, d.l. 29.11.2008 n.
185, conv. nella l. 28.01.2009 n. 2, il
procedimento di rilascio del DURC è stato
semplificato attraverso l'introduzione
dell'obbligo in capo alle stazioni
appaltanti pubbliche di acquisirlo
d'ufficio, anche attraverso strumenti
informatici, dagli istituti o dagli enti
abilitati al rilascio in tutti i casi in cui
è richiesto dalla legge, sicché l'obbligo
(illegittimo) fissato dal bando di gara di
produrre il d.u.r.c. va ritenuto assorbito
dalla generica dichiarazione di essere in
regola con le norme in materia di contributi
previdenziali ed assistenziali, ferma
restando la richiamata acquisizione
d'ufficio che la stazione appaltante potrà
disporre.
L'indicazione contenuta nel DURC "non si
è pronunciato" è coerente con la
previsione della procedura prevista
nell'ipotesi in cui sia decorso il termine
di 30 giorni senza alcuna pronuncia da parte
dell' Inps: infatti, il termine massimo per
il rilascio del DURC (cfr. Circolare INPS n.
51/2008) è di 30 giorni. Ai sensi, poi,
dell'art. 6, c. 3, del Decreto Ministero del
Lavoro e della Previdenza Sociale del
24.10.2007, il decorso dei 30 giorni è
sospeso per un termine non superiore a 15
giorni per consentire la regolarizzazione
della situazione debitoria, quando venga
accertata una situazione di irregolarità ("Preavviso
di accertamento negativo"). Nel caso in
cui decorra il termine di trenta giorni
senza pronuncia da parte degli Istituti
previdenziali si forma, relativamente alla
regolarità nei confronti di questi ultimi,
il cosiddetto silenzio assenso (cfr.
Circolare Ministero del Lavoro n. 5 del
2008) (Tar Sicilia-Catania, Sez. III,
sentenza 16.01.2012 n. 116 - link
a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
VARI: È
reato non spostare l'auto che blocca
l'entrata in garage.
Risponde penalmente chi si ostina a
mantenere parcheggiato il proprio veicolo
irregolarmente davanti a un garage altrui
impedendo di fatto all'utente di entrare in
casa.
Lo ha evidenziato la Corte di
Cassazione, Sez. IV penale, con la sentenza
12.01.2012 n. 603.
Un utente
stradale ha parcheggiato il proprio mezzo in
maniera maldestra impedendo di fatto il
passaggio a un condomino intenzionato a
entrare nel garage.
Nonostante la richiesta espressa di
rimozione dell'ostacolo l'automobilista
maldestro ha mantenuto dolosamente
l'ostacolo e per questo il condomino
antagonista si è rivolto alla polizia.
Contro la conseguente condanna per il reato
di violenza privata l'interessato ha
proposto ricorso in Cassazione ma senza
successo. È certamente penalmente sanzionato
il comportamento di chi parcheggia un
veicolo con l'intenzione di impedire
l'uscita di terze persone, nonostante
l'esplicita richiesta in tal senso.
Ma resta penale, conclude il collegio, anche
solo il mantenimento dell'ingombro con il
proprio veicolo nonostante la richiesta
espressa correttamente effettuata da parte
dell'interessato di rimozione del mezzo
(articolo ItaliaOggi del 26.01.2012). |
EDILIZIA PRIVATA: Gli
edifici per servizi religiosi sono da
annoverare tra le opere di urbanizzazione
secondaria ai sensi dell’art. 4, 2° comma,
lettera ‘e’, della legge 18.04.1962 n. 167,
così come modificato dall’art. 44 della
legge 22.10.1971 n. 865.
Pertanto, è illegittimo il provvedimento
adottato dal Consiglio comunale con il quale
si è esclusa la Congregazione Cristiana dei
Testimoni di Geova dalla concessione del
contributo previsto e disciplinato dalla L.
09.03.1990 n. 27 della Regione Lazio.
... per l'annullamento del provvedimento
adottato dal Consiglio comunale del Comune
di Guidonia Montecelio in data 28.02.1997,
deliberazione n. 9, comunicato con nota prot.
n. 5799 del 03.04.1997, con cui
l’Amministrazione ha escluso la
Congregazione Cristiana dei Testimoni di
Geova dalla concessione del contributo
previsto e disciplinato dalla L. 09.03.1990
n. 27 della Regione Lazio.
...
RITENUTO
che l’assorbente profilo di doglianza
dedotto con il primo motivo di gravame
meriti condivisione, in quanto:
a) tanto l’art. 4 della L. n. 847 del 1964,
che l’art. 4, comma 2°, della L. 18.04.1962
n. 167 inseriscono le “chiese ed altri
edifici religiosi” fra le “opere di
urbanizzazione secondaria”;
b) l’art. 2 della L. Reg. Lazio n. 27 del
1990 stabilisce -ancor più specificamente-
che gli edifici e le attrezzature di comune
interesse religioso devono essere
considerate quali opere di urbanizzazione
secondaria destinate alle provvidenze di
legge;
c) la giurisprudenza amministrativa afferma
che “gli edifici per servizi religiosi
sono da annoverare tra le opere di
urbanizzazione secondaria ai sensi dell’art.
4, 2° comma, lettera ‘e’, della legge
18.04.1962 n. 167, così come modificato
dall’art. 44 della legge 22.10.1971 n. 865”
(CS, V^, 01.06.1992 n. 489) (TAR
Lazio-Roma, Sez. II,
sentenza 10.01.2012 n. 192 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Sull'istituto
del certificato di agibilità.
... sotto il profilo giuridico va
evidenziato che:
A) l’art. 4 del D.P.R. 22.04.1994 n. 425
ebbe a prevedere che per utilizzare un
edificio fosse necessario ottenere il
certificato di agibilità il cui rilascio da
parte del sindaco era condizionato alla
presentazione di una serie di documenti
idonei ad attestare la sussistenza di
determinati standards minimi di salubrità.
Nel contempo l’art. 5 di detto testo
normativo abrogava l’art. 221, primo comma,
del regio decreto 27.07.1934 n. 1265
relativamente alla disciplina del
procedimento per il rilascio del
certificato.
L’intervento normativo in esame
ha modificato in termini sostanziali
l’istituto dell’agibilità, mutando la
denominazione dell’atto da “autorizzazione”
amministrativa a “certificato”,
semplificando il procedimento di rilascio,
e, soprattutto, estendendo l’ambito di
valutazione ad interessi diversi e ulteriori
rispetto a quelli connaturati alla tutela di
carattere meramente sanitario; in altri
termini, al concetto di agibilità si è
andato sostituendo quello di “vivibilità”
della costruzione, che inerisce ad una
condizione dell’abitare complessivamente
rispettosa della dignità dell’individuo;
B) successivamente gli articoli da 24 a 26
del D.P.R. 06.06.2001 n. 380 hanno
fissato la disciplina attualmente vigente.
Anzitutto –per come è ricordato nella
relazione illustrativa che ha accompagnato
il predetto decreto presidenziale– il
legislatore ha provveduto a ricondurre ad
unità i termini di agibilità e abitabilità
spesso utilizzati indifferentemente nella
normativa precedente.
Inizialmente nel
linguaggio normativo il termine “licenza di
abitabilità” era stato utilizzato in
relazione agli immobili ad uso abitativo,
mentre il termine “licenza di agibilità”
relativamente a quelli non residenziali,
quali opifici, uffici, esercizi pubblici e
commerciali. In un secondo tempo, il
legislatore aveva operato una diversa
classificazione, riconducendo all’agibilità
la disciplina generale della stabilità e
della sicurezza dell’immobile e
all’abitabilità la disciplina speciale dei
requisiti dell’immobile rispetto a
specifiche destinazioni d’uso.
In effetti,
alcune disposizioni normative e,
soprattutto, una certa prassi
giurisprudenziale, avevano indotto a pensare
che all’interno del nostro ordinamento
esistessero due diversi tipi di
certificazioni. In realtà, le due
espressioni, se pur diversamente utilizzate,
erano di fatto omogenee e non richiedevano
procedimenti amministrativi diversi.
Dimostrativo ne è il fatto che il corredo
documentale dell’istanza, come pure le
indagini tecniche preliminari al rilascio
del certificato, non cambiavano a seconda
del tipo di unità immobiliare da
certificare, fatta salva, ovviamente,
l’esigenza di valutare la presenza di
requisiti igienico-sanitari diversi in
ragione dell’uso previsto.
Eliminato il
duplice riferimento terminologico, il
legislatore del 2001 ha optato per
l’onnicomprensivo termine di “certificato di
agibilità” attestante l’idoneità abitativa
di qualsiasi edificio. Secondo la nuova
formulazione, l’ambito di operatività del
certificato di agibilità risulta più esteso
rispetto al passato, essendo richiesto non
solo per i nuovi organismi edilizi, ma anche
per gli interventi eseguiti sugli stessi che
possiedano l’attitudine a modificare le
condizioni igieniche e sanitarie
preesistenti. Ai fini dell’accertamento
dell’agibilità di un edificio ciò che rileva
non è tanto la qualificazione giuridica
dell’intervento (ristrutturazione, restauro
o risanamento conservativo, oppure
manutenzione straordinaria o realizzazione
di sole opere interne), quanto piuttosto la
qualità e l’entità dell’intervento, nonché i
suoi riflessi sulla condizione di salubrità
della costruzione o di sue parti.
Il
certificato di agibilità è dunque necessario
per tutti gli organismi edilizi destinati a
un utilizzo che comporti la permanenza
dell'uomo che può risolversi sia nel
soggiorno prolungato, com'è per le
abitazioni, sia nella semplice
frequentazione, com’è per l'immobile
destinato a un'attività produttiva, che deve
comunque essere di durata tale da richiedere
la presenza di condizioni minime di igiene e
salubrità;
C) in base a quanto previsto dagli artt. 24
e 25 del D.P.R. n. 380 del 2001, il
certificato di abitabilità delle costruzioni
costituisce un'attestazione da parte dei
competenti uffici tecnici comunali in ordine
alla sussistenza delle condizioni di
sicurezza, igiene, salubrità e risparmio
energetico degli edifici e degli impianti
tecnologici in essi installati, alla stregua
della normativa vigente.
Ne deriva la
legittimità, in via generale, dello
svolgimento da parte degli organi comunali
competenti di ogni indagine utile al fine di
effettuare una consapevole valutazione sulla
sussistenza delle surriferite condizioni,
soprattutto quando in un edificio (per come
è avvenuto nel caso in esame) siano state
realizzate modifiche strutturali (cfr., in
argomento, TAR Lombardia, Milano, Sez. II,
16.03.2011 n. 740), che implicano anche
un cambiamento dell'uso degli spazi (si veda
sul punto la relazione prodotta in data 26.10.2010 con allegazione di documenti
dall’amministrazione del Condominio dello
stabile in questione);
D) l'art. 25, commi 3-5, del D.P.R. n. 380
del 2001 prevede un procedimento di rilascio
del certificato di agibilità, articolato sui
seguenti principi fondamentali:
1) il
procedimento deve essere concluso nel
termine di 30 giorni dalla ricezione della
domanda di rilascio del certificato di
agibilità o di 60 giorni, nel caso in cui il
ricorrente si sia avvalso della possibilità
di sostituire con autocertificazione il
parere dell'A.S.L. previsto dall'art. 5, 3°
comma lett. a) del D.P.R. n. 380 del 2001;
2) il decorso del termine per la definizione
del procedimento, importa la formazione del
silenzio assenso sull'istanza di rilascio
del certificato di agibilità;
3) il termine
del procedimento può essere interrotto una
sola volta dal responsabile del
procedimento, entro quindici giorni dalla
domanda, esclusivamente per la richiesta di
documentazione integrativa, che non sia già
nella disponibilità dell'amministrazione o
che non possa essere acquisita
autonomamente; in tal caso, il termine per
la conclusione del procedimento ricomincia a
decorrere dalla data di ricezione della
documentazione integrativa;
4) il rilascio
del certificato di agibilità non impedisce
l'esercizio del potere di dichiarazione di
inagibilità di un edificio o di parte di
esso ai sensi dell'articolo 222 del regio
decreto 27.07.1934, n. 1265 (art. 26
D.P.R. n. 380 del 2001).
Fermo quanto sopra e tenuto conto che
la disciplina suesposta presenta una ipotesi
di silenzio assenso nell’ipotesi di istanza
di agibilità presentata agli Uffici
competenti e rispetto alla quale gli stessi
non hanno adottato alcun provvedimento
espresso, occorre pur tuttavia verificare se
l’ordinamento ha previsto casi in cui vi
siano criticità riferibili alla acquisibilità implicita –per effetto del
silenzio– della dichiarazione di agibilità.
Sul punto vale la pena rammentare che:
a) in caso di istanza di condono edilizio,
il rilascio del c.d. certificato di
agibilità può avvenire in deroga soltanto
alle norme di tipo secondario e/o
regolamentare, ma non anche in deroga alle
disposizioni normative di fonte primaria e/o
di legge, soprattutto se attinenti alla
materia dell'igiene pubblica e
dell'inquinamento del suolo, in quanto
diversamente, in caso di adesione ad una
possibile interpretazione di tipo estensivo
delle norme in materia di condono edilizio,
l'art. 35, comma 14, della legge 28.02.1985 n. 47 (come le altre norme analoghe ad
essa succedute nel tempo in materia di
condoni edilizi) sarebbe palesemente
incostituzionale per contrasto con il
fondamentale principio della tutela della
salute ex art. 32 Cost., inteso non solo
come diritto alla salute del singolo
individuo, ma anche come diritto dell'intera
collettività alla salubrità dell'ambiente
(sul punto cfr. Cons. Stato, Sez. V, 15.04.2004 n. 2140 e 13.04.1999 n. 414
nonché TAR Sardegna 29.10.2002 n.
1422);
b) il suesposto orientamento si pone
perfettamente in linea con quello espresso
dalla Corte Costituzionale la quale, con
sentenza n. 256 del 18.06.1996, ha avuto
modo di precisare, per un verso, che il
certificato di abitabilità non deve
necessariamente autorizzare in maniera
uniforme tutto l'edificio o parte di esso,
dovendo essere distinti gli usi abitativi o
di semplice agibilità, quando alcuni locali
siano utilizzabili solo come accessori o
come locali non destinabili a usi abitativi
stabili o come depositi o con altri usi non
abitativi, quando non siano strutturalmente
idonei sotto il profilo igienico-sanitario
per una abitabilità piena, ancorché oggetto
di concessione edilizia in sanatoria nonché,
per altro verso, la circostanza che le norme
sul condono edilizio prevedano, a seguito
della concessione in sanatoria, il rilascio
del certificato di abitabilità o agibilità
anche in deroga ai requisiti fissati da
norme regolamentari, purché non sussista
contrasto con le disposizioni vigenti in
materia di sicurezza statica e di
prevenzione degli incendi e degli infortuni,
"non riguarda i requisiti richiesti da
disposizioni legislative e deve, pertanto,
escludersi una automaticità assoluta nel
rilascio del certificato di abitabilità
(...) a seguito di concessione in sanatoria,
dovendo invece il Comune verificare che al
momento del rilascio del certificato di
abitabilità siano osservate non solo le
disposizioni di cui all'art. 221 T.U. delle
leggi sanitarie (rectius, di cui all'art. 4
del D.P.R. n. 425 del 1994), ma, altresì
quelle previste da altre disposizioni di
legge in materia di abitabilità e servizi
essenziali relativi e rispettiva normativa
tecnica (...) Permangono, infatti, in capo
ai Comuni tutti gli obblighi inerenti alla
verifica delle condizioni igienico-sanitarie
per l'abitabilità degli edifici, con l'unica
possibile deroga ai requisiti fissati da
norme regolamentari" (così, testualmente, la
sentenza della Corte costituzionale n. 256
del 1996 citata);
c) se è dunque vero che, in base a quanto
previsto dagli art. 24 e 25, del n. 380 del
2001, il certificato di agibilità delle
costruzioni costituisce un'attestazione da
parte dei competenti uffici tecnici comunali
in ordine alla sussistenza delle condizioni
di sicurezza, igiene, salubrità e risparmio
energetico degli edifici e degli impianti
tecnologici in essi installati, alla stregua
della normativa vigente, appare altrettanto
legittimo che una valutazione sulla
sussistenza di dette condizioni, sia
richiesta a fronte di modifiche strutturali
che implicano anche un cambiamento dell'uso
degli spazi e che dunque il Comune non
perda, neppure per l’ipotesi di rilascio
implicito del certificato ovvero per effetto
di condono, il potere-dovere di verificare
la sussistenza effettiva di dette condizioni
di salubrità e di intervenire laddove siano
riscontrate carenze (cfr. sul punto TAR
Veneto, Sez. III, 02.01.2009 n. 6 nonché TAR Basilicata, Sez. I, 29.11.2008
n. 916)
(TAR Lazio-Roma, Sez. II,
sentenza 10.01.2012 n. 186 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Le
opere di urbanizzazione secondaria (asili,
scuole materne, scuole dell'obbligo,
strutture e complessi per l'istruzione
superiore all'obbligo, mercati di quartiere,
delegazioni comunali, chiese e altri edifici
religiosi, impianti sportivi di quartiere,
centri sociali e attrezzature culturale e
sanitarie, aree verdi di quartiere) sono per
loro natura strutture a servizio di una
parte del territorio.
Occorre, in altre parole, che tali impianti
abbiano, in primo luogo, un’attinenza, sotto
il profilo delle dimensioni, al quartiere
nel quale sorgono (requisito, quest'ultimo,
richiesto in specifico, ed esclusivamente,
per i mercati, gli impianti sportivi e le
aree destinate a verde).
Né possono annoverarsi tra gli impianti
sportivi, in quanto opere di urbanizzazione
secondaria, le strutture sportive in tutto o
in parte riservate, posto che gli impianti
sportivi sono opere di urbanizzazione
unicamente se siano a disposizione del
quartiere e ad esso correlate.
Tali opere di urbanizzazione secondaria
possono essere qualificate di quartiere,
tuttavia, non soltanto nel caso in cui siano
destinate ad essere utilizzate dagli
abitanti di una determinata zona urbana, ma
anche quando sono realizzate per essere
messe a disposizione dell'intera
popolazione; infatti, per qualificare
l’impianto come impianto di quartiere,
occorre che tale impianto sia destinato ad
un uso pubblico, ovvero sia messo a
disposizione della collettività, anche se
dietro pagamento di un corrispettivo, e non
sia destinato ad essere utilizzato
esclusivamente o prevalentemente da
particolari categorie di soggetti, come ad
esempio gli iscritti a società sportive, o i
tesserati federali, cosa che non accade,
infatti (non essendovi alcuna prova, neppure
indiziaria al riguardo in atti), per
l’impianto in oggetto, destinato, come
detto, principalmente allo svolgimento di
gare di bocce a vantaggio della collettività
del quartiere.
In via generale, le opere di urbanizzazione
secondaria (asili, scuole materne, scuole
dell'obbligo, strutture e complessi per
l'istruzione superiore all'obbligo, mercati
di quartiere, delegazioni comunali, chiese e
altri edifici religiosi, impianti sportivi
di quartiere, centri sociali e attrezzature
culturale e sanitarie, aree verdi di
quartiere) sono per loro natura strutture a
servizio di una parte del territorio
(Consiglio di Stato, sez. V, 01.02.1995, n.
162).
Occorre, in altre parole, che tali impianti
abbiano, in primo luogo, un’attinenza, sotto
il profilo delle dimensioni, al quartiere
nel quale sorgono (requisito, quest'ultimo,
richiesto in specifico, ed esclusivamente,
per i mercati, gli impianti sportivi e le
aree destinate a verde) (cfr., a
contrariis, Consiglio di Stato , sez. V,
01.06.1992, n. 489).
Né possono annoverarsi tra gli impianti
sportivi, in quanto opere di urbanizzazione
secondaria, le strutture sportive in tutto o
in parte riservate, posto che gli impianti
sportivi sono opere di urbanizzazione
unicamente se siano a disposizione del
quartiere e ad esso correlate.
Come è stato, infatti, chiarito anche sotto
il profilo fiscale (Agenzia delle entrate,
risoluzione del 12.10.2001, n. 157/E), la
realizzazione della citata opera configura
opera di urbanizzazione secondaria (e, come
tale, soggetta ad aliquota IVA ridotta al
10%) solo se l’impianto è da ritenersi di
pubblica utilità e destinato alla
collettività, pur se costruito e/o gestito
con concessione da un soggetto privato;
tuttavia, con riguardo al possibile
svolgimento di un’attività agonistica
(peraltro di rilievo addirittura
internazionale, come nella specie), come ha
anche chiarito la risoluzione ministeriale
n. 361922 del 04.11.1986, non vengono
modificate le caratteristiche di opera di
urbanizzazione unicamente se tale attività
sia del tutto secondaria e residuale.
Tali opere di urbanizzazione secondaria
possono essere qualificate di quartiere,
tuttavia, non soltanto nel caso in cui siano
destinate ad essere utilizzate dagli
abitanti di una determinata zona urbana, ma
anche quando sono realizzate per essere
messe a disposizione dell'intera
popolazione; infatti, per qualificare
l’impianto come impianto di quartiere,
occorre che tale impianto sia destinato ad
un uso pubblico, ovvero sia messo a
disposizione della collettività, anche se
dietro pagamento di un corrispettivo, e non
sia destinato ad essere utilizzato
esclusivamente o prevalentemente da
particolari categorie di soggetti, come ad
esempio gli iscritti a società sportive, o i
tesserati federali, cosa che non accade,
infatti (non essendovi alcuna prova, neppure
indiziaria al riguardo in atti), per
l’impianto in oggetto, destinato, come
detto, principalmente allo svolgimento di
gare di bocce a vantaggio della collettività
del quartiere
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 10.01.2012 n. 58 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI: La
inottemperanza all’ordinanza sindacale
impositiva di urgenti opere edili al fine di
evitare pericolo di crollo integra
certamente condotta omissiva penalmente
rilevante, essendosi in proposito rilevato
che “la contravvenzione prevista dall'art.
650 c.p. (inosservanza dei provvedimenti
dell'autorità) e consistente nella mancata
ottemperanza al provvedimento di urgenza del
sindaco che imponga l'esecuzione delle opere
necessarie ad evitare il pericolo di crollo
di una costruzione, mentre è assorbita da
quella di cui all'art. 677, comma 3, stesso
codice (omissione di lavori in edifici o
costruzioni che minacciano rovina), non lo è
con riguardo alla violazione, già
costituente reato e ora depenalizzata,
contemplata dal comma 1 di quest'ultimo
articolo”.
Il Collegio non ignora che per la costante
giurisprudenza di legittimità penale la
inottemperanza all’ordinanza sindacale
impositiva di urgenti opere edili al fine di
evitare pericolo di crollo integra
certamente condotta omissiva penalmente
rilevante, essendosi in proposito rilevato
che “la contravvenzione prevista
dall'art. 650 c.p. (inosservanza dei
provvedimenti dell'autorità) e consistente
nella mancata ottemperanza al provvedimento
di urgenza del sindaco che imponga
l'esecuzione delle opere necessarie ad
evitare il pericolo di crollo di una
costruzione, mentre è assorbita da quella di
cui all'art. 677, comma 3, stesso codice
(omissione di lavori in edifici o
costruzioni che minacciano rovina), non lo è
con riguardo alla violazione, già
costituente reato e ora depenalizzata,
contemplata dal comma 1 di quest'ultimo
articolo” (Cassazione penale, sez. I,
05.06.2002, n. 25796, ma anche Cassazione
penale, sez. I, 04.12.2000, n. 7008 e
Cassazione penale, sez. I, 19.06.1996, n.
7764)
(Consiglio
di Stato, Sez. IV,
sentenza 10.01.2012 n. 16 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
LAVORI PUBBLICI: L'inosservanza
da parte della p.a., nella sistemazione e
manutenzione di una strada (così come di
ogni suolo pubblico), delle regole tecniche,
ovvero dei comuni canoni di diligenza e
prudenza, può essere denunciata dal privato
davanti al g.o., sia quando tenda a
conseguire la condanna ad un "facere", sia
quando abbia per oggetto la richiesta del
risarcimento del danno patrimoniale, giacché
una siffatta domanda non investe scelte ed
atti autoritativi dell'Amministrazione,
bensì un'attività materiale soggetta al
rispetto del principio generale del "neminem
laedere".
Le S.U., risolvendo un conflitto reale
negativo di giurisdizione, hanno affermato
la sussistenza della giurisdizione del g.o.
in relazione alla cognizione di una domanda
di risarcimento danni proposta da privati in
ordine agli effetti materiali negativi di
cui aveva risentito la loro proprietà in
dipendenza di una frana originantesi da un
terrapieno posto a confine e realizzato, su
suolo pubblico, per il deposito di rifiuti e
materiali di riporto, così incentrando il
loro "petitum" unicamente sulla condotta
dell'ente pubblico, di cui si contestava la
liceità, proprio in quanto si assumeva che
il danno al loro patrimonio costituiva
conseguenza del comportamento omissivo e
colposamente inerte del Comune convenuto,
che non aveva provveduto al risanamento
statico di detto terrapieno.
Rammenta il
Collegio che la condivisibile giurisprudenza
della Corte regolatrice della giurisdizione
ha ritenuto in un caso analogo (Cassazione
civile, sez. un., 20.10.2006, n. 22521) che
“a seguito della sentenza della Corte
cost. n. 204 del 2004 l'inosservanza da
parte della p.a., nella sistemazione e
manutenzione di una strada (così come di
ogni suolo pubblico), delle regole tecniche,
ovvero dei comuni canoni di diligenza e
prudenza, può essere denunciata dal privato
davanti al g.o., sia quando tenda a
conseguire la condanna ad un "facere", sia
quando abbia per oggetto la richiesta del
risarcimento del danno patrimoniale, giacché
una siffatta domanda non investe scelte ed
atti autoritativi dell'Amministrazione,
bensì un'attività materiale soggetta al
rispetto del principio generale del "neminem
laedere": nella specie, alla stregua
dell'enunciato principio, le S.U.,
risolvendo un conflitto reale negativo di
giurisdizione, hanno affermato la
sussistenza della giurisdizione del g.o. in
relazione alla cognizione di una domanda di
risarcimento danni proposta da privati in
ordine agli effetti materiali negativi di
cui aveva risentito la loro proprietà in
dipendenza di una frana originantesi da un
terrapieno posto a confine e realizzato, su
suolo pubblico, per il deposito di rifiuti e
materiali di riporto, così incentrando il
loro "petitum" unicamente sulla condotta
dell'ente pubblico, di cui si contestava la
liceità, proprio in quanto si assumeva che
il danno al loro patrimonio costituiva
conseguenza del comportamento omissivo e
colposamente inerte del Comune convenuto,
che non aveva provveduto al risanamento
statico di detto terrapieno" (Cassazione
civile, sez. un., 20.10.2006, n. 22521)
(Consiglio
di Stato, Sez. IV,
sentenza 10.01.2012 n. 16 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: L’autorizzazione
alla installazione di impianti pubblicitari
è subordinata alla valutazione in ordine
alla sua compatibilità con il diverso
interesse pubblico generale alla ordinata
regolamentazione degli spazi pubblicitari
(che non possono essere indiscriminatamente
lasciati alla libera iniziativa privata), e,
quindi, costituisce oggetto di una specifica
disciplina, non sovrapponibile o
confondibile con quella edilizia.
Il Comune è chiamato ad esercitare, al
riguardo, un potere discrezionale, in quanto
titolare sia delle funzioni relative alla
sicurezza della circolazione (ciò che
comporta la titolarità del potere
autorizzatorio dell'installazione di
impianti pubblicitari, nel rispetto delle
prescrizioni del Codice della Strada), sia
di quelle relative all'uso del proprio
territorio, anche sotto l’aspetto dei
monumenti, dell'estetica cittadina e del
paesaggio, ben potendo individuare
limitazioni e divieti per particolari forme
pubblicitarie, in connessione ad esigenze di
pubblico interesse.
Siffatto potere, inerente la ponderazione
comparativa degli interessi coinvolti,
quali, da un lato, quelli pubblici e,
dall’altro, quello privato, alla libertà di
iniziativa economica -di cui l'attività
pubblicitaria rappresenta estrinsecazione-
si esprime, innanzitutto, nella potestà
pianificatoria e, dunque, nella potestà
regolamentare, attraverso la quale il Comune
disciplina le modalità dello svolgimento
della pubblicità, la tipologia e quantità
degli impianti pubblicitari e le modalità
per ottenere l'autorizzazione
all'installazione di questi, senza violare
l’art. 41 Cost., ma, anzi, ponendosi
nell'ambito semantico della “utilità
sociale” e nel contesto di valori
costituzionali equiordinati, quali quello
alla difesa dell'ambiente e delle valenze
estetiche del patrimonio culturale della
Nazione, riconducibili all’art. 9 della
Costituzione.
Inoltre, nei casi in cui viene richiesta
l’affissione di impianti pubblicitari
direttamente su suolo pubblico,
l’Amministrazione -nella cui disponibilità,
oltretutto, si trova il suolo stesso- è
tenuta ad espletare una valutazione
complessiva, non limitata soltanto alla mera
compatibilità dell’impianto pubblicitario
con l’interesse pubblico (come nell’ipotesi
in cui il suolo si trovi nella disponibilità
dell’interessato), ma estesa anche alla
verifica che, attraverso detto uso privato
della risorsa pubblica, si realizzino quegli
interessi collettivi, di cui
l’Amministrazione stessa è portatrice.
Invero, in questi casi, viene richiesto un
esame più approfondito e attento, che si
articola nell’ambito di un procedimento
destinato a sfociare in un provvedimento non
già meramente autorizzatorio, ma di natura
concessoria, il cui rilascio presuppone la
canalizzazione dell’attività privata
nell’alveo del pubblico interesse, e non
solo la non incompatibilità dell’una
rispetto all’altro.
In altri termini, l’installazione di mezzi
pubblicitari su suolo pubblico postula un
provvedimento di concessione dell’uso del
medesimo, non bastando a tale scopo il solo
provvedimento autorizzatorio, poiché, mentre
il procedimento autorizzatorio si esaurisce
nel sopra menzionato giudizio di "non
incompatibilità" dell’attività privata con
l’interesse pubblico, il procedimento
concessorio involve la valutazione della
conformità di tale attività con il pubblico
interesse.
Ne segue che, quando l’esposizione degli
impianti di pubblicità avviene su suolo
pubblico, l’occupazione del predetto suolo
fa sì che non si possa in alcun modo
prescindere dalla citata valutazione di
conformità, la cui complessità non consente
che si possa formare tacitamente il
provvedimento finale concessorio, in quanto
involve l’esercizio di una potestà
discrezionale, escludente l’applicabilità
del regime del silenzio-assenso.
---------------
Non sussiste un rapporto di tipo derogatorio
fra la normativa edilizia, oggi compendiata
nel D.P.R. 06.06.2001 n. 380, e la normativa
per le pubbliche affissioni di cui al D.Lgs.
15.11.1993, n. 507, giacché trattasi di
discipline differenti, avente differenti
contenuti e finalità, che concorrono nella
valutazione della medesima fattispecie ai
fini della tutela di interessi pubblici
diversi nonché ai fini della definizione di
differenti procedimenti amministrativi.
Ed invero, la normativa edilizia trova
applicazione in tutte le ipotesi in cui si
configura un mutamento del territorio nel
suo contesto preesistente, sia sotto il
profilo urbanistico che sotto quello
edilizio, ed entro questi limiti, pertanto,
assume rilevanza la violazione dei
regolamenti edilizi.
Conseguentemente, nelle ipotesi in cui la
sistemazione di una insegna o di una tabella
(cosiddetta tabellone) pubblicitaria o di
ogni altro genere quando, per le sue
consistenti dimensioni, comporti un
rilevante mutamento territoriale, è
richiesto l’assenso mediante “permesso di
costruire” e mediante semplice s.c.i.a.
negli altri casi, in coerenza con le
previsioni della normativa edilizia di cui
agli artt. 2,6 e 7 del D.P.R. n. 380 del
2001 e succ. mod..
---------------
La violazione della normativa antisismica di
cui alla legge 02.02.1974 n. 64, posta a
tutela della pubblica incolumità nelle zone
dichiarate sismiche, non può essere derogata
dalla normativa speciale di cui al D.Lgs.
15.11.1993, n. 507 e trova applicazione,
omnicomprensivamente, ai sensi dell'art. 3,
co. 1, a "tutte le costruzioni la cui
sicurezza possa comunque interessare la
pubblica incolumità", a nulla rilevando la
natura dei materiali impiegati e delle
relative strutture: anzi, proprio l'impiego,
come nel caso di specie, di elementi
strutturali meno solidi e duraturi di quelli
in cemento ed assimilati, rende vieppiù
necessari i controlli e le cautele
prescritte ai fini preventivi in questione.
Del resto, la normativa sismica ha una
portata ben più amia rispetto a quella di
cui alla legge 05.11.1971 n. 1086,
concernente i soli casi inerenti opere in
conglomerato cementizio armato.
--------------
Trattandosi, nel caso di specie, di
affissione di impianti pubblicitari
direttamente su suolo pubblico,
l’Amministrazione è tenuta ad espletare una
valutazione complessiva, non limitata
soltanto alla mera compatibilità
dell’impianto pubblicitario con l’interesse
pubblico (come nell’ipotesi in cui il suolo
si trovi nella disponibilità
dell’interessato), ma estesa anche alla
verifica che, attraverso detto uso privato
del suolo pubblico, si possa determinare la
realizzazione di interessi collettivi, per
cui il cui rilascio dell’atto concessorio
presuppone la canalizzazione dell’attività
privata nell’alveo del pubblico interesse, e
non solo un mero giudizio di compatibilità
fra i contrapposti interessi.
Va quindi esaminato il secondo profilo
di gravame su cui si incentra l’impugnativa
in correlazione con lo specifico interesse
dedotto in giudizio.
Con tale mezzo, parte ricorrente deduce, in
sintesi, che l’attività di installazione di
impianti pubblicitari non sarebbe soggetta
alla normativa in materia edilizia e, in
ogni caso, nella specie, non inciderebbe
sull’assetto del territorio, trattandosi di
impianti soggetti ad uso precario e
temporaneo, benché muniti di idonee
strutture di sostegno.
Il D. Lgs. 15.11.1993 n. 507, recante
revisione ed armonizzazione dell'imposta
comunale sulla pubblicità e del diritto
sulle pubbliche affissioni, con l’art. 3,
stabilisce che il Comune è tenuto ad
adottare apposito regolamento per
l'applicazione dell'imposta, con il quale
deve disciplinare "le modalità di
effettuazione della pubblicità e può
stabilire limitazioni e divieti per
particolari forme pubblicitarie in relazione
ad esigenze di pubblico interesse" (II°
comma) e "in ogni caso determinare la
tipologia e la quantità degli impianti
pubblicitari, le modalità per ottenere il
provvedimento per l'installazione ..." (III°
comma).
L'installazione di impianti pubblicitari è
attività "contingentata", non sussumibile
nella disciplina di cui all’art. 19 della
legge 07.08.1990 n. 241, in base alla quale
l'atto di consenso, cui sia subordinato
l'esercizio di un'attività privata,
s'intende sostituito dalla denuncia di
inizio di attività da parte dell'interessato
alla pubblica amministrazione competente,
sempre che il suo rilascio dipenda
esclusivamente dall'accertamento dei
presupposti e dei requisiti di legge, senza
l'esperimento di prove a ciò destinate che
comportino valutazioni tecniche
discrezionali, e non sia previsto alcun
limite o contingente complessivo.
Ed invero, l’autorizzazione alla
installazione di impianti pubblicitari è
subordinata alla valutazione in ordine alla
sua compatibilità con il diverso interesse
pubblico generale alla ordinata
regolamentazione degli spazi pubblicitari
(che non possono essere indiscriminatamente
lasciati alla libera iniziativa privata), e,
quindi, costituisce oggetto di una specifica
disciplina, non sovrapponibile o
confondibile con quella edilizia.
Il Comune è chiamato ad esercitare, al
riguardo, un potere discrezionale, in quanto
titolare sia delle funzioni relative alla
sicurezza della circolazione (ciò che
comporta la titolarità del potere
autorizzatorio dell'installazione di
impianti pubblicitari, nel rispetto delle
prescrizioni del Codice della Strada), sia
di quelle relative all'uso del proprio
territorio, anche sotto l’aspetto dei
monumenti, dell'estetica cittadina e del
paesaggio, ben potendo individuare
limitazioni e divieti per particolari forme
pubblicitarie, in connessione ad esigenze di
pubblico interesse (ex plurimis: TAR Lombardia- Brescia, Sez. I, 28.02.2008
n. 174).
Siffatto potere, inerente la ponderazione
comparativa degli interessi coinvolti,
quali, da un lato, quelli pubblici e,
dall’altro, quello privato, alla libertà di
iniziativa economica -di cui l'attività
pubblicitaria rappresenta estrinsecazione-
si esprime, innanzitutto, nella potestà
pianificatoria e, dunque, nella potestà
regolamentare, attraverso la quale il Comune
disciplina le modalità dello svolgimento
della pubblicità, la tipologia e quantità
degli impianti pubblicitari e le modalità
per ottenere l'autorizzazione
all'installazione di questi, senza violare
l’art. 41 Cost., ma, anzi, ponendosi
nell'ambito semantico della “utilità
sociale” e nel contesto di valori
costituzionali equiordinati, quali quello
alla difesa dell'ambiente e delle valenze
estetiche del patrimonio culturale della
Nazione, riconducibili all’art. 9 della
Costituzione (conf.: Corte Cost. sent.
17.07.2002 n. 355).
Inoltre, nei casi in cui viene richiesta
l’affissione di impianti pubblicitari
direttamente su suolo pubblico,
l’Amministrazione -nella cui disponibilità,
oltretutto, si trova il suolo stesso- è
tenuta ad espletare una valutazione
complessiva, non limitata soltanto alla mera
compatibilità dell’impianto pubblicitario
con l’interesse pubblico (come nell’ipotesi
in cui il suolo si trovi nella disponibilità
dell’interessato), ma estesa anche alla
verifica che, attraverso detto uso privato
della risorsa pubblica, si realizzino quegli
interessi collettivi, di cui
l’Amministrazione stessa è portatrice.
Invero, in questi casi, viene richiesto un
esame più approfondito e attento, che si
articola nell’ambito di un procedimento
destinato a sfociare in un provvedimento non
già meramente autorizzatorio, ma di natura
concessoria, il cui rilascio presuppone la
canalizzazione dell’attività privata
nell’alveo del pubblico interesse, e non
solo la non incompatibilità dell’una
rispetto all’altro.
In altri termini, l’installazione di mezzi
pubblicitari su suolo pubblico postula un
provvedimento di concessione dell’uso del
medesimo, non bastando a tale scopo il solo
provvedimento autorizzatorio, poiché, mentre
il procedimento autorizzatorio si esaurisce
nel sopra menzionato giudizio di "non
incompatibilità" dell’attività privata con
l’interesse pubblico, il procedimento concessorio involve la valutazione della
conformità di tale attività con il pubblico
interesse.
Ne segue che, quando –come nel caso di
specie– l’esposizione degli impianti di
pubblicità avviene su suolo pubblico,
l’occupazione del predetto suolo fa sì che
non si possa in alcun modo prescindere dalla
citata valutazione di conformità, la cui
complessità non consente che si possa
formare tacitamente il provvedimento finale concessorio (TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, 26.07.2005 n. 3421), in quanto involve
l’esercizio di una potestà discrezionale,
escludente l’applicabilità del regime del
silenzio-assenso (conf.: Corte Cost.
27.07.1995 n. 408).
In coerenza con i principi rivenienti
dall’art. 41 Cost., non può neanche
prescindere dalla tutela del catalogo dei
diritti e delle libertà della persona,
costituzionalmente garantiti, che delineano
lo "status civitatis" comune all'intera
Repubblica italiana.
A quest'ultimo ambito vanno certamente
ricondotte le disposizioni, sostanzialmente
afferenti alla materia urbanistica ed
edilizia (indipendentemente dalla
collocazione formale) che, al fine di
garantire la generale salubrità degli
ambienti di vita e di lavoro (ferme restando
le discipline relative a specifiche attività
e di tutela dei lavoratori), impongono
condizioni minime per l'abitabilità ed
agibilità degli edifici e rapporti minimi di
aerazione ed illuminazione dei locali, quali
requisiti di sicurezza per la loro
utilizzazione, che non consentono che i
manufatti pubblicitari possano oscurare le
facciate degli edifici munite di porte e
finestre.
In tale ottica, si deve ritenere che non
sussiste un rapporto di tipo derogatorio fra
la normativa edilizia, oggi compendiata nel
D.P.R. 06.06.2001 n. 380, e la normativa per le
pubbliche affissioni di cui al D.Lgs. 15.11.1993, n. 507, giacché trattasi di
discipline differenti, avente differenti
contenuti e finalità, che concorrono nella
valutazione della medesima fattispecie ai
fini della tutela di interessi pubblici
diversi nonché ai fini della definizione di
differenti procedimenti amministrativi.
Ed invero, la normativa edilizia trova
applicazione in tutte le ipotesi in cui si
configura un mutamento del territorio nel
suo contesto preesistente, sia sotto il
profilo urbanistico che sotto quello
edilizio, ed entro questi limiti, pertanto,
assume rilevanza la violazione dei
regolamenti edilizi.
Conseguentemente, nelle ipotesi in cui la
sistemazione di una insegna o di una tabella
(cosiddetta tabellone) pubblicitaria o di
ogni altro genere quando, per le sue
consistenti dimensioni, comporti un
rilevante mutamento territoriale, è
richiesto l’assenso mediante “permesso di
costruire” e mediante semplice s.c.i.a.
negli altri casi, in coerenza con le
previsioni della normativa edilizia di cui
agli artt. 2,6 e 7 del D.P.R. n. 380 del 2001
e succ. mod..
Analogamente, la violazione della normativa
antisismica di cui alla legge 02.02.1974 n. 64, posta a tutela della pubblica
incolumità nelle zone dichiarate sismiche,
non può essere derogata dalla normativa
speciale di cui al D.Lgs. 15.11.1993,
n. 507 e trova applicazione, omnicomprensivamente, ai sensi dell'art. 3, co.
1, a "tutte le costruzioni la cui sicurezza
possa comunque interessare la pubblica
incolumità", a nulla rilevando la natura dei
materiali impiegati e delle relative
strutture: anzi, proprio l'impiego, come nel
caso di specie, di elementi strutturali meno
solidi e duraturi di quelli in cemento ed
assimilati, rende vieppiù necessari i
controlli e le cautele prescritte ai fini
preventivi in questione.
Del resto, la normativa sismica ha una
portata ben più amia rispetto a quella di
cui alla legge 05.11.1971 n. 1086,
concernente i soli casi inerenti opere in
conglomerato cementizio armato.
Orbene, trattandosi, nel caso di
specie, di affissione di impianti
pubblicitari direttamente su suolo pubblico,
l’Amministrazione è tenuta ad espletare una
valutazione complessiva, non limitata
soltanto alla mera compatibilità
dell’impianto pubblicitario con l’interesse
pubblico (come nell’ipotesi in cui il suolo
si trovi nella disponibilità
dell’interessato), ma estesa anche alla
verifica che, attraverso detto uso privato
del suolo pubblico, si possa determinare la
realizzazione di interessi collettivi, per
cui il cui rilascio dell’atto concessorio
presuppone la canalizzazione dell’attività
privata nell’alveo del pubblico interesse, e
non solo un mero giudizio di compatibilità
fra i contrapposti interessi.
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Con il
quarto motivo, parte ricorrente deduce che,
nella specie, si sarebbe formato il silenzio
assenso, essendo decorso, alla data del
22.09.2008 per un impianto ed alla data del
05.05.2008 per il gruppo di 5 impianti, il
termine dei sessanta giorni, previsto
dall’art. 12 della Delibera di G.C. n. 82
del 02.03.2004. Inoltre, la P.A. avrebbe
regolarmente riscosso l’imposta comunale
sulla pubblicità relativamente agli anni
2009 e 2010.
Osserva il Collegio che l’ipotesi di
silenzio-assenso, prevista dalla normativa
regolamentare invocata, può valere soltanto
in relazione agli interessi ed alla finalità
ricadenti nell’alveo della disciplina
prevista dal D.Lgs. 15.11.1993, n.
507 e presuppone sempre che ricorrano tutti
gli elementi costitutivi della fattispecie,
suddivisibili in presupposti essenziali e
requisiti essenziali: ma, nella specie,
viene contestata dalla P.A. proprio la
astratta corrispondenza, sotto il profilo
oggettivo (presupposto essenziale),
dell’impianto alle previsioni normative
regolamentari, particolarmente sotto il
profilo dell’ubicazione.
Inoltre, poiché, come già precisato,
l’autorizzazione all’esposizione dei mezzi
pubblicitari e la concessione dell’uso del
suolo pubblico presuppongono valutazioni
differenti, attinenti alla tutela di
interessi pubblici diversi, quando –come
nel caso di specie– l’esposizione degli
impianti di pubblicità avviene su suolo
pubblico, l’occupazione del predetto suolo
fa sì che non si possa in alcun modo
prescindere dalla citata valutazione di
conformità: la complessità della quale rende
inconcepibile che si possa formare
tacitamente il provvedimento finale concessorio (TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, 26.07.2005, n. 3421), tenuto conto
che nessuna indicazione di segno contrario
può desumersi dalla cosiddetta
generalizzazione del silenzio-assenso
conseguente alla riforma di cui alla legge
14.05.2005 n. 80, giacché quello concessorio
è procedimento in cui è esercitata una
potestà discrezionale, per la quale, alla
luce dell’insegnamento della Corte
Costituzionale (v. la sentenza 27.07.1995, n. 408), deve escludersi
l’applicabilità del regime del silenzio-
assenso.
In definitiva, in mancanza di un espresso
provvedimento di concessione di suolo
pubblico (non surrogabile, né allora né
oggi, “per silentium”), l’autorizzazione
alla installazione dei mezzi pubblicitari
non può, comunque, formarsi prescindendo dal
rilievo della suddetta concessione.
Orbene, calando i precitati principi al caso
di specie, si può ritenere che neanche la
semplice astratta possibilità di
autorizzazione potrebbe ritenersi, stante la
complessità della valutazione richiesta in
relazione agli interessi coinvolti, un
elemento idoneo a determinare “ex se” la caducazione del provvedimento di diniego
impugnato, neanche in “parte qua”.
Né, infine, il regolare pagamento
dell’imposta di pubblicità può valere ad
integrare un’autorizzazione inesistente (TAR Calabria-Catanzaro, Sez. I,
sentenza 05.01.2012 n. 3 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Costruzioni in zone
paesaggistiche, si può dire: non lo sapevo?
Chi costruisce deve accertarsi di non farlo
in zona di notevole interesse paesaggistico.
Si verte in ipotesi di
delitto, punibile a titolo di ''dolo
generico''. Occorre, quindi, la
dimostrazione della coscienza in capo
all'agente di realizzare l'intervento in una
zona particolarmente vincolata. Ma, a tal
riguardo, per andare esenti da punizione non
basterebbe addurre semplicisticamente la
''non consapevolezza'' di mettere in
pericolo l'ambiente: ergo, la non conoscenza
del vincolo.
Interessante puntualizzazione della
Cassazione sull’elemento soggettivo del
delitto paesaggistico di cui all’articolo
181, comma 1-bis del decreto legislativo
22.01.2004 n. 22,, nella specie contestato
ad un imputato per avere realizzato un’opera
edilizia abusiva in una zona dichiarata di
notevole interesse pubblico paesaggistico
[cfr. articolo 181, comma 1-bis, lettera
a)].
A differenza della fattispecie
incriminatrice prevista e punita nel comma 1
dell’articolo 181, che punisce chiunque,
senza la prescritta autorizzazione o in
difformità di essa, esegue lavori di
qualsiasi genere su beni paesaggistici, che,
in quanto reato contravvenzionale, è
punibile anche a titolo di colpa (cfr.
Cassazione, Sezione III, 10.03.2011, Antelmi),
qui si verte in ipotesi di delitto,
punibile, come precisato dalla Cassazione, a
titolo di “dolo generico”.
Occorre, quindi, la dimostrazione della
coscienza in capo all’agente di realizzare
l’intervento in una zona particolarmente
vincolata.
Ma, a tal riguardo, secondo quanto
correttamente precisato dalla Cassazione,
per andare esenti da punizione non
basterebbe addurre semplicisticamente la “non
consapevolezza” di mettere in pericolo
l’ambiente: ergo, la non conoscenza del
vincolo.
E’ il tema dell’ignoranza della legge penale
(articolo 5 c.p.), che la Corte esattamente
risolve escludendo la “scusabilità”
dell’ignoranza in un contesto in cui il
soggetto, in ragione dell’attività che
intendeva porre in essere, aveva il dovere
di informarsi preventivamente (anche) circa
l’eventuale assoggettamento a vincoli
dell’area sulla quale andava a costruire.
La decisione è ineccepibile.
Va infatti ricordato che, secondo assunto
pacifico, a seguito delle sentenze della
Corte costituzionale 24.03.1988 n. 364 e
22.04.1992 n. 185, deve riconoscersi la
scusabilità dell’ignoranza della legge
penale [solo] se “inevitabile”
(articolo 5 c.p.).
A tal fine, come già puntualizzato dalle
Sezioni unite della Cassazione (sentenza
10.06.1994, Calzetta), per stabilirne i
presupposti e i limiti, deve ritenersi che
per il comune cittadino l'inevitabilità
dell'errore va riconosciuta in tutte le
occasioni in cui l'agente abbia assolto, con
il criterio della normale diligenza, al
cosiddetto "dovere di informazione",
attraverso l'espletamento di qualsiasi utile
accertamento per conseguire la conoscenza
della legislazione vigente in materia.
In una tale prospettiva, l’ignoranza
inevitabile e scusabile sarebbe ammissibile
solo se risulti in concreto assolto tale “dovere
di informazione” e, se a seguito di tale
comportamento, la scusabilità dell’ignoranza
sia derivata o da un comportamento positivo
degli organi amministrativi o da un
complessivo pacifico orientamento
giurisprudenziale da cui l'agente abbia
tratto il convincimento della correttezza
dell'interpretazione normativa e,
conseguentemente, della liceità del
comportamento tenuto.
Situazioni non ricorrenti nel caso di specie
(commento tratto da www.ipsoa.it - Corte di
Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 28.12.2011 n.
48478 tratta da
www.lexambiente.it). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Reati contro la PA.
Millantato credito, anche nei confronti
della P.A. e' reato.
La
pronuncia della II sezione della Corte di
Cassazione si colloca nel solco della
costante giurisprudenza di legittimità nel
ritenere, in materia di millantato credito,
che il secondo comma dell'art. 346 c.p.
costituisca una fattispecie di reato
autonoma e non una semplice circostanza
aggravante rispetto al primo comma.
Il
ricorrente veniva condannato dalla Corte
d’Appello di Milano, in sede di rinvio, per
il reato di cui all’art. 346 comma 2 c.p.
per aver ricevuto una somma di denaro non
quale corrispettivo della propria
mediazione, bensì con il pretesto di dover
remunerare un pubblico ufficiale onde
ottenere l’intervento di quest’ultimo
finalizzato alla sospensione e al riavvio di
una gara di appalto.
Avverso la sentenza l’imputato proponeva
ricorso per Cassazione lamentando l’erronea
applicazione della legge penale con riguardo
al giudizio di bilanciamento tra l’art. 346
comma 2 c.p. –considerato alla stregua di
una circostanza aggravante del millantato
credito– e le circostanze attenuanti
riconosciute dal giudice del merito.
Il millantato credito si presenta infatti
con un duplice schema normativo.
La fattispecie di cui al comma 1 dell'art.
346 c.p. descrive la condotta di chi riceve
o accetta la promessa di denaro o di altra
utilità quale corrispettivo della propria
mediazione verso il pubblico ufficiale nei
cui confronti viene millantato un credito.
L'ipotesi di cui al comma 2 riguarda invece
la condotta di chi riceve o accetta la
promessa di denaro o di altra utilità col
pretesto di dover comprare il favore di un
pubblico ufficiale o impiegato o di doverlo
remunerare.
In ordine ai rapporti tra primo e secondo
comma, la dottrina e la giurisprudenza più
risalenti ritenevano che il capoverso
dell’art. 346 c.p. costituisse una
circostanza aggravante autonoma non
risultando alterati gli elementi essenziali
della fattispecie, consistenti pur sempre
nel farsi dare o promettere denaro o altra
utilità a seguito di millanteria [così
Manzini, Trattato di diritto penale
italiano, 1986, 579; Cass. pen. 19.6.1963,
in Giust. pen. 1964, II, 179].
La natura di autonoma fattispecie di reato
del capoverso dell’art. 346 c.p. è ora
invece riconosciuta dalla dottrina
assolutamente maggioritaria [cfr. Antolisei,
Diritto penale, Parte Speciale, II, 2008,
694; Fiandaca Musco, Diritto penale, Parte
Speciale, I, 2007, 314; Benussi, in
Dolcini-Marinucci (a cura di), Codice Penale
Commentato, II, 2011, art. 346, 3541] e
dalla consolidata giurisprudenza di
legittimità, pur con alcune sfumature.
Secondo un primo orientamento, che fa leva
su di un argomento di ordine teleologico, il
comma 2 configura un titolo autonomo di
reato poiché descrive una condotta che
comporta una lesione anche di interessi non
tutelati dal comma 1 [da ultimo, Cass. Sez.
VI, 01.07.2002, A., in Cass. Pen. 2004,
3636]: non solo il prestigio della pubblica
amministrazione, che è offeso quando un suo
organo viene fatto apparire come corrotto o
corruttibile o quando la sua attività
funzionale viene fatta apparire come
ispirata a caratteri incompatibili con
quelli di imparzialità o correttezza cui la
pubblica amministrazione deve ispirarsi, ma
anche il patrimonio del cd. “compratore di
fumo”.
Qualora la fattispecie penale tuteli un bene
giuridico diverso rispetto a quello tutelato
dalla fattispecie penale di riferimento
saremmo di fronte a un'autonoma figura di
reato e non a una circostanza aggravante.
Tale notazione non appare del tutto
soddisfacente poiché -oltre alle difficoltà
nell’enucleare l’oggettività giuridica
tutelata dall’art. 346 c.p.- si è osservato
con la sentenza delle Sezioni Unite della
Corte di Cassazione del 10.7.2002, n. 26351,
Fedi, che il principale criterio distintivo
tra fattispecie autonoma di reato e
fattispecie circostanziata non può che
attenere alla struttura e alla descrizione
del precetto penale, considerata
l’insufficienza degli altri criteri
discretivi, quale il nomen iuris, la
collocazione topografica della norma, o i
beni giuridici tutelati.
È proprio in relazione agli elementi
costitutivi delle fattispecie che emerge
pienamente la differenza tra i due commi
dell’art. 346 c.p.
Il comma 2 dell’art. 346 c.p. si
caratterizza infatti per una particolare
forma di raggiro (consistente nel far
passare il pubblico amministratore o
impiegato come persona non semplicemente
arrendevole alle pressioni ma corrotta, o
almeno corruttibile), mentre l’inganno non
sarebbe richiesto dalla fattispecie del
primo comma, che sarebbe invece implicito
nel “pretesto” di cui al comma 2 [in questo
senso Cass. pen., sez. VI, 23.05.1990]
Le condotte differiscono quindi per il
diverso pretesto adoperato [Cass. pen., Sez.
VI, 18.09.1992], cioè la rappresentazione
della destinazione del denaro o altra
utilità, tale da determinare una chiara
alternatività: in un caso sono dati o
promessi al millantatore quale prezzo della
propria mediazione; nel secondo sono invece
falsamente destinati a comprare o remunerare
il pubblico ufficiale [cfr. M. Romano, I
delitti contro la pubblica amministrazione,
I delitti dei privati, 2002, 119].
L’ulteriore conseguenza è un aggravato
pregiudizio al prestigio della pubblica
amministrazione che si rispecchia ne maggior
disvalore della fattispecie penale e gravità
della pena.
Aderendo a tale ultimo orientamento la Corte
di Cassazione, nella pronuncia in esame,
ribadisce pertanto la natura di figura
autonoma di reato del comma 2 dell’art. 346
c.p. poiché “mentre nella previsione del
comma primo il raggiro consiste nel
presentare il pubblico ufficiale,
destinatario di pressioni amicali, come
arrendevole, in quella del comma secondo il
pubblico ufficiale è prospettato dall’agente
come persona corrotta o corruttibile” [nello
stesso senso Cass. pen., Sez. VI,
23.06.2006, n. 22248, Cass. Sez. VI,
01.07.2002, cit.; Cass. Sez. VI, 09.07.1997,
Zanellato, in Giust. Pen. 1998, II, 654].
La principale conseguenza, derivante dalla
corretta qualificazione giuridica del
capoverso dell’art. 364 c.p., consiste
nell’impossibilità di procedere al giudizio
di comparazione con le circostanze
attenuanti ai sensi dell'art. 69 c.p. (commento tratto da www.ipsoa.it - Corte di
Cassazione penale, sentenza 22.12.2012 n.
47906). |
LAVORI PUBBLICI:
Contratti pubblici.
Attività di SOA e di certificatore, dubbi
sul conflitto di interessi.
Non è manifestamente infondata, in
relazione agli artt. 3 e 41 Cost., la
questione di legittimità costituzionale
dell'art. 40, comma 3, D.L.vo 12.04.2006
n. 163, nella parte in cui, ponendo il
principio di esclusività dell'oggetto delle
Società organismo attestazione, ha il
duplice corollario di vietare ad un medesimo
soggetto di svolgere contemporaneamente
attività di organismo di certificazione e
di S.O.A. e di vietare ad un organismo di
certificazione di avere partecipazioni
azionarie in una S.O.A.
Con
sentenza 13.12.2011 n. 9717, la
I Sez. del
TAR Lazio-Roma ha sollevato questione di
legittimità costituzionale, in relazione
agli artt. 3 e 41 Cost., dell'art. 40 comma
3 D.L.vo 12.04.2006 n. 163, nella parte
in cui, ponendo il principio di esclusività
dell'oggetto delle Società organismo
attestazione, ha il duplice corollario di
vietare ad un medesimo soggetto di svolgere
contemporaneamente attività di organismo di
certificazione e di S.O.A. e di vietare ad
un organismo di certificazione di avere
partecipazioni azionarie in una S.O.A.
L'art. 40, co. 3, infatti, prevede come il
sistema di qualificazione sia attuato da
organismi di diritto privato di
attestazione, appositamente autorizzati
dall'Autorità, specificando che l'attività
di attestazione è esercitata nel rispetto
del principio di indipendenza di giudizio,
garantendo l'assenza di qualunque interesse
commerciale o finanziario che possa
determinare comportamenti non imparziali o
discriminatori, sicché, ponendo il principio
di esclusività dell'oggetto delle SOA, ha il
duplice corollario di vietare ad un medesimo
soggetto di svolgere contemporaneamente
attività di organismo di certificazione e di
SOA e di vietare ad un organismo di
certificazione di avere partecipazioni
azionarie in una SOA.
A tali conclusioni i giudici romani sono
giunti sulla base delle considerazioni che
seguono.
L'art. 41 Cost. sancisce la libertà
dell'iniziativa economica privata (primo
comma), stabilendo al contempo che la stessa
non può svolgersi in contrasto con l'utilità
sociale o in modo da recare danno alla
sicurezza, alla libertà, alla dignità umana
(secondo comma) e prevedendo che sia la
legge a determinare i programmi e i
controlli opportuni perché l'attività
economica pubblica e privata possa essere
indirizzata e coordinata a fini sociali
(terzo comma).
L'iniziativa economica privata e
l'intervento pubblico nell'economia come
delineato nella Costituzione, quindi,
possono coesistere, ma è necessario che i
due tipi di intervento siano resi
complementari e armonizzati per il
raggiungimento di fini sociali e di
benessere collettivo.
Ne consegue che l'esercizio della libertà
economica privata può essere limitato, ma
solo per ragioni di utilità sociale, sicché
il rispetto della norma costituzionale
postula che l'imposizione di limiti deve
rispondere ai criteri di ragionevolezza e
proporzionalità. In particolare, i limiti
posti alla libertà di iniziativa economica
privata, per essere legittimi, devono essere
diretti a tutelare, con carattere di
adeguatezza e proporzionalità, altri valori
di rilevanza costituzionale.
Ora, se non c'è dubbio che nella fattispecie
in esame i limiti discendenti dalla norma di
legge, essendo volti a garantire la
neutralità e l'imparzialità dei soggetti
chiamati a verificare la sussistenza dei
requisiti per partecipare alle gare di
appalto, sono in linea di massima certamente
aderenti a valori di rilievo costituzionale,
come la concorrenza, ed ai principi
comunitari, occorre però rilevare che lo
stesso risultato di indipendenza e
neutralità potrebbe essere messo a rischio
non già dalla teorica possibilità per uno
stesso gruppo societario di attestare sia la
certificazione di qualità che i requisiti di
qualificazione, ma dalla concreta ipotesi
che tale duplice attività sia svolta nei
confronti della medesima impresa.
In altri termini, se è vero che potrebbe
sussistere un vulnus alla fondamentale
esigenza della imparzialità e della
indipendenza della SOA nell'accertamento del
possesso della certificazione di qualità in
capo alle imprese, laddove tale
certificazione sia stata rilasciata da un
soggetto che partecipa alla SOA stessa,
facendo parte della relativa compagine
societaria, è altrettanto vero che tale
vulnus sembrerebbe sussistere solo ove le
attività siano svolte nei confronti della
stessa impresa da certificare ed attestare.
Pertanto, se è certamente ragionevole e
proporzionato che le due attività in
discorso non possano essere svolte da uno
stesso soggetto nei confronti della medesima
impresa, appare invece sproporzionato
rispetto alla finalità perseguita dalla
norma e, per tale motivo, irragionevole che
sia sic et simpliciter escluso che una
società, o un gruppo societario con un
medesimo centro di imputazione decisionale,
possa svolgere entrambe le attività, senza
prevedere invece tale possibilità con il
limite del divieto di svolgimento nei
confronti della stessa impresa.
D'altra parte, la soluzione ipotizzata era
quella già delineata dal legislatore della
legge quadro del 1994, prima delle modifiche
legislative intervenute con l. 166/2002, e
la stessa, ad avviso del Collegio, sembra
più congrua e proporzionata e, quindi,
maggiormente idonea a garantire l'equilibrio
tra tutti i valori costituzionali che
assumono rilievo nella fattispecie.
La norma in discorso sembra parimenti
contrastare con l'art. 3 Cost., che sancisce
il principio di uguaglianza tra i soggetti
dell'ordinamento, in quanto si traduce in
una disparità di trattamento tra gli
operatori economici laddove agli organismi
di certificazione preclude sic et
simpliciter la possibile partecipazione al
capitale delle SOA anche nell'ipotesi in
cui, ove previsto il divieto di contestuale
attestazione e certificazione nei confronti
di una stessa impresa, non sembrerebbe
sussistere un vulnus ai principi di
imparzialità ed indipendenza e gli altri
soggetti che possono liberamente detenere
partecipazioni al capitale delle SOA. In
altri termini, la discrezionalità
legislativa trova sempre un limite nella
ragionevolezza delle statuizioni volte a
giustificare la disparità di trattamento tra
i cittadini.
Nel caso di specie -atteso che il principio
di indipendenza ed imparzialità sembra poter
essere efficacemente tutelato con una
previsione normativa volta ad escludere lo
svolgimento delle attività di certificazione
e di attestazione nei confronti di una
medesima impresa, mentre, come detto, il
divieto assoluto per gli organismi di
certificazione di partecipare al capitale
sociale delle SOA appare sproporzionato e
debordante rispetto alla finalità perseguita
dalla norma- il trattamento differente
riservato agli organismi di certificazioni
appare violativo del canone di
ragionevolezza al quale la discrezionalità
del legislatore deve ontologicamente
ispirarsi (commento tratto da www.ipsoa.it - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA:
Approvazione del Piano regolatore
generale comunale. Poteri della Regione.
Distinzione tra modifiche obbligatorie,
concordate e facoltative.
Il Piano regolatore generale comunale, così
come qualsivoglia strumento urbanistico,
discende dalla concorrente ma autonoma
valutazione di due diverse autorità, quali
il Comune e la Regione (e per quest'ultima,
secondo la maggioranza degli ordinamenti
regionali, la Giunta Regionale).
Nell’ambito del relativo procedimento, il
ruolo del Comune è, in linea di principio,
preponderante, in quanto ad esso spetta
l’iniziativa e la formulazione di una
compiuta proposta, mediante l’adozione del
progetto di piano; alla Regione, invece,
spetta non solo di negare l’approvazione, ma
anche di approvare il piano apportandogli,
entro certi limiti e condizioni, modifiche
non accettate dal Comune, così come prevede
la disciplina di principio contenuta
dall’art. 10 della L. 17.08.1942 n. 1150 e
successive modifiche (1).
L’art. 10 della L. 17.08.1942 n. 1150 e
successive modifiche prevede che la Regione,
all’atto dell’approvazione dello strumento
urbanistico, può apportare a quest’ultimo le
modifiche che non comportino sostanziali
innovazioni, le modifiche conseguenti
all’accoglimento di osservazioni presentate
al piano ed accettate con deliberazione del
Consiglio comunale, nonché le modifiche
riconosciute indispensabili per assicurare
il rispetto delle previsioni del piano
territoriale regionale di coordinamento, la
razionale sistemazione delle opere e degli
impianti di interesse dello Stato, la tutela
del paesaggio e dei complessi storici,
monumentali, ambientali e archeologici,
nonché l’adozione di standard urbanistici
minimi.
In ordine ai poteri della Regione in materia
di approvazione degli strumenti urbanistici
vanno distinte le modifiche cc.dd. "obbligatorie"
dello strumento urbanistico (e, cioè, quelle
indispensabili per la tutela del
territorio), le modifiche cc.dd. "concordate"
(ossia conseguenti all’accoglimento di
osservazioni da parte della Regione) e le
modifiche cc.dd. "facoltative", le
quali ultime, ai sensi del medesimo art. 10
della L. 1150 del 1942 e successive
modifiche, non possono incidere sulle
caratteristiche essenziali del piano stesso
e sui suoi criteri di impostazione (2).
Ai sensi della disciplina di principio
contenuta negli artt. 10 e 36 della L. n.
1150 del 1942, la Regione, in sede di
approvazione del piano regolatore generale,
è autorizzata a introdurre direttamente le
modifiche e prescrizioni di cui alle lettere
b), c) e d) dello stesso art. 10 (ossia
inerenti alla razionale e coordinata
sistemazione delle opere e degli impianti di
interesse dello Stato, alla tutela del
paesaggio e di complessi storici,
monumentali, ambientali ed archeologici; al
rispetto delle ipotesi in cui è d’obbligo
l’introduzione di una disciplina di
pianificazione secondaria, ai limiti
inderogabili di densità edilizia, di
altezza, di distanza tra i fabbricati,
nonché ai rapporti massimi tra spazi
destinati agli insediamenti residenziali e
produttivi e spazi pubblici o riservati alle
attività collettive, a verde pubblico o a
parcheggi), senza alcuna facoltà di
controdeduzioni per il Comune e, quindi,
senza necessità di porre in essere una
procedura ad hoc di adeguamento (3).
Non può considerasi concluso il procedimento
di approvazione della variante ad uno
strumento urbanistico ove la Giunta
Regionale abbia adottato una deliberazione
di diniego di approvazione della variante
proposta che non rientra nelle ipotesi di
modifiche "facoltative", ovvero "concordate",
ma abbia evidenziato invece, quale
impedimento all’approvazione medesima, una
carenza istruttoria in ordine al "carico
insediativo della nuova tipizzazione C3"
e al "vincolo di tutela imposto con la L.
08.08.1985 n. 431", non risultando su
entrambi tali profili "alcuna valutazione"
da parte del Comune.
---------------
(1) Cfr. sul punto, ex plurimis, Cons.
Stato, Sez. IV, 28.11.1994 n. 970.
Ha aggiunto la sentenza in rassegna che il
principio affermato è conforme all’art. 13,
comma 1, del T.U. approvato con D.L.vo
18.08.2000 n. 267, laddove si dispone che
"spettano al Comune tutte le funzioni
amministrative che riguardano … la
popolazione ed il territorio comunale,
precipuamente nei settori organici …
dell’assetto ed utilizzazione del territorio
e dello sviluppo economico …, salvo quanto
non sia espressamente attribuito ad altri
soggetti dalla legge statale o regionale,
secondo le rispettive competenze".
(2) Cfr. sul punto, ad es., Cons. Stato,
Sez. IV, 03.03.2009 n. 1214.
(3) Cfr. sul punto, ex plurimis, Cons.
Stato, Sez. IV, 08.06.2009 n. 3518 e
01.10.2007 n. 5043 (massima tratta da
www.regione.piemonte.it - Consiglio di
Stato, Sez. IV,
sentenza 01.12.2011 n. 6349 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Il
termine di 10 gg., entro il quale l'impresa
offerente, sorteggiata a campione per il
controllo in ordine al possesso dei
requisiti di capacità economico-finanziaria
e tecnico-organizzativa, è tenuta ad
ottemperare alla richiesta della stazione
appaltante, ha natura perentoria, e le
sanzioni conseguenti alla sua inosservanza
(ndr: escussione della cauzione provvisoria
e segnalazione all’Autorità di Vigilanza)
sono automatiche e non vanno applicate solo
in caso di comprovata impossibilità per
l'impresa di produrre la documentazione non
rientrante nella sua disponibilità ovvero
allorché, comprovando un oggettivo
impedimento a rispettare il termine, ne
abbia tempestivamente chiesto la proroga.
Premesso che:
- la società ricorrente ha partecipato alla
gara indetta dal Comune di Zibido San
Giacomo per l’aggiudicazione dei lavori
relativi alla realizzazione della pista
ciclabile, venendone esclusa all’esito delle
indagini a campione, con escussione della
cauzione provvisoria e segnalazione
all’Autorità di Vigilanza, per la mancata
produzione della documentazione richiesta
entro il termine perentorio di 10 giorni
(30.07.2009) e tardivamente inviata dopo tre
giorni (03.08.2009) a causa della asserita
mancata ricezione del fax;
...
Considerato che:
- l’art. 48 del decreto legislativo
12.04.2006 n. 163, al primo comma, prescrive
che “Le stazioni appaltanti prima di
procedere all'apertura delle buste delle
offerte presentate, richiedono ad un numero
di offerenti non inferiore al 10 per cento
delle offerte presentate, arrotondato
all'unità superiore, scelti con sorteggio
pubblico, di comprovare, entro dieci giorni
dalla data della richiesta medesima, il
possesso dei requisiti di capacità
economico-finanziaria e
tecnico-organizzativa, eventualmente
richiesti nel bando di gara, presentando la
documentazione indicata in detto bando o
nella lettera di invito. Quando tale prova
non sia fornita, ovvero non confermi le
dichiarazioni contenute nella domanda di
partecipazione o nell'offerta, le stazioni
appaltanti procedono all'esclusione del
concorrente dalla gara, all'escussione della
relativa cauzione provvisoria e alla
segnalazione del fatto all'Autorità per i
provvedimenti di cui all'articolo 6, comma
11. L'Autorità dispone altresì la
sospensione da uno a dodici mesi dalla
partecipazione alle procedure di affidamento”;
- con la determinazione n. 5 del 21.05.2009
l’Autorità di Vigilanza sui contratti
pubblici, in merito alla natura del termine
di dieci giorni entro cui i concorrenti
sorteggiati devono documentare i requisiti
richiesti nel bando ed oggetto di
autodichiarazione, ha ribadito quanto già
precisato dall’Autorità nel precedente atto
di regolazione n. 15 del 2000 con riguardo
all’art. 10 della legge n. 109/1994 (“Il
termine di dieci giorni è perentorio e
improrogabile, nel senso che il suo
obiettivo decorso senza che il sorteggiato
abbia fatto pervenire alla stazione
appaltante la necessaria documentazione
implica l'automatico effetto dell'esclusione
dalla gara, dell'incameramento della
cauzione provvisoria e della segnalazione
alla stessa Autorità per i provvedimenti di
competenza. Né assume rilievo l'effettivo
possesso dei requisiti da parte
dell'operatore economico ovvero la
documentazione degli stessi successivamente
al decorso dei dieci giorni assegnati, dal
momento che, per come è formulata la norma,
rileva, al fine della produzione degli
effetti sanzionatori, il solo dato,
obiettivo e formale, dell'inadempimento nel
termine prescritto”);
- questo Consiglio in più occasioni ha avuto
modo di statuire che il suddetto termine di
dieci giorni, entro il quale l'impresa
offerente, sorteggiata a campione per il
controllo in ordine al possesso dei
requisiti di capacità economico-finanziaria
e tecnico-organizzativa, è tenuta ad
ottemperare alla richiesta della stazione
appaltante, ha natura perentoria, e le
sanzioni conseguenti alla sua inosservanza
sono automatiche e non vanno applicate solo
in caso di comprovata impossibilità per
l'impresa di produrre la documentazione non
rientrante nella sua disponibilità ovvero
allorché, comprovando un oggettivo
impedimento a rispettare il termine, ne
abbia tempestivamente chiesto la proroga
(sez. V: 13.12.2010 n. 8739 e 01.10.2010 n.
7263; sez. VI, 15.06.2009 n. 3804)
(Consiglio di Stato, Sez. I,
parere 18.07.2011 n. 2852 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
AGGIORNAMENTO AL 26.01.2012 |
ã |
Danno erariale per mancato
adeguamento annuale del costo base di
costruzione. |
Di seguito si riporta integralmente il dispositivo
dell'interessante ed attualissima sentenza, colma di
notevoli spunti su cui attentamente riflettere,
della Corte dei Conti Emilia Romagna in merito al
danno alle casse comunali cagionato dal fatto di non
aver adeguato annualmente, e per più anni, il costo
unitario di costruzione da parte del responsabile
dell'UTC. |
EDILIZIA PRIVATA - PUBBLICO IMPIEGO:
La quota di contributo afferente al costo di
costruzione va dunque determinata all’atto
del rilascio della concessione edilizia o
del permesso di costruzione, ma deve essere
versata nel corso della costruzione e
comunque nei sessanta giorni dalla sua
ultimazione.
La data del rilascio della concessione
edilizia o del permesso di costruzione è il
momento in cui sorge l’obbligazione
contributiva rapportata al costo di
costruzione, e pertanto è da quella stessa
data che l’amministrazione comunale può far
valere il suo diritto di credito, ossia
esercitare il potere di accertamento
dell’importo dovuto, con conseguente
decorrenza della prescrizione (decennale)
del diritto medesimo il quale, sin dal
momento dell’adozione del provvedimento
ampliativo della sfera del richiedente la
concessione o il permesso di costruzione, è
certo, liquido o agevolmente liquidabile ed
esigibile.
La suddetta obbligazione è di tipo “acausale”,
perché connessa alla mera utilizzazione
edificatoria del territorio, e perciò
ritenuta di natura paratributaria, a
differenza dell’obbligazione per oneri di
urbanizzazione che deve, invece, ritenersi
“causale” ed ha natura di corrispettivo di
diritto pubblico di natura non tributaria,
dovuto dal titolare della concessione
edilizia per la partecipazione ai costi
delle opere di urbanizzazione connessi
all’edificazione.
In ogni caso, per entrambe le obbligazioni
il rilascio della concessione edilizia o del
permesso di costruzione rappresenta il
momento costitutivo dell’obbligo giuridico
-incombente sul beneficiario del
provvedimento autorizzatorio- di
corrispondere le somme dovute per il
contributo di costruzione.
Con la conseguenza che l’omessa contestuale
determinazione di tale contributo o di una
delle due voci che lo compongono (oneri di
urbanizzazione e costo di costruzione)
realizza, sin dal momento del rilascio del
titolo abilitativo all’edificazione, una
lesione attuale e concreta alla finanza
comunale, venendo a mancare, in capo
all’ente locale, la disponibilità piena ed
immediata di entrate contributive ad esso
spettanti.
---------------
Nel nuovo ordinamento delle autonomie locali
–art. 58 della legge 08.06.1990 n. 142– è
previsto che l’azione di responsabilità si
prescrive col decorso del quinquennio “dalla
commissione del fatto”.
Tale espressione deve essere intesa nel
senso che non è sufficiente a dare inizio al
periodo prescrizionale il semplice
compimento della condotta trasgressiva degli
obblighi di servizio dalla quale non sia
ancora scaturito alcun nocumento all’ente
pubblico, posto che l’elemento “fatto”
comprende non solo la condotta del soggetto
ma anche l’evento dannoso che ad essa
consegue.
Un indirizzo interpretativo del tutto
analogo è stato poi adottato a proposito
dell’art. 1, secondo comma, della legge
14.01.1994, n. 20 (come sostituito con legge
20.12.1996, n. 639) -per il quale il diritto
al risarcimento del danno si prescrive in
ogni caso in 5 anni, decorrenti dalla data
in cui si è verificato il “fatto dannoso”
(ovvero, in caso d’occultamento doloso del
danno, dalla data della sua scoperta)–,
affermandosi che ai fini dell’individuazione
del “dies a quo” della prescrizione, ai
sensi del citato art. 1 l. n. 20/1994
occorre avere riguardo alla fattispecie
costituita da condotta ed evento dannoso,
che si completa al verificarsi di
quest’ultimo, vale a dire del depauperamento
dell’amministrazione o dell’ente.
---------------
L’adeguamento annuo del costo di costruzione
secondo l’indice ISTAT ... rientra
indiscutibilmente nell’ambito del
procedimento autorizzatorio di cui sopra,
trattandosi di adempimento strettamente
connesso all’esatto computo del contributo
dovuto in relazione al permesso di
costruire.
Anche per tale adempimento
l’ordinaria competenza a provvedere
(appartenesse e) appartenga al Responsabile
della Unità Operativa interessata, più che
al Responsabile dell’Area di riferimento (“Servizi
per la Collettività ed il Territorio”) o
agli organi deliberativi dell’Ente.
D’altro canto, l’aggiornamento in questione
si risolve in una operazione di calcolo da
effettuarsi sulla base di un parametro -la
variazione ISTAT- fissato da prescrizioni
legislative (statali e regionali) alla
stregua delle quali si sarebbe dovuto
provvedere automaticamente anno per anno,
senza alcuna possibilità di valutazioni ed
apprezzamenti discrezionali da parte degli
organi di governo comunali trattandosi,
invero, di adeguamento comunque obbligatorio
per legge.
Sul punto le disposizioni di riferimento,
vale a dire l’art. 16, comma 9, del d.P.R.
n. 380/2001 –testualmente riproduttivo, in
parte qua, dell’art. 6, comma 3, della legge
n. 10 del 1977– e l’art. 29, comma 3, della
legge regionale Emilia Romagna n. 31 del
2002, risultano univocamente chiare e
vincolanti nel prevedere che nei periodi
intercorrenti tra le determinazioni
regionali il costo di costruzione è adeguato
annualmente dai Comuni “in ragione
dell'intervenuta variazione dei costi di
costruzione accertata dall'Istituto
nazionale di statistica”, con
l’ulteriore rilevante precisazione, nella
norma statale appena citata,
che
all’adeguamento si procede anche “in
eventuale assenza di tali determinazioni”
ed “autonomamente”.
---------------
Il mancato aggiornamento del
costo di costruzione configura una condotta omissiva dell’odierno convenuto
qualificabile, se non come dolosa,
certamente come gravemente colposa.
Osserva il Collegio come nella fattispecie in esame difettino i
profili del c.d. dolo “erariale” o “contrattuale” non risultando il comportamento del
sig. ... improntato a consapevole volontà
del medesimo di agire in violazione dei
propri doveri d’ufficio e di arrecare un
ingiusto pregiudizio all’Ente.
Nella condotta del sunnominato ricorrono,
tuttavia, gli elementi della colpa grave,
ove si consideri, anzitutto, che
l’aggiornamento annuale del costo di
costruzione postulava un dovere
particolarmente pregnante e puntuale di
diligenza nell’adempimento di tale obbligo,
specie per i connessi rilevanti riflessi
sulle finanze del Comune.
L’inadempienza si
è protratta per svariati anni senza che il
convenuto abbia mai adottato, nell’ambito
dell’autonomia di competenze non meramente
esecutive di cui in precedenza si è fatto
cenno, alcuna concreta, documentata
iniziativa di natura “operativa”, o
anche solo “sollecitatoria” e/o “propositiva”,
volta a definire la vicenda dell’adeguamento
ISTAT di cui si discute; vicenda, occorre
ribadirlo, coinvolgente, in via diretta ed
immediata, l’importante attività gestionale
in materia di edilizia privata propriamente
riservata all’Unità Operativa (“Urbanistica–Edilizia
Privata–Ambiente”) della quale il sig.
... era Responsabile.
In altre parole, viene qui in rilievo la
prolungata, ingiustificata inerzia del
convenuto in ordine all’adeguamento del
costo di costruzione, inerzia da ritenersi e
valutarsi quale espressione di inescusabile
e macroscopica superficialità nella cura
dell’attività gestoria di un settore
comunale, quello dell’edilizia privata, di
assoluto rilievo.
Il Collegio
ritiene dunque sussistente una condotta
gravemente colposa del sig. ...,
direttamente causativa del danno alle
finanze comunali perseguito in questa sede.
---------------
Non si può non evidenziare come
abbia fatto assoluto difetto, nella vicenda
in esame, l’esercizio da parte dei dirigenti
succedutisi nella carica di Responsabile
dell’Area n. 3 (“Servizi per la
Collettività ed il Territorio”) dei
propri poteri di direttiva, di impulso e di
controllo, quando non sostitutivi, in
relazione alla specifica attività svolta
dall’Unità Operativa “Urbanistica–Edilizia
Privata–Ambiente”.
Resta il fatto che
l’assenza di una qualunque iniziativa da
parte dei vari soggetti comunali (in
primis Consiglio, Giunta e dirigenti
Responsabili dell’Area 3), comunque coinvolti
dalla discussa problematica in ragione delle
rispettive attribuzioni, ha consentito che
la grave anomalia gestionale rappresentata
dal mancato adeguamento del costo di
costruzione si protraesse per diversi anni
in una situazione di persistente inazione
dell’amministrazione; situazione che ha
senza dubbio contribuito al progressivo
formarsi dell’ingente danno per cui è causa.
Il mancato intervento degli
altri soggetti comunali interessati,
concretizzatosi anch’esso in una continuata
ed assolutamente ingiustificabile inerzia,
pur non facendo venire meno la
responsabilità per colpa grave dell’odierno
convenuto assuma, tuttavia, concorrente
rilevanza nella produzione dell’evento
dannoso.
Tale apporto concausale, valutato con
riguardo all’insieme delle accennate
condotte “inattive”, appare
complessivamente stimabile, per la notevole
incidenza che esso ha avuto sul protrarsi
per anni dell’inadempimento dell’obbligo di
adeguamento del costo di costruzione, nella
misura del 75 per cento, con corrispondente
riduzione al 25 per cento della percentuale
di responsabilità restante a carico del sig.
....
1)
L’ipotesi di danno erariale sottoposta
all’esame della Corte è costituita –secondo
la prospettazione accusatoria- dalle minori
entrate, per il complessivo importo di €
386.711,64, derivanti al Comune di Vergato
dal mancato adeguamento annuale,
relativamente al periodo 2000–2009, del
costo di costruzione ai fini della
determinazione della quota di contributo per
il rilascio della concessione edilizia o del
permesso di costruire nuovi edifici.
Per tale evento dannoso è stato chiamato in
giudizio il sig. ..., quale responsabile del
Settore Urbanistica e Ambiente dal 1999 al
2001 e, poi, della Unità Operativa “Urbanistica–Edilizia
Privata–Ambiente” fino al 29.07.2009.
---------------
2)
Ai fini della migliore comprensione della
causa è opportuno premettere un breve
excursus delle norme in materia
edificatoria coinvolte nella fattispecie.
2.a)
Si deve quindi partire dalla legge
28.01.1977, n. 10 sull’edificabilità dei
suoli, che all’art. 1 stabiliva che “Ogni
attività comportante trasformazione
urbanistica ed edilizia del territorio
comunale partecipa agli oneri ad essa
relativi e la esecuzione delle opere è
subordinata a concessione da parte del
sindaco, ai sensi della presente legge”
soggiungendo, all’art. 3, che “la
concessione comporta la corresponsione di un
contributo commisurato all’incidenza delle
spese di urbanizzazione nonché al costo di
costruzione”.
Per il successivo art. 5 della legge n. 10
del 1977 appena citata, “l'incidenza
degli oneri di urbanizzazione primaria e
secondaria, previsti dall'articolo 4 della
legge 29.09.1964, n. 847, modificato
dall'articolo 44 della legge 22.10.1971, n.
865, nonché dalle leggi regionali, è
stabilita, ai fini del precedente articolo
3, con deliberazione del consiglio comunale
in base alle tabelle parametriche che la
regione definisce, entro 120 giorni dalla
data di entrata in vigore della presente
legge, per classi di comuni in
relazione…(comma 1).
Fino all'approvazione delle tabelle di cui
al precedente comma i comuni continuano ad
applicare le disposizioni adottate in
attuazione della legge 06.08.1967, n. 765
(comma 2).
Nel caso di mancata definizione delle
tabelle parametriche da parte della regione
entro il termine stabilito nel primo comma e
fino alla definizione delle tabelle stesse,
i comuni provvedono, in via provvisoria, con
deliberazione del consiglio comunale (comma
3)”.
Infine, l’art. 6 (nel testo sostituito
dall’art. 7 l. 24.12.1993 n. 537) della
medesima legge prevedeva che “il costo di
costruzione di cui all'articolo 3 della
presente legge per i nuovi edifici è
determinato periodicamente dalle regioni con
riferimento ai costi massimi ammissibili per
l'edilizia agevolata, definiti dalle stesse
regioni a norma della lettera g) del primo
comma dell'art. 4 della L. 05.08.1978, n.
457” (comma 1), soggiungendo che “con
gli stessi provvedimenti di cui al primo
comma, le regioni identificano classi di
edifici con caratteristiche superiori a
quelle considerate nelle vigenti
disposizioni di legge per l'edilizia
agevolata, per le quali sono determinate
maggiorazioni del detto costo di costruzione
in misura non superiore al 50 per cento”
(comma 2) e disponendo, altresì, che “nei
periodi intercorrenti tra le determinazioni
regionali di cui al primo comma, ovvero in
eventuale assenza di tali determinazioni, il
costo di costruzione è adeguato annualmente,
ed autonomamente, in ragione
dell'intervenuta variazione dei costi di
costruzione accertata dall'Istituto
nazionale di statistica (ISTAT)” (comma
3).
2.b)
I sopra citati artt. 1, 3, 5 e 6 (nonché gli
artt. 4, 7, 8, 9, 10, 11, 12 e 16) della
legge n. 10 del 1977 sono stati, poi,
espressamente abrogati dall'art. 136, commi
1 e 2, del d.P.R. 06.06.2001, n. 380 – “Testo
unico delle disposizioni legislative e
regolamentari in materia edilizia (Testo A)”,
a decorrere dal 30.06.2003, ai sensi
dell'art. 2, del decreto-legge 20.06.2002,
n. 122, conv., con modificazioni, in legge
01.08.2002, n. 185.
Per quel che occupa, il predetto Testo
unico, definite la natura e le
caratteristiche del permesso di costruire
(v. artt. 10–15), rilasciato “dal
dirigente o responsabile del competente
ufficio comunale nel rispetto delle leggi,
dei regolamenti e degli strumenti
urbanistici” (v. art. 13, comma 1),
all’art. 16, ha raccolto le disposizioni
(legge 28.01.1977, n. 10, articoli 3; 5,
comma 1; 6, commi 1, 4 e 5; 11; legge
05.08.1978, n. 457, art. 47; legge
24.12.1993, n. 537, art. 7; legge
29.09.1964, n. 847, articoli 1, comma 1,
lettere b) e c), e 4; legge 22.10.1971, n.
865, art. 44; legge 11.03.1988, n. 67, art.
17; decreto legislativo 05.02.1997, n. 22,
art. 58, comma 1; legge 23.12.1998, n. 448,
art. 61, comma 2) sul “contributo per il
rilascio del permesso di costruire” tra
le quali vanno segnalate le seguenti:
- “Salvo quanto disposto dall'articolo
17, comma 3, il rilascio del permesso di
costruire comporta la corresponsione di un
contributo commisurato all'incidenza degli
oneri di urbanizzazione nonché al costo di
costruzione, secondo le modalità indicate
nel presente articolo” (comma 1);
- “La quota di contributo relativa agli
oneri di urbanizzazione è corrisposta al
comune all'atto del rilascio del permesso di
costruire e, su richiesta dell'interessato,
può essere rateizzata…” (comma 2);
- “La quota di contributo relativa al
costo di costruzione, determinata all'atto
del rilascio, è corrisposta in corso
d'opera, con le modalità e le garanzie
stabilite dal comune, non oltre sessanta
giorni dalla ultimazione della costruzione”
(comma 3);
- “Il costo di costruzione per i nuovi
edifici è determinato periodicamente dalle
regioni con riferimento ai costi massimi
ammissibili per l'edilizia agevolata,
definiti dalle stesse regioni a norma della
lettera g) del primo comma dell'articolo 4
della legge 05.08.1978, n. 457. Con lo
stesso provvedimento le regioni identificano
classi di edifici con caratteristiche
superiori a quelle considerate nelle vigenti
disposizioni di legge per l'edilizia
agevolata, per le quali sono determinate
maggiorazioni del detto costo di costruzione
in misura non superiore al 50 per cento. Nei
periodi intercorrenti tra le determinazioni
regionali, ovvero in eventuale assenza di
tali determinazioni, il costo di costruzione
è adeguato annualmente, ed autonomamente, in
ragione dell'intervenuta variazione dei
costi di costruzione accertata dall'Istituto
nazionale di statistica (ISTAT). Il
contributo afferente al permesso di
costruire comprende una quota di detto
costo, variabile dal 5 per cento al 20 per
cento, che viene determinata dalle regioni
in funzione delle caratteristiche e delle
tipologie delle costruzioni e della loro
destinazione ed ubicazione” (comma 9).
2.c)
Da ultimo, la legge regionale Emilia Romagna
25.11.2002, n. 31 (“Disciplina generale
dell’edilizia") ha disposto, all’art. 27
(“Contributo di costruzione”), che: “Fatti
salvi i casi di riduzione o esonero di cui
all'art. 30, il proprietario dell'immobile o
colui che ha titolo per chiedere il rilascio
del permesso o per presentare la denuncia di
inizio attività è tenuto a corrispondere un
contributo commisurato all'incidenza degli
oneri di urbanizzazione nonché al costo di
costruzione” (comma 1); “Il
contributo di costruzione è quantificato dal
Comune per gli interventi da realizzare
attraverso il permesso di costruire ovvero
dall'interessato per quelli da realizzare
con denuncia di inizio attività” (comma
2); “La quota di contributo relativa agli
oneri di urbanizzazione è corrisposta al
Comune all'atto del rilascio del permesso
ovvero all'atto della presentazione della
denuncia di inizio attività. Il contributo
può essere rateizzato, a richiesta
dell'interessato” (comma 3); “La
quota di contributo relativa al costo di
costruzione è corrisposta in corso d'opera,
secondo le modalità e le garanzie stabilite
dal Comune” (comma 4).
Al successivo art. 29, la stessa legge
regionale ha stabilito che “Il costo di
costruzione per i nuovi edifici è
determinato almeno ogni cinque anni dal
Consiglio regionale con riferimento ai costi
parametrici per l'edilizia agevolata. Il
contributo afferente al titolo abilitativo
comprende una quota di detto costo,
variabile dal 5 per cento al 20 per cento,
che viene determinata con l'atto del
Consiglio regionale in funzione delle
caratteristiche e delle tipologie delle
costruzioni e della loro destinazione e
ubicazione” (comma 1), e “Nei periodi
intercorrenti tra le determinazioni
regionali, il costo di costruzione è
adeguato annualmente dai Comuni, in ragione
dell'intervenuta variazione dei costi di
costruzione accertata dall'Istituto
nazionale di statistica” (comma 3).
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3)
In base alla delineata cornice normativa,
la
quota di contributo afferente al costo di
costruzione va dunque determinata all’atto
del rilascio della concessione edilizia o
del permesso di costruzione, ma deve essere
versata nel corso della costruzione e
comunque nei sessanta giorni dalla sua
ultimazione.
Secondo giurisprudenza amministrativa ormai
consolidata, la data del rilascio della
concessione edilizia o del permesso di
costruzione è il momento in cui sorge
l’obbligazione contributiva rapportata al
costo di costruzione, e pertanto è da quella
stessa data che l’amministrazione comunale
può far valere il suo diritto di credito,
ossia esercitare il potere di accertamento
dell’importo dovuto, con conseguente
decorrenza della prescrizione (decennale)
del diritto medesimo il quale, sin dal
momento dell’adozione del provvedimento ampliativo della sfera del richiedente la
concessione o il permesso di costruzione, è
certo, liquido o agevolmente liquidabile ed
esigibile (cfr. Consiglio di Stato – Sez. IV,
06.06.2008 n. 2686; Sez. IV, 05.04.2006 n.
7219; Sez. V, 13.06.2003 n. 3332; TAR Marche
Ancona, 01.04.2004 n. 143; TAR Abruzzo
Pescara, 10.05.2002 n. 477; TAR Calabria
Catanzaro, 06.02.1996 n. 180).
Come ancora precisato dal giudice
amministrativo, la suddetta obbligazione è
di tipo “acausale”, perché connessa
alla mera utilizzazione edificatoria del
territorio, e perciò ritenuta di natura
paratributaria, a differenza
dell’obbligazione per oneri di
urbanizzazione che deve, invece, ritenersi “causale”
ed ha natura di corrispettivo di diritto
pubblico di natura non tributaria, dovuto
dal titolare della concessione edilizia per
la partecipazione ai costi delle opere di
urbanizzazione connessi all’edificazione
(cfr. TAR Lombardia Brescia, 03.12.2007 n.
1268; TAR Toscana Firenze, Sez. III,
11.08.2004 n. 3181).
In ogni caso, per entrambe le obbligazioni
il rilascio della concessione edilizia o del
permesso di costruzione rappresenta il
momento costitutivo dell’obbligo giuridico
-incombente sul beneficiario del
provvedimento autorizzatorio- di
corrispondere le somme dovute per il
contributo di costruzione (cfr. Consiglio di
Stato – Sezione IV, 06.06.2008 n. 2686).
Con la conseguenza che l’omessa contestuale
determinazione di tale contributo o di una
delle due voci che lo compongono (oneri di
urbanizzazione e costo di costruzione)
realizza, sin dal momento del rilascio del
titolo abilitativo all’edificazione, una
lesione attuale e concreta alla finanza
comunale, venendo a mancare, in capo
all’ente locale, la disponibilità piena ed
immediata di entrate contributive ad esso
spettanti.
Analogamente è a dire, in termini di
attualità ed effettività del pregiudizio,
con riguardo all’errata determinazione del
contributo in misura inferiore al dovuto;
ciò anche a voler prescindere dal carattere
di definitività attribuito da una certa
giurisprudenza alla determinazione del
quantum della obbligazione contributiva
a carico del privato, con esclusione della
possibilità per l’amministrazione comunale
che abbia erroneamente liquidato l’ammontare
del contributo, di richiedere
successivamente, in via di autotutela, un
importo a titolo di conguaglio (cfr.
Consiglio di Giustizia Amministrativa per la
Regione Siciliana, decisione n. 1007/2000).
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4)
Si può ora passare ad esaminare la questione
della prescrizione dell’azione di
responsabilità eccepita dalla difesa del
convenuto.
Sul punto è appena da ricordare che
nel
nuovo ordinamento delle autonomie locali
–art. 58 della legge 08.06.1990 n. 142– è
previsto che l’azione di responsabilità si
prescrive col decorso del quinquennio “dalla
commissione del fatto”.
Tale espressione, secondo giurisprudenza di
questa Corte,
deve essere intesa nel senso
che non è sufficiente a dare inizio al
periodo prescrizionale il semplice
compimento della condotta trasgressiva degli
obblighi di servizio dalla quale non sia
ancora scaturito alcun nocumento all’ente
pubblico, posto che l’elemento “fatto”
comprende non solo la condotta del soggetto
ma anche l’evento dannoso che ad essa
consegue (cfr. Sez. II, 03.02.1999 n. 28/A;
Sez. giurisd. reg. Lazio, 25.09.2000 n.
1544/R).
Un indirizzo interpretativo del tutto
analogo è stato poi adottato a proposito
dell’art. 1, secondo comma, della legge
14.01.1994, n. 20 (come sostituito con legge
20.12.1996, n. 639) -per il quale il diritto
al risarcimento del danno si prescrive in
ogni caso in cinque anni, decorrenti dalla
data in cui si è verificato il “fatto
dannoso” (ovvero, in caso d’occultamento
doloso del danno, dalla data della sua
scoperta)–, affermandosi che ai fini
dell’individuazione del “dies a quo”
della prescrizione, ai sensi del citato art.
1 l. n. 20/1994 occorre avere riguardo alla
fattispecie costituita da condotta ed evento
dannoso, che si completa al verificarsi di
quest’ultimo, vale a dire del depauperamento
dell’amministrazione o dell’ente (cfr. Corte
dei Conti – Sezioni II, 19.10.1998 n.
212/A).
Tanto premesso, ritiene il Collegio di non
poter condividere la tesi di parte attrice
secondo la quale si tratterebbe, nella
specie, di illecito permanente
caratterizzato dal protrarsi nel tempo della
condotta antidoverosa la quale dovrebbe,
perciò, essere considerata una condotta
unica continuata, con conseguente
spostamento “in avanti”, sino alla
sua cessazione, del "dies a quo" per
l'inizio del computo del termine
prescrizionale.
In realtà, la contestata vicenda di danno,
pur nella sua sostanziale unitarietà,
risulta articolata in segmenti temporali
corrispondenti ai singoli anni controversi
(2000–2009), cui le specifiche minori
entrate sono state riferite.
D’altra parte, il criterio -poi confermato
dalla Procura attrice– per mezzo del quale
il Comune di Vergato è pervenuto alla
determinazione del danno in discussione è
consistito proprio nel calcolare il mancato
adeguamento del costo di costruzione anno
per anno, a partire dal 2000 fino al 2009,
individuando l’ammontare delle minori
entrate per ogni singolo esercizio
finanziario ed il loro ammontare complessivo
(pari a € 386.711,64).
La decorrenza della prescrizione della
domanda risarcitoria va quindi stabilita
tenendo conto del criterio appena
evidenziato, ovvero avendo riguardo al danno
come perdita di entrate contributive subita
dal Comune in riferimento ad ogni specifico
anno oggetto di contestazione.
Resta da aggiungere che, non sussistendo
nella fattispecie alcun occultamento doloso,
il mancato adeguamento automatico del costo
di costruzione era comunque rilevabile, e
dunque obiettivamente conoscibile, già
all’interno di ogni esercizio finanziario di
riferimento, attraverso le normali procedure
di controllo e di revisione previste dal T.U.EE.LL. (d.lgs. n. 267/2000).
Ne discende, ad avviso del Collegio, che il
“dies a quo” del termine
prescrizionale deve essere fatto coincidere,
anno per anno, con la chiusura
dell’esercizio finanziario di riferimento, e
pertanto, poiché il primo atto interruttivo
del termine prescrizionale (quinquennale) va
individuato nell’invito a dedurre emesso il
16.03.2010 dalla Procura attrice, la pretesa
risarcitoria azionata da quest’ultima
risulta prescritta in relazione al danno per
le minori entrate contributive riferite agli
anni 2000, 2001, 2002, 2003 e 2004.
L’accertata parziale prescrizione del danno
nei termini appena specificati conduce a
ritenere assorbita, relativamente e
limitatamente agli anni sopra indicati
(2000–2004), ogni ulteriore questione
dedotta in atti.
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5)
Quanto, invece, alla parte restante del
danno, costituita dalla perdita di entrate
contributive realizzata nel periodo
dall'01.01.2005 all’ottobre 2009, occorre
prendere le mosse dalla considerazione che
tale periodo ricade interamente sotto il
vigore del citato Testo unico dell’edilizia
(d.P.R. n. 380 del 2001).
Questo corpo normativo è stato emanato
–unitamente al d.lgs. 06.06.2001 n. 378,
recante “Disposizioni legislative in materia
edilizia. (Testo B)” e al d.P.R. 06.06.2001
n. 379 recante “Disposizioni
regolamentari in materia edilizia. (Testo C)”-
in esecuzione delle norme e dei principi di
cui alla legge 08.03.1999, n. 50 (“Delegificazione
e testi unici di norme concernenti
procedimenti amministrativi – Legge di
semplificazione 1998”), che prevedeva,
in attuazione dell'art. 20, comma 1, della
legge 15.03.1997, n. 59 (c.d. “legge
Bassanini”), l’emanazione di regolamenti
(ai sensi dell'art. 17, comma 2, della legge
23.08.1988, n. 400) per la delegificazione e
la semplificazione dei procedimenti
amministrativi (art. 1), nonché il riordino
delle norme legislative e regolamentari
disciplinanti varie fattispecie e materie “mediante
l'emanazione di testi unici riguardanti
materie e settori omogenei, comprendenti, in
un unico contesto e con le opportune
evidenziazioni, le disposizioni legislative
e regolamentari” (art. 7).
Le norme del d.P.R. n. 380 del 2001 che
interessano in particolare ai fini
dell’odierno giudizio sono già state
riportate al punto 2.b) della presente
esposizione in diritto, cui si rinvia.
Qui preme osservare che le norme anzidette
hanno ripreso i contenuti sostanziali delle
preesistenti disposizioni della legge n. 10
del 1977 in coerenza, peraltro, ai limiti di
intervento del legislatore delegato come
segnati dai principi e criteri direttivi
fissati dall’art. 7, comma 2, della legge n.
50 del 1999, tra cui il “coordinamento
formale delle disposizioni vigenti,
apportando, nei limiti di detto
coordinamento, le modifiche necessarie per
garantire la coerenza logica e sistematica
della normativa anche al fine di adeguare e
semplificare il linguaggio normativo”
(v. art. 7, comma 2, lett. d).
In altre parole, il legislatore delegato,
con l’emanazione del Testo unico in oggetto,
ha realizzato un unico quadro normativo
delle preesistenti disposizioni nella
materia che occupa, effettuando un’opera di
ricognizione, coordinamento e
razionalizzazione delle stesse senza,
comunque, introdurre innovazioni sostanziali
rispetto al sistema normativo previgente.
Ad avviso del Collegio, in un siffatto
contesto non appare quindi configurabile
alcuna radicale discontinuità delle
disposizioni de quibus raccolte nel
Testo unico n. 380 del 2001 rispetto a
quelle della legge n. 10 del 1977 sulla
edificabilità dei suoli, tale da poter
giustificare, per quanto qui interessa,
dubbi ed incertezze applicative in ordine
alla determinazione del contributo afferente
al costo di costruzione.
Ciò anche a voler considerare l’aspetto
innovativo riferito alla sostituzione della
concessione edilizia con il “permesso di
costruire”, che tuttavia non ha
comportato modifiche di rilevanza
sostanziale alla disciplina del costo di
costruzione, come del resto può desumersi
dal raffronto tra le sopra riportate
disposizioni degli artt. 3 (“contributo
per il rilascio della concessione”) e 6
(“determinazione del costo di costruzione”)
della legge n. 10 del 1977 e le
corrispondenti disposizioni dell’art. 16 (“contributo
per il rilascio del permesso di costruire”)
del d.P.R. n. 380 del 2001 nonché degli
artt. 27 (“contributo di costruzione”)
e 29 (“costo di costruzione”) della
legge Emilia Romagna n. 31 del 2002.
Al riguardo, peraltro, non appare superfluo
osservare che nel presente giudizio oggetto
di contestazione non è un (ipotetico) “cattivo”
uso del potere abilitativo del Comune in
ordine all’attività edificatoria, bensì il
mancato aggiornamento ISTAT, negli anni
sopra specificati (2005–2009), del costo di
costruzione da determinarsi (ed
effettivamente determinato) all’atto del
rilascio dei provvedimenti di autorizzazione
a costruire; provvedimenti -giova
sottolinearlo– che in questa sede non hanno
formato oggetto di alcuna censura.
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6)
Passando al merito degli addebiti mossi a
carico dell’odierno convenuto, occorre
anzitutto soffermarsi sulla collocazione
dell’Unità Operativa “Urbanistica–Edilizia
Privata–Ambiente” all’interno del
sistema di organizzazione del Comune come
ridefinito (con deliberazione di giunta n.
120 del 02.11.2000) a seguito dell’entrata
in vigore del decreto legislativo 18.08.2000
n. 267 (T.U. Enti Locali), ed ordinato per “Aree”
comprendenti, a loro interno, più Unità
Operative.
Orbene, la suddetta Unità Operativa “Urbanistica–Edilizia Privata–Ambiente”, della
quale il sig. ... è stato Responsabile dal
2001 al luglio 2009, rappresenta
un’articolazione dell’Area n. 3 – “Servizi
per la Collettività ed il Territorio”
comprendente, oltre alla menzionata Unità,
anche le Unità Operative "Attività
Produttive-Sportello unico-Turismo
(escluso quello culturale)", "Lavori
Pubblici e manutenzione” e "Polizia
Municipale-Protezione civile".
Come desumibile dalla documentazione in atti
(v. Statuto del Comune e Piani Esecutivi di
Gestione), l’Unità Operativa in questione,
sostitutiva (dall’anno 2001) del Settore “Urbanistica
e Ambiente”, ancorché costituisca, così
come le altre Unità Operative, una struttura
interna (all’Area n. 3) di tipo non apicale,
risulta comunque dotata, negli specifici
ambiti di competenza, di autonomia
funzionale e gestionale per il conseguimento
degli obiettivi programmati, con imputazione
dei relativi capitoli di bilancio (42035 -
oneri su costo di costruzione; 42036 – oneri
di urbanizzazione primaria; 42037 – oneri di
urbanizzazione secondaria…).
D’altra parte, giusta quanto precisato dal
Comune di Vergato, e come sottolineato dalla
Procura attrice, senza alcuna contestazione
difensiva sul punto, il geom. ..., anche
dopo la “trasformazione” del Settore
“Urbanistica e Ambiente” in Unità
Operativa “Urbanistica–Edilizia
Privata–Ambiente”, all’esito allo
svolgimento “delle attività istruttorie di
natura tecnica in materia urbanistica ed
edilizia” provvedeva “autonomamente
all’adozione del provvedimento finale” (v. “Prospetto
dotazione organica del servizio”
trasmesso con nota sindacale 08.01.2010,
prot. n. 213), in piena continuità con le
funzioni di Responsabile di Settore
precedentemente esplicate.
In altre parole, anche successivamente alla
creazione -unitamente alla figura dei
relativi Responsabili- delle “Aree”,
individuate come “strutture operative di
massima dimensione, finalizzate a garantire
l’efficacia dell’intervento nell’ambito di
materie aventi caratteristiche omogenee”
(v. Statuto del Comune di Vergato) ed
articolate, a loro volta, in Unità
Operative, l’intero procedimento abilitativo
edilizio, e quindi la determinazione del
contributo di costruzione (oneri di
urbanizzazione e costo di costruzione) in
sede di rilascio del permesso di
costruzione, continuava a fare capo, in via
diretta, al geom. ..., nella sua qualità
di Responsabile della Unità Operativa “Urbanistica–Edilizia Privata–Ambiente”.
Tanto chiarito, va subito aggiunto che
l’adeguamento annuo del costo di costruzione
secondo l’indice ISTAT, disciplinato dalla
normativa dianzi richiamata (v. art. 16 d.P.R. n. 380/2001; artt. 27 e 29 l.reg.
Emilia Romagna n. 31/2002),
rientra
indiscutibilmente nell’ambito del
procedimento autorizzatorio di cui sopra,
trattandosi di adempimento strettamente
connesso all’esatto computo del contributo
dovuto in relazione al permesso di
costruire.
Appare perciò evidente, ad avviso del
Collegio, che anche per tale adempimento
l’ordinaria competenza a provvedere
(appartenesse e) appartenga al Responsabile
della Unità Operativa interessata, più che
al Responsabile dell’Area di riferimento (“Servizi
per la Collettività ed il Territorio”) o
agli organi deliberativi dell’Ente.
D’altro canto, l’aggiornamento in questione
si risolve in una operazione di calcolo da
effettuarsi sulla base di un parametro -la
variazione ISTAT- fissato da prescrizioni
legislative (statali e regionali) alla
stregua delle quali si sarebbe dovuto
provvedere automaticamente anno per anno,
senza alcuna possibilità di valutazioni ed
apprezzamenti discrezionali da parte degli
organi di governo comunali trattandosi,
invero, di adeguamento comunque obbligatorio
per legge.
Sul punto le disposizioni di riferimento,
vale a dire l’art. 16, comma 9, del d.P.R.
n. 380/2001 –testualmente riproduttivo, in
parte qua, dell’art. 6, comma 3, della legge
n. 10 del 1977– e l’art. 29, comma 3, della
legge regionale Emilia Romagna n. 31 del
2002, risultano univocamente chiare e
vincolanti nel prevedere che nei periodi
intercorrenti tra le determinazioni
regionali il costo di costruzione è adeguato
annualmente dai Comuni “in ragione
dell'intervenuta variazione dei costi di
costruzione accertata dall'Istituto
nazionale di statistica”, con
l’ulteriore rilevante precisazione, nella
norma statale appena citata,
che
all’adeguamento si procede anche “in
eventuale assenza di tali determinazioni”
ed “autonomamente”.
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7)
Per quanto precede, ritiene il Collegio che
nella fattispecie in esame, riguardo al
mancato adeguamento annuale del costo di
costruzione, si sia verificata una
situazione di illegittima omissione a
provvedere da parte del Comune.
Omissione in primo luogo imputabile al geom.
... il quale, nella sua veste di
Responsabile della competente Unità
Operativa, avrebbe dovuto dare piena e
continuativa attuazione,
anche dopo l’entrata in vigore del Testo
Unico dell’edilizia, alla
delibera del Consiglio Comunale n. 58 del
29.09.1999 (di recepimento della
deliberazione del Consiglio Regionale n.
1108 in data 29.03.1999) aggiornando annualmente, con
propria determinazione, il costo di
costruzione, così come stabilito al punto 4)
del dispositivo della delibera medesima;
adempimento, del resto, di non particolare
complessità, già curato dall’odierno
convenuto in riferimento all’anno 2001
mediante l’adozione della determinazione n.
58 del 20.12.2000.
Né il contestato inadempimento può trovare
valida giustificazione nel documento
denominato “Appunti per una discussione
della Giunta in merito alla pianificazione
urbanistica comunale e ai primi adempimenti
conseguenti alla nuova legge di disciplina
dell’attività edilizia” allegato dalla
difesa del convenuto.
Trattasi infatti, come anche sottolineato
dall’Organo requirente, di documento –senza
data e senza alcuna sottoscrizione- del
quale non è affatto chiara la provenienza,
privo comunque di qualsiasi valenza
autoritativa e decisoria ed inidoneo,
pertanto, ad esplicare efficacia vincolante
nei confronti del convenuto, e ciò a fronte
–è bene ripeterlo- sia del perdurante
obbligo, normativamente espresso, di
adeguare annualmente il costo di
costruzione, sia del menzionato atto
deliberativo comunale (delib. cons. n. 58
del 29.09.1999) che poneva tale incombente a
carico del “Capo Settore Urbanistica”
(ora Unità Operativa “Urbanistica–Edilizia
Privata–Ambiente”).
Incombente, peraltro, mai revocato, né
formalmente né implicitamente, ed anzi
ribadito, con richiamo testuale ai
precedenti e sottostanti provvedimenti
regionale (delib. cons. n. 1108/1999) e
comunale (delib. cons. n. 58/1999), dalla
deliberazione di giunta n. 105 in data
08.10.2009 con la quale, nel prendere atto “…della
necessità di procedersi all’aggiornamento
del costo di costruzione ai sensi della
deliberazione di Consiglio Regionale n.
1108/1999 e della deliberazione di Consiglio
Comunale n. 58/1999, alla luce delle
intervenute variazioni dei costi di
costruzione accertata dall’ISTAT”, si
disponeva che il Responsabile della U.O. “Urbanistica
Edilizia Privata e Ambiente” avrebbe
provveduto “all’aggiornamento annuale ed
autonomo del predetto costo di costruzione,
secondo le modalità di cui alla
deliberazione di CR n. 1108/1999”.
Il che sta a confermare, con tutta evidenza,
la piena e perdurante validità ed efficacia
delle due suindicate delibere (regionale e
comunale) del 1999 anche oltre l’entrata in
vigore del Testo unico dell’edilizia.
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8)
In sostanza, dunque, il mancato
aggiornamento del costo di costruzione
configura, ai fini del presente giudizio,
una condotta omissiva dell’odierno convenuto
qualificabile, se non come dolosa,
certamente come gravemente colposa.
A questo riguardo, osserva il Collegio come
nella fattispecie in esame difettino i
profili del c.d. dolo “erariale” o “contrattuale”,
peraltro solo adombrato dalla Procura
attrice, non risultando il comportamento del
sig. ... improntato a consapevole volontà
del medesimo di agire in violazione dei
propri doveri d’ufficio e di arrecare un
ingiusto pregiudizio all’Ente.
Nella condotta del sunnominato ricorrono,
tuttavia, gli elementi della colpa grave,
ove si consideri, anzitutto, che
l’aggiornamento annuale del costo di
costruzione -operazione, come già detto, di
relativa semplicità- postulava un dovere
particolarmente pregnante e puntuale di
diligenza nell’adempimento di tale obbligo,
specie per i connessi rilevanti riflessi
sulle finanze del Comune.
Va inoltre evidenziato che l’inadempienza si
è protratta per svariati anni senza che il
convenuto abbia mai adottato, nell’ambito
dell’autonomia di competenze non meramente
esecutive di cui in precedenza si è fatto
cenno, alcuna concreta, documentata
iniziativa di natura “operativa”, o
anche solo “sollecitatoria” e/o “propositiva”,
volta a definire la vicenda dell’adeguamento
ISTAT di cui si discute; vicenda, occorre
ribadirlo, coinvolgente, in via diretta ed
immediata, l’importante attività gestionale
in materia di edilizia privata propriamente
riservata all’Unità Operativa (“Urbanistica–Edilizia
Privata–Ambiente”) della quale il sig.
... era Responsabile.
In altre parole, viene qui in rilievo la
prolungata, ingiustificata inerzia del
convenuto in ordine all’adeguamento del
costo di costruzione, inerzia da ritenersi e
valutarsi quale espressione di inescusabile
e macroscopica superficialità nella cura
dell’attività gestoria di un settore
comunale, quello dell’edilizia privata, di
assoluto rilievo.
Per quanto sin qui dedotto,
il Collegio
ritiene dunque sussistente una condotta
gravemente colposa del sig. ...,
direttamente causativa,
nella misura che si andrà a specificare,
del danno alle finanze comunali
perseguito in questa sede.
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9)
Ciò posto, la condotta omissiva del
sunnominato va però collocata in un certo
contesto fattuale, del quale occorre tenere
debitamente conto ai fini della
delimitazione della responsabilità posta a
carico del convenuto medesimo.
In particolare, con riferimento alla
questione che ne occupa, non risulta che i
già menzionati “Appunti per una
discussione della Giunta in merito alla
pianificazione urbanistica comunale e ai
primi adempimenti conseguenti alla nuova
legge di disciplina dell’attività edilizia”
–ove risulta annotato, a proposito del
contributo di costruzione, che “Anche in
questo caso non sono necessarie, ora, scelte
particolari; occorre infatti attendere le
nuove determinazione del consiglio regionale
e quindi le tabelle per contributi e oneri
rimangono quelle in vigore. E' facoltà del
Consiglio Comunale l'adeguamento del costo
di costruzione sulla semplice base dei dati
ISTAT.”- siano stati poi tradotti in
formali deliberati del Comune contenenti
disposizioni o indicazioni in ordine
all’adeguamento del costo di costruzione.
In realtà, allo stato degli atti, nel
periodo intercorso tra la determinazione n.
58 del 28.12.2000 (oggetto: Aggiornamento
costo di costruzione) adottata dal geom. ...
e la delibera giuntale n. 105 in data
08.10.2009 (oggetto: “Aggiornamento ISTAT
costo di costruzione”) conseguente alla
relazione in pari data dell’arch. ... -
subentrata al geom. ... nella responsabilità
dell’Unità Operativa Urbanistica–Edilizia
Privata–Ambiente-, nessun organo comunale,
elettivo e non, risulta in alcun modo
essersi formalmente attivato, nell’ambito
dell’esercizio delle proprie peculiari
competenze, perché le modalità
dell’adeguamento ISTAT del costo di
costruzione ricevessero certa e sollecita
definizione nel vigore della nuova normativa
statale e regionale (d.P.R. n. 380/2001 e
l.reg. Emilia Romagna n. 31/2002);
fermo
restando comunque, come già sottolineato,
l’obbligo, non la mera facoltà, del Comune
di provvedere a tale adeguamento.
D’altra parte, anche ammesso e non concesso
(stante il chiaro dettato normativo) che
fosse effettiva facoltà del Consiglio
Comunale deliberare, sulla base di una
valutazione politica e discrezionale, in
ordine all’adeguamento o meno del costo di
costruzione, in ogni caso una tale decisione
avrebbe dovuto essere formalizzata con uno
specifico atto consiliare (con piena
assunzione della conseguente
responsabilità); il che non è avvenuto, né
le delibere di adozione di variante al PRG
(n. 39 dell’11-04-2003; n. 48 del
28-04-2003; n. 35 del 21-04-2009) richiamate
nella memoria di costituzione del convenuto
(vedasi pag. 6), ed alla stessa allegate,
esprimono alcuna volontà
politico-amministrativa di mantenere fermo
il costo anzidetto.
Non si può, inoltre, non evidenziare come
abbia fatto assoluto difetto, nella vicenda
in esame, l’esercizio da parte dei dirigenti
succedutisi nella carica di Responsabile
dell’Area n. 3 (“Servizi per la
Collettività ed il Territorio”) dei
propri poteri di direttiva, di impulso e di
controllo, quando non sostitutivi, in
relazione alla specifica attività svolta
dall’Unità Operativa “Urbanistica–Edilizia
Privata–Ambiente”.
In conclusione, al di là di ipotizzabili
profili di responsabilità la cui valutazione
appartiene prioritariamente alla competenza
della Procura Requirente, resta il fatto che
l’assenza di una qualunque iniziativa da
parte dei vari soggetti comunali (in
primis Consiglio, Giunta e dirigenti
Responsabili dell’Area 3), comunque coinvolti
dalla discussa problematica in ragione delle
rispettive attribuzioni, ha consentito che
la grave anomalia gestionale rappresentata
dal mancato adeguamento del costo di
costruzione si protraesse per diversi anni
in una situazione di persistente inazione
dell’amministrazione; situazione che ha
senza dubbio contribuito al progressivo
formarsi dell’ingente danno per cui è causa.
Tutto ciò risulta ancora più evidente se si
considera che, a distanza di anni
dall’entrata in vigore della nuova normativa
sull’edilizia, è bastata la relazione
dell’08.10.2009 dell’arch. ... per attivare
il potere deliberativo della Giunta e
provvedere all’aggiornamento del costo di
costruzione (vedasi deliberazione n. 105 in
data 08.10.2009) senza, peraltro, che nel
frattempo il Consiglio Regionale avesse
adottato alcuna nuova determinazione in
materia.
Del resto, e vale la pena di rimarcarlo,
nella menzionata relazione si espone
testualmente che “Le procedure di
approvazione dell'aggiornamento cambiano
secondo indirizzi interni ai Comuni,
che non si è potuto riscontrare,
a volte delibera di giunta, altre
volte determina del responsabile
urbanistica-edilizia, ma il riscontro
dell'aggiornamento si è potuto avere in
quasi tutti i comuni. Tuttavia la scrivente
si è premurata di contattare la Regione,
dalla quale ha ricevuto rassicurazioni sulla
non rilevanza relativamente alla procedura
di approvazione, ma certezza sull'obbligo
dei comuni di procedere all'aggiornamento” (vedasi
pag. 4), a riprova del fatto che
se in
precedenza i vari organi comunali avessero
prestato, ognuno nell’ambito delle proprie
prerogative, maggiore cura e attenzione
circa la corretta applicazione della
procedura di calcolo del costo di
costruzione, l’ammontare del danno sarebbe
risultato di gran lunga inferiore a quello
poi accertato, o forse non si sarebbe
realizzato.
Ritiene pertanto il Collegio che nella
dedotta vicenda il mancato intervento degli
altri soggetti comunali interessati,
concretizzatosi anch’esso in una continuata
ed assolutamente ingiustificabile inerzia,
pur non facendo venire meno la
responsabilità per colpa grave dell’odierno
convenuto assuma, tuttavia, concorrente
rilevanza nella produzione dell’evento
dannoso.
Tale apporto concausale, valutato con
riguardo all’insieme delle accennate
condotte “inattive”, appare
complessivamente stimabile, per la notevole
incidenza che esso ha avuto sul protrarsi
per anni dell’inadempimento dell’obbligo di
adeguamento del costo di costruzione, nella
misura del 75 per cento, con corrispondente
riduzione al 25 per cento della percentuale
di responsabilità restante a carico del sig.
....
---------------
10)
Si pone, a questo punto, il problema della
quantificazione del danno derivato al Comune
dal mancato adeguamento annuale del costo di
costruzione; ciò limitatamente al periodo
gennaio 2005–ottobre 2009, essendo il
periodo precedente coperto, come già detto,
da prescrizione.
Al riguardo si deve tornare a rilevare che
il danno in questione è costituito dalle
minori entrate contributive conseguenti al
minor importo, rispetto al dovuto, del costo
di costruzione quale determinato dallo
stesso geom. ... nell’ambito del rilascio
dei permessi di costruire relativi alle
pratiche edilizie definite anno per anno.
Pratiche che come già evidenziato nel corso
della presente esposizione, e come anche
osservato in citazione dalla Procura
attrice, non hanno formato oggetto, né in
sede amministrativa né in questa sede
giurisdizionale, di alcuna contestazione
sotto alcun altro profilo diverso dal
mancato adeguamento ISTAT del costo di
costruzione.
Ne consegue che i rilievi formulati dalla
difesa del convenuto per il periodo dal 2005
in poi, e riportati al punto 6) della parte
narrativa della presente sentenza (cui si
rimanda), appaiono non risolutivi per quanto
qui ci occupa, siccome involgenti aspetti e
problematiche dei titoli abilitativi a
costruire (quali attività edilizie dovessero
scontare il costo di costruzione, quali
fossero a costo pieno, quali a costo
ridotto, quali esenti; …diversità dei costi
da scontare a seconda delle varie tipologie
di attività…inapplicabilità di alcun tipo di
adeguamento del costo di costruzione per i
permessi di costruire dei nuovi edifici ad
uso terziario; diversa disciplina per le
pratiche relative alle ristrutturazioni e
alle DIA…) che non possono influire
sull’accertamento del quantum del costo di
costruzione non introitato dal Comune a
causa della mancata applicazione, anno per
anno, del meccanismo adeguativo previsto
dalla normativa in materia.
Ciò in quanto il dato sostanziale su cui
l’Amministrazione ha computato, ai fini
risarcitori, l’adeguamento annuale ISTAT è
il costo di costruzione, comprendente
l’aumento (non aggiornato) a suo tempo
applicato, quale risultato del relativo
procedimento tecnico all’uopo utilizzato
proprio dal geom. ... nelle varie pratiche
edilizie come trattate e definite dallo
stesso e che non possono ora, in questa
sede, essere sottoposte ad una verifica
generalizzata stante, tra l’altro,
l’assoluta mancanza di indicazione, riguardo
alle stesse, di ulteriori circostanze ed
elementi concreti e specifici che sarebbe
stato onere del convenuto allegare.
A tale proposito, giova richiamare
testualmente alcuni passaggi della nota prot.
n. 7924 del 14.06.2010 inviata dal Comune di
Vergato alla Procura Regionale, ove si
precisa -in ordine alle modalità di calcolo
del danno erariale– “che il calcolo è
stato disposto in relazione alle somme
effettivamente accertate per ciascun
esercizio finanziario a titolo di costo di
costruzione (capitolo di entrata 4035-000
tit. 4 cat. 5, risorsa 44217), pertanto già
separato dall'introito per oneri di
urbanizzazione (che compongono la voce
complessiva del contributo di costruzione
dovuto dal cittadino).
Per quanto concerne le osservazioni in
ordine alla legittimazione della richiesta
del costo di costruzione di cui alla memoria
difensiva (e quindi alla differenziazione
tra edifici residenziali e terziari, alle
verifiche relative alla data di
presentazione della pratica, alla
distinzione tra nuove costruzioni e
ristrutturazioni) si precisa che il calcolo
è stato effettuato utilizzando come base
sostanziale gli accertamenti tecnici e
l'istruttoria già compiuta dal dipendente in
ordine rispettivamente alla ricorrenza del
titolo legittimante la richiesta del costo
di costruzione, alla definizione dei
parametri temporali di applicazione ed alla
definizione della base di calcolo (vale a
dire presupponendo in via esclusiva che
l'applicazione del costo di costruzione
fosse erronea solo nella quantificazione
dell'importo unitario).
Diversamente opinando si dovrebbe ipotizzare
una verifica caso per caso con conseguente
riesame istruttorio di ciascuna pratica del
periodo interessato, con conseguente
paralisi delle attività ordinarie dell'Ente.
Per questo motivo la formulazione del
calcolo del danno erariale (pari ad euro
386.711,64) è stata determinata
dall'applicazione per ciascun anno della %
di aumento ISTAT effettivamente dovuta e non
applicata. Da tale somma è stato scomputato
l'aumento percentuale formalmente praticato
con decorrenza 2001 (come di seguito
specificato). Per la medesima ragione nella
quantificazione del danno non si è tenuto in
considerazione l'asserito arrotondamento
eseguito dal dipendente a € 500,00, posto
che lo stesso non risulta formalizzato in
alcun atto…”.
La stessa Amministrazione comunale ha
inoltre prodotto un prospetto -a firma del
Sindaco– di quantificazione delle minori
entrate contributive accertate anno per
anno, nel quale sono esposti, per il periodo
che qui interessa (2005-2009), i seguenti
dati:
- esercizio 2005: “entrata accertata = €
303.674,06; atto di aggiornamento -
determina URB 58/2000; cc corretto = €
556,59; ISTAT annuo = 4,3900%; ISTAT totale
= € 119,7452%; ISTAT totale = 19,7452%;
aumento % ISTAT formalmente applicato =
1,8500%; entrata accertata depurata
dell’aumento formalmente applicato = €
298.158,13; aumento applicato su totale
accertato = € 5.515,9255; aumento
effettivamente dovuto su totale accertato =
€ 58.871,8626; minore entrata = €
53.355,9371”;
- esercizio 2006: “entrata accertata = €
296.041,52; atto di aggiornamento -
determina URB 58/2000; cc corretto = €
577,55; ISTAT annuo = 3,7700%; ISTAT totale
= € 124,2596%; ISTAT totale = 24.2596%;
aumento % ISTAT formalmente applicato =
1,8500%; entrata accertata depurata
dell’aumento formalmente applicato = €
290.693,69; aumento applicato su totale
accertato = € 5.377,8332; aumento
effettivamente dovuto su totale accertato =
€ 70.521,0503; minore entrata = €
65.143,2170”;
- esercizio 2007: “entrata accertata = €
254.035,98; atto di aggiornamento -
determina URB 58/2000; cc corretto = €
595,58; ISTAT annuo = 3,1200%; ISTAT totale
= € 128,1365%; ISTAT totale = 28,1365%;
aumento % ISTAT formalmente applicato =
1,8500%; entrata accertata depurata
dell’aumento formalmente applicato = €
249.421,68; aumento applicato su totale
accertato = € 4.614,3011; aumento
effettivamente dovuto su totale accertato =
€ 70.178,4628; minore entrata = €
65.564,1617”;
- esercizio 2008; “entrata accertata = €
206.657,90; atto di aggiornamento -
determina URB 58/2000; cc corretto = €
625,36; ISTAT annuo = 5,000%; ISTAT totale =
€ 134,5433%; ISTAT totale = 34,5433%;
aumento % ISTAT formalmente applicato =
1,8500%; entrata accertata depurata
dell’aumento formalmente applicato = €
202.904,17; aumento applicato su totale
accertato = € 3.753,7272; aumento
effettivamente dovuto su totale accertato =
€ 70.089,7899; minore entrata = €
66.336,0627”;
- esercizio 2009: “entrata accertata = €
128.047,80; atto di aggiornamento – sino ad
aggiornamento (DGC 105/2009-DA3 145/2009);
cc corretto = € 654,38; ISTAT annuo =
4,6400%; ISTAT totale = € 140,7861%; ISTAT
totale = 40,7861%; aumento % ISTAT
formalmente applicato = 1,8500%; entrata
accertata depurata dell’aumento formalmente
applicato = € 125.721,94; aumento applicato
su totale accertato = € 2.325,8560; aumento
effettivamente dovuto su totale accertato =
€ 51.277,0846; minore entrata = €
48.951,2286”.
Ebbene, ritiene il Collegio che i dati
appena riportati diano sufficientemente
conto del complessivo importo, determinato
per arrotondamento in € 299.000, del danno
derivato al Comune da minori entrate
contributive per mancato adeguamento del
costo di costruzione relativamente alle
pratiche edilizie definite dall’odierno
convenuto nel periodo gennaio 2005–ottobre
2009.
Né d’altra parte, a fronte di tali dati
oggettivamente accertati, il convenuto
medesimo ha allegato elementi probatori
contrari, certi e concreti idonei a
dimostrare quanto dedotto nella memoria di
costituzione sul fatto che “per
moltissime pratiche le entrate introitate
dal Comune sono state addirittura superiori
a quelle che avrebbe potuto pretendere con
l'applicazione rigorosa della l.r. 31/2002
…., è pacifico che il danno richiesto non
sia corretto, ma sia molto maggiore di
quello effettivamente e se del caso
sussistente subito dall'amministrazione”
ed “addirittura c'è ragione di credere
che il Comune di Vergato non abbia
registrato alcuna perdita” (vedasi pag.
26 della memoria difensiva).
Da quanto sopra considerato discende,
dunque, che la quota parte di danno
addebitabile al sig. ..., pari al 25 per
cento dell’importo di € 299.000, risulta
fissata in € 74.750.
Inoltre, sempre ad avviso del Collegio,
ricorrono i presupposti per un moderato
esercizio del potere riduttivo dell’addebito
tenuto conto, in particolare, delle
circostanze di incertezza amministrativa nel
cui contesto il geom. ... ebbe ad operare
all’epoca dei fatti di causa; tale riduzione
appare equamente calcolabile nella misura
del 20 per cento, con susseguente
determinazione dell’addebito nel conclusivo
importo (arrotondato) pari a € 60.000,
comprensivo degli accessori maturati sino
alla presente sentenza.
---------------
11)
Conclusivamente, va quindi affermata la
responsabilità amministrativa dell’odierno
convenuto sig. ... per i fatti di cui è
causa, con conseguente condanna dello stesso
al risarcimento in favore del Comune di
Vergato della somma di € 60.0000
(sessantamila), cui devono aggiungersi gli
interessi legali dalla data di deposito
della presente sentenza sino al saldo; salvo
a tenere conto in sede di esecuzione, nella
sopra specificata misura del 25 per cento,
di quanto eventualmente altrimenti
recuperato dal predetto Comune, in via di
autotutela ed a titolo di conguaglio, nei
confronti dei beneficiari dei provvedimenti
autorizzatori edilizi in relazione ai quali,
nel periodo di riferimento (2005-ottobre
2009), non si è provveduto alla
determinazione del costo di costruzione
nella misura aggiornata (Corte dei Conti, Sez.
giurisdiz. Emilia Romagna,
sentenza 31.05.2011 n. 265). |
Tutto qui ?? |
Invero, la sentenza de qua è ancor più
attuale se si pensa alle ulteriori due fattispecie
di attività amministrativa vincolata che riguarda l'UTC
ed il Consiglio Comunale ovverosia: |
|
2.
AGGIORNAMENTO BIENNALE DEGLI IMPORTI DEI DIRITTI DI
SEGRETERIA RIGUARDANTI L’AUTORIZZAZIONE EDILIZIA E
LA D.I.A.
Il comma 50 dell'art. 1 Legge 30.12.2004 n. 311 ha
sostituito, da ultimo, la lettera c) del comma 10
dell’art. 10 del D.L. 18.01.1993 n. 8 convertito,
con modificazioni, dalla legge 19.03.1993 n. 68 in
materia di diritti di segreteria di alcuni atti
amministrativi attinenti l’Ufficio Tecnico.
La suddetta lettera c)
così recita:
"autorizzazione edilizia, nonché denuncia di inizio
dell'attività, ad esclusione di quella per
l'eliminazione delle barriere architettoniche, da un
valore minimo di euro 51,65 ad un valore massimo di
euro 516,46. Tali importi sono soggetti ad
aggiornamento biennale in base al 75 per
cento della variazione degli indici dei prezzi al
consumo per le famiglie di operai e impiegati".
Quanto sopra detto è di attualità, evidentemente,
qualora le amministrazioni comunali –che non versano
nelle situazioni strutturalmente deficitarie di cui
all’art. 45 del D.Lgs. 30.12.1992 n. 504, non si
siano avvalse della facoltà di cui all’art. 2, comma
15, della legge 15.05.1997 n. 127 (Bassanini-bis)
relativamente all’abrogazione dei diritti di
segreteria di che trattasi.
3.
AGGIORNAMENTO QUINQUENNALE/TRIENNALE DEGLI ONERI DI
URBANIZZAZIONE.
L’art. 16, comma 6, del D.P.R. 06.06.2001 n. 380
(già art. 7, comma 1, della legge 24.12.1993 n. 537)
così recita: "Ogni
cinque anni i comuni provvedono ad aggiornare
gli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria,
in conformità alle relative disposizioni regionali,
in relazione ai riscontri e prevedibili costi delle
opere di urbanizzazione primaria, secondaria e
generale".
In Lombardia, l'art.
44, comma 1, della L.R. 11.03.2005 n. 12 così recita:
"Gli oneri di urbanizzazione primaria e
secondaria sono determinati dai comuni, con
obbligo di aggiornamento ogni tre anni, in
relazione alle previsioni del piano dei servizi e a
quelle del programma triennale delle opere
pubbliche, tenuto conto dei prevedibili costi delle
opere di urbanizzazione primaria e secondaria,
incrementati da quelli riguardanti le spese
generali." (ndr: l'obbligo triennale,
evidentemente, vale in Lombardia dall'anno 2005 in
poi mentre, prima, vigeva l'obbligo quinquennale).
In questa occasione non approfondiamo alcuni tecnicismi
normativi da tenere i considerazione per addivenire
alla rideterminazione degli oo.uu. in questione, che
rimandiamo ad un prossimo aggiornamento del sito.
Ci limitiamo soltanto a cogliere l’occasione per
richiamare l’attenzione sulla illegittimità della
procedura, di cui si è avuta notizia qua e là in
Lombardia, adottata da alcune Amministrazioni
Comunali nel rideterminare i costi base delle opere
di urbanizzazione primaria e secondaria: infatti,
non risulta ammissibile dalla vigente normativa
regionale lombarda (procedura già censurata anni
addietro dal CO.RE.CO.) aggiornare con la variazione
percentuale dell’indice ISTAT (intervenuta dal
1977 ad oggi) i costi base regionali di cui alla
deliberazione di C.R. 28.07.1977 n. 557.
Pertanto, il venire meno dell’obbligatorio controllo
interno (parere di legittimità del Segretario
Comunale) ed esterno (CO.RE.CO.) sugli atti della
pubblica amministrazione, operato dalle normative
che ben conosciamo, non ci autorizza proporre,
avallare, assumere comportamenti "disinvolti"
ovvero esimerci dal contrastare tali comportamenti
assunti o che si vorrebbero assumere. |
Quindi ?? |
Nelle prime due fattispecie illustrate, ossia l'adeguamento
annuale del costo base di costruzione e dell'aggiornamento
biennale degli importi dei diritti di segreteria,
poiché siamo di fronte ad attività vincolata cui la
legge non consente alcuna discrezionalità operativa,
l'eventuale responsabilità (diretta) è in capo
unicamente al dirigente/apicale di settore, il quale
provvede in merito con propria determinazione (e non
con deliberazione di Giunta Comunale -siccome
constatato qua e là nel web- poiché di politico
nulla c'è da decidere).
Nella terza fattispecie, e cioè quella dell'aggiornamento
triennale (per la Lombardia) degli oneri di
urbanizzazione sulla base degli effettivi costi
sostenuti per la realizzazione delle opere di
urbanizzazione primaria e secondaria, siamo altresì
in presenza di attività vincolata ma di competenza
(e responsabilità diretta) consiliare, il cui
consiglio ha margini discrezionali (derivanti da
conteggi tabellari) entro cui agire nel determinare
i vari importi.
E nel caso di specie sarà bene premurarsi di operare
correttamente al fine di evitare ogni responsabilità
personale qualora il Consiglio Comunale non deliberi
l'obbligatorio aggiornamento triennale e cioè: 1)
predisporre per tempo la cartellina di consiglio con
tutti gli allegati e/o conteggi di legge; 2)
protocollare (perché le parole con contano quando la
"rogna" si profila all'orizzonte !!) la
lettera di inoltro alla Giunta Comunale della
cartellina quale ordine del giorno del prossimo
consiglio comunale. |
Catastrofismo ?? Terrorismo psicologico ?? |
Siamo tutti grandi e vaccinati ed ognuno è libero di
agire come meglio crede ... comunque, ai quei comuni
(e ce ne sono !!) che sono 7, 8, 10 anni (e
anche di più) che non adeguano gli oneri di
urbanizzazione facciamo tanti auguri nella speranza
che la Corte dei Conti non suoni il citofono del
Palazzo comunale ...
26.01.2012 - LA SEGRETERIA PTPL |
AVVISO AI
NAVIGANTI DEL PORTALE PTPL:
Il presente sito, con
accesso libero, è frutto "artigianale" della passione
e dedizione di chi vi opera.
Ricercare le news da pubblicare, nello sconfinato mondo del
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Al fine di poter migliorare la qualità dei contenuti del
presente sito e la sua efficacia per gli addetti ai lavori
-e non solo, si chiede la cortese collaborazione di ogni
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differenze interpretative e/o comportamentali tra i vari
uffici tecnici comunali, almeno lombardi.
Pertanto, saranno ben gradite segnalazioni (all'indirizzo:
info.ptpl@tiscali.it) di sentenze non ancora pubblicate
che risultino interessanti per quanto disposto dal giudice,
oppure l'invio di quesiti/risposte su argomenti di ordine
generale così come note, circolari, pareri e, comunque, ogni
altro materiale ritenuto di interesse generale.
Grazie per la collaborazione.
26.01.2012 - LA SEGRETERIA PTPL |
NOVITA' NEL
SITO |
Inserito il
nuovo bottone
dossier
ARIA. |
QUESITI &
PARERI |
APPALTI:
Ancora sulla questione del DURC.
La recente
nota 16.01.2012 n. 619 di prot.
del
Ministero
del Lavoro e delle Politiche Sociali in
materia di DURC ha ribadito, ancora una
volta, che lo stesso non può essere
autocertificato.
Tuttavia, un piccolo dubbio è rimasto ed è
per questo che abbiamo inoltrato, allo
stesso Ufficio che ha emanato la nota de
qua, il quesito di seguito riportato:
Abbiamo
letto la Vs.
nota 16.01.2012 n. 619 di prot.
avente per oggetto: Documento Unico di
regolarità Contributiva (DURC) - art.
44-bis, D.P.R. n. 445/2000 - non
autocertificabilità con la quale si
chiarisce che il DURC non è
autocertificabile, sempre e comunque,
emanata in relazione alla novità di cui alla
L. n. 183/2011 in merito al DPR 445/2000.
Tuttavia, la nota de qua non esamina il
contenuto di cui all'art. 4, comma 14-bis,
della Legge 12.07.2011 n. 106 il quale così
dispone: "14-bis. Per i contratti di
forniture e servizi fino a ventimila euro
stipulati con la pubblica amministrazione e
le società in house, i soggetti contraenti
possono produrre una dichiarazione
sostitutiva ai sensi dell'articolo 46, comma
1, lettera p), del testo unico di cui al
d.P.R. 28.12.2000, n. 445, in luogo del
documento di regolarità contributiva. Le
amministrazioni procedenti sono tenute ad
effettuare controlli periodici sulla
veridicità delle dichiarazioni sostitutive,
ai sensi dell'articolo 71 del medesimo testo
unico di cui al d.P.R. n. 445 del 2000.".
Orbene, poiché abbiamo ricevuto alcune richieste di
chiarimento e siccome il nostro sito web (di
libero accesso) è consultato soprattutto da
uffici tecnici della Pubblica
Amministrazione, con la presente siamo a
chiedere un ulteriore chiarimento in materia
ovverosia se la
disposizione normativa sopra menzionata sia
ancora oggi applicabile, in deroga e per
fattispecie limitate (forniture e servizi
fino a 20.000,00 € di contratto), oppure la
stessa sia da intendere superata
implicitamente per il sopravvenire di norma
più recente (appunto, la L. n. 183/2011).
Nell'attesa di un cortese e sollecito riscontro, si
ringrazia e si porgono distinti saluti.
18.01.2012 - LA SEGRETERIA PTPL
La risposta (e-mail del 25.01.2012) è
stata solerte e, di seguito, ne riproponiamo
fedelmente il testo:
La disposizione normativa di cui all'art. 4,
comma 14-bis, L. n. 106/2011, va
interpretata alla luce dello specifico
ambito settoriale, costituito evidentemente
dalle sole fattispecie dei contratti di
fornitura e servizi per una soglia non
eccedente i 20.000 euro, ovvero consentendo
ai contraenti l'esibizione di una
dichiarazione sostitutiva, in termini di
autocertificazione ex art. 46, comma 1,
D.P.R. n. 445/2000, in luogo del DURC.
Resta, dunque, ferma, in ogni altra ipotesi, la
necessità di produrre il DURC, che, come
ribadito nella nota ministeriale, non può
essere oggetto di autocertificazione.
Dott.ssa Alessia Di Benedetto
Ministero del Lavoro e delle Politiche
Sociali
Direzione generale per lattività ispettiva
Via Flavia n. 6 - 00187 Roma
Tel: 06-4683.7288 - e-mail:
adibenedetto@lavoro.gov.it
|
PUBBLICO IMPIEGO:
Violazione di un obbligo contrattuale
Lavoratore assente alla visita di controllo
domiciliare: quali le sanzioni
disciplinari?.
Domanda.
É possibile sanzionare disciplinarmente un
dipendente che, assente dal lavoro per
malattia, risulti assente alla visita di
controllo domiciliare effettuata dal medico
del servizio pubblico?
Risposta.
Nel caso in cui un lavoratore risulti
assente dal proprio domicilio al momento
della visita di controllo (richiesta dal
datore di lavoro o dall'Inps), il datore di
lavoro può procedere disciplinarmente nei
confronti del dipendente.
L'assenza del lavoratore alla visita di
controllo domiciliare, infatti, non
determina solo conseguenze di carattere
economico, ossia la perdita del diritto al
trattamento economico di malattia, ma incide
anche sul rapporto di lavoro, cosicché il
datore di lavoro può sanzionare
disciplinarmente tale comportamento del
lavoratore.
Peraltro, dal momento che la condotta in
esame costituisce violazione di un obbligo
derivante direttamente dal contratto di
lavoro, si ritiene che ai fini della
sanzionabilità di tale condotta non sia
necessaria una espressa previsione in tal
senso da parte del codice disciplinare; in
tal senso si esprime anche la giurisprudenza
(Cassaz. 22.04.2004, n. 7691) (24.01.2012
- tratto da www.ipsoa.it). |
GURI - GUUE -
BURL (e anteprima) |
AMBIENTE-ECOLOGIA - APPALTI - ENTI LOCALI -
INCARICHI PROFESSIONALI/PROGETTUALI - VARI:
G.U. 24.01.2012 n. 19, suppl. ord. n. 18/L,
"Disposizioni urgenti per la concorrenza,
lo sviluppo delle infrastrutture e la
competitività" (D.L.
24.01.2012 n. 1). |
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APPALTI SERVIZI:
L. Bellagamba,
Pubblica illuminazione, risparmio energetico
e finanza tramite terzi
(21.01.2012 - link a
www.linobellagamba.it). |
APPALTI:
L. Bellagamba,
La comunicazione del Ministero del Lavoro e
delle Politiche Sociali sulla «non
autocertificabilità» del DURC
(19.01.2012 - link a
www.linobellagamba.it). |
APPALTI:
F. Federici,
Cause esclusione gare appalto: il giudice
non può sostituire la lex specialis di gara
- Nota a TAR
per il Lazio-Latina, sentenza 10.10.2011 n.
792 (link a www.filodiritto.com). |
CORTE DEI
CONTI |
ENTI LOCALI:
Mobilità tra Unioni e ASP.
La Corte dei Conti Sez. Reg.le Emilia
Romagna, con
parere
19.01.2012 n. 3, risponde al seguente
quesito del Comune di Savignano sul
Rubicone:
"... se, a seguito del trasferimento di
un'unità di personale per mobilità
volontaria dall'Unione di Comuni (di cui il
Comune di Savignano sul Rubicone fa parte)
verso un ente sottoposto al patto di
stabilità interno (mobilità in uscita),
l'Unione dei Comuni può coprire il posto
rimasto vacante attraverso la mobilità
volontaria in entrata di un dipendente di
un'Azienda pubblica per i servizi alla
persona (ASP), considerando tale mobilità
neutrale al pari di quella in uscita che ha
reso il posto vacante."
La Corte, dopo aver ripercorso la normativa
in materia di mobilità -sia come istituto
giuridico "preferito" dal legislatore
per le esigenze di reclutamento nel sistema
pubblico in ottica di ottimale distribuzione
delle risorse umane nell'ambito dei vari
comparti della P.A., che in termini di "neutralità
finanziaria" della stessa al ricorrere
dei presupposti normativi vigenti (in
particolare art. 1, comma 47, L. 311/2004)-
formula il proprio parere come segue:
"....in relazione alle Unioni di Comuni,
pur trattandosi di enti non sottoposti alle
regole del patto di stabilità, sono
assoggettati al regime vincolistico in tema
di assunzioni di personale previsto
dall'articolo 1, comma 562, legge 296/2006
(spesa del personale non superiore a quella
sostenuta nel 2004) e, secondo quanto
precisato dalle Sezioni Riunite della Corte
dei Conti nella deliberazione 3/CONTR/2011,
al vincolo relativo all'incidenza della
spesa di personale su quella corrente
previsto dall'articolo 14, comma 9, d.l.
78/2010 convertito in legge 122/2010. Ne
deriva, pertanto, che la mobilità in uscita
dell'unità di personale dall'Unione di
Comuni verso un ente sottoposto alle regole
del patto di stabilità deve essere
considerata neutrale dal punto di vista
degli effetti finanziari in quanto entrambi
i suddetti enti sono sottoposti ad un regime
vincolistico in tema di assunzioni di
personale.
Le Aziende pubbliche di servizi alla persona
(ASP) -che nel caso di specie, dovrebbe
essere l'ente cedente l'unità di personale-
sono aziende con personalità giuridica di
diritto pubblico che nascono dalla
trasformazione delle IPAB (.............),
sottoposte alla vigilanza dei Comuni singoli
o associati (....). Dalla natura giuridica
di azienda di diritto pubblico delle ASP
discende che anche per tali organismi
valgono i vincoli pubblicistici in materia
di reclutamento di personale da parte di
organismi non societari degli enti locali
che discendono direttamente dai principi
generali di cui all'art. 97 Cost. in materia
di organizzazione e reclutamento del
personale alle dipendenze di pubblici uffici
(Sez. controllo Lombardia, 350/2011/PAR,
Sez. controllo Emilia Romagna,
282/2011/PAR).
In conclusione, ritiene la Sezione che
l'operazione che il Comune istante intende
realizzare può essere considerata neutrale
dal punto di vista finanziario in quanto
posta in essere tra enti (Unione di Comuni
ed ASP) entrambi sottoposti ad un regime
vincolistico in tema di assunzioni di
personale, ed in quanto l'operazione di
mobilità in entrata ed in uscita è connessa
e contemporanea, riguarda il medesimo
profilo professionale ed una categoria di
inquadramento inferiore cui consegue per
l'Unione di Comuni una iniziale riduzione di
spesa per il personale" (tratto da
www.publika.it). |
INCARICHI PROGETTUALI:
Il quesito posto dal Comune, afferisce agli
oneri derivanti da eventuale copertura
assicurativa per i danni arrecati durante
l’espletamento degli incarichi tecnici.
Il Codice dei contratti impone ai
professionisti esterni la stipula di
apposita polizza, mentre nulla dispone per
gli incarichi di direzione lavori,
coordinatore della sicurezza e collaudo
(anche se nulla esclude che le
amministrazioni, in sede di bando di gara o
capitolato, possano imporre ai
professionisti esterni, nei limiti della
proporzionalità alla natura e complessità
dell’incarico affidato, la stipula di
apposita polizza a copertura dei rischi
professionali).
---------------
- il Codice dei
contratti ed il Regolamento attuativo non
impongono al Comune di sostenere la spesa
della polizza per la copertura assicurativa
dei rischi derivanti dalla responsabilità
civile per i danni arrecati a terzi da
propri dipendenti incaricati della funzione
di responsabile unico del procedimento,
direzione lavori, coordinamento per la
sicurezza e collaudo.
Deve stipularla, invece, in virtù
dell’espressa previsione legislativa (art.
90, comma 5, e 112, comma 4-bis, d.lgs.
163/2006) e regolamentare (art. 270 DPR n.
207/2010), per i dipendenti interni
incaricati della progettazione e nella
misura prevista dalle norme richiamate;
- il Comune, in aderenza alle previsioni del
Contratto collettivo nazionale, può
stipulare apposita copertura assicurativa
per i rischi derivanti da responsabilità
civile professionale verso terzi di propri
dipendenti, purché e nei limiti in cui gli
incarichi di RUP (e responsabile del
procedimento ai sensi della legge n.
241/1990), direzione lavori, coordinatore
per la sicurezza e collaudatore siano
ricompresi negli incarichi per i quali, ai
sensi del predetto CCNL, può essere
stipulata, con oneri a carico del Comune,
apposita polizza assicurativa (si rinvia
agli artt. 43 del CCNL 14.09.2000 e 8 del
CCNL 31/03/1999 del Comparto Regioni e
autonomie locali).
Rimane fermo che un ente pubblico può
assicurare quei rischi che rientrino nella
sfera della propria responsabilità
patrimoniale e che trasferiscano
all'assicuratore la responsabilità
patrimoniale stessa, mentre sarebbe priva di
giustificazione e, come tale, causativa di
danno erariale, l'assicurazione di eventi
per i quali l'ente non deve rispondere e che
non rappresentano un rischio per l'ente
medesimo.
L’art. 90
del d.lgs. 163/2006 (c.d. Codice dei
contratti pubblici) prevede che le
prestazioni relative alla progettazione
preliminare, definitiva ed esecutiva, nonché
alla direzione dei lavori ed agli incarichi
di supporto tecnico-amministrativo alle
attività del responsabile del procedimento e
del dirigente competente alla formazione del
programma triennale dei lavori pubblici sono
espletate, fra gli altri, dagli uffici
tecnici delle stazioni appaltanti (oltre che
da professionisti esterni, singoli o
associati, e da società di ingegneria).
Nel caso in cui i progetti siano redatti da
tecnici interni, la norma sopra citata
dispone che siano firmati da dipendenti
delle amministrazioni abilitati
all'esercizio della professione (di
ingegnere, architetto, geometra, etc.),
senza richiedere l’iscrizione ai pertinenti
albi professionali (che pertanto non è
necessaria ai fini della firma dei progetti
e, in generale, delle attività tecniche
espletate da personale interno).
Analoga previsione si ritrova per la figura
del responsabile unico del procedimento (RUP),
per il quale la legge non richiede
esplicitamente neppure l’abilitazione
professionale (l’art. 10 d.lgs. 163/2006
dispone che “deve possedere titolo di
studio e competenza adeguati in relazione ai
compiti per cui è nominato”, precisando
che “per i lavori e i servizi attinenti
all’ingegneria e all’architettura deve
essere un tecnico” e che “il
regolamento determina i requisiti di
professionalità richiesti”).
Per il direttore dei lavori l’art. 130 del
d.lgs. 163/2006 non specifica le
abilitazioni professionali richieste ai
dipendenti interni ed ai professionisti
esterni, anche se sulla scorta di compiti e
funzioni affidate dal Regolamento (cfr.
artt. 147 e seguenti DPR n. 207/2010) appare
necessario il possesso di idonea
abilitazione professionale (fra l’altro
trattasi di attività che può espletare
cumulativamente anche il RUP o il
progettista, figure per le quali il
legislatore, come visto, ai sensi di legge,
richiede necessariamente una qualifica
tecnica).
Anche per l’attività di collaudo gli artt.
120 e 141 del d.lgs. 163/2006 non impongono
particolari requisiti professionali ai
soggetti incaricati, mentre l’art. 216 del
Regolamento prevede che costituisce
requisito abilitante l'essere laureato in
ingegneria, architettura, e, limitatamente a
un solo componente della commissione, in
geologia, scienze agrarie e forestali.
Richiede inoltre l'abilitazione
all'esercizio della professione, mentre
esclude espressamente, per i dipendenti
delle amministrazioni aggiudicatrici,
l'iscrizione ai rispettivi albi
professionali.
Appare opportuno precisare che i dipendenti
interni incaricati delle attività
sopraindicate hanno diritto a percepire, per
compensare i maggiori oneri ed i rischi
derivanti dall’espletamento di tale
attività, oltre la normale retribuzione
contrattuale, uno specifico incentivo pari
al due per cento dell’importo dell’opera
posto a base di gara (art. 92, comma, 5
d.lgs. 163/2006).
Venendo al tema centrale del quesito posto
dal Comune, afferente gli oneri derivanti da
eventuale copertura assicurativa per i danni
arrecati durante l’espletamento degli
incarichi tecnici in discorso, il Codice dei
contratti impone ai professionisti esterni
(incaricati delle attività di supporto al
RUP, progettazione e verifica/validazione
dei progetti, cfr. artt. 10, comma 7, 111,
112 d.lgs. 163/2006) la stipula di apposita
polizza, mentre nulla dispone per gli
incarichi di direzione lavori, coordinatore
della sicurezza e collaudo (anche se nulla
esclude che le amministrazioni, in sede di
bando di gara o capitolato, possano imporre
ai professionisti esterni, nei limiti della
proporzionalità alla natura e complessità
dell’incarico affidato, la stipula di
apposita polizza a copertura dei rischi
professionali).
Mentre, per quanto riguarda le attività
espletate da personale interno, in virtù del
rapporto di servizio che lega questi ultimi
all’ente pubblico appaltante, solo l’art.
90, comma 5, del d.lgs. 163/2006, in tema di
progettazione, prevede che “il
regolamento definisce i limiti e le modalità
per la stipulazione per intero, a carico
delle stazioni appaltanti, di polizze
assicurative per la copertura dei rischi di
natura professionale a favore dei dipendenti
incaricati della progettazione”. Analoga
previsione è stata poi inserita per il
personale interno incaricato dell’attività
di verifica della progettazione (cfr. art.
112, comma 4-bis, del d.lgs. 163/2006,
introdotto con la novella del d.lgs.
152/2008).
In virtù della richiamata delega
legislativa, l’art. 270 del Regolamento DPR
n. 207 del 05.10.2010 ha previsto che “qualora
la progettazione sia affidata a proprio
dipendente, la stazione appaltante provvede,
a fare data dal contratto, a contrarre
garanzia assicurativa per la copertura dei
rischi professionali, sostenendo l'onere del
premio con i fondi appositamente accantonati
nel quadro economico di ogni singolo
intervento ovvero ricorrendo a stanziamenti
di spesa all'uopo previsti dalle singole
stazioni appaltanti. L'importo da garantire
non può essere superiore al dieci per cento
del costo di costruzione dell'opera
progettata e la garanzia copre, oltre ai
rischi professionali, anche il rischio per
il maggior costo per le varianti di cui
all'articolo 132, comma 1, lettera e), del
codice”.
Analoga disposizione non si ritrova, invece,
né nel Codice né tantomeno nel Regolamento,
per le altre eventuali attività tecniche
funzionali all’aggiudicazione ed esecuzione
di un contratto d’appalto di lavori affidate
ed espletate da personale interno (si
rinvia, per l’attività di RUP e coordinatore
sicurezza in fase di progettazione, agli
artt. 10 del Codice e 9-10 del Regolamento;
per la direzione lavori ed il coordinamento
per la sicurezza durante l’esecuzione agli
artt. 130 del Codice e 147-151 del
Regolamento; per il collaudo gli artt. 120 e
141 del Codice e 216 del Regolamento).
In maniera similare, anche all’interno della
legge generale sul procedimento
amministrativo (legge n. 241 del 07.08.1990)
non si ritrova alcuna disposizione che
imponga la stipula, con oneri a carico
dell’amministrazione, di contratti di
assicurazione che coprano il rischio dei
danni arrecati a terzi per responsabilità
civile del personale interno (in
particolare, in questo caso, del
responsabile del procedimento individuato ai
sensi dell’art. 5 della legge n. 241/1990).
Pertanto le uniche norme di legge che
impongano alle amministrazioni
aggiudicatrici di stipulare apposita
copertura assicurativa a favore dei
dipendenti incaricati di attività tecnica
inerente l’aggiudicazione ed esecuzione di
lavori pubblici, sono quelle dettate in tema
di progettazione e verifica dei progetti (ai
citati artt. 90, comma 5, e 112, comma 4
bis, del Codice ed all’art. 270 del
Regolamento attuativo).
L’art. 90, comma 5, del d.lgs. 163/2006,
infatti, in considerazione della
responsabilità solidale del dipendente con
l’amministrazione per i danni arrecati a
terzi nell’esecuzione dell’incarico di
progettazione (cfr. art. 28 Costituzione,
art. 22 del DPR n. 3/1957 Testo unico delle
disposizioni concernenti lo statuto degli
impiegati civili dello Stato, art. 93 comma
1 del TUEL d.lgs. 267/2000), solleva il
dipendente tecnico dal rischio di dover
corrispondere a terzi il risarcimento dei
danni derivanti dall’attività svolta per
conto della stazione appaltante e ne
trasferisce invece l’onere
all’amministrazione, che ha comunque
interesse alla stipula della prevista
polizza assicurativa in quanto responsabile
anch’essa verso i terzi danneggiati.
La sopra citata norma non prevede e
disciplina, invece, come esposto più avanti,
alcuna tutela assicurativa contro il rischio
del risarcimento dei danni causati dal
dipendente, non a terzi ma
all’amministrazione, con dolo o colpa grave
(in coerenza agli artt. 18-21 del DPR n.
3/1957, 93 del TUEL d.lgs. 267/2000, 1 della
legge n. 20/1994).
La previsione, frutto di una precisa opzione
legislativa tesa, dalla riforma della c.d. “legge
Merloni” (109/1994) in poi, a favorire
la progettazione interna per garantire
risparmi di spesa e crescita professionale
del personale alle amministrazioni, poiché
limita l’applicazione di una regola generale
(quella della responsabilità dei dipendenti
pubblici per i danni arrecati a terzi
nell’esercizio delle funzioni) non può
essere applicata oltre i casi e tempi da
essa considerati (cfr. art. 14 delle
disposizioni preliminari al Codice civile).
Pertanto gli artt. 90, comma 5, e 112, comma
4-bis, del d.lgs. 163/2006 che impongono
alle amministrazioni la stipula di apposite
polizze assicurative per manlevare i propri
dipendenti incaricati della redazione e
validazione della progettazione non possono
legittimare analoga iniziativa per il
rischio di responsabilità in cui possano
incorrere gli stessi dipendenti interni ove
incaricati delle altre attività tecniche
previste dal Codice dei Contratti (RUP,
direzione lavori, coordinatori per la
sicurezza in fase di progettazione e di
esecuzione, collaudo) o il
funzionario/dirigente preposto al ruolo di
responsabile del procedimento ai sensi della
legge n. 241/1990.
Per i dipendenti espletanti queste ultime
attività, occorre rinvenire, eventualmente,
altra fonte normativa o contrattuale che
possa legittimare la stipula di contratti di
assicurazione per la copertura dei rischi di
danni a terzi, con oneri a carico
dell’amministrazione.
In tale direzione l’art. 43, comma 1, del
CCNL autonomie locali del 14.09.2000 prevede
che “gli enti assumono le iniziative
necessarie per la copertura assicurativa
della responsabilità civile dei dipendenti
ai quali è attribuito uno degli incarichi di
cui agli art. 8 e ss. del CCNL del
31.03.1999, ivi compreso il patrocinio
legale, salvo le ipotesi di dolo e colpa
grave. Le risorse finanziarie destinate a
tale finalità sono indicate nei bilanci, nel
rispetto delle effettive capacità di spesa”.
Il richiamato art. 8 del CCNL del 31/03/1999
dispone che gli enti del comparto
istituiscano posizioni di lavoro che
richiedono, con assunzione diretta di
elevata responsabilità di prodotto e di
risultato:
a) lo svolgimento di funzioni di direzione
di unità organizzative di particolare
complessità, caratterizzate da elevato grado
di autonomia gestionale e organizzativa;
b) lo svolgimento di attività con contenuti
di alta professionalità e specializzazione
correlate a diplomi di laurea e/o di scuole
universitarie e/o alla iscrizione ad albi
professionali;
c) lo svolgimento di attività di staff e/o
di studio, ricerca, ispettive, di vigilanza
e controllo caratterizzate da elevate
autonomia ed esperienza.
La norma contrattuale precisa, inoltre, che
tali posizioni “possono essere assegnate
esclusivamente a dipendenti classificati
nella categoria D, sulla base e per effetto
di un incarico a termine conferito in
conformità alle regole di cui all’art. 9”.
Uno degli incarichi che, come prevede il
combinato disposto degli artt. 43 del CCNL
del 14/09/2000 e 8 del CCNL del 31/03/1999,
legittima la stipula di coperture
assicurative da parte del Comune a favore
dei propri dipendenti, attiene allo
svolgimento di attività con contenuti di
alta professionalità e specializzazione
correlate a diplomi di laurea e/o
all’iscrizione di ad albi professionali,
presupposti che si ritrovano, come visto in
precedenza, negli incarichi tecnici
affidabili ai sensi del d.lgs. 163/2006, ma
per i quali il Codice dei contratti non
impone alle amministrazioni aggiudicatrici
la stipula di alcuna polizza assicurativa (RUP,
direttore dei lavori, coordinatori per la
sicurezza, collaudatori).
Di conseguenza, ove le attività tecniche in
discorso siano comprese e qualifichino uno
degli incarichi affidati ai dipendenti, di
categoria D, ai sensi dell’art. 8 del CCNL
del 31/03/1999, è possibile per questi
ultimi beneficiare di eventuale copertura
assicurativa stipulata dal Comune contro i
rischi di danno a terzi derivanti
dall’attività tecnico professionale
espletata.
Naturalmente deve trattarsi
dell’assicurazione per la responsabilità
derivante da danni arrecati a terzi (ex art.
28 Costituzione e 93 del TUEL d.lgs.
267/2000), in cui il Comune in quanto
responsabile solidale ha un interesse alla
stipula del contratto (cfr. Corte dei Conti
sez. giurisdizionale per la Sicilia,
sentenza n. 734/2008), non della
responsabilità amministrativo contabile del
dipendente per i danni arrecati, con dolo o
colpa grave, all’amministrazione medesima.
In quest’ultimo caso, infatti, confermando
una giurisprudenza ormai consolidata (Corte
dei Conti, sezione giurisdizionale Umbria n.
553 del 10/12/2002, sezione giurisdizionale
Friuli Venezia Giulia n. 60 del 05/02/2003,
oltre che la citata sezione giurisdizionale
Sicilia n. 734 del 04/03/2008), il
legislatore ha sancito un apposito divieto
nell’art. art. 3 comma 59 della legge n.
244/2007 (“È nullo il contratto di
assicurazione con il quale un ente pubblico
assicuri propri amministratori per i rischi
derivanti dall’espletamento dei compiti
istituzionali connessi con la carica e
riguardanti la responsabilità per danni
cagionati allo Stato o ad enti pubblici e la
responsabilità contabile. I contratti di
assicurazione in corso alla data di entrata
in vigore della presente legge cessano di
avere efficacia alla data del 30.06.2008”).
Pertanto ai due quesiti formulati dal comune
di Berbenno può darsi risposta nei termini
che seguono:
- il Codice dei contratti
ed il Regolamento attuativo non impongono al
Comune di sostenere la spesa della polizza
per la copertura assicurativa dei rischi
derivanti dalla responsabilità civile per i
danni arrecati a terzi da propri dipendenti
incaricati della funzione di responsabile
unico del procedimento, direzione lavori,
coordinamento per la sicurezza e collaudo.
Deve stipularla, invece, in virtù
dell’espressa previsione legislativa (art.
90, comma 5, e 112, comma 4-bis, d.lgs.
163/2006) e regolamentare (art. 270 DPR n.
207/2010), per i dipendenti interni
incaricati della progettazione e nella
misura prevista dalle norme richiamate;
- il Comune, in aderenza alle previsioni del
Contratto collettivo nazionale, può
stipulare apposita copertura assicurativa
per i rischi derivanti da responsabilità
civile professionale verso terzi di propri
dipendenti, purché e nei limiti in cui gli
incarichi di RUP (e responsabile del
procedimento ai sensi della legge n.
241/1990), direzione lavori, coordinatore
per la sicurezza e collaudatore siano
ricompresi negli incarichi per i quali, ai
sensi del predetto CCNL, può essere
stipulata, con oneri a carico del Comune,
apposita polizza assicurativa (si rinvia
agli artt. 43 del CCNL 14.09.2000 e 8 del
CCNL 31/03/1999 del Comparto Regioni e
autonomie locali).
Rimane fermo, come anche evidenziato dalla
giurisprudenza contabile sopra richiamata,
che un ente pubblico può assicurare quei
rischi che rientrino nella sfera della
propria responsabilità patrimoniale e che
trasferiscano all'assicuratore la
responsabilità patrimoniale stessa, mentre
sarebbe priva di giustificazione e, come
tale, causativa di danno erariale,
l'assicurazione di eventi per i quali l'ente
non deve rispondere e che non rappresentano
un rischio per l'ente medesimo (Corte dei Conti, Sez.
controllo Lombardia,
parere 21.12.2011 n. 665). |
NEWS |
INCARICHI PROFESSIONALI/PROGETTUALI: LIBERALIZZAZIONI/
Pubblicato in G.U. il decreto 1/2012 che
elimina l'obbligo per i professionisti.
Compensi, il preventivo non serve.
Tutti gli oneri vanno comunicati. Non
necessariamente per iscritto.
Il compenso del professionista va pattuito
per iscritto solo se è il cliente a
chiederlo. Gli iscritti agli ordini avranno
il mero obbligo di comunicare il compenso al
momento del conferimento dell'incarico
indicando il dettaglio delle voci di costo,
delle spese e dei contributi.
È quanto
emerge dall'articolo 9, inserito nel decreto
legge sulle liberalizzazioni n. 1/2012
pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale di ieri,
in tema di professioni regolamentate.
Tra la
prima versione del dl uscita dal Cdm e
quella (rivisitata) oggi disponibile la
differenza è sostanziale giacché il
preventivo, pena l'apertura di una procedura
disciplinare, si rendeva necessario a
prescindere che il cliente avesse conferito
l'incarico (ante), mentre ora si parla
chiaramente di determinazione degli onorari
nel momento in cui il cliente ha effettuato
la scelta (post), tenendo conto
ulteriormente degli «oneri ipotizzabili dal
momento del conferimento alla conclusione
dell'incarico...».
Inoltre, è stato previsto che il «mandato
professionale» (definizione più corretta),
peraltro sempre predisposto dall'iscritto
all'albo più oculato anche al fine di
evitare ripensamenti ingiustificati da parte
del cliente, oltre che all'indicazione
presuntiva dell'onorario, debba indicare le
singole prestazioni e tutte le ulteriori
voci di costo, come spese, oneri e
contributi. In ogni caso la misura del
compenso deve essere adeguata all'importanza
dell'opera.
L'incarico professionale, inoltre, va
coperto da assicurazione per eventuali danni
causati nell'esercizio dell'attività
professionale e i dati della polizza vanno
comunicati ali cliente. L'inottemperanza di
quanto disposto costituisce illecito
disciplinare del professionista. Va ancora
evidenziata la discriminazione tra gli
obblighi posti a carico dei professionisti
iscritti agli ordini, rispetto a quelli non
iscritti che, guarda caso, non dovendo
tenere conto di queste disposizioni, creano
vere e proprie «alterazioni» del
mercato
(articolo ItaliaOggi del 25.01.2012). |
ATTI AMMINISTRATIVI: SEMPLIFICAZIONI/
Venerdì il decreto in cdm. La carta
d'identità scadrà il giorno del compleanno.
P.a., solo comunicazioni on-line.
Cambi di residenza in tempo reale. Verifiche
soft sulle imprese.
Dovrà cadere il muro di incomunicabilità
telematica che finora ha impedito alle
pubbliche amministrazioni di scambiarsi dati
online. L'obbligo, che per certi versi
costituisce il corollario dell'abolizione
dei certificati nei rapporti tra cittadini e
p.a. disposta dalla legge di stabilità 2012,
è sancito nel decreto sulle semplificazioni,
messo a punto dal ministro della funzione
pubblica, Filippo Patroni Griffi, e pronto
ad approdare venerdì in consiglio dei
ministri.
Viaggeranno on-line le comunicazioni relative
alla tenuta e alla revisione delle liste
elettorali, le comunicazioni tra i comuni e
le questure e le annotazioni delle
convenzioni matrimoniali inviate dai notai
ai municipi.
Ma anche e soprattutto i cambi di residenza
che oggi hanno bisogno di mesi per essere
formalizzati e che in futuro dovranno essere
perfezionati in tempo reale. Il
trasferimento da un comune italiano a un
altro (o dall'estero) produrrà effetti
immediati nell'anagrafe del nuovo ente.
Grazie a una nuova e più stringente
tempistica che impone all'ufficiale di stato
civile di informare entro due giorni
mediante comunicazione telematica il comune
di provenienza onde evitare che questo
continui a emettere certificati intestati al
soggetto che intende trasferirsi. E per
venire incontro ai più distratti, il governo
sta studiando la possibilità di estendere la
validità dei nuovi documenti di identità al
giorno del compleanno del titolare, in modo
da scongiurare ogni possibile dimenticanza.
«Se una amministrazione ha dei dati e
un'altra li cerca, dobbiamo fare in modo che
i due enti comunichino direttamente,
cittadini e imprese hanno bisogno di tempi
certi», ha dichiarato il ministro.
L'abbattimento dei tempi burocratici andrà
di pari passo con la riduzione dei controlli
sulle imprese. Le verifiche dovranno essere
ispirate ai seguenti principi:
a) semplicità e proporzionalità dei
controlli e degli adempimenti
amministrativi;
b) eliminazione di attività di controllo non
necessarie rispetto alla tutela degli
interessi pubblici;
c) coordinamento e programmazione dei
controlli da parte delle amministrazioni in
modo da assicurare la tutela dell'interesse
pubblico evitando duplicazioni e
sovrapposizioni. Le p.a. dovranno pubblicare
sul proprio sito istituzionale e sul sito
www.impresainungiorno.gov.it la lista dei
controlli a cui sono assoggettate le imprese
in ragione della dimensione e del settore di
attività, indicando per ciascuno di essi i
criteri e le modalità di svolgimento delle
relative attività;
d) collaborazione amichevole con i soggetti
controllati;
e) informatizzazione degli adempimenti e
delle procedure
f) soppressione di controlli sulle imprese
in possesso di certificazione Iso o
equivalente, per le attività oggetto di tale
certificazione.
In arrivo anche un'autorizzazione unica
ambientale per le piccole e medie imprese.
Sarà rilasciata da un unico soggetto e
sostituirà qualsiasi comunicazione, notifica
e autorizzazione prevista dalla legislazione
in materia ambientale
(articolo ItaliaOggi del 25.01.2012). |
VARI: Requisiti
per la patente accertati dal medico di base.
Requisiti psicofisici per la patente
accertati dal medico di base. Rinnovo
semplificato della licenza di guida degli
ottantenni. Procedure più snelle per il
rilascio del contrassegno invalidi. Scadenze
allungate per il bollino blu.
Sono queste
alcune delle novità in materia stradale
previste dalla bozza del decreto legge
semplificazioni all'esame del Governo.
L'accertamento dei requisiti fisici e
psichici per il rilascio della patente di
guida potrà essere effettuato semplicemente
dal medico di base. Non però nei confronti
di chi ha compiuto ottanta anni, per i quali
scatterà peraltro una semplificazione.
Infatti, gli ottantenni non dovranno più
ottenere lo specifico attestato rilasciato
dalla commissione medica locale a seguito di
visita medica specialistica, ma dovranno
comunque sottoporsi al classico accertamento
presso l'unità sanitaria locale o presso gli
altri uffici competenti ai sensi dell'art.
119, comma 2, del codice della strada.
Semplificazione in arrivo anche per chi ha
compiuto sessantacinque anni e deve
rinnovare la patente per guidare autocarri
di massa complessiva a pieno carico
superiore a 3,5 tonnellate, autotreni e
autoarticolati, adibiti al trasporto di
cose, la cui massa complessiva a pieno
carico non è superiore a 20 t, e macchine
operatrici: l'accertamento dei requisiti
psico-fisici avrà cadenza quinquennale,
anziché biennale. Procedure più semplici per
il rilascio del contrassegno invalidi.
In
presenza dei verbali delle commissioni
mediche integrate di cui al decreto legge n.
78 dell'01.07.2009 non servirà più la
certificazione medica rilasciata
dall'ufficio medico-legale dell'unità
sanitaria locale di appartenenza. Tali
verbali, infatti, dovranno indicare anche
l'esistenza dei requisiti sanitari necessari
per il rilascio del contrassegno invalidi e,
inoltre, saranno riconosciuti anche per
l'esenzione dal pagamento del bollo auto e
dell'imposta di trascrizione al Pra nei
passaggi di proprietà. Già da quest'anno,
dal momento in cui il decreto legge entrerà
in vigore, saranno notevolmente diluite le
scadenze per il controllo dei gas di scarico
degli autoveicoli e dei motoveicoli.
Infatti, il controllo dei dispositivi di
combustione e scarico dovrà essere
effettuato solo in occasione della revisione
periodica. Saranno dispensate dalla
frequenza del corso di formazione
preliminare per l'esame di idoneità alla
professione di trasportatore su strada le
persone che hanno superato un corso di
istruzione secondaria di secondo grado,
mentre saranno esentati dall'esame coloro
che hanno diretto in via continuativa
l'attività in una o più imprese di trasporto
italiane o comunitarie da almeno dieci anni
precedenti il 04.12.2009 e siano ancora in
attività.
Infine, novità in arrivo per i divieti di
circolazione dei mezzi pesanti fuori dei
centri abitati. I giorni non festivi
dovranno essere individuati dal consueto
decreto ministeriale in modo da contemperare
le esigenze della sicurezza stradale,
correlate alle previsioni di traffico, con
gli effetti dei divieti sull'attività di
autotrasporto e sul sistema economico
produttivo
(articolo ItaliaOggi del 25.01.2012). |
VARI: LIMITI
VELOCITA'/ Parere Trasporti. Chi sbaglia paga
solo per l'eccesso.
Non è ancora possibile sanzionare in
modalità automatica gli automobilisti più
negligenti che circolano senza adeguare la
velocità alle caratteristiche ambientali. E
neppure elevare verbali diversi da quelli
tradizionali con strumenti come autovelox e
photored a parte quelli per assicurazione
tarocca.
Lo ha evidenziato il Ministero dei
trasporti con il parere 20.12.2011 n. 6217.
Un comune ha richiesto
chiarimenti sulle nuove multe automatiche
formalmente sdoganate con la legge 120/2010.
In pratica con l'ultima corposa riforma del
codice della strada è stato allargato il
novero delle infrazioni che possono essere
accertate con l'uso di strumentazione
elettronica, senza agenti. Tra queste
ipotesi è prevista pure la possibilità,
alquanto teorica, di accertare infrazioni in
materia di velocità pericolosa. Ma solo dopo
l'approvazione della strumentazione
specificamente preposta. In mancanza di
queste omologazioni il comune di Pistoia ha
quindi richiesto chiarimenti al ministero.
Allo stato attuale, specifica il parere
centrale, nessun misuratore elettronico è
stato ancora omologato per accertare
automaticamente, senza presidio, la velocità
pericolosa dei veicoli. Nelle more della
loro approvazione, prosegue il ministero,
non è però neppure consentito forzare la
mano utilizzando autovelox o altri strumenti
omologati per altri usi al fine di
immortalare comportamenti vietati e puniti
dall'art. 141 del codice della strada. La
velocità pericolosa, tra l'altro,
corrisponde ad una valutazione qualitativa
della condotta di guida che difficilmente
può essere valutata da una macchina, seppure
sofisticata.
Per questo motivo
difficilmente, anche nel futuro, potremo
avere misuratori omologati ad hoc per
sanzionare chi circola non adeguando la sua
velocità alle caratteristiche della strada,
del tempo e del traffico. Resta vero,
conclude il ministero dei trasporti, che da
un accertamento automatico possono derivare
anche ulteriori sanzioni. Ma al momento
l'unica multa certa per chi incappa in un
tutor, in un accesso abusivo in una zona ztl
oppure in un autovelox sembra essere quella
prevista dall'art. 193/4° del codice
stradale, ovvero quella prevista per chi
circola in mancanza di copertura
assicurativa.
Lo prevede la legge 12.11.2011, n. 183 “Disposizioni
per la formazione del bilancio annuale e
pluriennale dello Stato”, in vigore
dall'01.01.2012
(articolo ItaliaOggi del 24.01.2012). |
ENTI LOCALI - VARI: Catasto,
slitta a fine giugno il termine per le case
rurali.
Ancora una proroga per l'accatastamento dei
fabbricati rurali. Slitta dal 31.03. al 30.06.2012 il termine per la presentazione
delle domande di variazione catastale
all'Agenzia del territorio. Le istanze sono
finalizzate al godimento delle agevolazioni
fiscali per i caseggiati rurali.
Lo prevede
un emendamento approvato in commissione
bilancio alla camera al ddl di conversione
del dl Milleproroghe (dl 216/2011).
Segnatamente all'articolo 29, comma otto. Il
termine originario per l'accatastamento
nelle categorie A6 (abitazioni rurali) e D10
(fabbricati strumentali) era inizialmente
fissato al 31.09.2011. Il Milleproroghe ha concesso il rinvio della
scadenza al 31.03.2012.
L'emendamento a
fine giugno. Stime dell'ufficio studi
Confagricoltura, a fine dicembre, rilevavano
quasi quattro milioni di fabbricati rurali,
di cui 1.100.000 abitazioni occupate, 350
mila case non occupate, 1.100.000 stalle e
ricoveri per animali, 1.380.000 fabbricati
adibiti a vari usi (tra cui 950 mila a
depositi di macchine e attrezzi).
La norma
del Milleproroghe fa salvo il classamento
originario degli immobili rurali a uso
abitativo. Ma alle variazioni catastali sono
comunque interessati i titolari di immobili
a uso strumentale, che intendono incassare
l'inquadramento catastale nella categoria
D10. Per costoro con l'Imu, nel 2012, non
sarà più prevista l'esenzione, ma un
trattamento agevolato con applicazione
dell'aliquota del 2 per mille. Che i comuni
potranno ridurre all'1.
Comunque sia, il 14.09.2011, un decreto del
ministro dell'economia pubblicato in G.U. n.
220/2011, dando attuazione all'art. 7, commi
2-bis, e seguenti del dl sviluppo (70/2011),
ha fissato le modalità procedurali per la
presentazione delle domande di variazione
catastale all'Agenzia del territorio al fine
di ottenere i benefici fiscali sui
fabbricati rurali
(articolo ItaliaOggi del 24.01.2012). |
ENTI LOCALI: Più
tempo per approvare i bilanci negli enti
locali.
Prorogato al 30 giugno il termine per
l'approvazione dei bilanci degli enti locali
e la deliberazione di aliquote e tariffe.
Inoltre, per il 2012 comuni e concessionari
possono riscuotere le entrate a mezzo
ingiunzione facendo ricorso alle misure
esecutive che la legge consente di adottare
per la riscossione coattiva privilegiata a
mezzo ruolo.
Lo prevede, in sede di
conversione in legge, l'articolo 29 del dl Milleproroghe (216/2011). Più tempo, dunque,
per le amministrazioni locali per
predisporre i bilanci. La proroga trascina
con sé anche il termine per deliberare i
regolamenti su entrate, aliquote e tariffe.
Mai come quest'anno è opportuno il
differimento del termine, considerato che
dal 2012 i comuni sono tenuti ad applicare
la nuova Imu, il cui gettito va diviso con
lo stato. Nulla cambia, invece, per l'anno
in corso. I comuni possono riscuotere
direttamente le loro entrate spontanee o
volontarie, tributarie ed extratributarie, o
affidarle ai concessionari iscritti all'albo
ministeriale. Non è più previsto l'obbligo
di riscossione diretta che in un primo
momento era stato imposto dall'articolo 7
del dl sviluppo (70/2011).
La norma è stata
modificata dall'articolo 10 del dl Monti.
L'unica eccezione è rappresentata dall'Imu.
La nuova imposta locale potrà essere pagata
dal contribuente solo con modello F24, anche
se ancora deve essere chiarito in che modo
va effettuato il versamento della quota
statale. Il recupero coatto delle entrate
locali può avvenire mediante ruolo o tramite
ingiunzione fiscale, se svolto in proprio
dall'ente locale o dai soggetti abilitati.
Proprio riguardo a quest'ultimo strumento è
stato opportuno l'intervento legislativo, in
sede di conversione dell'articolo 29 del dl Milleproroghe
(216/2011), con il quale viene affermata in
modo chiaro la sua utilizzabilità per il
2012
(articolo ItaliaOggi del 24.01.2012). |
ENTI LOCALI: Dl milleproroghe. All'esame dell'aula lo
slittamento della riduzione dei contratti
flessibili di educatori e polizia municipale.
Stop alle unioni dei piccoli enti. Rinvio a
metà 2013 per gli accorpamenti e le gestioni
associate sotto 5mila abitanti.
Si ferma la "razionalizzazione" disordinata
dei Comuni sotto i 5mila abitanti prevista
dalla manovra-bis di Ferragosto, e la
pioggia di rinvii porta con sé anche lo
slittamento in avanti dei termini entro cui
gli enti fino a 50mila abitanti dovranno
dismettere le proprie partecipazioni
societarie.
Frutto del ricchissimo pacchetto
enti locali inserito dalle commissioni
Affari costituzionali e Bilancio di
Montecitorio alla legge di conversione del Milleproroghe, che ha debuttato ieri in Aula
alla Camera e che prevede anche il rinvio al
2013 per la tagliola del 50% al personale a
tempo determinato dei servizi educativi e
della Polizia locale, oltre a rinviare al 30
giugno il termine per l'approvazione dei
bilanci preventivi (si veda anche Il Sole 24
Ore del 20 e 21 gennaio).
Lo stop alle Unioni obbligatorie per i 1.948
Comuni fino a mille abitanti, e alle
gestioni associate imposte ai 3.735 sindaci
che guidano enti compresi fra 1.001 e 5mila
residenti, arriva sotto forma di una proroga
di 9 mesi a tutti i termini critici previsti
dalla manovra-bis (articolo 16 del Dl
138/2011). Il rinvio, almeno nelle
intenzioni degli amministratori locali
espresse dal coordinatore nazionale Anci
piccoli Comuni, Mauro Guerra, se sarà
confermato dall'Aula dovrà però servire a
«modificare le parti più insensate
dell'articolo 16, e dare vita rapidamente ad
una normativa razionale ed efficace su
piccoli Comuni».
I tempi supplementari concessi dal testo
approvato in commissione non sono da poco.
Le Unioni obbligatorie avrebbero dovuto
"fondere" gli enti fino a mille abitanti in
realtà di almeno 5mila abitanti (3mila in
montagna, il tutto al netto di eventuali
ritocchi regionali) a partire dai rinnovi
elettorali successivi al 13.08.2012: il
correttivo approvato in commissione propone
di spostare il termine di riferimento al 13.05.2013, salvando quindi anche i Comuni
interessati dal voto amministrativo il
prossimo anno.
Il ritocco salva anche le
Giunte negli enti fino a mille abitanti, che
sarebbero state cancellate nel nuovo
ordinamento, ma non ferma la sforbiciata
imposta alla politica locale dal prossimo
turno elettorale: il comma 17 dell'articolo
16, infatti, non viene imbarcato nel rinvio,
per cui i consigli che usciranno dalle
prossime elezioni avranno 6 posti negli enti
fino a 3mila abitanti (e due assessori), 7
posti quando gli abitanti sono fra 3.001 e
5mila (tre assessori) e dieci posti (quattro
assessori) nei Comuni fra 5.001 e 10mila
abitanti.
Slittano a settembre 2013 anche la
data per la gestione associata obbligatoria
delle sei funzioni fondamentali nei Comuni
fra 5.001 e 10mila abitanti (prevista
dall'articolo 14, comma 31, del Dl 78/2010) e
i termini entro cui gli enti fino a 50mila
abitanti dovranno dismettere le
partecipazioni "in eccesso" (fino a 30mila
abitanti è previsto il divieto di detenere
partecipazioni, fra 30.001 e 50mila è
possibile mantenerne una, ma alla regola
sfuggono le società con i conti in ordine).
Tra i commi della manovra di Ferragosto
coinvolti dal rinvio c'è anche la riforma
dei revisori contabili (articolo 16, comma
25), ma la firma del decreto attuativo da
parte del ministro dell'Interno ha fatto
partire il meccanismo che ora attende solo
la pubblicazione in «Gazzetta Ufficiale» e
l'avvio del sistema informatico di nomina
(si veda Il Sole 24 Ore del 21 gennaio).
I correttivi approvati in Commissione
intervengono poi sui nodi più spinosi nella
gestione del personale. Per quest'anno i
Comuni non dovranno ridurre del 50% i
contratti a tempo determinato per il
personale educativo e scolastico e per
quello impiegato nelle funzioni di Polizia
municipale
(articolo Il Sole 24
Ore del 24.01.2012 - tratto da
www.ecostampa.it). |
APPALTI SERVIZI: Primo
effetto del Dl «Cresci-Italia». In house:
gestioni sopra-soglia attive fino a dicembre.
Non è nel Milleproroghe, ma il primo effetto
delle regole sulle società partecipate dagli
enti locali previste dal decreto sulle
liberalizzazioni varato venerdì scorso è un
rinvio. Riguarda la decadenza automatica
degli affidamenti diretti effettuati nei
confronti di società in house oltre la
soglia di valore consentita: il tetto, per
effetto dello stesso decreto, scende da
900mila a 200mila euro annui, ma la tagliola
scatta viene rinviata al 31 dicembre.
In
pratica, gli affidamenti che superano il
vecchio tetto di 900mila euro, e che
avrebbero dovuto alzare bandiera bianca al
31 marzo, ottengono per questa via dieci
mesi di vita aggiuntiva: tre anni in più,
poi, sono possibili se le società si fondono
in un'unica realtà di bacino, all'interno
degli ambiti che dovranno essere individuati
dalle Regioni.
Gli affidamenti al minimo
Dal 1° gennaio dell'anno prossimo, quindi,
gli affidamenti diretti saranno ridotti al
minimo, perché il nuovo tetto di valore
esclude una grossa fetta di servizi, ma
anche in questo caso la nuova regola
aggiunge un tassello che si può rivelare
importante: il divieto di affidamento
diretto, infatti, non scatta se la società
nei confronti del quale viene effettuato è
l'unica a gestire il servizio all'interno
dell'ambito territoriale ottimale.
Le novità sono contenute nell'articolo 25
del decreto «Cresci-Italia» approvato
venerdì, che nell'ottica dichiarata della
«promozione della concorrenza nei servizi
pubblici locali» rivede profondamente
l'assetto delle regole introdotte dalle
ultime manovre per disciplinare i rapporti
fra Comuni e società in house.
Un altro
piccolo rinvio introdotto dalla nuova
normativa riguarda il decreto ministeriale
che dovrà fissare le regole per la delibera
di ricognizione dei servizi pubblici: la
disciplina ministeriale dovrà vedere la luce
entro il 31 marzo (il vecchio termine era
fissato al 31 gennaio), ma la procedura
diventa decisamente più stringente rispetto
a quella in vigore fino a oggi.
La delibera,
infatti, serve a "giustificare" sulla base
di un'indagine di mercato la necessità di
evitare la gara competitiva per seguire la
vecchia strada dell'in house, ma nel nuovo
quadro il parere dell'Antitrust diventa
obbligatorio e vincolante per le future
scelte dell'ente locale.
Nuovi vincoli all'in house
Per limitare il ricorso all'in house, il
decreto di venerdì conferma alcuni vincoli
già previsti dalla vecchia normativa ma
ancora da attuare, e ne aggiunge di nuovi.
Del primo gruppo fanno parte
l'assoggettamento ai vincoli del Patto di
stabilità, che ora si estende anche alle
aziende speciali ma attende un decreto
attuativo previsto fin dall'articolo 23-bis
del Dl 112/2008 ma mai arrivato al
traguardo.
Nell'attesa del decreto, però, la
riforma pone un limite all'indebitamento:
fino al varo delle nuove regole, infatti, i
nuovi mutui assunti dalle affidatarie in
house non possono far superare agli oneri
annuali di ammortamento il tetto del 25%
delle entrate effettive accertate nel
bilancio dell'esercizio precedente.
Confermato anche l'obbligo di selezione del
personale secondo i principi del concorso a
evidenza pubblica previsti per le pubbliche
amministrazioni dal Dlgs 165/2001, ma su
questo versante le novità sono rilevanti.
L'articolo 25, comma 4 del «Cresci-Italia»
prevede infatti che le società affidatarie
in house si adeguino anche alle
«disposizioni che stabiliscono a carico
degli enti locali divieti o limitazioni alle
assunzioni di personale, contenimento degli
oneri contrattuali e delle altre voci di
natura retributiva o indennitarie e per le
consulenze anche degli amministratori».
Si tratta di un gruppo di regole
particolarmente significativo dopo gli
interventi taglia-spesa delle ultime
manovre, per cui la previsione si traduce
nell'estensione alle affidatarie dirette,
tramite la via obbligata dei regolamenti
autonomi, del blocco contrattuale, del tetto
agli stipendi e delle regole che tagliano i
trattamenti accessori nei primi giorni di
malattia.
Una previsione draconiana, che potrebbe
porre più di un problema applicativo viste
le differenze contrattuali e di struttura
stipendiale che le aziende presentano
rispetto agli enti pubblici (articolo Il
Sole 24 Ore del 24.01.2012 - tratto da
www.corteconti.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI: Semplificazioni.
Addio a 350 leggi inutili. Sanzioni al
dirigente che sfora i tempi.
DECRETO SEMPLIFICAZIONI/ Sì ai cambi di
residenza in due giorni e ai tempi certi
nelle pratiche della Pa A rischio l'addio al
bollino blu annuale.
«A volte è meglio un "no" piuttosto che
un "ni" o nessuna risposta per tanto tempo».
Il ministro della Pubblica amministrazione,
Filippo Patroni Griffi, ha riassunto così la
ratio del decreto sulle
semplificazioni, che sarà venerdì in
Consiglio dei ministri e che punta ad
assicurare tempi certi a cittadini e
imprese. Innanzitutto nei rapporti con la
Pa: il dirigente che non completerà la
pratica in tempo sarà sanzionato. Ma insieme
alla sburocratizzazione dovrebbe arrivare
anche l'eliminazione di 350 leggi inutili.
La conferma è giunta ieri dallo stesso
responsabile di Palazzo Vidoni. Ai microfoni
di Baobab su Radiouno Rai, Patroni Griffi ha
parlato di un provvedimento che proseguirà
le iniziative già realizzate da Roberto
Calderoli. Il dipartimento della Funzione
pubblica sta mettendo a punto l'elenco delle
disposizioni da abrogare. Si partirà da un
nucleo di 35 voci già individuate: si va
dalla legge che disciplinava l'ora legale
nel 1971 a quella sulle provvidenze per i
rifugiati dalla Libia, fino alle
disposizioni che rinviavano alcune elezioni
amministrative o stabilivano la composizione
del Cda del Viminale. A queste se ne
aggiungeranno altre, individuate d'intesa
con i dicasteri interessati, così da
arrivare alle 350 citate dal ministro.
Passando agli altri contenuti, il cantiere
sul Dl è più aperto che mai. Anche ieri si
sono svolte riunioni tra i tecnici della
Semplificazione e quelli dell'Economia.
Nelle prossime 48 ore alcune norme
potrebbero essere oggetto, se non di
eliminazione, almeno di una riscrittura. Ad
esempio il bollino blu annuale per auto e
moto o dell'inserimento dei crediti delle
cooperative di produzione e lavoro tra
quelli considerati privilegiati.
Tra quelle sopravvissute alla verifica
spiccano gli articoli che obbligano gli
uffici pubblici a scambiarsi on-line
i dati su anagrafe e stato civile oppure che
rendono operativi i cambi di residenza in
due giorni. Ma le novità per i cittadini non
si fermano qui dal momento che la scadenza
per le carte d'identità potrebbe essere
fatta coincidere con il compleanno del
diretto interessato.
Inoltre, come anticipato nei giorni scorsi
su questo giornale, all'Inps dovrebbe essere
affidata la gestione del «casellario
dell'assistenza» con l'elenco di tutti i
percettori di prestazioni sociali agevolate.
Al tempo stesso verranno velocizzate alcune
procedure per i soggetti con disabilità:
basterà il verbale delle commissioni mediche
integrate per ottenere il contrassegno di
parcheggio, l'Iva ridotta sull'acquisto di
veicoli e l'esenzione dal bollo auto e dall'Ipt.
Parecchio coinvolte dal provvedimento
saranno anche le imprese. Come confermano
l'obbligo per le Pa di pubblicare sul
proprio sito istituzionale e sul portale
www.impresainungiorno.gov.it la lista dei
controlli a cui saranno sottoposte le
aziende, la previsione di una serie di
regolamenti governativi taglia-oneri da
emanare entro fine 2012 e la punibilità dei
dirigenti pubblici che non completeranno i
procedimenti amministrativi nei termini: «La
mancata o tardiva emanazione del
provvedimento nei termini –si legge in una
delle ultime bozze di Dl– costituisce
elemento di valutazione della performance
individuale, nonché di responsabilità
disciplinare e contabile del dirigente e del
funzionario inadempiente»
(articolo Il Sole 24
Ore del 24.01.2012 - tratto da
www.corteconti.it). |
INCARICHI PROFESSIONALI/PROGETTUALI: Preventivo
scritto su richiesta. Il cliente potrà
sollecitare il conteggio - Tirocinio anche
negli uffici pubblici.
LA PARTICOLARITÀ/ Atteso un decreto
Giustizia-Economia con parametri per
calcolare oneri e contribuzioni per la
previdenza notarile.
Contrordine: il preventivo del
professionista va messo per iscritto solo se
a richiederlo è il cliente stesso. Si
attenua la formulazione dell'articolo 9 del
Dl liberalizzazioni (atteso per la
pubblicazione in «Gazzetta Ufficiale»)
che individua l'obbligo deontologico di
fornire per iscritto la pattuizione del
compenso e una previsione di onorario. Il
testo conferma il vincolo, tra cliente e
professionista, di mettere nero su bianco il
compenso per le prestazioni richieste (e i
dati della copertura assicurativa) con il
conferimento dell'incarico, la misura è «previamente
resa nota al cliente anche in forma scritta
se da questi (il cliente, ndr) richiesta».
Non è l'unica novità. Accanto al decreto
ministeriale che dovrà fornire i parametri
che servono al giudice nei casi di
contenzioso e di liquidazione delle spese
giudiziali, si profila un altro decreto
Giustizia-Economia dove sono stabiliti «i
parametri per oneri e contribuzioni alla
Casse professionali e agli archivi
precedentemente basati sulle tariffe».
Un riferimento alla Cassa dei notai che basa
i versamenti sul valore degli atti iscritti
dai professionisti nel repertorio notarile.
«Dall'onorario di repertorio –ha spiegato
Paolo Pedrazzoli, presidente della Cassa del
notariato– dipendeva non solo il calcolo dei
contributi, ma anche le spese di
funzionamento di Ordini e Consiglio
nazionale, oltre che la cosiddetta tassa
archivio di cui noi siamo solo esattori,
visto che la giriamo allo Stato. Speriamo
solo che il decreto con i nuovi parametri
arrivi presto, perché la Cassa rischia di
non poter avere versamenti per settimane. Se
dovesse tardare, dovrò mantenere i vecchi
parametri tariffari solo per calcolare gli
oneri previdenziali».
Per evitare, però, che questi parametri
possano rientrare come tariffe "mascherate"
nella determinazione degli onorari, la norma
chiarisce che ogni pattuizione di compenso
fatta sulla loro base è nulla. Nessuna
retromarcia, almeno in questa fase,
sull'equo compenso per il praticante, già
approvato lo scorso agosto con la legge
148/2011 ma cancellato dal decreto legge.
Infine, il tirocinio si arricchisce di una
possibilità in più. Confermata la
possibilità –previa convenzione tra Ordini e
ministero dell'Istruzione– di svolgere i
primi sei mesi di tirocinio (su 18 mesi al
massimo) in concomitanza con i corsi
universitari, analoghe convenzioni possono
essere stipulate tra Consigli nazionali e
ministero della Pubblica amministrazione per
consentire, a laurea ottenuta, di poter
svolgere il tirocinio, in tutto o in parte,
presso pubbliche amministrazioni.
Capitolo-reazioni. I commercialisti delle
sigle sindacali Sic e Andoc non si
scandalizzano tanto per le misure sulle
tariffe, quanto piuttosto per «i danni»
delle semplificazioni su collegio sindacali
e tirocinio. Nel primo caso –spiegano– la
riduzione da tre a uno dei "controllori"
nelle Srl «non comporterà un risparmio a
carico delle piccole imprese destinatarie ma
solo maggiori responsabilità a carico dei
professionisti incaricati, sempre nominati
dalla maggioranza societaria». Nel
secondo caso, si profila la «mortificazione»
del tirocinio.
Contro il Governo anche i giovani avvocati
dell'Aiga, che se la prendono contro
l'abolizione dell'equo compenso da erogare
al praticante, introdotto con la manovra
d'agosto: «È evidente –sottolinea il
presidente di Aiga, Dario Greco– che il
Governo è a favore dei giovani soltanto a
parole, ma nei fatti è capace di sfornare
esclusivamente provvedimenti punitivi».
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Le entrate in vigore
01 | TARIFFE E PREVENTIVI
Abrogate da subito. Così come l'obbligo di
pattuizione scritta dei compensi e, a
richiesta, del preventivo.
Due successivi decreti (senza scadenza)
prevedono parametri per la liquidazione
giurisdizionale dei compensi e per la
determinazione di oneri e contribuzioni a
fini previdenziali.
02 | TIROCINIO
Le norme sul tirocinio anticipato di 6 mesi
all'università non sono subito applicabili
perché necessitano di un accordo quadro tra
Consigli nazionali degli Ordini e Miur.
Stessa cosa per la possibilità di svolgere
il tirocinio nella Pa.
03 | CONFIDI
Subito applicabile la norma che apre ai
liberi professionisti il patrimonio dei
condifi. Si applicano le norme del Dl
201/2011 (legge 214/2011).
04 | NOTAI
Entro 120 giorni dalla pubblicazione in
Gazzetta è atteso il decreto con la
distribuzione per Comuni della nuova pianta
organica aumentata di 500 posti.
Entro il 31.12.2012 sono espletate le
procedure del concorso per la nomina di 200
notai e per i concorsi da 200 e 150 posti
banditi nel 2010 e 2011.
Entro il 31.12.2013 è bandito un concorso
per 500 posti. Entro il 31.12.2014 è bandito
un concorso per 470 nuovi posti.
Sono invece immediatamente applicabili sia
le norme relative al vincolo, per il notaio,
di trascorrere almeno tre giorni la
settimana nel suo studio e almeno uno ogni
15 per ciascun Comune o frazione aggregati,
sia quelle che riguardano l'avvio
dell'azione disciplinare da parte di
procuratore della Repubblica e presidente
del Consiglio notarile
(articolo Il Sole 24
Ore del 24.01.2012 - tratto da
www.ecostampa.it). |
VARI:
Multiproprietà, acquisti
verificati.
Controlli allargati sulla regolarità
catastale degli immobili. I chiarimenti in
uno studio del Notariato sulla legge n.
122/2010. Escluse le vicende successorie.
Verifiche sulla regolarità catastale anche
per gli immobili acquistati in
multiproprietà. Nello
studio n. 426-2011/C
il Consiglio nazionale del notariato
fornisce infatti importanti chiarimenti in
merito al problema dell'applicazione della
recente normativa che impone le verifiche
catastali dei fabbricati prima del rogito
(legge 30.07.2010, n. 122).
Come viene ricordato dai notai, qualsiasi
atto di trasferimento costituzione o
scioglimento di comunione di diritti in
multiproprietà (atti pubblici e scritture
private autenticate) su fabbricati già
esistenti è assoggettato alla disciplina
sulla regolarità catastale, con esclusione
degli atti per causa di morte e delle
vicende successorie.
La multiproprietà immobiliare. La regolarità
catastale riguarda certamente la
multiproprietà immobiliare. Tale ipotesi
ricorre in primo luogo nel caso in cui il
multiproprietario acquisti una quota di una
specifica unità immobiliare facente parte di
un maggior complesso condominiale con
attribuzione del diritto di goderne e
fruirne in un particolare periodo dell'anno
e della quota millesimale delle parti comuni
dell'edificio. È possibile però che il
multiproprietario acquisti una quota
indivisa di comproprietà dell'intero
edificio condominiale unitamente ai servizi
comuni in proporzione ai millesimi e con il
diritto di godere specificamente di una
determinata porzione esattamente individuata
del fabbricato per certo periodo di tempo.
In entrambi i casi vi è l'obbligo del
rispetto delle norme in materia di coerenza
catastale. In particolare la valutazione di
conformità dovrà avere ad oggetto
rispettivamente nel primo caso la
consistenza della singola unità immobiliare
(e il richiamo alla relativa planimetria) e
nel secondo caso dell'intero maggior
fabbricato (e il riferimento alla relativa
planimetria o alle relative planimetrie nel
caso in cui oggetto della quota sia
costituito invece da una pluralità di unità
catastali) nonché naturalmente, in ambedue
le ipotesi applicative, l'indicazione del
tempo di utilizzo.
Al contrario, come precisa lo studio del
notariato, si intendono esclusi dalla nuova
normativa i cosiddetti «beni comuni non
censibili», cioè i beni comuni a più unità
immobiliari e privi di rendita catastale
come per esempio scale, androni, aree comuni
di passaggio, cortili condominiali che non
presentano un'intestazione catastale e per i
quali non è neppure prevista la redazione di
una planimetria. Le nuove regole si
applicano invece ai cosiddetti «beni comuni
censibili», come per esempio l'alloggio del
portiere, che, pur essendo comuni a tutti i
condomini hanno una rendita catastale e per
i quali la planimetria deve essere
depositata in catasto.
La multiproprietà alberghiera. La
multiproprietà alberghiera è caratterizzata
dal fatto che oggetto del godimento turnario
è una struttura recettizia collegata
all'esercizio di un'impresa alberghiera. Di
conseguenza il multiproprietario non può
fruire dell'immobile nel proprio periodo
senza l'intervento e la cooperazione del
gestore alberghiero: in altre parole al
titolare della multiproprietà alberghiera
viene attribuito un godimento fondato su una
comproprietà (dell'albergo o delle camere),
ma che si esercita poi concretamente verso
il gestore e solo con la sua cooperazione.
Come evidenzia il notariato, perciò, spesso
nei contratti di multiproprietà di tipo
alberghiero non si riescono a trovare
neppure elementi sufficienti ad individuare
l'unità immobiliare sulla quale insiste il
diritto del multiproprietario.
Tuttavia se il diritto del turnista riguarda
una frazione millesimale sul bene immobile,
anche in mancanza di un collegamento con una
specifica unità (che verrà scelta di volta
in volta dall'albergatore ed a lui
assegnata), non viene meno il carattere
reale della fattispecie e con esso l'obbligo
del rispetto delle norme in materia di
coerenza catastale.
I controlli del notaio. Prima della stipula
di uno degli atti relativi alle ipotesi
sopra dette, il notaio deve verificare che
la quota dell'immobile sia regolarmente
censito in catasto a nome del legittimo
proprietario (o titolare del diritto reale),
il quale al momento dell'atto deve
dichiarare che i dati catastali e le
planimetrie depositate in catasto
corrispondono allo stato di fatto del
fabbricato. Viene quindi chiesto al notaio
di accertare se vi è o meno corrispondenza
tra l'intestazione catastale e
l'intestazione effettiva quale desumibile
dalla visura da eseguirsi presso i registri
immobiliari.
E, come sottolinea lo studio, il notaio non
può limitarsi ad accertare e verificare
passivamente i dati soggettivi, ma deve
renderli effettivi e quindi è tenuto, prima
della stipula, a procedere all'aggiornamento
del catasto. Inoltre nel caso del
multiproprietario cedente dovrà provvedere a
controllare l'emersione dai registri
catastali dell'esatta dimensione giuridica
del diritto del cedente (cioè la quota di
appartenenza del diritto sull'alloggio o
edificio) nonché il tempo di fruizione,
regolarizzando ed integrando eventuali
scritture non complete negli archivi
catastali
---------------
Tutela
ad ampio raggio per i consumatori.
Tutela della multiproprietà ad ampio raggio.
La più recente definizione di questo
particolare istituto giuridico, contenuta
nel cd Codice del turismo di cui al dlgs n.
79/2011, consente infatti di applicare la
normativa a tutela dei consumatori a molte
fattispecie di più controversa
interpretazione che ricorrono nella prassi
del settore turistico. Lo ha evidenziato il
recente studio n. 425/2001-C del Consiglio
nazionale del notariato, sottolineando però
come rimangano tuttora sul tappeto molte
delle questioni dogmatiche sollevate nel
tempo da questo controverso istituto.
La multiproprietà, infatti, nota anche come
time sharing, attribuisce a più titolari
nello stesso momento una serie di diritti
molto ampi di utilizzo di un bene immobile
e, da questo punto di vista, viene
generalmente accostata alla proprietà, quale
diritto reale disciplinato dagli articoli
832 e seguenti del codice civile. La
coesistenza di più diritti è resa possibile
dal fatto che il concreto esercizio degli
stessi è periodico, ossia avviene secondo un
avvicendamento temporale prefissato dalle
parti al momento dell'acquisto. In altre
parole, l'acquirente in multiproprietà,
all'atto della stipula del contratto, è
chiamato a scegliere tra i periodi dell'anno
solare ancora disponibili quello di proprio
gradimento, pagando un corrispettivo che
normalmente varia in relazione al periodo.
La nuova definizione normativa di cui al
dlgs n. 79/2011, in base al quale la
multiproprietà è «un contratto di durata
superiore a un anno tramite il quale un
consumatore acquisisce a titolo oneroso il
diritto di godimento su uno o più alloggi
per il pernottamento per più di un periodo
di occupazione», diverge significativamente
in più punti dalla precedente nozione
legislativa, secondo cui detta fattispecie
consisteva in «uno o più contratti della
durata di almeno tre anni con i quali, verso
pagamento di un prezzo globale, si
costituisce, si trasferisce o si promette di
costituire o trasferire, direttamente o
indirettamente, un diritto reale ovvero un
altro diritto avente a oggetto il godimento
di uno o più beni immobili, per un periodo
determinato o determinabile dell'anno non
inferiore a una settimana».
Grazie a questa nuova e più ampia
definizione, secondo il notariato, oggi
possono trovare tutela una serie di
tipologie contrattuali che in precedenza non
rientravano nella nozione di multiproprietà:
dai contratti relativi a un prodotto per le
vacanze di lungo termine (che consistono in
contratti di durata superiore a un anno in
base ai quali un consumatore acquisisce a
titolo oneroso il diritto di ottenere sconti
o altri vantaggi relativamente a un
alloggio, separatamente o unitamente al
viaggio o ad altri servizi), i contratti di
rivendita (ai sensi dei quali un operatore
assiste a titolo oneroso un consumatore
nella vendita o nell'acquisto di una
multiproprietà o di un prodotto per le
vacanze di lungo termine), nonché i
contratti di scambio (ai sensi dei quali un
consumatore partecipa a titolo oneroso a un
sistema di scambio che gli consente
l'accesso all'alloggio per il pernottamento
o ad altri servizi in cambio della
concessione ad altri dell'accesso temporaneo
ai vantaggi che risultano dai diritti
derivanti dal suo contratto di
multiproprietà).
Esigenze di reale tutela del soggetto debole
hanno poi correttamente imposto il
superamento della definizione di acquirente
e venditore a vantaggio di un riferimento
onnicomprensivo alle figure,
rispettivamente, del consumatore e
dell'operatore professionista.
Per quanto riguarda il recesso dal
contratto, al consumatore è concesso un
periodo di 14 giorni, naturali e
consecutivi, per pentirsi di avere stipulato
il contratto, senza tra l'altro essere
tenuto a specificare il motivo. Il termine
in questione si calcola a partire dal giorno
della conclusione del contratto definitivo o
del contratto preliminare o dal giorno in
cui il consumatore riceve uno di questi due
contratti, se posteriore alla loro
conclusione, e scade dopo un anno e 14
giorni a decorrere dalla data di cui sopra
se il formulario di recesso separato
allegato al contratto non è stato compilato
dall'operatore e consegnato al consumatore
per iscritto o dopo tre mesi e 14 giorni, a
partire dalla stessa data, se le
informazioni sono invece state fornite in
forma scritta. Il consumatore che esercita
il diritto di recesso non sostiene alcuna
spesa e non è tenuto a pagare alcuna
penalità (articolo ItaliaOggi Sette
del 23.01.2012). |
CONSIGLIERI COMUNALI:
Il sindaco «vicino» può essere
eletto.
È eleggibile alla carica
di sindaco di un Comune un cittadino che ha
ricoperto per due mandati consecutivi la
carica di sindaco in altro Comune
confinante. Così ha deciso il Tribunale
civile di Padova.
Il caso riguardava due Comuni, Abano Terme e
Montegrotto Terme, confinanti tra di loro.
Un cittadino aveva ricoperto per varie volte
consecutive la carica di sindaco nel Comune
di Montegrotto Terme; alle elezioni del 2011
si era presentato come candidato sindaco per
il Comune di Abano Terme, ed era stato
eletto. Ma alcuni cittadini di Abano Terme
hanno proposto ricorso al tribunale,
affermando tra l'altro che era stato violato
il comma 2 dell'articolo 51, che non fa
alcun riferimento al Comune o ai Comuni in
cui la carica di sindaco è stata ricoperta,
ma prevede solo il fatto che una medesima
persona fisica abbia rivestito la carica di
sindaco in tre tornate elettorali
consecutive, anche se riferite a Comuni
diversi.
Questa tesi, indubbiamente sottile, non è
stata accolta dal Tribunale, che ha invece
stabilito che il comma 2 dell'articolo 51
contiene un'eccezione, non è suscettibile di
applicazione analogica, e deve essere
interpretato restrittivamente.
La sentenza è coerente con l'interpretazione
che i giudici hanno stabilito per questa
norma, ma la motivazione non è persuasiva.
Infatti, essa non ha considerato che la
qualificazione giuridica del territorio dei
comuni è oggi cambiata rispetto al passato.
Il territorio è anche oggi un elemento
costitutivo dell'ente, ma vi sono molti
rapporti giuridici che superano la
circoscrizione comunale, e se vi è un
contesto territoriale amministrativo che ha
molti elementi comuni economici e sociali,
si dovrebbe tenere conto di ciò, anche ai
fini dell'ineleggibilità.
In contrario a quanto esposto si potrebbe
obiettare che se un cittadino ha ricoperto
in modo positivo la carica di sindaco nel
Comune di x, non vi è ragione per vietargli
di ricoprire -si presume in modo egualmente
positivo- la stessa carica nel Comune di y,
anche se è confinante con il Comune di x. Ma
l'obiezione non sarebbe persuasiva (articolo
Il Sole 24 Ore del 23.01.2012 -
tratto da www.ecostampa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Progettazione. L'interpretazione
del Dl Sviluppo (70/2011). La relazione
acustica va fatta sempre da un tecnico
abilitato.
IL CHIARIMENTO/ Il ministero dell'Ambiente
conferma la lettura secondo cui
l'asseverazione va sempre firmata da un
professionista.
Serve l'opera di un
tecnico: l'autocertificazione asseverata da
un tecnico abilitato, che sostituisce la
«valutazione previsionale di clima acustico»
per le residenze nei Comuni dotati di piano
comunale di azzonamento acustico (prevista
dalla legge 447/95, articolo 8, comma 3),
deve essere redatta da un tecnico competente
in acustica.
L'interpretazione, già riportata sul Sole 24
Ore del 16.05.2011, è ora confermata dal
ministero dell'Ambiente, nella risposta
datata 30.11.2011 a un quesito della
Fondazione regionale dell'Ordine degli
ingegneri della Toscana.
La questione nasce dal Dl 70/2011 (il
cosiddetto decreto Sviluppo, convertito
dalla legge 106/2011) che all'articolo 5
prevedeva una serie di misure destinate a
semplificare la burocrazia nelle costruzioni
private. Tra le norme dell'articolo 5 –al
comma 1, articolo e)– c'era anche quella che
citava genericamente la «relazione
acustica». Adesso viene confermato che
questa relazione è da intendersi come quella
definita dalla legge 447/1995, articolo 8,
comma 3, cioè «valutazione previsionale
di clima acustico» e il «tecnico
abilitato» così definito nel decreto
sviluppo altri non è che il «tecnico
competente in acustica» ai sensi delle
legge 447/1995, articolo 2, comma 6.
Si sottolinea, al di là dei dettagli
burocratici, che l'autocertificazione può
essere quindi resa in luogo della normale
attività di progettazione normalmente svolta
che prevede una analisi fonometrica di 24
ore supportata da calcoli sull'evoluzione
del clima acustico dell'area che ospiterà
l'intervento edilizio e conseguentemente
sulla compatibilità di tale clima acustico
con l'intervento previsto.
In caso di incompatibilità, sarà il
costruttore a dover prevedere idonee opere
di mitigazione sonora, quali ad esempio
barriere antirumore, serramenti più
silenziati, eccetera. Pertanto con
l'autocertificazione il tecnico competente
si assume una notevole responsabilità: di
conseguenza, un tecnico coscienzioso non
avallerà, sotto sua personale
responsabilità, il rispetto con
autocertificazione senza aver svolto un
progetto di calcolo analitico e dettagliato
(articolo Il Sole 24
Ore del 23.01.2012). |
GIURISPRUDENZA |
COMPETENZE GESTIONALI -
EDILIZIA PRIVATA: Con
riguardo alla pretesa incompetenza del
funzionario delegato che ha adottato l’atto
di annullamento del permesso di costruire
(di competenza dirigenziale)
“non è configurabile un vizio di
incompetenza ove si sia in presenza non di
un atto di delega di funzioni
amministrative, ma di una mera delega
interorganica o di firma, che, senza
alterare l'ordine delle competenze stabilito
dalla legge, attribuisca al soggetto
delegato il potere di sottoscrivere atti che
continuano ad essere, sostanzialmente, atti
dell'autorità delegante e non di quella
delegata".
Con riguardo alla pretesa incompetenza del
funzionario delegato che ha adottato l’atto
di annullamento del permesso di costruire
(di competenza dirigenziale)
“Non è configurabile un vizio di
incompetenza ove si sia in presenza non di
un atto di delega di funzioni
amministrative, ma di una mera delega
interorganica o di firma, che, senza
alterare l'ordine delle competenze stabilito
dalla legge, attribuisca al soggetto
delegato il potere di sottoscrivere atti che
continuano ad essere, sostanzialmente, atti
dell'autorità delegante e non di quella
delegata" (cfr. TAR Brescia, Sez. II,
20.05.2010, n. 2070; TAR Toscana, Sez. III,
18.12.2002, n. 3372).
Anche nel caso di specie (come già in quelli
trattati con le richiamate sentenze della
Sezione), stante la delega di firma disposta
con atto 01.10.2008, prot. 54397 -rispetto
al quale non sono dedotte specifiche censure- il provvedimento adottato dal geom.
...
è senz’altro imputabile alla competenza del
dirigente del settore urbanistica e difesa
del territorio dell’amministrazione
provinciale di Imperia
(TAR Liguria, Sez. I,
sentenza 20.01.2012 n. 161 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA: La
fattispecie di lottizzazione abusiva si
riferisce alla mancanza dell’autorizzazione
specifica alla lottizzazione, inizialmente
prevista dall'art. 28 della legge urbanistica 17.08.1942
n. 1150 e confermata da tutta la
legislazione statale e regionale in tema di
pianificazione attuativa, sicché alcun
rilievo sanante sull'abuso in questione può
rivestire il rilascio di una eventuale
concessione edilizia in quanto, ove manchi
la specifica autorizzazione a lottizzare, la
lottizzazione abusiva sussiste e deve essere
sanzionata anche se, per le singole opere
facenti parte di tale lottizzazione, sia
stata rilasciata una concessione edilizia.
La stessa formulazione
dell'art. 30 del d.P.R. n. 380/2001 consente
di affermare che può integrare ipotesi di
lottizzazione abusiva qualsiasi tipo di
opere in concreto idonee a stravolgere
l'assetto del territorio preesistente, a
realizzare un nuovo insediamento abitativo
e, in ultima analisi, a determinare sia un
concreto ostacolo alla futura attività di
programmazione (che viene posta di fronte al
fatto compiuto), sia un carico urbanistico
che necessita di adeguamento degli standard.
Il concetto di "opere che comportino
trasformazione urbanistica o edilizia" dei
terreni deve essere dunque interpretato in
maniera "funzionale" alla ratio della norma,
il cui bene giuridico tutelato è costituito
dalla necessità di preservare la potestà
pianificatoria attribuita
all'amministrazione nonché l'effettivo
controllo del territorio da parte del
soggetto titolare della stessa funzione di
pianificazione (cioè il comune), al fine di
garantire un’ordinata pianificazione
urbanistica, un corretto uso del territorio
e uno sviluppo degli insediamenti abitativi
e dei correlativi standard compatibili con
le esigenze di finanza pubblica.
Ne consegue che la verifica circa la
conformità della trasformazione realizzata e
la sua rispondenza o meno alle previsioni
delle norme urbanistiche vigenti deve essere
effettuata con riferimento non già alle
singole opere in cui si è compendiata la
lottizzazione, in ipotesi anche regolarmente
assentite (giacché tale difformità è
specificamente sanzionata dagli artt. 31 e
seguenti d.P.R. n. 380/2001), bensì alla
complessiva trasformazione edilizia che di
quelle opere costituisce il frutto, sicché
essa ben può mancare anche nei casi in cui
per le singole opere facenti parte della
lottizzazione sia stato rilasciato il
permesso di costruire.
Con
riguardo alla pretesa insussistenza dei vizi
ravvisati dall’atto di annullamento nel
permesso di costruire annullato.
È utile premettere che, secondo il
provvedimento impugnato, le opere
controverse configurano una lottizzazione
abusiva ex art. 30 d.P.R. n. 380/2001,
avendo trasformato una zona agricola in
residenziale in contrasto con le previsioni
del P.T.C.P., che fissa un regime di
mantenimento per l’intera zona.
Orbene, la tesi del ricorrente si sostanzia
nell’affermazione per cui, poiché
l’intervento è stato realizzato nel rispetto
dello strumento urbanistico a seguito di
regolare concessione edilizia rilasciata dal
comune di Dolcedo, non sussisterebbe
l’affermata lottizzazione abusiva di terreni
a scopo edificatorio.
In realtà, le norme sulla lottizzazione
abusiva (da ultimo, art. 30 d.P.R. 06.06.2001,
n. 380) mirano a prevenire e reprimere le
condotte materiali e giuridiche intese a
infittire la trama dell’edificato sul
territorio, senza che sussista una previa
pianificazione capace di tenere conto delle
conseguenze dell’edificazione in termini di
esigenza di nuovi servizi e opere di
urbanizzazione, che il costruttore non ha (e
non può avere) adeguatamente riscontrato.
Dunque, la fattispecie di lottizzazione
abusiva si riferisce alla mancanza
dell’autorizzazione specifica alla
lottizzazione, inizialmente prevista
dall'art. 28 della legge urbanistica 17.08.1942 n. 1150 e confermata da tutta la
legislazione statale e regionale in tema di
pianificazione attuativa, sicché alcun
rilievo sanante sull'abuso in questione può
rivestire il rilascio di una eventuale
concessione edilizia in quanto, ove manchi
la specifica autorizzazione a lottizzare, la
lottizzazione abusiva sussiste e deve essere
sanzionata anche se, per le singole opere
facenti parte di tale lottizzazione, sia
stata rilasciata una concessione edilizia
(in tal senso cfr. TAR Campania, Sez. IV,
10.11.2006, n. 9458, che richiama Cons. di
Stato, Sez. V, 26.03.1996 n. 301).
Secondo quanto già più volte affermato in
giurisprudenza (cfr. TAR Lazio, Sez. I,
09.10.2009, nn. 9859 e 9860; TAR
Puglia-Bari, Sez. III, 24.04.2008, n. 1017),
la stessa formulazione dell'art. 30 del
d.P.R. n. 380/2001 consente di affermare che
può integrare ipotesi di lottizzazione
abusiva qualsiasi tipo di opere in concreto
idonee a stravolgere l'assetto del
territorio preesistente, a realizzare un
nuovo insediamento abitativo e, in ultima
analisi, a determinare sia un concreto
ostacolo alla futura attività di
programmazione (che viene posta di fronte al
fatto compiuto), sia un carico urbanistico
che necessita di adeguamento degli standard.
Il concetto di "opere che comportino
trasformazione urbanistica o edilizia" dei
terreni deve essere dunque interpretato in
maniera "funzionale" alla
ratio della norma,
il cui bene giuridico tutelato è costituito
dalla necessità di preservare la potestà
pianificatoria attribuita
all'amministrazione nonché l'effettivo
controllo del territorio da parte del
soggetto titolare della stessa funzione di
pianificazione (cioè il comune), al fine di
garantire un’ordinata pianificazione
urbanistica, un corretto uso del territorio
e uno sviluppo degli insediamenti abitativi
e dei correlativi standard compatibili con
le esigenze di finanza pubblica.
Ne consegue che la verifica circa la
conformità della trasformazione realizzata e
la sua rispondenza o meno alle previsioni
delle norme urbanistiche vigenti deve essere
effettuata con riferimento non già alle
singole opere in cui si è compendiata la
lottizzazione, in ipotesi anche regolarmente
assentite (giacché tale difformità è
specificamente sanzionata dagli artt. 31 e
seguenti d.P.R. n. 380/2001), bensì alla
complessiva trasformazione edilizia che di
quelle opere costituisce il frutto, sicché
essa ben può mancare anche nei casi in cui
per le singole opere facenti parte della
lottizzazione sia stato rilasciato il
permesso di costruire (TAR Bari, Sez. III,
n. 1017/2008 cit.)
(TAR Liguria, Sez. I,
sentenza 20.01.2012 n. 161 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Appartiene
“alla giurisdizione del Tribunale
superiore delle acque, prevista dall’art.
143 del r.d. 11.12.1933, n. 1775, la
controversia relativa al diniego di rilascio
di concessione in sanatoria, opposto
dall’autorità comunale in ragione
dell’edificazione dell’immobile da condonare
in violazione della fascia di rispetto di
dieci metri dal piede dell’argine, ai sensi
dell’art. 96, lett. f), del r.d. 25.07.1904, n. 523.
Detto provvedimento, infatti,
ancorché emanato da un’autorità diversa da
quelle specificamente preposte alla tutela
delle acque, incide direttamente sul
regolare regime delle acque, la cui tutela
ha carattere inderogabile in quanto
informata alla ragione pubblicistica di
assicurare la possibilità di sfruttamento
delle acque demaniali e il libero deflusso
delle acque scorrenti dei fiumi, torrenti
canali e scolatoi pubblici”.
Parte resistente ha preliminarmente eccepito
l’inammissibilità del ricorso per difetto di
giurisdizione di questo giudice a conoscere
della controversia, richiamando a sostegno
dell’eccezione recente giurisprudenza delle
Sezioni Unite della Cassazione che enuncia
il principio il principio secondo cui
appartiene “alla giurisdizione del Tribunale
superiore delle acque, prevista dall’art.
143 del r.d. 11.12.1933, n. 1775, la
controversia relativa al diniego di rilascio
di concessione in sanatoria, opposto
dall’autorità comunale in ragione
dell’edificazione dell’immobile da condonare
in violazione della fascia di rispetto di
dieci metri dal piede dell’argine, ai sensi
dell’art. 96, lett. f), del r.d. 25.07.1904, n. 523; detto provvedimento, infatti,
ancorché emanato da un’autorità diversa da
quelle specificamente preposte alla tutela
delle acque, incide direttamente sul
regolare regime delle acque, la cui tutela
ha carattere inderogabile in quanto
informata alla ragione pubblicistica di
assicurare la possibilità di sfruttamento
delle acque demaniali e il libero deflusso
delle acque scorrenti dei fiumi, torrenti
canali e scolatoi pubblici” (Cass. SS.UU.,
12.05.2009, n. 10845)
(TAR Liguria, Sez. I,
sentenza 20.01.2012 n. 162 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI: Gdf
in trasparenza.
Sì alla visione della denuncia. Consiglio di
stato dà ragione al contribuente sull'accesso.
Chi subisce un' ispezione tributaria ha
diritto a prendere visione e a estrarre
copia della denuncia dalla quale tale
ispezione è scaturita. A maggior ragione se
dall'ispezione non sia venuta fuori alcuna
irregolarità.
È questo il principio affermato dalla IV Sez. del Consiglio di stato, con la
sentenza
19.01.2012 n. 231.
Il caso
verteva su di un diniego opposto dalla
Guardia di finanza a una richiesta di
accesso ai sensi dell' art. 22 della legge
241/1990, presentata da una società che era
stata fatta oggetto di un controllo
tributario. La società ricorrente aveva
chiesto di accedere agli atti per difendere
i propri interessi lesi, per il danno di
immagine subito proprio per effetto del
controllo dei finanzieri. Che peraltro si
era concluso con un nulla di fatto.
E non si
trattava di una richiesta formulata in vista
di una ipotetica azione di risarcimento, ma
di un'istanza diretta ad acquisire
documentazione da far valere nel corso di un
giudizio pendente davanti al Tribunale,
proprio sugli stessi fatti. Il giudizio in
sede civile verteva, infatti, su di un
inadempimento contrattuale operato ai danni
della società da un'impresa pubblicitaria,
che aveva impedito alla ricorrente di
avvalersi degli strumenti di propaganda
pattuiti con la medesima.
Di qui l'azione
risarcitoria, che, peraltro, si concludeva
con la condanna dell'impresa al risarcimento
in forma specifica. E cioè con il reintegro
della società ricorrente nel diritto ad
avvalersi dei mezzi pubblicitari oggetto del
contratto. Mezzi che consistevano nella
facoltà di seguire il Giro d'Italia con
propri veicoli pubblicitari. Sennonché,
subito dopo il reintegro, la società
ricorrente era stata fatta oggetto di
un'ispezione tributaria dalla quale non era
emerso nulla di irregolare. Di qui il danno
di immagine alla base della richiesta di
accesso che, però, veniva rigettata dalla
Guardia di finanza. E dunque, il conseguente
esperimento dell'azione giudiziale davanti
al Tar, che si concludeva con la soccombenza
e la relativa impugnazione davanti al
Consiglio di stato, che ha capovolto la
decisione del collegio di I grado.
I giudici di Palazzo Spada hanno motivato la
decisione facendo presente che le denunce e
le comunicazioni non rientrano tra i
documenti di interesse pubblicistico coperti
dalla preclusione del diritto di accesso.
Che si giustifica solo in relazione
all'esigenza di salvaguardare l'ordine e la
sicurezza pubblica, nonché la prevenzione e
la repressione della criminalità. E dunque,
con particolare riferimento ai documenti
attinenti l'attività informativa nei settori
istituzionali e a quelli della Guardia di
finanza inerenti l'emanazione di ordini di
servizio, nonché l'esecuzione del servizio
stesso.
E siccome le denunce e le comunicazioni non
pregiudicano gli interessi sottesi alla
sicurezza, all'ordine pubblico e alla
prevenzione e repressione della criminalità,
l'accesso doveva essere consentito. Tanto
più che i documenti chiesti in visione non
erano oggetto di un procedimento penale e
neppure costituivano atti di indagine
(articolo ItaliaOggi del 25.01.2012). |
APPALTI: Il
vice-presidente è sempre tenuto a tenere le
dichiarazioni sul possesso dei requisiti ai
sensi dell'articolo 38, comma 1, lett. b),
c) ed m-ter).
Pur in assenza di espresse previsioni da
parte dello statuto, è insita nella stessa
natura vicaria della vice-presidenza la
possibilità di esercizio dei poteri di
rappresentanza della società in caso di
temporanea assenza o impedimento del
titolare, poteri di identico contenuto ed
estensione rispetto a quelli esercitabili
dal presidente.
Ne discende l'obbligo per il Vice presidente
di rendere la dichiarazione relativa al
possesso dei requisiti di cui all'articolo
38, comma 1, lett. b), c) ed m-ter)
(massima tratta da
www.dirittodegliappaltipubblici.it - TAR
Sicilia-Palermo, Sez. III,
sentenza 19.01.2012 n.
136 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ENTI LOCALI:
La dichiarazione di dissesto
finanziario prescinde dalle cause che
l’hanno prodotta.
La dichiarazione di dissesto rappresenta una
situazione generale ed obiettiva in cui
versa l’ente, indipendentemente dalle cause
che l’hanno generata e dall’accertamento
delle relative responsabilità.
La dichiarazione di dissesto finanziario
costituisce un evento di carattere
eccezionale e patologico della vita
dell’ente locale –osservano i giudici del
Consiglio di Stato- e alla relativa
dichiarazione può farsi luogo solo all’esito
dell’accertamento (da parte degli stessi
organi ordinari dell’ente o in via
eccezionale, nell’ipotesi di cui all’art.
247 del Tuel, da parte del commissario ad
acta) della specifica incapacità di
assolvimento delle funzioni e dei servizi
indispensabili ovvero dell’esistenza nei
confronti dell’ente di crediti liquidi ed
esigibili di terzi, cui non possa
validamente farsi fronte con le modalità di
cui all’art. 193 (e per i debiti fuori
bilancio, con le modalità di cui all’art.
194).
La decisione di dichiarare lo stato di
dissesto finanziario non è pertanto frutto
di una scelta discrezionale dell’ente, ma
rappresenta piuttosto una decisione
vincolata (ed ineludibile) in presenza dei
presupposti di fatto fissati dalla legge: la
“valutazione”, richiamata
dall’articolo 246 del Tuel, riguarda
soltanto le cause che hanno determinato la
situazione di deficit finanziario economico
(e costituisce il presupposto logico–giuridico del procedimento di risanamento
della riorganizzazione dell’ente e della
corretta impostazione delle indispensabili
analisi finanziarie ed organizzative per
addivenire alla adeguata definizione del
nuovo bilancio stabilizzato).
Tutto ciò si ripercuote nelle gravi
conseguenze che il legislatore ricollega
alla dichiarazione di dissesto: infatti gli
effetti economici negativi che si
riverberano immediatamente sui terzi
creditori dell’ente (quali, tra l’altro,
l’impossibilità di intraprendere o
proseguire azioni esecutive ed il blocco
della produzione di interessi e
rivalutazione monetaria dei debiti insoluti
e delle somme già erogate per anticipazioni
di cassa) e la stessa procedura di mobilità,
che può interessare i dipendenti dell’ente
eventualmente eccedenti il nuovo fabbisogno
organico, escludono che la dichiarazione di
dissesto possa essere il frutto di una
valutazione discrezionale degli organi
dell’ente.
Definendo espressamente i presupposti di
fatto della dichiarazione di dissesto, il
legislatore ha altresì armonizzato gli
opposti interessi in gioco, pubblici
–dell’ente e della sua funzionalità- e
privati –degli operatori economici e dei
dipendenti (commento tratto da
www.documentazione.ancitel.it - Consiglio di
Stato, Sez. V,
sentenza
16.01.2012 n.
143 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Accesso agli atti di gara,
correzione novativa della P.A. da impugnare
a sé.
La sopravvenuta adozione dell'atto di
riforma, ove non impugnato, determina il
venir meno nel ricorrente dell'interesse
alla definizione dell'istanza ex art. 116
c.p.a..
La società ricorrente, nel contesto del giudizio di impugnazione della
propria esclusione dalla gara di appalto
indetta da un’Amministrazione, ha proposto
istanza ex art. 116 c.p.a. mercé la quale ha
chiesto l’annullamento della comunicazione
di diniego di accesso a tutti gli atti di
gara.
La stazione appaltante, successivamente alla
notifica della predetta istanza, con
ulteriore nota, richiamando il disposto di
cui all’art. 79, D.Lgs. n. 163/2006,
emendava l’errore riportato nel precedente
diniego circa il termine di presentazione
dell’istanza di accesso (10 in luogo di 30
giorni decorrenti dalla comunicazione dei
provvedimenti chiesti in ostensione),
contestualmente confermando il contenuto
dello stesso; la ditta interessata,
tuttavia, non estendeva l’impugnazione anche
alla successiva comunicazione.
L’istanza è stata dichiarata improcedibile.
Il Collegio di Roma, in via preliminare, ha
osservato come, in termini generali, il
rimedio di cui all'art. 116, comma 2 c.p.a.,
attivabile “in pendenza di un giudizio
cui la richiesta di accesso è connessa”,
presuppone la pendenza, nei confronti
dell’Amministrazione che ha negato o
comunque non soddisfatto la richiesta di
accesso, del giudizio sulla controversia cui
la richiesta di accesso agli atti s’innesta.
Tanto, ha proseguito, postula la
contemporaneità o, quanto meno, la stretta
correlazione temporale tra la richiesta di
accesso agli atti rivolta a una P.A. e la
pendenza del giudizio instaurato nei
confronti della medesima, in tal modo
consentendo al ricorrente di esperire il
rito in materia di accesso nel corso del
giudizio pendente con istanza depositata
presso la segreteria della Sezione cui è
assegnato il ricorso principale (TAR
Lazio-Roma, Sez. III-ter, 08.07.02011 n.
6064).
Sicché, ha evidenziato come in un giudizio
amministrativo già pendente viene a
inserirsi -in via incidentale- un
differente giudizio per l’accesso agli atti
caratterizzato da autonomia, celerità e
specialità rispetto al primo; in
particolare, ha rilevato che il carattere
autonomo dell’incidente processuale rispetto
al giudizio principale vale a mantenere
formalmente e concettualmente distinti i due
giudizi, nonché il rapporto giuridico
processuale costituitosi all’interno di
ciascuno di essi.
E così, avuto riguardo al caso di specie,
l’adito TAR ha osservato che il rapporto
giuridico processuale tra le parti della
controversia sull’accesso -ancorché già
parti del giudizio impugnatorio principale-
si era costituito solo al momento del
deposito dell’istanza in questione, di tal
ché soltanto in quel momento -e in relazione
all’oggetto con essa impugnato– era sorto il
potere-dovere del Giudice di pronunciarsi.
Tuttavia, il giudicante ha rilevato come,
nelle more del giudizio per l’accesso, la
stazione appaltante con successiva nota
aveva operato una rettifica della precedente
comunicazione in relazione ai termini di
presentazione dell’istanza di accesso,
confermando, per la parte restante, il
provvedimento adottato in precedenza.
Orbene, al fine di apprezzare i rapporti tra
le due successive note in riscontro
all’istanza di accesso avanzata dalla
ricorrente e, di riflesso, gli effetti di
tale consecuzione di atti sull’esperito
ricorso della concorrente in materia di
accesso, il G.A. capitolino ha sottolineato
come la seconda nota veniva adottata a
iniziativa dell’Amministrazione intimata,
operava a parziale modifica della precedente
comunicazione e, infine, faceva espresso
riferimento a disposizioni normative in
precedenza non richiamate, pur mantenendo
ferma la decisione di diniego.
Per tale via, a sua opinione, la P.A.
sembrava aver innovativamente motivato il
diniego sulla base del disposto dell’art.
79, comma 5-quater, D.Lgs. n. 163/2006.
Cosicché, quanto ai rapporti tra le due
note, il Tribunale ha ritenuto che la
seconda comunicazione non rappresentasse
mera rettifica di un errore materiale o
ostativo contenuto nella precedente nota, e
neppure atto meramente confermativo o ancora
conferma del precedente diniego, avendo la
stazione appaltante posto in essere
un’attività in sede di autotutela
amministrativa.
L’intervento operato con la seconda nota,
invero, è stato ritenuto dall’adito G.A.
quale “riforma sostitutiva” del
precedente provvedimento di diniego che,
lasciato fermo nella parte dispositiva, era
stato modificato nella parte motiva –a
seguito dell’apprezzamento delle modifiche
normative intervenute nel testo dell’art. 79
del D.Lgs. n. 163/2006 per effetto del
D.Lgs. n. 53/2010- attraverso la caducazione
e contestuale sostituzione di alcuni
elementi di essa con altri diversi da quelli
originari; in calce alla comunicazione,
infatti, era stato riportato il
provvedimento di diniego nella versione
corretta all’esito del predetto intervento
di sostituzione.
Di conseguenza, il giudicante ha precisato
che la seconda comunicazione conteneva in sé
ben due provvedimenti amministrativi,
distinti e correlati: un atto di riforma del
precedente provvedimento di diniego
dell’accesso nonché, in calce, il
provvedimento riformato.
Quest’ultimo, ha precisato, costituisce un
provvedimento diverso dal precedente
diniego, tanto è vero che lo sostituisce e,
pur nella identità del dispositivo,
rappresenta un provvedimento nuovo che la
parte ricorrente aveva l’onere di impugnare,
a pena di improcedibilità dell’azione
proposta contro il precedente diniego, ormai
espunto dall’universo giuridico.
Sotto quest’ultimo profilo, il TAR di Roma
non ha mancato di evidenziare che la
sopravvenuta adozione del provvedimento di
diniego, come riformato, ha determinato il
venir meno nella ricorrente dell’interesse
alla definizione dell’istanza ex art. 116
c.p.a. per l’annullamento della nota di
diniego originariamente impugnata.
Infatti, l’interesse della deducente alla
definizione del giudizio non è stato
ritenuto più configurabile, stante la
sopravvenuta mancanza di lesività nei propri
confronti dell’atto originariamente
impugnato ed essendosi, viceversa, spostato
l’interesse della medesima alla rimozione
del secondo provvedimento, tuttavia non
gravato.
Per siffatta ragione, il Collegio ha dato
atto del sopravvenuto difetto di interesse,
per l’effetto dichiarando l’improcedibilità
del gravame (commento tratto da www.ipsoa.it
- TAR Lazio-Roma, Sez. III-ter,
sentenza 14.01.2012 n. 356 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
VARI: Spazio
invalidi. Multe pure se la striscia è
scolorita.
Non basta che le strisce siano scolorite per
evitare la multa in caso di occupazione
abusiva di uno spazio invalidi.
Lo ha
chiarito la Corte di Cassazione, Sez. VI
civ., con l'ordinanza 12.01.2012 n. 339.
Un utente stradale ha parcheggiato
nello spazio riservato ai titolari del
classico contrassegno arancio per invalidi.
Contro la conseguente sanzione elevata dalla
polizia municipale l'interessato ha proposto
doglianze fino al tribunale che in seconda
battuta ha annullato l'accertamento a causa
della scarsa visibilità della segnaletica
orizzontale ormai scolorita.
Il comune ha però proposto ricorso con
successo in cassazione evidenziando la
presenza sul posto del segnale verticale di
divieto, nonostante l'irregolarità delle
strisce. Il collegio ha quindi confermato la
multa che è stata elevata dalla polizia
municipale regolarmente. L'art. 38 del
codice stradale specifica infatti la chiara
prevalenza della segnaletica verticale
rispetto a quella tratteggiata a vernice sul
manto stradale. Per questo motivo chi
parcheggia in modo irregolare deve sempre
verificare bene la presenza il loco di
segnali, oltre che di stalli magari
scoloriti
(articolo ItaliaOggi del 24.01.2012). |
ATTI AMMINISTRATIVI -
EDILIZIA PRIVATA:
Il vicino può accedere agli atti
inerenti interventi edilizi su un’opera
confinante.
Il proprietario del fondo vicino a quello
sul quale sono state realizzate nuove opere
ha diritto di accesso a tutti gli atti
abilitativi riguardanti le stesse, quando
faccia valere l’interesse ad accertare il
rispetto delle previsioni urbanistiche.
Sorge, in tal modo, secondo i giudici del
Consiglio di Stato, una posizione
qualificata e non puramente emulativa o
preordinata ad un controllo generalizzato
dell’azione amministrativa, contrariamente a
quanto argomentato dal primo giudice in
questa vicenda.
Il Tribunale amministrativo regionale,
infatti, aveva respinto un ricorso proposto
dai proprietari di alcuni terreni contro il
rifiuto del Comune alla loro richiesta di
accesso ai documenti relativi agli
interventi edilizi su una masseria
confinante, sul presupposto che i
richiedenti non avevano indicato gli estremi
identificativi degli atti richiesti.
I giudici d’appello, tuttavia, non hanno
raccolto la tesi della genericità
dell’istanza: “d’altra parte imporre al
cittadino –secondo gli stessi giudici- di
conoscere puntualmente gli estremi
identificativi degli atti di cui chiede
l’accesso, come condizione di ammissibilità
dell’accesso stesso, significa negare lo
stesso principio di trasparenza dell’azione
amministrativa predicato, tanto più quando
si è in presenza di una struttura
amministrativa (uffici comunali) di
dimensioni limitate, tali da far presumere
ragionevolmente l’immediata identificabilità
di una pratica edilizia relativa ad una
immobile ben identificato, anche in ragione
della sua peculiare condizione di bene
culturale” (commento tratto da
www.documentazione.ancitel.it - Consiglio di
Stato, Sez. V,
sentenza
11.01.2012 n.
85 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Rotazione nelle gare: salva la deroga
saltuaria. L'eccezione al principio non
falsa la concorrenza. Consiglio di Stato.
Interpretazione innovativa sulla selezione
negli appalti.
L'episodica mancata
applicazione del principio di rotazione
relativo agli affidamenti mediante procedure
in economia non incide sulla selezione
dell'operatore economico, se la stessa è
stata svolta garantendo un confronto
trasparente.
Il Consiglio di Stato, Sez. VI, con la
sentenza 28.12.2011 n.
6906 ha fornito un'interpretazione
innovativa della gestione di questo
particolare principio, che costituisce il
contemperamento della deroga realizzata con
le procedure previste dall'articolo 125 del
codice dei contratti alle forme di più
aperto confronto concorrenziale (gare con
procedure aperte e ristrette).
Il criterio di rotazione ha come finalità
quella di evitare che la stazione appaltante
possa consolidare rapporti solo con alcune
imprese venendo meno così al rispetto del
principio di concorrenza. Questa situazione
verrebbe a prodursi in caso di affidamenti
replicativi (specialmente se in un breve
arco di tempo) di lavori, servizi o
forniture a favore di uno stesso operatore
economico. Il principio di rotazione
consente di non coinvolgere tale operatore
nelle procedure indette per un certo periodo
successivo, garantendo ad altre imprese
analoghe chance.
La sua gestione nelle procedure derogatorie
(negoziate con gara informale e cottimo
fiduciario) rispetto alla massima
concorrenza è stata analizzata sia dalla
giurisprudenza amministrativa (che ne ha
sempre dato un'interpretazione molto
restrittiva) sia dall'Autorità per la
vigilanza sui contratti pubblici nella
determinazione 2/2011, la quale ha
evidenziato che in attuazione dello stesso
il soggetto che risulterà affidatario non
sarà invitato alle gare indette
successivamente con procedure in economia
nell'arco di un certo periodo di tempo.
La sentenza del Consiglio di Stato afferma
invece come la rotazione dei soggetti da
invitare nelle procedure negoziate sia
indubbiamente un principio funzionale ad
assicurare un certo avvicendamento delle
imprese affidatarie dei servizi con il
sistema selettivo del cottimo fiduciario, ma
proprio in quanto tale lo stesso non ha, per
le stazioni appaltanti, una valenza
precettiva assoluta.
Di conseguenza l'eventuale ed episodica
mancata applicazione del principio non
inficia gli esiti di una gara già espletata,
una volta che questa si sia conclusa con
l'aggiudicazione in favore di un soggetto
già in precedenza invitato a simili
selezioni (oppure già affidatario del
servizio).
Il Consiglio di Stato richiede tuttavia che
sussistano determinate condizioni, in
rapporto allo svolgimento del percorso
selettivo mediante procedura in economia,
affinché il mancato rispetto del principio
di rotazione non incida sulla procedura
selettiva. La consultazione degli operatori
economici deve essere svolta nel rispetto
del principio di trasparenza e di parità di
trattamento, nonché deve essere conclusa con
l'individuazione dell'offerta più
vantaggiosa per la stazione appaltante,
senza che nel giudizio comparativo tra le
offerte abbia inciso la pregressa esperienza
specifica maturata dalla impresa
aggiudicataria nella veste di partner
contrattuale della amministrazione
aggiudicatrice.
Pertanto il precedente affidatario di un
servizio o di una fornitura aggiudicata in
base all'articolo 125 del codice dei
contratti pubblici non ha una condizione
preferenziale per l'eventuale invito a un
ulteriore confronto con le modalità
semplificate.
---------------
In sintesi
01 | IL RICORSO
Il ricorso contro l'elezione a sindaco di un
cittadino già due volte eletto a primo
cittadino del Comune confinante è stato
respinto dal tribunale civile di Padova,
sez. II, con la sentenza 23.12.2011 n. 2902.
02 | LA NORMA
Il comma 2 dell'articolo 51 del Tuel
stabilisce che: «Chi ha ricoperto per due
mandati consecutivi la carica di sindaco (…)
non è, allo scadere del secondo mandato,
immediatamente rieleggibile alla medesima
carica».
03 | LA SENTENZA
Secondo i giudici, è eleggibile alla carica
di sindaco di un Comune il cittadino che ha
ricoperto per due mandati consecutivi la
carica di sindaco in altro Comune confinante
dal Tribunale. Il comma 2 dell'articolo 51
contiene un'eccezione, non è suscettibile di
applicazione analogica, e deve essere
interpretato restrittivamente (articolo
Il Sole 24 Ore del 23.01.2012 -
tratto da www.ecostampa.it). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Reati contro la pubblica
amministrazione. L'assunzione del
raccomandato può essere oggetto di
corruzione.
Nella corruzione, il
vantaggio per il pubblico ufficiale corrotto
ben può essere costituito dall'assunzione di
personale segnalato. La dazione o la
promessa illecita, ossia l'utilità cui tende
il pubblico ufficiale corrotto, può avere ad
oggetto non solo una somma di denaro, ma
qualsivoglia "altra utilità".
Secondo la contestazione, il reato di
corruzione era ravvisato ipotizzandosi che
l’utilità per il pubblico ufficiale corrotto
fosse rappresentata dall’assunzione di
comodo di personale “segnalato”
[ergo, raccomandato].
La Corte, sotto questo specifico profilo, ha
ritenuto corretta la contestazione [pur
avendo annullata in parte qua la decisione
per una più approfondita disamina sulla
configurabilità della corruzione per altri
profili che qui non interessano].
In effetti, non è dubitabile che nella
fattispecie corruttiva la dazione o la
promessa illecita, ossia l’”utilità”
cui tende il pubblico ufficiale corrotto,
può avere ad oggetto non solo una somma di
denaro, ma anche, appunto, qualsivoglia "altra
utilità", dovendosi intendere per tale
qualsiasi bene che costituisca per il
pubblico ufficiale (o anche per un terzo) un
vantaggio, materiale o morale, patrimoniale
o non patrimoniale, quindi anche non
necessariamente economico, ma comunque
giuridicamente apprezzabile (tra le altre,
Cassazione, Sezione VI, 11.11.1998, Plotino).
Basti pensare, per esemplificare, che nella
nozione di “utilità” rientrano non
solo le utilità di natura patrimoniale, ma
anche quei “vantaggi sociali”, che
comunque la collettività percepisce come
utile, le cui ricadute patrimoniali siano
mediate ed indirette (Cassazione, Sezione VI,
18.06.2010, Cosentino, che, nella specie, ha
ritenuta ricompresa nella nozione di “utilità”
l’attività di mediazione svolta dal
corruttore per alimentare e favorire le
aspettative di carriera del corrotto).
Basti pensare, ancora, che nella anzidetta
nozione rientrano finanche i “favori
sessuali”, i quali rappresentano pur
sempre un vantaggio per il corrotto, che ne
ottenga la promessa o l'effettiva
prestazione (cfr., tra le altre, Cassazione,
Sezione VI, 18.11.2004, Vignoni).
E’ evidente allora che un’assunzione ”di
comodo” è indubitabilmente rilevante
come “utilità” apprezzabile ai fini
della configurabilità del reato,
risolvendosi in un vantaggio patrimoniale
quantomeno per il terzo [l’assunto]
beneficato dal pubblico ufficiale corrotto
(commento tratto da www.ipsoa.it - Corte di
Cassazione penale, sentenza 09.12.2011 n.
45930). |
AGGIORNAMENTO AL 23.01.2012 |
ã |
NOVITA' NEL
SITO |
Inserito il
nuovo bottone
dossier LOTTO INTERCLUSO. |
CORTE DEI
CONTI |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO:
Assunzioni negli enti non
soggetti al patto di stabilità.
Il
parere 12.01.2012
n. 2 della Corte dei Conti Sez.
Reg.le Piemonte, anche se non
particolarmente significativa, riepiloga le
indicazioni normative generali per le
assunzioni a tempo indeterminato negli enti
non soggetti al patto di stabilità (tratto
da www.publika.it). |
SINDACATI |
PUBBLICO
IMPIEGO:
OGGETTO: Elezioni RSU 2012 – Nota
operativa n. 4
(CSA di Roma,
nota 18.01.2012 n. 80 di
prot.). |
PUBBLICO
IMPIEGO:
OGGETTO: Elezioni RSU 2012 – Nota
operativa n. 3
(CSA di Roma,
nota 10.01.2012 n. 47 di
prot.). |
GURI - GUUE -
BURL (ea nteprima) |
AMBIENTE-ECOLOGIA -
EDILIZIA PRIVATA: B.U.R.
Lombardia, serie ordinaria n. 3 del
20.01.2012, "Pubblicazione ai sensi
dell’art. 5 del regolamento regionale
21.01.2000, n. 1 dell’elenco dei «Tecnici
competenti» in acustica ambientale
riconosciuti dalla Regione Lombardia alla
data del 20.12.2011, in attuazione dell’art.
2, commi 6 e 7 della legge 26.10.1995, n.
447, della deliberazione 17.05.2006, n.
8/2561 e del decreto 30.05.2006, n. 5985"
(comunicato
regionale 11.01.2012 n. 4). |
ENTI LOCALI - VARI: B.U.R.
Lombardia, serie ordinaria n. 3 del
20.01.2012, "Chiarimenti in merito al
soccorso di animali traumatizzati o
bisognosi di cure" (circolare
regionale 29.12.2011 n. 13). |
URBANISTICA: B.U.R.
Lombardia, serie ordinaria n. 3 del
19.01.2012, "Deliberazione di Giunta
regionale 30.11.2011 n. IX/2616
“Aggiornamento dei ‘Criteri ed indirizzi per
la definizione della componente geologica,
idrogeologica e sismica del piano di governo
del territorio, in attuazione dell’art. 57,
comma 1, della l.r. 11.03.2005, n. 12’,
approvati con d.g.r. 22.12.2005, n. 8/1566 e
successivamente modificati con d.g.r.
28.05.2008, n. 8/7374”, pubblicata sul BURL
n. 50 Serie ordinaria del 15.12.2012" (Errata
Corrige ed integrale ripubblicazione). |
EDILIZIA PRIVATA: B.U.R.
Lombardia, serie ordinaria n. 3 del
18.01.2012, "Attuazione dei criteri
approvati con d.g.r. 2554/2011 per
l’accertamento delle infrazioni e
l’irrogazione delle sanzioni di competenza
regionale, previste dall’art. 27 della l.r.
24/2006, in merito alla certificazione
energetica degli edifici" (decreto
D.U.O. 09.01.2012 n. 33). |
AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: B.U.R.
Lombardia, serie ordinaria n. 3 del
18.01.2012, "Testo coordinato della
d.g.r. 675/2005 con le modifiche ed
integrazioni apportate dalla d.g.r.
2848/2011 “Criteri per la trasformazione del
bosco e per i relativi interventi
compensativi” (art. 43, comma 8, l.r.
31/2008)" (comunicato
regionale 09.01.2012 n. 1). |
DOTTRINA E
CONTRIBUTI |
APPALTI:
F. Gavioli,
Le nuove soglie e il calcolo del valore del
contratto (link a www.ipsoa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
M. Bottone,
IL PIANO
CASA SUGLI SCOGLI - Accordi e collisioni tra
Piano Urbanistico Territoriale della
Penisola Sorrentino-Amalfitana e Piano Casa
Campania
(17.01.2012). |
EDILIZIA PRIVATA:
A. Mafrica e M. Petrutti,
Alcune recenti precisazioni
giurisprudenziali in materia di lotto
intercluso (link a
www.ufficiopatrimonio.it). |
NOTE,
CIRCOLARI E COMUNICATI |
VARI:
Oggetto: Misure urgenti per il
coordinamento della lotta contro la
delinquenza di tipo mafioso (pos. 201).
Decreto legislativo 21.11.2007, n. 231 - Art
12 del D.L. 201 del 2011 – Prelievi e
versamenti di contante (ABI,
nota 11.01.2012 n. 46
di prot.).
---------------
Antiriciclaggio, chiarimenti
dall'Abi. Legittimi i versamenti ed i
prelevamenti bancari oltre la soglia di
1.000 euro.
Arriva una schiarita sul fronte
dell'antiriciclaggio. E' possibile effettuare
prelevamenti e versamenti bancari in misura
pari o superiore alla soglia di 1.000 euro
senza incorrere nell'irrogazione di
specifiche sanzioni.
Il chiarimento e' stato
fornito dall'Abi con la
nota 11.01.2012 n. 46
di prot..
Il problema si è posto
inizialmente quando quest’estate la soglia
per il trasferimento del denaro contante tra
soggetti diversi è stata drasticamente
ridotta da 5.000 a 2.500 euro (cfr. D.L. n.
138/2011).
A questo punto gli istituti di credito hanno
iniziato a porre in essere comportamenti non
condivisibili.
Infatti, ogni volta che una persona si
presentava ad uno sportello per prelevare o
versare somme in contante per importi
superiori alla predetta soglia gli istituti
di credito tendevano ad ostacolare
l’operazione. In particolare il malcapitato
doveva subire una serie di domande su quale
fosse la destinazione finale del denaro
contante ovvero, in caso di versamento,
quale fosse la provenienza.
Alcune banche obbligavano le persone alla
compilazione di uno specifico modello
avvertendo che il comportamento sarebbe
stato oggetto di segnalazione al Ministero
dell’economia e delle finanze configurando
un’infrazione dell’art. 49 del D.Lgs. n.
231/2007.
La disposizione citata vieta il
trasferimento di denaro contante, di
libretti di deposito e di titoli al
portatore tra soggetti diversi, a qualsiasi
titolo, per importi pari o superiori a 1.000
euro. A tal proposito non v’è dubbio come la
norma abbia un ambito applicativo piuttosto
ampio non trovando applicazione per le sole
transazioni (acquisto e vendita di beni e/o
servizi), ma più in generale per ogni
trasferimento di denaro.
Ad esempio il limite dovrà essere osservato
anche nel caso di liberalità o qualsiasi
altro trasferimento come nell’ipotesi di un
finanziamento di un socio ad una società di
cui lo stesso fa parte.
Tuttavia se da una parte è evidente come i
casi di applicazione della disposizione sono
numerosi, dall’altra è altrettanto evidente
che, affinché il comportamento assunto
configuri un’infrazione è necessario un
trasferimento di denaro a favore di un
soggetto diverso.
Il presupposto sembra quindi mancare laddove
il soggetto interessato si limiti ad
effettuare un versamento o un prelievo
bancario in quanto quella determinata
quantità di denaro rimane comune a
disposizione del medesimo soggetto.
Al fine di eliminare le numerose incertezze
è intervenuta la Circolare del Ministero
delle finanze, dipartimento del Tesoro che
in data 04.11.2011 ha confermato la
predetta interpretazione circa la mancanza
della necessità di rispettare il predetto
limite, che all’epoca era pari a 2.500 euro.
La situazione si è complicata a seguito
dell’approvazione dell’art. 12 del D.L. n.
201/2011 che ha ulteriormente ridotto la
predetta soglia da 2.500 a 1.000 euro.
In conseguenza di ciò sono stati più
numerosi i casi di versamenti e di
prelevamenti oltre la nuova soglia.
Le banche hanno quindi continuato a
disattendere le istruzioni del Mef
“ostacolando” le operazioni allo sportello
effettuate in misura pari o superiore a
1.000 euro. I dubbi sono stati chiariti in
via definitiva con una circolare dell’ABI
dell’11 gennaio.
In base al citato documento di prassi il
predetto limite, “avendo a riferimento i
soli trasferimenti, non può trovare
applicazione ad operazioni di versamento e
di prelievo in contanti su conti correnti e
libretti di deposito”.
In buona sostanza l’ABI ha sostenuto che
manca il presupposto fondamentale affinché
si configuri un’ipotesi di violazione: il
trasferimento di denaro.
Al contrario, per le suddette operazioni i
soggetti interessati, conservano, come
ricordato, la disponibilità della somma di
denaro oggetto dell’operazione. Pertanto
nessuna segnalazione di infrazione dovrà
essere effettuata al Ministero competente.
Tuttavia le banche sono comunque tenute ad
assolvere gli altri obblighi previsti dalle
disposizioni in materia di antiriciclaggio.
Conseguentemente dovranno procedere ad
un’adeguata verifica della clientela.
Inoltre, ove le operazioni in contante
dovessero manifestarsi frequentemente (per
la stessa persona) e per importi
particolarmente elevati la banca dovrà
valutare se i comportamenti descritti
possano configurare le ipotesi di operazioni
sospette ai fini della normativa
antiriciclaggio.
Conseguentemente, laddove la risposta
fornisse un esito positivo la banca
effettuerà la segnalazione che però
rappresenta un’operazione ben diverso
rispetto al’obbligo di segnalazione delle
infrazioni dell’art. 49 (18.01.2012 - tratto da www.ipsoa.it). |
UTILITA' |
SICUREZZA LAVORO: Come
si redige un PiMUS (Piano di Montaggio, Uso
e Smontaggio di un ponteggio).
Dopo la pubblicazione del POS nella
Newsletter precedente, è la volta del PiMUS
(Piano di Montaggio, Uso e Smontaggio di un
ponteggio).
Ricordiamo innanzitutto che il PiMUS è un
documento obbligatorio per tutti i cantieri
in cui si ricorre al ponteggio per
l’esecuzione dei lavori. Esso rappresenta lo
strumento di lavoro per gli addetti e i
preposti all’utilizzo del ponteggio affinché
sia tutelata la salute e la sicurezza di
tutti i lavoratori.
Il Testo Unico per la Sicurezza (D.Lgs.
81/2008) prevede l'obbligo del datore di
lavoro di redigere il PiMUS, rispettando i
contenuti minimi previsti dall’Allegato XXII.
In allegato a questo articolo proponiamo uno
schema di PiMUS elaborato dal Gruppo di
lavoro della Provincia di Padova, di
concerto con il Comitato Provinciale di
Coordinamento.
Il documento rappresenta uno strumento
versatile a disposizione di tutte le imprese
che operano con l'utilizzo di ponteggi; in
esso sono contenute tutte le misure
preventive di sicurezza da adottare in
cantiere.
E' così strutturato:
● dati identificativi generali
● verifica del ponteggio
● disegno esecutivo del ponteggio
● caratteristiche degli impalcati, degli
appoggi e degli ancoraggi
● indicazioni generali per le operazioni di
montaggio, trasformazione, smontaggio
● modalità di tracciamento del ponteggio
● descrizione dei DPI e delle attrezzature
da utilizzare
● regole generali
● ponteggi metallici a telai prefabbricati
● ponteggi metallici a montanti e traversi
prefabbricati
● ponteggi metallici a tubi e giunti
(19.01.2012 - link a www.acca.it). |
ENTI LOCALI - VARI: Come
fare la domanda di variazione catastale per
i fabbricati rurali.
Come previsto dal Decreto Milleproroghe (v.
articolo “Arriva il “Milleproroghe”, ma in
versione light!”), fino al 31.03.2012 sarà
possibile presentare all'Agenzia del
Territorio la domanda di variazione
catastale degli immobili per i quali si vuol
fare riconoscere la ruralità, con
attribuzione delle categorie A/6 per le
abitazioni e D/10 per i fabbricati
strumentali all'attività agricola.
L’Agenzia del Territorio ha specificato, con
Comunicato dell'11.01.2012, le modalità per
la presentazione della domanda.
In particolare, possono essere utilizzati i
modelli A, B e C, allegati al decreto del
ministro dell’Economia del 14/09/2011.
Questi modelli possono essere consegnati con
seguenti modalità:
● consegna diretta all’Ufficio
● raccomandata postale con avviso di
ricevimento
● fax, ai sensi dell’art. 38, comma 1, del
D.P.R. 28.12.2000, n. 445
● invio attraverso posta elettronica
certificata
● procedura on-line presente sul sito
dell’Agenzia.
La procedura on-line, metodo consigliato
dall’Agenzia, prevede l’attribuzione di un
codice identificativo di conferma in tempo
reale. Entro il 31 marzo occorre comunque
presentare la stampa della documentazione
presso gli Uffici.
La presentazione può essere effettuata
Þ
direttamente dal titolare dei diritti reali
sul fabbricato;
Þ
tramite professionisti abilitati;
Þ
tramite Associazioni di categoria
(19.01.2012 - link a www.acca.it). |
SICUREZZA LAVORO: Datore
di lavoro, dirigente e preposto:
definizioni, obblighi e responsabilità.
Dall'ANCE i modelli per incarichi e delega
di funzioni.
Il Datore di lavoro è “il soggetto
titolare del rapporto di lavoro con il
lavoratore o, comunque, il soggetto che,
secondo il tipo e l’assetto
dell’organizzazione nel cui ambito il
lavoratore presta la propria attività, ha la
responsabilità dell’organizzazione stessa o
dell’unità produttiva in quanto esercita i
poteri decisionali e di spesa”.
Il Dirigente è “la persona che, in
ragione delle competenze professionali e di
poteri gerarchici e funzionali adeguati alla
natura dell’incarico conferitogli, attua le
direttive del datore di lavoro organizzando
l’attività lavorativa e vigilando sulla
stessa”.
Il Preposto è “la persona che, in ragione
delle competenze professionali e nei limiti
dei poteri gerarchici e funzionali adeguati
alla natura dell’incarico conferitogli,
sovrintende all'attività lavorativa e
garantisce l’attuazione delle direttive
ricevute, controllandone la corretta
esecuzione da parte dei lavoratori ed
esercitando un funzionale potere di
iniziativa”.
L’RSPP (Responsabile del Servizio di
Prevenzione e Protezione) è “la persona
in possesso delle capacità e dei requisiti
professionali di cui all’articolo 32
designata dal datore di lavoro, a cui
risponde, per coordinare il servizio di
prevenzione e protezione dai rischi”.
L’ANCE ha pubblicato una guida in materia di
sicurezza sul lavoro, con l’intento di
chiarire le responsabilità in materia di
sicurezza delle principali figure
dell’impresa e di elencare i ruoli e le
possibili deleghe all’interno della stessa e
dei cantieri edili.
Gli Argomenti trattati sono:
►
Le figure previste dal Testo Unico sicurezza
e le relative posizioni di garanzia
►
La delega di funzioni
►
Applicazione della disciplina al settore dei
lavori in edilizia: imprese esecutrici ed
impresa affidataria
In allegato sono presenti i seguenti
modelli:
● Lettera di incarico per l'intero complesso
aziendale
● Lettera di incarico per il singolo
cantiere
● Lettera di incarico per l'impresa
affidataria
● Delega di funzioni in materia di sicurezza
per imprese esecutrici
● Delega di funzioni in materia di sicurezza
sul lavoro per imprese affidatarie
(19.01.2012 - link a www.acca.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA -
EDILIZIA PRIVATA: Amianto,
cos'è e come si smaltisce. Ecco una
interessante guida su rischi, interventi di
bonifica e smaltimento.
L'amianto è un insieme di minerali del
gruppo dei silicati molto comune in natura.
La sua estrema resistenza al calore,
all’azione di agenti chimici e biologici,
all’abrasione e all’usura lo hanno reso un
ottimo materiale per tessuti a prova di
fuoco, per la coibentazione di edifici e per
manufatti in cemento-amianto (eternit) quali
tubazioni o lastre.
Tuttavia, l’inalazione delle sue polveri o
delle sue fibre è nociva in quanto provoca
malattie al sistema respiratorio di natura
cancerogena.
L'amianto rappresenta un pericolo per la
salute; il suo utilizzo è vietato dalla
legge.
La Redazione di BibLus-net, a seguito di
alcune richieste da parte dei propri
lettori, propone un interessante opuscolo
sull'amianto negli edifici a cura dell'ARPA
Piemonte (Agenzia Regionale per la
Protezione Ambientale).
La pubblicazione si propone come una guida
per tutelarsi da eventuali rischi legati
alla presenza di amianto negli edifici e
fornisce risposte chiare a domande quali:
►
Cos’è l’amianto?
►
Quali sono i rischi di esposizione alle
polveri di amianto?
►
Dove si trova l’amianto negli edifici e
quali sono i materiali che possono
contenerlo?
►
Quali sono gli interventi di bonifica e
quando sono necessari?
►
Come smaltire i materiali contenenti
amianto?
►
Quali sono le leggi di riferimento?
(19.01.2012 - link a www.acca.it). |
EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA: Decreto
salva-Italia: l'ANCE illustra e commenta le
novità del settore edile ed urbanistico.
Il 27.12.2011 sulla Gazzetta Ufficiale n.
300 è stata pubblicata la Legge 22.12.2011
n. 214, di conversione del D.L. 201/2011
(Decreto Salva Italia).
Rispetto al testo del decreto originario,
essa ha introdotto alcune novità nel settore
edile ed in quello urbanistico che vengono
analizzate e commentate in una nota
dell’ANCE (Associazione Nazionale
Costruttori Edili).
Quelle di maggior interesse riguardano:
● Esecuzione diretta delle opere di
urbanizzazione primaria, sotto soglia a
scomputo degli oneri concessori, a carico
del titolare del Permesso di Costruire;
● Introduzione dell'IMU e rivalutazione dei
coefficienti catastali;
● Messa a regime dal 2012 della detrazione
del 36% e proroga di quella del 55% fino a
dicembre 2012;
● Aumento aliquote IVA di 2 punti
percentuale da ottobre 2012;
● Istituzione dal 2013 della T.A.R.E.S
(Tassa comunale sui Rifiuti e sui Servizi);
● Istituzione dal 2011 dell'imposta sul
valore degli immobili situati all'estero, a
qualsiasi uso destinati dalle persone
fisiche residenti nel territorio dello
Stato:
● Istituzione, presso il Ministero delle
Infrastrutture e dei Trasporti,
dell'elenco-anagrafe delle opere pubbliche
incompiute;
● Prevista l’approvazione da parte del
Ministero delle Infrastrutture e dei
Trasporti e del CIPE dei progetti
preliminari relativi ad opere di interesse
strategico
(19.01.2012 - link a www.acca.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Sostituzione
dei maniglioni anti-panico: proroga di 24
mesi.
È stata prorogata di 24 mesi la data entro
cui è obbligatorio provvedere alla
sostituzione dei maniglioni antipanico non
marcati CE. La nuova data di riferimento è
il 18.02.2013.
Lo ha stabilito il Decreto del 06.12.2011
pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 299 del
24/12/2011 relativo alla Modifica al D.M.
03.11.2004 (Disposizioni relative
all'installazione ed alla manutenzione dei
dispositivi per l'apertura delle porte
installate lungo le vie di esodo,
relativamente alla sicurezza in caso
d'incendio)
(19.01.2012 - link a www.acca.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Detrazioni
per riqualificazione energetica:
dall'Agenzia delle Entrate la nuova guida
alle agevolazioni fiscali.
L’agevolazione fiscale per la
riqualificazione energetica consiste nel
riconoscimento di detrazioni d’imposta pari
al 55% delle spese sostenute.
Si tratta di riduzioni dell’Irpef (Imposta
sul reddito delle persone fisiche) e dell’Ires
(Imposta sul reddito delle società) concesse
per interventi che aumentino il livello di
efficienza energetica degli edifici
esistenti.
A seguito delle modifiche apportate dalla
Legge salva-Italia in materia di detrazioni
fiscali, l’Agenzia delle Entrate ha
pubblicato
la nuova guida (dicembre 2011)
alle agevolazioni relative agli interventi
di riqualificazione energetica (detrazione
del 55%).
Le novità introdotte riguardano:
● proroga delle detrazioni per
riqualificazione fino al 31.12.2012;
● estensione della detrazione a interventi
di sostituzione di generatori tradizionali
per acqua calda sanitaria con pompe di
calore;
● nessun limite temporale per le detrazioni
del 36%, che dal 2013 ingloberanno anche
quelle del 55%.
La guida è così strutturata:
►
Introduzione;
►
L’agevolazione per la riqualificazione
energetica;
►
Gli interventi interessati all’agevolazione;
►
Tipologia di spesa e relativa detrazione;
►
Adempimenti necessari per ottenere la
detrazione;
►
Riferimenti normativi;
►
Appendice
(19.01.2012 - link a www.acca.it). |
NEWS |
INCARICHI PROFESSIONALI: LIBERALIZZAZIONI/ Approvato
in consiglio dei ministri il decreto legge
sulla concorrenza. Professioni, nuovi
adempimenti.
Scatta l'obbligo del preventivo scritto e
dell'assicurazione.
Nuovi adempimenti per i professionisti.
Debutta l'obbligo del preventivo scritto da
rilasciare al cliente sulla prestazione
richiesta. E soprattutto scatta il vincolo
della polizza assicurativa sui danni
eventualmente causati dall'esercizio
dell'attività professionale. Vanno quindi in
soffitta i tariffari (non più vincolanti dal
2006 ma comunque indicativi) per definire
l'onorario su una determinata prestazione.
A meno che non sia il giudice a dover
calcolare tale compenso. In questo caso sarà
possibile utilizzare i parametri stabiliti
con decreto del ministero vigilante (cioè
gli stessi tariffari vietati fra privati).
Sono queste alcune delle previsioni
contenute nel decreto legge sulle
liberalizzazioni approvato ieri in consiglio
dei ministri.
Tariffe. Il governo sceglie la linea soft
(rispetto alle ipotesi della prima ora). Se
in una prima versione la definizione del
compenso era rimessa alla completa
contrattazione fra le parti, nel decreto
approvato si rimane confermata l'abrogazione
delle tariffe delle professioni nel sistema ordinistico ma il giudice, in caso di
liquidazione dei compensi, potrà fare
riferimento ai parametri stabiliti con
decreto del ministero vigilante.
Questa
parte, in un primo momento non c'era. Ma non
solo. Restando in tema di compensi, questi
devono essere calcoli in base all'importanza
dell'opera e vanno pattuiti (oltre che per
iscritto) in modo omnicomprensivo. Il che
vuol dire che il professionista avrà la
possibilità di quantificare la qualità e il
rischio della prestazione.
Preventivo. In nome della trasparenza, il
decreto conferma che il professionista deve
rilasciare un preventivo scritto con il
prezzo della prestazione richiesta dal
cliente. L'atto deve essere corredato del
grado di complessità dell'incarico, fornendo
tutte le informazioni circa gli oneri
ipotizzabili dal momento del conferimento
alla conclusione dell'incarico.
L'inottemperanza di quanto disposto
costituisce illecito disciplinare e in
quanto tale sarà sanzionabile dall'ordine.
Assicurazione. Rappresenta la vera novità
del provvedimento. In una prima versione del
Dl, infatti, si prevedeva solo l'obbligo per
il professionista di indicare nel preventivo
se era titolare o meno di una polizza
assicurativa. Nella versione approvata ieri
invece scatta un vero e proprio vincolo.
Anticipando così una misura contenuta
all'articolo 3, comma 5, della legge nella
legge 148 del 2011. E non è l'unica.
Tirocinio. Un'altra misura che il governo ha
inteso anticipare, infatti, è quella sui
tirocini. Nel confermare che il periodo di
pratica in studio utile ai fini della
partecipazione all'esame di stato non potrà
essere superiore ai 18 mesi, si prevede che
sei mesi potranno essere svolti durante il
corso di laurea. Servirà però una
convenzione quadro ad hoc stipulata fra i
consigli nazionali degli ordini e il
ministro dell'istruzione, università e
ricerca.
Questa disposizione non si applica
alle professioni sanitarie per le quali
resta confermata la normativa vigente. In
materia di tirocinio però, il governo ha
fatto saltare (indirettamente) l'equo
compenso previsto per il giovane che nella
legge 148/2011 era previsto. Il decreto,
sopprime, fra le altre cose, dalla Manovra
di Ferragosto alcune sue parti. Una di
queste (articolo 3, comma 5, lettera c -
secondo periodo) è proprio la previsione
della remunerazione per il praticante.
Notai. Più concorrenza fra i notai.
L'attuale pianta organica (che prevede sulla
carta 5.779 professionisti in servizio anche
se al momento ce ne sono poco meno di
4.700), come revisionata da ultimo con i
decreti del ministero della giustizia il 23.12.2009 e in data 10.11.2011, è
aumentata di 500 posti. Per arrivare a
questo risulto si procederà con una serie di
concorsi a raffica. Non prima, però, di aver
concluso quelli in corso.
Al momento infatti
ci sono tre bandi che aspettano di essere
conclusi per 550 posti. Il decreto prevede
che entro il 2012 siano espletate tutte le
procedure per la nomina dei professionisti
nei vari distretti che ne necessitano. In un
secondo momento, cioè entro il 31.12.2013, ci sarà un nuovo bando per altri 500
posti. Entro il 31.12.2014 toccherà ad
altri 470 notai. Così facendo, a giudizio
dell'esecutivo, ci saranno abbastanza
professionisti sul mercato da creare la
concorrenza necessaria.
Tuttavia, «per
assicurare il funzionamento regolare e
continuo dell'ufficio, il notaro deve tenere
nel comune o nella frazione assegnatagli
studio aperto con il deposito degli atti,
registri e repertori notarili, e deve
assistere personalmente allo studio stesso
almeno tre giorni a settimana e almeno uno
ogni 15 giorni per ciascun comune o frazione
di comune aggregati».
Confidi. Nella maggioranza del capitale
sociale dei consorzi fidi e delle società
cooperative che esercitano l'attività di
garanzia collettiva fidi spazio ai liberi
professionisti. È quanto emerge dal decreto
che modifica il comma 7, del dl n. 201/2011
(cosiddetta «manovra Monti»), convertito
nella legge n. 214/2011. I consorzi di
garanzia collettiva dei fidi sono enti
costituiti nella veste giuridica di
cooperativa o società consortile, che
esercitano in forma mutualistica attività di
garanzia collettiva dei finanziamenti in
favore delle imprese socie o consorziate.
La
modifica introdotta estende la
partecipazione anche ai liberi
professionisti (soci) a prescindere
dall'attività esercitata che, insieme alle
piccole e medie imprese (Pmi), devono
detenere almeno la metà più uno dei voti
esercitabili in assemblea, con il diritto a
nominare gli organi con funzione di gestione
e controllo strategico, di cui al richiamato
art. 39, dl n. 201/2011
(articolo ItaliaOggi del 21.01.2012). |
APPALTI SERVIZI: Servizi
locali, tre anni di in house a chi si fonde.
NUOVA SOGLIA/ Scende a 200mila euro il valore
contrattuale minimo per l'affidamento senza
gara dei servizi ad aziende controllate
dall'ente locale.
Le aziende di servizi pubblici locali che si
accorperanno per servire un bacino di
traffico più ampio e di dimensione almeno
provinciale potranno godere di tre anni di
continuazione dell'affidamento in house. È
una delle misure che intendono incentivare
la crescita dimensionale delle imprese
(soprattutto pubbliche) operanti oggi nei
mercati piuttosto polverizzati dei servizi
pubblici locali.
Il ministro per lo Sviluppo, Corrado
Passera, ha esplicitato questo obiettivo che
si potrebbe definire di politica industriale
con riferimento esplicito al settore dei
trasporti, ma la lettura delle norme
approvate ieri svela che il trattamento di
favore riguarda anche gli altri settori che
ricadono sotto la disciplina generale dei
servizi pubblici locali, come per esempio la
raccolta e la gestione dei rifiuti. Per
altro, le aziende che si accorpassero per
raggiungere la dimensione auspicata
avrebbero anche una serie di vantaggi in
termini di minori vincoli del patto di
stabilità.
Non è questa l'unica riforma forte in
materia di servizi pubblici locali. Il
Governo ha deciso di rafforzare, su proposta
del ministro delle Regioni, Piero Gnudi, le
regole che favoriscono la concorrenza. Per
l'in house, per esempio, nell'affidamento
senza gara dei servizi ad aziende pubbliche
controllate al 100% dall'ente locale, la
soglia che oggi è fissata a 900mila euro di
valore contrattuale scende a 200mila euro.
In questa direzione anche l'obbligatorietà
del parere dell'Autorità Antitrust nel caso
in cui un comune rinunci allo svolgimento di
un servizio in regime di completa
liberalizzazione e decida di confermare lo
svolgimento del servizio «in esclusiva» o in
concessione. Non ci sarà il
silenzio-assenso: i comuni avranno bisogno
comunque del parere favorevole dell'Autorità
per poter varare la delibera quadro che
assegna i servizi in monopolio.
È entrata, alla fine di un lungo tira e
molla, anche la norma che reintroduce
l'obbligo di gara per il settore del
trasporto ferroviario regionale, che
nell'attuale disciplina è escluso dal regime
generale per una deroga esplicita (insieme a
energia elettrica, gas e farmacie). La norma
approvata ieri reintroduce l'obbligo per le
Regioni di affidare il servizio con una gara
ma fa salvi i contratti che le Regioni hanno
già firmato in questi anni con Trenitalia
per un periodo "protetto" di sei anni.
Non
vengono salvati invece gli eventuali rinnovi
per ulteriori sei anni che pure erano
previsti dalla legge ad hoc. Alla scadenza
dei contratti attuali, quindi, gara
obbligatoria. L'altro effetto di questo
compromesso è che non rischiano di essere
azzerati i contratti in essere, come invece
avverrà per tutti gli altri affidamenti a
servizi pubblici avvenuti in passato senza
gara
(articolo Il Sole 24
Ore del 21.01.2012). |
ENTI LOCALI - VARI: Casa ai parenti con l'Imu
piena.
Non più permessa l'assimilazione
all'abitazione principale.
ItaliaOggi pubblica le risposte ai quesiti
sul tema della nuova imposta municipale
propria (Imu) posti dai telespettatori al
videoforum ItaliaOggi-Ipsoa.
FABBRICATO
CONCESSO A PARENTI
Vorrei capire come viene tassato dall'Imu un
immobile utilizzato per intero (posseduto al
100% senza alcun atto) come abitazione
principale da un soggetto proprietario per
1/3 e come viene tassato per gli altri
familiari proprietari per 2/3; segue le
stesse regole dell'Ici?
Risposta
Posto che per verificare il reale impatto
dell'Imu si deve attendere l'emanazione dei
regolamenti dei singoli comuni e i necessari
chiarimenti ministeriali e che l'aliquota
dello 0,76% dovrà essere applicata anche
all'immobile concesso in uso gratuito a
parenti del proprietario (immobili che, in
vigenza dell'Ici, godevano dell'esenzione
dal tributo in presenza di un regolamento
comunale che prevedeva l'assimilazione
all'abitazione principale), si ritiene che
l'imposta possa essere determinata come di
seguito indicato, trattandosi di unità
immobiliare inserita nella categoria «A»:
- proprietario (1/3), dimorante e residente:
utilizzare la rendita catastale vigente all'01.01.2012, da rivalutare del 5% e
moltiplicando il prodotto ottenuto per il
moltiplicatore 160, applicando all'ulteriore
valore l'aliquota ridotta dello 0,4%.
Ottenuta l'imposta, applicare la totale
detrazione pari a 200 euro e l'eventuale
maggiorazione di quest'ultima;
- familiari proprietari: stesso calcolo per
ottenere la base imponibile (rendita x 1,05
x 160) utilizzando, però, l'aliquota dello
0,76% senza decurtare alcuna detrazione.
RENDITA FABBRICATI
STRUMENTALI
Per quei fabbricati che, alla data del 16.06.2012, si troveranno ancora censiti al
catasto terreni, la manovra prevede che il
contribuente debba utilizzare la rendita
attribuita a fabbricati similari e, in
presenza di scostamenti tra la rendita
presunta e quella proposta dal contribuente
e accettata dall'Agenzia del territorio sarà
il comune a effettuare le operazioni di
conguaglio.
Sul punto si chiedono
chiarimenti in merito al fatto che la
rendita presunta debba essere utilizzata
anche per i fabbricati strumentali o se
invece, per tali immobili, purché
interamente posseduti da imprese agricole e
distintamente contabilizzati, si debba fare
riferimento ai valori contabili, stante il
fatto che il comma 3, dell'articolo 13, dl
n. 201/2011 richiama espressamente il comma
3, dell'art. 5, del dlgs 504/1992.
Risposta
Il quesito è stato inoltrato all'Agenzia
delle entrate ancor prima che il gentile
lettore lo avesse prodotto, essendo un
problema ricorrente e già evidenziato dalla
più attenta dottrina.
Purtroppo, però, l'Agenzia delle entrate non
ha fornito un chiarimento preciso,
permanendo allo stato attuale l'incertezza
evidenziata e dovendo fornire un'indicazione
basata esclusivamente sulle disposizioni
vigenti.
Si ricorda, infatti, che le costruzioni
rurali censite al catasto terreni, ai sensi
del comma 14-ter, dell'articolo 13, dl n.
201/2011, nella stesura definitiva, dovranno
essere censite al catasto fabbricati entro
il 30/11/2012 e che (comma 14-quater) l'Imu
deve essere corrisposta, a titolo di
acconto, sulla base della rendita delle
unità similari già iscritte in catasto.
Nel caso specifico, però, per quanto
concerne in particolare i fabbricati
classificabili nella categoria «D», se
interamente posseduti da imprese agricole e
distintamente contabilizzati, fino al
momento del richiesto accatastamento, la
base imponibile si ritiene debba essere
quantificata con riferimento ai «valori
contabili» indicati nel comma 3, dell'art.
5, dlgs n. 504/1992, poiché espressamente
richiamato dal comma 3, dell'art. 13, del dl
n. 201/2011.
DIFFERENZE
TRA IMU E ICI
Quali sono le differenze principali tra Imu
e Ici, oltre a quella di dover pagare L'Imu
nel caso di abitazione principale e non con
l'Ici.
Risposta
Per quanto richiesto, si può evidenziare
che, per esempio, il nuovo tributo, ancorché
con aliquota ridotta (0,4%), si rende
applicabile anche sull'abitazione
principale, impattando sulla totalità dei
contribuenti italiani.
Inoltre, l'Imu introduce nuovi
moltiplicatori ai fini della determinazione
della base imponibile che comportano, a
decorrere dal 2012, un aumento medio del 60%
dei valori catastali degli immobili,
ancorché gli stessi siano utilizzati
esclusivamente per la determinazione del
tributo locale (resta esclusa
l'applicazione, per esempio, per determinare
il valore catastale ai fini dell'imposta di
registro e delle donazioni e successioni).
La nozione di abitazione principale ricalca
quella dell'Imu a regime ma è diversa
rispetto da quella dell'Ici, poiché occorre
la coincidenza della dimora abituale con la
residenza anagrafica e che sia presente
un'unica unità immobiliare iscritta o
iscrivibile in catasto, mentre le pertinenze
devono essere collocate nelle specifiche
categorie (C/2, C/6 e C/7) con assegnazione
dell'agevolazione per l'abitazione
principale a una soltanto di esse (due posti
auto, uno solo agevolato).
Saltano alcune agevolazioni, quella più nota
prescritta dall'art. 59, dlgs n. 446/1997
che prevedeva la possibilità di equiparare
all'abitazione principale le unità abitative
concesse in uso gratuito (comodato) a
parenti e talune esenzioni prescritte
dall'art. 7, della legge n. 504/1992.
Del tutto nuove sono l'aliquota dello 0,4%,
riferita all'abitazione principale e quella
dello 0,2% per le costruzioni rurali
strumentali che, insieme alle unità
abitative rurali, erano esenti ai fini Ici,
se classate nelle categorie specifiche «A/6»
(abitazioni) e «D/10» (strumentali).
Infine, si nota un depotenziamento della
potestà legislativa dei comuni e, nonostante
la definizione «municipale», il 50%
dell'introito derivante dall'applicazione
dell'aliquota ordinaria dello 0,76% è
destinato alle casse dello stato.
ESENZIONI
TERRENI AGRICOLI
Vorrei sapere se l'esenzione prevista dalla
normativa Ici per i terreni agricoli in zone
montane è confermata anche dalla disciplina
dell'Imu.
Risposta
Come indicato direttamente in sede di Video
Forum 2012, i terreni agricoli collocati
nelle aree montane o di collina, delimitate
ai sensi dell'articolo 15 della legge n. 984
del 1977, restano esenti dall'imposizione.
Si aggiunge, inoltre, che l'elenco dei
comuni è rilevabile all'interno della
circolare n. 9/249 del 14.06.1993 (sul
tema, risoluzione 17/09/2003 n. 5/DPF e
Suprema Corte di cassazione, sentenza
29/10/2010 n. 22125).
FABBRICATI
IN CATEGORIA E
I fabbricati accatastati in categoria «E»
sono soggetti all'Imposta Municipale Propria
sperimentale?
Risposta
Le disposizioni inerenti all'imposta
municipale propria «sperimentale» fanno
espresso rinvio alle disposizioni indicate
negli articoli 8, 9 e 14, commi 1 e 6, del
decreto legislativo n. 23/2011, concernente
le disposizioni in materia di «Federalismo
fiscale».
Nel rispetto del comma 8, dell'articolo 9,
del citato decreto sul federalismo fiscale,
richiamato espressamente dai commi 1 e 13
delle disposizioni sull'imposta municipale,
come appena indicato, sono esenti dal
pagamento del tributo i fabbricati
classificati o classificabili nelle
categorie da «E/1» a «E/9»; trattasi di
tutti quegli immobili a destinazione
particolare come le stazioni per servizi di
trasporto (terrestri, marittimi e aerei),
ponti comunali e provinciali soggetti a
pedaggio, costruzioni e fabbricati per
speciali esigenze pubbliche, recinti chiusi
per speciali esigenze pubbliche, fabbricati
costituenti fortificazioni e loro
dipendenze, fari, semafori, torri per
rendere d'uso pubblico l'orologio,
fabbricati destinati all'esercizio pubblico
dei culti, fabbricati e costruzioni nei
cimiteri, con esclusione dei colombari, i
sepolcri e le tombe di famiglia e gli
edifici a destinazione particolare
(categoria residuale).
ESENZIONI IMU
PER DISABILI
È ancora attuale l'esenzione Imu per la
prima casa abitata da disabile grave?
Risposta
Sul punto non si può che ricordare che il
comma 8, dell'articolo 9, del dlgs n. 23 del
2011, espressamente richiamato dal comma 13,
dell'art. 13, del dl. n. 201/2011 dispone
che «_ sono esenti dall'imposta municipale
propria gli immobili posseduti dallo stato,
nonché gli immobili posseduti, nel proprio
territorio, dalle regioni, dalle province,
dai comuni, dalle comunità montane, dai
consorzi fra detti enti, ove non soppressi,
dagli enti del servizio sanitario nazionale,
destinati ai compiti istituzionali. Si
applicano, inoltre, le esenzioni previste
dall'articolo 7, comma 1, lettere b), c),
d), e), f), h) e i) del citato decreto
legislativo 504/1992_».
Inoltre, il comma 10, dell'art. 13 in
commento ha esteso determinati benefici
(aliquota ridotta e detrazione d'imposta)
alle fattispecie indicate nel comma 3-bis,
dell'art. 6, dlgs n. 504/1992 (casa
coniugale o ex coniugale, unità abitative
possedute dalle cooperative edilizie a
proprietà indivisa, alloggi assegnati dagli
Iacp), mentre è possibile applicare
l'aliquota ridotta e la detrazione per
abitazione principale per le unità
immobiliari utilizzate da «anziano» o
«disabile», con residenza acquisita in
istituti di ricovero a seguito di ricovero
permanente, purché non locato.
Rientra, però, nella potestà regolamentare
dei comuni di estendere le agevolazioni
previste per l'abitazione principale agli
anziani o disabili che acquisiscono la
residenza in istituti di ricovero o sanitari
a seguito di ricovero permanente, ai sensi
del comma 10, dell'articolo 13.
Non si riscontra, almeno nella disciplina
Imu una specifica esenzione per la prima
casa abitata da disabile grave, se dallo
stesso utilizzata in assenza di ricovero
permanente
(articolo ItaliaOggi del
20.01.2012). |
AMBIENTE-ECOLOGIA: Rifiuti
tracciati, rinvio a giugno.
Funzioni associate, per tutti i comuni si va
a settembre. Emendamenti approvati al
decreto sulle proroghe, che approda lunedì
in aula alla Camera.
Slitta di tre mesi (dal 2 aprile al 30
giugno) l'entrata in vigore del Sistri, il
Sistema di controllo per la tracciabilità
dei rifiuti. E per tutto il 2013 i comuni
turistici potranno assumere a tempo
determinato vigili urbani.
A prevederlo sono
alcuni emendamenti approvati ieri nelle
commissioni affari costituzionali e bilancio
della camera al decreto milleproroghe
(216/2011), che approderà in aula lunedì,
dove si attendono passi in avanti su due
questioni pensionistiche (riguardanti i
lavoratori «precoci» ed «esodati», si veda
ItaliaOggi di ieri).
Il congelamento del Sistri, caldeggiato
dalla Lega Nord, arriva sei mesi dopo il
varo di un'altra norma sul tema nel dl
sviluppo (70/2011), che ha dato alle aziende
con meno di dieci dipendenti tempo fino al
1° giugno per l'avvio del meccanismo di
verifica, al fine di garantire un adeguato
periodo transitorio.
Cantano vittoria,
invece, le località di attrazione turistica
perché è passata la proposta di modifica del
centrosinistra che consentirà alle
amministrazioni le assunzioni stagionali di
vigili, nei periodi di maggiore affluenza,
anche nel 2013; i comuni, spiega Giulio Calvisi (Pd), avevano sollecitato la misura
perché, soprattutto in estate, «vedono
aumentare esponenzialmente la popolazione
che gravita sul territorio» e hanno
necessità di ricorrere ad altro personale di
polizia locale «per evidenti ragioni di
tutela della sicurezza, controllo del
territorio, lotta all'evasione fiscale,
controllo del rispetto della normativa in
materia ambientale, nonché gestione del
traffico».
Novità anche sul versante
dell'istruzione: via libera all'emendamento
sull'inserimento nelle graduatorie ad
esaurimento di oltre 23 mila docenti,
abilitati e abilitandi, di scienze della
formazione primaria, strumento musicale e
didattica della musica, in base ai loro
titoli, fino ad oggi non riconosciuti, e con
il punteggio maturato negli anni; ci sarà,
inoltre, possibilità fino al 2013 per gli
enti locali intenzionati ad assumere con
contratti a tempo determinato o di
collaborazione, personale scolastico (i
supplenti dei servizi educativi e
d'infanzia), così come la ripartizione a
tutte le università, senza esclusione di
quelle che hanno superato il rapporto del
90% tra spese di personale e risorse del
fondo di finanziamento universitario, del
piano straordinario di reclutamento per
professori associati.
Con il sì ad un emendamento del Pd, poi, si
concede la proroga fino settembre 2012 a
tutti i comuni per la gestione associata
delle funzioni. In particolare, la
disposizione nasce dall'esigenza di
ricomprendere nel rinvio anche i comuni
sotto i mille abitanti, che inizialmente ne
erano rimasti esclusi.
La proroga, inizialmente fissata a giugno
2012 per gli enti tra 1.000 e 5.000
abitanti, viene ora fissata per tutti, cioè
per questi e anche per quelli sotto i 1.000
abitanti, a fine settembre. Da ricordare che
l'art. 16 del decreto n. 138 del 13.08.2011 (la manovra bis) aveva inizialmente
fissato a fine dicembre 2011 il termine per
l'obbligo della gestione associata delle
funzioni fondamentali.
Prorogata al 29 febbraio la sanatoria sui
cartelloni elettorali abusivi, duramente
contestata da Radicali e Idv: le violazioni
delle norme su affissioni e pubblicità
potranno essere sanate fino alla fine del
mese prossimo attraverso il pagamento di
1.000 euro. Passato, poi, l'emendamento
fatto proprio da uno dei relatori,
Gianclaudio Bressa (Pd), che consentirà di
reperire 250 mila euro per far fronte al
pagamento dell'assicurazione dei volontari
del Soccorso Alpino e speleologico che, si
legge in una nota del centrosinistra,
«svolgono un servizio universale previsto
dalla legge ma fortemente compromesso, a
danno della sicurezza in montagna e del
turismo montano, dai tagli delle manovre
dell'estate scorsa».
Grande la delusione
delle associazioni agricole (che promettono
battaglia anche perché «il carico fiscale
sui fabbricati rurali è rimasto invariato»
dichiara Confagricoltura) dopo il ritiro
della proposta sull'Imu, che stabiliva una
differenziazione del trattamento impositivo
di chi il terreno lo usa per vivere e
lavorare. Una iniziativa bipartisan, infine,
dà una mano all'editoria delle onlus e delle
associazioni d'arma, che potranno
beneficiare delle tariffe agevolate per la
spedizione delle loro pubbblicazioni
(articolo ItaliaOggi del
20.01.2012). |
APPALTI SERVIZI: In house, la strada è la
fusione.
Chi si aggrega andrà avanti fino al 2017.
Mutui senza paletti.Il dl liberalizzazioni
riscrive la disciplina dei servizi locali.
Aziende speciali soggette al Patto.
Incentivi alle fusioni delle gestioni in
house. Le aziende che si metteranno insieme
potranno andare avanti tranquillamente fino
alla fine del 2017. L'obiettivo del governo
è promuovere l'accorpamento delle realtà
locali in modo da avere un unico gestore per
ciascun bacino territoriale ottimale
coincidente almeno con l'estensione della
provincia.
Le società risultanti dalla fusione,
inoltre, non avranno paletti nella
sottoscrizione di mutui per investimenti,
mentre le altre dovranno fare bene i conti
perché gli interessi delle rate annuali di
ammortamento, sommati a quelli dei mutui
precedentemente contratti, non potranno
superare il 25% delle entrate effettive
dell'azienda.
La soglia per gli affidamenti scende da 900
a 200 mila euro. Quelli di valore economico
superiore dovranno cessare a fine 2012.
Mentre le gestioni affidate direttamente a
società miste pubblico-private (se la
selezione del socio è avvenuta senza gara a
«doppio oggetto») termineranno il 31.03.2013. L'attribuzione di diritti di esclusiva
sarà possibile solo previo parere
obbligatorio dell'Antitrust che dovrà
pronunciarsi entro 60 giorni dalla ricezione
della delibera dell'ente.
Il decreto sulle liberalizzazioni, che oggi
il governo Monti porterà sul tavolo del
consiglio dei ministri, riscrive in molti
punti la disciplina dei servizi pubblici
locali già rivista dal governo Berlusconi
con la manovra di Ferragosto (dl 138/2011).
E per incentivare comuni, province e regioni
ad applicare le nuove regole stabilisce che
chi lo farà sarà considerato virtuoso ai
fini dell'applicazione degli sconti sul
patto di stabilità.
Anche le aziende speciali dovranno
rispettare i vincoli di bilancio secondo
modalità che saranno definite con un decreto
ministeriale che il governo approverà entro
la fine di giugno. In ogni caso alle
partecipate si applicheranno tutte le
disposizioni emanate negli ultimi anni per
comprimere la spesa degli enti locali:
divieti e limiti alle assunzioni, taglio
delle retribuzioni, riduzione delle
consulenze.
Tutela della concorrenza a livello locale.
Per promuovere la concorrenza a livello
comunale è prevista l'individuazione di un
apposito ufficio presso la presidenza del
consiglio che dovrà monitorare la normativa
locale alla ricerca di eventuali
disposizioni contrastanti con i principi di
libero mercato (di veda ItaliaOggi del
12/1/2012). Qualora vengano riscontrate
irregolarità il nuovo organismo assegnerà
all'ente un «congruo termine» per rimuovere
i limiti alla concorrenza, decorso il quale
scatteranno i poteri sostitutivi previsti
dalla legge La Loggia (n. 131/2003).
L'ufficio supporterà gli enti locali anche
nella dismissione delle loro quote di
partecipazione in società di utility.
Obblighi informativi dei concessionari. I
concessionari e affidatari di servizi
pubblici locali saranno obbligati a fornire
ai comuni, che vogliono bandire una gara per
assegnare il servizio da loro svolto, tutte
le informazioni utili (impianti,
infrastrutture, rivalutazioni,
ammortamenti). Dovranno farlo entro 60
giorni dalla richiesta. Diversamente
potranno andare incontro a una sanzione da 5
mila a 500 mila euro
(articolo ItaliaOggi del
20.01.2012 - tratto da
www.corteconti.it). |
INCARICHI PROFESSIONALI: Obbligo
di gara per selezionare i professionisti.
Conseguenza diretta della liberalizzazione
delle professioni sarà l'obbligatorietà di
procedure di gara da parte delle pubbliche
amministrazioni per selezionare i
professionisti cui affidare servizi,
compresi gli avvocati.
La bozza del decreto sulle liberalizzazioni
incide sulle professioni con due mosse. In
primo luogo, abroga tutte le tariffe
professionali, sia minime sia massime (resta
il dubbio se l'abrogazione coinvolga anche
le tariffe notarili: il testo attualmente
circolante si rivolge anche ai notai). In
secondo luogo, elemento maggiormente
importante per i comportamenti che dovranno
assumere le pubbliche amministrazioni,
introduce l'obbligo per tutti i
professionisti di concordare in forma
scritta con il cliente il preventivo per la
prestazione richiesta. Il decreto stabilisce
che la redazione del preventivo è un obbligo
deontologico del professionista, la cui
inottemperanza costituisce illecito
disciplinare.
Risulta a questo punto chiaro che se il
professionista è obbligato nei confronti di
ciascun cliente privato a presentare un
preventivo scritto, ciò deve valere a
maggior ragione per la pubblica
amministrazione.
Infatti, tutti i rapporti contrattuali per
gli enti pubblici debbono essere
regolamentati in forma scritta a pena di
nullità. Come il professionista ha l'obbligo
deontologico di fornire il preventivo,
simmetricamente l'amministrazione pubblica
deve pretenderlo, per adempiere ai doveri di
imparzialità e trasparenza.
La combinazione tra abolizione delle tariffe
e della necessità del preventivo rompe per
sempre il fronte della «fiduciarietà» di
alcuni tipi di incarichi professionali, tra
i quali soprattutto quelli ad avvocati.
Nonostante risulti chiarissimo da tempo, per
effetto dell'allegato II B, punto 21, del
codice dei contratti, che gli incarichi ad
avvocati non sono «incarichi» di consulenza
o collaborazione, tuttavia è rimasta forte
in dottrina e anche giurisprudenza la teoria
secondo la quale non si debbano rispettare i
canoni delle procedure di appalto, vista la fiduciarietà intrinseca al legame tra
avvocato e committente e in presenza di un
tariffario minimo.
L'obbligo del preventivo non può non indurre
le amministrazioni a considerare l'aspetto
economico come elemento o tra gli elementi
fondamentali per la scelta del
professionista.
È cura minima acquisire più di un preventivo
e impostare una procedura concorrenziale,
applicando le procedure comunque
semplificate previste per i contratti ai
quali non si applica interamente la
disciplina del codice dei contratti
dall'articolo 27 del codice stesso, oppure
il cottimo fiduciario ai sensi dell'articolo
125.
L'era dell'affidamento diretto intuitu
personae è destinata al definitivo tramonto,
tranne per casi da motivare di specifica
urgenza e necessità, indotte, nel caso degli
incarichi ai legali, dai termini
procedimentali previsti dalle leggi
processuali
(articolo ItaliaOggi del 20.01.2012). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Esuberi ai raggi X per assumere.
Atti nulli senza la rilevazione del
personale in sovrannumero. La legge di
stabilità 2012 impone alle amministrazioni
la ricognizione dei dipendenti.
Obbligo di rilevazione annuale del personale
in sovrannumero e di quello eccedente: è
questa la nuova condizione posta a tutte le
pubbliche amministrazioni per poter
effettuare assunzioni di personale a
qualunque titolo. La mancata applicazione di
questa prescrizione è sanzionata con la
nullità degli atti adottati, il che
determina inevitabilmente il maturare di
responsabilità amministrativa. Sono questi i
principali effetti determinati dal nuovo
testo dell'articolo 33 del dlgs n. 165/2011
introdotto dall'articolo 16 della legge n.
183/2011, cd di stabilità 2012.
Il primo
elemento da sottolineare è che il
legislatore individua le condizioni di
sovrannumero nella presenza di personale e/o
di dirigenti extra dotazione organica: siamo
quindi in presenza di un accertamento
esclusivamente formale, che si effettua
confrontando il personale a tempo
indeterminato in servizio con quello
previsto nella dotazione organica. Le
condizioni di eccedenza devono essere
individuate «in relazione alle esigenze
funzionali o alla situazione finanziaria».
Nel testo precedentemente in vigore il
riferimento era invece molto più
genericamente alle previsioni della legge n.
223/1991, cioè la norma dettata per la
individuazione delle condizioni di eccedenza
nel settore privato. Il secondo elemento da
rilevare è che queste dichiarazioni, a
differenza del passato, possono essere
disposte solamente al momento dell'adozione
di questo documento.
Mancano, nella disposizione, indicazioni sul
modo in cui le p.a. devono effettuare questa
verifica. Sul terreno delle procedure appare
necessario il coinvolgimento di tutti i
dirigenti nella definizione della proposta,
mentre l'adozione dell'atto appartiene alla
competenza della giunta. Espressamente il
legislatore prevede il coinvolgimento dei
dirigenti: essi sono infatti chiamati ad
attivare questa procedura; il mancato
rispetto di tale vincolo, sulla base di una
esplicita previsione, «è valutabile ai fini
della responsabilità disciplinare».
L'accertamento della condizione di eccedenza
deve essere effettuato dalle amministrazioni
sulla base della condizione finanziaria, il
che non è senza conseguenze per gli enti che
hanno violato il tetto alla spesa del
personale o il rapporto massimo del 50% tra
spesa del personale e corrente. Essa deve
inoltre essere effettuata in relazione alle
attività svolte da ogni unità organizzativa,
quindi con riferimento ai procedimenti, al
loro numero e alla loro complessità. È
verosimile che, al momento in cui saranno
determinati i fabbisogni standard, ogni ente
dovrà tenerne conto.
La ricognizione può
sicuramente essere effettuata unitamente
alla programmazione annuale e triennale del
fabbisogno del personale. La sua
effettuazione, anche in caso di esito
negativo, deve essere comunicata alla
funzione pubblica. Se invece si sono
determinate condizioni di eccedenza o di
sovrannumero occorre dare informazione ai
soggetti sindacali. Da questo momento le
amministrazioni devono attivarsi per
superare tali condizioni.
Dopo non meno di
dieci giorni dalla comunicazione ai soggetti
sindacali, l'ente deve verificare se questa
condizione può essere risolta attraverso il
ricorso a forme flessibili, al contratti di
solidarietà, il collocamento in quiescenza
del personale che ha raggiunto 40 anni di
anzianità contributiva e l'eventuale
mobilità presso amministrazioni della stessa
regione. In caso negativo, decorsi 90 giorni
dalla comunicazione ai soggetti sindacali,
sono collocati in disponibilità i dipendenti
individuati come eccedenti.
---------------
Così la delibera di giunta per il monitoraggio.
Visto l'articolo 33 del dlgs n. 165/2001 nel
testo modificato da ultimo dall'articolo 16
della legge n. 183/2011, cd legge di
stabilità 2012;
Ricordato che questa disposizione impone a
tutte le amministrazioni pubbliche di
effettuare la ricognizione annuale delle
condizioni di soprannumero e di eccedenza
del personale e dei dirigenti; che la stessa
impegna i dirigenti ad attivare tale
procedura per il proprio settore e che
sanziona le p.a. inadempienti con il divieto
di effettuare assunzioni di personale a
qualunque titolo, dettando nel contempo le
procedure da applicare per il collocamento
in esubero del personale eccedente e/o in
soprannumero ai fini della loro
ricollocazione presso altre amministrazioni
ovvero, in caso di esito negativo, alla
risoluzione del rapporto di lavoro;
Assunto che la condizione di soprannumero si
rileva dalla presenza di personale in
servizio a tempo indeterminato extra
dotazione organica;
Assunto che la condizione di eccedenza si
rileva dalla impossibilità dell'ente di
rispettare i vincoli dettati dal legislatore
per il tetto di spesa del personale (cioè
l'anno 2004 per gli enti non soggetti al
patto e l'anno precedente per quelli
soggetti al patto) e dal superamento del
tetto del 50% nel rapporto tra spesa del
personale e spesa corrente. Si dà atto, come
da comunicazione del dirigente del settore
economico finanziario, che la spesa del
personale è stata nell'anno 2011 pari ad _ ,
mentre nell'anno 2010 (ovvero nell'anno 2004
per gli enti non soggetti al patto) era
stata pari ad _, quindi quella del 2012 è
inferiore. Si dà atto, sempre sulla base
della comunicazione del dirigente del
settore economico finanziario che nell'anno
2011 la spesa corrente è stata pari ad _ ,
quindi che il rapporto tra spesa del
personale e spesa corrente, considerando
anche -sulla base delle previsioni del dl
n. 98/2011- la spesa sostenuta per il
personale delle società cd in house e di
quelle controllate che svolgono compiti di
supporto, per cui tale rapporto è stato
inferiore al 50%. E ancora, dalla assenza di
personale dipendente non trasferito alle
dipendenze del nuovo soggetto in caso di
esternalizzazione, nonché dalla rilevazione
del numero e della complessità dei
procedimenti attribuiti ai singoli settori;
Valutate le relazioni presentate dai
dirigenti dell'ente sulla assenza di tali
condizioni nei singoli settori da essi
diretti;
Visti i pareri di regolarità tecnica e
contabile espressi dal dirigente del settore
personale e da quello del settore economico
finanziario, ai sensi dell'art. 49 del Testo
unico delle Leggi sull'Ordinamento degli
enti locali dlgs 18/08/2000, n. 267,
D E L I B E R A
a) nell'ente non sono presenti nel corso
dell'anno 2012 né dipendenti né dirigenti in
soprannumero;
b) nell'ente non sono presenti nel corso
dell'anno 2012 né dipendenti né dirigenti in
eccedenza;
c) l'ente non deve avviare nel corso
dell'anno 2012 procedure per la
dichiarazione di esubero di dipendenti o
dirigenti;
d) di dare corso alla adozione del programma
del fabbisogno di personale per l'anno 2012
e per il triennio 2012/2014
e) di inviare al dipartimento della funzione
pubblica copia della presente deliberazione;
f) di informare i soggetti sindacali
dell'esito della ricognizione
(articolo ItaliaOggi del
20.01.2012). |
ENTI LOCALI: Imu, la quota statale è intangibile.
Le agevolazioni dei comuni non intaccano il
50% erariale. Molti i punti oscuri. Imposta
da riversare indipendentemente dal fatto che
sia stata riscossa.
Molti i punti oscuri che riguardano la
determinazione della quota Imu destinata
allo stato e le modalità per il versamento
all'erario del 50% della nuova imposta
locale, la cui scadenza in acconto è fissata
per il 18 giugno. Le agevolazioni Imu per
l'anno in corso che i comuni hanno già
deliberato o adotteranno entro il 31 marzo,
termine previsto per l'approvazione dei
bilanci di previsione, non possono intaccare
la quota riservata allo stato.
Quindi, le scelte degli enti locali sono
condizionate dai riflessi negativi che
possono comportare maggiorazioni di
detrazione o riduzioni di aliquote
deliberate per immobili diversi
dall'abitazione principale e dagli immobili
rurali strumentali. A differenza che in
passato, inoltre, la disciplina Imu impone
ai comuni di pagare allo stato la quota del
tributo sugli immobili siti sul loro
territorio nel caso in cui non abbiano una
determinata destinazione.
Peraltro dalla
formulazione letterale dell'articolo 13 del
dl Monti (201/2011) sembra che allo stato
spetti la quota d'imposta dovuta, al di là
del fatto che sia stata riscossa o meno
dall'ente. Le somme dovute allo stato
dovrebbero seguire il criterio di competenza
e non di cassa. Al comune spettano le
«maggiori somme» derivanti dalle attività di
accertamento e riscossione della quota di
tributo erariale, a titolo di imposta,
interessi e sanzioni. La nuova imposta
locale potrà essere pagata dal contribuente
solo con il modello F24, ma deve ancora
essere chiarito in che modo va effettuato il
versamento della quota statale.
Le agevolazioni. I comuni sono esonerati dal
pagamento dell'Imu solo per gli immobili
siti sul proprio territorio purché destinati
esclusivamente ai compiti istituzionali. La
novità è rappresentata dal fatto che
l'esonero è condizionato dalla destinazione
dell'immobile e non compete più per gli
immobili ubicati sul territorio di altri
comuni.
Sebbene non sia stato abrogato l'articolo 4
del decreto legislativo 504/1992 che
esonerava il comune dal pagamento dell'Ici,
le nuove disposizioni non richiamano questa
norma. Il criterio interpretativo che si
ricava dalla relazione tecnica al decreto
Monti è che per inquadrare i benefici
fiscali occorre tener conto non solo delle
disposizioni espressamente abrogate, ma
anche di quelle non richiamate.
Per esempio, per quanto concerne le
agevolazioni che riguardano i coltivatori
diretti e gli imprenditori agricoli che
esplicano la loro attività a titolo
principale, la relazione tecnica al dl
201/2011 pone in evidenza che viene
richiamato solo l'articolo 2 del decreto
legislativo 504/1992 e non l'articolo 9
dello stesso decreto.
Quindi, i terreni da questi posseduti e
condotti sono considerati non fabbricabili,
ma non possono più fruire delle riduzioni
d'imposta. Dunque, anche il mancato richiamo
dell'articolo 4 del decreto 504, che non
assoggettava a imposizione gli immobili di
cui il comune era proprietario a prescindere
dalla destinazione dell'immobile, non
conferma l'esclusione. Il comune, dunque,
anche per gli immobili siti sul suo
territorio dovrebbe pagare la quota
d'imposta riservata allo Stato, qualora non
sia destinato a sede o ufficio dell'ente.
Per esempio, un immobile di proprietà
dell'ente che viene dato in affitto o
concesso in uso allo stato per lo
svolgimento di attività scolastiche dovrebbe
essere assoggettato a imposizione, non
potendosi in senso stretto configurare una
finalità istituzionale dell'ente. Inoltre,
non spetta più l'esenzione per gli immobili
siti sul territorio di altri comuni.
L'articolo 9 del decreto legislativo 23/2011
ha ridisegnato le esenzioni dal tributo e
non richiama l'articolo 7, comma 1, lettera
a), della disciplina Ici che stabiliva
quest'ultima agevolazione.
I versamenti. L'articolo 13, comma 11, del dl
201 prevede la riserva per lo stato della
quota di imposta pari alla metà dell'importo
calcolato applicando l'aliquota dello 0,76%
alla base imponibile di tutti gli immobili.
Sono esclusi dal calcolo gli immobili
destinati ad abitazione principale e le
relative pertinenze. Non rientra nella quota
statale neppure il gettito che deriva dai
fabbricati rurali ad uso strumentale. Per
questi immobili per i quali prima era
riconosciuta l'esenzione, dal 2012 è
riservato un trattamento agevolato, con
applicazione di un'aliquota ridotta del 2
per mille. Non si applicano alla quota
statale neppure le detrazioni e riduzioni di
aliquota deliberate dai comuni. La norma
stabilisce che la somma di competenza dello
Stato deve essere versata «contestualmente
all'imposta municipale propria».
In deroga a
quanto disposto dall'articolo 52 del decreto
legislativo 446/1997, che attribuisce ai
comuni il potere di decidere le modalità di
riscossione, spontanea e coattiva, delle
proprie entrate, l'Imu deve essere versata
solo con l'F24. Con provvedimento del
direttore dell'Agenzia delle entrate
dovranno essere indicate le modalità per
effettuare i versamenti. Nella relazione
ministeriale è indicato che il ricorso a
questo modello per il versamento si è reso
necessario proprio perché una quota parte
del tributo è riservata all'erario.
Pertanto, vengono semplificati gli
adempimenti del contribuente e si garantisce
«un più agevole controllo dei flussi di
entrata».
Una cosa che sembra certa è che il
contribuente potrà versare l'imposta in
un'unica soluzione. Non è chiaro invece se
dovrà differenziare, con 2 codici tributo,
la quota destinata ai comuni e allo stato.
In alternativa, per evitare di porre a
carico dei contribuenti l'onere di fare
diversi conteggi, le somme incassate dal
comune potrebbero essere riversate allo
Stato per la quota che gli spetta oppure
potrebbero essere ridotti in misura
corrispondente i trasferimenti erariali
(articolo ItaliaOggi del
20.01.2012). |
CONSIGLIERI COMUNALI: OSSERVATORIO VIMINALE/
Il presidente del
consiglio non può presiedere il cda di un
ente non profit. Incompatibilità a 360 gradi.
L'assenza di finalità di lucro non esclude
l'ipotesi.
La carica di presidente del consiglio
comunale è compatibile con quella di
presidente del consiglio di amministrazione
di un'associazione che non persegue fini di
lucro, di cui il comune è socio fondatore,
finanziata con fondi del bilancio comunale e
con contributo annuale del comune?
La fattispecie rappresentata va esaminata in
ragione della statuizione recata dal comma
1, n. 1 dell'art. 63 del dlgs n. 267/2000,
che espressamente prevede l'incompatibilità
per l'amministratore o il dipendente con
poteri di rappresentanza o di coordinamento
di ente, istituto o azienda soggetti a
vigilanza in cui vi sia almeno il 20% di
partecipazione rispettivamente da parte del
comune o della provincia o che dagli stessi
riceva in via continuativa una sovvenzione
in tutto o in parte facoltativa, quando la
parte facoltativa superi nell'anno il dieci
per cento del totale delle entrate
dell'ente.
L'assenza della finalità di lucro
nell'associazione non è sufficiente ad
escludere la sussistenza dell'ipotesi
d'incompatibilità.
In conformità al principio generale secondo
cui ogni organo collegiale deve deliberare
innanzitutto sulla regolarità dei titoli di
appartenenza dei propri componenti, la
contestazione della causa ostativa
all'espletamento del mandato è compiuta con
la procedura consiliare prevista dall'art.
69 del citato decreto legislativo, che
garantisce comunque il corretto
contraddittorio tra l'organo ed il proprio
componente, assicurando a quest'ultimo
l'esercizio del diritto di difesa e la
possibilità di rimuovere entro un congruo
termine la causa d'incompatibilità
contestata
(articolo ItaliaOggi del
20.01.2012). |
CONSIGLIERI COMUNALI: OSSERVATORIO VIMINALE/
Ineleggibilità.
Si configura il divieto di ineleggibilità,
previsto dall'art. 51 del dlgs n. 267/2000,
nel caso di un amministratore eletto alla
carica di sindaco per la prima volta, il cui
mandato è stato interrotto dallo
scioglimento del consiglio comunale con
provvedimento ai sensi dell'art. 143 Tuel,
successivamente annullato con sentenza del
Consiglio di stato, atteso che tra il primo
mandato elettorale, nel frattempo scaduto, e
la tornata elettorale nella quale
l'amministratore è stato nuovamente eletto
sindaco, l'ente locale è stato gestito da un
commissario?
La continuità dei due mandati consecutivi,
al verificarsi dei quali l'art. 51 Tuel
dispone la non rieleggibilità alla carica di
sindaco, non viene meno per effetto
dell'interposizione di una gestione
commissariale.
La Corte di cassazione, sebbene chiamata a
pronunciarsi su un diverso caso, ha avuto
modo di precisare che, affinché non si
configuri la condizione ostativa prevista
dal citato art. 51, è necessario che il
secondo mandato amministrativo sia stato
seguito da una tornata elettorale alla quale
il sindaco uscente non si è candidato. In
particolare è stato precisato che «l'ambito
di operatività del divieto (ex art. 51 cit.)
è puntualmente e univocamente chiarito, nel
senso della sua correlazione a una sequenza
temporale caratterizzata dalla compresenza,
oltreché dell'avverbio «immediatamente» (già
di per sé sufficiente a escludere il
permanere dell'ineleggibilità oltre la
tornata elettorale successiva alla
conclusione del secondo mandato) anche della
incidentale (rafforzativa) «allo scadere del
secondo mandato», che non lascia alcun
margine di dubbio interpretativo in ordine
alla circostanza che per le elezioni diverse
da quelle immediatamente successive alla
scadenza del mandato non operi più la causa
di ineleggibilità» (cfr. Corte di cass.,
sent. 13181 del 05.07.2007).
Pertanto, se tra il primo mandato
elettorale, anche se di durata ridotta ma in
ogni caso superiore a due anni, sei mesi e
un giorno, poi seguito da una gestione
commissariale, e il secondo non si è
verificata alcuna tornata elettorale
intermedia, interruttiva della sequenza
temporale di cui al citato art. 51, comma 2,
del Tuel, sussiste la causa ostativa alla
terza candidatura di cui al citato art. 51
del dlgs. n. 267/2000, atteso che le
prossime elezioni sarebbero quelle
immediatamente successive alla scadenza del
secondo mandato
(articolo ItaliaOggi del
20.01.2012). |
APPALTI SERVIZI: LIBERALIZZAZIONI/
Utility,
privatizzazioni a tappe.
Sulla cessione delle quote la road map
termina nel 2015. Ripescata la tempistica
del dl Fitto-Ronchi. Risarcimenti agli
utenti.
Sulla privatizzazione delle utility si torna
all'antico. Gli affidamenti in house di
valore superiore a 200 mila euro (la nuova
soglia individuata dal governo, rispetto
agli attuali 900 mila euro) non solo
dureranno fino 31.12.2012 (sarebbero
dovuti cessare al 31 marzo) ma potranno
sopravvivere anche oltre, fino alla naturale
scadenza del contratto di servizio, a
condizione che la partecipazione detenuta
dai soci pubblici si riduca ad almeno il 40%
entro il 30.06.2013 e al 30% entro il 31.12.2015.
Diversamente gli affidamenti termineranno in
tali date. La road map sarà la stessa anche
per le gestioni affidate direttamente a
società a partecipazione mista pubblica e
privata, qualora la selezione del partner
privato non sia avvenuta con «gara a doppio
oggetto», ossia riguardante al tempo stesso
la qualità socio e l'attribuzione dei
compiti operativi connessi alla gestione del
servizio. Anche in questo caso le gestioni
potranno durare fino a naturale scadenza a
condizione che le quote in mano pubblica si
riducano fino a raggiungere le percentuali
di cui sopra entro le predette date.
Nella
tabella di marcia per favorire l'ingresso
dei privati nella gestione dei servizi
pubblici locali il governo Monti ripropone
tali e quali le norme della riforma Fitto
(dl 135/2009) cancellata a giugno 2011 dai
referendum sull'acqua pubblica. Il pacchetto
liberalizzazioni che andrà venerdì sul
tavolo del consiglio dei ministri contiene
invece norme tutte nuove sulle dismissioni
delle quote da parte dei comuni.
Le regole
introdotte dal dl 78/2010 (articolo 14,
comma 32) e modificate prima dal decreto milleproroghe di fine 2010 (dl n. 225
convertito nella legge n. 10/2011) e poi
dalla manovra di Ferragosto (dl 138/2011)
restano confermate. Il che significa che i
municipi con popolazione compresa tra 30
mila e 50 mila abitanti avranno tempo fino
al 31.12.2013 per ridurre a una sola
le partecipazioni societarie detenute.
Mentre i comuni sotto i 30 mila abitanti
dovranno portare a termine le dismissioni
entro il 31.12.2012 a meno che le
partecipate abbiano avuto il bilancio in
utile negli ultimi tre esercizi, non abbiano
subìto riduzioni di capitale sociale e
perdite da ripianare.
Ma, ferma restando
questa disciplina, i comuni, quando avranno
esigenza di ampliare i mercati e ripianare i
propri debiti, potranno (la norma parla
espressamente di «facoltà» e non di obbligo)
cedere le proprie quote tramite gara,
comunicandone l'esito inizialmente entro il
30.09.2012 e poi entro il 30
settembre di ogni anno. L'esito delle
procedure dovrà essere comunicato alla
neonata unità di missione per la tutela dei
consumatori e la promozione della
concorrenza nelle regioni e negli locali che
sarà istituita presso palazzo Chigi.
E a proposito di tutela degli utenti, il
pacchetto liberalizzazioni di Monti apre la
strada al risarcimento dei danni per
violazione degli standard minimi di qualità.
Si legge infatti nella bozza di
provvedimento che nelle carte di servizio
dovranno essere indicati i diritti «anche di
natura risarcitoria che i consumatori e le
imprese utenti possono esigere nei confronti
dei gestori del servizio e
dell'infrastruttura».
I comuni dovranno acquisire il parere
dell'Antitrust sulle delibere con cui
decidono di mantenere i regimi di esclusiva
sottraendo uno o più settori alla
liberalizzazione. La manovra di Ferragosto
(dl 138/2011), nell'art. 4 che ha riscritto
la disciplina dei servizi pubblici locali
dopo i referendum di giugno, non prevedeva
tale obbligo e stabiliva solo che la
delibera (di cui doveva essere data adeguata
pubblicità) dovesse essere inviata
all'Antitrust per l'opportuna relazione al
parlamento.
Ora invece il pacchetto liberalizzazioni del
governo Monti condiziona l'adozione della
delibera al parere dell'Autorità garante
della concorrenza che dovrà pronunciarsi
entro 60 giorni sulla base dell'istruttoria
svolta dall'ente locale
(articolo ItaliaOggi del 18.01.2012 - tratto da
www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI: «Come
fare per»: trasparenti i siti delle
amministrazioni.
Obbligo per le p.a. di pubblicare sui siti
istituzionali, per ciascun procedimento,
modalità di adempimento, documentazione da
presentare, modulistica, responsabile e
termine di conclusione del procedimento. Al
fine di evitare ai cittadini di doversi
recare presso un ufficio solo per ottenere
informazioni o richiedere un modulo.
Tutto
questo sarà possibile attraverso la
creazione, senza costi, di un'apposita
casella «Come fare per» sull'homepage dei
siti istituzionali delle amministrazioni, a
partire da quelli della p.a.. Così come
previsto dagli artt. 54 e 57 del Codice
dell' amministrazione digitale, art. 6,
comma 2 del dl n. 70 del 2011 e da ultimo lo
Statuto delle imprese.
È quanto anticipato
ieri dal ministro della funzione pubblica
Giuseppe Patroni Griffi, durante l'audizione
alla Commissione affari costituzionali del
senato.
Il ministro, ha inoltre sottolineato
la necessità che l'amministrazione pubblica
recuperi la capacità di attrarre al suo
interno le giovani eccellenze. «Servono
ingegneri, geologi, matematici, statistici,
economisti, oltre che bravi giuristi,
orientati al cambiamento e alla
modernizzazione dei processi», ha dichiarato
Patroni Griffi. Che poi ha aggiunto: «Per
farlo, occorre rivitalizzare i canali
concorsuali e meritocratici nella selezione
del personale, e soprattutto dei dirigenti,
in specie riducendo la frammentazione delle
procedure concorsuali indette dalle singole
amministrazioni ed irrobustendo il rilievo
del corso-concorso, da indire con cadenza
periodica».
Tra gli altri punti sottolineati
al fine di migliorare il funzionamento della
pubblica amministrazione ci sono poi quello
della spending review, «per avviare un
processo di modernizzazione
dell'amministrazione pubblica e di
riqualificazione dei servizi attraverso
un'opera di razionalizzazione»; il
potenziamento del «portale della
trasparenza», alla cui realizzazione stanno
lavorando Civit, Cnr e DigitPa; la riduzione
degli oneri amministrativi unitamente al
rafforzamento dei servizi ai cittadini e
alle imprese.
Patroni Griffi ha infatti ricordato come le
analisi condotte dalle principali
organizzazioni internazionali individuano
nella complicazione burocratica una delle
prime cause dello svantaggio competitivo
dell'Italia nel contesto europeo e
nell'intera area Ocse (l'Italia si colloca
al 25° posto su 26 paesi dell'Unione
europea, significativamente penultima solo
prima della Grecia). Il dipartimento della
funzione pubblica ha sinora stimato in oltre
23 miliardi di euro l'anno gli oneri
amministrativi relativi a 81 procedure
amministrative particolarmente rilevanti per
le imprese, selezionate con le associazioni
imprenditoriali
(articolo ItaliaOggi del 18.01.2012). |
APPALTI -
EDILIZIA PRIVATA: Il Durc senza autocertificazione.
Le amministrazioni pubbliche possono
continuare a chiederlo. Le indicazioni del
ministero del lavoro dopo la semplificazione
introdotta dalla legge 183/2011.
Il Durc non è autocertificabile e le
amministrazioni possono richiederlo
all'interessato, per poi verificarne il
contenuto.
Al pasticciaccio brutto causato
al rilascio del Durc dalla legge 183/2011
cerca di metterci una pezza il ministero del
lavoro, Direzione generale per l'attività
ispettiva, con la
nota 16.01.2012 n. 619 di prot..
Difficile, tuttavia, non concludere che
la toppa non è sufficiente a tappare il
buco.
Il problema sorge dalle modifiche che la
legge di stabilità ha apportato alle norme
in tema di documentazione amministrativa,
fissando il principio della cosiddetta
«desertificazione»: in altre parole, mai più
le pubbliche amministrazioni, per gestire le
procedure di propria competenza, potranno
chiedere o comunque utilizzare certificati.
Questi sono validi solo nei rapporti tra i
privati.
La riforma, tendente a produrre una
condivisibile semplificazione per i
cittadini, è tuttavia incompleta e
frettolosa, perché trascura discipline
particolari, quali proprio il regime del
Documento unico di regolarità contributiva,
fondamentale per le procedure di gara, per
esempio.
Il codice dei contratti impone alle
amministrazioni appaltanti di verificare le
dichiarazioni sostitutive rilasciate dalle
imprese in sede di gara circa la regolarità
della posizione contributiva e l'unico
sistema allo scopo è richiedere il Durc. Ma
il Durc è un certificato, dunque, Inps,
Inail e Cassa edile non potrebbero
rilasciarlo senza la dicitura da inserire
obbligatoriamente in tutti i certificati, la
quale ricorda che le pubbliche
amministrazioni non possono utilizzarli in
quanto nulli.
Un bel rompicapo, che il ministero del
lavoro cerca di risolvere sostenendo, con la
circolare 619/2012, che il Durc non è
assolutamente sostituibile con una
dichiarazione sostitutiva rilasciata
dall'interessato, circa la propria posizione
contributiva.
Il ministero del lavoro cerca di motivare la
propria posizione spiegando che la nozione
di certificato fa sempre e solo riferimento
a stati, qualità personali e fatti
oggettivamente riferibili alla persona, che
dunque non può non conoscere. Non sarebbero,
di conseguenza, oggetto di dichiarazione
sostitutiva le informazioni connesse al Durc,
che non è, spiega il ministero, «la mera
certificazione dell'effettuazione di una
somma a titolo di contribuzione», bensì «una
attestazione dell'Istituto previdenziale
circa la correttezza della posizione
contributiva di una realtà aziendale
effettuata dopo complesse valutazioni
tecniche di tipo contabile». Le valutazioni
di un organismo tecnico non possono essere
oggetto di un'autodichiarazione, perché essa
non avrebbe a oggetto stati, fatti o qualità
strettamente personali.
La chiusura della circolare, allora, è nel
senso che le pubbliche amministrazioni
possono acquisire un Durc da parte del
soggetto interessato, ma non
un'autocertificazione; per poi vagliare i
contenuti di questo Durc con le stesse
modalità previste per le verifiche delle
autocertificazioni.
Si tratta di conclusioni, però, impossibili
da condividere. Intanto, il Durc è senza
ombra di minimo dubbio un certificato: così
prevede espressamente, infatti, 6, comma 1,
del dpr 207/2010, norma non certo derogabile
da nessuna direttiva o circolare. Inutile
affermare che il Durc è un'«attestazione»,
per negarne la natura di certificato.
Attestazione significa esattamente
certificato: viene dal latino ad-testari,
portare notizie certe a conoscenze di altri,
cioè, appunto, certificare.
La nota del ministero, poi, si pone in
insanabile diretto contrasto con l'articolo
44-bis del dpr 445/2000, l'articolo 16-bis,
comma 10, del dl 185/2008, convertito in
legge 2/2009 e dall'articolo 6, comma 3, del
dpr 207/2010: tutte norme volte a imporre
alle amministrazioni di acquisire
«d'ufficio» il Durc. Il che,
simmetricamente, costituisce un divieto a
chiederlo ai privati, e l'obbligo di
acquisirlo richiedendolo solo alle
amministrazioni competenti. Se l'intento del
ministero consiste nel sottrarre a
responsabilità penali e amministrative le
amministrazioni che richiedono e continuano
a utilizzare il Durc nonostante e in
contrasto alle norme vigenti, la cosa è
positiva, visto che si consente di non
bloccare l'attività amministrativa.
È
necessario, però, sottolineare che dovrebbe
essere compito del legislatore, compito non
più rinviabile, disporre una
regolamentazione speciale per il Durc,
sottraendolo alle nuove regole per i
certificati
(articolo ItaliaOggi del 18.01.2012 - tratto da
www.ecostampa.it). |
APPALTI -
EDILIZIA PRIVATA: I contributi regolari non soggetti ad
autocertificazione.
POSIZIONE RIVISTA/
Il ministro della Semplificazione aveva
sposato un'interpretazione estensiva.
Il ministero del Lavoro salva il Durc dalla
"decertificazione" introdotta dall'articolo
15 della legge 183/2011.
Con lettera
circolare di cui alla
nota 16.01.2012 n. 619 di prot.
il ministero, scostandosi dalla
interpretazione più estensiva del ministro
della Pa e della Semplificazione (Direttiva
del 22 dicembre scorso, si veda Il Sole24Ore
del 6 gennaio), esclude che tale intervento
interessi il Documento unico di regolarità
contributiva (Durc), rispetto al quale
«rimane assolutamente impossibile la
sostituzione con una dichiarazione di
regolarità contributiva da parte del
soggetto interessato».
È una precisazione
che il Ministero aveva espresso con lettera
circolare del 14 luglio 2004, prima, dunque,
delle novità introdotte della legge 183/2011
la quale, proprio in relazione all'articolo
44-bis del Dpr 445/2000 stabilisce che «le
informazioni relative alla regolarità
contributiva sono acquisite d'ufficio,
ovvero controllate ai sensi dell'art. 71,
dalle pubbliche amministrazioni procedenti,
nel rispetto della specifica normativa di
settore».
Del resto già con l'articolo
16-bis, comma 10, del decreto legge
185/2008, il legislatore aveva introdotto
una prima semplificazione prevedendo negli
appalti pubblici l'obbligo delle stazioni
appaltanti di chiedere d'ufficio il Durc
agli istituti ed enti competenti al loro
rilascio, sollevando così le imprese
appaltatrici da tale onere.
Il Lavoro a conforto della propria tesi
precisa che il novellato articolo 40, del
DPR n. 445/2000 nel riferirsi a «stati,
qualità personali e fatti» come oggetto di
certificazione e di autocertificazione, vi
farebbe rientrare elementi di fatto
oggettivi riferiti alla persona e che non
possano non essere dalla stessa oggetto di
sicura conoscenza. Proprio sulla base di
tale principio si baserebbe l'autocertificabilità
di detti elementi e la conseguente
sanzionabilità penale in caso di mendaci
dichiarazioni.
Fermo restando che non si comprende perché
tale sistema sanzionatorio non possa
applicarsi nel caso della regolarità
contributiva, la nota ministeriale sostiene
che sarebbe, invece, del tutto diversa la
certificazione relativa al regolare
versamento della contribuzione obbligatoria
che, si precisa, non è una mera
certificazione dell'effettuazione di una
somma a titolo di contribuzione, ma una
attestazione dell'Istituto previdenziale
circa la correttezza della posizione
contributiva di una realtà aziendale.
Da ciò
deriva che l'articolo 44-bis del Dpr
445/2000 stabilisce semplicemente le
modalità di acquisizione e gestione del Durc
senza però intaccare il principio secondo
cui le valutazioni effettuate da un
organismo tecnico non possono essere
sostituite da una autodichiarazione che non
riguarda, evidentemente, né fatti, né
status, né tantomeno qualità personali
(articolo Il Sole 24
Ore del 18.01.2012 - tratto da
www.ecostampa.it). |
GIURISPRUDENZA |
APPALTI:
Sui principi consolidati in tema
di cd. interdittiva antimafia tipica.
Con riferimento alla cd. interdittiva
antimafia "tipica", prevista
dall'art. 4 del D.Lgs. n. 490 del 1994 e
dall'art. 10 del D.P.R. 03.06.1998, n. 252
(ed oggi dagli artt. 91 e segg. del D.Lgs.
06.09. 2011, n. 159, recante il Codice delle
leggi antimafia e delle misure di
prevenzione) la giurisprudenza
amministrativa ha affermato i seguenti
principi:
- che l'interdittiva prefettizia antimafia
costituisce una misura preventiva volta a
colpire l'azione della criminalità
organizzata impedendole di avere rapporti
contrattuali con la pubblica
amministrazione;
- che, trattandosi di una misura a carattere
preventivo, l'interdittiva prescinde
dall'accertamento di singole responsabilità
penali nei confronti dei soggetti che,
nell'esercizio di attività imprenditoriali,
hanno rapporti con la pubblica
amministrazione e si fonda sugli
accertamenti compiuti dai diversi organi di
polizia valutati, per la loro rilevanza, dal
Prefetto territorialmente competente;
- che tale valutazione costituisce
espressione di ampia discrezionalità che può
essere assoggettata al sindacato del giudice
amministrativo solo sotto il profilo della
sua logicità in relazione alla rilevanza dei
fatti accertati;
- che, essendo il potere esercitato
espressione della logica di anticipazione
della soglia di difesa sociale, finalizzata
ad assicurare una tutela avanzata nel campo
del contrasto alle attività della
criminalità organizzata, la misura
interdittiva non deve necessariamente
collegarsi ad accertamenti in sede penale di
carattere definitivo e certi sull'esistenza
della contiguità dell'impresa con
organizzazione malavitose, e quindi del
condizionamento in atto dell'attività di
impresa, ma può essere sorretta da elementi
sintomatici e indiziari da cui emergano
sufficienti elementi del pericolo che possa
verificarsi il tentativo di ingerenza
nell'attività imprenditoriale della
criminalità organizzata;
- che, anche se occorre che siano
individuati (ed indicati) idonei e specifici
elementi di fatto, obiettivamente
sintomatici e rivelatori di concrete
connessioni o possibili collegamenti con le
organizzazioni malavitose, che sconsigliano
l'instaurazione di un rapporto dell'impresa
con la pubblica amministrazione, non è
necessario un grado di dimostrazione
probatoria analogo a quello richiesto per
dimostrare l'appartenenza di un soggetto ad
associazioni di tipo camorristico o mafioso,
potendo l'interdittiva fondarsi su fatti e
vicende aventi un valore sintomatico e
indiziario e con l'ausilio di indagini che
possono risalire anche ad eventi
verificatisi a distanza di tempo;
- che di per sé non basta a dare conto del
tentativo di infiltrazione il mero rapporto
di parentela con soggetti risultati
appartenenti alla criminalità organizzata
(non potendosi presumere in modo automatico
il condizionamento dell'impresa), ma occorre
che l'informativa antimafia indichi (oltre
al rapporto di parentela) anche ulteriori
elementi dai quali si possano
ragionevolmente dedurre possibili
collegamenti tra i soggetti sul cui conto
l'autorità prefettizia ha individuato i
pregiudizi e l'impresa esercitata da loro
congiunti;
- che, infine, gli elementi raccolti non
vanno considerati separatamente dovendosi
piuttosto stabilire se sia configurabile un
quadro indiziario complessivo, dal quale
possa ritenersi attendibile l'esistenza di
un condizionamento da parte della
criminalità organizzata (Consiglio di Stato,
Sez. III,
sentenza 19.01.2012 n. 254 - link
a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO:
Incompatibilità componenti
commissioni
giudicatrici.
Il Consiglio di Stato, Sez. III, con
sentenza
18.01.2012 n. 181,
affronta il tema dell'incompatibilità a far
parte delle commissioni di concorso per
coloro che rivestono cariche politiche.
Nella fattispecie esaminata, il Presidente
della Commissione era Presidente di Comunità
Montana nonché Consigliere Comunale in
ambito territoriale ricompreso nell'area di
competenza dell'ente che ha indetto la
procedura (ASL). Con motivazione
parzialmente diversa da quella espressa dal
Giudice di primo grado, il Consesso così
conclude:
"La procedura concorsuale risulta viziata
esclusivamente dalla partecipazione alla
Commissione di concorso, in qualità di
Presidente, di una persona che ricopre
contemporaneamente due incarichi politici in
enti territoriali, entrambi ricompresi
nell'area di competenza dell'Azienda
Sanitaria .....Pertanto si riscontra la
violazione delle disposizioni dell'articolo
36, comma 3, lettera e) D.Lgs. 165/2001,
anche considerando l'interpretazione data a
tale norma dalla giurisprudenza del
Consiglio di Stato richiamata
dall'appellante e dai controinteressati........Infatti,
data la connessione territoriale esistente
tra gli enti interessati, non può escludersi
quella 'incidenza' tra attività esercitabile
tra colui che ricopre cariche politiche (...)
e l'attività dell'ente che indice il
concorso, cui fa riferimento anche la
sentenza CdS n. 6526/2003 ai fini della
rilevanza della incompatibilità prevista
dalla norma, nonché l'effettivo peso di quei
legami politici derivanti dall'appartenenza
ai partiti cui fa riferimento la sentenza
del TAR" (tratto da www.publika.it -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Sulla sussistente dell'obbligo di
dichiarazione ex art. 38 d.lgs. n. 163/2006,
non solo da parte di chi rivesta formalmente
la carica di amministratore, ma anche dei
procuratori speciali.
L'art. 38 del d.lgs. n. 163 del 2006, nella
parte in cui elenca le dichiarazioni di
sussistenza dei requisiti morali e
professionali richiesti ai fini della
partecipazione alle procedure di gara,
assume come destinatari tutti coloro che, in
quanto titolari della rappresentanza
dell'impresa, siano in grado di trasmettere,
con il proprio comportamento, la
riprovazione dell'ordinamento nei riguardi
della loro personale condotta, al soggetto
rappresentato.
Pertanto, deve ritenersi sussistente
l'obbligo di dichiarazione non soltanto da
parte di chi rivesta formalmente la carica
di amministratore, ma anche da parte di
colui che, in qualità di procuratore ad
negotia, abbia ottenuto il conferimento
di poteri consistenti nella rappresentanza
dell'impresa e nel compimento di atti
decisionali (Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 18.01.2012 n. 178 - link
a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Sul principio di pubblicità delle
gare per i contratti pubblici.
Il principio di pubblicità delle gare per i
contratti pubblici è radicato in canoni di
diritto comunitario ed interno,
costantemente applicati dalla giurisprudenza
amministrativa, a norma delle Direttive
2004/17/CE e 2004/18/CE, nonché dell'art. 2,
c. 1, del D.Lgs. n. 163/2006, in
applicazione dei principi di par condicio
dei concorrenti e di trasparenza dell'azione
amministrativa.
Nella sentenza dell'Adunanza Plenaria n.
13/11 del 28.07.2011, si chiarisce anche
come debba operarsi in seduta pubblica la
verifica dell'integrità dei plichi e la
presa d'atto del contenuto dei medesimi, con
rinvio alla seduta riservata delle
valutazioni di natura tecnico-discrezionale.
In tale ottica i partecipanti alla gara
debbono essere garantiti dal fatto che la
documentazione, prodotta in sede di gara,
non abbia subito e non possa ulteriormente
essere oggetto di manomissioni o
alterazioni, ferme restando la successiva
disamina delle offerte, da parte della
commissione aggiudicatrice, in seduta non
pubblica e la concomitante possibilità per i
concorrenti di più approfondita conoscenza
della documentazione stessa, ove ritenuto
necessario, in sede di accesso agli atti, a
norma degli artt. 22 e seguenti della l. n.
241/1990.
Pertanto, nel caso specie, la procedura non
può che ritenersi corretta, non risultando
contestato che la commissione abbia in
seduta pubblica consentito di verificare
l'integrità dei plichi, dato lettura del
contenuto degli stessi e siglato, quindi,
tutte le buste in modo tale da escluderne la
successiva manomissione: nulla di più in
effetti, doveva ritenersi richiesto, sia dal
bando che dalla normativa -nazionale e
comunitaria- di riferimento (Consiglio di
Stato, Sez. VI,
sentenza 18.01.2012 n. 174 - link
a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Legittima appare una diversa e
più estesa lettura della norma soltanto nel
caso in cui il bando, invece di limitarsi a
chiedere una generica dichiarazione di
insussistenza delle cause di esclusione di
cui all'art. 38 del Codice, avesse imposto,
e sanzionato con l'esclusione in caso di
omissione, una dichiarazione dal contenuto
più ampio rispetto a quanto prescritto dalla
norma in esame, al fine di riservare alla
stazione appaltante la valutazione della
gravità o meno dell'illecito ed anche di
ogni omessa dichiarazione. Solo in siffatta
ipotesi, dunque, la causa di esclusione non
è solo quella, sostanziale, dell'essere
stata commessa una grave violazione penale,
ma anche quella, formale, di aver omesso una
dichiarazione prescritta dal bando.
Diversa sarebbe stata la situazione se fosse
stato imposto al concorrente di dichiarare
tutti i reati, per i quali fossero
intervenute sentenze di condanna passate in
giudicato o di applicazione della pena ex
art. 444 e segg., c.p.p., affidando poi alla
p.a. ogni definitiva valutazione in
proposito: in tal caso, infatti, qualora il
concorrente avesse omesso di dichiarare
alcuno di detti reati, si sarebbe potuta
configurare una falsa autocertificazione,
con conseguente automatica esclusione dalla
gara e salve le eventuali responsabilità
penali riscontrabili da parte della
competente autorità giudiziaria.
Il bando di concorso nell’allegato B,
contenente il fac-simile della dichiarazione
che ognuno soggetto tenuto ai sensi
dell’art. 38 D.lgs. 163/2006 doveva
presentare, prevedeva che fossero comunicate
alla Commissione di gara anche l’esistenza
di sentenze non definitive.
La società ricorrente non può pertanto
invocare la propria buona fede perché non ha
segnalato l’esistenza della condanna del
Tribunale di Napoli per simulazione di reato
neanche come sentenza non definitiva.
La giurisprudenza citata a sostegno della
fondatezza del primo motivo di ricorso si
riferisce alla valutazione che la
commissione di gara deve compiere circa la
gravità dei reati perché non è previsto
nessun automatismo tra l’esistenza di una
condanna e l’esclusione dalla gara, dovendo
sempre essere considerata la sua rilevanza
ai fini della valutazione della moralità
professionale del soggetto che ricopre una
delle qualifiche che rendono obbligatorio
l’autodichiarazione ex art. 38.
Ma nel caso di specie non si controverte
circa l’incidenza o meno che la condanna per
il reato di cui all’art. 367 c.p. poteva
avere sulla valutazione della moralità
professionale, ma sul mendacio contenuto
nella dichiarazione prevista a pena di
esclusione.
Si veda sul punto la sentenza del T.R.G.A.
di Trento che nella sentenza 151/2010 ha in
merito affermato: “In conclusione,
legittima appare una diversa e più estesa
lettura della norma soltanto nel caso in cui
il bando, invece di limitarsi a chiedere una
generica dichiarazione di insussistenza
delle cause di esclusione di cui all'art. 38
del Codice, avesse imposto, e sanzionato con
l'esclusione in caso di omissione, una
dichiarazione dal contenuto più ampio
rispetto a quanto prescritto dalla norma in
esame, al fine di riservare alla stazione
appaltante la valutazione della gravità o
meno dell'illecito ed anche di ogni omessa
dichiarazione. Solo in siffatta ipotesi,
dunque, la causa di esclusione non è solo
quella, sostanziale, dell'essere stata
commessa una grave violazione penale, ma
anche quella, formale, di aver omesso una
dichiarazione prescritta dal bando.”
Esiste un contrasto in giurisprudenza circa
il contenuto che deve avere la dichiarazione
sostitutiva ex art. 38, sostenendo alcuni
giudici che l’obbligo di far conoscere
l’esistenza di sentenze a carico degli
amministratori o figure assimilate sussiste
solamente per i reato che siano ritenuti
lesivi della moralità professionale, mentre
altri affermano che la discrezionalità nella
valutazione i gravità debba essere compiuta
dalla Commissione di gara.
In ogni caso anche laddove sia stata
sostenuta la prima tesi è stato affermato
che, nel caso di previsione da parte del
bando di una dichiarazione più specifica,
l’omissione di uno degli elementi che
avrebbero dovuto caratterizzare la
dichiarazione rileva ai fini dell’esclusione
come falsa dichiarazione.
Si veda sul punto la sentenza 4082/2009 del
Consiglio di Stato che così si esprime in
merito: “Diversa sarebbe stata la
situazione se fosse stato imposto al
concorrente di dichiarare tutti i reati, per
i quali fossero intervenute sentenze di
condanna passate in giudicato o di
applicazione della pena ex art. 444 e segg.,
c.p.p., affidando poi alla p.a. ogni
definitiva valutazione in proposito: in tal
caso, infatti, qualora il concorrente avesse
omesso di dichiarare alcuno di detti reati,
si sarebbe potuta configurare una falsa
autocertificazione, con conseguente
automatica esclusione dalla gara e salve le
eventuali responsabilità penali
riscontrabili da parte della competente
autorità giudiziaria”.
Affermazioni di analogo tenore si ritrovano
anche nelle sentenze TAR Puglia 752/2011,
Consiglio di Stato 4905/2009, 1017/2010,
9324/2010.
In conclusione l’esclusione dalla gara è
stata determinata dalla sostanziale falsità
dell’autodichiarazione e non da una
valutazione di gravità relativa al reato per
il quale la sentenza di condanna era passata
in giudicato (TAR Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza 17.01.2012 n. 173 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Circa la questione della escutibilità della cauzione per mancanza dei
requisiti generali di partecipazione, esiste
un orientamento non uniforme della
giurisprudenza.
Esiste un indirizzo che invoca una
interpretazione tassativa dell’art. 48
D.lgs. 163/2006 nel senso di non ritenere
ammissibile l’incameramento della cauzione
fuori dei casi previsti da tale norma e
quindi nel caso di mancanza dei requisiti di
cui all’art. 38 D.lgs. 163/2006.
Un altro orientamento ha, invece,
sottolineato come la funzione della cauzione
sia quella di garantire l’amministrazione
dalla mancata stipula del contratto per
qualsiasi motivo riconducibile
all’aggiudicatario e pertanto la mancata
menzione nell’art. 48 D.lgs. 163/2006 del
potere di escutere la cauzione nel caso di
mancato possesso dei requisiti generali di
partecipazione non significa che il
legislatore abbia voluto impedire
l’escussione della cauzione in siffatta
ipotesi.
Il Collegio ritiene di aderire a tale
indirizzo più rigoroso in quanto l’art. 48
vuole disciplinare le conseguenze della
mancanza dei requisiti di capacità
economico-finanziaria e
tecnico-organizzativa, ma ciò non significa
che solamente quando questi vengano a
mancare sia possibile escutere la cauzione.
Inoltre l’indirizzo preferito sembra più
aderente alla ratio dell’art. 75,
comma 6, D.lgs. 163/2006 che prevede che la
garanzia copra la mancata sottoscrizione del
contratto per fatto dell'affidatario.
Non si vede per quale ragione la circostanza
che consentono l’escussione della cauzione
debbano rinvenirsi nella sola previsione
dell’art. 48 citato quando le cause di
mancata stipula del contratto possono
derivare da altre cause.
Relativamente al secondo motivo, non sfugge
al Collegio che circa la questione della
escutibilità della cauzione per mancanza dei
requisiti generali di partecipazione, esiste
un orientamento non uniforme della
giurisprudenza.
Esiste un indirizzo che invoca una
interpretazione tassativa dell’art. 48
D.lgs. 163/2006 nel senso di non ritenere
ammissibile l’incameramento della cauzione
fuori dei casi previsti da tale norma e
quindi nel caso di mancanza dei requisiti di
cui all’art. 38 D.lgs. 163/2006 (TAR Sicilia
14395/2010, TAR Emilia-Romagna 8108/2010).
Un altro orientamento ha, invece,
sottolineato come la funzione della cauzione
sia quella di garantire l’amministrazione
dalla mancata stipula del contratto per
qualsiasi motivo riconducibile
all’aggiudicatario e pertanto la mancata
menzione nell’art. 48 D.lgs. 163/2006 del
potere di escutere la cauzione nel caso di
mancato possesso dei requisiti generali di
partecipazione non significa che il
legislatore abbia voluto impedire
l’escussione della cauzione in siffatta
ipotesi (TAR Toscana 936/2011 e 606/2011,
TAR Lazio 33141/2010, TAR Puglia 3525/2010,
TAR Valle d’ Aosta 21/2010).
Il Collegio ritiene di aderire a tale
indirizzo più rigoroso in quanto l’art. 48
vuole disciplinare le conseguenze della
mancanza dei requisiti di capacità
economico-finanziaria e
tecnico-organizzativa, ma ciò non significa
che solamente quando questi vengano a
mancare sia possibile escutere la cauzione.
Inoltre l’indirizzo preferito sembra più
aderente alla ratio dell’art. 75,
comma 6, D.lgs. 163/2006 che prevede che la
garanzia copra la mancata sottoscrizione del
contratto per fatto dell'affidatario.
Non si vede per quale ragione la circostanza
che consentono l’escussione della cauzione
debbano rinvenirsi nella sola previsione
dell’art. 48 citato quando le cause di
mancata stipula del contratto possono
derivare da altre cause (TAR Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza 17.01.2012 n. 173 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
La segnalazione all'A.V.C.P. non
deve essere limitata alla mancanza dei
requisiti indicati nell’art. 48 D.lgs.
163/2006 essendo ragionevole ritenere che
debbano essere segnalati all’Autorità di
vigilanza tutte le false dichiarazioni rese
in sede di gara anche per consentirgli di
esercitare i poteri che gli attribuisce
l’art. 6, comma 11, D.lgs. 163/2006.
Infine quanto alla segnalazione all’Autorità
di Vigilanza sui contratti pubblici,
l’orientamento maggioritario della
giurisprudenza è nel senso che la
segnalazione non debba essere limitata alla
mancanza dei requisiti indicati nell’art. 48
D.lgs. 163/2006 (TAR Friuli Venezia Giulia
191/2011, TAR Veneto 455/2011, 4681/2010,
1554/2010, TAR Valle d’Aosta 21/2010, TAR
Abruzzo 475/2009) essendo ragionevole
ritenere che debbano essere segnalati
all’Autorità di vigilanza tutte le false
dichiarazioni rese in sede di gara anche per
consentirgli di esercitare i poteri che gli
attribuisce l’art. 6, comma 11, D.lgs.
163/2006 (TAR Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza 17.01.2012 n. 173 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Il
bando di gara non può prevedere l'apertura
delle offerte tecniche in seduta riservata.
“La pubblicità delle sedute risponde
all’esigenza di tutela non solo della parità
di trattamento dei concorrenti…, ma anche
dell’interesse pubblico alla trasparenza ed
alla imparzialità dell’azione
amministrativa…”.
L’apertura dei plichi
contenenti l’offerta tecnica “costituisce
passaggio essenziale e determinante
dell’esito della procedura concorsuale, e
quindi richiede di essere presieduta dalle
medesime garanzie, a tutela degli interessi
privati e pubblici coinvolti dal
procedimento”
(massima tratta da
www.dirittodegliappaltipubblici.it -
TAR Sicilia-Catania, Sez. III,
sentenza 17.01.2012 n. 131
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Le
norme di legge e di bando, che disciplinano
i requisiti soggettivi di partecipazione
alle gare pubbliche, devono essere
interpretate nel rispetto del principio di
tipicità e tassatività delle ipotesi di
esclusione.
Secondo pacifica giurisprudenza nelle
procedure ad evidenza pubblica le clausole
di esclusione, poste dalla legge o dal bando
in ordine alle dichiarazioni cui è tenuta la
impresa partecipante alla gara, sono di
stretta interpretazione dovendosi dare
esclusiva prevalenza alle espressioni
letterali in esse contenute, restando
preclusa ogni forma di estensione analogica
diretta ad evidenziare significati
impliciti, che rischierebbe di vulnerare
l'affidamento dei partecipanti, la "par
condicio" dei concorrenti e l'esigenza della
più ampia partecipazione; pertanto le norme
di legge e di bando, che disciplinano i
requisiti soggettivi di partecipazione alle
gare pubbliche, devono essere interpretate
nel rispetto del principio di tipicità e
tassatività delle ipotesi di esclusione che
di per sé costituiscono fattispecie di
restrizione della libertà di iniziativa
economica tutelata dall'art. 41, cost.,
oltre che dal trattato comunitario (in
termini ex multis, C. Statosez. V, sent. n.
3213 del 21.05.2010)
(massima tratta da
www.dirittodegliappaltipubblici.it - TAR
Sicilia-Catania, Sez. III,
sentenza 17.01.2012 n. 130
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Il
requisito della regolarità tributaria,
costituendo presupposto per la
partecipazione alla procedura di gara
d'appalto, deve sussistere al momento della
scadenza del termine di partecipazione ed
essere mantenuto per tutto lo svolgimento
della gara fino all'aggiudicazione.
Conformemente è stato di recente sostenuto
da un precedente giurisprudenziale simile
e/o analogo del Consiglio di Stato che “Il
requisito della regolarità tributaria,
costituendo presupposto per la
partecipazione alla procedura di gara
d'appalto, deve sussistere al momento della
scadenza del termine di partecipazione ed
essere mantenuto per tutto lo svolgimento
della gara fino all'aggiudicazione”
(Cfr. Sez. V, 10.08.2010 n. 5556)
(TAR Lazio-Roma, Sez. II-ter,
sentenza 16.01.2012 n. 442 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: La
generale ammissibilità dell'istituto dell'avvalimento
trova un limite nel caso in cui, ai fini
della partecipazione alla gara, sia
necessario il possesso di un requisito
soggettivo personalissimo (nella fattispecie
"a federazioni Sportive Nazionali o ad Enti
di promozione sportiva riconosciuti dal
CONI") come quello del capitale sociale
minimo preordinato a garantire
all'Amministrazione appaltante
l'affidabilità dell'impresa partecipante.
Ai fini della partecipazione ad una gara
d'appalto mediante l'utilizzo di tale
istituto, non può prescindersi dalla
presentazione della dichiarazione di
avvalimento di cui all'art. 49, comma 2,
lett. a), D.L.vo 12.04.2006 n. 163, non
potendosi altrimenti derogare al principio
di personalità dei requisiti di
qualificazione, con la conseguenza che in
mancanza di detta dichiarazione l'impresa
non può pretendere che la Commissione di
gara accerti il possesso dei requisiti di
capacità tecnico-economica di altre imprese,
magari genericamente solo indicate dal
partecipante, così da imputare e attribuire
quei requisiti al patrimonio di
qualificazione dell'impresa concorrente.
In tema di appalti la generale ammissibilità
dell'istituto dell'avvalimento trova un
limite nel caso in cui, ai fini della
partecipazione alla gara, sia necessario il
possesso di un requisito soggettivo
personalissimo (nella fattispcie "a
federazioni Sportive Nazionali o ad Enti di
promozione sportiva riconosciuti dal CONI")
come quello del capitale sociale minimo
preordinato a garantire all'Amministrazione
appaltante l'affidabilità dell'impresa
partecipante (nel caso di specie
l’affiliazione sopra indicata) (Cfr. Cons.
Stato, sez. V, 12.06.2009 n. 3762 TAR
Sardegna, Sez. I, 24.02.2011 n. 160 e TAR
Lazio, sede di Latina, 05.11.2010 n. 1865).
Ai fini della partecipazione ad una gara
d'appalto mediante l'utilizzo di tale
istituto, non può prescindersi dalla
presentazione della dichiarazione di
avvalimento di cui all'art. 49, comma 2,
lett. a), D.L.vo 12.04.2006 n. 163, non
potendosi altrimenti derogare al principio
di personalità dei requisiti di
qualificazione, con la conseguenza che in
mancanza di detta dichiarazione l'impresa
non può pretendere che la Commissione di
gara accerti il possesso dei requisiti di
capacità tecnico-economica di altre imprese,
magari genericamente solo indicate dal
partecipante, così da imputare e attribuire
quei requisiti al patrimonio di
qualificazione dell'impresa concorrente
(Cfr. TAR Piemonte, Sez. I, 30.03.2009 n.
837 e TAR Valle d’Aosta 23.01.2009 n. 1)
(TAR Lazio-Roma, Sez. II-ter,
sentenza 16.01.2012 n. 442 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ENTI LOCALI:
La decisione di dichiarare lo
stato di dissesto finanziario non è frutto
di una scelta discrezionale dell'ente,
rappresentando piuttosto una determinazione
vincolata (ed ineludibile) in presenza dei
presupposti di fatto fissati dalla legge.
La dichiarazione di dissesto finanziario
costituisce un evento di carattere
eccezionale e patologico della vita
dell'ente locale, con la conseguenza che
alla relativa dichiarazione può farsi luogo
solo all'esito dell'accertamento (da parte
degli stessi organi ordinari dell'ente o in
via eccezionale, nell'ipotesi di cui
all'art. 247 del d.lgs. 18.08.2000, n. 267,
da parte del commissario ad acta)
della specifica incapacità di assolvimento
delle funzioni e dei servizi indispensabili
ovvero dell'esistenza nei confronti
dell'ente di crediti liquidi ed esigibili di
terzi, cui non possa validamente farsi
fronte con le modalità di cui all'art. 193
(e per i debiti fuori bilancio, con le
modalità di cui all'art. 194).
La decisione di dichiarare lo stato di
dissesto finanziario non è, pertanto, frutto
di una scelta discrezionale dell'ente,
rappresentando piuttosto una determinazione
vincolata (ed ineludibile) in presenza dei
presupposti di fatto fissati dalla legge, la
"valutazione", richiamata dall'art.
246, riguarda soltanto le cause che hanno
determinato la situazione di deficit
finanziario economico (e costituisce il
presupposto logico-giuridico del
procedimento di risanamento della
riorganizzazione dell'ente e della corretta
impostazione delle indispensabili analisi
finanziarie ed organizzative per addivenire
alla adeguata definizione del nuovo bilancio
stabilizzato).
Il sindacato giurisdizionale sulla delibera
di dichiarazione di dissesto dell'ente
locale è necessariamente incentrato sulla
verifica del corretto esercizio del potere
(di azione) in ordine all'accertamento dei
presupposti di fatto previsti dalla legge,
non potendo consentirsi al giudice
amministrativo alcun valutazione delle
scelte operate (ovvero non operate) per
eliminare o ridurre i servizi non essenziali
per evitare o limitare lo stato di deficit
finanziario (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 16.01.2012 n. 143 - link
a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
URBANISTICA:
Sussiste un’ampia discrezionalità
che connota le scelte dell’Amministrazione
in ordine alla destinazione dei suoli in
sede di pianificazione generale del
territorio, tali da non richiedere una
particolare motivazione al di là di quella
ricavabile dai criteri e principi generali
che ispirano il P.R.G., derogandosi a tale
regola solo in presenza di specifiche
situazioni di affidamento qualificato del
privato a una specifica destinazione del
suolo.
Va innanzi tutto richiamato il consolidato indirizzo giurisprudenziale –dal quale questa Sezione non ravvisa alcun
motivo per discostarsi– in ordine all’ampia
discrezionalità che connota le scelte
dell’Amministrazione in ordine alla
destinazione dei suoli in sede di
pianificazione generale del territorio, tali
da non richiedere una particolare
motivazione al di là di quella ricavabile
dai criteri e principi generali che ispirano
il P.R.G. (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 24.02.2011, nr. 1222; id., 18.10.2010, nr. 7554; id.,
04.05.2010, nr.
2545; id., 31.07.2009, nr. 4847),
derogandosi a tale regola solo in presenza
di specifiche situazioni di affidamento
qualificato del privato a una specifica
destinazione del suolo (cfr. Cons. Stato,
sez. IV, 18.01.2011, nr. 352; id., 12.01.2011, nr. 133; id.,
09.12.2010, nr. 8682; id., 13.10.2010, nr. 7492;
id., 24.04.2009, nr. 2630; id., 07.04.2008, nr. 1476).
Con ogni evidenza, una siffatta situazione
non è rinvenibile in capo all’odierna
appellante, non potendo certo un’aspettativa
giuridicamente tutelabile discendere dalla
pregressa destinazione del suolo (cfr. Cons.
Stato, sez. IV, 29.12.2009, nr. 9006),
e nemmeno dalla mera circostanza che nella
specie la società istante avesse presentato
una proposta di lottizzazione, mai esaminata
dal Comune (e ciò in disparte quanto
appresso si dirà con riguardo al diverso
“trattamento” riservato ad altra
proposta formulata in relazione a un suolo
limitrofo) (Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 16.01.2012 n. 119 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: E'
valido, ai fini della partecipazione alle
gare, il DURC con l'indicazione "INPS non si
è pronunciato".
L'indicazione, contenuta nel d.u.r.c., “non
si è pronunciato” è coerente con la
previsione della procedura prevista
nell'ipotesi in cui sia decorso il termine
di 30 giorni senza alcuna pronuncia da parte
dell' Inps: infatti, il termine massimo per
il rilascio del DURC (cfr. Circolare INPS n.
51/2008) è di 30 giorni.
Ai sensi, poi,
dell’articolo 6, comma 3, del Decreto
Ministero del Lavoro e della Previdenza
Sociale del 24.10.2007, il decorso dei 30
giorni è sospeso per un termine non
superiore a 15 giorni per consentire la
regolarizzazione della situazione debitoria,
quando venga accertata una situazione di
irregolarità (“Preavviso di accertamento
negativo”).
Nel caso in cui decorra il termine di 30
giorni senza pronuncia da parte degli
Istituti previdenziali si forma,
relativamente alla regolarità nei confronti
di questi ultimi, il cosiddetto silenzio
assenso (cfr. Circolare Ministero del Lavoro
n. 5 del 2008)
(massima tratta da
www.dirittodegliappaltipubblici.it - TAR
Sicilia-Catania, Sez. III,
sentenza 16.01.2012 n. 116
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: La
verifica della regolarità della
documentazione rispetto alle norme del bando
e del capitolato non va condotta con lo
spirito della c.d. "caccia all’errore", ma
tenendo conto dell’evoluzione
dell’ordinamento in favore della
semplificazione e del divieto di
aggravamento degli oneri burocratici.
Ai fini dell’individuazione dei soggetti
obbligati a rendere, a pena di esclusione,
le dichiarazioni relative all’assenza delle
cause di esclusione, di cui all’art. 38,
comma 1, lett. b) e c), del D.Lgs. n.
163/2006, occorre ricordare che la ratio
legis è quella di escludere dalla
partecipazione alle procedure di gara le
società i cui soggetti -non dichiaranti-
abbiano un significativo ruolo decisionale e
gestionale: ecco perché l’obbligo fa capo
unicamente ai soggetti per i quali ricorrano
entrambi i presupposti (titolarità del
potere di amministrazione nonché di poteri
di rappresentanza).
Il Collegio osserva che “la verifica
della regolarità della documentazione
rispetto alle norme del bando e del
capitolato non va condotta con lo spirito
della c.d. "caccia all’errore", ma tenendo
conto dell’evoluzione dell’ordinamento in
favore della semplificazione e del divieto
di aggravamento degli oneri burocratici"
(in termini, C.G.A., dec. n. 1311/2010).
La più recente Giurisprudenza del Consiglio
di Stato, peraltro, ha preso posizione su
analoghe questioni in un’ottica di
semplificazione, ed in particolare, con
recente decisione n. 513/2011, infra
ampiamente riportata, ed alla quale il
Collegio ritiene di richiamarsi, ha innanzi
tutto ricordato il contrasto in
Giurisprudenza circa l’interpretazione del
citato art. 38 con riferimento ai soggetti
per i quali la dichiarazione deve essere
resa.
Infatti, l’art. 38, comma 1, lett. c), del
d.lgs. n. 163/2006 fa riferimento agli “amministratori
muniti del potere di rappresentanza”,
sicché secondo una parte della
giurisprudenza, per l’individuazione dei
soggetti tenuti alle dichiarazioni
sostitutive finalizzate alla verifica del
possesso dei requisiti di moralità, quando
si tratti di titolari di organi di persone
giuridiche da ricondurre alla nozione di "amministratori
muniti di poteri di rappresentanza",
occorre esaminare i poteri, le funzioni e il
ruolo effettivamente e sostanzialmente
attribuiti al soggetto considerato, al di là
delle qualifiche formali rivestite (Cons.
Stato, V, 16.11.2010 n. 8059; VI,
08.02.2007, n. 523, che nella categoria
degli amministratori, ai fini dell’art. 38
cit., fanno rientrare sia i "soggetti che
abbiano avuto un significativo ruolo
decisionale e gestionale societario",
sia i procuratori ai quali siano conferiti
poteri di partecipare a pubblici appalti
formulando le relative offerte).
Altra giurisprudenza ha, da un lato, aderito
alla necessità di effettuare una valutazione
sostanzialistica della sussistenza delle
cause ostative, derivando –in assenza di più
restrittive clausole di gara– l’effetto di
esclusione dalla procedura solo dal mancato
possesso dei requisiti, e non dalla
omissione o incompletezza della
dichiarazione (Cons. Stato, V, 09.11.2010,
n. 7967) e, sotto altro aspetto, ha limitato
la sussistenza dell’obbligo di dichiarazione
ai soli amministratori muniti di potere di
rappresentanza e ai direttori tecnici, e non
anche a tutti i procuratori della società
(TAR Basilicata, I, 22.04.2009, n. 131; TAR
Liguria, II, 11.07.2008, n. 1485; TAR
Calabria-Reggio Calabria, I, 08.07.2008, n.
379).
Ciò posto, il Consiglio di Stato ha
ricordato che, ai sensi dell’art. 2380-bis
c.c., la gestione dell’impresa spetta
esclusivamente agli amministratori e può
essere concentrata in un unico soggetto
(amministratore unico) o affidata a più
persone, che sono i componenti del consiglio
di amministrazione (in caso di scelta del
sistema monistico ex artt. 2380 e
2409-sexiesdecies c.c.) o del consiglio di
gestione (in caso di opzione in favore del
sistema dualistico ex artt. 2380 e
2409-octies c.c.): ad essi, o a taluni tra
essi, spetta la rappresentanza istituzionale
della società.
L’art. 38 del d.lgs. n. 163/2006 (norma che
limita la partecipazione alle gare e la
libertà di iniziativa economica delle
imprese, essendo prescrittiva dei requisiti
di partecipazione e che, in quanto tale,
assume carattere eccezionale ed è, quindi,
insuscettibile di applicazione analogica),
nell'individuare i soggetti tenuti a rendere
la dichiarazione, richiede la compresenza
della qualifica di amministratore e del
potere di rappresentanza.
Infatti, la disposizione fa riferimento
soltanto agli "amministratori muniti di
potere di rappresentanza": ossia, ai
soggetti che siano titolari di ampi e
generali poteri di amministrazione (fin qui,
testualmente, Cons. Stato, V, n. 513/2011).
Applicando detti pacifici principi al caso
in questione, il Collegio ne trae la
conseguenza che il vicepresidente non
dovesse rendere la dichiarazione in parola,
atteso che, alla stregua della
documentazione in atti, il potere di
rappresentanza spetta unicamente in via
ipotetica e vicaria, e d’altra parte la
titolarità del potere decisionale è in capo
al consiglio d’amministrazione.
In altri termini, ai fini
dell’individuazione dei soggetti obbligati a
rendere, a pena di esclusione, le
dichiarazioni relative all’assenza delle
cause di esclusione, di cui all’art. 38,
comma 1, lett. b) e c), del D.Lgs. n.
163/2006, occorre ricordare che la ratio
legis è quella di escludere dalla
partecipazione alle procedure di gara le
società i cui soggetti -non dichiaranti-
abbiano un significativo ruolo decisionale e
gestionale: ecco perché l’obbligo fa capo
unicamente ai soggetti per i quali ricorrano
entrambi i presupposti (titolarità del
potere di amministrazione nonché di poteri
di rappresentanza) (TAR Sicilia-Catania, Sez. III,
sentenza 16.01.2012 n. 116
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: In
sede di verifica dell'anomalia dell'offerta
presentata da impresa partecipante a gara
pubblica sfuggono al sindacato del giudice
amministrativo i rilievi svolti dalla
stazione appaltante sulle giustificazioni
della suddetta impresa, essendo gli stessi
espressione di discrezionalità tecnica.
In sede di verifica dell'anomalia
dell'offerta il giudizio della stazione
appaltante costituisce esplicazione
paradigmatica di discrezionalità tecnica,
sindacabile solo in caso di illogicità
manifesta o di erroneità fattuale; in tal
caso l'obbligo di motivare in modo completo
e approfondito sussiste solo nel caso in cui
la stazione appaltante esprima un giudizio
negativo che faccia venir meno
l'aggiudicazione, non richiedendosi, per
contro, una motivazione analitica nel caso
di esito positivo della verifica di
anomalia, essendo in tal caso sufficiente
motivare per relationem con le
giustificazioni presentate dal concorrente;
di conseguenza, incombe su chi contesta
l'aggiudicazione l'onere di individuare gli
specifici elementi da cui il giudice
amministrativo possa evincere che la
valutazione tecnico-discrezionale
dell'amministrazione sia stata
manifestamente irragionevole ovvero sia
stata basata su fatti erronei o travisati.
La
Giurisprudenza si va consolidando nel senso
che in sede di verifica dell'anomalia
dell'offerta presentata da impresa
partecipante a gara pubblica sfuggono al
sindacato del giudice amministrativo i
rilievi svolti dalla stazione appaltante
sulle giustificazioni della suddetta
impresa, essendo gli stessi espressione di
discrezionalità tecnica (Consiglio Stato ,
sez. V, 16.03.2011, n. 1636) e che in sede
di verifica dell'anomalia dell'offerta il
giudizio della stazione appaltante
costituisce esplicazione paradigmatica di
discrezionalità tecnica, sindacabile solo in
caso di illogicità manifesta o di erroneità
fattuale; in tal caso l'obbligo di motivare
in modo completo e approfondito sussiste
solo nel caso in cui la stazione appaltante
esprima un giudizio negativo che faccia
venir meno l'aggiudicazione, non
richiedendosi, per contro, una motivazione
analitica nel caso di esito positivo della
verifica di anomalia, essendo in tal caso
sufficiente motivare per relationem
con le giustificazioni presentate dal
concorrente; di conseguenza, incombe su chi
contesta l'aggiudicazione l'onere di
individuare gli specifici elementi da cui il
giudice amministrativo possa evincere che la
valutazione tecnico-discrezionale
dell'amministrazione sia stata
manifestamente irragionevole ovvero sia
stata basata su fatti erronei o travisati
(Consiglio Stato , sez. V, 22.02.2011, n.
1090)
(TAR Sicilia-Catania, Sez. III,
sentenza 16.01.2012 n. 116
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Costituisce
una mera clausola di stile l'espressione
secondo la quale l'impugnazione concerne
"ogni altro atto comunque presupposto,
conseguente o connesso".
L'espressione indeterminata racchiusa nella
clausola di stile secondo cui l'impugnazione
concerne altresì "ogni altro atto comunque
presupposto, conseguente o connesso a quello
odiernamente impugnato" (o simili) è per sua
natura priva di attitudine a manifestare
quale debba, secondo l'interessato, essere
l'oggetto del giudizio e dell'annullamento
da parte del giudice, perché solo una inequivoca indicazione consente al giudice
stesso di identificare l'oggetto della
domanda e ai contraddittori di esercitare il
loro diritto di difesa (Consiglio Stato ,
sez. VI, 13.01.2011, n. 177)
(massima tratta da
www.dirittodegliappaltipubblici.it - TAR
Sicilia-Catania, Sez. III,
sentenza 16.01.2012 n. 113
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
E' illegittimo il rigetto
generico dell’istanza di autorizzazione ai
sensi dell’art. 87 del D.Lgs. 259/2003 per
l’installazione di impianti di telefonia
mobile.
Infatti, oltre ad essere stato adottato in
violazione delle regole del giusto
procedimento (non risulta alcuna previa
comunicazione dei motivi ostativi ai sensi
dell’art. 10-bis della legge n. 241/1990) è
privo di adeguata motivazione, essendosi
basata l’amministrazione esclusivamente su
un generico richiamo al regolamento comunale
per l’insediamento delle stazioni radio
base, e avendo omesso di indicare in che
modo l’impianto progettato sarebbe in
contrasto con il regolamento comunale,
mentre per giurisprudenza uniforme il
provvedimento di diniego deve essere
sorretto da motivazioni dettagliate, non
essendo sufficiente un generico richiamo
alle vigenti disposizioni dei vari strumenti
urbanistici o a generiche previsioni
contenute nei regolamenti per la disciplina
dell’insediamento delle stazioni radio base.
...
VISTO il ricorso introduttivo con il quale
la società H3G s.p.a. ha impugnato il
provvedimento indicato in epigrafe, con il
quale il Comune di Aidone si è limitato a
rigettare genericamente l’istanza di
autorizzazione ai sensi dell’art. 87 del
D.Lgs. 259/2003 per l’installazione di
impianti di telefonia mobile.
Nel ricorso
sono dedotte censure di violazione di legge,
difetto di motivazione ed eccesso di potere
sotto diversi profili articolati in 5 motivi
di ricorso.
RITENUTO che il ricorso è fondato giacché il
provvedimento impugnato -oltre ad essere
stato adottato in violazione delle regole
del giusto procedimento (non risulta alcuna
previa comunicazione dei motivi ostativi ai
sensi dell’art. 10-bis della legge n.
241/1990)- è privo di adeguata motivazione,
essendosi basata l’amministrazione
esclusivamente su un generico richiamo al
regolamento comunale per l’insediamento
delle stazioni radio base, e avendo omesso
di indicare in che modo l’impianto
progettato sarebbe in contrasto con il
regolamento comunale, mentre per
giurisprudenza uniforme il provvedimento di
diniego deve essere sorretto da motivazioni
dettagliate, non essendo sufficiente un
generico richiamo alle vigenti disposizioni
dei vari strumenti urbanistici o a generiche
previsioni contenute nei regolamenti per la
disciplina dell’insediamento delle stazioni
radio base (tra le tante, cfr. Cons. Stato,
sez. VI, 17.10.2008, n. 5044)
(TAR Sicilia-Catania, Sez. I,
sentenza 16.01.2012 n. 104 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La
disciplina urbanistica applicabile alle
domande di concessione edilizia è quella
vigente al momento del rilascio del titolo
abilitativo.
Va, innanzitutto, premesso che, per giurisprudenza costante, la
disciplina urbanistica applicabile alle
domande di concessione edilizia è quella
vigente al momento del rilascio del titolo
abilitativo (tra le tante cfr. Cons. Stato,
sez. IV, 31.07.2009, n. 4848 e sez. V,
19.09.2008, n. 4528) (TAR Sicilia-Catania, Sez. I,
sentenza 16.01.2012 n. 102 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA:
Costituiscono vincoli preordinati
all'espropriazione o di carattere
sostanzialmente espropriativo solo quelli
che implicano uno svuotamento incisivo della
proprietà, mentre non lo sono i vincoli di
destinazione imposti dal piano regolatore
per attrezzature e servizi realizzabili
anche ad iniziativa privata o promiscua, in
regime di economia di mercato, anche se
accompagnati da strumenti di
convenzionamento (ad esempio parcheggi,
impianti sportivi, mercati e strutture
commerciali, edifici sanitari, zone
artigianali, industriali o residenziali).
In questa prospettiva le destinazioni a
parco urbano, a verde urbano, a verde
pubblico, a verde pubblico attrezzato, a
parco giochi e simili si pongono al di fuori
dello schema ablatorio-espropriativo e
costituiscono espressione di potestà
conformativa (avente validità a tempo
indeterminato), quando lo strumento
urbanistico consente di realizzare tali
previsioni, non già ad esclusiva iniziativa
pubblica, ma ad iniziativa privata o
promiscua pubblico-privata, senza necessità
di ablazione del bene.
Secondo
consolidato orientamento giurisprudenziale,
infatti, costituiscono vincoli preordinati
all'espropriazione o di carattere
sostanzialmente espropriativo solo quelli
che implicano uno svuotamento incisivo della
proprietà, mentre non lo sono i vincoli di
destinazione imposti dal piano regolatore
per attrezzature e servizi realizzabili
anche ad iniziativa privata o promiscua, in
regime di economia di mercato, anche se
accompagnati da strumenti di
convenzionamento (ad esempio parcheggi,
impianti sportivi, mercati e strutture
commerciali, edifici sanitari, zone
artigianali, industriali o residenziali).
In
questa prospettiva le destinazioni a parco
urbano, a verde urbano, a verde pubblico, a
verde pubblico attrezzato, a parco giochi e
simili si pongono al di fuori dello schema ablatorio-espropriativo e costituiscono
espressione di potestà conformativa (avente
validità a tempo indeterminato), quando lo
strumento urbanistico consente di realizzare
tali previsioni, non già ad esclusiva
iniziativa pubblica, ma ad iniziativa
privata o promiscua pubblico-privata,
senza necessità di ablazione del bene (cfr.
tra le tante: Corte Costituzionale 20.05.1999, n. 179; Cons. St., Ad. plen.,
24.05.2007, n. 7 e ad. plen., 16.11.2005, n. 9; Cons. Stato, sez. IV,
23.12.2010, n. 9372; 19.03.2008, n.
1201; 25.05.2005, n. 2718; 05.006.2004, n. 4010;
08.06.2000, n. 3214; Cass.
19.05.2006, n. 11848)
(TAR Sicilia-Catania, Sez. I,
sentenza 16.01.2012 n. 102 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA:
L’applicazione
delle misure di salvaguardia non determina
l'anticipata vigenza degli strumenti
urbanistici adottati in sede comunale, ma
persegue unicamente lo scopo di inibire il
rilascio di concessioni edilizie in
contrasto con il nuovo strumento urbanistico
in itinere, al fine di evitare che, nelle
more della sua approvazione, possa essere
compromesso l'assetto territoriale che
s’intende realizzare (ad esempio realizzando
fabbricati ad uso residenziale in aree
destinate a verde). L'attività edificatoria
rimane regolata dallo strumento urbanistico
vigente, salvo il limite che possono essere
rilasciate solo concessioni edilizie che non
contrastino con le previsioni del nuovo
piano, in attesa di approvazione.
Sulla base di tali presupposti, il Collegio
ritiene che le misure di salvaguardia non
possano che concernere le prescrizioni
positive del nuovo strumento, che contengano
una previsione di destinazione del
territorio comunale contrastante con quella
indicata nell'esistente strumento
urbanistico, mentre non può ritenersi
oggetto di salvaguardia la previsione di una
norma tecnica che -immutata la destinazione del territorio
preso in considerazione rispetto al
precedente assetto urbanistico- subordina
il rilascio di concessioni edilizie alla
redazione di una progettazione esecutiva,
trattandosi, invero, di disposizione tecnica
di attuazione delle previsioni urbanistiche,
che sarà operante solo in seguito alla
vigenza del nuovo strumento urbanistico.
Le misure di salvaguardia non hanno lo scopo
di impedire, in modo generalizzato,
qualsiasi tipo di utilizzazione del
territorio, ma solo di inibire quelle
utilizzazioni che si pongono in contrasto
con il nuovo strumento urbanistico, in corso
di approvazione. Qualora, invece, venissero
ricomprese tra le misure di salvaguardia
anche la prescrizione del divieto di
rilasciare concessioni edilizie, in assenza
della progettazione esecutiva delle aree a
verde attrezzato, verrebbe invece inibito il
rilascio di qualsiasi concessione edilizia,
in quanto è evidente che il Comune non
potrebbe provvedere alla redazione di tale
progettazione in assenza della definitiva
approvazione, e quindi efficacia, dello
strumento urbanistico.
Secondo
giurisprudenza uniforme, l’applicazione
delle misure di salvaguardia non determina
l'anticipata vigenza degli strumenti
urbanistici adottati in sede comunale, ma
persegue unicamente lo scopo di inibire il
rilascio di concessioni edilizie in
contrasto con il nuovo strumento urbanistico
in itinere, al fine di evitare che, nelle
more della sua approvazione, possa essere
compromesso l'assetto territoriale che
s’intende realizzare (ad esempio realizzando
fabbricati ad uso residenziale in aree
destinate a verde). L'attività edificatoria
rimane regolata dallo strumento urbanistico
vigente, salvo il limite che possono essere
rilasciate solo concessioni edilizie che non
contrastino con le previsioni del nuovo
piano, in attesa di approvazione (TAR
Sicilia Catania, sez. I, 18.09.2002,
n. 1568).
Sulla base di tali presupposti, il Collegio
ritiene che le misure di salvaguardia non
possano che concernere le prescrizioni
positive del nuovo strumento, che contengano
una previsione di destinazione del
territorio comunale contrastante con quella
indicata nell'esistente strumento
urbanistico, mentre non può ritenersi
oggetto di salvaguardia la previsione di una
norma tecnica (quale quella dell’art. 28
invocato dal Comune di Adrano) che -immutata la destinazione del territorio
preso in considerazione rispetto al
precedente assetto urbanistico- subordina
il rilascio di concessioni edilizie alla
redazione di una progettazione esecutiva,
trattandosi, invero, di disposizione tecnica
di attuazione delle previsioni urbanistiche,
che sarà operante solo in seguito alla
vigenza del nuovo strumento urbanistico.
A conferma di quanto indicato si rileva che
le misure di salvaguardia non hanno lo scopo
di impedire, in modo generalizzato,
qualsiasi tipo di utilizzazione del
territorio, ma solo di inibire quelle
utilizzazioni che si pongono in contrasto
con il nuovo strumento urbanistico, in corso
di approvazione. Qualora, invece, venissero
ricomprese tra le misure di salvaguardia
anche la prescrizione del divieto di
rilasciare concessioni edilizie, in assenza
della progettazione esecutiva delle aree a
verde attrezzato, verrebbe invece inibito il
rilascio di qualsiasi concessione edilizia,
in quanto è evidente che il Comune non
potrebbe provvedere alla redazione di tale
progettazione in assenza della definitiva
approvazione, e quindi efficacia, dello
strumento urbanistico (cfr., in tal senso
TAR Sicilia Palermo, sez. I, 03.04.2002, n. 869; cfr. anche Cass. civile, sez. II, 28.01.2009,
n. 2149) (TAR Sicilia-Catania, Sez. I,
sentenza 16.01.2012 n. 102 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA:
Rientra nella potestà di
pianificazione urbanistica la valorizzazione
e la salvaguardia delle bellezze naturali e
degli interessi storici e ambientali, tale
competenza spettando, per giurisprudenza
pacifica, oltre che allo Stato anche al
Comune ed alla Regione in sede di
approvazione del piano regolatore generale e
delle sue varianti.
Ne consegue che l'autorità titolare del
potere di pianificazione urbanistica è
sicuramente da ritenersi legittimata a
valutare autonomamente gli interessi
storici, ambientali e paesistici e ad
imporre, in sede di piano regolatore
generale, limitazioni a tutela di quegli
interessi.
---------------
In sede di adozione di strumenti urbanistici
generali o delle loro successive varianti,
le scelte discrezionali del pianificatore
riguardo alla destinazione di singole aree
non necessitano di apposita motivazione,
oltre quella che si può evincere dai criteri
generali -di ordine tecnico-discrezionale-
seguiti nell'impostazione del piano stesso.
Del resto, nemmeno la L. n. 241/1990 sul
procedimento amministrativo si è discostata
da tale principio, precedentemente elaborato
dalla giurisprudenza amministrativa, posto
che, all’art. 3, ha esonerato dall'obbligo
della motivazione gli atti a contenuto
generale, tra cui sono ricompresi quelli di
pianificazione territoriale ed urbanistica.
Solo in alcuni casi l'Amministrazione ha un
obbligo di motivazione più specifico, tra
cui l'ipotesi di affidamento qualificato del
privato, quale l'ipotesi di precedente
convenzione di lottizzazione o di accordi di
diritto privato intercorsi tra Comune e
privati.
In tale prospettiva non può invece ritenersi
qualificato l'interesse del privato
proprietario correlato ad una precedente
previsione urbanistica che consenta un
utilizzo dell'area in modo più proficuo,
poiché in tal caso viene in considerazione
un’aspettativa generica del privato alla non
reformatio in pejus delle destinazioni di
zona edificabili, cedevole dinanzi alla
discrezionalità del potere pubblico di
pianificazione urbanistica e per il quale
vale il principio generale della non
necessità di motivazione ulteriore rispetto
a quelle che si possono evincere dai criteri
di ordine tecnico urbanistico seguiti per la
redazione del progetto di strumento.
In particolare, per ciò che riguarda la
preesistenza di un piano di lottizzazione è
necessario che lo stesso sia stato non solo
approvato, ma anche convenzionato (quindi,
divenuto operativo) in epoca anteriore
all’adozione del P.R.G..
Rientra nella potestà di pianificazione urbanistica la valorizzazione e
la salvaguardia delle bellezze naturali e
degli interessi storici e ambientali, tale
competenza spettando, per giurisprudenza
pacifica, oltre che allo Stato anche al
Comune ed alla Regione in sede di
approvazione del piano regolatore generale e
delle sue varianti (cfr. TAR Trentino Alto
Adige, Trento, 05.06.2009, n. 184; TAR
Lombardia Brescia, 01.03.2001, n. 93; TAR
Catania, sez. I, 30.12.2004, n. 4087).
Ne consegue che l'autorità titolare del
potere di pianificazione urbanistica è
sicuramente da ritenersi legittimata a
valutare autonomamente gli interessi
storici, ambientali e paesistici e ad
imporre, in sede di piano regolatore
generale, limitazioni a tutela di quegli
interessi, così come è avvenuto nel caso di
specie.
-------------
Sotto un
profilo d’ordine generale, il Collegio
rileva, nel costante indirizzo della
giurisprudenza amministrativa, che in sede
di adozione di strumenti urbanistici
generali o delle loro successive varianti,
le scelte discrezionali del pianificatore
riguardo alla destinazione di singole aree
non necessitano di apposita motivazione,
oltre quella che si può evincere dai criteri
generali -di ordine tecnico-discrezionale-
seguiti nell'impostazione del piano stesso
(cfr. ex multis questa Sezione 27.10.2010,
n. 4242).
Del resto, nemmeno la L. n. 241/1990 sul
procedimento amministrativo si è discostata
da tale principio, precedentemente elaborato
dalla giurisprudenza amministrativa, posto
che, all’art. 3, ha esonerato dall'obbligo
della motivazione gli atti a contenuto
generale, tra cui sono ricompresi quelli di
pianificazione territoriale ed urbanistica.
Solo in alcuni casi l'Amministrazione ha un
obbligo di motivazione più specifico, tra
cui l'ipotesi di affidamento qualificato del
privato, quale l'ipotesi di precedente
convenzione di lottizzazione o di accordi di
diritto privato intercorsi tra Comune e
privati.
In tale prospettiva non può invece ritenersi
qualificato l'interesse del privato
proprietario correlato ad una precedente
previsione urbanistica che consenta un
utilizzo dell'area in modo più proficuo,
poiché in tal caso viene in considerazione
un’aspettativa generica del privato alla non reformatio in pejus delle destinazioni di
zona edificabili, cedevole dinanzi alla
discrezionalità del potere pubblico di
pianificazione urbanistica e per il quale
vale il principio generale della non
necessità di motivazione ulteriore rispetto
a quelle che si possono evincere dai criteri
di ordine tecnico urbanistico seguiti per la
redazione del progetto di strumento (TAR
Toscana, sez. I, 13.07.2009, n. 1227).
In particolare, per ciò che riguarda la
preesistenza di un piano di lottizzazione è
necessario che lo stesso sia stato non solo
approvato, ma anche convenzionato (quindi,
divenuto operativo) in epoca anteriore
all’adozione del P.R.G. (cfr. Cons. Stato,
sez. IV, 12.03.2009, n. 1431, 08.06.2007, n. 2999 e 26.04.2006, n. 2301;
TAR Sicilia-Catania, sez. I, 16.04.2007, n. 638; TAR Lombardia Milano, sez. II, 06.03.2006,
n. 58)
(TAR Sicilia-Catania, Sez. I,
sentenza 16.01.2012 n. 88 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
La necessaria sussistenza di un
interesse diretto, concreto ed attuale,
corrispondente ad una situazione
giuridicamente tutelata e collegata al
documento al quale è chiesto di accedere,
non significa che l’accesso sia stato
configurato dal legislatore con carattere
meramente strumentale rispetto alla difesa
in giudizio della situazione sottostante;
esso assume invece una valenza autonoma, non
dipendente dalla sorte del processo
principale, ma anche dall’eventuale
infondatezza o inammissibilità della domanda
giudiziale che il richiedente, una volta
conosciuti gli atti in questione, potrebbe
proporre.
Ed invero, il diritto di accesso ai
documenti amministrativi, introdotto dalla
legge 07.08.1990 n. 241, a norma
dell’art. 22, co. 2, della stessa legge costituisce un
principio generale dell’ordinamento
giuridico, il quale si colloca in un sistema
ispirato al contemperamento delle esigenze
di celerità ed efficienza dell’azione
amministrativa con i principi di
partecipazione e di concreta conoscibilità
della funzione pubblica da parte
dell’amministrato, basato sul riconoscimento
del principio di pubblicità dei documenti
amministrativi.
In quest’ottica, il
“collegamento” tra l’interesse
giuridicamente rilevante del soggetto che
richiede l’accesso e la documentazione
oggetto della relativa istanza, di cui al
cit. art. 22, co. 1, lett. b), non può che
essere inteso in senso ampio, posto che la
documentazione richiesta deve essere,
genericamente, mezzo utile per la difesa
dell'interesse giuridicamente rilevante, e
non strumento di prova diretta della lesione
di tale interesse.
---------------
L'accesso di atti che seppur riguardando la
sfera personale di altra persona non può
comunque essere negato dal momento che la
tutela della riservatezza dei terzi è
destinata a recedere a norma dell’art. 24,
co. 7, della legge n. 241 del 1990 e
ss.mm.ii. nel caso in cui i documenti siano
necessari per curare o difendere gli
interessi giuridici del richiedente.
Secondo principi pacificamente accolti dalla giurisprudenza
amministrativa, la necessaria sussistenza di
un interesse diretto, concreto ed attuale,
corrispondente ad una situazione
giuridicamente tutelata e collegata al
documento al quale è chiesto di accedere,
non significa che l’accesso sia stato
configurato dal legislatore con carattere
meramente strumentale rispetto alla difesa
in giudizio della situazione sottostante;
esso assume invece una valenza autonoma, non
dipendente dalla sorte del processo
principale, ma anche dall’eventuale
infondatezza o inammissibilità della domanda
giudiziale che il richiedente, una volta
conosciuti gli atti in questione, potrebbe
proporre (cfr. tra le più recenti, Cons.
St., Sez. V, 23.02.2010 n. 1067).
Ed invero, il diritto di accesso ai
documenti amministrativi, introdotto dalla
legge 07.08.1990 n. 241, a norma
dell’art. 22, co. 2, della stessa legge (come
sostituito dall’art. 15 della legge 11.02.2005 n. 15) costituisce un
principio generale dell’ordinamento
giuridico, il quale si colloca in un sistema
ispirato al contemperamento delle esigenze
di celerità ed efficienza dell’azione
amministrativa con i principi di
partecipazione e di concreta conoscibilità
della funzione pubblica da parte
dell’amministrato, basato sul riconoscimento
del principio di pubblicità dei documenti
amministrativi.
In quest’ottica, il
“collegamento” tra l’interesse
giuridicamente rilevante del soggetto che
richiede l’accesso e la documentazione
oggetto della relativa istanza, di cui al
cit. art. 22, co. 1, lett. b), non può che
essere inteso in senso ampio, posto che la
documentazione richiesta deve essere,
genericamente, mezzo utile per la difesa
dell'interesse giuridicamente rilevante, e
non strumento di prova diretta della lesione
di tale interesse (cfr. Cons. Stato, Sez. V,
25.05.2010 n. 3309, 10.01.2007 n.
55 e 07.09.2004 n. 5873).
---------------
Infine, neanche possono essere opposte
all’interessato ragioni di riservatezza, in
quanto gli atti in parola, per un verso,
come già sottolineato non incidono sul
segreto professionale; e, per altro verso,
pur riguardando la sfera personale dell’avv.
Russo, non possono comunque essere negati
dal momento che la tutela della riservatezza
dei terzi è destinata a recedere a norma
dell’art. 24, co. 7, della legge n. 241 del
1990 e ss.mm.ii. nel caso, qui ricorrente,
in cui i documenti siano necessari per
curare o difendere gli interessi giuridici
del richiedente (Consiglio di Stato, Sez. III,
sentenza
13.01.2012 n.
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APPALTI:
La cd. "associazione per cooptazione", già contemplata dall'art. 23
del d.lgs. n. 406/1991 (di attuazione della
direttiva 89/440/CEE in materia di procedure
di aggiudicazione degli appalti di lavori
pubblici), si caratterizza per la
possibilità, da parte delle imprese che
intendano riunirsi in associazione
temporanea e con i requisiti di
partecipazione, di associare altre imprese
iscritte all'(ex) albo nazionale dei
costruttori, anche per categorie ed importi
diversi da quelli richiesti nel bando, a
condizione che i lavori eseguiti da queste
ultime non superino il venti per cento
dell'importo complessivo dei lavori oggetto
dell'appalto e che l'ammontare complessivo
delle iscrizioni possedute da ciascuna di
tali imprese fosse almeno pari all'importo
dei lavori che sarebbero stati ad essa
affidati.
La norma è stata ripresa nel comma 4
dell’art. 95 del regolamento n. 554/1999
(applicabile ratione temporis alla presente
controversia, ai sensi dell’art. 256, 4°
comma, del d.lgs. 163/2006), per cui può
ritenersi ancora operante l’istituto della
cooptazione, il quale si caratterizza, come
già osservato, per la possibilità di far
partecipare all'appalto anche imprese di
modeste dimensioni, non suscettibili di
raggrupparsi nelle forme previste dai commi
2 e 3 del citato art. 95, purché l'ammontare
complessivo delle qualificazioni possedute
sia almeno pari all'importo dei lavori che
sarebbero stati ad essa affidati e i lavori
eseguiti dalle cooptate non superino il 20%
dell'importo complessivo dei lavori.
Tuttavia, anche ad ammettere che l’istituto
della cooptazione sia un istituto di
carattere generale, e come tale applicabile,
in astratto, anche in materia di servizi,
nondimeno la sua concreta applicazione non
può prescindere da una chiara e comunque
espressa volontà del partecipante alla gara,
il quale è onerato di indicare, già nella
domanda di partecipazione, se e quali
imprese intenda cooptare nella esecuzione
del lavoro o del servizio.
Per vero, una parte della giurisprudenza
ritiene che la possibilità dell'impresa
singola o delle imprese che intendano
riunirsi in associazione temporanea, in
possesso dei requisiti di cui all'articolo
95 citato, di associare, nei modi di cui al
comma 4, altre imprese qualificate anche per
categorie ed importi diversi da quelli
richiesti nel bando, sia insita nello stesso
dettato normativo che impone alle imprese
cooptate il solo obbligo della
qualificazione e il solo limite percentuale
delle opere; nondimeno appare preferibile
ribadire come tale possibilità sia,
piuttosto, subordinata ad un'espressa
dichiarazione, risultante dalla domanda di
partecipazione alla gara, in assenza della
quale è da ritenere sussistente la figura
(di carattere generale) della associazione
temporanea (orizzontale o verticale).
E ciò sia in osservanza al principio della
par condicio fra i partecipanti alla gara
(non potendosi costringere l'Amministrazione
a verificare tutte le ipotesi interpretative
in astratto consentite dalla normativa
vigente, ai fine di ricondurvi la tipologia
realizzata da taluno dei concorrenti), sia
in considerazione del diverso grado di
impegno, responsabilità e garanzia dei
partecipanti alla riunione (che vale a
differenziare significativamente
l’associazione ordinaria di imprese dalla
associazione in cooptazione) cui si
riconnette un diverso onere di dimostrazione
del possesso dei requisiti di
qualificazione.
La cd. "associazione per cooptazione", già contemplata dall'art. 23
del d.lgs. n. 406/1991 (di attuazione della
direttiva 89/440/CEE in materia di procedure
di aggiudicazione degli appalti di lavori
pubblici), si caratterizza per la
possibilità, da parte delle imprese che
intendano riunirsi in associazione
temporanea e con i requisiti di
partecipazione, di associare altre imprese
iscritte all'(ex) albo nazionale dei
costruttori, anche per categorie ed importi
diversi da quelli richiesti nel bando, a
condizione che i lavori eseguiti da queste
ultime non superino il venti per cento
dell'importo complessivo dei lavori oggetto
dell'appalto e che l'ammontare complessivo
delle iscrizioni possedute da ciascuna di
tali imprese fosse almeno pari all'importo
dei lavori che sarebbero stati ad essa
affidati.
La norma è stata ripresa nel comma 4
dell’art. 95 del regolamento n. 554/1999
(applicabile ratione temporis alla presente
controversia, ai sensi dell’art. 256, 4°
comma, del d.lgs. 163/2006), per cui può
ritenersi ancora operante l’istituto della
cooptazione, il quale si caratterizza, come
già osservato, per la possibilità di far
partecipare all'appalto anche imprese di
modeste dimensioni, non suscettibili di
raggrupparsi nelle forme previste dai commi
2 e 3 del citato art. 95, purché l'ammontare
complessivo delle qualificazioni possedute
sia almeno pari all'importo dei lavori che
sarebbero stati ad essa affidati e i lavori
eseguiti dalle cooptate non superino il 20%
dell'importo complessivo dei lavori (cfr.
Cons. Stato, sez. V, 01.09.2009, n.
5161; Cons. Stato, sez. V, 11.06.2001,
n. 3129 e Id., 25.07.2006, n. 4655;
nonché, ex plurimis, TAR Salerno, sez.
I, 07.07.2006, n. 954).
Tuttavia, anche ad ammettere che
l’istituto della cooptazione, le cui
coordinate normative di riferimento sono
state dianzi evidenziate, sia un istituto di
carattere generale, e come tale applicabile,
in astratto, anche in materia di servizi,
nondimeno la sua concreta applicazione non
può prescindere da una chiara e comunque
espressa volontà del partecipante alla gara,
il quale è onerato di indicare, già nella
domanda di partecipazione, se e quali
imprese intenda cooptare nella esecuzione
del lavoro o del servizio.
Per vero, una parte della giurisprudenza
ritiene che la possibilità dell'impresa
singola o delle imprese che intendano
riunirsi in associazione temporanea, in
possesso dei requisiti di cui all'articolo
95 citato, di associare, nei modi di cui al
comma 4, altre imprese qualificate anche per
categorie ed importi diversi da quelli
richiesti nel bando, sia insita nello stesso
dettato normativo che impone alle imprese
cooptate il solo obbligo della
qualificazione e il solo limite percentuale
delle opere (in termini, Cons. Stato, sez.
V, 11.06.2001, n. 3129); nondimeno
appare preferibile ribadire (in conformità
ad un più recente e meglio argomentato
orientamento: per tutte cfr. Cons. Stato n.
5161/2009 cit.) come tale possibilità sia,
piuttosto, subordinata ad un'espressa
dichiarazione, risultante dalla domanda di
partecipazione alla gara, in assenza della
quale è da ritenere sussistente la figura
(di carattere generale) della associazione
temporanea (orizzontale o verticale).
E ciò sia in osservanza al principio della
par condicio fra i partecipanti alla gara
(non potendosi costringere l'Amministrazione
a verificare tutte le ipotesi interpretative
in astratto consentite dalla normativa
vigente, ai fine di ricondurvi la tipologia
realizzata da taluno dei concorrenti), sia
in considerazione del diverso grado di
impegno, responsabilità e garanzia dei
partecipanti alla riunione (che vale a
differenziare significativamente
l’associazione ordinaria di imprese dalla
associazione in cooptazione) cui si
riconnette un diverso onere di dimostrazione
del possesso dei requisiti di
qualificazione.
Se ne deve dedurre -non essendo, con ogni
evidenza, in contestazione la evidenziata
diversità giuridica delle due figure- che
la controversia va risolta esaminando il
tenore della "dichiarazione, risultante
dalla domanda di partecipazione alla gara",
la quale (in assenza di una espressa
manifestazione della volontà di avvalersi
della cooptazione) doveva indurre, giusta il
richiamato principio, a "ritenere
sussistente la figura generale di
associazione temporanea" (così, ancora,
Cons. Stato, n. 5161/2009 cit.), senza
alcuna pratica possibilità di ricorso alla
cooptazione.
Infatti è palese che nella domanda di
partecipazione alla gara le imprese in ati
costituenda hanno dichiarato di partecipare
nella forma dell’associazione costituenda,
con il rituale impegno a conferire mandato
collettivo speciale con rappresentanza ad
una delle associate (S.IT Geo) in caso di
aggiudicazione.
Nessun riferimento le imprese compiono in
ordine alla possibilità di cooptare altri
soggetti nella esecuzione della commessa, né
tampoco nel dar luogo ad una cooptazione
inter se, risultando tale formula
partecipativa non soltanto non espressa ma
addirittura contraddittoria con quella, al
contrario ben espressa, di associazione
temporanea da costituire (dato che, essendo
soltanto due le imprese associate, se vi è
cooptazione di una delle associande non vi
può essere ATI, venendo meno uno dei
soggetti costitutivi)
Le considerazioni appena svolte sono già di
per sé sufficienti a ritenere illegittima la
determinazione di ammettere alla gara,
all’esito della non consentita operazione
ermeneutica di cui si è detto,
l’associazione aggiudicataria, nonostante la
palese carenza dei requisiti di capacità
tecnico professionale in capo alla impresa
mandante (Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza
13.01.2012 n.
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APPALTI:
La perdita di chance va
rapportata in termini percentuali all’utile
in astratto conseguibile in ipotesi di
aggiudicazione della gara ed esecuzione
dell’appalto: utile che, secondo un
consolidato criterio, va presuntivamente
stimato nel 10% dell’importo posto a base
d’asta, ribassato dall’offerta presentata.
Tale quantificazione va qui poi congruamente
ridotta, sia perché si tratta di risarcire
una mera chance di aggiudicazione, sia
perché l’interessata non ha dimostrato di
essere stata nell’impossibilità di
utilizzare, durante il tempo di esecuzione
del servizio per cui è giudizio, mezzi e
maestranze per l’espletamento di altri e
diversi servizi.
Invero, ad evitare che a seguito del
risarcimento il danneggiato possa
locupletare un effetto finanziario
addirittura migliore rispetto a quello in
cui si sarebbe trovato in assenza
dell'illecito, dal decimo dell’importo così
stimato va detratto quanto percepito
dall’impresa grazie allo svolgimento di
attività lucrative diverse, nel periodo in
cui avrebbe dovuto eseguire l'appalto in
contestazione.
Nondimeno, l'onere di provare (l'assenza
del)l'aliunde perceptum vel percipiendum
grava non sull'Amministrazione, ma
sull'impresa: e ciò in ragione della
presunzione, secondo l'id quod plerumque
accidit, che l'imprenditore normalmente
diligente (cfr. art. 1227 Cod. civ.) non
rimane inerte in caso di mancata
aggiudicazione di un appalto, ma persegue
occasioni contrattuali alternative, dalla
cui esecuzione trae il relativo utile.
L’accoglimento della domanda principale
di annullamento degli atti impone l’esame
della domanda risarcitoria accessoria.
E’
evidente infatti che, essendo stata già
esperita la gara ed integralmente eseguito
il contratto stipulato con l’ati
aggiudicataria, la violazione dell’interesse
(partecipativo) della ricorrente può trovare
riparazione soltanto per equivalente, e non
più in forma specifica.
Va premesso, che non rileva nel presente
giudizio la questione di carattere generale
se, nella materia degli appalti e ove un
provvedimento sia risultato illegittimo, sia
ravvisabile una responsabilità in assenza di
una specifica rimproverabilità degli organi
amministrativi.
Infatti, nel caso in esame l’ammissione alla
gara di una impresa priva dei relativi
presupposti, in violazione delle regole del
bando, evidenzia la sussistenza di una
specifica rimproverabilità, che d’altra
parte neppure risulta specificamente
contestata dall’Amministrazione, che non ha
invocato alcuna giustificazione.
Osserva al riguardo la Sezione che
l’aggiudicazione è stata disposta mediante
una violazione grave delle regole
partecipative poste in base alla normativa
comunitaria e nazionale sui contratti
pubblici, giacché la proposizione della
domanda partecipativa in forma di
associazione ordinaria tra imprese e la
conclamata carenza dei requisiti
partecipativi in capo ad una delle associate
(in relazione all’unica formula
partecipativa di associazione di tipo
orizzontale consentita dalla lex specialis)
doveva far propendere la stazione appaltante
per la esclusione della associazione
risultata aggiudicataria.
Quanto alla sussistenza del nesso di
causalità e di un danno, ove fosse stata
disposta tale esclusione, la odierna
appellante avrebbe avuto la quasi certezza
di rimanere aggiudicataria della gara (la
previsione in termini di certezza assoluta è
impedita dalla sussistenza del potere di
disporre i consueti controlli sul possesso
di tutti i requisiti dichiarati nella
domanda).
Orbene, venendo alla quantificazione del
danno, va premesso che la società ricorrente
ha chiesto di essere ristorata delle
seguenti voci di danno, nelle misure di
seguito indicate:
a) euro 138.672,80, corrispondente al 20%
della propria offerta, a titolo di mancato
guadagno;
b) euro 69.336,40 , corrispondenti al 5%
dell’offerta, a titolo di imprevisti e spese
generali;
c) euro 27.200,00 ed euro 35.340,00 per il
mancato ammortamento, rispettivamente, delle
strumentazioni e delle macchine;
d) euro 50.000,00 per danno all’immagine e
per danno curriculare.
In totale, la domanda risarcitoria è stata
determinata in euro 320.539,20 oltre alla
maggiorazione per interessi e rivalutazione
monetaria.
Il Collegio ritiene di dover accogliere
la domanda risarcitoria soltanto nei limiti
di cui appresso.
La perdita di chance va
rapportata in termini percentuali all’utile
in astratto conseguibile in ipotesi di
aggiudicazione della gara ed esecuzione
dell’appalto: utile che, secondo un
consolidato criterio, va presuntivamente
stimato nel 10% dell’importo posto a base
d’asta, ribassato dall’offerta presentata
(Cons. Stato, V, 08.07.2002, n. 3796; IV,
06.07.2004, n. 5012).
Tale quantificazione va qui poi congruamente
ridotta, sia perché si tratta di risarcire
una mera chance di aggiudicazione, sia
perché l’interessata non ha dimostrato di
essere stata nell’impossibilità di
utilizzare, durante il tempo di esecuzione
del servizio per cui è giudizio, mezzi e
maestranze per l’espletamento di altri e
diversi servizi (Cons. Stato, V 24.10.2002, n. 5860; VI,
09.11.2006, n.
6607).
Invero, come di recente rilevato da questa
Sezione (Cons. Stato, VI, 18.03.2011, n.
1681), ad evitare che a seguito del
risarcimento il danneggiato possa
locupletare un effetto finanziario
addirittura migliore rispetto a quello in
cui si sarebbe trovato in assenza
dell'illecito, dal decimo dell’importo così
stimato va detratto quanto percepito
dall’impresa grazie allo svolgimento di
attività lucrative diverse, nel periodo in
cui avrebbe dovuto eseguire l'appalto in
contestazione.
Nondimeno, l'onere di provare (l'assenza
del)l'aliunde perceptum vel percipiendum
grava non sull'Amministrazione, ma
sull'impresa: e ciò in ragione della
presunzione, secondo l'id quod plerumque
accidit, che l'imprenditore normalmente
diligente (cfr. art. 1227 Cod. civ.) non
rimane inerte in caso di mancata
aggiudicazione di un appalto, ma persegue
occasioni contrattuali alternative, dalla
cui esecuzione trae il relativo utile.
Ciò premesso, appare equo riconoscere alla
appellante, a titolo di utile mancato, la
somma di euro 34.668,00 corrispondente al 5%
della offerta presentata in gara dalla
appellante.
La somma appare congrua, avuto riguardo alle
concrete chances di aggiudicazione
(indubbiamente molto alte), alla media degli
utili che le imprese normalmente traggono
dalla partecipazione alle gare (media che
negli ultimi anni si è ridotta, a fronte
della maggiore competitività indotta dalle
accresciute regole di pubblicità imposte
alle stazioni appaltanti).
Inoltre, il Collegio, nel contenere l’entità
del risarcimento da lucro cessante nei
termini percentuali suindicati, non può non
tener conto del fatto che l’appellante non
ha eseguito il servizio e che non ha dato
prova di essere rimasta inerte nel tempo che
avrebbe dovuto impiegare, ove ne fosse
rimasta aggiudicataria, per la esecuzione
del contratto d’appalto.
Tale ultima considerazione, in ordine alla
mancata prova negativa dell’aliunde
perceptum vel percipiendum, dà conto della
mancata liquidazione in favore della
appellante delle ulteriori voci
risarcitorie; in particolare non si può
ritenere spettante alla appellante la somma
richiesta per il mancato ammortamento dei
mezzi e delle attrezzature ovvero a titolo
di danno curriculare (dato che se ha
eseguito altre opere o servizi è in
quell’ambito oggettuale che può imputare gli
ammortamenti ovvero può aver arricchito,
magari in misura maggiore, il suo
curriculum).
Infine non può spettare alcunché a titolo di
imprevisti e spese generali di
partecipazioni, dato che si tratta di poste
insite nel rischio imprenditoriale di chi
partecipa alle commesse pubbliche e che non
ricevono autonoma considerazione neppure in
confronto dell’aggiudicatario (che si
remunera soltanto con gli utili di impresa).
In definitiva, all’appellante spetta la
somma di euro 34.668,00 a titolo di
risarcimento del danno, cui vanno aggiunti,
trattandosi di debito di valore e non di
valuta, gli interessi legali e la
rivalutazione monetaria (da calcolare
separatamente sugli importi nominali del
credito), a decorrere dalla data della
illegittima aggiudicazione e fino al
soddisfo.
Da ultimo il Collegio deve precisare, per
quanto nessuna richiesta di condanna sia
stata articolata nei confronti della
associazione aggiudicataria (pur evocata in
giudizio quale controinteressata), che la
responsabilità civile da illegittima
aggiudicazione, nel caso che ne occupa, ha
natura solidale, in quanto l’errore (pur
inescusabile) della stazione appaltante è
stato indotto dal comportamento della
odierna ati controinteressata, manifestatosi
sia in occasione della domanda partecipativa
(dal cui tenore alcun riferimento
all’istituto della cooptazione poteva
desumersi), sia nella richiamata
comunicazione del 09.10.2006, in cui per
la prima volta compare il riferimento a tale
nuova formula partecipativa, e si realizza
la sostanziale mutazione della veste
soggettiva di partecipazione.
Pertanto, in
base al principio desumibile dall’art. 2055
del codice civile va affermata, ai soli fini
della statuizione di accertamento, la natura
solidale della responsabilità civile di che
trattasi, e ciò anche ai fini dell’eventuale
azione di regresso che la stazione
appaltante potrà intraprendere per
rivalersi, nel concorso di tutte le
ulteriori condizioni legittimanti, nei
confronti della società beneficiaria degli
atti illegittimi e che ha indotto alla loro
emanazione (cfr. l’art. 41, comma 2, ultima
parte, del Codice per il processo
amministrativo) (Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza
13.01.2012 n.
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EDILIZIA PRIVATA:
La ricostruzione di
un rudere non è ascrivibile ad ipotesi di
ristrutturazione edilizia e meno che meno di
risanamento conservativo, integrando in
sostanza un'attività di nuova costruzione,
attesa la mancanza di elementi sufficienti a
testimoniare le dimensioni e le
caratteristiche dell'edificio da recuperare.
Intanto può
attuarsi un intervento di ristrutturazione
edilizia (di demolizione e ricostruzione) in
quanto esista un organismo edilizio dotato
di mura perimetrali, strutture orizzontali e
copertura in stato di conservazione tale da
consentire la sua fedele ricostruzione,
mentre non è ravvisabile siffatto intervento
nei confronti di ruderi o edifici da tempo
demoliti, attesa la mancanza di elementi
sufficienti a testimoniare le dimensioni e
le caratteristiche dell'edificio da
recuperare, configurandosi in
quest'evenienza, invero, un intervento di
nuova costruzione, assoggettato ai limiti
stabiliti dalla vigente disciplina
urbanistica.
I
lavori di rifacimento di un rudere sono
qualificabili come nuova costruzione;
infatti, manca la possibilità di procedere
con certezza alla ricognizione delle
strutture portanti dell'edificio ormai
irriconoscibile.
Rispetto ad una costruzione che sia ridotta
allo stato di un rudere non è possibile
compiere una valutazione in termini di
compatibilità delle caratteristiche planovolumetriche tra lo stato dell'edificio
prima e dopo l'intervento di riedificazione,
per cui appare chiaro che la ricostruzione
di un edificio debba essere qualificata come
nuova costruzione, che deve essere assentita
mediante permesso a costruire, ai sensi
degli artt. 10 e 22 comma 3, t.u. 06.06.2001 n. 380.
In materia edilizia, la ricostruzione di un
rudere costituisce nuova costruzione in
quanto il concetto di ristrutturazione
edilizia richiede la preesistenza di un
fabbricato da ristrutturare, inteso quale
organismo edilizio dotato di elementi
strutturali, quali muri perimetrali,
strutture orizzontali e copertura, in
assenza dei quali non è possibile valutare
l'esistenza e la consistenza dell'edificio
stesso.
Entrando direttamente nel merito della questione concernente il regime
giuridico dettato per la ricostruzione di
edifici crollati (cd. ruderi), si deve
precisare quanto segue.
In Sicilia, sulla base della normativa
contenuta nell’art. 20, lett. c e d, della
L.R. 71/1978 (tuttora vigente) si distingue
tra interventi di “restauro e risanamento
conservativo”, da una parte, e di
“ristrutturazione edilizia”, dall’altra.
La giurisprudenza, da tempo, ritiene che
“Dall'analisi di tale disposizione [lett. c,
dell’art. 20, n.d.r.] e dal raffronto della
disposizione stessa con quella della
successiva lettera d) discende che gli
interventi edilizi che non comportino la
realizzazione di un organismo edilizio in
tutto o in parte diverso debbano rientrare
nella nozione di restauro e risanamento
conservativo, e ciò anche nel caso limite in
cui del fabbricato originario sia rimasto
soltanto poco più delle fondazioni.” (CGA,
parere n. 151/1989), e ciò in quanto la
caratteristica tipica del restauro e del
risanamento conservativo siano da
individuare nel “rispetto degli elementi
tipologici, formali e strutturali
dell'organismo edilizio” (CGA sentenza n.
356/1994; Tar Catania 176/2007).
Per contro,
in sintonia con la ratio che ispira le
predette decisioni, si è affermato che
“Necessita di concessione edilizia, non
potendosi qualificare intervento di
manutenzione o di conservazione, ai sensi
dell'art. 20, lett. c), della legge
regionale 27.12.1978 n. 71, la
ricostruzione, a seguito dell'intervenuto
crollo, della vecchia costruzione, mediante
riedificazione di strutture radicalmente e
qualitativamente diverse da quelle
preesistenti” (Tar Catania, 975/1994).
Dalle illustrate decisioni si può trarre il
principio per cui la qualificazione
giuridica dell’intervento edilizio è
determinata dalla circostanza che il
progetto preveda o meno la realizzazione di
un edificio identico a quello preesistente.
Ove tale condizione ricorra, si adopererà lo
strumento del restauro e risanamento
conservativo; si tratterà di
ristrutturazione, invece, nel caso inverso.
Data questa premessa, allora, si può fare un
ulteriore passo avanti ed affermare che la
distinzione riportata sia valida –non solo
nei casi di interventi eseguiti su edifici
esistenti che si intende rimaneggiare, ma-
anche nelle ipotesi in cui l’oggetto
dell’attività edilizia sia precedentemente
demolito, o sia comunque crollato. La
ricostruzione di un edificio del tutto nuovo
e diverso da quello crollato richiederà una
nuova concessione; la ricostruzione fedele
del rudere, nel rispetto delle
caratteristiche formali e dimensionali
precedenti, sarà eseguibile sotto forma di
restauro e risanamento conservativo.
Deve essere però precisato che –in
quest’ultimo caso– la ricostruzione fedele
presuppone che vi sia certezza in ordine
alla caratteristiche dimensionali e formali
dell’edificio in rovina, in modo che possa
essere realizzata una sua fedele
ricostruzione. Quindi, ciò che rileva ai
fini dell’utilizzo dell’istituto del
restauro e risanamento conservativo è che
siano individuabili, od evincibili aliunde,
gli elementi compositivi della struttura da
ricostruire che ne rendono possibile la
fedele ricostruzione, restando marginale il
fatto che allo stato l’edificio si presenti
sotto forma di rudere.
Il principio appena affermato si ricava a
contrario anche dalla seguente
giurisprudenza formatasi con riguardo alla
legislazione nazionale:
- “La ricostruzione di
un rudere non è ascrivibile ad ipotesi di
ristrutturazione edilizia e meno che meno di
risanamento conservativo, integrando in
sostanza un'attività di nuova costruzione,
attesa la mancanza di elementi sufficienti a
testimoniare le dimensioni e le
caratteristiche dell'edificio da recuperare”
(Tar Napoli, 1286/2010);
- “Intanto può
attuarsi un intervento di ristrutturazione
edilizia (di demolizione e ricostruzione) in
quanto esista un organismo edilizio dotato
di mura perimetrali, strutture orizzontali e
copertura in stato di conservazione tale da
consentire la sua fedele ricostruzione,
mentre non è ravvisabile siffatto intervento
nei confronti di ruderi o edifici da tempo
demoliti, attesa la mancanza di elementi
sufficienti a testimoniare le dimensioni e
le caratteristiche dell'edificio da
recuperare, configurandosi in
quest'evenienza, invero, un intervento di
nuova costruzione, assoggettato ai limiti
stabiliti dalla vigente disciplina
urbanistica” (Tar Venezia, 1667/2008);
- “I
lavori di rifacimento di un rudere sono
qualificabili come nuova costruzione;
infatti, manca la possibilità di procedere
con certezza alla ricognizione delle
strutture portanti dell'edificio ormai
irriconoscibile.” (Tar Trieste, 749/2007);
- “Rispetto ad una costruzione che sia ridotta
allo stato di un rudere non è possibile
compiere una valutazione in termini di
compatibilità delle caratteristiche planovolumetriche tra lo stato dell'edificio
prima e dopo l'intervento di riedificazione,
per cui appare chiaro che la ricostruzione
di un edificio debba essere qualificata come
nuova costruzione, che deve essere assentita
mediante permesso a costruire, ai sensi
degli artt. 10 e 22 comma 3, t.u. 06.06.2001 n. 380.” (Tar Catanzaro, 1486/2007);
- “In materia edilizia, la ricostruzione di un
rudere costituisce nuova costruzione in
quanto il concetto di ristrutturazione
edilizia richiede la preesistenza di un
fabbricato da ristrutturare, inteso quale
organismo edilizio dotato di elementi
strutturali, quali muri perimetrali,
strutture orizzontali e copertura, in
assenza dei quali non è possibile valutare
l'esistenza e la consistenza dell'edificio
stesso” (Cass. pen., III; 20776/2006).
Le riportate massime sono tutte accomunate
dall’idea che la riedificazione di un rudere
richieda necessariamente l’istituto della
concessione per nuova costruzione, in
considerazione della obbiettiva
impossibilità di valutare la consistenza
dell’originario edificio. Se ne può
ricavare, a contrario, che valgano invece le
regole dettate in tema di ristrutturazione
(tramite ricostruzione) ove le dimensioni e
la forma del preesistente edificio siano in
qualche maniera ricavabili ab externo (anche
se ciò, probabilmente, costituisce una
eventualità non frequente) (TAR Sicilia-Catania, Sez. I,
sentenza 13.01.2012 n. 73 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Nel caso di A.T.I. costituenda,
la garanzia deve essere intestata a tutte le
associate, che sono individualmente
responsabili delle dichiarazioni rese per la
partecipazione alla gara, perché
diversamente verrebbe a configurarsi una
carenza di garanzia per la stazione
appaltante, quante volte l'inadempimento non
dipenda dalla capogruppo designata, ma dalle
mandanti; la fideiussione deve dunque
richiamare la natura collettiva della
partecipazione e deve garantire non solo la
mancata sottoscrizione del contratto, ma
anche ogni altro obbligo derivante dalla
partecipazione alla gara.
... CONSIDERATO che secondo orientamento giurisprudenziale uniforme nel caso
di A.T.I. costituenda, la garanzia deve
essere intestata a tutte le associate, che
sono individualmente responsabili delle
dichiarazioni rese per la partecipazione
alla gara, perché diversamente verrebbe a
configurarsi una carenza di garanzia per la
stazione appaltante, quante volte
l'inadempimento non dipenda dalla capogruppo
designata, ma dalle mandanti; la
fideiussione deve dunque richiamare la
natura collettiva della partecipazione e
deve garantire non solo la mancata
sottoscrizione del contratto, ma anche ogni
altro obbligo derivante dalla partecipazione
alla gara (Cons. Stato Ad. Plen. 8/2005;
Cons. Stato, Sez. V, 02.11.2011 n.
5841; TAR Sicilia Catania, sez. IV, 14.09.2007,
n. 1418 e 05.10.2006, n. 1618) (TAR Sicilia-Catania, Sez. I,
sentenza 13.01.2012 n. 70 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La presentazione dell'istanza di
sanatoria edilizia, anteriormente alla
impugnazione dell'ordinanza di demolizione
(o del provvedimento di irrogazione delle
altre sanzioni per abusi edilizi) produce
l'effetto di rendere inammissibile
l'impugnazione stessa, per carenza di
interesse, in quanto dall’istanza consegue
la perdita di efficacia di tale ordinanza ed
il riesame dell'abusività dell'opera, sia
pure al fine di verificarne la eventuale
sanabilità, provocato dalla domanda di
sanatoria, comporta la necessaria formazione
di un nuovo provvedimento, esplicito od
implicito (di accoglimento o di rigetto),
che vale comunque a superare il
provvedimento sanzionatorio oggetto
dell'impugnativa.
Il ricorso giurisdizionale avverso un
provvedimento sanzionatorio proposto
successivamente all'istanza di concessione
in sanatoria, è inammissibile per carenza di
interesse, “spostandosi” l'interesse del
responsabile dell'abuso edilizio
dall'annullamento del provvedimento
medesimo, all'eventuale annullamento del
provvedimento (esplicito o implicito) di
rigetto, in seguito al quale
l’Amministrazione è tenuta ad emanare nuove
misure sanzionatorie, con l’assegnazione, in
tal caso, di un nuovo termine per adempiere.
Considerato:
- che, secondo giurisprudenza ormai
consolidata di questo Tribunale (cfr., per
tutte TAR Sicilia, Palermo, Sez. II, 12.05.2011, n. 6700 e 23.06.2011, n.
1171 ) la presentazione dell'istanza di
sanatoria edilizia, anteriormente alla
impugnazione dell'ordinanza di demolizione
(o del provvedimento di irrogazione delle
altre sanzioni per abusi edilizi) produce
l'effetto di rendere inammissibile
l'impugnazione stessa, per carenza di
interesse, in quanto dall’istanza consegue
la perdita di efficacia di tale ordinanza ed
il riesame dell'abusività dell'opera, sia
pure al fine di verificarne la eventuale
sanabilità, provocato dalla domanda di
sanatoria, comporta la necessaria formazione
di un nuovo provvedimento, esplicito od
implicito (di accoglimento o di rigetto),
che vale comunque a superare il
provvedimento sanzionatorio oggetto
dell'impugnativa (cfr., altresì, Cons.
Stato, sez. V, 21.04.1997, n. 3563; sez. IV, 11.12.1997, n. 1377; C.G.A. 27.05.1997, n. 187; TAR Toscana, sez. III, 18.12.2001, n. 2024; TAR
Puglia, Bari, sez. II, 11.01.2002, n.
154; TAR Campania, Sez. III, 02.03.2004, n. 2579; sez. IV, 18.03.2005, n.
1835; TAR Sicilia, sez. II, 16.03.2004, n. 499, 16.07.2008, n. 921);
- che, pertanto, il ricorso giurisdizionale
avverso un provvedimento sanzionatorio
proposto successivamente all'istanza di
concessione in sanatoria, è inammissibile
per carenza di interesse, “spostandosi”
l'interesse del responsabile dell'abuso
edilizio dall'annullamento del provvedimento
medesimo, all'eventuale annullamento del
provvedimento (esplicito o implicito) di
rigetto (Cons. Stato, sez. V, 04.08.2000,
n. 4305; TAR Sicilia, Catania, Sez. II,
16.03.1991, n. 67, Palermo, Sez. II, 27.03.2002, n. 826; TAR Campania, Sez. IV,
24.09.2002, n. 5559; TAR Lazio,
sez. II-ter, 04.11.2005, n. 10412), in
seguito al quale l’Amministrazione è tenuta
ad emanare nuove misure sanzionatorie, con
l’assegnazione, in tal caso, di un nuovo
termine per adempiere (in tal senso, TAR
Lazio, sez. II, 17.01.2001, n. 230;
TAR Sicilia, Catania, Sez. I, 12.12.2001, n. 2424; TAR Campania, sez. IV, 26.07.2002, n. 4399; TAR Sicilia,
Palermo, Sez. II, 17.05.2005, n. 751, 20.01.2010, n. 588; sez. III, 11.07.2005,
n. 1197) (TAR Sicilia-Palermo, Sez. II,
sentenza 13.01.2012 n. 50 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
L'avvenuto sequestro penale del
manufatto, che renderebbe, secondo la
ricorrente, impossibile l'ottemperanza
all'ingiunzione di demolizione, non può
impedire il valido esercizio del potere di
repressione dell'abuso in argomento,
considerato che l'esistenza del sequestro
non rende illegittimo l'ordine di
demolizione di cui all'art. 31 del t.u.
06.06.2001 n. 380, ben potendo il
destinatario chiedere al giudice penale il
dissequestro delle opere al fine di
ottemperare all'ordine, perché altrimenti
sarebbe irragionevole che il provvedimento
giudiziario, imposto per garantire
l'integrità e la non sottrazione del corpo
del reato, diventi schermo protettivo
dell'inerzia del privato che ha compiuto
l'opera abusiva, andando quindi a suo
vantaggio.
... Ritenuto che l'avvenuto sequestro penale
del manufatto, che renderebbe, secondo la
ricorrente, impossibile l'ottemperanza
all'ingiunzione di demolizione, non può
impedire il valido esercizio del potere di
repressione dell'abuso in argomento,
considerato che, come da pacifica
giurisprudenza (cfr. TAR Sicilia, Sezione II, 10.05.2007, n. 1334; TAR
Campania, Sezione II, 14.02.2011, n. 928 e
30.10.2006, n. 9243), l'esistenza del
sequestro non rende illegittimo l'ordine di
demolizione di cui all'art. 31 del t.u.
06.06.2001 n. 380, ben potendo il
destinatario chiedere al giudice penale il
dissequestro delle opere al fine di
ottemperare all'ordine, perché altrimenti
sarebbe irragionevole che il provvedimento
giudiziario, imposto per garantire
l'integrità e la non sottrazione del corpo
del reato, diventi schermo protettivo
dell'inerzia del privato che ha compiuto
l'opera abusiva, andando quindi a suo
vantaggio (TAR Sicilia-Palermo, Sez. II,
sentenza 13.01.2012 n. 49 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Va sottratto all'accesso il
parere espresso dal Dirigente dell’Ufficio
Urbanistica qualora lo stesso interveniva
nella definizione della strategia difensiva
del Comune riguardo alla proposizione
dell’appello contro la sentenza del TAR,
analogamente ai pareri legali in senso
stretto.
Per quanto concerne il parere espresso dal
Dirigente dell’Ufficio Urbanistica in data
26.05.2011 prot. 18912, va osservato che lo
stesso interveniva nella definizione della
strategia difensiva del Comune riguardo alla
proposizione dell’appello contro la sentenza
di questo Tribunale n. 173/2011, per cui va
sottratto all’accesso analogamente ai pareri
legali in senso stretto (quale, ad esempio,
il parere espresso dall’Avv. Mastri e
acquisito al prot. 18792 del 25.05.2011),
secondo l’orientamento assunto, al riguardo,
dalla giurisprudenza amministrativa (cfr.
Cons. Stato, Sez. VI, 30.09.2010 n. 7237;
Sez. IV, 13.10.2003 n. 6200; Sez. V,
02.04.2001 n. 1893) (TAR Marche,
sentenza 13.01.2012 n.
46 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La ricostruzione a seguito di crollo non pare concettualmente
sovrapponibile alla demolizione e
ricostruzione ammesse nell’ambito della
ristrutturazione edilizia di cui all’art. 3,
comma 1, lett. d), del d.P.R. n. 380/2001,
in quanto nella prima ipotesi mancano,
all’evidenza, elementi sufficienti a
testimoniare le dimensioni e le
caratteristiche dell’edificio “da
ristrutturare”.
Se l’edificio non è in tutto o in parte
fisicamente esistente al momento
dell’intervento richiesto (o, come nella
specie, al momento dell’esecuzione
dell’intervento abusivo), questo non può che
essere classificato come nuova costruzione.
Un edificio può, infatti, dirsi esistente in
quanto “esista un organismo edilizio, seppur
non necessariamente abitato od abitabile,
connotato nei suoi caratteri essenziali,
dotato di mura perimetrali, strutture
orizzontali e copertura in stato di
conservazione tale da consentire la sua
(fedele) ricostruzione”.
La ricostruzione a seguito di crollo non pare concettualmente
sovrapponibile alla demolizione e
ricostruzione ammesse nell’ambito della
ristrutturazione edilizia di cui all’art. 3,
comma 1, lett. d), del d.P.R. n. 380/2001,
in quanto nella prima ipotesi mancano,
all’evidenza, elementi sufficienti a
testimoniare le dimensioni e le
caratteristiche dell’edificio “da
ristrutturare”.
Se l’edificio non è in tutto o in parte
fisicamente esistente al momento
dell’intervento richiesto (o, come nella
specie, al momento dell’esecuzione
dell’intervento abusivo), questo non può che
essere classificato come nuova costruzione.
Un edificio può, infatti, dirsi esistente in
quanto “esista un organismo edilizio, seppur
non necessariamente abitato od abitabile,
connotato nei suoi caratteri essenziali,
dotato di mura perimetrali, strutture
orizzontali e copertura in stato di
conservazione tale da consentire la sua
(fedele) ricostruzione” (ex multis C.d.S.,
V, 10.02.2004, n. 475) (TAR Piemonte, Sez. II,
sentenza 12.01.2012 n. 62 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA: Il
ricorso avverso le disposizioni di p.r.g. va
notificato, oltre che al Comune, anche alla
Regione, in considerazione della natura
complessa dell'atto impugnato e del concorso
della volontà di entrambi gli enti alla sua
formazione definitiva; l'omesso assolvimento
di tale onere implica l'inammissibilità del
ricorso, per la sua mancata notificazione ad
una delle autorità emananti.
La giurisprudenza è concorde nel ritenere che il ricorso
avverso le disposizioni di p.r.g. vada
notificato, oltre che al Comune, anche alla
Regione, in considerazione della natura
complessa dell'atto impugnato e del concorso
della volontà di entrambi gli enti alla sua
formazione definitiva (Cons. Stato, sez. II,
12.12.1990, n. 358), e che l'omesso
assolvimento di tale onere implichi
l'inammissibilità del ricorso, per la sua
mancata notificazione ad una delle autorità
emananti (Cons. Stato, sez. V, 19.05.1998,
n. 616; TAR Lombardia, Milano, sez. II,
17.09.2009 n. 4667)
(TAR Piemonte, Sez. II,
sentenza 12.01.2012 n. 51 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
ristrutturazione edilizia consiste in
interventi di trasformazione di un immobile
nel suo complesso, il che non si configura
per un immobile che prima sia crollato o sia
stato demolito, quando ci sia soluzione di
continuità temporale (in questo caso di
diversi anni) tra il crollo e la
presentazione del progetto.
---------------
La errata o insufficiente (non importa se
dolosa o colposa) rappresentazione di
circostanze di fatto esposte nella domanda e
relativi allegati di concessione edilizia
posta alla base dell’atto della concessione
edilizia, che diversamente non sarebbe stata
rilasciata, costituisce da sola ragione
sufficiente per giustificare un
provvedimento di annullamento di ufficio
della concessione medesima, tanto che in
tale situazione si può prescindere dal
contemperamento con un interesse pubblico
attuale e concreto.
Da un
lato, come affermato dall’orientamento
giurisprudenziale cui il Collegio ritiene di
aderire, “la ristrutturazione edilizia …
consiste in interventi di trasformazione di
un immobile nel suo complesso, il che non si
configura per un immobile che prima sia
crollato o sia stato demolito” (cfr. Cons.
St., sez. IV, 05.07.2000, n. 3735), quando ci
sia soluzione di continuità temporale (in
questo caso di diversi anni) tra il crollo e
la presentazione del progetto (cfr. TAR
Veneto, sez. II, 31.10.2007 n. 3493),
dall’altro “la errata o insufficiente (non
importa se dolosa o colposa)
rappresentazione di circostanze di fatto
esposte nella domanda e relativi allegati di
concessione edilizia posta alla base
dell’atto della concessione edilizia, che
diversamente non sarebbe stata rilasciata,
costituisce da sola ragione sufficiente per
giustificare un provvedimento di
annullamento di ufficio della concessione
medesima, tanto che in tale situazione si
può prescindere dal contemperamento con un
interesse pubblico attuale e concreto”
(Cons. St., sez. IV, 24.12.2008, n. 6554;
cfr. anche TAR Lombardia, Brescia,
20.11.2002 n. 1881; TAR Puglia, Lecce, sez.
I, 04.04.2006 n. 1831)
(TAR Piemonte, Sez. II,
sentenza 12.01.2012 n. 51 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
mancata indicazione dell'area di sedime, che
verrebbe acquisita nell'ipotesi di
inottemperanza all'ordine di demolizione,
non costituisce elemento essenziale
dell'ingiunzione a demolire, sì da
determinarne, in caso di assenza,
l’illegittimità (o la nullità), in quanto
tale indicazione appartiene al successivo
atto di accertamento dell'inottemperanza e
di acquisizione gratuita al patrimonio
comunale.
L'acquisizione gratuita non costituisce
sanzione accessoria alla demolizione, volta
a colpire l'esecutore delle opere abusive,
ma si configura quale sanzione autonoma che
consegue all'inottemperanza all'ingiunzione
di demolizione. L'inottemperanza integra,
infatti, un illecito diverso ed autonomo
dalla commissione dell'abuso edilizio, del
quale può rendersi responsabile anche il
proprietario, qualora risulti che abbia
acquistato o riacquistato la disponibilità
del bene e non si sia attivato per dare
esecuzione all'ordine di demolizione, o
qualora emerga che, pur essendo in grado di
dare esecuzione all'ingiunzione, non vi
abbia comunque provveduto.
----------------
L'ordine di demolizione di opere edilizie
abusive e i successivi provvedimenti
connessi e/o conseguenti non devono essere
preceduti dall'avviso di cui all’art. 7
della L. n. 241/1990, in quanto trattasi di
atti dovuti, che vengono emessi quale
sanzione, rispettivamente, per
l’accertamento dell’inosservanza di
disposizioni urbanistiche e per
l’inottemperanza dell’ingiunzione di rimessa
in pristino, secondo un procedimento di
natura vincolata, disciplinato rigidamente
dalla legge.
---------------
Nel percorso argomentativo dell’ordine di
demolizione non è necessaria alcuna
specificazione ulteriore rispetto alla presa
d'atto dell'abusività dell'opera. Infatti, i
provvedimenti di demolizione di opere
abusive sono atti dovuti, sufficientemente
motivati con l’affermazione dell’accertata
realizzazione di interventi edilizi in
carenza del titolo abilitativo richiesto
dalla legge. Di conseguenza, in relazione a
provvedimenti di tal genere, l’obbligo di
motivazione è da intendere nella sua
essenzialità ovvero è da intendere assolto
con l’indicazione dei meri presupposti di
fatto (constatazione dell’esecuzione di
opere edilizie in difformità del permesso di
costruire o in assenza del medesimo), che
poi determinano l’applicazione dovuta delle
misure ripristinatorie previste.
L’acquisizione al patrimonio del Comune di
un'opera abusivamente realizzata ha come
unico presupposto l'accertata inottemperanza
ad un ordine di demolizione del manufatto
abusivo, di cui è meramente dichiarativo,
con la conseguenza che, essendo atto dovuto,
è sufficientemente motivato con
l'affermazione dell'accertata
inottemperanza, essendo "in re ipsa"
l'interesse pubblico alla sua adozione.
Inoltre, la norma non richiede né che lo
svolgimento del sopralluogo, attraverso il
quale viene accertata l’inottemperanza
all’ordine di demolizione, venga effettuato
in contraddittorio, né che il verbale di
sopralluogo debba essere comunicato
all’interessato, essendo, invero, necessario
solo che l’accertamento dell'inottemperanza
all’ingiunzione a demolire venga a questi
notificato.
Secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, al quale questo
Collegio aderisce, la mancata indicazione
dell'area di sedime, che verrebbe acquisita
nell'ipotesi di inottemperanza all'ordine di
demolizione, non costituisce elemento
essenziale dell'ingiunzione a demolire, sì
da determinarne, in caso di assenza,
l’illegittimità (o la nullità), in quanto
tale indicazione appartiene al successivo
atto di accertamento dell'inottemperanza e
di acquisizione gratuita al patrimonio
comunale (ex multis C.d.S., IV, 26.09.2008, n. 4659; TAR Lombardia, Milano,
09.03.2011, n. 644; TAR Piemonte, I, 24.03.2010, n. 1577; TAR Puglia, Bari, III,
23.06.2010, n. 2606; Tar Campania,
Napoli, III 12.03.2010, n. 1420, Tar
Lazio, Latina, I, 06.08.2009, n. 780; Tar
Veneto, II, 10.06.2009, n. 1725; Tar
Umbria, 26.01.2007, n. 44).
Devesi, infatti, osservare che, come si
ricava dalla costante interpretazione della
norma di cui all’art. 31, comma 3 del d.P.R.
n. 380 del 2001, “L'acquisizione gratuita
non costituisce sanzione accessoria alla
demolizione, volta a colpire l'esecutore
delle opere abusive, ma si configura quale
sanzione autonoma che consegue
all'inottemperanza all'ingiunzione di
demolizione. L'inottemperanza integra,
infatti, un illecito diverso ed autonomo
dalla commissione dell'abuso edilizio, del
quale può rendersi responsabile anche il
proprietario, qualora risulti che abbia
acquistato o riacquistato la disponibilità
del bene e non si sia attivato per dare
esecuzione all'ordine di demolizione, o
qualora emerga che, pur essendo in grado di
dare esecuzione all'ingiunzione, non vi
abbia comunque provveduto” (TAR Lazio,
Roma, I-quater, 07.10.2011, n. 7819 e
la giurisprudenza ivi citata della sezione;
id. 22.12.2010, n. 38200; TAR
Lombardia, II, 29.04.2009, n. 3597), con la
conseguenza che soltanto una volta che sia
accertata l’inottemperanza all’ordine di
demolire potrà seguire l’acquisizione al
patrimonio.
-------------
L'ordine di demolizione di opere edilizie
abusive e i successivi provvedimenti
connessi e/o conseguenti non devono essere
preceduti dall'avviso di cui all’art. 7
della L. n. 241/1990, in quanto trattasi di
atti dovuti, che vengono emessi quale
sanzione, rispettivamente, per
l’accertamento dell’inosservanza di
disposizioni urbanistiche e per
l’inottemperanza dell’ingiunzione di rimessa
in pristino, secondo un procedimento di
natura vincolata, disciplinato rigidamente
dalla legge (ex multis C.d.S, IV, 26.09.2008, n. 465; TAR Lombardia,
Brescia, I, 17.01.2011, n. 69; Tar
Campania, Napoli, IV, 10.12.2007, n.
15871).
Va, in ogni caso, evidenziato che, nel caso
specifico, il ricorrente è venuto a
conoscenza dell’avvio del procedimento
sanzionatorio di rimessa in pristino e del
possibile avvio del sub-procedimento volto
all’acquisizione a titolo gratuito al
patrimonio del Comune del bene e delle aree
indicate al comma 3 del citato art. 31 del
d.P.R. n. 380 del 2001 in forza della
comunicazione in data 21.01.2008 – prot.
n. 3741, che, peraltro, riconosce esistente.
Tale comunicazione, inviata a seguito
dell’accertata esecuzione di opere “in
assenza del prescritto provvedimento
abilitativo edilizio”, non poteva,
invero, che preludere all’adozione di
un’ordinanza di rimozione o di demolizione
e, in caso di sua inottemperanza,
all’acquisizione gratuita di cui s’è detto,
atteso che queste sono le conseguenze
sanzionatorie tipizzate dal legislatore per
siffatte ipotesi.
---------------
La giurisprudenza afferma che nel
percorso argomentativo dell’ordine di
demolizione non è necessaria alcuna
specificazione ulteriore rispetto alla presa
d'atto dell'abusività dell'opera [cfr. sul
punto, anche qui ex plurimis, TAR Lazio, I-quater, 14.01.2008 n. 174: "i
provvedimenti di demolizione di opere
abusive sono atti dovuti, sufficientemente
motivati con l’affermazione dell’accertata
realizzazione di interventi edilizi in
carenza del titolo abilitativo richiesto
dalla legge. Di conseguenza, in relazione a
provvedimenti di tal genere, l’obbligo di
motivazione è da intendere nella sua
essenzialità ovvero è da intendere assolto
con l’indicazione dei meri presupposti di
fatto (constatazione dell’esecuzione di
opere edilizie in difformità del permesso di
costruire o in assenza del medesimo), che
poi determinano l’applicazione dovuta delle
misure ripristinatorie previste"]; nello
stesso senso TAR Campania, Napoli, II, 13.10.2008 n. 15498).
Analoghe considerazioni possono essere
estese, ad avviso di questo Collegio, al
provvedimento ora in esame, in quanto
l’acquisizione al patrimonio del Comune di
un'opera abusivamente realizzata ha come
unico presupposto l'accertata inottemperanza
ad un ordine di demolizione del manufatto
abusivo, di cui è meramente dichiarativo,
con la conseguenza che, essendo atto dovuto,
è sufficientemente motivato con
l'affermazione dell'accertata
inottemperanza, essendo "in re ipsa"
l'interesse pubblico alla sua adozione.
Inoltre, la norma non richiede né che lo
svolgimento del sopralluogo, attraverso il
quale viene accertata l’inottemperanza
all’ordine di demolizione, venga effettuato
in contraddittorio, né che il verbale di
sopralluogo debba essere comunicato
all’interessato, essendo, invero, necessario
solo che l’accertamento dell'inottemperanza
all’ingiunzione a demolire venga a questi
notificato (cfr. art. 31, comma 4, d.P.R. n.
380/2001)
(TAR Piemonte, Sez. II,
sentenza 12.01.2012 n. 35 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
natura vincolata dell'ordine di demolizione
comporta che esso non richiede una specifica
valutazione delle ragioni di interesse
pubblico né una comparazione di quest'ultimo
con gli interessi privati coinvolti e
sacrificati né una motivazione sulla
sussistenza di un interesse pubblico
concreto ed attuale alla demolizione, non
potendo ammettersi l'esistenza di alcun
affidamento tutelabile alla conservazione di
una situazione di fatto abusiva che il tempo
non può giammai legittimare.
L’orientamento da ultimo riferito è
meritevole di apprezzamento nella misura in
cui chiarisce come il semplice decorso del
tempo, unitamente all’inerzia dei pubblici
poteri preposti alla repressione degli abusi
edilizi, non valga a generare alcuna
aspettativa o legittimo affidamento in capo
al contravventore, ossia al soggetto che ha
posto in essere l’abuso edilizio, ma solo un
consolidamento della sua posizione che viene
necessariamente meno a fronte dell’interesse
della collettività al ripristino
dell’assetto del territorio preesistente
all’abuso.
Una diversa valutazione si
impone, invece, qualora vengano in rilievo
altri fattori idonei a fondare la buona fede
del privato, quale fonte di un affidamento
meritevole di tutela.
Infatti, nel caso in cui il proprietario
dell'immobile risulti estraneo alla
realizzazione delle opere abusive, essendo
state acquistate 30 anni dopo la
realizzazione delle stesse, lo stesso
proprietario può non essere consapevole del
contrasto delle opere eseguite rispetto al
titolo edilizio ottenuto molti anni addietro
da terze persone e, per l’effetto, può
ipotizzarsi in capo ad essa un legittimo
affidamento in ordine al mantenimento del
fabbricato edificato in difformità dal
titolo abilitativo.
Appare pertanto individuabile un obbligo del
Comune di motivare il sacrificio
dell’affidamento del privato con ragioni di
interesse pubblico prevalenti e ulteriori
rispetto al mero ripristino della legalità
violata.
---------------
L’autonoma sanzione, destinata a trovare
applicazione nel caso di inottemperanza
all’ingiunzione di demolizione,
rappresentata dall’acquisizione gratuita
dell’area di sedime al patrimonio comunale
(ex III comma dell’art. 7 della legge n.
47/1985) si riferisce esclusivamente al
responsabile dell'abuso e non può operare
nella sfera giuridica di altri soggetti e,
in particolare, nei confronti del
proprietario dell'area quando risulti, in
modo inequivocabile, la sua completa
estraneità al compimento dell'opera abusiva.
--------------
Gli illeciti edilizi rivestono carattere
permanente e la relativa attività di
repressione non è soggetta ad alcun termine
di decadenza o di prescrizione.
In ragione del contenuto rigidamente
vincolato che li caratterizza, gli atti
sanzionatori in materia edilizia non
necessitano di essere preceduti dalla
comunicazione di avvio del relativo
procedimento.
Con il secondo motivo, l’esponente denuncia il vizio di eccesso di potere
per carenza di motivazione, non avendo il
Comune di Candelo dato conto dell’interesse
attuale alla rimozione di abusi edilizi
risalenti a circa 30 anni prima
dell’adozione del provvedimento
ripristinatorio, con conseguente radicamento
di un legittimo affidamento in capo
all’odierna proprietaria in ordine al
mantenimento delle opere abusive.
Questo tipo di censura ha ricevuto, nel
corso del tempo, valutazioni non univoche da
parte della giurisprudenza amministrativa.
L’orientamento più risalente, formatosi
sulla scia della decisione dell’Adunanza
plenaria n. 12 del 19.05.1983, riteneva
che il decorso del tempo costituisse
elemento idoneo ad incidere sulla
consistenza del supporto motivazionale dei
provvedimenti sanzionatori in materia
edilizia.
Veniva così affermato che, se gli ordini di
demolizione delle opere abusivamente
realizzate non abbisognano, di norma, di una
specifica motivazione sulle ragioni di
pubblico interesse che ne giustificano
l'emanazione, tale principio incontra
un’eccezione nel caso in cui, a causa del
lungo lasso di tempo trascorso dalla
perpetuata violazione, si fosse creata a
favore del privato una situazione di fatto
del tutto consolidata, per la cui
modificazione l'autorità precedente è tenuta
ad indicare le ragioni che, a distanza di
tempo, giustificano l'adozione della
sanzione.
Tale orientamento è stato fatto proprio
dalla Sezione in molteplici occasioni, anche
recenti, soprattutto a fronte di abusi
edilizi di modesta consistenza (cfr., fra le
altre, la sentenza n. 4052 del 14.12.2005, relativa alla demolizione di una
baracca abusiva in legno la cui costruzione
risaliva a circa 30 anni prima del
provvedimento sanzionatorio, ossia lo stesso
arco di tempo che è trascorso nella
fattispecie che forma oggetto della presente
controversia).
In epoca più recente, si è decisamente
affermato nella giurisprudenza
amministrativa, sia di primo che di secondo
grado, un orientamento ispirato a maggior
rigore, secondo cui la natura vincolata
dell'ordine di demolizione comporta che esso
non richieda una specifica valutazione delle
ragioni di interesse pubblico né una
comparazione di quest'ultimo con gli
interessi privati coinvolti e sacrificati né
una motivazione sulla sussistenza di un
interesse pubblico concreto ed attuale alla
demolizione, non potendo ammettersi
l'esistenza di alcun affidamento tutelabile
alla conservazione di una situazione di
fatto abusiva che il tempo non può giammai
legittimare (cfr., fra le molte, Cons.
Stato, sez. V, 11.01.2011, n. 79).
L’orientamento da ultimo riferito è
meritevole di apprezzamento nella misura in
cui chiarisce come il semplice decorso del
tempo, unitamente all’inerzia dei pubblici
poteri preposti alla repressione degli abusi
edilizi, non valga a generare alcuna
aspettativa o legittimo affidamento in capo
al contravventore, ossia al soggetto che ha
posto in essere l’abuso edilizio, ma solo un
consolidamento della sua posizione che viene
necessariamente meno a fronte dell’interesse
della collettività al ripristino
dell’assetto del territorio preesistente
all’abuso.
Una diversa valutazione si impone,
invece, qualora vengano in rilievo altri
fattori idonei a fondare la buona fede del
privato, quale fonte di un affidamento
meritevole di tutela.
E’ quanto si verifica nella fattispecie
all’esame, atteso che la ricorrente risulta
completamente estranea alla realizzazione
delle opere abusive.
Essa, infatti, ha acquistato l’immobile con
rogito del 1996, mentre le opere in
difformità erano state realizzate dal 1967
al 1968.
Lo stesso provvedimento impugnato,
d’altronde, identifica puntualmente i
responsabili dell’abuso con riferimento ai
soggetti intestatari della licenza edilizia
e committenti dei lavori.
Ne deriva che l’odierna ricorrente poteva
non essere consapevole del contrasto delle
opere eseguite rispetto al titolo edilizio
ottenuto molti anni addietro da terze
persone e, per l’effetto, può ipotizzarsi in
capo ad essa un legittimo affidamento in
ordine al mantenimento del fabbricato
edificato in difformità dal titolo
abilitativo.
Tale valutazione si rafforza alla luce
del particolare valore che il manufatto
riveste per la sua proprietaria, trattandosi
della casa di civile abitazione, nonché
della comprova circa la conformità della
costruzione al progetto approvato costituita
dal certificato di abitabilità rilasciato
nel 1969.
Con riferimento a tali elementi, appare
pertanto individuabile un obbligo del Comune
di motivare il sacrificio dell’affidamento
del privato con ragioni di interesse
pubblico prevalenti e ulteriori rispetto al
mero ripristino della legalità violata.
Il provvedimento impugnato non contiene tale
motivazione, limitandosi all’accertamento
dell’abusività delle opere, e merita,
pertanto, di essere annullato.
---------------
E’
fondato anche l’ottavo motivo di ricorso,
inerente l’autonoma sanzione, destinata a
trovare applicazione nel caso di
inottemperanza all’ingiunzione di
demolizione, rappresentata dall’acquisizione
gratuita dell’area di sedime al patrimonio
comunale.
Tale sanzione, prevista dal terzo comma
dell’art. 7 della legge n. 47/1985, si
riferisce, infatti, esclusivamente al
responsabile dell'abuso e non può operare
nella sfera giuridica di altri soggetti e,
in particolare, nei confronti del
proprietario dell'area quando risulti, in
modo inequivocabile, la sua completa
estraneità al compimento dell'opera abusiva
(cfr., fra le ultime, TAR Campania,
Napoli, sez. II, 20.12.2010, n.
27683).
Questo principio trova puntuale applicazione
nel caso in esame in quanto, come si è già
avuto modo di riferire, la ricorrente ha
acquistato l’immobile molti anni dopo
l’epoca di realizzazione degli abusi e
poteva essere all’oscuro delle difformità
successivamente accertate
dall’amministrazione.
---------------
Gli
illeciti edilizi rivestono carattere
permanente e la relativa attività di
repressione non è soggetta ad alcun termine
di decadenza o di prescrizione (cfr., fra le
molte, TAR Campania, Napoli, sez. VII, 29.07.2010, n. 17176).
La giurisprudenza ha chiarito che, in
ragione del contenuto rigidamente vincolato
che li caratterizza, gli atti sanzionatori
in materia edilizia non necessitano di
essere preceduti dalla comunicazione di
avvio del relativo procedimento (cfr., fra
le ultime, TAR Liguria, sez. I, 22.04.2011,
n. 666) (TAR Piemonte, Sez. I,
sentenza 12.01.2012 n. 20 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA: La destinazione di un’area a zona cimiteriale, operata dallo strumento
urbanistico generale, implica un vincolo di inedificabilità discendente ex lege da
ragioni di tutela dell’igiene pubblica,
quindi avente natura conformativa e non
espropriativa.
La destinazione di un’area a zona cimiteriale, operata dallo strumento
urbanistico generale, implica un vincolo di inedificabilità discendente
ex lege da
ragioni di tutela dell’igiene pubblica,
quindi avente natura conformativa e non
espropriativa (TAR Calabria, Catanzaro,
sez. I, 29.10.2008, n. 1469; Cons.
Stato, sez. IV, 31.07.2007, n. 4259)
(TAR Piemonte, Sez. I,
sentenza 12.01.2012 n. 18 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
La gravità delle condanne è
valutata dalla stazione appaltante e non dal
concorrente. Il quale è dunque tenuto ad
indicare i decreti o le sentenze che lo
riguardano lasciando che sia la stazione
appaltante a valutarne la inerenza
all’appalto e la gravità.
Nel caso descritto, pur se il bando
prevedeva che si dichiarasse espressamente (
quindi non c’era il generico richiamo tout
court all’art. 38 D.lgs163/2006) l’esistenza
di “sentenza di condanna passata in
giudicato o emesso decreto penale di
condanna divenuto irrevocabile, oppure
sentenza di applicazione della pena su
richiesta, ai sensi dell’art. 444 c.p.p.,
per reati gravi in danno dello Stato o della
Comunità che incidono sulla moralità
professionale, anche per soggetti cessati
dalla carica nel triennio precedente la
pubblicazione del bando”,
l’amministratore unico di una società che
aveva chiesto la partecipazione alla gara,
ometteva l’esistenza di una condanna penale
irrevocabile e di una sentenza di
applicazione della pena su richiesta delle
parti per omicidio colposo. Peraltro il
disciplinare di gara comminava l’esclusione
dalla gara nel caso di inesatte o incomplete
dichiarazioni.
Sulla scorta di tali elementi non può
dubitarsi della legittimità del
provvedimento di esclusione dalla gara
disposta dall’amministrazione appaltante a
puntuale previsione della lex specialis,
che non si limitava a richiedere una
generica dichiarazione circa l’insussistenza
delle cause di esclusione di cui
all’articolo 38 del decreto legislativo
12.04.2006, n. 163 (solo in presenza della
quale avrebbe potuto invocarsi la natura
meramente formale della omessa indicazione
dei precedenti penali, giustificandosi la
valutazione di gravità/non gravità dei reati
compiuta direttamente dal concorrente),
imponeva la puntuale dichiarazione di tutte
le condanne penali, riservando alla stazione
appaltante la valutazione di gravità o meno
dell'illecito, al fine della esclusione.
La riscontrata omissione giustifica pertanto
il provvedimento impugnato, giacché la causa
di esclusione non è solo quella,
sostanziale, dell'essere stata commessa una
grave violazione, ma anche quella, formale,
di aver omesso una dichiarazione prescritta
dal bando (così C.d.S., sez. VI, 21.12.2010,
n. 9324).
Occorre inoltre aggiungere che le
valutazioni in ordine alla gravità delle
condanne riportate dai concorrenti ed alla
loro incidenza sulla moralità professionale
spettano esclusivamente alla stazione
appaltante e non già al concorrente
medesimo, il quale è pertanto tenuto a
indicare tutte le condanne riportate, non
potendo operare a monte alcun «filtro»,
omettendo la dichiarazione di alcune di esse
sulla base di una selezione compiuta secondo
criteri personali (C.d.S., sez. IV,
10.02.2009), dovendo al riguardo precisarsi
che, nel caso di specie, come si è auto modo
di evidenziare, l’amministrazione, sia pur
in modo estremamente sintetico, ha
sicuramente considerato le condanne di cui
era stata omessa l’indicazione, inerenti
all’attività oggetto dell’appalto e quindi
incidenti sulla moralità professionale
(irrilevante al riguardo essendo la dedotta
circostanza che in altra procedura di gara
indetta da altra amministrazione gli stessi
precedenti penali non siano stati ritenuti
ostativi all’aggiudicazione di un appalto)
(commento tratto da
www.documentazione.ancitel.it - Consiglio di
Stato, Sez. V,
sentenza 11.01.2012 n. 84 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Il provvedimento di inquadramento
di pubblici dipendenti è atto autoritativo e,
come tale soggetto a termine decadenziale di
impugnazione; con l'effetto che non si
ammette un'azione volta all'ottenimento di
un diverso inquadramento, se non
tempestivamente proposta avverso il
provvedimento di attribuzione della
qualifica né, tantomeno, come richiesto dal
ricorrente, può trovare ingresso un'azione
di accertamento di qualifica superiore per
superiori mansioni di fatto svolte in quanto
il dipendente è titolare, a fronte della
potestà organizzatoria della p.a., di una
mera posizione di interesse legittimo.
La giurisprudenza amministrativa, nel solco di un orientamento stabile,
ha condivisibilmente avuto modo di affermare
che «…il provvedimento di inquadramento di
pubblici dipendenti è atto autoritativo e,
come tale soggetto a termine decadenziale di
impugnazione; con l'effetto che non si
ammette un'azione volta all'ottenimento di
un diverso inquadramento, se non
tempestivamente proposta avverso il
provvedimento di attribuzione della
qualifica né, tantomeno, come richiesto dal
ricorrente, può trovare ingresso un'azione
di accertamento di qualifica superiore per
superiori mansioni di fatto svolte in quanto
il dipendente è titolare, a fronte della
potestà organizzatoria della p.a., di una
mera posizione di interesse legittimo (Cfr.
da ultimo Consiglio Stato, sez. V, 24.09.2010, n. 7104)…
» (Cons. Stato, Sez. V, 28.02.2011, n.
1251) (TAR Sicilia-Catania, Sez. II,
sentenza 11.01.2012 n. 54 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
procedimento repressivo di abusi edilizi, in
quanto integralmente disciplinato dalla
legge e rigidamente dalla stessa vincolato,
non richiede la previa comunicazione
d’inizio dello stesso e per siffatta ragione
non possono assumere rilievo neanche gli
accenni alla comparazione degli interessi
pubblico e privato coinvolti ed all’esame,
perché non richiesto dal ricorrente, della
conformità o meno delle opere alla normativa urbanistico-edilizia.
La costante giurisprudenza, condivisa da questo Tribunale, ha avuto modo
di affermare che il procedimento repressivo
di abusi edilizi, in quanto integralmente
disciplinato dalla legge e rigidamente dalla
stessa vincolato, non richiede la previa
comunicazione d’inizio dello stesso e per
siffatta ragione non possono assumere
rilievo neanche gli accenni alla
comparazione degli interessi pubblico e
privato coinvolti ed all’esame, perché non
richiesto dal ricorrente, della conformità o
meno delle opere alla normativa urbanistico-edilizia (Cfr. Cons. di Stato –
Sez. IV – 26/09/2008 n. 4659; TAR Campania –
NA – Sez. III – 14/10/2010 n. 19304; id.
Sez. SA – Sez. II – 24/09/2006 n. 1799)
(TAR Campania-Salerno, Sez. II,
sentenza 11.01.2012 n. 27 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA: In
tema di abbandono di rifiuti, la
giurisprudenza amministrativa, in vigenza
dell'art. 14 del D.lgs. n. 22/1997, ha statuito che
il proprietario dell'area sia tenuto a
provvedere allo smaltimento solo a
condizione che ne sia dimostrata almeno la
corresponsabilità con gli autori
dell'illecito abbandono di rifiuti, per aver
posto in essere un comportamento, omissivo o
commissivo, a titolo doloso o colposo,
escludendo conseguentemente che la norma
configuri un'ipotesi legale di
responsabilità oggettiva.
La medesima giurisprudenza afferma, in
particolare, l'illegittimità degli ordini di
smaltimento di rifiuti indiscriminatamente
rivolti al proprietario di un fondo in
ragione della sua sola qualità, ma in
mancanza di adeguata dimostrazione da parte
dell'amministrazione procedente, sulla base
di un'istruttoria completa e di
un'esauriente motivazione (quand'anche
fondata su ragionevoli presunzioni o su
condivisibili massime d'esperienza),
dell'imputabilità soggettiva della condotta.
Altresì, ha ritenuto che i suddetti principi
a fortiori si attagliano anche al disposto
dell'art. 192 del D.lgs. n. 152/2006, dal
momento che tale articolo, non soltanto
riproduce il tenore dell'abrogato art. 14
sopra citato, con riferimento alla
necessaria imputabilità a titolo di dolo o
colpa, ma in più integra il precedente
precetto precisando che l'ordine di
rimozione può essere adottato esclusivamente
“in base agli accertamenti effettuati, in
contraddittorio con i soggetti interessati,
dai soggetti preposti al controllo”,
rimarcando che, in questo modo, il
Legislatore delegato ha inteso rafforzare e
promuovere le esigenze di un'effettiva
partecipazione dei potenziali destinatari
del provvedimento ablatorio personale allo
specifico procedimento.
Ne deriva da ciò che la preventiva, formale
comunicazione dell'avvio del procedimento si
configura attualmente come un adempimento
indispensabile al fine dell'effettiva
instaurazione di un contraddittorio
procedimentale con gli interessati, e che,
nella specifica materia, appaiono recessive
le regole stabilite in via generale dagli
artt. 7 e 21-octies della L. n. 241/1990.
E’ pacifico che in tema di abbandono di rifiuti, la giurisprudenza
amministrativa, già con riferimento alla
misura reintegratoria prevista e
disciplinata dall'art. 14 del D.lgs. n.
22/1997 (c.d. “Decreto Ronchi”), statuì che
il proprietario dell'area fosse tenuto a
provvedere allo smaltimento solo a
condizione che ne fosse dimostrata almeno la
corresponsabilità con gli autori
dell'illecito abbandono di rifiuti, per aver
posto in essere un comportamento, omissivo o
commissivo, a titolo doloso o colposo (v.,
tra le molte, Cons. St., sez. V, 25.01.2005,
n. 136), escludendo conseguentemente che la
norma configurasse un'ipotesi legale di
responsabilità oggettiva (vieppiù, per fatto
altrui).
La medesima giurisprudenza affermò, in
particolare, l'illegittimità degli ordini di
smaltimento di rifiuti indiscriminatamente
rivolti al proprietario di un fondo in
ragione della sua sola qualità, ma in
mancanza di adeguata dimostrazione da parte
dell'amministrazione procedente, sulla base
di un'istruttoria completa e di
un'esauriente motivazione (quand'anche
fondata su ragionevoli presunzioni o su
condivisibili massime d'esperienza),
dell'imputabilità soggettiva della condotta.
La successiva giurisprudenza ha ritenuto che
i suddetti principi a fortiori si attagliano
anche al disposto dell'art. 192 del D.lgs.
n. 152/2006, dal momento che tale articolo,
non soltanto riproduce il tenore
dell'abrogato art. 14 sopra citato, con
riferimento alla necessaria imputabilità a
titolo di dolo o colpa, ma in più integra il
precedente precetto precisando che l'ordine
di rimozione può essere adottato
esclusivamente “in base agli accertamenti
effettuati, in contraddittorio con i
soggetti interessati, dai soggetti preposti
al controllo”, rimarcando che, in questo
modo, il Legislatore delegato ha inteso
rafforzare e promuovere le esigenze di
un'effettiva partecipazione dei potenziali
destinatari del provvedimento ablatorio
personale allo specifico procedimento.
Ne deriva da ciò che la preventiva, formale
comunicazione dell'avvio del procedimento si
configura attualmente come un adempimento
indispensabile al fine dell'effettiva
instaurazione di un contraddittorio
procedimentale con gli interessati, e che,
nella specifica materia, appaiono recessive
le regole stabilite in via generale dagli
artt. 7 e 21-octies della L. n. 241/1990
(TAR Campania-Salerno, Sez. II,
sentenza 11.01.2012 n. 23 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI: La nullità dell’atto amministrativo
costituisce una forma speciale di
invalidità, che si ha nei soli casi (meglio
definiti dal legislatore nell’art. 21-septies l.
07.08.1990 n. 241) in cui sia
specificamente sancita dalla legge, mentre
l’annullabilità costituisce la regola
generale di invalidità , a differenza di
quanto avviene nel diritto civile, dove la
regola generale , in caso di violazione di
norme imperative, è quella della nullità; le
cause di nullità dell’atto amministrativo
elencate nell’art. 21-septies l. 07.08.1990
n. 241 sono tassative.
I termini del procedimento amministrativo,
per come indicati nell’art. 2 l. 07.08.1990 n. 241, vanno qualificati come
ordinatori ove non siano dichiarati
espressamente perentori dalla legge, sicché
la loro violazione non comporta
l’illegittimità dell’atto adottato
tardivamente né, per l’inosservanza del
termine finale, si esaurisce il potere
dell’amministrazione di provvedere.
-------------
L’art. 7 l. 07.08.1990 n. 241, per i
procedimenti non ad istanza di parte e ora
l’art. 10-bis della stessa legge per i
procedimenti ad istanza di parte, sono due
punti particolari di codificazione dei
principi di correttezza e buona andamento
che impongono all’amministrazione di creare
il contraddittorio con i destinatari degli
effetti dei provvedimenti sia al fine di
consentire il diritto di difesa sia per
acquisire ogni utile elemento in modo da
ridurre il rischio di motivazioni
inadeguate, con la conseguenza che è sempre
necessario (tranne nei casi di urgenza) che
l’Amministrazione esponga in anticipo le
proprie ragioni, quantomeno quando l’esito
del procedimento potrebbe essere negativo
per il privato e dia agli interessati la
possibilità di interloquire, con la
precisazione nondimeno che la violazione di
tali garanzie procedimentali tuttavia
condiziona la legittimità del provvedimento
finale solo quando si dimostri che vi è
stato un effettivo travisamento dei fatti
(principio ora esplicitato nell’art.
21-octies, comma 2, secondo periodo, l. n.
241/1990) perché non sarebbe utile, né
economico, annullare un provvedimento che
può essere adottato di nuovo con lo stesso
contenuto.
E’ pacifico in giurisprudenza che:
- la nullità dell’atto amministrativo
costituisce una forma speciale di
invalidità, che si ha nei soli casi (meglio
definiti dal legislatore nell’art. 21-septies l.
07.08.1990 n. 241) in cui sia
specificamente sancita dalla legge, mentre
l’annullabilità costituisce la regola
generale di invalidità , a differenza di
quanto avviene nel diritto civile, dove la
regola generale , in caso di violazione di
norme imperative, è quella della nullità; le
cause di nullità dell’atto amministrativo
elencate nell’art. 21-septies l. 07.08.1990 n. 241 sono tassative (ex multis Cons.
St. Sez. VI 13.06.2007 n. 3173; 22.11.2006 n. 6820);
- i termini del procedimento amministrativo,
per come indicati nell’art. 2 l. 07.08.1990 n. 241, vanno qualificati come
ordinatori ove non siano dichiarati
espressamente perentori dalla legge, sicché
la loro violazione non comporta
l’illegittimità dell’atto adottato
tardivamente né, per l’inosservanza del
termine finale, si esaurisce il potere
dell’amministrazione di provvedere (ex multis Tar Lombardia Brescia Sez. I 21.04.2010 n. 1581).
---------------
Con il secondo motivo di ricorso, parte
ricorrente lamenta la mancata comunicazione
dei motivi ostativi all’accoglimento
dell’istanza, in violazione della l. n.
241/1990, integrata dalla l. 15/2005.
La doglianza non coglie nel segno, alla
stregua delle considerazioni che seguono.
L’art. 7 l. 07.08.1990 n. 241, per i
procedimenti non ad istanza di parte e ora
l’art. 10-bis della stessa legge per i
procedimenti ad istanza di parte, sono due
punti particolari di codificazione dei
principi di correttezza e buona andamento
che impongono all’amministrazione di creare
il contraddittorio con i destinatari degli
effetti dei provvedimenti sia al fine di
consentire il diritto di difesa sia per
acquisire ogni utile elemento in modo da
ridurre il rischio di motivazioni
inadeguate, con la conseguenza che è sempre
necessario (tranne nei casi di urgenza) che
l’Amministrazione esponga in anticipo le
proprie ragioni, quantomeno quando l’esito
del procedimento potrebbe essere negativo
per il privato e dia agli interessati la
possibilità di interloquire, con la
precisazione nondimeno che la violazione di
tali garanzie procedimentali tuttavia
condiziona la legittimità del provvedimento
finale solo quando si dimostri che vi è
stato un effettivo travisamento dei fatti
(principio ora esplicitato nell’art. 21-octies, comma 2, secondo periodo, l. n.
241/1990) perché non sarebbe utile, né
economico, annullare un provvedimento che
può essere adottato di nuovo con lo stesso
contenuto (ex multis Tar Lombardia
Brescia Sez. I 21.04.2010 n. 1581)
(TAR Campania-Salerno, Sez. II,
sentenza 11.01.2012 n. 22 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La presentazione dell'istanza di sanatoria
-sia essa di accertamento di conformità,
sia essa di condono- produce l'effetto di
rendere inefficace il provvedimento
sanzionatorio dell'ingiunzione di
demolizione e, quindi, improcedibile
l'impugnazione stessa per sopravvenuta
carenza di interesse. Invero, il riesame
dell'abusività dell'opera provocato dalla
predetta istanza di sanatoria comporta la
necessaria formazione di un nuovo
provvedimento (esplicito o implicito, di
accoglimento o di rigetto) che vale comunque
a superare il provvedimento sanzionatorio
oggetto dell'impugnativa.
Infatti,
nell'ipotesi di rigetto dell'istanza,
l'Amministrazione dovrà adottare un nuovo
provvedimento sanzionatorio, con
l'assegnazione di un nuovo termine per
adempiere. Del pari, in caso di positiva
delibazione dell'istanza non si avrebbe più
interesse alla definizione del giudizio,
essendo stato sanato il lamentato abuso, con
effetto estintivo anche delle sanzioni
acquisitive, eventualmente già adottate.
Ritiene il Collegio che il ricorso sia improcedibile, conformemente al
consolidato orientamento giurisprudenziale,
espresso, da ultimo, nella seguente massima:
"La presentazione dell'istanza di sanatoria
-sia essa di accertamento di conformità,
sia essa di condono- produce l'effetto di
rendere inefficace il provvedimento
sanzionatorio dell'ingiunzione di
demolizione e, quindi, improcedibile
l'impugnazione stessa per sopravvenuta
carenza di interesse. Invero, il riesame
dell'abusività dell'opera provocato dalla
predetta istanza di sanatoria comporta la
necessaria formazione di un nuovo
provvedimento (esplicito o implicito, di
accoglimento o di rigetto) che vale comunque
a superare il provvedimento sanzionatorio
oggetto dell'impugnativa.
Infatti,
nell'ipotesi di rigetto dell'istanza,
l'Amministrazione dovrà adottare un nuovo
provvedimento sanzionatorio, con
l'assegnazione di un nuovo termine per
adempiere. Del pari, in caso di positiva
delibazione dell'istanza non si avrebbe più
interesse alla definizione del giudizio,
essendo stato sanato il lamentato abuso, con
effetto estintivo anche delle sanzioni
acquisitive, eventualmente già adottate"
(TAR Campania Napoli, sez. III, 11.09.2009, n. 4918)
(TAR Campania-Salerno, Sez. II,
sentenza 11.01.2012 n. 15 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Il Collegio, che non ignora l’orientamento giurisprudenziale secondo cui
la mancata verbalizzazione delle cautele
adottate per la conservazione dei plichi
contenenti le offerte sono di per sé causa
d’illegittimità della procedura, ritiene, in
adesione del contrario orientamento pur
rilevantemente seguito dalla giurisprudenza,
che in materia la deduzione d’illegittimità
possa rilevare solo se vengano addotti dal deducente, o vengano in evidenza
dall’obiettivo esame della documentazione,
elementi da cui si evinca, anche sotto
l’aspetto meramente probabilistico,
l’assenza di certezza in ordine all’adozione
delle necessarie cautele di custodia dei
plichi e dei relativi contenuti.
---------------
Quanto al dedotto mancato rispetto del
canone di concentrazione e continuità della
procedura esperita, il Tribunale condivide
la giurisprudenza secondo cui tale canone,
la cui osservanza comporta in tesi la
concentrazione delle operazioni in un'unica
seduta, è solo tendenziale e di orientamento
operativo ben potendosi verificare talune
circostanze che ne impediscano il rigoroso
rispetto, e comunque il canone medesimo va
interpretato con razionale e giustificata
elasticità a proposito di gare, come quella
in questione, da aggiudicarsi con il
criterio dell'offerta economicamente più
vantaggiosa che è basato sulla valutazione
di una pluralità di elementi ed in cui è
connaturale quella complessità di giudizio
idonea a spiegarne obiettivamente la deroga.
Il Collegio, che non ignora l’orientamento giurisprudenziale secondo cui
la mancata verbalizzazione delle cautele
adottate per la conservazione dei plichi
contenenti le offerte sono di per sé causa
d’illegittimità della procedura, ritiene, in
adesione del contrario orientamento pur
rilevantemente seguito dalla giurisprudenza,
che in materia la deduzione d’illegittimità
possa rilevare solo se vengano addotti dal deducente, o vengano in evidenza
dall’obiettivo esame della documentazione,
elementi da cui si evinca, anche sotto
l’aspetto meramente probabilistico,
l’assenza di certezza in ordine all’adozione
delle necessarie cautele di custodia dei
plichi e dei relativi contenuti (Cfr.
Consiglio di Stato, sezione V 22/12/2011 n.
1094, sezione IV, 05.10.2005, n. 5360,
sez. V, 20.09.2001, n. 4973, sez. V,
10.05.2005, n. 2342 e sez. V, 25.07.2006, n. 4657; TAR Campania, NA,
sez. I, 05/09/2010 n. 23126 e 18/03/2011 n.
1496, TAR Sicilia –CT- sez. III 06/02/2007 n.
207).
Nel caso in esame, la Commissione
giudicatrice ha dato atto dell’integrità dei
plichi e della relativa sigillatura
all’incipit della procedura (verbale n. 1)
ed il Comune precisa che il materiale della
gara è stato custodito nella cassaforte in
dotazione all’ufficio, sicché,
nell’insussistenza di evincibili elementi o
ragioni per reputare l’assenza in concreto
delle cautele di custodia (e di manomissioni
o negligenze nella cura di custodia),
ritiene il Collegio che prevale il principio
di conservazione dell’attività
provvedimentale esperita e che siffatto
principio non contrasta, nella peculiare
fattispecie in esame, con i canoni di
legalità e trasparenza su cui si basa
l’orientamento giurisprudenziale contrario a
quello nella fattispecie seguito dal
Collegio il quale, contrariamente a quanto
si prospetta nel ricorso, non può essere
attinto neanche dal ritmo procedurale di non
estrema celerità che ha connotato il
procedimento.
---------------
Quanto al
dedotto mancato rispetto del canone di
concentrazione e continuità della procedura
esperita, il Tribunale condivide la
giurisprudenza secondo cui tale canone, la
cui osservanza comporta in tesi la
concentrazione delle operazioni in un'unica
seduta, è solo tendenziale e di orientamento
operativo ben potendosi verificare talune
circostanze che ne impediscano il rigoroso
rispetto, e comunque il canone medesimo va
interpretato con razionale e giustificata
elasticità a proposito di gare, come quella
in questione, da aggiudicarsi con il
criterio dell'offerta economicamente più
vantaggiosa che è basato sulla valutazione
di una pluralità di elementi ed in cui è
connaturale quella complessità di giudizio
idonea a spiegarne obiettivamente la deroga
(Cfr. Cons. di Stato – sez. V – 23/11/2010
n. 8155, - sez. IV – 05/10/2005 n. 5360; TAR
Lazio - sez. III – 16/11/2006 n. 12468, TAR
Abruzzo – Pescara 19/07/2004 n. 700, TAR
Campania – SA - sez. I – 26/06/2003 n. 705)
(TAR Campania-Salerno, Sez. II,
sentenza 11.01.2012 n. 13 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI -
EDILIZIA PRIVATA: Non
vi è identità tra le posizioni di coloro che
sono legittimati ad impugnare il
provvedimento finale, quelle di coloro che
possono intervenire nel procedimento ovvero
quelle di coloro che hanno titolo a ricevere
l'avviso del procedimento.
In materia
edilizia, il vicino può intervenire nel
corso del relativo procedimento e può
impugnare il provvedimento che ritenga
illegittimo, ma non ha titolo a ricevere
l'avviso dell'avvio del procedimento che per
questi casi non è previsto da alcuna norma e
che comunque non lo riguarda direttamente,
in quanto ciò comporterebbe un aggravio del
procedimento stesso, in palese violazione
dei principi di economicità ed efficacia
dell'attività amministrativa.
- Rilevato che risulta infondato il primo motivo con il quale la
ricorrente ha lamentato l'illegittimità del
provvedimento di archiviazione del
procedimento sanzionatorio in quanto non le
è stata data la comunicazione di avvio del
procedimento, nonostante da tempo avesse
segnalato all'amministrazione comunale le
irregolarità commesse dalla confinante.
La
giurisprudenza è, infatti, concorde nel
ritenere che non vi è identità tra le
posizioni di coloro che sono legittimati ad
impugnare il provvedimento finale, quelle di
coloro che possono intervenire nel
procedimento (Cons. Stato, sez. VI, 12.04.2000, n. 2185) ovvero quelle di
coloro che hanno titolo a ricevere l'avviso
del procedimento (Cons. Stato, sez. VI, 15.09.1999, n. 1197).
In materia
edilizia, il vicino può intervenire nel
corso del relativo procedimento e può
impugnare il provvedimento che ritenga
illegittimo, ma non ha titolo a ricevere
l'avviso dell'avvio del procedimento che per
questi casi non è previsto da alcuna norma e
che comunque non lo riguarda direttamente,
in quanto ciò comporterebbe un aggravio del
procedimento stesso, in palese violazione
dei principi di economicità ed efficacia
dell'attività amministrativa (Cons. Stato,
sez. VI, 15.09.1999, n. 1197; 14.03.2002, n. 1533; 18.04.2005, n.
1773; Tar Liguria, 10.07.2009, n. 1736)
(TAR Campania-Salerno, Sez. I,
sentenza 11.01.2012 n. 11 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Se
è vero che l'esercizio del potere
sanzionatorio amministrativo non è soggetto
a prescrizione o decadenza, per cui
l'accertamento dell'illecito amministrativo
e l'applicazione della relativa sanzione può
intervenire anche a notevole distanza di
tempo dalla commissione dell'abuso, senza
che il ritardo nell'adozione della sanzione
comporti sanatoria o il sorgere di
affidamenti o situazioni consolidate, è
altrettanto vero che l'ordine di demolizione
di opere abusive deve essere suffragato da
adeguata motivazione se è trascorso un lungo
torno di tempo dall'epoca cui risale l'abuso
stesso, tale da ingenerare un affidamento
del privato circa il mancato esercizio del
potere sanzionatorio.
- Osservato peraltro che comunque l’esito del
procedimento non avrebbe potuto essere
diverso anche se l’Amministrazione avesse
optato per la ricostruzione degli
avvenimenti fornita dalla parte ricorrente
ed avesse comunque ritenuto necessaria la
licenza edilizia, in quanto, se è vero che
l'esercizio del potere sanzionatorio
amministrativo non è soggetto a prescrizione
o decadenza, per cui l'accertamento
dell'illecito amministrativo e
l'applicazione della relativa sanzione può
intervenire anche a notevole distanza di
tempo dalla commissione dell'abuso, senza
che il ritardo nell'adozione della sanzione
comporti sanatoria o il sorgere di
affidamenti o situazioni consolidate, è
altrettanto vero che l'ordine di demolizione
di opere abusive deve essere suffragato da
adeguata motivazione se è trascorso un lungo
torno di tempo dall'epoca cui risale l'abuso
stesso, tale da ingenerare un affidamento
del privato circa il mancato esercizio del
potere sanzionatorio (Cfr. TAR Campania
Salerno, sez. II 04.04.2011 n. 626,
TAR Campania Napoli, sez. IV 15.02.2011 n. 972 e sez. II 14.02.2011 n.
925); orbene, la stessa parte ricorrente
riconosce che le opere in questione
risalgono al più tardi <all’inizio degli
anno 90> (pag, 1 del ricorso) e,
pertanto, quantomeno a più di venti anni
addietro; né la ricorrente ha in qualche
modo lasciato intendere quale, a suo avviso,
avrebbe potuto essere la motivazione di un
provvedimento sanzionatorio adottato dopo
tanto tempo ed i relazione ad una
costruzione di modestissime dimensioni
(TAR Campania-Salerno, Sez. I,
sentenza 11.01.2012 n. 11 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Gli interventi consistenti
nella installazione di tettoie o di altre
strutture che siano comunque apposte a parti
di preesistenti edifici come strutture
accessorie di protezione o di riparo di
spazi liberi, cioè non compresi entro
coperture volumetriche previste in un
progetto assentito, possono ritenersi
sottratti al regime del permesso di
costruire soltanto ove la loro conformazione
e le loro ridotte dimensioni rendono
evidente e riconoscibile la loro finalità di
arredo o di riparo e protezione (anche da
agenti atmosferici) dell’immobile cui
accedono.
Tali strutture non possono
viceversa ritenersi installabili senza
permesso di costruire, o D.I.A "alternativa"
ai sensi dell'art. 22 DPR 380/2001,
allorquando le loro dimensioni sono di
entità tale da arrecare una visibile
alterazione all’edificio o alle parti dello
stesso su cui vengono inserite; quando
quindi per la loro consistenza dimensionale
non possono più ritenersi assorbite, ovvero
ricomprese in ragione della accessorietà,
nell’edificio principale o della parte dello
stesso cui accedono.
Invero, come costantemente affermato da
questo Tribunale (cfr. TAR Campania,
Napoli, Sez. III, 09.11.2010, n. 23699,
Sez. IV, n. 897 del 18.02.2003, n.
12962 del 20.10.2003, n. 4107 del 16.07.2002), “gli interventi consistenti
nella installazione di tettoie o di altre
strutture che siano comunque apposte a parti
di preesistenti edifici come strutture
accessorie di protezione o di riparo di
spazi liberi, cioè non compresi entro
coperture volumetriche previste in un
progetto assentito, possono ritenersi
sottratti al regime del permesso di
costruire soltanto ove la loro conformazione
e le loro ridotte dimensioni rendono
evidente e riconoscibile la loro finalità di
arredo o di riparo e protezione (anche da
agenti atmosferici) dell’immobile cui
accedono.
Tali strutture non possono
viceversa ritenersi installabili senza
permesso di costruire, o D.I.A "alternativa"
ai sensi dell'art. 22 DPR 380/2001,
allorquando le loro dimensioni sono di
entità tale da arrecare una visibile
alterazione all’edificio o alle parti dello
stesso su cui vengono inserite; quando
quindi per la loro consistenza dimensionale
non possono più ritenersi assorbite, ovvero
ricomprese in ragione della accessorietà,
nell’edificio principale o della parte dello
stesso cui accedono" (in termini Consiglio di
Stato, Sez. V, 13.03.2001 n. 1442; Sez. II,
05.02.1997, n. 336; TAR Lazio,
Latina, Sez. I, 03.03.2010, n. 205; TAR
Lazio, Sez. II n. 1055 del 15.02.2002,
TAR Parma n. 114 del 06.03.2003).
Ebbene, nessuna valutazione sul punto è
stata espressa dall’amministrazione
intimata, la quale si è limitata ad
affermare, del tutto apoditticamente (senza
cioè considerare l’incidenza delle
dimensioni e della finalità della tettoia de
qua sul relativo regime edilizio-urbanistico),
che la strumentazione urbanistica
concernente l’area in questione non consente
interventi suscettibili di dare luogo ad
incrementi volumetrici, omettendo di
considerare che la caratteristica propria
della tettoia, rappresentata dall’essere la
stessa aperta su tre lati, “è un elemento
fondamentale per la definizione
dell’intervento in questione perché l’opera
di che trattasi non viene a costituire un
volume aggiuntivo e quindi rimane nel
concetto pertinenziale”, dovendo
considerarsi che “in materia urbanistico-edilizia il presupposto per
l’esistenza di un volume edilizio è
costituito dalla costruzione di almeno un
piano di base e due superfici verticali
contigue” (cfr. TAR Puglia, Bari, sez. III,
08.10.2009, n. 2375)
(TAR Campania-Salerno, Sez. I,
sentenza 11.01.2012 n. 9 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Le norme locali possono derogare
alle distanze su edifici preesistenti.
Quando gli strumenti urbanistici locali
prevedano, riguardo ad edifici preesistenti,
la facoltà di costruire in deroga alle
prescrizioni contenute nel piano regolatore
sulle distanze, si applica il principio di
prevenzione.
Questo principio, in caso di
sopraelevazione, comporta che “mentre il
preveniente deve attenersi, nella
prosecuzione in altezza del fabbricato,
della scelta operata originariamente, di
guisa che ogni parte dell’immobile risulti
conforme al criterio di prevenzione adottato
sulla base di esso, a ciò non può frapporre
ostacoli il confinante (prevenuto) che, se a
sua volta abbia costruito in aderenza fino
all’altezza inizialmente raggiunta dal
preveniente, ha diritto di sopraelevare
soltanto sul confine, ovvero a distanza da
questo (e, quindi, dalla eventuale
sopraelevazione del preveniente) pari a
quella globale minima di legge o dei
regolamenti” (Cass. civ. Sez. III,
27.08.1990, n. 8849).
Nel caso in commento il ricorrente aveva
contestato l’annullamento d’ufficio di una
concessione edilizia per un intervento di
ristrutturazione e sopraelevazione, motivato
sulla violazione dell’art. 873 cod. civ., in
quanto la distanza del fabbricato da quello
di altra proprietà era risultata inferiore
alla normativa. Ma secondo il ricorrente,
trattandosi di costruzione su confine eretta
anteriormente a quella del vicino (che
avrebbe costruito in violazione della
distanza di tre metri), spetterebbe al
preveniente regolare le distanze anche per
la successiva sopraelevazione.
E i giudici del Consiglio di Stato,
appoggiando questa posizione, hanno chiarito
che, quando gli strumenti urbanistici locali
fissino senza alternativa le distanze delle
costruzioni dal confine, salva soltanto la
possibilità di costruzione in aderenza, non
può farsi luogo all’applicazione del
principio di prevenzione; ma, al contrario,
quando essi prevedano, riguardo ad edifici
preesistenti, la facoltà di costruire in
deroga alle prescrizioni contenute nel piano
regolatore sulle distanze, si versa in
ipotesi del tutto analoga a quella
disciplinata dall’art. 873 c.c., “con la
conseguenza che è consentito al preveniente
costruire sul confine, ponendo il vicino,
che intenda a sua volta edificare,
nell'alternativa di chiedere la comunione
del muro e di costruire in aderenza ovvero
di arretrare la sua costruzione sino a
rispettare la maggiore intera distanza
imposta dallo strumento urbanistico
(Cassazione civile, sez. II, 09.04.2010, n.
8465)” (Cons. St. Sez. IV, 09.05.2011,
n. 2749; analogamente, Cons. St. Sez. IV,
31.03.2009, n. 1998) (commento tratto da
www.documentazione.ancitel.it - Consiglio di
Stato, Sez. V,
sentenza 10.01.2012 n. 53 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Mentre
il preveniente deve attenersi, nella
prosecuzione in altezza del fabbricato,
della scelta operata originariamente, di
guisa che ogni parte dell’immobile risulti
conforme al criterio di prevenzione adottato
sulla base di esso, a ciò non può frapporre
ostacoli il confinante (prevenuto) che, se a
sua volta abbia costruito in aderenza fino
all’altezza inizialmente raggiunta dal
preveniente, ha diritto di sopraelevare
soltanto sul confine, ovvero a distanza da
questo (e, quindi, dalla eventuale
sopraelevazione del preveniente) pari a
quella globale minima di legge o dei
regolamenti.
Mentre quando gli strumenti urbanistici
locali fissino senza alternativa le distanze
delle costruzioni dal confine, salva
soltanto la possibilità di costruzione in
aderenza, non può farsi luogo
all’applicazione del principio di
prevenzione, quando, al contrario, essi
prevedono, riguardo ad edifici preesistenti,
la facoltà di costruire in deroga alle
prescrizioni contenute nel piano regolatore
sulle distanze, si versa in ipotesi del
tutto analoga a quella disciplinata
dall’art. 873 c.c., “con la conseguenza che
è consentito al preveniente costruire sul
confine, ponendo il vicino, che intenda a
sua volta edificare, nell'alternativa di
chiedere la comunione del muro e di
costruire in aderenza ovvero di arretrare la
sua costruzione sino a rispettare la
maggiore intera distanza imposta dallo
strumento urbanistico.
Il ricorrente ha impugnato dinanzi al Tar
per l’Emilia Romagna il provvedimento di
annullamento d’ufficio della concessione
edilizia rilasciata in suo favore dal Comune
di Rimini per un intervento di
ristrutturazione e sopraelevazione di
edificio di sua proprietà. L’ annullamento è
motivato sulla violazione dell’art. 873 cod.
civ., in quanto la concessione sarebbe stata
rilasciata sul falso presupposto che la
distanza del fabbricato di proprietà del
ricorrente da quello di altra proprietà
fosse di ml 3,00, mentre, successivamente al
rilascio, essa sarebbe risultata invece
variabile da ml 2,63 a ml 2,70.
Il Tar ha respinto il ricorso, giudicando la
concessione effettivamente contrastante con
l’art. 873 cod. civ e con gli artt. 19 e
2.04 delle N.T.A. del piano regolatore
generale del Comune, che ammettono
interventi ampliativi purché nel rispetto
delle distanze prescritte dal codice civile.
Propone appello l’interessato, denunciando
l’erroneità della sentenza per violazione
della normativa urbanistica generale e di
zona, l’errata applicazione dell’art. 873
cod. civ e l’irrilevanza dell’errore
incolpevole della rappresentazione della
distanza negli elaborati grafici. Invero,
come evidenziato nell’istruttoria del
Responsabile del procedimento, la
sopraelevazione per la costruzione del tetto
sarebbe impostata sulla stessa quota
dell’edificio preesistente e sarebbe
conforme alle previsioni dell’art. 4.04, in
quanto l’innalzamento era previsto su una
parete già preesistente sul confine, e
dell’art. 16 della n.t.a. del PRG, che
consente la costruzione sul confine.
La costruzione non violerebbe, pertanto,
l’art. 873, dovendosi armonizzare il
principio della distanza con quello della
prevenzione.
Si è costituito in resistenza il Comune di
Rimini, evidenziando l’erroneità della
rappresentazione grafica presentata dal
ricorrente e la non pertinenza del richiamo
all’art. 16 n.t.a., riguardante l’ipotesi di
distanza degli edifici dai confini di
proprietà, e chiedendo la conferma della
sentenza di primo grado.
...
Gli art. 2.04 e 19 n.t.a. del piano
regolatore generale, nello stabilire le
distanze tra costruzioni, ammettono
interventi ampliativi, anche tramite
sopraelevazione, sugli edifici esistenti in
contrasto con dette distanze, purché nel
rispetto delle norme del codice civile.
In effetti, il provvedimento di annullamento
d’ufficio, riguardante immobili preesistenti
non rispettosi delle distanze introdotte
dalla normativa urbanistica, è motivato
sulla violazione dell’art. 873 c.c. in
materia di distanza tra edifici .
Considera, tuttavia, il Collegio che la
corretta applicazione dei principi
civilistici in materia di distanza tra
edifici, richiamati dalle norme tecniche di
attuazione del piano regolatore, involga
anche quello di prevenzione, data la
circostanza (non contestata) che l’edificio
che il ricorrente intende sopraelevare
preesiste rispetto a quello del vicino,
costruito ad una distanza inferiore a tre
metri.
Detto principio, in caso di sopraelevazione,
comporta che “mentre il preveniente deve
attenersi, nella prosecuzione in altezza del
fabbricato, della scelta operata
originariamente, di guisa che ogni parte
dell’immobile risulti conforme al criterio
di prevenzione adottato sulla base di esso,
a ciò non può frapporre ostacoli il
confinante (prevenuto) che, se a sua volta
abbia costruito in aderenza fino all’altezza
inizialmente raggiunta dal preveniente, ha
diritto di sopraelevare soltanto sul
confine, ovvero a distanza da questo (e,
quindi, dalla eventuale sopraelevazione del
preveniente) pari a quella globale minima di
legge o dei regolamenti” (Cass. civ.
Sez. III, 27.08.1990, n. 8849).
La possibilità, nella specie, di fare
applicazione di detto principio trova
conferma nel consolidato orientamento per
cui, mentre quando gli strumenti urbanistici
locali fissino senza alternativa le distanze
delle costruzioni dal confine, salva
soltanto la possibilità di costruzione in
aderenza, non può farsi luogo
all’applicazione del principio di
prevenzione, quando, al contrario, essi
prevedono, riguardo ad edifici preesistenti,
la facoltà di costruire in deroga alle
prescrizioni contenute nel piano regolatore
sulle distanze, si versa in ipotesi del
tutto analoga a quella disciplinata
dall’art. 873 c.c., “con la conseguenza
che è consentito al preveniente costruire
sul confine, ponendo il vicino, che intenda
a sua volta edificare, nell'alternativa di
chiedere la comunione del muro e di
costruire in aderenza ovvero di arretrare la
sua costruzione sino a rispettare la
maggiore intera distanza imposta dallo
strumento urbanistico (Cassazione civile,
sez. II, 09.04.2010, n. 8465)” (Cons.
St. Sez. IV, 09.05.2011, n. 2749;
analogamente, Cons. St. Sez.IV, 31.03.2009,
n. 1998).
Dalle suesposte considerazioni discende la
fondatezza dell’appello in punto di erronea
applicazione dell’art. 873 c.c., richiamato
dalle n.t.a., non essendosi tenuto conto
della prevenzione
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 10.01.2012 n. 53 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
LAVORI PUBBLICI:
Il rischio ridotto per l'impresa
e la sussistenza di oneri a carico del
soggetto pubblico sono elementi compatibili
con l'istituto del project financing, che
non rendono illegittimo l'utilizzo di tale
procedura.
Il project financing comporta la
necessaria partecipazione finanziaria del
soggetto promotore, cui può aggiungersi
l'eventuale contributo pubblico; si tratta,
tuttavia, di una procedura caratterizzata da
un elevato tasso di elasticità, che consente
di adattare il progetto alle specifiche
esigenze delle parti.
Nel caso di specie, erano stati previsti
oneri a carico dell'amministrazione, che si
era assunta l'impegno di pagare per trenta
anni i canoni di locazione a fronte delle
opere di ristrutturazione e di realizzazione
dell'urbanizzazione primaria affidate
all'impresa; tale struttura dell'operazione
non è di per sé incompatibile con
l'istituto, che -si ribadisce- consente che
l'utilizzo delle risorse dei soggetti
proponenti sia solo parziale.
In sostanza, il rischio ridotto per
l'impresa e la sussistenza di oneri a carico
del soggetto pubblico sono elementi
compatibili con l'istituto del project
financing, che non rendono illegittimo
l'utilizzo di tale procedura, ma che possono
al limite essere rivalutati sotto il profilo
dell'opportunità e della convenienza
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 10.01.2012 n. 39 - link
a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
In sede di risarcimento dei danni
derivanti dalla mancata aggiudicazione di
una gara di appalto, il mancato utile nella
misura integrale spetta, nel caso di
annullamento dell’aggiudicazione e di
certezza dell’aggiudicazione in favore del
ricorrente, solo se il ricorrente dimostri
di non aver potuto altrimenti utilizzare
maestranze e mezzi, tenuti a disposizione in
vista dell’aggiudicazione; in difetto di
tale dimostrazione, è da ritenere che
l’impresa possa aver ragionevolmente
riutilizzato mezzi e manodopera per altri
lavori o servizi e, pertanto, in tale
ipotesi deve operarsi una decurtazione del
risarcimento per come sopra detto.
Infatti, si è evidenziato che “ai sensi
dell’art. 1227 c.c., il danneggiato ha un
puntuale dovere di non concorrere ad
aggravare il danno. Nelle gare di appalto,
l’impresa non aggiudicataria, ancorché
proponga ricorso e possa ragionevolmente
confidare che riuscirà vittoriosa, non può
mai nutrire la matematica certezza che le
verrà aggiudicato il contratto, atteso che
sono molteplici le possibili sopravvenienze
ostative.
Pertanto, non costituisce, normalmente, e
salvi casi particolari, condotta ragionevole
immobilizzare tutti i mezzi di impresa nelle
more del giudizio, nell’attesa
dell’aggiudicazione in proprio favore,
essendo invece ragionevole che l’impresa si
attivi per svolgere altre attività”.
Di qui la piena ragionevolezza del
risarcimento del mancato utile nella misura
del 5% dell’offerta.
Il Collegio ritiene di condividere l’orientamento espresso dalla più
recente giurisprudenza (per tutte, Consiglio
di Stato, Sez. VI, 21.09.2010 n.
7004), secondo cui, in sede di risarcimento
dei danni derivanti dalla mancata
aggiudicazione di una gara di appalto, il
mancato utile nella misura integrale spetta,
nel caso di annullamento dell’aggiudicazione
e di certezza dell’aggiudicazione in favore
del ricorrente, solo se il ricorrente
dimostri di non aver potuto altrimenti
utilizzare maestranze e mezzi, tenuti a
disposizione in vista dell’aggiudicazione;
in difetto di tale dimostrazione, è da
ritenere che l’impresa possa aver
ragionevolmente riutilizzato mezzi e
manodopera per altri lavori o servizi e,
pertanto, in tale ipotesi deve operarsi una
decurtazione del risarcimento per come sopra
detto.
Infatti, si è evidenziato che “ai sensi
dell’art. 1227 c.c., il danneggiato ha un
puntuale dovere di non concorrere ad
aggravare il danno. Nelle gare di appalto,
l’impresa non aggiudicataria, ancorché
proponga ricorso e possa ragionevolmente
confidare che riuscirà vittoriosa, non può
mai nutrire la matematica certezza che le
verrà aggiudicato il contratto, atteso che
sono molteplici le possibili sopravvenienze
ostative.
Pertanto, non costituisce, normalmente, e
salvi casi particolari, condotta ragionevole
immobilizzare tutti i mezzi di impresa nelle
more del giudizio, nell’attesa
dell’aggiudicazione in proprio favore,
essendo invece ragionevole che l’impresa si
attivi per svolgere altre attività.” (cfr.
C.S. V 24.02.2011 n. 1193 ; CS 09.12.2010 n. 8646;
TAR Lazio III 02.02.2011 n. 974).
Di qui la piena ragionevolezza, affermata
dalla giurisprudenza e condivisa dal
Collegio, del risarcimento del mancato utile
nella misura del 5% dell’offerta (cfr. anche
TAR Catania IV n. 2812 del 2010).
Va accolta anche la domanda –contenuta in
ricorso– avente ad oggetto la rivalutazione
e gli interessi, spettando la prima, secondo
gli indici ISTAT, dal giorno in cui è stato
stipulato il contratto con l'impresa
illegittima aggiudicataria, sino alla
pubblicazione della sentenza, mentre gli
interessi sulla somma rivalutata andranno
corrisposti, nella misura legale, dalla data
della pubblicazione della presente decisione
fino all'effettiva corresponsione (cfr.: C.
S., VI, 23.07.2009, n. 4628; sentenza di
questa sezione 29.06.2007, n. 1135) (TAR Sicilia-Catania, Sez. IV,
sentenza 10.01.2012 n. 31 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Non costituisce motivo di
esclusione, la presentazione in sede di gara
di un documento in allegato all'offerta
redatto in lingua diversa da quella
italiana.
L'art. 67 del d.lgs. n. 163/2006, prevede
l'utilizzo della lingua italiana per la
redazione delle offerte, e non anche per i
documenti da allegare alle offerte.
Ne consegue che, la presentazione in sede di
gara di un documento in allegato all'offerta
redatto in lingua diversa da quella italiana
e privo di relativa traduzione certificata
non costituisce motivo di esclusione dalla
gara. La necessità di avere la traduzione
dei documenti, nel caso, potrebbe
determinare una richiesta di integrazione
documentale (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 10.01.2012 n. 30 - link
a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
La ratio sottesa alla disposizione
di cui all'art. 84 d.lgs. 163/2006 costituisce espressione di principi
generali, costituzionali e comunitari, volti
ad assicurare il buon andamento e
l'imparzialità dell'azione amministrativa.
Essa, in quanto
espressiva di un principio generale è
applicabile anche alle procedure di evidenza
pubblica non disciplinate dal codice dei
contratti pubblici.
La disposizione che governa la fattispecie è quella di cui al citato
art. 84, commi 1, 2, 3 ed 8 d.lgs. 163/2006 di cui è utile
riportare il testo: ”Quando la scelta della
migliore offerta avviene con il criterio
dell'offerta economicamente più vantaggiosa,
la valutazione è demandata ad una
commissione giudicatrice, che opera secondo
le norme stabilite dal regolamento.
La commissione, nominata dall'organo della
stazione appaltante competente ad effettuare
la scelta del soggetto affidatario del
contratto, è composta da un numero dispari
di componenti, in numero massimo di cinque,
esperti nello specifico settore cui si
riferisce l'oggetto del contratto.
La commissione è presieduta di norma da un
dirigente della stazione appaltante e, in
caso di mancanza in organico, da un
funzionario della stazione appaltante
incaricato di funzioni apicali, nominato
dall'organo competente.
I commissari diversi dal presidente sono
selezionati tra i funzionari della stazione
appaltante. In caso di accertata carenza in
organico di adeguate professionalità, nonché
negli altri casi previsti dal regolamento in
cui ricorrono esigenze oggettive e
comprovate, i commissari diversi dal
presidente sono scelti tra funzionari di
amministrazioni aggiudicatrici di cui
all'art. 3, comma 25, ovvero con un criterio
di rotazione tra gli appartenenti alle
seguenti categorie:
a) professionisti, con almeno dieci anni di
iscrizione nei rispettivi albi
professionali, nell'ambito di un elenco,
formato sulla base di rose di candidati
fornite dagli ordini professionali;
b) professori universitari di ruolo,
nell'ambito di un elenco, formato sulla base
di rose di candidati fornite dalle facoltà
di appartenenza.”
La ratio sottesa alla disposizione in
esame costituisce espressione di principi
generali, costituzionali e comunitari, volti
ad assicurare il buon andamento e
l'imparzialità dell'azione amministrativa.
Secondo la giurisprudenza, essa, in quanto
espressiva di un principio generale è
applicabile anche alle procedure di evidenza
pubblica non disciplinate dal codice dei
contratti pubblici (Consiglio Stato, sez.
V, 04.03.2011, n. 1386) (Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza
10.01.2012 n.
27 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Una
concessione edilizia può essere rilasciata
in assenza del piano attuativo richiesto
dalle norme di piano regolatore (o di p.d.f.)
quando (e solo quando) in sede di
istruttoria l’Amministrazione accerti che la
zona in cui si inserisce il suolo destinato
alla realizzanda costruzione sia pressoché
completamente edificata, tale da rendere
superflua un’opera di lottizzazione.
Tuttavia, ben può configurarsi un’altra
situazione in base alla quale pur in
presenza di un avanzato stato di
urbanizzazione, non può escludersi
l’esistenza in capo all’Amministrazione di
un apprezzamento tecnico-discrezionale volto
a richiedere la predisposizione di un
preventivo piano esecutivo. Invero,
l’esigenza di un piano di lottizzazione
quale presupposto per il rilascio della
concessione edilizia s’impone anche al fine
di un armonico raccordo con il preesistente
aggregato abitativo, allo scopo di
potenziare le opere di urbanizzazione già
esistenti e quindi anche alla più limitata
funzione di armonizzare aree già urbanizzate
che richiedono però una più dettagliata
pianificazione.
In particolare, la necessità di un piano
attuativo può rendersi indispensabile quando
s’invera un’ipotesi in cui per effetto di
una edificazione disomogenea ci si trovi di
fronte ad un situazione che esige un piano
attuativo idoneo a restituire efficienza
all’abitato, riordinando e talora definendo
ex novo un disegno urbanistico di
completamento della zona. Tale evenienza può
per esempio verificarsi allorché debba
essere completato il sistema di viabilità
secondaria nella zona o quando debba essere
integrata l’urbanizzazione esistente
garantendo il rispetto dei prescritti
standards minimi per spazi e servizi
pubblici e le condizioni per l’armonico
collegamento con le zone contigue già
asservite all’edificazione.
E’ ben noto alla Sezione il principio più
volte affermato secondo il quale una
concessione edilizia può essere rilasciata
in assenza del piano attuativo richiesto
dalle norme di piano regolatore (o di p.d.f.)
quando (e solo quando) in sede di
istruttoria l’Amministrazione accerti che la
zona in cui si inserisce il suolo destinato
alla realizzanda costruzione sia pressoché
completamente edificata, tale da rendere
superflua un’opera di lottizzazione (cfr.
Cons. Stato, Sez. IV, 01.08.2007 n. 4276;
Sez. V, 05.10.2011 n. 5450) e, con
riferimento al caso che ci occupa, ben può
essere che il contesto urbanistico in cui si
va collocare l’ulteriore costruzione risulti
sufficientemente edificato.
Nondimeno a fronte della situazione
rappresentata dalle deduzioni formulate
dall’interessato ben può configurarsi
un’altra situazione in base alla quale pur
in presenza di un avanzato stato di
urbanizzazione, non può escludersi
l’esistenza in capo all’Amministrazione di
un apprezzamento tecnico-discrezionale volto
a richiedere la predisposizione di un
preventivo piano esecutivo.
Invero, come altresì più volte affermato da
questo Consiglio di Stato l’esigenza di un
piano di lottizzazione quale presupposto per
il rilascio della concessione edilizia
s’impone anche al fine di un armonico
raccordo con il preesistente aggregato
abitativo, allo scopo di potenziare le opere
di urbanizzazione già esistenti e quindi
anche alla più limitata funzione di
armonizzare aree già urbanizzate che
richiedono però una più dettagliata
pianificazione (in tal senso, Cons. Stato,
Sez. IV 01.10.2007 n. 5043; Sez. V 01.12.2003 n. 7799 e
06.10.2000 n.
5326).
In particolare, la necessità di un piano
attuativo può rendersi indispensabile quando
s’invera un’ipotesi in cui per effetto di
una edificazione disomogenea ci si trovi di
fronte ad un situazione che esige un piano
attuativo idoneo a restituire efficienza
all’abitato, riordinando e talora definendo
ex novo un disegno urbanistico di
completamento della zona (Cons. Stato, Sez. IV, 15.05.2002 n. 2592). Tale evenienza
può per esempio verificarsi allorché debba
essere completato il sistema di viabilità
secondaria nella zona o quando debba essere
integrata l’urbanizzazione esistente
garantendo il rispetto dei prescritti standards minimi per spazi e servizi
pubblici e le condizioni per l’armonico
collegamento con le zone contigue già
asservite all’edificazione.
Se quelle testé descritte sono le ragioni e le finalità connesse
all’esigenza di prescrivere la
predisposizione e presentazione di un
preventivo piano esecutivo, appare
ragionevole scorgere una siffatta ratio
nella disposizione di tipo limitativo recata
dall’art. 17 del Piano di fabbricazione del
Comune di Macerata Campania che subordina
l’edificazione interessante un lotto di
terreno superiore ai 1.000 mq. alla
presentazione di un piano di lottizzazione.
Le condizioni di fatto rappresentate
dall’appellante e che pure in un situazione
di tipo “ordinario” sarebbero sufficienti a
giustificare il rilascio del titolo ad aedificandum non valgono dunque a veder
assentito in via diretta l’intervento de quo
proprio perché ad esso osta una previsione
di natura regolamentare che legittimamente
impone al richiedente il titolo ad aedificandum un adempimento progettuale-documentale, allo stato, insussistente
Siffatta previsione, in definitiva si pone
quale espressione di un apprezzamento
tecnico-discrezionale dell’Ente tradotto in
una norma che non è irrazionale, non si pone
in contrasto con i canoni dottrinari e
giurisprudenziali vigenti in tema di
pianificazione dell’assetto del territorio e
neppure si rivela ingiustamente restrittiva
dello jus aedificandi riconosciuto al
titolare del diritto dominicale
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 10.01.2012 n. 26 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
L'art. 38 d.lgs. n. 163/2006 al comma primo, lett. c),
distingue due categorie di reati: quelli
definiti dall’art. 45 della direttiva Ce n.
2004/18, e quelli definiti dalla stessa
norma senza individuare precise fattispecie
criminose come “reati gravi in danno dello
Stato o della Comunità che incidono sulla
moralità professionale”.
Le
condanne per reati dell’uno e dell’altro
tipo comportano conseguenze diverse, con
riguardo alla partecipazione alle gare di
evidenza pubblica; le prime costituiscono
causa automatica di esclusione, le seconde
lasciano alla stazione appaltante “un
margine di apprezzamento sia sulla incidenza
del reato sulla moralità professionale, sia
sull’offensività per lo Stato o per la
Comunità, sia sulla gravità del fatto.
In conclusione, trattandosi di diverse
tipologie di reati, la dichiarazione
relativa all’insussistenza di condanne per
reati del secondo tipo non comprende in sé
anche la dichiarazione di insussistenza di
condanne per reati definiti da fonti
comunitarie.
Né la mancanza della dichiarazione di cui
trattasi potrebbe essere supplita dalla
produzione dei certificati del casellario
giudiziale e dei carichi pendenti; in
proposito, il collegio condivide infatti
l’orientamento giurisprudenziale più
rigoroso, secondo il quale detti certificati
sono parzialmente inadeguati a provare i
requisiti di moralità e affidabilità dei
concorrenti alle gare pubbliche. Il
certificato del casellario giudiziale
ottenibile dal privato (al contrario di
quello integrale, rilasciabile solo alla
pubblica autorità) non riporta, tra le
altre, né le sentenze di applicazione della
pena su richiesta, di cui agli art. 444 e
445 C.p.p., né le condanne in cui viene
concessa la non menzione (art. 175 C.p.), né
le misure di prevenzione; il certificato dei
carichi pendenti non è rilevante per il
contenuto suo proprio (appunto l'esistenza
di procedimenti penali in corso), in quanto
l'assenza di tali procedimenti non
condiziona l'ammissione alla procedura
d'appalto.
L'art. 38 d.lgs. n. 163/2006 al comma primo, lett. c),
distingue due categorie di reati: quelli
definiti dall’art. 45 della direttiva Ce n.
2004/18, e quelli definiti dalla stessa
norma senza individuare precise fattispecie
criminose come “reati gravi in danno dello
Stato o della Comunità che incidono sulla
moralità professionale” (cfr. Tar Catania,
sez. IV, 25.02.2010 n. 395, confermata dal C.g.a. con sentenza n. 136/2011; v., ancora
di questa sezione, le sentenze n. 1325/2011
e n. 2351/2011; C.S., V, n. 3773/2009).
Le
condanne per reati dell’uno e dell’altro
tipo comportano conseguenze diverse, con
riguardo alla partecipazione alle gare di
evidenza pubblica; le prime costituiscono
causa automatica di esclusione, le seconde
lasciano alla stazione appaltante “un
margine di apprezzamento sia sulla incidenza
del reato sulla moralità professionale, sia
sull’offensività per lo Stato o per la
Comunità, sia sulla gravità del fatto”
(C.S., V, sentenza da ultimo richiamata; Tar
Lazio Roma, II, n. 3984/2009).
In conclusione, trattandosi di diverse
tipologie di reati, la dichiarazione
relativa all’insussistenza di condanne per
reati del secondo tipo non comprende in sé
anche la dichiarazione di insussistenza di
condanne per reati definiti da fonti
comunitarie.
Né la mancanza della dichiarazione di cui
trattasi potrebbe essere supplita dalla
produzione dei certificati del casellario
giudiziale e dei carichi pendenti; in
proposito, il collegio condivide infatti
l’orientamento giurisprudenziale più
rigoroso, secondo il quale detti certificati
sono parzialmente inadeguati a provare i
requisiti di moralità e affidabilità dei
concorrenti alle gare pubbliche. Il
certificato del casellario giudiziale
ottenibile dal privato (al contrario di
quello integrale, rilasciabile solo alla
pubblica autorità) non riporta, tra le
altre, né le sentenze di applicazione della
pena su richiesta, di cui agli art. 444 e
445 C.p.p., né le condanne in cui viene
concessa la non menzione (art. 175 C.p.), né
le misure di prevenzione; il certificato dei
carichi pendenti non è rilevante per il
contenuto suo proprio (appunto l'esistenza
di procedimenti penali in corso), in quanto
l'assenza di tali procedimenti non
condiziona l'ammissione alla procedura
d'appalto (TAR Sicilia Catania, sez. IV,
19.03.2008 , n. 501; Tar Palermo, sez. III, sentenza 17.06.2008, n. 817).
La parte della dichiarazione con la quale si
afferma di essere a conoscenza che “è
comunque causa di esclusione la condanna,
con sentenza passata in giudicato, per uno o
più reati di partecipazione a
un'organizzazione criminale, corruzione,
frode, riciclaggio, quali definiti dagli
atti comunitari citati all'articolo 45,
paragrafo 1, direttiva Ce 2004/18” non
contiene alcuna affermazione di sussistenza
o insussistenza di precedenti a carico del
dichiarante, e meno che mai una assunzione
di responsabilità per eventuale inveridicità
della dichiarazione.
E in ogni caso, l’avere
ricopiato la formulazione di parte dell’art.
38 non esclude la difformità della
dichiarazione dal contenuto prescritto a
pena di esclusione dall’art. 4, lett. A.c,
del disciplinare, che richiedeva la
dichiarazione espressa (anche) di non avere
riportato “condanna, con sentenza passata in
giudicato, per uno o più reati di
partecipazione a un'organizzazione
criminale, corruzione, frode, riciclaggio,
quali definiti dagli atti comunitari citati
all'articolo 45, paragrafo 1, direttiva Ce
2004/18”, con espressa comminatoria di
esclusione e indicazione dei soggetti tenuti
a rendere la dichiarazione in questione (“la
dichiarazione va resa, a pena di esclusione,
dai seguenti soggetti: il titolare e il
direttore tecnico se si tratta di impresa
individuale il socio e il direttore tecnico
se si tratta di società in nome collettivo;
dai soci accomandatari e dal direttore
tecnico, se si tratta di società in
accomandita semplice; dagli amministratori
muniti di potere di rappresentanza e dal
direttore tecnico se si tratta di altro tipo
di società o consorzio. In ogni caso
l’esclusione e il divieto operano anche nei
confronti dei soggetti cessati dalla carica
nel triennio antecedente la data di
pubblicazione del bando di gara…” (TAR Sicilia-Catania, Sez. IV,
sentenza 10.01.2012 n. 23 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Da un canto, il prestatore di
lavoro, che chiede la condanna del datore di
lavoro al risarcimento del danno subito a
causa della lesione del proprio diritto di
eseguire la prestazione lavorativa in base
alla qualifica professionale rivestita
(lesione idonea a determinare la
dequalificazione del dipendente stesso),
deve fornire la prova dell’esistenza di tale
danno e del nesso di causalità con
l’inadempimento, prova che costituisce
presupposto indispensabile per procedere ad
una valutazione equitativa.
Il riconoscimento del diritto del lavoratore
al risarcimento del danno professionale,
biologico o esistenziale, che asseritamente
ne deriva, non ricorre automaticamente in
tutti i casi di inadempimento datoriale e
non può prescindere da una specifica
allegazione, nel ricorso introduttivo del
giudizio, sulla natura e sulle
caratteristiche del pregiudizio medesimo.
Inoltre mentre il risarcimento del danno
biologico è subordinato all’esistenza di una
lesione dell’integrità psico-fisica
medicalmente accertabile, il danno
esistenziale -da intendere come ogni
pregiudizio (di natura non meramente emotiva
ed interiore, ma oggettivamente accertabile)
provocato sul fare areddittuale del
soggetto, che alteri le sue abitudini e gli
assetti relazionali propri, inducendolo a
scelte di vita diverse quanto
all’espressione e realizzazione della sua
personalità nel mondo esterno- deve essere
dimostrato in giudizio con tutti i mezzi
consentiti dall’ordinamento, assumendo
peraltro precipuo rilievo la prova per
presunzioni.
Ne discende che il prestatore di lavoro che
chieda la condanna del datore di lavoro al
risarcimento del danno (anche nella sua
eventuale componente di danno alla vita di
relazione o di cosiddetto danno biologico)
subìto a causa della lesione del proprio
diritto di eseguire la prestazione
lavorativa in base alla qualifica
professionale rivestita, deve fornire la
prova dell’esistenza di tale danno e del
nesso di causalità con l’inadempimento,
prova che costituisce presupposto
indispensabile per procedere ad una
valutazione equitativa. Tale danno non si
pone, infatti, quale conseguenza automatica
di ogni comportamento illegittimo rientrante
nella suindicata categoria, cosicché non è
sufficiente dimostrare la mera potenzialità
lesiva della condotta datoriale, incombendo
al lavoratore che denunzi il danno subito di
fornire la prova in base alla regola
generale di cui all’art. 2697 c.c..
---------------
L'elemento oggettivo della fattispecie del
mobbing è integrato dai ripetuti soprusi
che, se posti in essere dai superiori dà
luogo al c.d. mobbing verticale, mentre se
posti in essere dai colleghi origina il c.d.
mobbing orizzontale, i quali possono anche
essere formalmente legittimi ed assumono
connotazione illecita allorquando aventi
l'unico scopo di danneggiare il lavoratore
nel suo ruolo e nella sua funzione
lavorativa, così da determinare il suo
isolamento (fisico, morale e psicologico),
all'interno del contesto lavorativo.
L'elemento psicologico è integrato dal dolo
generico o dal dolo specifico di danneggiare
psicologicamente la personalità del
lavoratore.
Pertanto, ai fini della configurabilità
della condotta lesiva, qualificata danno da
emarginazione lavorativa o mobbing, sono
rilevanti, innanzitutto, la strategia
unitaria persecutoria, che non si sostanzia
in singoli atti da ricondurre nell'ordinaria
dinamica del rapporto di lavoro (come i
normali conflitti interpersonali
nell'ambiente lavorativo, causati da
antipatia, sfiducia, scarsa stima
professionale, ma che non sono
caratterizzati dalla volontà di emarginare
il lavoratore), che ha come disegno unitario
la finalità di emarginare il dipendente o di
porlo in una posizione di debolezza, con la
conseguenza che la ricorrenza di un'ipotesi
di condotta mobbizzante deve essere esclusa
allorquando la valutazione complessiva
dell'insieme di circostanze addotte ed
accertate nella loro materialità, pur se
idonea a palesare singulatim elementi ed
episodi di conflitto sul luogo di lavoro,
non consenta di individuare, secondo un
giudizio di verosimiglianza, il carattere
unitariamente persecutorio e discriminante
nei confronti del singolo del complesso
delle condotte poste in essere sul luogo di
lavoro.
E’ evidente che la fattispecie così
descritta postula il riscontro di un
elemento psicologico della condotta non
semplicemente colposo, ma doloso, sia pur
nella forma del dolo generico.
In caso di denunziato mobbing si può
ritenere sussistente l'illecito solo se si
accerti che l'unica ragione della condotta è
consistita nel procurare un danno al
lavoratore, mentre bisogna escluderlo in
caso contrario, indipendentemente
dall'eventuale prevedibilità e occorrenza in
concreto di simili effetti. Una restrizione
del genere, se permette per un verso di
rinvenire nel mobbing un'ulteriore
manifestazione del divieto di agire
intenzionalmente a danno altrui, che
costituisce canone generale del nostro
ordinamento giuridico e fondamento dell'"exceptio
doli generalis", consente per altro verso di
escludere dall'orbita della fattispecie
tutte quelle vicende in cui fra datore di
lavoro e lavoratore si registrano
semplicemente posizioni divergenti o perfino
conflittuali, affatto connesse alla
fisiologia del rapporto di lavoro.
A fronte della denuncia di un lavoratore di
condotte vessatorie da parte del datore, il
giudice che esclude la ricorrenza delle
caratteristiche proprie del fenomeno mobbing
(reiterazione, sistematicità e
intenzionalità) deve valutare i fatti
accertati anche nell'ambito della
fattispecie di inadempimento agli obblighi
contrattuali di cui all'art. 2087 c.c., da
accertare alla stregua delle regole ivi
stabilite per il relativo inadempimento
contrattuale, le quali prescindono dalla
necessaria presenza del dolo.
Rammenta in proposito il Collegio che la giurisprudenza di legittimità
civile –il cui orientamento il Collegio
condivide pienamente- si è a più riprese
confrontata con un tema che è pienamente
assimilabile a quello per cui è causa,
riposante nel demansionamento e nella
dequalificazione del lavoratore.
In più occasioni si è avuto modo di
affermare, a tal proposito, che, da un
canto, il prestatore di lavoro, che chiede
la condanna del datore di lavoro al
risarcimento del danno subito a causa della
lesione del proprio diritto di eseguire la
prestazione lavorativa in base alla
qualifica professionale rivestita (lesione
idonea a determinare la dequalificazione del
dipendente stesso), deve fornire la prova
dell’esistenza di tale danno e del nesso di
causalità con l’inadempimento, prova che
costituisce presupposto indispensabile per
procedere ad una valutazione equitativa (ex multis, Cassazione civile , sez. lav., 05.12.2008, n. 28849).
Sotto altro profilo, ancora di recente si è
rilevato che il riconoscimento del diritto
del lavoratore al risarcimento del danno
professionale, biologico o esistenziale, che
asseritamente ne deriva, non ricorre
automaticamente in tutti i casi di
inadempimento datoriale e non può
prescindere da una specifica allegazione,
nel ricorso introduttivo del giudizio, sulla
natura e sulle caratteristiche del
pregiudizio medesimo. Inoltre mentre il
risarcimento del danno biologico è
subordinato all’esistenza di una lesione
dell’integrità psico-fisica medicalmente
accertabile, il danno esistenziale -da
intendere come ogni pregiudizio (di natura
non meramente emotiva ed interiore, ma
oggettivamente accertabile) provocato sul
fare areddittuale del soggetto, che alteri
le sue abitudini e gli assetti relazionali
propri, inducendolo a scelte di vita diverse
quanto all’espressione e realizzazione della
sua personalità nel mondo esterno- deve
essere dimostrato in giudizio con tutti i
mezzi consentiti dall’ordinamento, assumendo
peraltro precipuo rilievo la prova per
presunzioni.
Ne discende che il prestatore
di lavoro che chieda la condanna del datore
di lavoro al risarcimento del danno (anche
nella sua eventuale componente di danno alla
vita di relazione o di cosiddetto danno
biologico) subito a causa della lesione del
proprio diritto di eseguire la prestazione
lavorativa in base alla qualifica
professionale rivestita, deve fornire la
prova dell’esistenza di tale danno e del
nesso di causalità con l’inadempimento,
prova che costituisce presupposto
indispensabile per procedere ad una
valutazione equitativa. Tale danno non si
pone, infatti, quale conseguenza automatica
di ogni comportamento illegittimo rientrante
nella suindicata categoria, cosicché non è
sufficiente dimostrare la mera potenzialità
lesiva della condotta datoriale, incombendo
al lavoratore che denunzi il danno subito di
fornire la prova in base alla regola
generale di cui all’art. 2697 c.c.
(Cassazione civile, sez. lav., 17.09.2010, n. 19785).
---------------
Rammenta
in proposito il Collegio che secondo
qualificata dottrina e giurisprudenza, sia
civile che amministrativa, l'elemento
oggettivo della fattispecie del mobbing è
integrato dai ripetuti soprusi che, se posti
in essere dai superiori dà luogo al c.d.
mobbing verticale, mentre se posti in essere
dai colleghi origina il c.d. mobbing
orizzontale, i quali possono anche essere
formalmente legittimi ed assumono
connotazione illecita allorquando aventi
l'unico scopo di danneggiare il lavoratore
nel suo ruolo e nella sua funzione
lavorativa, così da determinare il suo
isolamento (fisico, morale e psicologico),
all'interno del contesto lavorativo. L'elemento psicologico è integrato dal dolo
generico o dal dolo specifico di danneggiare
psicologicamente la personalità del
lavoratore.
Pertanto, ai fini della
configurabilità della condotta lesiva,
qualificata danno da emarginazione
lavorativa o mobbing, sono rilevanti,
innanzitutto, la strategia unitaria
persecutoria, che non si sostanzia in
singoli atti da ricondurre nell'ordinaria
dinamica del rapporto di lavoro (come i
normali conflitti interpersonali
nell'ambiente lavorativo, causati da
antipatia, sfiducia, scarsa stima
professionale, ma che non sono
caratterizzati dalla volontà di emarginare
il lavoratore), che ha come disegno unitario
la finalità di emarginare il dipendente o di
porlo in una posizione di debolezza, con la
conseguenza che la ricorrenza di un'ipotesi
di condotta mobbizzante deve essere esclusa
allorquando la valutazione complessiva
dell'insieme di circostanze addotte ed
accertate nella loro materialità, pur se
idonea a palesare singulatim elementi ed
episodi di conflitto sul luogo di lavoro,
non consenta di individuare, secondo un
giudizio di verosimiglianza, il carattere
unitariamente persecutorio e discriminante
nei confronti del singolo del complesso
delle condotte poste in essere sul luogo di
lavoro.
E’ evidente che la fattispecie così
descritta postula il riscontro di un
elemento psicologico della condotta non
semplicemente colposo, ma doloso, sia pur
nella forma del dolo generico.
In caso di denunziato mobbing si può
ritenere sussistente l'illecito solo se si
accerti che l'unica ragione della condotta è
consistita nel procurare un danno al
lavoratore, mentre bisogna escluderlo in
caso contrario, indipendentemente
dall'eventuale prevedibilità e occorrenza in
concreto di simili effetti. Una restrizione
del genere, se permette per un verso di
rinvenire nel mobbing un'ulteriore
manifestazione del divieto di agire
intenzionalmente a danno altrui, che
costituisce canone generale del nostro
ordinamento giuridico e fondamento dell'"exceptio
doli generalis", consente per altro verso di
escludere dall'orbita della fattispecie
tutte quelle vicende in cui fra datore di
lavoro e lavoratore si registrano
semplicemente posizioni divergenti o perfino
conflittuali, affatto connesse alla
fisiologia del rapporto di lavoro.
La giurisprudenza di legittimità civile,
poi, rileva che “a fronte della denuncia di
un lavoratore di condotte vessatorie da
parte del datore, il giudice che esclude la
ricorrenza delle caratteristiche proprie del
fenomeno mobbing (reiterazione,
sistematicità e intenzionalità) deve
valutare i fatti accertati anche nell'ambito
della fattispecie di inadempimento agli
obblighi contrattuali di cui all'art. 2087
c.c., da accertare alla stregua delle regole
ivi stabilite per il relativo inadempimento
contrattuale, le quali prescindono dalla
necessaria presenza del dolo.” (Cassazione
civile , sez. lav., 20.05.2008, n. 12735)
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 10.01.2012 n. 14 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
L’ordine di demolizione, come
tutti i provvedimenti sanzionatori in
materia edilizia, in quanto atto vincolato,
non richiede una specifica valutazione delle
ragioni di interesse pubblico, né una
comparazione di quest’ultimo con gli
interessi privati coinvolti e sacrificati,
né una motivazione sulla sussistenza di un
interesse pubblico concreto ed attuale alla
demolizione, non potendo neppure ammettersi
l’esistenza di alcun affidamento tutelabile
alla conservazione di una situazione di
fatto abusiva, che il tempo non può mai
legittimare.
La stessa giurisprudenza ha anche chiarito
un obbligo di motivazione intorno
all’interesse pubblico sottostante alla
rimozione dell’abuso sussiste allorché
l’ordinanza sanzionatoria intervenga a
distanza di lungo tempo dall’ultimazione
delle opere tutte le volte in cui
l’Amministrazione abbia ingenerato un
qualche affidamento nel privato.
In particolare, è stato chiarito che tutte
le volte in cui si sia ingenerata una
posizione di affidamento nel privato,
l’Amministrazione ha l’onere di sorreggere
con una congrua motivazione l’ordine di
motivazione, con la quale, avuto riguardo
anche alla entità e alla tipologia
dell'abuso, indichi il pubblico interesse,
diverso da quello al ripristino della
legalità, idoneo a giustificare il
sacrificio del contrapposto interesse
privato.
Come questa stessa Sezione ha anche di
recente avuto modo di rilevare con sentenza
18.10.2011, n. 562 - l’ordine di
demolizione, come tutti i provvedimenti
sanzionatori in materia edilizia, in quanto
atto vincolato, non richiede una specifica
valutazione delle ragioni di interesse
pubblico, né una comparazione di
quest’ultimo con gli interessi privati
coinvolti e sacrificati, né una motivazione
sulla sussistenza di un interesse pubblico
concreto ed attuale alla demolizione, non
potendo neppure ammettersi l’esistenza di
alcun affidamento tutelabile alla
conservazione di una situazione di fatto
abusiva, che il tempo non può mai
legittimare (cfr. Cons. St., sez. V,
11.01.2011, n. 79, e, sez. IV, 31.08.2010,
n. 3955); ed a tale orientamento è stato
oggi costantemente recepito dalla
giurisprudenza (cfr., da ultimo, TAR
Campania, sede Napoli, sez. VIII, 09.06.2011
n. 3029, TAR Lazio, sede Roma, sez. I,
08.06.2011 n. 5095, TAR Piemonte, sez. I,
06.06.2011 n. 578, TAR Puglia, sez. Lecce,
sez. III, 07.04.2011 n. 611, TAR Basilicata,
06.04.2011 n. 159, TAR Trentino-Alto Adige,
sede Trento, 05.04.2011 n. 102, TAR Liguria,
sez. I, 21.03.2011 n. 432, TAR Calabria,
sede Catanzaro, sez. II 11.02.2011 n. 207,
TAR Lombardia, sez. Brescia, sez. I
17.01.2011 n. 69).
Ciò premesso, va però anche ricordato che la
stessa giurisprudenza ha anche chiarito un
obbligo di motivazione intorno all’interesse
pubblico sottostante alla rimozione
dell’abuso sussiste allorché l’ordinanza
sanzionatoria intervenga a distanza di lungo
tempo dall’ultimazione delle opere tutte le
volte in cui l’Amministrazione abbia
ingenerato un qualche affidamento nel
privato (in tal senso, da ultimo, TAR
Liguria, sez. I, 22.01. 2011, n. 150, TAR
Puglia, sez. Lecce, sez. III, 14.01.2011, n.
62, TAR Umbria 07.12.2010, n. 522, e TAR
Toscana, sez. III, 26.11.2010, n. 6644).
In particolare, è stato chiarito che tutte
le volte in cui si sia ingenerata una
posizione di affidamento nel privato,
l’Amministrazione ha l’onere di sorreggere
con una congrua motivazione l’ordine di
motivazione, con la quale, avuto riguardo
anche alla entità e alla tipologia
dell'abuso, indichi il pubblico interesse,
diverso da quello al ripristino della
legalità, idoneo a giustificare il
sacrificio del contrapposto interesse
privato (TAR Abruzzo-Pescara,
sentenza 10.01.2012 n.
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LAVORI PUBBLICI:
Il potere di ordinanza può
dirigersi nei confronti di privati
proprietari per lavori da eseguirsi su beni
che sono nella loro disponibilità, ma non
può valere ad ordinare al privato
l’esecuzione di lavori pubblici, incombendo
sull’ente proprietario della strada il
potere-dovere di provvedere all’esecuzione
dei relativi lavori, “altrimenti opinando si
ammetterebbe una sorta di sanzione
ripristinatoria atipica, non prevista
dall’ordinamento, mediante la quale l’ente
comunale ordina un facere (esecuzione di
lavori pubblici) su strada non privata
(comunale), lì dove avrebbe dovuto procedere
alla realizzazione dei lavori di ripristino
ponendo conseguentemente le relative spese a
carico del responsabile del danno causato”.
Relativamente alla manutenzione delle strade
e delle relative pertinenze, allorquando il
Legislatore ha ritenuto, con previsione
speciale, di addossare al privato (o a
soggetto diverso dall’ente titolare o
gestore della strada) gli interventi di
manutenzione e di riparazione di talune
opere, lo ha previsto espressamente, mentre
fuori dai casi espressamente contemplati
dalla legge speciale (quali canali
artificiali, muri od altri simili sostegni
dei fondi adiacenti), opera la regola
generale per cui l’onere della manutenzione
e riparazione della strada pubblica grava
sull'ente titolare o gestore, salvo, se del
caso, il successivo recupero delle spese nei
confronti del responsabile, ma non è
ammissibile la pronuncia di un ordine di
facere a carico di quest'ultimo.
Come ha già chiarito la giurisprudenza
amministrativa (TAR Campania, sede Napoli,
sez. V, 16.04.2007, n. 3722) - il potere di
ordinanza può dirigersi nei confronti di
privati proprietari per lavori da eseguirsi
su beni che sono nella loro disponibilità,
ma non può valere ad ordinare al privato
l’esecuzione di lavori pubblici, incombendo
sull’ente proprietario della strada il
potere-dovere di provvedere all’esecuzione
dei relativi lavori, “altrimenti opinando
si ammetterebbe una sorta di sanzione
ripristinatoria atipica, non prevista
dall’ordinamento, mediante la quale l’ente
comunale ordina un facere (esecuzione di
lavori pubblici) su strada non privata
(comunale), lì dove avrebbe dovuto procedere
alla realizzazione dei lavori di ripristino
ponendo conseguentemente le relative spese a
carico del responsabile del danno causato”;
in definitiva, relativamente alla
manutenzione delle strade e delle relative
pertinenze, allorquando il Legislatore ha
ritenuto, con previsione speciale, di
addossare al privato (o a soggetto diverso
dall’ente titolare o gestore della strada)
gli interventi di manutenzione e di
riparazione di talune opere, lo ha previsto
espressamente, mentre fuori dai casi
espressamente contemplati dalla legge
speciale (quali canali artificiali, muri od
altri simili sostegni dei fondi adiacenti),
opera la regola generale per cui l’onere
della manutenzione e riparazione della
strada pubblica grava sull'ente titolare o
gestore, salvo, se del caso, il successivo
recupero delle spese nei confronti del
responsabile, ma non è ammissibile la
pronuncia di un ordine di facere a
carico di quest'ultimo (TAR Abruzzo-Pescara,
sentenza 10.01.2012 n.
9 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Deve
escludersi che la realizzazione di parcheggi
interrati, con le relative opere di scavo,
sia di per sé idonea a determinare effetti
nocivi sull’ambiente superficiario, quindi
sui beni ambientali che formano oggetto del
vincolo.
Deve conseguentemente escludersi che la
realizzazione dei parcheggi interrati, con
le relative opere di scavo, sia di per sé
idonea a determinare effetti nocivi
sull’ambiente superficiario, quindi sui beni
ambientali che formano oggetto del vincolo
(TAR Abruzzo, Pescara, 01.07.2004, n. 642)
(TAR Liguria, Sez. I,
sentenza 09.01.2012 n. 18 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: La circostanza che un
concorrente abbia puntualmente seguito le
indicazioni fornite dalla medesima stazione
appaltante nella modulistica "ufficiale" non
può andare in danno del medesimo, se detta
modulistica risulta poi non esattamente
conforme alle prescrizioni della "lex specialis” di gara; deve prevalere in tal
caso, a fronte di una obiettiva incertezza
ingenerata dagli atti predisposti dalla
stazione appaltante e della buona fede che
va riconosciuta al concorrente, il principio
del “favor partecipationis”.
La carenza
riscontrata non poteva pertanto comportare
l'esclusione dalla procedura concorsuale del
concorrente interessato (la stazione
appaltante, semmai, avrebbe potuto invitare
il concorrente stesso ad integrare la
documentazione carente, ferma restando, in
caso di aggiudicazione, la verifica
dell’effettivo possesso anche dei requisiti
di cui si tratta).
In applicazione dei principi del “favor partecipationis” e di tutela
dell'affidamento, non può procedersi
all'esclusione di un'impresa nel caso in cui
questa abbia compilato l'offerta in
conformità al facsimile all'uopo approntato
dalla stazione appaltante,
potendo eventuali parziali difformità
rispetto al disciplinare costituire oggetto
di richiesta di integrazione.
Per arresti giurisprudenziali che hanno censurato la sanzione
dell’esclusione in ipotesi in cui il tenore
della legge di gara renda dubbia la
necessità di presentare una determinata
specifica documentazione ovvero ove sussista
una modulistica predisposta
dall’amministrazione che può aver indotto in
errore si veda C.G.A. 11.02.2005 n. 55; Cons.
St. sez. V 04.02.2004 n. 364.
In particolare secondo Cons. St. 05.07.2011 n.
4029: “Va osservato che il Giudice di prime
cure ha ritenuto che la circostanza che un
concorrente abbia puntualmente seguito le
indicazioni fornite dalla medesima stazione
appaltante nella modulistica "ufficiale" non
può andare in danno del medesimo, se detta
modulistica risulta poi non esattamente
conforme alle prescrizioni della "lex specialis” di gara; deve prevalere in tal
caso, a fronte di una obiettiva incertezza
ingenerata dagli atti predisposti dalla
stazione appaltante e della buona fede che
va riconosciuta al concorrente, il principio
del “favor partecipationis”.
La carenza
riscontrata non poteva pertanto comportare
l'esclusione dalla procedura concorsuale del
concorrente interessato (la stazione
appaltante, semmai, avrebbe potuto invitare
il concorrente stesso ad integrare la
documentazione carente, ferma restando, in
caso di aggiudicazione, la verifica
dell’effettivo possesso anche dei requisiti
di cui si tratta).
Considera la Sezione che,
in applicazione dei principi del “favor partecipationis” e di tutela
dell'affidamento, non può procedersi
all'esclusione di un'impresa nel caso in cui
questa abbia compilato l'offerta in
conformità al facsimile all'uopo approntato
dalla stazione appaltante (Consiglio Stato,
Sezione VI, n. 7278, 10.11.2004),
potendo eventuali parziali difformità
rispetto al disciplinare costituire oggetto
di richiesta di integrazione.”
Per altro nel caso si specie, a differenza
del caso di cui alla decisione del Consiglio
di Stato da ultimo riportata neppure
sussisteva nella legge di gara una chiara
prescrizione a pena di esclusione della
presentazione della contestata dichiarazione
e quindi, se mai, anche la par condicio,
intesa come rigoroso rispetto delle
condizioni chiaramente dettate dalle legge
di gara, imponeva di non richiedere a pena
di esclusione alcuna dichiarazione non
espressamente menzionata negli atti di gara;
resta così assorbito l’ulteriore profilo
contestato dall’amministrazione resistente
circa l’insussistenza normativa dell’obbligo
di rendere la contestata dichiarazione in
capo agli amministratori cessati dalla
carica
(TAR Piemonte, Sez. I,
sentenza 09.01.2012 n. 5 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA -
URBANISTICA:
Costituisce regola generale ed imperativa, in materia di governo del
territorio, il rispetto delle previsioni del
P.R.G. che impongano, per una determinata
zona, la pianificazione di dettaglio: tali
prescrizioni sono vincolanti e idonee ad
inibire l’intervento diretto costruttivo.
Corollari immediati di tale principio
fondamentale sono:
a) quando lo strumento urbanistico generale
prevede che la sua attuazione debba aver
luogo mediante un piano di livello
inferiore, il rilascio del titolo edilizio
può essere legittimamente disposto solo dopo
che lo strumento esecutivo sia divenuto
perfetto ed efficace, ovvero quando è
concluso il relativo procedimento;
b) in presenza di una normativa urbanistica
generale che preveda per il rilascio del
titolo edilizio in una determinata zona
l’esistenza di un piano attuativo, non è
consentito superare tale prescrizione
facendo leva sulla situazione di sufficiente
urbanizzazione della zona stessa;
c) l’insurrogabilità dell’assenza del piano
attuativo con l’imposizione di opere di
urbanizzazione all’atto del rilascio del
titolo edilizio; invero, l’obbligo
dell’interessato di realizzare direttamente
le opere di urbanizzazione è idoneo a
sopperire solo alla mancanza fisica e
materiale di tali opere ma non è in grado di
colmare l’assenza dello strumento esecutivo;
d) l’inconfigurabilità di equipollenti al
piano attuativo, circostanza questa che
impedisce che in sede amministrativa o
giurisdizionale possano essere effettuate
indagini volte a verificare se sia
tecnicamente possibile edificare vanificando
la funzione del piano attuativo, la cui
indefettibile approvazione, se ritarda, può
essere stimolata dall’interessato con gli
strumenti consentiti dal sistema;
e) la necessità dello strumento attuativo
anche in presenza di zone parzialmente
urbanizzate che sono comunque esposte al
rischio di compromissione dei valori
urbanistici e nelle quali la pianificazione
di dettaglio può conseguire l’effetto di
correggere e compensare il disordine
edificativo in atto.
-------------
A fronte di tale
principio fondamentale e dei suoi corollari,
la prassi giurisprudenziale ha coniato una
deroga eccezionale in presenza di una
peculiare situazione di fatto che ha preso
il nome di “lotto intercluso”.
Tale fattispecie si realizza, secondo una
preferibile rigorosa impostazione,
allorquando l’area edificabile di proprietà
del richiedente:
a) sia l’unica a non essere stata ancora
edificata;
b) si trovi in una zona integralmente
interessata da costruzioni;
c) sia dotata di tutte le opere di
urbanizzazione (primarie e secondarie),
previste dagli strumenti urbanistici;
d) sia valorizzata da un progetto edilizio
del tutto conforme al P.R.G..
In sintesi, si consente l’intervento
costruttivo diretto purché si accerti la
sussistenza di una situazione di fatto
“perfettamente corrispondente” a quella
derivante dall’attuazione del piano
esecutivo, allo scopo di evitare defatiganti
attese per il privato e inutili dispendi di
attività procedimentale per l’ente pubblico.
Tali essendo la ratio e la natura
eccezionale della regola sottesa al c.d.
<<lotto intercluso>>, deve ritenersi che, in
assenza di strumento attuativo:
a) la valutazione circa la congruità del
grado di urbanizzazione sia rimessa
all’esclusivo apprezzamento discrezionale
del Comune;
b) il Comune, ove intenda rilasciare il
titolo edilizio, deve compiere una
penetrante istruttoria per accertare che la
pianificazione esecutiva non conservi una
qualche utile funzione, anche in relazione a
situazioni di degrado che possano recuperare
margini di efficienza abitativa, riordino e
completamento razionale e che non sia in
grado di esprimere scelte programmatorie
distinte rispetto a quelle contenute nel
P.R.G.;
c) incombe sul Comune l’obbligo di puntuale
motivazione solo nell’ipotesi in cui venga
rilasciato il permesso di costruire, essendo
in caso contrario sufficiente il richiamo
alla mancanza del piano attuativo (come
verificatosi nel caso di specie).
Si è in sostanza chiarito che si può
prescindere dalla pianificazione attuativa
richiesta dallo strumento urbanistico, solo
ove nella zona interessata sussista una
situazione di fatto esattamente
corrispondente a quella derivante dalla
pianificazione di secondo grado, ovvero
siano presenti opere di urbanizzazione
primaria e secondaria pari agli standards
urbanistici minimi prescritti.
Costituisce regola generale ed imperativa, in materia di governo del
territorio, il rispetto delle previsioni del
P.R.G. che impongano, per una determinata
zona, la pianificazione di dettaglio: tali
prescrizioni sono vincolanti e idonee ad
inibire l’intervento diretto costruttivo.
Corollari immediati di tale principio
fondamentale sono:
a) quando lo strumento urbanistico generale
prevede che la sua attuazione debba aver
luogo mediante un piano di livello
inferiore, il rilascio del titolo edilizio
può essere legittimamente disposto solo dopo
che lo strumento esecutivo sia divenuto
perfetto ed efficace, ovvero quando è
concluso il relativo procedimento (cfr.
Cons. Stato, sez. V, 01.04.1997, n. 300);
b) in presenza di una normativa urbanistica
generale che preveda per il rilascio del
titolo edilizio in una determinata zona
l’esistenza di un piano attuativo, non è
consentito superare tale prescrizione
facendo leva sulla situazione di sufficiente
urbanizzazione della zona stessa (cfr. Cons.
Stato, sez. IV, 03.11.2008, n. 5471);
c) l’insurrogabilità dell’assenza del piano
attuativo con l’imposizione di opere di
urbanizzazione all’atto del rilascio del
titolo edilizio; invero, l’obbligo
dell’interessato di realizzare direttamente
le opere di urbanizzazione è idoneo a
sopperire solo alla mancanza fisica e
materiale di tali opere ma non è in grado di
colmare l’assenza dello strumento esecutivo
(cfr. Cons. Stato., sez. IV, 26.01.1998, n. 67; Cass. pen., sez. III, 26.01.1998, n. 302; Cons. Stato, sez. V,
15.01.1997, n. 39);
d) l’inconfigurabilità di equipollenti al
piano attuativo, circostanza questa che
impedisce che in sede amministrativa o
giurisdizionale possano essere effettuate
indagini volte a verificare se sia
tecnicamente possibile edificare vanificando
la funzione del piano attuativo, la cui
indefettibile approvazione, se ritarda, può
essere stimolata dall’interessato con gli
strumenti consentiti dal sistema (cfr. Cons.
Stato, sez. IV, 30.12.2008, n. 6625);
e) la necessità dello strumento attuativo
anche in presenza di zone parzialmente
urbanizzate che sono comunque esposte al
rischio di compromissione dei valori
urbanistici e nelle quali la pianificazione
di dettaglio può conseguire l’effetto di
correggere e compensare il disordine
edificativo in atto (cfr. Cass. pen., sez.
III, 19.09.2008, n. 35880).
A fronte di tale principio fondamentale e
dei suoi corollari, la prassi
giurisprudenziale ha coniato una deroga
eccezionale in presenza di una peculiare
situazione di fatto che ha preso il nome di
“lotto intercluso”.
Tale fattispecie si realizza, secondo una
preferibile rigorosa impostazione,
allorquando l’area edificabile di proprietà
del richiedente:
a) sia l’unica a non essere stata ancora
edificata;
b) si trovi in una zona integralmente
interessata da costruzioni;
c) sia dotata di tutte le opere di
urbanizzazione (primarie e secondarie),
previste dagli strumenti urbanistici;
d) sia valorizzata da un progetto edilizio
del tutto conforme al P.R.G..
In sintesi, si consente l’intervento
costruttivo diretto purché si accerti la
sussistenza di una situazione di fatto
“perfettamente corrispondente” a quella
derivante dall’attuazione del piano
esecutivo, allo scopo di evitare defatiganti
attese per il privato e inutili dispendi di
attività procedimentale per l’ente pubblico
(cfr. Cons. Stato, sez. IV, 29.01.2008,
n. 268; sez. V, 03.03.2004, n. 1013).
Tali essendo la ratio e la natura
eccezionale della regola sottesa al c.d.
<<lotto intercluso>>, deve ritenersi che, in
assenza di strumento attuativo:
a) la valutazione circa la congruità del
grado di urbanizzazione sia rimessa
all’esclusivo apprezzamento discrezionale
del Comune (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 01.08.2007, n. 4276);
b) il Comune, ove intenda rilasciare il
titolo edilizio, deve compiere una
penetrante istruttoria per accertare che la
pianificazione esecutiva non conservi una
qualche utile funzione, anche in relazione a
situazioni di degrado che possano recuperare
margini di efficienza abitativa, riordino e
completamento razionale e che non sia in
grado di esprimere scelte programmatorie
distinte rispetto a quelle contenute nel
P.R.G. (cfr. Cons. Stato, sez. V, 27.10.2000, n. 5756; sez. V,
08.07.1997, n.
772);
c) incombe sul Comune l’obbligo di puntuale
motivazione solo nell’ipotesi in cui venga
rilasciato il permesso di costruire, essendo
in caso contrario sufficiente il richiamo
alla mancanza del piano attuativo (come
verificatosi nel caso di specie) (in
termini, Cons. Stato, IV, 10.06.2010, n.
3699).
Si è in sostanza chiarito che si può
prescindere dalla pianificazione attuativa
richiesta dallo strumento urbanistico, solo
ove nella zona interessata sussista una
situazione di fatto esattamente
corrispondente a quella derivante dalla
pianificazione di secondo grado, ovvero
siano presenti opere di urbanizzazione
primaria e secondaria pari agli standards
urbanistici minimi prescritti (cfr. Cons.
Stato, IV, 21.12.2006, n. 7769; Tar
Campania, Salerno, II, 18.03.2008, n. 308) (TAR Sicilia-Palermo, Sez. III,
sentenza 04.01.2012 n. 5 - link a
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EDILIZIA PRIVATA:
Sebbene qualora
in sede di rilascio della concessione
edilizia sia stato acquisito il parere della
Commissione Edilizia, tale parere va
acquisito anche all'atto dell'annullamento
d'ufficio del suddetto titolo abilitativo,
vanno fatte salve le ipotesi in cui il
provvedimento di autotutela sia supportato
da ragioni formali o di tipo esclusivamente
giuridico; quindi, non occorre acquisire il
parere della Commissione Edilizia Comunale,
nel caso in cui la decisione di annullamento
discenda direttamente dall'applicazione
della disciplina edilizia: in tale ipotesi,
infatti, l’atto di annullamento si qualifica
come atto dovuto in virtù di una valutazione
di carattere formale e giuridico, svincolata
da valutazioni implicanti esercizio di
discrezionalità tecnica ascrivibili alla
Commissione Edilizia.
...
RITENUTO, allora, che:
- in deroga alla regola generale, che
richiede, soprattutto per i procedimenti di
secondo grado, l'invio dell'avviso di
inizio del procedimento, l'esigenza di
intervenire tempestivamente sull'anzidetto
provvedimento giustifica, conformemente a
quanto previsto dallo stesso art. 8 della
l.r. n. 10 del 1991, per il caso di
particolari esigenze di celerità del
procedimento, l'omessa previa comunicazione
di avvio, oggetto della censura contenuta
nel terzo motivo di ricorso (cfr. TAR
Sardegna, Cagliari, sez. II, 12.05.2011, n. 485);
- in ogni caso, la destinazione urbanistica
dell'area sulla quale doveva essere
effettuato l’ampliamento non avrebbe
consentito un esito diverso del procedimento
in questione, atteggiandosi l’annullamento
quale atto di natura vincolata: in altre
parole, nel caso in esame, in cui è emersa
con certezza l’impossibilità del rilascio di
una concessione diretta per mancanza dello
strumento attuativo, la comunicazione di
avvio non avrebbe avuto ragione di essere (e
ciò nonostante, seppure verbalmente, è stata
effettuata), così come una diffusa
motivazione circa l’interesse pubblico
all’annullamento d’ufficio, sussistente in
re ipsa (cfr. TAR Sicilia, Palermo, sez. II,
03.06.2005, n. 941; TAR Lazio, Roma 13.02.2006, n. 1052);
- infine, seppure in base al principio del
contrarius actus, qualora in sede di
rilascio della concessione edilizia sia
stato acquisito il parere della Commissione
Edilizia, tale parere va acquisito anche
all'atto dell'annullamento d'ufficio del
suddetto titolo abilitativo, vanno fatte
salve le ipotesi in cui il provvedimento di
autotutela sia supportato da ragioni formali
o di tipo esclusivamente giuridico (Cons.
Stato, sez. V, 12.05.2011 , n. 2821;
sez. IV, 31.03.2009, n. 1909); quindi,
non occorre acquisire il parere della
Commissione Edilizia Comunale, nel caso in
cui la decisione di annullamento discenda
direttamente dall'applicazione della
disciplina edilizia: in tale ipotesi,
riscontrata nel caso di specie, infatti,
l’atto di annullamento si qualifica come
atto dovuto in virtù di una valutazione di
carattere formale e giuridico, svincolata da
valutazioni implicanti esercizio di
discrezionalità tecnica ascrivibili alla
Commissione Edilizia (cfr. TAR Campania,
Napoli, sez. VI, 20.04.2011, n. 2245;
14.04.2010, n. 1975, 03.12.2010, n. 26797) (TAR Sicilia-Palermo, Sez. III,
sentenza 04.01.2012 n. 5 - link a
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EDILIZIA PRIVATA: I
provvedimenti repressivi di abusi edilizi
non devono essere preceduti dall'avviso
dell'inizio del procedimento, trattandosi di
procedimenti tipizzati e vincolati -regolati
in tutti i loro passaggi nei quali è
consentita l'adeguata partecipazione
dell'interessato- considerato, altresì, che
i provvedimenti sanzionatori presuppongono
un mero accertamento tecnico sulla
consistenza delle opere realizzate, nonché
sul carattere non assentito delle medesime.
La comunicazione di avvio del procedimento,
prevista dall'art. 7 della legge 07.08.1990
n. 241, del resto, è necessaria soltanto per
i procedimenti iniziati d'ufficio e non già
per quelli avviati ad istanza di parte nei
quali lo stesso interessato con la sua
domanda può inserire tutti gli elementi che
ritiene debbano essere presi in
considerazione dalla Pubblica
Amministrazione ai fini dell'adozione del
provvedimento finale.
Secondo la consolidata giurisprudenza, anche
di questo Tribunale, i provvedimenti
repressivi di abusi edilizi non devono
essere preceduti dall'avviso dell'inizio del
procedimento, trattandosi di procedimenti
tipizzati e vincolati -regolati in tutti i
loro passaggi nei quali è consentita
l'adeguata partecipazione dell'interessato-
considerato, altresì, che i provvedimenti
sanzionatori presuppongono un mero
accertamento tecnico sulla consistenza delle
opere realizzate, nonché sul carattere non
assentito delle medesime.
La comunicazione di avvio del procedimento,
prevista dall'art. 7 della legge 07.08.1990
n. 241, del resto, è necessaria soltanto per
i procedimenti iniziati d'ufficio e non già
per quelli avviati ad istanza di parte nei
quali lo stesso interessato con la sua
domanda può inserire tutti gli elementi che
ritiene debbano essere presi in
considerazione dalla Pubblica
Amministrazione ai fini dell'adozione del
provvedimento finale (cfr. ex plurimis:
Cons. Stato, sez. IV, 10.10.2007, n. 5314;
30.03.2000, n. 1814; TAR Lombardia Brescia,
sez. I, 27.05.2011, n. 781; TAR Toscana,
Firenze, sez. III, 13.05.2011; n. 840; TAR
Veneto, Venezia, sez. II, 06.05.2011, n.
784; TAR Sicilia, Palermo, II, 06.06.02007,
n. 1617; 27.03.2007, n. 979; III,
20.03.2006, n. 608; 20.04. 2005, n. 577;
Catania, III, 03.03.2003, n. 374; TAR
Campania, IV, 12.02.2003, n. 797;
14.06.2002, n. 3499; 28.03.2001, n. 1404) (TAR Sicilia-Palermo, Sez. III,
sentenza 04.01.2012 n. 4 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Gare, quando l'avvalimento riguarda
prestazioni eterogenee.
In
presenza di una clausola del bando di gara
d'appalto che imponga il possesso di un
requisito di partecipazione di cui il
concorrente sia privo, non necessita, ai
fini della legittimazione ad agire, la
presentazione della domanda di
partecipazione alla gara.
Con
sentenza 21.12.2011 n. 1336, la
I Sez. del
TAR Piemonte ha affermato che in presenza
di una clausola del bando di gara d'appalto
che imponga, a pena di esclusione il
possesso di un requisito di partecipazione
di cui il concorrente sia privo, non
necessita, al fine di radicare nel medesimo
la legittimazione al ricorso, la previa
presentazione della domanda di
partecipazione alla gara, la quale si
risolverebbe in un inutile formalismo poiché
l'esclusione dalla procedura sarebbe certa.
Sotto altro profilo, i giudici piemontesi
hanno affermato che in tema di appalti
pubblici, l'istituto dell'avvalimento, il
quale sostanzia una facoltà per le imprese
partecipanti alle gare ed è inteso a
favorire ed ampliare le possibilità di
partecipazione alle stesse, non priva del
carattere escludente una clausola che
imponga a pena di esclusione un determinato
requisito di partecipazione, sia ai
concorrenti singoli che a quelli riuniti in
raggruppamento o consorzio, in quanto
altrimenti, l'utilizzo dell'avvalimento,
lungi dall'assurgere a strumento agevolativo
della partecipazione alla gara,
determinerebbe una ingiustificata
compressione della libertà di impresa e di
iniziativa economica, addirittura fungendo
non da strumento per agevolare il favor partecipationis, ma da congegno processuale
necessario a radicare l'interesse a
ricorrere a fronte di una siffatta clausola.
Per quanto concerne il bando avente per
oggetto assolutamente dominante la
riscossione della tassa automobilistica e in
via secondaria anche quella di una serie di
imposte comunali, si è ritenuto che tale lex
specialis è di per sé illegittima in quanto
accorpa in sé servizi tra loro eterogenei
che non consentono di formulare offerte
consapevoli e, comunque, non può richiedere
anche per la prima attività, a pena di
esclusione, il possesso dell'iscrizione
all'albo dei soggetti abilitati alle
attività di accertamento, liquidazione e
riscossione delle entrate degli enti locali
contemplato dall'art. 53 D.L.vo 15.12.1997 n. 446, in quanto altrimenti darebbe
corpo all'imposizione di un requisito
sproporzionato e in ultima analisi
determinerebbe una compressione della
concorrenza (Nella specie, le due tipologie
di tributo erano assolutamente diverse tra
di loro).
E' stato, infine affermato che, ai fini
della riscossione della tassa
automobilistica, il sistema on-line è quello
tipizzato dal legislatore ed è quindi
illegittimo il sistema off-line costituito
dal pagamento mediante utilizzazione del
bollettino mav.
(commento tratto da www.ipsoa.it - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Il trasferimento per
incompatibilità ambientale non ha carattere
sanzionatorio, né natura disciplinare, non
postulando comportamenti contrari ai doveri
d'ufficio ma essendo condizionato solo alla
valutazione, ampiamente discrezionale, di
fatti che possano far ritenere nociva per il
prestigio, il decoro o la funzionalità
dell'ufficio la permanenza del dipendente in
una determinata sede.
Tale trasferimento ha
il fine di tutelare il prestigio ed il
corretto funzionamento degli uffici pubblici
e di garantire la regolarità e la continuità
dell'azione amministrativa e mira ad
eliminare la causa obiettiva dei disagi e
delle difficoltà che discendono dalla
presenza del dipendente, tanto da
trascendere da ogni valutazione circa
l'imputabilità al dipendente di eventuali
profili soggettivi di colpa per la
situazione di incompatibilità ambientale
ingeneratasi.
L'impossibilità di riconoscere
al procedimento un carattere sanzionatorio o
disciplinare comporta quindi che siano del
tutto ininfluenti i successivi sviluppi di
carriera del dipendente o la eventuale
successiva attribuzione allo stesso di
incarichi di particolare rilevanza, che non
incidono sulle ragioni che hanno indotto
l’Amministrazione al precedente
trasferimento e che quindi non determinano
in alcun modo, come nel caso in esame, una
qualche carenza di interesse da parte
dell’Amministrazione stessa a veder
confermata, in sede giurisdizionale, la
legittimità della sua precedente,
contestata, attività.
---------------
Non si ha violazione dell’avvio del
procedimento quando sia comunque intervenuta
la conoscenza da parte dell’interessato del
procedimento in itinere e la partecipazione
dello stesso al procedimento sia stata resa
comunque possibile con forme equivalenti, in
modo da poter ritenere in concreto raggiunto
lo scopo perseguito dalla norma.
---------------
Le esigenze di servizio poste a base del
trasferimento per incompatibilità sono
sindacabili da parte del giudice
amministrativo solo ab externo, sotto il
profilo della logicità e completezza della
motivazione, rimanendo esclusa ogni indagine
del merito della valutazione
dell’amministrazione.
D’altro canto, anche la motivazione per
relationem è ammessa, purché le ragioni
dell’atto richiamato siano esaurienti; in
particolare, proprio con riferimento al
trasferimento per incompatibilità
ambientale, si è rilevato che la motivazione
può desumersi anche dall’intero iter
procedimentale, ove dalla sequenza degli
atti possano essere agevolmente ricavabili
le ragioni sottese alle scelte discrezionali
della amministrazione.
Al riguardo occorre richiamare pacifici approdi della giurisprudenza
amministrativa, secondo i quali il
trasferimento per incompatibilità ambientale
non ha carattere sanzionatorio, né natura
disciplinare, non postulando comportamenti
contrari ai doveri d'ufficio ma essendo
condizionato solo alla valutazione,
ampiamente discrezionale, di fatti che
possano far ritenere nociva per il
prestigio, il decoro o la funzionalità
dell'ufficio la permanenza del dipendente in
una determinata sede.
Tale trasferimento ha
il fine di tutelare il prestigio ed il
corretto funzionamento degli uffici pubblici
e di garantire la regolarità e la continuità
dell'azione amministrativa e mira ad
eliminare la causa obiettiva dei disagi e
delle difficoltà che discendono dalla
presenza del dipendente, tanto da
trascendere da ogni valutazione circa
l'imputabilità al dipendente di eventuali
profili soggettivi di colpa per la
situazione di incompatibilità ambientale
ingeneratasi.
L'impossibilità di riconoscere
al procedimento un carattere sanzionatorio o
disciplinare comporta quindi che siano del
tutto ininfluenti i successivi sviluppi di
carriera del dipendente o la eventuale
successiva attribuzione allo stesso di
incarichi di particolare rilevanza, che non
incidono sulle ragioni che hanno indotto
l’Amministrazione al precedente
trasferimento e che quindi non determinano
in alcun modo, come nel caso in esame, una
qualche carenza di interesse da parte
dell’Amministrazione stessa a veder
confermata, in sede giurisdizionale, la
legittimità della sua precedente,
contestata, attività.
-------------
Al riguardo si
richiama il consolidato indirizzo
giurisprudenziale, in base al quale non si
ha violazione dell’avvio del procedimento
quando sia comunque intervenuta la
conoscenza da parte dell’interessato del
procedimento in itinere e la partecipazione
dello stesso al procedimento sia stata resa
comunque possibile con forme equivalenti, in
modo da poter ritenere in concreto raggiunto
lo scopo perseguito dalla norma (Cons.
Stato, Sez. V, 17.04.2003, n. 2062) .
---------------
Come
rilevato dalla giurisprudenza
amministrativa, le esigenze di servizio
poste a base del trasferimento per
incompatibilità sono sindacabili da parte
del giudice amministrativo solo ab externo,
sotto il profilo della logicità e
completezza della motivazione, rimanendo
esclusa ogni indagine del merito della
valutazione dell’amministrazione (cfr. Cons.
Stato, IV, n. 970 del 2010).
D’altro canto, anche la motivazione per relationem è ammessa, purché le ragioni
dell’atto richiamato siano esaurienti; in
particolare, proprio con riferimento al
trasferimento per incompatibilità
ambientale, si è rilevato che la motivazione può desumersi anche dall’intero iter
procedimentale, ove dalla sequenza degli
atti possano essere agevolmente ricavabili
le ragioni sottese alle scelte discrezionali
della amministrazione (Cons. Stato, IV, 31.01.2001,
n. 550) (Consiglio di Stato, Sez. III,
sentenza
16.12.2011 n.
6623 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA: Valutazione
ambientale strategica (VAS) - Autorità
competente - Organo o ufficio interno alla
stessa autorità procedente.
E' legittimo che
l'autorità competente alla v.a.s. sia
identificata in un organo o ufficio interno
alla stessa autorità procedente.
La scelta dei funzionari apicali dell'ente
costituisce una garanzia sufficiente in
ordine al possesso, in capo a costoro, delle
competenze necessarie per effettuare la
valutazione ambientale strategica.
Parimenti infondata è la censura con cui
viene lamentata l'assenza di competenze
dell'autorità incaricata di effettuare la
v.a.s.. Si richiama, al riguardo, quanto
recentemente affermato dal Consiglio di
Stato circa la legittimità dell'evenienza
che l'autorità competente alla v.a.s. sia
identificata in un organo o ufficio interno
alla stessa autorità procedente (Consiglio
Stato, sez. IV, 12.01.2011, n. 133)
La nomina del segretario comunale e dei
dirigenti dell'ente, con l'esclusione del
dirigente dell'area territorio, ambiente ed
attività produttive e la previsione di un
supporto tecnico operativo non si presta
invero ad alcuna censura: in mancanza di
elementi di segno contrario può, invero,
ritenersi che la scelta dei funzionari
apicali dell'ente costituisca una garanzia
sufficiente in ordine al possesso, in capo a
costoro, delle competenze necessarie per
effettuare la valutazione ambientale
strategica
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 15.12.2011 n. 3170 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI:
L'affidamento "in house" è una
fattispecie non contrattuale che, come tale,
per sua stessa natura si sottrae al diritto
comunitario degli appalti e delle
concessioni.
-------------
Sui requisiti condizionanti la legittimità
del ricorso all'istituto dell'in house.
L'affidamento "in house", che
rappresenta il tentativo di conciliare il
principio di auto-organizzazione
amministrativa con i principi di tutela
della concorrenza e del mercato, non è una
fattispecie contrattuale eccezionalmente
sottratta all'applicazione del diritto
comunitario degli appalti e delle
concessioni, ma è, al contrario, una
fattispecie non contrattuale che, come tale,
per sua stessa natura si sottrae al diritto
comunitario degli appalti e delle
concessioni.
Ciò precisato, dunque, la giurisprudenza
comunitaria e nazionale, partendo dal
concetto che l'affidamento diretto di un
servizio è giustificato quando il soggetto
affidatario si trova in una posizione
strumentale e di rapporto organico con
l'Amministrazione affidante, ha individuato
i requisiti in presenza dei quali può
ritenersi verificata la sussistenza di detta
posizione e, conseguentemente, giustificato
il conferimento "in house".
Tali requisiti sono la proprietà, da parte
dell'ente pubblico, del capitale sociale del
soggetto affidatario e l'esercizio sul
medesimo di una forma di controllo analoga a
quella svolta sui propri servizi, e
l'esercizio, da parte della società
affidataria, della quota prevalente della
sua attività a favore dei soci.
---------------
In relazione ai requisiti condizionanti la
legittimità del ricorso all'istituto dell'in
house va evidenziato che, atteso che al
momento di scegliere la forma di gestione di
un servizio pubblico tra quelle previste
dalla legge l'ente locale è sempre tenuto a
giustificare la scelta che concretamente
effettua, in caso di affidamento "in
house" è necessario dimostrare non solo
la sussistenza dei presupposti richiesti per
l'autoproduzione, ma anche la convenienza
rispetto all'affidamento della gestione del
servizio a soggetti terzi, perché, in
difetto, la scelta sarebbe del tutto
immotivata e contraria al principio di buona
amministrazione cui deve conformarsi
l'operato della PA (TAR Veneto, Sez. I,
sentenza 14.12.2011 n. 1823 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI SERVIZI:
Esclusione da una gara d’appalto
nel caso in cui l’offerta presentata
dall’unico concorrente partecipante non
abbia raggiunto il punteggio minimo previsto
dal bando.
E’ legittima l’esclusione da una gara per
l’affidamento di un appalto di servizi, da
aggiudicarsi secondo il criterio
dell’offerta economicamente più vantaggiosa,
che sia motivata con riferimento al fatto
che l’offerta presentata dall’unico
concorrente partecipante non ha raggiunto il
punteggio minimo previsto dal bando;
infatti, nel caso di gara per l’affidamento
di un appalto di servizi, con il sistema
dell'offerta economicamente più vantaggiosa,
devono ritenersi legittime le clausole del
bando che prevedono la valutazione
dell'offerta economica solo in caso di un
punteggio minimo raggiunto dall'offerta
stessa, considerata la rilevanza che può
avere l'aspetto della qualità tecnica per la
amministrazione aggiudicatrice (1).
Il solo punteggio numerico può essere
ritenuto una sufficiente motivazione in
relazione agli elementi di valutazione
dell’offerta economicamente più vantaggiosa,
quando i criteri prefissati di valutazione
siano estremamente dettagliati (2).
---------------
(1) Cfr. Cons. Stato, Sez. V, 03.03.2004,
n. 1040, che ha affermato la legittimità di
una clausola di sbarramento, prevista nel
capitolato speciale per una gara di appalto
per l'aggiudicazione di un servizio
all'offerta economicamente più vantaggiosa,
che non consente la valutazione del prezzo
nel caso di offerte che sotto il profilo
qualitativo non raggiungano un punteggio
minimo; v. anche TAR Lazio-Roma, Sez. III,
26.01.2009, n. 630.
(2) Cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 10.01.2003,
n. 67 (massima tratta da
www.regione.piemonte.it - TAR
Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 18.11.2011 n. 2802 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Di
regola, l'astratta nozione di "lotto
intercluso" rileva in termini civilistici e
si sostanzia nel fatto che un bene immobile
(di solito un fondo rustico) non sia
accessibile, da nessun lato, da pubbliche
strade o da passaggi privati; viceversa, in
termini urbanistico-edilizi, la nozione in
parola, siccome strettamente correlata alla
possibilità di edificare un fondo in assenza
di un piano urbanistico attuativo o di un
piano di lottizzazione, non richiede affatto
l'interclusione del terreno da tutti i lati,
ma l'esistenza di un’area c.d. “relitta” ed
autonomamente edificabile perché già
urbanisticamente definita: ossia,
compiutamente e definitivamente collegata ed
integrata con già esistenti opere di
urbanizzazione (strade, servizi, piazze,
giardini) e/o con altri immobili adiacenti.
La nozione di "lotto" in senso urbanistico
deve essere tratta dalla disciplina di piano
regolatore circa l'ampiezza minima delle
aree edificabili, di guisa che la condizione
di "lotto intercluso e residuale" di un
terreno rende giuridicamente irrilevanti le
previsioni del P.R.G. che subordinano il
rilascio della concessione edilizia alla
preventiva approvazione del piano
particolareggiato o del piano di
lottizzazione, stante la materiale
impossibilità di imprimere alla zona un
diverso assetto urbanistico secondo gli
ordinari criteri (ed i contenuti) di cui
agli artt. 13 e 28 L. 17.08.1942 n. 1150.
Osserva il Collegio che -di regola-
l'astratta nozione di "lotto intercluso"
rileva in termini civilistici e si sostanzia
nel fatto che un bene immobile (di solito un
fondo rustico) non sia accessibile, da
nessun lato, da pubbliche strade o da
passaggi privati; viceversa, in termini
urbanistico-edilizi, la nozione in parola,
siccome strettamente correlata alla
possibilità di edificare un fondo in assenza
di un piano urbanistico attuativo o di un
piano di lottizzazione, non richiede affatto
l'interclusione del terreno da tutti i lati,
ma l'esistenza di un’area c.d. “relitta”
ed autonomamente edificabile perché già
urbanisticamente definita: ossia,
compiutamente e definitivamente collegata ed
integrata con già esistenti opere di
urbanizzazione (strade, servizi, piazze,
giardini) e/o con altri immobili adiacenti.
In sostanza, la "regula iuris", cui
si ispira l'art. 7 delle N.A. del P.R.G. del
Comune di Trabia, è che il lotto è
edificabile senza la previa approvazione di
un piano attuativo a condizione che non
superi i 1.000 mq. e che sia uno mero "relitto"
allocato in zona già edificata ed
urbanisticamente definita.
Sul punto, infatti, la giurisprudenza ha
avuto modo di precisare che la nozione di "lotto"
in senso urbanistico deve essere tratta
dalla disciplina di piano regolatore circa
l'ampiezza minima delle aree edificabili, di
guisa che la condizione di "lotto
intercluso e residuale" di un terreno
rende giuridicamente irrilevanti le
previsioni del P.R.G. che subordinano il
rilascio della concessione edilizia alla
preventiva approvazione del piano
particolareggiato o del piano di
lottizzazione, stante la materiale
impossibilità di imprimere alla zona un
diverso assetto urbanistico secondo gli
ordinari criteri (ed i contenuti) di cui
agli artt. 13 e 28 L. 17.08.1942 n. 1150
(cfr. TAR Lazio 10.10.2001, n. 8424; Cons.
Stato, Sez. V, 26.09.1995 n. 1351 e Sez. IV,
10.09.1996 n. 1028; Sez. V, 05.06.1997 n.
612).
Ma proprio su tali aspetti concreti, la
motivazione del provvedimento impugnato
appare obiettivamente carente.
Né può rilevare, in contrario, il contenuto
del verbale n. 2 dell'11.05.2005 versato in
atti dal Comune (unitamente alla memoria di
costituzione), che risulta redatto dal già
citato e c.d. "Gruppo di lavoro" e
che ha ad oggetto asserite "linee di
orientamento dell'attività edificatoria in
ambito di lotto intercluso". Ed invero:
- in tale verbale si identifica la nozione
di "lotto intercluso" attraverso una
serie di parametri, decisamente innovativi e
rilevanti, che non trovano alcun riscontro
nella norma di attuazione di cui all'art. 7
cit. (come, ad esempio, laddove si
prescrive, tra l'altro, la "cessione
gratuita" da parte dei privati "… di
una striscia di terreno di lunghezza
coincidente con la lunghezza del lotto
prospiciente sulla strada e la cui
larghezza, rispetto all'asse stradale, sia
di ml. 2,00");
- con tale verbale, il Gruppo di lavoro
(composto da tecnici, verosimilmente,
comunali) ha finito con l'integrare la
prescrizione urbanistica in argomento, in
evidente carenza -assoluta- di potere,
dovendo, semmai, provvedere in materia gli
Organi comunali, attraverso una revisione "in
parte qua" dello strumento urbanistico.
Sta di fatto che in nessuno degli atti di
causa risulta, in qualche modo, specificata
la ragione -logica e concreta- per la quale
il lotto per cui è causa non possa dirsi
intercluso, tanto in relazione alla generica
formulazione dell'art. 7 delle N.A., quanto
in relazione agli stessi parametri indicati
nel detto verbale 11.05.2005.
4. Per completezza va detto, anche, che il
Comune di Trabia fa osservare, nelle proprie
difese, come il ricorrente si sarebbe
limitato a dare "… atto della situazione
relativa a tre lati, tacendo su cosa
insisterebbe sul quarto" lato del
terreno in questione. Ma a parte quanto
sopra precisato, circa la distinzione
esistente tra la nozione civilistica di
interclusione e quella urbanistico-ediliza,
si può agevolmente obiettare che nemmeno il
Comune stigmatizza la situazione di tale
quarto lato e ciò a fronte dell'onere dello
stesso Comune di esaminare la questione in
termini puntuali e concreti, evidenziando il
reale rapporto del terreno del ricorrente
con il restante tessuto urbanistico e quindi
la sua edificabilità o meno con singola ed
autonoma concessione (anziché previa
approvazione di un piano attuativo).
In definitiva, poiché nella specie è
pacifico che il lotto di terreno del
ricorrente sia inferiore a quello massimo di
1.000 mq. prescritto dall’art. 7 delle
N.diA. del P.R.G. e poiché dalla perizia
prodotta dal ricorrente, con le annesse
fotografie e stralcio aerofotogrammetrico
scala 1:2.000, la interclusione del lotto,
in termini urbanistico-edilizi, non sembra
possa dirsi esclusa (per la presenza di due
strade adiacenti al lotto), la censura di
difetto di motivazione non può non essere
condivisa, salvi gli ulteriori provvedimenti
del Comune, ivi compresa la facoltà di
imporre ogni eventuale cautela o
prescrizione ritenuta necessaria ad
assicurare l'edificazione nel rispetto di
tutti gli indici urbanistici ed edilizi
della zona (anche eventualmente prescrivendo
la inutilizzabilità edificatoria della
porzione del lotto non interessato dal
progetto)
(TAR Sicilia-Palermo, Sez. II,
sentenza 08.05.2008 n. 593 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Nel
caso di lotto intercluso o in altri analoghi
casi nei quali la zona risulti totalmente
urbanizzata, attraverso la realizzazione
delle opere e dei servizi atti a soddisfare
i necessari bisogni della collettività
-quali strade, spazi di sosta, fognature,
reti di distribuzione del gas, dell'acqua e
dell'energia elettrica, scuole, etc.- lo
strumento urbanistico esecutivo non può
ritenersi più necessario e non può,
pertanto, essere consentito all'Ente locale
di trincerarsi dietro l'opposizione di un
rifiuto, basato sul solo argomento formale
della mancata attuazione della
strumentazione urbanistica di dettaglio.
Nel caso di zone parzialmente urbanizzate il
diniego può essere opposto soltanto nel caso
in cui l'Amministrazione abbia adeguatamente
valutato lo stato di urbanizzazione già
presente nella zona e abbia congruamente
evidenziato le concrete e ulteriori esigenze
di urbanizzazione indotte dalla nuova
costruzione.
Tuttavia, il richiamato indirizzo
giurisprudenziale può trovare applicazione
solo nell’ipotesi, del tutto eccezionale,
che si sia già realizzata una situazione di
fatto che da quegli strumenti consenta con
sicurezza di prescindere, in quanto
risultano oggettivamente non più necessari,
essendo stato pienamente raggiunto il
risultato (id est: l’adeguata dotazione di
infrastrutture, primarie e secondarie
previste dal piano regolatore) cui sono
finalizzati.
Per l’applicazione del principio, insomma, è
necessario che lo stato delle urbanizzazioni
sia tale da rendere assolutamente superflui
gli strumenti attuativi.
Tale situazione, del tutto peculiare, deve
riguardare l’intero contenuto previsto dal
piano regolatore generale e deve concernere
le urbanizzazioni primarie e quelle
secondarie in riferimento all’assetto
definitivo dell’intero ambito territoriale
di riferimento.
La verifica, pertanto, non può essere
limitata alle sole aree di contorno
dell’edificio progettato, ma deve riguardare
l’intero comprensorio che dagli strumenti
attuativi dovrebbe essere pianificato.
Ogni altra soluzione avrebbe evidentemente
il torto di trasformare lo strumento
attuativo in un atto sostanzialmente
facoltativo, non più necessario
ogniqualvolta, a causa di precedenti abusi
edilizi sanati, di preesistenti edificazioni
ovvero del rilascio di singole concessioni
edilizie illegittime, il comprensorio abbia
già subito una qualche urbanizzazione, anche
se la stessa non soddisfa pienamente le
indicazioni del piano regolatore.
Com’è noto, secondo un consolidato indirizzo
giurisprudenziale, nel caso di lotto
intercluso o in altri analoghi casi nei
quali la zona risulti totalmente
urbanizzata, attraverso la realizzazione
delle opere e dei servizi atti a soddisfare
i necessari bisogni della collettività
-quali strade, spazi di sosta, fognature,
reti di distribuzione del gas, dell'acqua e
dell'energia elettrica, scuole, etc.- lo
strumento urbanistico esecutivo non può
ritenersi più necessario e non può,
pertanto, essere consentito all'Ente locale
di trincerarsi dietro l'opposizione di un
rifiuto, basato sul solo argomento formale
della mancata attuazione della
strumentazione urbanistica di dettaglio
(cfr., per tutte, TAR Campania, IV Sezione,
06.06.2000 n. 1819).
Nel caso di zone parzialmente urbanizzate il
diniego può essere opposto soltanto nel caso
in cui l'Amministrazione abbia adeguatamente
valutato lo stato di urbanizzazione già
presente nella zona e abbia congruamente
evidenziato le concrete e ulteriori esigenze
di urbanizzazione indotte dalla nuova
costruzione (cfr., C.d.S., Ad. Plen.,
06.10.1992 n. 12; V Sezione, 03.10.1997 n.
1097, 25.10.1997 n. 1189 e 18.08.1998 n.
1273; TAR Lazio, II Sezione, 29.09.2000 n.
7649; TAR Campania, IV Sezione, 02.03.2000
n. 596 e 18.05.2000 n. 1413).
Ritiene però questa Sezione, secondo un
orientamento già più volte espresso, che il
richiamato indirizzo giurisprudenziale può
trovare applicazione solo nell’ipotesi, del
tutto eccezionale, che si sia già realizzata
una situazione di fatto che da quegli
strumenti consenta con sicurezza di
prescindere, in quanto risultano
oggettivamente non più necessari, essendo
stato pienamente raggiunto il risultato (id
est: l’adeguata dotazione di
infrastrutture, primarie e secondarie
previste dal piano regolatore) cui sono
finalizzati.
Per l’applicazione del principio, insomma, è
necessario che lo stato delle urbanizzazioni
sia tale da rendere assolutamente superflui
gli strumenti attuativi.
Tale situazione, del tutto peculiare, deve
riguardare l’intero contenuto previsto dal
piano regolatore generale e deve concernere
le urbanizzazioni primarie e quelle
secondarie in riferimento all’assetto
definitivo dell’intero ambito territoriale
di riferimento.
La verifica, pertanto, non può essere
limitata alle sole aree di contorno
dell’edificio progettato, ma deve riguardare
l’intero comprensorio che dagli strumenti
attuativi dovrebbe essere pianificato.
Ogni altra soluzione avrebbe evidentemente
il torto di trasformare lo strumento
attuativo in un atto sostanzialmente
facoltativo, non più necessario
ogniqualvolta, a causa di precedenti abusi
edilizi sanati, di preesistenti edificazioni
ovvero del rilascio di singole concessioni
edilizie illegittime, il comprensorio abbia
già subito una qualche urbanizzazione, anche
se la stessa non soddisfa pienamente le
indicazioni del piano regolatore (cfr. TAR
Campania, Napoli, II, n. 1001/2007,
6538/2005, 2925/2004; 11664/2004)
(TAR Campania-Napoli, Sez. II,
sentenza 11.07.2007 n. 6669 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
AGGIORNAMENTO AL 18.01.2012 |
ã |
UTILITA' |
SICUREZZA LAVORO:
Responsabilità in materia di
sicurezza sul lavoro.
ANCE, come formalizzare un atto di delega di
funzioni? L’Associazione Nazionale
Costruttori Edili ha predisposto un
documento sulla
responsabilità in materia di sicurezza sul
lavoro che si occupa, in particolare
della c.d. “delega di funzioni”.
L’art. 16 del D.Lgs. n. 81/2008 e successive
modifiche definisce come deve essere
formalizzato un atto di delega affinché sia
efficace sotto il profilo delle
responsabilità del delegato e del delegante.
A tal fine, l’Associazione Nazionale
Costruttori Edili ha predisposto un
documento sulla “delega di funzioni”,
composto da due parti:
- la prima parte approfondisce le figure
rilevanti previste dal Testo Unico sulla
sicurezza (datore di lavoro, dirigente,
proposto, Rspp) analizzando le relative
posizioni di garanzia ed effettuando
un’ampia trattazione giuridica sulla delega
di funzioni;
- la seconda parte riporta esempi di lettere
di incarico ed esempi di deleghe di funzioni
in materia di sicurezza che possono essere
adattare dai datori di lavoro alla realtà
organizzativa della loro impresa (16.01.2012
- commento tratto da www.ipsoa.it). |
LAVORI PUBBLICI:
VADEMECUM DEL LEASING PUBBLICO (ASSILEA,
ottobre 2011). |
GURI - GUUE -
BURL (e anteprima) |
AMBIENTE-ECOLOGIA: B.U.R.
Lombardia, serie ordinaria n. 3 del
17.01.2012 "Approvazione del “Manuale dei
controlli ispettivi” per l’aiuto “Misure
forestali” - L.r. 31/2008 artt. 25, 26, 40
comma 5 lettera B), 55 comma 4 e 56" (decreto
D.S. 21.12.2011 n. 12686). |
SINDACATI |
ENTI LOCALI: La
gestione associata delle funzioni comunali -
La disciplina delle unioni di comuni a
seguito dei recenti provvedimenti
governativi
(CGIL-FP di Bergamo,
nota 14.01.2012). |
DOTTRINA E
CONTRIBUTI |
EDILIZIA PRIVATA:
A. Quaranta,
Eolico, autorizzazione sospesa solo per
gravi motivi (link a
www.ipsoa.it). |
NOTE,
CIRCOLARI E COMUNICATI |
APPALTI - EDILIZIA PRIVATA:
Oggetto: Documento Unico di regolarità
Contributiva (DURC) - art. 44-bis, D.P.R. n.
445/2000 - non autocertificabilità
(Ministero del Lavoro e delle Politiche
Sociali,
nota
16.01.2012 n. 619 di prot.).
---------------
Il DURC non è autocertificabile.
Anche se secondo la nuova formulazione
dell'art. 44-bis del DPR n. 445/2000, le
informazioni relative alla regolarità
contributiva sono acquisite d’ufficio,
ovvero controllate dalla PP.AA. procedenti,
nel rispetto della normativa di settore,
questo non significa che il DURC sia
autocertificabile.
In virtù della Legge n. 183/2011, l’attuale
art. 44-bis del DPR n. 445/2000 stabilisce
che le informazioni relative alla regolarità
contributiva sono acquisite d’ufficio,
ovvero controllate ai sensi dell’art. 71,
dalla PP.AA. procedenti, nel rispetto della
normativa di settore.
Con
nota 16.01.2012 n.
619 di prot., il Ministero del Lavoro e delle
Politiche Sociali chiarisce che l’art.
44-bis citato stabilisce semplicemente le
modalità di acquisizione e gestione del DURC
senza intaccare il principio secondo cui le
valutazioni effettuate da un Organismo
tecnico (in questo caso gli istituti
previdenziali o assicuratore o Casse edili)
non possono essere sostituite da
un’autodichiarazione, che non insiste né sui
fatti, né su status, né su qualità
personali.
Quindi, conclude la nota ministeriale, il
riferimento nell’ambito dell’art. 44-bis ad
un controllo delle informazioni relative
alla regolarità contributiva “ai sensi
dell’art. 71” lascia intendere la
possibilità, da parte delle PP.AA., di
acquisire un DURC (e non
un’autocertificazione) da parte del soggetto
interessato, i cui contenuti potranno essere
vagliati dalla stessa P.A. con le modalità
previste per la verifica delle
autocertificazioni (commento tratto da
www.ispoa.it). |
ENTI LOCALI - VARI:
Oggetto: Disposizioni in materia di
procedimenti sanzionatori antiriciclaggio
(decreto legislativo del 27.11.2011, n. 231)
(Ragioneria Generale dello Stato,
circolare 16.01.2012
n. 2). |
CORTE DEI
CONTI |
CONSIGLIERI COMUNALI: I
chiarimenti delle sezioni unite della corte
dei conti. I gettoni dei politici locali
restano ridotti del 10%.
Ad oggi, l'ammontare delle indennità e dei
gettoni di presenza spettanti agli
amministratori e agli organi politici delle
regioni e degli enti locali, è quello in
godimento alla data di entrata in vigore del
dl 112/2008, vale a dire, di quell'importo
rideterminato in diminuzione del 10%, dalla
legge finanziaria 2006.
Inoltre, rilevato
che l'intera materia relativa al meccanismo
di determinazione degli emolumenti è stata
rivista dall'art. 5, comma 7, del dl
78/2010, la quale demanda a un successivo
decreto del ministro dell'interno la
revisione degli importi tabellari e che tale
decreto non risulta ancora approvato, si
deve ritenere ancora vigente il precedente
meccanismo di determinazione dei compensi ex
dm 04.08.2000.
Lo hanno messo nero su bianco
le sezioni riunite di controllo della Corte dei conti,
nel testo della
delibera 12.01.2012 n. 1
pubblicata ieri sul sito internet
istituzionale della magistratura contabile
in risposta ad apposita richiesta di
intervento posta dalla sezione regionale di
controllo ligure, per sapere se, ai fini
della quantificazione dell'indennità di
funzione degli amministratori locali e dei
gettoni di presenza dei consiglieri
comunali, sia tuttora vigente l'art. 1, il
comma 54 della Finanziaria 2006, che ha
disposto la riduzione del 10 per cento dei
predetti compensi rispetto a quanto
percepito dagli interessati alla data del 30.09.2005.
Sul punto, l'indirizzo
prevalente era nel senso di ritenere
applicabile la normativa contenuta nella
Finanziaria solo per il predetto esercizio
finanziario 2006 (sezione Toscana n.
11P/2007) e ritenere la stessa comunque
abrogata dall'art. 2, comma 25, della
Finanziaria 2008 e dall'art. 61, comma 10,
del dl n. 112/2008 (su tutte, sez. autonomie
n. 6/2010). La sezione ligure, invece,
sostiene l'attuale vigenza del citato art.
1, comma 54, contrariamente all'orientamento
maggioritario citato, sulla considerazione
che l'art. 2, comma 25, della legge
finanziaria 2008 non ha modificato il comma
11 dell'art. 82 del Tuel e non ha introdotto
alcun meccanismo di determinazione delle
indennità di funzione che non fosse già
esistente. L'art. 1, comma 54, legge n.
266/2005 ha disposto che «per esigenze di
coordinamento della finanza pubblica,
indennità e gettoni di presenza sono
rideterminati in diminuzione del 10%
rispetto all'ammontare risultante alla data
del 30.09.2005».
Ora, in mancanza di
un limite temporale alla vigenza della
predetta disposizione, per le sezioni unite
il taglio operato può ritenersi strutturale,
vale a dire con un orizzonte temporale non
limitato all'esercizio 2006. A ciò si
aggiunga che l'art. 5, comma 7, del dl n.
78/2010 ha previsto che con decreto del
ministro dell'interno, gli importi delle
indennità già determinate ai sensi
dell'articolo 82 Tuel dovranno essere
diminuiti in diverse percentuali, con
riferimento alla popolazione residente.
Sulla scorta di questa normativa, le sezioni
riunite ritengono che, ad oggi, l'ammontare
delle indennità e dei gettoni di presenza
spettanti agli amministratori e agli organi
politici delle Regioni e degli enti locali,
non può che essere quello in godimento alla
data di entrata in vigore del citato dl 112
del 2008, vale a dire dell'importo
rideterminato in diminuzione ai sensi della
legge finanziaria 2006. Posto, poi, che il
decreto Mininterno di rideterminazione delle
indennità e dei gettoni non risulta ancora
approvato, si deve ritenere ancora vigente
il precedente meccanismo di determinazione
dei compensi.
Inoltre, le sezioni riunite hanno ritenuto
che la disposizione di cui all'art. 1, comma
54, legge n. 266/2005 sia ancora vigente, in
quanto «ha prodotto un effetto incisivo
sul calcolo delle indennità che perdura
ancora, pur non potendo incrementare i
valori delle indennità così come vigenti
prima della legge finanziaria 2006».
Infatti, essendo il dl n. 78/2010
finalizzato al contenimento della spesa
pubblica, di tale vigenza dovrà tenersi
altresì conto all'atto della
rideterminazione degli importi dei compensi
(articolo ItaliaOggi del 17.01.2012 - tratto da
www.corteconti.it). |
CONSIGLIERI COMUNALI: Indennità
Amministratori locali.
La Corte dei Conti Sezioni Riunite di
Controllo, con
delibera 12.01.2012 n. 1, si pronuncia sulla
seguente questione di massima rimessa dalla
Sez. Reg.le Liguria:
"...stabilire se, ai fini della
quantificazione dell'indennità di funzione
degli amministratori locali e dei gettoni di
presenza dei consiglieri comunali, sia
tuttora vigente l'art. 1, comma 54, legge 23.12.2005, che ha disposto la riduzione
del 10% dei predetti compensi rispetto a
quanto percepito dagli interessati al 30.09.2005".
Questo, in conclusione, il parere della
Corte:
"Ritengono, dunque, conclusivamente queste
Sezioni Riunite che, all'attualità,
l'ammontare delle indennità e dei gettoni di
presenza spettanti agli amministratori e
agli organi politici delle Regioni e degli
Enti locali, non possa che essere quello in
godimento alla data di entrata in vigore del
citato DL 112 del 2008, cioè dell'importo
rideterminato in diminuzione ai sensi della
legge finanziaria per il 2006; ritengono
altresì di richiamare come l'intera materia
concernente il meccanismo di determinazione
degli emolumenti all'esame è stata da ultimo
rivista dall'art. 5, comma 7, del DL 78 del
2010, convertito nella legge 122 del
medesimo anno, che demanda ad un successivo
decreto del Ministro dell'Interno la
revisione degli importi tabellari,
originariamente contenuti nel d.m. 04.08.2000 n. 119 sulla base di parametri legati
alla popolazione, in parte diversi da quelli
originariamente previsti. Ad oggi, il
decreto non risulta ancora approvato e deve
pertanto ritenersi ancora vigente il
precedente meccanismo di determinazione dei
compensi.
Alla luce del quadro normativo richiamato e
della ratio di riferimento, nonché di tutte
le argomentazioni che precedono, ritengono
altresì queste Sezioni riunite che la
disposizione di cui all'art. 1, comma 54,
legge n. 266/2005 sia disposizione ancora
vigente, in quanto ha prodotto un effetto
incisivo sul calcolo delle indennità in
questione che perdura ancora, e non può
essere prospettata la possibilità di riespandere i valori delle indennità così
come erano prima della legge finanziaria
2006; ed essendo il DL n. 78 finalizzato al
contenimento della spesa pubblica, di tale
vigenza dovrà tenersi altresì conto all'atto
della rideterminazione degli importi
tabellari dei compensi relativi, nel senso
che quanto spettante ai singoli
amministratori non potrà, in ogni caso,
essere superiore a quanto attualmente
percepito."
(tratto da www.publika.it). |
QUESITI &
PARERI |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Responsabilità da posizione.
Domanda.
In materia di bonifica e di risanamento
ambientale di un sito contaminato, cosa deve
intendersi per responsabilità da posizione?
Risposta.
Il Consiglio di stato, sezione VI, con la
sentenza del 15.07.2010, n. 4561, ha
affermato che il proprietario di un sito
contaminato, non responsabile di detta
contaminazione, è destinatario di una
responsabilità «da posizione». Detta
responsabilità non soltanto è svincolata dai
profili soggettivi di dolo o di colpa, ma è
anche svincolata dal nesso di causalità tra
la condotta del proprietario e la
contaminazione dell'area. Per il consiglio
di stato, il proprietario dell'area
contaminata, in virtù della responsabilità
«da posizione», è «tenuto a sostenere i
costi connessi agli interventi di bonifica
esclusivamente in ragione dell'esistenza
dell'onere reale sul sito».
E, detto
proprietario, per evitare detto onere reale
sul sito, ha facoltà di scegliere (al
riguardo non vi è uno specifico obbligo di
legge) di sostenere i costi delle operazioni
di bonifica. Infatti, come puntualizzato
pure dal Tribunale regionale amministrativo
(Tar) Campania, Napoli, Sezione I, con la
sentenza dell'08.042010, numero 1824, il
proprietario del sito, non responsabile
resta, in ogni caso, soggetto «all'onere di
eseguire gli interventi ambientali al fine
di evitare l'espropriazione del terreno,
gravato ex lege da onere reale e
privilegio speciale».
Pertanto, nella
fattispecie, il proprietario del sito, non
responsabile, ha due possibilità, in
alternativa: 1) bonificare spontaneamente
l'area inquinata; 2) vedere gravare il fondo
dell'onere reale, e relativo privilegio
speciale, a favore della pubblica
amministrazione, obbligata, (mancata
l'individuazione del responsabile
dell'inquinamento) a procedere d'ufficio.
Pertanto, l'onere reale è una obbligazione
che grava sul bene (res); comporta che il
proprietario del bene è destinatario degli
obblighi di dare o di facere, propri della
garanzia che grava sul fondo. Inoltre, detto
onere si trasmette con il passaggio di
proprietà del bene onerato.
«Il terreno sottoposto a fenomeni di
inquinamento è senz'altro soggetto ad
espropriazione che il proprietario, ancorché
non responsabile, ha l'onere di evitare
ponendo in essere gli interventi di bonifica
alla stregua del soggetto responsabile»,
scrive il Tribunale regionale amministrativo
(Tar) Piemonte, Torino, con la sentenza del
21.11.2008, n. 2928 (articolo
ItaliaOggi Sette del 16.01.2012 |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Responsabilità «da posizione».
Domanda.
Il proprietario di un sito contaminato, non
responsabile di detta contaminazione,
destinatario di una responsabilità «da
posizione», può rivalersi nei confronti
dell'autore dell'inquinamento?
Risposta.
Il Tribunale regionale amministrativo (Tar)
Lazio, Roma, Sezione I, con la sentenza del
14.03.2011, n. 2263, affrontando la
problematica del proprietario di un sito
contaminato, non responsabile di detta
contaminazione, destinatario di una
responsabilità «da posizione», ha affermato
che: «Proprio perché il proprietario non è
estraneo alle vicende successive
all'accertata contaminazione dell'immobile
oggetto del suo diritto; proprio perché egli
è tenuto ad attuare le misure di prevenzione
necessarie; proprio perché egli può –anche
in vista delle conseguenze future in cui
potrebbe incorrere ex art. 253– sempre
farsi carico volontariamente degli
interventi necessari, non sussiste alcun
impedimento a ritenere che il proprietario
possa essere reso destinatario
dall'Amministrazione competente –salvo sua
rivalsa nei confronti del responsabile–
degli interventi di messa in sicurezza,
bonifica e ripristino ambientale, e ciò
senza che tale attribuzione consegua o sia
indice di una sua responsabilità.
In altre parole, se il proprietario è in
definitiva il soggetto al quale, pur senza
sua responsabilità, vengono poste a carico
le obbligazioni risarcitorie conseguenti
all'inquinamento (e ciò proprio e solo
perché proprietario), ben può lo stesso
proprietario essere reso destinatario di un
obbligo di attuare i necessari interventi,
salva successiva rivalsa nei confronti del
responsabile, che l'amministrazione ha
l'obbligo di individuare».
Per il succitato
tribunale regionale amministrativo (Tar)
Lazio, «chi inquina paga»: Infatti, il
nostro ordinamento, aggiungono i suddetti
giudici, «che vede giustamente, nei modi
sopradescritti, l'affermazione della
responsabilità dell'autore dell'illecito,
non giunge fino al punto di addossare alla
collettività le conseguenze di tale
inquinamento, ponendo in rilievo la
particolare posizione del proprietario».
Si rimanda, pure, alle sentenze del
17.12.2009, n. 837, Sezione I, del tribunale
regionale amministrativo (Tar),
Friuli–Venezia Giulia, e del 03.01.2011, n.
6, del tribunale regionale amministrativo
(Tar), Friuli–Venezia Giulia, sezione I (articolo
ItaliaOggi Sette del 16.01.2012 |
APPALTI:
Fondo di Previdenza Volontario Previambiente,
il mancato pagamento contributi esclude
dalla gara d'appalto?
Domanda.
Anche il mancato versamento dei contributi
al Fondo di Previdenza Volontario
Previambiente (fatto che non risulta dal
DURC che riguarda contributi INAIL e INPS)
può essere considerato una grave violazione
in materia di pagamento di contributi che
giustifica l'esclusione dalla gara ai sensi
dell'art. 38, comma 1, lettera i), del
D.Lgs. 12-04-2006, n. 163?
Risposta.
I versamenti volontari possono essere
effettuati dai lavoratori che hanno cessato
o interrotto l'attività lavorativa, per:
- perfezionare i requisiti di assicurazione
e di contribuzione necessari per raggiungere
il diritto ad una prestazione pensionistica;
- incrementare l'importo del trattamento
pensionistico a cui si avrebbe diritto, se
sono già stati perfezionati i requisiti
contributivi richiesti.
Il rilascio dell'autorizzazione ai
versamenti volontari è subordinato alla
cessazione ovvero all'interruzione del
rapporto di lavoro che ha dato origine
all'obbligo assicurativo.
L'autorizzazione ai versamenti volontari,
peraltro, può essere concessa anche se il
rapporto di lavoro (subordinato o autonomo)
non è cessato nel caso di:
- sospensione dal lavoro, anche per periodi
di breve durata se tali periodi sono
assimilabili all'interruzione o cessazione
del lavoro (aspettativa per motivi di
famiglia, ecc... );
- sospensione o interruzione del rapporto di
lavoro previsti da specifiche norme di legge
o disposizioni contrattuali successivi al
31-12-1996 (congedi per formazione, congedi
per gravi e documentati motivi familiari,
aspettativa non retribuita per motivi
privati o malattia, sciopero, interruzione
del rapporto di lavoro con conservazione del
posto per servizio militare, ecc....) in
alternativa alla possibilità di riscatto
come previsto dall'art. 5 del D.Lgs.
16-09-1996, n. 564;
- attività svolta con contratto di lavoro
part-time, se effettuati a copertura o ad
integrazione dei periodi di attività
lavorativa svolta a orario ridotto.
L'art. 38, comma 1, lettera i), D.Lgs.
12-04-2006, n. 163 stabilisce che "sono
esclusi dalla partecipazione alle procedure
di affidamento delle concessioni e degli
appalti di lavori, forniture e servizi, né
possono essere affidatari di subappalti, e
non possono stipulare i relativi contratti i
soggetti che hanno commesso violazioni
gravi, definitivamente accertate, alle norme
in materia di contributi previdenziali e
assistenziali, secondo la legislazione
italiana o dello Stato in cui sono stabiliti".
E' evidente che la norma fa riferimento solo
alla contribuzione obbligatoria e non a
quella facoltativa o volontaria che,
peraltro, spetta solo al lavoratore (13.01.2012
- tratto da www.ispoa.it). |
NEWS |
EDILIZIA PRIVATA - VARI:
Case in costruzione in garanzia.
Le compravendite di immobili su carta sono
meno rischiose. Excursus sugli strumenti
legislativi a favore dell'acquirente per
tutelarsi dalle truffe.
Risparmiare circa il 10% sul costo della
compravendita della casa. In alternativa
all'acquisto di un immobile già edificato,
infatti, si può ricorrere all'acquisto su
carta, in cui occorre versare in anticipo
buona parte della somma prevista anche se la
casa è ancora solo un progetto o è in
costruzione. Una soluzione vantaggiosa che
però presenta anche alcune incognite e il
rischio truffa è sempre dietro l'angolo. Ma
la norma arriva in soccorso degli
acquirenti.
A cosa fare attenzione.
Oltre al risparmio sul costo totale
dell'immobile, l'acquisto su carta presenta
anche il vantaggio di non dover sostenere
interventi di ristrutturazione per diversi
anni. Occorre, però, fare attenzione ad
alcuni aspetti, come l'incognita dei tempi
di consegna che possono protrarsi ben oltre
il previsto. Poi, un capitolo a parte
meritano le truffe, anche quelle sempre in
agguato se si opta per questo tipo di
soluzione.
Per tutelarsi, prima di acquistare il
progetto, è bene verificare le
autorizzazioni rilasciate al costruttore dal
comune. Si tratta di un primo passo per
evitare le potenziali truffe, con ditte che
vendono i progetti e poi spariscono nel
nulla. Quindi meglio ricorrere a imprese
edili che non siano alle prime armi e che
abbiano già realizzato e soprattutto
consegnato altri lavori. Infine, se si
acquista da una cooperativa, verificare al
catasto che il comune abbia rilasciato i
diritti di costruzione oltre a quelli di
superficie.
Un decreto legge a tutela
dell'acquirente.
Fino a qualche anno fa la normativa a
riguardo presentava molte lacune e le
statistiche parlavano di numerose famiglie
messe in ginocchio da truffe immobiliari e
fallimenti fraudolenti di ditte di
costruzione. Un situazione che ha portato
all'emanazione del dlgs 20.06.2005, n.
122 che stabilisce le «Disposizioni per la
tutela dei diritti patrimoniali degli
acquirenti di immobili da costruire». Un
decreto che si applica in tutti i casi di
vendita di immobili in costruzione, a
prescindere che l'operazione sia conclusa
direttamente da chi segue i lavori o tramite
intermediario. La tutela, inoltre, è
riservata esclusivamente alle persone
fisiche (sono escluse le società) e non si
applica solo a partire dalla compravendita,
ma già in fase di trattativa, quindi al
contratto preliminare, al compromesso, alle
promesse unilaterali, alle caparre e così
via.
La fideiussione per le somme
versate.
In particolare, per tutelare i compratori,
il decreto impone a chi riceve somme per un
immobile in costruzione, a titolo di
anticipo o caparra, di prestare una
fideiussione, che può essere di tipo
bancario o assicurativo, a favore del futuro
acquirente pari alla cifra versata o da
versare in corso di costruzione entro la
stipula del contratto preliminare. In caso
di inadempimento il compratore può
dichiarare il contratto nullo e quindi
ottenere indietro la somma, oltre a chiedere
eventuali danni. È possibile inoltre
aggiornare la fideiussione, ampliando il suo
valore ogni volta che vengono versati degli
importi in fase di costruzione.
Si tratta di
una garanzia che può essere fatta valere in
caso di fallimento, esecuzione immobiliare,
concordato preventivo, amministrazione
controllata o liquidazione coatta e che
costituisce un diritto di prelazione sugli
altri creditori. La garanzia però non vale
al di fuori dei casi indicati: se il
cantiere è bloccato per altri motivi bisogna
ricorrere alle vie legali. È quindi sempre
consigliabile dare meno soldi possibile in
anticipo e commisurarli allo stato di
avanzamento delle opere. La norma non trova
applicazione anche nel caso non sia ancora
stato chiesto il permesso di costruire o non
sia stata presentata la dichiarazione di
inizio attività, così come quando sia già
possibile richiedere il rilascio
dell'agibilità.
Da non dimenticare che questa regola non
rappresenta solo un diritto dell'acquirente
ma è soprattutto un obbligo del costruttore.
Si tratta però di una garanzia ancora poco
conosciuta e poco applicata dalle società
edili. «Si tratta», afferma il notaio
Gabriele Noto, membro del consiglio
nazionale del notariato, «dell'unico
strumento serio per recuperare i soldi
investiti ma spesso per superficialità o per
scarsa conoscenza non ci si avvale di questa
possibilità. Infatti, nei preliminari non
notarili la percentuale di fideiussioni è
drammaticamente bassa, quasi vicina allo
zero». In effetti, confrontando il fatturato
delle nuove abitazioni al netto degli
importi versati al rogito e l'ammontare
delle fideiussioni, si stima che solo in un
caso su quattro il versamento di denaro
dall'acquirente al costruttore è assicurato.
«Un fenomeno», prosegue Noto, «acuito anche
dal fatto che non sono previste sanzioni
severe per il costruttore in caso di mancato
rispetto della norma. È poi difficile
controllare la sua applicazione perché
l'obbligo scatta al momento del preliminare
ed è raro che in questa fase ci si rivolga a
un notaio, cosa invece consigliabile. Per
aiutare l'acquirente a conoscere e
affrontare i rischi legati a questa
particolare tipologia di compravendita
abbiamo elaborato come Consiglio nazionale
del notariato anche una guida “Acquisto in
costruzione. La tutela nella compravendita
di un immobile da costruire”, in
collaborazione con 12 associazioni dei
consumatori».
L'assicurazione dell'immobile.
Un altro importante aspetto previsto dal
dlgs 122/2005 riguarda l'obbligo per il
costruttore di rilasciare all'acquirente con
cui si è già impegnato una polizza
assicurativa della durata di almeno dieci
anni, e con effetto a decorrere dalla data
di completamento dei lavori, che copra il
rischio di danni sopravvenuti all'edificio o
difetti costruttivi gravi.
Si tratta di un
obbligo che viene in genere rispettato visto
che l'assicurazione decorre dal momento del
rogito e i notai in genere accertano la sua
esistenza. «Anche in questo caso», conclude
Noto, «non è prevista una sanzione specifica
per il mancato rilascio, ma nella maggior
parte dei casi la norma viene rispettata
perché il costo per il costruttore è
inferiore rispetto alla fideiussione e non
mette in discussione la consistenza
patrimoniale dell'impresa».
Al notaio è poi
vietato di procedere alla compravendita se
prima o contestualmente alla stipula non si
sia proceduto al frazionamento del mutuo
sull'immobile con o senza il suo accollo da
parte dell'acquirente (articolo
ItaliaOggi Sette del 16.01.2012). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Sistri, nuove regole in corso
d'opera. Chiavette usb ad hoc per
semplificare l'applicazione del sistema. È
in G.U. il decreto 219/2011 che riscrive le
procedure per la tracciabilità online dei
rifiuti.
Dispositivi usb ad hoc per
interoperatività e semplificazioni nelle
comunicazioni dei dati. Più strumenti
informatici a disposizione delle grandi
imprese per colloquiare con il Sistri,
dispositivi ad hoc per interfacciare con il
cervellone dello stato software gestionali
di terze parti, procedure semplificate per
la gestione delle emergenze e mutazioni
aziendali.
Dopo lo slittamento al 02.04.2012 della
partenza degli obblighi operativi del nuovo
sistema di tracciamento telematico dei
rifiuti, sancito dal dl 216/2011, un nuovo
decreto del ministero dell'ambiente (il dm
10.11.2011, n. 219) riformula le regole
procedurali per l'interazione con il
cervellone Sistri. Il nuovo provvedimento
(pubblicato sul supplemento ordinario n. 5
della G.U. 05.01.2012 e in vigore dal giorno
successivo) riscrive, infatti, il dm
18.02.2011 n. 52 dello stesso Dicastero
(meglio noto come «Testo unico Sistri»)
rivedendo tutti gli anelli della filiera:
dispositivi usb, responsabilità sulla
comunicazione dei dati, compilazione schede
elettroniche, problemi di connettività e
cambiamenti di titolarità nella gestione dei
rifiuti.
Dispositivi Usb. Con il nuovo dm 219/2011
cresce il numero di dispositivi usb che gli
operatori (ossia gli enti e le imprese che
aderiscono al sistema di tracciabilità
telematica) possono utilizzare per la
comunicazione al Sistri dei dati dei rifiuti
gestiti, e ciò anche con la precisazione
della loro attribuibilità a singole «unità
operative», quali (come definiti dal nuovo
decreto) reparti, impianti o stabilimenti
(interni alle unità locali) da cui sono
autonomamente originati i rifiuti.
Dispositivi Usb interoperatività.
Esordiscono con il dm 219/2011 i nuovi «dispositivi
Usb per l'interoperatività», quali
sistemi che consentono agli operatori di
interfacciare direttamente con il cervellone
Sistri i software gestionali dei rifiuti di
terze parti accreditati. Tali dispositivi
consentono di firmare direttamente
attraverso il software utilizzato le schede
Sistri nelle quali vengono registrati i dati
relativi ai beni a fine vita.
Responsabilità.
Responsabili della custodia dei dispositivi
usb, specifica il nuovo dm ambiente
219/2011, sono da considerarsi sempre i
rappresentanti legali delle imprese che
aderiscono al sistema di tracciamento
telematico dei rifiuti e, dunque, non i
soggetti da questi eventualmente delegati al
loro utilizzo.
I luoghi di conservazione dei
dispositivi, ancora, potranno però essere
diversi dalle unità locali (od «operative»)
nelle quali vengono effettuate operazioni di
gestione dei rifiuti qualora esse non
abbiano un sistema di vigilanza o di
controllo degli accessi. I soggetti delegati
all'inserimento dei dati da altri soggetti
ricevuti nelle schede Sistri saranno
responsabili soltanto del loro corretto
inserimento nel sistema informatico e non
più (come prevedeva la pregressa e
originaria versione del dm 52/2011) della
veridicità degli stessi.
Piccoli produttori.
I produttori di rifiuti speciali pericolosi
con non più di dieci dipendenti, in
relazione ai quali gli adempimenti operativi
Sistri scatteranno in pieno solo dopo l'01.06.2012 (in una data che specificata da
un futuro dm Ambiente) dovranno dal 02.04.2012, nel caso conferiscano i propri rifiuti
a imprese di trasporto professionali,
comunicare a questi i dati relativi ai
rifiuti movimentati necessari alla
compilazione della relativa scheda Sistri e
conservarne (per tre anni) le relative copie
che riceveranno dal trasportatore e
dall'impianto di recupero/smaltimento.
Gestione emergenze.
La scriminante della mancata disponibilità
dei mezzi informatici per effettuare le
dovute comunicazioni al Sistri entro le
previste tempistiche contemplerà anche le
ipotesi in cui il problema sarà dovuto a
ritardi nella consegna dei dispositivi da
parte della Pubblica amministrazione o da
problemi tecnici che hanno colpito soggetti
a monte o a valle di quelli obbligati alle
dichiarazioni.
In quest'ultimo caso è
infatti prevista una procedura ausiliaria
che permetterà agli operatori
«imbottigliati» di registrare su una nuova
scheda Sistri (da scaricare dal relativo
portale) le informazioni sulla propria
movimentazione dei rifiuti.
Mutazioni aziendali.
Nessuna soluzione di continuità in caso di
cessioni, affitti, trasformazioni, scissioni
e fusioni aziendali. Tramite una apposita
procedura (ibrida tra il cartaceo e
l'informatico) sarà possibile comunicare i
predetti cambiamenti al Sistri senza
l'obbligo di dover restituire i dispositivi
informatici necessari al colloquio con il
sistema, i quali saranno semplicemente
reindirizzati nell'intestazione.
L'operatività del Sistri.
Il termine a partire dal quale i soggetti
interessati dovranno adempiere agli obblighi
operativi del Sistri (ossia: comunicazione
rifiuti gestiti al cervellone gestito
dall'Arma dei Carabinieri; tracciamento
satellitare mezzi di trasporto; monitoraggio
ingresso/uscite da discariche), lo
ricordiamo, dipende dalla natura degli
stessi: dal 9 febbraio al 02.04.2012
scatterà, infatti, (in base a quanto
stabilito dal dl 216/2011, cd. «Milleproroghe»)
l'obbligo per i medi e grandi gestori di
rifiuti; dopo l'01.06.2012 (e secondo
la data stabilita da un futuro dm Ambiente)
sarà invece la volta (secondo quanto
stabilito dal dl 138/2011) dei produttori di
rifiuti speciali pericolosi con non più di
10 dipendenti, compresi i produttori che
effettuano il trasporto dei propri rifiuti
entro i 30 kg/litri al giorno (articolo
ItaliaOggi Sette del 16.01.2012). |
APPALTI:
Gare preparate nel dettaglio.
L'iter da seguire se si deve scegliere
l'offerta economicamente più vantaggiosa.
Appalti. Analisi delle proposte e
attribuzione dei punteggi: le
interpretazioni che sono state fornite dall'Avcp.
La gestione delle gare con l'offerta
economicamente più vantaggiosa comporta
un'accurata impostazione dei criteri, in
rapporto alle specifiche prestazionali
contenute nel capitolato, e lo sviluppo di
un processo valutativo articolato in più
fasi.
L'Autorità per la vigilanza sui
contratti pubblici (Avcp) ha prodotto un
complesso di importanti spiegazioni sulle
modalità di impostazione dei sistemi di
analisi delle proposte dei concorrenti e
alle metodologie di attribuzione dei
punteggi, fornendo un'interpretazione
dell'allegato P del Dpr 207/2010 mediante la
determinazione 7/2011 e un
quaderno di
approfondimento operativo.
L'Avcp sottolinea che la fase di gara dev'essere
strettamente correlata a quella di
progettazione e a quella di esecuzione. I
criteri e i sub-criteri di valutazione e i
loro pesi e sub-pesi vanno individuati
sinergicamente dal responsabile del
procedimento e dal progettista del
contratto, chiamato a corredare gli
elaborati, a base dell'affidamento, da un
capitolato speciale descrittivo e
prestazionale. Il capitolato e il progetto
devono essere estremamente dettagliati e
precisi, descrivendo i singoli elementi che
compongono la prestazione e definendo i
livelli qualitativi cui corrispondono i
punteggi, affinché la commissione si limiti
ad accertare la corrispondenza tra un
punteggio e un livello predefinito. Secondo
l'Autorità, infatti, quando si ricorre al
criterio dell'offerta economicamente più
vantaggiosa non è possibile lasciare parti
del capitolato prestazionale generiche o
indeterminate, per poi farle completare
dalle offerte e, così, permettere alle
commissioni valutazioni che integrano le
scelte effettuate nel bando di gara.
L'Avcp configura il processo di valutazione
delle offerte come combinazione di due fasi.
Nella prima si ha la trasformazione dei
valori delle offerte in coefficienti
variabili tra zero e uno, secondo le
indicazioni contenute nell'allegato P del
regolamento attuativo, nella parte
descrittiva del metodo aggregativo
compensatore (ma sono utilizzabili anche con
gli altri metodi multicriteriali). Nella
determinazione 7/2011 si rileva che, se i
criteri di valutazione hanno natura
qualitativa, cioè intangibile, la
trasformazione si effettua con uno dei
metodi di natura scientifica esistenti nella
letteratura; se i criteri, invece, hanno
natura quantitativa, cioè tangibile, si
ricorre a formule matematiche discendenti da
cosiddette "funzioni di utilità".
La seconda fase della procedura di
valutazione comporta la formazione della
graduatoria, applicando il metodo previsto
negli atti di gara. La determinazione si
effettua sulla base dei coefficienti
(variabili tra zero e uno) attribuiti
(previa riparametrazione qualora i criteri
di valutazione siano suddivisi in
sub-criteri). In concreto, dopo che la
commissione giudicatrice ha effettuato le
valutazioni tecniche (confronto a coppie con
tabella triangolare oppure con matrice
quadrata, oppure coefficienti attribuiti
discrezionalmente dai singoli commissari),
trasformato questi valori in coefficienti e
attribuito i coefficienti agli elementi
quantitativi, occorre, attraverso gli stessi
coefficienti, determinare, per ogni offerta,
un dato numerico finale atto ad individuare
l'offerta migliore. Si applicano quindi i
metodi multicriteri e multiobiettivi
indicati dal Dps 207/2010, quali
l'aggregativo compensatore, l'electre, il
topsis, l'evamix. Nessun metodo è in
assoluto il migliore.
Quanto ai profili quantitativi, nella
determinazione e nel quaderno di
approfondimento si precisano alcuni aspetti
per la gestione delle formule di
attribuzione dei punteggi al prezzo. Il dato
più importante è rilevabile
nell'applicazione delle formule consigliate
(proporzione lineare tra la singola offerta
e quella più conveniente, proporzione
lineare rispetto alla media delle offerte)
con utilizzo del dato di ribasso
percentuale. Se si usa il metodo con la
soglia media delle offerte, l'Avcp evidenzia
la necessità di utilizzare il coefficiente
riequilibratore, perciò le stazioni
appaltanti devono effettuare adeguate
simulazioni per verificare la portata delle
formule, al fine di evitare che la
metodologia di attribuzione del punteggio al
prezzo possa comprimere i valori delle
offerte, penalizzando quelle
qualitativamente più significative.
Le stazioni appaltanti devono operare la
riparametrazione al punteggio massimo
attribuibile ai punteggi assegnati ai
criteri e ai sub-criteri di tipo
qualitativo, poiché, se alla migliore
offerta sul piano della qualità non viene
attribuito il coefficiente uno, aumenta, nel
giudizio, il peso del prezzo, con una
conseguente alterazione dell'obiettivo
prefissato dalla stazione appaltante (articolo Il Sole 24 Ore del 16.01.2012
- tratto da www.corteconti.it). |
APPALTI:
Sotto il milione di euro si può usare la
procedura negoziata. In alternativa. La
possibilità è condizionata al rispetto
dell'articolo 122 del Codice dei contratti
pubblici.
IL BILANCIAMENTO/ Non c'è obbligo di
pubblicità preventiva, ma quella successiva
(su lavori oltre 500mila euro) diventa più
«ampia».
Le stazioni appaltanti possono utilizzare la
procedura negoziata per affidare lavori
pubblici per importi inferiori a un milione
di euro, rispettando tuttavia in modo
rigoroso la disciplina contenuta
nell'articolo 122 del Codice dei contratti
pubblici.
L'Avcp ha fornito, nella
determinazione 8/2011, una serie di
precisazioni e chiarimenti in ordine alla
gestione delle gare informali per opere
entro la soglia specifica, a fronte della
riformulazione del comma 7 della stessa
disposizione (effettuata dalla legge
106/20211).
Rispetto al numero minimo di operatori
economici da invitare alle gare informali
per l'aggiudicazione di un appalto entro la
soglia particolare, l'Autorità evidenzia
come la nuova norma abbia aumentato il
numero minimo dei soggetti da coinvolgere,
al fine di assicurare la massima
concorrenzialità della procedura sia nella
fascia entro i 500mila euro sia in quella
sino a un milione di euro. Peraltro la
determinazione evidenzia che le stazioni
appaltanti devono aumentare il novero delle
imprese invitate, se intendono ricorrere
all'esclusione automatica delle offerte
nelle gare con il prezzo più basso, per le
quali la norma specifica (comma 9 dello
stesso articolo 122) richiede la
presentazione di almeno 10 offerte. Un
numero più ampio di operatori coinvolti
garantisce infatti le amministrazioni dal
rischio che qualcuno non presenti l'offerta
o la presenti in modo scorretto.
Secondo quanto rileva l'Avcp, nelle
procedure negoziate per appalti di lavori di
valore inferiore a un milione, se si usa il
metodo del prezzo più basso, il regolamento
attuativo (articolo 121 del Dpr 207/2010)
prevede che, in presenza di meno di dieci
offerte, non si proceda all'esclusione, ma
alla verifica di congruità (articolo 86,
comma 3 del Codice). La stessa procedura si
deve attivare quando (a esempio, per un
appalto inferiore ai 500mila euro) le
offerte siano inferiori a cinque.
La determinazione 8/2011 si concentra sulle
problematiche relative alla pubblicità delle
procedure negoziate regolate dall'articolo
122 del Codice. La disposizione non ha
infatti previsto, per le stazioni
appaltanti, l'obbligo di pubblicità
preventiva nella gara informale (in quanto
rientra pur sempre tra le procedure
derogatorie rispetto a quelle di massima
evidenza pubblica), ma l'autorità precisa
che sussistono ragioni di opportunità per
l'evidenziazione del confronto agli
operatori di mercato, affermando che ogni
decisione in merito spetta a ciascuna
amministrazione e va parametrata in funzione
della tipologia di appalto e dell'importo.
Un consistente bilanciamento alla mancanza
di prescrizioni in tema di pubblicità
preventiva è fornito nella normativa dalle
nuove e più chiare disposizioni inerenti
agli obblighi di pubblicità successiva
all'affidamento del l'appalto, che devono
essere soddisfatti con avvisi pubblicati
sulla «Gazzetta Ufficiale», sui siti del
l'amministrazione, dell'osservatorio
regionale, del ministero delle
Infrastrutture, nonché, per estratto, su
quotidiani nazionali e regionali. Tale
complesso di adempimenti vale in particolare
per gli appalti nella fascia tra 500mila
euro e un milione, mentre al di sotto resta
la semplificazione stabilita dallo stesso
articolo 122, con la pubblicazione
necessaria all'albo pretorio della stazione
appaltante e del Comune dove si eseguono i
lavori (articolo Il Sole 24 Ore del 16.01.2012
- tratto da www.corteconti.it). |
GIURISPRUDENZA |
EDILIZIA PRIVATA: Il
potere di applicare misure repressive in
materia urbanistica ed edilizia può essere
esercitato in ogni tempo, senza necessità,
per i relativi provvedimenti, di alcuna
specifica motivazione in ordine alla
sussistenza dell'interesse pubblico a
disporre una demolizione.
Il Collegio non ignora l’esistenza di un
orientamento difforme secondo la quale
invece “il lungo lasso di tempo trascorso
dalla commissione dell'abuso” e “il
protrarsi dell'inerzia dell'amministrazione
preposta alla vigilanza” potrebbero
ingenerare un affidamento del privato,
rispetto al quale sussisterebbe un “onere di
congrua motivazione” circa il “pubblico
interesse, evidentemente diverso da quello
al ripristino della legalità, idoneo a
giustificare il sacrificio del contrapposto
interesse privato”; ritiene però che tale
orientamento non vada condiviso.
In proposito, si impone anzitutto il rilievo
fatto proprio dalla citata decisione C.d.S.
5509/2009, ovvero che di affidamento si può
parlare solo ove il privato, il quale abbia
correttamente e in modo compiuto reso nota
la propria posizione alla p.a., venga
indotto da un provvedimento della stessa a
ritenere la legittimità del proprio operato,
non già nel caso che rileva, in cui si
commette un abuso a tutta insaputa della
p.a. medesima. Inoltre, l’abuso edilizio
integra un illecito permanente,
rappresentato dalla violazione dell’obbligo,
perdurante nel tempo, di ripristinare in
conformità a diritto lo stato dei luoghi; di
talché ogni provvedimento repressivo
dell’amministrazione non è emanato a
distanza di tempo da un illecito ormai
esaurito, ma interviene su una situazione
antigiuridica che perdura sino a quel
momento.
Non è poi privo di rilievo anche quanto
osserva la già citata TAR Napoli 17441/2010.
Infatti, la disciplina del potere di
sanzionare gli abusi edilizi del quale la
p.a. è titolare deve essere ricostruita
anche tenendo conto di un dato storico,
quello che in proposito ha visto, negli
ultimi trent'anni, un costante ripetersi di
misure straordinarie di sanatoria, a partire
dalla nota l. 28.02.1985 n. 47. Ammettere
quindi l’estinzione di un abuso per il mero
decorso del tempo significherebbe allora, in
primo luogo, costruire una sorta di
sanatoria di fatto che opererebbe anche
quando l’interessato non abbia ritenuto di
avvalersi del corrispondente istituto
previsto dalla citata normativa premiale, e
quindi senza nemmeno la necessità di versare
le oblazioni da essa previste. Per altro
verso, poi, è comunque escluso che si possa
parlare di affidamento tutelabile nel
momento in cui di detta normativa
l’interessato non abbia ritenuto di
avvalersi.
Infine, si impone un rilievo ulteriore:
consentire, così come fa l’interpretazione
qui criticata, una sanatoria degli abusi
edilizi per effetto del mero decorso di un
periodo di tempo “lungo” ovvero “notevole”
ma comunque non determinato con precisione,
significa inserire nel sistema un pericoloso
elemento di indeterminatezza, perché la
repressione di un dato abuso nel caso
concreto sarebbe rimessa all’apprezzamento
del singolo funzionario, oltretutto
pressoché impossibile da sindacare nella
presente sede giurisdizionale, con intuibile
possibilità di strumentalizzazioni.
Costante giurisprudenza della Sezione, da
ultimo si citano TAR Brescia sez. I
22.02.2010 n. 860 e 25.11.2011 n. 1632,
afferma infatti che il potere di applicare
misure repressive in materia urbanistica ed
edilizia può essere esercitato in ogni
tempo, senza necessità, per i relativi
provvedimenti, di alcuna specifica
motivazione in ordine alla sussistenza
dell'interesse pubblico a disporre una
demolizione; in senso poi conforme si sono
espresse anche numerose decisioni del
C.d.S., ad esempio sez. IV, 15.09.2009, n.
5509, che si cita per tutte.
Il Collegio non ignora l’esistenza di un
orientamento difforme, espresso, oltre che
dalle decisioni di primo grado citate dalla
ricorrente, ad esempio da C.d.S. sez. V
29.05.2006 n. 3270, ma anche dalla stessa
sez. V nella decisione 04.03.2008 n. 883,
secondo la quale invece “il lungo lasso
di tempo trascorso dalla commissione
dell'abuso” e “il protrarsi dell'inerzia
dell'amministrazione preposta alla vigilanza”
potrebbero ingenerare un affidamento del
privato, rispetto al quale sussisterebbe un
“onere di congrua motivazione” circa
il “pubblico interesse, evidentemente
diverso da quello al ripristino della
legalità, idoneo a giustificare il
sacrificio del contrapposto interesse
privato”; ritiene però che tale
orientamento non vada condiviso.
In proposito, si impone anzitutto il rilievo
fatto proprio dalla citata decisione C.d.S.
5509/2009, ovvero che di affidamento si può
parlare solo ove il privato, il quale abbia
correttamente e in modo compiuto reso nota
la propria posizione alla p.a., venga
indotto da un provvedimento della stessa a
ritenere la legittimità del proprio operato,
non già nel caso che rileva, in cui si
commette un abuso a tutta insaputa della
p.a. medesima. Inoltre, come osservato da
questa Sezione nella pure citata sentenza
860/2010, l’abuso edilizio integra un
illecito permanente, rappresentato dalla
violazione dell’obbligo, perdurante nel
tempo, di ripristinare in conformità a
diritto lo stato dei luoghi; di talché ogni
provvedimento repressivo
dell’amministrazione non è emanato a
distanza di tempo da un illecito ormai
esaurito, ma interviene su una situazione
antigiuridica che perdura sino a quel
momento.
Non è poi privo di rilievo anche quanto
osserva la già citata TAR Napoli 17441/2010.
Infatti, la disciplina del potere di
sanzionare gli abusi edilizi del quale la
p.a. è titolare deve essere ricostruita
anche tenendo conto di un dato storico,
quello che in proposito ha visto, negli
ultimi trent'anni, un costante ripetersi di
misure straordinarie di sanatoria, a partire
dalla nota l. 28.02.1985 n. 47. Ammettere
quindi l’estinzione di un abuso per il mero
decorso del tempo significherebbe allora, in
primo luogo, costruire una sorta di
sanatoria di fatto che opererebbe anche
quando l’interessato non abbia ritenuto di
avvalersi del corrispondente istituto
previsto dalla citata normativa premiale, e
quindi senza nemmeno la necessità di versare
le oblazioni da essa previste. Per altro
verso, poi, è comunque escluso che si possa
parlare di affidamento tutelabile nel
momento in cui di detta normativa
l’interessato non abbia ritenuto di
avvalersi.
Infine, si impone un rilievo ulteriore:
consentire, così come fa l’interpretazione
qui criticata, una sanatoria degli abusi
edilizi per effetto del mero decorso di un
periodo di tempo “lungo”, come
affermano C.d.S. 883/2008 e 3270/2006,
ovvero “notevole”, come afferma ad
esempio TAR Campania Napoli sez. VII
02.10.2009 n. 5138, ma comunque non
determinato con precisione, significa
inserire nel sistema un pericoloso elemento
di indeterminatezza, perché la repressione
di un dato abuso nel caso concreto sarebbe
rimessa all’apprezzamento del singolo
funzionario, oltretutto pressoché
impossibile da sindacare nella presente sede
giurisdizionale, con intuibile possibilità
di strumentalizzazioni.
---------------
In linea generale, è certo vero quanto
afferma anche la più recente giurisprudenza,
per tutte C.d.S. sez. VI 16.02.2011 n. 986,
ovvero che il provvedimento con il quale si
dispone appunto l’archiviazione di un
procedimento sanzionatorio in materia
edilizia ha la valenza di un vero
provvedimento negativo impugnabile, e
quindi, secondo logica, che per sanzionare
il medesimo abuso occorre una successiva
riapertura del medesimo procedimento, con
tutti i requisiti dell’autotutela.
E’ però altrettanto vero che nel caso di
specie i requisiti in parola devono
ritenersi rispettati: l’amministrazione,
come si è detto, ha provveduto, con avviso
del 12.05.2010 (doc. 7 ricorrente, cit.), e
quindi di pochissimo posteriore alla
archiviazione, a riaprire il procedimento,
rispettando con ciò tutte le garanzie del
contraddittorio, e a concluderlo in tempi
parimenti assai brevi con il provvedimento
impugnato, che quindi vale implicita revoca
della precedente archiviazione.
E’ noto poi che per costante giurisprudenza,
per tutte già C.d.S. sez. VI 13.02.1987 n.
43, per esercitare l’autotutela non occorre
alcuna particolare motivazione
sull’interesse pubblico sotteso, ove si vada
ad incidere su situazioni non consolidate
dal decorso del tempo, così come avvenuto
nella specie, in cui in buona sostanza il
Comune ha subito posto rimedio ad un errato
apprezzamento della fattispecie
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 16.01.2012 n. 59 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA: A
differenza di quanto accade per
l’impugnativa dell’approvazione, il termine
per impugnare l’adozione di uno strumento
urbanistico generale decorre non già dalla
pubblicazione degli atti relativi –di talché
sono non pertinenti le precisazioni, in sé
corrette, che il Comune svolge sul punto- ma
dall’effettiva conoscenza degli stessi.
Le scelte operate in sede di pianificazione
urbanistica sono appunto espressione di una
discrezionalità molto ampia di cui l’ente
territoriale dispone in materia, e pertanto
non sono sindacabili in sede giurisdizionale
di legittimità al di fuori dei casi di
illogicità ovvero incoerenza manifeste.
Come è noto, a differenza di quanto accade
per l’impugnativa dell’approvazione, il
termine per impugnare l’adozione di uno
strumento urbanistico generale decorre non
già dalla pubblicazione degli atti relativi
–di talché sono non pertinenti le
precisazioni, in sé corrette, che il Comune
svolge sul punto- ma dall’effettiva
conoscenza degli stessi, così come affermato
per tutte da C.d.S. sez. VI 01.03.2005 n.
813 e, nella giurisprudenza della Sezione,
dalla sentenza 31.03.2004 n. 371.
E' costante
l'insegnamento giurisprudenziale per cui il
quale le scelte operate in sede di
pianificazione urbanistica sono appunto
espressione di una discrezionalità molto
ampia di cui l’ente territoriale dispone in
materia, e pertanto non sono sindacabili in
sede giurisdizionale di legittimità al di
fuori dei casi di illogicità ovvero
incoerenza manifeste: per tutte, in tal
senso, da ultimo C.d.S. sez. IV 24.02.2011
n. 1222
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 16.01.2012 n. 56 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI: La
motivazione di un qualunque provvedimento
amministrativo deve rispondere ad un
requisito minimo: consentire, quale che ne
sia il contenuto, di ricostruire in modo
agevole il percorso logico seguito
nell’emanare il provvedimento stesso. La
regola è intesa in modo ampio, nel senso che
la motivazione si considera presente in
tutti i casi in cui anche “a prescindere dal
tenore letterale dell'atto finale, i
documenti dell'istruttoria offrano elementi
sufficienti ed univoci dai quali possano
ricostruirsi le concrete ragioni… della
determinazione assunta”.
L’onere di motivazione può essere assolto
anche con il rinvio esplicito ad uno degli
atti del procedimento, cd. motivazione per
relationem: così come dispone il comma 3
dell’art. 3 L. 241/1990, infatti, “se le
ragioni della decisione risultano da altro
atto dell'amministrazione richiamato dalla
decisione stessa, insieme alla comunicazione
di quest'ultima deve essere indicato e reso
disponibile, a norma della presente legge,
anche l'atto cui essa si richiama”. In
proposito, come ha chiarito la
giurisprudenza, è sufficiente che l’atto
richiamato sia offerto in copia o per lo
meno in visione su istanza di parte.
In termini generali, è ben noto che la
motivazione di un qualunque provvedimento
amministrativo deve rispondere ad un
requisito minimo: consentire, quale che ne
sia il contenuto, di ricostruire in modo
agevole il percorso logico seguito
nell’emanare il provvedimento stesso, come
affermato in via di principio, per tutte da
C.d.S. sez. V 11.11.2005 n. 6347. La regola
è intesa in modo ampio, nel senso che la
motivazione si considera presente in tutti i
casi in cui anche “a prescindere dal
tenore letterale dell'atto finale, i
documenti dell'istruttoria offrano elementi
sufficienti ed univoci dai quali possano
ricostruirsi le concrete ragioni… della
determinazione assunta”, come affermato
di recente da C.d.S. sez. IV 10.05.2005 n.
2231; rimane fermo però che tale
ricostruzione deve essere possibile, e non
meramente ipotetica o congetturale.
L’onere di motivazione poi, come previsto in
modo espresso dall’art. 3 della l.
07.08.1990 n. 241, può essere assolto anche
con il rinvio esplicito ad uno degli atti
del procedimento, cd. motivazione per
relationem: così come dispone il comma 3
dell’articolo in questione, infatti, “se
le ragioni della decisione risultano da
altro atto dell'amministrazione richiamato
dalla decisione stessa, insieme alla
comunicazione di quest'ultima deve essere
indicato e reso disponibile, a norma della
presente legge, anche l'atto cui essa si
richiama”. In proposito, come ha
chiarito la giurisprudenza, è sufficiente
che l’atto richiamato sia offerto in copia o
per lo meno in visione su istanza di parte:
così sul punto C.d.S. sez. IV 24.12.2007 n.
6653 e 20.10.2000 n. 5619; resta però fermo
che esso deve effettivamente consentire la
ricostruzione di cui si è detto.
Il requisito minimo di motivazione inteso
nei suddetti termini non è stato però nel
caso di specie soddisfatto, dato che le
ragioni per le quali il Comune ha ritenuto
di negare il titolo edilizio richiesto dalla
ricorrente sono rimaste, in ultima analisi,
non comprensibili pur dopo l’espletata
istruttoria. Secondo quanto risulta dal suo
tenore letterale, così come riportato in
premesse, il provvedimento impugnato ha
negato quanto richiesto motivando per
relationem con rinvio a due atti
preesistenti, il che di per sé non è come si
è detto illegittimo (TAR Lombardia-Brescia,
Sez. I,
sentenza 16.01.2012 n. 44 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: L'art. 38
dpr 380/2001 rappresenta
“speciale norma di favore” che differenzia
sensibilmente la posizione di colui che
abbia realizzato l’opera abusiva sulla base
di titolo annullato rispetto a coloro che
hanno realizzato opere parimenti abusive
senza alcun titolo, tutelando l’affidamento del
privato a poter conservare l’opera
realizzata.
In tale ambito, a seguito di annullamento
giurisdizionale di titolo abilitativo
edilizio
l’Amministrazione non può dirsi vincolata ad
adottare misure ripristinatorie, dovendo
anzi tale scelta tipicamente discrezionale
essere adeguatamente motivata quale “extrema ratio”
privilegiando ogni volta che ciò sia
possibile, la riedizione del permesso di
costruire emendato dai vizi riscontrati.
Pertanto a seguito dell’annullamento
giurisdizionale (peraltro non definitivo)
ben possono il privato interessato e
l’Autorità comunale ricondurre a legalità
l’intervento edilizio abusivo (rectius
parzialmente abusivo) ed in coerenza con il
canone di azione codificato dall’art. 38,
procedere ove possibile alla rimozione dei
vizi del procedimento, ovvero applicare in
luogo della sanzione ripristinatoria, la
misura riparatoria pecuniaria.
Come preliminarmente evidenziato, dalla sentenza n. 3270/2010 non
discende alcun effetto preclusivo in ordine
al completamento dell’intervento edilizio
oggetto dell’istanza della ricorrente, in
relazione alle parti legittime e non incise
dalla statuizione di annullamento.
Diversamente opinando la statuizione
giurisdizionale di annullamento del primo
titolo edilizio comporterebbe uno
sproporzionato quanto ingiustificato arresto
di ogni iniziativa edilizia sino al
definitivo esito del giudizio di merito, in
difformità dallo stesso art 38 t.u. edilizia
in materia di interventi eseguiti in base a
permesso annullato.
Infatti, il citato art. 38 rappresenta
“speciale norma di favore” (TAR Campania
Napoli sez. II 14.02.2011, n. 932) che
differenzia sensibilmente la posizione di
colui che abbia realizzato l’opera abusiva
sulla base di titolo annullato rispetto a
coloro che hanno realizzato opere parimenti
abusive senza alcun titolo (Consiglio di
Stato Adunanza Plenaria 23.04.2008, n. 4,
TAR Campania Napoli sez. II 14.02.2011 n. 932), tutelando l’affidamento del
privato a poter conservare l’opera
realizzata.
In tale ambito, a seguito di
annullamento giurisdizionale di titolo
abilitativo edilizio -secondo il prevalente
indirizzo giurisprudenziale da cui il
Collegio non ha motivo di discostarsi-
l’Amministrazione non può dirsi vincolata ad
adottare misure ripristinatorie, dovendo
anzi tale scelta tipicamente discrezionale
essere adeguatamente motivata (TAR
Abruzzo Pescara sez I 11.03.2008 n. 157,
Consiglio di Stato sez. IV 16.03.2010,
n. 1535) quale “extrema ratio” (Consiglio di
Stato sez. IV 16.03.2010, n. 1535)
privilegiando ogni volta che ciò sia
possibile, la riedizione del permesso di
costruire emendato dai vizi riscontrati
(Consiglio di Stato sez. IV 10.04.2008
n. 1546).
Pertanto a seguito dell’annullamento
giurisdizionale (peraltro non definitivo)
ben possono il privato interessato e
l’Autorità comunale ricondurre a legalità
l’intervento edilizio abusivo (rectius
parzialmente abusivo) ed in coerenza con il
canone di azione codificato dall’art. 38,
procedere ove possibile alla rimozione dei
vizi del procedimento, ovvero applicare in
luogo della sanzione ripristinatoria, la
misura riparatoria pecuniaria (TAR
Campania Napoli sez. II 14.02.2011, n.932)
(TAR Puglia-Bari, Sez. III,
sentenza 13.01.2012 n. 187 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: I
vicini controinteressati
rispetto al rilascio della concessione
edilizia non sono annoverabili tra i
soggetti destinatari, ai sensi dell'art. 7,
l. n. 241 del 1990, della comunicazione di
avvio del procedimento per il rilascio di un
titolo edilizio (anche in sanatoria) poiché
l'invocata estensione ad essi della predetta
comunicazione comporterebbe un aggravio
procedimentale in contrasto con i principi
di economicità e di efficienza dell'attività
amministrativa; secondo un orientamento “anche
qualora si tratti di soggetti in precedenza
oppostisi all'attività edilizia del
proprietario confinante”.
Come noto
in linea di principio, per giurisprudenza
consolidata, i vicini controinteressati
rispetto al rilascio della concessione
edilizia non sono annoverabili tra i
soggetti destinatari, ai sensi dell'art. 7,
l. n. 241 del 1990, della comunicazione di
avvio del procedimento per il rilascio di un
titolo edilizio (anche in sanatoria) poiché
l'invocata estensione ad essi della predetta
comunicazione comporterebbe un aggravio
procedimentale in contrasto con i principi
di economicità e di efficienza dell'attività
amministrativa (Consiglio Stato, sez. IV, 31.07.2009, n. 4847 TAR Trentino Alto
Adige Trento, sez. I, 14.10.2010, n.
194 - TAR Campania Napoli, sez. VIII, 12.04.2010, n. 1918
- TAR Campania
Salerno, sez. II, 16.12.2009, n.
7921), secondo un orientamento “anche
qualora si tratti di soggetti in precedenza
oppostisi all'attività edilizia del
proprietario confinante” (così TAR
Campania Napoli, sez. VIII, 12.04.2010, n.
1918)
(TAR Puglia-Bari, Sez. III,
sentenza 13.01.2012 n. 187 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI: L'annullamento
d’ufficio presuppone una congrua motivazione
sull'interesse pubblico attuale e concreto
posto a sostegno dell'esercizio
discrezionale dei poteri di autotutela, con
adeguata ponderazione comparativa, che tenga
anche conto dell'interesse dei destinatari
dell'atto al mantenimento delle posizioni
che su di esso si sono consolidate e del
conseguente affidamento derivante dal
comportamento seguito.
L’art 21-nonies nel prevedere il limite
temporale del “termine ragionevole” ha dato
vita ad un parametro indeterminato ed
elastico -a differenza di altre fattispecie
tipiche di annullamento codificate da norme
speciali quali l’art. 1, c. 136, l. 311/2004-
finendo così per lasciare all’interprete il
compito di individuarlo in concreto, in
considerazione del grado di complessità
degli interessi coinvolti e del relativo
consolidamento, secondo il parametro
costituzionale (art. 3 Cost.) di
ragionevolezza.
Come noto, a seguito dell’entrata in vigore dell’art. 21-nonies
l. 241/1990 per effetto della novella
l. 15/2005, di recepimento di diffuso
orientamento giurisprudenziale,
l'annullamento d’ufficio presuppone una
congrua motivazione sull'interesse pubblico
attuale e concreto posto a sostegno
dell'esercizio discrezionale dei poteri di
autotutela, con adeguata ponderazione
comparativa, che tenga anche conto
dell'interesse dei destinatari dell'atto al
mantenimento delle posizioni che su di esso
si sono consolidate e del conseguente
affidamento derivante dal comportamento
seguito (ex multis Consiglio Stato, sez. IV,
21.12.2009, n. 8529, id. sez IV, 27.11.2010, n. 8291).
L’art 21-nonies nel prevedere il limite
temporale del “termine ragionevole” ha dato
vita ad un parametro indeterminato ed
elastico -a differenza di altre fattispecie
tipiche di annullamento codificate da norme
speciali quali l’art. 1, c. 136, l. 311/2004-
finendo così per lasciare all’interprete il
compito di individuarlo in concreto, in
considerazione del grado di complessità
degli interessi coinvolti e del relativo
consolidamento, secondo il parametro
costituzionale (art. 3 Cost.) di
ragionevolezza (TAR Bari sez. III 11.11.2011, n.
1704)
(TAR Puglia-Bari, Sez. III,
sentenza 13.01.2012 n. 184 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Deve
essere dichiarato improcedibile il
ricorso avverso l'ordine di demolizione
“allorquando risulti presentata una domanda
di sanatoria (sia per l'accertamento di
conformità che per il "condono") in data
precedente alla introduzione del ricorso
stesso e successivamente alla data del
provvedimento di ripristino. E ciò in quanto
l'esercizio della facoltà di regolarizzare
la propria posizione da parte del privato
impedisce l'esercizio del potere repressivo
dell'Amministrazione, almeno fino a quando
la stessa non si pronunci in senso negativo
sulla istanza medesima, ed, inoltre, in
quanto l'applicazione di detto principio
determina, sotto l'aspetto processuale, la
sopravvenuta carenza d'interesse
all'annullamento dell'atto sanzionatorio in
relazione al quale è stata prodotta la
suddetta domanda di sanatoria e la
traslazione e differimento dell'interesse ad
impugnare verso il futuro provvedimento che,
eventualmente, respinga la domanda medesima,
disponendo nuovamente la demolizione
dell'opera edilizia ritenuta abusiva".
La giurisprudenza amministrativa ha affermato costantemente
che deve essere dichiarato improcedibile il
ricorso avverso l'ordine di demolizione
“allorquando risulti presentata una domanda
di sanatoria (sia per l'accertamento di
conformità che per il "condono") in data
precedente alla introduzione del ricorso
stesso e successivamente alla data del
provvedimento di ripristino. E ciò in quanto
l'esercizio della facoltà di regolarizzare
la propria posizione da parte del privato
impedisce l'esercizio del potere repressivo
dell'Amministrazione, almeno fino a quando
la stessa non si pronunci in senso negativo
sulla istanza medesima, ed, inoltre, in
quanto l'applicazione di detto principio
determina, sotto l'aspetto processuale, la
sopravvenuta carenza d'interesse
all'annullamento dell'atto sanzionatorio in
relazione al quale è stata prodotta la
suddetta domanda di sanatoria e la
traslazione e differimento dell'interesse ad
impugnare verso il futuro provvedimento che,
eventualmente, respinga la domanda medesima,
disponendo nuovamente la demolizione
dell'opera edilizia ritenuta abusiva”
(Consiglio di Stato, sez. VI, 12.11.2008, n. 5646; negli stessi termini TAR
Calabria Catanzaro, sez. II, 07.11.2008, n. 1482; TAR Campania Napoli, sez. IV, 07.11.2008, n. 19352; TAR
Sicilia Catania, sez. I, 04.11.2008,
n. 1911; TAR Lazio Roma, sez. II, 15.09.2008,
n. 8306)
(TAR Puglia-Bari, Sez. III,
sentenza 13.01.2012 n. 172 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: L’indicazione
dell’area di sedime, così come
di quella necessaria per opere analoghe a
quelle abusive, da acquisire al patrimonio
comunale “non deve considerarsi requisito
dell’ordinanza di demolizione -e dunque la
mancanza non ne inficia la legittimità-
giacché siffatta specificazione è elemento
essenziale del distinto provvedimento con
cui l’Amministrazione accerta la mancata
ottemperanza alla demolizione da parte
dell’ingiunto”.
Il contenuto essenziale dell’ingiunzione di
demolizione va individuato in relazione alla
funzione tipica del provvedimento, che è
quella di prescrivere la rimozione delle
opere abusive. Pertanto, ai fini della
legittimità dell’atto è necessaria e
sufficiente l’analitica indicazione delle
opere abusivamente realizzate in modo da
consentire al destinatario della sanzione di
rimuoverle spontaneamente.
Uniformandosi alla giurisprudenza prevalente, la Sezione ha ritenuto che
l’indicazione dell’area di sedime, così come
di quella necessaria per opere analoghe a
quelle abusive, da acquisire al patrimonio
comunale “non deve considerarsi requisito
dell’ordinanza di demolizione -e dunque la
mancanza non ne inficia la legittimità-
giacché siffatta specificazione è elemento
essenziale del distinto provvedimento con
cui l’Amministrazione accerta la mancata
ottemperanza alla demolizione da parte
dell’ingiunto” (TAR Puglia Lecce, sez. III, 15.12.2011, n. 2172, 28.07.2011, n. 1461, 24.03.2011, n. 518 e
09.12.2010, n. 2809; nello stesso senso,
TAR Piemonte Torino, sez. I, 24.03.2010, n. 1577).
Il contenuto essenziale dell’ingiunzione di
demolizione va individuato in relazione alla
funzione tipica del provvedimento, che è
quella di prescrivere la rimozione delle
opere abusive. Pertanto, ai fini della
legittimità dell’atto è necessaria e
sufficiente l’analitica indicazione delle
opere abusivamente realizzate in modo da
consentire al destinatario della sanzione di
rimuoverle spontaneamente (TAR Lazio
Roma, sez. I, 09.02.2010, n. 1785)
(TAR Puglia-Lecce, Sez. III,
sentenza 13.01.2012 n. 56 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
PUBBLICO IMPIEGO:
P.A, senza illecito l'uso
limitato del mezzo di servizio. Permane
tuttavia l'eventuale responsabilità
disciplinare o contabile.
Non e' configurabile il reato di peculato
d'uso in caso di uso momentaneo di
un'autovettura di servizio per un tempo
trascurabile e per un limitato tragitto.
Sulla base di queste premesse, la Corte di
cassazione ha rigettato il ricorso del
procuratore della Repubblica avverso la
sentenza di non luogo a procedere con cui il Gup aveva escluso il peculato d’uso
(articolo 314, comma 2, c.p.) nella condotta
di un carabiniere che aveva utilizzato
l’auto di servizio, nonostante il divieto
del superiore, per recarsi urgentemente a
casa per sincerarsi delle condizioni della
figlia che aveva avuto un incidente,
evidenziando, a supporto della decisione
liberatoria, che si era trattato di un fatto
privo di lesività, inidoneo a pregiudicare
apprezzabilmente la funzione pubblicistica
cui era asservito il veicolo.
La soluzione della Cassazione è convincente,
fornendo un’equilibrata lettura della
disciplina del peculato nel caso di utilizzo
improprio dell’autovettura di servizio.
In termini, del resto, si è già espressa la
giurisprudenza di legittimità, laddove si
esclude costantemente il reato di reato di
peculato d’uso (articolo 314, comma 2, c.p.)
in caso di uso momentaneo di un'autovettura
di ufficio, anche se per finalità, reali o
supposte, non corrispondenti a quelle
istituzionali, quando si sia trattato di un
uso episodico ed occasionale, non
caratterizzatosi, quanto a consistenza
(distanze percorse) e durata dell’uso, in
fatti di effettiva “appropriazione”
dell’autovettura di servizio, suscettibili
di recare un concreto e significativo danno
economico all’ente pubblico (in termini di
carburante utilizzato e di energia
lavorativa degli autisti addetti alla guida)
ovvero di pregiudicarne l’ordinaria attività
funzionale [cfr., di recente, Cassazione,
Sezione VI, 27.10.2010, PM in proc.
Mola ed altri; nonché, Sezione VI,
10.01.2007, Stranieri].
Ciò non esclude che il fatto possa rilevare
contabilmente o disciplinarmente (commento
tratto da www.ipsoa.it - Corte di Cassazione,
Sez. VI
penale,
sentenza 12.01.2012 n. 809). |
EDILIZIA PRIVATA: Nell’ipotesi
di intervento edilizio a fronte di DIA,
venendo in rilievo un provvedimento per silentium, la tutela
del terzo è affidata all’esperimento di
un’azione impugnatoria, ex art. 29 del cod.
proc. amm. da proporre nell’ordinario
termine decadenziale.
Nel caso in cui la piena conoscenza della
presentazione della DIA avvenga in uno
stadio anteriore al decorso del termine per
l’esercizio del potere inibitorio, il dies a
quo per l’impugnativa coincide con il
decorso del termine per l’adozione delle
doverose misure interdittive, ovverosia 30
giorni dalla presentazione della denuncia ex
art. 23 DPR 380/2011.
Secondo l’orientamento consolidato della giurisprudenza (da ultimo Ad. Plen. 15/2011), nell’ipotesi di intervento
edilizio a fronte di DIA, venendo in rilievo
un provvedimento per silentium, la tutela
del terzo (nel caso di specie l’odierno
ricorrente) è affidata all’esperimento di
un’azione impugnatoria, ex art. 29 del cod.
proc. amm. da proporre nell’ordinario
termine decadenziale.
Nel caso in cui la piena conoscenza della
presentazione della DIA avvenga in uno
stadio anteriore al decorso del termine per
l’esercizio del potere inibitorio, il dies a
quo per l’impugnativa coincide con il
decorso del termine per l’adozione delle
doverose misure interdittive, ovverosia 30
giorni dalla presentazione della denuncia ex
art. 23 DPR 380/2011
(TAR Puglia-Lecce, Sez. III,
sentenza 12.01.2012 n. 49 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
CONDOMINIO -
EDILIZIA PRIVATA: L'Amministrazione
comunale non è tenuta, in caso di mancata
contestazione del condomino pretermesso, a
svolgere indagini particolari in presenza
della richiesta edificatoria prodotta da un
comproprietario; solo, quando uno o più
comproprietari si attivino per denunciare il
proprio dissenso, rispetto al rilascio del
titolo edificatorio, il Comune deve
verificare se sussiste la disponibilità del
bene oggetto dell'intervento edificatorio e
se, più in generale, la situazione di fatto
consente di supporre l'esistenza di un
tacito "pactum fiduciae" intercorrente tra i
comproprietari, il cui assenso può
manifestarsi non solo attraverso atti
formali che documentino un assenso del
condominio, ma anche “per facta concludentia”.
Con il
primo motivo di ricorso ci si duole che per
l’approvazione del progetto edilizio, per
l’edificazione tramite DIA e per il
successivo accertamento di conformità non
sia stato acquisito il consenso di tutti i
comproprietari; in particolare non sarebbe
stato acquisito il consenso del
comproprietario ....
Il motivo è infondato.
Il Collegio ritiene che l'Amministrazione
non sia tenuta, in caso di mancata
contestazione del condomino pretermesso, a
svolgere indagini particolari in presenza
della richiesta edificatoria prodotta da un
comproprietario; solo, quando uno o più
comproprietari si attivino per denunciare il
proprio dissenso, rispetto al rilascio del
titolo edificatorio, il Comune deve
verificare se sussiste la disponibilità del
bene oggetto dell'intervento edificatorio e
se, più in generale, la situazione di fatto
consente di supporre l'esistenza di un
tacito "pactum fiduciae" intercorrente tra i
comproprietari, il cui assenso può
manifestarsi non solo attraverso atti
formali che documentino un assenso del
condominio, ma anche “per facta concludentia”
(TAR Puglia-Lecce, Sez. III,
sentenza 12.01.2012 n. 49 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
valutazione circa la possibilità di dar
corso o meno alla misura ripristinatoria e la conseguente scelta tra
la demolizione d'ufficio e l'irrogazione
della sanzione pecuniaria costituisce solo
un'eventualità della fase esecutiva,
successiva alla disposta ingiunzione.
La possibilità di sostituire la demolizione
con la sanzione pecuniaria -disciplinata,
con riferimento alle opere eseguite in
parziale difformità dal titolo edificatorio,
dal citato art. 34- viene infatti valutata
dall'Amministrazione soltanto in un secondo
momento, successivo ed autonomo rispetto
all'atto di diffida a demolire, ossia quando
il soggetto privato non ha ottemperato
spontaneamente alla demolizione e l'organo
competente emana l'ordine di demolizione in
danno delle opere costruite.
Quanto alla dedotta impossibilità di procedere alla rimozione dell’abuso
senza causare pregiudizio alla parte
regolarmente costruita ai sensi dell’art.
34, comma 2, DPR 380/2001, il Collegio
osserva che la valutazione circa la
possibilità di dar corso o meno alla misura ripristinatoria e la conseguente scelta tra
la demolizione d'ufficio e l'irrogazione
della sanzione pecuniaria costituisce solo
un'eventualità della fase esecutiva,
successiva alla disposta ingiunzione.
La possibilità di sostituire la demolizione
con la sanzione pecuniaria -disciplinata,
con riferimento alle opere eseguite in
parziale difformità dal titolo edificatorio,
dal citato art. 34- viene infatti valutata
dall'Amministrazione soltanto in un secondo
momento, successivo ed autonomo rispetto
all'atto di diffida a demolire, ossia quando
il soggetto privato non ha ottemperato
spontaneamente alla demolizione e l'organo
competente emana l'ordine di demolizione in
danno delle opere costruite (cfr. Tar Napoli
3418/2010)
(TAR Puglia-Lecce, Sez. III,
sentenza 12.01.2012 n. 38 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: L’onere
di impugnare immediatamente le clausole del
bando sorge allorché da esse deriva una
immediata lesione in capo all’impresa
interessata, quali sono quelle che ostano
alla partecipazione alla gara o che non
consentono una ragionevole offerta, in
quanto manifestamente incomprensibili o
implicanti oneri per la partecipazione del
tutto sproporzionati per eccesso rispetto ai
contenuti della gara o della procedura
concorsuale.
L’onere di impugnare immediatamente le clausole del bando sorge allorché
da esse deriva una immediata lesione in capo
all’impresa interessata, quali sono quelle
che ostano alla partecipazione alla gara o
che non consentono una ragionevole offerta,
in quanto manifestamente incomprensibili o
implicanti oneri per la partecipazione del
tutto sproporzionati per eccesso rispetto ai
contenuti della gara o della procedura
concorsuale (Cons. di St., sez. VI, 03.06.2009
n. 3404), come sostenuto nel caso in esame
tanto per il progetto che per la
dichiarazione
(TAR Puglia-Lecce, Sez. III,
sentenza 12.01.2012 n. 36 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
CONDOMINIO:
Condominio, rientra nei poteri
dell’assemblea la rimozione dell’antenna
centralizzata.
In materia condominiale
la ricezione del segnale radiotelevisivo è
argomento fonte di un cospicuo contenzioso.
Il diritto d’antenna, tra l'altro,
costituendo una specificazione del diritto
all’informazione, e pertanto coinvolgendo
valutazioni attinenti a situazioni
giuridiche protette dalla Costituzione
repubblicana, rappresenta, tra quelli dei
condomini, uno dei diritti che riceve
maggiore tutela.
Secondo quanto declinato dall’art. 1117, n.
3, del codice civile, in situazioni
condominiali, sono considerati comuni (fra
le altre cose) le opere, le installazioni e
i manufatti di qualunque genere che servono
all’uso e al godimento comune. In
quest’ultima categoria vanno ricomprese le
antenne centralizzate, quelle cioè destinate
a servire tutte o almeno più unità
immobiliari di proprietà esclusiva, le
quali, per loro stessa natura non sono
fruibili in maniera personale e diretta da
ciascun condomino, ma richiedono un’attività
d’impianto e di gestione comune che è
compito dell’assemblea deliberare istituendo
il relativo servizio.
Nella
sentenza 11.01.2012 n. 144 la
Corte di Cassazione, Sez. II civile, ha avuto modo di
ricordare che rientra nei poteri
dell’assemblea quello di disciplinare beni e
servizi comuni, al fine della relativa
migliore e più razionale utilizzazione,
anche quando la sistemazione più funzionale
del servizio comporta la dismissione o il
trasferimento dei beni comuni. Viene cioè
riconosciuto all’assemblea
il potere di modificare, sostituire od
eventualmente sopprimere un servizio anche
laddove esso sia istituito.
E’ stata ritenuta pertanto legittima la
delibera dell’assemblea condominiale che a
maggioranza abbia decretato la rimozione
dell’antenna centralizzata per la ricezione
dei canali televisivi. L’antenna, è stato
precisato, costituisce bene comune, solo se
effettivamente idonea a soddisfare
l’interesse dei condomini a fruire del
relativo servizio condominiale. Pertanto, la
volontà collettiva, regolarmente espressa in
assemblea, volta ad escludere siffatto uso,
non si pone come contraria al diritto dei
singoli condomini sul bene comune, perché
quest’ultimo è tale finché assolva la sua
funzione a beneficio di tutti i
partecipanti.
Non si tratta di impedire il godimento
individuale di un bene comune –chiariscono i
giudici- bensì di non dar luogo ad un
servizio la cui attivazione o prosecuzione
non può essere imposta dal singolo
partecipante per il solo fatto di essere
comproprietario delle cose che ne
costituiscono l’impianto materiale (commento
tratto da www.diritto.it). |
APPALTI SERVIZI: Non
può giudicarsi inaffidabile l’offerta sulla
base della mera difformità da minimi
tabellari inderogabili (o, come preteso
nella fattispecie dalla ricorrente, sulla
base della non perfetta corrispondenza tra i
valori presi a parametro di verifica dalla
commissione di gara e quelli elaborati
dall’associazione di categoria per i servizi
di pulizia), essendo precluso
all’Amministrazione di ritenere
inammissibile a priori una determinata
tipologia di giustificazione da parte
dell’offerente.
Come è noto, l’art. 87, secondo comma, del d.lgs. n. 163 del 2006
contiene un’elencazione meramente
esemplificativa (non tassativa) delle
giustificazioni che l’impresa migliore
offerente può fornire alla stazione
appaltante: ivi sono menzionate, tra
l’altro, l’economia del procedimento di
costruzione ovvero del metodo di prestazione
del servizio, le speciali soluzioni tecniche
adottate, le condizioni favorevoli per
l’esecuzione dei lavori o per la prestazione
dei servizi, l’originalità del progetto, dei
lavori, delle forniture e dei servizi
offerti.
Quanto alla manodopera, l’art. 86, comma
3-bis, del Codice dei contratti pubblici
impone alle Amministrazioni di valutare che
il valore economico dell’appalto sia
adeguato rispetto al costo del lavoro e al
costo relativo alla sicurezza, che devono
risultare congrui rispetto all’entità ed
alle specifiche caratteristiche dei lavori,
dei servizi o delle forniture poste in gara,
sulla base delle tabelle ministeriali che
recepiscono i livelli salariali previsti
dalla contrattazione collettiva per i
diversi settori merceologici e per le
differenti aree territoriali.
La valutazione di congruità del costo della
manodopera comporta normalmente, in un
appalto di servizi di pulizia, la
determinazione del monte ore lavorativo
rapportato alle superfici da pulire, alla
frequenza degli interventi richiesti ed alla
loro tipologia. Ne consegue che, in difetto
di un rapporto normativamente predeterminato
tra superficie da pulire ed ore di lavoro,
l’Amministrazione ben può effettuare detta
valutazione prendendo a riferimento lo
studio elaborato dall’associazione dei
produttori di attrezzature per la pulizia
(cfr., in questo senso, Aut. vig. contr.
pubbl., deliberazione n. 156 del 23.05.2007).
Tuttavia, l’utilizzo di siffatti strumenti
di comparazione soggiace agli stessi
principi ripetutamente affermati dalla
giurisprudenza amministrativa in ordine alle
modalità di verifica dell’anomalia
dell’offerta, che deve riguardare
globalmente tutti gli elementi che
concorrono in concreto a determinare il
costo della prestazione: cosicché non può
giudicarsi inaffidabile l’offerta sulla base
della mera difformità da minimi tabellari
inderogabili (o, come preteso nella
fattispecie dalla ricorrente, sulla base
della non perfetta corrispondenza tra i
valori presi a parametro di verifica dalla
commissione di gara e quelli elaborati
dall’associazione di categoria per i servizi
di pulizia), essendo precluso
all’Amministrazione di ritenere
inammissibile a priori una determinata
tipologia di giustificazione da parte
dell’offerente (così, tra molte, Cons.
Stato, sez. V, 28.02.2006 n. 890)
(TAR Puglia-Bari, Sez. I,
sentenza 11.01.2012 n. 103 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: In
tema di anomalia dell’offerta negli appalti
pubblici, il giudizio della stazione
appaltante costituisce esplicazione di
discrezionalità tecnica, sindacabile solo in
caso d’illogicità manifesta o di erroneità
fattuale: l’obbligo di motivare in modo
completo ed approfondito sussiste solo nel
caso in cui la stazione appaltante esprima
un giudizio negativo, che faccia venir meno
l’aggiudicazione, non richiedendosi, per
contro, una motivazione analitica nel caso
di esito positivo della verifica di
anomalia, ed essendo in tal caso consentita
la motivazione per relationem con le
giustificazioni presentate dal concorrente,
come avvenuto nella fattispecie in esame.
Inoltre, vale ricordare la regola secondo
cui la verifica non deve assumere quale
oggetto esclusivo la ricerca di specifiche
inesattezze dell’offerta economica o delle
giustificazioni, ma deve tendere alla
formulazione di un giudizio globale e
sintetico sulla serietà ed affidabilità
dell’offerta nel suo insieme.
---------------
Quanto alla censura dedotta, secondo cui la
commissione avrebbe illegittimamente reso
noti i criteri per la valutazione
dell’anomalia dopo l’apertura delle buste
contenenti le offerte economiche, vale in
contrario evidenziare che la gara è stata
aggiudicata con il criterio del massimo
ribasso e che il principio invocato dalla
ricorrente, oggi recepito nell’art. 83,
quarto comma, del d.lgs. n. 163 del 2006 (in
base al quale le commissioni non possono più
fissare in via preventiva i criteri
motivazionali cui si atterranno per
l’assegnazione dei punteggi e sub-punteggi
tra il minimo ed il massimo prestabiliti dal
bando), opera esclusivamente per gli appalti
da aggiudicarsi con il criterio dell’offerta
economicamente più vantaggiosa e non può
essere esteso, in via analogica, al
sub-procedimento di verifica dell’anomalia
del prezzo, caratterizzato sì dall’ampiezza
del potere discrezionale riconosciuto alla
commissione ma, a sua volta, non
assimilabile tout court alla differente fase
della comparazione tecnico-qualitativa delle
offerte, per la quale soltanto vengono in
rilievo le esigenze di trasparenza ed
imparzialità che hanno indotto la
giurisprudenza ed il legislatore a vietare
la specificazione dei criteri di giudizio in
corso di gara.
Come è
noto, secondo un principio ripetutamente
affermato dalla giurisprudenza in tema di
anomalia dell’offerta negli appalti
pubblici, il giudizio della stazione
appaltante costituisce esplicazione di
discrezionalità tecnica, sindacabile solo in
caso d’illogicità manifesta o di erroneità
fattuale: l’obbligo di motivare in modo
completo ed approfondito sussiste solo nel
caso in cui la stazione appaltante esprima
un giudizio negativo, che faccia venir meno
l’aggiudicazione, non richiedendosi, per
contro, una motivazione analitica nel caso
di esito positivo della verifica di
anomalia, ed essendo in tal caso consentita
la motivazione per relationem con le
giustificazioni presentate dal concorrente,
come avvenuto nella fattispecie in esame
(cfr., tra molte, Cons. Stato, sez. V, 22.02.2011 n. 1090).
Inoltre, vale ricordare la regola secondo
cui la verifica non deve assumere quale
oggetto esclusivo la ricerca di specifiche
inesattezze dell’offerta economica o delle
giustificazioni, ma deve tendere alla
formulazione di un giudizio globale e
sintetico sulla serietà ed affidabilità
dell’offerta nel suo insieme (così, tra
molte, Cons. Stato, sez. V, 11.03.2010 n.
1414).
---------------
Quanto, infine, all’ultima delle censure
dedotte, secondo cui la commissione avrebbe
illegittimamente reso noti i criteri per la
valutazione dell’anomalia dopo l’apertura
delle buste contenenti le offerte
economiche, vale in contrario evidenziare
che la gara è stata aggiudicata con il
criterio del massimo ribasso e che il
principio invocato dalla ricorrente, oggi
recepito nell’art. 83, quarto comma, del
d.lgs. n. 163 del 2006 (in base al quale le
commissioni non possono più fissare in via
preventiva i criteri motivazionali cui si
atterranno per l’assegnazione dei punteggi e
sub-punteggi tra il minimo ed il massimo
prestabiliti dal bando), opera
esclusivamente per gli appalti da
aggiudicarsi con il criterio dell’offerta
economicamente più vantaggiosa e non può
essere esteso, in via analogica, al
sub-procedimento di verifica dell’anomalia
del prezzo, caratterizzato sì dall’ampiezza
del potere discrezionale riconosciuto alla
commissione ma, a sua volta, non
assimilabile tout court alla
differente fase della comparazione
tecnico-qualitativa delle offerte, per la
quale soltanto vengono in rilievo le
esigenze di trasparenza ed imparzialità che
hanno indotto la giurisprudenza ed il
legislatore a vietare la specificazione dei
criteri di giudizio in corso di gara (TAR Puglia-Bari, Sez. I,
sentenza 11.01.2012 n. 103 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI: Con
il decorso del termine di 30
giorni previsto per la giacenza delle
raccomandate, a mezzo del rilascio del
relativo avviso, l’atto amministrativo può
ritenersi regolarmente comunicato al
destinatario, in applicazione dell’art. 1335
cod. civ. in combinato disposto con l’art.
40 del D.P.R. n. 655 del 1982 (ai cui sensi
le raccomandate, che non sia stato possibile
distribuire e non siano state chieste in
restituzione dai mittenti, devono esser
depositate presso l’Ufficio postale di
distribuzione per un periodo di giacenza
minimo di 30 giorni): la comunicazione
dell’atto si perfeziona per il destinatario
necessariamente secondo due modalità
alternative, ossia con il ritiro del piego
oppure, per fictio juris, al momento della
scadenza del termine di compiuta giacenza,
purché nella seconda ipotesi la prova
dell’avvenuto recapito sia particolarmente
rigorosa e corredata dall’attestazione del
periodo di giacenza della raccomandata
presso l’Ufficio postale.
---------------
La violazione del diritto comunitario
implica soltanto un vizio di legittimità,
con conseguente annullabilità dell’atto
amministrativo, in quanto l’art. 21-septies
della legge n. 241 del 1990 ha codificato in
numero chiuso le ipotesi di nullità del
provvedimento, senza includervi la
violazione del diritto comunitario, salva
l’ipotesi in cui ad essere in contrasto con
il precetto del diritto dell’unione europea
sia la norma interna attributiva del potere.
Da tanto consegue, sul piano processuale,
l’onere per l’interessato di impugnare il
provvedimento contrastante con il diritto
comunitario dinanzi al giudice
amministrativo, entro il termine di
decadenza previsto dalla legge processuale
interna, pena la inoppugnabilità dello
stesso.
Secondo un principio pacifico, con il decorso del termine di
30
giorni previsto per la giacenza delle
raccomandate, a mezzo del rilascio del
relativo avviso, l’atto amministrativo può
ritenersi regolarmente comunicato al
destinatario, in applicazione dell’art. 1335
cod. civ. in combinato disposto con l’art.
40 del D.P.R. n. 655 del 1982 (ai cui sensi
le raccomandate, che non sia stato possibile
distribuire e non siano state chieste in
restituzione dai mittenti, devono esser
depositate presso l’Ufficio postale di
distribuzione per un periodo di giacenza
minimo di 30 giorni): la comunicazione
dell’atto si perfeziona per il destinatario
necessariamente secondo due modalità
alternative, ossia con il ritiro del piego
oppure, per fictio juris, al momento della
scadenza del termine di compiuta giacenza,
purché nella seconda ipotesi la prova
dell’avvenuto recapito sia particolarmente
rigorosa e corredata dall’attestazione del
periodo di giacenza della raccomandata
presso l’Ufficio postale (così, tra molte,
TAR Lazio, Latina, sez. I, 01.04.2011 n.
305; TAR Sicilia, Catania, sez. III, 16.06.2009 n. 1103; TAR Friuli Venezia
Giulia, 11.07.2008 n. 402).
---------------
Secondo
l’orientamento tuttora prevalente nella
giurisprudenza amministrativa, la violazione
del diritto comunitario implica soltanto un
vizio di legittimità, con conseguente
annullabilità dell’atto amministrativo, in
quanto l’art. 21-septies della legge n. 241
del 1990 ha codificato in numero chiuso le
ipotesi di nullità del provvedimento, senza
includervi la violazione del diritto
comunitario, salva l’ipotesi in cui ad
essere in contrasto con il precetto del
diritto dell’unione europea sia la norma
interna attributiva del potere (cfr., tra
molte: Cons. Stato, sez. V, 10.01.2003
n. 35; Id., sez. IV, 21.02.2005 n.
579; Id., sez. VI, 20.05.2005 n. 2566;
Id., sez. V, 19.05.2009 n. 3072).
Da tanto consegue, sul piano processuale,
l’onere per l’interessato di impugnare il
provvedimento contrastante con il diritto
comunitario dinanzi al giudice
amministrativo, entro il termine di
decadenza previsto dalla legge processuale
interna, pena la inoppugnabilità dello
stesso (cfr., da ultimo: Cons. Stato, sez.
VI, 31.03.2011 n. 1983, alla cui ampia
motivazione può rinviarsi)
(TAR Puglia-Bari, Sez. I,
sentenza 11.01.2012 n. 102 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Circa
la corretta sigillatura del plico, secondo
quanto disposto dal bando di gara, risulta
illegittima l'esclusione ove la commissione
di gara, deliberando in merito, non abbia
motivato in ordine al rischio che il plico
fosse stato manomesso o, quantomeno, fosse
suscettibile di esserlo.
Con bando del 21.12.2010, il Comune di Trani ha indetto una
procedura aperta ai sensi dell’art. 153 del
d.lgs. n. 163 del 2006 per l’affidamento
della concessione di ampliamento e gestione
del cimitero comunale.
Le imprese ricorrenti, riunite in
raggruppamento temporaneo, hanno presentato
offerta. Nella seduta del 21.04.2011, la
commissione di gara ne ha disposto
l’esclusione, sul rilievo che i lembi di
chiusura del plico contenente l’offerta non
sarebbero stati controfirmati e sigillati
con le modalità prescritte dal disciplinare
di gara.
...
Il disciplinare di gara prescriveva, al
riguardo, di sigillare e controfirmare sui
lembi il plico d’offerta, specificando che
“… per sigillo deve intendersi l’apposizione
sui lembi di chiusura di materiale plastico
come ceralacca o piombo, oppure striscia
incollata e controfirmata, atto a rendere
chiusa la busta contenente l’offerta, a
impedire che essa possa subire manomissioni
di sorta e quindi ad attestare l’autenticità
della chiusura originaria proveniente dal
mittente”.
La documentazione fotografica versata in
atti mostra che l’a.t.i. ricorrente ha
confezionato il plico con modalità
sostanzialmente conformi a quanto richiesto
dal disciplinare, tali da scongiurare il
pericolo di manomissioni o aperture.
Per la sigillatura, è stata utilizzata una
serie di strisce di nastro adesivo gommato e
trasparente, con cui sono stati avvolti per
intero i quattro lati del pacco, così da
garantirne la chiusura anche in
corrispondenza delle piegature del foglio di
carta da imballaggio. Nello stesso modo sono
state sigillate le quattro facce laterali
del pacco, interamente avvolte dal nastro
adesivo, le cui estremità sono state anche
parzialmente sovrapposte. Le strisce di
nastro adesivo sono state incrociate più
volte su ogni lato di piegatura della carta
da imballaggio, rendendo pressoché
impossibile l’apertura del pacco. I lembi
costituiti dalle congiunzioni delle quattro
strisce di nastro adesivo sono stati
controfirmati e la sottoscrizione ha coperto
le due parti sovrapposte del lembo. Sono
stati, inoltre, apposti due sigilli di
ceralacca sui due lati del plico nei quali
erano presenti le piegature della carta.
Risulta, per quanto detto, ingiustificata la
decisione assunta dalla commissione di gara,
che ha deliberato l’esclusione del
raggruppamento ricorrente, senza peraltro
motivare in ordine al rischio che il plico
fosse stato manomesso o, quantomeno, fosse
suscettibile di esserlo.
In conclusione, il ricorso è accolto e per
l’effetto è annullata la determina n. 14530
del 28.04.2011, con la quale il Comune
di Trani ha disposto l’esclusione delle
ricorrenti dalla procedura di project financing
per l’ampliamento e la gestione del cimitero
comunale
(TAR Puglia-Bari, Sez. I,
sentenza 11.01.2012 n. 99 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Nelle
pubbliche gare, la facoltà di chiedere
integrazioni trova ingresso essenzialmente
quando si debba porre rimedio a incertezze o
equivoci, generati dalla ambiguità delle
clausole del bando o comunque presenti nella
normativa, ed è soggetta ai limiti
costantemente indicati dalla giurisprudenza,
che la condiziona al rispetto del principio
della par condicio tra i concorrenti ed
esclude che essa possa riguardare gli
elementi essenziali della domanda ovvero
essere utilizzata per supplire alla
inosservanza di adempimenti procedimentali o
alla omessa produzione di documenti
richiesti a pena di esclusione dal bando.
Nelle pubbliche gare, la facoltà di chiedere integrazioni trova infatti
ingresso essenzialmente quando si debba
porre rimedio a incertezze o equivoci,
generati dalla ambiguità delle clausole del
bando o comunque presenti nella normativa,
ed è soggetta ai limiti costantemente
indicati dalla giurisprudenza, che la
condiziona al rispetto del principio della
par condicio tra i concorrenti ed esclude
che essa possa riguardare gli elementi
essenziali della domanda ovvero essere
utilizzata per supplire alla inosservanza di
adempimenti procedimentali o alla omessa
produzione di documenti richiesti a pena di
esclusione dal bando (cfr., per tutte, Cons.
Stato, sez. V, 06.03.2006 n. 1068).
Deve osservarsi che non è applicabile, alla
fattispecie controversa, la nuova previsione
dell’art. 46, comma 1-bis, del d.lgs. n. 163
del 2006 (introdotta con l’art. 4 del d.l.
n. 70 del 2011, ed in vigore dal 28.05.2011), ai cui sensi “La stazione appaltante
esclude i candidati o i concorrenti in caso
di mancato adempimento alle prescrizioni
previste dal presente codice e dal
regolamento e da altre disposizioni di legge
vigenti, nonché nei casi di incertezza
assoluta sul contenuto o sulla provenienza
dell’offerta, per difetto di sottoscrizione
o di altri elementi essenziali ovvero in
caso di non integrità del plico contenente
l’offerta o la domanda di partecipazione o
altre irregolarità relative alla chiusura
dei plichi, tali da far ritenere, secondo le
circostanze concrete, che sia stato violato
il principio di segretezza delle offerte; i
bandi e le lettere di invito non possono
contenere ulteriori prescrizioni a pena di
esclusione. Dette prescrizioni sono comunque
nulle”.
Il nuovo principio di tassatività delle
cause di esclusione, con conseguente
comminatoria di nullità, attenendo ai bandi
di gara e non direttamente ai provvedimenti
applicativi che dispongono l’esclusione, non
può retroagire ed opera soltanto nei
confronti delle clausole dei bandi
pubblicati dopo l’entrata in vigore del
decreto legge che l’ha introdotto (in questo
senso: TAR Puglia, Bari, sez. I, 23.11.2011
n. 1789; TAR Veneto, sez. I, 02.12.2011 n.
1791)
(TAR Puglia-Bari, Sez. I,
sentenza 11.01.2012 n. 92 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: La
stazione appaltante ha il potere
discrezionale di fissare requisiti di
partecipazione ad una singola gara, anche
più gravosi di quelli previsti dalla legge,
in relazione alle peculiari caratteristiche
oggettive ed all’importanza del servizio da
affidare. Detto potere, che costituisce
precipua attuazione dei principi
costituzionali di imparzialità e buon
andamento, può tradursi anche nell’esigere
la dimostrazione del possesso di adeguata
capacità economico-finanziaria, correlata
allo specifico importo dell’appalto ed alla
sua durata, ed è ampiamente discrezionale,
sicché il sindacato del giudice
amministrativo deve limitarsi alle ipotesi
di manifesta irragionevolezza ed illogicità.
E' legittimo il bando di gara che
richieda l’apertura di una linea di credito,
finalizzata alla verifica in concreto della
solidità economica dell’impresa concorrente,
in quanto le dichiarazioni degli istituti
bancari sono di norma generiche e non
“attualizzate” sullo specifico appalto.
Secondo un principio ormai consolidato, non può dubitarsi che la
stazione appaltante abbia il potere
discrezionale di fissare requisiti di
partecipazione ad una singola gara, anche
più gravosi di quelli previsti dalla legge,
in relazione alle peculiari caratteristiche
oggettive ed all’importanza del servizio da
affidare. Detto potere, che costituisce
precipua attuazione dei principi
costituzionali di imparzialità e buon
andamento, può tradursi anche nell’esigere
la dimostrazione del possesso di adeguata
capacità economico-finanziaria, correlata
allo specifico importo dell’appalto ed alla
sua durata, ed è ampiamente discrezionale,
sicché il sindacato del giudice
amministrativo deve limitarsi alle ipotesi
di manifesta irragionevolezza ed illogicità
(cfr. Cons. Stato, sez. IV, 22.10.2004
n. 6972; Id., sez. V, 31.12.2003 n.
9305).
Con riguardo ad una fattispecie analoga a
quella in esame, anche l’Autorità di
vigilanza sui contratti pubblici ha chiarito
che è legittimo il bando di gara che
richieda l’apertura di una linea di credito,
finalizzata alla verifica in concreto della
solidità economica dell’impresa concorrente,
in quanto le dichiarazioni degli istituti
bancari sono di norma generiche e non
“attualizzate” sullo specifico appalto (cfr.
deliberazione A.V.C.P. 27.02.2007 n. 61)
(TAR Puglia-Bari, Sez. I,
sentenza 11.01.2012 n. 91 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Nell’esegesi
della disposizione contenuta nell’art. 48,
comma 1, d.lgs. n. 163/2006 è ormai principio
consolidato che il termine di 10 giorni
[eventualmente prorogabile ove l’impresa
richiedente evidenzi un’oggettiva
impossibilità ad osservare il termine, come,
ad es., il diniego o il ritardo nel rilascio
della richiesta documentazione da parte
della p.a.], entro il quale l’impresa
offerente, sorteggiata a campione per il
controllo in ordine al possesso dei
requisiti di capacità economico-finanziaria
e tecnico-organizzativa, è tenuta ad
ottemperare alla richiesta della stazione
appaltante, ha natura perentoria.
Le sanzioni conseguenti alla sua
inosservanza non vanno applicate solo in
caso di comprovata impossibilità per
l’impresa di produrre la documentazione non
rientrante nella sua disponibilità.
... considerato perciò che alla controversia possono applicarsi i
principi enunciati dal Consiglio di Stato,
Sezione quinta, 13.12.2010 n. 8739,
per il quale, premesso che “nell’esegesi
della disposizione contenuta nell’art. 48,
comma 1, d.lgs. n. 163/2006 –corrispondente al pregresso art. 10, comma
1-quater l. n. 109/1994– è ormai principio
consolidato che il termine di 10 giorni
[eventualmente prorogabile ove l’impresa
richiedente evidenzi un’oggettiva
impossibilità ad osservare il termine, come,
ad es., il diniego o il ritardo nel rilascio
della richiesta documentazione da parte
della p.a.], entro il quale l’impresa
offerente, sorteggiata a campione per il
controllo in ordine al possesso dei
requisiti di capacità economico-finanziaria
e tecnico-organizzativa, è tenuta ad
ottemperare alla richiesta della stazione
appaltante, ha natura perentoria”, ha
evidenziato “che le sanzioni conseguenti
alla sua inosservanza non vanno applicate
solo in caso di comprovata impossibilità per
l’impresa di produrre la documentazione non
rientrante nella sua disponibilità (v., ex plurimis, C.d.S., Sez. VI, 15.06.2009,
n. 3804)”
(TAR Puglia-Bari, Sez. I,
sentenza 11.01.2012 n. 81 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
LAVORI PUBBLICI: Niente
ripensamenti sul project financing.
Dalla finanza di progetto indietro non si
torna, almeno gratis. Paga l'indennizzo
all'impresa il comune che ci ripensa: il
project financing può ben configurarsi anche
se il rischio a carico del privato risulta
piuttosto ridotto; l'ente locale non può
contrabbandare per annullamento d'ufficio
quella che è a tutti gli effetti una revoca,
con l'amministrazione che valuta
successivamente l'inopportunità del progetto
che essa stessa ha approvato e decide di
fare retromarcia. Va tuttavia escluso il
risarcimento integrale del danno richiesto
dall'azienda: la revoca da parte dell'ente
locale è del tutto legittima.
È quanto emerge dalla
sentenza 10.01.2012
n. 39 della V Sez. del Consiglio di
stato.
L'immobile «incriminato» è una
prestigiosa villa veneta. Il comune accetta
la proposta di project financing: il
privato ristrutturerà l'immobile e lo
gestirà per trent'anni, dandolo in locazione
allo stesso locale in cambio del versamento
di un canone. Poi l'amministrazione cambia
idea: trova un finanziamento regionale per
la biblioteca della villa, situata in un'ala
non interessata dall'operazione già
pattuita, e affida i lavori a un'altra
impresa. Giunta e Consiglio fanno due conti
e vogliono annullare del tutto la finanza di
progetto: l'impresa, protestano, in realtà
non si accolla alcun rischio nell'affare
perché il corrispettivo del canone di
locazione per trent'anni corrisponde quasi
all'importo dei lavori di ristrutturazione e
delle opere di urbanizzazione.
Perché sbaglia, il comune? Il project
financing, spiegano i giudici, è una
procedura caratterizzata da un elevato tasso
di elasticità, che consente di adattare il
progetto alle specifiche esigenze delle
parti. E nella specie la struttura
dell'operazione non è incompatibile con
l'istituto della finanza di progetto che
consente un utilizzo soltanto parziale delle
risorse dei soggetti proponenti.
Ha torto l'amministrazione quando, invero
tardivamente, denuncia che il rischio
dell'impresa risulti in concreto azzerato: i
calcoli del comune non considerano che
l'impegno finanziario dell'impresa è
immediato, con la realizzazione delle opere,
mentre gli oneri posti a carico dell'ente
locale vengono dilazionati in trenta anni
sotto forma di pagamento del canone;
insomma, i dati si possono confrontare
soltanto indicizzando gli importi alla data
degli esborsi. È vero, il rischio a carico
dell'azienda è ridotto ma non pari a zero e
questo non rende illegittima la procedura,
che l'amministrazione ha autonomamente
valutato come conveniente al momento
dell'approvazione.
Inutile, per il Comune, mettere in mezzo la
banca. È vero: nel project financing
il piano economico deve comunque essere
asseverato da un istituto di credito, ma non
servono particolari formalità. Senza
dimenticare che la tesi della mancata
asseverazione risulta in contrasto con
quella dell'assenza di rischio in capo
all'impresa. Il «placet» della banca
non esonera l'amministrazione dal procedere
alla valutazione della coerenza e
sostenibilità economica dell'offerta e
all'esame del piano economico e finanziario
sotto il profilo dei ricavi attesi e dei
relativi flussi di cassa in rapporto ai
costi di produzione e di gestione.
Nel caso affrontato dai giudici
amministrativi l'impresa ha regolarmente
ottenuto l'asseverazione bancaria: il Comune
avrebbe ben potuto richiedere
un'integrazione laddove non fosse stato
soddisfatto della documentazione. Il fatto
che il dietrofront dell'ente consista in un
revoca fa venire meno l'obbligo di
risarcimento totale del danno: manca il
presupposto dell'illegittimità dell'atto (articolo
ItaliaOggi del 14.01.2012 -
tratto da www.ecostampa.it). |
APPALTI:
La presentazione, in sede di gara, di un
documento in allegato all'offerta, redatto
in lingua diversa da quella italiana e privo
di relativa traduzione certificata non
costituisce motivo di esclusione dalla gara.
Il disposto normativo di cui all'art. 67 del
D.Lgs. n. 163 del 2006 prevede, invero,
l'utilizzo della lingua italiana unicamente
per la redazione delle offerte, e non anche
per i documenti da allegare alle offerte,
con la conseguenza che la eventuale
necessità della relativa omessa traduzione
potrebbe, al più, configurare una richiesta
di integrazione documentale, ma non anche
motivo di esclusione dalla gara.
Non sussiste l'interesse al ricorso di un
concorrente settimo classificato in
relazione a censure che non sono dirette a
escludere o a contestare il punteggio di
tutti i concorrenti che lo precedono, ovvero
a determinare la rinnovazione della gara.
L'espresso principio deriva dalla logica
considerazione che il ricorrente in
circostanze siffatte non può trarre alcuna
utilità dall'accoglimento della censura.
La presentazione del documento attestante la
prova di combustione in lingua tedesca
(senza una traduzione certificata in lingua
italiana) non costituisce motivo di
esclusione dalla gara, in quanto:
- una siffatta clausola di esclusione non è
contenuta nella lex specialis della
procedura;
- l’art. 67 del D.Lgs. n. 163/2006 prevede
l’utilizzo della lingua italiana per la
redazione delle offerte, e non anche per i
documenti da allegare alle offerte;
- l’allegazione di documenti in lingua
tedesca è stata giustificata, nel caso di
specie, dall’offerta di macchinari di
produzione tedesca e la traduzione
certificata in lingua italiana non si è resa
necessaria per la presenza di un funzionario
della stazione appaltante di madrelingua
tedesca (v. la relazione del funzionario
della Provincia del 19.11.2009; cfr. Cons.
Stato, VI, n. 6519/2005);
- in ogni caso, la necessità di avere la
traduzione dei documenti avrebbe al più
determinato una richiesta di integrazione
documentale (Cons. Giust. Amm. Reg. Sic., n.
7/2007;), non avvenuta per il menzionato
apporto fornito dal funzionario della
Provincia.
Non sussiste l’interesse al ricorso di un
concorrente settimo classificato in
relazione a censure che non sono dirette a
escludere o a contestare il punteggio di
tutti i concorrenti che lo precedono o a
determinare la rinnovazione della gara, non
potendo il ricorrente trarre in tal caso
alcuna utilità dall’accoglimento della
censura, non risultando attuale l’interesse
ad essere collocato al secondo posto della
graduatoria
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 10.01.2012
n. 30 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Differenziandosi
il tacito accoglimento della domanda di
condono dalla decisione esplicita solo per
l'aspetto formale, la formazione del
silenzio-assenso sulla domanda di sanatoria
degli abusi edilizi richiede, quale
presupposto essenziale, oltre al completo
pagamento delle somme dovute a titolo di
oblazione, che siano stati integralmente
assolti dall'interessato gli oneri di
documentazione (che si risolvono
evidentemente nella sussistenza del
requisito sostanziale), relativi al tempo di
ultimazione dei lavori, all'ubicazione, alla
consistenza delle opere e ad ogni altro
elemento rilevante affinché possano essere
utilmente esercitati i poteri di verifica
dell'Amministrazione comunale.
Conseguentemente, il termine per la
formazione del silenzio-assenso sulla
domanda di rilascio della concessione in
sanatoria non decorre quando manchino i
presupposti di fatto e di diritto previsti
dalla norma e/o le opere non siano
suscettibili di sanatoria, nonché qualora la
domanda stessa sia carente della
documentazione prevista dalla legge.
Il termine di 24 mesi,
previsto dall'art. 35 della legge 23.02.1985 n. 47, per l'eventuale
formazione del silenzio assenso relativo al
rilascio di concessione edilizia in
sanatoria, e quello collegato di 36
mesi per la prescrizione del diritto al
conguaglio degli oneri inizia a decorrere
dal momento in cui l'amministrazione
procedente è posta in condizioni di
esaminare compiutamente la relativa domanda,
in quanto integrata la documentazione
necessaria richiesta ex lege all'interessato
dall'amministrazione.
---------------
La
giurisprudenza in ordine alla prescrizione
del diritto al conguaglio degli oneri e alla
decorrenza dei relativi interessi ha
chiarito che:
- il "dies a quo" del termine prescrizionale
per l'esercizio del diritto al conguaglio
dell'oblazione (e non degli oneri accessori)
relativa all'istanza di condono edilizio
decorre dalla presentazione della domanda di
concessione in sanatoria ovvero dalla
integrazione della documentazione da
allegare alla domanda, e non dal
provvedimento comunale che conclude il
procedimento di condono edilizio ovvero
dalla maturazione del silenzio assenso;
- invece, il termine per la prescrizione
(decennale) per la riscossione del
contributo di concessione dovuto decorre
dall'emanazione della concessione edilizia
in sanatoria o, in alternativa, dalla
scadenza del termine perentorio di
ventiquattro mesi dalla presentazione della
domanda, o dalla data nella quale viene
depositata la documentazione completa a
corredo della domanda di concessione
(formazione del silenzio–assenso);
- nel caso di presentazione delle istanze ex
art. 39 l. n. 724/1994, il dies a quo della
liquidazione degli interessi legali relativo
agli oneri concessori (ma ciò vale anche per
l'oblazione) non può che coincidere con la
data di presentazione delle istanze di
sanatoria configurandosi, a tale data, a
carico dell'istante l'assunzione di
un'obbligazione pecuniaria, le cui somme la
parte è tenuta ad autoliquidare e versare,
nei sessanta giorni dalla data di entrata in
vigore della legge, alla pubblica
amministrazione locale in cui è stato
commesso l'abuso, risultando definiti e
certi tutti gli elementi dell'obbligazione,
nella relativa disposizione.
---------------
I provvedimenti con cui l'ente locale
rivendica somme a conguaglio dovute a titolo
di oblazione o di oneri concessori non
abbisognano di particolare motivazione, in
quanto la determinazione di tali somme
costituisce il risultato di una mera
operazione materiale, applicativa di
parametri stabiliti dalla legge o da norme
di natura regolamentare stabilite
dall'Amministrazione, sicché l'interessato
può solo contestare l'erroneità dei conteggi
effettuati dall'ente.
---------------
Nel caso di presentazione delle istanze ex
art. 39 l. n. 724/1994, il dies a quo della
liquidazione degli interessi legali relativo
agli oneri concessori (ma ciò vale anche per
l'oblazione) non può che coincidere con la
data di presentazione delle istanze di
sanatoria configurandosi, a tale data, a
carico dell'istante l'assunzione di
un'obbligazione pecuniaria, le cui somme la
parte è tenuta ad autoliquidare e versare,
nei 60 giorni dalla data di entrata in
vigore della legge, alla pubblica
amministrazione locale in cui è stato
commesso l'abuso, risultando definiti e
certi tutti gli elementi dell'obbligazione,
nella relativa disposizione.
In base al costante indirizzo giurisprudenziale, va altresì precisato:
- che, differenziandosi il tacito
accoglimento della domanda di condono dalla
decisione esplicita solo per l'aspetto
formale, la formazione del silenzio-assenso
sulla domanda di sanatoria degli abusi
edilizi richiede, quale presupposto
essenziale, oltre al completo pagamento
delle somme dovute a titolo di oblazione,
che siano stati integralmente assolti
dall'interessato gli oneri di documentazione
(che si risolvono evidentemente nella
sussistenza del requisito sostanziale),
relativi al tempo di ultimazione dei lavori,
all'ubicazione, alla consistenza delle opere
e ad ogni altro elemento rilevante affinché
possano essere utilmente esercitati i poteri
di verifica dell'Amministrazione comunale
(cfr. ex multis Consiglio Stato, IV 30.06.2010 n. 4174; TAR Lombardia Milano, 22.01.2010 n. 127);
- conseguentemente, che il termine per la
formazione del silenzio-assenso sulla
domanda di rilascio della concessione in
sanatoria non decorre quando manchino i
presupposti di fatto e di diritto previsti
dalla norma e/o le opere non siano
suscettibili di sanatoria, nonché qualora la
domanda stessa sia carente della
documentazione prevista dalla legge (cfr.
TAR Trentino Alto Adige Trento 07.01.2010 n. 4);
- che il termine di 24 mesi,
previsto dall'art. 35 della legge 23.02.1985 n. 47, per l'eventuale
formazione del silenzio assenso relativo al
rilascio di concessione edilizia in
sanatoria, e quello collegato di 36
mesi per la prescrizione del diritto al
conguaglio degli oneri inizia a decorrere
dal momento in cui l'amministrazione
procedente è posta in condizioni di
esaminare compiutamente la relativa domanda,
in quanto integrata la documentazione
necessaria richiesta ex lege all'interessato
dall'amministrazione (cfr. TAR Lazio
Latina, 03.03.2010 n. 204).
---------------
Va tuttavia sottolineato che la
giurisprudenza in ordine alla prescrizione
del diritto al conguaglio degli oneri e alla
decorrenza dei relativi interessi ha
chiarito che:
- il "dies a quo" del termine prescrizionale
per l'esercizio del diritto al conguaglio
dell'oblazione (e non degli oneri accessori)
relativa all'istanza di condono edilizio
decorre dalla presentazione della domanda di
concessione in sanatoria ovvero dalla
integrazione della documentazione da
allegare alla domanda, e non dal
provvedimento comunale che conclude il
procedimento di condono edilizio ovvero
dalla maturazione del silenzio assenso
(cfr. TAR Lombardia Milano, 22.01.2010 n. 127; TAR Basilicata,
03.05.2010 n. 2);
- che, invece, il termine per la
prescrizione (decennale) per la riscossione
del contributo di concessione dovuto decorre
dall'emanazione della concessione edilizia
in sanatoria o, in alternativa, dalla
scadenza del termine perentorio di
ventiquattro mesi dalla presentazione della
domanda, o dalla data nella quale viene
depositata la documentazione completa a
corredo della domanda di concessione
(formazione del silenzio–assenso) (cfr. TAR
Sardegna, 17.11.2010 n. 2600);
- che, per quanto qui di interesse, “nel
caso di presentazione delle istanze ex art.
39 l. n. 724/1994, il dies a quo della
liquidazione degli interessi legali relativo
agli oneri concessori (ma ciò vale anche per
l'oblazione) non può che coincidere con la
data di presentazione delle istanze di
sanatoria configurandosi, a tale data, a
carico dell'istante l'assunzione di
un'obbligazione pecuniaria, le cui somme la
parte è tenuta ad autoliquidare e versare,
nei sessanta giorni dalla data di entrata in
vigore della legge, alla pubblica
amministrazione locale in cui è stato
commesso l'abuso, risultando definiti e
certi tutti gli elementi dell'obbligazione,
nella relativa disposizione" (cfr. TAR
Campania Salerno, II, 05.10.2009, n.
5318).
---------------
Il Collegio deve preliminarmente rilevare
che per giurisprudenza costante, i
provvedimenti con cui l'ente locale
rivendica somme a conguaglio dovute a titolo
di oblazione o di oneri concessori non
abbisognano di particolare motivazione, in
quanto la determinazione di tali somme
costituisce il risultato di una mera
operazione materiale, applicativa di
parametri stabiliti dalla legge o da norme
di natura regolamentare stabilite
dall'Amministrazione, sicché l'interessato
può solo contestare l'erroneità dei conteggi
effettuati dall'ente (cfr. ex multis TAR
Sicilia Catania, 07.07.2010 n. 2847;
TAR Lazio Roma, 15.04.2009 n. 3862)
---------------
Il
Collegio non ritiene di discostarsi
da quell’indirizzo giurisprudenziale (v.
TAR Campania Salerno, 05.10.2009, n.
5318; vedi anche Tar Lecce, III, 11.11.2011 n. 1935 relativa a questione analoga
sollevata nel ricorso 1917/2005 introitato
nella medesima udienza di discussione)
secondo il quale “nel caso di presentazione
delle istanze ex art. 39 l. n. 724/1994, il dies a quo della liquidazione degli
interessi legali relativo agli oneri
concessori (ma ciò vale anche per
l'oblazione) non può che coincidere con la
data di presentazione delle istanze di
sanatoria configurandosi, a tale data, a
carico dell'istante l'assunzione di
un'obbligazione pecuniaria, le cui somme la
parte è tenuta ad autoliquidare e versare,
nei sessanta giorni dalla data di entrata in
vigore della legge, alla pubblica
amministrazione locale in cui è stato
commesso l'abuso, risultando definiti e
certi tutti gli elementi dell'obbligazione,
nella relativa disposizione” (TAR Puglia-Lecce, Sez. III,
sentenza 10.01.2012 n. 16 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Si
realizza la fattispecie che prende il nome
di <<lotto
intercluso>> “allorquando l'area edificabile
di proprietà del richiedente:
a) sia l'unica a non essere stata ancora
edificata;
b) si trovi in una zona integralmente
interessata da costruzioni;
c) sia dotata di tutte le opere di
urbanizzazione (primarie e secondarie),
previste dagli strumenti urbanistici;
d) sia valorizzata da un progetto edilizio
del tutto conforme al p.r.g.
In sintesi, si consente l'intervento
costruttivo diretto purché si accerti la
sussistenza di una situazione di fatto
perfettamente corrispondente a quella
derivante dall'attuazione del piano
esecutivo, allo scopo di evitare defatiganti
attese per il privato ed inutili dispendi di
attività procedimentale per l'ente pubblico.
Tali essendo la ratio e la natura
eccezionale della regola sottesa al c.d.
<<lotto intercluso>>, deve ritenersi che, in
assenza di strumento attuativo:
a) la valutazione circa la congruità del
grado di urbanizzazione sia rimessa
all'esclusivo apprezzamento discrezionale
del comune;
b) il comune, ove intenda rilasciare il
titolo edilizio, deve compiere una
penetrante istruttoria per accertare che la
pianificazione esecutiva:
I) non conservi una qualche utile funzione,
anche in relazione a situazioni di degrado
che possano recuperare margini di efficienza
abitativa, riordino e completamento
razionale;
II) non sia in grado di esprimere scelte
programmatorie distinte rispetto a quelle
contenute nel p.r.g.;
c) incombe sul comune l'obbligo di puntuale
motivazione solo nell'ipotesi in cui venga
rilasciato il permesso di costruire, essendo
in caso contrario sufficiente il richiamo
alla mancanza del piano attuativo (come
verificatosi nel caso di specie);
d) l'equivalenza fra pianificazione
esecutiva e stato di sufficiente
urbanizzazione della zona ai fini del
rilascio del titolo edilizio non opera nel
procedimento di formazione del silenzio
assenso sulla domanda di costruzione”.
---------------
L'esigenza
di un piano esecutivo, quale presupposto per
il rilascio della concessione edilizia,
s'impone anche “al fine di un armonico
raccordo con il preesistente aggregato
abitativo, allo scopo di potenziare le opere
di urbanizzazione già esistenti e, quindi,
anche alla più limitata funzione di
armonizzare aree già compromesse ed
urbanizzate, che richiedano una necessaria
pianificazione della «maglia», e perciò
anche in caso di lotto intercluso o di altri
casi analoghi di zona già edificata e
urbanizzata".
L'assenza del piano attuativo non è
surrogabile con l'imposizione di opere di
urbanizzazione all'atto del rilascio del
titolo edilizio; invero, l'obbligo
dell'interessato di realizzare direttamente
le opere di urbanizzazione è idoneo a
sopperire solo alla mancanza fisica e
materiale di tali opere ma non è in grado di
colmare l'assenza dello strumento esecutivo.
Né sono configurabili equipollenti al piano
attuativo, circostanza questa che impedisce
che in sede amministrativa o giurisdizionale
possano essere effettuate indagini volte a
verificare se sia tecnicamente possibile
edificare vanificando la funzione del piano
attuativo, la cui indefettibile
approvazione, se ritarda, può essere
stimolata dall'interessato con gli strumenti
consentiti dal sistema.
Come chiarito dalla giurisprudenza (cfr. per tutte Consiglio Stato, IV, 10.06.2010 n. 3699) si realizza la
fattispecie che prende il nome di <<lotto
intercluso>> “allorquando l'area edificabile
di proprietà del richiedente:
a) sia l'unica a non essere stata ancora
edificata;
b) si trovi in una zona integralmente
interessata da costruzioni;
c) sia dotata di tutte le opere di
urbanizzazione (primarie e secondarie),
previste dagli strumenti urbanistici;
d) sia valorizzata da un progetto edilizio
del tutto conforme al p.r.g.
In sintesi, si consente l'intervento
costruttivo diretto purché si accerti la
sussistenza di una situazione di fatto
perfettamente corrispondente a quella
derivante dall'attuazione del piano
esecutivo, allo scopo di evitare defatiganti
attese per il privato ed inutili dispendi di
attività procedimentale per l'ente pubblico
(cfr. Cons. St., sez. IV, 29.01.2008,
n. 268; sez. V, 03.03.2004, n. 1013).
Tali essendo la ratio e la natura
eccezionale della regola sottesa al c.d.
<<lotto intercluso>>, deve ritenersi che, in
assenza di strumento attuativo:
a) la valutazione circa la congruità del
grado di urbanizzazione sia rimessa
all'esclusivo apprezzamento discrezionale
del comune (cfr. Cons. St., sez. IV, 01.08.2007, n. 4276);
b) il comune, ove intenda rilasciare il
titolo edilizio, deve compiere una
penetrante istruttoria per accertare che la
pianificazione esecutiva:
I) non conservi una qualche utile funzione,
anche in relazione a situazioni di degrado
che possano recuperare margini di efficienza
abitativa, riordino e completamento
razionale;
II) non sia in grado di esprimere scelte
programmatorie distinte rispetto a quelle
contenute nel p.r.g. (cfr. sez. V, 27.10.2000, n. 5756; sez. V,
08.07.1997, n. 772);
c) incombe sul comune l'obbligo di puntuale
motivazione solo nell'ipotesi in cui venga
rilasciato il permesso di costruire, essendo
in caso contrario sufficiente il richiamo
alla mancanza del piano attuativo (come
verificatosi nel caso di specie);
d) l'equivalenza fra pianificazione
esecutiva e stato di sufficiente
urbanizzazione della zona ai fini del
rilascio del titolo edilizio non opera nel
procedimento di formazione del silenzio
assenso sulla domanda di costruzione (cfr.
Cons. St., sez. V, 14.04.2008, n.
1642)”.
---------------
Invero,
l'esigenza di un piano esecutivo, quale
presupposto per il rilascio della
concessione edilizia, s'impone anche “al
fine di un armonico raccordo con il
preesistente aggregato abitativo, allo scopo
di potenziare le opere di urbanizzazione già
esistenti e, quindi, anche alla più limitata
funzione di armonizzare aree già compromesse
ed urbanizzate, che richiedano una
necessaria pianificazione della «maglia», e
perciò anche in caso di lotto intercluso o
di altri casi analoghi di zona già edificata
e urbanizzata" (cfr. fra le ultime Consiglio
Stato, 13.10.2010 n. 7486; idem, V, 05.10.2011 n. 5450).
A completamento di quanto fin qui esposto va
infine precisato che l'assenza del piano
attuativo non è surrogabile con
l'imposizione di opere di urbanizzazione
all'atto del rilascio del titolo edilizio;
invero, l'obbligo dell'interessato di
realizzare direttamente le opere di
urbanizzazione è idoneo a sopperire solo
alla mancanza fisica e materiale di tali
opere ma non è in grado di colmare l'assenza
dello strumento esecutivo (cfr. Cons. Sr.,
sez. IV, 26.01.1998, n. 67; Cass. pen.,
sez. III, 26.01.1998, n. 302; Cons.
St., sez. V, 15.01.1997, n. 39).
Né sono configurabili equipollenti al piano
attuativo, circostanza questa che impedisce
che in sede amministrativa o giurisdizionale
possano essere effettuate indagini volte a
verificare se sia tecnicamente possibile
edificare vanificando la funzione del piano
attuativo, la cui indefettibile
approvazione, se ritarda, può essere
stimolata dall'interessato con gli strumenti
consentiti dal sistema (cfr. Cons. St., sez.
IV, 30.12.2008, n. 6625)
(TAR Puglia-Lecce, Sez. III,
sentenza 10.01.2012 n. 15 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: L’incameramento
della cauzione è misura di natura
sanzionatoria che può essere applicata
tassativamente solo nelle ipotesi
contemplate nell’art. 48, primo comma, del
codice dei contratti pubblici, e cioè quando
il concorrente non è in grado di comprovare
il possesso dei requisiti di carattere
speciale (capacità economico–finanziaria e
tecnico–organizzativa) richiesti per la
partecipazione alla gara.
Va peraltro osservato che la giurisprudenza
è costante nell’affermare che
l’incameramento della cauzione è misura di
natura sanzionatoria che può essere
applicata tassativamente solo nelle ipotesi
contemplate nell’art. 48, primo comma, del
codice dei contratti pubblici, e cioè quando
il concorrente non è in grado di comprovare
il possesso dei requisiti di carattere
speciale (capacità economico–finanziaria e
tecnico–organizzativa) richiesti per la
partecipazione alla gara (cfr. Consiglio
Stato, sez. VI, 28.08.2006, n. 5009; TAR
Emilia Romagna Bologna, sez. I, 10.12.2010,
n. 8108; TAR Veneto Venezia, sez. I,
12.05.2008, n. 1326)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. III,
sentenza 05.01.2012 n. 21 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ESPROPRIAZIONE: E’ sufficiente che la
notifica degli atti espropriativi sia stata
fatta ai proprietari risultanti dai registri
catastali, non essendo tenuta
l’Amministrazione, alla stregua delle
disposizioni contenute nell’art. 10 L. 22.10.1971 n. 865, ad effettuare
specifiche indagini sull’attualità del
titolo emergente da tali registri, salvo che
da data certa anteriore all’avvio del
procedimento espropriativo risulti
notificato all’ente procedente, a cura
dell’effettivo proprietario del bene fatto
oggetto di ablazione, la sua nuova ed
effettiva qualità.
Il principio di che trattasi non può subire
deroghe neppure quando l’intestatario
catastale sia un soggetto terzo, il quale
non abbia mai avuto la proprietà del bene
oggetto di espropriazione, ma al quale il
bene sia stato “volturato” per mero errore.
Infatti, ammettere che in simili casi la
comunicazione degli atti espropriativi possa
essere considerata invalida significherebbe
onerare la Amministrazione -al fine di
evitare l’insorgere di controversie- di
effettuare verifiche di tipo esplorativo,
che contraddicono alla presunzione di
legittimità degli atti catastali e che,
comunque, il legislatore ha inteso evitare
al fine di garantire la speditezza dalla
azione amministrativa. D’altro canto
significherebbe far scontare alla
Amministrazione procedente errori che non le
sono minimamente addebitabili e che essa a
buon diritto é tenuta a prendere in
considerazione, nel suo agire, solo
allorquando tali errori constino da atti non
contestati, o non contestabili, dei quali la
Amministrazione medesima abbia ricevuto una
comunicazione ufficiale.
Una volta che l’Amministrazione procedente
abbia ritualmente effettuato le notifiche
agli intestatari catastali, la mancata
notifica ai proprietari effettivi non può
assumere carattere invalidante degli atti
stessi o di quelli successivi, né legittima
gli effettivi proprietari ad impugnare
tardivamente gli atti espropriativi: tale
decadenza consegue, a guisa di corollario,
al principio per cui la notifica agli
intestatari catastali integra conoscenza
legale degli atti della procedura
espropriativa anche in capo ai proprietari
effettivi.
Il principio della sufficienza della
notifica degli atti della procedura
espropriativa ai soggetti proprietari in
base alle risultanze catastali si era già
consolidato in Giurisprudenza in costanza
della L. 865/1971, nel vigore della quale sono
stati approvati tutti gli atti impugnati
nell’ambito del presente giudizio.
Ancora di
recente il Consiglio di Stato, sez. IV, con
sentenza n. 212 del 14.04.2010 ha avuto
modo di ricordare che “E’ sufficiente che la
notifica degli atti espropriativi sia stata
fatta ai proprietari risultanti dai registri
catastali, non essendo tenuta
l’Amministrazione, alla stregua delle
disposizioni contenute nell’art. 10 L. 22.10.1971 n. 865, ad effettuare
specifiche indagini sull’attualità del
titolo emergente da tali registri, salvo che
da data certa anteriore all’avvio del
procedimento espropriativo risulti
notificato all’ente procedente, a cura
dell’effettivo proprietario del bene fatto
oggetto di ablazione, la sua nuova ed
effettiva qualità.”.
Il Collegio é dell’opinione che il principio
di che trattasi non possa subire deroghe
neppure quando –come pare sia avvenuto nel
caso di specie– l’intestatario catastale
sia un soggetto terzo, il quale non abbia
mai avuto la proprietà del bene oggetto di
espropriazione, ma al quale il bene sia
stato “volturato” per mero errore. Infatti,
ammettere che in simili casi la
comunicazione degli atti espropriativi possa
essere considerata invalida significherebbe
onerare la Amministrazione -al fine di
evitare l’insorgere di controversie- di
effettuare verifiche di tipo esplorativo,
che contraddicono alla presunzione di
legittimità degli atti catastali e che,
comunque, il legislatore ha inteso evitare
al fine di garantire la speditezza dalla
azione amministrativa. D’altro canto
significherebbe far scontare alla
Amministrazione procedente errori che non le
sono minimamente addebitabili e che essa a
buon diritto é tenuta a prendere in
considerazione, nel suo agire, solo
allorquando tali errori constino da atti non
contestati, o non contestabili, dei quali la
Amministrazione medesima abbia ricevuto una
comunicazione ufficiale.
Non é insomma sufficiente che la
Amministrazione sia a conoscenza di fatti
che siano in grado di insinuare il dubbio
sulla effettiva titolarità del bene
assoggettato ad espropriazione, poiché non é
l’Amministrazione a dover effettuare gli
accertamenti. Sono gli interessati a doversi
attivare per rendere la Amministrazione
edotta, in maniera compiuta, della effettiva
realtà.
Va ancora rilevato che, una volta che
l’Amministrazione procedente abbia
ritualmente effettuato le notifiche agli
intestatari catastali, la mancata notifica
ai proprietari effettivi non può assumere
carattere invalidante degli atti stessi o di
quelli successivi, né legittima gli
effettivi proprietari ad impugnare
tardivamente gli atti espropriativi: tale
decadenza consegue, a guisa di corollario,
al principio per cui la notifica agli
intestatari catastali integra conoscenza
legale degli atti della procedura
espropriativa anche in capo ai proprietari
effettivi. Per tale ragione il Collegio
ritiene condivisibile la pronuncia del
Consiglio di Stato n. 7014 del 30.11.2006,
richiamata dalla difesa del Comune, che ha
affermato il dianzi ricordato principio di
diritto
(TAR Puglia-Bari, Sez. II,
sentenza 02.01.2012 n. 4 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Sempre il modello GAP per
l'aggiudicazione di una gara d'appalto.
E' illegittima l'aggiudicazione di una gara
di appalto in favore di una ditta che ha
omesso di produrre il modello GAP, invero
richiesto al fine di accedere a notizie
riguardanti le imprese partecipanti alle
pubbliche gare.
La segnalata pronuncia affronta la questione
sulla legittimità, o meno,
dell’aggiudicazione di una gara di appalto
in favore di una ditta che ha omesso di
presentare la documentazione relativa alla
propria attività sotto i profili
organizzativi, finanziari e tecnici.
In particolare, la ricorrente, seconda in
graduatoria, ha impugnato gli atti inerenti
una procedura aperta indetta dal competente
Provveditorato interregionale per
l’affidamento di alcuni lavori pubblici,
nonché il decreto con cui il Provveditore
aveva disposto l’aggiudicazione definitiva
in favore di altra società.
Ha eccepito, oltre al resto, la violazione e
falsa applicazione dell’art. 1, comma 5, del
D.L. n. 629/1982, conv. in L. n. 726/1982,
degli artt. 38, comma 1, lett. c) e 40,
comma 9, del D.Lgs. n. 163/2006, nonché la
violazione e falsa applicazione della
sezione del disciplinare di gara relativa
alla busta A ("Documentazione").
Segnatamente, ha lamentato che
l’aggiudicataria avrebbe omesso di allegare
alla propria offerta il "modello GAP
impresa partecipante", nonché
l’attestazione di insussistenza, in capo al
proprio legale rappresentante e al proprio
direttore tecnico, di sentenze di
applicazione della pena su richiesta e di
sentenze di condanna incidenti sulla
moralità professionale per le quali il
destinatario abbia goduto del beneficio
della non menzione, mentre, sempre con
riferimento agli anzidetti esponenti
aziendali, avrebbe esibito certificati del
casellario giudiziale e dei carichi pendenti
scaduti.
Il Collegio di Napoli, in via preliminare,
ha ritenuto che il giudizio poteva essere
definito con decisione in forma
semplificata, ai sensi dell’art. 60 c.p.a.,
in considerazione dell’oggetto della causa,
dell’integrità del contraddittorio e della
completezza dell’istruttoria.
In punto di rito ha dapprima dichiarato la
tempestività del gravame sulla scorta della
considerazione per cui l’iniziale
comunicazione effettuata dal Provveditorato
interregionale, nel richiamare soltanto i
verbali di gara relativi all’esame della
documentazione amministrativa prodotta dalle
imprese concorrenti, nonché
all’aggiudicazione provvisoria in favore
della controinteressata, doveva intendersi
riferita all’aggiudicazione provvisoria e
non a quella definitiva.
Siffatta comunicazione, pertanto, a suo
avviso, non integrava gli estremi propri di
quella prevista dall’art. 79, comma 5, lett.
a), del D.Lgs. n. 163/2006, secondo cui: "in
ogni caso l'amministrazione comunica di
ufficio … l'aggiudicazione definitiva,
tempestivamente e comunque entro un termine
non superiore a cinque giorni,
all'aggiudicatario, al concorrente che segue
nella graduatoria, a tutti i candidati che
hanno presentato un'offerta ammessa in gara,
a coloro la cui candidatura o offerta siano
state escluse se hanno proposto impugnazione
avverso l'esclusione, o sono in termini per
presentare dette impugnazioni, nonché a
coloro che hanno impugnato il bando o la
lettera di invito, se dette impugnazioni non
siano state ancora respinte con pronuncia
giurisdizionale definitiva".
Di conseguenza, il giudicante, considerato
che la ricorrente aveva acquisito piena
conoscenza dell’aggiudicazione definitiva
attraverso il testuale richiamo a essa
contenuto nella successiva nota
dell’Autorità per la vigilanza sui contratti
pubblici, ha proceduto all’esame del merito
della vicenda.
In proposito, ha osservato come, in termini
generali, l'onere di presentare il modello
GAP risponde a un’esigenza fondamentale di
tutela dell’ordine pubblico, consistente nel
consentire all'alto Commissario per il
coordinamento della lotta contro la
delinquenza mafiosa, l’accesso a notizie
riguardanti le imprese partecipanti alle
pubbliche gare e nell’apprestargli, per tal
via, un indefettibile strumento conoscitivo
per svolgimento delle sue funzioni (cfr.
Cons. Giust. Amm. Sicilia, Sez. giurisd., n.
298/1998; TAR Lazio, Latina, n. 1067/2010).
Conseguentemente ha ritenuto che, nel caso
di specie, la rilevanza sostanziale
dell'interesse pubblico sotteso alla
clausola concorsuale prescrittiva di un
simile onere documentale, avrebbe dovuto
implicare l'esclusione dalla gara delle
imprese resesi inadempienti, pur in difetto
di espressa sanzione espulsiva da parte
della lex specialis e in virtù del
principio di eterointegrazione di
quest’ultima a opera della norma imperativa
di cui all’art. 1, comma 5, del D.L. n.
629/1982, conv. in L. n. 726/1982 (cfr.
Cons. Giust. Amm. Sicilia, Sez. giurisd., n.
94/2003; TAR Sicilia, Palermo, Sez. II, n.
313/2005; idem, Sez. III, n. 1173/2007 e n.
532/2008; TAR Sicilia, Catania, Sez. IV, n.
2024/2009; idem n. 1100/2010 e n.
1900/2011).
Quest’ultima disposizione, infatti, recita
testualmente che: “… a richiesta
dell'alto Commissario, le imprese, sia
individuali che costituite in forma di
società aggiudicatarie o partecipanti a gare
pubbliche di appalto o a trattativa privata,
sono tenute a fornire allo stesso notizie di
carattere organizzativo, finanziario e
tecnico sulla propria attività, nonché ogni
indicazione ritenuta utile ad individuare
gli effettivi titolari dell'impresa ovvero
delle azioni o delle quote sociali".
E così, ravvisata fondatezza del profilo di
doglianza dianzi scrutinato, il G.A.
partenopeo ha accolto il gravame, con
conseguente annullamento dell’impugnato
decreto del competente Provveditore
interregionale.
Tuttavia, non ha ritenuto sussistenti le
condizioni per dichiarare l’inefficacia del
contratto di appalto, atteso che la relativa
stipula non risultava avvenuta; né tampoco
ha accolto la domanda di risarcimento del
danno per equivalente monetario.
A quest’ultimo riguardo, ha infatti
evidenziato che attraverso l’annullamento
giurisdizionale dei provvedimenti impugnati
e l’effetto conformativo da esso derivante,
la ricorrente ha ottenuto esattamente il
bene della vita ambito, ossia la
classificazione al primo posto della
graduatoria concorsuale e la connessa
possibilità di aggiudicazione (commento
tratto da www.ispoa.it - TAR Campania-Napoli,
Sez. VIII,
sentenza 16.12.2011 n. 5872 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI FORNITURE:
Appalti di forniture, per
partecipare solo prodotti omologati.
Il Consiglio di Stato ha precisato che i
requisiti essenziali per la partecipazione
alle gare di appalto devono essere posseduti
al momento della presentazione delle
offerte. Nel caso di specie la mancanza
dell'omologazione dei prodotti al momento
della presentazione dell'offerta, rilasciata
successivamente alla seduta di gara, è stato
ritenuto elemento sufficiente per
l'esclusione dalla procedura di gara.
Numerose sono le sfaccettature della
decisione, ma in questa sede, riteniamo
sottolineare solo un aspetto, ossia quello
relativo alla omologazione dei prodotti
offerti in sede di gara.
E' stata sollevata con ricorso in appello
censura nei confronti dell'aggiudicataria,
motivata dal fatto che la lex specialis
di gara richiedeva l'omologazione del
prodotto al momento della formulazione
dell'offerta.
Parte controinteressata ha precisato che la
dimostrazione dell'esistenza
dell'omologazione poteva essere provata
successivamente all'aggiudicazione
provvisoria.
La Sezione ha valutato la censura avanti
esposta ed ha concluso che astrattamente può
essere provato il possesso del certificato
di omologazione di un prodotto in sede di
dimostrazione dei requisiti di gara,
successivamente all'aggiudicazione
provvisoria e prima di quella definitiva.
Tuttavia, ha precisato il Giudicante che la
previsione del bando di gara del possesso
del certificato di omologazione al momento
della presentazione dell'offerta, comporta
che è in sede di offerta che deve essere
esibito il certificato di omologazione e ciò
per rispetto della pars condicio tra i
concorrenti partecipanti alla gara.
Inoltre, la sezione ha evidenziato che oltre
agli aspetti formali della e nell'ambito
della procedura di gara, vi è una
problematica di tipo sostanziale che
impedisce di ammettere legittimamente ad una
procedura di gara ditte che non presentano
il certificato di omologazione dei prodotti
offerti, contestualmente alla presentazione
dell'offerta e quindi in sede di gara. Tanto
perché il certificato di omologazione di un
prodotto è l'attestazione che quel prodotto
ha il requisito per essere messo in
commercio e ciò sicuramente necessario per
essere un prodotto offerto alla Pubblica
Amministrazione.
Le considerazioni avanti esposte hanno
caratterizzato un settore delle motivazioni
contenute nella decisione del Consiglio di
Stato che è stata quella del rigetto
dell'appello, in quanto solo
l'aggiudicazione definitiva rappresenta il
momento della perfezione dell'appalto e
della nascita di effetti giuridici aventi
valore contrattuale tra le parti.
Sostanzialmente il procedimento di gara è
ancora aperto tra la fase
dell'aggiudicazione provvisoria e quella
definitiva e la Stazione Appaltante,
attraverso Responsabile del procedimento e
Dirigente può esperire ogni accertamento
necessario od utile ai fini di gara.
Alla luce di tutto ciò non si può che
concludere che la seduta di gara è solo
deputata alla raccolta ed all'apertura
dell'offerte e si conclude con un atto di
aggiudicazione provvisoria, m quale è il
verbale di gara, che comunque non impedisce
alla Pubblica Amministrazione di
ulteriormente provvedere sul procedimento,
nei limiti derivati dalla prima fase.
Certamente non è da sottovalutare la fase
della seduta di gara che alla presenza di
pubblici ufficiali, quali sono i componenti
della Commissione di Gara e quella eventuale
delle ditte partecipanti, costituisce un
momento importante di trasparenza e di
certezza per gli atti e le operazioni
compiuti che vengono trasfuse nel verbale di
gara quale atto pubblico.
A questo punto vi è da aggiungere che, nel
caso di specie, non è stata ritenuta valida
l'eccezione di essere nel possesso della
omologazione perché in effetti alla data di
presentazione dell'offerta, corredata da
dichiarazione sostitutiva del possesso della
omologazione dei prodotti, non è stata
idonea in quanto l'omologazione è stata
rilasciata in data successiva, quindi al
momento di celebrazione della gara non vi
era.
Di conseguenza successivamente alla seduta
di gara non vi era alcuna attività possibile
né da parte della stazione appaltante, né da
parte dei concorrenti per l'acquisizione del
documento mancante, ma dichiarato, in quanto
nella sostanza non vi era l'omologazione dei
prodotti e quindi difettava in capo alla
concorrente un requisito di partecipazione
(commento tratto da www.ipsoa.it - Consiglio
di Stato, Sez. IV,
sentenza 02.12.2011 n.
6376 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
CONDOMINIO:
Distanze legali, prevalgono le
norme sulle cose comuni. È lecito installare
tre pensiline su un bene comune anche se non
rispettano le norme sui rapporti di
vicinato.
È la conclusione cui è giunta la Corte di
Cassazione, Sez. II civile, con la
sentenza 25.10.2011 n.
22092 con cui è stato respinto il
ricorso del proprietario di un appartamento
situato al primo piano di un condominio nei
confronti di quello dell'alloggio
sottostante.
La Suprema corte ha, infatti, stabilito che
le norme sulle distanze legali, rivolte
fondamentalmente a regolare rapporti fra
proprietà contigue e separate, sono
applicabili anche in ambito condominiale
quando siano compatibili con l'applicazione
delle disposizioni particolari relative alle
cose comuni, ma in caso di contrasto
prevale, quale diritto speciale, la
disciplina della comunione. L'aspetto
fondamentale è quindi che il condomino non
alteri la destinazione del bene e non ne
impedisca l'altrui pari uso.
In particolare, la sentenza ha riguardato il
caso di un ricorrente che si è rivolto al
tribunale denunciando che il condomino del
piano terra aveva realizzato tre pensiline
di materiale plastico con intelaiatura in
ferro, chiedendone la rimozione. Secondo il
condomino, infatti, le opere eseguite
risultavano lesive dell'estetica della
facciata, violando inoltre il diritto di
veduta e le norme sulle distanze legali. I
giudici però hanno respinto la domanda sia
in primo che in secondo grado.
Secondo la Corte d'appello, infatti, i
manufatti erano stati realizzati con
materiale elegante, trasparente e in armonia
con le caratteristiche strutturali e
l'estetica del fabbricato.
La vicenda è quindi approdata in Cassazione
dove è stato stabilito che le norme sulle
distanze legali sono applicabili anche in
ambito condominiale purché non siano in
contrasto con le norme particolari relative
alle cose comuni, perché in questo caso
prevalgono queste ultime. Di conseguenza, il
diritto del singolo condomino va incontro a
un solo limite, cioè di consentire il
potenziale pari uso della cosa anche da
parte degli altri (articolo
ItaliaOggi Sette del 16.01.2012).
---------------
1. Le norme sulle distanze legali,
rivolte fondamentalmente a regolare rapporti
fra proprietà contigue e separate, sono
applicabili anche nei rapporti tra i
condomini di un edificio condominiale quando
siano compatibili con l'applicazione delle
norme particolari relative alle cose comuni
(art. 1102 c.c.), cioè quando l'applicazione
di queste ultime non sia in contrasto con le
prime; nell'ipotesi di contrasto prevalgono
le norme sulle cose comuni con la
conseguente inapplicabilità di quelle
relative alle distanze legali che nel
condominio degli edifici e nei rapporti fra
singolo condomino e condominio sono in
rapporto di subordinazione rispetto alle
prime.
2. In considerazione della peculiarità del
condominio degli edifici, caratterizzato
dalla coesistenza di una comunione forzosa e
di proprietà esclusive, il godimento dei
beni, degli impianti e dei servizi comuni è
in funzione del diritto individuale sui
singoli piani in cui è diviso il fabbricato:
dovendo i rapporti fra condomini ispirarsi a
ragioni di solidarietà si richiede un
costante equilibrio tra le esigenze e gli
interessi di tutti i partecipanti alla
comunione, dovendo verificarsi
necessariamente alla stregua delle norme che
disciplinano la comunione - che l'uso del
bene comune da parte di ciascuno sia
compatibile con i diritti degli altri
(massima tratta da www.neldiritto.it). |
AGGIORNAMENTO
AL 16.01.2012 |
ã |
GURI - GUUE -
BURL (e anteprima) |
AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA:
G.U.U.E. 13.01.2012 n. L 11 "DECISIONE
DI ESECUZIONE DELLA COMMISSIONE del 18.11.2011 che
adotta un quinto elenco aggiornato dei siti di importanza
comunitaria per la regione biogeografica continentale
[notificata con il numero C(2011) 8278]". |
SINDACATI |
PUBBLICO
IMPIEGO:
Il foglio dei lavoratori della Funzione
Pubblica (CGIL-FP
di Bergamo,
dicembre 2011). |
NOTE,
CIRCOLARI E COMUNICATI |
EDILIZIA PRIVATA:
Oggetto: Legge 22.12.2011 n. 214
(conversione del cosiddetto decreto Monti).
Disposizioni di interesse per il settore
dell’urbanistica e dell’edilizia (ANCE
Bergamo,
circolare 13.01.2012 n. 7). |
LAVORI PUBBLICI:
Oggetto: Legge 22.12.2011 n. 214
(conversione del cosiddetto decreto Monti).
Disposizioni di interesse per le opere
pubbliche (ANCE Bergamo,
circolare 13.01.2012 n. 6). |
DOTTRINA E
CONTRIBUTI |
APPALTI:
V. M. Leone,
LA RICOGNIZIONE DEI SOGGETTI OBBLIGATI E LE
VICENDE CONTRATTUALI DELLA TRACCIABILITÀ
(link a
www.osservatorioappalti.unitn.it). |
APPALTI SERVIZI:
G. Marchianò,
CONTRATTI DI SERVIZI NEL REGOLAMENTO DI
ESECUZIONE N 207/2010: PRIME OSSERVAZIONI
(link a
www.osservatorioappalti.unitn.it). |
UTILITA' |
SICUREZZA LAVORO: Come
si redige un POS (Piano Operativo di
Sicurezza): ecco un modello completo e
versatile.
Il POS è il documento in cui sono contenute
tutte le misure di prevenzione e protezione
da adottare nelle attività di cantiere al
fine di salvaguardare l'incolumità fisica
dei lavoratori.
Il Testo Unico per la Sicurezza (D.Lgs.
81/2008) prevede l'obbligo del datore di
lavoro di un’impresa esecutrice di redigere
il POS (Piano Operativo di Sicurezza) con i
contenuti minimi previsti all’Allegato XV;
il coordinatore della sicurezza in fase di
esecuzione avrà l’obbligo di verificare
l’idoneità di questo documento.
In allegato a questo articolo proponiamo uno
schema di POS elaborato dal Gruppo di lavoro
della Provincia di Padova, di concerto con
il Comitato Provinciale di Coordinamento.
Il documento rappresenta uno strumento
versatile a disposizione di tutti gli
operatori del settore (imprese, committenti
e coordinatori) improntato alla praticità,
all’efficacia e alla concretezza.
In esso sono contenute tutte le misure
preventive di sicurezza da adottare in
cantiere ed è così strutturato:
►
dati generali del cantiere
►
dati identificativi dell'impresa esecutrice
►
specifiche mansioni inerenti la sicurezza
►
descrizione dell'attività di cantiere
►
descrizione delle modalità organizzative
►
elenco dei ponteggi, delle macchine,
attrezzature ed impianti
►
elenco delle sostanze e preparati pericolosi
►
elenco dei dispositivi di protezione
individuale
►
esiti dei rapporti di valutazione del rumore
e delle vibrazioni
►
macroclima
►
procedure complementari e di dettaglio
richieste dal PSC (quando previsto)
►
documentazione in merito all’informazione e
formazione fornite ai lavoratori occupati in
cantiere
►
valutazione dei rischi del cantiere
(12.01.2012 - link a www.acca.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA - VARI: Risparmio
energetico con l'illuminazione: facciamo
“luce” con il manualetto ENEA.
Dai primi anni del 1900 fino ad oggi la
lampadina ha fatto molta strada, modificando
radicalmente abitudini e bisogni.
Oggi non sarebbe possibile compiere anche le
azioni più comuni senza luce artificiale;
basti pensare che circa l'80% di tutta
l’energia elettrica che consumiamo nelle
nostre case serve ad illuminare.
In questo articolo proponiamo un manualetto
pubblicato dall'ENEA sul risparmio
energetico ottenibile con l'illuminazione.
Il documento effettua dapprima una
panoramica su:
● lampade a incandescenza
● lampade alogene
● lampade fluorescenti
● lampade a LED
● definendo i concetti principali e
elencando pro e contro di ciascuna
tipologia.
Sono anche presenti utili indicazioni su:
● quali lampade scegliere
● dove e come illuminare
● consigli generali circa la sicurezza, il
risparmio energetico e il rispetto
dell’ambiente
(12.01.2012 - link a www.acca.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA: Questo
dove lo butto? Ecco il dizionario dei
rifiuti!
Quante volte ci è capitato di dimenticare
come smaltire o riciclare un rifiuto per una
corretta raccolta differenziata?
Da oggi non dovremo più preoccuparci.
Arriva in nostro soccorso il “dizionario
dei rifiuti”, disponibile in due
versioni, applicazione web (on-line) e App
per Android, che ci informa immediatamente
come smaltire la maggior parte dei rifiuti.
L’idea nasce da un giovane diciottenne,
quando nel suo paese in provincia di Matera
viene introdotta per la prima volta la
raccolta differenziata.
Il giovane si è accorto che la differenziata
creava diversi problemi a molti suoi
compaesani. Così, qualche mese dopo, ha
realizzato un sito ed un'applicazione che
permette di risolvere i dubbi sulla
differenziata.
L’applicazione è simile ad un motore di
ricerca: basta scrivere il rifiuto che si
vuole smaltire o riciclare e ci viene
suggerita la destinazione tra le 8 tipologie
classificate, cioè umido, carta, plastica,
vetro, alluminio, secco indifferenziato,
materiale pericoloso e materiale
ingombrante.
Per ogni tipologia di rifiuti vengono anche
fornite istruzioni su come preparare il
rifiuto
(12.01.2012 - link a www.acca.it). |
NEWS |
SEGRETARI COMUNALI:
Segretari, anche i rogiti nel taglio di
solidarietà. Stipendi. Le indicazioni della
Ragioneria.
L'ALTRO CHIARIMENTO/
La stretta sugli aumenti automatici
determinata dalla legge di stabilità è
interpretativa e valida per il passato.
Due nuovi colpi alla busta paga dei
segretari comunali e provinciali. Arrivano
dalla Ragioneria generale dello Stato, che
in una nota girata a Palazzo Chigi,
Viminale, Anci, Upi e Aran risponde ai
«numerosi quesiti» che continuano a piovere
a Via XX Settembre dalle amministrazioni
locali sulla corretta applicazione delle
regole per gli stipendi dei vertici
amministrativi.
La prima brutta notizia riguarda i diritti
di rogito: secondo la Ragioneria rientrano
nella base di calcolo del «contributo di
solidarietà» che taglia del 5% la quota di
trattamento economico superiore a 90mila
euro e del 10% quella che supera i 150mila.
La tagliola si applica a tutte le entrate
dei segretari, compreso lo «scavalco» che
viene riconosciuto nei casi di reggenza di
altro ente: questi istituti, spiega la
Ragioneria, «hanno effetto sulla dinamica
retributiva, e di conseguenza concorrono al
raggiungimento delle soglie di reddito» che
fanno scattare la sforbiciata di
solidarietà.
Le istruzioni della Ragioneria tornano poi
sull'infinita questione del «galleggiamento»,
cioè lo strumento che consente alla busta
paga del segretario di non fermarsi prima di
quella riconosciuta al dirigente più alto in
carica. La legge di stabilità (articolo 4,
comma 26, della legge 183/2011) ha provato a
chiudere una partita aperta dal 2006,
stabilendo che il «galleggiamento» si
applica dopo le maggiorazioni riconosciute
per incarichi aggiuntivi, stoppando una
prassi che prima gonfiava la busta paga con
il galleggiamento, e poi aggiungeva la
maggiorazione come tassello "indipendente".
Il braccio di ferro, allora, si è spostato
sul carattere «interpretativo» o «innovativo»
della norma: la Ragioneria sancisce la prima
ipotesi, che di conseguenza offre alla
regola valore retroattivo e impedisce una
legittimazione ex post delle applicazioni
più "generose" del passato (articolo Il Sole 24 Ore del
13.01.2012). |
ENTI LOCALI - VARI:
Immobili rurali, pratiche
online.
Accatastamenti fino al 31 marzo. Domande su
internet. Comunicato dell'Agenzia del
territorio spiega le novità della manovra
Monti e del milleproroghe.
Il comunicato stampa dell'11.01.2012
dell'Agenzia del territorio ricorda che il
legislatore, con la legge di conversione 22.12.2011, n. 214, del decreto legge
06.12.2011, n. 201, ha introdotto la
lettera d-bis del comma 14 dell'articolo 13,
con cui sono state abrogate le disposizioni
di cui all'art. 7, commi 2-bis, 2-ter e
2-quater, del decreto legge 13.05.2011,
n. 70, convertito, con modificazioni, dalla
legge 12.07.2011, n. 106, che
prevedevano, per gli immobili rurali a uso
abitativo, l'attribuzione della categoria
A/6 e, per gli immobili rurali a uso
strumentale, la categoria D/10, a seguito
della presentazione di apposita domanda di
variazione all'Agenzia del territorio.
Come si ricorderà, in un precedente articolo
su queste colonne avevamo riferito delle
novità con cui il fisco precisava con la
circolare ministeriale n. 6/T del 22.09.2011, le nuove regole per
l'accatastamento dei fabbricati rurali,
carico dei proprietari, per l'iscrizione in
catasto dei fabbricati rurali nelle
categorie catastali A/6 e D/10.
La nuova norma in realtà reperiva la stretta
operata dalla giurisprudenza sui benefici
fiscali connessi alla ruralità degli
immobili che sono, ad avviso della
Cassazione, da destinarsi esclusivamente ai
fabbricati censiti come A/6 e D/10, a
seconda dell'uso (rispettivamente abitativo
o strumentali di detti immobili).
La presentazione della documentazione
doveva, originariamente, avvenire mediante
presentazione all'Ufficio provinciale
dell'Agenzia del territorio territorialmente
competente (di seguito «Ufficio»), entro la
data del 30.09.2011.
Dati i tempi stretti per l'adempimento in
commento, avevamo espresso l'auspicio che vi
fosse una riapertura dei termini per tale
adempimento.
Infatti adesso con l'art. 29, comma 8, del
decreto legge 29.12.2011, n. 216, in
corso di conversione, recante «Proroga dei
termini previsti da disposizioni
legislative», cosiddetto «mille proroghe», è
stato, inoltre, previsto che, in relazione
al riconoscimento del citato requisito di
ruralità, rimangono salvi gli effetti delle
domande di variazione presentate anche dopo
la scadenza dei termini originariamente
previsti, purché entro e non oltre il 31.03.2012.
I fabbricati rurali iscritti nel catasto dei
terreni, con esclusione di quelli che non
costituiscono oggetto di inventariazione ai
sensi dell'articolo 3, comma 3, del decreto
del ministro delle finanze 02.01.1998,
n. 28, devono essere dichiarati al catasto
edilizio urbano entro il 30.11.2012,
con le modalità stabilite dal decreto del
ministro delle finanze 19.04.1994, n.
701.
Vi è però un'altra novità prevista dalle
disposizioni in materia, con cui si precisa
che nelle more della presentazione della
dichiarazione di aggiornamento catastale di
cui al comma 14-ter, l'imposta municipale
propria è corrisposta, a titolo di acconto e
salvo conguaglio, sulla base della rendita
delle unità similari già iscritte in
catasto.
Il conguaglio dell'imposta è determinato dai
comuni a seguito dell'attribuzione della
rendita catastale con le modalità di cui al
decreto del ministro delle finanze 19.04.1994, n. 701.
Tali disposizioni che si ritrovano nell'art.
13 nei commi 14-bis, 14-ter e 14-quater, non
erano originariamente inserite nel decreto
legge del 06.12.2011 (manovra Monti),
ma sono state inserite all'ultimo momento
nella legge di conversione del decreto legge
suddetto, e si ritrovano appunto nella legge
22.12.2011 n. 214.
Data questa frettolosa introduzione
modificativa e l'aggiornamento importante ai
fini dell'applicazione ai suddetti beni
della neonata imposta Imu, l'Agenzia del
territorio ha ritenuto opportuno precisare
il senso delle nuove disposizioni, con un
breve comunicato del 11.01.2012, nel
quale ricorda succintamente le novità
procedurali introdotte e la nuova proroga al
31.03.2012 delle comunicazioni da farsi a
cura dei proprietari degli immobili rurali.
Il comunicato stampa in commento, ricorda
infine, che per la presentazione delle
suddette domande di variazione, l'Agenzia
del territorio, per facilitare al
contribuente il disbrigo delle pratiche
amministrative relative alla novità
legislativa introdotta recentemente, ha reso
disponibile nel proprio sito internet
un'applicazione che consente la compilazione
della domanda e la stampa della stessa con
modalità informatiche, con l'attribuzione di
uno specifico codice identificativo, a
conferma dell'avvenuta acquisizione a
sistema dei dati contenuti nella domanda di
variazione (articolo ItaliaOggi del
13.01.2012 - tratto da
www.ecostampa.it). |
APPALTI SERVIZI:
LIBERALIZZAZIONI/ Il governo Monti recepisce
molte delle indicazioni dell'Antitrust. Utility,
giro di vite sull'in house.
Entro fine anno stop alle gestioni che
superano i 200 mila.
Stop alle gestioni in house entro fine 2012
se il valore del servizio supera i 200 mila
euro. Parere obbligatorio dell'Antitrust
sulle delibere degli enti locali che
liberalizzano o mantengono diritti di
esclusiva (che devono essere motivati).
Liberalizzazione anche per il trasporto
ferroviario regionale. Scende da 900 mila a
200 mila euro il limite entro il quale si
potrà gestire in house. Priorità nei
finanziamenti statali agli enti di ambito o
di bacino. Applicabilità del Codice dei
contratti pubblici e delle norme sulla
finanza pubbliche per le aziende speciali.
È
quanto prevedono le norme dedicate ai
servizi pubblici locali previsti nella bozza
del decreto-legge sulle liberalizzazioni
predisposto dal governo che, su questa come
su altra materia (professioni, taxi,
farmacie) mostra di recepire gran parte
delle indicazioni fornite dall'Antitrust
nella segnalazione del 05.01.2012. In
particolare per i servizi pubblici locali si
interviene direttamente sulle ultime norme
varate a Ferragosto (decreto 138 convertito
nella legge 148/2011) dal governo
Berlusconi, nello spirito di un maggiore
ricorso al mercato e di una liberalizzazione
«governata» dalle autorità di controllo e
regolazione.
È ad esempio così per la revisione della
norma della legge 148 sulla delibera quadro
dell'ente locale che dimostri i benefici
derivanti dal mantenimento o meno del regime
di esclusiva.
Si prevedeva infatti che la delibera quadro
fosse semplicemente inviata all'Antitrust,
mentre con il nuovo decreto del governo
Monti, invece, il provvedimento dell'ente
locale potrà essere emanato soltanto dopo il
parere obbligatorio dell'Antitrust, che
dovrà arrivare entro 60 giorni e che dovrà
essere reso pubblico.
La bozza di decreto prevede anche che la
delibera sia comunque adottata entro trenta
giorni dalla ricezione del parere
dell'Autorità e che, in assenza della
delibera non si possano attribuire diritti
di esclusiva. Se l'ente locale deciderà per
l'effettuazione di gare per affidare i
servizi, il concessionario o affidatario del
servizio avrà l'obbligo di fornire i dati
sulle caratteristiche del servizio da
mettere in gara previste sanzioni da 5 mila
a 500 mila euro per il mancato inoltro dei
dati richiesti).
Rilevante è poi l'intervento sulle gestioni
cosiddette «in house»: se ad agosto si
ammetteva l'affidamento diretto del servizio
a società interamente pubbliche se il valore
del servizio fosse pari o inferiore a 900
mila euro, con il nuovo decreto questo
importo scende drasticamente a 200 mila
euro. Non solo: la gestione in house potrà
avere una durata massima di cinque anni (a
decorrere dal 31.12.2012, data entro
la quale dovranno cessare gli affidamenti
diretti di valore superiori ai 200 mila
euro) per le aziende risultanti da fusioni
di preesistenti gestioni dirette che abbiano
determinato la nascita di un gestore unico
del servizio a livello di ambito ottimale.
Il decreto legge stabilisce anche che siano
integralmente applicabili le norme sulle
liberalizzazioni dei servizi pubblici locali
(come risultanti dalle modifiche apportate
all'articolo 4 della legge 148) anche al
trasporto ferroviario regionale, in
precedenza escluso.
Confermata l'esclusione dall'applicazione
delle nuove norme per il servizio idrico
integrato per il quale valgono le competenze
dell'Autorità per l'energia elettrica e il
gas, divenuta competente dopo il decreto
Monti di dicembre.
L'organizzazione dei servizi pubblici locali
in ambiti o bacini territoriali ottimali e
omogenei (che consentano econome di scala e
massimizzazione dell'efficienza) costituirà
«principio generale dell'ordinamento
nazionale», rafforzando il vincolo per il
legislatore regionale.
Il rispetto delle norme sulle
liberalizzazioni dei servizi pubblici locali
rappresenterà per l'ente locale un indice di
«virtuosità» per non concorrere alla
realizzazione degli obiettivi di finanza
pubblica.
Prevista una priorità nel finanziamento con
risorse statali per gli enti di governo
degli ambiti o dei bacini territoriali. Gli
enti locali potranno cedere le proprie quote
societarie (con procedura di gara aperta)
per ripianare posizioni debitorie o
promuovere l'ampliamento del mercato.
Vengono toccate anche alcune norme del dlgs
267/2000, prevedendo in particolare che le
aziende speciali siano operative solo per
gestire servizi diversi da quelli di
interesse economico generale e che esse,
insieme alle istituzioni, siano assoggettate
al patto di stabilità interno secondo
modalità che definiranno appositi decreti
ministeriali. Si prevede inoltre che alle
aziende speciali si applichi il Codice dei
contratti pubblici e le norme che prevedono
limiti o divieti alle assunzioni di
personale, al conferimento di consulenze e
in genere le norme sulla finanza pubblica.
---------------
Palazzo Chigi vigilerà
sulla concorrenza negli enti.
Tra le competenze anche l'accertamento delle
clausole vessatorie.
Sarà palazzo Chigi a vigilare sulla
concorrenza nelle regioni e negli enti
locali. Non attraverso un'Authority vera e
propria (come emergeva dalla lettura delle
prime bozze del pacchetto liberalizzazioni),
ma attraverso un ufficio dedicato che dovrà
essere istituito entro due mesi con dpcm.
Alla nuova struttura, il cui mantenimento in
vita (il decreto lo dice espressamente) non
dovrà comportare oneri ulteriori per le
casse dello stato, spetterà innanzitutto
monitorare la normativa regionale e locale e
individuare, anche su segnalazione
dell'Antitrust, se nelle pieghe delle leggi
locali si annidano disposizioni contrastanti
con la tutela o la promozione della
concorrenza.
In questo caso il neonato ufficio fisserà un
«congruo termine» per rimuovere i limiti
alla concorrenza, decorso il quale il
governo potrà esercitare i poteri
sostitutivi previsti dall'articolo 8 della
legge La Loggia (legge 05.06.2003, n.
131). La nuova struttura dovrà anche
supportare gli enti locali nel monitoraggio
e nelle procedure di dismissione delle loro
partecipazioni nelle società di utility.
Tra le competenze dell'ufficio anche
l'accertamento della vessatorietà delle
clausole inserite nei contratti tra
professionisti e consumatori. Nell'esercizio
di tali funzioni all'ufficio è attribuito il
potere di richiedere, tramite funzionari
appositamente autorizzati, informazioni a
privati ed enti pubblici. Le regole sulle
procedure istruttorie da tenere e sulle
garanzie di contraddittorio saranno
individuate con successivo regolamento da
emanare ai sensi della legge 400/1988. In
ogni caso in questi procedimenti dovranno
essere garantiti «la piena cognizione degli
atti, la verbalizzazione e la maggiore
speditezza possibile dell'intervento
amministrativo».
I componenti, i funzionari e i dipendenti
dell'ufficio non percepiranno emolumenti
aggiuntivi o gettoni di presenza. Dovranno
operare con autonomia di giudizio e
risponderanno per gli atti compiuti
nell'esercizio delle loro funzioni solo per
dolo o colpa grave (articolo ItaliaOggi del
13.01.2012 - tratto da
www.ecostampa.it). |
AUTORITA'
VIGILANZA CONTRATTI PUBBLICI |
APPALTI SERVIZI:
Quesito posto ai sensi del Regolamento
interno sull’istruttoria dei quesiti
giuridici dal Comune di Bitonto in ordine
alla sussistenza dei presupposti per
l’affidamento diretto alla società mista
Azienda Servizi Vari S.p.A. di una pluralità
di servizi.
In materia di affidamento a società miste,
come previamente precisato dal Consiglio di
Stato, “la società mista opera nei limiti
dell’affidamento iniziale e non può ottenere
senza gara ulteriori missioni che non siano
già previste nel bando originario”
(Consiglio di Stato, sez. V, 13.02.2009, n.
824). Tuttavia, perché la selezione del
socio privato possa fungere anche da
procedura di affidamento di appalti o
concessioni occorre che la gara rispetti
alcune condizioni.
In primo luogo, come specifica la
Commissione nella citata comunicazione
interpretativa, la garanzia, in favore di
ogni potenziale offerente, di un adeguato
livello di pubblicità che consenta
l’apertura del mercato dei servizi alla
concorrenza, implica che l’amministrazione
aggiudicatrice deve includere nel bando di
gara o nel capitolato d’oneri “informazioni
di base sull’appalto pubblico o sulla
concessione da aggiudicare all’entità a
capitale misto” oltre che “qualche
informazione sulla durata prevista
dell’appalto pubblico che l’entità a
capitale misto dovrà eseguire o della
concessione che dovrà gestire”. Secondo
il Consiglio di Stato “l’affidamento di
un servizio ad una società mista è ritenuto
ammissibile a condizione che sia svolta una
unica gara per la scelta del socio e
l’individuazione del determinato servizio da
svolgere (delimitato in sede di gara sia
temporalmente che con riferimento
all’oggetto)” (Consiglio di Stato, sez.
V, 30.09.2010, n. 7214).
Per quanto riguarda la determinazione, in
sede di gara, dell’oggetto del servizio da
affidare alla società mista, la
giurisprudenza ha ritenuto, in un bando
relativo alla selezione del socio operativo
per la costituzione di società mista per la
gestione del servizio rifiuti, che
l’indicazione dell’oggetto dell’attività
posta in affidamento come “attività di
raccolta dei rifiuti di tutti i comuni
ricompresi nell’ambito territoriale ottimale
(…) e di quegli altri che ne avessero fatta
richiesta” fosse generica (Consiglio di
Stato, sez. V, 13.02.2009, n. 824); del pari
generica è stata valutata, in un bando per
la selezione di socio operativo cui affidare
lavori di manutenzione ordinaria e
straordinaria del sistema infrastrutturale
per lo svolgimento del servizio idrico
integrato, l’indicazione dell’attività come
“realizzazione di tutti quei lavori … che
l’ATO della provincia di Milano deciderà di
finanziare con i suoi piani annuali”
(Consiglio di Stato, sez. VI, 23.09.2008, n.
4603).
Al riguardo la Corte di Giustizia ha
puntualizzato che, ai fini della
compatibilità con la normativa comunitaria
in materia di appalti, occorre che il socio
privato sia selezionato mediante una
procedura ad evidenza pubblica “nella
quale il socio privato sia selezionato
mediante una procedura ad evidenza pubblica,
previa verifica dei requisiti finanziari,
tecnici, operativi e di gestione riferiti al
servizio da svolgere e delle caratteristiche
dell’offerta in considerazione delle
prestazioni da fornire, a condizione che
detta procedura di gara rispetti i principi
di libera concorrenza, di trasparenza e di
parità di trattamento imposti dal Trattato”
(Corte di Giustizia, causa C-196/08,
sentenza 15.10.2009).
Per ciò che concerne la determinazione
temporale del servizio, il Consiglio di
Stato, sulla scorta di quanto già
puntualizzato in sede di Adunanza Plenaria,
ha precisato che “le amministrazioni
dovranno, fin dalla predisposizione degli
atti della gara per la scelta del socio
privato, porsi il problema di come
consentire alla scadenza del contratto
l’eventuale svolgimento di una nuova gara
per la scelta di un nuovo socio. Non è
sufficiente delimitare temporalmente
l’affidamento ma è necessario prevedere un
obbligo di cessione della quota del socio
privato a condizioni predeterminate
all’eventuale nuovo socio, individuato
sempre con gara” (Consiglio di Stato,
sez. V, 30.09.2010, n. 7214). Lo scopo è
quello di evitare che l’assenza della
previsione del rinnovo delle procedure di
selezione del socio privato alla scadenza
del periodo di affidamento renda di fatto
tale socio un socio stabile, sottraendo il
servizio alla concorrenza ben oltre i limiti
temporali e di legittimità cui è
condizionato l’affidamento diretto alla
società mista.
Infine, per ciò che concerne l’affidamento
di servizi ulteriori e il rinnovo degli
appalti già affidati, la giurisprudenza
amministrativa sottolinea l’illegittimità
dell’affidamento di servizi non identificati
al momento della selezione del socio
privato. L’illegittimità degli ulteriori
affidamenti non sarebbe dovuta ad un mero
motivo formale ma alla distorsione della
concorrenza che ne deriva giacché “è
infatti evidente che la scelta di assumere
l’incarico operativo per l’esecuzione di
servizi indeterminati (…) e per una durata
esorbitante (…) è di per sé discriminante in
danno delle imprese di settore che ben
potrebbero, invece, concorrere per singoli
lotti, di portata più limitata e ben
precisata” (Consiglio di Stato, sez. V,
04.08.2010, n. 5214; in termini anche
Consiglio di Stato, sez. VI, 23.09.2008, n.
4603)
(parere
sulla normativa 19.05.2011 - rif. AG-3/11 -
link a www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI:
Richiesta di parere ai sensi del
Regolamento sulla istruttoria dei quesiti
giuridici – commissione di gara.
L’art. 84 del D.Lgs. n. 163/2006 disciplina
distintamente la posizione del Presidente da
quella degli altri componenti della
commissione di gara; in particolare, dal
combinato disposto del comma 3 con il comma
8 della disposizione de qua, si
evince il principio per cui il Presidente
della commissione di gara deve essere
necessariamente individuato all’interno
dell’ente (dirigente o, in via eccezionale,
funzionario apicale dell’amministrazione, ex
comma 3), mentre per gli altri componenti è
ammesso, in alternativa, il ricorso a
funzionari di altre amministrazioni
aggiudicatrici o a professionisti esterni,
con ricorso in tale ultimo caso
esclusivamente alle professionalità ivi
indicate (comma 8).
A tal riguardo sembra opportuno rilevare che
la giurisprudenza amministrativa ha
censurato la nomina di un dirigente di altra
amministrazione come Presidente di una
commissione di gara (Consiglio di Stato n.
2711/2006), mentre ha ritenuto ammissibile
che a rivestire tale ruolo sia il segretario
comunale negli enti locali privi di
personale dirigenziale, tenuto conto che in
applicazione della disciplina recata dal
D.Lgs. n. 267/2000 ai segretari comunali
possono essere attribuite funzioni
dirigenziali (Consiglio di Stato, sez. V,
21.08.2006, n. 4858). In tal senso si è
espressa anche l’Autorità con parere di
precontenzioso n. 23/2007.
La norma, dunque, deve essere interpretata
restrittivamente quanto alla possibilità di
ricorrere –per la nomina del Presidente
della commissione di gara– a soggetti
differenti dal personale dirigenziale della
stazione appaltante o di funzionari apicali
della stessa, con l’ulteriore considerazione
che nel caso in cui l’organizzazione
dell’amministrazione non consenta di
ricorrere a siffatte professionalità, la
giurisprudenza ritiene ammissibile in via
residuale una deroga alla predetta norma,
nei confronti di soggetti (come il
segretario comunale) che comunque
garantiscono la rappresentatività dell’ente
e la piena tutela degli interessi del
medesimo, nonché una adeguata
professionalità in relazione all’incarico da
svolgere
(parere
sulla normativa 05.05.2011 - rif. AG-14/11 -
link a www.autoritalavoripubblici.it). |
LAVORI PUBBLICI:
Convenzione per la realizzazione in
regime di concessione di progetti finanziati
con deliberazione del CIPE del 12.05.1988.
Richiesta di parere.
La clausola compromissoria contenuta nella
Convenzione per la realizzazione in regime
di concessione di progetti finanziati con
deliberazione del CIPE del 12.05.1988, che
rinvia al D.P.R. 16.07.1962, n. 1063 per la
definizione delle controversie tra PA ed
appaltatore, deve essere letta alla luce
dell'avviso del giudice costituzionale in
materia che ha comportato il recupero della
facoltà di declinare la competenza arbitrale
da parte dei contraenti.
Il fondamento di qualsiasi arbitrato,
infatti, e da rinvenirsi unicamente nella
libera scelta delle parti e, pertanto, il
rinvio al D.P.R. 1062/1963 contenuto nella
clausola de qua, deve essere letto come
possibilità sia per la PA sia per il privato
di derogare alla competenza arbitrate anche
con atto unilaterale di ciascuno dei
contraenti. Una simile lettura trova
peraltro conforto nella disciplina
attualmente in vigore la quale, come visto,
prevede (art. 241 del Codice) per entrambe
le parti la possibilità di ricorrere o meno
alla competenza arbitrale (la PA in sede di
redazione del bando e l'impresa antro 20
giorni dall'aggiudicazione). Ed è evidente
che tale facoltà di deroga –laddove non
fosse stata esercitata ab origine per
effetto dell'obbligatoria devoluzione delle
liti al collegio arbitrale sancita dal
D.P.R. n. 1063/1962- possa essere esercitata
al momento dalle parti, essendo insorta solo
successivamente una lite tra le stesse.
A ciò si aggiunga che, ove le parti decidano
di ricorrere al giudizio arbitrale per la
definizione della predetta lite, posto che
nella fattispecie il collegio non è ancora
costituito, per tale nomina e per il
relativo giudizio, deve trovare applicazione
la disciplina attualmente in vigore in
materia di arbitrato, come contenuta negli
articoli 241 e seguenti del Codice
(parere
sulla normativa 08.04.2011 - rif. AG-10/11 -
link a www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI:
Istanza di parere ai sensi dell’art. 69,
comma 3, del D.Lgs. 163/2006 formulata da
ESTAV – Ente per i Servizi
Tecnico-Amministrativi di Area Vasta Sud Est.
Una clausola di esecuzione predisposta “nel
rispetto dell’art. 5, comma 4, Legge
381/1991” non può che limitarsi ad
individuare condizioni di esecuzione
(impiego di persone svantaggiate in date
percentuali) che debbono poter essere
soddisfatte da qualsiasi operatore economico
che si impegni in sede di gara ad eseguire
il contratto secondo le prescrizioni
richiamate.
Debbono pertanto ritenersi conformi al
disposto dell’art. 69 del Codice
l’inclusione, nei bandi di gara, le clausole
comportanti l’impiego (o del mantenimento
dell’impiego) di “persone svantaggiate”
quali condizioni di esecuzione dell’appalto,
in quanto modalità di prestazione del
servizio finalizzata al perseguimento di
obiettivi sociali, espressamente richiamate
dall’art. 69 e dal 33° considerando della
Direttiva Unificata, nei limiti in cui non
discrimini gli operatori economici diversi
dalle cooperative sociali che siano in grado
di soddisfare le prescritte condizioni di
esecuzione.
---------------
L’art. 69, comma 3, del Codice ha previsto
la possibilità per le stazioni appaltanti di
richiedere all’Autorità un pronunciamento
sulle clausole del bando contemplanti “particolari
condizioni di esecuzione del contratto”,
onde evitare che esse possano incidere
negativamente sulle condizioni di
concorrenzialità del mercato “in modo
tale da discriminare o pregiudicare alcune
categorie di imprenditori, determinando così
un’incompatibilità delle previsioni del
bando o dell’invito con il diritto
comunitario” (Cons. Stato, parere sul
Codice n. 355/2006).
Le “particolari condizioni” alle quali le
norme in commento si riferiscono, attengono
in particolare ad esigenze sociali o
ambientali, come chiarito dal 33°
considerando della Direttiva unificata: “…
esse possono essere finalizzate alla
formazione professionale nel cantiere, alla
promozione dell'occupazione delle persone
con particolari difficoltà di inserimento,
alla lotta contro la disoccupazione o alla
tutela dell'ambiente.
A titolo di esempio, si possono citare, tra
gli altri, gli obblighi applicabili
all'esecuzione dell'appalto di assumere
disoccupati di lunga durata o di introdurre
azioni di formazione per i disoccupati o i
giovani, di rispettare in sostanza le
disposizioni delle convenzioni fondamentali
dell'Organizzazione internazionale del
lavoro (OIL) nell'ipotesi in cui non siano
state attuate nella legislazione nazionale,
di assumere un numero di persone disabili
superiore a quello stabilito dalla
legislazione nazionale”.
Ci si riferisce dunque a clausole attinenti
ad esigenze sociali –sebbene la norma non
escluda che possano riguardare anche altre “esigenze”
perseguite dall’amministrazione- con la
previsione, ad esempio, di misure di tutela
a favore di alcune categorie di persone con
particolari difficoltà di inserimento nel
mondo del lavoro (persone svantaggiate o
lavoratori invalidi, o a sostegno
dell’occupazione) e ad esigenze ambientali,
con la previsione, ad esempio, di
particolari modalità di recupero,
riciclaggio o riutilizzo dei materiali e dei
prodotti utilizzati dall’appaltatore (parere
sulla normativa 10.03.2011 - rif. AG-6/11 -
link a www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI:
Quesito posto ai sensi del Regolamento
interno sull'istruttoria dei quesiti
giuridici da Istituti Riuniti di
Beneficienza in ordine alla natura giuridica
delle IPAB trasformate in fondazioni.
Per quanto riguarda l’applicabilità all’IPAB
trasformabile in fondazione dell’art. 1,
comma 10-ter, del d.l. n. 162/2008 che
sottrae alla disciplina di cui al d.lgs.
163/2006 –in quanto non più annoverabili tra
gli organismi di diritto pubblico– gli enti
di cui al d.lgs. n. 153/1999 (enti creditizi
pubblici iscritti all’albo di cui all’art.
29 del r.d.l. n. 375/1936, le casse comunali
di credito agrario e i monti di credito su
pegno di seconda categoria che hanno
effettuato il conferimento dell’intera
azienda in una o più società per azioni
aventi per oggetto l’attività svolta
dall’ente conferente) e gli enti trasformati
in associazioni o in fondazioni di cui al
d.lgs. n. 509/1994 (enti gestori di forme
obbligatorie di previdenza ed assistenza) e
al d.lgs. n. 103/1996 (enti gestori sistemi
previdenziali lavoratori autonomi), che non
usufruiscono di alcun finanziamento o
ausilio pubblico, si osserva innanzitutto
che l’art. 1, comma 10-ter esclude la
rilevanza del controllo della gestione e
della nomina dei componenti degli organismi
di amministrazione, direzione o vigilanza da
parte di Stato ed altri enti pubblici ai
fini dell’integrazione del requisito della “dominanza
pubblica”.
Come è noto, la norma ha destato perplessità
perché in contrasto con l’orientamento
giurisprudenziale, nazionale e comunitario,
secondo il quale l’elemento della “dominanza
pubblica” è rinvenibile nel
finanziamento pubblico anche nel caso
(tipicamente proprio degli enti gestori di
forme obbligatorie di previdenza ed
assistenza) in cui l’ente benefici della
contribuzione obbligatoria di tipo
solidaristico, posta a carico degli
iscritti, in quanto si realizzerebbe una
forma indiretta di concorso finanziario
dello Stato, nonché con il diritto
comunitario, poiché l’Allegato III della
direttiva 18/2004 include gli “enti che
gestiscono forme obbligatorie di previdenza
e di assistenza” nella categoria degli
organismi di diritto pubblico (TAR Lazio,
sez. III-bis, 04.08.2010 n. 30034).
A fronte di tali contraddizioni l’Autorità
ha quindi ritenuto opportuna l’adozione di
un atto di segnalazione al Governo ed al
Parlamento nel quale rilevare che l’articolo
in esame può comportare difficoltà
applicative, dal momento che le casse
previdenziali, ove ricorrano i requisiti
comunitari, non possono che essere
qualificate come organismi di diritto
pubblico e che un atto normativo interno non
può costituire implicita modifica a
disposizioni trasposte da direttive
comunitarie.
Nelle more di eventuali interventi
modificativi da parte del legislatore, è
possibile comunque osservare che l’art. 1,
comma 10-ter, del d.l. n. 162/2008
introduce, a beneficio degli enti in esso
identificati, un’eccezione rispetto alla
disciplina derivante dal combinato disposto
degli articoli 3, commi 25 e 26 e 32, comma
1, lett. a) del d.lgs. n. 163/2006 che e,
pertanto, in quanto norma eccezionale, deve
intendersi insuscettibile di applicazione
analogica nei confronti di enti diversi da
quelli tassativamente ivi indicati (art. 14
delle preleggi).
---------------
Le novità introdotte dalla riforma di
settore in ordine alla trasformazione
obbligatoria delle IPAB in ASP o in
associazioni/fondazioni, consentono di
ritenere in parte superato l’indirizzo
dell’Autorità (di cui alla deliberazione AG
479 del 20/07/2000), che include tout court
dette istituzioni nel novero degli organismi
di diritto pubblico. Ciò in quanto, se le
caratteristiche di questi ultimi sembrano
permanere nelle ASP (personalità giuridica
di diritto pubblico, finalità socio
assistenziali e non di lucro, autonomia
statutaria, contabile e finanziaria,
operatività con criteri aziendali; membri
del Cda nominati dalla regione), si ritiene
vadano invece indagate caso per caso nelle
istituzioni trasformate in
associazioni/fondazioni.
Si tratta, come è noto, dei tre requisiti
richiesti, cumulativamente, dall’art. 3,
comma 26, del d.lgs. n. 163/2006 ai fini del
riconoscimento della qualifica di organismo
di diritto pubblico: 1. personalità
giuridica; 2. essere istituito per
soddisfare esigenze di interesse generale
non aventi carattere industriale o
commerciale; 3. attività finanziata in modo
maggioritario dallo Stato, dagli enti
territoriali o da altri organismi di diritto
pubblico, oppure gestione sottoposta al
controllo di tali soggetti, ovvero organismi
di amministrazione, direzione o vigilanza
costituiti in misura non inferiore alla metà
da componenti designati dai medesimi
soggetti.
Se i primi due requisiti paiono sussistere,
più incerto appare l’esito della valutazione
della sussistenza del terzo requisito,
quello della “dominanza pubblica”
nelle forme alternative del finanziamento
maggioritario, del controllo della gestione
o della nomina dei componenti degli
organismi di amministrazione, direzione o
vigilanza in misura non inferiore alla metà
da parte dello Stato o di altri enti
pubblici. Ciò in quanto tra i criteri
alternativi richiesti dal D.P.C.M.
16.02.1990 ai fini del riconoscimento della
personalità giuridica di diritto privato,
spicca il “carattere di istituzione
promossa ed amministrata da privati”
(art. 1, comma 3, lett. b), a sua volta
integrato in caso di “esistenza di
disposizioni statutarie che prescrivano la
designazione da parte di associazioni o di
soggetti privati di una quota significativa
dei componenti dell'organo deliberante”
(art. 1, comma 5, lett. b)) e a condizione “che
il patrimonio risulti prevalentemente
costituito da beni risultanti dalla
dotazione originaria o dagli incrementi e
trasformazioni della stessa ovvero da beni
conseguiti in forza dello svolgimento
dell'attività istituzionale” (art. 1,
comma 5, lett. b)).
In termini generali tuttavia, non si
ravvisano elementi deducibili dalla
pertinente normativa che ostino
all’integrazione del requisito in esame che
andrà pertanto accertato caso per caso
(parere
sulla normativa 10.02.2011 - rif. AG-41/10 -
link a www.autoritalavoripubblici.it). |
LAVORI PUBBLICI:
Italferr - mancato pagamento dei
subappaltatori.
La mancata presentazione da parte
dell’appaltatore delle fatture quietanzate
determina la sospensione di tutti i
successivi pagamenti da parte della stazione
appaltante, e non solamente di quelle
relative ai rapporti
appaltatore–subappaltatore. Tale
affermazione viene implicitamente confermato
dal regolamento di attuazione del codice,
d.P.R. 05.10.2010, n. 207, che prevede, allo
stesso tempo, un eccezione a detto
principio.
L’art. 170 dispone: “In caso di mancato
rispetto da parte dell'esecutore
dell'obbligo di cui all'articolo 118, comma
3, del codice, qualora l'esecutore motivi il
mancato pagamento con la contestazione della
regolarità dei lavori eseguiti dal
subappaltatore e sempre che quanto
contestato dall'esecutore sia accertato dal
direttore dei lavori, la stazione appaltante
sospende i pagamenti in favore
dell'esecutore limitatamente alla quota
corrispondente alla prestazione oggetto di
contestazione nella misura accertata dal
direttore dei lavori.”
Sebbene, come noto, il regolamento sia
destinato ad entrare in vigore a giugno di
questo anno e, in particolare gli articoli
di cui alla parte II, Titoli VIII, IX e X “non
si applicano all'esecuzione, contabilità e
collaudo dei lavori per i quali, alla data
di entrata in vigore del regolamento, siano
già stati stipulati i relativi contratti”
(art. 357 del regolamento), si ritiene che
la disposizione in commento possa essere un
utile strumento ermeneutico per chiarire
l’esatta portata applicativa della norma,
rendendola idonea e sufficiente a tutelare
la posizione del subappaltatore, senza però
compromettere la realizzazione delle opere e
l’equilibrio economico finanziario degli
appaltatori.
Per quanto riguarda, poi, la sorte delle
somme trattenute nel caso in cui il
contenzioso tra le parti private dovesse
protrarsi fino al momento del collaudo
dell’opera, si ritiene che la stazione
appaltante non possa procedere al pagamento
integrale dell’appaltatore in quanto né il
codice, né il regolamento di attuazione
prevedono un termine finale alla
sospensione.
Il pagamento in violazione dell’obbligo di
sospensione, peraltro, potrebbe essere
inidoneo a liberare la stazione appaltante
dall’obbligazione, potendo essere gli
effetti della sospensione sostanzialmente
assimilabili a quelli del sequestro e del
pignoramento. Ai sensi dell’art. 225 del
d.P.R. 207/2010 (art. 195 d.P.R. 554/1999),
pertanto, l’organo di collaudo procederà a
determinare il credito liquido
dell’appaltatore. L’obbligazione così sorta,
però, non potrà essere adempiuta
relativamente alla parte necessaria a
coprire il credito del subappaltatore nei
confronti dell’appaltatore.
Per il pagamento di tale somma, nel caso
prospettato dall’istante, si dovrà attendere
le determinazioni del giudice investito
della controversia. Le modalità di
conservazione delle somme trattenute sono
rimesse al prudente apprezzamento delle
stazione appaltante (a titolo
esemplificativo: intervento e deposito in
giudizio, accantonamento in bilancio,
deposito presso un notaio)
(parere
sulla normativa 10.02.2011 - rif. AG-48/10 -
link a www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI:
ATI Orizzontale - sostituzione
dell’impresa mandataria a seguito di
liquidazione volontaria con una delle
imprese mandanti.
La ratio dell’art. 37, co. 9 del
Codice è quella di consentire alla p.a.
appaltante, in primo luogo, di verificare il
possesso dei requisiti da parte dei soggetti
che partecipano alla gara e,
correlativamente, di precludere
modificazioni soggettive, sopraggiunte ai
controlli, e dunque, in grado di impedire le
verifiche preliminari.
Orbene, se è questa la funzione della
disposizione di cui si discute, appare
evidente come le uniche modifiche soggettive
elusive del dettato legislativo siano
unicamente quelle che portano all’aggiunta o
alla sostituzione delle imprese partecipanti
e non anche quelle che conducono al recesso
di una delle imprese del raggruppamento.
In questo secondo caso le predette esigenze
non risultano affatto frustrate poiché
l’amministrazione, al momento del mutamento
soggettivo, ha già provveduto a verificare i
requisiti di capacità e di moralità
dell’impresa o delle imprese che restano,
sicché i rischi che il divieto in questione
mira ad impedire non possono verificarsi
(parere
sulla normativa 27.01.2011 - rif. AG-2/11 -
link a www.autoritalavoripubblici.it). |
LAVORI PUBBLICI:
Affidamento dei lavori di realizzazione
del nuovo Centro Direzionale Alitalia -
richiesta di parere ANCE.
La disciplina sui settori speciali trova
applicazione anche nei confronti di soggetti
che sono amministrazioni aggiudicatrici, in
quanto operanti nei settori indicati dagli
articoli da 208 a 213 del Codice. Dette
amministrazioni, contrariamente alle imprese
pubbliche ed ai soggetti privati operanti in
virtù di diritti speciali o esclusivi,
applicano la parte generale del Codice per
gli appalti non rientranti nelle attività di
cui ai citati articoli 208/213.
Giova evidenziare che per amministrazioni
aggiudicatrici si intendono le
amministrazioni dello Stato secondo la
definizione di cui all’art. 3, comma 25, ivi
inclusi gli organismi di diritto pubblico.
Questi ultimi, ai sensi dell’art. 3, comma
26, sono enti in forma societaria istituiti
per soddisfare esigenze di interesse
generale, aventi carattere non industriale o
commerciale, dotati di personalità giuridica
e finanziati in modo maggioritario dallo
Stato, dagli enti pubblici territoriali o da
altri organismi di diritto pubblico oppure
la cui gestione sia soggetta al controllo di
questi ultimi oppure il cui organo
d'amministrazione, di direzione o di
vigilanza sia costituito da membri dei quali
più della metà è designata dallo Stato,
dagli enti pubblici territoriali o da altri
organismi di diritto pubblico (comma 26).
Elementi che devono sussistere
contemporaneamente.
In relazione all’inclusione in tale
categoria, degli enti operanti nel settore
aeroportuale, si registra un orientamento
non univoco della giurisprudenza, tenuto
anche conto delle peculiarità e delle
modalità operative delle singole società.
Pertanto, il giudice amministrativo ha
ritenuto annoverabile nella categoria degli
organismi di diritto pubblico una società
deputata alla gestione di aeroporti
(Aeroporto D’Annunzio di Brescia Montichiari
spa) affermando che l’attività svolta è di
carattere generale (in quanto
dell’infrastruttura beneficia una pluralità
di soggetti) e che il carattere non
industriale o commerciale non è escluso dal
metodo imprenditoriale utilizzato nella
gestione né dalla presenza di altri soggetti
operanti nel mercato di riferimento (TAR
Brescia n. 254/2004; in termini TAR Veneto
n. 3014/2003, con riferimento a società a
prevalente capitale pubblico).
Per converso, è stata negata tale qualifica
alla società che gestisce gli aeroporti di
Milano (SEA spa), sulla base del suo
intrinseco carattere imprenditoriale e del
connesso scopo di lucro perseguito (TAR
Milano, n. 266/2007). Alla luce di quanto
sopra, e con riferimento al caso di specie,
Alitalia CAI spa e la concessionaria ADR spa
non sembrano possedere i caratteri tipici
dell’organismo di diritto pubblico, essendo
più correttamente riconducibili nell’alveo
dei soggetti privati operanti nel settore
aeroportuale in virtù di diritti speciali o
esclusivi. La Società ADR spa non ha le
caratteristiche dell’organismo di diritto
pubblico, secondo i canoni indicati dal
legislatore, trattandosi di società con
capitale privato, la quale pur svolgendo
attività di interesse generale (gestione
infrastrutture aeroportuali), svolge al
tempo stesso attività di natura commerciale
e non è soggetta a forme di controllo
pubblico nel senso indicato dal legislatore.
La stessa società è titolare di una
concessione ex lege e dunque, sembra
annoverabile tra i soggetti privati operanti
in virtù di diritti speciali o esclusivi.
Analogamente Alitalia CAI SPA, avente come
oggetto sociale principale, l’esercizio di
linee e collegamenti aerei per il trasporto
di persone e cose in Italia, tra Italia e
Paesei esteri e tra Paesi esteri, è
partecipata da numerose società (Air France
– KLM spa, Acqua Marcia finanziaria spa,
Atlantia spa, Equinocse sarl, Equinox Two
sca, Finanziaria di partecipazioni e
investimenti spa, Fingen spa, Fire spa,
Fondiaria Sai spa, Fingen spa, Fire spa,
Vitrociset ed altre) [come da visura
camerale del 06/12/2010].
La società de qua è titolare di
sub-concessione del 15.07.2009, da parte di
ADR spa, del complesso dei beni demaniali
insistenti nell’area denominata “Zona
Tecnica Alitalia” (cfr. ordinanza TAR
Lazio 3155/2010 citata). Anche per tale
società non sembrano sussistere i caratteri
tipici dell’organismo di diritto pubblico ma
la medesima sembra annoverabile tra le
società operanti in virtù di diritti
speciali o esclusivi (la sub-concessione)
(parere
sulla normativa 27.01.2011 - rif. AG-36/10 -
link a www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI:
Quesito posto ai sensi del Regolamento
interno sull’istruttoria dei quesiti
giuridici dall’Agenzia Regionale per la
Protezione dell’Ambiente della Sardegna in
ordine alla fase di stipula dei contratti.
Per quanto riguarda l’interpretazione
dell’art. 11, comma 13, del d.lgs. n.
163/2006, occorre premettere che la
disciplina generale della forma dei
contratti pubblici è contenuta nel decreto
sull’amministrazione del patrimonio e sulla
contabilità generale dello Stato (R.D. n.
2440/1923), agli articoli 16 (I contratti
sono stipulati da un pubblico ufficiale
delegato a rappresentare l'amministrazione e
ricevuti da un funzionario designato quale
ufficiale rogante, con le norme stabilite
dal regolamento), 17 (I contratti a
trattativa privata, oltre che in forma
pubblica amministrativa nel modo indicato al
precedente art. 16, possono anche
stipularsi: per mezzo di scrittura privata
firmata dall'offerente e dal funzionario
rappresentante l'amministrazione; per mezzo
di obbligazione stessa appiedi del
capitolato; con atto separato di
obbligazione sottoscritto da chi presenta
l'offerta; per mezzo di corrispondenza,
secondo l'uso del commercio, quando sono
conclusi con ditte commerciali) e 18 (I
contratti stipulati con ditte o società
commerciali devono contenere l'indicazione
delle persone legalmente autorizzate a
riscuotere e quietanzare. L'accertamento
della capacità dello stipulante ad impegnare
legalmente la ditta o società, come pure il
riconoscimento della facoltà delle persone
che nei contratti vengono designate a
riscuotere, incombe al funzionario rogante,
nei contratti in forma pubblica
amministrativa, ed al funzionario che
stipula e riceve l'impegno contrattuale, nei
contratti in forma privata).
Secondo tale disciplina tutti i contratti
stipulati dalla Pubblica Amministrazione,
anche quando quest’ultima agisce iure
privatorum, richiedono la forma scritta
ad substantiam, pur se consistono in
appalti di manufatti di modesta entità e
vanno consacrati in un unico documento
(Corte di Cassazione, sez. I civile,
04.09.2009, n. 19206). In particolare è
richiesta la forma pubblica amministrativa
(art. 16), fatte salve le deroghe di cui
all’art. 17 che consente, in caso di
trattativa privata, la stipula a mezzo di
scrittura privata ed anche la conclusione a
distanza a mezzo di corrispondenza.
I citati articoli della legge di contabilità
nazionale non rientrano tra le disposizioni
abrogate dall’entrata in vigore del d.lgs.
n. 163/2006 elencate nell’art. 256 del
medesimo provvedimento normativo. Pare
tuttavia legittimo verificare se non possano
dirsi abrogati tacitamente o implicitamente,
giacché l’art. 15 delle preleggi prevede,
oltre al caso dell’abrogazione per
dichiarazione espressa del legislatore,
anche l’abrogazione “per incompatibilità tra
le nuove disposizioni e le precedenti o
perché la nuova legge regola l'intera
materia già regolata dalla legge anteriore”.
Secondo la Cassazione, “la suddetta
incompatibilità si verifica solo quando tra
le leggi considerate vi sia una
contraddizione tale da renderne impossibile
la contemporanea applicazione, cosicché
dall’applicazione ed osservanza della nuova
legge deriva necessariamente la
disapplicazione o l’inosservanza dell’altro”
(Cassazione Civile 18.02.1995 n. 1760). Non
sembra essere questo il caso, perché il
comma 13 dell’art. 11 si limita ad elencare
tutte le possibili forme del contratto di
appalto, dall’atto pubblico alla forma
elettronica, mentre gli articoli del R.D.
del 1923 disegnano un sistema, applicabile a
tutti i contratti pubblici, che stabilisce
in quali casi deve essere rispettata ogni
diversa forma del contratto.
Alla luce di quanto sopra, non sembra
potersi ritenere che la contemporanea
applicazione degli artt. 16 e 17 del R.D. n.
2440/1923 e dell’art. 11, comma 13, del
d.lgs. n. 163/2006 sia impossibile giacché
quanto disposto da quest’ultima norma non
contraddice quanto previamente disciplinato
dalla legge di contabilità nazionale. Né può
ritenersi che il comma 13 dell’art. 11, che
sembra avere una portata ricognitiva, sia
provvisto di una propria e autonoma forza
precettiva in ordine all’intera materia
della forma dei contratti pubblici che è
regolata dal R.D. n. 2440/1923.
Non sembra quindi percorribile l’ipotesi
dell’abrogazione tacita o implicita, tenuto
anche conto che “Nel caso in cui una
legge contenga una norma abrogativa
espressa, per sostenere l’abrogazione di
altre norme diverse da quelle abrogate
espressamente non può farsi ricorso
all’istituto dell’abrogazione tacita in base
la considerazione che quella legge avrebbe
regolato l’intera materia, in quanto
l’omessa indicazione di alcune leggi e
disposizioni nella norma abrogatrice sta ad
indicare che il legislatore ha inteso
conservarle in vita, e, contemporaneamente è
anche la prova che la legge non ha regolato
l’intera materia” (Consiglio di Stato,
12.11.1974 n. 767)
(parere
sulla normativa 27.01.2011 - rif. AG-43/10 -
link a www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI:
Richiesta di parere ex art. 69, comma 3
D.Lgs. 163/2006.
Con l’art. 52 del Codice dei contratti è
previsto che le stazioni appaltanti possano
riservare la partecipazione alle procedure
di aggiudicazione degli appalti pubblici, “a
laboratori protetti nel rispetto della
normativa vigente, o riservarne l’esecuzione
nel contesto di programmi di lavoro protetti
quando la maggioranza dei lavoratori
interessati è composta di disabili i quali,
in ragione della natura o della gravità del
loro handicap, non possono esercitare
un’attività professionale in condizioni
normali”.
Al fine di potersi avvalere della
disposizione in parola, le stazioni
appaltanti devono rendere nota la propria
intenzione dandone indicazione nel bando di
gara. Con determinazione n. 2/2008
l’Autorità ha evidenziato che, con l’art.
52, il legislatore ha inteso perseguire le
esigenze sociali di cui all’art. 2, comma 2,
del D.lgs. n. 163/2006 attraverso la
creazione di una riserva di partecipazione
operante sia sotto il profilo soggettivo
(laboratori protetti) che oggettivo
(programmi protetti), in entrambi i casi
caratterizzata dall’impiego maggioritario di
disabili.
Ha inoltre specificato che la riserva a
favore dei programmi di lavoro protetto non
si fonda sulla qualifica soggettiva dei
partecipanti alla gara ma sul ricorso, da
parte delle imprese partecipanti, nella fase
esecutiva dell’appalto, all’impiego, in
numero maggioritario, di lavoratori disabili
che, in ragione della natura o della gravità
del loro handicap, non possono esercitare
un’attività professionale in condizioni
normali.
In tali casi, pertanto, la partecipazione
alla gara deve intendersi riservata ai
soggetti di cui all’art. 34 del D.lgs. n.
163/2006, anche privi dei requisiti
necessari ai fini del riconoscimento come
laboratori protetti, che si avvalgono, ai
fini dell’esecuzione dello specifico
appalto, di piani che vedono coinvolti una
maggioranza di lavoratori disabili, anche
sulla base di accordi conclusi con soggetti
operanti nel settore sociale.
L’Autorità ha rammentato altresì che ai
soggetti che si avvalgono della riserva di
cui all’art. 52 deve essere richiesto il
possesso dei requisiti generali di
partecipazione e di quelli speciali previsti
in ragione della tipologia dell’appalto.
---------------
La disposizione di cui all’art. 69 del
Codice dei contratti consente alle stazioni
appaltanti di prevedere particolari
condizioni per l'esecuzione del contratto,
opportunamente indicate nel bando di gara,
nella lettera d’invito o nel capitolato
d’oneri e purché compatibili con il diritto
comunitario ed in particolare con i principi
di parità di trattamento, non
discriminazione, trasparenza e
proporzionalità.
Al riguardo, il 33° considerando della
direttiva 2004/18/CE precisa che tale
compatibilità si configura “a condizione
che [tali clausole] non siano, direttamente
o indirettamente, discriminatorie e siano
indicate nel bando di gara o nel capitolato
d'oneri”. Le stazioni appaltanti devono
quindi effettuare un’attenta valutazione
della conformità delle condizioni
particolari di esecuzione ai principi del
Trattato UE, concernenti la libera
circolazione delle merci e la libera
prestazione dei servizi di cui agli articoli
28-30 e 43-55, con lo scopo di evitare
discriminazioni, dirette o indirette, nei
confronti di offerenti degli altri Stati
membri.
L’art. 69 citato, al comma 3 ha inoltre
previsto la possibilità per le stazioni
appaltanti di richiedere all’Autorità un
pronunciamento su tale aspetto delle
clausole del bando contemplanti “particolari
condizioni di esecuzione del contratto”,
onde evitare che esse incidano negativamente
sulle condizioni di concorrenzialità del
mercato “in modo tale da discriminare o
pregiudicare alcune categorie di
imprenditori, determinando così
un’incompatibilità delle previsioni del
bando o dell’invito con il diritto
comunitario” (Cons. Stato, parere sul
Codice n. 355/2006).
Le “particolari condizioni” alle
quali le norme in commento si riferiscono
attengono (sebbene la norma non escluda che
possano riguardare anche altre “esigenze”
perseguite dall’amministrazione) ad esigenze
sociali o ambientali, come chiarito dal 33°
considerando della Direttiva unificata: “…
esse possono essere finalizzate alla
formazione professionale nel cantiere, alla
promozione dell'occupazione delle persone
con particolari difficoltà di inserimento,
alla lotta contro la disoccupazione o alla
tutela dell'ambiente. A titolo di esempio,
si possono citare, tra gli altri, gli
obblighi applicabili all'esecuzione
dell'appalto di assumere disoccupati di
lunga durata o di introdurre azioni di
formazione per i disoccupati o i giovani, di
rispettare in sostanza le disposizioni delle
convenzioni fondamentali dell'Organizzazione
internazionale del lavoro (OIL) nell'ipotesi
in cui non siano state attuate nella
legislazione nazionale, di assumere un
numero di persone disabili superiore a
quello stabilito dalla legislazione
nazionale”
(parere
sulla normativa 19.01.2011 - rif. AG-1/11 -
link a www.autoritalavoripubblici.it). |
LAVORI PUBBLICI:
Richiesta di parere in merito
all’interpretazione dell’art. 3, co. 6, Dpr
34/2000.
Nelle procedure per l’affidamento di lavori
di valore maggiore di 40 miliardi di lire
(20,658 milioni di euro), con particolare
riferimento alla partecipazione di operatori
costituiti in ATI orizzontale, è ammessa la
sommatoria delle qualificazioni possedute
dalle singole imprese.
Infatti, qualora la disposizione dell’art.
3, co. 6, dPR 34/2000 si riferisse ai
requisiti posseduti in assoluto dai singoli
concorrenti e volesse prescindere dalla
facoltà associativa generalmente prevista
per la partecipazione alle gare di appalto,
si creerebbe un vincolo restrittivo al
mercato, in contrasto con il principio di
concorrenza, in quanto sarebbero
privilegiate le imprese di maggiori
dimensioni
(parere
sulla normativa 22.07.2010 - rif. AG-30/10 -
link a www.autoritalavoripubblici.it). |
LAVORI PUBBLICI:
Istanza di parere ai sensi del
“Regolamento sulla istruttoria dei quesiti
giuridici”- Corretta applicazione dell’art.
89, comma 1, lettera i) del D.Lgs. n.
81/2008 - ANCE.
L’espressione “consorzi di imprese”
contenuta nell’art. 89 del D.Lgs. n.
81/2008, deve essere intesa come riferita a
tutti i soggetti con natura plurima,
abilitati ai sensi del d.lgs. 12.04.2006, n.
163 alla partecipazione a gare pubbliche ed
all’assunzione dei relativi lavori, dunque
comprensiva anche delle ATI e delle diverse
tipologie di consorzio ivi previste. In
tutti tali casi, il legislatore richiede
l’individuazione di una unica impresa
affidataria ai fini dell’espletamento dei
compiti in materia di sicurezza sanciti
negli articoli 96 e 97 del D.Lgs. n.
81/2008.
Tale individuazione è rimessa alla libera
determinazione delle parti -ancorché per le
ATI tale ruolo dovrebbe essere svolto dalla
mandataria- e deve essere comunicata alla
stazione appaltante in sede di stipula del
contratto d’appalto
(parere
sulla normativa 22.07.2010 - rif. AG-31/10 -
link a www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI:
Requisiti impresa cooptata.
Il regime normativo dettato, in materia di
imprese cooptate, dall’art. 95 del d.P.R.
554/1999 costituisce una deroga alla
disciplina dettata per le ATI di tipo
orizzontale e verticale relativamente al
possesso dei requisisti c.d. speciali.
Tenuto conto di ciò, tuttavia, non emerge,
né dal testo normativo, né da altri elementi
di natura interpretativa, che la deroga
riguardi anche il possesso dei requisiti
c.d. generali di cui all’art. 38 del d.Lgs.
163/2006, il quale si riferisce
indistintamente a tutti “i soggetti”
(parere
sulla normativa 22.07.2010 - rif. AG-27/10 -
link a www.autoritalavoripubblici.it). |
LAVORI PUBBLICI:
Progettazione e realizzazione dei lavori
di Potenziamento ed Ammodernamento della
linea ferroviaria MetroCampania NordEst (ex
Alifana) – Richiesta di parere in ordine
alla legittimità di ulteriori affidamenti
nel quadro della prosecuzione della
concessione, affidata con convenzione Rep.
11 del 9.12.1981 e successivi atti
applicativi ed integrativi.
In materia di concessioni di lavori, occorre
esaminare di volta in volta il rapporto
concessorio nella sua concreta e complessa
configurazione, distinguendo la convenzione
quadro che regola a monte ed in via generica
i rapporti tra concedente e concessionario,
dai successivi ed eventuali contratti
specificativi ed applicativi di quanto
previsto nella convenzione stessa.
La questione riveste importanza fondamentale
con riferimento alla nascita o meno di
diritti soggettivi, nonché al loro
consolidamento in capo al concessionario;
invero, la previsione specifica e pienamente
esaustiva, in una convenzione quadro, di una
serie di prestazioni aventi ad oggetto la
progettazione, l’esecuzione di lavori, la
gestione del servizio, con la determinazione
di tutti gli aspetti afferenti gli stessi
(consistenza dei lavori, penali, polizza
fideiussoria, ed ogni altro elemento
caratterizzante le prestazioni stesse), non
rende necessaria la stipulazione di
contratti applicativi, in quanto fa sorgere
immediatamente in capo al concessionario il
diritto soggettivo a realizzare le
prestazioni secondo la normativa in vigore.
Al contrario, se la convenzione è generica e
non contiene articoli che regolino in modo
esaustivo i rapporti fra concedente e
concessionario, sorge, in capo al
concessionario, un mero interesse legittimo,
che assurge al rango di diritto soggettivo
solo con il successivo intervento del
singolo atto aggiuntivo il quale ricade,
quindi, sotto la disciplina vigente al
momento della sua stipulazione.
Ne deriva, pertanto, che, sulla base dei
principi che regolano la successione delle
leggi nel tempo, i rapporti instauratisi nel
regime previgente a quello attuale,
continuano a produrre i loro effetti purché
si tratti di rapporti definiti in tutti i
loro elementi fondamentali, non suscettibili
di ulteriori definizioni mediante atti
successivi
(parere
sulla normativa 22.07.2010 - rif. AG-03/10 -
link a www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI:
Richiesta di parere in merito alla
possibilità di riservare la partecipazione a
una gara pubblica avente ad oggetto
l’affidamento di servizi sociali a
determinati soggetti, in particolare a
soggetti no profit.
Attesa la non piena coincidenza della
categoria dei soggetti no profit con
le categorie dei laboratori protetti, si
deve ritenere che non sia consentito apporre
riserve di partecipazione alle gare di
appalto sic et simpliciter ai soli
soggetti no profit, ma che tale
riserva sia consentita solo se rivolta a
soggetti che rivestono le caratteristiche
dei laboratori protetti.
Come inoltre espressamente previsto dalla
norma esaminata, è noto che il bando di gara
che a questa disciplina si volesse
conformare deve espressamente menzionare la
disposizione dell’art. 52 del d.lgs.
12.04.2006, n. 163
(parere
sulla normativa 08.07.2010 - rif. AG-24/10 -
link a www.autoritalavoripubblici.it). |
LAVORI PUBBLICI:
Affidamento dell’incarico di collaudatore
statico.
Le s.a. possono affidare incarichi di
collaudo statico a dipendenti che, pur non
avendo un’anzianità decennale di iscrizione
all’albo, siano comunque abilitati
all’esercizio della professione e in
possesso di equivalente anzianità di
servizio e adeguate competenze professionali
(parere
sulla normativa 13.05.2010 - rif. AG-15/10 -
link a www.autoritalavoripubblici.it). |
INCENTIVO PROGETTAZIONE:
Sulla base del presupposto per cui
l’incentivo assolve alla funzione di
compensare i progettisti dipendenti
dell’amministrazione che abbiano in concreto
effettuato la redazione degli elaborati
progettuali, stante il generico riferimento
alla manutenzione di opere ed impianti
contenuto nell’art. 2, comma 1, della legge
11.02.1994, n. 109 e successive
modificazioni [oggi art. 92 del D.Lgs. n.
163/2006], l’incentivazione di cui all’art.
18 della legge stessa concerne anche la
manutenzione ordinaria, ancorché non
prevista nella programmazione triennale
(cfr. determinazione n. 7 del 17/02/2000)
(parere
sulla normativa 10.05.2010 - rif. AG-13/10 -
link a www.autoritalavoripubblici.it).
---------------
Oggetto: AG 13/2010 - richiesta di
parere. Vs rif. Prot. n. 1403 del 01/04/2010.
Si riscontra la Vs. nota pervenuta in data
12.04.2010, prot. n. 22631/SSGG, con la
quale è stata sottoposta all’attenzione
dell’Autorità la problematica relativa alla
corresponsione degli incentivi ex art. 92
del D.Lgs. n. 163/2006, al personale
incaricato della progettazione degli
interventi di manutenzione nell’ambito del
global service della viabilità provinciale.
Si richiama, al riguardo, l’avviso espresso
nella deliberazione n. 55 del 03.12.2008,
con riferimento alla natura delle
prestazioni contemplate nel contratto di
Global service indetto da codesta
Amministrazione Provinciale e si evidenzia,
altresì, che sulla base del presupposto per
cui l’incentivo assolve alla funzione di
compensare i progettisti dipendenti
dell’amministrazione che abbiano in concreto
effettuato la redazione degli elaborati
progettuali, l’Autorità ha affermato che “stante
il generico riferimento alla manutenzione di
opere ed impianti contenuto nell’art. 2,
comma 1, della legge 11.02.1994, n. 109 e
successive modificazioni [oggi art. 92 del
D.Lgs. n. 163/2006], l’incentivazione di cui
all’art. 18 della legge stessa concerne
anche la manutenzione ordinaria, ancorché
non prevista nella programmazione triennale"
(determinazione n. 7 del 17/02/2000,
consultabile sul sito istituzionale).
L’Autorità ha, inoltre, rilevato -in
relazione alla “(…) sussistenza del
diritto ai compensi in caso di lavori di
manutenzione ordinaria e straordinaria che
non comportino la predisposizione di
elaborati progettuali, quali per esempio i
lavori di manutenzione ordinaria e
straordinaria fatti eseguire su semplice
richiesta di preventivo e con determina di
assegnazione e impegno di spesa adottata dal
responsabile del servizio”- che “in
tal caso, l’assenza di qualsiasi elaborato
progettuale contrasterebbe con il principio
che collega necessariamente il diritto agli
incentivi all’espletamento di un’attività di
progettazione (…)” (determinazione n. 43
del 25/09/2000).
Ove si tratti, invece, di documenti
identificativi degli interventi manutentivi,
tali elaborati rientrano nell’attività di
pianificazione ex art. 92, comma 6, del
D.Lgs. n. 163/2006, che include “i vari
tipi di atti di pianificazione, anche quelli
a contenuto normativo, quali per esempio i
regolamenti edilizi, che accedono alla
pianificazione, purché completi e idonei
alla successiva approvazione da parte degli
organi competenti” (Det. 43/2000 cit.), con
l’ulteriore precisazione che deve intendersi
ricompreso nella categoria in esame anche il
“documento identificativo degli interventi
manutentivi e la loro pianificazione”
(nota UAG 26985). |
LAVORI PUBBLICI:
EUR S.P.A. – realizzazione del nuovo
Centro Congressi - istanza di parere.
Qualora ricorrano i presupposti di cui
all’art. 57, co. 5, lett. a, del d. lgs.
12.04.2006, n. 163, i lavori da eseguire
costituiscono interventi aggiuntivi c.d.
suppletivi, da ascrivere nella categoria dei
lavori contrattuali, quelli cioè che, pur
comportando modifiche al progetto, rientrano
comunque nel piano dell’opera (es.
variazioni di tracciato, di dimensione,
forma, qualità dei lavori), a differenza di
quelli extracontrattuali, i quali pur
necessari per la completa esecuzione
dell’opera in sé considerata, restano
estranei al piano della stessa e consistono
in lavori aventi una propria individualità
distinta da quella dell’opera originaria e
che integrano un’opera a sé stante (es.
strada di collegamento).
Le caratteristiche descritte dall’art. 57
del Codice portano a concludere che i lavori
complementari ivi contemplati, quanto a
natura e funzione, si identificano con i
lavori suppletivi contrattuali nel senso
esplicato, con ciò legittimando solo per
essi il ricorso alla procedura negoziata ivi
contemplata. Opposte conclusioni, infatti,
contrasterebbero apertamente con il
contenuto della richiamata disposizione
(parere
sulla normativa 29.04.2010 - rif. AG-19/10 -
link a www.autoritalavoripubblici.it). |
GIURISPRUDENZA |
APPALTI SERVIZI:
I contribuenti, singoli o
associati in comitato, non possono far
valere un interesse (quello alla tutela
della concorrenza nell'affidamento dei
servizi pubblici locali) di cui non sono
titolari.
I contribuenti, singoli o associati in
comitato, non possono far valere un
interesse (quello alla tutela della
concorrenza nell'affidamento dei servizi
pubblici locali) di cui non sono titolari
(di cui sono, invece, titolari gli
imprenditori concorrenti) per far valere un
possibile vizio di legittimità (TAR
Sicilia-Palermo, Sez. I,
sentenza 09.01.2012 n. 15 - link
a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI SERVIZI:
Sulla distinzione tra servizi
pubblici locali di rilevanza economica e
servizi pubblici locali privi di tale
rilevanza e capacità jure privatorum dei
comuni.
Ai fini della distinzione tra servizi
pubblici locali di rilevanza economica e
servizi pubblici locali privi di tale
rilevanza, a fronte della rilevata
inidoneità di criteri distintivi di natura
astratta, sostanzialistica e/o ontologica,
occorre far ricorso ad un criterio
relativistico, che tenga conto delle
peculiarità del caso concreto, quali la
concreta struttura del servizio, le concrete
modalità del suo espletamento, i suoi
specifici connotati economico-organizzativi,
la natura del soggetto chiamato ad
espletarlo, la disciplina normativa del
servizio. Pertanto, applicando siffatto
criterio relativistico e contestualizzante
al caso di specie, riguardante il servizio
socio sanitario erogato presso una struttura
del comune e affidato dal medesimo ad una
fondazione dallo stesso costituita si
perviene alla conclusione che si versi in
fattispecie di servizio privo di rilevanza
economica.
I comuni possono organizzare la gestione dei
servizi pubblici privi di rilevanza
economica anche con forme differenti da
quelle previste nell'art. 23-bis, del d.l.
25.06.2008 n. 112, compresa, tra queste,
pure la fondazione. La capacità jure
privatorum dei comuni, già riconosciuta
esplicitamente dall'art. 11 del c.c., si
esprime, dopo l'introduzione, da parte della
l. 11.02.2005 n. 15, del c. 1-bis, nell'art.
1 della l. 07.08.1990 n. 241, normalmente in
un'attività (non autoritativa ma pur sempre
funzionalizzata) di diritto privato. Tale
clausola generale fuga ogni dubbio sulle
potenzialità insite nell'autonomia privata
esercitata dall'ente (che, d'altronde, ai
sensi dell'articolo dall'art. 114 Cost., ha
la facoltà di organizzare, in modo autonomo,
le proprie funzioni): esso può non solo
istituire una fondazione, ma anche adattare
(come si è verificato nel caso di specie) lo
schema privatistico alle proprie esigenze,
attraverso l'apertura statutaria a più
soggetti, pubblici o privati, allo scopo di
ottenere l'incremento del fondo patrimoniale
e quindi il sostentamento degli scopi
istituzionali durante la vita della persona
giuridica (TAR Puglia-Bari, Sez. I,
sentenza 05.01.2012 n. 24 - link
a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Le informative prefettizie
interdittive possono essere supportate anche
da elementi sintomatici ed indiziari dai
quali emergano elementi di pericolo di
infiltrazioni mafiose.
Per quanto concerne le informative
prefettizie interdittive, le stesse non
devono necessariamente collegarsi ad
accertamenti in sede penale di carattere
definitivo e certo sull'esistenza della
contiguità con organizzazioni malavitose e
del condizionamento in atto dell'attività di
impresa, potendo essere supportate anche da
elementi sintomatici ed indiziari dai quali
emergano gli elementi di pericolo di dette
infiltrazioni mafiose (Consiglio di Stato,
Sez. III,
sentenza 05.01.2012 n. 12 - link
a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Le infrastrutture strumentali alle stazioni
radio per la telefonia mobile rientrano
nella categoria delle opere di pubblica
utilità e non in quella delle opere
pubbliche.
E' legittimo l'esercizio del potere
espropriativo da parte dell'Amministrazione
Comunale per la realizzazione di siti
attrezzati da destinare agli impianti di
telefonia mobile. In tal senso, si rileva,
corretto l'operato della medesima
Amministrazione che abbia fatto luogo
all'applicazione della normativa
dell'espropriazione per pubblica utilità per
l'assegnazione dell'area in uso a gestori di
telefonia mobile, non potendo certo
condividersi il diverso assunto secondo cui
questi dovrebbero procurarsi con mezzi
privatistici la disponibilità delle aree
necessarie per la realizzazione degli
impianti in oggetto.
Ad avviso del Collegio, non sono
condivisibili neanche le censure dedotte
avverso la procedura di espropriazione
utilizzata dal Comune di Salsomaggiore nei
confronti dell’appellata, al fine di
realizzare sull’area di cui è proprietaria
le infrastrutture necessarie per
l’installazione di stazione di telefonia
mobile.
In effetti, premesso che le infrastrutture
strumentali alle stazioni radio per la
telefonia rientrano nella categoria delle
opere di pubblica utilità (come ha statuito
la sentenza C.d.S. n. 4847/2003) e non in
quella delle opere pubbliche, in punto di
fatto la motivazione della sentenza del TAR
non è suffragata dagli atti esibiti in
giudizio.
Infatti, ad avviso del Giudice di primo
grado, il Comune di Salsomaggiore avrebbe
illegittimamente iniziato la procedura di
esproprio delle aree in questione al fine di
assegnarle in affitto agli operatori di
telefonia mobile; invece dagli atti risulta
che in realtà il Comune (a seguito di una
apposita procedura ad evidenza pubblica) ha
disposto la realizzazione di una piattaforma
attrezzata (idonea all’istallazione di
impianti di trasmissione del segnale per la
telefonia mobile) che viene messa a
disposizione dei vari gestori del servizio
in questione, previo pagamento di un canone
ed in specifica esecuzione di apposito
accordo in precedenza raggiunto tra l’Amm.ne
locale e tutti i gestori interessati ad
installare nel territorio comunale una
propria stazione radio base.
Tra l’altro la stessa sentenza C.d.S. n.
4847/2003 (a differenza di quanto ritenuto
dal TAR) riconosce il legittimo esercizio da
parte del Comune di Salsomaggiore del potere
espropriativo “per la realizzazione di
siti attrezzati da destinare agli impianti
di telefonia mobile”. Gli esposti
argomenti, quindi, consentono di non
condividere la motivazione della sentenza
appellata laddove ha ritenuto “evidente
che l’espropriazione è volta alla
realizzazione di opere private, anche se ne
è stato ormai dichiarato dal legislatore il
carattere di pubblica utilità” (Consiglio
di Stato, Sez. III,
sentenza 04.01.2012 n. 11 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Stazioni radio base: legittimo il ricorso
all'esproprio per i proprietari renitenti.
Con
sentenza 04.01.2012 n. 11 il
Consiglio di Stato, Sez. III, ha riformato
la sentenza n. 98 del TAR Emilia Romagna,
Sez. di Parma, del 2011,
riconoscendo la legittimità dei
provvedimenti approvati del Comune di
Salsomaggiore diretti ad attuare il piano
comunale di coordinamento per la
installazione di antenne di telefonia
mobile, all’individuazione delle aree
interessate e all'espropriazione delle
stesse, nulla ostando la circostanza della
loro successiva concessione in via onerosa
ai gestori.
L’art. 90 del Decreto legislativo 01.08.2003
n. 259 e s.m.i. dispone:
1. Gli impianti di reti di comunicazione
elettronica ad uso pubblico, ovvero
esercitati dallo Stato, e le opere
accessorie occorrenti per la funzionalità di
detti impianti hanno carattere di pubblica
utilità, ai sensi degli articoli 12 e
seguenti del decreto del Presidente della
Repubblica 08.06.2001, n. 327.
2. Gli impianti di reti di comunicazioni
elettronica e le opere accessorie di uso
esclusivamente privato possono essere
dichiarati di pubblica utilità con decreto
del Ministro delle comunicazioni, ove
concorrano motivi di pubblico interesse.
3. Per l'acquisizione patrimoniale dei beni
immobili necessari alla realizzazione degli
impianti e delle opere di cui ai commi 1 e
2, può esperirsi la procedura di esproprio
prevista dal decreto del Presidente della
Repubblica 08.06.2001, n. 327. Tale
procedura può essere esperita dopo che siano
andati falliti, o non sia stato possibile
effettuare, i tentativi di bonario
componimento con i proprietari dei fondi sul
prezzo di vendita offerto, da valutarsi da
parte degli uffici tecnici erariali
competenti .
Con delibera consiliare n. 10/2004 il Comune
di Salsomaggiore approvava la variante al
vigente strumento urbanistico (P.R.G.) al
fine di poter destinare specifiche aree alla
localizzazione di antenne per telefonia
mobile e, più precisamente, per la
realizzazione delle infrastrutture
necessarie per concedere in uso, a titolo
oneroso, tali infrastrutture agli enti
gestori.
Successivamente, con determinazione n. 356
del 2004, il dirigente del settore tecnico
comunale deliberava di: a) convalidare il
progetto esecutivo delle opere di
urbanizzazione necessarie per realizzare le
suddette stazioni radio base di telefonia
mobile; b) dichiarare la pubblica utilità
delle opere; c) emanare il decreto di
occupazione d’urgenza ai sensi della legge
Reg. n. 37/2002, art. 27.
Avverso i provvedimenti in questione la
proprietà di un area interessata proponeva
ricorso al TAR Emilia Romagna, Sez. di
Parma.
Con sentenza 05.04.2011 n. 98 il TAR
accoglieva il ricorso, annullando i
provvedimenti impugnati per i seguenti
motivi:
1. la variante urbanistica al P.R.G. era
illegittima in quanto effettuata ai sensi
della L.R. Emilia Romagna n. 47 del 1978,
art. 15, non più applicabile a seguito
dell’entrata in vigore della successiva L.R.
n. 20 del 2000;
2. illegittimamente il Comune aveva
applicato nei confronti delle proprietà
delle aree interessate la normativa
dell’espropriazione per pubblica utilità
trattandosi in realtà dell’assegnazione
delle aree in questione in uso a gestori di
telefonia mobile, i quali avrebbero dovuto
procurarsi con mezzi privatistici la
disponibilità delle aree necessarie
all’installazione di impianti per la
telefonia mobile.
Con sentenza n. 11 del 2012 il Consiglio di
Stato ha riformato la sentenza n. 98/2011
del TAR Emilia Romagna riconoscendo la
legittimità dei provvedimenti adottati del
Comune di Salsomaggiore.
Mentre con riferimento ai rilievi mossi alla
procedura di variante urbanistica, il
Collegio ha riconosciuto il corretto operato
del Comune di Salsomaggiore in applicazione
della previgente L.R. n. 47 del 1978, con
riferimento alla procedura di espropriazione
utilizzata dal Comune, il Collegio ha
sottolineato che le infrastrutture,
strumentali alle stazioni radio per la
telefonia, rientrano nella categoria delle
opere di pubblica utilità, come peraltro già
statuito nella sentenza del Consiglio di
Stato n. 4847 del 2003, e non in quella
delle opere pubbliche, con quanto ne
consegue in termini di corretta applicazione
del comma 3 dell'art. 90 d.lgs. 259/2003 ai
fini dell'acquisizione alla mano pubblica
delle aree interessate (commento tratto da e
link a http://studiospallino.blogspot.com). |
APPALTI:
Sulla legittimità dell'esclusione
dalla gara di un'impresa originariamente
aggiudicataria motivata dal fatto che in
sede di controllo, l'autodichiarazione
relativa ai precedenti penali dell'impresa
stessa sia risultata non veritiera.
E' legittima l'esclusione dalla gara
dell'impresa originariamente aggiudicataria
motivata dal fatto che -in sede di controllo
successivo dei requisiti-
l'autodichiarazione relativa ai precedenti
penali dell'impresa stessa sia risultata non
veritiera. Al riguardo è rilevante che
l'autodichiarazione sia prescritta dal c. 2
dell'art. 38 del Codice degli appalti con le
conseguenze previste dall'art. 75 del D.P.R.
n. 445/2000, che prevede, in caso di falsità
dell'autocertificazione, la perdita dei
benefici cui l'autodichiarazione è
finalizzata. Pertanto, nel caso di specie,
l'esclusione deriva direttamente da cause
previste da disposizioni di legge come
richiesto dalla puntuale applicazione delle
nuove disposizioni di recente introdotte
dall'art. 46, c. 1 bis, del Codice dei
contratti, che vieta che bandi e lettere di
gara prevedano ulteriori cause di esclusione
non previste dalla legge.
La giurisprudenza ha più volte avuto
occasione di giudicare causa rilevante ai
fini della esclusione dalla gara le
autodichiarazioni non veritiere in ordine
alle condanne penali, a prescindere dalla
gravità dei reati, in considerazione del
fatto che la verifica circa la loro gravità
e rilevanza ai fini delle valutazioni
relative alla moralità professionale spetta
alla stazione appaltante (Consiglio di
Stato, Sez. III,
sentenza 04.01.2012 n. 8 - link a
www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Sulla legittimità dell'esclusione
dalla gara per il servizio di ristorazione
di una ATI a seguito dell'accertata mancanza
di un requisito essenziale per la
partecipazione alla gara.
E' legittimo il provvedimento di esclusione
dalla gara, con incameramento della cauzione
provvisoria e segnalazione del fatto
all'Autorità per la Vigilanza sui Contratti
Pubblici, di una ATI a seguito
dell'accertata mancanza di un requisito
essenziale per la partecipazione alla gara
per l'affidamento del servizio di
ristorazione di un'Azienda ospedaliera.
Il disciplinare di gara prevedeva, infatti,
la disponibilità di un centro di cottura
dotato di autorizzazione sanitaria e tale
autorizzazione, tenuto conto della tipologia
del servizio richiesto, non poteva che
riguardare la preparazione di pasti da
asporto. Con la conseguenza che mancando
tale autorizzazione l'ATI non poteva
garantire il servizio richiesto nel caso di
una indisponibilità, seppure temporanea,
delle cucine messe a disposizione dalla
stessa Azienda ospedaliera.
L'esclusione della gara per l'accertata
mancanza di uno dei requisiti di capacità
economico-finanziaria e
tecnico-organizzativa determina poi, ai
sensi dell'art. 48, c. 1, del Codice dei
Contratti, l'escussione della cauzione
provvisoria prestata e la segnalazione del
fatto all'Autorità per la Vigilanza sui
Contratti Pubblici per i provvedimenti di
cui all'art. 6, c. 11, dello stesso Codice.
Infatti, anche a volere ammettere la non
automaticità della misura dell'incameramento
della cauzione in seguito ad un
provvedimento di esclusione da una gara, la
stessa non può essere comunque esclusa
quando, come nel caso di specie, risulti
accertata la carenza, sul piano sostanziale,
dei requisiti di capacità
economico-finanziaria e
tecnico-organizzativa che l'impresa avrebbe
dovuto possedere per partecipare alla gara
(Consiglio di Stato, Sez. III,
sentenza 04.01.2012 n. 3 - link a
www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Le valutazioni della commissione
giudicatrice nell'ambito di una gara
d'appalto sono espressione dell'esercizio
della c.d. discrezionalità tecnica.
Le valutazioni della commissione
giudicatrice nell'ambito di una procedura
concorsuale per l'affidamento di un appalto
costituiscono espressione dell'esercizio
della c.d. discrezionalità tecnica, o meglio
costituiscono -volendo utilizzare altra
terminologia- valutazioni tecniche;
tuttavia, a prescindere dalla terminologia
prescelta, è oggi pacifico che si tratta di
valutazioni pienamente sindacabili dal
giudice amministrativo, sia sotto il profilo
della ragionevolezza, adeguatezza e
proporzionalità che sotto l'aspetto più
strettamente tecnico.
Infatti, tramontata l'equazione
discrezionalità tecnica-merito insindacabile
a partire dalla sentenza n. 601/1999 della
IV Sezione del Consiglio di Stato, il
sindacato giurisdizionale sugli
apprezzamenti tecnici della p.a. può oggi
svolgersi in base non al mero controllo
formale ed estrinseco dell'iter logico
seguito dall'autorità amministrativa, bensì
alla verifica diretta dell'attendibilità
delle operazioni tecniche sotto il profilo
della loro correttezza quanto a criterio
tecnico ed a procedimento applicativo
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 29.12.2011 n. 6980 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI SERVIZI:
Sull'art. 13 dl 223/2006 (c.d.
decreto Bersani) e sulle differenze tra
attività strumentale e gestione dei servizi
pubblici.
L'art. 13 del d.l. 04.07.2006, n. 223 conv.
nella l. 04.08.2006, n. 248 (c.d. decreto
Bersani), prevede che le società a capitale
interamente pubblico o misto, costituite o
partecipate dalle amministrazioni pubbliche
regionali e locali per la produzione di
servizi strumentali alle attività da esse
svolte, devono operare esclusivamente con
gli enti costituenti o affidanti e non
possono svolgere prestazioni (lavori,
servizi, forniture) a favore di altri
soggetti pubblici o privati, né partecipare
ad altre società o enti. Trattasi di
disposizione dal carattere eccezionale che
deve, quindi, essere interpretata in stretta
aderenza al suo dato letterale e senza
possibilità alcuna di applicazione oltre i
casi in essa previsti. Ne consegue che, tale
norma non può applicarsi nel caso di specie,
riguardante una gara per l'affidamento del
servizio di verifica degli impianti termici
dei comuni della provincia, in quanto la
società non presenta quei caratteri di
strumentalità e funzionalità individuati
dalla normativa citata ma opera nel mercato
in diretta concorrenza con le altre imprese.
L'enunciato dell'art. 13 del d.l. n. 223 del
2006, rende evidente che la qualificazione
differenziale tra attività strumentale e
gestione dei servizi pubblici deve essere
riferita non all'oggetto della gara, bensì
all'oggetto sociale delle imprese
partecipanti ad essa. Il divieto di fornire
prestazioni a enti terzi, infatti, colpisce
le società pubbliche strumentali alle
amministrazioni regionali o locali, che
esercitano attività amministrativa in forma
privatistica, non anche le società destinate
a gestire servizi pubblici locali che
esercitano attività d'impresa di enti
pubblici, essendo posto, come sancito dalla
Corte Costituzionale con sentenza n. 328 del
2008, al fine di separare le due sfere di
attività per evitare che un soggetto che
svolge attività amministrativa eserciti allo
stesso tempo attività d'impresa,
beneficiando dei privilegi dei quali essa
possa godere in quanto pubblica
amministrazione (Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 29.12.2011 n. 6974 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
COMPETENZE PROGETTUALI: Nella
competenza all’autorizzazione dei progetti
delle opere eseguite sugli edifici soggetti
a vincolo culturale rientra anche quella
alla verifica dell’idoneità professionale
del progettista.
Pertanto, è legittimo che la Soprintendenza
rifiuti la valutazione dei progetti relativi
ad un intervento di manutenzione di un
edificio tutelato in quanto redatti da un
ingegnere e non da un architetto abilitato,
regolarmente iscritto al relativo albo
professionale.
Alberto Maria ... ha conseguito la laurea in
ingegneria civile presso l’Università di
Padova nel 1973 e, abilitato all’esercizio
della professione, opera da molti anni nel
settore.
Con provvedimento del 21.04.2010 la
Soprintendenza per i Beni Architettonici e
Paesaggistici per le Province di Vicenza,
Verona e Rovigo ha rifiutato la valutazione
dei progetti relativi ad un intervento di
manutenzione di un edificio tutelato in
quanto redatti dal ... e, dunque, da un
ingegnere e non da un architetto abilitato,
regolarmente iscritto al relativo albo
professionale ed in considerazione di alcune
carenze documentali, segnatamente riferite
alla relazione tecnica ed alla descrizione
dei serramenti previsti.
...
Privo di pregio si palesa il primo motivo di
ricorso, con il quale la difesa di parte
ricorrente ha dedotto la violazione della
direttiva CEE n. 85/384 e del d.lgs. n. 129
del 1992, in considerazione della piena
equiparazione dei titoli di ingegnere civile
e di architetto ai fini dell’accesso alle
attività nel campo dell’architettura, quanto
meno in relazione ai titoli conseguiti in
epoca antecedente alla direttiva in
argomento e presi in considerazione dal
legislatore comunitario ai fini della
parificazione.
Come chiarito, infatti, dalla consolidata
giurisprudenza del giudice d’appello, gli
artt. 2 e segg. della direttiva comunitaria
sopra citata dettano le norme per il
reciproco riconoscimento dei titoli di
studio conseguiti dai cittadini degli Stati
membri a conclusione di studi universitari
riguardanti l'architettura, introducendo
anche un regime transitorio di reciproco
riconoscimento di taluni titoli
tassativamente indicati (cfr., ex multis,
Cons. St., sez. VI, 11.09.2006, n. 5239).
La stessa Corte di Giustizia delle Comunità
Europee ha affermato che la direttiva in
argomento non ha attuato nell’ordinamento
interno alcuna equiparazione dei titoli di
ingegnere civile e di architetto ai fini
dell’esercizio delle attività professionali
nel campo dell’architettura.
Con ordinanza del 05.04.2004, infatti, la
Corte ha evidenziato che "la Direttiva
85/384 non si propone di disciplinare le
condizioni di accesso alla professione di
architetto, né di definire la natura delle
attività svolte da chi esercita tale
professione"; ma ha invece ad oggetto
solamente "il reciproco riconoscimento,
da parte degli Stati membri, dei diplomi,
dei certificati e degli altri titoli
rispondenti a determinati requisiti
qualitativi e quantitativi minimi in materia
di formazione allo scopo di agevolare
l'esercizio effettivo del diritto di
stabilimento e di libera prestazione dei
servizi per le attività del settore della
architettura...".
In definitiva, secondo la Corte, la
direttiva non impone allo Stato membro di
porre i diplomi di laurea in architettura e
in ingegneria civile indicati all'art. 11 su
un piano di perfetta parità per quanto
riguarda l'accesso alla professione di
architetto in Italia; né tantomeno può
essere di ostacolo ad una normativa
nazionale che riservi ai soli architetti i
lavori riguardanti gli immobili d'interesse
storico-artistico sottoposti a vincolo.
Alla stregua delle conclusioni formulate
dalla Corte deve dunque ritenersi infondata
la tesi di parte ricorrente, secondo cui la
disposizione dell'art. 52 R.D. cit. sarebbe
in contrasto con la direttiva comunitaria.
Per completezza di analisi si evidenzia,
inoltre, che nella competenza
all’autorizzazione dei progetti delle opere
eseguite sugli edifici soggetti a vincolo
culturale rientra anche quella alla verifica
dell’idoneità professionale del progettista
(Cons. St., sez. VI, 11.09.2006, n. 5239)
(TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 14.12.2011 n. 1833 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO:
I dirigenti precari sul bilancio.
Il costo non deve gravare sul fondo
contrattuale dei lavoratori. Il tribunale di
Verona smentisce le tesi dell'Aran e della
Ragioneria sui manager a termine.
Il costo per la retribuzione di posizione e
di risultato dei dirigenti degli enti locali
assunti a tempo determinato non deve gravare
sul fondo contrattuale decurtandolo a
svantaggio dei dipendenti a tempo
indeterminato, ma sul bilancio. Almeno fino
al 2008.
Il Tribunale di Verona, con la sentenza 13.12.2011 n. 776, smentisce
clamorosamente, anche se con efficacia
limitata nel tempo, le contrarie tesi
proposte dal 2002 dall'Aran e dai servizi
ispettivi della Ragioneria dello stato.
L'Agenzia e l'Igop per tutta la prima parte
dello scorso decennio avevano sostenuto che
comuni e province dovessero attingere i
fondi per remunerare i dirigenti a tempo
determinato dalle risorse contrattuali,
nonostante queste abbiano il chiaro ed
evidente scopo di finanziare esclusivamente
la remunerazione dei dirigenti a tempo
indeterminato. Il comune di Verona aveva
disposto di finanziare le retribuzioni di
posizione e risultato dei dirigenti a tempo
determinato a decorrere dal 2002, proprio in
conseguenza della verifica
amministrativo-contabile effettuata dall'Igop
nel marzo 2004.
Gli ispettori, appiattendosi
del tutto su alcuni pareri espressi
dall'Aran avevano ritento che «le risorse
necessarie al finanziamento della
retribuzione di posizione e di risultato dei
dirigenti assunti con contratto a tempo
determinato su posto vacante in dotazione
organica, devono essere risparmiate
dall'ente in conseguenza della connessa
minore destinazione di somme al fondo. Le
stesse somme saranno pertanto utilizzate per
coprire, a carico del bilancio dell'ente,
gli oneri derivanti dalla stipula del
contratto dei dirigenti a termine».
Troppo evidente l'inammissibile contrasto di
questa teoria con le disposizioni normative.
In primo luogo, l'articolo 110, comma 3, del
dlgs 267/2000 a mente del quale per i
dirigenti a contratto «il trattamento
economico e l'eventuale indennità ad personam sono definiti in stretta
correlazione con il bilancio dell'ente e non
vanno imputati al costo contrattuale e del
personale». Il giudice del lavoro di Verona disvela l'erroneità dell'impostazione di
Aran e Igop, affermando che appunto la
lettura delle disposizioni citate «conduce
inevitabilmente all'accoglimento del
ricorso».
La sentenza è estremamente importante. Essa
rivela come i pareri dell'Aran non possano,
al pari di qualsiasi altro atto reso da
organi di consulenza o da avvocati, se
discosti dalle chiare previsioni normative,
avere forza cogente e validità. Allo stesso
modo, il delicatissimo ruolo dei servizi
ispettivi dovrebbe essere svolto
affrancandosi da preconcetti mossi non
dall'analisi oggettiva delle norme, bensì da
teorie costruite sopra e, talvolta, a
prescindere da esse.
Il giudice del lavoro veronese, tuttavia,
limita la portata dell'accoglimento del
ricorso all'anno 2008. Osterebbe, infatti,
al perdurare dell'illegittimità del
finanziamento della retribuzione dei
dirigenti a contratto mediante il fondo
contrattuale l'entrata in vigore
dell'articolo 76, comma 1, della legge
133/2008. Tale norma ha modificato
l'articolo 1, comma 557 (oggi è il comma
557-bis), della legge 296/2006, indicando
espressamente che costituiscono spese di
personale quelle sostenute per il personale
di cui all'articolo 110 del dlgs 267/2000.
In ciò, secondo il giudice, la norma si
differenzia dall'articolo 1, comma 198,
della legge 266/2005 e avrebbe, così,
implicitamente abolito l'articolo 110, comma
3, citato prima (articolo ItaliaOggi del
13.01.2012 - tratto da
www.ecostampa.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Le acque reflue che fuoriescono da un sistema fognario
costituiscono rifiuti ai sensi della direttiva 75/442.
Le acque reflue che fuoriescono da un sistema fognario
gestito da un'impresa pubblica che si occupa del trattamento
delle acque reflue ai sensi della direttiva del Consiglio
21.05.1991, 91/271/CEE, concernente il trattamento delle
acque reflue urbane e della normativa emanata ai fini della
sua trasposizione costituiscono rifiuti ai sensi della
direttiva del Consiglio 15.07.1975, 75/442/CEE, relativa ai
rifiuti, come modificata dalla direttiva del Consiglio
18.03.1991, 91/156/CEE.
La direttiva 91/271 non costituisce "altra normativa"
ai sensi dell'art. 2, n. 1, lett. b), della direttiva 75/442
come modificata dalla direttiva 91/156. Spetta al giudice
del rinvio verificare, conformemente ai criteri definiti
dalla presente sentenza, se possa ritenersi che la normativa
nazionale costituisca "altra normativa", ai sensi
della detta disposizione, ciò che si verifica se tale
normativa nazionale contiene disposizioni precise che
organizzano la gestione dei rifiuti di cui trattasi e se è
tale da garantire un livello di tutela dell'ambiente
equivalente a quello che risulta dalla direttiva 75/442,
come modificata dalla direttiva 91/156 e, segnatamente,
dagli artt. 4, 8 e 15 della direttiva stessa.
La direttiva 91/271 non può essere ritenuta, con riguardo
alla gestione delle acque reflue che fuoriescono dal sistema
fognario, come lex specialis rispetto alla direttiva 75/442,
come modificata dalla direttiva 91/156 e, pertanto, non può
applicarsi ai sensi dell'art. 2, n. 2, di quest'ultima
direttiva (Corte di Giustizia Europea, Sez. II,
sentenza 10.05.2007 n. C-252/05
- link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Sull'illegittimità della risoluzione di un contratto
di subappalto per infiltrazione mafiosa.
L'adozione della misura interdittiva di cui all'art. 4 D.Lgs.
n. 490/1994, con la quale si esclude dal mercato dei
pubblici appalti l'imprenditore che sia sospettato di legami
o condizionamenti mafiosi è preordinata all'obbiettivo di
mantenere un atteggiamento intransigente contro rischi di
infiltrazione mafiosa per contrastare un eventuale utilizzo
distorto delle risorse pubbliche. Secondo l'indirizzo della
giurisprudenza, la informativa non deve dimostrare
l'intervenuta infiltrazione, essendo sufficiente la
sussistenza di elementi dai quali sia deducibile il
tentativo di ingerenza.
Ciò nondimeno la stessa giurisprudenza ha più volte ribadito
come il delicato equilibrio tra gli opposti interessi che
fanno capo, da un lato, alla presunzione di innocenza di cui
all'art. 27 Cost. ed alla libertà d'impresa
costituzionalmente garantita e, dall'altro, alla efficace
repressione della criminalità organizzata, comporta che
l'interpretazione della normativa in esame debba essere
improntata a necessaria cautela); e che l'esigenza di
contrastare i tentativi di infiltrazione mafiosa nel modo
più efficace non esclude che la determinazione prefettizia
(pur se espressione di un ampia discrezionalità) possa
essere assoggettata al sindacato giurisdizionale sotto il
profili della sua logicità e dell'accertamento dei fatti
rilevanti.
E' certamente arbitrario presumere che valutazioni e
comportamenti riferibili alla famiglia di appartenenza o a
singoli membri della stessa diversi dall'interessato debbano
essere automaticamente trasferiti all'interessato medesimo.
In difetto dunque di riscontri oggettivi che comprovino
l'esistenza in concreto di comportamenti e situazioni dai
quali possa desumersi il condizionamento mafioso, deve
concludersi che l'informativa prefettizia non può trovare
una valida giustificazione con il solo riferimento al
richiamato legame di "parentela".
Ne consegue che, è illegittima la risoluzione di un
contratto di subappalto per infiltrazione mafiosa in quanto
l'informativa prefettizia non può trovare una valida
giustificazione con il solo riferimento al richiamato legame
di "parentela" (Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 02.05.2007 n. 1916
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APPALTI:
Facoltà di ritirare l'offerta sino all'inizio delle
operazioni di gara.
Sussiste fino all'inizio delle operazioni di gara la
possibilità di ritirare le offerta, anche se il bando
preveda un periodo minimo in cui le stesse devono essere
tenute ferme.
E' questo il principio con cui il TAR Lecce ha respinto il
ricorso proposto da un ATI partecipante ad una gara
d'appalto, statuendo che "In aderenza sia alle regole
civilistiche di cui agli artt. 1326 e seguenti Cod. civ.,
sia alla regola speciale di cui all'art. 75, comma 7, del
R.D. 23.05.1924, n. 827, deve ritenersi che un'impresa
partecipante ad una gara d'appalto possa ritirare la propria
offerta fino a quando le operazioni di gara non siano
iniziate e ciò anche nel caso in cui il bando preveda un
periodo minimo in cui le offerte debbono essere tenute ferme".
Ha poi aggiunto il TAR salentino che "In materia di gare
pubbliche, la stazione appaltante, decorso -per causa ad
essa imputabile- il termine indicato nel bando durante il
quale le offerte debbono essere tenute ferme, deve
correttamente interpellare i concorrenti ammessi alla
procedura, per verificare la sussistenza del loro interesse
all'eventuale aggiudicazione, e ciò soprattutto nei casi in
cui, nelle more del procedimento, ci siano state
significative variazioni dei costi dei fattori della
produzione relativi all'appalto; l'omesso interpello delle
imprese concorrenti, tuttavia, non determina ex se
l'invalidità sopravvenuta delle offerte per scadenza del
termine, in quanto (fermo restando che le offerte conformi
al bando non possono essere considerate ad tempus) la
persistenza dell'interesse all'aggiudicazione si può
desumere anche per facta concludentia (ad esempio dalla
circostanza che il concorrente aggiudicatario accetti di
rendere le giustificazioni dell'offerta anomala o si
presenti per la stipula del contratto, senza formulare
riserve o eccezioni)".
Tuttavia si deve segnalare, l'orientamento opposto del
massimo organo della Giustizia amministrativa nella materia
(cfr. da ult. Cons. Stato, Sez. V, 19.04.2007 n. 1786).
Nello stesso senso, invece, TAR Puglia-Lecce, Sez. II,
18.02.2006, n. 950; sentenza questa recentemente riformata
dal Consiglio di Stato in aderenza al richiamato
orientamento (TAR Puglia-Lecce, Sez. II,
sentenza 02.05.2007 n. 1790
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APPALTI SERVIZI:
Sui presupposti necessari affinché sia legittimo un
affidamento diretto.
Le direttive del Consiglio 18.06.1992, 92/50/CEE, che
coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti
pubblici di servizi, 14.06.1993, 93/36/CEE, che coordina le
procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di
forniture, e 14.06.1993, 93/37/CEE, che coordina le
procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di
lavori, non ostano ad un regime giuridico quale quello di
cui gode la Transformación Agraria SA, che le consente, in
quanto impresa pubblica operante in qualità di strumento
esecutivo interno e servizio tecnico di diverse
amministrazioni pubbliche, di realizzare operazioni senza
essere assoggettata al regime previsto dalle direttive in
parola, dal momento che, da un lato, le amministrazioni
pubbliche interessate esercitano su tale impresa un
controllo analogo a quello da esse esercitato sui propri
servizi e che, dall’altro, la detta impresa realizza la
parte più importante della sua attività con le
amministrazioni di cui trattasi (Corte di Giustizia Europea,
Sez. II,
sentenza 19.04.2007 n. C-295/05
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APPALTI:
In tema di valutazione dell'anomalia dell'offerta il
potere tecnico discrezionale è sindacabile dal giudice
amministrativo attraverso il controllo sulla sufficienza
della motivazione resa.
La giurisprudenza, in tema di valutazione dell'anomalia
dell'offerta, è costante nel ritenere si tratti di un
apprezzamento squisitamente tecnico, che riguarda dunque il
merito dell'azione amministrativa e si sottragga, pertanto,
al sindacato di legittimità del giudice amministrativo se
non in limiti ristretti; il subprocedimento di verifica
della congruità di un'offerta anomala costituisce, infatti,
espressione di un potere tecnico-discrezionale,
insindacabile in sede giurisdizionale, salva l'ipotesi in
cui le giustificazioni formulate siano manifestamente
illogiche o fondate su insufficiente motivazione.
Tale potere tecnico discrezionale è sindacabile dal giudice
amministrativo attraverso il controllo sulla sufficienza
della motivazione resa; in particolare la motivazione viene
richiesta rigorosa e analitica nel caso di giudizio negativo
sull'anomalia; in caso, invece, di giudizio positivo, ovvero
di valutazione di congruità dell'offerta anomala, non
occorre che la relativa determinazione sia fondata su
un'articolata motivazione ripetitiva delle medesime
giustificazioni ritenute accettabili o espressiva di
ulteriori apprezzamenti.
Pertanto, il giudizio favorevole di non anomalia dell'
offerta in una gara d'appalto non richiede una motivazione
puntuale ed analitica, essendo sufficiente una motivazione
espressa "per relationem" alle giustificazioni rese
dall'impresa vincitrice, sempre che queste siano a loro
volta congrue ed adeguate (TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 17.04.2007 n. 1774
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EDILIZIA
PRIVATA:
Protezione delle bellezze naturali - Autorizzazione
paesaggistica - Potere di annullamento ed istruttorio
dell'amministrazione statale - C.d. concorrenza di poteri -
Limiti - D.Lvo n. 42/2004.
In materia di protezione delle bellezze naturali, l’attuale
sistema normativo prevede una concorrenza di poteri (non
eguali o almeno non equivalenti) dello Stato e delle Regioni
regolata dal principio di leale collaborazione. Di
conseguenza, al rilascio dell’autorizzazione paesaggistica
da parte della Regione o dell’autorità subdelegata, fa
riscontro, (ex procedimento disegnato dal D.Lvo n. 42/2004),
un potere di annullamento del Ministero dei Beni e delle
attività culturali dell’autorizzazione per soli motivi di
legittimità (TAR Campania, sez. VI, n. 4720/2005).
Tutela paesistico ambientale - Rilascio
dell’autorizzazione regionale o dell’ente locale delegato -
Potere di annullamento - Potestà di cogestione
dell’interesse paesistico - D.Lvo n. 42/2004.
In materia di tutela paesistico ambientale, il rilascio
dell’autorizzazione regionale o dell’ente locale delegato è
il presupposto dell’esercizio doveroso del successivo potere
statale, posto a garanzia estrema del vincolo paesaggistico;
detto potere di annullamento è da considerarsi espressione
di un’ulteriore fase necessaria e non autonoma del
procedimento di autorizzazione che non si risolve in un mero
potere di controllo di legittimità sugli atti autorizzativi
quanto piuttosto in una potestà di cogestione dell’interesse
paesistico, tutelato dallo Stato attraverso il procedimento
di “riesame” delle autorizzazioni paesaggistiche, con
il quale si incide sul momento costitutivo degli effetti
delle autorizzazioni e sulla conseguente modificabilità
delle aree sottoposte a salvaguardia (cf. Cons. di Stato,
Ad. Pl. n. 9/2001; sez. VI, n. 685/2001).
Autorizzazione paesaggistica - Principio di “leale
collaborazione” - Valutazione di “incompletezza o
inconferenza” - Concetto di “necessaria istruttoria” -
Interruzione del termine perentorio - Effetti - D.Lvo n.
42/2004.
Nell’ambito del procedimento, l’attività istruttoria
pertiene primariamente all’autorità titolare del potere di
rilasciare l’atto ampliativo, laddove l’autorità chiamata ad
esercitare il controllo, proprio in applicazione del
medesimo principio di “leale collaborazione”,
opportunamente bilanciato con quello di effettività, che si
concreta nella possibilità di “utile esercizio” della
funzione attribuita, può svolgere ulteriore attività
istruttoria, solo ove questa sia astrattamente ma
strettamente necessaria, nel senso che la documentazione
trasmessa a corredo dell’autorizzazione paesaggistica, per
la sua incompletezza o inconferenza, non consenta
l’esercizio della funzione (TAR Campania, sez. VI, n.
4720/2005).
La valutazione di “incompletezza o inconferenza” va svolta
evidentemente ex ante ed è come tale sindacabile anche in
via giurisdizionale, con la conseguenza che una richiesta
istruttoria inidonea ad integrare il concetto di “necessaria
istruttoria”, che giustifica anche la interruzione del
termine perentorio per l’esercizio della facoltà eventuale
di annullamento di sessanta giorni, non dispiega alcuna
efficacia né sospensiva né interruttiva sul detto termine
(TAR Campania-Napoli, Sez. VI,
sentenza 16.04.2007 n. 3674
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EDILIZIA
PRIVATA:
Canna fumaria - Lavori edili abusivi - Illecito
edilizio ed ambientale - Accertamento di conformità - Natura
pertinenziale dell’opera - Innovazione abusiva - Sanabilità
- Fattispecie - Art. 36 D.P.R. n. 380/2001 - D.L. n.
269/2003 conv. in L. n. 326/2003 - Art. 7 L. n. 241/1990.
In ambito di tutela paesaggistica, i lavori edili abusivi
consistenti nella realizzazione di una canna fumaria,
costituiscono illecito edilizio ed ambientale, sanzionabile
con la sanzione ripristinatoria.
Sul punto, non rileva né la pretesa natura pertinenziale
dell’opera (che costituisce nondimeno una innovazione
abusiva) né la asserita sanabilità (che tuttavia il
ricorrente, non ha richiesto né sollecitato); né rileva,
stante la natura sostanziale dell’abuso, l’omessa
acquisizione dei pareri della C.E. o della C.E.I., in ragion
del carattere vincolato del provvedimento, cui nessun
apporto procedimentale avrebbero potuto portare gli organi
in questione (Nella specie realizzazione abusiva di canna
fumaria in ferro in zona ambientalmente protetta - Comune di
Pozzuoli) (TAR Campania-Napoli, Sez. VI,
sentenza 16.04.2007 n. 3671
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EDILIZIA
PRIVATA:
Nulla osta paesaggistico - Creazione di una zona per
parcheggio di un autoveicolo - Diniego - illegittimità -
Fattispecie.
I valori paesaggistici non risultano obbligatoriamente
compromessi ove l’intervento si concreti in un modesto
ampliamento del ciglio stradale con la creazione di una zona
per parcheggio di un autoveicolo, intervento che di per sé
non è necessariamente detrattivo della visuale. (sent. Tar
Campania-Napoli nr. 7784/2005).
Nella specie, pur senza che si possa, in via di principio,
derogare all’apicale portata dei valori paesaggistici (C.
Cost. nr. 46/2001), ci si deve orientare, alla disciplina di
favore cui si ispirano gli interventi di realizzazione dei
parcheggi (cfr., ex pluris, L. 122/1989; L.R.
Campania 19/2001), specie nella vicenda in cui l’intervento
non comporta opere che si innalzano dal suolo o, comunque,
limitano alla fruibilità del paesaggio (TAR Campania-Napoli,
Sez. VI,
sentenza 13.04.2007 n. 3570
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LAVORI PUBBLICI:
Localizzazione di opere pubbliche o di pubblica
utilità - Disposizioni a contenuto espropriativo e
disposizioni urbanistiche - Differenze ed effetti - Durata.
Le aree oggetto di localizzazione di opere pubbliche o di
pubblica utilità, sono assoggettate dal piano a vincolo
preordinato all’esproprio che ha la durata di cinque anni,
ed in tale termine può essere emanato il provvedimento che
comporta la dichiarazione di pubblica utilità delle opere
(art. 9 D.P.R. 08.06.2001, n. 327) (TAR Campania-Napoli,
Sez. III,
sentenza 12.04.2007 n. 3452
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URBANISTICA:
Piani particolareggiati - Piani di lottizzazione -
Termine decennale di efficacia - Disposizioni di contenuto
espropriativo - Prescrizioni urbanistiche - Operatività.
Il termine decennale di efficacia previsto per i piani
particolareggiati dall’art. 16 della L. 17.08.1942, n. 1150,
ma applicabile anche ai piani di lottizzazione, si applica
solo alle disposizioni di contenuto espropriativo e non
anche alle prescrizioni urbanistiche di piano che rimangono
pienamente operanti e vincolanti senza limiti di tempo fino
all’approvazione di un nuovo piano attuativo (C. di S., Sez.
IV, 28.07.2005, n. 4018).
P.I.P. natura di atto amministrativo a contenuto
plurimo e scindibile - Annullamento da parte del giudice
amministrativo di un P.I.P. - Posizioni soggettive dei
proprietari dei fondi espropriati - Effetti - Dichiarazione
di pubblica utilità.
L’annullamento da parte del giudice amministrativo di un
P.I.P. investe un atto amministrativo di contenuto plurimo
scindibile, nella parte in cui incide sulle posizioni
soggettive dei proprietari dei fondi espropriati in
attuazione del piano medesimo.
Pertanto la posizione del proprietario estraneo al relativo
giudizio non è incisa dagli effetti di detto annullamento,
il quale non tocca il suo diritto all’indennità e la sua
legittimazione ad opporsi contro la stima di essa in sede
amministrativa (Cass. Civ. Sez I, 12.04.1990, n. 3123.
Inoltre, la dichiarazione di pubblica utilità -che è
implicita nell’approvazione del P.I.P.- non è un atto
collettivo, ma va inquadrato nella categoria degli atti
plurimi, ossia di quelli che riguardano una pluralità di
soggetti individuabili in relazione alla titolarità dei vari
beni vincolati e considerati “uti singuli”.
Da ciò consegue che il giudicato di annullamento produce
effetti ripristinatori della pienezza del diritto di
proprietà, già affievolito, solo per il ricorrente e non si
estenda ai proprietari rimasti estranei al giudizio dinanzi
al giudice amministrativo (Cass. Civ. Sez. I, 16.04.2004, n.
7253) (TAR Campania-Napoli, Sez. III,
sentenza 12.04.2007 n. 3452
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EDILIZIA
PRIVATA:
Soppalco - Natura di opera interna - Ristrutturazione
edilizia - Permesso di costruire - Non necessita -
Fattispecie.
La costruzione di un soppalco ha natura di opera interna,
priva di autonomia funzionale, inidonea a determinare
modifiche della sagoma e dei prospetti e perciò soggetta al
regime della denuncia di inizio attività (TAR
Campania-Napoli, sez. II, 19.10.2006 n. 8680; TAR
Calabria-Catanzaro, saez. II, 24.04.2006 n. 406) poiché
rientrante nell’accezione lata di “ristrutturazione
edilizia” (TAR Piemonte Torino, Sez I, 15.02.2006 n.
910). Fattispecie: “mezzanino”, presuntivamente riattato
a soppalco nel corso dei lavori di ristrutturazione (TAR
Capmania-Napoli, Sez. VI,
sentenza 11.04.2007 n. 3329
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URBANISTICA:
Lottizzazione abusiva - Rilevabilità - Cambio di
destinazione d'uso - Contratti preliminari di compravendita
- Art. 30 D.P.R. n. 380/2001.
In presenza di specifici elementi rilevatori della volontà
di procedere al mutamento di destinazione delle unità
immobiliari, non vale, richiamare l'astratto dato normativo
che, peraltro, certamente non legittima alcuna forma di
arbitraria immutazione.
Sicché, l'ipotesi di lottizzazione abusiva, di cui all'art.
30 d.P.R. 06.06.2001 n. 380, è configurabile anche in
relazione ad un complesso immobiliare già edificato
attraverso il cambio di destinazione d'uso rilevabile dalla
stipula di contratti preliminari di compravendita, come
quelli aventi ad oggetto unità abitative destinate a
residenza privata e facenti parte di un complesso
originariamente autorizzato per lo svolgimento di attività
alberghiera.
Lottizzazione abusiva - Rilevabilità - Modifica di
destinazione d'uso di immobili oggetto di un piano -
Frazionamento di un complesso immobiliare - Originaria
destinazione d'uso alberghiera.
In materia urbanistica, configura il reato di lottizzazione
abusiva la modifica di destinazione d'uso di immobili
oggetto di un piano di lottizzazione attraverso il
frazionamento di un complesso immobiliare di modo che le
singole unità perdano la originaria destinazione d'uso
alberghiera per assumere quella residenziale, atteso che
tale modificazione si pone in contrasto con lo strumento
urbanistico costituito dal piano di lottizzazione (Sez. 3,
n. 6990 del 29/11/2005 Rv. 233552) (Corte di Cassazione,
Sez. III penale,
sentenza 03.04.2007 n. 13687
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APPALTI SERVIZI:
Codice degli appalti e termine per la presentazione
delle offerte.
Quando oggetto
dell'appalto è un servizio di refezione scolastica non si
applicano gli artt. 66 e 70 del D.Lgs. 163/2006 concernenti
le modalità di pubblicazione dei bandi e i relativi tempi
stabiliti per la presentazione delle offerte
(TAR Puglia-Lecce, Sez. II,
sentenza 30.03.2007 n. 1333
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APPALTI:
1. Sull'interpretazione da parte di una commissione
giudicatrice di offerte lacunose rispetto alle prescrizioni
del bando.
2. Sull'impugnazione postuma da parte di un concorrente
degli atti di gara.
1. E' legittimo il comportamento di una commissione
giudicatrice, che trovandosi di fronte ad offerte tutte
affette da lacune ed omissioni (rispetto alle prescrizioni
del bando e degli altri atti di gara), piuttosto che
procedere ad una esclusione generalizzata dei concorrenti,
ha, al contrario, privilegiato la generalizzata ammissione,
con salvezza e contemperamento dell'interesse degli
aspiranti a partecipare alla procedura, in vista
dell'aggiudicazione e dell'interesse dell'amministrazione
alla stipula del contratto per l'espletamento del servizio.
In caso di clausole equivoche o di dubbio significato,
infatti, deve preferirsi l'interpretazione che favorisca la
massima partecipazione alla gara (piuttosto che quella che
la ostacoli), e quella che sia meno favorevole alle
formalità inutili, ciò anche al fine di ottenere le
prestazioni richieste ad un prezzo quanto più vantaggioso,
in termini qualitativi e quantitativi per l'amministrazione.
2. Una volta che il concorrente abbia partecipato
alla gara, scegliendo la via dell'impugnazione postuma degli
atti generali, a seguito della sua non favorevole
collocazione in graduatoria, la legittimità delle regole
concorsuali non può essere valutata in astratto, ma deve
essere sempre considerata in rapporto alla illegittimità
della lesione che si è verificata nella sfera giuridica
dell'interessato, il quale ha l'onere di dimostrare come, in
concreto, la lesione della sua personale sfera giuridica si
ponga in qualche modo, in rapporto alla posizione fatta
all'aggiudicatario, in una relazione di causa/effetto,
rispetto alla illegittimità della clausola (Consiglio di
Stato, Sez. V,
sentenza 28.03.2007 n. 1441
- link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI SERVIZI:
In tema di appalti pubblici di servizi è consentita la
partecipazione sia di associazioni in raggruppamento
orizzontale che verticale.
Negli appalti pubblici di servizi, comprendenti categorie
plurime e scorporabili di servizi è consentita la
partecipazione di associazioni riunite sia in via
orizzontale sia in linea verticale e non può escludersi che,
nell'ambito di un medesimo raggruppamento, talune parti del
servizio siano eseguite da singole imprese, mentre una
determinata parte sia eseguita da più imprese, fra quelle
raggruppate.
L'art. 11 del D.Lgs. n. 157 del 1995, che ammette a
presentare offerte imprese appositamente e temporaneamente
raggruppate, non distingue espressamente fra associazione
orizzontale e associazione verticale, prescrive che "l'offerta
congiunta e deve specificare le parti del servizio che
saranno eseguite dalle singole imprese" (c. 2);
stabilisce che "l'offerta congiunta comporta la
responsabilità solidale nei confronti dell'amministrazione
di tutte le imprese raggruppate" (c. 3).
La norma deve essere interpretata nel senso di ammettere la
possibilità di partecipazione sia in raggruppamento
orizzontale, sia in raggruppamento verticale, e di non
escludere la possibilità che, solo per una determinata
parte, il servizio sia eseguito da più di una impresa della
medesima associazione (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 28.03.2007 n. 1440
- link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Sulla legittimità dell'esclusione da una gara di un
consorzio per violazione della disciplina di gara che
richiedeva espressamente, per i consorzi partecipanti alla
gara, l'obbligo per ogni consorziato di produrre la
certificazione di qualità.
Per consolidata giurisprudenza, la certificazione di qualità
diretta a garantire che un'impresa è in grado di svolgere la
sua attività secondo un livello minimo di qualità accertato
da un organismo a ciò preposto è un requisito che,
allorquando vi è una ripartizione percentuale del servizio
tra le associate, dev'essere posseduto da tutte le imprese
chiamate a svolgere prestazioni fungibili.
Pertanto, nel caso di specie è legittima l'esclusione dalla
procedura concorsuale di un consorzio per violazione degli
obblighi di gara, e precisamente per non aver prodotto nei
termini richiesti dal bando la copia fotostatica della
certificazione di qualità conforma alle norme europee UNI
CEI ISO 9000 con riferimento a tutte le imprese aderenti al
predetto consorzio.
Non appare decisivo, in contrario, il richiamo alla
giurisprudenza, che consente di provare il possesso dei
requisiti tecnici e finanziari mediante le referenze di un
altro soggetto di cui si dichiari la disponibilità giacché,
anche a prescindere dalla dubbia applicabilità di tale
principio con riguardo ai requisiti di carattere soggettivo
cui sono da taluni ricondotte le certificazioni di qualità,
non risulta che in sede di gara il consorzio abbia
esercitato tale opzione partecipativa.
Neppure il richiamo all'art. 49 del D.Lgvo n. 163 del
12.04.2006 si rivela fondato, non risultando che il
consorzio abbia allegato in gara le dichiarazioni di cui
all'art. 49, comma 2°, del D.Lgvo n. 163/2006 necessarie ai
fini dell'avvalimento (TAR Sardegna, Sez. I,
sentenza 27.03.2007 n. 556
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APPALTI SERVIZI:
Sull'illegittimità di un affidamento in via esclusiva
e senza gara del servizio idrico integrato comunale ad una
società a partecipazione pubblica, di cui il comune è socio
minoritario.
In base alla normativa europea gli affidamenti di opere e
servizi, in via diretta e senza gara, erano e sono
consentiti, solo a condizione che gli stessi avvengano "in
house", ossia in favore di società a partecipazione
pubblica totalitaria, le quali realizzino la parte più
importante della propria attività con l'ente pubblico che le
controlla e sulle quali quest'ultimo eserciti un controllo
analogo a quello esercitato sui propri apparati burocratici.
Il giudice comunitario ha, di recente, escluso che il
richiesto "controllo analogo" possa sussistere in
presenza di una partecipazione, anche minoritaria, di
un'impresa privata al capitale della società pubblica
affidataria. Pertanto, è illegittimo l'affidamento in via
esclusiva e senza gara del servizio idrico integrato
comunale ad una società a partecipazione pubblica, di cui il
comune è socio minoritario, per violazione della normativa
comunitaria (TAR Sardegna, Sez. I,
sentenza 27.03.2007 n. 549
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PUBBLICO
IMPIEGO:
P.a. e trasferimento del lavoratore per assistere un
parente portatore di handicap.
Il trasferimento o
l’assegnazione del lavoratore presso una sede che consenta
la prosecuzione del rapporto di assistenza verso un parente
o un affine entro il terzo grado in situazione di handicap,
ai sensi dell’art. 33, comma 5, della legge 104/1992, ha
natura di interesse legittimo e, pertanto, è attuabile
purché non ostino a tale assegnazione o trasferimento
superiori esigenze organizzative dell’Amministrazione
(TAR Lazio-Roma, Sez. I-quater,
sentenza 22.03.2007 n. 2488
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ESPROPRIAZIONI:
Illegittimo il decreto di esproprio senza l'avviso
dell’avvio del procedimento.
Il Collegio reggino,
nella decisione in epigrafe, ritiene che l’avviso dell’avvio
del procedimento ex art. 16, comma 4°, del D.P.R.
08.06.2001, n. 327, costituisce una vera e propria “…
garanzia partecipativa che non è meramente formale, ma
rappresenta un necessario passaggio cognitivo-dialettico,
funzionale sia per la parte, che può opporre fatti e/o
circostanze non considerati, sia per l’Amministrazione, che
deve esaminarli e valutarli prima di approvare il progetto
definitivo dell’opera, essendo l’attività espropriativa
connotata di ampi margini di discrezionalità amministrativa
e tecnica”
(TAR
Calabria-Reggio Calabria,
sentenza 22.03.2007 n. 243
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PUBBLICO
IMPIEGO:
Necessaria predeterminazione dei criteri di
valutazione nei concorsi pubblici.
Nei pubblici concorsi,
la mancata predeterminazione di criteri oggettivi di
valutazione delle prove, che in base all’art. 12 del D.P.R.
487/1994 assolvono ad una precisa funzione di trasparenza ed
imparzialità dell’azione amministrativa, rende illegittima
la procedura concorsuale
(TAR Piemonte, Sez. II,
sentenza 10.03.2007 n. 1180
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EDILIZIA
PRIVATA:
Le sanzioni in materia edilizia seguono l’oggetto.
Premesso e non concesso
che sia possibile evincere dagli atti di causa che la data
di realizzazione dell’abuso sia certamente anteriore a
quella di acquisto, ciò non vale ad escludere la legittimità
della sanzione amministrativa irrogata all’attuale
proprietario.
Le sanzioni amministrative in campo edilizio infatti, sulla
scorta della finalità preminente di ripristino della
legalità, vengono applicate sulla base dei principi di
obbligatorietà, tipicità e vincolatezza; conseguentemente,
la relativa imputazione avviene -contrariamente a quanto
sostenuto in memoria da parte ricorrente- in termini di
responsabilità oggettiva (tanto che la sanzione segue
l'immobile, applicandosi anche al proprietario attuale ed
essendo trasmissibile agli eredi), né occorre espressa,
specifica o diversa valutazione di ulteriori interessi
pubblici contrari.
In particolare, con riferimento alle sanzioni pecuniarie, è
indifferente ai fini della legittimità della sanzione per un
abuso edilizio l'individuazione dell'effettivo responsabile
dell'abuso, perché le sanzioni pecuniarie di cui all'art.
10, l. 28.02.1985 n. 47 e all'art. 34 per il loro carattere
ripristinatorio
(TAR
Campania-Napoli, Sez. IV,
sentenza 08.03.2007 n. 1608
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EDILIZIA
PRIVATA:
L’installazione di un impianto non costituisce
mutamento di destinazione d’uso.
La circostanza che il
locale sia pavimentato e dotato di riscaldamento non è di
per sé oggettivamente incompatibile con la qualificazione
del vano come "cantina" (intesa, ovviamente, come
locale ad uso deposito, e non come locale per la
conservazione di vini), né costituisce elemento sufficiente
a comprovare la trasformazione della "cantina" in
locale accessorio "ad uso sala lettura/musica", tanto più
che trattasi di vano non collegato all’abitazione, ma
accessibile esclusivamente dalle parti comuni.
Peraltro, non risulta l’esecuzione di altre opere
oggettivamente idonee a realizzare la trasformazione
contestata, essendo per altro verso irrilevanti, e comunque
insufficienti a corroborare un illecito edilizio, la
presenza di oggetti di arredo e di apparecchiature
elettroniche, nonché il modo e l’ordine in cui sono disposti
(TAR
Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 08.03.2007 n. 382
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EDILIZIA
PRIVATA:
Fascia di trecento metri dal mare - Realizzazione di
parcheggio - Preventiva autorizzazione - Necessità - Art.
163 D.Lgs. n. 490/1999 ora art. 181 D.Lgs. n. 42/2004.
Configura il reato di cui all'art. 163 del D.Lgs. n. 490 del
1999 (ora sostituito dall'art. 181 del D.Lgs. 22.01.2004 n.
42), il livellamento del terreno e lo spandimento sullo
stesso di materiale per la realizzazione di un parcheggio
all'interno della fascia di trecento metri dal mare ed in
difetto della preventiva autorizzazione dell'autorità
preposta alla tutela del vincolo paesaggistico.
Aree sottoposte a vincoli - Condono - Interventi
edilizi di minore rilevanza (restauro, risanamento
conservativo e manutenzione straordinaria) - L. n. 326/2003.
Nelle aree sottoposte a vincoli imposti sulla base di leggi
statali e regionali a tutela degli interessi idrogeologici,
ambientali e paesaggistici, la L. n. 326 del 2003, art. 32,
comma 26, lett. a) di conversione del D.L. n. 269 del 2003
ammette la possibilità di ottenere il condono unicamente per
gli interventi edilizi di minore rilevanza relativi alle
tipologie di illecito di cui ai nn. 4, 5 e 6 dell'allegato 1
alla legge (restauro, risanamento conservativo e
manutenzione straordinaria), previo parere favorevole
dell'autorità preposta alla tutela del vincolo
(sull'argomento, cfr. la recente sentenza n. 33297/05 di
questa sezione).
Tutela del paesaggio - C.d. mini-condono ambientale e
condono edilizio - Differenza giuridica.
In tema di tutela del paesaggio, il cd. mini-condono
ambientale non contiene norme analoghe a quelle di cui alle
leggi sul condono edilizio succedutesi nel tempo con
riguardo alla sospensione del processo penale nel tempo
utile per la presentazione della domanda di sanatoria e/o
dopo la proposizione di questa (Corte di Cassazione, Sez.
III penale,
sentenza 09.01.2007 n. 159
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APPALTI: 1.
Decorrenza del termine per impugnare - Piena conoscenza
dell'atto lesivo - Notifica.
2. Appalto concorso - Discrezionalità della P.A. nella
valutazione delle proposte - Limiti del sindacato del
Giudice amministrativo.
1. Per la decorrenza del termine per l'impugnazione
di un atto o provvedimento amministrativo, non può essere
sufficiente la probabilità che l'interessato in un
determinato momento abbia avuto cognizione dell'atto contro
il quale ha prodotto ricorso (Consiglio di Stato, Sez. V,
14.04.1993, n. 490), altrimenti risulterebbero violati i
principi costituzionali stabiliti dagli art. 24 e 113,
secondo cui tutti possono agire in giudizio contro gli atti
della pubblica amministrazione a tutela dei propri diritti e
interessi legittimi (fattispecie in cui il provvedimento
impugnato non risultava notificato né comunicato
direttamente all'interessata).
2. L'appalto concorso si caratterizza per l'ampia
discrezionalità attribuita all'amministrazione nella
valutazione delle singole proposte avanzate dai concorrenti
e per una certa libertà progettuale che viene lasciata ai
partecipanti nei limiti delle indicazioni di massima
stabilite nel bando di gara (cfr. Consiglio di Stato, Sez.
V, 30.08.2005, n. 4413; idem, Sez. IV, n. 651 del
19.08.1994; idem, Sez. IV, n. 1212 del 10.07.1999; idem,
Sez. V, n. 1233 dell'11.10.1996).
Sotto tale profilo le valutazioni della Commissione
giudicatrice in ordine alla conformità del progetto
(definitivo) elaborato dai singoli partecipanti ad una gara
rispetto a quello predisposto dalla stazione appaltante sono
espressione di un apprezzamento di natura
tecnico-discrezionale e, come tali, sono sottratte al
sindacato del giudice amministrativo laddove non vengano in
rilievo indici sintomatici di eccesso di potere per
manifesta illogicità o contraddittorietà (TAR
Lombardia-Milano, Sez. III,
sentenza
27.12.2006 n. 3111
- massima tratta da www.solom.it - link a
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APPALTI: Appalti
settori esclusi - Raggruppamenti di imprese - Forma
giuridica determinata - limiti.
In materia di appalti di lavori la normativa
comunitaria (ed, in particolare, l'art. 21 della direttiva
93/37/CEE, il quale stabilisce che ai raggruppamenti di
imprenditori partecipanti a gare d'appalto non può essere
richiesta per la presentazione dell'offerta "...la
trasformazione ... in una forma giuridica determinata...")
vieta alle Amministrazioni aggiudicatici di imporre alle
imprese che decidono di partecipare insieme ad una gara
d'appalto una forma giuridica specifica fino alla definitiva
aggiudicazione (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 05.02.2002,
n. 4468; idem, 09.06.2003, n. 3657; idem, 24.03.2001, n.
1708).
Alle medesime conclusioni sopra rassegnate è possibile
giungere anche relativamente alle procedure di appalto nei
settori esclusi -come quello oggetto della controversia che
attiene alla erogazione e distribuzione di gas metano- di
cui al D.lgs. 158 del 1995, attuativo della direttiva
93/38/CEE, il cui art. 33, paragrafo 1, (ora sostituito
dall'art. 11 della direttiva 2004/17/CEE, che ne riproduce
il contenuto in modo pressoché identico), afferma che "non
può essere richiesta a tali associazioni la trasformazione
in una forma giuridica determinata per proporre un'offerta o
per negoziare, ma l'associazione prescelta può essere
obbligata a subire tale trasformazione quando le è stato
aggiudicato l'appalto, nella misura in cui detta
trasformazione è necessaria per la buona esecuzione
dell'appalto stesso", con una formula che ricalca,
quindi, quanto previsto dal citato art. 21 della direttiva
93/37CEE per gli appalti di lavori e dall'art. 26 della
direttiva 92/50/CEE per gli appalti di servizi (TAR
Lombardia-Milano, Sez. III,
sentenza 27.12.2006 n. 3101
- massima tratta da www.solom.it - link a
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AMBIENTE-ECOLOGIA:
INQUINAMENTO ATMOSFERICO - Getto pericoloso di cose
(canna fumaria - pizzeria) - Emissione di gas, vapori e fumi
- Art. 674 cod. pen. - Idoneità ad arrecare molestia alle
persone - Pericolo per la salute pubblica.
E' configurabile, il reato di cui all'art. 674 cod. pen.
(emissione di gas, vapori e fumi atti a molestare le
persone) quando le emissioni provengano dall'esercizio di
un'attività (pizzeria) non conforme alla normativa
sull'abbattimento dei fiumi (emessi dalla canna fumaria) ed
arrecano concretamente disturbo alle persone superando la
normale tollerabilità con conseguente pericolo per la salute
pubblica, la cui tutela costituisce la "ratio" della
norma incriminatrice (Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 22.12.2006 n. 42213
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ATTI
AMMINISTRATIVI: Accesso
agli atti - Controinteressato - Legittimazione attiva -
Sussiste - Ricorso ordinario - Necessità - Ricorso ex art.
25 L. 241/1990 - Inammissibilità.
Sebbene, in qualità di controinteressata, il soggetto che
dall'esercizio dell'accesso vedrebbe compromesso il diritto
alla propria riservatezza così come stabilito all'art. 23,
co. 1, lett. c), L. 241/1990, risulta pienamente legittimato
ad opporsi alla determinazione che ha accolto l'istanza di
accesso, tuttavia, ogni censura avverso l'anzidetta
determinazione -proposta appunto dalla parte "controinteressata"-
deve assumere la forma di impugnazione, nelle forme
ordinarie, dell'atto che ha consentito l'accesso
documentale: il rito accelerato ex art. 25 L. 241/1990
risulta, infatti, concepito per assicurare una rapida tutela
ai soggetti interessati all'ostensione di atti
amministrativi, con esclusione dei portatori dell'opposta
istanza alla non esibizione dei medesimi, i quali possono
seguire il rito ordinario; il ricorso presentato nelle
suddette forme deve pertanto essere dichiarato inammissibile
(TAR Lombardia-Brescia,
sentenza 20.12.2006 n. 1622
- massima tratta da www.solom.it - link a
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LAVORI PUBBLICI: Art.
10, comma 1-bis, L. 109/1994 - Società controllate -
Collegamento sostanziale - Differenze probatorie nella
turbativa della procedura concorsuale.
L'art. 10, comma 1-bis, legge n. 109 del 1994 si
limita a richiamare solo l'ipotesi delle «società
controllate» prevista e disciplinata dall'art. 2359 Cod.
civ. al fine di disporre la necessaria e automatica
esclusione delle offerte dalla gara.
La giurisprudenza ha individuato, tuttavia, ipotesi di "collegamento
sostanziale" tra imprese, diverse da quelle indicate dal
citato art. 10, comma 1-bis, legge n. 109 del 1994 e ciò
nondimeno idonee a giustificare l'esclusione dalle relative
gare (Cons. Stato, VI Sez., 07.02.2002 n. 685; Cons. Stato,
V Sez., 15.02.2002 n. 923; Cons. Stato, IV Sez., 27.12.2001
n. 6424, in Cons. Stato 2002, I, 267, 337 e 2001, I, 2735;
per la giurisprudenza della Sezione si richiamano le
sentenze 06.02.2003, n. 203, 17.07.2003, n. 3632,
27.01.2003, n. 177, 28.11.2002, n. 4698).
Con la precisazione che mentre nel caso della sussistenza
dell'ipotesi del "controllo" di cui all'art. 10,
comma 1-bis, opera un meccanismo di presunzione iuris et
de iure circa la sussistenza di una ipotesi perturbativa
del corretto svolgimento della procedura concorsuale (e
quindi dei principi di segretezza, serietà delle offerte e
par condicio tra i concorrenti), nel caso di sussistenza del
c.d. "collegamento sostanziale" dovrà essere provato
nello specifico e in concreto l'esistenza di elementi
oggettivi e concordanti tali da ingenerare pericolo per il
rispetto dei richiamati principi (TAR Lombardia-Milano, Sez.
III,
sentenza 13.12.2006 n. 2932
- massima tratta da www.solom.it - link a
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LAVORI PUBBLICI: Art.
10, comma 1-ter, L. 109/1994 - Appalti - Assegnazione del
contratto per il completamento delle opere al secondo
classificato - limiti.
L'art. 10, comma 1-ter, della legge n. 109/1994, che
stabilisce la possibilità per le stazioni appaltanti di "prevedere
nel bando la facoltà, in caso di fallimento o di risoluzione
del contratto per grave inadempimento dell'originario
appaltatore, di interpellare il secondo classificato al fine
di stipulare un nuovo contratto per il completamento dei
lavori alle medesime condizioni economiche già proposte in
sede di offerta" (omissis), è una norma di stretta
interpretazione, poiché si pone in termini derogatori
rispetto ad un ordinamento (sia interno che comunitario)
ispirato a garantire la massima apertura degli appalti
pubblici alla concorrenza effettiva fra le imprese (cfr.
TAR, Campania-Salerno, n. 1503/2001) e che, quindi, non può
essere estesa ad ipotesi diverse da quella in essa
direttamente contemplate (TAR Lombardia-Milano, Sez. III,
sentenza
12.12.2006 n. 2900
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EDILIZIA
PRIVATA: 1.
Condono - Certificato di assenza di danno ambientale -
Competenza - Comune - Potere di annullamento -
Soprintendenza per i beni ambientali e architettonici -
limitazione - Profili di illegittimità.
2. Condono - Certificato di assenza di danno ambientale -
Disparità di trattamento - Effettiva identità - Necessità.
1. Nella valutazione di assenza di danno ambientale
finalizzata al condono di opere abusive, l'azione tesa a
coniugare l'interesse pubblico con le ragioni del privato
proprietario costituisce compito precipuo
dell'amministrazione comunale, cui unicamente spetta
l'apprezzamento ed il giudizio complessivo in ordine ai
fatti coinvolti nella vicenda concreta: è pacifico infatti
che il potere di annullamento da parte del Ministero per i
Beni e le Attività Culturali, tramite la Soprintendenza per
i Beni Ambientali ed Architettonici, può riguardare soltanto
profili di illegittimità, ivi compreso il difetto di
motivazione o di istruttoria nonché l'eccesso di potere
sotto ogni profilo, senza estendersi alle valutazioni di
merito che rientrano nelle competenze dei Comuni,
preventivamente delegati dalla Regione.
2. La valutazione preordinata al rilascio del nulla
osta paesistico ha per oggetto la tutela di un bene
costituzionale primario e l'inderogabilità dei valori
salvaguardati dal vincolo si riflette sull'azione
amministrativa improntata alla massima cautela
nell'esaminare ogni profilo dell'intervento edilizio che
possa risolversi nella compromissione dei valori ambientali:
ne segue che la disparità di trattamento tra situazioni di
eguale contenuto in questa materia deve accertarsi con
rigore e che la positiva verifica del vizio di legittimità è
riscontrabile solo in caso di valutazioni macroscopicamente
erronee: sintonia di un'opera abusiva con l'ambiente deve
essere verificata in concreto, mentre l'eventuale
incontrollato rilascio di titoli edilizi in sanatoria di
situazioni ipoteticamente analoghe non può legittimare ex
se l'emissione di un provvedimento di condono: in questa
materia, dunque, la censura di disparità di trattamento
presuppone l'effettiva identità tra il caso già valutato
dall'amministrazione e quello oggetto del contenzioso,
atteso che la figura sintomatica di eccesso di potere si
configura solo quando vi sia un'assoluta identità di
situazioni oggettive, che valga a testimoniare
l'irrazionalità delle diverse conseguenze tratte
dall'amministrazione (TAR Lombardia-Brescia,
sentenza
05.12.2006 n. 1547
- massima tratta da www.solom.it - link a
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APPALTI:
1. Mancanza della procedura ad evidenza pubblica -
Interesse ad agire.
2. Iscrizione all'albo dei soggetti abilitati
all'accertamento e alla riscossione dei tributi - Gestione
aree di parcheggio - Artt. 52 e 53 D.Lgs. 446/1997 -
interpretazione.
1. È evidente come l'affidamento di un appalto,
avvenuto senza il preventivo esperimento di una procedura ad
evidenza pubblica leda le aspettative delle imprese operanti
nel settore, le quali hanno interesse ad ottenere
l'annullamento dell'assegnazione e a far seguire l'indizione
di una procedura pubblica. In questo senso, l'impresa
ricorrente appare titolare di un interesse processualmente
rilevante a conseguire l'annullamento dell'attribuzione,
posto che da questo trarrebbe quantomeno il significativo
vantaggio, sufficiente a sostenere la procedibilità del
ricorso, di ottenere la possibilità di partecipare ad una
gara per l'aggiudicazione dell'appalto.
2. L'iscrizione all'albo di cui agli art. 52 e 53 del
D.lgs. 446/1997, disciplinata in dettaglio dal D.M.
11.09.2000 n. 289, può trovare giustificazione
nell'interesse pubblico ad affidare la gestione delle
entrate a soggetti particolarmente controllati e affidabili,
qualora il gestore sia investito di potestà tipicamente
pubblicistiche, quali la determinazione dell'ammontare del
credito, la verifica dei presupposti per la riscossione e
l'utilizzo della procedura di riscossione coattiva (cfr. TAR
Lombardia Brescia, 17.10.2005, n. 986).
Quando tuttavia il contenuto dell'appalto ha natura
essenzialmente commerciale, come nel caso della semplice
fornitura di parcometri e nella gestione di aree di
parcheggio, che avviene in forma non coattiva, la riserva a
favore dei soggetti iscritti all'albo costituirebbe soltanto
un oggettivo ostacolo alla concorrenza.
Da ciò consegue che l'interpretazione dell'art. 52 del
D.lgs. 446/1997 non può essere estesa fino a conseguire un
risultato incompatibile con la disciplina comunitaria, che
vieta qualsiasi discriminazione tra gli operatori economici
(TAR Lombardia-Milano, Sez. III,
sentenza
30.11.2006 n. 2854
- massima tratta da www.solom.it - link a
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ATTI
AMMINISTRATIVI: 1.
Art. 7 della l. n. 241/1990 - Termine minimo tra
comunicazione di avvio del procedimento e adozione dell'atto
- Non previsto - Tuttavia necessità di un termine congruo.
2. Art. 21-nonies della l. n. 241/1990 - Annullamento in
autotutela - Inosservanza termine ragionevole -
Illegittimità.
1. Sebbene l'art. 7 della l. n. 241/1990 non preveda
che un termine minimo debba necessariamente intercorrere tra
la comunicazione di avvio del procedimento e l'effettiva
adozione dell'atto, tuttavia l'esigenza di concedere al
destinatario della comunicazione un congruo spazio temporale
per lo svolgimento delle proprie attività difensive
(prendere visione degli atti del procedimento, predisporre e
presentare specifiche memorie scritte) s'impone in forza
della ratio dell'istituto della comunicazione di
avvio, pena la riduzione di tale adempimento ad un mero
simulacro formale privo di ogni possibile effettiva utilità
(cfr. TAR Marche, 07.02.2006, n. 14 e TAR Calabria
Catanzaro, sez. I, 19.12.2005, n. 244).
2. L'art. 21-nonies della legge 241 del 1990,
codificando principi già elaborati dalla giurisprudenza,
prevede che l'annullamento d'ufficio del provvedimento
illegittimo debba avvenire "sussistendone le ragioni di
interesse pubblico, entro un termine ragionevole e tenendo
conto degli interessi dei destinatari e dei
controinteressati".
Ne deriva che il provvedimento di annullamento d'ufficio
adottato dall'Amministrazione a distanza di moltissimo tempo
dalla data di adozione (nel caso di specie, rispettivamente
a quasi tredici o sette anni) deve essere ritenuto
illegittimo in violazione della previsione di un "termine
ragionevole" intercorrente tra l'atto amministrativo e
l'intervento in autotutela (TAR Lombardia-Milano, Sez. III,
sentenza
13.11.2006 n. 2150
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URBANISTICA: Reiterazione
vincoli espropriativi - Motivazione sulla perdurante
attualità - Necessità - Piano finanziario per far fronte
agli indennizzi - Contestualità - Non è necessario.
La reiterazione dei vincoli di espropriazione non
può prescindere dalla presenza di una congrua e specifica
motivazione sulla perdurante attualità della previsione,
comparata con gli interessi privati, conseguente allo
svolgimento di adeguate indagini, infatti, la motivazione,
in tale ipotesi, quale eccezione alla generale regola che
non impone tale obbligo per gli atti a carattere generale,
deve ancorarsi ad una serie di parametri obiettivi, dovendo
essere evidenziate, oltre alla persistenza dell'interesse
pubblico e alla sua attualità, le specifiche ragioni del
ritardo che hanno determinato la decadenza del vincolo, la
mancanza di possibili soluzioni alternative o di
perequazione fra i proprietari espropriabili e, dunque, la
ineluttabilità della scelta dell'area già vincolata, la
serietà e affidabilità della realizzazione entro il termine
quinquennale di durata con la precisazione delle iniziative
mediante le quali il procedimento ablativo verrà portato a
compimento, la ragionevole dimostrazione, sulla scorta della
situazione dei luoghi, che la rinnovazione del vincolo sulla
stessa area è necessaria per realizzare l'opera o
l'intervento pubblico.
Vi è tuttavia da precisare che non è necessaria la
contestualità tra piano finanziario per far fronte agli
indennizzi conseguenti al rinnovo dei vincoli e la variante
al piano regolatore che li prevede (TAR Lombardia-Brescia,
sentenza 10.11.2006 n. 1393
- massima tratta da www.solom.it - link a
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LAVORI PUBBLICI: Variante
semplificata ex L.R. 23/1997 - Rotatoria - Ente nel cui
interesse l'opera viene realizzata - Comune - Competenza
comunale - Sussiste.
Agli effetti della L.R. 23/1997, una rotatoria situata nel
centro abitato di un Comune e riguardante l'incrocio tra una
serie di strade comunali e una strada provinciale, non è
opera pubblica posta ad esclusivo servizio di quest'ultima,
finanziata dal Comune ed espressamente autorizzata dalla
Provincia, va considerata di competenza Comunale, nel cui
interesse l'opera viene realizzata, non necessitando di
valutazioni, sotto il profilo urbanistico, di enti
sovraordinati (TAR Lombardia-Brescia,
sentenza
10.11.2006 n. 1391
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APPALTI SERVIZI: 1.
Definizione degli elementi indicativi di capacità tecnica e
organizzativa per partecipare alla gara - Indeterminatezza
degli elementi del rapporto contrattuale - Non sussiste.
2. Proposizione ricorso per motivi aggiunti - Mancata
partecipazione alla gara - Inammissibilità del ricorso.
1. La stazione appaltante è titolare del potere di
modulare discrezionalmente il contenuto della lex
specialis, in funzione degli obiettivi di sviluppo,
affidabilità e miglioramento della qualità dei servizi di
trasporto pubblico locale da rendere nel territorio, al fine
di delineare -attraverso l'individuazione degli elementi
indicativi di capacità tecnica e organizzativa- il profilo
delle imprese potenzialmente idonee per affidabilità
economica, finanziaria e tecnica a realizzare il programma
d'esercizio conformemente all'interesse pubblico.
Ne deriva che, ove il capitolato speciale ponga carico delle
imprese l'obbligo di assicurare l'espletamento del servizio
mediante un proprio parco autobus adeguato alla
realizzazione del programma e rispondente agli standard
minimi e agli obiettivi di qualità, lo stesso adempie
all'obbligo di precisare gli elementi necessari alla
corretta formulazione dell'offerta e tali da garantire
l'assolvimento dei compiti derivanti dall'aggiudicazione.
2. Ai fini dell'ammissibilità della impugnazione
degli atti di aggiudicazione, è necessaria la partecipazione
alla gara o alla procedura concorsuale in quanto è proprio
la presentazione dell'offerta, nell'evidenziare l'interesse
concreto all'impugnazione, che fa del soggetto che ha
provveduto a tale adempimento un destinatario identificato,
direttamente inciso dagli esiti della procedura concorsuale.
Solo con la presentazione dell'offerta, l'impresa assume una
situazione giuridica differenziata rispetto a quella delle
altre ditte presenti sul mercato di riferimento, ergendosi
solo in tale caso essa a titolare di un interesse legittimo
giudizialmente tutelato, che la abilita a sindacare la
legittimità degli esiti della gara alla quale ha dimostrato
in concreto di voler prendere parte. (cfr. C.d.S. V Sez.,
23.08.2004 n. 5572; id., 04.05.2004 n. 2705; id., TAR Milano
sez. III, 17.05.2004 n. 1713) (TAR Lombardia-Milano, Sez.
III,
sentenza 08.11.2006 n. 2108
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EDILIZIA
PRIVATA: Opere
abusive - Ordinanza di demolizione - Motivazione - Non
necessità - Mantenimento dell'opera - Eccezionalità -
Motivazione - Necessità.
L'ordinanza di demolizione di opere abusive
costituisce atto dovuto al verificarsi dei presupposti ivi
indicati e consistenti nell'accertata abusività del
manufatto per assenza del titolo concessorio e, di
conseguenza, detto provvedimento sanzionatorio non necessita
di valutazione e di motivazione in ordine all' interesse
pubblico alla demolizione.
E' invece il mantenimento dell'opera ad avere carattere
eccezionale, necessitando di un'apposita valutazione,
rimessa dall'art. 7 co. 5 L. 47/1985, al Consiglio comunale;
tale valutazione attiene al merito dell'azione
amministrativa e come tale non è sindacabile in sede di
legittimità, salvo sia data la dimostrazione di profili di
manifesta arbitrarietà, illogicità o irragionevolezza (TAR
Lombardia-Brescia,
sentenza
08.11.2006 n. 1387
- massima tratta da www.solom.it - link a
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EDILIZIA
PRIVATA: Cabina
elettrica di trasformazione- Procedura autorizzativa ex LR
52/1982 - Disciplina edilizia - Rapporto - Posizionamento in
manufatto abusivo - Mantenimento - Non è necessario.
Tra la procedura autorizzativa di una cabina elettrica di
trasformazione e la disciplina edilizia dei manufatti ove
questo è localizzato, esiste un rapporto di interferenza,
che il legislatore regionale ha risolto prevedendo che
l'autorizzazione all'impianto presupponga la regolarità
edilizia delle opere, come si evince dall'art. 5, co. 1,
L.R. 52/1982, che espressamente dispone che la costruzione
di opere edilizie adibite a stazioni e cabine elettriche è
subordinata alla concessione edilizia prevista dall' art. 1
della L. 10/1977 rilasciata ai sensi dell' art. 9, lett. f)
della suddetta legge.
Pertanto, dalle circostanze che la procedura autorizzativa
dell'impianto si fosse a suo regolarmente perfezionata o che
nell'ambito di questa il Comune avesse espresso parere
favorevole ovvero ancora che compete ad altro ente, diverso
dal Comune, l'emanazione del provvedimento necessario alla
modifica della sua localizzazione, non può inferirsi
l'inderogabile necessità di mantenere la cabina di
trasformazione in un manufatto abusivo (TAR
Lombardia-Brescia,
sentenza
08.11.2006 n. 1387
- massima tratta da www.solom.it - link a
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APPALTI: 1.
Esclusione per aver formulato un'offerta più alta rispetto
al prezzo a base d'asta - Impugnazione - Carenza di
interesse - Non sussiste - Direttiva 89/665 -
Interpretazione della Corte di Giustizia CEE.
2. Prezzo a base d'asta - Garanzia di rispetto del costo del
lavoro - Necessità;
3. Annullamento procedura concorsuale - Risarcimento in
forma specifica - Rinnovazione procedure di gara.
1. Non può essere considerato inammissibile per
difetto di interesse il ricorso proposto da un concorrente
contro la determinazione di esclusione da una gara per aver
presentato un'offerta più alta rispetto al prezzo posto a
base d'asta. A tal proposito, la Corte di giustizia CEE ha
infatti statuito che, ai sensi dell'art. 1, n. 3, della
direttiva 89/665, gli Stati membri sono tenuti a garantire
che le procedure di ricorso da essa previste siano
accessibili "per lo meno" a chiunque abbia o abbia
avuto interesse a ottenere l'aggiudicazione di un
determinato appalto pubblico e che sia stato o rischi di
essere leso a causa di una violazione denunciata del diritto
comunitario in materia di appalti pubblici o delle
disposizioni nazionali che attuano tale diritto (cfr.
sentenza 12.02.2004 resa nel procedimento C 230/02).
Ha altresì osservato, sempre con riguardo all'art. 1, n. 3,
della direttiva 89/665, che la partecipazione ad un
procedimento di aggiudicazione di un appalto può, in linea
di principio, validamente costituire una condizione
sufficiente a dimostrare che il ricorrente ha interesse
all'aggiudicazione dell'appalto di cui trattasi.
2. Alla stregua della disciplina di cui all'art. 1
della legge 07.11.2000 n. 327, la stazione appaltante nel
procedere alla determinazione delle condizioni economiche da
porre a base d'asta è tenuta a garantire un livello idoneo a
consentire il rispetto del costo del lavoro risultante dalla
contrattazione collettiva. Inoltre, per procedere
all'individuazione del prezzo base per valutare
l'attendibilità delle offerte, deve farsi riferimento ad un
unico contratto di categoria e, in particolare, a quello
direttamente applicabile al settore di pertinenza
dell'appalto, ovvero, ma solo in mancanza di questo, a
quello del settore più affine.
3. La pronuncia di annullamento della procedura
concorsuale, da cui deriva l'obbligo dell'amministrazione di
procedere all'indizione di una nuova procedura per
l'affidamento del servizio appaltato, assicura la
reintegrazione in forma specifica nella situazione
soggettiva lesa dai provvedimenti impugnati, per cui non
deve riconoscersi alcuna altra forma di risarcimento per
equivalente (cfr C.d.S. VI 04.09.2002 n. 4435) (TAR
Lombardia-Milano, Sez. III,
sentenza
06.11.2006 n. 2102
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APPALTI: 1.
Bando di gara - Clausole immediatamente lesive - Onere di
tempestiva impugnazione;
2. Esclusione da gara prima della sua ultimazione -
Impugnazione esclusione - Obbligo notifica ai partecipanti -
Non sussiste;
3. Mancata enunciazione chiara nella lex specialis delle
clausole di esclusione - Illegittimità dell'esclusione.
1. Costituisce principio di diritto consolidato che
le clausole del bando, per le quali sussiste un onere di
immediata impugnazione, sono quelle che contemplano
requisiti soggettivi di partecipazione alla procedura
selettiva e che, come tali, impediscano in via immediata la
concreta partecipazione dell'impresa alla gara (cfr. C.d.S.,
Ad. Plen., 29.01.2003, n. 1).
In questa categoria di clausole non può farsi rientrare la
prescrizione contenuta in un bando di gara che, posta a base
della esclusione da parte dell'amministrazione appaltante,
prevedeva "che i concorrenti, con la richiesta di invito,
produrranno una dichiarazione di Banca o di Assicurazione
operante in Italia disponibile a rilasciare una garanzia
provvisoria (al concorrente) per la partecipazione alla gara
pari al 5% del valore complessivo dell'appalto, nonché, una
garanzia definitiva (all'aggiudicatario) pari a euro (.?)",
senza tuttavia statuire che tale documentazione dovesse
essere prodotta a pena di non ammissione alla gara.
2. Un consolidato orientamento giurisprudenziale
esclude che, nella fase antecedente lo sviluppo della gara e
l'individuazione dei soggetti (o del soggetto)
aggiudicatari, i soggetti terzi (concorrenti) abbiano un
qualificato interesse alla sua positiva evoluzione e,
pertanto, siano qualificabili come controinteressati (cfr.
TAR Puglia Lecce, sez. II, 18.10.2003, n. 6953; TAR Abruzzo
L'Aquila, 08.07.1999, n. 437). Invero, il provvedimento di
esclusione inerisce esclusivamente al rapporto tra
l'amministrazione ed il soggetto escluso, con la conseguenza
che gli altri partecipanti non assumono la veste di
contraddittori necessari.
3. La sanzione della esclusione da una procedura di
evidenza pubblica per la mancata produzione di documenti di
gara deve essere espressamente enunciata nelle disposizioni
della lex specialis o in una norma di legge o di
regolamento avente portata imperativa, in conformità al
principio di trasparenza ed al fine di evitare possibili
violazioni del principio della par condicio tra le imprese
partecipanti. Per giurisprudenza pacifica (ex multis:
TAR Piemonte Torino, sez. II, 08.11.2005, n. 3442; TAR
Molise Campobasso, 16.06.2005, n. 745) il rigore della
sanzione dell'esclusione esige che la stessa sia esplicitata
dall'amministrazione con formule univoche.
Altrettanto pacifica è la giurisprudenza nell'affermare che,
qualora il contenuto di una clausola del bando sia equivoco,
esso debba essere interpretato nel senso di privilegiare la
più ampia partecipazione alla gara (cfr. Consiglio Stato,
sez. V, 13.01.2005, n. 82; TAR Sicilia-Palermo, sez. III,
27.12.2005, n. 8432) (TAR Lombardia-Milano, Sez. III,
sentenza
23.10.2006 n. 2067
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APPALTI: Operatività
del principio favor partecipationis. Mancanza dei
presupposti. Illegittimità.
Il principio del favor partecipationis alle gare pubbliche,
inizialmente teorizzato dalla dottrina e successivamente
tipizzato dall'art. 6 della legge n. 241 del 1990 è
subordinato alla ricorrenza di precisi presupposti di fatto
in quanto il dovere di soccorso incombente sulla commissione
di gara non è un dovere assoluto ed incondizionato. Secondo
la giurisprudenza la possibilità di regolarizzare le
dichiarazioni e la documentazione mancante incontra i
seguenti limiti applicativi:
1) l'inderogabile necessità del rispetto della par condicio;
2) il c.d. limite degli elementi essenziali, nel senso che
la regolarizzazione non può essere riferita agli elementi
essenziali della domanda a meno che gli atti tempestivamente
prodotti e già in possesso dell'amministrazione
costituiscano ragionevole indizio del possesso del requisito
di partecipazione non espressamente documentato;
3) la regolarizzazione della documentazione dei requisiti di
partecipazione è ammessa solo nei casi di equivocità della
clausola del bando relativa alla dichiarazione o alla
documentazione da integrare o chiarire (cfr. C.d.S., sez. V,
06.03.2006, n. 1068) (TAR Lombardia-Milano, Sez. III,
sentenza 17.10.2006 n. 2011
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ATTI
AMMINISTRATIVI: Valutazioni
tecniche - Sindacato giudice amministrativo.
Secondo un risalente orientamento giurisprudenziale,
al giudice amministrativo è interdetto il sindacato diretto
sulle valutazioni tecniche degli organi amministrativi in
quanto, ove ammesso, si risolverebbe in un inammissibile
giudizio di tipo sostitutivo lesivo della sfera di autonomia
decisionale dell'amministrazione; al contrario il sindacato
giurisdizionale sull'impiego di regole tecniche alla
conoscenza ed all'apprezzamento dei fatti di rilevanza
procedimentale deve limitarsi alla verifica circa
l'attendibilità della soluzione prescelta dall'organo
procedente, verificando in particolare la correttezza del
criterio tecnico prescelto e del relativo procedimento
applicativo, ferma restando la possibilità di esercitare il
sindacato di tipo estrinseco, di natura logico-formale,
incentrata sul rispetto del principio di ragionevolezza (TAR
Lombardia-Milano, Sez. III,
sentenza 17.10.2006 n. 1999
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URBANISTICA: Variante
generale al piano regolatore - Reiterazione vincoli
urbanistici - Mancata motivazione - Non necessaria.
Stante la natura di atto generale ed in parte normativo del
piano regolatore e delle sue varianti generali, le scelte
urbanistiche di carattere generale ai sensi dell'art. 3,
comma 2, della l. 241/1990, non devono, di massima, essere
sorrette da altra motivazione oltre quella che è dato
evincere dall'esame dei criteri di ordine tecnico seguiti
per la redazione del piano.
La giurisprudenza ha precisato altresì che tra le ipotesi
che impongono una motivazione specifica delle scelte
contenute nello strumento urbanistico generale (superamento
degli standard minimi di cui al DM 02/04/1968; stipula di
convenzioni di lottizzazione o di accordi di diritto privato
tra il comune ed i proprietari delle aree e in generale
tutte le ipotesi in cui vi sia un affidamento qualificato
del privato da tutelare) non sono annoverabili quelle dei
proprietari delle aree soggette a vincoli urbanistici, non
potendosi configurare un'aspettativa qualificata ad una
destinazione edificatoria in relazione ad una precedente
determinazione dell'amministrazione (che ha gravato l'area
dal vincolo), ma soltanto un'aspettativa generica da una
reformatio in melius analoga a quella di ogni altro
proprietario di aree che aspira ad una utilizzazione più
proficua dell'immobile (C.d.S. Ad. Plen., 22.12.1999, n. 24)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. III,
sentenza 17.10.2006 n. 1998
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APPALTI: 1.
Appalti di servizi in ATI - Scostamento dai minimi tabellari
relativi al costo della manodopera - Mancata esclusione -
Legittimità.
2. Giudizio di non anomalia dell'offerta - Motivazione per
relationem - Sufficiente.
3. Continuità delle procedure concorsuali - Deroghe -
Ammissibilità.
4. Cooperative sociali - Deroghe in peius trattamento
economico soci lavoratori - Inammissibilità.
5. Principio di territorialità previdenziale - Derogabilità
a favore delle cooperative sociali - Inammissibile per
violazione principio di libera concorrenza.
6. Procedura selettiva - Mancata predeterminazione criteri
di valutazione - Obbligo p.a. di palesare iter logico
seguito per l'attribuzione del punteggio.
7. ATI - Requisiti tecnici - Valutazione del raggruppamento
nel suo complesso.
8. Modalità conservazione buste contenenti offerte
economiche - Custodia del pubblico ufficiale.
1. L'eventuale scostamento dai minimi tabellari
concernenti i costi della manodopera indicati nelle tabelle
FISE (Federazione imprese di servizi) non costituisce ex
se motivo di automatica esclusione dell'offerta ove, ai
sensi dell'art. 1 della l. 327/2000, le condizioni
economiche poste a base di gara risultino adeguate rispetto
al costo del lavoro come determinato periodicamente dal
Ministro del lavoro sulla base dei valori economici previsti
dalla contrattazione collettiva, delle norme in materia
previdenziale ed assistenziale, dei diversi settori
merceologici e delle differenti aree territoriali; tuttavia,
la stessa norma dispone, al quarto comma, che solo uno
scostamento evidente dai parametri stabiliti nelle tabelle
FISE possa determinare l'inaccettabilità dell'offerta che
esponga valori ad essi inferiori.
Ne deriva che i dati risultanti dalle tabelle FISE non
costituiscono misure inderogabili, ma si configurano quali
indici del giudizio di adeguatezza dell'offerta, cui la
stazione appaltante è tenuta a procedere in contraddittorio
con l'impresa interessata.
Non può disporsi l'esclusione di un'offerta sul presupposto
dell'inderogabilità dei minimi tabellari di cui trattasi,
dovendosi consentire all'impresa di rendere giustificazioni
in ordine ai costi della manodopera inferiori ai minimi
retributivi tabellari, rimettendo al giudizio della
commissione la stima della congruità di tali giustificazioni
(cfr. C.d.S. V 11.10.2002 n. 5497).
2. Il giudizio favorevole di non anomalia non
richiede una motivazione puntuale ed analitica, essendo
sufficiente una motivazione espressa per relationem
con rinvio alle giustificazioni fornite dall'offerente (ex
multis: C.d.S. IV, 15.11.2004 n. 7364; VI, 08.03.2004,
n. 1080; id., 06.08.2002, n. 4094; id., 03.04.2002, n.
1853).
3. Il principio di continuità delle procedure
concorsuali di cui all'art. 71 RD n. 827/1924, esige che le
gare di appalto siano espletate in unica seduta o in più
sedute immediatamente consecutive al fine di assicurare
l'assoluta indipendenza di giudizio della commissione di
gara sottraendola a possibili influenze esterne ed impedire
che i criteri di valutazione delle offerte vengano formulati
dopo la conoscenza delle stesse.
Tuttavia, il principio non viene violato, se le operazioni
di gara si svolgono con ragionevole celerità, anche se non
in un unico giorno o in pochi giorni consecutivi, purché la
fissazione dei criteri di valutazione delle offerte preceda
la conoscenza delle offerte medesime e venga rispettato il
principio di segretezza delle operazioni di gara fino alla
enunciazione dell'esito della stessa (cfr. C.d.S. VI,
16.11.2000 n. 6128; id., 02.02.2004 n. 324).
4. Ai sensi dell'art. 6 della l. 03.04.2001 n. 142,
il regolamento interno della cooperativa può contenere
disposizioni derogatorie in peius rispetto alle
previsioni dei contratti collettivi applicabili ai soci
lavoratori con rapporto di lavoro subordinato, salva
comunque l'osservanza del trattamento economico complessivo
minimo non inferiore ai minimi previsti, per prestazioni
analoghe, dalla contrattazione collettiva nazionale del
settore o della categoria affine previsto dall'art. 3, primo
comma, della stessa legge, con espressa sanzione di nullità
delle clausole derogatorie contrarie.
Come precisato nella circolare del Ministero del Lavoro
18.03.2004 n. 10, al socio lavoratore inquadrato con
rapporto di lavoro subordinato deve essere garantito un
compenso non inferiore ai minimi contrattuali non solo per
quanto riguarda la retribuzione di livello (tabellare o di
qualifica, contingenza, EDR), ma anche con riferimento alle
altre norme del contratto che prevedano voci retributive
fisse.
Ne deriva che l'indennità integrativa di malattia, prevista
dall'art. 51 CCNL Multiservizi, non essendo una voce che
concorre a definire il trattamento economico minimo di cui
all'articolo 3, può formar oggetto di deroghe in peius,
ragion per cui non può considerarsi nulla la previsione
relativa al "trattamento economico malattia maternità
infortunio", contenuta nel regolamento interno di una
società cooperativa, nella parte in cui riconosce agli
aventi diritto esclusivamente l'anticipazione delle
indennità a carico degli enti previdenziali e assicurativi,
senza prevedere alcuna integrazione a carico della
cooperativa stessa.
5. Il principio di territorialità, cui è improntato
il sistema previdenziale, impone di applicare il regime
normativo del luogo dove la prestazione è svolta (cfr. Cass.
Sez. Lav., 28.06.2004 n. 11979).
6. In tema di attribuzione di punteggi numerici, la
più recente giurisprudenza ha ritenuto che, in base al
principio di trasparenza cui l'intera attività
amministrativa deve conformarsi, nel caso in cui in una
procedura selettiva non siano stati predeterminati
rigidamente i criteri di valutazione delle offerte, deve
essere imposto alle commissioni giudicatrici, a pena di
illegittimità, di rendere percepibile l'iter logico seguito
nell'attribuzione del punteggio, se non attraverso diffuse
esternazioni relative al contenuto delle valutazioni, quanto
meno mediante taluni elementi che concorrano ad integrare e
chiarire la valenza del punteggio, esternando le ragioni
dell'apprezzamento sinteticamente espresso con l'indicazione
numerica (cfr., per il principio, C.d.S. VI 30.04.2003 n.
2331; id., 22.03.2004 n. 1458).
7. Il requisito di capacità tecnica deve essere
valutato con riferimento all'intero raggruppamento e non
alle sue singole componenti. Infatti, l'art. 15, co. 9, del
D.P.R. n. 34/2000, in caso di fusione o di altra operazione
che comporti il trasferimento di azienda o di un suo ramo,
consente al nuovo soggetto di avvalersi, ai fini della
qualificazione, dei requisiti posseduti dall'impresa
cedente.
In tale quadro, deve trovare quindi applicazione il
principio secondo cui, qualora la cessione del ramo
d'azienda intervenga prima della presentazione dell'offerta,
i requisiti necessari per la partecipazione alla gara devono
essere verificati con riferimento esclusivo all'impresa
cessionaria (TAR Lombardia, Milano, sez. III, 16.03.2005 n.
611).
8. L'affidamento della custodia ad un pubblico
ufficiale, stanti i penetranti obblighi di sorveglianza che
il munus impone, è misura idonea, in linea generale,
a proteggere il compendio consegnato dal pericolo di
indebita interferenza esterna (cfr. C.d.S. V, 02.09.2005 n.
4463) (TAR Lombardia-Milano, Sez. III,
sentenza 10.10.2006 n. 1983
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COMPETENZE PROGETTUALI: Se
è vero che spetta alla Soprintendenza ai
sensi dell’art. 18 L. n. 1089/1939
autorizzare i progetti delle opere
concernenti i beni sottoposti alla legge
stessa, il controllo del progetto -che mira
ad assicurare la conformità dell’intervento
alla salvaguardia del valore
storico-artistico del bene– non può non
estendersi anche alla verifica della
idoneità professionale del progettista (come
stabilita dal legislatore).
Non la totalità degli interventi concernenti
gli immobili di interesse storico e
artistico deve essere affidata alla
specifica professionalità dell’architetto,
ma solo <<le parti di intervento di edilizia
civile che riguardino scelte culturali
connesse alla maggiore preparazione
accademica conseguita dagli architetti
nell’ambito del restauro e risanamento degli
immobili di interesse storico e artistico>>;
restando invece nella competenza
dell’ingegnere civile la cd. parte tecnica,
cioè <<le attività progettuali e di
direzione dei lavori che riguardano
l’edilizia civile vera e propria …>>.
Le questioni sulle quali il Collegio deve
pronunciarsi possono essere riassunte nei
termini che seguono:
a) se la limitazione posta dall’art. 52 del
regolamento approvato con R.D. 23.10.1925,
n. 2537 (che riserva alla “professione di
architetto” “le opere di edilizia
civile che presentano rilevante carattere
artistico, e il restauro e il ripristino
degli edifici contemplati dalla legge
20.06.1909, n. 364” (poi legge
01.06.1939, n. 1089), salvo che la “parte
tecnica” che può essere compiuta anche
dall’“ingegnere), risulti o meno superata
dalla legislazione successiva;
b) se in virtù della direttiva CEE
10.06.1985, n. 384 (recepita in Italia con
D.Lgs. 27.01.1992, n. 129) debba ritenersi
che il titolo di ingegnere in ingegneria
civile sia ormai equiparato a quello di
architetto, ai fini dell’accesso alle
attività nel settore dell’architettura, con
il conseguente superamento della limitazione
posta dal citato art. 52 R.D. n. 2537/1925;
c) se appartenga o meno alla competenza
della Soprintendenza stabilire quando il
progetto delle opere di cui al citato art.
52 debba essere redatto da un ingegnere o da
un architetto.
Iniziando, per ordine logico, da
quest’ultimo profilo non può essere
condivisa la tesi sostenuta nell’atto di
appello dell’ing. Rauty, che ha negato il
potere della Soprintendenza di verificare la
paternità professionale del progetto
richiamandosi ad un risalente parere del
Consiglio di Stato (parere Cons. St.,
12.07.1969, n. 663/1968).
Se è vero infatti che spetta alla
Soprintendenza ai sensi dell’art. 18 L. n.
1089/1939 di autorizzare i progetti delle
opere concernenti i beni sottoposti alla
legge stessa, il controllo del progetto -che
mira ad assicurare la conformità
dell’intervento alla salvaguardia del valore
storico-artistico del bene– non può non
estendersi anche alla verifica della
idoneità professionale del progettista (come
stabilita dal legislatore), secondo quanto
riconosciuto in un più recente parere di
questo Consiglio (Cfr. Cons. St. II,
23.07.1997, n. 386/1997).
Assodato, per quanto precede, che nella
fattispecie in esame il Soprintendente aveva
il potere di controllare se il progetto
presentato si conformasse alle regole in
tema di competenza professionale, si tratta
di stabilire se la disposizione contenuta
nell’art. 52 del Regolamento per la
professione di ingegnere e di architetto
(approvato con R.D. n. 2537/1925) debba
considerarsi abrogata, come hanno
prospettato gli odierni appellanti.
Nella ordinanza n. 2379 dell’11.05.2005, con
la quale era stato rimesso alla Corte di
Giustizia delle Comunità Europee di decidere
pregiudizialmente sulla interpretazione
della direttiva comunitaria n. 384/1985, la
Sezione ha già riconosciuto che tale
asserita abrogazione non può essere
comprovata facendo riferimento al T.U. del
1933 sulla istruzione superiore (art. 173 e
tabelle allegate), ove il legislatore si è
limitato ad equiparare le lauree di
architettura e di ingegneria civile in
funzione dell’accesso alla professione di
architetto; e neppure richiamando la legge
07.12.1961, n. 1264 (art. 15, 3° comma) che,
laddove prevede come requisito per ricoprire
il ruolo di architetto presso le
Soprintendenze il possesso della laurea in
architettura o in ingegneria civile, non
stabilisce con ciò alcuna equipollenza tra
le due lauree ai fini dello svolgimento
della attività professionale.
Occorre aggiungere che la ripartizione delle
competenze professionali tra architetto e
ingegnere, come delineata nel citato art.
52, R.D. n. 2537/1925, non è venuta meno per
effetto della normativa successiva che ha
innovato la disciplina per il conseguimento
del titolo di architetto e di ingegnere.
È bensì vero infatti che nel 1925 per
conseguire tali titoli era sufficiente il
semplice diploma di istruzione secondaria (e
non già il diploma di laurea), e che
nell’attuale ordinamento universitario il
laureato in ingegneria civile deve avere
acquisito una specifica preparazione anche
nel campo dell’architettura, talché potrebbe
ritenersi ormai anacronistica la limitazione
posta dal citato art. 52 alla competenza
professionale dell’odierno laureato in
ingegneria, e in ogni caso meritevole di
essere adeguata alla mutata disciplina delle
professioni di architetto e di ingegnere
civile.
Nondimeno la norma in questione, nella
misura in cui vuole garantire che a
progettare interventi edilizi su immobili di
interesse storico-artistico siano
professionisti forniti di una specifica
preparazione nel campo delle arti, e
segnatamente di un adeguata formazione
umanistica, deve ritenersi tuttora vigente.
Fermo restando che, alla stregua della
anzidetta disposizione, non la totalità
degli interventi concernenti gli immobili di
interesse storico e artistico deve essere
affidata alla specifica professionalità
dell’architetto, ma solo <<le parti di
intervento di edilizia civile che riguardino
scelte culturali connesse alla maggiore
preparazione accademica conseguita dagli
architetti nell’ambito del restauro e
risanamento degli immobili di interesse
storico e artistico>>; restando invece
nella competenza dell’ingegnere civile la
cd. parte tecnica, cioè <<le attività
progettuali e di direzione dei lavori che
riguardano l’edilizia civile vera e propria
…>> (in questi termini Cons. St. II, n.
2038/2002 del 24.11.2004).
Si deve infine passare alla questione sulla
quale si è maggiormente incentrato il
giudizio, vale a dire se la direttiva
comunitaria 10.06.1985, n. 384 abbia
determinato la equiparazione dei titoli di
architetto e di ingegnere civile ai fini
dell’esercizio delle attività professionali
nel campo della architettura, con
conseguente superamento della normativa
racchiusa nell’art. 52 R.D. cit..
Al riguardo giova premettere che gli artt. 2
e segg. della direttiva dettano le norme per
il reciproco riconoscimento dei titoli di
studio conseguiti dai cittadini degli Stati
membri a conclusione di studi universitari
riguardanti l’architettura, introducendo
anche un regime transitorio di reciproco
riconoscimento di taluni titoli
tassativamente indicati.
Tra i titoli che beneficiano di tale
riconoscimento automatico l’art. 11 menziona
per l’Italia:
<<- i diplomi di “laurea in architettura”
rilasciati dalle università, dagli istituti
politecnici e dagli istituti superiori di
architettura di Venezia e di Reggio
Calabria, accompagnati dal diploma di
abilitazione all’esercizio indipendente
della professione di architetto, rilasciato
dal ministro della Pubblica Istruzione una
volta che il candidato abbia sostenuto con
successo, davanti ad un’apposita
Commissione, l’esame di Stato che abilita
all’esercizio indipendente della professione
di architetto (dott. architetto);
- i diplomi di “laurea in ingegneria” nel
settore della costruzione civile rilasciati
dalle università e dagli istituti
politecnici, accompagnati dal diploma di
abilitazione all’esercizio indipendente di
una professione nel settore
dell’architettura, rilasciato dal ministro
della Pubblica Istruzione una volta che il
candidato abbia sostenuto con successo,
davanti ad un’apposita Commissione, l’esame
di Stato che lo abilita all’esercizio
indipendente della professione (dott. ing.
architetto o dott. ing. in ingegneria civile>>.
Con la ordinanza n. 2379 dell’11.05.2005 la
Sezione ha rimesso alla Corte di Giustizia
delle Comunità Europee di decidere
pregiudizialmente se per effetto della
applicazione degli artt. 10 e 11 della
Direttiva dovesse ritenersi attuata
nell’ordinamento interno la equiparazione
anzidetta. Con la stessa ordinanza si
sottoponeva alla Corte di Giustizia la
prospettazione degli odierni appellanti
secondo cui, in difetto di una siffatta
equiparazione, la normativa italiana avrebbe
potuto dar luogo ad una discriminazione alla
rovescia poiché, diversamente dagli
ingegneri civili che hanno conseguito il
titolo rilasciato in Italia, i soggetti in
possesso di un titolo di ingegnere civile
rilasciato da altro Stato membro avrebbero
accesso (ove tale titolo sia menzionato
nell’elenco di cui all’art. 11 della
Direttiva) alle attività che in Italia sono
riservate agli architetti, ai sensi del
ripetuto art. 52 R.D. n. 2537/1925.
Ma alla ordinanza della Sezione la Corte ha
risposto trasmettendo la decisione già
assunta in fattispecie del tutto identica a
quella in esame, nella quale si afferma che
<<la Direttiva 85/384 non si propone di
disciplinare le condizioni di accesso alla
professione di architetto, né di definire la
natura delle attività svolte da chi esercita
tale professione>>; ma ha invece ad oggetto
solamente <<il reciproco riconoscimento, da
parte degli Stati membri, dei diplomi, dei
certificati e degli altri titoli rispondenti
a determinati requisiti qualitativi e
quantitativi minimi in materia di formazione
allo scopo di agevolare l’esercizio
effettivo del diritto di stabilimento e di
libera prestazione dei servizi per le
attività del settore della architettura…>>.
In definitiva, secondo la Corte, la
direttiva non impone allo Stato membro di
porre i diplomi di laurea in architettura e
in ingegneria civile indicati all’art. 11 su
un piano di perfetta parità per quanto
riguarda l’accesso alla professione di
architetto in Italia; né tantomeno può
essere di ostacolo ad una normativa
nazionale che riservi ai soli architetti i
lavori riguardanti gli immobili d’interesse
storico-artistico sottoposti a vincolo.
Alla stregua delle conclusioni formulate
dalla Corte deve dunque ritenersi infondata
la tesi degli appellanti secondo cui la
disposizione dell’art. 52 R.D. cit. sarebbe
stata superata dalla direttiva comunitaria.
Residua il problema, prospettato nella
stessa pronuncia della Corte di Giustizia,
se la disposizione in questione per effetto
della direttiva comunitaria realizzi una
discriminazione vietata dal diritto
nazionale in relazione al trattamento che
sarebbe riservato a chi è in possesso di uno
dei titoli di ingegneria civile elencati
all’art. 11 della direttiva; e se dunque
possa essere sospettata di illegittimità
costituzionale per contrasto con gli artt.
3, 35 e 41 Cost. secondo quanto sostenuto
dalle parti appellanti.
Ma siffatti dubbi non hanno ragion d’essere
ove si consideri che la stessa Corte di
Giustizia ritiene che la direttiva non
imponga allo Stato membro di porre su un
piano di perfetta parità i diplomi di laurea
in architettura e in ingegneria civile per
quanto riguarda l’accesso all’attività di
architetto in Italia.
In altri termini, dalla applicazione della
direttiva non consegue affatto che chi è in
possesso di un diploma di laurea in
ingegneria civile conseguito in un altro
Stato della Comunità possa accedere
all’esercizio di attività professionali
riservate specificatamente agli architetti
(secondo la legislazione italiana), a
differenza di chi tale titolo abbia
conseguito in Italia.
Alla stregua delle considerazioni che
precedono i due atti di appello all’esame
del Collegio vanno respinti dovendosi
riconoscere che nelle fattispecie in
questione la Soprintendenza ha correttamente
applicato la disposizione di cui all’art. 52
R.D. n. 2537/1925
(Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 11.09.2006 n. 5239 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
AGGIORNAMENTO
AL 13.01.2012 |
ã |
GURI - GUUE -
BURL (e anteprima) |
EDILIZIA PRIVATA: B.U.R.
Lombardia, serie ordinaria n. 2 del
13.01.2012, "Criteri e procedure per
l’esercizio delle funzioni amministrative in
materia di beni paesaggistici in attuazione
della legge regionale 11.03.2005, n. 12 -
Contestuale revoca della d.g.r. 2121/2006" (deliberazione
G.R. 22.12.2011 n. 2727).
---------------
Nuovi criteri regionali per il paesaggio.
Da oggi in vigore i nuovi criteri e
procedure per l’esercizio delle funzioni
paesaggistiche approvati con la DGR n. IX/2727
del 22.12.2011.
Con la pubblicazione sul BURL n. 2 del
13.01.2012 del provvedimento regionale
entrano in vigore, sostituendo quelli
approvati nel 2006, i nuovi criteri
regionali che costituiscono il riferimento
per tutti gli Enti locali lombardi dettando
criteri, indirizzi e procedure per il
miglior esercizio delle competenze
paesaggistiche.
Le principali novità sono costituite dalla
complessiva maggior chiarezza espositiva,
dall’illustrazione del percorso metodologico
che tiene conto delle disposizioni del Piano
Paesaggistico Regionale approvato nel 2010,
dall’indicazione di criteri paesaggistici
per alcune specifiche categorie di opere ed
interventi, dalla chiara declinazione
dell’attribuzione delle competenze
paesaggistiche agli Enti locali, dalla
rappresentazione, anche tramite l’utilizzo
di diagrammi di flusso, delle fasi del
percorso amministrativo per il rilascio
dell’autorizzazione paesaggistica, sia per
la procedura “ordinaria” che per quella
“semplificata”.
Infine costituiscono parte integrante del
provvedimento regionale le appendici al
documento che riportano la modulistica e la
documentazione per la presentazione dei
progetti (appendice A) e le schede degli
elementi costituivi del paesaggio (appendice
B).
Nelle prossime settimane i funzionari della
Struttura Paesaggio saranno impegnati, con
il supporto decisivo delle Sedi territoriali
regionali, nella divulgazione dei contenuti
di questo significativo provvedimento della
Giunta regionale.
Per maggiori informazioni:
struttura_paesaggio@regione.lombardia.it
luisa_pedrazzini@regione.lombardia.it
sergio_cavalli@regione.lombardia.it
angelo_guasconi@regione.lombardia.it
francesco_solano@regione.lombardia.it
(13.01.2012 - link a
www.regione.lombardia.it). |
CORTE DEI
CONTI |
INCARICHI PROFESSIONALI:
Rapporti di lavoro ed incarichi
legati al mandato del Sindaco/Presidente
della Provincia.
Secondo la Corte dei Conti, Sez. Giurisdiz.
d'Appello per la Regione Siciliana (sentenza
16.12.2011 n. 377) ogni causa di
cessazione dalla carica del Sindaco o del
Presidente della Provincia (anche
anticipata, per dimissioni) determina
automaticamente la decadenza dei
contratti/incarichi in oggetto; una loro
prosecuzione (anche temporanea ed anche per
assicurare una asserita necessità di
adeguato funzionamento amministrativo
all'ente) è illegittima oltre che foriera di
possibile danno erariale qualora si tratti
di incarichi extradotazione organica (tratto
da www.publika.it). |
AUTORITA'
VIGILANZA CONTRATTI PUBBLICI |
APPALTI: Debbono
ritenersi illogiche tutte le previsioni
contenute negli atti di gara tendenti ad
addossare sull’appaltatore non solo il
maggior onere di conferimento in discarica
dei rifiuti urbani, ma anche una ulteriore
sanzione pecuniaria applicabile
semplicemente in ragione del mancato
raggiungimento dell’obiettivo del 35%, a
prescindere da qualsiasi inadempimento
contrattuale.
In funzione di ciò, va considerata illogica
anche la prescrizione che impone, a pena di
esclusione, di accettare la clausola di
recesso anticipato dal contratto la quale
opera a giudizio insindacabile
dell’Amministrazione e, quindi, a
prescindere dall’accertamento di
responsabilità in capo all’impresa
appaltatrice, anche se è prevista una
procedimentalizzazione del recesso mediante
una fase in contraddittorio
(parere
di precontenzioso 22.06.2011 n. 125 -
link a www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI: L’esclusione
deve essere espressamente comminata da una
previsione della lex specialis di
gara e non può dipendere, genericamente,
dalla violazione di una qualsiasi
prescrizione del bando. Deve così ritenersi
illegittima l’esclusione dalla gara di un
concorrente che aveva utilizzato la modalità
della consegna diretta dell’offerta a fronte
di una clausola del bando che prescriveva la
presentazione attraverso la posta o a mezzo
dei servizi privati di recapito postale ma
non vietava espressamente la consegna
diretta, ritenendo che in assenza di un
espresso divieto della consegna diretta,
tale clausola dovesse essere intesa come
indicativa della possibilità di tale
consegna.
Pertanto, l’inosservanza di una determinata
prescrizione della lex specialis
circa le modalità di presentazione
dell’offerta implica l’esclusione del
concorrente solo quando si tratti di
clausole rispondenti ad un particolare
interesse dell’Amministrazione appaltante o
le stesse siano poste a garanzia della par
condicio dei concorrenti e del correlato
principio di segretezza delle offerte,
giacché tra più interpretazioni delle norme
di gara è da preferire quella che conduca
alla partecipazione del maggior numero
possibile di aspiranti, al fine di
consentire, nell’interesse pubblico, una
selezione più accurata tra un ventaglio più
ampio di offerte
(parere
di precontenzioso 22.06.2011 n. 123 -
link a www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI SERVIZI: In
tema di analisi del bando di gara si ritiene
che la stazione appaltante può ivi
legittimamente prevedere, ai fini della
dimostrazione della capacità tecnica, che i
concorrenti abbiano svolto servizi identici
a quello oggetto dell’appalto, purché
l’identità dei servizi sia chiaramente ed
inequivocabilmente espressa e risponda ad un
precipuo interesse dell’amministrazione.
Si riconosce, inoltre alla stazione
appaltante un apprezzabile margine di
discrezionalità nel richiedere requisiti di
capacità economica, finanziaria e tecnica
ulteriori e più severi rispetto a quelli
stabiliti dalla legge (artt. 41 e 42 del
D.Lgs. n. 163/2006), con il limite del
rispetto dei principi di proporzionalità e
ragionevolezza; sicché, non è consentito
pretendere il possesso di requisiti
sproporzionati o estranei rispetto
all’oggetto della gara. In tal senso,
pertanto, sono da considerare legittimi i
requisiti richiesti dalle stazioni
appaltanti che, pur essendo ulteriori e più
restrittivi di quelli previsti dalla legge,
rispettino il limite della logicità e della
ragionevolezza e, cioè, della loro
pertinenza e congruità a fronte dello scopo
perseguito. Tali requisiti possono essere
censurati solo allorché appaiano viziati da
eccesso di potere, ad esempio per illogicità
o per incongruenza rispetto al fine pubblico
della gara.
Peraltro, lo stesso controllo
giurisdizionale (eventuale) sulle clausole
del bando è controllo così detto esterno e
si limita ad una verifica dell'assenza di
elementi di irragionevolezza palese, che nel
caso in esame non sembrano. Ebbene, sotto il
profilo dei richiamati canoni di
ragionevolezza e proporzionalità, appare del
tutto legittimo che la S.A., nell’esercizio
dell’ampia discrezionalità di cui è
indubbiamente titolare in materia, richieda
ai concorrenti il requisito in argomento,
proprio in considerazione dell’evidente
specificità della gestione del servizio
oggetto dell’appalto e della correlata
specifica idoneità professionale richiesta
al gestore. In questo senso, la clausola del
bando che non si presta ad equivoci di sorta
circa l’esperienza professionale richiesta,
non può certo dirsi arbitraria, stando in
tutta evidenza a significare la particolare
qualificazione professionale del gestore
nello specifico settore oggetto
dell’appalto.
In sostanza, è necessario che la
discrezionalità della stazione appaltante,
nella fissazione dei requisiti, sia
esercitata in modo tale da non correre il
rischio di restringere in modo
ingiustificato lo spettro dei potenziali
concorrenti o di realizzare effetti
discriminatori tra gli stessi, in linea con
quanto stabilito dall’art. 44, par. 2 della
direttiva 2004/18/CE, secondo il quale i
livelli minimi di capacità richiesti per un
determinato appalto devono essere connessi e
proporzionati all’oggetto dell’appalto
stesso
(parere
di precontenzioso 22.06.2011 n. 122 -
link a www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI: La
portata delle clausole che comminano
l’esclusione in termini generali va valutata
alla stregua dell’interesse che la norma
violata è destinata a presidiare, per cui,
ove non sia ravvisabile la lesione di un
interesse pubblico effettivo e rilevante, va
accordata la preferenza al favor
partecipationis con applicazione del
principio di sanabilità delle irregolarità
formali e con conseguente attenuazione del
rilievo delle prescrizioni formali della
procedura concorsuale.
Costituisce, invero, principio pacifico e
consolidato quello secondo il quale, in
materia di aggiudicazione dei contratti
della pubblica amministrazione,
l’inosservanza delle prescrizioni del bando
-o della lettera di invito- implica
l’esclusione dalla gara (solo) quando si
tratti di prescrizioni rispondenti ad un
interesse dell’amministrazione appaltante e
poste a garanzia della par condicio dei
concorrenti sussistendo l’interesse pubblico
alla più ampia partecipazione alla gara.
In questa logica non può negarsi che il
concreto esercizio del potere discrezionale
della stazione appaltante debba essere
logicamente coerente con l’interesse
pubblico perseguito e come (anche) la
clausola del bando che commini l’esclusione
in termini generali ed onnicomprensivi debba
essere valutata alla stregua dell’interesse
che la norma violata è destinata a
presidiare, nonché tenendo conto della
rilevanza della lesione di un interesse
pubblico effettivo e rilevante.
Si tratta, all’evidenza, di un’impostazione
sostanzialistica protesa a superare le mere
irregolarità, con esse intendendosi quelle
carenze assolutamente inidonee ad influire
sulla certa conoscenza dello stato dei fatti
da parte della pubblica amministrazione,
atteso che il vizio di forma può invalidare
l’atto solo laddove obiettivamente impedisca
il conseguimento del risultato
(parere
di precontenzioso 22.06.2011 n. 121 -
link a www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI: L'amministrazione
può disporre la regolarizzazione della
documentazione quando gli atti,
tempestivamente depositati, contengano
elementi che possano costituire un indizio e
rendano ragionevole ritenere sussistenti i
requisiti di partecipazione.
Di guisa che, l'Amministrazione non può, in
tal caso, pronunciare tout-court
l'esclusione dalla procedura, ma è tenuta a
richiedere al partecipante di integrare il
contenuto di un documento già presente,
costituendo siffatta attività acquisitiva un
ordinario “modus procedendi”,
ispirato all'esigenza di far prevalere la
sostanza sulla forma
(parere
di precontenzioso 22.06.2011 n. 116 -
link a www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI: La
certificazione di qualità non è annoverata
né tra i requisiti speciali, per i quali è
consentito l’avvalimento, né tra i requisiti
generali, per i quali non è consentito l’avvalimento,
conseguentemente la vexata quaestio
può trovare una soluzione soltanto
delineando la natura giuridica della
certificazione di qualità.
Al riguardo va osservato che quest’ultima
conosce sia a livello europeo (art. 49
Direttiva 18/2004/CE) sia a livello
nazionale (art. 43 D.Lgs. 163/2006) una
disciplina specifica e distinta rispetto a
quella dettata per i requisiti di
partecipazione, volta in primo luogo a
chiarire che il documento in questione
attesta “l’ottemperanza dell’operatore
economico a determinate norme in materia di
garanzia di qualità” (cfr. art. 49
Direttiva 2004/18 e art. 43 d.lgs. n.
163/2006). Tali norme sono identificate a
livello europeo con l’acronimo ISO 9001 e
definiscono i principi che l’imprenditore
deve seguire nel sistema di gestione per la
qualità dell’organizzazione, senza limitare
la libertà organizzativa dell’imprenditore.
Ne deriva che la certificazione di qualità
ISO 9001 non copre il prodotto realizzato o
il servizio/la lavorazione resi, ma attesta
che l’imprenditore opera in conformità a
specifici standard internazionali per quanto
attiene alla qualità dei processi produttivi
della propria azienda. La certificazione in
esame, quindi, è astrattamente qualificabile
come un requisito soggettivo, in quanto
attiene ad uno specifico “status”
dell’imprenditore; ma che trova fondamento e
radici nella concreta organizzazione
aziendale, consistendo nell’aver ottemperato
alle prescrizioni normative preordinate a
garantire la qualità nell’esecuzione delle
prestazioni contrattuali.
Muovendo da tale premessa, si ritiene di
interpretare l’art. 49 del D.Lgs. n.
163/2006 come non ostativo all’avvalimento
della certificazione di qualità ISO 9001
soltanto ove insieme alla stessa
certificazione venga “prestata”
l’organizzazione aziendale che ne funge da
presupposto oggettivo. Questo indirizzo
appare condiviso anche dalla giurisprudenza
amministrativa più recente (Consiglio di
Stato, Sez. III, n. 2344 del 18.04.2011, Tar
Piemonte, Sez. I, n. 224 del 15.01.2010),
che ha ammesso l’avvalimento della
certificazione di qualità a condizione che
quest’ultima non sia avulsa dalle risorse
alle quali è collegata
(parere
di precontenzioso 22.06.2011 n. 115 -
link a www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI: Qualora
la lex specialis commini
espressamente l’esclusione dalla gara in
conseguenza di determinate prescrizioni,
l’Amministrazione è tenuta a dare precisa ed
incondizionata esecuzione a dette
prescrizioni, restando preclusa
all’interprete ogni valutazione circa la
rilevanza dell’inadempimento, la sua
incidenza sulla regolarità della procedura
selettiva e la congruità della sanzione
contemplata nella lex specialis, alla
cui osservanza la stessa Amministrazione si
è autovincolata al momento del bando
(parere
di precontenzioso 22.06.2011 n. 114 -
link a www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI: Quando
la stazione appaltante individua negli atti
di gara un criterio per la formulazione dei
ribassi percentuali delle offerte,
stabilendo il numero massimo delle cifre
decimali ammesse dopo la virgola (due),
detto criterio deve essere osservato per le
offerte di tutti i partecipanti alla gara.
Tuttavia, il metodo previsto per la
formulazione dei ribassi percentuali delle
offerte, in mancanza di un’apposita
previsione della lex specialis della
gara, non si applica automaticamente anche
al calcolo della soglia di anomalia.
Conseguentemente, la S.A. non essendo
autovincolata ad utilizzare nella
determinazione della soglia di anomalia, con
riferimento al numero delle cifre decimali
ammesse, lo stesso criterio espressamente
stabilito per la formulazione dei ribassi
(limitazione a due cifre decimali), può
discrezionalmente utilizzare nella
determinazione di detta soglia un numero di
decimali più ampio ed omogeneo, tale da non
falsare il risultato del calcolo e da non
avvantaggiare alcun concorrente
(parere
di precontenzioso 22.06.2011 n. 113 -
link a www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI: In
caso di clausola espressa di esclusione, la
stazione appaltante è tenuta al rispetto
delle norme cui si è autovincolata e che
essa stessa ha emanato sulla base di un
giudizio di utilità procedimentale.
Sul punto, la stessa giurisprudenza del
Consiglio di Stato non ha mancato di
chiarire che “Nelle gare pubbliche le
regole stabilite dalla lex specialis
vincolano rigidamente l'Amministrazione, la
quale è tenuta ad applicarle senza alcun
margine di discrezionalità nella loro
interpretazione, in applicazione del
principio di tutela della par condicio e del
principio generale che vieta la
disapplicazione del bando quale atto con il
quale l'Amministrazione si è in origine
autovincolata” (Cons. Stato, Sez. V,
29.01.2009, n. 498).
A maggior ragione la commissione di gara non
può interpretare discrezionalmente le norme
di gara quando queste, come nella
fattispecie, contengono espresse clausole a
pena di esclusione. Infatti, qualora il
bando commini espressamente l'esclusione
obbligatoria in conseguenza di determinate
violazioni, anche soltanto formali,
l'amministrazione è tenuta a dare precisa ed
incondizionata esecuzione a tali previsioni,
senza alcuna possibilità di valutazione
discrezionale circa la rilevanza
dell'inadempimento, l'incidenza di questo
sulla regolarità della procedura selettiva e
la congruità della sanzione contemplata
nella lex specialis, alla cui
osservanza la stessa amministrazione si è
autovincolata al momento dell'adozione del
bando.
Il formalismo che caratterizza la disciplina
delle procedure per l'aggiudicazione dei
contratti della pubblica amministrazione
risponde, infatti, da un lato ad esigenze
pratiche di certezza e celerità, dall'altro,
e soprattutto, alla necessità di garantire
l'imparzialità e la trasparenza dell'azione
amministrativa e la parità di condizioni tra
i concorrenti. D'altra parte, non poteva
ritenersi consentita la successiva
regolarizzazione della riscontrata
omissione, per cui l’opposto principio
richiamato dall’istante, volto a favorire la
più ampia partecipazione alle gare
pubbliche, ha, per quanto ne occupa,
carattere recessivo rispetto al principio
della par condicio.
Invero, la violazione di oneri formali
imposti a pena di esclusione dalla lex
specialis esprime la prevalenza del
principio di formalità collegato alla
garanzia della par condicio che non può
essere superato dall'opposto principio del
favor partecipationis
(parere
di precontenzioso 09.06.2011 n. 110 -
link a www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI: L’art.
38 del D.Lgs. n.163/2006 richiede che la
dichiarazione in ordine all'assenza di
condanne penali sia rilasciata –nel caso di
società di capitali– dai direttori tecnici e
dagli amministratori “muniti di poteri di
rappresentanza”, e dalla visura camerale
in atti, emergono i poteri di rappresentanza
dei procuratori speciali indicati nella
istanza di parere.
La locuzione “muniti di poteri di
rappresentanza” viene costantemente
interpretata (cfr., fra le ultime, TAR
Lazio, Roma, sez. I, 03.05.2010, n. 9132)
nel senso di includere, data l'ampia
formulazione utilizzata, nell'ambito di
applicazione della relativa norma, tutte le
persone fisiche che, essendo titolari del
potere di rappresentanza della persona
giuridica, risultano comunque in grado di
trasmettere, con il proprio comportamento,
la riprovazione dell'ordinamento nei
riguardi della loro personale condotta al
soggetto rappresentato. Pertanto, accertato
che i procuratori speciali indicati
dall’istante rientrano tra i soggetti che ai
sensi dell’art. 38 del D.Lgs. 163/2006 sono
tenuti a rendere le dichiarazioni attestanti
l’assenza delle cause di esclusione indicate
al comma 1, lettere b) e c), della presente
disposizione, si pone ora la questione
relativa alle conseguenza della omissione
segnalata.
A tale proposito si richiama l’orientamento
della giurisprudenza amministrativa secondo
cui “pur in assenza di una specifica
norma del bando, l’obbligo di formulare la
dichiarazione di inesistenza di procedimenti
penali in corso e di sentenze di condanna
sussiste anche nei confronti dei soggetti
vicari, titolari di poteri di rappresentanza
meramente ipotetici…” (Consiglio di
Stato Sez. V 15.01.2008 n. 36)
(parere
di precontenzioso 09.06.2011 n. 109 -
link a www.autoritalavoripubblici.it). |
LAVORI PUBBLICI: In
relazione all’art. 48 del Codice dei
contratti, si precisa che, se nella fase di
presentazione delle offerte devono essere
assicurate tutte le forme di semplificazione
procedimentale idonee a garantire,
coerentemente con le norme comunitarie, la
massima partecipazione alle gare degli
operatori economici, nella successiva fase
di controllo a campione è legittimo che la
stazione appaltante pretenda un onere
aggiuntivo di documentazione, onde evitare
un inutile duplicato della fase iniziale e
al fine di assicurare l’affidabilità
dell’offerta.
Inoltre, la dimostrazione documentale del
possesso dei requisiti economico-finanziari
e tecnico-organizzativi non risulta
necessaria nelle gare relative a lavori
pubblici di importo a base d’asta superiore
a € 150.000,00 in quanto la qualificazione
attestata dalla certificazione SOA è
sufficiente ad assolvere ogni onere
documentale circa la dimostrazione
dell’esistenza dei predetti requisiti, alla
luce di quanto disposto dall’art. 1, comma
3, del D.P.R. n. 34 del 2000.
Tale norma, ora confluita nell’art. 60 del
nuovo regolamento (D.P.R. 5 ottobre 2010, n.
207 in vigore dall’8 giugno 2011), dopo aver
disposto che la qualificazione è
obbligatoria per chiunque esegua lavori
pubblici affidati dalle stazioni appaltanti
di importo superiore a € 150.000,00 (comma
2), stabilisce che l’attestazione di
qualificazione rilasciata dalle SOA
costituisce condizione necessaria e
sufficiente per la dimostrazione
dell’esistenza dei requisiti di capacità
tecnica e finanziaria ai fini
dell’affidamento di lavori pubblici.
Per gli appalti di lavori pubblici di
importo superiore a € 150.000,00, per i
quali vige un sistema unico di
qualificazione disciplinato dall’art. 40 del
Codice dei contratti, non è applicabile la
verifica ex art. 48 del Codice dei contratti
in quanto l’attestato SOA costituisce la
prova dei requisiti di capacità
tecnico-organizzativa ed
economico-finanziaria e pertanto le stazioni
appaltanti ne verificano il possesso e la
validità temporale in capo a tutti i
concorrenti mediante l’accesso al casellario
informatico di questa Autorità. Unica
eccezione a tale regola è dettata per gli
appalti di importo superiore a €
20.658.276,00 per i quali l’art. 3, comma 6,
del D.P.R. n. 34 del 2000 (ora confluito
nell’art. 61 comma 6, del nuovo regolamento
di cui al D.P.R. n. 207/2010) prevede che il
concorrente, oltre a possedere
l’attestazione SOA nella categoria richiesta
con classifica VIII (appalti di importo
illimitato) deve aver realizzato, nel
quinquennio antecedente la data di
pubblicazione del bando, una cifra d’affari
non inferiore a tre volte (ora a 2,5 volte
ai sensi del citato art. 61,comma 6)
l’importo a base di gara ed è soggetto a
verifica da parte delle stazioni appaltanti.
Peraltro, nel caso in cui il partecipante
sia in possesso di valida attestazione SOA
relativa ad almeno una categoria attinente
alla natura dei lavori da appaltare, questi
sarà direttamente ammesso alle operazioni di
gara successive al sorteggio, mentre il
campione su cui effettuare la verifica sarà
pari almeno al 10% del numero dei
partecipanti, depurato da quelli in possesso
di qualificazione SOA.
In conclusione, quindi, il procedimento di
verifica ex art. 48 del Codice dei contratti
è quindi applicabile agli appalti di servizi
e di forniture nonché agli appalti di lavori
di importo inferiore a € 150.000,00 o
superiore a € 20.658.276,00
(parere
di precontenzioso 09.06.2011 n. 108 -
link a www.autoritalavoripubblici.it). |
LAVORI PUBBLICI:
Secondo quanto previsto all’art. 40 del
D.Lgs. n. 163/2006, il possesso
dell’attestato SOA è condizione ineludibile
di ammissione alle gare di evidenza pubblica
indette per l’aggiudicazione di appalti di
lavori di importo superiore ai 150.000 Euro,
mentre, per la partecipazione agli appalti
di valore pari o inferiore a 150.000 Euro, è
sufficiente che il concorrente sia in
possesso dei requisiti tecnico–organizzativi
di cui all’art. 28 del D.P.R. n. 34/2000.
Ne consegue, quindi, che anche qualora il
bando di gara richieda, come nella specie,
la presentazione dell'attestazione
rilasciata da una SOA per determinate
categorie e classifiche di lavorazioni (che
esimerebbe l'amministrazione da ogni
ulteriore accertamento circa l'effettivo
possesso dei requisiti di qualificazione),
nulla esclude che l'impresa che ne sia priva
possa comunque partecipare all'appalto in
forza dell'art. 28 del D.P.R. n. 34/2000,
con il conseguente obbligo della stazione
appaltante di procedere direttamente
all'accertamento dei requisiti
tecnico-organizzativi in tale disposizione
specificati
(parere
di precontenzioso 09.06.2011 n. 107
- link a www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI:
La mancata allegazione all’offerta della
dichiarazione di avvenuto sopralluogo, ove
prevista nel bando di gara a pena di
esclusione, comporta la legittimità
dell’esclusione medesima, non solo perché
quando il bando commini espressamente
l’esclusione dalla gara in conseguenza di
determinate prescrizioni, l’Amministrazione
è tenuta a dare precisa ed incondizionata
esecuzione a dette prescrizioni, restando
preclusa all’interprete ogni valutazione
circa la rilevanza dell’inadempimento, la
sua incidenza sulla regolarità della
procedura selettiva e la congruità della
sanzione contemplata nella lex specialis,
alla cui osservanza la stessa
Amministrazione si è autovincolata al
momento del bando, ma anche perché va
ribadita la particolare importanza del
momento del sopralluogo in relazione alla
formulazione dell’offerta, in quanto esso
mira a rafforzare il coinvolgimento del
futuro appaltatore nella valutazione della
prestazione richiesta e della situazione dei
luoghi, al fine di prevenire eccezioni e
riserve o eventuali ostacoli incontrati
nella attività di esecuzione del contratto.
D’altra parte, l’obbligo di sopralluogo a
carico dei concorrenti trova fondamento in
alcune disposizioni del regolamento generale
sui lavori pubblici di cui al D.P.R.
554/1999: da un lato l’art. 71, comma 2,
stabilisce che in sede di gara i concorrenti
devono dichiarare, tra l’altro di aver preso
visione dei luoghi; dall’altro, l’art. 79,
comma 5, impone un adeguato incremento dei
termini per la ricezione delle offerte nei
casi in cui le offerte possono essere fatte
solo a seguito di visita dei luoghi.
E sebbene in dottrina sia stata posta la
questione dell’effettiva portata di tali
disposizioni al fine di configurare un
obbligo al sopralluogo, il Consiglio di
Stato ha chiarito che l’art. 71, comma 2 del
D.P.R. 554/1999 impone al concorrente di
prendere visione dei luoghi a garanzia della
serietà dell’offerta. La stessa
giurisprudenza (ex plurimis, C.d.S.,
sez V, sentenza 07.07.2005 n. 3729) ha
affermato che alle predette disposizioni
possono corrispondere due distinti
adempimenti: la dichiarazione di sopralluogo
a cura del partecipante –che si configura
come un obbligo ope legis in forza
del citato art. 71– e il verbale di
sopralluogo a cura della stazione appaltante
nella persona del funzionario incaricato
–che invece può (e deve) essere richiesto da
una apposita statuizione del bando di gara.
Se, dunque, il sopralluogo garantisce la
serietà dell’offerta, la richiesta della
stazione appaltante nel Capitolato speciale
d’appalto di corredare l’offerta, pena
l’esclusione dalla gara, della
certificazione di avvenuto sopralluogo non
può, alla luce di quanto sopra specificato,
ritenersi viziata da formalismo in quanto
tale richiesta risponde ad un superiore e
specifico interesse pubblico
(parere
di precontenzioso 09.06.2011 n. 105
- link a www.autoritalavoripubblici.it). |
NEWS |
PUBBLICO IMPIEGO: Il Santo patrono rimane
festivo.
Tempo scaduto per il dpcm attuativo. Tutto
resta come prima. Lo chiarisce l'Anci. Il decreto con le
ricorrenze da fare slittare doveva arrivare
entro il 30/11.
I Santi patroni restano dove sono, almeno
per il 2012. E i giorni in cui si celebrano
continuano a essere considerati festivi se
ricadenti in giornate lavorative.
A
chiarirlo è il segretario generale dell'Anci,
Angelo Rughetti, che nella
nota 11.01.2012 è
intervenuto a dissipare i dubbi dei comuni
sull'applicazione di una delle norme più
controverse della manovra di Ferragosto.
Quell'art. 1, comma 24, che per scoraggiare
l'invalso costume dei ponti a cavallo delle
festività civili e religiose ha stabilito
che da quest'anno la gran parte delle
ricorrenze (con esclusione di quelle
concordatarie, del 25 aprile, del 1° maggio
e del 2 giugno) dovesse cadere la domenica
seguente oppure il venerdì precedente o il
lunedì successivo a quest'ultima.
Peccato che l'individuazione delle festività
da spostare sarebbe dovuta arrivare con un
decreto di palazzo Chigi da approvare in
tempo utile (entro il 30.11.2011)
prima dell'inizio del nuovo anno. La
scadenza è invece trascorsa invano e il 2012
è iniziato senza che i comuni sapessero la
sorte delle rispettive feste patronali. Un
particolare non da poco, visto che la
ricorrenza del Santo patrono è da
considerare giorno festivo a tutti gli
effetti.
Secondo l'Anci, in assenza del dpcm e dal
momento che la disposizione del dl 138/2011
«non apporta alcuna modifica alle date delle
ricorrenze, è da ritenere tuttora vigente la
disciplina contrattuale del comparto».
Diversamente, sottolinea l'Associazione
presieduta da Graziano Delrio, ci si
troverebbe davanti a una situazione di vuoto
normativo.
Per il comparto dei comuni, chiarisce la
nota dell'Anci, continua dunque a trovare
applicazione, l'art. 18, comma 6, del
Contratto nazionale di lavoro del 06.07.1995 secondo il quale la ricorrenza del
Santo patrono dell'ente in cui il dipendente
presta servizio è considerata giorno festivo
se cade in una giornata lavorativa
(articolo ItaliaOggi del 12.01.2012). |
VARI: Giudici di pace legati ai comuni.
Ma se l'ente è in mora per un anno cala il
sipario sull'ufficio. Lo schema di decreto
sulla soppressione aggancia il mantenimento
alla volontà dei sindaci.
Gli enti locali che hanno ottenuto il
mantenimento dell'ufficio del giudice di
pace sul quale pende la scure della
soppressione voluta dalla legge n. 148/2011,
non potranno fare i «furbetti». Infatti, se
si dovesse accertare che l'amministrazione
locale, per un periodo superiore a un anno,
non ha ottemperato all'obbligo di provvedere
con proprie risorse alle spese di
funzionamento della sede e a quelle relative
al personale amministrativo, calerà subito
il sipario sull'ufficio del giudice di pace.
È quanto si ricava dal testo della lettura
dello
schema di decreto legislativo sulla
«Revisione delle circoscrizioni
giudiziarie», redatto a norma dell'articolo
1, comma 2, della legge n. 148/2011, in
materia di riorganizzazione della
distribuzione sul territorio degli uffici
giudiziari, pubblicato ieri sul sito
internet del Ministero della giustizia, (di
cui ItaliaOggi ne ha anticipato i contenuti
sul numero del 22 dicembre scorso).
Come noto, per effetto delle disposizioni
contenute all'articolo 1, comma 2, della
legge n. 148/2011 (la norma di conversione
del decreto legge di Ferragosto), il governo
è delegato a mettere in pratica una
revisione delle circoscrizioni giudiziarie,
soprattutto in termini di soppressione degli
uffici del giudice di pace dislocati in
comuni di piccole-medie dimensioni.
Nelle intenzioni dell'esecutivo, questi
scompariranno per essere accorpati a quelli
ubicati nelle città di dimensioni maggiori.
L'obiettivo, non tanto celato, è quello di
«recuperare» circa 2 mila magistrati onorari
e un pari numero di personale amministrativo
da destinare negli organici dei tribunali e
delle procure della repubblica.
Allo schema sono allegate due tabelle. Nella
prima, è incluso il lungo elenco degli
uffici di giudice di pace che verranno
colpiti dal taglio. Nella seconda, vi sono
elencate le nuove distribuzioni territoriali
degli uffici accorpanti. Questi due elenchi
verranno pubblicati sul bollettino ufficiale
del Ministero della giustizia, oltre che sul
sito internet dello stesso dicastero.
Dalla
data di pubblicazione, entro il termine di
60 giorni, gli enti locali, anche
consorziati tra loro, potranno richiedere il
mantenimento della sede di cui si propone la
soppressione. A condizione, però, che gli
stessi enti si facciano carico delle spese
di funzionamento dell'ufficio e di quelle
relative all'erogazione del servizio
giustizia nelle relative sedi, incluso il
fabbisogno del personale amministrativo che
sarà messo a disposizione degli enti locali.
A carico del Ministero della giustizia,
resta l'organico del personale di
magistratura onoraria e la sola formazione
del personale amministrativo.
L'articolo 3
dello schema in esame prevede poi, una sorta
di «clausola di salvaguardia». In pratica,
si dispone che se l'ente locale (o gli enti
consorziati) non rispetti gli impegni
relativi al personale amministrativo e alle
spese di funzionamento, per un periodo
superiore a un anno, il dicastero di via Arenula non attenderà oltre disponendo
l'immediata soppressione dell'ufficio.
Infine, lo schema dispone che il personale
amministrativo in organico all'ufficio
soppresso, verrà riassegnato, in misura non
inferiore al 50% alla sede di tribunale o di
procura limitrofa e, nella restante parte,
all'ufficio del giudice di pace accorpante
(articolo ItaliaOggi del 12.01.2012). |
GIURISPRUDENZA |
EDILIZIA PRIVATA:
La costruzione ex novo di un
capannone prefabbricato in cemento armato in
zona agricola necessita del preventivo
permesso di costruire e non della DIA
giacché l’art. 60 della L.R. n. 12/2005
dispone espressamente -al primo comma– che
“Nelle aree destinate all'agricoltura, gli
interventi edificatori relativi alla
realizzazione di nuovi fabbricati sono
assentiti unicamente mediante permesso di
costruire”.
Conseguentemente, per la richiesta di
sanatoria di un abuso edilizio di che
trattasi va applicato l’art. 36 e non l’art.
37 del DPR n. 380/2001.
---------------
L’art. 36 del DPR
06.06.2001 n. 380 -al secondo comma– dispone
che “Il rilascio del permesso in sanatoria è
subordinato al pagamento, a titolo di
oblazione, del contributo di costruzione in
misura doppia, ovvero, in caso di gratuità a
norma di legge, in misura pari a quella
prevista dall'articolo 16.”.
E’ quindi evidente che la norma prevede che
il rilascio del permesso di costruire in
sanatoria sia subordinato al pagamento di
una somma di danaro anche per le ipotesi in
cui il permesso originariamente non
richiesto sia a titolo gratuito.
In altri termini, nel caso di permesso
oneroso il pagamento dell’oblazione ha
duplice funzione: a) di partecipazione agli
oneri urbanistici; b) di riparazione
pecuniaria del pregiudizio arrecato
all’ordinamento giuridico; mentre nel caso
di permesso gratuito svolge esclusivamente
la funzione di cui sub b).
Con il ricorso all’esame, l’Azienda agricola
... chiede l’annullamento degli atti con cui
il Comune di Suisio -nel rilasciare il
richiesto permesso di costruire in sanatoria
per la realizzazione sine titulo, in
zona agricola, di un capannone prefabbricato
ad uso deposito attrezzi e derrate agricole-
ha richiesto il pagamento dell’oblazione,
determinata in complessivi € 61.923,10.
...
Con il primo motivo la ricorrente Azienda
agricola ... afferma che erroneamente il
Comune ha qualificato l’intervento in
questione come assentibile solo mediante
permesso di costruire, mentre esso
rientrerebbe nel novero di quelli consentiti
dall’art. 62 LR 12/2005 (ampliamento
dell’attività agricola) per i quali può
essere presentata DIA, sicché non andava
applicato l’art. 36, ma l’art. 37 del DPR n.
380/2001 il quale non prevede l’oblazione.
Con il secondo motivo, afferma che -quand’anche
fosse applicabile l’art. 36 del DPR n.
380/2001-non sarebbe comunque dovuto il
pagamento dell’oblazione, in quanto proprio
l’art. 36 rimanda all’art. 16 del T.U. edil.
che, al c. 1, fa salvo quanto disposto
dall’art. 17, c. 3, vale a dire i casi in
cui non è dovuto il contributo di
costruzione sicché opererebbe la gratuità
spettante agli imprenditori agricoli in
forza dell’art. 62 della L.R. n. 12/2005.
I due motivi debbono essere disaminati
congiuntamente.
Occorre muovere dalla disciplina regionale
in tema di attività edificatoria.
L’art. 60 della L.R. n. 12/2005 dispone
espressamente -al primo comma– che “Nelle
aree destinate all'agricoltura, gli
interventi edificatori relativi alla
realizzazione di nuovi fabbricati sono
assentiti unicamente mediante permesso di
costruire;”.
L’intervento in questione è costituito dalla
costruzione ex novo di un capannone
prefabbricato in cemento armato, sicché
risulta un fuor d’opera il richiamo alla
disciplina di cui all’art. 62 della L.R. n.
12/2005 che attiene a interventi
sull’esistente e di piccole dimensioni.
Una volta chiarito che l’intervento edilizio
in questione non era assentibile a mezzo
dichiarazione d’inizio d’attività, va
rilevata la necessaria applicabilità alla
fattispecie della disposizione in tema di
rilascio di permesso in sanatoria dettata
dall’art. 36 del T.U. edil.
L’art. 36 del DPR 06.06.2001 n. 380 -al
secondo comma– dispone che “Il rilascio
del permesso in sanatoria è subordinato al
pagamento, a titolo di oblazione, del
contributo di costruzione in misura doppia,
ovvero, in caso di gratuità a norma di
legge, in misura pari a quella prevista
dall'articolo 16.”.
E’ quindi evidente che la norma prevede che
il rilascio del permesso di costruire in
sanatoria sia subordinato al pagamento di
una somma di danaro anche per le ipotesi in
cui il permesso originariamente non
richiesto sia a titolo gratuito.
In altri termini, nel caso di permesso
oneroso il pagamento dell’oblazione ha
duplice funzione: a) di partecipazione agli
oneri urbanistici; b) di riparazione
pecuniaria del pregiudizio arrecato
all’ordinamento giuridico; mentre nel caso
di permesso gratuito svolge esclusivamente
la funzione di cui sub b)
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 11.01.2012 n. 11 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
L’ordinanza di sospensione lavori
ha carattere temporaneo e provvisorio, si
fonda su di un'istruttoria sommaria ed i
suoi effetti sono destinati a venir meno o
perché venga accertata la legittimità dei
lavori in corso o perché vengano adottati
definitivi provvedimenti inibitori degli
stessi.
L'ordine di sospensione dei lavori non
costituisce necessario presupposto di
legittimità dell'ingiunzione a demolire, ben
potendo quest'ultima essere emanata
immediatamente all'esito dell'accertamento
della realizzazione di opere abusive, mentre
il potere di sospensione dei lavori in corso
è solo destinato ad evitare che la
prosecuzione dei lavori stessi determini un
aggravarsi del danno urbanistico.
Il decorso del termine dell'ordinanza, con
la quale è stata provvisoriamente disposta
la sospensione dei lavori, non fa venire
meno la potestà di irrogare sanzioni qualora
siano accertati, dopo il lasso di tempo in
discorso, fatti o elementi che integrino gli
estremi dell'abuso edilizio, non
verificandosi alcuna consumazione del potere
di controllo.
Il giudizio impugnatorio avverso le
ordinanze di sospensioni lavori –una volta
decorso il termine di efficacia della
stessa- diviene improcedibile.
L'ordinanza di sospensione dei lavori
abusivi, ex art. 27, c. 3, del DPR n. 380
del 2001, possiede una efficacia
temporalmente limitata, dato che essa “ha
effetto fino all'adozione dei provvedimenti
definitivi di cui ai successivi articoli, da
adottare e notificare entro 45 giorni
dall'ordine di sospensione dei lavori”.
Analogamente è a dirsi in relazione
all’ordinanza ex art. 20 della n. L.R.
14.08.1998 n. 14, il cui secondo comma
dispone che l'ordine di sospensione cessa di
avere efficacia se, entro 30 giorni dalla
sua notificazione al titolare
dell'autorizzazione, non siano notificati i
provvedimenti definitivi.
Più in generale, va ricordato che
l’ordinanza di sospensione lavori ha
carattere temporaneo e provvisorio, si fonda
su di un'istruttoria sommaria ed i suoi
effetti sono destinati a venir meno o perché
venga accertata la legittimità dei lavori in
corso o perché vengano adottati definitivi
provvedimenti inibitori degli stessi (cfr.
Cons. St., Sez. IV, 24.12.2008 n. 6550; Sez.
V, 29.11.2004 n. 7746 e 18.10.1996 n. 1255).
Inoltre, va richiamato l’insegnamento della
giurisprudenza secondo cui:
- l'ordine di sospensione dei lavori non
costituisce necessario presupposto di
legittimità dell'ingiunzione a demolire, ben
potendo quest'ultima essere emanata
immediatamente all'esito dell'accertamento
della realizzazione di opere abusive, mentre
il potere di sospensione dei lavori in corso
è solo destinato ad evitare che la
prosecuzione dei lavori stessi determini un
aggravarsi del danno urbanistico (cfr. TAR
Campania, sez. VI, 06.11.2008 n. 19290, TAR
Liguria, sez. I, 11.12.2007 n. 2050)
- il decorso del termine dell'ordinanza, con
la quale è stata provvisoriamente disposta
la sospensione dei lavori, non fa venire
meno la potestà di irrogare sanzioni qualora
siano accertati, dopo il lasso di tempo in
discorso, fatti o elementi che integrino gli
estremi dell'abuso edilizio, non
verificandosi alcuna consumazione del potere
di controllo (cfr. TAR Liguria cit. e TAR
Lazio, sez. I, 05.01.2011 n. 17).
Per conseguenza, secondo un costante
orientamento giurisprudenziale (cfr. ex
multis: TAR Lazio, sez. II, 11.09.2009 n.
8644, TAR Puglia, sez. III, 30.09.2010 n.
3524, TAR Lazio, sez. I, 16.07.2009 n.
7031), il giudizio impugnatorio avverso le
ordinanze di sospensioni lavori –una volta
decorso il termine di efficacia della
stessa- diviene improcedibile (TAR
Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 11.01.2012 n. 10 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
PUBBLICO IMPIEGO: Concorsi
interni e Riforma Brunetta.
Il Consiglio di Stato, Sez. V, con
sentenza 29.12.2011 n. 6981, vaglia una
procedura riservata a solo personale interno
bandita da un ente locale nel gennaio 2010.
Riformando la sentenza di primo grado,
evidenzia (sinteticamente) quanto segue:
- gli enti locali sono tenuti ad adeguare il
proprio ordinamento ai
principi contenuti nel D.Lgs. 150/2009, ivi
compresi quelli dell'art. 24
del medesimo decreto e a ciò dovevano
provvedere entro il 31.12.2010
(art. 31); conseguentemente, le disposizioni
del citato art. 24 non sono di
diretta ed immediata applicazione alle
autonomie locali;
- nelle more del predetto adeguamento, agli
enti locali era consentito
applicare le disposizioni previgenti;
- decorso il termine del 31.12.2010, in
assenza di adeguamento, l'art. 24
diviene di diretta, immediata e cogente
applicazione anche agli enti locali
(tratto da www.publika.it - link a
www.giustizia-amministrativa.it).). |
APPALTI SERVIZI:
Divieto delle società partecipate di
intervenire nel libero mercato.
Il divieto di intervenire nel libero mercato
e conseguentemente di partecipare alle gare
pubbliche è previsto dall’articolo 13 del
decreto Bersani (d.l. 04.07.2006, n. 223,
convertito con Legge 04.08.2006, n. 248)
nei confronti delle società partecipate da
amministrazioni pubbliche che svolgono
attività strumentale e funzionale a quella
svolta dagli enti partecipanti.
Così ha deciso il Consiglio di Stato, Sez. V, con la
sentenza 29.12.2011 n. 6974
nell’ambito di una gara per l’affidamento
del servizio di verifica degli impianti
termici dei comuni della provincia di Roma.
Nel caso in esame l’amministrazione
aggiudicatrice aveva proceduto ad affidare
il servizio ad una azienda che le ricorrenti
(seconda e terza classificata) desumevano
essere esposta al divieto di cui
all’articolo 13 del d.l. 04.07.2006, n.
223.
E’ necessario considerare che tale norma del
decreto Bersani prevede per le società a
capitale interamente pubblico o misto,
costituite o partecipate dalle
amministrazioni pubbliche per la produzione
di servizi strumentali alle attività da esse
svolte, il divieto di operare nel libero
mercato con l’impossibilità di svolgere
prestazioni a favore di soggetti pubblici o
privati, o di partecipare ad altre società o
enti.
Su quale debba essere l’esatta
interpretazione della norma la sentenza in
commento ha affermato che “Trattasi, come la
giurisprudenza ha già affermato, di
disposizione dal carattere eccezionale che
deve, quindi, essere interpretata in stretta
aderenza al suo dato letterale e senza
possibilità alcuna di applicazione oltre i
casi in essa previsti (Cons. Stato, sez. V,
22.03.2010, n. 1651; 07.07.2009, n.
4346; sez. VI, 16.01.2009, n. 215).
Nel solco della chiara giurisprudenza
citata, è evidente che tale norma non può
applicarsi alla (omissis) in quanto essa
società non presenta quei caratteri di
strumentalità e funzionalità individuati
dalla normativa citata ma opera nel mercato
in diretta concorrenza con le altre
imprese.”
I giudici di Palazzo Spada hanno dunque
messo in evidenza due elementi fondamentali
per l’applicabilità del divieto in commento:
- L’esame dell’oggetto sociale. Deve
trattarsi di società a capitale interamente
pubblico o misto;
- L’attività svolta. Tali società devono
svolgere attività strumentale e funzionale a
quella dall’ente locale partecipante.
La materia trattata nel caso de quo presenta
ancora oggi dei passaggi interpretativi di
difficile soluzione dovuti alla produzione
legislativa spesso contraddittoria ed alle
interpretazioni fornite dalla
giurisprudenza.
Il faro che comunque ed in ogni momento
dovrebbe sempre guidare la pubblica
amministrazione, a dispetto di una normativa
spesso confusa, è il rispetto dei principi
previsti a livello comunitario e nazionale,
proporzionalità, par condicio, trasparenza
ed economicità.
Soltanto una loro ragionevole applicazione
può tenere indenne l’agire amministrativo da
eventuali vizi di illegittimità (commento tratto da www.professioni-imprese24.ilsole24ore.com
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
PUBBLICO IMPIEGO: Valutazione
prove di concorso pubblico.
Il Consiglio di Stato, Sez. V, con
sentenza 29.12.2011 n. 6973, conferma
l'orientamento consolidato ed anche
suffragato dalla Corte Costituzionale,
secondo il quale -nella valutazione delle
prove concorsuali- l'espressione di un voto
numerico ovvero di un giudizio aggettivabile
sintetico esprime e sintetizza il giudizio
tecnico-discrezionale operato dalla pubblica
amministrazione e, in correlazione ai
criteri di valutazione formulati dalla lex
specialis (bando di concorso) o dalla stessa
Commissione, consente il sindacato
giurisdizionale sul potere amministrativo.
Infatti, come espresso dalla Suprema Corte
(sentenza 08.06.2011 n. 175) "... il
criterio del punteggio numerico è idoneo a
costituire motivazione
del giudizio valutativo espresso dalla
commissione esaminatrice in quanto rivela
una valutazione che, attraverso la
graduazione del dato numerico, conduce ad un
giudizio di sufficienza o di insufficienza
della prova
espletata e, nell'ambito di tale giudizio,
rende palese l'apprezzamento più o meno
elevato che la commissione esaminatrice ha
attribuito all'elaborato oggetto di esame"
(tratto da www.publika.it - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Il Comune può impugnare gli atti
adottati dal Commissario ad acta in sua
sostituzione.
Questa la tesi accolta dal Consiglio di
Stato, Sez. V, nella
sentenza 28.12.2011 n.
6953.
Nell’esposizione delle argomentazioni
logico-giuridiche i giudici di palazzo Spada
distinguono il caso in cui nell’ente
comunale difetti radicalmente il
funzionamento ed il commissario viene
pertanto nominato per sostituirsi
nell’esercizio di una competenza generale,
da quello in cui questi venga invece
incaricato di provvedere all’adozione di uno
specifico atto (su impulso di un organo
avente funzione di vigilanza).
Nella prima ipotesi, quando cioè il
commissario è nominato per consentire lo
svolgimento delle funzioni dell’Ente locale,
onde evitare una paralisi dell’azione
amministrativa, senza l’indicazione degli
specifici atti che deve emanare, il
provvedimento da lui adottato va qualificato
-ad avviso del Collegio- alla stregua di
atto di un organo comunale, sia pure
straordinario, che può anche essere rimosso
dallo stesso ente locale in via di
autotutela. Diversamente, qualora egli è
nominato per l’adozione di un atto
specifico, le determinazioni del commissario
possono essere impugnate dal Comune innanzi
al giudice amministrativo, atteso che la
relazione che si stabilisce fra il
commissario e l’ente sostituito è di natura
intersoggettiva, e non interorganica.
Pertanto nei confronti dei terzi l’atto del
commissario può essere considerato quale
atto comunale, ma nei confronti del Comune
rimane espressione di un potere esercitato
da un centro di competenze autonomo ed il
Comune è legittimato ad impugnarlo,
contestandone la legittimità.
Di più: i giudici di appello rinvengono
l’ancoraggio costituzionale dell’eventualità
di un sindacato di legittimità sulle scelte
e sulle particolari modalità dell’intervento
commissariale nel principio di libera
determinazione delle autonomie locali di cui
all’art. 5 Cost., oltre che nei principi di
legalità e del buon andamento di cui
all’art. 97 Cost..
Dunque la possibilità riconosciuta al Comune
di insorgere avverso il provvedimento
adottato, in sua vece, dal commissario deve
ammettersi proprio per la necessità,
responsabilmente evidenziata dal giudice di
appello, di assicurare all’ente medesimo la
difesa delle proprie competenze
istituzionali e la tutela degli interessi
generali di cui è portatore, ma anche perché
-aggiungono i giudici- in effetti manca sia
nella legislazione statale che in quella
regionale un’espressa previsione normativa
che autorizza a concludere per la totale
identificazione delle competenze
commissariali con quelle comunali (tratto da
www.diritto.it - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Procedura negoziata ex art. 125 del Codice
dei Contratti: al fine di assicurare
l'invito ad almeno 5 ditte, vanno invitate
anche imprese non iscritte nell'elenco
appositamente predisposto dalla stazione
appaltante.
In presenza di una procedura negoziata (pur
procedimentalizzata), la lex specialis va
contemperata con i principi del favor partecipationis e della necessaria chiarezza
delle regole di gara, a tutela
dell'interesse pubblico alla massima
concorrenzialità e di quello privato
all'affidamento in base alle condizioni di
partecipazione enunciate dalla Stazione
appaltante (massima tratta da
www.dirittodegliappaltipubblici.it - TAR
Sicilia-Catania, Sez. III,
sentenza 22.12.2011 n.
3153
-
link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Il principio di tassatività delle cause di
esclusione non si applica ai bandi
pubblicati prima del 14.05.2011.
Il principio della tassatività delle cause
legali che legittimano l’esclusione dalle
gare di appalto ai sensi dell’art. 46, comma
1-bis, del codice appalti, come modificato
dal d.l. n. 70 del 2011 non è estendibile
alle procedure iniziate in data antecedente
al 14.05.2011, data di entrata in vigore
della predetta norma (v. Cons. Stato,
ordinanza 12.10.2011, n. 4497) (massima tratta da
www.dirittodegliappaltipubblici.it - TAR
Sicilia-Palermo, Sez. III,
sentenza 21.12.2011 n.
2437 -
link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il certificato di destinazione
urbanistica non è un provvedimento
amministrativo.
Non è autonomamente impugnabile il
certificato di destinazione urbanistica che,
per le caratteristiche proprie, si configura
come una certificazione redatta da un
pubblico ufficiale, avente natura e effetti
meramente dichiarativi e non costitutivi di
posizioni giuridiche che, invero, discendono
da altri provvedimenti, che hanno a loro
volta determinato la situazione giuridica
acclarata dal certificato stesso.
I ricorrenti, proprietari di un compendio
immobiliare costituito da una civile
abitazione con annessa area di pertinenza,
hanno impugnato la deliberazione della
resistente P.A. con cui era stato approvato
il Piano di Governo del Territorio, nella
parte in cui aveva rigettato le osservazioni
da essi presentate a seguito dell’adozione
del P.G.T.
In particolare, hanno esposto che l’area di
pertinenza era costituita da: a) una
striscia di terreno consistente in una rampa
di accesso carraio a ovest dell’edificio che
costituisce l’unico accesso carraio alla
proprietà; b) una porzione di giardino e
marciapiede a nord; c) una porzione di
giardino a est, a sud e a sud-ovest.
A seguito dell’adozione del P.G.T., gli
stessi avevano presentato due osservazioni,
con le quali rispettivamente facevano
rilevare la presenza di "errori grafici"
contenuti nella planimetria, nonché
l’indicazione come strada di una pertinenza.
Il Consiglio comunale, tuttavia, non aveva
accolto le predette osservazioni, rilevando
non solo che "la cartografia di base del
nuovo P.G.T. è frutto di un accurato
rilievo", ma anche che "considerati i vari
atti notarili di provenienza degli immobili
oggetto di osservazione e i frazionamenti
catastali a essi collegati, si può
constatare che quanto osservato non
corrisponde al vero”.
Avverso quest’ultima determinazione sono
insorti gli interessati, all’uopo eccependo
la violazione della L. n. 241/1990, nonché
eccesso di potere per travisamento dei
fatti, manifesta irragionevolezza,
contraddittorietà, sviamento della causa
tipica, carenza di motivazione.
Il Collegio di Brescia, in via preliminare,
ha esaminato l’eccezione d’inammissibilità
sollevata dal Comune che, sul punto, ha
rintracciato una carenza d’interesse dei
ricorrenti in quanto, già prima della
proposizione del gravame, sarebbero state
risolte in senso favorevole agli stessi
entrambe le questioni sollevate con il
ricorso (e precedentemente con le due
osservazioni).
L’eccezione è stata ritenuta parzialmente
fondata.
Invero, in relazione alla questione della
rampa di accesso carraia indicata come
strada, il TAR lombardo ha condiviso la
prospettazione dell’Amministrazione
comunale, dato che –accolta l’osservazione
presentata dall’U.T.C finalizzata alla
correzione di refusi contenuti negli
elaborati cartografici- l’area in
contestazione non veniva più indicata come
strada, ma era stata ricondotta all’ambito
residenziale consolidato.
Per quanto riguarda, invece, l’altra
osservazione, non vi era stata alcuna
correzione di quanto segnalato dai
ricorrenti (errori grafici e mancata
indicato nelle tavole del marciapiede),
sicché per tale parte il ricorso è stato
ritenuto ammissibile.
Tuttavia, il giudicante ha rilevato ex
officio che i ricorrenti, nel corso del
giudizio, avevano progressivamente ampliato
l’oggetto del contendere rispetto a quello
delimitato dall’atto gravato e dai motivi di
ricorso contenuti nell’atto introduttivo,
estendendolo a questioni ulteriori e diverse
attinenti ad altri atti o a motivi nuovi
rispetto a quelli originari, anche in
relazione ad alcune osservazioni svolte
dalla difesa del Comune.
Siffatto modus procedendi è stato
ritenuto inammissibile.
Il giudicante, invero, non ha mancato di
precisare che, in termini generali,
l’oggetto del giudizio amministrativo
impugnatorio è quello delimitato
dall’individuazione dell’atto impugnato e
per i motivi di censura articolati nell’atto
introduttivo del giudizio, risultando
inammissibili le doglianze ulteriori dedotte
con semplici atti depositati e non
notificati.
Di conseguenza, sono state dichiarate
inammissibili le questioni sollevate
mediante le memorie non notificate, con le
quali erano state svolte contestazioni in
ordine alla data di consegna della
cartografia corretta, alle risultanze
contenute nel certificato di destinazione
urbanistica e all’inibizione della D.I.A.
presentata dai ricorrenti per la
realizzazione di un cancello.
Relativamente al certificato di destinazione
urbanistica di cui ai commi 2 e ss.
dell'art. 30 del D.Lgs. 380/2001, l’adito
TAR, invece, richiamando un fermo indirizzo
esegetico, ha rilevato come tale atto si
configurasse come certificazione redatta da
un pubblico ufficiale, avente natura e
effetti meramente dichiarativi e non
costitutivi di posizioni giuridiche, le
quali discendono invece da altri
provvedimenti, che hanno a loro volta
determinato la situazione giuridica
acclarata dal certificato stesso (cfr. TAR
Lombardia, Milano, Sez. II, 12.01.2010, n.
21; TAR Campania, Napoli, Sez. II,
20.09.2010, n. 17479; TAR Toscana, Sez. I,
28.01.2008, n. 55; TAR Valle d'Aosta,
15.02.2008, n. 16; TAR Lombardia, Milano,
Sez. II, 04.11.2004, n. 5585; TAR Lazio,
Roma, Sez. I, 28.05.1999, n. 542).
Sicché ha precisato, in termini generali,
che il certificato, in quanto privo di
efficacia provvedimentale, non possiede
alcuna concreta lesività, il che rende
impossibile la sua autonoma impugnazione;
gli eventuali errori in esso contenuti, ha
sottolineato, possono essere corretti dalla
stessa Amministrazione, su istanza del
privato, oppure quest'ultimo può impugnare
davanti al Giudice amministrativo gli
eventuali successivi provvedimenti
concretamente lesivi, adottati in base
all'erroneo certificato di destinazione
urbanistica.
Così perimetrato l’effettivo ambito del
giudizio, il Collegio è passato alla
disamina delle dedotte doglianze, con
particolare riferimento alla presunta
indicazione nel P.G.T. di linee e punti
inesistenti o traslati.
Il rilievo, sebbene ritenuto fondato, ha
indotto il TAR ad affrontare la problematica
se l’erronea indicazione contenuta nelle
tavole del Piano di Governo del Territorio
poteva mostrarsi lesiva e impugnabile in via
giurisdizionale.
Al riguardo, ha osservato che, nella specie,
non assumeva rilievo l’impugnativa di mappe
catastali, né la contestazione di profili
proprietari, bensì la contestazione, da
parte del cittadino dell’esattezza e
corrispondenza alla realtà effettuale di
rappresentazioni cartografiche delle tavole
annesse al P.G.T..
In siffatto contesto è sembrata palese la
sussistenza di un interesse del privato a
chiedere la correzione di discrasie
riscontrate, le quali avrebbero potuto
lederlo con specifico riguardo alla
tematiche urbanistico-edilizie, frapponendo
ostacoli o limitazioni all’attività
edificatoria in relazione all’indicazione di
elementi di cui si contesta l’esistenza.
E così, in virtù dell’ammissibilità e
fondatezza delle eccezioni sollevate dai
ricorrenti, il gravame è stato accolto con
conseguente annullamento della deliberazione
consiliare nella parte in cui era stata
rigettata, invece di essere accolta,
l’osservazione oggetto di esame giudiziale
(commento tratto da www.ipsoa.it -
TAR
Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 21.12.2011 n. 1779 -
link a www.giustizia-amministrativa.it |
APPALTI:
La dichiarazione sul possesso di requisiti
resa per conto di altri soggetti deve
contenere l'indicazione nominativa dei
soggetti stessi.
Il soggetto che rende le dichiarazioni di
cui all’art. 38 anche in relazione agli
altri amministratori muniti di legale
rappresentanza ed al direttore tecnico, deve
indicare quanto meno i nominativi di tali
soggetti, al fine di consentire la loro
identificazione e quindi la successiva
verifica del possesso dei requisiti (massima tratta da
www.dirittodegliappaltipubblici.it - C.G.A.R.S.,
sentenza 19.12.2011 n.
1025 -
link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
LAVORI PUBBLICI:
La presenza di un direttore tecnico ignoto
alla SOA vizia il certificato prodotto dall'impresa.
La SOA certifica l’idoneità del direttore
tecnico, sicché la presenza di un ulteriore
direttore tecnico (tale dovendosi
qualificare il condirettore tecnico) ignoto
alla SOA vizia il certificato prodotto
dall’impresa, non consentendole di
partecipare alla gara (massima tratta da
www.dirittodegliappaltipubblici.it - C.G.A.R.S.,
sentenza 15.12.2011 n.
1015 -
link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
I requisiti di partecipazione devono
rispondere ai principi di ragionevolezza e proporzionalità.
Se è vero, in linea generale, che le
Amministrazioni, che indicono una gara,
possono integrare le previsioni recate dalla
normativa interna o anche comunitaria, è
altrettanto incontrovertibile che
l’esercizio di siffatta potestà non si
sottrae all’osservanza dei limiti intrinseci
della discrezionalità amministrativa, con
particolare riferimento ai principi della
ragionevolezza e proporzionalità.
Ai sensi dell’art. 83 del D.Lgs. n. 163/2006,
l’Amministrazione è sempre tenuta, nel caso
di aggiudicazione dell’appalto con il
criterio dell’offerta economicamente più
vantaggiosa, a indicare nella lex specialis
di gara i criteri di valutazione, con
l’indicazione della ponderazione loro
attribuita, specificando per ciascun
criterio di valutazione prescelto gli
eventuali sub criteri e sub pesi o sub
punteggi (cfr., di recente, C.d.S., Sez. V,
14.05.2010, n. 2939).
E ciò non solo al fine di assicurare la
dovuta trasparenza della fase procedimentale
della valutazione delle offerte e la
coerenza (logicità, non arbitrarietà, etc.)
delle scelte operate dalla commissione di
gara, ma anche al fine di consentire ai
concorrenti di formulare un’offerta seria,
adeguata e responsabile rispetto alle
finalità perseguite dall’amministrazione (massima tratta da
www.dirittodegliappaltipubblici.it - C.G.A.R.S.,
sentenza 15.12.2011 n.
998 -
link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
SICUREZZA LAVORO:
Il coordinatore per l'esecuzione
deve verificare l'osservanza delle norme.
Il coordinatore ha l'obbligo, oltreché di
esser presente in cantiere, di controllare
l'osservanza alle regole in materia di
sicurezza dettate sia dal piano di sicurezza
e di coordinamento, sia dalle susseguenti
integrazioni dallo stesso disposti.
Si susseguono le sentenze che forniscono un
quadro esemplare della posizione di garanzia
del coordinatore per la esecuzione dei
lavori nei cantieri temporanei o mobili (sul
tema v. i precedenti richiamati da
Guariniello, Il T.U. Sicurezza sul lavoro
commentato con la giurisprudenza aggiornato
con le sentenze sui D.Lgs. n. 81/2008 e
106/2009, terza ed., Milano, 2011, 397 s.,
cui adde, da ultimo, Cass. 03.10.2011, Bea e
altri, in ISL, 2011, 11, 795; Cass.
17.08.2011, Goggi, in Dir. prat. lav., 2011,
36, 2166; Cass. 27.06.2011, Caiazza e altri,
in ISL, 2011, 10, 741; Cass. 05.05.2011,
Lombardini, ibid., 2011, 7, 409; Cass.
18.04.2011, Marini e altro, ibid., 2011, 6,
359).
La sentenza che qui presentiamo affronta il
caso di un coordinatore per la esecuzione
(oltre che per la progettazione) dei lavori
di posa della copertura di un fabbricato ad
uso residenziale commissionati dalla società
proprietaria a un’impresa, condannato per
l’infortunio mortale in danno di un esperto
operaio con mansioni di capocantiere
deceduto per precipitazione “attraverso
l'apertura di un lucernaio coperta da una
guaina protettiva e, pertanto, non visibile
in conseguenza delle negligenti ed
imprudenti omissioni e della violazione
delle specifiche norme antinfortunistiche”.
Questo fu l’addebito mosso al coordinatore:
“dopo aver provveduto, in adempimento
all'incarico ricevuto previo diretto accesso
al cantiere, all'aggiornamento del piano di
sicurezza e di coordinamento al fine di
delineare la sicura procedura di posa del
tetto, prescrivendo in particolare l'uso
delle cinture di sicurezza oppure di
ponteggi sottostanti e dopo aver constatato,
in concomitanza con altri due successivi
sopralluoghi, l'omesso rispetto di dette
prescrizioni a tutela del rischio di caduta
dall'altro, aveva tuttavia omesso di
segnalare siffatti reiterati inadempimenti
al committente od al responsabile del
cantiere, ed aveva altresì mancato di dare
comunicazione della rilevata inadempienza
alla USL ed alla Direzione provinciale del
lavoro, essendo lo stesso tenuto ad ordinare
la sospensione dei lavori, ai sensi di
legge, fino alla verifica dell'avvenuto
adeguamento da parte delle ditte interessate”.
Lo stesso si era occupato di effettuare gli
aggiornamenti del suddetto piano; che lo
stesso, recandosi peraltro, due volte alla
settimana, in cantiere, aveva effettuato
specifici interventi in data 23 settembre, 6
ottobre e 27.10.2003, in particolare
prescrivendo l'uso delle cinture di
sicurezza in presenza del rischio di caduta
al suolo, da un'altezza superiore ai due
metri.
A seguito dei sopralluoghi eseguiti il 6 ed
il 27.10.2003, il Tadini aveva verificato
che i dipendenti della ditta Lucci Legnami
s.r.l., benché impegnati sul tetto, si erano
resi inadempienti alle prescrizioni di
indossare le cinture di sicurezza. Da qui
quindi la ricorrenza della pacifica
responsabilità colposa dell'imputato per
l'omessa adozione, in presenza di pericolo
imminente e grave per l'incolumità dei
lavoratori, di quanto previsto dall'art. 5,
comma 10, lett. E) ed F) D.I.vo n. 494 del
1996 come novellato dall'art. 5 del D.I.vo
n. 528 del 1999. Ed è del tutto ovvio che
l'evento sarebbe stato evitato, qualora
l'imputato avesse concretamente ed
esplicitamente dato corso a quanto previsto
dalla legge, fino a giungere a disporre la
sospensione delle lavorazioni in caso di
reiterata inottemperanza alle già impartite
prescrizioni di sicurezza: la sola condotta
attiva, dallo stesso esigibile, dotata di
incontestabili rilevanza ed efficacia
cautelare.
L'obiezione dell'imputato secondo la quale,
illogicamente e contraddittoriamente, la
Corte distrettuale ne avrebbe ravvisato la
colpevole omissione nel provvedere alla
sospensione delle lavorazioni sul tetto, in
difetto di un pericolo grave ed imminente
integra invero un'inammissibile censura in
punto di fatto con la quale, in buona
sostanza, il ricorrente, sotto l'apparenza
di un insussistente vizio motivazionale
della sentenza impugnata, intenderebbe,
nella presente sede di legittimità, "sostituire"
una propria lettura delle risultanze
istruttorie, "alternativa" a quella
compiuta dai Giudici di merito che hanno
ritenuto tutto il tetto zona pericolosa per
l'incolumità dei lavoratori per la presenza
di aperture e di cavità che era necessario "porre
allo scoperto" per eseguire le previste
lavorazione, dopodiché peraltro già si era
verificata la caduta di altro operaio (Zonca),
fortunosamente, senza gravi conseguenze.
A sua discolpa, l’imputato lamenta che “egli
stesso, la mattina dell'incidente, aveva
ordinato alla vittima di chiudere tutte le
aperture ancora rimaste aperte”, e che “siffatta
richiesta avrebbe automaticamente comportato
la sospensione dei lavori fintantoché non si
fosse provveduto a tale operazione proprio
perché le maestranze addette alla posa della
guaina avrebbero dovuto interrompere tale
attività per procedere al posizionamento
delle funi di sicurezza cui collegare le
cinture di sicurezza”. E ne desume che,
“ordinando la chiusura delle aperture,
aveva ottemperato di fatto all'onere
previsto dall'art. 5, comma 1, lettera f),
D.Lgs. n. 494/1996 [e ora dall’art. 92,
comma 1, lettera e, D.Lgs. n. 81/2008],
dovendo le singole lavorazioni restare
sospese fino alla verifica dell'avvenuto
adempimento delle prescrizioni imposte”.
Sostiene, inoltre, che i giudici di merito
avrebbero “indebitamente ampliato oltre
modo il ruolo e le responsabilità del
coordinatore per l'esecuzione dei lavori che
non era più tenuto ad assicurare
l'applicazione del piano di sicurezza, ma
solamente a verificarne l'applicazione, non
assumendo quindi un'obbligazione c.d. di
risultato”, e che, “nel caso di
specie, il piano di sicurezza e di
coordinamento della impresa appaltatrice
rispondeva alle prescrizioni del
regolamento, chiaramente imponendo
l'adozione della misura di sicurezza
prevista, relativamente alla necessità della
preventiva chiusura delle aperture del
solaio”, sicché “il piano di
sicurezza rispondeva ai requisiti di legge e
la relativa applicazione esecutiva era stata
verificata dal coordinatore, dal quale
null'altro poteva esigersi”.
La Sez. IV disattende queste argomentazioni
difensive. In accordo con i giudici di
merito, osserva che sul coordinatore “gravava
l'obbligo, oltreché di esser presente in
cantiere, di controllare (id est: ‘di
verificare’) l'osservanza alle regole in
materia di sicurezza dettate sia dal piano
di sicurezza e di coordinamento, sia
-ovviamente- dalle susseguenti integrazioni
dallo stesso disposti”. E con
particolare lucidità precisa che “l'eventuale
adozione dei provvedimenti a valenza
prettamente cautelare di cui all'art. 5,
comma 1, lettere e) ed f), D.Lgs. n.
494/1996 [e ora all’art. 92, comma 1,
lettere e) ed f), D.Lgs. n. 81/2008]
logicamente e necessariamente implica la
preventiva verifica sia delle condizioni di
esecuzione delle lavorazioni sia
dell'inottemperanza delle prescrizioni
antinfortunistiche”. Dove si coglie
efficacemente la determinante connessione
tra le disposizioni attualmente dettate
nell’art. 92, comma 1, D.Lgs. n. 81/2008
alla lettera a) e alla lettera e) (non a
caso, quest’ultima, esplicita nel
prescrivere l’obbligo di segnalare “le
inosservanze alle disposizioni degli
articoli 94, 95, 96 e 97, comma 1, e alle
prescrizioni del piano di cui all'articolo
100 ove previsto”) (Corte di Cassazione,
Sez. IV penale, sentenza 02.12.2011 n.
45009 - tratto da www.ipsoa.it). |
APPALTI:
Gare d'appalto, gli ''insoluti''
contributivi portano all'esclusione.
La regolarità contributiva costituisce
requisito sostanziale di partecipazione alla
gara, avendo il legislatore ritenuto tale
regolarità indice dell'affidabilità ,
diligenza e serietà dell'impresa e della sua
correttezza nei rapporti con le maestranze.
La decisione in esame affronta la querelle
circa la rilevanza del requisito della
regolarità contributiva ai fini della
partecipazione a una gara di appalto, in
quanto indice di affidabilità e diligenza
dell’impresa interessata.
Segnatamente, la ricorrente aveva
partecipato a una gara d’appalto bandita per
l’affidamento del servizio di
somministrazione di lavoro a tempo
determinato.
Nel corso della valutazione delle offerte,
la Commissione aveva disposto l’esclusione
della menzionata ditta, sulla scorta della
considerazione per cui la medesima era
risultata carente del requisito della
regolarità contributiva.
Avverso quest’ultimo provvedimento è insorta
la ditta, all’uopo deducendo la violazione e
falsa applicazione dell’art. 38 del D.Lgs.
n. 163/2006, lett. i), nonché la violazione
del principio di pubblicità di gara e del
principio della trasparenza delle operazioni
concorsuali.
Il ricorso è stato rigettato.
Il TAR di Cagliari ha, infatti, rilevato
come la controversia, essendo interamente
incentrata sulla questione della presenza o
meno del requisito della regolarità
contributiva in capo alla ricorrente, doveva
essere risolta dapprima analizzando le
disposizioni che attualmente disciplinano il
requisito della regolarità contributiva e i
contributi della giurisprudenza in materia;
poi, attraverso l’esame della situazione di
fatto alla base dell’impugnato provvedimento
di esclusione.
Orbene, con riferimento alla normativa
vigente in materia, il Collegio ha ricordato
che l’art. 38 del Codice dei contratti
pubblici (“requisiti di ordine generale”)
stabilisce, tra l’altro, che: “Sono esclusi
dalla partecipazione alle procedure di
affidamento delle concessioni e degli
appalti di lavori, forniture e servizi, né
possono essere affidatari di subappalti, e
non possono stipulare i relativi contratti i
soggetti: … i) che hanno commesso violazioni
gravi, definitivamente accertate, alle norme
in materia di contributi previdenziali e
assistenziali, secondo la legislazione
italiana o dello Stato in cui sono
stabiliti. Lo strumento per la verifica
della posizione delle imprese partecipanti
alle gare è il documento unico di regolarità
contributiva”.
Tanto rammentato, ha così richiamato un
recente indirizzo della giurisprudenza
amministrativa secondo cui: "La verifica in
merito alle dichiarazioni sulla regolarità
contributiva rientra nei poteri della
stazione appaltante, riconosciuti come
compatibili dalla Corte di Giustizia
Europea, e non ha quindi carattere di
esclusione automatica; inoltre, la
regolarità contributiva e fiscale, richiesta
come requisito indispensabile per la
partecipazione alla gara, deve essere
mantenuta per tutto l'arco di svolgimento
della gara stessa, sicché legittimamente
l'amministrazione accerta, a fronte di DURC
negativi, sia l'insussistenza del requisito
normativamente richiesto, sia la non
veridicità e reticenza sulle dichiarazione
rese in sede di gara" (ex multis, TAR
Campania, Salerno, Sez. I, 04.04.2011, n.
617).
In ordine alla situazione di fatto che ha
dato origine alla controversia, invece,
l’adito G.A. ha evidenziato come dalla
documentazione prodotta dall’impresa
interessata, volta a comprovare i requisiti
dichiarati in sede di gara, era emersa la
mancata produzione del DURC relativamente
alle posizioni Inail e Inps in essere,
nonché del certificato di regolarità fiscale
del soggetto ausiliario.
Invero, ha specificato che la ricorrente
solo dopo la partecipazione alla gara aveva
presentato alle competenti sedi Inps
apposite istanze di rateizzazione di debiti
maturati per omessi versamenti contributivi,
unitamente a copia dei modelli F24 di
pagamento di un dodicesimo dell’importo
dovuto.
Successivamente, il responsabile del
procedimento aveva invitato la ditta a
dimostrare la formale regolarizzazione
presso l’Inps nonché a trasmettere il
certificato di regolarità fiscale
dell’impresa ausiliaria non ancora prodotto.
La partecipante, tuttavia, aveva provveduto
a trasmettere il certificato di regolarità
fiscale dell’impresa ausiliaria e copia del
DURC rilasciato dall’Inail, comunque
incompleto poiché non indicante il
pronunciamento della sede centrale.
Sicché, l’Amministrazione aveva
successivamente provveduto ad acquisire, di
propria iniziativa, il DURC rilasciato dalla
sede centrale dell’Inail recante
l’attestazione di "non regolarità" della
posizione Inps con causale "insoluti"
riferita a precedenti debiti contributivi.
Di conseguenza, al giudicante un punto è
risultato chiarissimo: alla data di adozione
della determinazione di esclusione della
ricorrente dalla gara in parola, non era
risultato alcun accoglimento dell’istanza di
autorizzazione alla rateizzazione dei
debiti, istanza peraltro, non prodotta
unitariamente ma separatamente per ogni
singola posizione.
Per siffatta ragione, in virtù degli
elementi di fatto testé illustrati, il
Collegio sardo ha osservato come nella
vicenda sussistevano sia la gravità
dell’inadempimento, sia il difetto della
correntezza contributiva posto che,
accertata la sussistenza di debiti di
rilevante importo, le richieste di
rateizzazione, non approvate da parte
dell’Istituto competente, erano state
presentate dopo l’aggiudicazione
provvisoria.
E così, richiamando l’epigrafato principio,
il TAR non ha mancato di precisare come
la completa e corretta verifica in merito
alle dichiarazioni rese dai partecipanti,
rientri nei poteri officiosi della stazione
appaltante, sia in relazione alle specifiche
previsioni del Codice, sia con riguardo ai
più generali canoni dell'azione
amministrativa di cui al D.P.R. n. 445/2000
in materia di documenti amministrativi e
all’art. 6 della legge n. 241/1990.
Difatti, la consapevolezza della mancata
correttezza contributiva al momento della
richiesta di partecipazione connota di
gravità la violazione, essendo la ricorrente
onerata, al momento della domanda di
partecipazione di rappresentare l'eventuale
insoluto, la sua entità e le ragioni che
l'avessero determinato, al fine di
instaurare, essa stessa, un contraddittorio
sul punto onde consentire alla stazione
appaltante di escludere la gravità e
definitività della violazione che comunque,
indiscutibilmente, alla data di
presentazione della domanda sussisteva.
In considerazione di tanto, il Collegio ha
condiviso l’operato della stazione
appaltante nella parte in cui aveva ritenuto
che la violazione era grave e definitiva, in
ragione del fatto che la ricorrente non
l'aveva correttamente rappresentata né
tantomeno giustificata al momento della
richiesta di partecipazione (commento tratto da www.ipsoa.it - TAR
Sardegna, Sez. I,
sentenza 01.12.2011 n. 1175 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI:
Revoca di una gara con
riferimento alla mutata esigenza di
esternalizzare il servizio, potendo la P.A.
svolgerlo con personale interno.
L’aggiudicazione provvisoria o definitiva
non impediscono la revoca della gara per
ragioni di pubblico interesse.
Legittimamente la stazione appaltante revoca
integralmente gli atti di una gara per
l’affidamento di un appalto di servizi, nel
caso in cui tale revoca sia motivata con
riferimento al fatto che, rispetto al
momento in cui è stata indetta la procedura
di evidenza pubblica, è successivamente
venuta meno l’esigenza di esternalizzare il
servizio stesso, potendo la stazione
appaltante continuare a svolgerlo con il
personale interno; infatti, l’art.
21-quinquies della legge n. 241 del 1990
consente alla P.A. l’esercizio del potere di
revoca di atti amministrativi, per
sopravvenuti motivi di pubblico interesse,
nel caso di mutamento della situazione di
fatto che ha dato origine al provvedimento
da revocare ed a seguito di una nuova
valutazione dell’interesse pubblico
originario (1).
In materia di contratti della P.A., il
potere di negare l'approvazione
dell'aggiudicazione di una gara ben può
trovare fondamento, in via generale, in
specifiche ragioni di pubblico interesse,
senza trovare ostacoli nell'avvenuta
aggiudicazione definitiva o provvisoria
della stessa (2).
E’ irrilevante, ai fini della sua
legittimità, la circostanza che
l’Amministrazione nell’atto di revoca non
abbia indicato anche l’ammontare
dell’indennizzo da liquidare alla parte,
così come previsto dai commi 1-bis e 1-ter
dell’art. 21-quinquies della legge n. 241
del 1990, atteso che la mancata previsione
dell’indennizzo legittima solo il privato ad
azionare la relativa pretesa patrimoniale,
anche davanti al giudice amministrativo (3).
---------------
(1) V. in generale Cons. Stato, sez. V,
18.01.2011, n. 283, secondo cui
l’ordinamento ammette la revoca di
provvedimenti amministrativi diventati
inopportuni in base a nuove circostanze
sopravvenute ed anche per una nuova
valutazione dell'interesse pubblico
originario.
(2) Cons. Stato, Sez. VI, 17 .03.2010, n.
1554
(3) Cons. Stato, Sez. VI, 17.03.2010, n.
1554 (massima tratta da
www.regione.piemonte.it
- Consiglio
di Stato, Sez. III,
sentenza 15.11.2011 n. 6039 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Lite temeraria, danni morali
''automatici'' per chi la subisce.
Una volta riconosciuta
la temerarietà della lite, è scontata
l'esistenza, oltre che dei danni
patrimoniali, dei danni non patrimoniali,
nella forma della lesione dell'equilibrio
psico-fisico del soggetto coinvolto in una
lite rivelatasi inutile e pretestuosa.
Il principio summenzionato rappresenta
l'epicentro dell'ordinanza 12.10.2011 n.
20995, emessa dalla Corte di Cassazione,
Sez. VI civile, in riforma di una statuizione del tribunale
di Catanzaro che, in una lite rivelatasi
inutile, ha negato, per mancanza di prova,
la sussistenza dei danni risarcibili in
virtù di quanto disposto in tema di
responsabilità aggravata ex art. 96. c.p.c..
Per il giudice di merito, infatti, non vi è
stata prova, nel caso di specie, della “concreta
ed effettiva esistenza di un danno in
conseguenza del comportamento processuale
della parte medesima”.
Con la decisione in rassegna, la Corte di
legittimità torna sull'intricata questione
della lite temeraria è sulla forza espansiva
della dizione dell'art. 96 c.p.c. in punto
risarcimento danni.
La responsabilità aggravata è stata
inizialmente inquadrata nell'alveo del torto
di matrice extracontrattuale, con la
relativa regola processuale dell'onere della
prova (su an e quantum dei
danni) incombente sulla parte intenzionata a
farla valere.
Tale inquadramento, tuttavia, stante la
difficoltà di adempiere proficuamente
all'onere probatorio, ha trovato il dissenso
di molte voci, in dottrina come in
giurisprudenza, che ha determinato, sotto la
spinta di una interpretazione
costituzionalmente orientata, lo
sbilanciamento verso un nuovo convincimento.
Si è così passati a considerare la citata
responsabilità come un predicato del
principio della ragionevole durata del
processo, incastonato all'art. 111 della
Carta Costituzionale, quale risposta
sanzionatoria voluta dall'ordinamento a
fronte di un comportamento lesivo degli
interessi della collettività.
Promuovere azioni giudiziarie pretestuose o
resistere alle domande avversarie mediante
condotte tese al mero procrastinamento dei
tempi della giustizia sono comportamenti che
integrano forme di “abuso del diritto”,
nella forma dello sviamento dalla funzione
per il quale il diritto di difesa è stato
riconosciuto, come tali non tollerabili dal
legislatore italiano ed europeo.
Tralasciando i presupposti oggettivi e
soggettivi richiesti al fine di attivare la
domanda risarcitoria ex art. 96 c.p.c.,
preme, qui, soffermarsi sull'entità del
risarcimento del danno da doversi
riconoscere al soggetto leso.
L'ordinanza riporta una soluzione della
giurisprudenza di legittimità che milita a
favore della portata espansiva della dizione
“danni” cristallizzata all'art. 96
c.p.c.. Il plurale usato dal legislatore,
secondo la Corte, non è usato casualmente.
Esso comprende, anzitutto, i danni
patrimoniali, i quali traggono origine
dall'essere obbligati a contrastare una
ingiustificata iniziativa dell'avversario
che, peraltro, non trovano compensazione
nella corresponsione delle mere spese e
degli onorari del difensore della parte
vittoriosa.
Ciò in base all'assunto per il quale le
spese di lite e degli onorari riguardano il
rapporto che si consuma tra cliente e
difensore e non già quello intercorrente tra
cliente e controparte processuale. In tal
senso, la giurisprudenza vuole tracciare una
linea di demarcazione tra la regola secondo
la quale il pagamento delle spese di lite
grava sulla parte soccombente e quella
prevista per il risarcimento dei danni
patrimoniali derivanti da responsabilità
aggravata che vuole tutt'altri estremi
applicativi.
Quanto all'ammontare dei danni patrimoniali
non è necessario che vi sia una esatta
quantificazione. In assenza di una
dimostrazione concreta e specifica, è il
giudice, nel caso concreto, ad indicare una
somma in via equitativa nell'ambito del suo
potere discrezionale.
Ai danni patrimoniali devono sommarsi quelli
non patrimoniali.
La Corte di Cassazione, in tal senso,
insiste sull'esistenza, suffragata da
massime di esperienza, di un nesso causale,
di tipo “fisiologico”, tra le due
tipologie di danno.
Quelli non patrimoniali, da tradursi quale
lesione dell'equilibrio psico-fisico della
parte inutilmente coinvolta nel giudizio,
sono, secondo la Corte capitolina, una
conseguenza diretta dei danni patrimoniali i
quali, per loro natura, causerebbero “ex
se anche danni di natura psicologica”.
I danni non patrimoniali risarcibili, anche
in questo caso, non sono solo quelli
previsti dalla legge (art. 2059 c.c.) ma
tutti quelli lesivi di interessi di rango
costituzionale riconducibili alla sfera
della persona, ancorché non tipizzati.
Si tratta, perlopiù, del danno esistenziale,
specie per la “perdita di tempo” che
il processo genera, sottraendo il soggetto
leso ad attività alternative che lo
doterebbero di una qualità di vita
sicuramente migliore.
Come riportato in altri arresti
giurisprudenziali, anche quest'altra
categoria di danni trova una quantificazione
in via equitativa, sulla base degli elementi
desumibili dagli atti di causa, così come
previsto, in modo analogo, per il
risarcimento dei danni derivanti dalla
eccessiva durata del processo, eventualità
disciplinata dal “legge Pinto”
(commento tratto da www.ipsoa.it). |
CONSIGLIERI COMUNALI:
Indennità di funzione e gettoni
di presenza per incarichi ricoperti presso
enti diversi.
E’ illegittimo il provvedimento con il quale
una Amministrazione provinciale ha stabilito
di non erogare, in favore di coloro che
rivestono la doppia carica di consiglieri
provinciali e di amministratori presso altri
enti locali, alcuni emolumenti (gettoni di
presenza) legati alla partecipazione dei
medesimi alle sedute del Consiglio
provinciale.
Infatti, il legislatore ha
provveduto a dettare espresse previsioni in
materia di cumulo delle indennità, indicando
all'art. 83, d.lgs. n. 267 del 2000 (Testo
unico sull’ordinamento degli enti locali) le
ipotesi in cui è puntualmente previsto il
divieto di cumulare la percezione di gettoni
o indennità in ragione degli incarichi
ricoperti, così come ivi individuati, e in
tale disposizione non è contemplata
l'ipotesi relativa agli incarichi espletati
presso enti locali diversi (1).
--------------
(1) V., tuttavia, in senso opposto, di
recente, TAR Puglia-Lecce, ordinanza
30.09.2011, n. 680 (sulla legittimità o meno
del rigetto di una istanza di alcuni
consiglieri provinciali, che rivestono anche
la carica di sindaci di altre
amministrazioni comunali, tendente ad
ottenere gli emolumenti -gettoni di
presenza- legati alla partecipazione dei
medesimi alle sedute del Consiglio
provinciale e delle singole commissioni
consiliari) (massima tratta da
www.regione.piemonte.it -
TAR Veneto, Sez. I,
sentenza
06.10.2011
n. 1471 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
COMPETENZE PROGETTUALI:
Competenze dei geometri in
materia edilizia.
A norma dell'art. 16, lett. m), del R.D. 11.02.1929 n. 274, e come si desume anche
dalle leggi 05.11.1971 n. 1086 e 02.02.1974 n. 64, che hanno
rispettivamente disciplinato le opere in
conglomerato cementizio e le costruzioni in
zone sismiche, nonché dalla legge 02.03.1949 n. 144 (recante la tariffa
professionale), esula dalla competenza dei
geometri la progettazione di costruzioni
civili con strutture in cemento armato,
trattandosi di attività che, qualunque ne
sia l'importanza, è riservata solo agli
ingegneri ed architetti iscritti nei
relativi albi professionali. Solo le opere
in cemento armato relative a piccole
costruzioni accessorie rientrano nella
competenza dei geometri, risultando
ininfluente che il calcolo del cemento
armato sia stato affidato ad un ingegnere o
ad un architetto (2).
La competenza dei geometri è limitata alla
progettazione, direzione e vigilanza di
modeste costruzioni civili, con esclusione
di quelle che comportino l'adozione -anche
parziale- di strutture in cemento armato;
solo in via di eccezione si estende anche a
queste strutture, a norma della lett. l) del
medesimo articolo 16, R.D. n. 274/1929,
purché si tratti di piccole costruzioni
accessorie nell'ambito di edifici rurali o
destinati alle industrie agricole, che non
richiedano particolari operazioni di calcolo
e che per la loro destinazione non
comportino pericolo per le persone. Per il
resto, la suddetta competenza è comunque
esclusa nel campo delle costruzioni civili
ove si adottino strutture in cemento armato,
la cui progettazione e direzione, qualunque
ne sia l'importanza è pertanto riservata
solo agli ingegneri ed architetti iscritti
nei relativi albi professionali (3).
E’ legittimo il provvedimento di
annullamento, in via di autotutela, di una
concessione edilizia per la demolizione di
un fabbricato (e la sua ricostruzione, con
nuova destinazione d'uso residenziale e
commerciale), per l'incompetenza del
geometra progettista, sia sotto il profilo
dell'entità della costruzione, atteso che la
competenza dei geometri è limitata alla
progettazione di modeste costruzioni civili,
sia sotto il profilo della necessità del
rispetto delle prescrizioni antisismiche; il
contratto con il quale viene affidata a un
geometra la progettazione di una costruzione
civile in cemento armato è comunque nullo,
indipendentemente dalle dimensioni
eventualmente ridotte dell'opera o dalla
circostanza che il compito, su richiesta
dell'incaricato, è poi svolto da un
ingegnere o architetto.
---------------
(1) V. per tutte TAR Campania-Napoli,
sez. III, 01.12.2008 n. 20723.
(2-3) Giurisprudenza costante: v. Cass.
civ., sez. II, 07.09.2009 n. 19292; id.,
08.04.2009 n. 8543; 25.05.2007 n. 12193;
Cons. Stato, sez. V, 28.04.2011 n. 2537,
id., sez. IV, 05.09.2007 n. 4652, Cass. pen.,
sez. III, 26.09.2000 (massima tratta da
www.regione.piemonte.it -
TAR
Lazio-Roma, Sez. II-bis,
sentenza 03.10.2011 n. 7670 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
AGGIORNAMENTO AL 12.01.2012 |
ã |
SINDACATI E
ARAN |
PUBBLICO IMPIEGO:
Il pubblico impiego e l'art. 18
dello statuto dei lavoratori
(CGIL-FP di Bergamo,
nota 09.01.2012). |
ENTI LOCALI: Corte
dei Conti: il computo delle società
partecipate per le assunzioni negli enti
locali
(CGIL-FP di Bergamo,
nota 03.01.2012). |
DOTTRINA E
CONTRIBUTI |
ENTI LOCALI:
G. Bertagna,
IL
RAPPORTO TRA LE SPESE DI PERSONALE E LE
SPESE CORRENTI
(tratto
dalla newsletter di www.publika.it n. 46 -
gennaio 2012). |
ENTI LOCALI:
C. Rapicavoli,
Norme di interesse per gli enti locali nel
Decreto Legge 29.12.2011 n. 216 - Proroga di
termini previsti da disposizioni legislative
(link a www.filodiritto.com). |
APPALTI:
F. Federici,
Tracciabilità dei flussi finanziari:
facciamo il punto (link a
www.filodiritto.com). |
GURI - GUUE -
BURL (e anteprima) |
ENTI LOCALI - VARI: B.U.R.
Lombardia, serie ordinaria n. 2
dell'11.01.2012, "Linee guida per la
fruibilità e la sicurezza nei Parchi
Avventura"
(decreto D.S.
13.12.2011 n. 12317). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 2 del
10.01.2012, "Approvazione dell’allegato
tecnico relativo all’autorizzazione in via
generale ex art. 272, comma 2, del d.lgs.
152/2006 per l’attività in deroga di
lavorazioni meccaniche in genere e/o pulizia
meccanica/asportazione di materiale
effettuate su metalli e/o leghe metalliche –
Sostituzione dell’allegato n. 32 del d.d.s.
n. 532 del 26.01.2009" (decreto
D.U.O. 23.12.2011 n. 12772). |
LAVORI PUBBLICI: B.U.R.
Lombardia, serie ordinaria n. 2 del
10.01.2012, "Approvazione
dell’aggiornamento tecnico della direttiva
regionale per la gestione organizzativa e
funzionale del sistema di allerta per i
rischi naturali ai fini di protezione
civile, approvata con d.g.r. 22.12.2008 n.
8/8753" (decreto
D.U.O. 22.12.2011 n. 12722). |
ENTI LOCALI:
B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 2 del
10.01.2012, "Aggiornamento della
individuazione e della classificazione dei
piccoli Comuni della Lombardia in zone che
presentano simili condizioni di sviluppo
socio - economico e infrastrutturale ai
sensi dell’art. 2 della legge regionale
05.05.2004, n. 11" (deliberazione
G.R. 22.12.2011 n. 2710). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 2 del
09.01.2012, "Ricognizione sistematica e
riordino degli atti amministrativi regionali
in materia di gestione dei rifiuti" (deliberazione
G.R. 29.12.2011 n. 2880). |
QUESITI &
PARERI |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Diritto d'accesso agli atti amministrativi.
Richiesta di copie di atti amministrativi,
quando sussiste l'obbligo di motivazione?
Domanda.
L'art. 25, L. 07-08-1990, n. 241 e ss.mm. ed
ii. stabilisce che, in ordine al diritto di
accesso agli atti amministrativi,
l'estrazione di copia di atti è subordinata
alla presentazione di idonea motivazione a
dimostrazione dell'interesse concreto,
attuale, ecc. ...
Un cittadino ha chiesto formalmente e senza
motivazione di avere copia di sentenze,
provvedimenti giurisdizionali esecutivi
(TAR, CdS), a carico del Comune e tenuti
dall'Amministrazione comunale.
L'Amministrazione comunale, tramite il
Dirigente preposto, ha richiesto al
cittadino di integrare la nota per ottenere
copie con la motivazione ex art. 25, L.
07-08-1990, n. 241. Il cittadino ha risposto
che per tali atti (sentenze, ecc...) non
sussiste obbligo di motivazione che si
applica solo per i provvedimenti
amministrativi.
Si chiede pertanto se per la richiesta di
copie, la motivazione deve esservi solo se
la richiesta riguarda atti amministrativi e
non per gli atti di autorità giudiziarie,
tenuti dal Comune quale parte in causa.
Risposta.
Il diritto d'accesso agli atti
amministrativi, per le sue rilevanti
finalità di pubblico interesse, rappresenta
un principio generale dell'attività
amministrativa volto a favorire la
partecipazione e assicurare l'imparzialità e
la trasparenza dell'attività di un Ente
Pubblico.
L'art. 22 della L. 07-08-1990, n. 241 e
ss.mm. definisce l'accesso come il diritto
degli interessati a prendere visione ed
estrarre copia di documenti amministrativi.
Secondo costante Giurisprudenza
Amministrativa (cfr., ex aliis, Cons. Stato
Sez. IV, 15.09.2010, n. 6899), il
diritto di accesso ai documenti, pur essendo
finalizzato ad assicurare la trasparenza
dell'azione amministrativa e a favorirne lo
svolgimento imparziale, tuttavia non si
configura come un'azione popolare,
esercitabile da chiunque, indipendentemente
da una posizione differenziata
giuridicamente. Questo perché l'istituto
dell'accesso non è teso ad un controllo
generalizzato sull'attività amministrativa,
dal momento che, correlativamente
all'esercizio del diritto alla conoscenza
degli atti, sussiste la legittima pretesa
dell'Amministrazione a non subire intralci
nella propria attività istituzionale,
possibili in ragione della presentazione di
istanze strumentali e/o dilatorie. Ne
consegue che l'accesso è consentito soltanto
a coloro ai quali gli atti si riferiscono
direttamente o indirettamente e sempre che
questi se ne possano avvalere per tutelare
una posizione giuridicamente rilevante.
Pertanto, il principio base è che l'accesso
deve essere motivato con una richiesta
rivolta all'Ente che ha formato il documento
o che lo detiene stabilmente, indicando i
presupposti di fatto e l'interesse
specifico, concreto ed attuale che lega il
documento alla situazione giuridicamente
rilevante (cfr. Cons. Stato Sez. V, 04.08.2010, n. 5226, e Cons. Stato Sez. V, 25.05.2010, n. 3309, e Cons. Stato Sez. IV,
03.08.2010, n. 5173).
Fermo restando, quindi, che ai fini
dell'esercizio del diritto di accesso è
sempre necessaria un'adeguata motivazione,
va ulteriormente precisato che oggetto del
diritto in esame è "il documento
amministrativo, inteso come ogni
rappresentazione grafica, fotocinematografica, elettromagnetica o di
qualunque altra specie del contenuto di
atti, anche interni o non relativi ad uno
specifico procedimento, detenuti da una
pubblica amministrazione e concernenti
attività di pubblico interesse,
indipendentemente dalla natura pubblicistica
o privatistica della loro disciplina
sostanziale" (art. 22, L. 07-08-1990, n.
241).
Alla stregua di ciò, con riferimento agli
atti dell'Autorità Giudiziaria di cui al
presente quesito, a parere della scrivente,
il diritto d'accesso non può essere proprio
esercitato.
Infatti, come si legge, tra le altre, nella
sentenza della Prima Sezione del TAR
Molise - Campobasso, 09.12.2010, n.
1528, anche se "la nozione di documento
amministrativo, quale definito dall'art. 22
della L. 07.08.1990, n. 241, ha un'ampia
latitudine, tale nozione non può, però,
essere estesa fino a comprendere anche gli
atti giudiziari".
Tale pronuncia ripete una Giurisprudenza
Amministrativa che possiamo reputare
consolidata, in base alla quale, sotto tale
profilo, la domanda di accesso è ammessa
solo se ha ad oggetto documenti
qualificabili come amministrativi, quanto
meno in senso soggettivo e funzionale,
mentre, all'opposto, è da ritenersi
inammissibile la domanda di accesso agli
atti processuali ed a quelli espressione di
attività giurisdizionale (cfr., da ultimo,
Cons. Stato Sez. IV, 31.03.2008, n. 1363,
Cons. Stato Sez. IV Sent., 12.12.2008,
n. 6187, Cons. Stato Sez. IV, 22.06.2004, n. 4471, Cons. Stato Sez. IV, 22.02.2003, n. 961 e Cons. Stato Sez. IV,
14.02.2002, n. 883).
In definitiva, l'accesso è ammesso solo se
ha ad oggetto "documenti amministrativi",
mentre è preclusa l'esibizione di tutti gli
atti processuali e di quelli espressione di
attività giurisdizionale.
La preclusione è estesa a tutti gli atti
dell'Autorità Giudiziaria, ancorché non
immediatamente collegati a provvedimenti che
siano espressione dello ius dicere ma
intimamente e strumentalmente connessi a
questi ultimi (TAR Emilia Romagna-Parma Sez.
I, 04.10.2011, n. 329) (05.01.2012 - tratto da www.ipsoa.it). |
CORTE DEI
CONTI |
INCARICHI PROFESSIONALI:
Incarichi di collaborazione esterna.
Torna sull'argomento la Corte dei Conti,
Sez. I Appello Giurisdiz.
Centrale che, con
sentenza
27.12.2011 n. 577, illustra la normativa e la
prassi giurisprudenziale in tema di
conferimento di incarichi di collaborazione
da parte delle pubbliche amministrazioni (tratto da www.publika.it
- link a www.corteconti.it).
---------------
I presupposti di
legittimità per il conferimento
dell'incarico o la stipula del contratto di
collaborazione sono così schematizzabili:
1) l'oggetto deve essere corrispondente alle
competenze attribuite dall'ordinamento
all'amministrazione conferente e ad
obiettivi e progetti specifici e
determinati; si tratta, cioè, di perseguire
obiettivi e progetti specifici
contenutisticamente e temporalmente
predeterminati e non determinati in modo del
tutto generico ab origine;
2) occorre il preventivo accertamento, da
parte dell'amministrazione conferente,
dell'impossibilità oggettiva di utilizzare
le risorse umane disponibili al proprio
interno; dunque, la previa verifica
organizzativa, puntuale e documentata, della
quale occorre dare conto nella lettera di
incarico o nel contratto di collaborazione;
3) la prestazione deve essere di natura
temporanea, con conseguente necessaria
predeterminazione del termine di scadenza,
per cui non sono consentiti incarichi
generici rinnovabili a tempo indefinito; per
questo, si richiede che vengano
preventivamente definiti gli elementi
essenziali del contratto, in modo da
delineare ex ante il perimetro dei
principali diritti e obblighi dei
contraenti:
4) infine, la prestazione deve essere
"altamente qualificata"; dunque, la qualità
della professionalità coinvolta deve
chiaramente risultare da un apposito
procedimento di verifica di evidenza
pubblica, idoneo a dimostrare erga omnes la
specifica esperienza del soggetto incaricato
nell'attività dedotta in contratto.
Poiché
a tutte le pubbliche amministrazioni si
applicano, in materia di incarichi a
soggetti esterni, i limiti previsti
dall'art. 7, comma 6, del D.Lgs. n.
165/2001, una volta individuata la necessità
di affidare incarichi all'esterno, la
singola amministrazione, nel rispetto dei
principi di imparzialità e buon andamento
sanciti dall'art. 97 Cost., deve accertare
che l'incarico venga assegnato ad esperti di
particolare e comprovata esperienza, abbia
una durata limitata nel tempo, un oggetto
ben determinato e deve predeterminare
l'entità del compenso e l'onere di spesa.
Ancora, è stata affermata chiaramente
l’impossibilità di ricorrere a rapporti di
collaborazione esterna per attività
ordinarie, con la conseguente illegittimità
dei contratti stipulati in violazione di
tali presupposti e conseguente
responsabilità erariale per gli indebiti
costi gravanti sull'ente.
Con la sentenza in epigrafe il geom. ... è
stato condannato a risarcire il comune di
Sant’Arcangelo (PZ) della somma di €
10.000,00, oltre le spese del giudizio,
corrispondente al 50% del danno che sarebbe
stato prodotto all’ente locale medesimo in
relazione ad un incarico, ritenuto
illegittimo e parzialmente inutile, che era
stato affidato dall’interessato ad un
professionista esterno.
In particolare, l’appellante, nella sua
qualità di responsabile dell’area tecnica
del comune, aveva predisposto e sottoposto
all’approvazione della Giunta il piano
economico-finanziario di attuazione di un
progetto (“Casa sicura”) nell’ambito
dei Programmi Integrativi di Conservazione –
cc.dd. “PIC” - finanziati dalla regione
Basilicata, con la previsione anche
dell’eventuale ricorso a personale esterno.
Nella fattispecie l’appellante, adducendo
carenze di organico, assenza di personale
laureato ed eccessivo carico di lavoro, con
proprio provvedimento aveva affidato un
incarico di consulenza ad un architetto,
libero professionista, che avrebbe dovuto
supportare la prevista attività in progetto.
Di fatto, tale attività era stata svolta da
un geometra (collaboratore in convenzione
con l’affidatario dell’incarico) e si era
risolta in una mera predisposizione di
tabelle e tabulati, che secondo il Giudice
qualunque geometra interno (dei quattro a
disposizione dell’ente) avrebbe potuto
agevolmente svolgere. Di qui, la riscontrata
responsabilità dell’appellante e la sua
condanna, con riduzione del 50%
dell’addebito ipotizzato in citazione; ciò,
da un lato per il parziale concorso della
giunta municipale nella causazione del danno
-con l’acritica approvazione della proposta
avanzata dal sig. ...– e, sotto altro
profilo, per una qualche utilità, comunque
riconosciuta dal primo Giudice al lavoro
svolto.
...
Ritiene questo Collegio opportuno, prima di
affrontare l’esame del merito, illustrare la
normativa e la prassi giurisprudenziale in
tema di conferimento di incarichi di
collaborazione da parte di pubbliche
amministrazioni.
In passato, le norme non disciplinavano in
via generale la fattispecie, se non per casi
particolari: cfr. l'art. 380 del D.P.R.
10.01.1957, n. 3 - T.U. sugli impiegati
civili dello Stato, che regolamentava gli
incarichi conferiti dai ministri a
professori universitari ed esperti di
analoga qualificazione. Altre normative
specifiche, vietavano poi in determinate
ipotesi il conferimento di incarichi
esterni: si citano, al riguardo, l'art. 1
del D.P.R. 28.05.1981, n. 247; l'art. 1 del
d.l. 26.11.1981, n. 678, conv. con legge
26.01.1982, n. 12, sul blocco degli organici
delle USL; infine, l'art. 14, comma 8, della
legge 20.05.1985, n. 207, recante la
disciplina transitoria per l'inquadramento
del personale non di ruolo delle USL.
Le riforme recenti -tanto quelle riguardanti
gli enti locali, quanto le norme generali
sull'organizzazione dei pubblici uffici- si
sono preoccupate, opportunamente, di
disciplinare la fattispecie, con la
fissazione di regole e princìpi che peraltro
già da diversi anni avevano trovato ampia
considerazione nella giurisprudenza
contabile.
La prima disposizione di legge in materia,
in ordine di tempo, è stata dettata per gli
enti locali dall'art. 51 della legge
08.06.1990, n. 142, come modificato dalla
legge 15.05.1997, n. 127; la norma è stata
poi trasfusa nell’art. 110 del T.U. n.
267/2000.
Per la generalità degli enti pubblici, opera
invece l'art. 7, c. 6, del decreto
legislativo 30.03.2001, n. 165 (già D.lgs.
03.02.1993, n. 29), che consente alle
amministrazioni pubbliche di conferire
incarichi individuali ad esperti di provata
competenza e per esigenze cui non possano
fra fronte con le risorse interne. Le
relative attribuzioni spettano ai dirigenti
i quali, sulla scorta proprio della riforma
in tema di organizzazione del lavoro
pubblico hanno assunto un ruolo diverso, con
la conseguente assunzione dei poteri del
privato datore di lavoro nella gestione
delle risorse umane e più in generale
nell’organizzazione degli uffici.
La crescita del fenomeno e l’utilizzo
improprio delle collaborazioni negli ultimi
anni, hanno successivamente portato il
legislatore, in sede di legge finanziaria
-v. gli artt. 34 della legge 27.12.2002, n.
289 e 3 della legge 24.12.2003, n. 350- ad
intervenire in materia con disposizioni
restrittive ai fini del contenimento della
spesa; sempre al medesimo scopo di contenere
le relative spese, l’articolo 1, commi 9 e
11 del d.l. 12.07.2004, n. 168, convertito
con legge 30.07.2004, n. 191, poneva un
limite alla spesa per gli incarichi per le
regioni, le province e i comuni con
popolazione superiore a 5.000 abitanti,
prevedendo altresì che l’affidamento
d’incarichi, in assenza dei presupposti
stabiliti dall’articolo 1, comma 9, “…
costituisce illecito disciplinare e
determina responsabilità erariale”.
In ordine a tale normativa è intervenuta la
circolare della Funzione pubblica n. 4 del
15.07.2004, nella quale si afferma (in piena
sintonia con la giurisprudenza della Corte
dei conti nella materia, puntualmente
richiamata) che la possibilità di ricorrere
a rapporti di collaborazione sussiste solo
per prestazioni di elevata professionalità,
contraddistinte da una elevata autonomia nel
loro svolgimento, tale da caratterizzarle
quali prestazioni di lavoro autonomo;
l’affidamento dell’incarico a terzi può
dunque avvenire solo nell’ipotesi in cui
l’amministrazione non sia in grado di far
fronte ad una particolare e temporanea
esigenza con le risorse professionali
presenti in quel momento al suo interno.
Le disposizioni dei commi 9 e 11
dell’articolo 1 della legge n. 191/2004
hanno cessato di essere in vigore il
31.12.2004 e sono state sostituite, a
decorrere dall'01.01.2005, dall’articolo 1,
commi 11 e 42, della legge 30.12.2004, n.
311 (legge finanziaria 2005), il cui
contenuto è stato peraltro illustrato dalle
SS.RR. della Corte dei conti, con
deliberazione n. 6/2005, “Linee di
indirizzo e criteri interpretativi sulle
disposizioni della legge 30.12.2004, n. 311
(finanziaria 2005) in materia di affidamento
d’incarichi di studio o di ricerca ovvero di
consulenza (art. 1, commi 11 e 42)”.
Più in particolare il comma 11, che si
applica alle pubbliche amministrazioni di
cui all’articolo 1, comma 2, d.lgs. n.
165/2001, dispone che il conferimento
dell’incarico deve essere adeguatamente
motivato ed “… è possibile soltanto nei
casi previsti dalla legge ovvero nelle
ipotesi di eventi straordinari”.
Il comma 42, che si applica agli enti locali
con popolazione superiore a 5.000 abitanti,
prevede analoghi principi (“L’affidamento
da parte degli enti locali di incarichi di
studio o di ricerca, ovvero di consulenze a
soggetti estranei all’amministrazione, deve
essere adeguatamente motivato con specifico
riferimento all’assenza di strutture
organizzative o professionalità interne
all’ente in grado di assicurare i medesimi
servizi, ad esclusione degli incarichi
conferiti ai sensi della legge 11.02.1994,
n. 109, e successive modificazioni.
In ogni caso l’atto di affidamento di
incarichi e consulenze di cui al primo
periodo deve essere corredato della
valutazione dell’organo di revisione
economico-finanziaria dell’ente locale e
deve essere trasmesso alla Corte dei conti.
L’affidamento di incarichi in difformità
dalle previsioni di cui al presente comma
costituisce illecito disciplinare e
determina responsabilità erariale”).
Insomma, il principio generale in materia è
quello secondo cui le amministrazioni
pubbliche possano conferire incarichi
esterni solo nei casi eccezionali sopra
ricordati.
Il D.L. n. 223/2006, conv. con L. n.
248/2006 e la legge finanziaria n. 244/2007
per l’anno 2008 (legge 24.12.2007, n. 244,
art. 3, commi da 54 a 57 e 76), con diverse
disposizioni, hanno definito ulteriormente
il già articolato regime delle
collaborazioni esterne nella P.A.,
consolidando la tendenza a limitare il
ricorso a tali tipologie contrattuali ad
ipotesi eccezionali e, indirettamente,
costituendo i presupposti per una riduzione
della spesa correlata, con apposita modifica
del testo dell’art. 7 D.Lgs. n. 165/2001. I
principi recati da tali ultime normative
–che hanno confermato e, anzi, ulteriormente
delimitato quelli già in vigore– sono stati
oggetto anch’essi di apposita deliberazione
della Corte dei conti, Sez. autonomie, n.
6/2008, che ha precisato i relativi criteri
interpretativi.
In anni ancor più recenti si è poi assistito
ad un profluvio di interventi legislativi in
materia di incarichi, spesso scoordinati e a
poca distanza di tempo tra di loro, sempre
mossi dalla preoccupazione di contenere il
fenomeno (e la relativa spesa pubblica);
sono intervenute in materia (tra le altre)
pressoché tutte le ultime leggi finanziarie,
il decreto c.d. Bersani (D.L. n. 223/2006,
convertito con L. n. 248/2006), il decreto
sullo sviluppo economico (D.L. 112/2008,
conv. con legge n. 133/2008), il decreto
legislativo n. 150/2009, la manovra
economica di cui al D.L. n. 78/2010, conv.
con L. n. 122/2010, etc.. Il legislatore ha
tentato di volta in volta –sempre allo scopo
di contenere e scoraggiare il fenomeno- di
meglio precisare i presupposti e le
condizioni che possono legittimare le
amministrazioni pubbliche a ricorrere agli
incarichi esterni; ha imposto svariati oneri
di pubblicità e comunicazione per le
amministrazioni; ha, infine, stabilito
severi limiti alla relativa spesa.
Per quel che riguarda invece la posizione
della giurisprudenza, va evidenziato come il
conferimento di incarichi di consulenza a
soggetti esterni all'amministrazione abbia
costituito, e costituisca tuttora, una
fattispecie ricorrente in tema di
responsabilità amministrativa.
Molte, tra le pronunzie più recenti, hanno
provveduto a chiarire in via generale la
portata delle norme in materia, e i
corrispondenti limiti alla possibilità, per
le amministrazioni pubbliche, del ricorso a
tali forme di collaborazione.
E’ stato evidenziato, in proposito, che le
pubbliche amministrazioni hanno l'obbligo di
far fronte alle competenze istituzionali
mediante il più proficuo utilizzo di risorse
umane e professionali esistenti nell'ambito
delle proprie strutture, e il ricorso ad
incarichi professionali esterni, avendo
natura eccezionale, può avvenire solo in
presenza delle condizioni previste dalle
disposizioni legislative in materia (in
particolare, l’art. 7 D.L.vo n. 165/2001,
cit.), che esprimono principi di stretta
interpretazione (Corte dei conti, Sez. II
app., 26.08.2008, n. 363).
Più in generale, molte decisioni hanno
provveduto a ribadire che i presupposti di
legittimità per il conferimento
dell'incarico o la stipula del contratto di
collaborazione sono così schematizzabili:
1) l'oggetto deve essere corrispondente alle
competenze attribuite dall'ordinamento
all'amministrazione conferente e ad
obiettivi e progetti specifici e
determinati; si tratta, cioè, di perseguire
obiettivi e progetti specifici
contenutisticamente e temporalmente
predeterminati e non determinati in modo del
tutto generico ab origine;
2) occorre il preventivo accertamento, da
parte dell'amministrazione conferente,
dell'impossibilità oggettiva di utilizzare
le risorse umane disponibili al proprio
interno; dunque, la previa verifica
organizzativa, puntuale e documentata, della
quale occorre dare conto nella lettera di
incarico o nel contratto di collaborazione;
3) la prestazione deve essere di natura
temporanea, con conseguente necessaria
predeterminazione del termine di scadenza,
per cui non sono consentiti incarichi
generici rinnovabili a tempo indefinito; per
questo, si richiede che vengano
preventivamente definiti gli elementi
essenziali del contratto, in modo da
delineare ex ante il perimetro dei
principali diritti e obblighi dei
contraenti:
4) infine, la prestazione deve essere "altamente
qualificata"; dunque, la qualità della
professionalità coinvolta deve chiaramente
risultare da un apposito procedimento di
verifica di evidenza pubblica, idoneo a
dimostrare erga omnes la specifica
esperienza del soggetto incaricato
nell'attività dedotta in contratto (Corte
dei conti, Sez. I app., 02.09.2008 n. 393;
Sez. reg. Lombardia, 20.10.2009, n. 642 e
10.03.2006, n. 172; Sez. reg. Friuli-Venezia
Giulia, 28.01.2008, n. 41; Sez. reg.
Basilicata, 16.10.2008, n. 252).
E’ stato ancora precisato che, poiché a
tutte le pubbliche amministrazioni si
applicano, in materia di incarichi a
soggetti esterni, i limiti previsti
dall'art. 7, comma 6, del D.Lgs. n.
165/2001, una volta individuata la necessità
di affidare incarichi all'esterno, la
singola amministrazione, nel rispetto dei
principi di imparzialità e buon andamento
sanciti dall'art. 97 Cost., deve accertare
che l'incarico venga assegnato ad esperti di
particolare e comprovata esperienza, abbia
una durata limitata nel tempo, un oggetto
ben determinato e deve predeterminare
l'entità del compenso e l'onere di spesa
(Corte dei conti, Sez. reg. Lombardia,
05.03.2007, n. 141, 08.05.2009, n. 324 e
09.07.2009, n. 473).
Ancora, è stata affermata chiaramente
l’impossibilità di ricorrere a rapporti di
collaborazione esterna per attività
ordinarie, con la conseguente illegittimità
dei contratti stipulati in violazione di
tali presupposti e conseguente
responsabilità erariale per gli indebiti
costi gravanti sull'ente (Corte dei conti,
Sez. reg. Lombardia, 20.10.2009, n. 642). |
PUBBLICO IMPIEGO: Vertici.
Il caso dei dipendenti di categoria «D».
Incarichi dirigenziali fuori dall'8%.
L'ORIENTAMENTO/
I magistrati contabili hanno concesso ai
Comuni la libertà di disciplinare la materia
con regolamento.
Il conferimento di incarichi dirigenziali a
dipendenti di categoria D dello stesso ente
sfugge ai vincoli del contenimento entro
l'8% della dotazione organica dettati
dall'articolo 19 del Dlgs 165/2001, così
come modificato dalla legge Brunetta (Dlgs
150/2009).
È questa l'innovativa lettura
data dalla sezione regionale di controllo
della Corte dei conti dell'Abruzzo con il
parere 05.12.2011 n. 384.
Il parere prevede inoltre che i Comuni
utilizzino procedure ispirate ai principi
della «pubblicità e selettività da definire
a livello regolamentare», quindi con ampi
margini di autonomia nella scelta dei
dipendenti a cui conferire questi incarichi.
Il lungo e argomentato parere dei giudici
contabili abruzzesi offre una lettura assai
estensiva dei vincoli dettati dal
legislatore e delle interpretazioni fornite
dalle sezioni unite di controllo della Corte
dei conti con i pareri 12, 13 e 14 del 2011.
Esso consente alla gran parte dei Comuni di
risolvere direttamente i problemi connessi
alla mancanza di dirigenti a tempo
indeterminato, problemi che si manifestano
in modo assai marcato soprattutto dopo
l'elezione del nuovo sindaco e la scadenza
degli incarichi precedentemente conferiti,
come appunto nel comune di Lanciano (Chieti)
che ha sollevato il quesito.
In premessa viene ricordato che le nuove
regole non hanno abrogato né implicitamente
né esplicitamente le previsioni dettate per
gli enti locali dall'articolo 110 del Dlgs
267/2000: esse «possono essere intese
unicamente come integrative rispetto a
quelle già contenute nel Tuel, con le quali
vanno perciò necessariamente coordinate»,
operazione che peraltro è niente affatto
facile. E ancora le norme per gli enti
locali non prevedono limiti per la copertura
dei posti vacanti in dotazione organica, ma
solo per quelli extra dotazione organica.
La deliberazione ricorda che nel
conferimento di incarichi per la copertura
di posti vacanti in dotazione organica non
possono essere invocate esigenze di
contenimento della spesa, né essa può essere
ascritta alla disciplina dell'ordinamento
civile, per cui la materia è sostanzialmente
preclusa a interventi restrittivi del
legislatore nazionale. Conclusione che è
rafforzata dalla tutela offerta dalla stessa
Costituzione all'autonomia regolamentare ed
organizzativa degli enti locali. Si deve
inoltre ricordare che i principi di
carattere generale dettati dalla normativa
più recente vanno nella direzione della
«valorizzazione delle professionalità
interne rispetto al ricorso a soggetti
esterni».
La materia è da considerare quindi rimessa
alla autonomia dei singoli enti locali, i
quali «potranno conferire incarichi
temporanei tenendo comunque presente, da un
lato, i limiti imposti dai principi di sana
gestione delle risorse pubbliche a
disposizione degli enti; d'altro lato,
dell'eccezionalità della disposizione di cui
all'articolo 110 Tuel nel sistema del
conferimento d'incarichi dirigenziali».
Infine, il parere ricorda che non siamo
nell'ambito di incarichi che possano essere
concessi sulla base del criterio della
fiduciarietà personale, il cosiddetto spoil
system. Per cui ogni ente deve
utilizzare procedure ispirate ai principi
per cui si «devono prevedere adeguate
forme procedimentali idonee a garantire
l'oggettività e la trasparenza nella
selezione del personale dirigenziale». E
infine è sufficiente che questi dipendenti
si collochino in aspettativa, non essendo in
alcun modo necessaria la conclusione del
rapporto di lavoro
(articolo Il Sole 24
Ore del 09.01.2012 - tratto da
www.corteconti.it). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Utilizzo, per fini personali, del PC
dell'Ente e danno erariale.
Di questo si occupa la Corte dei Conti, Sez.
Giurisdiz. Liguria, con
sentenza
26.10.2011 n. 319.
Sottolinea anche l'indipendenza del giudizio
contabile (per responsabilità patrimoniale)
rispetto sia al procedimento disciplinare
che all'eventuale giudizio penale (tratto da
www.publika.it - link a www.corteconti.it). |
NEWS |
PUBBLICO IMPIEGO: Assistenza, congedi una tantum.
Permessi fruibili solo per due anni in tutta
la vita lavorativa. La stretta in una nota
dell'Inpdap che scalza la Funzione pubblica:
impossibile cumulare.
L'Inpdap ha bypassato la Funzione pubblica e
ha dettato le regole per la fruizione dei
congedi biennali per assistere i portatori
di handicap, limitandone complessivamente la
fruizione a soli due anni nell'arco della
vita lavorativa. Anche se i disabili da
assistere sono più di uno e le necessità si
verificano in epoche diverse.
É quanto si
evince dalla
circolare 28.12.2011 n. 22
emanata
dall'ente
previdenziale (INPDAP) guidato da Paolo Crescimbeni,
ente in corso di trasferimento all'Inps in
virtù dell'accorpamento deciso dalla manvora
salva-Italia.
L'istituto si spinge fino ad impartire
disposizioni alle altre amministrazioni
dello stato su come fruire dei congedi
previsti dall'art. 42 del decreto
legislativo 151/2001. La materia dei congedi
è stata decontrattualizzata e, per effetto
della delega contenuta nell'articolo 23
della legge 04.11.2010, n. 183, è ormai
riservata ai regolamenti. Ciò comporta che
non sia più il tavolo negoziale a dettare le
regole, ma direttamente il governo, per il
tramite di decreti legislativi. Più che
all'Inpdap, dunque, il potere di orientare
le amministrazioni centrali e periferiche
dello stato nell'applicazione della
complessa materia dei permessi decontrattualizzati spetta alla Funzione
pubblica.
All'Inpdap toccherebbe indicare
alle proprie sedi periferiche come far
pagare i contributi alle amministrazioni
quando i dipendenti fruiscono dei congedi.
Resta il fatto, però, che l'ente
previdenziale è andato ben oltre e ha messo
nero su bianco che i due anni del congedo
per assistere i disabili sono da
considerarsi una tantum. A prescindere dl
fatto che vi siano più leggi che prevedono
diverse tipologie di congedi biennali e a
nulla rilevando che vi sia più di un
disabile da assistere.
Pertanto, una volta
esauriti i due anni, secondo l'Inpdap, non
si può più fruire di altro. Il tutto senza
tenere conto che il diritto al congedo, pur
assumendo rilievo in capo al soggetto che ne
richiede la fruizione, trova la sua causa
nelle necessità di ciascuno dei disabili da
assistere e non in capo al lavoratore che lo
assista. Oltre tutto l'ente ha i giorni
contati, perché la manovra Monti ne ha
previsto la cessazione per incorporazione
nell'Inps insieme all'Enpals.
Ma nonostante
il de profundis intonato dal governo,
l'Inpdap non ha voluto rinunciare ad un
ultimo pronunciamento per dire no al cumulo
tra il congedo biennale per assistere il
disabile grave (art. 42, dlgs n. 151/2001) e
il congedo non retribuito per gravi motivi
di famiglia (art. 4, comma 2, della legge n.
53/2000). Secondo l'ente previdenziale le
due tipologie di congedo non sono cumulabili
e, in ogni caso, anche se la stessa persona
dovesse assistere nel corso della vita due
disabili diversi in epoche diverse, una
volta esauriti i 2 anni di congedo, ciò
comporterà la preclusione del diritto al
congedo biennale di cui all'art. 42 del dlgs
151/2001. E ciò determinerà l'ulteriore
effetto di non poter fruire nemmeno di
quello previsto dall'art. 4 della legge
53/2000.
Il ragionamento seguito dall'Inpdap
è il seguente: il congedo biennale non può
superare la durata di due anni per ciascuna
persona portatrice di handicap e nell'arco
della vita lavorativa. Pertanto, chi fruisce
del congedo biennale di cui all'art. 42 del dlgs 151/2000 perde la possibilità di
giovarsi del congedo biennale previsto dalla
legge 53.
---------------
Fuori
nipoti e cugini del lavoratore con handicap.
Il congedo biennale per assistere il
portatore di handicap grave può essere
fruito, nell'ordine: dal coniuge, dai
genitori, dai figli, dai fratelli e dalle
sorelle. Sono esclusi, invece, nipoti,
cugini, generi o altri familiari, anche se
convivono con il portatore di handicap.
E'
questo uno dei chiarimenti contenuti nella
circolare 28.12.2011 n. 22
emanata dall'Inpdap.
Il provvedimento dedica un
paragrafo all'individuazione degli aventi
diritto ai congedi previsti dall'art. 42 del
decreto legislativo 151/2001, la cui
disciplina è stata interessata da alcune
recenti modifiche. In particolare, l'ente
previdenziale ha spiegato che, fermo il
requisito della convivenza con l'assistito,
il congedo spetta in via prioritaria al
coniuge della persona gravemente disabile.
In mancanza del coniuge convivente il
diritto al congedo insorge in capo ai
genitori, naturali o adottivi.
L'ente
previdenziale ha chiarito inoltre che il
beneficio spetta in via subordinata in caso
di mancanza, decesso o in presenza di
patologie invalidanti del coniuge
convivente, alla madre o al padre e non può
essere utilizzato contemporaneamente da
entrambi i genitori. È possibile usufruire
del beneficio anche se l'altro genitore non
lavora, sia in caso di figlio minorenne che
maggiorenne. Non è richiesta la
dichiarazione/prova di convivenza con il
soggetto disabile e non è previsto alcun
limite di età del soggetto che assiste il
disabile. In assenza dei genitori il diritto
al congedo scatta per il figlio convivente
del soggetto disabile grave. Se non vi sono
figli nelle condizioni previste dalla legge,
il congedo può essere fruito dai fratelli e
dalle sorelle.
Lo scorrimento della scala di
priorità deve avvenire secondo l'ordine
fissato dalla legge: coniuge, genitore,
figlio, fratello, a prescindere dal sesso
degli interessati e fermo il requisito
necessario della convivenza con il disabile.
Sono esclusi nipoti, cugini, generi o altri
familiari che, pur assistendo, in
convivenza, un familiare con handicap grave,
non hanno diritto alla concessione del
congedo.
Quanto al requisito della
convivenza esso si intende soddisfatto
qualora l'assistito e l'assistente abbiano
la stessa residenza, intendendo per tale la
medesima dimora abituale. E cioè
l'abitazione nel medesimo stabile avente lo
stesso numero civico, a nulla rilevando che
i soggetti abitino in interni diversi.
---------------
Anche il congedo fa festa quando
capita di domenica. Ammessa
la fruizione frazionata, ma solo su base giornaliera.
Se il congedo va dal lunedì a un giorno
prefestivo, non è necessario ritornare in
servizio per evitare che il festivo rientri
nel periodo di congedo. La sospensione delle
lezioni, infatti, sposta l'obbligo della
presa di servizio al primo giorno utile dopo
la festa. Ma se l'assenza del lavoratore
riparte dal giorno dopo la festa, anche il
giorno festivo rientra nel congedo.
É questo
uno dei chiarimenti sulle assenze previste
dall'art. 42 del dlgs 151/2001, contenuti
nella
circolare 28.12.2011 n. 22, emanata dall'Inpdap.
L'ente previdenziale ha chiarito, inoltre,
che la fruizione del congedo per
l'assistenza dei portatori di handicap non
può eccedere il decorso del termine del
certificato della Asl che attesta lo stato
di handicap dell'assistito. Pertanto, anche
se la legge fissa il limite massimo del
congedo in due anni, la relativa fruizione
non può andare oltre il periodo di vigenza
del certificato sanitario. Si pensi, per
esempio al caso del portatore di handicap
giudicato rivedibile che, all'atto del
successivo accertamento, perda lo stato di
handicap per effetto dell'intervenuta
guarigione.
L'Inpdap ha spiegato, inoltre, che il
congedo è fruibile anche in modo frazionato.
La frazionabilità però va intesa nel senso
che l'assenza può essere fruita a giorni,
rimanendo preclusa la possibilità della
fruizione ad ore in quanto non espressamente
prevista dalla legge. Ai fini della
frazionabilità, tra un periodo e l'altro di
fruizione, per evitare che vengano computati
nel periodo di congedo i giorni festivi, i
sabati e le domeniche, è necessaria,
l'effettiva ripresa del lavoro. Il requisito
della ripresa del lavoro non è richiesto nei
casi di domanda di congedo dal lunedì al
venerdì.
A questo proposito l'Inpdap ha
fatto riferimento all'ipotesi della
settimana corta (che viene adottata talvolta
anche nelle istituzioni scolastiche). In tal
caso, secondo l'ente previdenziale, il
sabato e la domenica antecedenti la ripresa
del lavoro non devono essere conteggiati.
Sempre che non si presenti una nuova
richiesta di congedo dello stesso tipo per
il lunedì successivo.
La ripresa di servizio non è necessaria
anche se muta il titolo dell'assenza. Per
esempio se, una volta esaurito il periodo di
congedo richiesto, l'interessato prosegua
l'assenza fruendo di ferie, di permessi o si
assenti per malattia. In questi casi, cioè
nell'ipotesi di giorni di ulteriori assenze
a diverso titolo collocate immediatamente
dopo il congedo le giornate festive ed i
sabati (in caso di settimana corta) non
vanno computate nel congedo
(articolo ItaliaOggi del
10.01.2012). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Statali, i vincoli al part-time.
Entro 60 giorni la Pa accoglie o respinge
(con motivi) la domanda (articolo Il Sole 24
Ore del 09.01.2012 - tratto da
www.ecostampa.it). |
ENTI LOCALI: Consolidamento solo sul personale.
Nei calcoli dei tetti le società «pesano»
per le spese in stipendi ma non per le
correnti.
Corte
dei conti. I chiarimenti della Sezione
autonomie sull'applicazione del limite del
50% di uscite per risorse umane che blocca
le assunzioni.
L'illusione è durata pochi giorni. La legge
di stabilità 2012 ha regalato un
allentamento della morsa sui vincoli alle
assunzioni, aumentando dal 40 al 50% il
limite del rapporto fra spesa di personale e
spesa corrente, oltre al quale scatta lo
stop ai contratti di lavoro. Ma è stata la
Corte dei conti, sezione autonomie, a
riportare gli enti con i piedi per terra.
Interpretando le modalità di applicazione
dell'articolo 76, comma 7, del Dl 78/2010,
ha indicato criteri di calcolo che
comportano, quasi certamente, lo sforamento
del vincolo appena indicato e, quindi,
l'applicazione della sanzione. Nel contempo
ha, forse involontariamente, indicato una
strada per sopperire al problema.
Ma andiamo con ordine. Con la deliberazione
14/Aut/2011, i magistrati contabili
risolvono alcuni dubbi sul consolidamento
della spesa di personale delle società
partecipate con quella degli enti locali ai
fini del calcolo dell'incidenza della spesa
di personale sulla spesa corrente. Il
principio posto a base del consolidamento
sta nella proporzionalità diretta: il valore
dei corrispettivi pagati da ogni singolo
ente determina il quantum della spesa di
personale che spetta a ogni soggetto che
partecipa in società a capitale pubblico
totalitario o di controllo, che abbia
ottenuto affidamenti senza gara (si veda
l'articolo a lato).
Tre sono, quindi, le quantità che devono
essere recuperate dal bilancio della società
stessa o dalla relazione al rendiconto che i
revisori inviano alla stessa Corte dei conti
e che, a sua volta, richiama lo schema di
conto economico del Codice civile:
- la spesa di personale della società,
coincidente con la voce B9 del conto
economico, senza alcuna decurtazione per
fondi o accantonamenti. Ne fanno, quindi,
parte anche l'accantonamento per il Tfr e
per eventuali fondi di previdenza
complementare. A questi fini, il concetto di
spesa e di costo coincidono e il criterio
guida è rappresentato dalla competenza
economica;
- il valore della produzione della società,
corrispondente, come specificato nelle
istruzioni alla relazione, alla lettera A
del conto economico;
- i corrispettivi pagati alla società per le
prestazioni rese a favore dell'ente.
Sottolineano i magistrati contabili che, in
caso di servizio a tariffa, si devono
considerare anche i ricavi associati agli
utenti di ciascun ente partecipante alla
società.
Il riparto avviene rapportando i
corrispettivi (punto 3) al valore della
produzione (punto 2) e moltiplicando il
quoziente per la spesa di personale (punto
1). Questo è l'importo da consolidare con la
spesa di personale dell'ente e l'operazione
va ripetuta per ogni amministrazione
partecipante la società.
I conti, però, non quadrano. Infatti, nel
valore della produzione il Codice civile
ricomprende anche altre voci che non sono
direttamente correlate alle prestazioni di
servizi, quali i contributi in conto
esercizio, le variazioni delle rimanenze e
gli incrementi delle immobilizzazioni per
lavori interni. Ne consegue che una parte
della spesa di personale potrebbe non essere
imputata ai singoli enti o, in caso di
variazione negativa delle scorte, la spesa
imputata potrebbe superare la spesa
effettiva di personale della società.
Ma la forte penalizzazione per gli enti è
rappresentata dal consolidamento della sola
spesa di personale, senza alcun incremento
della quantità "spesa corrente". È evidente
come, operando in tal modo, il valore del
rapporto spesa di personale sulla spesa
corrente si incrementi in modo
significativo, in spregio a quel criterio di
ragionevolezza e ai principi che si pongono
a base del bilancio consolidato, che la
stessa Corte auspica nella delibera in
commento. Aumentare anche la spesa corrente
dei costi che la società sostiene a fronte
di ricavi non correlati a corrispettivi
pagati dai singoli enti rappresenterebbe una
misura sicuramente più equa. Emblematico è
il caso delle farmacie.
Con molta probabilità, comunque, non è stata
messa la parola fine: l'interpretazione
proviene dalla sezione autonomie della Corte
dei conti e non dalle sezioni riunite, e
quindi non ha effetto vincolante per le
sezioni regionali
(articolo Il Sole 24
Ore del 09.01.2012 - tratto da
www.corteconti.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA: Rifiuti, semplificazioni beffa.
Per gli operatori resta l'obbligo di inviare
il Mud entro aprile. Le misure introdotte
dal dm 298/2011. Al Sistri vanno comunicati
codici, quantità e destinazione.
Ormai è ufficiale: il termine per l'invio
dei dati su produzione, recupero e
smaltimento rifiuti relativi al periodo 2011
non coperto dal Sistri è slittato dal 31.12.2011 al 30.04.2012. Come
disposto dal decreto 12.11.2011
dell'ormai ex ministro all'Ambiente Stefania
Prestigiacomo approdato finalmente alla
pubblicazione in Gazzetta Ufficiale n. 298
del 23.12.2011.
L'esigenza di rinviare la scadenza al 30.04.2012 nasce da una serie di proroghe
succedutesi a catena. Da ultimo quella
dell'art. 13, comma 2, del dl 216/2011 (c.d.
decreto «mille proroghe») pubblicato in G.U.
n. 302 del 29.12.2011 che posticipava
l'entrata in vigore del Sistri al 02.04.2012. Una posticipazione che seguiva quella
già disposta dall'art. 6, comma 2, del dl
138/2011 (la manovra di fine estate),
convertito con legge 14.09.2011 n.
148 e che prorogava il termine di entrata in
operatività del Sistri al 09.02.2012.
Ciò in costanza dell'art. 12, comma 1, del
dm 17.12.2009, come modificato con
successivo dm del 22.12.2010, che
disponeva che le informazioni relative
all'anno 2011 sui rifiuti prodotti o gestiti
fossero comunicate al Sistri entro il 31.12.2011 da parte dei soggetti tenuti
alla presentazione del modello unico di
dichiarazione ambientale (Mud) di cui alla
legge 25.01.1994, n. 70.
Da ora, pertanto, sia i produttori iniziali
di rifiuti sia le imprese e gli enti che
effettuano operazioni di recupero e
smaltimento, e che erano tenuti alla
presentazione del Mud, dovranno comunicare
al Sistri entro il prossimo 30 di aprile,
compilando l'apposita scheda, le seguenti
informazioni, relative al periodo dell'anno
2010 precedente all'operatività del sistema
Sistri, sulla base dei dati inseriti nel
registro di carico e scarico di cui
all'articolo 190 del dlgs 03.04.2006, n.
152:
a) il quantitativo totale di rifiuti
annotati in carico sul registro, suddiviso
per codice Cer;
b) per ciascun codice Cer, il quantitativo
totale annotato in scarico sul registro, con
le relative destinazioni;
c) per le imprese e gli enti che effettuano
operazioni di recupero e di smaltimento dei
rifiuti, le operazioni di gestione dei
rifiuti effettuate;
d) per ciascun codice Cer, il quantitativo
totale che risulta in giacenza.
A questo punto è opportuno ricordare che tra
gli obiettivi del Sistri c'era quello della
semplificazione normativa ed operativa in
favore delle imprese, oltre a quello del
miglioramento della tracciabilità dei
rifiuti. In realtà, sembra che così non si
riesca affatto a ridurre il numero di
adempimenti per le imprese. Il «tormentone»
del Sistri e della sua entrata in vigore ha
inoltre avuto il demerito di distrarre
amministrazioni e opinione pubblica da altri
temi di fondamentale importanza per l'Italia
e l'Europa. Per esempio la Direttiva rifiuti
n. 98/2008 (recepita dal dlgs n. 205/2010),
che introduce degli obiettivi vincolanti di
riuso e riciclaggio per i rifiuti domestici
e per quelli derivanti dall'edilizia.
La
recente Tabella di marcia per l'uso
efficiente delle risorse, pubblicata nello
scorso mese di settembre, prevede, fra
l'altro, il miglioramento della gestione dei
rifiuti attraverso un miglior utilizzo delle
risorse e può aprire nuovi mercati e creare
posti di lavoro, favorendo una minore
dipendenza dalle importazioni di materie
prime e consentendo di ridurre gli impatti
ambientali
(articolo ItaliaOggi
Sette del 09.01.2012). |
ENTI LOCALI - VARI: Imu-Ici, dieci gradi di
separazione.
Tra detrazioni familiari e case all'estero,
cosa fa la differenza. Similitudini e
diverse caratteristiche delle due imposte
immobiliari, con gli effetti per i contribuenti.
L'Imu non è l'Ici. Almeno dieci differenze
fanno sì che la nuova imposta abbia effetti
diversi dalla vecchia comunale sugli
immobili. Da quando la manovra Monti ha
anticipato al 2012 l'entrata in vigore dell'Imu,
questa è stata spesso definita come una
sorta di Ici allargata e nulla più.
Si tratta, invece, di una nuova imposta che
è vero che sostituisce l'Ici (ma non solo) e
che ha non pochi punti in comune con la
stessa, ma è anche vero che ha
caratteristiche proprie. Ecco allora le
dieci differenze di maggior rilevanza che
saranno quelle che i contribuenti dovranno
considerare per verificare convenienze e
sconvenienze della nuova imposta.
1. Abitazione principale. Forse è la
differenza che ha avuto la maggior
pubblicità. Al contrario di quanto accadeva
con l'Ici, con la nuova imposta anche
l'abitazione principale sarà da assoggettare
al tributo con un evidente aggravio per i
titolari dell'abitazione principale (che
fino a oggi non pagavano alcunché né ai fini
Ici né ai fini Irpef). L'imposta
sull'abitazione principale è fissata allo
0,4% ma i comuni hanno il potere di
modificarla di 0,2 punti percentuali in più
o in meno. Quindi la stessa potrà variare
dallo 0,2 allo 0,6%.
2. Detrazione per carichi di famiglia. In
sede di conversione per ogni figlio fino ai
26 anni di età, che vive in famiglia, è
concessa una detrazione aggiuntiva a quella
stabilita per l'abitazione principale di 50
euro. Il tetto massimo della nuova
detrazione sarà di 400 euro da sommare ai
200 concessi in generale per l'abitazione
principale (quindi il bonus massimo sarà di
600 euro). Lo sconto sarà efficace nel 2012
e 2013 mentre nulla si prevede con riguardo
al 2014. Nessun previsione similare esisteva
ai fini Ici (nemmeno quando era tassata
l'abitazione principale).
3. Sostituzione dell'Irpef. Questa ulteriore
differenza non sempre è stata messa in
evidenza. La nuova Imu infatti oltre a
sostituire l'Ici sostituisce anche l'Irpef e
le addizionali sugli immobili non locati
differenti dall'abitazione principale.
Da ciò i calcoli di convenienza rispetto al
passato dovranno tener conto anche di tale
situazione. Per le seconde o terze case solo
un calcolo sul singolo caso potrà consentire
di verificare l'effetto della nuova
previsione anche se molto spesso si giungerà
a individuare anche in questo caso un
aggravio. I calcoli dell'esborso e quindi
del confronto con la situazione attuale
dovranno però tener conto anche del potere
che è assegnato ai comuni per la
rimodulazione delle aliquote e delle misure
delle detrazioni.
4. Valore immobili. La base imponibile Imu è
individuata partendo dal valore della
rendita catastale rivalutato. Poi, come già
succedeva con l'Ici, per passare dalla
rendita al valore dell'immobile sono stati
individuati alcuni moltiplicatori. Ma tali
moltiplicatori sono ben più alti rispetto a
quelli in vigore con l'Ici. Da qui
naturalmente una logica conseguenza è quella
che si assisterà a un incremento della base
imponibile dell'imposta municipale rispetto
a quella Ici.
Almeno per ora il nuovo valore
così individuato esplica efficacia solo con
riferimento all'imposta comunale. Guardando
ai casi più comuni, gli effetti si faranno
sentire non poco. Basti pensare che sulle
abitazioni il nuovo moltiplicare di 160
sostituisce il precedente di 100 e sugli
uffici il nuovo di 100 sostituisce il
precedente di 50 (con una sorta di raddoppio
della base imponibile).
5. Aliquote. Anche sul fronte delle aliquote
non mancano le novità. La vecchia Ici
prevedeva per le abitazioni una imposta che
poteva variare dal 4 al 7 per mille, spazio
entro cui i comuni poteva scegliere le
differenziazioni che volevano introdurre nel
loro territorio comunale. Ora invece
sull'abitazione principale è fissata allo
0,4% ma i comuni hanno il potere di
modificarla di 0,2 punti percentuali in più
o in meno. Quindi la stessa potrà variare
dallo 0,2 allo 0,6%.
Sugli immobili è
fissata allo 0,76%, ma i comuni hanno il
potere di modificarla di 0,3 punti
percentuali in più o in meno. Quindi la
stessa potrà variare dall'1,06% allo 0,46%.
Inoltre la stessa è fissata allo 0,2% per i
fabbricati rurali a uso strumentale e i
comuni possono ridurre la suddetta aliquota
fino allo 0,1%. Inoltre i comuni possono
ridurre l'aliquota di base fino allo 0,4%
nel caso di immobili non produttivi di
reddito fondiario o nel caso di immobili
posseduti da soggetti Ires, ovvero nel caso
di immobili locati.
6. Potere regolamentare dei comuni. Anche in
ambito Imu rimane fermo il potere
regolamentare dei comuni, ovvero la
possibilità degli stessi di modulare
l'imposta con riguardo a specifiche
fattispecie. Una particolarità riguarda però
gli immobili inagibili e per i fabbricati
realizzati per la vendita e non venduti
dalle imprese che hanno per oggetto
esclusivo o prevalente dell'attività la
costruzione e l'alienazione di immobili. In
tal caso l'Ici non era dovuta per espressa
previsione normativa mentre di tale
esclusione non vi è traccia nell'Imu. La
stessa quindi potrà essere accordata, ma
solo in via opzionale dai comuni esercitando
il loro potere regolamentare.
7. Compartecipazioni erariale. L'Ici era
un'imposta comunale il cui gettito finiva
interamente nelle casse dell'ente
periferico. Non è così per l'Imu. È stata,
infatti, prevista una compartecipazione
dello stato all'Imu nella misura: del 50%
dell'imposta determinata applicando
l'aliquota di base di cui al (0,76%) alla
base imponibile di tutti gli immobili, a
eccezione dell'abitazione principale e dei
fabbricati rurali. In tal caso le detrazioni
e le riduzioni di aliquota deliberate dai
comuni, non si applicano alla quota di
imposta riservata allo stato di cui al
periodo precedente.
Ora ciò può avere un
effetto diretto per i contribuenti. Se gli
immobili diversi dalla casa di abitazione e
quelli rurali il gettito dovrà essere
devoluto allo stato nella misura del 50%
dell'imposta totale calcolata con l'aliquota
dello 0,76% sarà ben difficile che i comuni
sfruttando il loro potere giungeranno ad
abbattere tale aliquota perché così facendo
correrebbero il rischio di incassare solo
poco più di quello che in ogni caso sarà il
gettito di competenza (per legge)
dell'erario centrale.
8. Fabbricati rurali. Niente sconti per i
fabbricati rurali. La nuova Imu cancella
l'esenzione Ici per i fabbricati rurali.
Tali immobili pagheranno con un'aliquota
ridotta allo 0,2% nel caso di fabbricati
rurali ad uso strumentale (quindi stalle,
depositi attrezzi, ecc). Vi è però la
possibilità dei comuni di abbattere
l'aliquota allo 0,1%. Nel caso di fabbricati
rurali a destinazione abitativa non vi sono
differenze rispetto alla tassazione di tutti
i fabbricati abitativi non rurali. Se il
fabbricato rurale a uso abitativo, è
abitazione principale pagherà l'Imu in base
all'aliquota e alle detrazioni stabilite per
detta fattispecie. Se invece non è
abitazione principale, sarà assoggettato
all'Imu secondo le regole ordinarie.
9. Fabbricati esteri. Anche se tecnicamente
ha un altro nome un'altra differenza
rispetto all'Ici è che la nuova imposizione
colpirà anche gli immobili esteri. Il
decreto Monti ha introdotto un'imposta sul
valore degli immobili situati all'estero
stabilita nella misura dello 0,76% del
valore degli immobili specificando che lo
stesso è costituito dal costo risultante
dall'atto di acquisto o dai contratti e, in
mancanza, secondo il valore di mercato
rilevabile nel luogo in cui è situato
l'immobile. Quindi in prima battuta vale il
costo di acquisto, ma se non vi è la
possibilità di dimostrarlo (o forse anche se
lo stesso non esiste in quanto l'immobile è
pervenuto in forma gratuita) ecco allora che
interviene il valore di mercato.
10. Pagamenti. Qui il cantiere è ancora
aperto. Le abituali scadenze Ici erano
quella del 16 giugno e del 16 dicembre.
Entro la prima data occorreva versare
l'acconto d'imposta per l'anno in corso ed
entro la seconda il saldo di quanto dovuto.
Il decreto sul federalismo prevede invece
scadenze differenti. Si prevede infatti che
il pagamento dell'Imu intervenga in un
minimo di 4 rate:
●
31 marzo
●
16 giugno
●
30 settembre
●
16 dicembre.
Sul punto saranno necessari i chiarimenti
della prassi soprattutto in sede di prima
applicazione che presumibilmente dovranno
indicheranno anche gli obblighi dichiarativi
correlati alla nuova imposta
(articolo ItaliaOggi
Sette del 09.01.2012). |
PUBBLICO IMPIEGO - VARI: Dalla riforma delle pensioni a
guadagnarci sono gli autonomi. Le nuove
prestazioni previdenziali: accesso ridotto
di un semestre per artigiani e commercianti.
Artigiani e commercianti vanno in pensione
di vecchiaia sei mesi prima. Gli unici a
guadagnarci dalla riforma Monti, infatti,
sono i lavoratori autonomi che già da
quest'anno possono accedere sei mesi prima
al riposo. È la nuova pensione di vecchiaia,
che eleva il requisito dell'età (senza più
la vecchia «finestra mobile») quasi a 66
anni per dipendenti e autonomi uomini e per
le donne del pubblico impiego, a 63 anni e 6
mesi per le lavoratrici autonome e a 62 anni
per le donne del privato (requisiti per il
2012).
La nuova pensione di vecchiaia. Dall'anno
2012 scompaiono le pensioni di vecchiaia, di
vecchiaia anticipata e di anzianità,
sostituite da due sole prestazioni: la
«pensione di vecchiaia» e la «pensione
anticipata». Dal 2012, in particolare,
esiste un solo trattamento di vecchiaia che
si consegue, con riferimento a «tutti» i
lavoratori e per l'anno 2012, in presenza di
un requisito minimo contributivo pari a 20
anni (che sostituisce il vecchio requisito
di 20 di contribuzione per la pensione di
vecchiaia retributiva e quello di 5 anni per
la pensione di vecchiaia contributiva) e
un'età non inferiore: 66 anni per i
lavoratori dipendenti e autonomi, compresi
quelli iscritti alla gestione separata Inps
(co.co.co. e lavoratori a progetto); 62 anni
per le lavoratrici dipendenti del settore
privato; 63 anni e 6 mesi per le lavoratrici
autonome del settore privato, comprese
quelle iscritte alla gestione separata Inps
(co.co.co. e lavoratrici a progetto); 66
anni per i lavoratori dipendenti del settore
pubblico.
Va notato, tuttavia, che
l'innalzamento dell'età non sempre
corrisponde a un effettivo aumento del
requisito per il diritto alla pensione,
perché i nuovi requisiti inglobano anche il
tempo di attesa per la «decorrenza» della
pensione, che nella vecchia disciplina era
rappresentato dalla «finestra mobile».
Oltre
al requisito di età e di contribuzione,
inoltre, se il lavoratore appartiene
pienamente al regime contributivo (cioè ha
iniziato a lavorare a partire dall'01.01.1996), per il diritto alla pensione di
vecchiaia occorre che soddisfi un'ulteriore
condizione: l'assegno di pensione non deve
risultare di importo inferiore a 1,5 volte
l'assegno sociale (in precedenza questo
limite era di 1,2 volte). Non è necessario
soddisfare la predetta soglia minima da
parte di chi è in possesso di un'età pari a
70 anni; in tal caso, inoltre, è sufficiente
anche un'anzianità contributiva minima
effettiva di soli 5 anni. Tale importo
soglia (1,5 volte l'assegno sociale) è
soggetto all'annuale rivalutazione sulla
base della variazione media quinquennale del
prodotto interno lordo (pil) nominale,
appositamente calcolata dall'Istat, con
riferimento al quinquennio precedente l'anno
da rivalutare.
Novità assoluta della nuova pensione di
vecchiaia è la flessibilità che si sostanzia
in un meccanismo premiale a favore di chi
ritardi l'accesso alla pensione, rispetto
all'età minima prestabilita per legge e fino
a 70 ani. Chi prosegue l'attività lavorativa
oltre l'età minima di pensione, in altre
parole, è premiato con l'applicazione di un
«coefficiente di trasformazione» di misura
più conveniente. A tal fine, questi
coefficienti (che sono i tassi percentuali
che applicati al montante contributivo danno
la misura della pensione) saranno
predeterminati fino all'età di 70 anni
(salvo successivi adeguamenti alla speranza
di vita).
Poiché, come già detto, la
revisione del requisito di età ha decretato
l'abrogazione definitiva delle finestre di
pensionamento, dall'01.01.2012 la pensione
decorre dal mese successivo a quello di
maturazione dei requisiti per il diritto
(ossia cessazione dal lavoro)
(articolo ItaliaOggi
Sette del 09.01.2012). |
GIURISPRUDENZA |
APPALTI: L'art. 38, del D.Lgs. 12.04.2006
n. 163, nel prevedere l'esclusione dalla
gara pubblica dell'impresa che sia incorsa
in grave negligenza o malafede
nell'esecuzione di lavori affidati dalla
stazione appaltante, postula una valutazione
di gravità fatta dalla stessa
Amministrazione; infatti l'esclusione, in
tale ipotesi, non ha carattere
sanzionatorio, ma è prevista a presidio
dell'elemento fiduciario destinato a
connotare, sin dal momento genetico, i
rapporti contrattuali con la P.A., sicché,
in mancanza di vulnus a siffatto elemento,
la comminatoria dell’esclusione non ha
ragion d’essere.
---------------
Secondo un primo filone giurisprudenziale
in tema di dichiarazioni ex art. 38 del
D.Lgs. 12.04.2006 n. 163, la
puntualizzazione del tipo "per quanto a mia
conoscenza" inserita in una dichiarazione
sostitutiva, resa ai sensi dell'art. 47
comma 2, D.P.R. 28.12.2000 n. 445, relativa
all'inesistenza di condanne nei confronti di
amministratori e direttori tecnici cessati
dalla carica, renderebbe del tutto priva di
valore e tamquam non esset la dichiarazione
rilasciata, venendo a mancare una vera e
propria assunzione di responsabilità insita,
invece, in tale tipo di dichiarazione e alla
base dell'affidamento che è chiamata a
riporvi l'amministrazione appaltante.
Secondo un diverso e più recente
orientamento non deve ritenersi viziata
la dichiarazione contenente l’inciso “per
quanto a mia conoscenza” in quanto esso
sarebbe giustificato dal fatto che la
dichiarazione riguarda gli amministratori
cessati dalla carica, cui non può essere
imposto il rilascio di dichiarazioni
personali e in riferimento ai quali chi
rappresenta l’impresa può attestare quanto è
a sua conoscenza, salvo ovviamente possibili
richieste integrative da parte della
stazione appaltante.
Il Collegio ritiene più persuasivo
l’orientamento da ultimo riportato in quanto
più aderente alla ratio sottesa al dato
normativo in rassegna, dovendosi fare salva,
in ogni caso e anche alla luce dell’ormai
codificato principio di tassatività delle
cause di esclusione per vizi meramente
formali, la possibilità per la stazione
appaltante di attivare il cosiddetto dovere
di soccorso chiedendo, eventualmente,
integrazioni e chiarimenti in ordine alle
dichiarazioni rese.
---------------
L'art. 84 del D.Lgs. 12.04.2006, n. 163, nel
dettare le regole per la nomina della
commissione giudicatrice nelle gare da
aggiudicare con il criterio dell'offerta
economicamente più vantaggiosa, non codifica
un principio di carattere generale in
materia di appalti e di conseguenza non
trova applicazione nelle gare indette con il
criterio del prezzo più basso.
Ciò in quanto l'applicazione del criterio
dell’offerta economicamente più vantaggiosa
implica l'esercizio di un potere di scelta
tecnico-discrezionale da parte della
commissione, mentre al criterio del prezzo
più basso fa da sponda una scelta pressoché
automatica da effettuare mediante il mero
utilizzo dei parametri tassativi prescritti
dal disciplinare di gara.
---------------
In tema di procedure di affidamento di
appalti pubblici, l'art. 81 del D.Lgs.
12.04.2006 n. 163, pone una sostanziale
equipollenza tra i criteri di valutazione
delle offerte, la cui scelta è rimessa
all'apprezzamento discrezionale della
Stazione appaltante, con il limite
dell'adeguatezza, della logicità e della
ragionevolezza del sistema prescelto in
relazione alle caratteristiche dell'appalto
desumibili dalle prescrizioni del bando di
gara e del capitolato speciale.
In proposito si osserva che l’art. 38, comma
1, lett. f, del D.Lgs. 163/2006 stabilisce
che sono esclusi dalla partecipazione alle
procedure di affidamento i soggetti che
“secondo motivata valutazione della stazione
appaltante, hanno commesso grave negligenza
o malafede nell'esecuzione delle prestazioni
affidate dalla stazione appaltante che
bandisce la gara”.
Nel caso di specie, come risulta dalla
documentazione in atti, si era trattato di
prestazioni aggiuntive non dedotte in
convenzione: come condivisibilmente
osservato dalla difesa della stazione
appaltante si trattava di forme di
incentivazione degli obiettivi premiali
della ASL non facenti parte delle
prestazioni dovute in forza della
convenzione, con la conseguenza della non
riconducibilità di detta inadempienza a
fattispecie di grave negligenza o malafede.
In ogni caso la valutazione della gravità è
rimessa, ex lege, alla stazione appaltante
la quale, con tutta evidenza, non ha
ritenuto le pregresse vicende occorse in
fase di sperimentazione di gravità tale da
vulnerare il rapporto fiduciario con le
imprese in questione.
Invero, l'art. 38, del D.Lgs. 12.04.2006
n. 163, nel prevedere l'esclusione dalla gara
pubblica dell'impresa che sia incorsa in
grave negligenza o malafede nell'esecuzione
di lavori affidati dalla stazione
appaltante, postula una valutazione di
gravità fatta dalla stessa Amministrazione;
infatti l'esclusione, in tale ipotesi, non
ha carattere sanzionatorio, ma è prevista a
presidio dell'elemento fiduciario destinato
a connotare, sin dal momento genetico, i
rapporti contrattuali con la P.A., sicché,
in mancanza di vulnus a siffatto elemento,
la comminatoria dell’esclusione non ha
ragion d’essere (cfr. per il principio:
Cons. Stato, sez. V, 21.01.2011, n.
409).
---------------
Con i
primi motivi aggiunti la ricorrente ha, poi,
censurato la mancata esclusione dalla gara
di Vitalaire, risultata aggiudicataria dei
lotti 3, 5, 6 e 7, in quanto tutte le
dichiarazioni riguardanti i soggetti cessati
dalla carica nel triennio sia di Vitalaire
che dell’ausiliaria Air Liquide, rese ai
sensi dell’art. 38, comma 1, lett. c), del
codice dei contratti, contenenti la
precisazione “per quanto a mia conoscenza”,
sarebbero inesistenti in quanto contenenti
una inammissibile limitazione all’assunzione
di responsabilità.
Osserva il Collegio che sul tema si
registrano, in giurisprudenza, orientamenti
contrastanti.
Secondo un primo filone giurisprudenziale in
tema di dichiarazioni ex art. 38 del D.Lgs.
12.04.2006 n. 163, la puntualizzazione
del tipo "per quanto a mia conoscenza"
inserita in una dichiarazione sostitutiva,
resa ai sensi dell'art. 47 comma 2, D.P.R.
28.12.2000 n. 445, relativa
all'inesistenza di condanne nei confronti di
amministratori e direttori tecnici cessati
dalla carica, renderebbe del tutto priva di
valore e tamquam non esset la dichiarazione
rilasciata, venendo a mancare una vera e
propria assunzione di responsabilità insita,
invece, in tale tipo di dichiarazione e alla
base dell'affidamento che è chiamata a
riporvi l'amministrazione appaltante (TAR
Sicilia Palermo, sez. III, 22.10.2010,
n. 13015; TAR Sicilia Catania, sez. IV, 09.12.2009, n. 2032).
Secondo un diverso e più recente
orientamento non deve ritenersi viziata la
dichiarazione contenente l’inciso “per
quanto a mia conoscenza” in quanto esso
sarebbe giustificato dal fatto che la
dichiarazione riguarda gli amministratori
cessati dalla carica, cui non può essere
imposto il rilascio di dichiarazioni
personali e in riferimento ai quali chi
rappresenta l’impresa può attestare quanto è
a sua conoscenza, salvo ovviamente possibili
richieste integrative da parte della
stazione appaltante (Cons. Stato, Sez. V, 30.06.2011, n. 3926).
Il Collegio ritiene più persuasivo
l’orientamento da ultimo riportato in quanto
più aderente alla ratio sottesa al dato
normativo in rassegna, dovendosi fare salva,
in ogni caso e anche alla luce dell’ormai
codificato principio di tassatività delle
cause di esclusione per vizi meramente
formali, la possibilità per la stazione
appaltante di attivare il cosiddetto dovere
di soccorso chiedendo, eventualmente,
integrazioni e chiarimenti in ordine alle
dichiarazioni rese.
---------------
Il primo
di tali motivi riguarderebbe la violazione
dell’art. 84, comma 4, del D.Lgs. 163/2006,
in quanto sarebbe stata nominata componente
della commissione giudicatrice la dott.ssa
... che ha svolto anche funzioni
di RUP.
Il motivo è infondato.
Come correttamente osservato dalla difesa
dell’amministrazione, quella invocata è una
norma inapplicabile alla fattispecie per cui
è causa in cui, essendo l’aggiudicazione da
effettuare con il criterio del prezzo più
basso, la commissione si limiterebbe a
svolgere funzioni per così dire notarili;
viceversa nelle gare da aggiudicarsi con il
criterio dell’offerta economicamente più
vantaggiosa, a presidio delle quali è
dettata la suddetta norma, va
controbilanciato con opportune cautele di
imparzialità, il potere discrezionale
riservato alla commissione di gara.
Del resto è innegabile la differenza
ontologica esistente tra i due sistemi di
aggiudicazione: invero l'art. 84 del D.Lgs.
12.04.2006, n. 163, nel dettare le
regole per la nomina della commissione
giudicatrice nelle gare da aggiudicare con
il criterio dell'offerta economicamente più
vantaggiosa, non codifica un principio di
carattere generale in materia di appalti e
di conseguenza non trova applicazione nelle
gare indette con il criterio del prezzo più
basso.
Ciò in quanto l'applicazione del criterio
dell’offerta economicamente più vantaggiosa
implica l'esercizio di un potere di scelta
tecnico-discrezionale da parte della
commissione, mentre al criterio del prezzo
più basso fa da sponda una scelta pressoché
automatica da effettuare mediante il mero
utilizzo dei parametri tassativi prescritti
dal disciplinare di gara (Cons. Stato, sez.
IV, 23.09.2008, n. 4613).
D’altra parte non va sottaciuto che la
ricorrente si è limitata a prospettare la
censura sotto un profilo meramente formale
senza esplicitare in alcun modo le eventuali
ricadute sul piano sostanziale o l’eventuale
vulnus che la asserita irregolarità avrebbe
arrecato alla procedura di gara e al
principio di correttezza e buon andamento
dell’azione amministrativa.
---------------
In tema
di procedure di affidamento di appalti
pubblici, l'art. 81 del D.Lgs. 12.04.2006 n. 163, pone una sostanziale
equipollenza tra i criteri di valutazione
delle offerte, la cui scelta è rimessa
all'apprezzamento discrezionale della
Stazione appaltante, con il limite
dell'adeguatezza, della logicità e della
ragionevolezza del sistema prescelto in
relazione alle caratteristiche dell'appalto
desumibili dalle prescrizioni del bando di
gara e del capitolato speciale (TAR
Sicilia Palermo, sez. III, 26.06.2008, n.
853)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 10.01.2012 n. 57 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
L'onere di immediata impugnazione del bando
di gara è strettamente riconnesso alla
contestazione di clausole riguardanti
requisiti soggettivi di partecipazione,
ostative all'ammissione dell'interessato o
al più impositive, ai fini della
partecipazione, di oneri manifestamente
incomprensibili o del tutto sproporzionati
per eccesso rispetto ai contenuti della
procedura concorsuale, laddove siano
assimilabili, per struttura e modo di
operare, a quelle concernenti i requisiti
soggettivi.
Va, viceversa, escluso un siffatto onere nei
riguardi di ogni altra clausola dotata solo
di astratta e potenziale lesività, la cui
idoneità a produrre una concreta e attuale
lesione può essere valutata unicamente
all'esito, non scontato, della medesima
procedura e solo in caso in cui tale esito
sia negativo per l'interessato; è evidente,
tuttavia, che un siffatto onere non sussiste
nel caso della particolare previsione della lex specialis
di gara che non sortisca valenza
immediatamente escludente, né renda
oltremodo difficoltosa la partecipazione
alla procedura.
L'onere di immediata impugnazione del bando
di gara è strettamente riconnesso alla
contestazione di clausole riguardanti
requisiti soggettivi di partecipazione,
ostative all'ammissione dell'interessato o
al più impositive, ai fini della
partecipazione, di oneri manifestamente
incomprensibili o del tutto sproporzionati
per eccesso rispetto ai contenuti della
procedura concorsuale, laddove siano
assimilabili, per struttura e modo di
operare, a quelle concernenti i requisiti
soggettivi.
Va, viceversa, escluso un siffatto onere nei
riguardi di ogni altra clausola dotata solo
di astratta e potenziale lesività, la cui
idoneità a produrre una concreta e attuale
lesione può essere valutata unicamente
all'esito, non scontato, della medesima
procedura e solo in caso in cui tale esito
sia negativo per l'interessato; è evidente,
tuttavia, che un siffatto onere non sussiste
nel caso della particolare previsione della
lex specialis di gara che non
sortisca valenza immediatamente escludente,
né renda oltremodo difficoltosa la
partecipazione alla procedura (Cons. Stato,
sez. VI, 04.10.2011, n. 5434) (TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 10.01.2012 n. 56 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: In
sede di valutazione comparativa delle
offerte, il giudizio di discrezionalità
tecnica –caratterizzato
dalla complessità delle discipline
specialistiche di riferimento e dalla
opinabilità dell'esito della valutazione–
sfugge al sindacato del giudice
amministrativo in sede di legittimità
laddove non vengano in rilievo indici
sintomatici del non corretto esercizio del
potere sotto il profilo del difetto di
motivazione, di illogicità manifesta, della
erroneità dei presupposti di fatto e di
incoerenza della procedura valutativa e dei
relativi esiti.
-------------
Spesso il filo che separa il canone
oggettivo di valutazione dell’offerta ed il
requisito soggettivo delle imprese
concorrenti è particolarmente sottile,
attesa la potenziale idoneità dei profili di
organizzazione soggettiva a riverberarsi
sull’affidabilità e sull’efficienza
dell’offerta e, quindi, della prestazione.
Tale commistione inestricabile, che rende in
concreto non pertinente il principio
astratto fin qui enucleato, viene,
segnatamente, in rilievo quante volte la lex
specialis valorizzi non già i requisiti
soggettivi in sé intesi, bensì quei profili
soggettivi capaci di ripercuotersi in modo
specifico sull’espletamento dell’attività
appaltata, con riferimento precipuo alle
caratteristiche del personale, delle
attrezzature e delle strutture logistiche da
adibire alle prestazioni oggetto
dell’appalto.
Dall’esperienza maturata da una concorrente
possono trarsi indici significativi della
qualità delle prestazioni e
dell’affidabilità dell’impresa, qualora tali
aspetti non risultino preponderanti nella
valutazione complessiva dell’offerta.
---------------
La gara aggiudicata con il criterio
dell’offerta economicamente più vantaggiosa
è una procedura composta da varie fasi,
alcune delle quali necessitano di competenze
amministrative ed altre, invece, di
competenze tecniche: le fasi amministrative
possono state espletate in seduta pubblica
da un funzionario/dirigente coadiuvato da
testimoni e dall’Ufficiale rogante, mentre
la fase di valutazione delle offerte
tecniche può essere demandata ad una diversa
Commissione composta da esperti.
--------------
Non è impedita la nomina di consulenti
esterni alla Commissione di gara qualora ciò
sia necessario per determinate circostanze
tecniche e lo stesso non partecipi alla fase
deliberativa.
---------------
Il principio di continuità della procedura
ad evidenza pubblica ha valenza solo
orientativa, potendo essere derogato sia in
ragione della complessità delle operazioni
di gara, sia in presenza di situazioni
particolari che impediscono la
concentrazione delle attività in una sola
seduta.
Anche il Consiglio di Stato ha affermato che
il principio di continuità delle gare
pubbliche è meramente tendenziale, ben
suscettibile di deroga laddove affiorino
circostanze oggettive, non necessariamente
richiamate nei verbali, che impongano una
ponderata attività di valutazione in
relazione alla complessità dell’oggetto
della gara e ai requisiti richiesti.
In linea generale premette il Collegio che
la giurisprudenza amministrativa è concorde
nell'affermare che, in sede di valutazione
comparativa delle offerte, il giudizio di
discrezionalità tecnica –caratterizzato
dalla complessità delle discipline
specialistiche di riferimento e dalla
opinabilità dell'esito della valutazione–
sfugge al sindacato del giudice
amministrativo in sede di legittimità
laddove non vengano in rilievo indici
sintomatici del non corretto esercizio del
potere sotto il profilo del difetto di
motivazione, di illogicità manifesta, della
erroneità dei presupposti di fatto e di
incoerenza della procedura valutativa e dei
relativi esiti (cfr. Consiglio di Stato,
sez. V – 01/10/2010 n. 7262; TAR Trentino
Alto Adige Trento – 28/10/2010 n. 207;
TAR Campania Napoli, sez. VII – 08/06/2007
n. 6043, confermata in appello).
---------------
E’ stato
rilevato in giurisprudenza che spesso il
filo che separa il canone oggettivo di
valutazione dell’offerta ed il requisito
soggettivo delle imprese concorrenti è
particolarmente sottile, attesa la
potenziale idoneità dei profili di
organizzazione soggettiva a riverberarsi
sull’affidabilità e sull’efficienza
dell’offerta e, quindi, della prestazione.
Tale commistione inestricabile, che rende in
concreto non pertinente il principio
astratto fin qui enucleato, viene,
segnatamente, in rilievo quante volte la lex
specialis valorizzi non già i requisiti
soggettivi in sé intesi, bensì quei profili
soggettivi capaci di ripercuotersi in modo
specifico sull’espletamento dell’attività
appaltata, con riferimento precipuo alle
caratteristiche del personale, delle
attrezzature e delle strutture logistiche da
adibire alle prestazioni oggetto
dell’appalto (Consiglio di Stato, sez. V –
21/05/2010 n. 3208).
Nella fattispecie ad avviso del Collegio gli
aspetti organizzativi del servizio
(organizzazione generale, tipo di automezzi,
procedure di pulizia e disinfezione,
caratteristiche dell’hardware e del software
dedicato, imballaggi, detergenti e mezzi di
trasporto a basso impatto ambientale) non
sono apprezzati in modo autonomo, avulso dal
contesto dell’offerta, ma quali elementi
idonei ad incidere sulle modalità esecutive
del servizio specifico e, quindi, quale
parametro afferente alle caratteristiche
oggettive dell’offerta (TAR Lazio Roma,
sez. III – 07/02/2011 n. 1128). In altri
termini i citati criteri di valutazione
dell’offerta tecnica attengono ad aspetti
organizzativi e logistici della struttura
aziendale da predisporre a supporto
dell’espletamento del servizio ed idonei a
qualificarne sotto un profilo oggettivo la
prestazione: essi costituiscono cioè il
portato di esigenze logistiche, strutturali
ed organizzative strettamente inerenti alla
natura oggettiva delle prestazioni da
assolvere da parte dell’impresa
aggiudicataria.
Peraltro occorre anche dare conto
dell’orientamento secondo il quale
dall’esperienza maturata da una concorrente
possono trarsi indici significativi della
qualità delle prestazioni e
dell’affidabilità dell’impresa, qualora tali
aspetti non risultino preponderanti nella
valutazione complessiva dell’offerta (TAR
Umbria – 25/02/2011 n. 61; si veda anche
TAR Lombardia Brescia, sez. II –
21/01/2011 n. 140).
---------------
La
giurisprudenza ha recentemente statuito
(cfr. Consiglio di Stato, sez. V –
13/10/2010 n. 7470; sentenza Sezione
05/01/2011 n. 21) che la gara aggiudicata con
il criterio dell’offerta economicamente più
vantaggiosa è una procedura composta da
varie fasi, alcune delle quali necessitano
di competenze amministrative ed altre,
invece, di competenze tecniche: le fasi
amministrative possono state espletate in
seduta pubblica da un funzionario/dirigente
coadiuvato da testimoni e dall’Ufficiale
rogante, mentre la fase di valutazione delle
offerte tecniche può essere demandata ad una
diversa Commissione composta da esperti.
-------------
Il
Collegio richiama le conclusioni
giurisprudenziali secondo cui non è impedita
la nomina di consulenti esterni alla
Commissione di gara qualora ciò sia
necessario per determinate circostanze
tecniche e lo stesso non partecipi alla fase
deliberativa (TAR Toscana, sez. II –
13/10/2010 n. 6455).
---------------
Il
principio di continuità della procedura ad
evidenza pubblica ha valenza solo
orientativa, potendo essere derogato sia in
ragione della complessità delle operazioni
di gara, sia in presenza di situazioni
particolari che impediscono la
concentrazione delle attività in una sola
seduta (TAR Campania Napoli, sez. VIII –
02/07/2010 n. 16568; TAR Lazio Roma, sez. III –
09/12/2010 n. 35952).
Anche il
Consiglio di Stato (sez. VI – 29/12/2010 n.
9577) ha affermato che il principio di
continuità delle gare pubbliche è meramente
tendenziale, ben suscettibile di deroga
laddove affiorino circostanze oggettive, non
necessariamente richiamate nei verbali, che
impongano una ponderata attività di
valutazione in relazione alla complessità
dell’oggetto della gara e ai requisiti
richiesti.
Il caso esaminato riguarda una
procedura selettiva delicata ed importante,
che ha richiesto una pluralità di sedute
solo per l’esame della documentazione
tecnica e l’attribuzione dei relativi
punteggi, e rispetto alla quale era prevista
dalla lex specialis la possibilità di
ricorrere a sopralluoghi di verifica.
Pertanto il prolungamento della tempistica
può considerarsi nella specie pienamente
giustificato (TAR Lombardia-Brescia, Sez. II,
sentenza 10.01.2012 n. 4 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI: L'atto
con cui si dispone il differimento
dell'accesso deve, tuttavia, specificamente
indicare l'analitica sussistenza delle
circostanze a ciò legittimanti, in tale
norma previste (e consistenti nella
salvaguardia di “specifiche esigenze
dell'amministrazione, specie nella fase
preparatoria dei provvedimenti, in relazione
a documenti la cui conoscenza possa
compromettere il buon andamento dell'azione
amministrativa”); e deve, altresì, indicare
il termine e la durata di tale differimento.
Invero, in ordine alla domanda di accesso di
quest’ultimo, in detta nota il Consorzio
oppone unicamente la circostanza obiettiva
dell’essere il procedimento amministrativo
in corso, precisando che “ogni ulteriore
documento amministrativo inerente la pratica
in discorso potrà essere visionato, previa
esplicita richiesta (…)” successivamente
alla sua conclusione.
Si tratta, cioè, di un vero e proprio
differimento dell’accesso ex artt. 9 D.P.R.
12.04.2006 n. 184.
Ma sul punto la giurisprudenza, condivisa
dal Collegio, è nel senso che l'atto con cui
si dispone il differimento dell'accesso
deve, tuttavia, specificamente indicare
l'analitica sussistenza delle circostanze a
ciò legittimanti, in tale norma previste (e
consistenti nella salvaguardia di “specifiche
esigenze dell'amministrazione, specie nella
fase preparatoria dei provvedimenti, in
relazione a documenti la cui conoscenza
possa compromettere il buon andamento
dell'azione amministrativa”); e deve,
altresì, indicare il termine e la durata di
tale differimento (cfr., per questi
principi: TAR Lazio, sez. III, 07.04.2010,
n. 5760, par. 2.3.1.)
(TAR Lombardia-Brescia, sez. II,
sentenza 09.01.2012 n. 3 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Lavori abusivi ultimati,
dissequestro e prosecuzione lavori: meglio
non fare i furbi.
Integra il reato di
costruzione senza concessione edilizia la
condotta di colui che, dopo aver ottenuto il
dissequestro e la restituzione dell'immobile
abusivamente realizzato per intervenuta
ultimazione dei lavori, prosegue l'attività
edilizia illecita, a nulla rilevando
l'entità dei lavori medio tempore eseguiti.
Interessante la questione affrontata dalla
Suprema Corte con la sentenza in esame,
relativa all’esecuzione di lavori edilizi
abusivamente realizzati in difetto di titolo
abilitativo che, a seguito del sequestro
intervenuto da parte dell’Autorità
giudiziaria, avevano consentito al
contravventore di rientrare nella
disponibilità del manufatto abusivo, di cui
era stata constatata l’avvenuta ultimazione.
Quest’ultimo, però, non appena rientrato in
possesso dell’immobile aveva ben pensato di
completare l’attività edilizia abusivamente
iniziata, proseguendo i lavori senza
richiedere alcun titolo abilitativo.
La Corte, con una decisione ineccepibile, ha
rigettato il ricorso per cassazione proposto
dall’imputato contro l’ordinanza del
tribunale del riesame che, nel confermare il
nuovo sequestro disposto dall’Autorità
giudiziaria, aveva rigettato le doglianze
difensive secondo cui l’immobile non sarebbe
stato più sequestrabile dopo l’intervenuta
restituzione, in quanto i lavori eseguiti
dopo il dissequestro erano consistiti in
sole opere interne.
Il fatto.
Come anticipato, i fatti addebitati
all’imputato conseguivano all’intervenuto
sequestro, operato di iniziativa da parte
della polizia giudiziaria, di un immobile
abusivamente realizzato dall’imputato,
sequestro che era stato determinato dalla
prosecuzione dei lavori (si trattava di
opere interne in assenza di titolo
abilitativo) accertata dopo che il predetto
immobile, di cui era stata ordinata la
demolizione, era stato dissequestrato e
restituito al medesimo imputato da parte del
tribunale, dopo che era intervenuta la
condanna per essere stato edificato senza
titolo abilitativo, in zona sismica, senza
osservare le norme in materia di
conglomerato cementizio armato e, come se
non bastasse, anche per il reato di
violazione di sigilli.
Il ricorso.
Resisteva alla condanna la difesa
dell’imputato, eccependo il vizio di
violazione di legge sul presupposto che la
condotta accertata, autonomamente valutata,
non integrava alcuna reato non richiedendo
l’esecuzione delle opere interne alcun
titolo concessorio.
La decisione della
Cassazione.
La Corte ha, però, disatteso la
prospettazione difensiva, rigettando il
ricorso dell’imputato. Osservano, sul punto
gli Ermellini, come il provvedimento
impugnato abbia correttamente focalizzato la
natura permanente dell’illecito urbanistico
che, in base alla consolidata giurisprudenza
di legittimità, cessa nel caso di
realizzazione di immobile privo di titolo
abilitativo con la sua ultimazione, ivi
comprese le rifiniture.
Sulla natura di illecito permanente del
reato urbanistico, non v’è invero alcun
dubbio in giurisprudenza (v. per tutte,
Cass., Sez. U, n. 17178 del 27/02/2002, dep.
08/05/2002, imp. Cavallaro, in Ced Cass., n.
221399, secondo cui il reato di costruzione
in assenza di concessione edilizia -previsto dall'allora vigente art. 20, lett.
b), della legge 28.02.1985 n. 47, oggi
sostituito dall’art. 44, comma 1, lett. b),
del d.P.R. 06.06.2001, n. 380- ha natura
permanente e la relativa consumazione
perdura fino alla cessazione dell'attività
abusiva).
Prosegue, peraltro, la Cassazione,
osservando come è senz’altro vero che la
sentenza di condanna –ove l’immobile non
risulti ultimato– determina la cessazione
della permanenza secondo i principi generali
ovviamente valevoli anche nella materia
specifica; tuttavia, proseguono i giudici di
Piazza Cavour, ciò accade in quanto la
condanna medesima va considerata, al pari
del sequestro, evento impeditivo della
prosecuzione dei lavori.
Anche su tale profilo, la giurisprudenza
appare unanime e concordemente orientata,
sia quanto al reato edilizio che quanto al
reato paesaggistico. Ad esempio, si è
affermato che tali reati sono reati
permanenti, nel senso che la loro
consumazione si protrae fino al compimento
dell'opera abusiva, o comunque fino al
verificarsi di un evento impeditivo della
prosecuzione dei lavori; evento che, con
riferimento alle vicende del processo
penale, si individua nella sentenza di
condanna in primo grado o, ancor prima, nel
sequestro dell'opera e che determina "ex
se" la cessazione della condotta
antigiuridica. L'eventuale prosecuzione di
questa dà luogo ad una nuova violazione
della legge penale (Cass., Sez. 3, n. 7286
del 06/05/1994, dep. 23/06/1994, imp. C., in
Ced Cass., n. 198200).
Alla stregua delle considerazioni che
precedono, dunque, la continuazione dei
lavori sull’immobile non ultimato (e non
restituito a seguito della decisione di
condanna in vista della demolizione) non può
che sostanziarsi, secondo la Corte, se non
nella prosecuzione dell’attività illecita.
Ed è, quindi, per tale ragione, che la
condotta successiva alla restituzione in
vista dell’ultimazione dei lavori
costituisce, in sé, illecito penale a
prescindere, soggiunge la Cassazione, dalla
entità dell’intervento realizzato.
Trattasi di valutazione che, secondo la
Cassazione, è valevole anche in caso di
condono edilizio. Come, infatti, affermato
già in passato, nel caso di restituzione
dell'immobile oggetto di condono al
legittimo proprietario a seguito di
dissequestro la costruzione può essere
proseguita soltanto nel rispetto della
procedura stabilita dall'art. 35, comma 15,
della legge 28.02.1985 n. 47 (che prevede,
decorsi 120 giorni dal versamento della
seconda rata la notifica al Comune
dell'intendimento di proseguire i lavori,
con allegazione di una perizia giurata o di
una documentazione equipollente sullo stato
dei lavori abusivi, i quali possono essere
ripresi dopo 30 giorni dalla suddetta
notificazione): in difetto, la prosecuzione
dei lavori configura un nuovo ed autonomo
reato urbanistico (Cass., Sez. 3, Ord. n.
3530 del 08/11/2000, dep. 01/12/2000, imp.
M., in Ced Cass., n. 218001).
Conclude, infine, la Corte il proprio
percorso argomentativo evidenziando come non
vi è alcuno spazio, nel caso in esame, per
invocare la lesione di principi
costituzionali, essendo errata la premessa
secondo cui, in tal modo, assumono rilevanza
penale condotte altrimenti sanzionate solo
sul piano amministrativo, in quanto il
diverso regime delle sanzioni si giustifica
in relazione all’illiceità originaria del
manufatto su cui avviene la prosecuzione dei
lavori.
Anche su tale questione, non possono esservi
dubbi. Ed infatti, a prescindere dalla
necessità o meno di titolo abilitativo
edilizio per le opere interne, la stessa
Cassazione ha da sempre ritenuto legittimo
il sequestro preventivo di un immobile nel
quale risultano realizzate opere interne che
ne abbiano comportato il mutamento della
destinazione d'uso, realizzandosi in questo
caso un'ipotesi di aggravamento del carico
urbanistico (Cass., Sez. 4, n. 34976 del
09/07/2010, dep. 28/09/2010, imp. N., in Ced
Cass., n. 248345; Id., Sez. 3, n. 22866 del
19/04/2007, dep. 13/06/2007, imp. L., in Ced
Cass., n. 236881; Id., Sez. 3, n. 594 del
07/12/2006, dep. 15/01/2007, imp. M., in Ced
Cass., n. 235870, che peraltro precisa che
ciò è possibile ogni qual volta le “opere
interne” comportino mutamento di
destinazione d'uso tra categorie
funzionalmente autonome dal punto di vista
urbanistico e, qualora debbano essere
realizzati nei centri storici, anche nel
caso in cui comportino mutamento di
destinazione d'uso all'interno di una
categoria omogenea).
Si tratta di considerazioni assolutamente
condivisibili, laddove si consideri che il
sequestro preventivo, diretto ad impedire la
prosecuzione del reato edilizio, può essere
disposto fino alla ultimazione dei lavori,
che si verifica con il completamento delle
opere di rifinitura interna: tale
interpretazione è confermata dalla
eccezionalità della previsione contraria,
concernente i casi di sanatoria di
fabbricati costruiti prima dell'01.10.1983
(art. 31, legge n. 47 del 1985) e dalla
esclusione della necessità del provvedimento
amministrativo, soltanto per le opere
interne poste in essere in fabbricati già
esistenti (e non in corso) e non abusivi
(art. 26 legge cit.): Cass., Sez. 3, n. 2469
del 18/11/1993, dep. 25/01/1994, imp. C., in
Ced Cass., n. 196471) (commento tratto da
www.ipsoa.it - Corte di Cassazione penale,
sentenza 11.11.2011 n. 41079). |
CONDOMINIO: Sì al diritto di critica verso
l'amministratore.
Definire pubblicamente latitante e
incompetente l'amministratore di condominio
non è un reato ma un semplice diritto di
critica.
A stabilirlo è la Corte di Cassazione, Sez.
V penale con la
sentenza
31.01.2011 n. 3372, in riferimento al caso
di una condòmina che ha affisso nell'atrio
dello stabile un volantino in cui si
alludeva alla presunta latitanza
dell'amministratore di condominio,
accusandolo di incassare il denaro senza
però provvedere alla manutenzione
dell'immobile.
Nel volantino si chiedeva, inoltre, la
sostituzione dell'amministratore. Che ha
risposto denunciando la donna per
diffamazione e ingiuria. Il Gup ha disposto
il non luogo a procedere nei confronti della
condòmina e contro tale decisione
l'amministratore è ricorso per Cassazione.
La Suprema corte ha però bocciato il ricorso
poiché, nel caso in esame, sussiste la
discriminante del diritto di critica, che, a
differenza del diritto di cronaca, si
caratterizza proprio per l'espressione di un
giudizio o di un'opinione, che in quanto
tale, non può considerarsi rigorosamente
obiettivo, posto che la critica, per sua
natura, si fonda su un'interpretazione,
necessariamente soggettiva, di fatti e
comportamenti.
Quindi, secondo la
Cassazione, l'imputata, rivolgendo delle
critiche all'operato dell'amministratore per
le gravi carenze di manutenzione del palazzo
e invitando gli altri condomini ad
attivarsi, ha esercitato non solo il diritto
di libera manifestazione del proprio
pensiero, ma anche quello più specifico,
come condomino dello stabile, di controllare
l'operato dell'amministratore e di
denunciare le eventuali irregolarità
riscontrate.
Pertanto, le espressioni usate dalla donna
non costituiscono un'aggressione gratuita
alla sfera morale dell'amministratore, ma
solo una censura delle attività non svolte.
In questo senso, secondo la Suprema corte,
la parola latitante è stata usata nel senso
corrente di qualcuno che evita di farsi
vedere per non rispettare i suoi doveri, per
i quali è pagato
(articolo ItaliaOggi
Sette del 09.01.2012). |
AGGIORNAMENTO AL 09.01.2012 |
ã |
Lombardia, Scia sì, Scia no: l'atto finale ?? |
Da questo Portale ci siamo prodigati più volte (e,
precisamente, lo scorso:
06.06.2011;
13.07.2011;
17.10.2011;
27.10.2011)
nel cercare di far capire la bontà delle nostre
ragioni secondo cui, ad oggi, in Lombardia non è
possibile applicare l'istituto della Scia
(Segnalazione certificata di inizio attività) nella
materia edilizia.
Nello specifico, lo scorso 27.10.2011 davamo conto come
l'ANCI Lombardia avesse diffuso,
il 21.10.2011, la bozza del Pdl “Norme per
la valorizzazione del patrimonio edilizio esistente
e altre disposizioni in materia urbanistico-edilizia”
(testo
19.10.2011) ove, in pratica, si tratta
del cosiddetto "PIANO CASA-BIS" con altre modifiche
legislative di non poco conto. E, nel contempo,
evidenziavamo come il Pdl lombardo NULLA dicesse in
merito all'istituto della Scia edilizia, ovverosia NULLA
avesse recepito per quanto disposto dal noto
D.L. n. 70/2011 convertito con
modificazioni dalla
legge 12.07.2011 n. 106, pervenendo,
per l'ennesima volta, alla conclusione che
in Lombardia NON si può
applicare (nella materia edilizia) l'istituto della Scia.
Ciò premesso e ricordato, la Giunta Regionale lombarda
con la recente
deliberazione 09.11.2011 n. 2428 ha
approvato la bozza di Pdl di cui sopra e cioè la
proposta di progetto di legge recante “Norme per
la valorizzazione del patrimonio edilizio esistente
e altre disposizioni in materia urbanistico-edilizia",
definito comunemente "PIANO CASA-BIS", già
presentato l'11.11.2011 al Consiglio Regionale per
il vaglio preliminare delle competenti commissioni
assumendo l'identificativo "progetto
di legge n. 0133". E le novità introdotte
all'ultimo momento non sono di poco conto ...
Ma andiamo con ordine.
L'art. 14 del Pdl de quo così recita: "Art.
14 - (Disposizioni in materia di titoli abilitativi)
1.
Ai fini del rilascio del permesso di costruire si
applica la disciplina di cui all’articolo 20 del
d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle
disposizioni legislative e regolamentari in materia
edilizia) (testo A).
2.
L'articolo 38 della l.r. 12/2005 è sostituito dal
seguente: “Art. 38 - (Oneri di urbanizzazione
afferenti il permesso di costruire)
1. L’ammontare degli oneri di urbanizzazione
primaria e secondaria dovuti è determinato con
riferimento alla data di presentazione della
richiesta del permesso di costruire, purché completa
della documentazione prevista. Nel caso di piani
attuativi o di atti di programmazione negoziata con
valenza territoriale, l’ammontare degli oneri è
determinato al momento della loro approvazione, a
condizione che la richiesta del permesso di
costruire, ovvero la denuncia di inizio attività
siano presentate entro e non oltre trentasei mesi
dalla data della approvazione medesima.
2. Fatta salva la facoltà di rateizzazione, la
corresponsione al comune della quota di contributo
relativa agli oneri di urbanizzazione, se dovuti,
dev’essere fatta all’atto del rilascio del permesso
di costruire, ovvero allo scadere del termine di
trenta giorni previsto dall’articolo 20, comma 6,
primo periodo, del d.P.R. 380/2001 nei casi di cui
al comma 8 del medesimo articolo 20.”.
3.
All’articolo 40 della l.r. 12/2005 è apportata la
seguente modifica:
a) al comma 2 sono aggiunte, in fine, le seguenti
parole: ", nonché la destinazione d'uso.".
4.
All’articolo 41 della l.r. 12/2005 sono apportate le
seguenti modifiche:
a) la rubrica
è sostituita dalla seguente: “(Interventi
realizzabili mediante denuncia di inizio attività e
segnalazione certificata di inizio attività)”;
b) al comma 1 sono inserite, all’inizio, le seguenti
parole: “Ferma restando l’applicabilità della
segnalazione certificata di inizio attività (SCIA)
nei casi e nei termini previsti dall’articolo 19
della legge 241/1990 e dall’articolo 5, comma 2,
lett. c), del D.L. 70/2011,”.
5.
Alla lettera a) del comma 1 dell’articolo 103 della
l.r. 12/2005 sono soppressi i seguenti numeri: “20”
e “21”.".
La relazione di accompagnamento al Pdl così spiega la
portata del sopra riportato art. 14: "L’articolo
14 chiarisce che ai fini del rilascio del permesso
di costruire si applica la nuova disciplina
introdotta dal D.L. n. 70/2011 (cfr. art. 5, comma
2, lett. a), punto 3), basata sul silenzio-assenso,
con conseguente riscrittura dell’articolo 38 della
l.r. n. 12/2005, recuperando, dal testo precedente,
le sole disposizioni in materia di oneri di
urbanizzazione, opportunamente integrate in
relazione alla nuova procedura.
Al comma 4 del medesimo articolo si
recepisce all’interno dell’ordinamento regionale
lombardo la SCIA in materia edilizia.". |
Avete letto bene ?? |
E' la stessa Regione Lombardia a
scrivere, nero su bianco, che il suddetto comma 4 "recepisce
all'interno dell'ordinamento regionale lombardo la
SCIA in materia edilizia": quindi,
ad oggi in Lombardia NON esiste la
Scia edilizia !!
Ma andiamo con ordine e
cerchiamo di capire ogni singolo dettaglio della
questione.
Innanzitutto, proviamo a
rileggere il testo coordinato dell'articolo 41 L.R.
12/2005,
siccome modificato/integrato dal Pdl de quo,
che di seguito si riporta:
Art. 41.
(Interventi realizzabili mediante denuncia di inizio
attività) (Interventi
realizzabili mediante denuncia di inizio attività e
segnalazione certificata di inizio attività)
1. Ferma restando
l’applicabilità della segnalazione certificata di
inizio attività (SCIA) nei casi e nei termini
previsti dall’articolo 19 della legge 241/1990 e
dall’articolo 5, comma 2, lett. c), del D.L.
70/2011, Chi ha titolo per presentare istanza
di permesso di costruire ha facoltà,
alternativamente e per gli stessi interventi di
trasformazione urbanistica ed edilizia, di inoltrare
al comune denuncia di inizio attività, salvo quanto
disposto dall'articolo 52, comma 3-bis. Gli
interventi edificatori nelle aree destinate
all’agricoltura sono disciplinati dal Titolo III
della Parte II.
2. Nel caso di interventi assentiti in forza di
permesso di costruire o di denuncia di inizio
attività, è data facoltà all’interessato di
presentare comunicazione di eseguita attività
sottoscritta da tecnico abilitato, per varianti che
non incidano sugli indici urbanistici e sulle
volumetrie, che non modifichino la destinazione
d’uso e la categoria edilizia, non alterino la
sagoma dell’edificio e non violino le eventuali
prescrizioni contenute nel permesso di costruire. Ai
fini dell’attività di vigilanza urbanistica ed
edilizia, nonché ai fini del rilascio del
certificato di agibilità, tali comunicazioni
costituiscono parte integrante del procedimento
relativo al titolo abilitativo dell’intervento
principale e possono essere presentate al comune
sino alla dichiarazione di ultimazione dei lavori.
|
Ma
cosa significano le nuove parole inserite al comma 1
?? |
L'art.
19 della legge n. 241/1990 così recita: |
Art. 19 (Segnalazione
certificata di inizio attività - SCIA)
(articolo così sostituito dall'articolo 49, comma
4-bis, legge n. 122 del 2010) -
(per l'interpretazione si veda l'articolo
5, comma 2, legge n. 106 del 2011)
1.
Ogni atto di autorizzazione,
licenza, concessione non costitutiva, permesso o
nulla osta comunque denominato, comprese le domande
per le iscrizioni in albi o ruoli richieste per
l’esercizio di attività imprenditoriale, commerciale
o artigianale il cui rilascio dipenda esclusivamente
dall’accertamento di requisiti e presupposti
richiesti dalla legge o da atti amministrativi a
contenuto generale, e non sia previsto alcun limite
o contingente complessivo o specifici strumenti di
programmazione settoriale per il rilascio degli atti
stessi, è sostituito da una segnalazione
dell’interessato, con la sola esclusione dei casi in
cui sussistano vincoli ambientali, paesaggistici o
culturali e degli atti rilasciati dalle
amministrazioni preposte alla difesa nazionale, alla
pubblica sicurezza, all’immigrazione, all’asilo,
alla cittadinanza, all’amministrazione della
giustizia, all’amministrazione delle finanze, ivi
compresi gli atti concernenti le reti di
acquisizione del gettito, anche derivante dal gioco,
nonché di quelli previsti dalla normativa per le
costruzioni in zone sismiche e di quelli imposti
dalla normativa comunitaria. La segnalazione è
corredata dalle dichiarazioni sostitutive di
certificazioni e dell’atto di notorietà per quanto
riguarda tutti gli stati, le qualità personali e i
fatti previsti negli
articoli 46 e 47 del testo unico di cui al d.P.R. 28
dicembre 2000, n. 445, nonché dalle attestazioni
e asseverazioni di tecnici abilitati, ovvero dalle
dichiarazioni di conformità da parte dell’Agenzia
delle imprese di cui all’articolo
38, comma 4, del decreto-legge 25 giugno 2008, n.
112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6
agosto 2008, n. 133, relative alla sussistenza
dei requisiti e dei presupposti di cui al primo
periodo; tali attestazioni e asseverazioni sono
corredate dagli elaborati tecnici necessari per
consentire le verifiche di competenza
dell’amministrazione. Nei casi in cui la legge
prevede l’acquisizione di pareri di organi o enti
appositi, ovvero l’esecuzione di verifiche
preventive, essi sono comunque sostituiti dalle
autocertificazioni, attestazioni e asseverazioni o
certificazioni di cui al presente comma, salve le
verifiche successive degli organi e delle
amministrazioni competenti. La segnalazione,
corredata delle dichiarazioni, attestazioni e
asseverazioni nonché dei relativi elaborati tecnici,
può essere presentata a mezzo posta con raccomandata
con avviso di ricevimento, ad eccezione dei
procedimenti per cui è previsto l’utilizzo esclusivo
della modalità telematica; in tal caso la
segnalazione si considera presentata al momento
della ricezione da parte dell'amministrazione.
(comma così modificato
dall'articolo 5, comma 2, lettera b), legge n. 106
del 2011)
2. L’attività oggetto della
segnalazione può essere iniziata dalla data della
presentazione della segnalazione all’amministrazione
competente.
3. L’amministrazione
competente, in caso di accertata carenza dei
requisiti e dei presupposti di cui al comma 1, nel
termine di sessanta giorni dal ricevimento della
segnalazione di cui al medesimo comma, adotta
motivati provvedimenti di divieto di prosecuzione
dell’attività e di rimozione degli eventuali effetti
dannosi di essa, salvo che, ove ciò sia possibile,
l’interessato provveda a conformare alla normativa
vigente detta attività ed i suoi effetti entro un
termine fissato dall’amministrazione, in ogni caso
non inferiore a trenta giorni. E ' fatto comunque
salvo il potere dell’amministrazione competente di
assumere determinazioni in via di autotutela, ai
sensi degli articoli 21-quinquies e 21-nonies. In
caso di dichiarazioni sostitutive di certificazione
e dell’atto di notorietà false o mendaci,
l’amministrazione, ferma restando l’applicazione
delle sanzioni penali di cui al comma 6, nonché di
quelle di cui al capo VI del testo unico di cui al
d.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445, può sempre e in
ogni tempo adottare i provvedimenti di cui al primo
periodo.
4. Decorso il termine per
l’adozione dei provvedimenti di cui al primo periodo
del comma 3 ovvero di cui al comma 6-bis,
all’amministrazione è consentito intervenire solo in
presenza del pericolo di un danno per il patrimonio
artistico e culturale, per l’ambiente, per la
salute, per la sicurezza pubblica o la difesa
nazionale e previo motivato accertamento
dell’impossibilità di tutelare comunque tali
interessi mediante conformazione dell’attività dei
privati alla normativa vigente.
(comma
così modificato dall'art. 6, comma 1, decreto-legge
n. 138 del 2011, convertito dalla legge n. 148 del
2011)
4-bis. Il presente articolo
non si applica alle attività economiche a prevalente
carattere finanziario, ivi comprese quelle regolate
dal testo unico delle leggi in materia bancaria e
creditizia di cui al decreto legislativo 1°
settembre 1993, n. 385, e dal testo unico in materia
di intermediazione finanziaria di cui al decreto
legislativo 24 febbraio 1998, n. 58.
(comma
introdotto dall'articolo 2, comma 1-quinquies, legge
n. 163 del 2010)
5.
(comma
abrogato dal n. 14 del comma 1 dell'art. 4
dell'allegato 4 al
d.lgs. n. 104 del 2010)
6. Ove il fatto non
costituisca più grave reato, chiunque, nelle
dichiarazioni o attestazioni o asseverazioni che
corredano la segnalazione di inizio attività,
dichiara o attesta falsamente l’esistenza dei
requisiti o dei presupposti di cui al comma 1 è
punito con la reclusione da uno a tre anni.
6-bis. Nei casi di Scia in
materia edilizia, il termine di sessanta giorni di
cui al primo periodo del comma 3 è ridotto a trenta
giorni. Fatta salva l'applicazione delle
disposizioni di cui al comma 4 e al comma 6, restano
altresì ferme le disposizioni relative alla
vigilanza sull'attività urbanistico-edilizia, alle
responsabilità e alle sanzioni previste dal
d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, e dalle leggi
regionali.
(comma
aggiunto dall'art. 5, comma 2, legge n. 106 del
2011, poi così modificato dall'art. 6, comma 1,
decreto-legge n. 138 del 2011, convertito dalla
legge n. 148 del 2011)
6-ter. La segnalazione
certificata di inizio attività, la denuncia e la
dichiarazione di inizio attività si riferiscono ad
attività liberalizzate e non costituiscono
provvedimenti taciti direttamente impugnabili. Gli
interessati possono sollecitare l'esercizio delle
verifiche spettanti all'amministrazione e, in caso
di inerzia, esperire esclusivamente l'azione di cui
all'articolo
31, commi 1, 2 e 3 del decreto legislativo 2 luglio
2010, n. 104.
(comma aggiunto dall'art. 6, comma 1, decreto-legge
n. 138 del 2011, convertito dalla legge n. 148 del
2011)
|
L'art.
5, comma 2, lett. c), del D.L. n. 70/2011 così
recita: |
c) le disposizioni di cui all'articolo 19 della
legge 7 agosto 1990, n. 241 si interpretano nel
senso che le stesse si applicano alle denunce di
inizio attività in materia edilizia disciplinate dal
d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380,
con esclusione dei casi in cui le denunce stesse, in
base alla normativa statale o regionale, siano
alternative o sostitutive del permesso di costruire.
Le disposizioni di cui all'articolo 19 della legge 7
agosto 1990, n. 241 si interpretano altresì nel
senso che non sostituiscono la
disciplina prevista dalle leggi regionali che, in
attuazione dell'articolo 22, comma 4, del d.P.R. 6
giugno 2001, n. 380, abbiano ampliato l'ambito
applicativo delle disposizioni di cui all'articolo
22, comma 3, del medesimo decreto e
nel senso che, nei casi in cui sussistano vincoli
ambientali, paesaggistici o culturali, la Scia non
sostituisce gli atti di autorizzazione o nulla osta,
comunque denominati, delle amministrazioni preposte
alla tutela dell'ambiente e del patrimonio
culturale. |
Tutto chiaro ?? |
A noi sembra di sì nel senso di seguito esposto: la
Regione Lombardia con le nuove parole da introdursi
al comma 1 dell'art. 41 L.R. n. 12/2005 non fa altro
che ribadire quanto già statuito dall'art. 5, comma
2, lett. c), del D.L. n. 70/2011 e cioè che "le disposizioni di cui all'articolo 19 della
legge 7 agosto 1990, n. 241 si interpretano nel
senso che le stesse si applicano alle denunce di
inizio attività in materia edilizia disciplinate dal
d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, con esclusione dei casi in cui le denunce stesse, in
base alla normativa statale o regionale, siano
alternative o sostitutive del permesso di costruire".
In altri termini, e per l'ennesima volta, si
ribadisce che in Lombardia
-ad oggi- non si può applicare in materia
edilizia l'istituto della Scia (Segnalazione
certificata di inizio attività)
e, men che meno, quando il Pdl "PIANO CASA-BIS"
sarà pubblicato sul BURL siccome approvato nel testo
sopra indicato.
Se la Regione Lombardia vuole, nei fatti e non solo a
parole, che l'istituto della Scia
in materia edilizia sia realmente applicabile anche
nel proprio ordinamento ha solo una cosa da fare:
modificare/integrare la L.R. n. 12/2005 nel senso di
restringere la gamma di interventi edilizi che oggi
possono essere realizzati con la DIA in alternativa
al permesso di costruire.
In
altri termini, deve elencare puntualmente gli
interventi edilizi che sono obbligatoriamente
soggetti a DIA: magari, riprendendo pedissequamente
la formulazione dell'art. 22, comma 1, del DPR n.
380/2001. Allora sì che per questi
interventi si potrà applicare la Scia e, nel
contempo, avrà ragion d'essere l'esposizione
argomentativa di cui al
comunicato regionale 08.10.2010
(circa l'esistenza della Scia già dal lontano
31.07.2010 ... il che -ad oggi- non è affatto vero
!!).
09.01.2012 - LA SEGRETERIA PTPL |
UTILITA' |
ENTI LOCALI - VARI:
DL “MILLEPROROGHE”: IN VIGORE I RINVII AL
2012 (link a
www.http://static.ilsole24ore.com). |
GURI - GUUE -
BURL (e anteprima) |
AMBIENTE-ECOLOGIA: G.U.
05.01.2012 n. 4 "Regolamento recante
modifiche e integrazioni al decreto
ministeriale del 18.02.2011, n. 52,
concernente il regolamento di istituzione
del sistema di controllo della tracciabilità
dei rifiuti (SISTRI)" (Ministero
dell'Ambiente e della Tutela del Territorio
e del Mare,
decreto 10.11.2011 n. 219). |
URBANISTICA: B.U.R.
Lombardia, serie ordinaria n. 1 del
05.01.2012, "Adozione delle linee guida
per l’elaborazione dei progetti strategici
di sottobacino, ai sensi della legge
regionale 11.03.2005, n. 12, art. 55-bis" (deliberazione
G.R. 22.12.2011 n. 2764). |
AMBIENTE-ECOLOGIA -
EDILIZIA PRIVATA: B.U.R.
Lombardia, serie ordinaria n. 1 del
04.01.2012, "Modifiche ed integrazioni
alla d.g.r. VIII/675/2005 «Criteri per la
trasformazione del bosco e per i relativi
interventi compensativi» (art. 43, comma 8,
l.r. 31/2008)" (deliberazione
G.R. 29.12.2011 n. 2848). |
EDILIZIA PRIVATA: G.U.
02.01.2012 n. 1 "Disposizioni per
l’adempimento di obblighi derivanti
dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità
europee - Legge comunitaria 2010" (Legge
15.12.2011 n. 217). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: G.U.
02.01.2012 n. 1 "Offerte lavoro pubblico
su clic lavoro"
(Ministero del Lavoro e delle Politiche
Sociali,
decreto
13.10.2011). |
DOTTRINA E
CONTRIBUTI |
EDILIZIA PRIVATA - VARI:
G. Bordolli,
Preliminare di edifici su "carta": quali le
tutele per l'acquirente? (link a
www./www.professioni-imprese24.ilsole24ore.com). |
ESPROPRIAZIONE:
R. Greco,
IL RISARCIMENTO DEL DANNO DA OCCUPAZIONE
ILLEGITTIMA: PROFILI SOSTANZIALI E
PROCESSUALI (link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
PUBBLICO IMPIEGO:
L. Laperuta,
Pubblico impiego: dal 2012 si potrà
licenziare dopo la messa in disponibilità
(link a www.diritto.it). |
SINDACATI |
PUBBLICO IMPIEGO:
OGGETTO: Elezioni RSU 2012 – Nota
operativa n. 2
(CSA di Roma,
nota
05.01.2012 n. 3 di prot.). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Nessuna novità positiva per le
pensioni dalla conversione in legge del
decreto Monti
(CGIL-FP di Bergamo,
nota 03.01.2012). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Decreto
milleproroghe: sei mesi in più per la
gestione associata delle funzioni
fondamentali
(CGIL-FP di Bergamo,
nota 02.01.2012). |
PUBBLICO IMPIEGO:
OGGETTO: Elezioni RSU 2012 – Nota
operativa n. 1
(CSA di Roma,
nota
15.12.2011 n. 774 di prot.). |
QUESITI &
PARERI |
APPALTI:
Responsabilità solidale, si estende anche
alle omissioni contributive?
Domanda.
La responsabilità solidale tra impresa ed
Ente Appaltante per i contributi
previdenziali si estende anche ai mancati
versamenti al Fondo Previambiente, Fondo di
previdenza complementare al quale risultano
iscritti molti addetti ai servizi di igiene
urbana?
Risposta.
Giova ricordare che l'art. 29, comma 2,
D.Lgs. 10-09-2003, n. 276, recante "Attuazione
delle deleghe in materia di occupazione e
mercato del lavoro, di cui alla L.
14.02.2003, n. 30", prevede che "In
caso di appalto di opere o di servizi il
committente imprenditore o datore di lavoro
è obbligato in solido con l'appaltatore,
nonché con ciascuno degli eventuali
ulteriori subappaltatori entro il limite di
due anni dalla cessazione dell'appalto, a
corrispondere ai lavoratori i trattamenti
retributivi e i contributi previdenziali
dovuti".
La norma persegue la finalità di
incrementare il livello di adempimento degli
obblighi fiscali, previdenziali,
assicurativi e di sicurezza sul lavoro cui
sono tenute le imprese che operano in
qualità di appaltatori o subappaltatori. In
tale ottica, la norma prevede un vincolo di
responsabilità solidale tra committente,
appaltatore ed eventuali subappaltatori,
entro il limite di due anni dalla cessazione
dell'appalto senza limiti quantitativi, per
la corresponsione ai lavoratori dei
trattamenti retributivi e dei contributi
previdenziali dovuti.
Dopo alcune oscillazioni della prassi e non
senza alcune voci in senso contrario in
dottrina, la disciplina dell'art. 29, comma
2, D.Lgs. 10-09-2003, n. 276 è stata
ritenuta applicabile dalla Giurisprudenza
prevalente anche agli appalti (di opere o di
servizi) della P.A. (v. per tutti Trib.
Milano Sez. lavoro, 22.01.2010).
Ai fini della corretta applicazione della
disposizione in esame, si è posto altresì il
problema di definire la portata
dell'espressione "contributi
previdenziali dovuti".
Sul punto la dottrina più autorevole ha
ritenuto che il vincolo di solidarietà
riguarda qualsiasi omissione contributiva
posta in essere dall'appaltatore o dal
subappaltatore, comprese le contribuzioni da
versare agli Enti esercenti forme di
previdenza complementare.
La soluzione appare condivisibile perché, in
effetti, si rivela la più coerente, oltre
che con il dato letterale -che non autorizza
ad operare distinzioni di sorta- con la
ratio della disciplina in esame, che
mira, come già ricordato, a rafforzare
l'effettività della complessiva posizione
giuridica retributiva e previdenziale dei
lavoratori impiegati nell'appalto
(03.01.2012 - tratto da www.ipsoa.it). |
CORTE DEI
CONTI |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Nella p.a. no a contratti fotocopia.
Servono ragioni eccezionali e comparazione
tra candidati. La Corte dei conti ha
bocciato il rinnovo di tre co.co.co. dell'università di
Catanzaro.
Non sono conformi alle previsioni contenute
all'articolo 7, comma 6 del Testo unico sul
pubblico impiego, i contratti di
collaborazione coordinata e continuativa
che, non appena scaduti, vengono riaffidati
agli stessi soggetti e per le medesime
finalità. In tali fattispecie, infatti,
posto che tra i requisiti legittimanti
l'affidamento di una prestazione co.co.co.
vi è la temporaneità, manca altresì una
seppur minima procedura comparativa di
affidamento richiesta dalla norma.
Lo ha messo nero su bianco la Sezione
centrale di controllo sulle amministrazioni
dello Stato della Corte dei conti, nel testo
della
delibera
20.12.2011 n. 24/2011, pubblicata lo
scorso 4 gennaio, ricusando il visto e la
conseguente registrazione dei rinnovi di tre
contratti di co.co.co. (riferiti al biennio
2009-2011) stipulati dall'Università di
Catanzaro con soggetti esterni
all'organigramma dell'Ateneo.
La Corte ha rilevato che ai sensi
dell'art. 7, commi 6 e 6-bis, del dlgs n.
165/2001, le pubbliche amministrazioni, per
esigenze cui non siano in grado di far
fronte con personale in servizio, possano
ricorrere al conferimento di incarichi
individuali, con contratti di lavoro
autonomo di natura occasionale o coordinata
e continuativa, affidati a esperti di
particolare e comprovata specializzazione,
anche universitaria, al ricorrere di ben
precisi presupposti.
Tra le prerogative legittimanti
l'affidamento esterno, l'oggetto della
prestazione non deve mai consistere nello
svolgimento di funzioni ordinarie.
Inoltre, l'amministrazione conferente deve
avere preliminarmente accertato
l'impossibilità oggettiva di utilizzare le
risorse umane disponibili al suo interno e
tale indisponibilità deve avere sempre
carattere qualitativo e non quantitativo.
Infine, la prestazione deve essere di natura
temporanea ed altamente qualificata.
A proposito della durata dei contratti di
collaborazione, è stata in più occasioni
ribadita sia dalla giurisprudenza che dalla
prassi amministrativa la necessità che gli
incarichi ex art. 7, comma 6, del dlgs n.
165/2001 abbiano natura temporanea, in
quanto conferiti allo scopo di sopperire ad
esigenze di carattere temporaneo per le
quali l'amministrazione non possa
oggettivamente fare ricorso alle risorse
umane e professionali presenti al suo
interno.
Al riguardo, infatti, l'indirizzo
giurisprudenziale prevalente in materia
considera l'incarico di collaborazione
coordinata e continuativa non prorogabile,
se non a fronte di un ben preciso interesse
dell'amministrazione committente,
adeguatamente motivato e al solo fine di
completare le attività oggetto
dell'incarico, limitatamente all'ipotesi di
completamento di attività avviate, contenute
all'interno di uno specifico programma e
neppure rinnovabile.
Quindi, il ricorso ad incarichi di
collaborazione di tipo coordinato e
continuativo deve costituire un rimedio
eccezionale per far fronte ad esigenze
peculiari, per le quali l'Amministrazione
necessiti dell'apporto di specifiche
competenze professionali esterne, in quanto
non sono rinvenibili al suo interno. Ora,
nel caso in esame, a due anni di distanza
dall'adozione dei primi contratti, non si
possono considerare l'eccezionalità e la
temporaneità quali presupposti che
giustifichino l'affidamento di nuovi
incarichi alle stesse persone, in assenza,
peraltro, di una procedura comparativa.
A ciò si aggiunga che in questo frangente,
l'Ateneo non ha trovato medio tempore, una
soluzione in termini di programmazione dei
fabbisogni di personale, nonché in termini
di aggiornamento dei profili professionali
già incardinati nella propria struttura
amministrativa
(articolo ItaliaOggi del 07.01.2011 - tratto da www.ecostampa.it). |
APPALTI SERVIZI: Corte
dei conti Lombardia. Vietato «allungare» il
contratto di servizio all'in house che
gestisce funzioni strumentali. Niente proroga
dell'affido diretto. No alla raccolta
rifiuti, anche se a tempo, per la
partecipata con doppia attività.
EFFETTI A CASCATA/ Impossibile riassorbire il
personale non trasferito con
l'esternalizzazione perché l'operazione è
finanziariamente onerosa.
Niente affidamento diretto del servizio
rifiuti alla propria partecipata che svolga
sia attività nell'ambito dei servizi
pubblici locali, sia servizi strumentali
all'attività degli enti soci. E neppure
proroga in via eccezionale del servizio
nelle more del riassetto societario
necessario per adeguare l'oggetto sociale
dell'in house ai vincoli dell'articolo 13
del Dl 223/2006 proprio per evitare questa
doppia attività.
Questo il principio ribadito dalla Corte dei
conti, sezione controllo della Lombardia,
nel
parere 12.12.2011
n. 653, con cui ha risposto alla richiesta di
chiarimenti inviata da un Comune in merito
alla possibilità di rinnovo dell'affidamento
diretto alla propria in house –nelle more
della scadenza del contratto di servizio–
nonostante la società gestisse sia servizi
pubblici, sia attività strumentali.
La richiesta
Il Comune aveva anche precisato che tale
partecipata «effettivamente non si era
ancora attivata per allinearsi ai dettati
normativi di cui all'articolo 13 del Dl
223/2006, in quanto il termine del 04.01.2010... è caduto in periodo di scadenza del
vecchio consiglio di amministrazione e del
vecchio collegio sindacale».
L'ente aveva comunque manifestato la volontà
di apportare le modifiche statutarie e
attuare il riassetto societario necessario
per garantire la legittima gestione dei
servizi: queste modifiche, tuttavia, non
potevano diventare operative entro la
scadenza del contratto di servizio e non
essendo più in tempo per procedere a una
gara, l'ente locale aveva manifestato
l'intenzione di affidare direttamente il
servizio e adeguare lo statuto solo
successivamente.
Il Comune, infine, aveva chiesto ai
magistrati contabili se, in caso di risposta
negativa, era possibile riassumere
direttamente il servizio, assorbendo il
personale dalla società, anche se non aveva
rispettato il patto di stabilità nel 2010 e
nel 2011.
La risposta
La Corte ha chiarito preliminarmente che
l'eventuale ritorno alla gestione diretta,
con conseguente assorbimento dei dipendenti
della società, non risulta ammissibile non
avendo il Comune trasferito il proprio
personale, al momento dell'esternalizzazione
del servizio, ma avendolo ricollocato
all'interno dell'ente con diverse mansioni.
La dotazione organica del Comune quindi non
è stata diminuita all'epoca e, pertanto, la
prospettata ipotesi di reinternalizzazione
del servizio, con contestuale assunzione di
nuove unità di personale, è un'operazione
finanziariamente non neutra per le casse
comunali.
Inoltre, la Corte ha ribadito che gli enti
che non rispettano il patto di stabilità
interno non possono comunque assumere.
Per quanto riguarda la possibilità di poter
prorogare l'affidamento del servizio nelle
more degli adempimenti obbligatori dello
statuto della partecipata, i magistrati
hanno definito incompatibile con l'attuale
assetto legislativo il fatto che la società
svolga servizi pubblici locali e strumentali
in contemporanea. Le società strumentali non
possano svolgere, in relazione alla loro
posizione privilegiata, altre attività a
favore di altri soggetti pubblici o privati
poiché, in caso contrario, si verificherebbe
un'alterazione o comunque una distorsione
della concorrenza all'interno del mercato
locale di riferimento.
Era onere degli enti intervenire entro il 04.01.2010 per adottare soluzioni
organizzative che comportassero la reinternalizzazione dei servizi strumentali
ovvero l'affidamento a terzi con gara dei
servizi pubblici locali a rilevanza
economica o, ancora, la creazione di
distinti organismi societari per la gestione
in modo separato delle attività strumentali
e dei servizi pubblici locali.
La Corte ha chiarito quindi che gli enti,
che detengono partecipazioni in società che
gestiscano contestualmente le due attività,
non possono affidare legittimamente a tali
in house la gestione di alcun servizio
(articolo Il Sole 24
Ore 02.01.2011 - tratto da www.corteconti.it). |
INCARICHI PROFESSIONALI: Incarichi
esterni con il bollino blu.
Le amministrazioni e gli enti pubblici
devono svolgere i propri compiti
istituzionali, di norma, avvalendosi del
personale interno. Tale regola è espressione
del principio costituzionale di buon
andamento della pubblica amministrazione ed
è volta ad assicurare l'economicità
dell'azione pubblica. Il conferimento degli
incarichi di consulenza a soggetti esterni
rappresenta un'opzione operativa
percorribile solo in presenza di speciali
condizioni, ovvero l'assenza di una apposita
struttura organizzativa, una carenza
organica che impedisca o renda
oggettivamente difficoltoso l'esercizio di
una determinata funzione, da accertare per
mezzo di una reale ricognizione e la
complessità dei problemi da risolvere che
richiedono conoscenze ed esperienze
eccedenti le normali competenze del
personale. Nel caso in cui vengano conferiti
incarichi a soggetti esterni senza che
l'amministrazione conferente abbia attivato
la preventiva ricognizione di detti
presupposti, scatta il danno erariale pari
ai compensi complessivamente erogati ai
professionisti esterni.
È quanto ha messo nero su bianco la sezione
giurisdizionale della Corte dei conti
siciliana, nel testo della
sentenza
09.12.2011 n.
4037, con cui ha condannato il sindaco
di Campofelice di Roccella (Pa) a una somma
di poco superiore ai 215 mila euro per
l'illegittimo conferimento di alcuni
incarichi a personale esterno, risalenti al
biennio 2003-2005.
Scorrendo gli atti di conferimento, infatti,
la Corte ha potuto accertare che gli
incarichi professionali sono stati assegnati
senza rispettare le condizioni sopra
evidenziate. In particolare, non risulta
essere stata compiuta alcuna concreta
verifica circa la sussistenza di risorse
interne, attraverso una concreta valutazione
dei livelli di esperienza dei dipendenti e
un apprezzamento del grado di adeguatezza
delle cognizioni specialistiche degli
stessi, non vi è una congrua specificazione
dell'attività richiesta ai soggetti
incaricati e non sono stati esplicitati i
parametri in base ai quali sono stati
quantificati i compensi dei consulenti.
Ma vi è di più. La Corte ha sottolineato che
gli incarichi sono stati conferiti senza che
fossero avviate procedure pubbliche «che
consentissero di contemperare i principi
generali della trasparenza e del buon
andamento con l'esigenza dell'ente di
approvvigionarsi all'esterno di apporti
collaborativi a costi congrui»
(articolo ItaliaOggi del 07.01.2011 - tratto da www.ecostampa.it). |
ENTI LOCALI: Due
anni in più per le dismissioni ai Comuni
fino a 50mila abitanti.
IL PRINCIPIO/ Secondo i magistrati contabili
c'è tempo fino al 2013 (e non entro dicembre
2011) per ridurre a una sola le società
locali.
I Comuni tra 30mila e 50mila abitanti hanno
due anni in più per ridurre a una sola le
partecipazioni societarie.
Lo ha affermato
la Corte dei conti, sezione controllo della
Lombardia, con i
pareri 15.11.2011 n. 602 e
n. 603, stabilendo –con un'interpretazione "innovativa"
dell'articolo 14, comma 32 del Dl 78/2010–
che le partecipazioni detenute potranno
essere riorganizzate entro il 31.12.2013 e non entro la fine del 2011.
I magistrati contabili hanno ricostruito il
dettato legislativo, richiamando le numerose
modifiche introdotte dal legislatore nel
corso dell'ultimo anno, sostenendo che il
termine del 31.12.2013 rispetterebbe
sostanzialmente la ratio ispiratrice della
norma, «nonostante» l'assetto legislativo
sia formalmente diverso.
La Corte ha precisato che la diversa
scansione temporale per le dismissioni
contra legem in funzione delle soglie
dimensionali «non appare ex se
irragionevole, in quanto la ratio può essere
individuata in una diversa esigenza di
snellimento degli apparati» ed è coerente
con l'impianto generale del citato articolo
14. Inoltre, appare logico che la medesima
soglia dimensionale dei 30mila abitanti
ponga uno spartiacque in materia di
partecipazioni societarie (oltre che nell'an
e nel quantum) anche nel «quando»,
differenziando le categorie di enti locali
per la scansione cronologica delle
dismissioni.
Il testo del citato comma 32 indica però
testualmente, per i Comuni maggiori, il
termine del 31.12.2011; ulteriormente
"aggravato" dopo che il Dl 98/2011 ha
soppresso la norma di delega a un apposito
decreto ministeriale delle eventuali
deroghe.
Questa possibilità era attesa soprattutto
dai Comuni più grandi, in quanto quelli con
popolazione inferiore a 30mila abitanti
hanno già tempo fino al 31.12.2012 per
effettuare verifiche sulle loro
partecipazioni societarie e potranno
mantenerle e costituirne altre rispettando
alcune condizioni espressamente disciplinate
nello stesso comma 32. Al contrario,
sembrava che gli enti fino a 50mila abitanti
potessero mantenere soltanto una
partecipazione e mettere in liquidazione
tutte le altre, formalmente, entro il 31.12.2011.
La presa di posizione dei magistrati
contabili lombardi non può che essere
accolta con favore, date le rilevanti
criticità connesse alla messa in
liquidazione di numerose partecipazioni
(nonostante le perplessità circa la
sostenibilità giuridica e la valenza
vincolante che tale interpretazione può
avere): la norma così "ricostruita"
sembrerebbe consentire ai Comuni interessati
di godere di un arco temporale più congruo –fino a fine 2013– per ridurre e
riorganizzare le proprie partecipazioni.
La questione comunque non può considerarsi
risolta, anche perché ha posticipato di due
anni il termine per la messa in
liquidazione, lasciando inalterate le
rilevanti problematiche economiche e sociali
che si produrrebbero laddove gli enti
fossero chiamati al rispetto meramente
formale del comma 32. È quindi quanto mai
necessario un intervento legislativo che
affronti la questione, non più rinviabile,
della selezione qualitativa (e non meramente
quantitativa) di tutte le partecipazioni
societarie pubbliche, che impegni gli enti
verso una reale razionalizzazione delle
partecipazioni in essere, salvaguardando
però le realtà societarie strategiche, che
rappresentano una fonte importante di
risorse, oltreché buone pratiche gestionali
(articolo Il Sole 24
Ore 02.01.2011 - tratto da www.corteconti.it). |
AUTORITA'
VIGILANZA CONTRATTI PUBBLICI |
LAVORI PUBBLICI: L’obbligo
di eseguire un sopralluogo posto a carico
dei concorrenti trova fondamento in precise
disposizioni del d.P.R. 554/99 (art. 71
comma 2, e art. 79 comma 5); è stato
affermato che la prescrizione del bando di
gara che consente di effettuare la presa
visione dei luoghi solo ad alcune figure di
vertice dell’impresa, appare restrittiva e
rigida, avuto riguardo al fatto che è insito
nel favor partecipationis che una
stessa impresa possa partecipare
contemporaneamente ad una pluralità di gare
e a tale potenzialità non possono essere
frapposte limitazioni che non discendano da
un superiore e specifico interesse pubblico.
In linea con quanto sopra affermato, va
considerato che l’interesse della stazione
appaltante alla serietà dell’offerta e ad
essere garantita rispetto a successive
possibili contestazioni connesse ad una
carente conoscenza dei luoghi è soddisfatto
già con lo svolgimento del sopralluogo da
parte dell’impresa concorrente che avviene
alla presenza del funzionario
dell’Amministrazione, il quale, delegato
dalla stazione appaltante, certifica
l’avvenuto sopralluogo.
Al limite, per evitare che tale accertamento
tecnico sia ridotto ad un mero adempimento
burocratico, la stazione appaltante può
sempre prescrivere nel bando che la visita
dei luoghi venga effettuata da soggetto
comunque riconducibile alla struttura
organizzativa dell’impresa concorrente,
secondo la relativa disciplina codicistica
(parere
di precontenzioso 09.06.2011 n. 104 -
link a www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI: Sulla
base degli articoli 71, comma 2, e 90, comma
5 del D.P.R. n. 554/1999 e secondo quanto
previsto dalla direttiva comunitaria
93/37/CEE, non può essere imposto al
concorrente l’obbligo di acquistare la
documentazione inerente l’appalto e che
l’unica forma di partecipazione consentita è
il rimborso delle spese di riproduzione
della documentazione di gara.
Tale rimborso deve essere conforme alla
normativa generale in materia di accesso
alla documentazione amministrativa di cui
alla legge 07.08.1991, n. 241, la quale,
all’articolo 25, dispone che il rilascio
delle copie dei documenti è subordinato
soltanto al rimborso del costo di
riproduzione. Con la conseguenza che “in
riferimento agli elaborati progettuali,
stabilire forfettariamente un rimborso spese
a carico del concorrente, determinato in
misura inversamente proporzionale
all’importo a base di gara e svincolando
l’entità del rimborso dall’effettivo costo
di riproduzione degli elaborati progettuali
stessi, costituisce un ostacolo alla libera
partecipazione agli appalti da parte degli
operatori economici”
(parere
di precontenzioso 09.06.2011 n. 103 -
link a www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI SERVIZI: Il
D.Lgs. n. 163/2006 elenca diversi documenti
che comprovano la capacità tecnica e
professionale del concorrente: in
particolare quest’ultima può essere
dimostrata anche con la presentazione
dell’elenco dei principali servizi prestati
negli ultimi tre anni, con l’indicazione
degli importi, delle date e dei destinatari,
pubblici o privati, dei servizi o forniture
stessi (se trattasi di servizi e forniture
prestati a privati, l’effettuazione
effettiva della prestazione è dichiarata da
questi o, in mancanza, dallo stesso
concorrente).
Il successivo comma impone alla stazione
appaltante di precisare nel bando di gara o
nella lettera d’invito quali dei documenti e
requisiti indicati nel comma precedente
devono essere presentati o dimostrati. Al
riguardo l’Autorità ha già ricordato (parere
n. 114 del 16.06.2010) che secondo la Corte
di Giustizia europea è illegittimo l’operato
della stazione appaltante, che impone mezzi
di prova diversi da quelli contemplati dalla
disciplina comunitaria –riprodotta nel
citato art. 42– al fine di dimostrare il
possesso dei requisiti in esame (CGCE
17.11.1993, causa n. C-71/92).
Tuttavia, è ammissibile fissare nel bando di
gara requisiti (non tipologicamente
ulteriori, ma) più stringenti sul piano
quantitativo rispetto a quelli previsti
nell’elencazione legislativa (Cons. Stato,
Sez. V, 07.04.2006, n. 1878), purché siano
rispettati i limiti della ragionevolezza e
della proporzionalità.
In sostanza, è necessario che la
discrezionalità della stazione appaltante
nella fissazione dei requisiti sia
esercitata in modo tale da non correre il
rischio di restringere in modo
ingiustificato lo spettro dei potenziali
concorrenti o di realizzare effetti
discriminatori tra gli stessi, in linea con
quanto stabilito dall’art. 44, par. 2 della
direttiva 2004/18/CE, secondo il quale i
livelli minimi di capacità richiesti devono
essere connessi e proporzionati all’oggetto
dell’appalto stesso
(parere
di precontenzioso 09.06.2011 n. 102 -
link a www.autoritalavoripubblici.it). |
LAVORI PUBBLICI: L’Autorità
(determinazione n. 8/02) ha già chiarito che
il principio dell’assorbenza fra categorie
generali e categorie specializzate trova
applicazione esclusivamente in riferimento
alla categoria OG11, nel senso che, ove nel
bando sia richiesta la qualificazione di cui
alle categorie di opere specializzate OS3,
OS5, OS30, OS28, è consentita la
partecipazione anche delle imprese
qualificate in categoria OG11.
Ciò in quanto detta categoria generale è, in
effetti, la sommatoria di categorie speciali
e sussiste, pertanto, la presunzione che un
soggetto qualificato in OG11 sia in grado di
svolgere mediamente tutte le lavorazioni
speciali contenute in tale categoria
generale. Tuttavia, la qualificazione per la
categoria di opere generali OG11 assorbe
quella per la categoria di opere speciali,
solo nel caso in cui la disciplina speciale
della singola gara non rechi alcuna clausola
in contrario e purché l’importo di
classifica posseduto sia sufficiente a
coprire le somme degli importi delle
suddette categorie OS28 e OS30.
Quindi, secondo quanto affermato in più
occasioni da questa Autorità, la regola
dell’assorbenza, che non si traduce nella
possibilità indiscriminata per le imprese
qualificate in OG di partecipare a gare i
cui bandi prevedono come categoria
prevalente una categoria specializzata OS,
richiede che l’importo di classifica della
qualificazione nella categoria di opera
generale OG11 sia sufficiente a coprire la
somma degli importi delle singole categorie
di opere specializzate OS3, OS5, OS28 e OS30
(parere
di precontenzioso 09.06.2011 n. 101 -
link a www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI: La
disciplina di cui all’art. 49 D.Lgs. n.
163/2006 richiede un contratto di
avvalimento e, per esigenze di certezza
dell’amministrazione, una dichiarazione di
impegno proveniente dall’impresa ausiliaria
volta a soddisfare l’interesse della
stazione appaltante ad evitare, dopo
l’aggiudicazione, l’insorgere di
contestazioni sugli obblighi
dell’ausiliario.
Nell’istituto dell’avvalimento l’impresa
ausiliaria non è semplicemente soggetto
terzo rispetto alla gara, dovendosi essa
impegnare, non soltanto verso l’impresa
concorrente ausiliata, ma anche verso la
stazione appaltante, a mettere a
disposizione del concorrente le risorse di
cui questi sia carente, sicché l’ausiliario
è tenuto a produrre il contenuto del
contratto di avvalimento in una
dichiarazione resa nei confronti della
stazione appaltante.
In tale ipotesi, quindi, l’impresa
ausiliaria diventa titolare passivo di una
obbligazione accessoria dipendente rispetto
a quella principale del concorrente, e tale
obbligazione si perfeziona con
l’aggiudicazione a favore del concorrente
ausiliato, di cui segue le sorti. Pertanto,
la mancanza di una espressa dichiarazione di
impegno da parte della ausiliaria nei
confronti della stazione appaltante, come
nel caso di specie, dà vita ad una carenza
documentale che non può superarsi con la
sola allegazione del contratto di
avvalimento.
La potestà di avvalimento, infatti,
costituisce un principio di fonte
comunitaria di portata generale per cui non
solo non è necessario un espresso richiamo
ad esso nella lex specialis affinché
il concorrente possa avvalersi dei requisiti
di altra impresa, ma in tal caso l’ausiliato
è tenuto a rispettare la disciplina prevista
dal Codice così come descritta all’art. 49 e
ad allegare quindi tutte le dichiarazioni in
questo prescritte
(parere
di precontenzioso 09.06.2011 n. 100 -
link a www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI: L’art.
43 del D.Lgs. n. 163/2006 qualifica in
termini sostanziali la certificazione in
esame come attestazione dell’“ottemperanza
dell’operatore economico a determinate norme
in materia di garanzia di qualità”. Le
norme a cui fa riferimento la predetta
disposizione sono quelle identificate a
livello europeo con l’acronimo ISO 9001, le
quali definiscono i principi che
l’imprenditore deve seguire nel sistema di
gestione per la qualità dell’organizzazione,
ma non disciplinano il modo in cui
l’imprenditore deve realizzare le proprie
lavorazioni.
Va, quindi, sgombrato il campo da un
possibile equivoco: la certificazione di
qualità ISO 9001 non copre il prodotto
realizzato o il servizio/la lavorazione
resi, ma attesta che l’imprenditore opera in
conformità a specifici standard
internazionali per quanto attiene la qualità
dei propri processi produttivi. Ne deriva,
quindi, che la certificazione in esame è un
requisito soggettivo, in quanto attiene ad
uno specifico “status”
dell’imprenditore: l’aver ottemperato a
determinate disposizioni normative,
preordinate a garantire alla stazione
appaltante che l’esecuzione delle
prestazioni contrattuali dovute avverrà nel
rispetto della normativa in materia di
processi di qualità.
Muovendo da tale premessa, si ritiene di
dover confermare l’indirizzo già espresso
dall’Autorità, secondo cui, in assenza
dell’espressa menzione della certificazione
di qualità nell’ambito dell’art. 49 del
D.Lgs. n. 163/2006, è preferibile
interpretare quest’ultima norma nel senso di
ritenere che la stessa non consente l’avvalimento
della certificazione di qualità ISO 9001
(cfr. Avcp pareri n. 64 del 20.05.2009 e n.
254 del 10.12.2008).
Simile orientamento, infatti, risulta quello
più conforme ai criteri di interpretazione
della legge fissati dall’art. 12 delle
disposizioni preliminare al codice civile,
in quanto, da un lato in ossequio al
criterio letterale, tiene conto del dato
testuale del diritto comunitario e
nazionale, che, come sopra evidenziato,
circoscrivono l’avvalimento ai soli
requisiti speciali, e dall’altro in ossequio
al criterio logico-sistematico, tiene conto
sia della natura sostanziale della
certificazione in questione, come sopra
ricostruita, sia della circostanza che il
legislatore comunitario e nazionale
disciplinano la certificazione di qualità in
una disposizione distinta rispetto a quelle
relative all’avvalimento.
L’indirizzo dell’Autorità, inoltre, è
condiviso anche dalla giurisprudenza
amministrativa maggioritaria, che qualifica
la certificazione in esame come requisito
soggettivo, preordinato a garantire
all’amministrazione appaltante la qualità
dell’esecuzione delle prestazioni
contrattuali dovute (Cons. di Stato, Sez. V,
n. 4668 del 25.7.2006, Cons. Stato,
18.10.2001 n. 5517, Tar Sardegna, Sez. I,
27.03.2007 n. 556, TAR Lazio, Sez. II-ter,
n. 923 del 06.02.2007) e precisa che tale
“obiettivo, per essere effettivamente
perseguito, richiede necessariamente che la
certificazione di qualità riguardi
direttamente l’impresa appaltatrice” (Tar
Sardegna, Sez. I, 06.04.2010 n. 665).
Tanto è vero che, ai fini del dimezzamento
della cauzione provvisoria ai sensi
dell’art. 75, comma 7, del D.Lgs. n.
163/2006, il giudice ha ritenuto sufficiente
per il concorrente produrre la
certificazione di qualità della propria
controllante, solo nell’ipotesi in cui nella
suddetta certificazione sia previsto
espressamente che la stessa copra tutte le
società controllate (TAR Veneto, Sez. I,
01.10.2010 n. 5257).
---------------
L’avvalimento è istituto di origine pretoria,
frutto dell’elaborazione giurisprudenziale
della Corte di Giustizia Europea, attenta a
realizzare nel settore delle commesse
pubbliche la più ampia partecipazione degli
operatori economici, con il fine di
garantire la libertà di circolazione dei
servizi, dei capitali e la tutela del
mercato.
Se le prime pronunce in argomento hanno
affermato la possibilità per la società
capogruppo di soddisfare la richiesta dei
requisiti speciali, per il tramite delle
capacità economico-finanziarie e
tecnico-organizzative di soggetti terzi
appartenenti al medesimo gruppo,
successivamente la giurisprudenza
comunitaria ha ammesso l’utilizzo più vasto
e generalizzato dell’avvalimento, anche al
di fuori dei rapporti infragruppo, purché il
concorrente, privo delle predette capacità,
fornisca la prova di disporre effettivamente
dei mezzi necessari per l’esecuzione del
contratto; in caso contrario, infatti,
l’istituto in esame potrebbe essere
utilizzato per eludere la disciplina dettata
dal Codice dei Contratti Pubblici in materia
di requisiti di partecipazione alle
procedure di selezione.
La definitiva positivizzazione dell’istituto
si deve alle Direttive 2004/18 (artt. 47 e
48) e 2004/17 (art. 54), le quali
circoscrivono espressamente il campo di
applicazione dell’istituto in esame alla
capacità economico-finanziaria ed alla
capacità tecnico-professionale. Più
precisamente l’art. 47 della Direttiva
2004/18, dopo aver indicato le referenze che
possono provare la capacità economica e
finanziaria di un operatore, riconosce a
quest’ultimo, la possibilità, di “fare
affidamento sulle capacità di altri
soggetti, a prescindere dalla natura
giuridica dei suoi legami con questi ultimi.
In tal caso deve dimostrare alla
amministrazione aggiudicatrice che disporrà
dei mezzi necessari, ad esempio mediante
presentazione dell'impegno a tal fine di
questi soggetti”.
Parimenti il successivo art. 48, dopo aver
indicate le modalità di valutazione e di
verifica delle capacità tecniche e
professionali di un operatore economico,
riconosce a quest’ultimo la facoltà “di
fare affidamento sulle capacità di altri
soggetti, a prescindere dalla natura
giuridica dei suoi legami con questi ultimi.
Deve, in tal caso, provare
all'amministrazione aggiudicatrice che per
l'esecuzione dell'appalto disporrà delle
risorse necessarie ad esempio presentando
l'impegno di tale soggetto di mettere a
disposizione dell'operatore economico le
risorse necessarie”.
La normativa comunitaria configura, quindi,
l’avvalimento quale strumento che permette
di ampliare la platea dei partecipanti alle
procedure per l’affidamento di contratti
pubblici, consentendo l’accesso al confronto
concorrenziale non soltanto agli operatori
economici che possiedono “in proprio”
i requisiti di capacità economica,
finanziaria, tecnica ed organizzativa
prescritti dalla legge o richiesti dalla
singola stazione appaltante, ma anche a
quegli operatori che, pur non avendo di per
sé i predetti requisiti, intendono
utilizzare le capacità di altri soggetti,
dando la prova di averne l’effettiva
disponibilità per tutta la durata del
contratto pubblico. Rimangono esclusi
dall’ambito oggettivo di applicazione della
disciplina in esame i requisiti più
direttamente afferenti agli stati soggettivi
dell’operatore economico, che la Direttiva
18/2004 elenca all’art. 45, rubricato
Situazione personale del candidato o
dell’offerente.
Il legislatore italiano ha recepito
l’istituto dell’avvalimento all’art. 49 del
Codice dei contratti pubblici, riconoscendo
all’istituto in esame, anche a seguito dei
decreti correttivi, la medesima portata che
ha nel diritto comunitario. La norma
nazionale, infatti, così come quella
comunitaria, prevede che possono essere
oggetto di avvalimento i soli requisiti di
carattere economico-finanziario,
tecnico-organizzativo e la certificazione
SOA. All’interno del perimetro appena
tracciato l’istituto in questione ha portata
generale, mentre all’esterno di esso
l’istituto non trova applicazione e,
pertanto non si estende ai requisiti
generali, tradizionalmente definiti di
ordine pubblico o di moralità.
Osta a ciò non soltanto il dato letterale
delle direttive comunitarie e del Codice dei
contratti pubblici, che non prendono in
considerazione i requisiti generali ai fini
dell’avvalimento, ma anche la loro natura
sostanziale, consistendo questi ultimi
essenzialmente in condizioni soggettive del
concorrente, suscettibili, ove presenti, di
precludere la partecipazione alla gara e la
stipulazione del contratto
(parere
di precontenzioso 19.05.2011 n. 97 -
link a www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI: Se
è vero che ai sensi dell’art. 46 e in
considerazione dei principi di
proporzionalità, di massima partecipazione
alla gara e di previa audizione dei privati
l'Amministrazione ha il “potere-dovere”
di disporre la regolarizzazione degli atti
quando questi, tempestivamente depositati,
rendano ragionevole ritenere sussistenti i
requisiti di partecipazione, è pur vero che
lo stesso art. 46 prevede che le stazioni
appaltanti invitano i concorrenti a
completare o a fornire chiarimenti in ordine
al contenuto dei certificati, documenti e
dichiarazioni presentati, nei limiti degli
articoli da 38 a 45.
Ciò significa che la mancanza, come nel caso
di specie, di dichiarazioni richieste a pena
di esclusione e ricollegabili a specifiche
cause di esclusione di cui all’art. 38 del
Codice, non consentiva all’amministrazione
l’esercizio di quel potere discrezionale di
interlocuzione che trova, tra l’altro, il
suo limite, nel rispetto della par condicio
dei concorrenti
(parere
di precontenzioso 19.05.2011 n. 96 -
link a www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI: La
valutazione in ordine al possibile
annullamento in autotutela di una procedura
di gara rientra nella esclusiva potestà
discrezionale della stazione appaltante, che
è chiamata a decidere, secondo gli ordinari
canoni della autotutela, laddove sussistano
ragioni di opportunità e di interesse
pubblico attuale e concreto.
La potestà di agire in autotutela per
revocare o annullare la documentazione di
gara, infatti, come è noto, risiede nel
principio costituzionale di buon andamento
che impegnando l’amministrazione ad adottare
atti per la migliore realizzazione del fine
pubblico perseguito, si traduce
nell’esigenza che l’azione amministrativa si
adegui all’interesse pubblico allorquando
questo muti o vi sia una sua diversa
valutazione.
L’amministrazione, qualora decidesse di
adottare un provvedimento in autotutela, lo
dovrà fare fondando il proprio giudizio, non
sulla mera esigenza di ripristino della
legalità, ma dando conto, nella motivazione,
della sussistenza di un interesse pubblico
concreto ed attuale alla rimozione dell’atto
(parere
di precontenzioso 19.05.2011 n. 95 -
link a www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI: L’esclusione
non può essere disposta nei confronti di
quei soggetti che abbiano regolarizzato la
loro posizione tributaria in sede
giurisdizionale o amministrativa o che
abbiano quantomeno presentato istanza di
rateizzazione o di riduzione del debito
entro il termine di scadenza per la
presentazione della domanda di
partecipazione alla gara ovvero di
presentazione dell’offerta
(parere
di precontenzioso 19.05.2011 n. 94 -
link a www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI: L’art.
46, d.lgs. 12.04.2006 n. 163 (in base al
quale, nei limiti previsti dagli articoli da
38 a 45, le stazioni appaltanti invitano, se
necessario, i concorrenti a completare o a
fornire chiarimenti in ordine al contenuto
dei certificati, documenti e dichiarazioni
presentati) deve essere inteso nel senso che
l'Amministrazione ha il potere-dovere di
disporre la regolarizzazione quando gli
atti, tempestivamente depositati, contengano
elementi che possano costituire un indizio e
rendano ragionevole ritenere sussistenti i
requisiti di partecipazione. Di guisa che
l'Amministrazione non può pronunciare
l'esclusione dalla procedura, ma è tenuta a
richiedere al partecipante di integrare o
chiarire il contenuto di un documento già
presente, costituendo siffatta attività
acquisitiva un ordinario “modus
procedendi”, ispirato all'esigenza di
far prevalere la sostanza sulla forma (cfr.
in tal senso ex multis TAR Sardegna
Cagliari, sez. I, 09/10/2009, n. 1537; TAR
Piemonte Torino, sez. I, 30/03/2009, n. 837;
TAR Sardegna Cagliari, sez. I, 23/06/2008,
n. 1253; TAR Lazio Roma, sez. III,
05/06/2008, n. 5491; TAR Lazio Roma, sez.
III, 26/03/2007, n. 2586; TAR Lazio Roma,
sez. I 19/11/2004 n. 13555; TAR Lombardia
Brescia 23.08.2001 n. 725; TAR Bari, Sez. II,
10.05.1996 n. 253).
Invero, le disposizioni dettate dall'art. 46
D.Lgs. n.163/2006, nella parte in cui
prevedono che le amministrazioni invitano,
se necessario, le ditte partecipanti a gare
per l'aggiudicazione di appalti pubblici a
fornire chiarimenti e ad integrare la
carente documentazione presentata, sono da
intendersi non come una mera facoltà o un
potere eventuale, ma piuttosto come la
codificazione di un ordinario modo di
procedere, volto a far valere, entro certi
limiti e nel rispetto della “par condicio”
dei concorrenti, la sostanza sulla forma,
orientando l'azione amministrativa sulla
concreta verifica dei requisiti di
partecipazione e della capacità tecnica ed
economica, coerentemente con la disposizione
di carattere generale contenuta nell'art. 6
l. n. 241/1990, sempre che, naturalmente, la
procedura di regolarizzazione e di ulteriore
chiarificazione non debba cedere di fronte
al limite della garanzia della “par
condicio” dei partecipanti.
Non va, inoltre, sottaciuta -sotto il
profilo sostanziale- la circostanza che la
stessa stazione appaltante ha comunicato
all’impresa la propria intenzione di non
segnalare la disposta esclusione
all’Autorità “in quanto la stessa è
riconducibile ad un errore materiale”.
Tale circostanza va coniugata con la
possibilità -generalmente riconosciuta
nell'ambito degli appalti pubblici, seppur
nei limiti sopra indicati- di integrazione
della documentazione, senza che tale
possibilità possa configurare una violazione
della par condicio dei concorrenti, rispetto
ai quali, al contrario, assume rilievo
l'effettività del possesso del requisito
(Cons. Stato, Sez. VI, 18.05.2001 n. 2781).
In proposito, deve sottolinearsi che nelle
gare per l'aggiudicazione di contratti della
Pubblica Amministrazione, il solo limite del
potere discrezionale di interlocuzione è
costituito dal rispetto della par condicio
dei concorrenti, nel senso che la richiesta
di integrazione e di chiarimenti non deve
tradursi in un'indebita sostituzione della
stazione appaltante alla diligenza
ordinamentale, esigibile da parte di tutti i
concorrenti alla procedura selettiva e
ravvisabile nella completezza della
documentazione presentata a corredo
dell'offerta e specificamente richiesta a
pena di esclusione dal bando di gara.
Invero, il potere di richiedere chiarimenti
alla ditta partecipante ad una gara per
l'aggiudicazione di un contratto della
Pubblica Amministrazione previsto dall'art.
46 del D.Lgs. n. 163/2006 deve trovare
applicazione nelle ipotesi in cui sussistano
dubbi circa la sussistenza di requisiti
richiesti dal bando e in ordine ai quali vi
sia, tuttavia, un principio di prova circa
il loro possesso da parte della ditta
medesima, non essendovi, per contro, alcuno
spazio per l'esercizio del potere di
integrazione nel caso in cui la
documentazione o la dichiarazione siano del
tutto mancanti o assolutamente inidonee,
oppure non sia possibile per
l'Amministrazione evincere alcuna certezza,
dovendo in tale ipotesi necessariamente
comminarsi l'esclusione (parere
di precontenzioso 19.05.2011 n. 93 -
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APPALTI: E’
conforme alla normativa di settore in quanto
conforme ai parametri della logicità e della
ragionevolezza, ed essendo redatta in
termini chiari e prevedendo un adempimento
non sproporzionato, la clausola che preveda,
a pena di esclusione, che la cauzione
provvisoria rechi l’espressa previsione
della copertura della garanzia per l’Ente in
caso di mancata ottemperanza del concorrente
alla richiesta di dimostrazione del possesso
dei requisiti di capacità
economico-finanziaria e
tecnico-organizzativa ex art. 48 del d.lgs.
n. 163/2006, ovvero in caso di verificata
non corrispondenza tra quanto autodichiarato
dal concorrente e quanto accertato dalla
stazione appaltante
(parere
di precontenzioso 19.05.2011 n. 92 -
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APPALTI: La
stazione appaltante può fissare, nell’ambito
della propria discrezionalità, requisiti di
partecipazione ad una gara di appalto e di
qualificazione più rigorosi e restrittivi di
quelli minimi stabiliti dalla legge, purché,
tuttavia, tali prescrizioni si rivelino
rispettose dei principi di proporzionalità e
ragionevolezza, non limitino indebitamente
l’accesso alla procedura di gara e siano
giustificate da specifiche esigenze imposte
dal peculiare oggetto dell’appalto.
L’adeguatezza e la proporzionalità dei
requisiti richiesti dalla documentazione di
gara vanno, dunque, valutate con riguardo
all’oggetto dell’appalto ed alle sue
specifiche peculiarità.
In una gara per l’affidamento dei servizi di
gestione del servizio sociale professionale
e del servizio spazio protetto a supporto
dell’analogo servizio comunale, non è
conforme alla normativa di settore la
clausola del bando che prevede che possano
partecipare alla selezione solo “gli enti
iscritti ad una qualunque sezione dell’Albo
Regionale ex art. 26 della L.R. n. 22/1986”
in quanto sproporzionata e incongruente
rispetto alle esigenze sottese
all’espletamento della gara e perché non
consente alle cooperative sociali iscritte
nell’Albo nazionale tenuto presso il
Ministero del Lavoro e della Previdenza
Sociale di partecipare alla selezione
(parere
di precontenzioso 19.05.2011 n. 91 -
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LAVORI PUBBLICI: In
una gara avente ad oggetto la progettazione
esecutiva, realizzazione e successiva
manutenzione di un sistema di
videosorveglianza in fibra ottica a fini di
sicurezza urbana, relativa ad impianti
esterni ad edifici, appare corretta la
richiesta della categoria OS19 (“Impianti
di reti di telecomunicazioni e di
trasmissione dati - Fornitura, montaggio e
manutenzione o ristrutturazione di impianti
di commutazione per reti pubbliche o
private, locali o interurbane, di
telecomunicazione per telefonia, telex, dati
e video su cavi in rame, su cavi in fibra
ottica, su mezzi radioelettrici, su
satelliti telefonici, radiotelefonici,
televisivi e reti di trasmissione dati e
simili, qualsiasi sia il loro grado di
importanza, completi di ogni connessa opera
muraria, complementare o accessoria, da
realizzarsi, separatamente dalla esecuzione
di altri impianti, in opere generali che
siano state già realizzate o siano in corso
di costruzione”) quale categoria
prevalente dei lavori da affidare, in luogo
della S30, relativa ad impianti interni ad
edifici e concernente il differente caso di
interventi accessori ad opere di costruzione
più ampie
(parere
di precontenzioso 19.05.2011 n. 89 -
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APPALTI: La
previsione dell’avviso di preinformazione
che ammette a presentare domanda ai fini
dell’inserimento nell’elenco delle imprese
da invitare per le procedure di affidamento
di appalti pubblici gli operatori economici
che abbiano la sede operativa nella
provincia in cui ha sede la stazione
appaltante è contraria ai principi generali
in materia di evidenza pubblica, in tema di
tutela della concorrenza, del diritto di
stabilimento e del libero mercato in quanto
costituisce una irragionevole limitazione
soggettiva della possibilità di partecipare
alle procedure di affidamento alle sole
imprese aventi sede operativa in un
territorio limitato
(parere
di precontenzioso 19.05.2011 n. 88 -
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APPALTI: Non
sussistono ostacoli normativi ad ammettere
alle procedure di gara le cooperative
sociali, rientrando tra i soggetti a cui
possono essere affidati contratti pubblici
(art. 34, comma 1, lettera a).
Infatti, le cooperative sociali di tipo “B”
che si avvalgono prevalentemente di
personale svantaggiato ai sensi della legge
381/1991, potendo fruire di una base
imponibile contributiva ridotta e di un
regime tributario agevolato, possono
formulare offerte economiche contenute. Lo
scopo delle cooperative sociali è infatti
quello di offrire una “occasione di
lavoro protetta” al personale
svantaggiato, così perseguendo finalità
sociali più che economiche che non implicano
margini di guadagno significativi, ma un
sostanziale pareggio dei costi.
Tale circostanza non determina di per sé una
turbativa della concorrenza e della par
condicio nell’accesso ai pubblici appalti
costituendo il riflesso dell’applicazione di
una normativa speciale rivolta ad obiettivi
di interesse pubblico.
---------------
Compete all’Amministrazione il giudizio
tecnico sulla congruità, serietà e
realizzabilità dell’offerta, non essendo
ammissibile una sindacabilità nel merito con
effetto sostitutivo nell’esercizio di tale
potere di valutazione (parere n. 173 del
20.10.2010).
Pertanto, gli apprezzamenti compiuti
dall’amministrazione in sede di valutazione
della congruità delle offerte costituiscono
espressione di un potere di natura
tecnico–discrezionale, improntato a criteri
di ragionevolezza, logicità e
proporzionalità, che resta prerogativa di
esclusiva competenza della stazione
appaltante.
A tal fine possono ritenersi congrue le
offerte che indicano un costo medio orario
inferiore ai minimi tabellari, purché lo
scostamento non sia eccessivo e vengano
salvaguardate le retribuzioni dei
lavoratori, così come stabilito dalla
contrattazione collettiva.
---------------
Il cottimo fiduciario di cui all’art. 125
del D.Lgs. n.163/2006 è una procedura
negoziata nella quale, secondo quanto
previsto dall’art. 331 del Regolamento, le
stazioni appaltanti devono assicurare il
rispetto del principio della massima
trasparenza, contemperando altresì
l’efficienza dell’azione amministrativa con
i principi di parità di trattamento, non
discriminazione e concorrenza tra gli
operatori economici.
Figura centrale nel sistema
dell’acquisizione in economia di lavori,
servizi e forniture è il responsabile unico
del procedimento
(parere
di precontenzioso 19.05.2011 n. 87 -
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APPALTI: In
linea con quanto stabilito dall’art. 38 del
D.Lgs. n. 163/2006, gli operatori economici
devono indicare tutte le condanne riportate,
indipendentemente dal fatto che siano o meno
ritenute (dal concorrente) preclusive della
partecipazione alla gara, al fine di
consentire alla stazione appaltante di
valutare la gravità della condotta tenuta e
del reato commesso.
Infatti, in assenza di parametri normativi
fissi e predeterminati per l’individuazione
di reati gravi in danno dello Stato o della
Comunità europea che incidono sulla moralità
professionale delle imprese partecipanti
alle gare di appalto, è la pubblica
amministrazione che nell’esercizio del
potere discrezionale tecnico ad essa
spettante, con adeguata e congrua
motivazione, valuta l’idoneità del reato ad
integrare la causa di esclusione in
argomento
(parere
di precontenzioso 05.05.2011 n. 86 -
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APPALTI: L'istituto
dell'avvalimento, di origine comunitaria, si
delinea quale strumento in grado di
consentire la massima partecipazione dei
concorrenti alle gare pubbliche permettendo
alle imprese non in possesso dei requisiti
oggettivi di ordine speciale,
economico–finanziari e tecnici, ivi compresa
l’attestazione SOA, di sommare -unicamente
per la gara in espletamento- le proprie
capacità tecniche ed economico-finanziarie a
quelle di altre imprese.
Il principio generale che permea l'istituto
è quello secondo cui, ai fini della
partecipazione alle procedure concorsuali,
il concorrente -per dimostrare le capacità
tecniche, finanziarie ed economiche nonché
il possesso dei mezzi necessari
all'esecuzione dell'appalto- può fare
riferimento alla capacità e ai mezzi di uno
o più soggetti diversi ai quali conta di
ricorrere, qualunque sia la natura giuridica
dei vincoli intercorrenti con questi ultimi.
Tale istituto presuppone non soltanto che,
in sede di gara, siano indicati i soggetti
ed i requisiti specifici di cui il
concorrente si intende avvalere, ma anche
che sia data la prova, mediante
presentazione di dichiarazione, dell’impegno
da parte dell'impresa ausiliaria.
Peraltro, poiché la facoltà di avvalimento
costituisce una rilevante eccezione al
principio generale che impone che i
concorrenti ad una gara pubblica possiedano
in proprio i requisiti di qualificazione, la
prova circa l'effettiva disponibilità dei
mezzi dell'impresa avvalsa deve essere
fornita in maniera rigorosa. Non costituisce
avvalimento, secondo le disposizioni
dell’art. 49 del Codice, la possibilità
-contemplata dall’art. 53, comma 3- per gli
operatori economici che partecipano a gare
che hanno per oggetto anche la
progettazione, di “avvalersi” di
progettisti qualificati.
Tale possibilità, infatti, era già prevista
all’art. 19, comma 1-ter, della legge n.
109/1994, che non prevedeva l’istituto dell’avvalimento,
il quale consentiva, in caso di appalto
integrato, alle imprese prive di
qualificazione per la progettazione, di “avvalersi”
di progettisti qualificati senza dover
ricorrere ad un raggruppamento temporaneo di
operatori economici
(parere
di precontenzioso 05.05.2011 n. 85 -
link a www.autoritalavoripubblici.it). |
INCARICHI PROGETTUALI: Nelle
procedure selettive volte all’affidamento di
incarichi di progettazione, la presenza di
un giovane professionista costituisce una
condizione di ammissibilità dell’istanza di
partecipazione alla gara; tuttavia la legge
non richiede che questa presenza assuma la
connotazione di una partecipazione in veste
di socio del R.T.P. ma è sufficiente che
essa si manifesti in un mero rapporto di
collaborazione professionale o di
dipendenza.
Anche la giurisprudenza sostiene che ai fini
della valida partecipazione di un R.t.i. a
procedure indette per l’aggiudicazione di
servizi di progettazione, è sufficiente che
nella compagine del raggruppamento sia
contemplata la presenza, con rapporto di
collaborazione professionale o di
dipendenza, di un professionista abilitato
iscritto all'albo da meno di cinque anni,
senza la necessità che questi assuma anche
responsabilità contrattuali (CdS, sez. V, n.
6347 del 24/10/2006)
(parere
di precontenzioso 05.05.2011 n. 84 -
link a www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI FORNITURE E SERVIZI: Ai
sensi dell’art. 42, comma 1, del D.Lgs. n.
163/2006 la dimostrazione dei requisiti di
capacità tecnica e professionale può essere
fornita attraverso la presentazione
dell’elenco dei principali servizi e
forniture eseguiti negli ultimi tre anni,
con le indicazioni degli importi e degli
altri dati rilevanti (lettera a).
La Stazione appaltante vanta un apprezzabile
margine di discrezionalità nel chiedere
requisiti di capacità economica, finanziaria
e tecnica ulteriori e più severi rispetto a
quelli indicati nella disciplina richiamata,
ma con il limite del rispetto dei principi
di proporzionalità e ragionevolezza; sicché
non è consentito pretendere il possesso di
requisiti sproporzionati o estranei rispetto
all’oggetto della gara (Cons. Stato, Sez. V,
08.09.2008, n. 3083; Cons. Stato, Sez. VI,
23.07.2008, n. 3655).
Quindi sono da considerare legittimi i
requisiti richiesti dalle stazioni
appaltanti che, pur essendo ulteriori e più
restrittivi di quelli previsti dalla legge,
rispettino il limite della logicità e della
ragionevolezza e, cioè, della loro
pertinenza e congruità a fronte dello scopo
perseguito. Tali requisiti possono essere
censurati solo allorché appaiano viziati da
eccesso di potere, ad esempio per illogicità
o per incongruenza rispetto al fine pubblico
della gara (Cons. Stato, 15.12.2005, n.
7139)
(parere
di precontenzioso 05.05.2011 n. 83 -
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LAVORI PUBBLICI: Il
principio dell’assorbenza fra categorie
generali e categorie specializzate trova
applicazione esclusivamente in riferimento
alla OG11, nel senso che, ove nel bando sia
richiesta la qualificazione di cui alle
categorie di opere specializzate OS3, OS30,
OS28, è consentita la partecipazione anche
delle imprese qualificate in categoria OG11.
Ciò in quanto detta categoria generale è in
effetti la sommatoria di categorie speciali
e pertanto sussiste la presunzione che un
soggetto qualificato in OG11 sia in grado di
svolgere mediamente tutte le lavorazioni
speciali contenute in tale categoria
generale.
Tuttavia, la qualificazione per la categoria
di opere generali OG11 assorbe quella per la
categoria di opere speciali solo nel caso in
cui la disciplina speciale della singola
gara non rechi alcuna clausola in contrario
(parere
di precontenzioso 05.05.2011 n. 82 -
link a www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI: Qualora
il bando commini espressamente l’esclusione
dalla gara in conseguenza di determinate
prescrizioni, l’Amministrazione è tenuta a
dare precisa ed incondizionata esecuzione a
dette prescrizioni, restando preclusa
all’interprete ogni valutazione circa la
rilevanza dell’inadempimento, la sua
incidenza sulla regolarità della procedura
selettiva e la congruità della sanzione
contemplata nella lex specialis, alla
cui osservanza la stessa Amministrazione si
è autovincolata al momento del bando.
Ciò specialmente laddove le clausole (oltre
ad essere pienamente in linea con il quadro
normativo di riferimento), siano chiaramente
evidenziate nell’ambito della lex
specialis, essendo riportate come
previste a pena di esclusione, nonché
formulate in termini letterali che non
presentano profili di dubbio interpretativo,
cosicché i partecipanti risultino
correttamente informati
(parere
di precontenzioso 05.05.2011 n. 81 -
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APPALTI: L’avvalimento
è istituto di origine pretoria, frutto
dell’elaborazione giurisprudenziale della
Corte di Giustizia europea attenta a
realizzare nel settore delle commesse
pubbliche la più ampia partecipazione degli
operatori economici, con il fine di
garantire la libertà di circolazione dei
servizi, dei capitali e la tutela del
mercato.
La giurisprudenza comunitaria ha ammesso
l’utilizzo più vasto e generalizzato dell’avvalimento,
anche al di fuori dei rapporti infragruppo,
purché il concorrente, privo delle predette
capacità, fornisca la prova di disporre
effettivamente dei mezzi necessari per
l’esecuzione del contratto. Non è possibile
applicare l’avvalimento ai requisiti di
ordine generale, tradizionalmente definiti
di ordine pubblico o di moralità.
La certificazione di qualità ISO 9001:2008
non copre il prodotto realizzato o il
servizio/la lavorazione resi, ma testimonia
semplicemente che l’imprenditore opera in
conformità a specifici standard
internazionali per quanto attiene la qualità
dei propri processi produttivi. Ne deriva
che la certificazione di qualità è un
requisito soggettivo, in quanto attiene ad
uno specifico “status”
dell’imprenditore: l’aver ottemperato a
determinate disposizioni normative,
preordinate a garantire alla stazione
appaltante che l’esecuzione delle
prestazioni contrattuali dovute avverrà nel
rispetto della normativa in materia di
processi di qualità. E’ preferibile
interpretare l’art. 49 del D.Lgs. n.
163/2006 nel senso che non consente l’avvalimento
della certificazione di qualità ISO
9001:2008.
Anche la giurisprudenza amministrativa
maggioritaria qualifica la certificazione in
esame come requisito soggettivo, preordinato
a garantire all’amministrazione appaltante
la qualità dell’esecuzione delle prestazioni
contrattuali dovute, e precisa che tale “obiettivo,
per essere effettivamente perseguito,
richiede necessariamente che la
certificazione di qualità riguardi
direttamente l’impresa appaltatrice”
(parere
di precontenzioso 05.05.2011 n. 80 -
link a www.autoritalavoripubblici.it). |
LAVORI PUBBLICI: E’
dato consolidato che l'espressione “avvalersi
di progettisti qualificati”, contenuta
nell'art. 53, comma 3, del Codice dei
Contratti pubblici, vada letta come un mero
richiamo al ricorso all'opera o alla
attività di altro soggetto (da indicarsi
nell’offerta da parte dell’Impresa
partecipante).
Appare chiaro, altresì, dalla lettura della
norma, come tale opzione sia alternativa a
quell’altra “partecipare in
raggruppamento con soggetti qualificati per
la progettazione”. Il principio di
libertà di scelta delle forme di
collaborazione tra imprese, cui si ispira
l'art. 53, è di provenienza direttamente
comunitaria, e non può, quindi,
ragionevolmente essere contestato in questa
sua concreta applicazione. La citata norma
consente, invero, all'impresa priva dei
requisiti di qualificazione per la
progettazione, la più ampia libertà
nell'individuazione della forma di
collaborazione professionale che intende
effettuare con il progettista.
Al riguardo, i progettisti non assumono la
qualità di “concorrenti”, né quella
di titolari del rapporto contrattuale con
l’Amministrazione in caso di eventuale
aggiudicazione
(parere
di precontenzioso 05.05.2011 n. 79 -
link a www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI: In
attuazione dei principi (comunitari e
nazionali) di proporzionalità, di massima
partecipazione alla gara e di previa
audizione dei privati, l'art. 46 del D.Lgs.
12.04.2006 n. 163 (in base al quale, nei
limiti previsti dagli articoli da 38 a 45,
le stazioni appaltanti invitano, se
necessario, i concorrenti a completare o a
fornire chiarimenti in ordine al contenuto
dei certificati, documenti e dichiarazioni
presentati) deve essere inteso nel senso che
l’Amministrazione ha il “potere-dovere”
di disporre la regolarizzazione quando gli
atti, tempestivamente depositati, rendano
ragionevole ritenere sussistenti i requisiti
di partecipazione.
Di guisa che l’Amministrazione non può, in
tal caso, pronunciare tout-court
l’esclusione dalla procedura, ma è tenuta a
richiedere al partecipante di integrare il
contenuto di un documento già presente,
costituendo siffatta attività acquisitiva un
ordinario “modus procedendi”,
ispirato all’esigenza di far prevalere la
sostanza sulla forma Nelle gare per
l’aggiudicazione di contratti della Pubblica
Amministrazione, il solo limite del potere
discrezionale di interlocuzione è costituito
dal rispetto della par condicio dei
concorrenti, nel senso che la richiesta di
integrazione non deve tradursi in
un’indebita sostituzione della Stazione
appaltante alla diligenza ordinamentale,
esigibile da parte di tutti i concorrenti
alla procedura selettiva e ravvisabile nella
completezza della documentazione presentata
a corredo dell'offerta e specificamente
richiesta a pena di esclusione dal bando di
gara. Non vi è spazio alcuno per l’esercizio
del potere di integrazione nel solo caso in
cui la documentazione o la dichiarazione
siano del tutto mancanti, dovendo, in tale
ipotesi, necessariamente comminarsi
l'esclusione
(parere
di precontenzioso 05.05.2011 n. 78 -
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APPALTI: La
procedura prevista dall'art. 48 del D.Lgs.
n. 163/2006 si applica ai contratti aventi
ad oggetto lavori, servizi, e forniture, nei
settori ordinari, sia sopra che sotto soglia
comunitaria (il Titolo II del Codice non ne
esclude, infatti, l'applicazione ai
contratti sotto soglia).
Sempre dal tenore letterale della norma in
commento si evince che essa trova
applicazione agli appalti di lavori ed agli
appalti di servizi e forniture che si
svolgono con procedura aperta, ristretta,
negoziata, con o senza pubblicazione di un
bando di gara, o con dialogo competitivo,
sempre che sia stata richiesta ai
concorrenti, per la partecipazione alla
gara, una dichiarazione sostitutiva circa il
possesso dei requisiti speciali, individuati
nei loro livelli minimi. Nella medesima
ottica, si deve ribadire che l’attivazione
del procedimento di verifica di cui all'art.
48 del Codice è obbligatorio, così come si
evince dalla lettera della norma, senza
alcun margine di discrezionalità da parte
della stazione appaltante.
Ne consegue che non occorre preventivamente
indicare negli atti di gara, né
l'attivazione della procedura di verifica,
né il numero di soggetti che ne saranno
interessati; le sole indicazioni destinate
ad essere espresse nel bando o nella lettera
di invito riguardano i mezzi di prova che
gli operatori economici saranno tenuti a
produrre per dimostrare la veridicità di
quanto dichiarato, nonché i requisiti minimi
di partecipazione previsti nel bando di gara
e i criteri per la valutazione degli stessi.
Inoltre, con specifico riguardo agli appalti
di lavori pubblici di importo inferiore a €
150.000,00, il sorteggio sarà condotto
esclusivamente sui concorrenti non in
possesso di attestato SOA e, di conseguenza,
il 10% sarà calcolato sul numero di
partecipanti al netto di quelli qualificati;
questi ultimi saranno direttamente ammessi
alle successive fasi di gara.
Se, invece, la documentazione comprovativa
da questi presentata, in sede di domanda di
partecipazione o di offerta, sia integrata
da dichiarazioni sostitutive circa il
possesso dei residui requisiti richiesti,
detto concorrente sarà inserito nel numero
di partecipanti da cui estrarre il campione
su cui effettuare la verifica e, se
individuato mediante sorteggio, o in qualità
di primo o secondo classificato, la stazione
appaltante ne richiederà la documentazione
di comprova limitatamente ai requisiti
oggetto di dichiarazione
(parere
di precontenzioso 21.04.2011 n. 75 -
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LAVORI PUBBLICI: Nel
caso in cui l’oggetto dell'appalto sia
costituito da lavori “concernenti” un
palazzo di interesse storico-artistico,
sottoposto come tale alla tutela del D.Lgs.
n. 42/2004, per la loro esecuzione, sulla
base delle declaratorie di cui all'allegato
1 al D.P.R. n. 34/2000, non è sufficiente il
possesso della qualificazione per la
categoria individuata con l'acronimo OG1
(relativa agli edifici civili e industriali)
occorrendo, invece, possedere la
qualificazione per la categoria
contrassegnata dall'acronimo OG2
(riguardante il restauro e la manutenzione
dei beni immobili sottoposti a tutela ai
sensi delle disposizioni in materia di beni
culturali e ambientali).
Il possesso della qualificazione per la
categoria OG2 è necessario, non già per il
solo caso in cui sui beni vincolati si
vadano ad eseguire lavorazioni
particolarmente specifiche o complesse;
poiché, invece, è la peculiarità del bene,
sul quale si va ad intervenire, a richiedere
la speciale qualificazione dell'esecutore
indipendentemente ed a prescindere dal tipo
di intervento da praticare
(parere
di precontenzioso 21.04.2011 n. 74 -
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INCARICHI PROGETTUALI: Rientrano
nell'ambito oggettivo di applicazione
dell'articolo 90, co. 1, del d.Lgs. 163/2006
tutte le attività di progettazione di opere
e lavori pubblici finalizzate alla redazione
dei progetti, consistenti nel tipo e numero
di elaborati individuati per i singoli
livelli di progettazione -preliminare,
definitivo ed esecutivo- dagli articoli da
18 a 45 del D.P.R. 21.12.1999 n. 554 e s.m.,
nonché l'attività di direzione lavori e
quelle di tipo accessorio connesse alla
predetta attività di progettazione elencate
nell'articolo 17, commi 1 e 14-quinquies
della legge quadro.
Ne deriva che, ad esempio, nell’ipotesi di
affidamento della progettazione e della
direzione lavori, ai fini della
dimostrazione della specifica esperienza
pregressa, anche per i servizi cd. di punta,
in relazione ad ognuna delle classi e
categorie dei lavori cui si riferiscono i
servizi da affidare, detti requisiti possono
essere dimostrati con l’espletamento
pregresso di incarichi di progettazione e
direzione lavori, di sola progettazione
ovvero di sola direzione lavori.
La logica sottesa alla richiesta del
requisito del “servizio di punta”,
infatti, è quella di aver svolto singoli
servizi di una certa entità complessivamente
considerati e non di aver svolto servizi
identici a quelli da affidare
(parere
di precontenzioso 21.04.2011 n. 73 -
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APPALTI: Nel
contrasto tra clausole del bando e quelle
del capitolato va sempre accordata
prevalenza alle prime, atteso che il
capitolato assolve alla preminente funzione
di predeterminare l’assetto negoziale degli
interessi dell’amministrazione e
dell’impresa aggiudicataria in seguito
all’espletamento della gara e non di
regolamentare direttamente la procedura
selettiva
(parere
di precontenzioso 21.04.2011 n. 72 -
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APPALTI: L’integrazione
della documentazione carente ai sensi
dell’art. 46 del Codice dei contratti
pubblici costituisce una facoltà
dell’amministrazione esercitabile nel
rispetto della parità di trattamento (Cons.
Stato, Sez. IV, 10.05.2007, n. 2254), al
fine di favorire la più ampia partecipazione
alla gara (pareri di questa Autorità n. 89
del 10.09.2009; n. 3 del 15.01.2009) e
presuppone il completamento ed il
chiarimento “in ordine al contenuto dei
certificati, documenti e dichiarazioni
presentati” e non già la produzione
ex novo di documentazione richiesta dal
bando e non prodotta, pena la violazione
della par condicio tra i partecipanti alla
gara (come si evince dalla stessa decisione
del Consiglio di Stato n. 7758/2004 invocata
dalla concorrente esclusa)
(parere
di precontenzioso 21.04.2011 n. 71 -
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APPALTI: Secondo
un costante orientamento giurisprudenziale,
indipendentemente dalla presenza di un
espresso riscontro nella normativa di gara,
l’operatività dell’art. 38, globalmente
inteso, deve ammettersi in virtù della
dovuta eterointegrazione delle disposizioni
del bando di gara, concernenti il contenuto
delle offerte, con le prescrizioni
legislative di natura obbligatoria e
tassativa contenute nel Codice dei contratti
pubblici (cfr., da ultimo, TAR Puglia,
Lecce, Sez. III, 29.11.2010, n. 2734).
Ciò in forza del generale principio della
necessaria eterointegrazione della lex
specialis con le norme di legge di natura
imperativa aventi un chiaro contenuto di
ordine pubblico, cui la stazione appaltante
non può derogare (cfr., in tale senso,
Consiglio di Stato, Sez. V, 24.01.2007, n.
256). In particolare, è lo stesso art. 74
del citato D.Lgs. n. 163/2006 ad imporre, in
sede di presentazione delle offerte, quale
norma generale, l’espressa indicazione di
tutte le condizioni soggettive di
partecipazione, così come richiesto
dall’art. 38 citato e con riferimento ai
soggetti ivi indicati in quanto dotati di
poteri di rappresentanza.
Dispone, infatti, il comma 2 del predetto
art. 74 del D.Lgs. n. 163/2006 che “Le
offerte contengono gli elementi prescritti
dal bando o dall’invito ovvero dal
capitolato d’oneri, e, in ogni caso, gli
elementi essenziali per identificare
l’offerente e il suo indirizzo e la
procedura a cui si riferiscono, le
caratteristiche e il prezzo della
prestazione offerta, le dichiarazioni
relative ai requisiti soggettivi di
partecipazione”.
Ne consegue che, in tema di ammissione alle
gare d'appalto, l'omissione delle
dichiarazioni da rendere ai sensi dell'art.
38 del D.Lgs. n. 163/2006 costituisce di per
sé motivo di esclusione e, pertanto, è
rilevante anche in assenza di qualsivoglia
richiamo alla predetta disposizione (cfr.
C.G.A. Reg. Siciliana, Sez. Giurisdizionale
04.02.2010 n. 117).
Tale qualificazione giuridica delle
prescrizioni contenute nella norma più volte
richiamata costituisce un impedimento valido
e sufficiente a che la stazione appaltante
possa consentire qualsiasi integrazione
documentale successiva al termine di
presentazione delle offerte, senza che ciò
incida sul principio della par condicio dei
concorrenti
(parere
di precontenzioso 21.04.2011 n. 69 -
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LAVORI PUBBLICI: La
previsione di cui all’art. 75, comma 7, del
Codice è finalizzata a consentire il
beneficio del dimezzamento della cauzione
alle imprese munite di certificazione di
qualità, in considerazione del fatto che
tale certificazione garantisce che l’impresa
è in grado di svolgere la sua attività
secondo un livello minimo di qualità
accertato da un organismo a ciò preposto e
pertanto offre garanzie di maggiore
affidabilità, con conseguente attenuazione
del rischio di inadempimento.
Questa Autorità ha già riconosciuto che la
certificazione in questione costituisce un
requisito di natura soggettiva delle
imprese, preordinato a garantire
all’Amministrazione la qualità
dell’esecuzione delle prestazioni dovute
(cfr. AVCP pareri n. 64 del 20.05.2009 e n.
245 del 10.12.2008, TAR Sardegna, Sez. I, n.
665 del 06.04.2010, TAR Lazio, Sez. II-ter,
n. 923 del 06.02.2007).
Ne deriva che un concorrente non può
servirsi dell’attestazione di qualità che
riguarda altra società, sebbene quest’ultima
detenga la totalità delle sue azioni, salvo
l’ipotesi in cui nella certificazione della
controllante sia previsto espressamente che
essa copra le società controllate (cfr. TAR
Veneto, Sez. I, n. 5257 del 01.10.2010).
Diversamente opinando, infatti, si
violerebbe la stessa ratio dell’art.
75, comma 7, D.L.gs n. 163/2006, perché si
consentirebbe ad un concorrente, le cui
lavorazioni e processi produttivi non sono
certificati, di godere di un beneficio, che
il legislatore ha previsto esclusivamente a
favore di coloro che in virtù della
certificazione richiesta riducono il rischio
di inadempimento
(parere
di precontenzioso 07.04.2011 n. 68 -
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APPALTI: Laddove
il titolare dell’impresa, che abbia
beneficiato della non menzione della pena
irrogata con il decreto penale di condanna
debitamente dichiarato, in un caso siffatto,
la stazione appaltante, sebbene non possa
automaticamente escludere l’impresa per il
motivo in esame, è comunque tenuta a
compiere, ai sensi dell’art. 38, comma 1,
lett. c), del D.Lgs. n. 163/2006, la
necessaria valutazione discrezionale della
incidenza della condanna, irrogata con il
suddetto decreto penale, sulla moralità
professionale del concorrente ai fini
dell’esclusione dalla gara
(parere
di precontenzioso 07.04.2011 n. 67 -
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APPALTI: Per
determinare correttamente la soglia di
anomalia si devono eseguire, nell’ordine, le
seguenti operazioni:
a) si forma l'elenco delle offerte ammesse
disponendole in ordine crescente dei
ribassi;
b) si calcola il dieci per cento del numero
delle offerte ammesse e lo si arrotonda
all'unità superiore;
c) si accantona in via provvisoria un numero
di offerte, pari al numero di cui alla
lettera b), di minor ribasso nonché un pari
numero di offerte di maggior ribasso
(cosiddetto taglio delle ali);
d) si calcola la media aritmetica dei
ribassi delle offerte che restano dopo
l'operazione di accantonamento di cui alla
lettera c);
e) si calcola -sempre con riguardo alle
offerte che restano dopo l'operazione di
accantonamento di cui alla lettera c)- lo
scarto dei ribassi superiori alla media di
cui alla lettera d) e, cioè, la differenza
fra tali ribassi e la suddetta media;
f) si calcola la media aritmetica degli
scarti e cioè la media delle differenze;
qualora il numero dei ribassi superiori alla
media di cui alla lettera d) sia pari ad uno
la media degli scarti si ottiene dividendo
l'unico scarto per il numero uno;
g) si somma la media di cui alla lettera d)
con la media di cui alla lettera f); tale
somma costituisce la soglia di anomalia
(parere
di precontenzioso 07.04.2011 n. 66 -
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APPALTI: In
merito alla problematica relativa alla
legittimità dell’esclusione, disposta per
aver consegnato il plico-offerta “a mano”
presso l’Ufficio protocollo dell’Istituto
appaltante anziché nella forma di “autoprestazione”,
ai sensi dell’art. 8 del D.Lgs. n. 261/1999
si rileva quanto segue.
Il citato art. 8 del D.Lgs. n. 261/1999,
recante l’attuazione della Direttiva
97/67/CE sulle regole comuni per lo sviluppo
del mercato interno dei servizi postali
comunitari e per il miglioramento della
qualità del servizio, dispone che “è
consentita senza autorizzazione la
prestazione di servizi postali da parte di
persona fisica o giuridica che è all'origine
della corrispondenza (autoprestazione)
oppure da parte di un terzo che agisce
esclusivamente in nome e nell'interesse
dell’autoproduttore”.
Tale modalità di invio consiste nella
consegna diretta al ricevente previa
affrancatura del plico in base alle vigenti
tariffe del “corriere prioritario”,
annullata con “bollo a data” da un
qualsiasi Ufficio postale. La norma permette
di fruire delle garanzie caratteristiche
della prestazione del servizio postale,
analoghe a quelle rese dal fornitore del
servizio universale, nei particolari casi in
cui l'autoproduttore intenda non avvalersi
del servizio di “trasporto della
corrispondenza”, sia pur conservando la
particolare certezza della data di invio e
del contenuto del plico (cfr. Cons. di
Stato, sez. V, 05.09.2005, n. 4485 che cita,
al riguardo la direttiva delle Poste
Italiane n. XXXIX prot. 10005/dir in data
05.10.1999).
Anche questa Autorità –proprio con
riferimento a questa “particolare e
specifica modalità di trasmissione del plico
riconosciuta dalla norma di recepimento
della Direttiva comunitaria”– ha avuto
occasione di rilevare che tale modalità “consente
di ritenere la consegna in autoprestazione
equivalente alla trasmissione a mezzo del
servizio postale”, aggiungendo che “diversamente
interpretando si contravviene al disposto
normativo di cui al citato articolo 8 del
d.Lgs. n. 261/1999” (deliberazione
30.05.2007, n. 175). La procedura richiesta
per il suo utilizzo, soprattutto per quanto
attiene all’annullamento con “bollo a
data” da parte dell’Ufficio postale,
distingue tale modalità di inoltro dei
plichi dalla “consegna a mano” e
garantisce l’amministrazione in ordine alla
integrità e provenienza del plico.
L'istituto della cd. “autoprestazione”
non può, infatti, essere associato
all’ipotesi in cui la presentazione
dell'offerta di gara avvenga mediante “consegna
a mano” della stessa da parte della
ditta concorrente, distinguendosene per la
previa attestazione della data da parte
dell'Ufficio postale, con la conseguenza che
la norma del disciplinare di gara non è
suscettibile di interpretazione estensiva.
Pertanto, qualora la disciplina di gara non
preveda fra le modalità di recapito dei
plichi-offerta, la possibilità di effettuare
la mera “consegna a mano”, svincolata
da una specifica forma, correttamente la
Commissione di gara procede all’esclusione
del concorrente che ha utilizzato una
modalità di recapito diversa da quelle
consentite (cfr. in tal senso il parere di
questa Autorità n. 99 dell’08.11.2007)
(parere
di precontenzioso 07.04.2011 n. 63 -
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APPALTI: La
potestà di avvalimento –che consente a un
concorrente, per comprovare il possesso dei
requisiti economici, finanziari e tecnici di
partecipazione a una gara d'appalto ai fini
dell'aggiudicazione di un appalto pubblico
di servizi, di far riferimento alle capacità
di altri soggetti, qualunque sia la natura
giuridica dei vincoli che ha con essi, a
condizione che sia in grado di provare di
disporre effettivamente dei mezzi di tali
soggetti necessari all'esecuzione
dell'appalto– costituisce un principio, di
fonte sia comunitaria che nazionale, avente
portata generale, in quanto esteso a tutti i
pubblici appalti dalla direttiva unificata
18/2004 (art. 47, par. 2, nonché art. 48,
par. 3) e disciplinato nel nostro
ordinamento dall'art. 49 del Codice dei
contratti pubblici.
Ne consegue che l'assenza di espresse
previsioni al riguardo nella "lex
specialis" di gara non costituisce
affatto motivo di impedimento al suo
utilizzo, ma al contrario legittima i
concorrenti a far uso di tale facoltà nella
sua più ampia portata (Consiglio Stato, Sez.
V, 12.06.2009, n. 3762).
Precisato ciò, occorre rilevare che l’art.
49 del D.Lgs. n. 163/2006 è inequivoco
nell’ammettere la possibilità di avvalimento
anche ai Raggruppamenti Temporanei di
Imprese. Il primo comma del citato articolo
49, infatti, consente l’avvalimento al "concorrente,
singolo o consorziato o raggruppato ai sensi
dell'articolo 34" (al riguardo, cfr.
Consiglio Stato, Sez. VI, 20.12.2004, n.
8145; TAR Friuli Venezia Giulia Trieste,
12.04.2005, n. 230). A sua volta l’art. 91
del Codice dei contratti pubblici, nel
dettare disposizioni specifiche per
l’affidamento degli incarichi di
progettazione, di direzione dei lavori, di
coordinamento della sicurezza e di collaudo,
sopra e sotto la soglia di € 100.000,00,
richiama le disposizioni contenute nella
parte seconda dello stesso Codice, tra le
quali è ricompreso anche l’art. 34.
Non si può pertanto dubitare che l’istituto
dell’avvalimento costituisca uno strumento
generale utilizzabile anche dai
Raggruppamenti Temporanei di Professionisti
(società di professionisti, società di
ingegneria o professionisti singoli), né
dell’ammissibilità dell’avvalimento c.d. "esterno",
che si realizza nel caso in cui il
Raggruppamento si avvalga di capacità di un
imprenditore terzo, oltre che di quello cd.
"interno", che si concretizza
nell’ipotesi in cui il Raggruppamento si
avvalga di capacità di imprese partecipanti
all’A.T.I. (cfr., in tal senso, con
specifico riferimento all’applicabilità ai
servizi di progettazione, Consiglio di
Stato, Sez. V, 12.11.2009, n. 7054)
(parere
di precontenzioso 07.04.2011 n. 61 -
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APPALTI SERVIZI: La
scelta della stazione appaltante di fare
ricorso ad un contratto di prestazione
professionale ai sensi dell’art. 2222 c.c.
per l’affidamento del servizio di controllo
qualitativo della refezione scolastica
anziché ad un appalto di servizi affidato
tramite procedura ad evidenza pubblica, in
carenza di elementi conoscitivi utili a
suffragare la presunta maggiore efficacia
dell’attività di cui trattasi resa
attraverso un contratto di collaborazione ad
un professionista, è potenzialmente elusiva
della normativa in materia di appalti
pubblici
(parere
di precontenzioso 07.04.2011 n. 60 -
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APPALTI: E’
conforme alla normativa di settore la
clausola del bando che richiede le
dichiarazioni di cui all’art. 38, comma 1,
lett. b) e c), del d.lgs. n. 163/2006 anche
da parte del procuratore speciale, in
presenza di procuratori speciali che
rivestono effettivamente un significativo
ruolo decisionale e gestionale, in quanto la
ratio legis delle citate disposizioni
è propriamente quella di escludere dalla
partecipazione alle procedure di gara le
società i cui soggetti che abbiano un
significativo ruolo decisionale e
gestionale, compresi gli institori e i
vicari, incorrano in qualcuna delle cause di
esclusione ivi indicate
(parere
di precontenzioso 07.04.2011 n. 59 -
link a www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI: Il
versamento del contributo all’Autorità
effettuato secondo modalità diverse da
quelle impartite dalla stessa Autorità non
costituisce una causa di esclusione ma
rappresenta una mera irregolarità formale
della procedura.
Un inadempimento meramente formale –quale il
pagamento del contributo attraverso modalità
diverse- non può essere considerato dalla
stazione appaltante nel bando di gara sic
et simpliciter causa di esclusione,
senza procedere ad un previo accertamento
dell’effettivo versamento a favore
dell’Autorità, in quanto l’esclusione dalla
gara rappresenta un atto dovuto ogni qual
volta si presenti un inadempimento di tipo
sostanziale, consistente nel mancato
pagamento delle contribuzioni dovute
all’Autorità, e non un inadempimento di tipo
formale
(parere
di precontenzioso 23.03.2011 n. 58 -
link a www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI: Il
versamento del contributo all’Autorità
effettuato secondo modalità diverse da
quelle impartite dalla stessa Autorità non
costituisce una causa di esclusione ma
rappresenta una mera irregolarità formale
della procedura.
Un inadempimento meramente formale –quale il
pagamento del contributo attraverso modalità
diverse- non può essere considerato dalla
stazione appaltante nel bando di gara sic
et simpliciter causa di esclusione,
senza procedere ad un previo accertamento
dell’effettivo versamento a favore
dell’Autorità, in quanto l’esclusione dalla
gara rappresenta un atto dovuto ogni qual
volta si presenti un inadempimento di tipo
sostanziale, consistente nel mancato
pagamento delle contribuzioni dovute
all’Autorità, e non un inadempimento di tipo
formale.
E’ pertanto conforme alla normativa di
settore l’operato della stazione appaltante
che non ha escluso l’operatore economico che
ha effettuato il pagamento del contributo a
favore dell’Autorità mediante versamento sul
conto corrente postale intestato a
quest’ultima, in conformità a quanto
previsto dalla lex specialis, ma in
modo difforme da quanto previsto dalla nuova
procedura deliberata dall’Autorità, ossia o
on-line, registrandosi sull’apposito sito
dell’Autorità, o presso le ricevitorie
Lottomatica.
---------------
I principi di ragionevolezza e
proporzionalità dell’azione amministrativa
impongono alla stazione appaltante di
distinguere, all’interno della lex
specialis, tra inadempimenti di tipo
sostanziale, comportanti l’esclusione del
concorrente, ed inadempimenti di tipo
formale, non aventi le stesse conseguenze
dei primi
(parere
di precontenzioso 23.03.2011 n. 57 -
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APPALTI: In
presenza di adempimenti di carattere formale
contrassegnati da un ragionevole tasso di
scusabilità dell’errore, anche per effetto
della possibile induzione in errore creata
dalle prescrizioni del bando di gara merita
di essere tutelato l’affidamento e la buona
fede dei partecipanti, salvaguardando
l’ammissibilità delle offerte, per
consentire al contempo la più ampia
partecipazione di concorrenti alla gara, in
difesa dell'interesse pubblico al confronto
concorrenziale più ampio possibile fra gli
aspiranti contraenti.
Non è conforme alla normativa di settore
l’esclusione dalla gara per mancata
allegazione della dichiarazione di cui
all’art. 90, comma 5, del d.P.R. n.
554/1999, richiesta dal bando a pena di
esclusione, dell’operatore economico che ha
utilizzato il modello appositamente
predisposto dalla stazione appaltante, nelle
forme della dichiarazione sostitutiva di
atto di notorietà ai sensi del D.P.R. n.
445/2000, all’interno del quale era
riportata una dichiarazione standard che
poteva ragionevolmente essere ritenuta dal
concorrente satisfattiva del contenuto della
dichiarazione “di presa d’atto” di
cui all’art. 90, comma 5, del n. 554/1999,
richiesta dal bando di gara, rinvenendosi
nella medesima quanto di interesse al
riguardo per l’Amministrazione, ossia la
consapevolezza dell’aspirante contraente,
per un verso, della precisa articolazione
dei lavori da svolgere –risultante da tutti
gli atti tecnici e amministrativi– e delle
condizioni contrattuali, per altro verso, di
dover ritenere gli stessi eseguibili con
l’importo dell’offerta presentato.
---------------
E’ conforme alla normativa di settore, in
una gara di appalto “a corpo” da
aggiudicare secondo il criterio dell’offerta
economicamente più vantaggiosa in cui sono
consentite “variazioni progettuali”,
ai sensi dell’art. 76 del d.lgs. n. 163/2006
e nei limiti stabiliti dal capitolato,
nell’ambito delle quali il concorrente “può
integrare o ridurre le quantità che ritiene
carenti o eccessive ed inserire le voci e le
relative quantità ritenute mancanti o
insufficienti”, l’applicazione analogica
dell’art. 90, comma 5, del d.P.R. n.
554/1999, che richiede, a pena di
inammissibilità, una dichiarazione di presa
d’atto che l’indicazione delle voci e delle
quantità non ha effetto sull’importo
complessivo dell’offerta, stante l’esistenza
di oggettivi elementi che consentono di
ritenere sussistente, nella specie, l’eadem
ratio di conferma dell’invariabilità
dell’importo complessivo offerto “a corpo”,
conseguente alla facoltà di “intervento”
consentita al concorrente su “voci” e
“quantità”.
Anche in tale particolare fattispecie
risulta pertanto giustificata l’acquisizione
di una esplicita dichiarazione formale in
tal senso, in analogia a quanto previsto
dall’art. 90, comma 5, del d.P.R. n.
554/1999, ancorché tale disposizione
prescriva espressamente la presentazione di
tale dichiarazione esclusivamente con
riferimento ai casi di offerte “a prezzi
unitari”
(parere
di precontenzioso 23.03.2011 n. 56 -
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NEWS |
ENTI LOCALI: Comuni, no ai bilanci che snobbano
il Patto. Cndcec,
in arrivo il parere dell'organo di
revisione.
Parere non favorevole al bilancio dell'ente
locale, da parte dei revisori, nel caso in
cui le previsioni di bilancio annuali e
pluriennali: non siano atte a rispettare il
principio della coerenza esterna ed in
particolare gli obiettivi programmatici
disposti dalla legge per il patto di
stabilità interno; non tengano conto degli
effetti sanzionatori per il mancato rispetto
del patto di stabilità interno anno, in
particolare per le limitazioni imposte alle
spese.
È quanto specificato nella versione
aggiornata del parere dell'Organo di
Revisione sulla proposta di bilancio 2012
elaborata dal Consiglio nazionale dei
dottori commercialisti ed esperti contabili,
disponibile nei prossimi giorni (i lavori
della commissione sono stati coordinati da
Giosuè Boldrini).
Le principali novità del
nuovo parere (che sostituisce integralmente
quello pubblicato lo scorso 23 dicembre),
riguardano, nella sezione dedicata ai
controlli, l'introduzione dei paragrafi
relativi all'Imu ed al Tributo Comunale sui
Rifiuti nonché l'apporto di significative
modifiche nei paragrafi relativi al Patto di
Stabilità (inserendo anche il calcolo del
saldo obiettivo 2013 e 2014 per i Comuni da
1.000 a 5.000 abitanti), all'applicazione
dell'avanzo presunto, all'Addizionale
Comunale IRPEF, al Fondo Sperimentale di
Riequilibrio ed alle Spese di Personale.
Nella sezione dedicata alle Osservazioni ed
ai Suggerimenti le principali novità
riguardano l'introduzione di specifici
paragrafi che riguardano le delibere
regolamentari e tariffarie relative ad
entrate tributarie, le gare bandite dal
31/03/2012 dai Comuni inferiori a 5.000
abitanti, la «delibera quadro» sui servizi
pubblici, il «regime transitorio» degli
affidamenti non conformi, la riduzione del
numero dei componenti degli organi di
amministrazione, di vigilanza e di controllo
negli enti e negli organismi strumentali.
Va
ricordato che con decreto del Ministro
dell'Interno è stato prorogato al 31.03.2012 il termine per l'approvazione del
bilancio di previsione degli enti locali.
Dovrebbe consentire di risolvere le
difficoltà in ordine alla esatta
quantificazione del Fondo di Riequilibrio e
degli obiettivi del Patto di Stabilità per
effetto delle modifiche e delle novità
introdotte dalla decreto Monti, oltre a
consentire una più puntuale elaborazione
delle previsioni di gettito Imu. Il parere
richiama i nuovi Principi di Vigilanza e
Controllo approvati dallo stesso Cndcec lo
scorso 21 dicembre
(articolo ItaliaOggi del 07.01.2011 - tratto da www.ecostampa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI: Semplificazione.
La legge di stabilità 2012 taglia la
richiesta di certificati da parte degli
uffici.
Autocertificazione estesa nella Pa.
La «decertificazione» nei rapporti tra
privati e Pubblica amministrazione
introdotta dalla legge di stabilità 2012
(legge 183/2011), in base alla quale le Pa
centrali e locali e i gestori di servizi non
possono più richiedere al privato, né
accettare certificati, riguarda tutte le
tipologie di certificati, da qualsiasi ente
pubblico o gestore di servizi pubblici siano
emessi. I certificati rilasciati
dall'amministrazione potranno essere usati
solo nei rapporti fra privati (si veda «Il
Sole 24 Ore» di ieri). Questo significa che,
in ogni caso, le Amministrazioni devono
procurarsi le informazioni necessarie
direttamente dagli enti certificanti, o
accettare dai cittadini solo dichiarazioni
sostitutive di certificati o di atti di
notorietà.
Autocertificazione estesa.
È destinato a estendersi, dunque, il
perimetro dell'autocertificazione tracciato
dall'articolo 46 del Dpr 445/2000. Fra le
informazioni autocertificabili (si veda la
tabella a lato), figura ad esempio, per le
imprese, l'iscrizione in registri (come il
Registro imprese) e in Albi pubblici, nonché
il fatto di non trovarsi in stato di
liquidazione o di fallimento e di non aver
presentato domanda di concordato.
La portata generale della nuova disposizione
interessa, per esempio, i soggetti che
intendano intraprendere un'attività
imprenditoriale, con o senza dipendenti. In
questa seconda ipotesi, la semplificazione
riguarda la documentazione da allegare alla
comunicazione unica per l'avvio
dell'attività di impresa, che l'interessato
(articolo 9 del Dl 7/2007) dovrà presentare
all'ufficio del Registro imprese. La
riduzione dei documenti da presentare
diventa poi rilevante quando l'attività
d'impresa deve essere iniziata tramite la
Scia (Segnalazione certificata di inizio
attività).
Per quanto riguarda i datori di lavoro, la
semplificazione è sempre applicata in
occasione del riconoscimento di particolari
benefici per l'assunzione di lavoratori che
hanno uno status occupazionale di disagio,
in base all'età, alla durata della
disoccupazione, alle condizioni fisiche, e
così via.
Per le lavoratrici madri, decade l'obbligo
di produrre il certificato di nascita del
figlio, da presentare all'Inps entro 15
giorni dall'evento (articolo 21 del Testo
unico 151/2001). Per la presentazione dello
stesso certificato al datore di lavoro,
l'Inps aveva già stabilito (messaggio
14488/1999) che potesse essere sostituito
con una dichiarazione di responsabilità.
Autocertificazione esclusa.
Restano, però, dei casi in cui
l'autocertificazione è esplicitamente
esclusa, che sono regolati dall'articolo 49
del Dpr 445/2000. È il caso, ad esempio, del
certificato di origine di una merce,
rilasciato dalla Camera di commercio e
generalmente destinato all'export. Non può
essere il produttore, infatti, ad
autocertificare l'origine della propria
merce. Rientrano in questa categoria anche i
certificati medici, sanitari, veterinari, di
conformità Ce, di marchi e brevetti
(articolo Il Sole 24
Ore del 07.01.2011 - tratto da www.ecostampa.it). |
VARI: UE
E TRASPORTI/1 - Nuovi requisiti di
sicurezza. I catarifrangenti su tutte le
biciclette.
Sono stati fissati dalla
Commissione europea i requisiti di sicurezza
delle biciclette.
È stata infatti pubblicata sulla Gazzetta
Ufficiale dell'Unione Europea L319 del
02.12.2011 la
decisione della Commissione n.
2011/786/Ue del 29.11.2011, che entra in
vigore il 22.12.2011.
La decisione, adottata conformemente alle
norme e alle procedure previste dalla
direttiva n. 2001/95/Ce del Parlamento
europeo e del Consiglio del 03.12.2001
sulla sicurezza generale dei prodotti,
definisce i requisiti specifici di sicurezza
per le biciclette. Spetterà ora agli
organismi europei di normalizzazione
elaborare in dettaglio le norme tecniche
conformemente a quanto specificato dalla
Commissione europea.
Rientrano nel campo di applicazione della
decisione n. 2011/786/Ue le biciclette per
bambini (con un'altezza massima della sella
superiore a 435 mm e inferiore a 635 mm,
destinata a persone di un peso massimo di 30
kg), le biciclette da città e da trekking,
le mountain bikes, le biciclette da corsa e
i portapacchi fissati sulla ruota anteriore
o su quella posteriore per trasportare
bagagli o bambini seduti su un apposito
seggiolino. Fra i requisiti generali, la
decisione prevede che, per garantire
un'adeguata visibilità del mezzo e del suo
guidatore, tutte le biciclette devono essere
munite di dispositivi di illuminazione e
catarifrangenti davanti, dietro e ai lati,
secondo le disposizioni in vigore nel paese
in cui il prodotto è commercializzato.
Il fabbricante deve indicare la capacità
massima di carico ammissibile e specificare
se è possibile fissare alla bicicletta il
portapacchi o il seggiolino per bambini.
Devono essere presenti almeno due sistemi di
frenatura indipendenti, che agiscono sulla
ruota anteriore e su quella posteriore. Sul
telaio deve essere indicato in modo visibile
e permanente il numero di serie e i
riferimenti di chi ha effettuato il
montaggio. Particolare attenzione viene
riservata alle biciclette per i bambini,
considerato che, secondo la banca dati
europea sulle lesioni, per il 37% i danni
fisici connessi all'utilizzo del velocipede
riguardano bambini di età compresa fra 5 e 9
anni.
Le biciclette per bambini, che non siano
considerate giocattoli ai sensi della
direttiva n. 2009/48/Ce, devono essere
progettate in modo che non siano montati
cinturini o staffe per pedali e dispositivi
di sganciamento rapido, sia limitata la
forza dei freni anteriori e non ci siano
pericoli di intrappolamento.
La decisione n. 2011/786/Ue definisce anche
i requisiti di sicurezza dei portapacchi per
biciclette, dove possono essere trasportati
bagagli o bambini sull'apposito seggiolino.
In dettaglio, il portapacchi non deve
ostacolare la visibilità del mezzo in
condizioni di oscurità o scarsa visibilità.
Le sporgenze e gli angoli taglienti non
devono comportare rischi di lesione. Insieme
al prodotto devono essere fornite ai
consumatori le necessarie informazioni
sull'utilizzo e sull'eventuale montaggio,
con le avvertenze sull'utilizzo in
condizioni di sicurezza
(articolo ItaliaOggi del 06.01.2011). |
PUBBLICO IMPIEGO: Uno
stop all'equo indennizzo. Addio a pensioni
privilegiate e rimborsi per cause di
servizio. Ecco le novità in materia di
personale contenute nella manovra Monti
(legge 214 del 2011).
Abrogazione dell'equo
indennizzo, del rimborso delle spese di
degenza e delle pensioni privilegiate in
caso di cause di servizio; innalzamento al
50% del tetto massimo del rapporto tra spesa
per il personale e spesa corrente ed
utilizzazione nel corso del 2012 delle
graduatorie approvate dopo il dicembre del
2005: sono queste le principali novità in
materia di personale dipendente dalle P.a.
contenute nel decreto legge n. 201, per come
convertito dalla legge n. 214/2011, cd salva
Italia, e nel decreto n. 216/2011, cd
milleproroghe.
Le novità contenute in queste disposizioni
non sono certamente le parti più importanti
di questi provvedimenti, in quanto le misure
di maggiore rilievo innovativo per il
pubblico impiego erano state già assunte con
le precedenti manovre. Ma il loro rilievo è
comunque assai importante, in particolare
per l'apertura che consente alla possibilità
di utilizzare i ridotti margini di
assunzioni previsti dall'ordinamento.
Vengono abrogati i benefici previsti per i
dipendenti che hanno contratto patologie per
cause di servizio: l'accertamento della
dipendenza dell'infermità da causa di
servizio, il rimborso delle spese di degenza
per causa di servizio, l'equo indennizzo e
la pensione privilegiata. Ricordiamo che
l'equo indennizzo si concretizza nella
erogazione di un compenso una tantum e la
pensione privilegiata è il collocamento in
quiescenza di coloro che hanno acquisito una
grave inabilità, a prescindere dalla
anzianità effettivamente maturata. Questi
benefici erano tra loro sommabili, previo
accertamento medico. L'abrogazione si
applica a tutti i dipendenti, tranne che a
quelli impegnati in uno dei seguenti
comparti: sicurezza, difesa e soccorso
pubblico, nonché ai vigili del fuoco.
L'abrogazione non interessa i procedimenti
che sono in corso, nonché quelli per cui non
sia scaduto il termine di presentazione
delle domande e quelli instaurabili
d'ufficio per fatti accaduti precedentemente
alla data di entrata in vigore del decreto
stesso. Il decreto legge cd salva Italia
aumenta al 50% il tetto massimo del rapporto
tra spese del personale e spese correnti che
consente agli enti locali di effettuare
assunzioni di personale a qualsiasi titolo.
Ricordiamo che tale tetto era stato fissato,
a decorrere dallo scorso 01.01.2011, nel
40%. In questo modo si torna ad offrire a
numerose amministrazioni locali, siano esse
soggette o meno al patto di stabilità, la
possibilità di effettuare assunzioni di
personale a tempo indeterminato e
determinato.
Infatti la sanzione per gli enti
inadempienti di questo vincolo, come del
rispetto del patto di stabilità e del
rispetto del tetto di spesa del personale
dell'anno precedente (per gli enti non
soggetti al patto del 2004) è il divieto di
effettuare assunzioni di dipendenti a
qualunque titolo, ivi comprese le mobilità,
nonché di utilizzare i contratti di
somministrazione.
Ricordiamo che con la lettura data dalle
sezioni riunite di controllo della Corte dei
Conti (deliberazione n. 27/2011) la nozione
di spesa del personale è stata fortemente
ampliata e con le previsioni contenute nel
dl n. 98/2011 è stato previsto l'inserimento
della spesa del personale delle società
controllate dagli enti locali. Il decreto
legge milleproroghe 2011 dispone la
utilizzazione nel corso del 2012 delle
graduatorie concorsuali approvate dopo il
31/12/2005.
Ricordiamo che, prima con il decreto
milleproroghe 2012 e poi con uno specifico
decreto del ministro per la Pubblica
Amministrazione e l'Innovazione, era stata
disposta nel 2011 la utilizzazione delle
graduatorie concorsuali approvate dopo il
mese di settembre del 2003. Ed ancora, che
in assenza di norme di proroga, la durata
delle graduatorie concorsuali è fissata in
un triennio
(articolo ItaliaOggi del 06.01.2011). |
PUBBLICO IMPIEGO: Il
2012 potrebbe essere un anno molto delicato
per il personale delle amministrazioni
pubbliche. Riqualificazione, futuro in
bilico. Dipendenti in esubero, blocco delle
risorse per la formazione.
La riqualificazione dei dipendenti pubblici
in esubero viene messa a rischio dal blocco
delle risorse da spendere per la formazione.
Il 2012 potrebbe essere un anno molto
delicato per il personale pubblico. Vi è,
infatti, una normativa che nel suo complesso
può preludere ad una forte redistribuzione e
reimpiego del personale.
In primo luogo, l'articolo 33 del dlgs
165/2001 impone alle amministrazioni
pubbliche di effettuare annualmente la
ricognizione di eventuali esuberi,
giustificati sia da esigenze funzionali, sia
da problemi di bilancio e finanziari. Poi,
le varie manovre finanziarie hanno imposto
un ulteriore taglio del 10 per cento della
spesa relativa alle dotazioni organiche
delle amministrazioni statali da effettuare
entro il 31 marzo. Infine, l'accorpamento
tra Inps e Inpdap ha già determinato la
previsione di circa 700 esuberi. La stima è
di oltre 15.000 dipendenti pubblici in
eccedenza rispetto ai fabbisogni.
Anche nella pubblica amministrazione,
dunque, si pone un potenziale problema di
rilevanti fuoriuscite di personale. Occorre
ricordare, infatti, che i dipendenti in
esubero se non sono ricollocati all'interno
degli enti che li considerano in eccedenza
in altre mansioni o non sono trasferiti
verso altri enti per mobilità, vengono
inseriti nelle liste di «disponibilità».
Il che equivale ad essere sulle soglie del
licenziamento: il dipendente in
disponibilità, infatti, non svolge più
attività lavorative per l'ente di
appartenenza e riceve per 24 mesi
un'indennità pari all'80% del trattamento
economico fondamentale oltre all'assegno di
famiglia. Decorsi i 24 mesi, il rapporto di
lavoro si chiude.
Proprio i tagli alla spesa per le dotazioni
organiche (che considerando il periodo
2008-2010 ammonta, ormai, a quasi il 30%)
renderanno piuttosto difficile il
trasferimento dei dipendenti per mobilità.
Gran parte delle amministrazioni statali,
infatti, potrebbe ritrovarsi in condizione
di esubero, sicché non potrebbero accogliere
personale proveniente da altri enti.
La mobilità intercompartimentale, cioè
trasferimenti tra enti diversi, per esempio
Stato ed enti locali, potrebbe essere resa
complicata sia dall'attuazione dell'articolo
33 del dlgs 165/2001, sia dalla manovra
intricatissima relativa alle province:
potenzialmente, ben 56.000 dipendenti
provinciali potrebbero essere coinvolti in
processi di esubero e trasferimenti.
Un'arma per contenere gli effetti anche
sociali enormi che esuberi così massicci di
personale potrebbero determinare, allora, è
la già ricordata possibilità di reimpiego
dei dipendenti in esubero in altre mansioni
e ruoli, sia all'interno degli enti da cui
dipendono, sia presso altri enti.
A questo scopo, allora, risulta fondamentale
investire in formazione e aggiornamento:
solo in questo modo si può garantire ai
lavoratori la possibilità di acquisire
competenze nuove e diverse, utili per una
ricollocazione lavorativa.
Tuttavia, l'articolo 6, comma 13, del dl
78/2010, convertito in legge 122/2010,
continua ad inchiodare la spesa per
formazione sostenibile dalle amministrazioni
entro il tetto del 50% di quella sostenuta
nel 2009.
Risulta evidente che col nuovo assetto
normativo il tetto alla formazione, già di
per sé poco strategico ed asfittico, visto
che il recupero di efficienza del pubblico
impiego non potrebbe che passare per
attività formative di qualità, non è
coerente. Potenziali esuberi per decine di
migliaia di dipendenti vanno necessariamente
gestiti anche tramite la formazione, la cui
spesa dovrebbe aumentare, piuttosto che
restare ancorata ad un tetto.
In assenza di un'urgente cancellazione del
vincolo alla spesa, l'attuazione delle
misure di contenimento della spesa di
personale e l'avvio degli esuberi potrebbe
determinare una Caporetto organizzativa ed
occupazionale, della quale proprio non si
sentirebbe il bisogno
(articolo ItaliaOggi del 06.01.2011). |
CONSIGLIERI COMUNALI: OSSERVATORIO
VIMINALE/ Accesso per il candidato.
L'aspirante sindaco può visionare l'esposto.
La trasparenza prevale se in ballo ci sono
interessi giuridici del richiedente.
Come si configura
l'esercizio del diritto di accesso nel caso
di un candidato a sindaco, poi eletto,
interessato ad acquisire copie di un esposto
volto a segnalare una causa ostativa
all'assunzione della candidatura?
Nell'impianto normativo di cui agli artt. 22
e segg. della legge n. 241/1990 e successive
modifiche, il diritto di accesso ai
documenti amministrativi si configura come
diritto alla conoscenza di fatti incidenti
nella sfera giuridica del richiedente per la
tutela di situazioni giuridicamente
rilevanti.
Tale diritto è naturalmente subordinato alla
prova della corretta correlazione tra le
posizioni dell'istante e l'oggetto della
richiesta rivolta alla pubblica
amministrazione. L'istanza deve, dunque,
essere motivata in relazione ad un interesse
giuridicamente rilevante, nonché concreto ed
effettivo, cioè immediatamente riferibile al
soggetto che pretende di conoscere i
documenti e specificatamente inerente alla
situazione da tutelare (art. 22, l.
241/1990; art. 2, comma 1, dpr 12.04.2006, n.
184). Ancora, l'interesse del richiedente
deve essere serio e non emulativo, né
riconducibile a mere curiosità (cfr. Tar
Campania, sez. V, sent. n. 131 del 07.01.2002)
e deve essere attuale (cfr. Tar Campania,
sez. I, sent. n. 121 del 12.02.2003).
Per «documento amministrativo» si intende
ogni rappresentazione grafica, fotocinematografica, elettromagnetica o di
qualunque altra specie del contenuto di
atti, anche interni o non relativi ad uno
specifico procedimento, detenuti da una
pubblica amministrazione e concernenti
attività di pubblico interesse,
indipendentemente dalla natura pubblicistica
o privatistica della loro disciplina
sostanziale. A norma dell'art. 22, comma 3,
della legge n. 241/1990, come riformulato
dall'art. 15 della legge n. 15/2005, tutti i
documenti amministrativi sono accessibili ad
eccezione di quelli previsti dall'art. 24,
commi 1, 2, 3, 5 e 6 della legge 07.08.1990,
n. 241 (c. d. fattispecie di esclusione
dell'accesso), tra i quali è contemplata
l'esclusione per le richieste di accesso
agli atti preordinati ad un controllo
generalizzato dell'operato delle pubbliche
amministrazioni (cfr. Cds, sez. V, sent. n.
421 dell'01.02.2010) e per le istanze che,
ove soddisfatte, possano pregiudicare il
diritto alla riservatezza di persone
fisiche, persone giuridiche, gruppi, imprese
e associazioni.
Deve, comunque, essere garantito ai
richiedenti l'accesso ai documenti
amministrativi la cui conoscenza sia
necessaria per curare o per difendere i
propri interessi giuridici (art. 24, comma
7). Il principio della trasparenza
amministrativa accolto dall'ordinamento non
è affatto assoluto e incondizionato, ma
subisce alcuni temperamenti e limitazioni in
relazione ai soggetti attivi del diritto di
accesso, al tipo di documenti richiesti o
alla posizione del richiedente. La posizione
legittimante l'accesso è costituita da una
situazione giuridicamente rilevante e dal
collegamento qualificato tra questa
posizione sostanziale e la documentazione di
cui si pretende la conoscenza, come nel caso
di specie l'esercizio delle funzioni
sindacali.
L'accoglimento della richiesta di accesso a
un documento comporta anche la facoltà di
accesso agli altri documenti nello stesso
richiamati e appartenenti al medesimo
procedimento, fatte salve le eccezioni di
legge o di regolamento (art. 7, comma 2, del
dpr 12.04.2006, n. 184).
In merito, sia la giurisprudenza sia la
commissione per l'accesso ai documenti
amministrativi, hanno ritenuto che nel
bilanciamento di interessi che connota la
disciplina del diritto di accesso,
quest'ultimo prevale sull'esigenza di
riservatezza del terzo ogniqualvolta
l'accesso venga in rilievo per la cura o la
difesa di interessi giuridici del
richiedente.
Pertanto, sussiste il diritto del
richiedente di ottenere l'accesso al
documento richiesto unitamente ai relativi
allegati
(articolo ItaliaOggi del 06.01.2011 - tratto da www.ecostampa.it). |
CONSIGLIERI COMUNALI: OSSERVATORIO
VIMINALE/ Rimborso spese.
Possono essere rimborsate le spese di
giudizio richieste all'attuale
amministrazione dall'ex sindaco, per un
giudizio instaurato dal suo predecessore?
Non è dato rinvenire nell'ordinamento
vigente norme che prevedono la possibilità
di rimborsare agli amministratori locali le
spese legali sostenute per giudizi
instaurati in relazione a fatti
asseritamente posti in essere nell'esercizio
delle proprie funzioni. Benché in passato
parte della giurisprudenza abbia ritenuto di
poter estendere in via analogica agli
amministratori locali la normativa che
consente, a determinate condizioni, tale
rimborso per i dipendenti degli enti locali,
secondo orientamenti ermeneutici più recenti
la possibilità di tale ricorso all'analogia
nella materia in questione è stata
decisamente negata.
In base a tali
orientamenti è stato, infatti, ritenuto non
pertinente il richiamo all'analogia, che
risulta correttamente evocabile quando
emerga un vuoto normativo nell'ordinamento,
vuoto che nella specie non è configurabile,
atteso che il legislatore si è limitato a
dettare una diversa disciplina per due
situazioni non identiche fra loro, e la
detta diversità non appare priva di
razionalità, atteso che gli amministratori
pubblici non sono dipendenti dell'ente ma
sono eletti dai cittadini, ai quali
rispondono (e quindi non all'ente) del loro
operato (cfr. sent. Cassazione civile,
sezione I, n. 12645 del 25.05.2010)
(articolo ItaliaOggi del 06.01.2011 - tratto da www.ecostampa.it). |
CONSIGLIERI COMUNALI: OSSERVATORIO
VIMINALE/ Incompatibilità del consigliere.
Sussiste un'ipotesi di incompatibilità nel
caso di un consigliere comunale che, in
qualità di ingegnere, ha ricevuto incarichi
tecnici dallo stesso comune per la
progettazione e direzione di lavori di
ammodernamento del campo sportivo comunale e
per il consolidamento del dissesto
idrogeologico di competenza dello stesso
ente?
La Corte di cassazione, sez. I, con sentenza
n. 550 del 16.01.2004, ha affermato che
«l'art. 63 del dlgs. n. 267/2000, comma 1,
n. 2, nello stabilire la causa di
«incompatibilità di interessi» (non può
ricoprire la carica di consigliere comunale) colui che, come titolare, ha parte,
direttamente o indirettamente, in servizi,
nell'interesse del comune) ivi prevista e
rivelante nella fattispecie, pone, ai fini
della sua sussistenza, una duplice,
concorrente condizione: la prima, di natura
soggettiva; la seconda, di natura oggettiva.
È necessario, innanzitutto (condizione
soggettiva), che il soggetto, in ipotesi
incompatibile all'esercizio della carica
elettiva, rivesta la qualità di «titolare»
(ad es., di impresa individuale ), o di
amministratore (ad es., di società di
persone o di capitali) ovvero di «dipendente
con poteri di rappresentanza o di
coordinamento».
In secondo luogo, il legislatore prevede -come condizione «oggettiva», che deve
necessariamente concorrere con quella
«soggettiva» per la sussistenza della causa
di «incompatibilità di interessi»- che il
soggetto, rivestito di una delle predette
qualità, intanto è incompatibile, in quanto
«ha parte in servizi, nell'interesse del
comune».
Appare chiaro che la locuzione
«aver parte» allude alla contrapposizione
tra interesse «particolare» del soggetto, in
ipotesi incompatibile, ed interesse del
comune, istituzionalmente «generale», in
relazione alle funzioni attribuitegli (cfr.,
ad es., art. 13 del dlgs n. 267/2000), e,
quindi allude alla situazione di potenziale
conflitto di interesse, in cui trova tale
soggetto rispetto all'esercizio imparziale
della carica elettiva. In altri termini e ad
esempio, se un professionista ha parte, nel
senso ora indicato, in cui servizio, al
quale l'ente locale è interessato, lo stesso
non è idoneo, secondo la previsione tipica
del legislatore, ad adempiere imparzialmente
i doveri connessi all'esercizio della carica
elettiva.
Ha ritenuto, in particolare, la Suprema
corte, che il professionista cui sia
conferito, dal comune presso il quale svolge
il proprio mandato di consigliere,
l'incarico di progettista di opere
pubbliche, viene a trovarsi in una specifica
situazione di incompatibilità di interessi
risultante dalla contestuale e
contraddittoria coincidenza, in quanto
eletto alla carica di consigliere comunale,
delle posizioni di «controllato» ( quale
professionista, poiché i progetti redatti
sono assoggettati all'adozione e
all'approvazione del consiglio comunale) e
«controllore» (quale consigliere comunale
chiamato a concorrere alla deliberazione di
adozione ed approvazione dei progetti dal
medesimo elaborati).
L'ipotesi prospettata, pertanto, configura
la causa di incompatibilità prevista dal
citato articolo 63, comma 1, n. 2), del
decreto legislativo n. 267/2000
(articolo ItaliaOggi del 06.01.2011 - tratto da www.ecostampa.it). |
CONSIGLIERI COMUNALI: OSSERVATORIO
VIMINALE/ Permessi.
Quali permessi spettano al presidente del
consiglio comunale, che voglia partecipare
anche alle sedute delle commissioni
consiliari di cui non è componente?
Se il legislatore regionale disciplina la
fattispecie adottando l'espressione “facente
parte” (delle commissioni consiliari),
sembra esclusa, nel caso di specie, la
possibilità di fruire di tali permessi.
Tuttavia, per la partecipazione alle
riunioni delle commissioni in questione, il
presidente del consiglio comunale potrà
avvalersi degli eventuali permessi non
retribuiti, ove previsti dalla norma
regionale
(articolo ItaliaOggi del 06.01.2011 - tratto da www.ecostampa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI: Semplificazione.
È entrata in vigore il 1° gennaio la «decertificazione»
che è stata prevista dalla legge di
stabilità 2012.
La Pa non chiede più certificati.
Gli uffici possono acquisire i dati o
accettare un'autocertificazione dell'utente.
IL PROBLEMA/
La dichiarazione sostitutiva di numerose
informazioni può esporre al rischio di
commettere errori.
Con l'inizio del nuovo anno, si chiude
un'epoca nei rapporti tra cittadini e
pubbliche amministrazioni. Ha trovato
attuazione, infatti, la norma per cui le
pubbliche amministrazioni non possono
chiedere ai privati informazioni già in loro
possesso. Così, i privati (cittadini,
imprese, professionisti) non faranno più la
spola da un ente pubblico all'altro
(compresi i gestori di servizi pubblici) per
consegnare i certificati che attestano
situazioni e qualità che li riguardano.
Le nuove disposizioni sui certificati e
sulle dichiarazioni sostitutive sono
previste dalla legge 183/2011 (legge di
stabilità 2012), all'articolo 15. In
particolare, si dispone che:
- i certificati rilasciati dalle Pubbliche
amministrazioni riguardanti stati e qualità
di un privato (residenza, iscrizione in un
Albo, situazione penale, elencati
nell'articolo 46 del Dpr 445/2000) sono
validi e utilizzabili dal privato soltanto
nei rapporti con un altro privato. Sui
certificati sarà posta una dicitura che
precisa questo vincolo («Il presente
certificato non può essere prodotto agli
organi della pubblica amministrazione o ai
privati gestori di pubblici servizi»). Il
certificato senza questa dicitura è
considerato inesistente.
- le Pubbliche amministrazioni e i gestori
di servizi non possono quindi né richiedere
al privato, né accettare certificati
- le Pubbliche amministrazioni e i gestori
hanno due possibilità per conoscere stati e
qualità del privato: ottenere i dati
direttamente dagli enti che li possiedono,
oppure richiedere al privato interessato di
compilare una dichiarazione che riporti i
dati richiesti (autocertificazione).
Queste due modalità, però, non comportano
analoghe conseguenze per il privato.
Compilare una dichiarazione sostitutiva di
certificazione è un'operazione rischiosa
quando i dati da riportare sono di
comprensione non immediata, complessi o
numerosi. Questo è il caso, per esempio,
delle aziende che devono autocertificare i
dati riportati negli attuali certificati o
visure del Registro imprese: i dati sono
numerosi, e in certi casi (come l'attività
economica svolta e le eventuali condanne
subite) non sempre memorizzati
dall'imprenditore.
Il rischio di errore, anche in buona fede, è
altissimo e le conseguenze penali e
amministrative sono molto pesanti.
Se si vuole instaurare un corretto rapporto
con i cittadini, l'unica modalità
utilizzabile da una Pubblica amministrazione
è l'acquisizione d'ufficio delle notizie
detenute dagli enti che hanno il potere di
certificare.
Lo strumento della dichiarazione sostitutiva
dovrebbe essere usato solo quando riguarda
atti di notorietà, cioè atti con i quali si
dichiarano fatti che non sono certificati da
nessun ente pubblico (articolo 47 del Dpr
445/2000) e non quando la dichiarazione
riguarda notizie certificabili dalle Pa.
Così operando, si ottengono due risultati: i
funzionari pubblici sono quasi del tutto
liberati dal lavoro di controllo
dell'autocertificazione. Inoltre,
l'obiettivo della certezza pubblica è
raggiunto perché i privati evitano il
rischio di una dichiarazione infedele.
A sostegno dell'esigenza di un leale ed
efficiente rapporto con il cittadino, che
può essere garantito solo quando la Pa che
deve gestire la pratica richiede alle altre
amministrazioni i dati in loro possesso, si
deve richiamare il comma 3 dell'articolo 18
della legge 241/1990, che è la legge
fondamentale dell'azione amministrativa.
Questo comma prevede come unica modalità
operativa la richiesta d'ufficio dei
certificati e non l'autocertificazione: c'è
quindi una incongruenza con il comma 1
dell'articolo 43 del Dpr 445/2000.
Un altro chiarimento si impone sulla durata
della validità dei vari tipi di certificati,
considerato che sono rilasciati
esclusivamente per essere usati nelle
relazioni tra privati.
L'articolo 41, comma 1, del Dpr 445/2000
stabilisce che hanno validità illimitata i
certificati che attestano stati e qualità
non soggetti per loro natura a modifiche (si
possono citare quelli di nascita e i titoli
di studio). Gli altri certificati, che
contengono notizie variabili nel tempo,
valgono per sei mesi dalla data del
rilascio, salvo che le norme non prevedano
un durata più lunga (si possono citare
quelli dell'Albo artigiani, del registro
imprese, di residenza).
Ovviamente, però, il cittadino non è in
grado di conoscere la durata dei vari
certificati se la Pa che li emette non
aggiunge una dicitura che la indica. È
necessario, dunque, risolvere ancora alcuni
dubbi per la completa «decertificazione» nei
rapporti tra privati e pubblica
amministrazione, che deve anche tradursi in
minori oneri per le strutture pubbliche.
---------------
Le nuove regole
01 | LA DECERTIFICAZIONE
La legge 183/2011 prevede che, dal 01.01.2012, i certificati rilasciati dalle
pubbliche amministrazioni riguardanti stati
e qualità di un privato (come residenza,
iscrizione in un Albo, situazione penale)
sono validi e utilizzabili dal privato solo
nei rapporti con un altro privato. Le Pa e i
gestori di servizi non possono quindi né
richiedere al privato, né accettare
certificati.
02 | LE ALTERNATIVE
Le pubbliche amministrazioni e i gestori
hanno due possibilità per conoscere stati e
qualità del cittadino: ottenere i dati
direttamente dagli enti che li possiedono, o
chiedere al privato interessato di compilare
una dichiarazione che riporti i dati
richiesti (autocertificazione).
03 | LA VIA PREFERIBILE
Fare un'autocertificazione può esporre al
rischio di una dichiarazione infedele quando
i dati da riportare sono complessi o
numerosi. Inoltre, i funzionari pubblici
devono effettuare un controllo sulle
autocertificazioni. Sarebbe dunque
preferibile l'acquisizione d'ufficio delle
notizie dagli enti certificatori.
Il
cittadino dovrebbe usare la dichiarazione
sostitutiva solo quando riguarda atti di
notorietà (con cui si dichiarano fatti che
non sono certificati da nessun ente
pubblico)
(articolo Il Sole 24
Ore del 06.01.2011 - tratto da www.ecostampa.it). |
APPALTI - EDILIZIA PRIVATA: Certificati, il pasticcio del
Durc.
Informazioni da acquisire d'ufficio. Ma ad
oggi è impossibile. Le procedure gestite da
Inps, Inail e Cassa edile consentono solo la
richiesta online del documento.
L'01.01.2012 è partito il sistema
della «decertificazione», ma rimane il nodo
irrisolto del Durc. Come largamente
prevedibile, l'entrata in vigore delle
previsioni contenute nell'articolo 15, comma
1, della legge 183/2011, il cui scopo è la
semplificazione mediante l'eliminazione dei
certificati, creerà all'inizio più problemi
di quanti ne vorrebbe risolvere.
Le disposizioni della norma sono chiare: i
certificati potranno essere emessi solo in
favore di privati.
Le pubbliche amministrazioni né potranno
chiederli né potranno utilizzarli ai fini
delle proprie attività. Per loro sarà
ammissibile solo verificare la veridicità
delle dichiarazioni sostitutive ricevute dai
privati, mediante l'acquisizione d'ufficio
dei documenti conservati nelle banche dati
delle amministrazioni certificanti, le quali
dovranno rispondere alle richieste di
verifica entro 30 giorni, oppure consentire
l'accesso diretto alle proprie banche dati.
Il caso del documento unico di regolarità
contributiva, tuttavia, appare del tutto
peculiare. Le previsioni della legge
183/2011 non semplificano nulla, anzi appare
vero il contrario. In primo luogo,
l'aggiunta dell'articolo 44-bis al dpr
445/2000, ai sensi del quale «le
informazioni relative alla regolarità
contributiva sono acquisite d'ufficio,
ovvero controllate ai sensi dell'articolo
71, dalle pubbliche amministrazioni
procedenti, nel rispetto della specifica
normativa di settore» non ha alcuna concreta
utilità, visto che la medesima disposizione
è stata già fissata ben due volte in
precedenza dall'articolo 16-bis, comma 10,
del dl 185/2008, convertito in legge 2/2009
e dall'articolo 6, comma 3, del dpr
207/2010.
Soprattutto il Durc è un vero e proprio
certificato, come del resto indicato dalla
disciplina normativa che lo regola. Infatti,
ai sensi dell'articolo 6, comma 1, del dpr
207/2010 «per documento unico di regolarità
contributiva si intende il certificato che
attesta contestualmente la regolarità di un
operatore economico per quanto concerne gli
adempimenti Inps, Inail, nonché cassa edile
per i lavori, verificati sulla base della
rispettiva normativa di riferimento».
Trattandosi, allora, di un certificato vero
e proprio, le pubbliche amministrazioni non
potrebbero più richiedere né utilizzare il
Durc, né le amministrazioni competenti
emetterlo. Questo creerebbe non pochi
problemi operativi, visto che il Durc è un
certificato fondamentale per tutte le fasi
delle procedure di appalto.
Un primo sistema per evitare il
cortocircuito innescato dalla frettolosa
formulazione dell'articolo 15 della legge
183/2011 potrebbe consistere nell'applicare
anche al Durc il nuovo sistema di verifiche
imposto dalla riforma. Le pubbliche
amministrazioni titolari della competenza di
un iter per il quale sia necessario
acquisire informazioni un tempo inserite in
certificati non dovranno chiedere alle altre
amministrazioni che possiedano dette
informazioni nelle proprie banche dati
l'emanazione del certificato; potranno solo
chiedere la verifica della veridicità delle
autocertificazioni ricevute dai privati. Le
amministrazioni certificanti potranno
rispondere confermando la rispondenza al
vero delle autocertificazioni o spiegando le
ragioni del mendacio rilevato, senza
emettere certificati e, così, rispettare le
previsioni normative.
Ma, a oggi, questo per il Durc è
impossibile: le procedure telematiche
gestite da Inps, Inail e Cassa edile
consentono solo di effettuare la richiesta
on-line finalizzata all'emanazione di ciò
che la legge vieta: il certificato relativo
alla posizione contributiva.
Una seconda via potrebbe consistere
nell'accesso diretto delle amministrazioni
alle banche dati di Inps, Inail e Cassa
edile. Del resto, l'articolo 72, comma 1,
novellato del dpr 445/2000 prevede
espressamente che le amministrazioni
certificanti predispongano «convenzioni
quadro» per garantire l'accesso diretto alle
altre amministrazioni. Ma questa ipotesi,
alla data del 28 dicembre, non è nemmeno
stata lontanamente presa in considerazione
dal portale del Durc, la cui pagina di
informazioni è ferma alla data del
10.03.2011
(articolo ItaliaOggi del 04.01.2011 - tratto da www.ecostampa.it). |
PUBBLICO IMPIEGO - VARI: Ma
le attestazioni dei medici sono fuori dalla
semplificazione.
I certificati medici non rientrano
nell'ambito delle semplificazioni anti
burocrazia contenute nell'articolo 15 della
legge 183/2010.
Tale disposizione ha
modificato, come noto, l'articolo 40 del dpr
445/2001, inserendo un nuovo comma 01, ai
sensi del quale «le certificazioni
rilasciate dalla pubblica amministrazione in
ordine a stati, qualità personali e fatti
sono valide e utilizzabili solo nei rapporti
tra privati.
Nei rapporti con gli organi della pubblica
amministrazione e i gestori di pubblici
servizi i certificati e gli atti di
notorietà sono sempre sostituiti dalle
dichiarazioni di cui agli articoli 46 e 47».
Il successivo comma 02 impone che sulle
certificazioni da produrre ai soggetti
privati è apposta, a pena di nullità, la
dicitura: «Il presente certificato non può
essere prodotto agli organi della pubblica
amministrazione o ai privati gestori di
pubblici servizi».
Queste disposizioni hanno lo scopo di
indurre le pubbliche amministrazioni a
utilizzare pienamente l'accesso diretto alle
proprie banche dati, sollevando i privati
dall'onere di reperire o produrre e, poi,
trasmettere i certificati relativi a
informazioni che le amministrazioni stesse
già possiedono o sono in condizione di
acquisire dialogando tra loro.
Risulta, dunque, palpabile l'inapplicabilità
alla fattispecie dei certificati medici.
Ancorché detti certificati possano
considerarsi provenienti da una pubblica
amministrazione, alcuni elementi indicano
senza ombra di dubbio che i certificati
medici sono totalmente fuori dalla nuova
regolamentazione.
In primo luogo, la semplificazione prevista
dalla legge di stabilità è connessa all'autocertificabilità
di stati, fatti o qualità comprovabili
mediante i certificati. In altre parole, ai
cittadini è consentito di chiedere e
ottenere benefici sulla semplice base di
loro dichiarazioni sostitutive, che
sostituiscono in via definitiva ogni
certificato. Ma, ai sensi dell'articolo 49,
comma 1, del dpr 445/2001 «i certificati
medici, sanitari, veterinari, di origine, di
conformità Ce, di marchi o brevetti non
possono essere sostituiti da altro
documento, salvo diverse disposizioni della
normativa di settore».
Mancando, dunque, la possibilità di
sostituire il certificato medico con
dichiarazioni, non può sorgere il
presupposto per attuare la semplificazione
disposta dall'articolo 15 della legge
183/2011. Del resto, l'amministrazione
datore di lavoro non avrebbe nessuna
possibilità di verificare lo stato di salute
del proprio dipendente accedendo a banche
dati di altre amministrazioni.
Se la questione relativa ai certificati
medici appare abbastanza chiara, vi sono
però molte zone che l'articolo 15 lascia in
ombra. Per esempio, rientrano nella
categoria dei certificati i certificati di
destinazione urbanistica, fondamentali per
provvedimenti amministrativi che concernono
la gestione del territorio; si tratta di
certificati che spessissimo hanno come
destinatari pubbliche amministrazioni, per
loro natura impossibili da sostituire con
dichiarazioni dei privati. Piuttosto
difficile immaginare di sottrarre tali
certificati alla trasmissione tra pubbliche
amministrazioni.
C'è, per esempio, il problema degli
attestati di servizio dei dipendenti
pubblici che abbiano vinto un concorso
presso un'altra amministrazione.
Altro paradosso della normativa riguarda,
per esempio, i certificati di frequenza di
istituti scolastici o centri di formazione
professionale, richiesti dalle aziende dei
trasporti, per applicare le tariffe
agevolate agli studenti. Tutte queste
aziende rientrano nella categoria dei
«gestori di pubblici servizi», che al pari
delle pubbliche amministrazioni non possono
legittimamente utilizzare i certificati per
svolgere le proprie attività.
Dunque, gli studenti dovrebbero presentare
ai gestori una dichiarazione sostitutiva
nella quale attestare di frequentare una
certa scuola e dovrebbero essere, poi, le
aziende di trasporto a chiedere ai singoli
istituti conferma della veridicità della
dichiarazione o, cosa del tutto improbabile,
accedere direttamente alle loro banche dati.
Ovviamente, se si vuole rispettare la
lettera di una norma che rivela da subito
una serie di difetti operativi piuttosto
gravi.
Infine, l'irrisolto problema del Durc, che
altro non è se non un certificato, da
produrre prevalentemente alle pubbliche
amministrazioni per le tante finalità cui è
destinato. Pare oggettivamente improponibile
sostenere che esso sia soggetto al divieto
di produzione a pubbliche amministrazioni a
pena di nullità.
L'articolo 15 della legge 183/2011 pare una
norma troppo poco ponderata, che
necessiterebbe di un urgente intervento
normativo posto a chiarirne esattamente la
portata e i confini
(articolo ItaliaOggi del 04.01.2011 - tratto da www.ecostampa.it). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: I
concorsi pubblici su Cliclavoro.
Le pubbliche amministrazioni devono
comunicare alla borsa nazionale del lavoro (cliclavoro)
tutte le procedure comparative e selettive
(concorsi) per l'attribuzione di incarichi
di collaborazione e per l'assunzione con
ogni tipo di contratto di lavoro.
Lo prevede
il decreto ministeriale 13.10.2011
pubblicato in G.U. n. 1/2012.
Per l'operatività del provvedimento, in
vigore dal 1° febbraio, occorrerà attendere
la direttiva del ministro per la pubblica
amministrazione che, peraltro, potrà
prevedere un periodo di sperimentazione non
superiore a 12 mesi. Il nuovo obbligo, che
interessa tutte le p.a., mira a favorire una
maggiore efficienza del mercato del lavoro,
con la disponibilità online
(www.cliclavoro.gov.it) delle offerte di
impiego pubblico sull'intero territorio
nazionale
(articolo ItaliaOggi del 04.01.2011 - tratto da www.ecostampa.it). |
APPALTI SERVIZI: Servizi
locali più aperti al mercato.
Pronto il decreto Monti-Gnudi: in esclusiva
solo le reti non pienamente liberalizzabili.
LOGICA RIBALTATA
Comuni e Province dovranno motivare con una
delibera-quadro la scelta di riconfermare i
monopoli nella fornitura.
Gli enti locali potranno dare in esclusiva,
in monopolio, in concessione -sempre
passando per una gara- soltanto quei
servizi pubblici locali per cui non ci siano
le condizioni di mercato per una
liberalizzazione piena, con più operatori
pronti a fornire il servizio in regime di
concorrenza. Comuni e province dovranno
anche motivare, con un'apposita analisi di
mercato e una delibera-quadro, una scelta
esplicita di riconferma dei monopoli nella
fornitura dei servizi.
Questo ribaltamento
in chiave concorrenziale del regime attuale,
che prevede invece un netto prevalere delle
"esclusive", riguarderà intere reti di
servizi locali come i trasporti o la
raccolta dei rifiuti o anche parti di queste
reti di servizio (per esempio i collegamenti
per gli aeroporti o i servizi notturni).
Il Governo Monti è pronto ora a confermare e
ad attuare con la "fase due" le scelte fatte
con la manovra di Ferragosto dall'ex
ministro Raffaele Fitto che aveva fatto
inserire nell'articolo 4 del decreto legge
138/2011, oltre allo stop degli affidamenti
in house sopra 900mila euro l'anno e
all'obbligo di gara (la cosiddetta
"concorrenza per il mercato"), anche il
principio di affidare al mercato tutte le
attività liberalizzabili ("concorrenza nel
mercato"). Un ribaltamento che era stato
richiesto più volte in passato anche
dall'Antitrust guidato da Antonio Catricalà,
che ora da sottosegretario alla presidenza
del Consiglio sta lavorando al dossier
liberalizzazioni.
A lavorare a questo aspetto delle
liberalizzazioni nei servizi pubblici locali
è oggi il ministro delle Regioni, Piero
Gnudi, che ha confermato in Parlamento la
volontà di procedere nell'attuazione della
manovra di Ferragosto. Gnudi sta lavorando
in particolare al decreto interministeriale
Regioni-Economia-Interno che dà attuazione
al ribaltamento voluto da Fitto, dettando ai
Comuni e agli altri enti locali le direttive
sulla delibera quadro e sull'analisi di
mercato da svolgere prima di nuovi
affidamenti di servizi. Il decreto
interministeriale deve essere emanato entro
il 31 gennaio dopo essere passato alla
conferenza unificata Stato-Regioni-città e
finirà naturalmente nel "pacchetto
liberalizzazioni". I Comuni avranno tempo
per adeguarsi fino alla scadenza delle
attuali gestioni: la prima applicazione sarà
quindi già al 31 marzo, quando scadranno le
cosiddette gestioni "non conformi" perché
affidate senza gara e senza alcuna
legittimazione.
Nel decreto interministeriale
Gnudi-Monti-Cancellieri sarà contenuta anche
un'altra rivoluzione voluta dall'articolo 4:
l'obbligo di rendere pubblici, anche in
modalità on-line, «i dati concernenti il
livello di qualità del servizio reso, il
prezzo medio per utente e il livello degli
investimenti effettuati». Il decreto
interministeriale detterà i criteri con cui
i comuni dovranno procedere a rendere
pubblici i dati. La finalità del
provvedimento è quella di «assicurare il
progressivo miglioramento della qualità di
gestione dei servizi pubblici locali e di
effettuare valutazioni comparative delle
diverse gestioni». Cittadini, utenti,
imprese potranno confrontare le performance
dei singoli gestori, anche se qui non
mancano nodi da sciogliere, quali sono
l'asimmetria informativa e i dati riservati
che i gestori accampano per limitare non di
rado la trasparenza.
Gnudi ha anche riconfermato nel question
time di quindici giorni fa in Parlamento
le tre direttrici in cui si muove la
disciplina dei servizi pubblici locali a
proposito delle modalità di affidamento dei
servizi in esclusiva: affidamento a gara per
la selezione del soggetto gestore;
affidamento a gara "a doppio oggetto" per la
selezione del socio privato della società
mista, con partecipazione pubblica non
inferiore al 40%; affidamenti in house,
senza gara a società controllate al 100%
dagli enti locali, circoscritti ai soli
servizi pubblici locali di valore economico
inferiore a 900.000 euro/anno
(articolo Il Sole 24
Ore del 04.01.2011 - tratto da www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI - VARI: Casa,
il Comune sceglie gli sconti.
Spetta al nuovo regolamento decidere le
agevolazioni applicabili all'Imu.
Nella stesura del nuovo regolamento comunale
per l'applicazione dell'Imu i comuni devono
valutare quali agevolazioni previste per
l'Ici possono essere confermate, sia con
riferimento ai vincoli normativi che di
bilancio.
Occorre districarsi in un quadro
normativo che non brilla per chiarezza,
visto che l'Imu è disciplinata dall'articolo
13 del decreto Monti, dagli articoli 8 e 9
del Dlgs 23/2011 «in quanto compatibili» e
dal Dlgs 504/1992 «in quanto richiamato».
L'articolo 14, comma 6 del Dlgs 23/2011
conferma la potestà regolamentare –prevista
dagli articoli 52 e 59 del Dlgs 446/1997–
anche per il nuovo tributo. Il Dl 201/2011
(convertito dalla legge 214) individua a sua
volta una ristretta casistica di intervento,
come la possibilità di assimilare
all'abitazione principale quella posseduta
da anziani o disabili che acquisiscono la
residenza in istituto di ricovero o la
possibilità di ridurre l'aliquota fino allo
0,4 per cento per gli immobili locati.
Il primo nodo da sciogliere è capire qual è
il rapporto che esiste tra le possibilità
elencate nel decreto Monti e l'esercizio in
generale della potestà regolamentare,
espressamente confermata anche per l'Imu. La
soluzione dovrebbe essere quella di ritenere
che le previsioni del decreto Monti
rappresentano una limitazione alla potestà
regolamentare e che per il resto il comune
abbia ampia potestà di scelta. Così, per
esempio, sarebbe illegittimo stabilire
un'aliquota dello 0,39 per cento per gli
immobili locati, visto che è espressamene
previsto che la riduzione può arrivare fino
allo 0,4.
Non sarebbe però illegittimo individuare
all'interno della più ampia categoria
"immobili locati" alcune casistiche, come
quella delle abitazioni locate con contratto
concordato, e limitare solo a queste la
riduzione di aliquota.Il comune può anche
differenziare con riferimento a categorie di
immobili. Tale possibilità è stata prevista
dall'articolo 8, comma 7, del Dlgs 23/2011
con riferimento ai fabbricati utilizzati
dalle imprese, ma può essere estesa anche ad
altre casistiche. Sarebbe, pertanto,
legittima la previsione di un'aliquota più
alta, ma entro il tetto dell'1,06 per cento,
solo per le abitazioni tenute sfitte.
Sarà poi possibile intervenire ulteriormente
sulla detrazione principale –che con i
figli può arrivare fino a 600 euro– anche
con riferimento a particolari situazioni di
disagio economico, possibilità questa
espressamene prevista nell'Ici, ma
confermabile anche nell'Imu, considerato che
è espressamente prevista la possibilità di
intervenire «genericamente» sulla
detrazione. Infatti, l'articolo 13, comma 11
prevede che le «detrazioni e le riduzioni di
aliquota deliberate dai comuni non si
applicano alla quota di imposta riservata
allo Stato»
(articolo Il Sole 24
Ore del 04.01.2011 - tratto da www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: «Cliclavoro»
apre anche al pubblico.
Cliclavoro apre al pubblico. È stato infatti
pubblicato sulla «Gazzetta Ufficiale» n. 1
del 02.01.2012 il decreto del ministero
del Lavoro 13.10.2011 sulla
trasmissione informatica delle informazioni
e dei dati relativi alle procedure di
reclutamento dei lavoratori da parte delle
amministrazioni e società pubbliche.
Scopo della normativa è favorire
l'efficienza e la trasparenza del mercato
del lavoro pubblico in Italia tramite "Cliclavoro".
Si tratta di un luogo di incontro virtuale
che ha lo scopo di agevolare l'occupazione
dei lavoratori su tutto il territorio
nazionale attraverso un catalogo completo e
dettagliato di informazioni e servizi per il
lavoro. Questi servizi permetteranno alle
amministrazioni pubbliche di pubblicare le
candidature e le offerte di lavoro ed
effettuare ricerche per entrare più
facilmente in contatto con i lavoratori. La
navigazione tra le informazioni del portale
è libera, senza bisogno di registrazione,
necessaria invece per iscriversi alla
newsletter o per rimanere aggiornati sulle
novità mediante la sezione rassegna stampa
periodica e sui sondaggi.
Con la pubblicazione del decreto si completa
la riforma sull'attività di intermediazione,
prezioso strumento per la promozione
dell'occupazione e le cui procedure sono
state oggi snellite. Lo spirito della
riforma sembra posarsi in primo luogo sulla
creazione di un sistema flessibile e veloce
di gestione del mercato del lavoro, dove il
collocamento dei lavoratori risulti fondato
su un immediato ed effettivo scambio di
informazioni e notizie. La riforma si
propone di completare il processo di
liberalizzazione del collocamento, avviato
già dal 1997 con il superamento del regime
di "monopolio pubblico" e portato avanti
dalla legge Biagi, che aveva dato la
possibilità di svolgere attività di
intermediazione anche a specifiche agenzie
private (le Agenzie per il lavoro) e altri
operatori. Con il collegato lavoro era stata
poi ampliata la platea dei soggetti
abilitati a operare nel mercato del lavoro.
La lista era molto lunga e includeva gli
enti locali, le Università, le Scuole
superiori, statali e parificate, le Camere
di commercio, i gestori di siti Internet, i
consulenti del lavoro e le associazioni dei
datori di lavoro e dei lavoratori
comparativamente più rappresentative sul
piano nazionale.
Le novità più importanti, nell'ottica di una
semplificazione dell'attività di
collocamento, riguardano il nuovo regime di
autorizzazione allo svolgimento
dell'attività di intermediazione. Ferme
restando le normative regionali vigenti per
specifici regimi di autorizzazione su base
regionale, i soggetti abilitati che
intendano effettivamente svolgere attività
di intermediazione non saranno più tenuti a
ottenere il consenso delle Regioni o del
ministero del Lavoro.
Le recenti riforme sono intervenute,
altresì, sui requisiti cui è condizionata
l'autorizzazione, ora esclusivamente
subordinata all'interconnessione alla Borsa
continua nazionale del lavoro (Bcnl) per il
tramite del portale "Cliclavoro",
nonché al rilascio alle Regioni e al
ministero del Lavoro di ogni informazione
"strategica" al monitoraggio dei fabbisogni
professionali e al buon funzionamento del
mercato del lavoro. Il mancato conferimento
dei dati alla Borsa continua nazionale del
lavoro –prosegue la norma– comporterà
l'applicazione di pesanti sanzioni
amministrative pecuniarie che vanno da 2mila
a 12mila euro, nonché la cancellazione
dall'albo degli intermediari e conseguente
divieto di proseguire l'attività di
intermediazione
(articolo Il Sole 24
Ore del 04.01.2011). |
AMBIENTE-ECOLOGIA: Il nuovo modello
ambientale entro fine aprile. In Gazzetta
Ufficiale il restyling del Mud. Che
dovrà essere utilizzato anche dai soggetti
rimasti orfani del Sistri.
Entro fine aprile 2012 va presentato il
nuovo Mud, il modello unico di dichiarazione
ambientale per le dichiarazioni inerenti i
rifiuti prodotti o trattati nell'ambito
delle specifiche attività previste dalla
legge.
Il modello è quello di riferimento
per l'anno 2011 ed è stato approvato con
decreto del presidente del consiglio dei
ministri del 23.12.2011 e pubblicato
sulla Gazzetta Ufficiale del 30 dicembre
scorso.
Il nuovo formulario sostituisce quello
precedente, che era stato approvato con dpcm
del 27.04.2010.
Il nuovo Mud verrà utilizzato dai soggetti
che nel 2010, non essendosi realizzata la
piena operatività del nuovo sistema di
tracciabilità dei rifiuti (Sistri) per
effetto delle proroghe succedutesi nel tempo
fino alla più recente, disposta dal «decreto milleproroghe» (dl n. 216/2011), hanno
continuato a utilizzare i registri cartacei
di carico e scarico dei rifiuti.
Lo scorso anno, con circolare del 03.03.2011, il ministero dell'ambiente e della
tutela del territorio e del mare aveva
chiarito che la dichiarazione ai fini Mud
andava presentata, ai sensi dell'art. 28,
comma 1, del decreto 18.02.2011, n.
52, dai produttori iniziali di rifiuti
pericolosi e da quelli dei rifiuti non
pericolosi di cui all'articolo 184, comma 3,
lettere c), d) e g) del dlgs n 152/2006 con
più di 10 dipendenti (rifiuti da lavorazioni
industriali; rifiuti da lavorazioni
artigianali; rifiuti derivanti dalla
attività di recupero e smaltimento di
rifiuti, fanghi prodotti dalla
potabilizzazione e da altri trattamenti
delle acque e dalla depurazione delle acque
reflue e da abbattimento di fumi), nonché
dalle imprese ed enti che effettuano
operazioni di recupero e di smaltimento dei
rifiuti che già erano tenuti alla
presentazione del modello unico di
dichiarazione ambientale (Mud) di cui alla
legge 25.01.1994, n. 70.
Ciò sebbene l'articolo 264-bis del Codice
dell'ambiente, aggiunto dal dlgs n.
205/2010, avesse provveduto ad abrogare le
norme concernenti le parti del modello unico
di dichiarazione ambientale di cui al dpcm
27.04.2010 riguardanti i produttori di
rifiuti e le imprese e gli enti che
effettuano il trasporto di rifiuti speciali,
nonché i soggetti che effettuano operazioni
di recupero e smaltimento dei rifiuti e gli
intermediari e commercianti di rifiuti senza
detenzione, tenuti a iscriversi al Sistri.
Nelle more della piena entrata a regime del
Sistri quale unico strumento per la
registrazione e la tracciabilità dei
rifiuti, infatti, il dm 17.12.2009,
istitutivo del Sistri, aveva previsto, a
carico dei soli produttori iniziali di
rifiuti e delle imprese ed enti che
effettuano operazioni di recupero e di
smaltimento dei rifiuti che erano tenuti a
presentare il Mud, l'obbligo di comunicare
al Sistri determinate informazioni. I
trasportatori di rifiuti e coloro che
effettuano attività di commercio e
intermediazione dei rifiuti senza detenzione
non erano tenuti, pertanto, a porre in
essere alcun adempimento di comunicazione a
decorrere dall'anno 2010.
Fermo il Sistri ancora per tutto il 2011, si
riproponeva l'esigenza di utilizzare ancora
il previgente sistema, aggiornando il
modello Mud, anche in relazione alle
modifiche al codice dell'ambiente apportate
dal richiamato dlgs n. 205/2010. Va
ricordato che intanto, sulla Gazzetta
Ufficiale n. 298, del 23.12.2011, è
stato pubblicato il decreto del ministero
dell'ambiente del 12.11.2011, recante
proroga dei termini per la presentazione
della comunicazione di cui all'art. 28,
comma 1, del decreto 18.02.2011, n.
52.
Ne consegue che i soggetti obbligati
devono effettuare le dovute comunicazioni
entro il 30.04.2012, con riferimento
alle informazioni relative all'anno 2011, ed
entro sei mesi dalla data di entrata in
operatività del Sistri per ciascuna
categoria di soggetti di cui all'art. 1 del
decreto ministeriale 26.05.2011, con
riferimento alle informazioni relative
all'anno 2012
(articolo ItaliaOggi del 03.01.2011). |
ENTI LOCALI: Nei
tetti al personale entra anche lo «staff»
del sindaco. Dalla Corte dei conti le
istruzioni sul nuovo vincolo del 50%.
La conversione del decreto Monti introduce
una novità di forte impatto sulla gestione
del personale delle autonomie locali per il
2012. Viene infatti riportato al 50% il
limite massimo del rapporto tra spese di
personale e spese correnti per stabilire la
possibilità di assunzione degli enti. Nel
calcolo sono da includere anche i costi
delle società partecipate.
E proprio al foto-finish sono giunti i
necessari chiarimenti della Sezione
autonomie su come correttamente procedere
(si veda Il Sole 24 Ore di venerdì 30
dicembre scorso). La deliberazione
14/aut/2011 identifica quindi aspetti
soggettivi e modalità di calcolo: si agisce
soltanto sul numeratore, ma le spese di
personale delle società da sommare a quelle
dell'ente sono da proporzionare in base ai
corrispettivi a carico del l'ente medesimo
(o ai ricavi derivanti da tariffa). E cioè:
il valore della produzione della partecipata
sta alle spese totali del personale della
stessa come il corrispettivo sta alla quota
del costo di personale attribuibile
all'ente, che è appunto l'incognita da
calcolare.
L'altro problema
Negli ultimi mesi i dubbi si sono però
estesi anche su un'altra questione destinata
ad avere conseguenze rilevanti nel 2012: i
limiti alle assunzioni con le forme del
lavoro flessibile. A oggi solo la Corte dei
conti della Campania ha preso in esame il
caso degli incarichi in staff degli organi
politici e le situazioni correlate al
comando dei dipendenti degli enti locali.
Fino alla legge di stabilità, il lavoro
flessibile e le co.co.co non avevano per le
amministrazioni territoriali un tetto
preciso e definito; contribuivano a
determinare il limite complessivo delle
spese di personale di cui al comma 557 o 562
della legge finanziaria 2007. Con l'avvento
della regola del turn-over del 20% delle
cessazioni dell'anno precedente (solo per
gli enti soggetti a Patto di stabilità) la
situazione si è complicata in quanto, la
delibera 46/2011 della Corte dei conti,
sezioni riunite, ha ricompreso in questa
percentuale ogni tipologia di assunzione e
non solo quelle a tempo indeterminato.
A chiudere la vicenda, almeno dal punto di
vista normativo, ci ha pensato la legge
183/2011 facendo rientrare gli enti locali
tra le amministrazioni che, ai sensi
dell'articolo 9, comma 28, del Dl 78/2010,
devono contenere nel limite del 50% della
spesa sostenuta nel 2009 le assunzioni a
tempo determinato per contratti di
formazione e lavoro, attraverso convenzioni,
voucher (buoni lavoro), contratti di
somministrazione e co.co.co.
Un quadro quindi particolarmente complesso
che lascia non pochi dubbi concreti agli
operatori. Anche perché, secondo alcuni, tra
cui l'Anci (si veda anche la successiva
pagina 12), la norma non avrebbe carattere
imperativo, ma costituirebbe un semplice
"principio" a cui gli enti locali dovrebbero
adeguarsi.
Norma cogente
La Corte dei conti della Campania non è però
d'accordo e ritiene la norma cogente e di
diretta applicazione anche per le Autonomie.
Anche per questo motivo la Sezione campana
ricomprende nel limite del 50% le assunzioni
che avvengono ai sensi dell'articolo 90 del
Dlgs 267/2000 e le situazioni di comando dei
dipendenti. Con la deliberazione 493/2011
innanzitutto afferma che è completamente
mutato il quadro preso in riferimento dalla
Corte dei conti, sezioni riunite, nella
deliberazione 46/2011 che, tra l'altro,
prevedeva casi di deroga in presenza di
eccezioni espressamente stabilite per legge.
La disposizione -che è entrata in vigore
ieri- non ammette quindi alcuna deroga e
secondo i giudici contabili campani si
estende anche alle assunzioni in staff degli
organi politici. La delibera 497/2011
affronta, invece, il caso del comando ricompendendolo
nel calcolo del 50% rispetto alla spesa del
2009 in quanto viene di fatto assimilato a
un'assunzione a tempo determinato
(articolo Il Sole 24
Ore 02.01.2011 - tratto da www.corteconti.it). |
APPALTI SERVIZI: Rischio
nullità per gli atti che violano la
concorrenza.
LA NOVITÀ/ L'Antitrust può cancellare le
decisioni locali. Se l'ente non si adegua al
parere motivato scatta il ricorso
dell'Avvocatura.
Ai più sembra sfuggito l'articolo 35 del
decreto salva Italia (legge n. 214/2011),
eppure esso è la conferma che a Roma inizia
a destare preoccupazione il fatto che molte
norme sulla pubblica amministrazione
rimangano di fatto lettera morta.
Il riferimento è al comma 2 dell'articolo
citato, ove si prevede che «l'Autorità
garante della concorrenza e del mercato, se
ritiene che una pubblica amministrazione
abbia emanato un atto in violazione delle
norme a tutela della concorrenza e del
mercato, emette, entro sessanta giorni, un
parere motivato, nel quale indica gli
specifici profili delle violazioni
riscontrate. Se la pubblica amministrazione
non si conforma nei sessanta giorni
successivi alla comunicazione del parere,
l'Autorità può presentare, tramite
l'Avvocatura dello Stato, il ricorso, entro
i successivi trenta giorni».
In pratica l'Autorità, se ritiene che un
atto violi i principi di libera concorrenza,
può muoversi prima con le buone e poi
arrivare a promuovere la rimozione dell'atto
(con quanto ne può conseguire sul piano
delle responsabilità contabili e degli
allarmi penali). Chi pensava di avere
rimosso l'ostacolo rappresentato
dall'Autorità con l'abrogazione del 23-bis
della manovra estiva 2008 è servito.
Il tutto dovrebbe suscitare non poca
preoccupazione nei nostri amministratori e
dirigenti: «non è che questa volta si fa sul
serio?». Nel Paese dei rinvii e dei "penultimatum"
siamo certo portati a dubitare che davvero
si decida di verificare con determinazione
la corretta applicazione di norme difficili
da digerire. È quindi difficile prevedere
che cosa potrà mai avvenire in concreto, ma
certo, a giudicare dagli ultimi interventi
normativi, è innegabile che si abbia la
sensazione che molte cose stiano cambiando.
Fino a poco tempo fa, infatti, niente era
più facile del l'elusione delle norme o, per
i meno raffinati, del semplice ignorarle.
Eppure l'articolo 35 del decreto salva
Italia è solo l'ultima norma di una lunga
serie di interventi tesi a far rispettare le
regole con maggiore rigore. Gli effetti del
decreto "premi e sanzioni", ad esempio, lo
ha provato per primo il Comune di Castiglion
Fiorentino, del quale la Corte dei conti ha
chiesto e ottenuto il dissesto (ma altri
atti del genere sembrano essere in dirittura
d'arrivo).
Ancora, si ricorda che il Dl 138/2011 prima
(articolo 16, comma 14) e la legge di
stabilità poi (introducendo all'articolo 4
del Dl 138/2011 il comma 32-bis) hanno
affidato alle prefetture il compito di
verificare gli adempimenti dei Comuni sia in
tema di messa in liquidazione delle società
non ammesse sia di correttezza delle
procedure in tema di servizi pubblici
locali, fino ad arrivare all'esercizio del
potere sostitutivo con tutto ciò che ne
consegue: «nel caso in cui, all'esito
dell'accertamento, il Prefetto rilevi la
mancata attuazione di quanto previsto dalle
disposizioni (...), assegna agli enti
inadempienti un termine perentorio entro il
quale provvedere. Decorso inutilmente detto
termine, il Prefetto nomina un commissario ad acta per l'adozione dei provvedimenti
necessari».
E non è finita qui. L'antesignano di queste
norme sono certo i commi da 10 a 12 del
l'articolo 20 del Dl 98/2011 che esordiscono
stabiliscono «i contratti di servizio e gli
altri atti posti in essere dalle Regioni e
dagli enti locali che si configurano elusivi
delle regole del patto di stabilità interno
sono nulli» e che affidano alla Corte dei
conti il potere di perseguire e sanzionare
con una consistente sanzione pecuniaria il
responsabile dei servizi finanziari e gli
«amministratori che hanno posto in essere
atti elusivi delle regole del patto di
stabilità interno».
Vedremo come verranno applicate queste
norme. Ma è bene non sottovalutare il
rafforzamento dei controlli che il
legislatore sta, gradualmente, realizzando
(articolo Il Sole 24
Ore 02.01.2011 - tratto da www.corteconti.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA: Rifiuti,
un'ondata di proroghe. Il Sistri slitta al 2
aprile, addio alla discarica al 31 dicembre.
Con due decreti di fine anno ufficializzato
il rinvio degli ultimi adempimenti
ambientali.
Appuntamento dall'aprile
2012 in poi per l'operatività del nuovo
sistema di tracciamento telematico rifiuti,
per la denuncia dei rifiuti gestiti nel 2011
e per il divieto di conferimento in
discarica di determinati rifiuti.
Con due provvedimenti di fine anno, il
rituale decreto legge «Milleproroghe»
e un parallelo dm Ambiente (il primo
approvato il 23 dicembre, il secondo
pubblicato sulla G.U. della medesima data),
il Legislatore ha fatto slittare tutti i
principali termini di scadenza in materia
ambientale, quali la partenza dell'atteso «Sistri»
(posticipata al 02.04.2012) e del connesso «Mudino»
(la denuncia dei dati relativi ai rifiuti
gestiti nel corso dell'anno 2011, prorogata
al 30.04.2012), l'avvio a pieno regime del
meccanismo di «addio alla discarica»
imposto dalle norme comunitarie (saltato
all'01.01.2013).
Sistri.
In base al nuovo «Milleproroghe» è
slittato dal 9 febbraio al 02.04.2012
l'obbligo per i medi e grandi gestori di
rifiuti di adempiere agli obblighi operativi
del nuovo sistema di tracciamento telematico
dei rifiuti (ossia comunicazione telematica
al sistema informativo centrale dei rifiuti
gestiti, tracciamento satellitare dei mezzi
di trasporto, monitoraggio ingresso/uscite
dalle discariche).
L'appuntamento per i piccoli produttori non
partirà invece prima dell'01.06.2012, poiché
nel prorogare di due mesi il termine
generale di partenza del sistema Sistri
stabilito dal dl 138/2011 il nuovo «Milleproroghe»
ha salvato il più lungo termine concesso dal
dl 70/2011 ai produttori di rifiuti speciali
pericolosi con non più di dieci dipendenti,
compresi i produttori che effettuano il
trasporto dei propri rifiuti entro i 30
Kg/litri al giorno (novero di soggetti
individuato dal combinato disposto degli
articoli 212, comma 8, dlgs 152/2006, comma
5, dm Ambiente 26.05.2011, 3, comma 1, dm
Ambiente 52/2011) termine che scatterà dalla
data stabilita da un futuro dm Ambiente e
che non potrà essere (per espressa
statuizione dello stesso dl 138/2011)
anteriore all'01.06.2012.
Il nuovo «Milleproroghe» fa altresì
slittare dal 31.12.2011 al 02.07.2012 il
termine iniziale (previsto dal dlgs
205/2010) dell'obbligo di iscrizione al
Sistri per gli imprenditori agricoli che
producono e trasportano a una piattaforma di
conferimento, oppure conferiscono a un
circuito organizzato di raccolta, i propri
rifiuti pericolosi in modo «occasionale e
saltuario».
Sempre tramite un decreto del dicastero
dell'ambiente (questa volta previsto però
dal citato dl 138/2011 e i cui termini di
adozione sono già scaduti lo scorso
16.12.2011) arriverà un ulteriore
alleggerimento degli oneri Sistri,
alleggerimento consistente nella mera
facoltatività (in luogo della
obbligatorietà) di aderire al sistema di
tracciamento telematico per chi gestisce in
quantità limitate specifiche tipologie di
rifiuti a «bassa criticità ambientale».
Fino allo scoccare dei nuovi termini di
operatività del Sistri, lo ricordiamo, il
regime per il tracciamento dei rifiuti
continuerà a essere quello del cosiddetto «doppio
binario» previsto dall'articolo 12,
comma 2, del dm 17.12.2009, ossia:
obbligatorietà della tenuta dei registri di
carico e scarico dei rifiuti e formulario di
trasporto; facoltatività di adesione al
sistema di tracciamento telematico.
Denuncia rifiuti
(cosiddetto «Mudino»).
Come accennato, parallelamente al rinvio
degli adempimenti operativi Sistri, il nuovo
decreto del ministero dell'ambiente di fine
anno (dm 12.11.2011, pubblicato sulla G.U.
del 23.12.2011 n. 298) ha spostato i termini
per la denuncia (da effettuarsi mediante
l'apposita scheda Sistri prevista dm
17.12.2009, scheda meglio nota come «Mudino»)
dei dati relativi ai rifiuti gestiti nel
corso dell'anno 2011 e non coperti dal
Sistri, prevedendo inoltre (sulla base del
fatto che il sistema di tracciamento
telematico dei rifiuti non partirà che dal
02.04.2012, come previsto dal citato dl «Milleproroghe»)
il calendario per l'analoga denuncia
relativa ai rifiuti gestiti «fuori Sistri»
nel corso del 2012.
In base al nuovo scadenzario disegnato dal
dm Ambiente 12.11.2011 gli appuntamenti sono
i seguenti: le informazioni relative ai
rifiuti gestiti nel corso dell'anno 2011
dovranno essere comunicate entro il
30.04.2012; le informazioni relative ai
rifiuti gestiti nel corso dell'anno 2012 non
coperti dal Sistri dovranno essere invece
comunicate entro i successivi sei mesi dalla
operatività del nuovo sistema di
tracciamento telematico dei rifiuti,
operatività che scatterà (rispettivamente,
come accennato) il 02.04.2012 per i medi e
grandi gestori di rifiuti (con conseguente
obbligo di comunicazione dati entro il
02.10.2012) e dopo l'01.06.2012 per i
piccoli gestori (in una data, come stabilito
dal dl 70/2011 più sopra ricordato, che sarà
precisata dal Minambiente con decreto e che
farà scattare da quel momento i sei mesi
entro cui effettuare la comunicazione dei
dati «Mudino»).
A essere obbligati alla «Mudino» sono
i produttori iniziali di rifiuti e le
imprese e gli enti che effettuano operazioni
di recupero e di smaltimento dei rifiuti già
tenuti alla presentazione del «modello
Unico di dichiarazione ambientale»
(cosiddetto «Mud») previsto dalla legge
25.01.1994, n. 70.
«Addio alla discarica».
I rifiuti con «Pci» (ossia potere calorifico
inferiore) superiore a 13 mila kJ/kg
potranno continuare a essere ammessi in
discarica fino al 31.12.2012. Il citato dl «Milleproroghe»
ha spostato dall'01.01.2012 all'01.01.2013
l'«addio alla discarica» per i
rifiuti in parola previsto dal dlgs 36/2003
in attuazione della direttiva comunitaria
1999/31/Ce. La scelta, si legge nella
relazione al decreto legge approvato il
23.12.2011, è stata informata dalla carenza
di impianti di recupero energetico da
rifiuti a livello nazionale.
Una nuova stretta alla gestione dei rifiuti
in discarica arriverà però proprio nel 2013,
anno che costringerà l'Italia a tradurre sul
piano nazionale (e attraverso la
rivisitazione del dlgs 36/2003 in parola) le
ultime disposizioni comunitarie dettate
dalla direttiva 2011/31/Ce, direttiva che,
riformulando l'omonimo provvedimento
comunitario madre n. 1999/31/Ce, impone
nuovi adempimenti alla discariche che
ospitano mercurio metallico per oltre un
anno.
In base alla nuova direttiva 2011/31/Ce (Guue
del 10.12.2011 n. L328) l'ammissibilità di
tali rifiuti da parte delle discariche dovrà
infatti essere subordinata dagli Stati
membri al rispetto di particolari procedure
preliminari (campionamento «ad hoc»
compreso), lo stoccaggio temporaneo dovrà
poi essere effettuato in modo separato dagli
altri rifiuti e tramite serbatoi rispondenti
a precisi parametri tecnici.
Con l'upgrade delle norme sul
deposito dei rifiuti scatterà inoltre dal
2013 la piena applicabilità allo stoccaggio
del mercurio metallico il meccanismo di
controllo dei pericoli di incidenti
rilevanti previsto dalla direttiva 96/82/Ce,
meccanismo (meglio noto come «Seveso»
e tradotto sul piano nazionale con il dlgs
334/1999) fino a oggi non pienamente
declinabile alla fattispecie in esame a
causa (come sottolinea la stessa Ue nella
nuova direttiva 2011/31/Ce) della mancanza
di requisiti tecnici supplementari di
sicurezza analoghi a quelli ora previsti
(articolo ItaliaOggi
Sette del 02.01.2011). |
GIURISPRUDENZA |
PUBBLICO IMPIEGO: Cassazione.
I limiti al diritto di critica.
Reato dare del «colluso» senza prove al
dirigente di un ente locale.
Rischia sanzioni penali chi definisce un
dirigente comunale «colluso con la mafia
locale».
Lo afferma la Corte di Cassazione, Sez. V
penale (sentenza
05.01.2012 n. 87) ponendo fine al
contrasto tra un consigliere comunale
agrigentino e un dirigente di quel Comune.
La condanna è scaturita dall'«incontinenza
espressiva» dell'imputato: pur ammettendo la
Cassazione che la critica all'esercizio dei
pubblici poteri deve essere ampia e
penetrante, perché i cittadini debbono poter
conoscere il funzionamento della cosa
pubblica e formarsi una opinione corretta
sui fatti che si verificano, conclude però
che è necessario non eccedere. La
conoscenza, la critica e la discussione di
fatti di pubblico interesse arricchiscono
infatti la democrazia, e anzi più elevato è
l'incarico di responsabilità pubblica
ricoperto, più si è esposti a legittime
critiche.
Tuttavia, continua la Suprema Corte, la
critica non deve trasmodare in attacchi
personali e deve sempre essere rispettosa
sia dei criteri della verità dei fatti che
costituiscono il presupposto della critica,
sia della continenza espressiva e,
ovviamente, dell'interesse pubblico per i
fatti raccontati e criticati. Nel caso
specifico, anche se il dirigente era stato
coinvolto in alcuni processi per abusi in
atti di ufficio, non vi era mai stato un
processo di mafia. In conseguenza, eventuali
misfatti non hanno potuto essere provati nel
processo per diffamazione, in quanto, pur
essendo possibile provare una qualche
irregolarità qualificabile come abuso, non è
assolutamente lecito qualificare mafioso o
colluso con la mafia chi si sia macchiato di
mere irregolarità amministrative.
Ciò è in linea con il precedente espresso
dalla Cassazione 10125/2011, che ha
riconosciuto, a chi invoca il diritto di
critica, la possibilità di non essere
assolutamente obiettivo e di usare un
linguaggio colorito e pungente: in quel caso
ne ha fatto le spese il Consiglio dei
geometri, che riteneva lesivo della
categoria un articolo sul condono edilizio,
ritenuto invece dalla Cassazione
genericamente critico verso tutti coloro i
quali avevano determinato danni all'ambiente
(articolo Il Sole 24
Ore del 06.01.2011 - tratto da www.ecostampa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Vanno
considerati come volumi tecnici (come tali
non rilevanti ai fini della volumetria di un
immobile) quei volumi destinati
esclusivamente agli impianti necessari per
l'utilizzo dell'abitazione e che non possono
essere ubicati al suo interno, mentre non
sono tali -e sono quindi computabili ai fini
della volumetria consentita- le soffitte,
gli stenditori chiusi e quelli «di
sgombero», nonché il piano di copertura,
impropriamente definito sottotetto, ma
costituente in realtà una mansarda, in
quanto dotato di rilevante altezza media
rispetto al piano di gronda.
Rispetto al sottotetto e al problema del
computo del volume, si richiama
l’orientamento del Consiglio di Stato (sez.
IV n. 812 del 07.02.2011, seguito da questa
Sezione, nella sentenza n. 1105/2011),
secondo cui “vanno considerati come
volumi tecnici (come tali non rilevanti ai
fini della volumetria di un immobile) quei
volumi destinati esclusivamente agli
impianti necessari per l'utilizzo
dell'abitazione e che non possono essere
ubicati al suo interno, mentre non sono tali
-e sono quindi computabili ai fini della
volumetria consentita- le soffitte, gli
stenditori chiusi e quelli «di sgombero»,
nonché il piano di copertura, impropriamente
definito sottotetto, ma costituente in
realtà una mansarda, in quanto dotato di
rilevante altezza media rispetto al piano di
gronda”
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 05.01.2012 n. 38 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
Comune non ha alcuna potestà di introdurre
un divieto generalizzato di installazione
delle stazioni radio base, né di introdurre
misure che, pur essendo di natura
tipicamente urbanistica (distanze, altezze,
quote, ecc.) non siano funzionali al governo
del territorio, quanto piuttosto alla tutela
dai rischi dell'elettromagnetismo che
rientra nelle esclusive attribuzioni
statali, non già in quelle comunali; di
conseguenza la localizzazione degli impianti
solo in determinate zona si pone in
contrasto non solo con l'esigenza di
permettere la copertura del servizio di
telefonia mobile sull'intero territorio
comunale, ma anche con la loro natura di
infrastrutture primarie e impianti di
interesse generale, posti al servizio della
comunità e quindi compatibili con qualsiasi
destinazione urbanistica.
L'assimilazione, per effetto dell'art. 86,
d.lgs. 01.08.2003 n. 259, delle
infrastrutture di reti pubbliche di
telecomunicazione alle opere di
urbanizzazione primaria, implica che le
stesse debbano avere una diffusione
capillare sul territorio, collegarsi ed
essere poste al servizio dell'insediamento
abitativo e non essere dalle stesso avulse.
E illegittimo il diniego comunale nella
parte in cui richiama un presunto contrasto
con la zona, in quanto l’Amministrazione non
ha considerato che l'impianto di telefonia
mobile in argomento è annoverabile tra le
infrastrutture di reti pubbliche di
comunicazione e, come tale, esso può essere
equiparato -a tenore dell'art. 86, comma
terzo, del citato Codice delle comunicazioni
elettroniche- alle ordinarie opere di
urbanizzazione primaria, che sono
compatibili con qualsiasi destinazione
urbanistica
Secondo la giurisprudenza prevalente e
pacifica il Comune non ha alcuna potestà di
introdurre un divieto generalizzato di
installazione delle stazioni radio base, né
di introdurre misure che, pur essendo di
natura tipicamente urbanistica (distanze,
altezze, quote, ecc.) non siano funzionali
al governo del territorio, quanto piuttosto
alla tutela dai rischi
dell'elettromagnetismo che rientra nelle
esclusive attribuzioni statali, non già in
quelle comunali; di conseguenza la
localizzazione degli impianti solo in
determinate zona si pone in contrasto non
solo con l'esigenza di permettere la
copertura del servizio di telefonia mobile
sull'intero territorio comunale, ma anche
con la loro natura di infrastrutture
primarie e impianti di interesse generale,
posti al servizio della comunità e quindi
compatibili con qualsiasi destinazione
urbanistica.
L'assimilazione, per effetto dell'art. 86,
d.lgs. 01.08.2003 n. 259, delle
infrastrutture di reti pubbliche di
telecomunicazione alle opere di
urbanizzazione primaria, implica che le
stesse debbano avere una diffusione
capillare sul territorio, collegarsi ed
essere poste al servizio dell'insediamento
abitativo e non essere dalle stesso avulse.
Va poi richiamata la disciplina regionale
per gli impianti inferiori a 300 W, per i
quali l'art. 4 comma 7, l. reg. Lombardia n.
11 del 2001 stabilisce che gli impianti
radio base di tale potenza "non
richiedono una specifica regolamentazione
urbanistica".
Pertanto, indipendentemente dalla questione
della applicabilità del Regolamento Comunale
al caso de quo, è illegittimo il
diniego nella parte in cui richiama un
presunto contrasto con la zona, in quanto
l’Amministrazione non ha considerato che
l'impianto di telefonia mobile in argomento
è annoverabile tra le infrastrutture di reti
pubbliche di comunicazione e, come tale,
esso può essere equiparato -a tenore
dell'art. 86, comma terzo, del citato Codice
delle comunicazioni elettroniche- alle
ordinarie opere di urbanizzazione primaria,
che sono compatibili con qualsiasi
destinazione urbanistica (cfr. TAR Sicilia
Palermo II, 11.01.2011 n. 22)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 05.01.2012 n. 35 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La classificazione di un
intervento deve essere effettuata
considerando globalmente le opere e non
individualmente.
Va innanzitutto ricordato che la
classificazione di un intervento deve essere
effettuata considerando globalmente le opere
e non individualmente.
Quindi in una visione complessiva
dell’intervento, il Collegio condivide la
decisione dell’Amministrazione di
qualificare l’intervento come
ristrutturazione, dal momento che
l’immobile, complessivamente considerato,
risulta indubbiamente differente rispetto al
precedente: i prospetti sono interessati da
venticinque interventi, che hanno comportato
la realizzazione di nuovi accessi (le
modifiche sono evidenziate nelle tavole nn.
3 e 6); l’originario lucernario è sostituito
da una nuova copertura, ad una quota più
alta, con modifica della sagoma; viene
prevista una copertura sovrastante, prima
inesistente e viene ampliato il piano
interrato con la realizzazione di cantine e
depositi.
L’aumento di volumetria è conseguente anche
alla creazione, all’interno, delle celle
frigorifere.
Indici rivelatori di un intervento che non
si limita ad un adeguamento dell’immobile,
ma tende a creare un quid novi, sono altresì
la creazione dell’ascensore all’esterno del
fabbricato e, infine, le modifiche del piano
seminterrato, interessato da interventi di
demolizione delle pareti, ridistribuzione
degli spazi e creazione di nuove scale.
Tutti questi interventi, globalmente
considerati, non possono essere ricondotti
nell'ambito degli interventi di manutenzione
straordinaria, né di restauro o risanamento
conservativo (i quali presuppongono, ai
sensi dell'art. 3, lett. b-c del d.P.R. n.
380/2001, la sostituzione o la conservazione
di elementi -anche strutturali- degli
edifici, che siano comunque preesistenti,
ovvero l'inserimento di elementi nuovi, che
abbiano tuttavia carattere accessorio), ma
nel novero degli interventi di
ristrutturazione edilizia di cui alla lett.
c), del comma 1, dell'art. 10, d.P.R. n.
380/2001, dal momento che si realizza
un'oggettiva trasformazione dell’immobile,
mediante la sostituzione e l'inserimento di
elementi, nonché con la modifica di altri
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 05.01.2012 n. 34 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
L’amministrazione (i.e. l’ente
proprietario della strada), nel momento in
cui decide la rimozione della
cartellonistica abusiva, opera attraverso
l’adozione di un provvedimento
amministrativo espresso.
Peraltro, il comma 13-quater del dlgs
30.04.1992, n. 285
contempla la possibilità per l’ente
proprietario di disporre liberamente dei
mezzi pubblicitari rimossi in conformità
all’art. 23 dlgs n. 285/1992, una volta che
sia decorso il termine di 60 giorni senza
che l’autore della violazione, il
proprietario o il possessore del terreno ne
abbiano richiesto la restituzione,
specificando che “Il predetto termine
decorre dalla data della diffida, nel caso
di rimozione effettuata ai sensi del comma
13-bis, e dalla data di effettuazione della
rimozione, nell’ipotesi prevista dal comma
13-quater.”.
Da tale prescrizione si desume come l’autore
della violazione, il proprietario ovvero il
possessore del terreno su cui sono
installati gli impianti abusivi debbano
ricevere comunicazione della diffida alla
rimozione, anche al fine di potere
richiedere successivamente la restituzione
degli impianti rimossi dall’amministrazione.
Va evidenziato, a tal riguardo, che ai sensi
dell’art. 23, comma 13-bis dlgs 30.04.1992,
n. 285 (codice della strada) “In caso di
collocazione di cartelli, insegne di
esercizio o altri mezzi pubblicitari privi
di autorizzazione o comunque in contrasto
con quanto disposto dal comma 1, l’ente
proprietario della strada diffida l’autore
della violazione e il proprietario o il
possessore del suolo privato, nei modi di
legge, a rimuovere il mezzo pubblicitario a
loro spese entro e non oltre dieci giorni
dalla data di comunicazione dell’atto.
Decorso il suddetto termine, l’ente
proprietario provvede ad effettuare la
rimozione del mezzo pubblicitario e alla sua
custodia ponendo i relativi oneri a carico
dell’autore della violazione e, in via tra
loro solidale, del proprietario o possessore
del suolo; a tal fine tutti gli organi di
polizia stradale di cui all’articolo 12 sono
autorizzati ad accedere sul fondo privato
ove è collocato il mezzo pubblicitario.
Chiunque viola le prescrizioni indicate al
presente comma e al comma 7 è soggetto alla
sanzione amministrativa del pagamento di una
somma da euro 4.455 a euro 17.823; nel caso
in cui non sia possibile individuare
l’autore della violazione, alla stessa
sanzione amministrativa è soggetto chi
utilizza gli spazi pubblicitari privi di
autorizzazione.”.
Dal tenore letterale della disposizione
emerge in modo manifesto che
l’amministrazione (i.e. l’ente proprietario
della strada), nel momento in cui decide la
rimozione della cartellonistica abusiva,
opera attraverso l’adozione di un
provvedimento amministrativo espresso.
Peraltro, il comma 13-quater della
disposizione in commento contempla la
possibilità per l’ente proprietario di
disporre liberamente dei mezzi pubblicitari
rimossi in conformità all’art. 23 dlgs n.
285/1992, una volta che sia decorso il
termine di 60 giorni senza che l’autore
della violazione, il proprietario o il
possessore del terreno ne abbiano richiesto
la restituzione, specificando che “Il
predetto termine decorre dalla data della
diffida, nel caso di rimozione effettuata ai
sensi del comma 13-bis, e dalla data di
effettuazione della rimozione, nell’ipotesi
prevista dal comma 13-quater.”.
Da tale prescrizione si desume come l’autore
della violazione, il proprietario ovvero il
possessore del terreno su cui sono
installati gli impianti abusivi debbano
ricevere comunicazione della diffida alla
rimozione, anche al fine di potere
richiedere successivamente la restituzione
degli impianti rimossi dall’amministrazione
(TAR Puglia-Bari, Sez. I,
sentenza 05.01.2012 n. 30 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Sebbene secondo un certo
orientamento, la clausola inserita nel bando
di gara che preveda limitazioni alla
possibilità di associarsi in ATI per le
imprese che singolarmente sarebbero in grado
di partecipare alla gara, pur non essendo
imposta da alcuna disposizione normativa (ma
contenuta in una indicazione dell'Autorità
garante della concorrenza e del mercato), è
legittima, in quanto l'introduzione della
menzionata limitazione rientra tra le
opzioni a disposizione della stazione
appaltante, da esercitare in relazione alle
specifiche caratteristiche del mercato
oggetto della procedura, di recente è stato
sostenuto che non vi sia alcun limite legale
ad associarsi in ATI per imprese già
autonome e che, pertanto, sarebbe
illegittimo precludere la partecipazione in
ATI di società che avrebbero i requisiti per
partecipare anche singolarmente, non vigendo
alcun espresso divieto legale in tal senso.
In punto di diritto si premette che, sebbene
secondo un certo orientamento, la clausola
inserita nel bando di gara che preveda
limitazioni alla possibilità di associarsi
in ATI per le imprese che singolarmente
sarebbero in grado di partecipare alla gara,
pur non essendo imposta da alcuna
disposizione normativa (ma contenuta in una
indicazione dell'Autorità garante della
concorrenza e del mercato), è legittima, in
quanto l'introduzione della menzionata
limitazione rientra tra le opzioni a
disposizione della stazione appaltante, da
esercitare in relazione alle specifiche
caratteristiche del mercato oggetto della
procedura (Consiglio di Stato, sez. VI,
19.06.2009, n. 4145), di recente è stato
sostenuto che non vi sia alcun limite legale
ad associarsi in ATI per imprese già
autonome e che, pertanto, sarebbe
illegittimo precludere la partecipazione in
ATI di società che avrebbero i requisiti per
partecipare anche singolarmente, non vigendo
alcun espresso divieto legale in tal senso
(TAR Lazio-Roma, Sez. II-ter,
sentenza 04.01.2012 n. 82 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Le clausole del bando o della
lettera di invito, che onerano l'interessato
ad una immediata impugnazione, sono quelle
che prescrivono requisiti di ammissione o di
partecipazione alla gara, in riferimento sia
a requisiti soggettivi che a situazioni di
fatto, la carenza dei quali determina
immediatamente l'effetto escludente,
configurandosi il successivo atto di
esclusione come meramente dichiarativo e
ricognitivo di una lesione già prodotta.
In tutti gli altri casi diversi da quanto in
precedenza riportato, i bandi di gara, di
concorso, i disciplinari e le lettere di
invito vanno, di regola, impugnati
unitamente agli atti che di essi fanno
applicazione, e, pertanto, conclusivamente
insieme all’aggiudicazione definitiva della
gara (o ad ogni altro provvedimento che
segni, comunque, per il soggetto un arresto
del procedimento), dal momento che sono
questi ultimi ad identificare, in concreto,
il soggetto leso dal provvedimento ed a
rendere attuale e concreta la lesione della
situazione soggettiva dell'interessato.
-------------
Secondo un orientamento in materia, la
presenza nelle sedute di gara di un
rappresentante della ditta partecipante alla
competizione comporta ex se piena conoscenza
degli atti lesivi, ai fini della decorrenza
del termine per la relativa impugnazione,
soltanto qualora nelle predette riunioni
vengano adottate determinazioni negative per
la stessa ditta (es. esclusione dalla gara).
Va però rilevato che, secondo altro
orientamento che si ritiene di condividere,
la semplice attestazione da parte
dell'amministrazione della presenza durante
le sedute di gara di un soggetto qualificato
come rappresentante di un concorrente non
comporta ex se la piena conoscenza dell'atto
di esclusione, qualora non risulti che il
rappresentante era munito di un mandato ad
hoc o che rivestiva specifica carica
sociale, tale da riferire automaticamente la
sua conoscenza alla società concorrente,
atteso che, a ben vedere, si tratta di fare
applicazione degli ordinari principi che
regolano l'istituto della rappresentanza, il
quale produce effetti giuridici in capo al
rappresentato solo se sussistono i requisiti
della contemplatio domini, desumibile dal
contesto dell'atto (sia esso soggetto a
forma libera o meno) e dell'effettivo
conferimento del potere di rappresentanza ad
un determinato soggetto.
Pertanto, nel caso in cui dai verbali di
seduta non sia palese l'affidamento di
poteri rappresentativi ad hoc, la presenza
(e addirittura la consegna di eventuali
deduzioni da parte) di un delegato della
ditta, in qualità dunque di semplice nuncius,
resta del tutto improduttiva di effetti in
tal senso con la conseguenza che il termine
di impugnazione non può farsi decorrere
dalla data della seduta medesima.
---------------
Nel caso in cui la procedura di gara, come
nell'ipotesi di aggiudicazione con il
sistema dell'offerta economicamente più
vantaggiosa, sia caratterizzata da una netta
separazione tra la valutazione dell'offerta
tecnica e dell'offerta economica, il
principio di segretezza comporta che, fino a
quando non si sia conclusa la valutazione
delle offerte tecniche, è interdetta al
seggio di gara la conoscenza delle
percentuali di ribasso offerta, onde evitare
ogni possibile influenza nella valutazione
dell'offerta tecnica.
Secondo un consolidato orientamento
giurisprudenziale nella materia le clausole
del bando o della lettera di invito, che
onerano l'interessato ad una immediata
impugnazione, sono quelle che prescrivono
requisiti di ammissione o di partecipazione
alla gara, in riferimento sia a requisiti
soggettivi che a situazioni di fatto, la
carenza dei quali determina immediatamente
l'effetto escludente, configurandosi il
successivo atto di esclusione come meramente
dichiarativo e ricognitivo di una lesione
già prodotta (Consiglio di Stato, sez. V,
04.03.2011, n. 1380).
Nel caso di specie, invece, la ricorrente
lamentava la mancata previsione nel bando di
una clausola apposita che prescrivesse la
presentazione delle tre distinte buste,
contenenti rispettivamente la documentazione
amministrativa, l’offerta tecnica e
l’offerta economica.
E’ evidente che, pertanto, la doglianza non
ha ad oggetto una clausola che si presenti
come immediatamente lesiva della posizione
giuridica della ricorrente stessa; la
clausola della quale si lamenta la carenza
attiene, nello specifico, alle modalità di
presentazione delle domande di
partecipazione alla gara e, sempre per
giurisprudenza consolidata in materia, in
tutti gli altri casi diversi da quanto in
precedenza riportato, i bandi di gara, di
concorso, i disciplinari e le lettere di
invito vanno, di regola, impugnati
unitamente agli atti che di essi fanno
applicazione, e, pertanto, conclusivamente
insieme all’aggiudicazione definitiva della
gara (o ad ogni altro provvedimento che
segni, comunque, per il soggetto un arresto
del procedimento), dal momento che sono
questi ultimi ad identificare, in concreto,
il soggetto leso dal provvedimento ed a
rendere attuale e concreta la lesione della
situazione soggettiva dell'interessato
(Consiglio di Stato, sez. III, 13.01.2011,
n. 2463; Consiglio di Stato, sez. VI,
06.03.2009, n. 1348).
-------------
Altrettanto infondata è l’ulteriore
eccezione di tardività formulata con
riferimento ai verbali di gara redatti da
parte della commissione, in conseguenza
della verbalizzata presenza del
rappresentante della società ricorrente alle
sedute di gara, per le considerazioni che
seguono.
Vero è che, secondo un orientamento in
materia, la presenza nelle sedute di gara di
un rappresentante della ditta partecipante
alla competizione comporta ex se
piena conoscenza degli atti lesivi, ai fini
della decorrenza del termine per la relativa
impugnazione, soltanto qualora nelle
predette riunioni vengano adottate
determinazioni negative per la stessa ditta
(es. esclusione dalla gara) (TAR
Puglia-Lecce, sez. I, 19.06.2009, n. 1583).
Va però rilevato che, secondo altro
orientamento che si ritiene di condividere,
la semplice attestazione da parte
dell'amministrazione della presenza durante
le sedute di gara di un soggetto qualificato
come rappresentante di un concorrente non
comporta ex se la piena conoscenza
dell'atto di esclusione, qualora non risulti
che il rappresentante era munito di un
mandato ad hoc o che rivestiva
specifica carica sociale, tale da riferire
automaticamente la sua conoscenza alla
società concorrente, atteso che, a ben
vedere, si tratta di fare applicazione degli
ordinari principi che regolano l'istituto
della rappresentanza, il quale produce
effetti giuridici in capo al rappresentato
solo se sussistono i requisiti della
contemplatio domini, desumibile dal
contesto dell'atto (sia esso soggetto a
forma libera o meno) e dell'effettivo
conferimento del potere di rappresentanza ad
un determinato soggetto (TAR
Lombardia-Milano, sez. III, 10.12.2009, n.
5306).
Pertanto, nel caso in cui dai verbali di
seduta non sia palese l'affidamento di
poteri rappresentativi ad hoc, la
presenza (e addirittura la consegna di
eventuali deduzioni da parte) di un delegato
della ditta, in qualità dunque di semplice
nuncius, resta del tutto improduttiva
di effetti in tal senso con la conseguenza
che il termine di impugnazione non può farsi
decorrere dalla data della seduta medesima
(TAR Trentino Alto Adige-Trento, sez. I,
14.09.2009, n. 239).
---------------
Nel caso in cui
la procedura di gara, come nell'ipotesi di
aggiudicazione con il sistema dell'offerta
economicamente più vantaggiosa, sia
caratterizzata da una netta separazione tra
la valutazione dell'offerta tecnica e
dell'offerta economica, il principio di
segretezza comporta che, fino a quando non
si sia conclusa la valutazione delle offerte
tecniche, è interdetta al seggio di gara la
conoscenza delle percentuali di ribasso
offerta, onde evitare ogni possibile
influenza nella valutazione dell'offerta
tecnica (cfr. nei termini, da ultimo,
Consiglio di Stato, sez. V, 21.03.2011, n.
1734) (TAR
Lazio-Roma, Sez. II-ter,
sentenza 04.01.2012 n. 80 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
L'annullamento di una gara
pubblica, specie se in stato avanzato di
espletamento, implica la frustrazione
dell'affidamento ingenerato in capo ai
partecipanti e, segnatamente,
all'aggiudicatario; ne consegue la
necessità, consacrata dal disposto dell'art.
21-nonies e dell'art. 21-quinquies, l. n.
241 del 1990, della precisa individuazione
della ragione di interesse pubblico che
giustifichi il provvedimento di secondo
grado reso in autotutela e del rispetto dei
principi in tema di giusto procedimento.
Infatti, il provvedimento di annullamento di
una gara d’appalto va considerato
illegittimo se si limita a richiamare la
sussistenza di errori e discrepanze della
procedura concorsuale, senza evidenziarli in
modo puntuale, e, soprattutto, senza
motivare in modo idoneo in merito alla loro
incidenza negativa sul corretto dispiegarsi
della procedura di gara; ciò in quanto è
necessario che il provvedimento adottato in
autotutela indichi puntualmente la natura,
la gravità e l’incidenza delle anomalie che,
alla luce della comparazione dell’interesse
pubblico con le contrapposte posizioni
consolidatesi in capo alle ditte
partecipanti alla procedura, impone
l’annullamento integrale degli atti di gara.
---------------
La clausola del bando integrale di gara,
secondo la quale “la Stazione Appaltante si
riserva di differire, spostare o revocare il
presente procedimento di gara senza alcun
diritto dei concorrenti a rimborsi spese o
quant’altro” deve considerarsi nulla, ai
sensi dell'art. 1355 c.c. (condizione
meramente potestativa), poiché subordina
qualsiasi responsabilità
dell'Amministrazione alla mera volontà
dell'Amministrazione medesima.
Da una parte, la scelta di procedere al
ritiro degli atti di gara deve ritenersi
sempre sindacabile in sede giurisdizionale
(avuto riguardo, peraltro, ai principi e
alle regole contenute nella legge n.
241/1990 e nel d.lgs. n. 163/2006, che
disciplinano il potere di autotutela) e,
dall’altra, non risulta consentito rendere
vana la tutela offerta al soggetto
pregiudicato da atti amministrativi
prescrivendo l’impossibilità di chiedere il
risarcimento del danno o l’indennizzo in
conseguenza di provvedimenti di autotutela
che dovessero rivelarsi illegittimi.
La giurisprudenza ha affermato che
l'annullamento di una gara pubblica, specie
se in stato avanzato di espletamento,
implica la frustrazione dell'affidamento
ingenerato in capo ai partecipanti e,
segnatamente, all'aggiudicatario; ne
consegue la necessità, consacrata dal
disposto dell'art. 21-nonies e dell'art.
21-quinquies, l. n. 241 del 1990, della
precisa individuazione della ragione di
interesse pubblico che giustifichi il
provvedimento di secondo grado reso in
autotutela e del rispetto dei principi in
tema di giusto procedimento (TAR Campania
Napoli, sez. I, 18.03.2011, n. 1500; Cons.
Stato, sez. V, n. 01.10.2010, n. 7273).
Infatti, il provvedimento di annullamento di
una gara d’appalto va considerato
illegittimo se si limita a richiamare la
sussistenza di errori e discrepanze della
procedura concorsuale, senza evidenziarli in
modo puntuale, e, soprattutto, senza
motivare in modo idoneo in merito alla loro
incidenza negativa sul corretto dispiegarsi
della procedura di gara; ciò in quanto è
necessario che il provvedimento adottato in
autotutela indichi puntualmente la natura,
la gravità e l’incidenza delle anomalie che,
alla luce della comparazione dell’interesse
pubblico con le contrapposte posizioni
consolidatesi in capo alle ditte
partecipanti alla procedura, impone
l’annullamento integrale degli atti di gara
(Cons. Stato, sez. V, 07.01.2009, n. 17).
---------------
Va verificata,
infine, la possibilità della Stazione
appaltante di agire in via di autotutela
avvalendosi della clausola di cui art. 25,
lett. p), del bando integrale di gara,
secondo la quale “la Stazione Appaltante
si riserva di differire, spostare o revocare
il presente procedimento di gara senza alcun
diritto dei concorrenti a rimborsi spese o
quant’altro”.
Sulla base di tale clausola, la Regione
Lazio avrebbe potuto decidere di revocare
motivatamente la procedura di gara, mentre
ha scelto di disporre un annullamento
d’ufficio della procedura ad evidenza
pubblica deducendo genericamente la presenza
di vizi di legittimità.
Se, invece, si volesse ritenere che tale
clausola attribuiva all’Amministrazione un
insindacabile (da parte dei concorrenti)
potere di scelta in ordine alle sorti della
procedura ad evidenza pubblica, allora se ne
dovrebbe affermare l’invalidità in quanto,
da una parte, la scelta di procedere al
ritiro degli atti di gara deve ritenersi
sempre sindacabile in sede giurisdizionale
(avuto riguardo, peraltro, ai principi e
alle regole contenute nella legge n.
241/1990 e nel d.lgs. n. 163/2006, che
disciplinano il potere di autotutela) e,
dall’altra, non risulta consentito rendere
vana la tutela offerta al soggetto
pregiudicato da atti amministrativi
prescrivendo l’impossibilità di chiedere il
risarcimento del danno o l’indennizzo in
conseguenza di provvedimenti di autotutela
che dovessero rivelarsi illegittimi.
Una clausola del genere, in sostanza, deve
considerarsi nulla, ai sensi dell'art. 1355
c.c. (condizione meramente potestativa),
poiché subordina qualsiasi responsabilità
dell'Amministrazione alla mera volontà
dell'Amministrazione medesima (Cons. Stato,
Sez. V, 07.09.2009 n. 5245; Cass. S.U.
16.10.2007 n. 8951) (TAR
Lazio-Roma, Sez. I-ter,
sentenza 04.01.2012 n. 70 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA: La
previsione dell'indennizzo, in caso di
reiterazione dei vincoli, è doverosa non
solo per i vincoli preordinati all'ablazione
del suolo, ma anche per quelli
"sostanzialmente espropriativi" (secondo la
definizione di cui all'art. 39, comma 1,
d.P.R. 08.06.2001, n. 327), i quali
comportano l'azzeramento del contenuto
economico del diritto di proprietà.
Non possono essere considerati come
vincoli "sostanzialmente espropriativi",
ma costituiscono dei vincoli conformativi,
quelli derivanti da destinazioni
realizzabili anche attraverso l'iniziativa
privata in regime di economia di mercato .
Non sono vincoli "sostanzialmente
espropriativi", ma sono da ritenere
vincoli conformativi, le destinazioni a
parco urbano, a parcheggio e viabilità. Tali
destinazioni, infatti, non comportano
automaticamente l'ablazione dei suoli ed
ammettono, anzi, chiaramente la
realizzazione, anche da parte di privati in
regime di economia di mercato, delle
relative attrezzature destinate all'uso
pubblico. Per tali tipi di destinazione,
conseguentemente, nel caso in cui siano
confermate da un nuovo strumento urbanistico
o da una sua variante generale, non occorre
né la previsione di indennizzo né una
particolare motivazione per giustificare la
loro conferma.
L'art. 2 della legge 19.11.1968 n. 1187
(secondo cui: "le indicazioni di piano
regolatore generale, nella parte in cui
incidono su beni determinati ed assoggettano
i beni stessi a vincoli preordinati
all'espropriazione od a vincoli che
comportino l'inedificabilità, perdono ogni
efficacia qualora entro cinque anni dalla
data di approvazione del piano regolatore
generale non siano stati approvati i
relativi piani particolareggiati od
autorizzati i piani di lottizzazione
convenzionati") si riferisce soltanto alle
fattispecie in cui l'amministrazione
esercita il proprio potere ablativo e non ai
casi in cui essa, così come consentito in
via generale dall'art. 42 Cost., si limita a
conformare il contenuto del diritto di
proprietà, sia pure in modo tale da
diminuire l'utile economico che da un dato
terreno si può in astratto trarre.
Sono vincoli di tipo conformativo
quelli che importano destinazioni, anche di
contenuto specifico, realizzabili ad
iniziativa privata o promiscua, ovvero sia
pubblica sia privata, senza comportare
necessariamente espropriazione o interventi
ad esclusiva iniziativa pubblica, atteso
che, tali vincoli non svuotano di contenuto
il diritto di proprietà, ma si limitano a
imporre al titolare del bene, il quale ne
voglia trarre le relative utilità, di
seguire una data modalità.
Ne deriva che, nel caso di specie, di
destinazione a verde privato, non sussiste
alcuna reiterazione di vincoli espropriativi
e, di conseguenza, l'amministrazione non era
sottoposta ad un particolare dovere
motivazionale.
In ogni caso, sempre a proposito della
motivazione che deve assistere le scelte in
materia di pianificazione urbanistica, va
richiamato l’orientamento giurisprudenziale
consolidato nel senso di ritenere assolto il
suddetto onere facendo riferimento alle
linee guida illustrate nella relazione
generale allo strumento urbanistico, salvo
che si sia in presenza di particolari
condizioni, che consentano di configurare,
in capo al privato, situazioni di
aspettativa qualificata.
Osserva il Collegio come la destinazione a
verde privato impressa al fondo del
ricorrente non comporti un vincolo
preordinato all'esproprio, essendo
espressione della potestà conformativa
propria dello strumento urbanistico che qui
occupa, non soggetta a decadenza, né a
indennizzo.
La motivazione della scelta (a proposito
della necessità di salvaguardare un “polmone
verde”) evoca chiaramente una esigenza di
tutela ambientale sulla quale, come
ricordato da parte resistente, la
giurisprudenza ha ripetutamente affermato
che non è richiesta una motivazione
particolarmente ampia, avuto riguardo al
valore costituzionale dell’ambiente, come
presidiato dall’art. 9 Cost..
La prima questione da affrontare è quella della corretta qualificazione
giuridica del vincolo reiteratamente imposto
sull'area di proprietà del ricorrente.
La giurisprudenza che, dopo la sentenza
della Corte costituzionale n. 179 del 1999,
si è occupata della problematica della
reiterazione dei vincoli decaduti, è
pervenuta all’affermazione di alcuni
principi, che è opportuno richiamare per una
corretta disamina dell’odierna controversia.
In primo luogo, si è ritenuto che la
previsione dell'indennizzo, in caso di
reiterazione dei vincoli, è doverosa non
solo per i vincoli preordinati all'ablazione
del suolo, ma anche per quelli
"sostanzialmente espropriativi" (secondo la
definizione di cui all'art. 39, comma 1, d.P.R.
08.06.2001, n. 327), i quali
comportano l'azzeramento del contenuto
economico del diritto di proprietà.
Non possono essere considerati come vincoli
"sostanzialmente espropriativi", ma
costituiscono dei vincoli conformativi,
quelli derivanti da destinazioni
realizzabili anche attraverso l'iniziativa
privata in regime di economia di mercato .
Non sono vincoli "sostanzialmente
espropriativi", ma sono da ritenere vincoli
conformativi, le destinazioni a parco
urbano, a parcheggio e viabilità. Tali
destinazioni, infatti, non comportano
automaticamente l'ablazione dei suoli ed
ammettono, anzi, chiaramente la
realizzazione, anche da parte di privati in
regime di economia di mercato, delle
relative attrezzature destinate all'uso
pubblico. Per tali tipi di destinazione,
conseguentemente, nel caso in cui siano
confermate da un nuovo strumento urbanistico
o da una sua variante generale, non occorre
né la previsione di indennizzo né una
particolare motivazione per giustificare la
loro conferma (cfr. Consiglio di Stato, Sez. IV - sentenza 01.10.2007 n. 5059; TAR
Veneto, Venezia, 18.04.2011 n. 639; TAR
Lazio, Latina, 20.05.2008 n. 575; TAR
Puglia, Lecce, 07.02.2008 n. 378; TAR
Sicilia, Catania, 15.10.2007 n. 1662).
L'art. 2 della legge 19.11.1968 n.
1187 (secondo cui: "le indicazioni di piano
regolatore generale, nella parte in cui
incidono su beni determinati ed assoggettano
i beni stessi a vincoli preordinati
all'espropriazione od a vincoli che
comportino l'inedificabilità, perdono ogni
efficacia qualora entro cinque anni dalla
data di approvazione del piano regolatore
generale non siano stati approvati i
relativi piani particolareggiati od
autorizzati i piani di lottizzazione
convenzionati") si riferisce soltanto alle
fattispecie in cui l'amministrazione
esercita il proprio potere ablativo e non ai
casi in cui essa, così come consentito in
via generale dall'art. 42 Cost., si limita a
conformare il contenuto del diritto di
proprietà, sia pure in modo tale da
diminuire l'utile economico che da un dato
terreno si può in astratto trarre.
Sono vincoli di tipo conformativo quelli che
importano destinazioni, anche di contenuto
specifico, realizzabili ad iniziativa
privata o promiscua, ovvero sia pubblica sia
privata, senza comportare necessariamente
espropriazione o interventi ad esclusiva
iniziativa pubblica, atteso che, tali
vincoli non svuotano di contenuto il diritto
di proprietà, ma si limitano a imporre al
titolare del bene, il quale ne voglia trarre
le relative utilità, di seguire una data
modalità (cfr. in argomento e in relazione
ad una causa analoga a quella in esame:
TAR Lombardia, Milano, sez. II, 29.01.2009, n. 989, nonché la
giurisprudenza ivi richiamata e, più di
recente, TAR Lombardia Milano, sez. III,
21.12.2010, n. 7636, secondo cui:
“l'individuazione, in sede di pianificazione
urbanistica, delle aree soggette a tale
regime non comporta alcuna reiterazione di
vincoli espropriativi e non impone un
particolare onere motivazionale”, con
l’ulteriore precisazione per cui: “le
destinazioni a parco urbano, a verde urbano,
a verde pubblico, a verde pubblico
attrezzato, a parco giochi e simili si
pongono al di fuori dello schema ablatorio-espropriativo e costituiscono espressione di
potestà conformativa avente validità a tempo
indeterminato, quando lo strumento
urbanistico consente di realizzare tali
previsioni, non già ad esclusiva iniziativa
pubblica, ma ad iniziativa privata o
promiscua pubblico-privata, senza
necessità di ablazione del bene”.
Analogamente cfr. TAR Lombardia, Brescia,
Sez. I, 11.06.2007 n. 507).
Ne deriva che, nel caso di specie, di
destinazione a verde privato, non sussiste
alcuna reiterazione di vincoli espropriativi
e, di conseguenza, l'amministrazione non era
sottoposta ad un particolare dovere
motivazionale.
In ogni caso, sempre a proposito della
motivazione che deve assistere le scelte in
materia di pianificazione urbanistica, va
richiamato l’orientamento giurisprudenziale
consolidato nel senso di ritenere assolto il
suddetto onere facendo riferimento alle
linee guida illustrate nella relazione
generale allo strumento urbanistico, salvo
che si sia in presenza di particolari
condizioni, che consentano di configurare,
in capo al privato, situazioni di
aspettativa qualificata (sulle quali, cfr.,
da ultimo, sentenza TAR Lombardia,
Milano, II, 06.10.2011 n. 2379: che richiama
i casi di: a) superamento degli standard
minimi di cui al d.m. 02.04.1968 — con
l'avvertenza che la motivazione ulteriore va
riferita esclusivamente alle previsioni
urbanistiche complessive di
sovradimensionamento, indipendentemente dal
riferimento alla destinazione di zona di
determinate aree; b) lesione
dell'affidamento qualificato del privato
derivante da convenzioni di lottizzazione,
accordi di diritto privato intercorsi tra il
Comune e i proprietari delle aree, dalle
aspettative nascenti da giudicati di
annullamento di dinieghi di permesso di
costruire o di silenzio-rifiuto su una
domanda di concessione; c) modificazione in
zona agricola della destinazione di un'area
limitata, interclusa da fondi edificati in
modo non abusivo).
Per quanto sin qui evidenziato, osserva il
Collegio come la destinazione a verde
privato impressa al fondo del ricorrente non
comporti un vincolo preordinato
all'esproprio, essendo espressione della
potestà conformativa propria dello strumento
urbanistico che qui occupa, non soggetta a
decadenza, né a indennizzo.
La motivazione della scelta (a proposito
della necessità di salvaguardare un “polmone
verde”) evoca chiaramente una esigenza di
tutela ambientale sulla quale, come
ricordato da parte resistente, la
giurisprudenza ha ripetutamente affermato
che non è richiesta una motivazione
particolarmente ampia, avuto riguardo al
valore costituzionale dell’ambiente, come
presidiato dall’art. 9 Cost. (cfr. Consiglio
di Stato, Sez. IV, 01.02.2001 n.420, ove si
sottolinea la chiara valenza conservativa
dei valori naturalistici della zona
destinata a verde privato, la quale,
“venendo a costituire il polmone
dell'insediamento urbano”, assume per tale
via “la funzione decongestionante e di
contenimento dell'espansione dell'aggregato
urbano”. Analogamente cfr. Consiglio di
Stato, sez. IV, 08.05.2000 n. 2639;
19.01.2000 n. 245; 13.03.1998, n. 431)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 04.01.2012 n. 15 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA: La
più recente impostazione giurisprudenziale è
incline a porre forti limiti alla
configurabilità dell’interesse cd.
strumentale all’impugnazione dello strumento
urbanistico, sul presupposto che, in
subiecta materia, l’interesse al ricorso non
può sostanziarsi in un generico interesse a
una migliore pianificazione dei suoli di
propria spettanza, che in quanto tale non si
differenzia dall’eguale interesse che
quisque de populo potrebbe nutrire.
E’ utile rammentare, al riguardo, anche
l’insegnamento recentemente espresso
dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di
Stato secondo cui: <<…in sé considerata, la
semplice possibilità di ricavare dalla
invocata decisione di accoglimento una
qualche utilità pratica, indiretta ed
eventuale, non dimostra la sussistenza della
posizione legittimante. È forse vero che
l’accertamento di un vantaggio ritraibile
dalla sentenza di annullamento può
costituire, talvolta, un indice della
esistenza di una posizione giuridica
sostanziale attiva, che potrebbe attribuire
la legittimazione al ricorso. Questa
circostanza spiega perché, tra gli
interpreti …sia presente un filone
ricostruttivo che tende ad attenuare, se non
ad annullare, la differenza tra la
legittimazione e l’interesse al ricorso.
Tuttavia, in linea generale, il possibile
vantaggio ottenibile dalla pronuncia di
annullamento non risulta affatto idoneo a
determinare, da solo, il riconoscimento di
una situazione differenziata, fondante la
legittimazione al ricorso. In particolare, a
tale fine risulta del tutto insufficiente il
riferimento a una utilità meramente
ipotetica o eventuale, che richiede, per la
sua compiuta realizzazione, come avviene
nella vicenda in esame, il passaggio
attraverso una pluralità di fasi e di atti
ricadenti nella sfera della più ampia
disponibilità dell’amministrazione.
In altri termini, ai fini della
legittimazione al ricorso, l’asserito valore
sintomatico derivante dal riscontro fattuale
della "utilità pratica" della decisione di
accoglimento presenta un risalto del tutto
marginale, in assenza di ulteriori,
convergenti, dati significativi>>.
L’esponente
lamenta, in sostanza, l’illegittimità della
scelta dell’amministrazione di avvalersi
della procedura semplificata in assenza dei
relativi presupposti.
Si tratta, com’è evidente, di censure che,
ove ritenute fondate, sarebbero idonee a
travolgere l’intero strumento urbanistico
(variante) in contestazione, per cui
s’impone al Collegio la preliminare verifica
in termini di ammissibilità del motivo così
dedotto, sotto il profilo dell’interesse al
ricorso.
Ciò, alla luce della più recente
impostazione giurisprudenziale, incline a
porre forti limiti alla configurabilità
dell’interesse cd. strumentale
all’impugnazione dello strumento
urbanistico, sul presupposto che, in
subiecta materia, l’interesse al ricorso non
può sostanziarsi in un generico interesse a
una migliore pianificazione dei suoli di
propria spettanza, che in quanto tale non si
differenzia dall’eguale interesse che quisque de populo potrebbe nutrire (cfr.
Consiglio di Stato 12.01.2011 n. 133; id.
12.10.2010 n. 7439; 13.07.2010 n. 4542;
06.05.2010 n. 2629).
E’ utile rammentare, al riguardo, anche
l’insegnamento recentemente espresso
dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di
Stato (cfr. decisione del 07.04.2011
n.b4), secondo cui: <<…in sé considerata, la
semplice possibilità di ricavare dalla
invocata decisione di accoglimento una
qualche utilità pratica, indiretta ed
eventuale, non dimostra la sussistenza della
posizione legittimante. È forse vero che
l’accertamento di un vantaggio ritraibile
dalla sentenza di annullamento può
costituire, talvolta, un indice della
esistenza di una posizione giuridica
sostanziale attiva, che potrebbe attribuire
la legittimazione al ricorso. Questa
circostanza spiega perché, tra gli
interpreti …sia presente un filone
ricostruttivo che tende ad attenuare, se non
ad annullare, la differenza tra la
legittimazione e l’interesse al ricorso.
Tuttavia, in linea generale, il possibile
vantaggio ottenibile dalla pronuncia di
annullamento non risulta affatto idoneo a
determinare, da solo, il riconoscimento di
una situazione differenziata, fondante la
legittimazione al ricorso. In particolare, a
tale fine risulta del tutto insufficiente il
riferimento a una utilità meramente
ipotetica o eventuale, che richiede, per la
sua compiuta realizzazione, come avviene
nella vicenda in esame, il passaggio
attraverso una pluralità di fasi e di atti
ricadenti nella sfera della più ampia
disponibilità dell’amministrazione.
In altri termini, ai fini della
legittimazione al ricorso, l’asserito valore
sintomatico derivante dal riscontro fattuale
della "utilità pratica" della decisione di
accoglimento presenta un risalto del tutto
marginale, in assenza di ulteriori,
convergenti, dati significativi>>.
Ebbene, reputa il Collegio che l’utilità
che l’odierno ricorrente aspira a conseguire
dall’annullamento della variante de qua è
“meramente ipotetica ed eventuale”,
richiedendo per la sua compiuta
realizzazione il passaggio attraverso una
rinnovata attività di pianificazione
urbanistica, ricadente nella sfera della più
ampia disponibilità dell’amministrazione.
Non va sottaciuto, infatti, come la
destinazione impressa all’area
dell’esponente con la deliberazione qui
gravata risulti confermativa o, addirittura,
in parte (in relazione all’osservazione
accolta) migliorativa rispetto a quella
preesistente.
Né può dirsi in alcun modo chiarito
dall’esponente come e perché l’adozione
della variante con la procedura semplificata
avrebbe svolto un ruolo decisivo sulle
opzioni relative al regime dei suoli in sua
proprietà (cfr. in caso di censure afferenti
la V.A.S., come tali idonee a travolgere
l’intero piano in caso di accoglimento, le
puntuali osservazioni in tema di
legittimazione e interesse al ricorso
contenute nella recente decisione del
Consiglio di Stato del 12.01.2011 n. 133, ove
si sottolinea la necessità, onde scongiurare
una legitimatio generalis in subjecta
materia, che le determinazioni lesive
fondanti l’interesse al ricorso siano
effettivamente condizionate, ossia
causalmente riconducibili in modo decisivo,
alle preliminari conclusioni raggiunte in
sede di VAS. Analogamente, in relazione a
fattispecie di inammissibilità per difetto
di concretezza e attualità dell’interesse,
cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 29.12.2010, n. 9537; sez. V,
07.09.2009, n. 5244; sez. IV, 22.12.2007, n.
6613; TAR Lombardia, Milano, II, 02.09.2011 n. 2154; id. 08.02.2011
n. 383; TAR Veneto Venezia, sez. III, 16.02.2011, n. 265; TAR Lombardia
Brescia, sez. II, 19.11.2009, n. 2238)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 04.01.2012 n. 15 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il
proprietario di un fondo confinante con
quello interessato dalla costruzione
asseritamente abusiva, vanta una posizione
qualificata e differenziata al corretto
assetto del territorio, a prescindere da
qualsiasi esame sul tipo di lesione che in
concreto sia riconducibile alle opere
compiute.
E’ orientamento giurisprudenziale
consolidato, e condiviso dal collegio
riguardo al caso in esame, quello secondo
cui il proprietario di un fondo confinante
con quello interessato dalla costruzione
asseritamente abusiva, vanta una posizione
qualificata e differenziata al corretto
assetto del territorio, a prescindere da
qualsiasi esame sul tipo di lesione che in
concreto sia riconducibile alle opere
compiute (tra le più recenti, cfr. Cons.
Stato, sez. VI, 10.12.2010, n. 8705; sez. VI,
20.10.2010, n. 7591; sez. IV, 16.03.2010, n.
1535; TAR Campania, Napoli, sez. VII,
15.07.2010, n. 16811)
(TAR
Sicilia-Palermo, Sez. III,
sentenza 04.01.2012 n. 1 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Una ristrutturazione edilizia, e
maggior ragione una manutenzione
straordinaria, postulano necessariamente la
preesistenza di un fabbricato da
ristrutturare -ossia di un organismo
edilizio dotato di mura perimetrali,
strutture orizzontali e copertura-, onde la
ricostruzione su ruderi o su un edificio già
da tempo demolito, anche se soltanto in
parte, costituisce una nuova opera e, come
tale, è soggetta alle comuni regole edilizie
vigenti al momento della riedificazione.
Ne consegue che la ricostruzione di ruderi
deve essere considerata, a tutti gli
effetti, realizzazione di una nuova
costruzione che non può essere equiparata al
recupero edilizio o alla manutenzione
straordinaria non essendoci nulla da
recuperare o manutenere come entità edilizia
esistente e quale unità abitativa e per
simile attività, perciò, deve essere
richiesta apposita concessione edilizia.
Secondo un
costante e consolidato orientamento
giurisprudenziale, una ristrutturazione
edilizia, e maggior ragione una manutenzione
straordinaria, postulano necessariamente la
preesistenza di un fabbricato da
ristrutturare -ossia di un organismo
edilizio dotato di mura perimetrali,
strutture orizzontali e copertura-, onde la
ricostruzione su ruderi o su un edificio già
da tempo demolito, anche se soltanto in
parte, costituisce una nuova opera e, come
tale, è soggetta alle comuni regole edilizie
vigenti al momento della riedificazione
(Cons. Stato, sez. IV, 15.09.2006, n. 5375;
sez. V; 15.04.2004, n. 2142; 29.10.2001, n.
5642; 01.12.1999, n. 2021; 10.03.1997, n.
240).
Ne consegue che la ricostruzione di ruderi
–nel caso di specie, in base alla
documentazione fotografica in atti (vedi
foto nn. 3, 4, 5 e 6 allegate alla perizia
tecnica di parte ricorrente), non esistono
né mura perimetrali portanti, né strutture
orizzontali, né solaio ma, su un unico lato
prospiciente la via, una chiusura di mattoni
e lamiera di, evidente, recente costruzione
e ben distinta dal rudere del preesistente
muro di facciata, quest’ultimo presente in
minima parte ed addossato all’adiacente
edificio posto alla sua destra- deve essere
considerata, a tutti gli effetti,
realizzazione di una nuova costruzione che
non può essere equiparata al recupero
edilizio o alla manutenzione straordinaria
non essendoci nulla da recuperare o
manutenere come entità edilizia esistente e
quale unità abitativa e per simile attività,
perciò, deve essere richiesta apposita
concessione edilizia (TAR
Sicilia-Palermo, Sez. III,
sentenza 04.01.2012 n. 1 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
In caso di ordine di demolizione
delle opere abusive, non è necessaria la
previa comunicazione dell’avvio
procedimentale di cui all’articolo 7 della
legge n. 241 del 1990, trattandosi di atto
dovuto e rigorosamente vincolato; inoltre
l'ordine di demolizione di una opera
edilizia abusiva è sufficientemente motivato
con l’affermazione della accertata abusività
dell'opera stessa e, proprio in quanto atto
vincolato, il suddetto ordine non richiede
una specifica valutazione delle ragioni di
interesse pubblico né una comparazione di
quest'ultimo con gli interessi privati
coinvolti e sacrificati né una motivazione
sulla sussistenza di un interesse pubblico
concreto ed attuale alla demolizione, non
potendo neppure ammettersi l'esistenza di
alcun affidamento tutelabile alla
conservazione di una situazione di fatto
abusiva, che il tempo non può giammai
legittimare.
In caso di ordine di demolizione delle opere
abusive, non è necessaria la previa
comunicazione dell’avvio procedimentale di
cui all’articolo 7 della legge n. 241 del
1990, trattandosi di atto dovuto e
rigorosamente vincolato; inoltre l'ordine di
demolizione di una opera edilizia abusiva è
sufficientemente motivato con l’affermazione
della accertata abusività dell'opera stessa
(Consiglio di Stato, sez. IV, 12.04.2011, n.
2266) e, proprio in quanto atto vincolato,
il suddetto ordine non richiede una
specifica valutazione delle ragioni di
interesse pubblico né una comparazione di
quest'ultimo con gli interessi privati
coinvolti e sacrificati né una motivazione
sulla sussistenza di un interesse pubblico
concreto ed attuale alla demolizione, non
potendo neppure ammettersi l'esistenza di
alcun affidamento tutelabile alla
conservazione di una situazione di fatto
abusiva, che il tempo non può giammai
legittimare (Consiglio di Stato, sez. V,
11.01.2011, n. 79)
(TAR Lazio-Roma, Sez. II-ter,
sentenza 03.01.2012 n. 53 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
L'art. 24 della L. n. 241/1990,
al comma 3, opportunamente esclude
dall'accesso ai documenti amministrativi le
istanze preordinate ad un controllo
generalizzato dell'operato delle pubbliche
amministrazioni. Infatti lo strumento
dell'accesso, postulando a norma dell'art.
22, comma 1, lett. b), "un interesse
concreto e attuale, corrispondente ad una
situazione giuridicamente tutelata e
collegata al documento al quale è richiesto
l'accesso", non è dato in funzione della
tutela di un interesse generico e diffuso
alla conoscenza degli atti amministrativi,
vale a dire a un controllo generalizzato da
parte di chiunque sull'attività
dell'amministrazione, ma alla salvaguardia
di singole posizioni differenziate e
qualificate e correlate a specifiche
situazioni rilevanti per la legge, che vanno
dimostrate dal richiedente che intende
tutelarle.
Deve
ritenersi inapplicabile l'art. 10-bis della
L. n. 241 del 1990 ai procedimenti diretti
ad ottenere l'accesso ad atti, sia in base
all'elemento testuale, in quanto l'elenco
dei procedimenti cui non è applicabile
contenuto in tale disposizione non si
ritiene che abbia carattere di tassatività,
sia in base al dato sistematico, poiché il
procedimento di accesso realizza un
interesse meramente partecipativo,
strumentale alla soddisfazione di un
interesse primario, che non si concilia con
la previsione di una ulteriore fase
subprocedimentale.
Secondo il consolidato orientamento
giurisprudenziale, meticolosamente
richiamato dalle resistenti amministrazioni,
l'art. 24 della L. n. 241/1990, al comma 3,
opportunamente esclude dall'accesso ai
documenti amministrativi le istanze
preordinate ad un controllo generalizzato
dell'operato delle pubbliche
amministrazioni. Infatti lo strumento
dell'accesso, postulando a norma dell'art.
22, comma 1, lett. b), "un interesse
concreto e attuale, corrispondente ad una
situazione giuridicamente tutelata e
collegata al documento al quale è richiesto
l'accesso", non è dato in funzione della
tutela di un interesse generico e diffuso
alla conoscenza degli atti amministrativi,
vale a dire a un controllo generalizzato da
parte di chiunque sull'attività
dell'amministrazione, ma alla salvaguardia
di singole posizioni differenziate e
qualificate e correlate a specifiche
situazioni rilevanti per la legge, che vanno
dimostrate dal richiedente che intende
tutelarle.
Come
costantemente affermato da questo Tribunale
deve ritenersi inapplicabile l'art. 10-bis
della L. n. 241 del 1990 ai procedimenti
diretti ad ottenere l'accesso ad atti, sia
in base all'elemento testuale, in quanto
l'elenco dei procedimenti cui non è
applicabile contenuto in tale disposizione
non si ritiene che abbia carattere di
tassatività, sia in base al dato
sistematico, poiché il procedimento di
accesso realizza un interesse meramente
partecipativo, strumentale alla
soddisfazione di un interesse primario, che
non si concilia con la previsione di una
ulteriore fase subprocedimentale (TAR Lazio
Roma, sez. I, n. 13562/2005; sez. II, n.
71/2008) (TAR
Lazio-Roma, Sez. III,
sentenza 03.01.2012 n. 30 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
INCARICHI PROGETTUALI:
È illegittimo l’affidamento
fiduciario dell’intervento esecutivo al
medesimo progettista dell’intervento
preliminare.
Tale modus operandi è in contrasto con i
principi europei di trasparenza, di
correttezza e di libera concorrenza ed è
stato pertanto stigmatizzato dal TAR
Campania-Napoli, Sez. II, nella
sentenza 03.01.2012 n. 6.
Il Collegio giudicante conforta il proprio
orientamento richiamando in punto di
diritto:
a) la circolare 06.06.2002, n. 8756 della
Presidenza del Consiglio dei ministri -
Dipartimento per le politiche comunitarie
(G.U. n. 178 del 31.07.2002), nel punto
in cui si afferma come le pubbliche
amministrazioni, che intendono stipulare
contratti non regolamentati sul piano
europeo, pur non essendo vincolate da regole
analitiche in punto di pubblicità e di
procedura, siano comunque tenute ad
osservare, alla stregua dei principi di
diritto europeo, criteri di condotta che, in
proporzione alla rilevanza economica della
fattispecie ed alla sua pregnanza sotto il
profilo della concorrenza nel mercato
comune, consentano senza discriminazioni su
base di nazionalità e di residenza, a tutte
le imprese interessate di venire per tempo a
conoscenza dell’intenzione amministrativa di
stipulare il contratto e di giocare le
proprie chances competitive attraverso la
formulazione di un’offerta appropriata;
b) la primauté del diritto europeo ora
cristallizzata dal nuovo testo dell’art.
117, primo
comma, della Costituzione;
c) le determinazioni dell’Autorità di
Vigilanza dei lavori pubblici, nel punto in
cui ha censurato affidamenti di singoli
livelli progettuali, in epoche diverse ed al
medesimo professionista, affidamento che dev’essere
adeguatamente motivato per non risultare un
“frazionamento artificioso”, potenzialmente
elusivo delle regole applicabili
all’affidamento considerato nella sua
globalità (determinazioni
18/2001,
27/2002,
30/2002 e deliberazioni
328/2002 e
176/2003);
d) gli indirizzi espressi dal Consiglio di
Stato che in ripetute occasioni ha escluso
la possibilità per le Amministrazioni
appaltanti di rinegoziare con il soggetto
prescelto come contraente alcune condizioni
di esecuzione dei contratti aggiudicati in
esito a procedure concorsuali.
In
particolare, i giudici di Palazzo Spada
hanno negato la possibilità di modificare
l’oggetto del contratto di affidamento di un
servizio o di una fornitura o della
realizzazione di un’opera, perché vi è
palese violazione delle regole di
concorrenza e parità di condizioni tra i
partecipanti alla gara, concretandosi,
pertanto, un illegittimo esercizio della
funzione amministrativa, in palese contrasto
con le norme in tema di procedure di
evidenza pubblica (cfr. Cons. Stato, sez. V,
sent. 6281/2002; Consiglio di Stato, sez. IV,
sent. n. 1544/2003).
Non si può, in altri termini, alterare il
contesto di rigore e di imparzialità entro
cui, conformemente alla normativa generale e
speciale di riferimento, necessariamente
deve svolgersi la competizione e di cui
resta unicamente garante proprio la stessa
Amministrazione aggiudicatrice.
Pertanto, il conferimento di un ulteriore
incarico professionale di progettazione di
opere pubbliche, mediante affidamento
diretto o fiduciario, c.d. “intuitu personae”,
completamente svincolato da qualsiasi iter
procedimentale, appare in contrasto con i
principi di trasparenza, di correttezza e di
libera concorrenza tra gli operatori, nonché
in contrasto con il Codice dei contratti, di
cui al D.Lgs. 163/2006, che all’art. 91
prevede la regola dell’affidamento
effettuato sulla base di un procedimento di
evidenza pubblica (commento tratto da
www.diritto.it - link a
www.giustizia-amministrativa.it e
www.autoritalavoripubblici.it). |
EDILIZIA PRIVATA: L’annullamento
di ufficio del titolo edilizio presuppone
una congrua motivazione sull’interesse
pubblico attuale e concreto a sostegno
dell’esercizio discrezionale dei poteri di
autotutela, con una adeguata ponderazione
comparativa, che tenga anche conto
dell’interesse dei destinatari dell'atto al
mantenimento delle posizioni, che su di esso
si sono consolidate e del conseguente
affidamento derivante dal comportamento
seguito dall’Amministrazione.
La ricorrente lamenta, con il ricorso in
esame, che l’amministrazione comunale
intimata, dopo averla autorizzata a
ristrutturare il fabbricato di sua proprietà
e dopo che i lavori assentiti si trovavano
in un avanzato stato di esecuzione (essendo
stati realizzati il consolidamento
strutturale dell’immobile, i muri di
contenimento, il completamento del piano
terra e del corpo centrale del fabbricato),
ha disposto, mediante i provvedimenti
impugnati, l’annullamento dei relativi
titoli edilizi e la conseguente demolizione
delle opere realizzate.
La domanda di annullamento proposta con il
ricorso in esame è meritevole di
accoglimento.
Per costante giurisprudenza, infatti, “l’annullamento
di ufficio presuppone una congrua
motivazione sull’interesse pubblico attuale
e concreto a sostegno dell’esercizio
discrezionale dei poteri di autotutela, con
una adeguata ponderazione comparativa, che
tenga anche conto dell’interesse dei
destinatari dell'atto al mantenimento delle
posizioni, che su di esso si sono
consolidate e del conseguente affidamento
derivante dal comportamento seguito
dall’Amministrazione” (cfr., ex
multis, Consiglio di Stato, Sez. IV,
16.04.2010, n. 2178);
Ebbene, deve rilevarsi che nell’impugnato
provvedimento di autotutela non vi è traccia
della richiesta motivazione, tesa a
comparare l’interesse pubblico
all’annullamento dell’atto ampliativo con
l’affidamento maturato dal destinatario in
ordine all’esercizio (già peraltro, nella
specie, ampiamente avvenuto) delle facoltà
con lo stesso attribuite
(TAR Campania-Salerno, Sez. I,
sentenza 03.01.2012 n.
3 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Non è motivo di esclusione
l’espletamento dei sopralluoghi da parte di
soggetti delegati del costituendo R.T.I.,
quando “la “lex specialis” della procedura
aperta in questione non contiene alcuna
precisazione con riguardo alle modalità di
adempimento dell’obbligo di sopralluogo da
parte dei Raggruppamenti Temporanei di
Imprese (già costituiti o costituendi), né
impone a ciascuna impresa da associare la
presentazione delle attestazioni di avvenuto
sopralluogo presso le strutture interessate
dal servizio oggetto di gara, sicché il
difetto di chiarezza degli atti inditivi
impone nel caso di specie un’interpretazione
nel senso del “favor partecipationis”.
La Sezione, invero, ha già avuto modo di
pronunciarsi su di una fattispecie del tutto
analoga con sentenza n. 1880 del 31.10.2011,
in cui si afferma che non è motivo di
esclusione l’espletamento dei sopralluoghi
da parte di soggetti delegati del
costituendo R.T.I., quando “la “lex
specialis” della procedura aperta in
questione (contrariamente a quanto sostenuto
dalla difesa dell’Azienda Sanitaria Locale
resistente) non contiene alcuna precisazione
con riguardo alle modalità di adempimento
dell’obbligo di sopralluogo da parte dei
Raggruppamenti Temporanei di Imprese (già
costituiti o costituendi), né impone a
ciascuna impresa da associare la
presentazione delle attestazioni di avvenuto
sopralluogo presso le strutture interessate
dal servizio oggetto di gara, sicché il
difetto di chiarezza degli atti inditivi
impone nel caso di specie un’interpretazione
nel senso del “favor partecipationis”
(Cfr: Consiglio di Stato, V Sezione,
11.01.2011, n. 78; 12.07.2010, n. 4474;
09.12.2008, n. 6057)”
(TAR Puglia-Lecce, Sez. II,
sentenza 02.01.2012 n. 12 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: L'individuazione
dell'area di pertinenza della "res abusiva"
deve compiersi al momento dell'emanazione
del provvedimento con il quale viene
accertata l'inottemperanza e con cui si
procede all'acquisizione gratuita del bene
al patrimonio del Comune, ai sensi dell'art.
7 della legge 28.02.1985 n. 47, indicazione
che deve, quindi, essere contenuta nell'atto
d'acquisizione, a pena d'illegittimità di
quest'ultimo, costituendo esso titolo per
l'immissione in possesso dell'opera e per la
trascrizione nei registri immobiliari.
L’esigenza di procedere all’esatta
individuazione dell’area privata da
acquisire gratuitamente al patrimonio
pubblico è dettata dal fatto che,
trattandosi di una misura sanzionatoria che
incide sul diritto di proprietà ovvero su un
diritto costituzionalmente garantito, è
necessario il rispetto delle garanzie anche
formali dettate da norme di relazione che
regolano i rapporti tra il potere pubblico
ed i diritti di cui sono titolari i soggetti
privati.
E' noto l’orientamento giurisprudenziale
secondo cui l'individuazione dell'area di
pertinenza della "res abusiva" deve
compiersi al momento dell'emanazione del
provvedimento con il quale viene accertata
l'inottemperanza e con cui si procede
all'acquisizione gratuita del bene al
patrimonio del Comune, ai sensi dell'art. 7
della legge 28.02.1985 n. 47, indicazione
che deve, quindi, essere contenuta nell'atto
d'acquisizione, a pena d'illegittimità di
quest'ultimo, costituendo esso titolo per
l'immissione in possesso dell'opera e per la
trascrizione nei registri immobiliari (cfr,
per tutte, TAR Campania, sez. IV,
21.09.2002, n. 5429).
Nel caso di specie, non risulta che
l’amministrazione resistente abbia proceduto
all’esatta individuazione dell’area da
acquisire al patrimonio in quanto, come
affermato e provato dalla parte ricorrente e
non smentito dall’amministrazione
resistente, le particelle indicate nel
provvedimento impugnato non corrispondevano
ai frazionamenti intervenuti nel tempo (e
che avevano assegnato una numerazione
diversa all’area di che trattasi, facendo
diventare non più attuale l’indicazione
delle particelle nn. 666 e n. 1164 del
foglio n. 1125), con ciò determinando
incertezza sulla individuazione del bene
immobile da sottrarre alla titolarità della
parte ricorrente.
L’esigenza di procedere all’esatta
individuazione dell’area privata da
acquisire gratuitamente al patrimonio
pubblico è dettata dal fatto che,
trattandosi di una misura sanzionatoria che
incide sul diritto di proprietà ovvero su un
diritto costituzionalmente garantito, è
necessario il rispetto delle garanzie anche
formali dettate da norme di relazione che
regolano i rapporti tra il potere pubblico
ed i diritti di cui sono titolari i soggetti
privati
(TAR Lazio-Roma, Sez. II-ter,
sentenza 02.01.2012 n. 9 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA
- COMPETENZE GESTIONALI:
La competenza ad emettere
l'ordinanza di rimozione dei rifiuti in
un'area interessata da deposito abusivo
spetta al dirigente dell'ufficio tecnico a
ciò proposto.
Anche a voler aderire all’orientamento che
reputa competente il sindaco all’adozione di
siffatto tipo di ordinanze, nel caso di
specie, trattandosi –a ben vedere– di un
provvedimento vincolato (che
l’Amministrazione Comunale adotta una volta
accertati i presupposti indicati dalla
legge, non essendo prevista alcuna
valutazione comparativa di interessi), trova
applicazione l’art. 21-octies, comma 2,
della legge n. 241/1990, secondo cui l’atto
impugnato non è comunque annullabile per il
vizio in esame quando il suo contenuto
dispositivo non avrebbe potuto essere
diverso da quello in concreto adottato.
---------------
I presupposti per poter emettere l’ordine di
rimozione di cui all'art. 192, comma 3, del
d.lgs. n. 152/2006 sono da ravvisare
nell’esistenza di un rapporto, anche di mero
fatto, tra il bene immobile oggetto
dell’illecito abbandono di rifiuti ed il
destinatario dell’ordine predetto, nonché
nell’imputabilità a quest’ultimo della
relativa responsabilità a titolo di dolo o
colpa.
Costituisce un’ipotesi di colpa ai sensi
dell'art. 192 del d.lgs. n. 152 del 2006,
anche l’atteggiamento omissivo del
proprietario che non predispone le cautele
necessarie ad evitare il danno (omessa
recinzione del suolo, omessa denuncia
all'autorità, ecc.), di per sé atto ad
escludere il configurarsi di una
responsabilità oggettiva.
La censura di incompetenza del dirigente che
ha adottato l’atto impugnato non convince
per due ordini di ragioni.
In primo luogo, il Collegio, pur consapevole
del fatto che non mancano pronunce
contrastanti sul punto, ritiene di dover
aderire all’orientamento giurisprudenziale
secondo cui la competenza ad emettere
l'ordinanza di rimozione dei rifiuti in
un'area interessata da deposito abusivo
spetta al dirigente dell'ufficio tecnico a
ciò proposto (Cons. Stato, sez. V,
12.06.2009, n. 3765; TAR Sardegna, sez. II,
04.11.2009, n. 1598).
In secondo luogo, anche a voler aderire
all’orientamento che reputa competente il
sindaco all’adozione di siffatto tipo di
ordinanze, nel caso di specie, trattandosi
–a ben vedere– di un provvedimento vincolato
(che l’Amministrazione Comunale adotta una
volta accertati i presupposti indicati dalla
legge, non essendo prevista alcuna
valutazione comparativa di interessi), trova
applicazione l’art. 21-octies, comma 2,
della legge n. 241/1990, secondo cui l’atto
impugnato non è comunque annullabile per il
vizio in esame quando il suo contenuto
dispositivo non avrebbe potuto essere
diverso da quello in concreto adottato.
---------------
L’art. 192, comma 3, del d.lgs. n. 152/2006
stabilisce che “fatta salva
l'applicazione della sanzioni di cui agli
articoli 255 e 256, chiunque viola i divieti
di cui ai commi 1 e 2 è tenuto a procedere
alla rimozione, all'avvio a recupero o allo
smaltimento dei rifiuti ed al ripristino
dello stato dei luoghi in solido con il
proprietario e con i titolari di diritti
reali o personali di godimento sull'area, ai
quali tale violazione sia imputabile a
titolo di dolo o colpa, in base agli
accertamenti effettuati, in contraddittorio
con i soggetti interessati, dai soggetti
preposti al controllo”.
I presupposti per poter emettere l’ordine di
rimozione di cui alla citata norma, quindi,
sono da ravvisare nell’esistenza di un
rapporto, anche di mero fatto, tra il bene
immobile oggetto dell’illecito abbandono di
rifiuti ed il destinatario dell’ordine
predetto, nonché nell’imputabilità a
quest’ultimo della relativa responsabilità a
titolo di dolo o colpa.
Al riguardo, si cita una pronuncia della
Cassazione Penale, secondo cui costituisce
un’ipotesi di colpa ai sensi dell'art. 192
del d.lgs. n. 152 del 2006, anche
l’atteggiamento omissivo del proprietario
che non predispone le cautele necessarie ad
evitare il danno (omessa recinzione del
suolo, omessa denuncia all'autorità, ecc.),
di per sé atto ad escludere il configurarsi
di una responsabilità oggettiva (Cassazione
penale, sez. III, 11.03.2008, n. 14747)
(TAR Puglia-Lecce, Sez. II,
sentenza
02.01.2012 n. 6 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Bando
annullato, spese rimborsate. Cds:
è legittima l'autotutela dell'ente.
Bando di gara annullato dopo
l'aggiudicazione: l'Ati perdente è
rimborsata delle spese di partecipazione.
Legittima l'autotutela dell'ente se le
prescrizioni sono «ambigue», ma scatta il
danno da responsabilità precontrattuale.
È
quanto emerge dalla
sentenza
30.12.2011 n. 7000 della V Sez. del Consiglio di stato.
Il bando si rivela «ambiguo» soltanto dopo
l'aggiudicazione dell'appalto: è l'Ati
perdente che solleva la questione, con
fondati motivi, evidenziando come non sia
chiaro se i materiali dell'opera siano
fungibili o meno. E deve essere risarcita
del danno per le spese sostenute per la
partecipazione alla gara, mentre la perdita
di chance non scatta unicamente perché
l'azienda non riesce a dimostrare di aver
dovuto rinunciare ad altri contratti per
colpa della stazione appaltante, che si è
«rimangiata» il progetto.
Progettista incerto. Con quale materiale
devono essere realizzati i tubi per
convogliare l'acqua piovana? Non lo sa
neppure il comune che ha realizzato il
progetto per la costruzione delle condotte.
Ad aprire il fronte è l'Ati che ha perso la
gara: l'aggiudicataria -è la censura- ha
vinto perché ha proposto una variante
progettuale, evidentemente più economica, ma
non consentita. Il dubbio viene alla stessa
stazione appaltante, che pure ha provveduto
nel frattempo ad assegnare l'opera:
l'incertezza è oggettiva, non resta che
annullare gli atti di gara.
L'autotutela
risulta sì legittima, ma non esclude di per
sé il risarcimento all'impresa che ha
partecipato alla procedura. L'Ati perdente
ha riposto affidamento nel bando, che invece
non chiarisce se il materiale delle
tubazioni sia o no un elemento fondamentale
e imprescindibile dell'opera.
Sarà il
progettista, spiega il comune dopo
l'annullamento, a doversi schiarire le idee
e a dover chiarire la questione della
fungibilità: intanto l'Ati ottiene un
risarcimento di oltre 43 mila euro, relativo
ai costi sostenuti per la redazione
dell'offerta e per la partecipazione alla
gara; si tratta delle spese di
progettazione, consulenza, rilievi, analisi
prezzi, riepilogo dei versamenti per il
contributo all'Autorità di vigilanza sui
contratti pubblici di lavori, oltre che
servizi e forniture, per la polizza
fideiussoria, valori bollati e per servizi
(articolo ItaliaOggi
Sette del 03.01.2011). |
AMBIENTE-ECOLOGIA: L’art.
192 del D.Lgs. 156/2006, dopo aver posto il
divieto di abbandono e deposito di rifiuti
sui fondi, stabilisce che della condotta
vietata risponde –in solido con l’autore
materiale, anche– il proprietario dell’area,
o il titolare di diritto reale o personale
di godimento, al quale l’azione sia
addebitabile a titolo di dolo o colpa. La
giurisprudenza individua poi il coefficiente
della colpa, sotto il profilo della
violazione dei doveri di efficace protezione
e custodia del bene, anche nella ipotesi in
cui il proprietario abbia omesso di adottare
gli accorgimenti necessari affinché nessuno
potesse introdursi nel fondo ed esercitarvi
l’attività vietata dalla norma.
---------------
Qualora non sia stata né accertata, né
tantomeno dimostrata la sussistenza
dell'elemento psicologico (ossia almeno la
colpa), in difetto quindi di accertato
concorso con il terzo autore dell'illecito
di una condotta colpevole del proprietario
del fondo, non è dato ricavare alcuna sua
responsabilità per la bonifica da
effettuare, per cui è illegittima
l'ordinanza di bonifica emessa unicamente
sul rilievo dell'appartenenza del bene
interessato.
Peraltro, la ricerca di un necessario
criterio di imputazione della responsabilità
in capo al proprietario del fondo, che vada
al di là della mera titolarità giuridica del
bene, risulta perfettamente in linea col
principio di derivazione comunitaria secondo
cui “chi inquina paga”, espresso nell’art.
191, par. 2 del Trattato UE, indubbiamente
recepito anche nel D.Lgs. 156/2006.
La responsabilità dei proprietari del
terreno deve essere “(…) a loro imputabile a
titolo di dolo o colpa, in base agli
accertamenti effettuati, in contraddittorio
con i soggetti interessati, dai preposti al
controllo”.
Va premesso che l’art. 192 del D.Lgs.
156/2006, dopo aver posto il divieto di
abbandono e deposito di rifiuti sui fondi,
stabilisce che della condotta vietata
risponde –in solido con l’autore materiale,
anche– il proprietario dell’area, o il
titolare di diritto reale o personale di
godimento, al quale l’azione sia
addebitabile a titolo di dolo o colpa (in
questo senso v. Cons. Stato, V, 807/2008;
Cons. Stato, IV, 84/2010; Tar Firenze
663/2009; Tar Catanzaro 1118/2009). La
giurisprudenza individua poi il coefficiente
della colpa, sotto il profilo della
violazione dei doveri di efficace protezione
e custodia del bene, anche nella ipotesi in
cui il proprietario abbia omesso di adottare
gli accorgimenti necessari affinché nessuno
potesse introdursi nel fondo ed esercitarvi
l’attività vietata dalla norma (cfr. Cass.,
SS.UU., 4472/2009).
Sebbene il Collegio conosca –e condivide –
la citata giurisprudenza, ispirata
dall’intento di massimizzare la tutela
ambientale, non può non essere rilevato il
fatto che -nel caso in esame-
l’accertamento della condotta asseritamente
colposa della ricorrente non sia stato
assolutamente eseguito dall’amministrazione
resistente. Nel provvedimento impugnato,
infatti, l’addebito di responsabilità viene
effettuato, non per la violazione di un
obbligo di custodia (profilo che non risulta
affatto indagato o chiarito dalla PA), ma in
base al riscontro della mera titolarità
dominicale del fondo. Si legge, infatti,
nell’atto impugnato che “gli autori della
violazione sono ignoti, mentre la proprietà
dell’area è ascrivibile (…) alla Rete
Ferroviaria Italiana per il relitto della
linea ferrata dimessa adiacente la Strada
Provinciale S.P. n. 4 al Km 7,000”.
L’illegittimità di siffatto corto-circuito
interpretativo è già stata, in precedenza,
evidenziata dalla giurisprudenza che ha
precisato “qualora non sia stata né
accertata, né tantomeno dimostrata la
sussistenza dell'elemento psicologico (ossia
almeno la colpa), in difetto quindi di
accertato concorso con il terzo autore
dell'illecito di una condotta colpevole del
proprietario del fondo, non è dato ricavare
alcuna sua responsabilità per la bonifica da
effettuare, per cui è illegittima
l'ordinanza di bonifica emessa unicamente
sul rilievo dell'appartenenza del bene
interessato” (Tar Catanzaro, 1118/2009;
negli stessi termini, Tar Firenze
1524/2010).
Peraltro, la ricerca di un necessario
criterio di imputazione della responsabilità
in capo al proprietario del fondo, che vada
al di là della mera titolarità giuridica del
bene, risulta perfettamente in linea col
principio di derivazione comunitaria secondo
cui “chi inquina paga”, espresso
nell’art. 191, par. 2 del Trattato UE,
indubbiamente recepito anche nel D.Lgs.
156/2006 (così, Tar Catania 1254/2007).
In conclusione, nel caso in esame,
l’individuazione del titolo di imputazione
della società ricorrente risulta essere
fatta dalla difesa dell’ente convenuto, in
sede processuale, e non dalla PA procedente,
che invece avrebbe dovuto preventivamente
accertare, in contraddittorio, l’esistenza
di un presupposto fondamentale richiesto
dalla legge ai fini della qualificazione
della condotta, e per il conseguente
esercizio del potere repressivo/ripristinatorio
contemplato dalla disposizione normativa
applicata. La giurisprudenza del Consiglio
di Stato (sentenza sez. V, n. 4073/2010) ha
precisato, infatti, che la responsabilità
dei proprietari del terreno deve essere “(…)
a loro imputabile a titolo di dolo o colpa,
in base agli accertamenti effettuati, in
contraddittorio con i soggetti interessati,
dai preposti al controllo”.
In altri termini, al di là delle unilaterali
affermazioni della difesa del Comune, non
risulta essere stato accertato in sede
amministrativa, ed in contraddittorio, se la
ricorrente avesse adottato o meno misure
protettive atte ad impedire l’invasione del
terreno e l’abbandono di rifiuti
(TAR Sicilia-Catania, Sez. I,
sentenza 30.12.2011 n. 3235 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: L'ingiunzione
a demolire un manufatto abusivo può essere
legittimamente assunta quale presupposto per
i successivi atti della procedura
repressiva, trattandosi di provvedimento
valido ed efficace (cfr. art. 21-quater L.
241/1990), anche ove sia stato impugnato in
sede giurisdizionale, quando l’A.G. non lo
abbia sospeso o annullato.
---------------
L’accertamento dell’inottemperanza
all’ingiunzione a demolire ha il solo scopo
di verificare l’adempimento della parte
intimata rispetto al termine assegnato; in
caso di inerzia rispetto all’intimata
demolizione si verifica ope legis
l’acquisizione del bene al patrimonio
comunale.
Di fronte a questa sequenza procedimentale,
allora, l’unico intervento in funzione
dialettica che la parte può validamente
effettuare è quello volto a dimostrare che,
contrariamente a quanto ritenuto dall’ente
pubblico, la demolizione sia stata
effettivamente realizzata dal destinatario
del provvedimento (nessuna altro tipo di
censura o obiezione può essere introdotta in
quella sede).
Ove ciò non venga dimostrato l’eventuale
vizio procedimentale risiedente nella omessa
o inesatta notificazione dell’accertamento
di inottemperanza costituirebbe una
irregolarità non invalidante, ai sensi
dell’art. 21-octies L. 241/1990, in quanto
il provvedimento non potrebbe assumere un
diverso contenuto: id est, non potrebbe
scongiurare l’effetto acquisitivo prodottosi
ex lege, né l’idoneità dell’accertamento a
fondare l’immissione in possesso.
Un provvedimento amministrativo (nella
fattispecie, ingiunzione a demolire un
manufatto abusivo) può essere legittimamente
assunto quale presupposto per i successivi
atti della procedura repressiva, trattandosi
di provvedimento valido ed efficace (cfr.
art. 21-quater L. 241/1990), anche ove sia
stato impugnato in sede giurisdizionale,
quando l’A.G. non lo abbia sospeso o
annullato.
---------------
Sotto il
profilo della possibile partecipazione
dell’avente diritto al procedimento di
repressione dell’abuso, va precisato che
l’accertamento dell’inottemperanza
all’ingiunzione a demolire ha il solo scopo
di verificare l’adempimento della parte
intimata rispetto al termine assegnato; in
caso di inerzia rispetto all’intimata
demolizione si verifica ope legis
l’acquisizione del bene al patrimonio
comunale.
Di fronte a questa sequenza procedimentale,
allora, l’unico intervento in funzione
dialettica che la parte può validamente
effettuare è quello volto a dimostrare che,
contrariamente a quanto ritenuto dall’ente
pubblico, la demolizione sia stata
effettivamente realizzata dal destinatario
del provvedimento (nessuna altro tipo di
censura o obiezione può essere introdotta in
quella sede).
Ove ciò non venga dimostrato l’eventuale
vizio procedimentale risiedente nella omessa
o inesatta notificazione dell’accertamento
di inottemperanza costituirebbe una
irregolarità non invalidante, ai sensi
dell’art. 21-octies L. 241/1990, in quanto
il provvedimento non potrebbe assumere un
diverso contenuto: id est, non
potrebbe scongiurare l’effetto acquisitivo
prodottosi ex lege, né l’idoneità
dell’accertamento a fondare l’immissione in
possesso (TAR
Sicilia-Catania, Sez. I,
sentenza 30.12.2011 n. 3234 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
questione in esame (ndr: l'impugnazione del
provvedimento con il quale l’Ufficio del
Genio civile di Siracusa ha ordinato la
parziale demolizione di un immobile, già
oggetto di sanatoria edilizia concessa nel
1991, in quanto ricadente all’interno della
fascia di rispetto di 10 metri dall’argine
del fiume Gioi, come stabilita dagli artt.
93 e 96, lett. f, del T.U. approvato con
R.D. 523/1904) rientra nella giurisdizione
del Tribunale Superiore delle acque
pubbliche (TSAP) ove si consideri che è
stato impugnato per vizi tipici di
legittimità dell’atto amministrativo un
provvedimento definitivo adottato
dall’amministrazione a tutela delle acque
pubbliche, ed in particolare al fine di
garantire l’intangibilità della fascia di
rispetto del fiume normativamente
individuata (cfr. art. 143, lett. a).
La soluzione non cambia –ma, anzi, ne esce
confermata– ove si voglia inquadrare il
provvedimento impugnato fra quelli adottati
dal Genio civile ai sensi dell’art. 221 del
R.D. 1775/1993 per ordinare la riduzione in
pristino a seguito di contravvenzione alle
norme del T.U. che abbia determinato
l’alterazione dello stato delle cose. Ed
infine, la giurisdizione del T.S.A.P. emerge
anche sulla base di quanto prevede l’art. 2
del R.D. 523/1904 con riguardo al potere
della PA di “(…) statuire e provvedere,
anche in caso di contestazione, sulle opere
di qualunque natura, (…), che possono aver
relazione col buon regime delle acque
pubbliche”.
---------------
La giurisprudenza più recente avalla la
sussistenza della giurisdizione del T.S.A.P.
in casi come quello in esame, allorquando fa
leva sui provvedimenti amministrativi che,
sebbene non costituiscano esercizio di un
potere propriamente attinente alla materia
delle acque pubbliche, pure riguardino
l'utilizzazione del demanio idrico,
incidendo in maniera diretta e immediata sul
regime delle acque (Cass., sez. un.
9149/2009, relativa a fattispecie in cui era
stato impugnato il diniego di rilascio della
concessione per la costruzione di un
fabbricato sito nelle adiacenze del fiume
Piave, in area da considerare esondabile).
Analogamente, in una vicenda ancora più
simile a quella in esame, è stata ritenuta
sussistente la giurisdizione del Tribunale
Superiore delle acque pubbliche sulla “(…)
controversia relativa al diniego di rilascio
di concessione in sanatoria, opposto
dall'autorità comunale in ragione
dell'edificazione dell'immobile da condonare
in violazione della fascia di rispetto di 10
metri dal piede dell'argine, ai sensi
dell'art. 96, lett. f), del r.d. 25.07.1904,
n. 523; detto provvedimento, infatti,
ancorché emanato da un'autorità diversa da
quelle specificamente preposte alla tutela
delle acque, incide direttamente sul
regolare regime delle acque pubbliche, la
cui tutela ha carattere inderogabile in
quanto informata alla ragione pubblicistica
di assicurare la possibilità di sfruttamento
delle acque demaniali e il libero deflusso
delle acque scorrenti dei fiumi, torrenti,
canali e scolatoi pubblici”.
Il R.D. 1775/1933, recante Testo
unico delle disposizioni di legge sulle
acque e impianti elettrici, stabilisce
le competenze giurisdizionali del Tribunale
delle Acque Pubbliche.
In particolare, per l’art. 140 del suddetto
T.U. “Appartengono in primo grado alla
cognizione dei Tribunali delle acque
pubbliche: a) le controversie intorno alla
demanialità delle acque; b) le controversie
circa i limiti dei corsi o bacini, loro
alvei e sponde; c) le controversie, aventi
ad oggetto qualunque diritto relativo alle
derivazioni e utilizzazioni di acqua
pubblica; d) le controversie di qualunque
natura, riguardanti la occupazione totale o
parziale, permanente o temporanea di fondi e
le indennità previste dall'art. 46 della L.
25.06.1865, n. 2359, in conseguenza
dell'esecuzione o manutenzione di opere
idrauliche, di bonifica e derivazione
utilizzazione delle acque. Per quanto
riguarda la determinazione peritale
dell'indennità prima dell'emissione del
decreto della espropriazione resta fermo il
disposto dell'art. 33 della presente legge;
e) le controversie per risarcimenti di danni
dipendenti da qualunque opera eseguita dalla
pubblica amministrazione e da qualunque
provvedimento emesso dall'autorità
amministrativa a termini dell'art. 2 del
T.U. 25.07.1904, n. 523 , modificato con
l'art. 22 della L. 13.07.1911, n. 774; f) i
ricorsi previsti dagli artt. 25 e 29 del
testo unico delle leggi sulla pesca
approvato con R.D. 08.10.1931, n. 1604;”,
mentre per il successivo art. 143 “Appartengono
alla cognizione diretta del Tribunale
Superiore delle acque pubbliche: a) i
ricorsi per incompetenza, per eccesso di
potere e per violazione di legge avverso i
provvedimenti definitivi presi
dall'amministrazione in materia di acque
pubbliche; b) i ricorsi, anche per il
merito, contro i provvedimenti definitivi
dell'autorità amministrativa adottata ai
sensi degli artt. 217 e 221 della presente
legge; nonché contro i provvedimenti
definitivi adottati dall'autorità
amministrativa in materia di regime delle
acque pubbliche ai sensi dell'art. 2 del
testo unico delle leggi sulle opere
idrauliche approvato con R.D. 25.07.1904, n.
523, modificato con l'art. 22 della L.
13.07.1911, n. 774, del R.D. 19.11.1921, n.
1688, e degli artt. 378 e 379 della L.
20.03.1865, n. 2248, all. F; c) i ricorsi la
cui cognizione è attribuita al Tribunale
superiore delle acque dalla presente legge e
dagli artt. 23, 24, 26 e 28 del testo unico
delle leggi sulla pesca, approvato con R.D.
08.10.1931, n. 1604 .(…)”.
La riportata normativa deve essere
evidenziata nella parte in cui (art. 143,
lett. a e b) conferisce giurisdizione al
Tribunale Superiore delle acque pubbliche
con riguardo ai provvedimenti definitivi
presi dall'amministrazione in materia di
acque pubbliche, ai provvedimenti definitivi
dell'autorità amministrativa adottati ai
sensi degli artt. 217 e 221 della legge;
nonché ai provvedimenti definitivi adottati
dall'autorità amministrativa in materia di
regime delle acque pubbliche ai sensi
dell'art. 2 del testo unico delle leggi
sulle opere idrauliche approvato con R.D.
25.07.1904, n. 523.
Anche le ultime due richiamate normative
devono essere allora esaminate, nelle parti
rilevanti ai fini della questione posta:
A) l’art. 217 del T.U. 1775/1933 recita che
“Salvo quanto dispone l'art. 49 della
presente legge, sono opere ed atti che non
si possono eseguire senza speciale
autorizzazione del competente ufficio del
Genio civile e sotto l'osservanza delle
condizioni dal medesimo imposte: (…omissis…)
h) le opere alle sponde dei pubblici corsi
di acqua che possono alterare o modificare
le condizioni delle derivazioni o della
restituzione delle acque derivate”;
B) l’art. 221 del T.U. 1775/1933 prevede che
“Per le contravvenzioni alle norme della
presente legge, che alterano lo stato delle
cose, è riservato all'ingegnere capo
dell'ufficio dei Genio civile la facoltà di
ordinare la riduzione al primitivo stato,
dopo di aver riconosciuta la regolarità
della denuncia. Nei casi di urgenza,
l'ingegnere capo fa eseguire immediatamente
di ufficio i lavori per il ripristino”;
C) il R.D. 523/1904, Testo unico delle
disposizioni di legge intorno alle opere
idrauliche delle diverse categorie,
all’art. 2 stabilisce che “Spetta
esclusivamente alla autorità amministrativa
lo statuire e provvedere, anche in caso di
contestazione, sulle opere di qualunque
natura, e in generale sugli usi, atti o
fatti, anche consuetudinari, che possono
aver relazione col buon regime delle acque
pubbliche, con la difesa e conservazione,
con quello delle derivazioni legalmente
stabilite, e con l'animazione dei molini ed
opifici sovra le dette acque esistenti; e
così pure sulle condizioni di regolarità dei
ripari ed argini od altra opera qualunque
fatta entro gli alvei e contro le sponde.”.
Alla luce dei richiamati referenti
legislativi, allora, è possibile trarre le
prime conclusioni.
Non sussiste, nel caso in esame,
giurisdizione del Tribunale delle acque
pubbliche, inteso quale organo specializzato
della giurisdizione ordinaria (Cass., I,
8239/2002), giacché il suddetto giudice –ai
sensi dell’art. 140 del R.D. 1775/1933– è
competente a conoscere le questioni di
diritti soggettivi inerenti la materia delle
acque pubbliche (ad esempio, controversie
sulla demanialità; sui limiti ed alvei dei
corsi d’acqua; su diritti di uso e
derivazione delle acque; sul risarcimento
dei danni conseguenti alla esecuzione
pubblica di opere idrauliche; ecc.). Nel
caso a mani, invece, il ricorrente vanta una
posizione di interesse legittimo teso a
contestare l’esercizio del potere
pubblicistico di repressione dell’attività
edilizia svolta in prossimità, o in maniera
potenzialmente pregiudizievole, rispetto
alle acque pubbliche.
Astrattamente –in assenza di una norma
specifica– si dovrebbe predicare in materia
la sussistenza della giurisdizione del
giudice amministrativo, quale giudice degli
interessi legittimi, in base al normale
criterio di riparto della giurisdizione
fissato nell’art. 2 della L. 2248/1865 all.
E.
Ma, come detto, è stato istituito un giudice
speciale in materia, da individuare per
mezzo dell’art. 143 del R.D. 1775/1933, in
combinato disposto con l’art. 221 e con
l’art. 2 del R.D. 523/1904.
Alla luce di tali norme di legge –il cui
testo è stato riportato sopra- si può
affermare che la questione in esame rientri
nella giurisdizione del Tribunale Superiore
delle acque pubbliche ove si consideri che è
stato impugnato per vizi tipici di
legittimità dell’atto amministrativo un
provvedimento definitivo adottato
dall’amministrazione a tutela delle acque
pubbliche, ed in particolare al fine di
garantire l’intangibilità della fascia di
rispetto del fiume normativamente
individuata (cfr. art. 143, lett. a).
La soluzione non cambia –ma, anzi, ne esce
confermata– ove si voglia inquadrare il
provvedimento impugnato fra quelli adottati
dal Genio civile ai sensi dell’art. 221 del
R.D. 1775/1993 per ordinare la riduzione in
pristino a seguito di contravvenzione alle
norme del T.U. che abbia determinato
l’alterazione dello stato delle cose. Ed
infine, la giurisdizione del T.S.A.P. emerge
anche sulla base di quanto prevede l’art. 2
del R.D. 523/1904 con riguardo al potere
della PA di “(…) statuire e provvedere,
anche in caso di contestazione, sulle opere
di qualunque natura, (…), che possono aver
relazione col buon regime delle acque
pubbliche”.
E’ evidente che, nel caso trattato, la PA
resistente abbia inteso adottare un
provvedimento direttamente funzionale alla
tutela del corso d’acqua pubblico,
garantendo l’inedificabilità nella fascia di
rispetto di dieci metri normativamente
fissata dall’art. 96 del R.D. 523/1904.
La giurisprudenza più recente avalla la
sussistenza della giurisdizione del T.S.A.P.
in casi come quello in esame, allorquando fa
leva sui provvedimenti amministrativi che,
sebbene non costituiscano esercizio di un
potere propriamente attinente alla materia
delle acque pubbliche, pure riguardino
l'utilizzazione del demanio idrico,
incidendo in maniera diretta e immediata sul
regime delle acque (Cass., sez. un.
9149/2009, relativa a fattispecie in cui era
stato impugnato il diniego di rilascio della
concessione per la costruzione di un
fabbricato sito nelle adiacenze del fiume
Piave, in area da considerare esondabile).
Analogamente, in una vicenda ancora più
simile a quella in esame, è stata ritenuta
sussistente la giurisdizione del Tribunale
Superiore delle acque pubbliche sulla “(…)
controversia relativa al diniego di rilascio
di concessione in sanatoria, opposto
dall'autorità comunale in ragione
dell'edificazione dell'immobile da condonare
in violazione della fascia di rispetto di
dieci metri dal piede dell'argine, ai sensi
dell'art. 96, lett. f), del r.d. 25.07.1904,
n. 523; detto provvedimento, infatti,
ancorché emanato da un'autorità diversa da
quelle specificamente preposte alla tutela
delle acque, incide direttamente sul
regolare regime delle acque pubbliche, la
cui tutela ha carattere inderogabile in
quanto informata alla ragione pubblicistica
di assicurare la possibilità di sfruttamento
delle acque demaniali e il libero deflusso
delle acque scorrenti dei fiumi, torrenti,
canali e scolatoi pubblici” (Cass., sez.
un., 10845/2009).
D’altra parte, anche la giurisprudenza
elaborata dal giudice amministrativo finisce
col rafforzare la tesi qui propugnata, nel
momento in cui ritiene sussistere la
giurisdizione dei TT.AA.RR. nelle
controversie che incidono solo in via “indiretta”
e “mediata” sul regime delle acque
pubbliche (si vedano, al riguardo le
decisioni di Tar Liguria 406/2006; Tar
Basilicata 993/2005; Tar Piemonte 2420/2005,
riguardanti: a) le procedure pubbliche di
selezione del concessionario per la gestione
agricola di un’area di demanio fluviale; b)
la demolizione di un impianto idroelettrico;
c) l’occupazione per la realizzazione di
un’opera pubblica che non incide sul regime
delle acque).
E’ il caso di sottolineare il fatto che, per
contro, la vicenda in esame -come già detto–
investe in via diretta ed immediata la
tutela delle acque pubbliche, sotto lo
specifico aspetto della garanzia riservata a
quel settore di territorio protetto definito
“fascia di rispetto” e connotato da
un regime di inedificabilità (TAR
Sicilia-Catania, Sez. I,
sentenza 30.12.2011 n. 3233 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
VARI: AUTOVELOX/
Sentenza sulle multe. Verbali regolari con lo
specialista.
La presenza di un tecnico in affiancamento
alla polizia municipale costituisce una
ulteriore garanzia di affidabilità
dell'autovelox. E queste considerazioni
valgono anche per l'espletamento delle altre
operazioni come lo sviluppo e la stampa dei
rilievi fotografici.
Lo ha evidenziato la
Corte di Cassazione, Sez. II civ., con la
sentenza 29.12.2011 n. 29388.
Un automobilista ha proposto ricorso contro
una multa accertata dai vigili con il
sistema autovelox preso a noleggio
evidenziando l'ingerenza eccessiva dei
privati nella gestione del procedimento
sanzionatorio. Il giudice di pace ha accolto
le censure mettendo in risalto che il
controllo stradale è stato effettuato senza
garanzie di legalità e obiettività, in
mancanza di revisione periodica dei sistemi
elettronici. La Corte di cassazione ha
bocciato questa interpretazione.
L'assistenza tecnica dell'operatore privato,
specifica la sentenza, limitata
all'installazione e all'impostazione
dell'apparecchiatura secondo le indicazioni
del pubblico ufficiale, non interferisce
sull'attività di accertamento poi
direttamente svolta da quest'ultimo e, anzi,
offre agli utenti della strada nei confronti
dei quali è effettuato il controllo una più
sicura garanzia di precisione nel
funzionamento degli strumenti di rilevazione
ove tenuti sotto sorveglianza da parte di
personale tecnico specializzato.
In buona sostanza il supporto tecnico
fornito dagli ausiliari privati «nelle
fasi di impostazione e installazione degli
apparecchi non pregiudica, ma anzi
costituisce una ulteriore garanzia di
affidabilità dell'accertamento stesso».
Ma le stesse considerazioni, prosegue il
collegio, valgono anche per la delega al
compimento delle attività puramente tecniche
di sviluppo e stampa dei rilievi
fotografici. Gli ausiliari privati in questo
caso non hanno possibilità di effettuare
alcuna valutazione discrezionale e la
successiva trasmissione dei rilievi ai
vigili costituisce attività puramente
materiale non interferente con lo
svolgimento degli obblighi istituzionali.
Circa la questione della mancata taratura
gli Ermellini confermato i recenti
orientamenti finalizzati a escludere il
controllo elettronico della velocità dei
veicoli dal campo di applicazione della
legge n. 73/1991, istitutiva del servizio
nazionale di taratura. La materia stradale è
infatti estranea alle questioni metrologiche
(articolo ItaliaOggi del 04.01.2011). |
CONDOMINIO:
Condominio: grava
sull’amministratore l'onere di attivarsi per
comunicare il verbale dell’assemblea al
condomino assente.
Sull’amministratore di
condominio grava l’onere di comunicare al
condomino assente all’assemblea il verbale
della deliberazione adottata e ciò al fine
di far decorrere, in mancanza di una
conoscenza acquisita aliunde, il termine di
decadenza stabilito dall’art. 1137 c.c. per
la proposizione dell’eventuale ricorso in
opposizione.
È quanto sancito dalla Corte di Cassazione
nella sentenza 29.12.2011 n. 29386,
che esclude, invece, la configurabilità in
capo al condomino assente, ai fini del
decorso del termine per l’impugnativa, di un
dovere di attivarsi per conoscere le
decisioni assembleari adottate, quando
difetti la prova dell’avvenuto recapito,
all’indirizzo del destinatario, del verbale
che le contenga.
Si legge nel testo della sentenza che, a
soddisfare l’esigenza della comunicazione al
condomino assente della deliberazione
dell’assemblea condominiale, ai fini del
decorso del termine di impugnazione innanzi
all’Autorità giudiziaria, occorre che tale
comunicazione segua all’assemblea, in modo
tale che il destinatario, pur non avendo
preso parte alla deliberazione, possa
conoscerne e apprezzarne il contenuto in
maniera adeguata alla tutela delle sue
ragioni.
La presunzione iuris tantum di
conoscenza ex art. 1335 c.c., spiegano gli
ermellini, sorge dalla trasmissione del
verbale all’indirizzo del condomino
destinatario -che nella specie non risulta
provata- e non dal mancato esercizio da
parte di quest’ultimo della diligenza nel
seguire l’andamento della gestione comune e
nel documentarsi in proposito (tratto da
www.diritto.it). |
APPALTI:
La segnalazione all'Autorità per
la Vigilanza sui Contratti Pubblici può
essere effettuata anche nei casi di
esclusione dalla gara disposta per
l'accertata carenza dei requisiti di ordine
generale.
Per escludere un'impresa ritenendola in
collegamento sostanziale non bastano degli
indici meramente formali, ma occorre che la
stazione appaltante dia la prova concreta
dell'esistenza di un unico centro
decisionale che governi le due o più
imprese.
La segnalazione all'Autorità per la
Vigilanza sui Contratti Pubblici va fatta
non soltanto nel caso di riscontrato difetto
dei requisiti di ordine speciale in sede di
controllo a campione, ma anche in caso di
riscontrato difetto dei requisiti di ordine
generale, trattandosi di esclusione idonea a
segnalare una circostanza di estrema
rilevanza per la corretta conduzione delle
procedure di affidamento dei lavori
pubblici.
A seguito della sentenza della Corte di
Giustizia Ce, sez. IV, 19.05.2009-C-538/2007
che ha ritenuto l'incompatibilità dell'art.
34, d.lgs. n. 163 del 2006 con il diritto
comunitario, non è più possibile sanzionare
il collegamento tra più imprese mediante
l'automatica esclusione dalla procedura
selettiva, sulla scorta di una presunzione
di "inquinamento" del confronto
concorrenziale concretatasi in
un'anticipazione della soglia di tutela,
occorrendo invece accertare se in concreto
tale situazione abbia influito sul loro
rispettivo comportamento nell'ambito della
gara. La disciplina interna deve essere cioè
intesa nel senso che il rapporto tra le
imprese può giustificare l'esclusione
soltanto se la stazione appaltante accerti
che tale rapporto abbia influenzato la
formulazione delle offerte, in modo che
dette imprese siano messe in grado di
dimostrare l'insussistenza di rischi di
turbative della selezione. Per escludere
un'impresa ritenendola in collegamento
sostanziale, quindi, non bastano degli
indici meramente formali, ma occorre che la
stazione appaltante dia la prova concreta
dell'esistenza di un unico centro
decisionale che governi le due o più imprese
(TAR Piemonte, Sez. I,
sentenza 21.12.2011 n. 1343 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA: A
carico dell’incolpevole proprietario di
un'area inquinata non incombe alcun obbligo
di porre in essere interventi di messa in
sicurezza ed emergenza, ma solo la facoltà
di eseguirli per mantenere l'area
interessata libera da pesi, tenendo presente
che dal combinato disposto degli artt. 244,
245, 250 e 253 D.L.vo 03.04.2006 n. 152 si
ricava che, nell'ipotesi di mancata
esecuzione degli interventi ambientali in
esame da parte del responsabile
dell'inquinamento, ovvero di mancata
individuazione dello stesso —e sempreché non
provvedano volontariamente né il
proprietario del sito, né altri soggetti
interessati— le opere di recupero ambientale
devono essere eseguite dalla pubblica
amministrazione competente, che può
rivalersi sul soggetto responsabile nei
limiti del valore dell'area bonificata,
anche esercitando, ove la rivalsa non vada a
buon fine, le garanzie gravanti sul terreno
oggetto dei medesimi interventi.
Sulla base di un orientamento
giurisprudenziale che il Collegio condivide,
a carico dell’incolpevole proprietario di
un'area inquinata non incombe alcun obbligo
di porre in essere interventi di messa in
sicurezza ed emergenza, ma solo la facoltà
di eseguirli per mantenere l'area
interessata libera da pesi, tenendo presente
che dal combinato disposto degli artt. 244,
245, 250 e 253 D.L.vo 03.04.2006 n. 152 si
ricava che, nell'ipotesi di mancata
esecuzione degli interventi ambientali in
esame da parte del responsabile
dell'inquinamento, ovvero di mancata
individuazione dello stesso —e sempreché non
provvedano volontariamente né il
proprietario del sito, né altri soggetti
interessati— le opere di recupero ambientale
devono essere eseguite dalla pubblica
amministrazione competente, che può
rivalersi sul soggetto responsabile nei
limiti del valore dell'area bonificata,
anche esercitando, ove la rivalsa non vada a
buon fine, le garanzie gravanti sul terreno
oggetto dei medesimi interventi (cfr Cons.
Stato, V Sez., 16/06/2009 n. 3885; TAR
Toscana, II sez., 03/03/2010, n. 594)
(TAR Sardegna, Sez. I,
sentenza 16.12.2011 n. 1239 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI: E'
legittima l'ordinanza contingibile ed
urgente con la quale il Sindaco ha ordinato
al ricorrente (ndr: pastore) di “trovare un
idoneo percorso alternativo (considerato che
il Comune non dispone di strada di proprietà
nelle vicinanze) almeno per un tratto di
circa 700 mt. per il transito di animali in
gregge o in mandria ... e di provvedere,
immediatamente, ad ogni passaggio abusivo
effettuato ... alla pulizia totale delle
deiezioni prodotte dal suo gregge
(ripristino dello stato dei luoghi) avendo
cura di avere al seguito strumenti idonei
alla raccolta delle suddette deiezioni e
alla disinfestazione settimanale del tratto
in narrativa allo scopo di evitare
prolificazioni di insetti”.
Ai fini dell'esercizio legittimo del potere
di ordinanza sindacale contingibile e
urgente ex art. 54, dlgs. n. 267 del 2000
ciò che rileva è l'attualità della
situazione di pericolo al momento
dell’adozione del provvedimento sindacale e
l'idoneità del provvedimento a porvi
rimedio, mentre è irrilevante che la fonte
del pericolo risalga nel tempo.
Il provvedimento contingibile non può essere
considerato automaticamente illegittimo solo
perché sprovvisto di un termine finale di
durata o di efficacia.
Il ricorrente, pastore e proprietario di un
gregge, ha impugnato, con il presente
ricorso, l’ordinanza n. 14 dell’11.05.2010
del comune di Fasano, con la quale il
Sindaco, ha ordinato al ricorrente di “trovare
un idoneo percorso alternativo (considerato
che il Comune non dispone di strada di
proprietà nelle vicinanze) almeno per un
tratto di circa 700 mt. per il transito di
animali in gregge o in mandria sulla strada
di San Martino di Tours dell’abitato di
Pezze di Greco frazione di Fasano e di
provvedere, immediatamente, ad ogni
passaggio abusivo effettuato nell’abitato di
San Martino di Tours alla pulizia totale
delle deiezioni prodotte dal suo gregge
(ripristino dello stato dei luoghi) avendo
cura di avere al seguito strumenti idonei
alla raccolta delle suddette deiezioni e
alla disinfestazione settimanale del tratto
in narrativa allo scopo di evitare
prolificazioni di insetti”.
...
È da premettere che, nel caso in esame,
sussiste il potere del Sindaco di emanare
l'ordinanza impugnata, che, in base all'art.
54 Tuel, è diretta a prevenire ed eliminare
gravi pericoli che minacciano l'incolumità
dei cittadini, individuati nella "diffusione
di malattia a causa della prolificazione di
insetti", nella necessità di "garantire
il decoro urbano" e nella necessità di
evitare "incidenti con i veicoli e i
danni alle persone o cose".
Inoltre, "ai fini dell'esercizio
legittimo del potere di ordinanza sindacale
contingibile e urgente ex art. 54, dlgs. n.
267 del 2000 ciò che rileva è l'attualità
della situazione di pericolo al momento
dell’adozione del provvedimento sindacale e
l'idoneità del provvedimento a porvi
rimedio, mentre è irrilevante che la fonte
del pericolo risalga nel tempo." (Tar
Piemonte, sez. I, 08.04.2011, n. 376).
La giurisprudenza ha poi precisato che il
provvedimento contingibile non può essere
considerato automaticamente illegittimo solo
perché sprovvisto di un termine finale di
durata o di efficacia (Con. St., sez. V,
30.06.2011, n. 3922).
Risulta, inoltre, provato in giudizio che il
ricorrente può raggiungere il pascolo
attraverso un percorso alternativo;
pertanto, non appare illogica o arbitraria
l'ordinanza in questione che prescrive la
necessità, per il passaggio nel tratto di
strada abitato, di "strumenti idonei alla
raccolta delle suddette deiezioni e alla
disinfestazione settimanale del tratto in
narrativa allo scopo di evitare
prolificazioni di insetti".
Si deve infine considerare che, secondo
l'art. 184, comma 5, del Codice della
Strada, "Gli armenti, le greggi e
qualsiasi altre moltitudini di animali
quando circolano su strada devono essere
condotti da un guardiano fino al numero di
cinquanta e da non meno di due per un numero
superiore", mentre per il comma 6 "I
guardiani devono regolare il transito degli
animali in 'modo che resti libera sulla
sinistra almeno la metà della carreggiata.
Sono, altresì, tenuti a frazionare e
separare i gruppi di animali superiori al
numero di cinquanta ad opportuni intervalli
al fine di assicurare la regolarità della
circolazione.".
Pertanto, proprio la necessità, richiesta
dal suddetto articolo, che il gregge sia
accompagnato da non meno di due guardiani,
rende la richiesta di pulizia e bonifica
sicuramente più agevole, senza comportare un
eccessivo sacrificio al proprietario del
gregge.
In sostanza, risulta che l'impugnata
ordinanza contenga un'effettiva e adeguata
comparazione degli interessi, anche alla
luce del fatto che comunque esiste un
percorso alternativo per condurre il gregge
al pascolo
(TAR Puglia-Lecce, Sez. I,
sentenza 14.12.2011 n. 2085 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Atto di avvio del procedimento al
vicino di casa? Proprio no.
E' illegittima, per nullità della notifica
dell'atto presupposto, una nota con la quale
un Ente locale ha comunicato l'avvio del
procedimento di esecuzione lavori in danno,
per accertata inottemperanza alla precedente
ordinanza di demolizione di un manufatto
abusivo, nel caso in cui, da una parte,
detta ordinanza sia stata notificata ai
sensi dell'art. 139 c.p.c. e, dall'altra, a
seguito di apposita istruttoria disposta in
sede giurisdizionale, sia emerso che il
soggetto che ha ricevuto la notifica
dell'ordine di demolizione non poteva
rivestire la qualifica di "vicino di casa",
ai sensi e per gli effetti del citato art.
139 c.p.c..
La segnalata pronuncia affronta la questione
sulla legittimità, o meno, di un
provvedimento con cui si dispone la
decadenza di un permesso di costruire a
fronte della notifica della presupposta
ordinanza di demolizione.
Segnatamente, il ricorrente ha impugnato il
provvedimento con cui un Comune aveva
disposto l'avvio del procedimento di
esecuzione in danno a cagione dell'accertata
inottemperanza dell'ordinanza di demolizione
di opere abusive precedentemente notificata.
Ha lamentato, oltre al resto, la violazione
degli artt. 138 e ss. c.p.c. e dell'art. 97
Cost. per violazione del principio del
contraddittorio partecipativo, oltre
all'eccesso di potere per travisamento dei
fatti, carenza di istruttoria e sviamento.
In particolare, ha assunto la nullità della
notifica dell'atto presupposto costituito
dall'ordinanza di demolizione, sì come
effettuata, ai sensi dell'art. 139 c.p.c.,
ad altro soggetto erroneamente qualificato
come "vicino di casa" del ricorrente
ai sensi e per gli effetti della normativa
richiamata.
Siffatta circostanza, a suo dire, avrebbe
determinato l'illegittimità anche
dell'impugnata nota, in quanto al ricorrente
sarebbe stata preclusa la possibilità di
dare spontanea esecuzione a quanto ingiunto
con la predetta ordinanza, evitando così di
subire l'esecuzione in danno. Il Collegio di
Napoli, in via preliminare, ha ritenuto che
il giudizio poteva essere definito con
decisione in forma semplificata, ai sensi
dell'art. 60 c.p.a., in considerazione
dell'oggetto della causa, dell'integrità del
contraddittorio e della completezza
dell'istruttoria. Tanto, ha proseguito, in
quanto il ricorso è apparso manifestamente
fondato.
Lo stesso, infatti, era rivolto avverso una
nota con cui il competente Dirigente
comunale, accertata l'inottemperanza alla
-pure impugnata- ordinanza di demolizione "regolarmente
notificata", aveva comunicato
l'attivazione del procedimento esecuzione
lavori in danno. Orbene, il giudicante, in
relazione alla regolarità della notifica
della precedente ordinanza di demolizione,
ha rammentato come l'art. 139 c.p.c., nel
prevedere la "notifica nella residenza,
nel domicilio o nella dimora",
stabilisce che: "Se avviene nel modo
previsto nell'articolo precedente, la
notificazione deve essere fatta nel comune
di residenza del destinatario, ricercandolo
nella casa di abitazione o dove ha l'ufficio
o esercita l'industria o il commercio.
Se il destinatario non viene trovato in uno
di tali luoghi, l'ufficiale giudiziario
consegna copia dell'atto a una persona di
famiglia. In mancanza delle persone indicate
nel comma precedente, la copia è consegnata
al portiere dello stabile, e quando anche il
portiere manca, a un vicino di casa che
accetti di riceverla".
Di conseguenza, il TAR campano, se da un
canto ha ritenuto la menzionata disposizione
criticabile per la sua formulazione, in
quanto suppone che nel rapporto di vicinanza
sia necessariamente insito un vincolo
fiduciario che, in concreto, potrebbe
rivelarsi insussistente, così lasciandosi al
"vicino" la facoltà di accettare o
meno la notifica di atti giudiziari per
conto terzi, dall'altro ha precisato come la
stessa norma richieda, ai fini della
notifica, un rigoroso accertamento in ordine
alla sussistenza in ogni singolo caso
dell'unica condizione ivi richiesta.
Pertanto, nella vicenda sottoposta al suo
vaglio, il G.A. partenopeo ha osservato che,
contrariamente a quanto argomentato dal
resistente Comune, ai fini della regolarità
della notifica, alcun rilievo poteva
assumere la circostanza che il supposto "vicino
di casa", al momento della notifica
della ordinanza, si era dichiarato "persona
di fiducia delegata a ricevere" per
conto del ricorrente, giusta quanto
evincibile dalla relata di notifica apposta
a tergo dell'ordinanza di demolizione.
Analogamente e all'inverso, privo di rilievo
è apparso quanto dedotto dal ricorrente
relativamente alla circostanza di ritenere
il predetto individuo "persona estranea
alla sfera di frequentazione del ricorrente
e dei suoi familiari".
Non a caso, il Collegio, al fine di
accertare se il menzionato soggetto avesse
potuto rivestire o meno la qualifica di "vicino
di casa", ai sensi e per gli effetti del
citato art. 139 c.p.c., ha ordinato
un'istruttoria per accertare "l'esatta
ubicazione (Palazzo, Interno, Scala, Piano
ed ogni altro elemento identificativo) dei
locali adibiti a propria abitazione della
predetta persona, evidenziandone la distanza
dall'abitazione del ricorrente".
All'esito, era emerso che i locali adibiti a
abitazione dal supposto "vicino di casa"
erano ubicati nella medesima palazzina del
ricorrente, ma in differente scala, con la
conseguenza che: "i due pur essendo
abitanti nella stessa Palazzina distano tra
loro di circa 30 metri, distanza che
intercorre tra la scala A e la scala B".
Inoltre, era altresì risultato che
l'individuo in questione non era stato mai
delegato a rappresentare il ricorrente,
neppure nelle assemblee condominiali, e che
tra gli stessi non vi era nessun grado di
parentela.
Sicché, stante le risultanze del predetto
accertamento istruttorio, il TAR di Napoli
ha osservato come il predetto soggetto, non
potendo considerarsi "vicino di casa"
del ricorrente, era privo di qualsivoglia
legittimazione a ricevere notifiche di atti
giudiziari per conto di quest'ultimo ai
sensi e per gli effetti dell'art. 139 c.p.c..
Per tal ragione, ha ritenuto che la notifica
della presupposta ordinanza di demolizione
doveva considerarsi tamquam non esset
e, quindi, nulla, con la conseguenza che,
considerata la natura costitutiva rivestita
dalla notifica in relazione agli atti
recettivi, la medesima ingiunzione doveva
essere annullata.
All'annullamento di quest'ultima è
conseguito l'annullamento della successiva
nota inerente l'esecuzione in danno, atteso
che, ove la notifica dell'atto presupposto
fosse andata a buon fine, il ricorrente
avrebbe potuto liberamente scegliere di
conformarsi al contenuto precettivo, di
subire l'esecuzione in danno ovvero, ancora,
di spiegare tempestiva impugnativa dinanzi
alla giurisdizione amministrativa (commento
tratto da www.ipsoa.it - TAR Campania-Napoli,
Sez. V,
sentenza
07.12.2011 n. 5711 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA: Stop alla lottizzazione solo con
indizi seri. Il Consiglio di stato annulla
l'ordinanza sindacale.
Il terreno è a rischio lottizzazione
abusiva, ma il sindaco deve andarci coi
piedi di piombo prima di bloccare i lavori
in corso, ritenuti preordinati alla
consumazione dell'illecito urbanistico. E
ciò anche se l'area incriminata è al centro
di un'indagine penale che ha indotto il gip
a sequestrare il fondo. I tecnici del Comune
devono comunque avere in mano indizi molto
seri affinché possa scattare l'ordinanza di
sospensione dei lavori: il fatto che il
terreno sia frazionato e venduto a porzioni
che lasciano presagire la realizzazione di
lotti abusivi non risulta di per sé
sufficiente e, in ogni caso, l'avvio del
procedimento deve essere comunicato
all'interessato.
Lo precisa la
sentenza
21.11.2011 n.
6128, pubblicata dalla V Sez. del
Consiglio di Stato.
La vigna della signora nasconde una nuova
colata di cemento? Sarà la magistratura
penale a stabilirlo. Di certo c'è che
l'ordinanza del Comune emessa per stoppare
le opere asseritamente preordinate alla
lottizzazione edilizia risulta illegittima e
viene annullata dai giudici di Palazzo
Spada.
Quando è in corso l'inchiesta del pm,
l'amministrazione che intende intervenire
sul terreno a rischio-abuso non può
appiattirsi sulle risultanze dell'indagine
penale ma deve comunque compiere un'autonoma
valutazione, motivandola adeguatamente. Nel
mirino, stavolta, c'è una delle ultime aree
agricole sopravvissute nel territorio del
Comune di Napoli e vari elementi lasciano
presagire che stia per scattare l'ennesimo
intervento edilizio non autorizzato.
L'amministrazione, tuttavia, si limita a
recepire «supinamente» gli elementi che
emergono dall'inchiesta penale: i tecnici
comunali non descrivono la consistenza dei
lotti né lo stato dei terreni, oltre a non
riferire informazioni utili sulla creazione
di opere di urbanizzazione a servizio di
costruzioni abusive; si annota genericamente
che esistono le recinzioni e una strada di
collegamento fra i lotti, mentre non risulta
contestata la circostanza che i terreni
siano adibiti tuttora a frutteti: è ancora
poco, insomma, per far scattare il
provvedimento inibitorio del sindaco per la
cui emissione si richiede invece un quadro
indiziario dal quale sia possibile desumere
in modo non equivoco la destinazione
dell'area «a scopo edificatorio»
(articolo ItaliaOggi del 07.01.2011 - tratto da www.ecostampa.it). |
LAVORI PUBBLICI:
Sicurezza: R.U.P. deve
sorvegliare anche durante la fase di
svolgimento dei lavori.
A carico del
responsabile unico del procedimento (R.U.P.)
grava una posizione di garanzia connessa ai
compiti di sicurezza non solo nella fase
genetica dei lavori, laddove vengono redatti
i piani di sicurezza, ma anche durante il
loro svolgimento, ove è previsto che debba
svolgere un'attività di sorveglianza del
loro rispetto.
E’ questo il principio ribadito dalla
Suprema Corte di Cassazione, Sez. IV penale,
con la
sentenza 15.11.2011 n. 41993.
Nel caso di specie il giudice di prime cure
condannava per il delitto di cui all’art.
589 c.p. per omicidio colposo, il
responsabile del procedimento amministrativo
di lavori pubblici e responsabile dei
lavori, il coordinatore in materia di
sicurezza e il titolare della ditta
subappaltatrice, rispettivamente a 6 mesi di
reclusione il primo e a 5 mesi di reclusione
gli altri due con l’ulteriore risarcimento
danni in favore della parte civile. Ai tre,
infatti, era stato addebitato di avere
consentito, in violazione degli obblighi di
sicurezza a loro carico gravanti, che un
operaio, intento alla posa in opera della
copertura di una piscina, lavorasse in
totale assenza delle opere di protezione
collettiva previste dal piano di sicurezza e
senza precauzioni atte ad evitare la caduta
dall'alto. In tale frangente l’operaio
cadeva da un'altezza di circa 10 m.
decedendo per gravi lesioni al capo.
La situazione viene confermata anche in
secondo grado, ad eccezione del titolare
della ditta dichiarando l'estinzione del
reato a suo carico per morte dell'imputato.
Il ricorso per cassazione procede solo per
il responsabile del procedimento
amministrativo di lavori pubblici, in quanto
quello presentato dal coordinatore in
materia di sicurezza è dichiarato
inammissibile per presentazione tardiva.
Sul responsabile dei lavori, ai sensi
dell'art. 6 del d.p.r. 494 del 1996, incombe
l’obbligo delle verifica delle condizioni di
sicurezza del lavoro in attuazione dei
relativi piani (art. 4 ed art. 5, co. 1,
lett. a), d.p.r. cit.). Inoltre, il
responsabile del procedimento provvede a
creare le condizioni affinché il processo
realizzativo dell'intervento risulti
condotto nei tempi e costi preventivati e
nel rispetto della sicurezza e la salute dei
lavoratori, in conformità a qualsiasi altra
disposizione di legge in materia.
Sommando i diversi compiti a carico del
responsabile deriva quella posizione di
garanzia ai compiti di sicurezza non solo
nella fase genetica dei lavori, laddove
vengono redatti i piani di sicurezza, ma
anche durate il loro svolgimento, ove è
previsto che debba svolgere un'attività di
sorveglianza del loro rispetto.
Da ciò ne consegue che in ogni caso era
onere del RUP, a fronte di modifiche
progettuali, in adempimento degli obblighi
sopra richiamati, controllare la adeguatezza
dei piani di sicurezza alla salvaguardia
dell'incolumità dei lavoratori.
Né il lamentato comportamento negligente
della persona offesa (che non avrebbe
utilizzato le cinture), può escludere la
rilevanza causale della condotta omissiva
dell'imputato. Infatti, «la condotta
colposa del lavoratore infortunato non
assurge a causa sopravvenuta da sola
sufficiente a produrre l'evento quando sia
comunque riconducibile all'area di rischio
propria della lavorazione svolta».
La vittima ha subito l'infortunio mentre
svolgeva, senza alcuna abnormità di
condotta, la sua ordinaria attività di
lavoro. Da qui il rigetto del ricorso da
parte dei giudici del Palazzaccio e la
condanna al pagamento delle spese
processuali (link a www.altalex.com). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Conferenza servizi, silenzio-inadempimento
se manca l'atto finale.
Il Consiglio di Stato
chiarisce come lo svolgimento della
conferenza di servizi sul rilascio di
un'autorizzazione, senza l'adozione del
provvedimento finale, non renda improcedibile il ricorso avverso il silenzio
della PA.
La sentenza in esame si richiama a
quell'orientamento giurisprudenziale secondo
cui il giudizio avverso il silenzio non
risulta improcedibile per il compimento da
parte della PA di atti soprassessori e
infraprocedimentali o per l'adozione di atti
che non definiscano il procedimento
amministrativo con una statuizione che dia
risposta all'istanza del privato.
Secondo la pronuncia del Consiglio di Stato,
solo l'adozione della determinazione finale
soddisfa l'interesse del privato e implica
per il ricorrente il sopravvenuto difetto di
interesse alla coltivazione del rimedio
avverso il silenzio.
Nel caso oggetto della sentenza, il
ricorrente aveva chiesto l'accertamento
dell'illegittimità del
silenzio-inadempimento serbato della PA in
merito ad un'istanza autorizzatoria per la
costruzione e l'esercizio di un impianto per
la produzione di energia elettrica di fonte
eolica.
Il giudice di primo grado aveva riconosciuto
l'improcedibilità del ricorso a fronte della
mera riattivazione del procedimento di
rilascio dell'autorizzazione, dimostrata con
la celebrazione della conferenza di servizi
sul rilascio dell'autorizzazione in
discussione.
In riforma della sentenza di primo grado, il
Consiglio di Stato, proprio alla luce
dell'indizione della conferenza di servizi,
ha condannato la PA alla conclusione del
procedimento, prevedendo la nomina di un
commissario ad acta.
La pronuncia introduce, dunque, una
specifica limitazione a quella
giurisprudenza amministrativa che, nel
definire l'ambito degli atti che determinano
l'improcedibilità del giudizio avverso il
silenzio si richiama alla configurazione di
tale processo così come ora delineata dal
codice del processo amministrativo.
Il codice limita, infatti, il potere del
giudice a conoscere della fondatezza della
pretesa giuridica introdotta solo quando si
tratta di attività vincolata o quando
risulta che non residuano ulteriori margini
di esercizio della discrezionalità e non
sono necessari adempimenti istruttori che
debbano essere compiuti
dall'amministrazione.
Secondo la giurisprudenza, la disciplina
della tutela in materia di silenzio
dell'amministrazione non introduce una norma
sulla giurisdizione, ma, nel solco di quanto
già tracciato con l'art. 21-bis, legge
1034/1971, sul rito con finalità acceleratorie, non essendo ammissibile, sul
piano costituzionale, l'introduzione di
fatto di una sconfinata cognizione di
merito, attraverso la possibilità di
conoscere della fondatezza o meno della
pretesa sostanziale, con un generalizzato
potere del giudice amministrativo di
sostituirsi alla P.A.
Da tale configurazione del rito sul silenzio
discendono, secondo la giurisprudenza,
precisi corollari processuali, in primo
luogo quello che l'adozione di qualsivoglia
atto da parte dell'amministrazione, in
quanto espressione di funzione pubblica in
risposta alla diffida dell'interessato,
determina l'inammissibilità del ricorso, o
improcedibilità del ricorso, a seconda che
intervenga prima o dopo la proposizione del
ricorso medesimo (commento tratto da www.ipsoa.it - Consiglio
di Stato, Sez. V,
sentenza
07.11.2011 n. 5878 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
CONDOMINIO: IMMOBILI
& CONDOMINIO/ I requisiti dell'avviso di
convocazione. Non indicare il luogo può
costare la nullità.
L'avviso di convocazione deve essere
predisposto dall'amministratore e inviato, a
pena di nullità, a tutti i condomini presso
la propria residenza o il proprio domicilio.
La legge non prevede forme specifiche per
l'avviso di convocazione, né particolari
modalità di notifica dello stesso.
L'avviso non ha un contenuto predeterminato
dalla legge, fermo restando il limite del
raggiungimento dello scopo cui l'atto è
destinato (ovvero la partecipazione del
condomino alla riunione assembleare). Di qui
la necessità di indicare, quantomeno, il
luogo, la data e l'ora fissati per
l'incontro.
La giurisprudenza ritiene che la
mancata indicazione del luogo possa
comportare l'impugnabilità della
deliberazione assembleare, ove il condomino
per tale motivo non abbia avuto la
possibilità di parteciparvi. Nel caso in cui
il regolamento di condominio stabilisca a
priori la sede deputata allo svolgimento
delle assemblee, l'eventuale mancanza di
tale indicazione nell'avviso di convocazione
potrà essere sanata dal richiamo ivi
contenuto al regolamento medesimo.
Per
quanto riguarda la data è prassi ampiamente
diffusa quella di indicare nell'avviso due
date diverse e successive (purché contenute
entro il periodo di 10 giorni una dall'altra
e, comunque, in giorni diversi), facenti
riferimento rispettivamente alla prima e
alla seconda convocazione (c.d. doppia
convocazione), in modo da evitare un
raddoppio delle formalità e delle spese
necessarie allo svolgimento della riunione
condominiale.
L'avviso di convocazione, come ricordato dal
Tribunale di Roma nella
sentenza
03.11.2011 n. 21319, deve poi evidenziare in modo
opportuno gli argomenti che saranno trattati
nella riunione assembleare, in modo da
consentire ai condomini di prepararsi
adeguatamente alla discussione. È l'art.
1105, comma 3, c.c., applicabile anche in
tema di condominio, in forza del rinvio di
cui all'art. 1139 c.c., a richiedere che per
la validità delle deliberazioni assembleari
«tutti i partecipanti siano stati
preventivamente informati dell'oggetto della
deliberazione». L'elencazione
dell'ordine del giorno deve essere specifica
e puntuale, ma non è necessario che sia così
analitica da mettere in evidenza eventuali
argomenti di carattere preliminare
ricompresi nei punti principali oggetto di
discussione.
Una voce che per prassi compare sempre alla
fine dell'ordine del giorno è poi quella
«varie ed eventuali», nella quale sono
ricompresi quei possibili argomenti di
discussione che non sempre è facile
prevedere in anticipo e che, solitamente,
comprendono comunicazioni a titolo
informativo da parte dell'amministratore o
dei condomini, richieste di chiarimento,
istanze volte all'inserimento di un
determinato argomento all'ordine del giorno
della prossima assemblea, ovvero questioni
di minore importanza che non si è ritenuto
necessario specificare.
Quest'ultimo chiarimento, secondo la
giurisprudenza, rende più che evidente come
la voce «varie ed eventuali» non possa
essere utilizzata dall'amministratore per
inserire a sorpresa nella discussione
argomenti di una certa rilevanza per la
gestione del condominio, in violazione
dell'obbligo di informare i condomini sui
temi che verranno trattati nella riunione
assembleare, svuotando per altro di
significato lo stesso avviso di
convocazione. Sul punto si può riportare
quanto osservato dalla seconda sezione della
Suprema Corte nella sentenza n. 4316 del 28.06.1986 in una fattispecie relativa
all'esecuzione di lavori di rifacimento
della facciata dell'edificio condominiale,
che i giudici hanno escluso potersi fare
rientrare nella voce «varie ed eventuali»,
in quanto attività riguardante
l'amministrazione straordinaria del bene
comune.
L'incompletezza dell'ordine del giorno
costituisce semplice causa di annullabilità
della deliberazione assunta dall'assemblea,
da impugnarsi entro il termine di decadenza
di 30 giorni di cui al terzo comma dell'art.
1137 c.c. Tuttavia il condomino che abbia
partecipato all'assemblea e non abbia
sollevato il problema dell'irregolarità
dell'ordine del giorno al momento della
votazione non potrà poi impugnare la
relativa deliberazione, in quanto il proprio
comportamento varrà come acquiescenza.
Ai sensi dell'ultimo comma dell'art. 66 disp.
att. c.c. «l'avviso di convocazione deve
essere comunicato ai condomini almeno cinque
giorni prima della data fissata per
l'adunanza». Si tratta di una
disposizione introdotta dal legislatore per
meglio tutelare la posizione dei condomini,
in modo da dare agli stessi la possibilità
di organizzare i propri impegni in modo da
poter presenziare alla riunione e prepararsi
in modo adeguato alla discussione dei
singoli argomenti posti all'ordine del
giorno.
Il computo del termine in questione,
secondo quanto disposto dalla norma appena
citata, si effettua a partire dalla data
fissata per l'assemblea (che non deve essere
conteggiata) e procedendo a ritroso nel
tempo. Se, tanto per fare un esempio,
l'assemblea è stata convocata per il 27
marzo, la comunicazione ai condomini dovrà
essere effettuata entro e non oltre il 22
marzo.
In caso di avviso che contenga la
data sia della prima che della seconda
convocazione, il termine in questione,
ovviamente, dovrà essere calcolato sulla
prima, anche se sia già certo che la stessa
andrà deserta
(articolo ItaliaOggi
Sette del 02.01.2011). |
CONDOMINIO: IMMOBILI
& CONDOMINIO/ Assemblea, l'odg è vincolante.
Annullabile la delibera su materie non
all'ordine del giorno. Il tribunale di Roma:
i condomini vanno informati delle questioni
su cui sono chiamati a decidere.
Non è valida la delibera
assembleare relativa ad argomenti non
indicati all'ordine del giorno, perché così
facendo non si consente ai singoli condomini
di valutare se partecipare o meno alla
riunione e, in caso di scelta positiva,
stabilire per tempo se proporre obiezioni o
suggerimenti a quanto riportato
dall'amministratore.
È questo il principio affermato dal
Tribunale di Roma nella
sentenza
03.11.2011 n. 21319.
La vicenda.
Due condomini decidevano di
impugnare la delibera dell'assemblea che, in
riferimento al punto dell'ordine del giorno
dedicato alle «varie ed eventuali»
(riservato in genere a comunicazioni da
parte dell'amministratore o dei condomini a
puro titolo informativo, oppure a
suggerimenti e raccomandazioni
all'amministratore), aveva dato incarico a
un professionista di redigere un capitolato
per esecuzioni di lavori già deliberati in
precedenti sedute.
Secondo i condomini tale
decisione si doveva considerare invalida per
la mancata indicazione nell'ordine del
giorno dell'oggetto della decisione
adottata, tenendo anche conto del fatto che
l'incarico riguardava delibere precedenti
per opere di manutenzione oggetto di
impugnativa da parte di altri condomini. Il
condominio si difendeva sostenendo che la
richiesta degli attori era generica,
inammissibile perché proposta con ricorso e
non con atto di citazione, nonché infondata,
in quanto l'impugnata decisione di
affidamento dell'incarico al professionista
era necessaria per dare esecuzione agli
interventi già decisi dall'assemblea.
Il tribunale di Roma, però, ritenendo
infondate le obiezioni del condominio, ha
dato ragione ai due condomini. I giudici
hanno infatti sottolineato come, secondo la
legge, tutti i partecipanti al condominio
debbano essere preventivamente informati
delle questioni e delle materie sulle quali
sono chiamati a deliberare. Del resto, per
legge, tutti i condomini devono essere
invitati alla riunione assembleare, invito
che presuppone che gli stessi debbano essere
previamente messi al corrente dei temi
oggetto della delibera assembleare in modo
da consentire una partecipazione effettiva e
concreta.
In altre parole deve essere
consentito a ciascun condomino di
comprendere esattamente il tenore e
l'importanza dell'ordine del giorno e di
poter valutare l'atteggiamento da tenere, in
relazione sia all'opportunità o meno di
partecipare, sia alle eventuali obiezioni o
suggerimenti da sottoporre alla discussione.
Di conseguenza l'eventuale delibera su
questioni che non siano state inserite
all'ordine del giorno e di cui i condomini
non siano stati precedentemente informati,
proprio perché pregiudica il diritto alla
partecipazione effettiva e consapevole
previsto dalla legge, è annullabile, con la
conseguenza che la stessa dovrà essere
impugnata nel termine di 30 giorni.
Come ha precisato il tribunale, però, tale
situazione ricorre quando la delibera sia
stata presa su un tema radicalmente estraneo
all'ordine del giorno o non direttamente e
logicamente riconducibile a esso.
L'indicazione specifica di un argomento non
è infatti necessaria allorché questo possa
ritenersi contenuto in altro a esso
strettamente collegato. Ne consegue che non
può esservi contestazione da parte dei
condomini se quanto deliberato e quanto in
precedenza indicato nell'ordine del giorno
sia, in buona sostanza, coincidente perché
il dovere informativo si deve ritenere
rispettato.
Alla luce delle precedenti considerazioni il
tribunale ha sottolineate che la decisione
di affidare a un tecnico la stesura del
capitolato degli interventi relativi al
caseggiato che erano già stati oggetto di
precedenti delibere dava ulteriore concreto
impulso e prosecuzione all'attività
manutentiva, ma, poiché era stata assunta
sotto la voce «varie ed eventuali», era da
considerarsi invalida: tale formula,
infatti, a causa della sua genericità non è
idonea a conseguire l'obiettivo della
preventiva informazione dei condomini
convocati all'assemblea.
Del resto, posto
che i lavori di ristrutturazione vanno a
incidere sulle finanze dei condomini,
sarebbe stata necessaria una conoscenza di
quanto si andava a deliberare al fine di
poter permettere, a ciascun condominio, un
valido intervento partecipativo in merito
all'incarico che si stava decidendo (per
esempio consentendo di indicare altro
professionista rispetto a quello proposto in
sede assembleare).
In ogni caso, il tribunale ha sottolineato
che non era stato neppure messo a
disposizione della collettività condominiale
il preventivo di spesa che, al contrario, in
base alla delibera impugnata, sarebbe stato
richiesto sola una volta decisa la sua
esecuzione
(articolo ItaliaOggi
Sette del 02.01.2011). |
EDILIZIA PRIVATA: L'ordine
di rimessione in pristino dello stato dei
luoghi costituisce una sanzione
amministrativa irrogata dal giudice penale
con potere autonomo, che tuttavia deve
essere necessariamente coordinato con la
normativa di riferimento e con le scelte
della pubblica amministrazione; tale
sanzione è sottratta alla regola del
giudicato ed è riesaminabile in fase
esecutiva, atteso che spetta al giudice
dell’esecuzione valutare la compatibilità
dell’ordine medesimo con i provvedimenti
eventualmente emessi dall’amministrazione o
dall’autorità giurisdizionale
amministrativa, disponendone la revoca in
caso di contrasto insanabile o la
sospensione, se può ragionevolmente
presumersi, sulla base di elementi concreti,
che tali provvedimenti stanno per essere
emessi in tempi brevi.
--------------
La sanzione demolitoria costituisce
l'ordinaria e legittima reazione
ordinamentale all'accertata abusività di
un'opera in un territorio sottoposto al
vincolo paesaggistico sicché è
l’applicazione della sanzione pecuniaria a
costituire l’eccezione.
---------------
Il parziale degrado di un'area sottoposta a
tutela piuttosto che autorizzare
l'amministrazione a tollerare ulteriori
abusi, rilasciando pareri favorevoli alla
sanatoria di opere che comprometterebbero
ancor più le aree rimaste integre, dovrebbe
indurre questa ad adottare provvedimenti
volti a salvaguardare il residuo valore
paesistico delle zone ancora non del tutto
compromesse, salva restando ovviamente la
possibilità di attivare il procedimento per
la rimozione del vincolo al fine di adeguare
lo strumento di pianificazione paesistica,
ormai divenuto obsoleto, alle modifiche
ambientali sopravvenute, qualora l'effettivo
stato dei luoghi sia, a giudizio degli
organi competenti, irrimediabilmente
compromesso.
---------------
L'ordinanza di demolizione di opere edilizie
abusive è atto dovuto e vincolato e non
necessita di motivazione ulteriore rispetto
all'indicazione dei presupposti di fatto e
all'individuazione e qualificazione degli
abusi edilizi, con la conseguenza che
l'ingiunzione a demolire è sufficientemente
motivata con l'accertamento dell'abuso,
essendo in re ipsa l'interesse pubblico alla
sua rimozione; ciò in specie nei casi in
cui, come nella fattispecie in esame, la
demolizione è stata valutata
dall’amministrazione quale unico rimedio
congruo per la salvaguardia dei valori
paesaggistici ed ambientali.
---------------
In materia di dinieghi di sanatoria, le
specifiche caratteristiche dei manufatti,
nel concreto spazio in cui insistono,
possono consentire al giudice, cui sia
offerto un adeguato supporto probatorio, di
intendere ed eventualmente approvare
(sempre, naturalmente, nei limiti del
sindacato di legittimità) le ragioni del
diniego stesso, per quanto solo compendiate
nel provvedimento: ed in tal senso,
l'obbligo di motivazione, ex art. 3 l.
241/1990 può essere assolto in forma
sintetica, laddove le ragioni della
determinazione amministrativa risultino dal
contesto evidenti.
--------------
Come affermato dall’orientamento
giurisprudenziale maggioritario, al quale il
Collegio aderisce, l’ordine di rimessione in
pristino dello stato dei luoghi costituisce
una sanzione amministrativa irrogata dal
giudice penale con potere autonomo, che
tuttavia deve essere necessariamente
coordinato con la normativa di riferimento e
con le scelte della pubblica
amministrazione; tale sanzione è sottratta
alla regola del giudicato ed è riesaminabile
in fase esecutiva, atteso che spetta al
giudice dell’esecuzione valutare la
compatibilità dell’ordine medesimo con i
provvedimenti eventualmente emessi
dall’amministrazione o dall’autorità
giurisdizionale amministrativa, disponendone
la revoca in caso di contrasto insanabile o
la sospensione, se può ragionevolmente
presumersi, sulla base di elementi concreti,
che tali provvedimenti stanno per essere
emessi in tempi brevi (cfr., Cass. Pen.,
sez. III, 03.12.2009, n. 3918 e 17.11.2009, n. 7111).
--------------
Il Collegio
sottolinea, in primo luogo, che la sanzione
demolitoria costituisce l'ordinaria e
legittima reazione ordinamentale
all'accertata abusività di un'opera in un
territorio sottoposto, come nella
fattispecie in esame, al vincolo
paesaggistico sicché è l’applicazione della
sanzione pecuniaria a costituire
l’eccezione.
---------------
Quanto poi alla sostanziale compromissione
dell’area asserita dalla difesa della
ricorrente il Collegio sottolinea che, come
affermato dalla consolidata giurisprudenza,
il parziale degrado di un'area sottoposta a
tutela piuttosto che autorizzare
l'amministrazione a tollerare ulteriori
abusi, rilasciando pareri favorevoli alla
sanatoria di opere che comprometterebbero
ancor più le aree rimaste integre, dovrebbe
indurre questa ad adottare provvedimenti
volti a salvaguardare il residuo valore
paesistico delle zone ancora non del tutto
compromesse, salva restando ovviamente la
possibilità di attivare il procedimento per
la rimozione del vincolo al fine di adeguare
lo strumento di pianificazione paesistica,
ormai divenuto obsoleto, alle modifiche
ambientali sopravvenute, qualora l'effettivo
stato dei luoghi sia, a giudizio degli
organi competenti, irrimediabilmente
compromesso (TAR Lazio Roma, sez. II, 06.03.2007, n. 2182).
-------------
L’ordinanza gravata, dunque, non presenta
alcuna inadeguatezza sotto il profilo
motivazionale, evidenziandosi, peraltro,
che, per giurisprudenza consolidata,
l'ordinanza di demolizione di opere edilizie
abusive è atto dovuto e vincolato e non
necessita di motivazione ulteriore rispetto
all'indicazione dei presupposti di fatto e
all'individuazione e qualificazione degli
abusi edilizi, con la conseguenza che
l'ingiunzione a demolire è sufficientemente
motivata con l'accertamento dell'abuso,
essendo in re ipsa l'interesse pubblico alla
sua rimozione; ciò in specie nei casi in
cui, come nella fattispecie in esame, la
demolizione è stata valutata
dall’amministrazione quale unico rimedio
congruo per la salvaguardia dei valori
paesaggistici ed ambientali (TAR Puglia
Bari, sez. II, 11.11.2010, n. 3902).
---------------
Come già
affermato da questa Sezione, in materia di
dinieghi di sanatoria, le specifiche
caratteristiche dei manufatti, nel concreto
spazio in cui insistono, possono consentire
al giudice, cui sia offerto un adeguato
supporto probatorio, di intendere ed
eventualmente approvare (sempre,
naturalmente, nei limiti del sindacato di
legittimità) le ragioni del diniego stesso,
per quanto solo compendiate nel
provvedimento: ed in tal senso va intesa la
decisione (TAR Veneto, II, 24.01.2009, n.
151) in cui la Sezione ha rammentato che
l'obbligo di motivazione, ex art. 3 l.
241/1990, può essere assolto in forma
sintetica, laddove le ragioni della
determinazione amministrativa risultino dal
contesto evidenti (TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 23.02.2011 n. 305 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Solo per strutture di piccole dimensioni si
ritiene sufficiente l'autorizzazione mentre
per le canne fumarie di palese evidenza
rispetto alla costruzione e alla sua sagoma
è necessaria la concessione edilizia (oggi
permesso di costruire).
Anche per tale tipologia di interventi è
necessaria l’autorizzazione paesaggistica
nella misura in cui alterino lo stato dei
luoghi e l’aspetto esteriore dell’edificio e
non vi è dubbio che una canna fumaria di
rilevanti dimensioni, tinteggiata con i
colori rosso e viola sia vistosamente e
evidentemente impattante.
Si evidenzia, inoltre, che, come affermato
dalla costante giurisprudenza anche di
questa sezione, solo per strutture di
piccole dimensioni (quale certamente non è
quella della ricorrente), si ritiene
sufficiente l'autorizzazione (cfr. TAR
Campania Napoli, sez. VI, 03.06.2009,
n. 3039; Tar Lazio-Roma, sez. II-ter, 18.05.2001, n. 4246) mentre per le canne
fumarie di palese evidenza rispetto alla
costruzione e alla sua sagoma è necessaria
la concessione edilizia (oggi permesso di
costruire).
Anche ove si ritenesse di qualificare
l’intervento de quo in termini di
manutenzione straordinaria in considerazione
della preesistenza di un precedente impianto
–qualificazione comunque da escludere posto
che dalla documentazione versata in atti
emerge solo la preesistenza di un tubo
aspira fumi di dimensioni minori e tale
preesistenza è peraltro asserita
esclusivamente dal tecnico, Geom. Calò,
incaricato dalla ricorrente di predisporre
la relazione depositata all’amministrazione
in sede di presentazione della seconda
istanza di sanatoria– si evidenzia che
anche per tale tipologia di interventi è
necessaria l’autorizzazione paesaggistica
nella misura in cui alterino lo stato dei
luoghi e l’aspetto esteriore dell’edificio e
non vi è dubbio che, come emerge dalla
documentazione anche fotografica versata in
atti, una canna fumaria di rilevanti
dimensioni, tinteggiata con i colori rosso e
viola sia vistosamente e evidentemente
impattante (cfr., ex multis, TAR Campania
Napoli, sez. IV, 31.01.2008, n. 430) (TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 23.02.2011 n. 305 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI: La censura circa la sussistenza del vizio
di potere per
sviamento deve essere supportata
da precisi e concordanti elementi di prova,
idonei a dar conto delle divergenze
dell'atto dalla sua tipica funzione
istituzionale, non essendo a tal fine
sufficienti semplici supposizioni o indizi
che non si traducano nella dimostrazione
dell'illegittima finalità perseguita in
concreto dall'organo amministrativo.
Come già
il Collegio ha avuto modo di evidenziare,
per consolidata giurisprudenza, la censura
con la quale si deduce il vizio di eccesso
di potere per sviamento deve essere
supportata da precisi e concordanti elementi
di prova, idonei a dar conto delle
divergenze dell'atto dalla sua tipica
funzione istituzionale, non essendo a tal
fine sufficienti semplici supposizioni o
indizi che non si traducano nella
dimostrazione dell'illegittima finalità
perseguita in concreto dall'organo
amministrativo (TAR Sicilia Palermo, sez. II,
24.06.2010, n. 7921)
(TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 23.02.2011 n. 305 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: L’art.
9 del D.M. n. 1444/1968 è norma
assolutamente inderogabile, sicché le
previsioni urbanistiche locali, con essa
contrastanti, devono essere disapplicate dal
giudice, tenuto ad applicare direttamente
quelle di cui all’art. 9: e ciò perché la
ratio di questa prescrizione non è tanto la
tutela di interessi di carattere
privatistico come la riservatezza, bensì la
salvaguardia d’imprescindibili esigenze di
natura pubblicistica quali la sicurezza e la
salubrità dei luoghi.
L’ultimo motivo di ricorso lamenta la
violazione dell’art. 9 del D.M. n.
1444/1968, nonché l’eccesso di potere per
travisamento dei presupposti di fatto:
l’intervento autorizzato comporterebbe,
infatti, la violazione della disciplina
delle distanze tra pareti finestrate
rispetto ad un fabbricato, distante sette
metri, preesistente e parzialmente
prospiciente.
Orbene, il citato art. 9 dispone che per i “nuovi
edifici”, ricadenti in zone diverse
dalla A –come nel caso– “è prescritta in
tutti i casi la distanza minima assoluta di
m. 10 tra pareti finestrate e pareti di
edifici antistanti”.
Si tratta, non v’è dubbio, di una norma
assolutamente inderogabile, sicché le
previsioni urbanistiche locali, con essa
contrastanti, devono essere disapplicate dal
giudice, tenuto ad applicare direttamente
quelle di cui all’art. 9: e ciò perché la
ratio di questa prescrizione non è tanto
la tutela di interessi di carattere
privatistico come la riservatezza, bensì la
salvaguardia d’imprescindibili esigenze di
natura pubblicistica quali la sicurezza e la
salubrità dei luoghi (cfr., ex multis
Cass. 07.01.2010, n. 56; id. 03.03.2008, n.
5741, C.d.S., IV, 12.03.2009, n. 1491).
Ciò posto, è tuttavia da ritenere che, nella
fattispecie, non tale disposizione sia
rilevante, ma vi si applichino soltanto le
norme civilistiche sulle distanze, la cui
osservanza non è qui in questione.
L’art. 9, infatti, trova applicazione ai “nuovi
edifici”, mentre, nel caso in esame, si
è ristrutturato un edificio preesistente,
conservandone dimensioni e sagoma.
E se è bensì vero che la forometria è stata
modificata, bisogna osservare che lo stesso
edificio già prima dell’intervento
presentava, sul lato fronteggiante la
costruzione più vicina –posta in effetti a
meno di 10 metri- una serie di aperture,
alcune vere e proprie finestre, altre
semplici luci: tali tuttavia, nel complesso,
da poter escludere che la ristrutturazione
operata abbia condotto, almeno sotto questo
specifico profilo, ad un nuovo edificio
(TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 23.02.2011 n. 300 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: L'art.
9, d.m. 02.04.1968 n. 1444 è inteso a
impedire la formazione di intercapedini
nocive sotto il profilo igienico-sanitario.
Si tratta poi di disposizione tassativa ed
inderogabile, la quale trova applicazione
anche nel caso in cui solo una delle pareti
antistanti risulti finestrata e non
entrambe.
Per costante giurisprudenza (tra le ultime,
TAR Liguria Genova, sez. I, 30.06.2009, n.
1621), l'art. 9, d.m. 02.04.1968 n. 1444 è
inteso a impedire la formazione di
intercapedini nocive sotto il profilo
igienico-sanitario.
Si tratta poi di disposizione tassativa ed
inderogabile, la quale trova applicazione
anche nel caso in cui solo una delle pareti
antistanti risulti finestrata e non entrambe
(Cass., sez. II, 26.10.2007, n. 22495)
(TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 23.02.2011 n. 298 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
AGGIORNAMENTO AL 02.01.2012 |
ã |
Anno nuovo ... antichi vizietti !!
La mela marcia c'è in ogni migliore famiglia ... e
nel pubblico impiego è ancor più disgustosa !! |
Pochi farabutti devono sempre screditare la
maggioranza di bravi, responsabili ed onesti
dipendenti pubblici ... E allora,
si facciano i nomi
e cognomi e li si pubblichino in prima pagina
affinché gli "onesti tutti" li possano
guardare negli occhi !!
Non solo, i colleghi di
ufficio che sanno non si facciano remore, rompano
l'omertà, e telefonino al 117 per denunciarli ...
solo così si può estirpare questo cancro (uno dei
tanti !!) della società civile.
E' vero che siamo in uno Stato di diritto ove sussiste
la presunzione di innocenza fino al 3° grado di
giudizio in Cassazione ... ma in questi casi la
flagranza c'è (laddove non esiste, a priori,
l'autorizzazione dell'ente di appartenenza) e,
quindi, si sanzionino senza indugio i malfattori
senza aspettare che la "flemmatica" Giustizia
italiana si pronunci con sentenza passata in
giudicato:
licenziamento
in tronco, restituzione delle somme indebitamente
percepite con interessi e rivalutazione monetaria,
risarcimento del danno all'immagine dell'Ente di
appartenenza e differimento dell'età pensionabile
al compimento del 90° anno di età !!
E questi "furbetti
di quartiere" nulla hanno da invidiare nei
confronti di altri loschi individui che, di continuo
e sottovoce, "predicano
bene ma razzolano male" ed amano la "sfida"
per non macchiarsi di:
Peculato
(art. 314 c.p.);
Peculato mediante
profitto dell'errore altrui
(art. 316 c.p.);
Concussione
(art. 317);
Corruzione per un atto d'ufficio
(art. 318 c.p.);
Corruzione per un
atto contrario ai doveri d'ufficio
(art. 319 c.p.);
Abuso di ufficio
(art. 323 c.p.);
Rivelazione ed
utilizzazione di segreti di ufficio
(art. 326 c.p.);
Rifiuto di atti
d'ufficio. Omissione
(art. 328 c.p.).
Ebbene, che anno nuovo è se non lo iniziamo con la
consueta, bella, sana e vitale inkazzatura quotidiana?? E
allora, leggete l'articolo sotto riportato.
Comunque, a tutti i nostri lettori i migliori Auguri di
Nuovo Anno ricolmo di salute e serenità.
02.01.2012 - LA SEGRETERIA PTPL |
|
PUBBLICO IMPIEGO: Consulenze
e incarichi privati. Il doppio lavoro degli
statali. Il rapporto della Guardia di
Finanza: già scoperti 3.300 casi.
C'è chi cartellino ed esce subito dopo, chi
sbriga in ufficio le pratiche dei suoi
clienti privati. Addirittura chi accetta
consulenze su progetti che poi dovrà
valutare per conto dell'Amministrazione.
Sono i dipendenti pubblici che svolgono il
doppio lavoro senza aver ottenuto
l'autorizzazione. E in questo modo causano
un grave danno all'erario.
Sono i numeri a dimostrarlo. Negli ultimi
tre anni sono circa 3.300 gli impiegati e i
funzionari, anche di livello alto, scoperti
dalla Guardia di Finanza e dagli ispettori
della Funzione pubblica a svolgere attività
esterne. Hanno guadagnato illecitamente
oltre 20 milioni di euro, causando un danno
alle casse dello Stato che sfiora i 55
milioni di euro. Il settore degli sprechi
nella spesa pubblica si conferma, dunque,
quello dove maggiormente bisogna
intensificare controlli e verifiche per
recuperare denaro e soprattutto evitare
ulteriori perdite.
La dimostrazione è nella relazione annuale
delle Fiamme gialle sul fenomeno dei «doppi
stipendi» che evidenzia i dati relativi
al periodo che va dal 2009 al 2011 e
soprattutto fa emergere i casi più
eclatanti. E nella quale viene sottolineata
«l'importanza di intervenire nel settore
degli sprechi della spesa pubblica che da un
punto di vista ragionieristico pesa quanto e
forse più di quello delle entrate fiscali.
Un'importanza che oggi traspare in maniera
ancor più evidente in ragione del perdurante
momento di crisi e degli impegni politici
assunti dall'Italia nei confronti della
comunità internazionale, i quali impongono
che le risorse disponibili siano spese sino
all'ultimo euro per sostenere l'economia e
le classi più deboli, eliminando sprechi,
inefficienze e -nei casi più gravi-
distrazioni di fondi pubblici che
rappresentano un ostacolo alla crescita del
Paese».
I progetti di geometri e
ingegneri.
La legge che disciplina «le
incompatibilità, il cumulo degli impieghi e
gli incarichi» consente ai dipendenti
pubblici di eseguire attività professionali
al di fuori dell'orario di lavoro, «purché
lo svolgimento del lavoro venga
preventivamente portato a conoscenza della
Pubblica amministrazione di appartenenza ai
fini della valutazione della sussistenza di
situazioni di incompatibilità o di conflitto
d'interesse con la stessa». Ed è proprio
questo il nodo che ha evidentemente impedito
a queste migliaia di persone di chiedere
l'autorizzazione.
Nel dossier gli analisti della Finanza
sottolineano come «non sia possibile
stereotipare il profilo del dipendente
pubblico che viola queste norme, perché si
va dai lavoratori con bassa qualifica fino a
dirigenti con posizioni apicali», ma
chiariscono che «i doppi lavori
esercitati sono dei più eterogenei,
spaziando dai lavori più umili alle alte
consulenze professionali e tecniche prestate
in cambio di laute retribuzioni. In sostanza
si va da chi tenta di arrotondare magri
stipendi a chi invece con il doppio lavoro
incrementa redditi già invidiabili».
Tra le denunce del 2011 spicca quella di un
geometra in servizio in un'amministrazione
provinciale che ha percepito consulenze per
885 mila euro senza aver mai chiesto alcun
nulla osta. Ma la circostanza più grave è
che i pareri riguardavano nella maggior
parte dei casi le pratiche che doveva poi
esaminare nello svolgimento del proprio
incarico presso l'Ente locale.
Poco meno ha guadagnato un ingegnere che è
riuscito a ottenere compensi extra per poco
più di 514 mila euro grazie al rapporto che
aveva con alcuni studi specializzati.
L'esperto di Fisco
dell'Agenzia.
Sembra incredibile, ma persino alcuni
dirigenti dell'Agenzia delle entrate hanno
accettato di svolgere mansioni per cittadini
e società private in materia fiscale. Il
record spetta a un alto funzionario che
senza chiedere alcuna autorizzazione ha
svolto incarichi per 850 mila euro. Introiti
di tutto rispetto anche per un professore
universitario che oltre alle lezioni presso
l'ateneo, ha percepito 266 mila euro di
compensi aggiuntivi. Nel suo caso -come
spesso accade- è stato l'organo di vigilanza
interno ad attivare l'Ispettorato, ma molto
più spesso i controlli vengono effettuati su
segnalazioni di cittadini -talvolta colleghi
di chi risulta al lavoro e invece non si
presenta- oppure grazie a indagini autonome
attivate dalla Guardia di Finanza.
Nel 2009 le Fiamme gialle hanno effettuato
738 interventi. Risultato: «Sono stati
738 soggetti verbalizzati, 15 milioni e
mezzo di euro le sanzioni contestate a
fronte di 1 milione e 161 mila euro di
compensi percepiti senza autorizzazione».
L'anno del boom è stato certamente il 2010,
quando l'allora ministro Renato Brunetta
chiese un'intensificazione delle verifiche
proprio in questo settore. Il dato registra
«983 interventi effettuati, 1.324 denunce
e ben 28 milioni 296 mila euro in sanzioni,
a fronte di introiti illegittimi che
superano i 13 milioni di euro». Buoni
risultati anche nei primi 10 mesi di
quest'anno (il dato contenuto nella
relazione arriva fino agli inizi di
novembre).
Pur essendo calato il numero dei controlli a
722, le persone scoperte sono state 1.029 e
10 milioni e mezzo di euro l'ammontare
complessivo delle contestazioni a fronte di
cinque milioni e mezzo di euro guadagnati
dai dipendenti pubblici senza
autorizzazione.
Il record di 62 consulenze.
È proprio nella relazione pubblicata a fine
ottobre scorso dagli ispettori del ministero
allora guidato da Brunetta che viene citato
il caso di «dodici tra funzionari e
dirigenti in rapporto di lavoro con Aziende
sanitarie che hanno ricevuto compensi
superiori a 100 mila euro ciascuno» per
attività extra. Ma il vero record l'ha
raggiunto un dipendente statale citato in
giudizio dalla magistratura contabile.
Si legge nella relazione della Funzione
pubblica: «Anche il procuratore capo
della Corte dei conti della Regione Lazio ha
citato durante l'inaugurazione dell'anno
giudiziario 2011 la "vicenda paradossale" di
un dipendente sottoposto a giudizio per
un'ipotesi di danno erariale di 2 milioni e
mezzo di euro. Il dipendente è risultato
titolare contemporaneamente di più rapporti
di pubblico impiego, espletando altresì in
un arco temporale di qualche anno ben 62
incarichi e consulenze professionali,
figurando come avvocato e fatturando con la
partita Iva della quale era titolare in
quanto intestatario -tra l'altro- di
un'attività commerciale di ristorazione».
La direttiva d'intervento del comandante
generale della Guardia di Finanza per il
prossimo anno impone che l'attività dei vari
reparti debba essere intensificata -oltre
che nella lotta all'evasione fiscale-
proprio sugli sprechi della spesa pubblica,
così come del resto è stato più volte
sollecitato dal governo. E quello dei doppi
stipendi è certamente uno dei settori in
cima alle liste di priorità per incrementare
i «fondi di produttività» dei
dipendenti pubblici (che servono tra l'altro
a pagare gli straordinari); la legge prevede
infatti che vengano incamerate non soltanto
le somme ingiustamente percepite dai
lavoratori, ma anche «gli introiti delle
sanzioni comminate ai soggetti committenti,
per lo più privati, che si avvalgono
irregolarmente delle prestazioni dei
pubblici dipendenti»
(articolo Corriere
della Sera
del 27.12.2011 - tratto da www.corteconti.it). |
NOTE,
CIRCOLARI E COMUNICATI |
EDILIZIA PRIVATA:
Oggetto: Regione Lombardia – Esercizio,
controllo, manutenzione ed ispezione degli
impianti termici nel territorio regionale -
Delibera Regionale IX/2601: disposizioni per
la termoregolazione e la contabilizzazione
di energia delle singole unità immobiliari
(ANCE Bergamo,
circolare 30.12.2011 n. 292). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Oggetto: Rifiuti - proroga del MUD e del
SISTRI (ANCE Bergamo,
circolare 30.12.2011
n. 288). |
PUBBLICO IMPIEGO: Oggetto:
Art. 42, commi da 5 a 5-quinquies, del
decreto legislativo 151/2001 - Retribuzione
e copertura contributiva per periodi di
congedo riconosciuti in favore dei familiari
di portatori di handicap. Chiarimenti
(INPDAP,
circolare 28.12.2011 n. 22). |
EDILIZIA PRIVATA:
Oggetto: competenze dei comuni in merito
al controllo e all'irrogazione delle
sanzioni in materia di certificazione
energetica degli edifici ed annunci
commerciali per la loro vendita o locazione
(Regione Lombardia, Direzione Generale
Ambiente, Energia e Reti, U.O. Energia e
Reti Tecnologiche,
nota 13.12.2011 n. 25944 di prot.). |
CORTE DEI
CONTI |
ENTI LOCALI - SEGRETARI COMUNALI:
Maggiori oneri di personale
derivanti da nomina Segretario Comunale
titolare.
Secondo la Corte dei Conti Sez. Reg.le
Lombardia (parere
28.12.2011 n. 680) anche la nuova
nomina di Segretario Comunale titolare (in
precedenza ruolo ricoperto con "reggenza")
-con conseguenti maggiori oneri- non
consente all'ente di sottrarsi al rispetto
dei vincoli di finanza pubblica relativi
alle spese di personale; è onere
dell'amministrazione adottare modelli
organizzativi che consentano eventualmente
di nominare un Segretario titolare con i
necessari risparmi di spesa, ad esempio, la
nomina con la formula del convenzionamento
con altri enti (tratto da www.publika.it). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO:
Comando.
La Corte dei Conti Sez. Reg.le Campania, con
parere 20.12.2011 n. 497, esami
l'istituto del comando (passivo) e ritiene:
- gli oneri che l'ente utilizzatore deve
rimborsare all'ente datore di lavoro debbono
essere conteggiati ai fini del rispetto del
comma 557 (o 562) dell'art. 1 L. 296/2006
- il comando può essere "assimilato" ad una
assunzione a tempo determinato e, come tale,
a decorrere dal 01.01.2012, concorrerà a
determinare il rispetto del limite di spesa
imposto dall'art. 9, comma 28, D.L. 78/2010
(esteso agli enti locali per effetto
dell'art. 4, comma 102, L. 183/2011) (tratto da www.publika.it). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO:
Incremento orario di rapporto di lavoro part-time.
La Corte dei Conti Sez. Reg.le Campania, con
parere 20.12.2011 n. 496
(riformando proprio precedente parere,
recependo orientamenti successivi, facendo
salvi pronunciamenti attesi dalla SS.RR. su
questioni connesse) reputa non interferente
l'incremento orario di un rapporto di lavoro
a tempo parziale con le disposizioni di cui
all'art. 9, comma 1, del D.L. 78/2010 (tratto da www.publika.it). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Assunzioni ex art. 90 TUEL.
La Corte dei Conti Sez. Reg.le Campania, con
parere 20.12.2011 n. 493, esamina
il caso di un ente che intende procedere ad
una assunzione ex art. 90 D.Lgs. 267/2000;
dal parere emerge anche quanto segue:
- la natura interpretativa del comma 103
dell'art. 4 della legge di stabilità 2012
(legge 183/2011) in relazione al limite
assunzionale del 20% riferito al solo
reclutamento a tempo indeterminato (conferma
interpretazione sezione Toscana con delibera
n. 410/2011)
- per l'anno 2011, quindi, la non attualità
della ricostruzione ermeneutica offerta
dalle SS.RR. con deliberazione n. 46/2011
- trattandosi di assunzione a tempo
determinato, il rispetto -a decorrere dal
01.01.2012- delle disposizioni limitative
di cui all'art. 9, comma 28, D.L. 78/2010 (50%
spesa anno 2009) esteso agli enti locali ad
opera della precitata legge di stabilità
2012 (art. 4, comma 102) (tratto da www.publika.it). |
QUESITI &
PARERI |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
I produttori di rifiuti speciali pericolosi
devono iscriversi al SISTRI
indipendentemente dal numero di dipendenti
impiegati? (link a
www.ambientelegale.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Come è regolata la movimentazione di rifiuti
da attività di manutenzione riguardo al
SISTRI? (link a
www.ambientelegale.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Come si configura il divieto di miscelazione
di rifiuti? (link a
www.ambientelegale.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Chi è obbligato alla messa in sicurezza e
ripristino ambientale dei siti inquinati?
(link a www.ambientelegale.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Il deposito temporaneo di rifiuti che superi
le quantità consentite configura abbandono
di rifiuti? (link a
www.ambientelegale.it). |
DOTTRINA E
CONTRIBUTI |
INCARICHI PROFESSIONALI:
D. Immordino,
Presupposti di legittimità per l’affidamento
di incarichi professionali esterni - Corte
dei Conti Sez. Giurisdizionale per il Lazio,
con sentenza 18.11.2011 n. 1619
(link a www.diritto.it). |
APPALTI:
F. Gavioli,
Subappalti sì ma la check-list deve essere
rispettata (link a www.ipsoa.it). |
SINDACAI E
ARAN |
PUBBLICO IMPIEGO: EE.LL.:
la disciplina delle assunzioni dopo la legge
di stabilità per il 2012
(CGIL-FP di Bergamo,
nota 28.12.2011). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Oggetto: Rinnovo R.S.U. Elezioni del
05-07.03.2012. Chiarimenti circa lo
svolgimento delle elezioni
(ARAN,
circolare
22.12.2011 n. 4/2011). |
UTILITA' |
SICUREZZA LAVORO:
Obbligo di formazione per i datori di lavoro
con funzioni di RSPP: finalmente l'accordo
Stato-Regioni.
Il Testo Unico sulla Sicurezza (D.Lgs.
81/2008) prevede che il datore di lavoro
garantisca che ciascun lavoratore riceva
adeguata formazione in materia di salute e
sicurezza, anche rispetto alle conoscenze
linguistiche, con particolare riferimento a:
● concetti di rischio, danno, prevenzione,
protezione, organizzazione della prevenzione
aziendale, diritti e doveri dei vari
soggetti aziendali, organi di vigilanza,
controllo, assistenza;
● rischi riferiti alle mansioni e ai
possibili danni e alle conseguenti misure e
procedure di prevenzione e protezione
caratteristici del settore o comparto di
appartenenza dell'azienda.
Inoltre il Testo Unico prevede che la
durata, i contenuti minimi e le modalità
della formazione siano definiti mediante
accordo in sede di Conferenza permanente per
i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le
Province autonome, previa consultazione
delle parti sociali.
Il 21.12.2011 la Conferenza Permanente per i
rapporti tra Stato e Regioni ha approvato
gli Accordi relativi alla formazione sulla
sicurezza.
Le nuove regole entreranno in vigore dopo la
pubblicazione degli accordi in Gazzetta
Ufficiale, prevista per gennaio.
La novità principale riguarda
l’individuazione della durata della
formazione in base al rischio dell’attività
aziendale: basso, medio, alto.
In particolare, le imprese saranno suddivise
per grado di rischio cui competeranno
diversi obblighi formativi.
I livelli saranno:
►
Basso: uffici e servizi, commercio,
artigianato e turismo
►
Medio: agricoltura, pesca, P.A., istruzione,
trasporti, magazzinaggio,
►
Alto: costruzioni, industria, alimentare,
tessile, legno, manifatturiero, energia,
rifiuti, raffinerie, chimica, sanità,
servizi residenziali.
Tutti i lavoratori, nessuno escluso dovranno
seguire corsi specifici in base al livello
di rischio:
Þ
Rischio Basso: 4 ore
Þ
Rischio Medio: 8 ore
Þ
Rischio Alto: 16 ore
con aggiornamento obbligatorio quinquennale.
La formazione può essere seguita in modalità
e-learning.
I datori di lavoro che svolgano funzioni di
RSPP dovranno seguire corsi specifici in
base al livello di rischio:
◊ Rischio Basso: 16 ore
◊ Rischio Medio: 32 ore
◊ Rischio Alto: 48 ore
Preposti e Dirigenti dovranno seguire corsi
di formazione specifici con aggiornamenti
obbligatori.
In allegato a questo articolo proponiamo il
testo dell'Accordo Stato-Regioni e uno
schema riepilogativo predisposto dall'AiFOS
(Associazione italiana FOrmatori della
Sicurezza sul lavoro)
(29.12.2011 - link a www.acca.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Da
UMAN la guida alla manutenzione e ai rifiuti
prodotti nel settore antincendio.
UMAN (Associazione dei Costruttori di
Materiale ANtincendio) ha pubblicato una
guida sulla gestione dello smaltimento dei
rifiuti prodotti durante l’attività di
manutenzione dei sistemi di protezione
antincendio.
Il documento nasce dall'esperienza delle
aziende che si occupano dell’attività di
manutenzione nel settore dell’antincendio e
dei loro consulenti e costituisce un
vademecum a disposizione dei tecnici e dei
manutentori, di supporto nella gestione dei
principali rifiuti originatisi dalle proprie
attività.
Gli argomenti trattati sono:
►
definizioni su rifiuti e manutenzione
►
classificazione e identificazione dei
rifiuti pericolosi
►
casi pratici di manutenzione e sostituzione
terminali antincendio
►
prove di spegnimento con estintori a norme
con revisione scaduta
►
guida al sistri (sistema di tracciabilità
dei rifiuti)
(29.12.2011 - link a www.acca.it). |
GURI - GUUE -
BURL (e anteprima) |
ENTI LOCALI: G.U.
31.12.2011 n. 304 "Differimento del
termine per la deliberazione del bilancio di
previsione per l’anno 2012 da parte degli
enti locali"
(Ministero dell'Interno,
decreto 21.12.2011). |
AMBIENTE-ECOLOGIA: G.U.
30.12.2011 n. 303, suppl. ord. n. 283, "Approvazione
del modello unico di dichiarazione
ambientale per l’anno 2012" (D.P.C.M.
23.12.2011). |
AMBIENTE-ECOLOGIA - ENTI LOCALI - VARI: G.U.
29.12.2011 n. 302 "Proroga di termini
previsti da disposizioni legislative"
(D.L. 29.12.2011 n.
216).
---------------
Arriva il “Milleproroghe”,
ma in versione light!
Il Consiglio dei Ministri ha approvato il
Decreto Legge Milleproroghe che,
diversamente dal passato, arriva in versione
light, ossia proroga un numero limitato di
termini previsti.
Tra le principali proroghe relative al
settore edile segnaliamo:
Domande variazione
categoria catastale fabbricati rurali
Per il riconoscimento della ruralità degli
immobili sarà possibile presentare entro il
31.01.2012 all'Agenzia del Territorio
domanda di variazione della categoria
catastale per l'attribuzione della categoria
A/6 alle abitazioni rurali o della categoria
D/10 per i fabbricati rurali strumentali.
Termine per l'entrata in
vigore del (SISTRI)
Vengono posticipati i termini di entrata in
vigore del SISTRI (Sistema di tracciabilità
dei rifiuti) con queste scadenze:
● 02.04.2012 per la piena operatività del
SISTRI;
● 01.01.2012 per l'iscrizione al SISTRI da
parte di piccole imprese agricole che
producono e trasportano modesti quantitativi
di rifiuti;
● 02.07.2012 per l'iscrizione per le piccole
imprese agricole al SISTRI.
Prevenzione incendi per
strutture alberghiere
Viene prorogato al 31.12.2012 il termine
ultimo per adeguare le strutture ricettive
turistico-alberghiere con oltre venticinque
posti letto esistenti che non abbiano
completato l'adeguamento alle disposizioni
di prevenzione incendi e siano ammesse al
piano straordinario biennale di adeguamento
antincendio.
Verifiche sismiche
Prorogata al 31.12.2012 la scadenza per le
attività connesse con le verifiche sismiche,
ossia le verifiche tecniche previste dall’O.P.C.M.
3274/2003 relative a edifici di interesse
strategico e ad opere infrastrutturali la
cui funzionalità durante gli eventi sismici
assume rilievo fondamentale per le finalità
di protezione civile (commento tratto da
www.acca.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA - ENTI LOCALI - VARI: B.U.R.
Lombardia, serie ordinaria n. 52 del
29.12.2011, "Disposizioni per
l’attuazione della programmazione
economico-finanziaria regionale, ai sensi
dell’art. 9-ter della l.r. 31.03.1978, n. 34
‘Norme sulle procedure della programmazione,
sul bilancio e sulla contabilità della
Regione’ - Collegato 2012" (L.R.
28.12.2011 n. 22). |
URBANISTICA: B.U.R.
Lombardia, serie ordinaria n. 52 del
29.12.2011, "Determinazione della
procedura di valutazione ambientale di piani
e programmi - VAS (art. 4, l.r. n. 12/2005)
- Criteri per il coordinamento delle
procedure di valutazione ambientale (VAS) –
Valutazione di incidenza (VIC) - Verifica di
assoggettabilità a VIA negli accordi di
programma a valenza territoriale (art. 4,
comma 10, l.r. 5/2010)"
(deliberazione
G.R. 22.12.2011 n. 2789). |
AMBIENTE-ECOLOGIA -
EDILIZIA PRIVATA: B.U.R.
Lombardia, serie ordinaria n. 52 del
29.12.2011, "Modifiche alla legge
regionale 05.12.2008, n. 31 (Testo unico
delle leggi regionali in materia di
agricoltura, foreste, pesca e sviluppo
rurale) e disposizioni in materia di
riordino dei consorzi di bonifica" (L.R.
28.12.2011 n. 25). |
AMBIENTE-ECOLOGIA: B.U.R.
Lombardia, serie ordinaria n. 52 del
29.12.2011, "Approvazione delle
disposizioni attuative per la presentazione
delle domande per l’accesso al Fondo Aree
Verdi secondo procedure a sportello, in
attuazione della d.g.r. 11297/2010 (l.r.
12/2005, art. 43, c. 2-bis e segg.)"
(decreto
D.G. 22.12.2011 n. 12754). |
EDILIZIA PRIVATA: B.U.R.
Lombardia, serie ordinaria n. 52 del
29.12.2011, "Semplificazione dei canoni
di polizia idraulica e riordino dei reticoli
idrici" (deliberazione
G.R. 22.12.2011 n. 2762). |
AMBIENTE-ECOLOGIA: B.U.R.
Lombardia, serie ordinaria n. 52 del
28.12.2011, "Revisione della normativa
tecnica di riferimento per la formazione dei
piani provinciali delle cave, ai sensi del
terzo comma dell’art. 2 e del secondo comma,
lettera g), dell’art. 6 della l.r.
08.08.1998, n. 14" (deliberazione
G.R. 22.12.2011 n. 2752). |
AMBIENTE-ECOLOGIA: B.U.R.
Lombardia, serie ordinaria n. 52 del
28.12.2011, "Determinazioni in merito ai
criteri di gestione obbligatoria e delle
buone condizioni agronomiche e ambientali ai
sensi del reg. CE 73/2009 - Modifiche ed
integrazioni alla d.g.r. 4196/2007" (deliberazione
G.R. 22.12.2011 n. 2738). |
ENTI LOCALI - VARI:
G.U. 27.12.2011 n. 300, suppl. ord. n.
276/L, "Testo
del decreto-legge 06.12.2011, n. 201,
coordinato con la legge di conversione
22.12.2011, n. 214, recante:
«Disposizioni urgenti per la crescita,
l’equità e il consolidamento dei conti
pubblici.»".
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Pubblicata in Gazzetta la Legge Monti. Ecco
le principali novità relative al settore
edile.
Pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 300
del 27.12.2011 la Legge n. 241 del
23.12.2011 di conversione del Decreto Monti.
Tra i punti principali e le modifiche
apportate al Decreto Legge, segnaliamo:
● Detrazione fiscale del 36%
● Detrazione fiscale del 55%
● Imposta propria sulla casa (IMU)
Al
riguardo ricordiamo che è possibile
calcolare l'importo dell'IMU per i
fabbricati con Imus, l'applicativo gratuito
ACCA per calcolare l'Imposta Municipale
Propria
● Opere di urbanizzazione a scomputo
● Iva
● Costo lavoro
● Limite ai pagamenti in contante
La redazione di BibLus-net propone, oltre
alla Legge di conversione e al testo
coordinato, un documento con la sintesi dei
provvedimenti relativi al settore edile
(commento tratto da e link a www.acca.it). |
AUTORITA'
VIGILANZA CONTRATTI PUBBLICI |
APPALTI:
Gli obblighi informativi sui
contratti pubblici all’Osservatorio non sono
delegabili a soggetti esterni
all’amministrazione.
Emanato il
comunicato 27.12.2011 con il
quale il Presidente dell’Autorità informa
che le credenziali di accesso alle banche
dati dell'Autorità non possono essere cedute
a soggetti diversi da quelli a cui sono
state rilasciate.
Di conseguenza non è consentito
esternalizzare l'attività di assolvimento
degli obblighi informativi sui contratti
pubblici verso l'Autorità (link a
www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI:
Procedura negoziata - In una
determinazione nuove indicazioni operative
per la procedura negoziata senza previa
pubblicazione del bando di gara nei
contratti di importo inferiore alla soglia
comunitaria.
Aggiornate con la
determinazione 14.12.2011 n. 8 le
indicazioni operative per la procedura
negoziata senza previa pubblicazione del
bando di gara nei contratti di importo
inferiore alla soglia comunitaria già
pubblicate con la Determinazione n. 2
nell’aprile scorso. L’atto si è reso
necessario a seguito delle modifiche del
quadro normativo introdotte dal
decreto-legge 13.05.2011, n. 70, Semestre
Europeo – Prime disposizioni urgenti per
l’economia, convertito in legge dalla legge
12.07.2011, n. 106.
L’innovazione principale è l’aumento da
500.000 ad un milione di euro della soglia
entro la quale è consentito affidare i
lavori con la procedura negoziata senza
bando a cura del responsabile del
procedimento. Le altre novità sono
l’innalzamento della soglia per
l’affidamento tramite procedura negoziata
dei lavori sui beni culturali, l’intervento
sul regime generale della procedura
negoziata (art. 56 e 57 del Codice),
l’innalzamento della soglia per
l’affidamento diretto dei contratti di
servizi e forniture (link a
www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI: La
stazione appaltante può fissare, nell’ambito
della propria discrezionalità, requisiti di
partecipazione ad una gara di appalto e di
qualificazione più rigorosi e restrittivi di
quelli minimi stabiliti dalla legge, purché,
tuttavia, tali prescrizioni si rivelino
rispettose dei principi di proporzionalità e
ragionevolezza, non limitino indebitamente
l’accesso alla procedura di gara e siano
giustificate da specifiche esigenze imposte
dal peculiare oggetto dell’appalto.
L’adeguatezza e la proporzionalità dei
requisiti richiesti dalla documentazione di
gara vanno, dunque, valutate con riguardo
all’oggetto dell’appalto ed alle sue
specifiche peculiarità.
In una gara per l’affidamento della gestione
dei servizi di una casa di riposo comunale,
è conforme alla normativa di settore la
richiesta, ai fini della dimostrazione della
capacità tecnica, dell’esibizione
dell’elenco dei servizi già effettuati in
appalto negli ultimi tre anni inerenti
l’oggetto della gara e non dei servizi
semplicemente analoghi, proprio in
considerazione dell’evidente specificità
della gestione del servizio oggetto
dell’appalto e della correlata specifica
idoneità professionale richiesta al gestore,
non surrogabile dalla allegata gestione di
servizi similari, nella specie gestione di
Centri riabilitativi per disabili psichici
(parere
di precontenzioso 23.03.2011 n. 55 -
link a www.autoritalavoripubblici.it). |
INCARICHI PROGETTUALI: Come
precisato nella determinazione n. 5/2010,
non è conforme ai principi di non
discriminazione e proporzionalità
l’utilizzo, per l’affidamento di incarichi
di progettazione di importo pari o inferiore
centomila euro, dei requisiti previsti dalla
normativa per gli affidamenti di
progettazione di importo superiore a
centomila euro ed in particolare i requisiti
economico-finanziari.
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Il servizio concernente la redazione e la
revisione delle norme tecniche di attuazione
di un PRG non rientra tra quelli elencati
dagli artt. 91 d.lgs. n. 163/2006 e 50
d.P.R. n. 554/1999. Appare più corretto
ricondurre tali servizi tra quelli attinenti
all’urbanistica ed alla paesaggistica,
atteso che l’urbanistica comprende la
totalità degli aspetti dell’uso del
territorio.
Tali servizi sono ricompresi dal legislatore
nell’Allegato II A al codice dei contratti
pubblici e, quindi, in conformità a quanto
disposto dall’art. 20 d.lgs. n. 163/2006,
sono soggetti integralmente al codice stesso
(parere
di precontenzioso 23.03.2011 n. 54 -
link a www.autoritalavoripubblici.it). |
LAVORI PUBBLICI: E’
conforme alla normativa di settore
l’esclusione dalla gara di un operatore
economico in possesso di una qualificazione
SOA la cui validità quinquennale è scaduta
nel corso dello svolgimento della procedura
di gara e rispetto alla quale non abbia
dimostrato di avere avviato la procedura di
rinnovo dell’attestazione nei termini
richiesti dall’art. 15 del d.P.R. n. 34/2000
(parere
di precontenzioso 23.03.2011 n. 53 -
link a www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI: In
caso di informativa prefettizia a carico
dell’impresa mandante di un consorzio, ai
sensi dell’art. 12 del d.P.R. 03.06.1998, n.
252 l’impresa mandataria può estromettere o
sostituire l’impresa mandante con altra
impresa dotata dei necessari requisiti,
anche prima della stipula del contratto
(parere
di precontenzioso 23.03.2011 n. 52 -
link a www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI: E’
conforme alla normativa di settore la
condotta della stazione appaltante che, in
sede di autotutela, verificata la
sussistenza di una irregolarità nella
verifica dei requisiti di uno degli
operatori economici, dopo avere escluso
detto operatore economico, ha rideterminato
la media ed ha disposto una nuova
aggiudicazione provvisoria in favore di
impresa diversa da quella previamente
individuata come aggiudicataria provvisoria.
Ciò in quanto l’aggiudicazione provvisoria
ha natura di atto endoprocedimentale, ad
effetti instabili e del tutto interinali,
inidonei a produrre la lesione definitiva
della posizione dell’impresa aggiudicataria,
situazione che si verifica solo con
l’aggiudicazione definitiva e la natura non
definitiva dell’atto inciso esclude che si
possa ragionare in termini di vera e propria
autotutela, con conseguente inapplicabilità
dei limiti propri dell’art. 21-nonies della
legge n. 241/1990
(parere
di precontenzioso 23.03.2011 n. 51 -
link a www.autoritalavoripubblici.it). |
LAVORI PUBBLICI: E’
conforme alla normativa in tema di
pubblicità prevista dall’art. 122 del Codice
dei contratti pubblici per gli appalti di
lavori sotto soglia, la fissazione da parte
della stazione appaltante della data di
effettuazione del sopralluogo a cinque
giorni dalla pubblicazione del bando sulla
GURI
(parere
di precontenzioso 23.03.2011 n. 50 -
link a www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI: La
certificazione prevista dall’art. 44 del
d.lgs. n. 163/2006, cioè la presentazione di
certificati rilasciati da organismi
indipendenti per attestare il rispetto da
parte dell’operatore economico di
determinate norme di gestione ambientale, è
diretta ad attestare una qualificazione
soggettiva dell’impresa concorrente e non
una qualità tecnica dell’offerta predisposta
dal soggetto partecipante alla gara.
Non è pertanto conforme alla normativa di
settore la previsione della stazione
appaltante di inserire tra gli elementi di
valutazione dell’offerta il possesso da
parte dell’operatore economico di “Requisiti
di sistema di gestione ambientale”,
giacché in tal modo si introduce una
evidente commistione tra requisiti
soggettivi di capacità tecnica e
professionale dell’impresa e criteri di
valutazione di ogni singola offerta ai fini
dell’aggiudicazione
(parere
di precontenzioso 23.03.2011 n. 49 -
link a www.autoritalavoripubblici.it). |
LAVORI PUBBLICI: In
caso di gara da aggiudicare secondo il
criterio dell’offerta economicamente più
vantaggiosa da individuarsi secondo il
metodo aggregativo compensatore di cui
all’allegato B del d.P.R. n. 554/1999 il
quale, a sua volta, per gli elementi di
valutazione di natura qualitativa rinvia al
sistema del confronto a coppie di cui
all’allegato A del d.P.R. n. 554/1999, la
stazione appaltante che ha escluso l’offerta
dell’aggiudicataria provvisoria, non può
procedere all’aggiudicazione della gara alla
seconda classificata, ma deve ripetere il
giudizio di valutazione delle offerte
tecniche, secondo il criterio stabilito dal
bando di gara giacché la metodologia del
confronto a coppie, per sua stessa natura,
non permette di individuare la migliore
offerta in assoluto, ma soltanto quella che,
nel confronto con le altre, si rivela essere
la migliore con la conseguenza che, in caso
di annullamento dell’ammissione alla gara di
una delle concorrenti, non possono essere
considerati né i punteggi del concorrente
escluso né i punteggi conseguiti dagli altri
concorrenti nel confronto a coppia con il
primo, con conseguente necessità di
procedere ad una rimodulazione della
graduatoria.
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Il requisito della qualificazione SOA deve
sussistere non solo al momento della
presentazione dell’offerta, ma permanere
anche in ogni successiva fase del
procedimento ad evidenza pubblica e, nel
caso in cui l’impresa risulti
aggiudicataria, persistere per tutta la
durata dell’appalto.
Tenuto conto che gli effetti della verifica
triennale decorrono dalla data di scadenza
del triennio solo se l’impresa si sottopone
a verifica almeno 60 giorni prima dello
scadere del terzo anno dalla data del
rilascio dell’attestazione -mentre se la
verifica è compiuta dopo la scadenza
predetta, l’efficacia della stessa decorre
dalla ricezione della comunicazione da parte
dell’impresa– e che, dunque, l’impresa
rimane in possesso della qualificazione
senza soluzione di continuità, solo in tali
casi l’impresa può partecipare alle gare
anche nelle more della effettuazione della
verifica triennale, anche quando sia scaduto
il triennio di validità
(parere
di precontenzioso 10.03.2011 n. 48 -
link a www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI: La
stazione appaltante può fissare, nell’ambito
della propria discrezionalità, requisiti di
partecipazione ad una gara di appalto e di
qualificazione più rigorosi e restrittivi di
quelli minimi stabiliti dalla legge, purché,
tuttavia, tali prescrizioni si rivelino
rispettose dei principi di proporzionalità e
ragionevolezza, non limitino indebitamente
l’accesso alla procedura di gara e siano
giustificate da specifiche esigenze imposte
dal peculiare oggetto dell’appalto.
L’adeguatezza e la proporzionalità dei
requisiti richiesti dalla documentazione di
gara vanno, dunque, valutate con riguardo
all’oggetto dell’appalto ed alle sue
specifiche peculiarità. In una gara per
l’affidamento del servizio biennale di
monitoraggio della qualità erogata e della
qualità percepita negli aeroporti “L. Da
Vinci” di Fiumicino e “G.B. Pastine” di
Ciampino avente un importo a base d’asta
annuo pari a € 750.000,00 non è conforme
alla normativa di settore la richiesta di un
fatturato specifico per ciascun esercizio
del triennio antecedente la gara non
inferiore a € 2.500.000,00.
Non è del pari conforme alla normativa di
settore la richiesta che il requisito
tecnico dell’avvenuta regolare esecuzione di
almeno un servizio svolto nell’ambito di una
infrastruttura aperta al pubblico analoga a
quelle oggetto della procedura di importo
annuo non inferiore a € 500.000,00, in caso
di riunione di imprese, debba essere
posseduto per intero rispettivamente dalla
mandataria o dalla stessa consorziata del
Consorzio ordinario di concorrenti già in
possesso, almeno per il 60%, del requisito
del fatturato specifico
(parere
di precontenzioso 10.03.2011 n. 46 -
link a www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI: Qualora
le disposizioni della lex specialis
con le quali sono prescritti particolari
adempimenti per l’ammissione alla gara
indichino in modo equivoco taluni di detti
adempimenti, esse vanno interpretate nel
senso più favorevole all’ammissione degli
operatori economici, corrispondendo
all’interesse pubblico di assicurare un
ambito più vasto di partecipanti e quindi,
un’aggiudicazione alle condizioni migliori
possibili.
E’ conforme al richiamato principio
l’operato della Commissione di gara che, in
presenza di profili di dubbio interpretativo
ingenerato da difformità presenti nei
documenti di gara (dichiarazioni richieste
dal Capitolato di Appalto e dichiarazioni
riprodotte nel fac-simile allegato al bando
di gara) ha ritenuto di ammettere alla gara
l’operatore economico che ha reso la
dichiarazione attenendosi al fac-simile
allegato al bando
(parere
di precontenzioso 10.03.2011 n. 45 -
link a www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI: Costituisce
jus receptum il principio per cui i
requisiti richiesti dal bando devono essere
posseduti dai concorrenti entro i termini
richiesti dalla lex specialis al fine
di assicurare l’affidabilità dell’offerta;
né ciò può essere rinviato ad un momento
successivo ed eventuale, quale l’esecuzione
del contratto, pena la violazione del
superiore principio della par condicio dei
concorrenti, nonché per l’evidente rischio
che correrebbero le stazioni appaltanti di
affidare compiti fondamentali a soggetti di
cui non si sia accertata tempestivamente la
relativa capacità in termini adeguati alle
esigenze sottese all’interesse pubblico
perseguito ed esplicato nella medesima
lex specialis
(parere
di precontenzioso 10.03.2011 n. 44 -
link a www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI SERVIZI: La
gestione di una Comunità alloggio (art. 55
L.R. Puglia n. 19/2006) richiede lo
svolgimento di attività socio-assistenziali
e di attività socio-riabilitative,
riconducibili queste ultime ai sensi degli
artt. 55 e 57 della citata legge ad
interventi concernenti la cura della
persona, la promozione e tutela dei processi
di partecipazione sociale degli utenti,
l’attivazione delle potenzialità
relazionali, organizzative, espressive di
questi ultimi.
Pertanto, nel caso di gara per l’affidamento
della concessione di immobile comunale per
la gestione di una comunità alloggio per
soggetti diversamente abili, la richiesta
tra i requisiti, da parte della stazione
appaltante, anche di una competenza in
attività socio-riabilitative non appare
irragionevole
(parere
di precontenzioso 10.03.2011 n. 43 -
link a www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI: Non
è consentito chiedere l’integrazione della
documentazione in presenza di clausole del
bando chiare e dell’espressa previsione
dell’esclusione in caso di mancato rispetto
della lex specialis, pena la
violazione della par condicio tra i
concorrenti.
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Le amministrazioni possono richiedere alle
imprese requisiti di partecipazione ad una
gara di appalto e di qualificazione più
rigorosi e restrittivi di quelli minimi
stabiliti dalla legge, purché tali
prescrizioni rispettino il limite della
logicità e ragionevolezza, e cioè della
pertinenza e congruità a fronte dello scopo
perseguito.
Tale limite non è superato dalla richiesta
di referenze bancarie recanti l’attestazione
che il fido generale eventualmente
concedibile sarebbe di importo non inferiore
alla somma del valore stimato dei singoli
lotti dell’appalto giacché tale richiesta è
chiaramente finalizzata a verificare
l’affidabilità che le stesse banche
dichiaranti attribuiscono all’operatore
economico concorrente
(parere
di precontenzioso 10.03.2011 n. 42 -
link a www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI: La
richiesta ai concorrenti alle gare di
appalto del pagamento di un doppio onere di
partecipazione, rappresenta una violazione
del principio della libera partecipazione
agli appalti da parte degli operatori
economici, atteso che l’unica forma di
partecipazione consentita è il rimborso
delle spese di riproduzione della
documentazione di gara (fattispecie relativa
alla previsione del pagamento di una somma
di € 50,00 per il ritiro dell’attestazione
di avvenuta presa visione dei luoghi e dei
documenti inerenti l’appalto nonché di €
200,00 per il ritiro su supporto informatico
(CD-ROM) di copia completa degli elaborati
progettuali a base di gara).
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La direttiva 2004/18/CE ("considerando" n.
46) prevede, nel caso di aggiudicazione
all’offerta economicamente più vantaggiosa,
la piena discrezionalità
dell’amministrazione aggiudicatrice nella
fissazione dei criteri, purché tali criteri
siano indicati nel bando di gara.
La scelta del peso da attribuire a ciascun
elemento dell’offerta è rimessa, quindi,
caso per caso alla stazione appaltante, in
relazione alle peculiarità specifiche
dell’appalto e, dunque, all’importanza che,
nel caso concreto, hanno il fattore
economico quantitativo e gli elementi
qualitativi.
Costituisce erronea applicazione dell'art.
83 del D.Lgs. n. 163/2006 la commistione fra
requisiti soggettivi di partecipazione ed
elementi oggettivi di valutazione
dell'offerta, che si verifica quando
elementi di valutazione specificati
riguardano caratteristiche organizzative e
soggettive del concorrente, che afferiscono
all'esperienza pregressa maturata dalla
concorrente ed al suo livello di capacità
tecnica e specializzazione, ovvero ad
aspetti che, in quanto tali, possono
legittimamente rilevare solo in sede di
qualificazione alla gara, e quindi solo
quali criteri di ammissione alla stessa e
non di valutazione dell’offerta
(parere
di precontenzioso 10.03.2011 n. 40 -
link a www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI: Appare
conforme alla disciplina di settore
l’esclusione da una procedura di gara di un
concorrente che abbia prodotto la
documentazione concernente l’avvalimento
priva di sottoscrizione autografa in
originale da parte del rappresentante legale
dell’impresa ausiliaria.
Infatti, ai sensi dell'art. 49, comma 2,
lett. f), del D.Lgs. n. 163/2006, il
concorrente che intende utilizzare
l'istituto dell'avvalimento deve presentare,
"in originale o copia autentica, il
contratto in virtù del quale l'impresa
ausiliaria si obbliga nei confronti del
concorrente a fornire i requisiti e a
mettere a disposizione le risorse necessarie
per tutta la durata dell'appalto". E ciò
in aggiunta ad una dichiarazione della
impresa ausiliaria di analogo ma non
identico tenore, ai sensi dell’art. 49,
comma 2, lett. d), essendo quest’ultima
rivolta "verso il concorrente e verso la
stazione appaltante”.
La mancanza di sottoscrizione autografa
originale, da parte del rappresentante
legale dell'impresa ausiliaria del contratto
di avvalimento, a fronte della necessaria
forma scritta ad substantiam ex art.
1350, n. 13 c.c., non consente di attribuire
con la necessaria certezza il documento al
suo autore ed il relativo negozio ad una
volontà validamente espressa, con ciò
risultando evidentemente il contratto voluto
dalla norma formalmente privo di valore
alcuno, con conseguente inevitabile
esclusione dalla gara per mancanza di un
documento di rito
(parere
di precontenzioso 10.03.2011 n. 39 -
link a www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI: I
requisiti di capacità economica e
finanziaria e di capacità tecnica e
professionale per le imprese esecutrici di
lavori pubblici, per i fornitori e per i
prestatori di servizi, previsti,
rispettivamente, dagli artt. 28, comma l,
lett. a), b) e c), del D.P.R. n. 34/2000,
dall'art. 41, comma 1, lett. b) e c) e
dall'art. 42, comma 1, D.Lgs. n. 163/2006
possono essere provati dai concorrenti in
sede di gara mediante dichiarazione
sottoscritta in conformità alle disposizioni
del D.P.R. del 28.12.2000, n. 445.
La loro sussistenza è, poi, accertata dalla
stazione appaltante in base all'art. 48 D.
Lgs. n. 163/2006, richiedendo ai concorrenti
sorteggiati e ai primi due classificati la
documentazione probatoria, che gli stessi
sono tenuti ad esibire a conferma delle
dichiarazioni rilasciate.
Nell’ambito delle verifiche ex art. 48 del
Codice, ove la stazione appaltante richieda
al concorrente la comprova dei requisiti
dichiarati mediante l’esibizione dei
relativi documenti in “originale” o “copia
autentica”, tale ultima locuzione deve
essere letta in conformità alla disciplina
di carattere generale (applicabile anche
alle procedure di scelta del contraente per
espressa disposizione dell’art. 77-bis
D.P.R. n. 445/2000) contenuta negli artt. 18
e 19 D.P.R. n. 445/2000, dal cui combinato
disposto risulta che il legislatore -pur nei
limiti fissati dal predetto art. 19- ha
introdotto una modalità alternativa
all’autenticazione di copie, che coinvolge
direttamente il soggetto privato, il quale
mediante dichiarazione sostitutiva dell'atto
di notorietà, può attestare, per proprio
conto, che è conforme all'originale la copia
di:
- un documento conservato o rilasciato da
una Pubblica amministrazione;
- una pubblicazione; un titolo di studio;
- un titolo di servizio; un documento
fiscale che deve essere obbligatoriamente
conservato dal privato.
In tale fase di verifica, dunque,
legittimamente l’operatore economico può
utilizzare le modalità alternative
all’autenticazione di copie, essendo tale
facoltà ammessa direttamente dal legislatore
e non espressamente esclusa dalla stazione
appaltante
(parere
di precontenzioso 24.02.2011 n. 38 -
link a www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI: In
ordine alle modalità di pagamento del
contributo in favore dell’Autorità, è
corretto prevedere l’esclusione da una gara
solo nel caso in cui non sia stato
effettuato tale pagamento e non nel
differente caso in cui lo stesso sia stato
effettuato mediante versamento su conto
corrente postale, anziché secondo le nuove
modalità.
L’esclusione dalla gara rappresenta un atto
dovuto ogni qual volta si presenti un
inadempimento di tipo sostanziale,
consistente nel mancato pagamento delle
contribuzioni dovute all’Autorità, e non un
inadempimento di tipo formale (cfr. AVCP
pareri n. 8 del 14.01.2010, n. 67 del
25.03.2010, n. 225 del 16.12.2010).
Ne deriva che se è corretto riportare nella
lex specialis il contenuto delle
istruzioni operative concernenti il
versamento del contributo all’Autorità,
prevedendo, altresì, l’esclusione in caso di
mancato pagamento, non è, invece, corretto
prevedere la medesima sanzione nel caso di
violazione meramente formale delle predette
istruzioni
(parere
di precontenzioso 24.02.2011 n. 37 -
link a www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI: In
ordine alle modalità di pagamento del
contributo in favore dell’Autorità, è
corretto prevedere l’esclusione da una gara
solo nel caso in cui non sia stato
effettuato tale pagamento e non nel
differente caso in cui lo stesso sia stato
effettuato mediante versamento su conto
corrente postale, anziché secondo le nuove
modalità.
L’esclusione dalla gara rappresenta un atto
dovuto ogni qual volta si presenti un
inadempimento di tipo sostanziale,
consistente nel mancato pagamento delle
contribuzioni dovute all’Autorità, e non un
inadempimento di tipo formale (cfr. AVCP
pareri n. 8 del 14.01.2010, n. 67 del
25.03.2010, n. 225 del 16.12.2010).
Ne deriva che se è corretto riportare nella
lex specialis il contenuto delle
istruzioni operative concernenti il
versamento del contributo all’Autorità,
prevedendo, altresì, l’esclusione in caso di
mancato pagamento, non è, invece, corretto
prevedere la medesima sanzione nel caso di
violazione meramente formale delle predette
istruzioni
(parere
di precontenzioso 24.02.2011 n. 36 -
link a www.autoritalavoripubblici.it). |
LAVORI PUBBLICI: Ai
sensi dell’art. 90, comma 8, del D.Lgs. n.
163/2006 incorre nel divieto ivi sancito il
partecipante alla procedura di affidamento
di lavori che abbia predisposto o abbia
avuto modo di conoscere, anche
indirettamente, la progettazione
preliminare, in quanto è sufficiente il solo
sospetto della possibile lesione della
trasparenza nella circolazione delle
informazioni legate all’intervento, a
costituire un vulnus al principio
della par condicio
(parere
di precontenzioso 24.02.2011 n. 35 -
link a www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI: L’art.
41 del D.Lgs. n. 163/2006, come modificato
dal D.Lgs. n. 152/2008, annovera tra i mezzi
probatori che la stazione appaltante può
richiedere ai concorrenti ai fini della
dimostrazione della loro capacità economica
e finanziaria, alla lettera a), la “dichiarazione
di almeno due istituti bancari o
intermediari autorizzati ai sensi del
decreto legislativo 01.09.1993, n. 385”.
Il comma 3, della disposizione prevede a tal
riguardo l’ipotesi dell’impossibilità di
presentare le referenze richieste “per
giustificati motivi, ivi compreso quello
concernente la costituzione o l’inizio di
attività da meno di tre anni”; in tal
caso, il legislatore consente di “provare
la propria capacità economica e finanziaria
mediante qualsiasi altro documento
considerato idoneo dalla stazione appaltante”.
Tale facoltà, in quanto espressamente
prevista dalla citata norma primaria (art.
41, comma 3, del D.Lgs. n. 163/2006), pur in
assenza di una esplicita previsione del
bando a proposito della produzione di una
sola referenza bancaria, in luogo delle due
richieste, è ugualmente esercitabile in
virtù del carattere obbligatorio della
previsione normativa di che trattasi.
Il concorrente ha la possibilità di
presentare una sola referenza bancaria, o
comunque di esonerarsi in parte dalla
dimostrazione dei requisiti di capacità
economico-finanziaria richiesti nel bando, a
condizione che, nell’esplicitarne il
giustificato motivo alla stregua del comma 3
dell’art. 41, contestualmente produca la
documentazione alternativa atta a comprovare
il possesso del requisito richiesto in sede
di gara, poiché uno solo è il termine,
essenziale a pena di esclusione, per la
produzione della documentazione richiesta
per l’ammissione ed illegittima è ogni
integrazione postuma ai sensi dell’art. 46
del D.Lgs. n. 163/2006
(parere
di precontenzioso 24.02.2011 n. 34 -
link a www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI: Per
le società e gli enti l’obbligo di
dichiarare l'assenza del c.d. “pregiudizio
penale” ex art. 38 del Codice concerne
tutti i soggetti, in atto, muniti dei poteri
di rappresentanza, anche institoria o
vicaria, ovvero il direttore tecnico, nonché
tutti i soggetti cessati dalla carica nel
triennio antecedente la pubblicazione del
bando, indipendentemente dalla circostanza
che non abbiano materialmente speso i loro
poteri nella specifica gara.
Tale obbligo, espressivo di principi
fondamentali di ordine pubblico, in caso di
previsioni generiche della lex specialis,
ne consente la eterointegrazione, ove
manchino clausole esplicite con esso
contrastanti.
Con riguardo ai soggetti cessati dalla
carica, ai sensi dell’art. 47, comma 2, del
D.P.R. n. 445/2000, al legale rappresentante
è consentito produrre una dichiarazione
sostitutiva dell’atto di notorietà “per
quanto a propria conoscenza”
(parere
di precontenzioso 24.02.2011 n. 33 -
link a www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI: In
tema di dichiarazioni ex art. 38, per quanto
concerne la corretta interpretazione da
attribuirsi alla dichiarazione
sull’insussistenza delle condizioni ostative
alla partecipazione a gare pubbliche di
appalto, di cui all’art. 38, lett. da “a” ad
“m-quater” del D.Lgs. 163/2006 –ovvero se la
stessa debba contenere la riproduzione
integrale del contenuto delle lettere da “a”
ad “m-quater”, oppure debba considerarsi
sufficiente, ai fini della sua regolarità,
il richiamo complessivo alla norma ed alle
relative ipotesi– deve privilegiarsi
un’interpretazione non formalistica,
soprattutto a fronte di una lex specialis
che non preveda la necessità di una
dichiarazione che riporti integralmente il
testo della norma in questione a pena di
esclusione.
Deve quindi considerarsi sufficiente, ai
fini della regolarità, il richiamo alla
singola causa di esclusione dettata dalla
norma di cui all’art. 38 citato, e la
commissione di gara non può determinare
l’esclusione dei partecipanti che abbiano
presentato una dichiarazione nella quale vi
sia un riferimento specifico alla norma di
cui al citato art. 38 ed alla singola
specifica condizione prevista dalla lex
specialis, anche in coerenza con il
principio in tema di contratti ad evidenza
pubblica secondo cui le disposizioni del
bando devono essere interpretate in modo da
consentire la più ampia partecipazione dei
concorrenti.
---------------
E’ noto il principio fondamentale a tenore
del quale, mentre a fronte della violazione
di un chiaro disposto della lex specialis
previsto a pena di esclusione la stazione
appaltante è vincolata a disporre il
provvedimento esclusivo dell’offerta,
diversamente, laddove tale specifica
violazione non ci sia, ovvero nelle ipotesi
in cui le prescrizioni del bando di gara
siano possibili fonti di equivoci
interpretativi, si impone, in un corretto
rapporto tra Amministrazione e privato, una
lettura applicativa del bando idonea a
tutelare il principio di massima
partecipazione e l’interesse pubblico
all’individuazione della migliore offerta
(parere
di precontenzioso 24.02.2011 n. 32 -
link a www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI: E’
noto il principio fondamentale a tenore del
quale, mentre a fronte della violazione di
un chiaro disposto della lex specialis
previsto a pena di esclusione la stazione
appaltante è vincolata a disporre il
provvedimento di esclusione dell’offerta,
diversamente, laddove tale specifica
violazione non ci sia, ovvero nelle ipotesi
in cui le prescrizioni del bando di gara
siano possibili fonti di equivoci
interpretativi, si impone, in un corretto
rapporto tra Amministrazione e privato, una
lettura applicativa del bando idonea a
tutelare il principio di massima
partecipazione e l’interesse pubblico
all’individuazione della migliore offerta
(parere
di precontenzioso 24.02.2011 n. 31 -
link a www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI: In
ordine alle modalità di pagamento del
contributo in favore dell’Autorità, è
corretto prevedere l’esclusione da una gara
solo nel caso in cui non sia stato
effettuato tale pagamento e non nel
differente caso in cui lo stesso sia stato
effettuato mediante versamento su conto
corrente postale, anziché secondo le nuove
modalità.
L’esclusione dalla gara rappresenta un atto
dovuto ogni qual volta si presenti un
inadempimento di tipo sostanziale,
consistente nel mancato pagamento delle
contribuzioni dovute all’Autorità, e non un
inadempimento di tipo formale (cfr. AVCP
pareri n. 8 del 14.01.2010, n. 67 del 25.
3.2010, n. 225 del 16.12.2010).
Ne deriva che se è corretto riportare nella
lex specialis il contenuto delle
istruzioni operative concernenti il
versamento del contributo all’Autorità,
prevedendo, altresì, l’esclusione in caso di
mancato pagamento, non è, invece, corretto
prevedere la medesima sanzione nel caso di
violazione meramente formale delle predette
istruzioni
(parere
di precontenzioso 09.02.2011 n. 30 -
link a www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI: In
ordine alle modalità di pagamento del
contributo in favore dell’Autorità, è
corretto prevedere l’esclusione da una gara
solo nel caso in cui non sia stato
effettuato tale pagamento e non nel
differente caso in cui lo stesso sia stato
effettuato mediante versamento su conto
corrente postale, anziché secondo le nuove
modalità.
L’esclusione dalla gara rappresenta un atto
dovuto ogni qual volta si presenti un
inadempimento di tipo sostanziale,
consistente nel mancato pagamento delle
contribuzioni dovute all’Autorità, e non un
inadempimento di tipo formale (cfr. AVCP
pareri n. 8 del 14.01.2010, n. 67 del
25.03.2010, n. 225 del 16.12.2010).
Ne deriva che se è corretto riportare nella
lex specialis il contenuto delle
istruzioni operative concernenti il
versamento del contributo all’Autorità,
prevedendo, altresì, l’esclusione in caso di
mancato pagamento, non è, invece, corretto
prevedere la medesima sanzione nel caso di
violazione meramente formale delle predette
istruzioni
(parere
di precontenzioso 09.02.2011 n. 29 -
link a www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI: In
ordine a regole della lex specialis
che derogano alla disciplina di cui al
D.Lgs. n. 231/2002, si osserva che la
direttiva n. 2000/35/CE –recepita in Italia
con il citato D.Lgs. n. 231/2002 sulla lotta
contro i ritardi di pagamento nelle
transazioni commerciali– contiene norme
imperative, applicabili anche alle pubbliche
amministrazioni, che non sono derogabili
mediante la tacita accettazione delle
condizioni difformi con la presentazione di
una offerta in una gara pubblica di appalto.
La deroga ai termini di pagamento e agli
interessi moratori per ritardato pagamento,
fissati dalle menzionate disposizioni del
predetto D.Lgs. n. 231/2002 è, pertanto,
consentita solo previo accordo liberamente
sottoscritto dalle parti (cfr. Consiglio
Stato, Sez. V, 12.04.2005, n. 1638), assente
nel caso di predeterminazione unilaterale
nella lex specialis non negoziabile.
---------------
L’articolo 89, comma 3, del D.Lgs. n.
163/2006 stabilisce che nella
predisposizione delle gare di appalto le
stazioni appaltanti sono tenute a valutare
che il valore economico sia adeguato e
sufficiente rispetto al costo del lavoro
come determinato ai sensi dell’art. 87,
comma 2, lettera g).
Al decreto ministeriale di determinazione
periodica del costo del lavoro non può che
attribuirsi un valore meramente ricognitivo
del costo del lavoro formatosi in un certo
settore merceologico sulla base dei valori
economici previsti dalla contrattazione
collettiva, non potendo peraltro, mediante
l’imposizione di determinati parametri nella
formulazione delle offerte, eventualmente
pregiudicare la partecipazione alle
procedure di gara di operatori economici
che, per particolari ragioni
giuridico-economiche, valutate dalla
stazione appaltante in sede di accertamento
della congruità dell’offerta, possano
presentare offerte più vantaggiose.
---------------
Per consolidata giurisprudenza della Corte
di Giustizia europea, la differenza tra un
appalto di servizi e una concessione di
servizi risiede principalmente nelle
modalità previste per l’attribuzione del
corrispettivo dovuto a fronte del servizio
reso dall’operatore economico.
Un appalto pubblico di servizi, ai sensi
delle direttive 2004/18/CE e 2004/17/CE,
comporta un corrispettivo che è pagato
direttamente dall'amministrazione
aggiudicatrice al prestatore di servizi; si
è in presenza, invece, di una concessione di
servizi quando le modalità di remunerazione
pattuite consistono nel diritto
dell’operatore economico di sfruttare la
propria prestazione ed implicano che
quest'ultimo assuma il rischio legato alla
gestione dei servizi in questione.
Il vero discrimen tra concessione ed
appalto deve essere ricercato nel differente
destinatario della prestazione e nella
diversa allocazione del rischio di gestione
del servizio. In particolare, può parlarsi
di concessione se il servizio è rivolto al
pubblico e non direttamente
all'Amministrazione e se, almeno per la
parte prevalente, la remunerazione del
concessionario derivi dalla gestione del
servizio
(parere
di precontenzioso 09.02.2011 n. 28 -
link a www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI: Ai
sensi dell’art. 46 del Codice sussiste la
facoltà della stazione appaltante di
chiedere chiarimenti all’impresa concorrente
in ordine alle attestazioni già presentate
in sede di gara ed al contenuto delle
stesse.
---------------
In ordine alle modalità di pagamento del
contributo in favore dell’Autorità, è
corretto prevedere l’esclusione da una gara
solo nel caso in cui non sia stato
effettuato tale pagamento e non nel
differente caso in cui lo stesso sia stato
effettuato mediante versamento su conto
corrente postale, anziché secondo le nuove
modalità. L’esclusione dalla gara
rappresenta un atto dovuto ogni qual volta
si presenti un inadempimento di tipo
sostanziale, consistente nel mancato
pagamento delle contribuzioni dovute
all’Autorità, e non un inadempimento di tipo
formale (cfr. AVCP pareri n. 8 del
14.01.2010, n. 67 del 25.03.2010, n. 225 del
16.12.2010).
Ne deriva che se è corretto riportare nella
lex specialis il contenuto delle
istruzioni operative concernenti il
versamento del contributo all’Autorità,
prevedendo, altresì, l’esclusione in caso di
mancato pagamento, non è, invece, corretto
prevedere la medesima sanzione nel caso di
violazione meramente formale delle predette
istruzioni
(parere
di precontenzioso 09.02.2011 n. 27 -
link a www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI: Qualora
il disciplinare di gara preveda chiaramente,
a pena di esclusione, l’obbligo
dell’offerente di includere taluni documenti
nella busta comprendente la documentazione
amministrativa, la commissione di gara –al
fine di non violare il principio di par
condicio– è tenuta ad escludere il
concorrente che abbia omesso la
presentazione dei richiesti documenti, non
essendo possibile in tali casi consentire
l’integrazione della documentazione mancante
(parere
di precontenzioso 09.02.2011 n. 26 -
link a www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI: Qualora
la lex specialis commini
espressamente l’esclusione dalla gara in
conseguenza di determinate prescrizioni,
l’Amministrazione è tenuta a dare precisa ed
incondizionata esecuzione a dette
prescrizioni, restando preclusa ogni
valutazione circa la rilevanza
dell’inadempimento, la sua incidenza sulla
regolarità della procedura selettiva e la
congruità della sanzione contemplata nella
lex specialis, alla cui osservanza la
stessa Amministrazione si è autovincolata al
momento del bando.
Pertanto, laddove la clausola sia
chiaramente evidenziata nell’ambito della
lex specialis e formulata in termini
letterali che non presentano profili di
dubbio interpretativo, non può trovare
applicazione il principio a tenore del quale
le disposizioni con le quali siano
prescritti particolari adempimenti per
l’ammissione alla gara, ove indichino in
modo equivoco taluni dei detti adempimenti,
vanno interpretate nel senso più favorevole
all’ammissione degli aspiranti,
corrispondendo all’interesse pubblico di
assicurare un ambito più vasto di
valutazioni, e quindi, un’aggiudicazione
alle condizioni migliori possibili.
Allo stesso modo, in presenza di una
prescrizione del bando chiara, non è
consentito alla stazione appaltante
rivolgere un eventuale invito ai concorrenti
alla regolarizzazione dei documenti
prodotti; tale possibilità è riconosciuta
solo in caso di equivocità della clausola
del bando di gara
(parere
di precontenzioso 09.02.2011 n. 25 -
link a www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI: Deve
ritenersi conforme ai parametri di
ragionevolezza, adeguatezza e
proporzionalità, la clausola di un bando di
gara contemplante, ai fini dell’ammissione
dei concorrenti, la produzione del documento
in originale o copia autentica comprovante
l’avvenuta costituzione della cauzione
provvisoria stabilendo, altresì, che “il
relativo documento dovrà recare, a pena
d’esclusione, la firma in originale del
rappresentante legale, o suo delegato, sia
dell’impresa concorrente che dell’istituto
emittente”.
Tale clausola garantisce in maniera più
forte l’impegno dei soggetti fideiussori
(istituti di credito e assicurazioni) e non
costituisce l’imposizione di un onere
sproporzionato rispetto agli scopi
perseguiti dalla stazione appaltante ovvero
ex se eccessivamente gravoso
(parere
di precontenzioso 09.02.2011 n. 24 -
link a www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI:
L’art. 79 del D.Lgs. n. 163/2006, come
modificato dal D.Lgs. n. 53/2010, consente
alle stazioni appaltanti di chiedere ai
partecipanti alle gare di indicare, all’atto
di presentazione della candidatura o
dell’offerta, il domicilio eletto ma
riconosce, altresì, la facoltà di chiedere
l’indicazione di altre forme di ricezione
delle comunicazioni di gara, individuandole
espressamente nella “posta elettronica”,
genericamente menzionata senza fare alcun
riferimento alla PEC, o nel “numero di
fax”, senza possibilità di individuare
ulteriori mezzi di comunicazione rispetto a
quelli ordinari previsti; ciò anche alla
luce della normativa di settore (cfr.:
decreto legge 29.11.2008, n. 185, art. 16,
comma 6) che impone alle società già
operanti di munirsi di un indirizzo PEC non
prima del mese di novembre 2011.
Si evidenzia, peraltro, che la disposizione
in questione individua mezzi di
comunicazione alternativi (l’indirizzo di
posta elettronica o il numero di fax) e non
cumulativi, pertanto non è conforme a tale
previsione la clausola del bando di gara che
preveda l’obbligo per i concorrenti di
indicare “domicilio, fax e posta
elettronica certificata (PEC)"
(parere
di precontenzioso 09.02.2011 n. 23
- link a www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI:
Nell’ambito dei requisiti di partecipazione
alle gare d’appalto, l’iscrizione in albi o
elenchi (nella specie Albo regionale delle
associazioni per la protezione degli
animali) non rientra tra i “requisiti
generali” tassativamente previsti
dall’art. 38 del D.Lgs. n. 163/2006 ma va
considerata quale requisito di “capacità”
e, quindi, di idoneità allo svolgimento di
una determinata attività, sicché può
costituire oggetto di avvalimento ai sensi
dell’articolo 49 del Codice dei contratti
pubblici.
In mancanza di indicazioni (confermative o
restrittive) contenute nel bando di gara,
infatti, trova applicazione l'istituto dell'avvalimento
nella sua massima estensione, avendo l'art.
49 del D.Lgs. n. 163/2006, di fonte
comunitaria, un'efficacia integrativa
automatica del bando di gara, anche laddove
non vi sia un espresso richiamo e, dunque,
l'assenza di espresse previsioni nella
lex specialis di gara non costituisce
motivo di impedimento al suo utilizzo, ma al
contrario legittima i concorrenti a far uso
della facoltà prevista dalla norma nella sua
più ampia portata
(parere
di precontenzioso 09.02.2011 n. 22
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APPALTI:
La clausola della lex specialis
contemplante la necessità che l’offerta
economica sia accompagnata da una fotocopia
del documento di identità, pena l’esclusione
dalla gara, costituisce un aggravio formale
per i concorrenti, estendendo erroneamente
ed ingiustificatamente all’offerta economica
la disciplina prevista dal legislatore
nell’art. 38, comma 3, del D.P.R. n.
445/2000 per le sole istanze e dichiarazioni
sostitutive di atto di notorietà da produrre
alla pubblica amministrazione.
L’obbligo di allegazione del documento di
identità stabilito dalla richiamata
normativa non sussiste per le dichiarazioni
di volontà di natura negoziale, qual è
l’offerta, atteso che i dati identificativi
di chi la sottoscrive non influiscono sulla
valutazione della stessa
(parere
di precontenzioso 09.02.2011 n. 21
- link a www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI:
La disciplina dell’affidamento degli appalti
pubblici è governata dai principi di
derivazione comunitaria in materia di
concorrenza, libertà di stabilimento e
libera prestazione dei servizi, che vedono
quale corollario i principi di massima
partecipazione alle pubbliche gare e,
quindi, di tassatività delle cause di
esclusione le quali, come evidenziato dalla
giurisprudenza “possono essere
legittimamente apposte dal legislatore
nazionale, ovvero dalle singole stazioni
appaltanti mediante una espressa clausola
del bando, solo ove sorrette da un
apprezzabile interesse pubblico nazionale
riferito allo svolgimento della gara, ovvero
alla successiva esecuzione del contratto,
ovvero alla garanzia di par condicio dei
concorrenti, purché alla stregua di canoni
di ragionevolezza, adeguatezza e
proporzionalità”.
Rispetta i predetti parametri di
ragionevolezza, adeguatezza e
proporzionalità, la richiesta, a pena di
esclusione, di una dichiarazione del
produttore tesa a garantire al committente,
sin dalla fase di scelta del contraente, la
corrispondenza dei prodotti offerti con
quelli richiesti, a tutela dell’apprezzabile
interesse pubblico alla realizzazione a
regola d’arte dell’opera oggetto
dell’appalto
(parere
di precontenzioso 26.01.2011 n. 20
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APPALTI:
Secondo un consolidato indirizzo di questa
Autorità (cfr.: determinazione n. 17 del
10.07.2002) e della stessa giurisprudenza
amministrativa la scelta di intervenire in
via di autotutela da parte della stazione
appaltante costituisce frutto di una
determinazione discrezionale e non
vincolata.
---------------
Questa Autorità ha già chiarito che non può
essere considerata in linea con le
disposizioni contenute nell’allegato B del
D.P.R. n. 554/1999 la formula adottata per
l’attribuzione del punteggio relativo al
prezzo offerto che comporta, nel caso
l’offerta corrisponda al prezzo a base di
gara, che il coefficiente di interpolazione
risulti diverso da zero.
Con determinazione n. 4 del 20.05.2009
l’Autorità ha confermato che l’espressione
che meglio risponde alle disposizioni
vigenti è la seguente: “a) nel caso in
cui il prezzo offerto è espresso in Euro:
PPi = PPmax x (Pbase – Pi)/ (Pbase-Pmin),
nella quale: PPi è il punteggio attribuito
all’offerta del concorrente in rapporto
all’elemento prezzo; Pmin è il prezzo minimo
offerto; Pi è il prezzo offerto dal
concorrente; PPmax è il punteggio massimo
attribuibile all’elemento prezzo; Pbase è il
prezzo posto a base di gara;
b) nel caso l’offerta è espressa in termini
di ribasso percentuale rispetto all’importo
a base di appalto: PPi = PPmax x ( Pr%i /
Pr%max), nella quale: PPi è il punteggio
attribuito all’offerta del concorrente in
rapporto all’elemento prezzo; PPmax è il
punteggio massimo attribuibile all’elemento
prezzo; Pr%i è il ribasso offerto dal
concorrente; Pr%max è il massimo ribasso
offerto.”
Infatti, da un lato, il mero rapporto tra i
dati numerici delle offerte espresse in
euro, se non raffrontato con il prezzo posto
a base di gara (per differenza numerica) non
ha alcun significato, dall’altro lato,
l’utilizzo del dato percentuale per
l’individuazione dei coefficienti di cui
trattasi permette di tener conto
dell’importo a base di gara e quindi
dell’effettiva differenza tra le offerte.
E’ vero che quando si sceglie come criterio
di aggiudicazione quello dell’offerta
economicamente più vantaggiosa,
l’individuazione della migliore offerta deve
derivare da un apprezzamento complessivo dei
fattori tecnici ed economici, dando
prevalenza ai primi (cfr. art. 83, D.Lgs. n.
163/2006), ma tale esigenza, da una parte,
non può comportare la scelta di derogare al
criterio dell’interpolazione lineare (da 0
punti da assegnare all’offerta
ipoteticamente pari all’importo posto a base
di gara, a 40 punti da attribuire
all’offerta economica caratterizzata dal
miglior ribasso) al cui rispetto la stazione
appaltante si è autovincolata e, dall’altra,
risulta adeguatamente soddisfatta dalla
scelta di attribuire 60 punti (dei 100 a
disposizione) all’offerta tecnica
(parere
di precontenzioso 26.01.2011 n. 19
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APPALTI:
Un inadempimento meramente formale non può
essere considerato dalla stazione appaltante
nel bando di gara sic et simpliciter
causa di esclusione, senza procedere ad un
previo accertamento dell’effettivo
versamento dell’importo dovuto all’Autorità,
in quanto l’esclusione dalla gara
rappresenta un atto dovuto ogni qual volta
che si presenti un inadempimento di tipo
sostanziale, consistente nel mancato
pagamento delle contribuzioni dovute
all’Autorità, e non un inadempimento di tipo
formale.
Ne deriva che se è corretto riportare nella
lex specialis il contenuto delle
istruzioni operative concernenti il
versamento del contributo all’Autorità,
prevedendo, altresì, l’esclusione in caso di
mancato pagamento, non è invece corretto
prevedere la medesima sanzione nel caso di
violazione meramente formale delle predette
istruzioni.
Osta a ciò, da un lato, il principio di
stretta interpretazione della cause di
esclusione dalle gare pubbliche –avendo
previsto il legislatore l’esclusione solo in
caso di mancato versamento del contributo– e
dall’altro, i principi di ragionevolezza e
proporzionalità dell’azione amministrativa
–che sarebbero violati se la stazione
appaltante non distinguesse, all’interno
della lex specialis, tra
inadempimenti di tipo sostanziale,
comportanti l’esclusione del concorrente, ed
inadempimenti di tipo formale, non aventi le
stesse conseguenze dei primi
(parere
di precontenzioso 26.01.2011 n. 18
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APPALTI FORNITURE:
Come evidenziato nella determinazione n. 2
del 29.03.2007, sono da reputarsi in
contrasto con il diritto comunitario e con
l’art. 68, comma 13, del D.Lgs. n. 163/2006
“l'inserimento nei documenti di gara e
nel progetto di clausole che di fatto
impongono l'impiego di materiali o prodotti
acquistabili da produttori determinati”.
Deve trovare applicazione e costituire fonte
di orientamento della stazione appaltante il
disposto dell’art. 68 comma 4, a tenore del
quale, “quando si avvalgono della
possibilità di fare riferimento alle
specifiche di cui al comma 3, lettera a), le
stazioni appaltanti non possono respingere
un'offerta per il motivo che i prodotti e i
servizi offerti non sono conformi alle
specifiche alle quali hanno fatto
riferimento, se nella propria offerta
l'offerente prova in modo ritenuto
soddisfacente dalle stazioni appaltanti, con
qualsiasi mezzo appropriato, che le
soluzioni da lui proposte ottemperano in
maniera equivalente ai requisiti definiti
dalle specifiche tecniche”.
Occorre, da un lato, fornire elementi tali
da individuare le concrete esigenze di
servizio e, dall’altro lato, garantire la
verifica di equivalenza senza imporre
paletti rigorosi e, in quanto privi di
riferimento alle proprie esigenze ma solo
riferibili ad alcuni limitati produttori,
discriminatori. Se tale principio assume
rilievo preminente a fronte del richiamo di
specifiche norme tecniche e di omologazione,
ancor più dovrà imporsi rispetto a requisiti
di dettaglio autonomi e privi di analogo
richiamo, cosicché in tal caso deve essere
garantita la possibilità di dimostrare con
qualsiasi mezzo appropriato che le soluzioni
tecniche e dimensionali proposte, seppur
diverse, garantiscono lo stesso risultato
perseguito e le esigenze sottese.
Pertanto, un eccessivo dettaglio dei
requisiti richiesti deve essere armonizzato
con i principi di cui all’art. 68 del D.Lgs.
n. 163/2006
(parere
di precontenzioso 26.01.2011 n. 17
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APPALTI:
I punti cardine della disciplina legislativa
dell’offerta anomala sono i seguenti: la
determinazione della soglia di presunta
anomalia che dà luogo al doveroso esercizio,
da parte della stazione appaltante, della
potestà di valutazione della congruità
dell'offerta; l'esclusione dell'applicazione
di tale criterio di determinazione soltanto
qualora il numero delle offerte ammesse sia
inferiore a cinque; in ogni caso, la facoltà
di valutare la congruità di ogni altra
offerta che, in base a elementi specifici,
appaia anormalmente bassa.
L'art. 86 del D.Lgs. n. 163/2006 sottopone
il canone dell'anomalia ad un criterio di
valutazione oggettivo, a tutela di un bene
generale quale il rispetto della concorrenza
e del mercato; e il rispetto di tale valore,
cui è funzionalizzato il relativo
procedimento delineato nei successivi
articoli 87 e 88, si traduce nel rigoroso
controllo della serietà dell'offerta e
dell'affidabilità dell'offerente,
imponendosi a tutti i soggetti che operano
in veste di partecipanti alla pubblica gara.
L'articolo 88 del Codice delinea un
sub-procedimento di verifica delle offerte
anomale di cui disciplina la fase
istruttoria, prevedendo le modalità di
richiesta di giustificazioni, i termini
concessi al concorrente, le modalità di
svolgimento in contraddittorio della fase di
verifica.
La valutazione della congruità o non
congruità delle offerte deve essere
effettuata attraverso un’analisi globale e
sintetica delle singole componenti di cui si
articola l’offerta e della incidenza che
queste hanno sull’offerta considerata nel
suo insieme. La verifica deve essere,
pertanto, finalizzata ad accertare se la non
congruità di una o più componenti
dell'offerta si traduce nella
inattendibilità dell'offerta nel suo insieme
(parere
di precontenzioso 26.01.2011 n. 16
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APPALTI:
Costituisce jus receptum il principio
per cui la regolarizzazione documentale può
essere consentita solo quando i vizi siano
puramente formali, o chiaramente imputabili
ad errore solo materiale, e sempre che
riguardino dichiarazioni o documenti non
richiesti a pena di esclusione, non essendo,
in quest'ultima ipotesi, ammessa la
sanatoria o l’integrazione postuma, che si
tradurrebbe in una violazione dei termini
massimi di presentazione dell’offerta e, in
definitiva, in una violazione della par
condicio.
Sanatorie documentali sono dunque consentite
–con la possibilità di integrare
successivamente la documentazione prodotta
con la domanda di partecipazione alla gara
o, comunque, con l’offerta– nel rispetto di
un duplice limite: la regolarizzazione deve
riferirsi a carenze puramente formali od
imputabili ad errori solo materiali; non può
mai riguardare produzioni documentali che
abbiano violato prescrizioni del bando o
della lettera di invito sanzionate con una
comminatoria di esclusione.
---------------
La ratio della normativa di cui
all’art. 38 del D.Lgs. n. 163/2006 risiede
nella esigenza di verificare l’affidabilità
complessivamente considerata dell’operatore
economico che andrà a contrattare con la
p.a., per evitare, a tutela del buon
andamento dell’azione amministrativa, che
quest’ultima entri in contatto con soggetti
privi di affidabilità morale e
professionale. Di volta in volta la lex
specialis della singola gara detta
regole di specificazione di tale onere che,
se da un lato assumono il valore di vincolo
per la stessa stazione appaltante e per gli
aspiranti partecipanti, dall’altro devono
sottostare agli ordinari criteri della
chiarezza di redazione e della
ragionevolezza di applicazione.
La mancanza della dichiarazione da parte di
alcuni dei professionisti concorrenti in
costituendo raggruppamento temporaneo
comporta necessariamente l’esclusione dalla
procedura concorsuale ai sensi dell’art. 9,
comma 3.1, del bando, sia in termini formali
di violazione delle statuizioni della lex
specialis previste a pena di esclusione
sia in termini sostanziali a fronte
dell’impossibilità per la stazione
appaltante di valutare l’assenza di cause
ostative ex art. 38 del D.Lgs. n. 163/2006.
Né appare ipotizzabile un’esclusione in
parte qua dei professionisti facenti parte
dei costituendi raggruppamenti, in quanto le
offerte devono essere valutate nella loro
interezza. Altrimenti opinando si violerebbe
il principio del generale divieto di
modificabilità soggettiva della composizione
dei partecipanti alla gara
(parere
di precontenzioso 26.01.2011 n. 15
- link a www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI:
E’ conforme l’esclusione dell’operatore
economico che, tra la documentazione
allegata all’offerta, ha omesso di includere
la dichiarazione espressamente prevista dal
disciplinare di gara relativa ai soggetti
cessati dalla carica
(parere
di precontenzioso 26.01.2011 n. 13
- link a www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI:
La sigillatura mediante ceralacca e il
timbro della società risultano
esaustivamente rispondenti al fine di
assicurare la chiusura e di confermare
l'autenticità della chiusura originaria
proveniente dal mittente, al fine di evitare
manomissioni del contenuto del plico stesso
e, quindi, la necessaria segretezza
dell’offerta, a tutela della par condicio.
Inoltre, l’apposizione della controfirma sui
lembi di chiusura, nonché del timbro della
società è idonea a evitare (non solo) la
manomissione da parte di terzi del plico, ma
anche ad attestare che il contenuto dello
stesso fosse quello approvato dal
concorrente che lo aveva presentato e,
quindi, la provenienza dall’offerente, nel
rispetto del principio dell'integrità e
imputabilità dell’offerta che governa la
materia delle gare pubbliche.
L’esegesi della portata delle clausole che
comminano l’esclusione dell’offerta per
violazione delle regole di formazione della
stessa, nell’ambito di una gara pubblica,
deve essere condotta secondo un criterio
rigoroso, che impedisce ogni lettura che ne
estenda l’efficacia oltre i limiti di
riferimento chiaramente ricavabili dal dato
testuale
(parere
di precontenzioso 26.01.2011 n. 12
- link a www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI:
L’azione dell’amministrazione conosce dei
limiti interni, costituiti dal necessario
rispetto dei principi costituzionali ed in
particolare dei principi di contabilità
pubblica ex art. 81 e di legalità e buon
andamento ex art. 97.
Pertanto, secondo la giurisprudenza
amministrativa, “il corretto svolgimento
dell’azione amministrativa ed un generale
principio di contabilità dello Stato
risalente all’art. 81 della Costituzione
esigono che i provvedimenti comportanti una
spesa siano adottati solo se provvisti di
adeguata copertura finanziaria”, e tale
non può considerarsi il riferimento
contenuto in un bando di gara ad un
finanziamento solo ipotetico e potenziale.
L’amministrazione non avrebbe potuto dar
corso ad una procedura ad evidenza pubblica
avente quale atto presupposto una
determinazione a contrarre non esecutiva per
mancanza del visto di regolarità contabile.
---------------
Nei casi in cui la richiesta di parere ex
articolo 6, comma 7, lettera n), del DLgs.
n. 163/2006 censuri profili della lex
specialis che attengono alla corretta
applicazione della disciplina legislativa di
settore, impedendo la partecipazione,
ostacolando o comunque restringendo la
concorrenza, può sussistere un interesse
strumentale di un soggetto non partecipante
alla gara all’enunciazione di principi che
possano orientare, anche in futuro, le
stazioni appaltanti nella stesura dei bandi
di gara nel pieno rispetto della disciplina
legislativa vigente in materia di appalti
pubblici.
In particolare, laddove si sia in presenza
di clausole c.d. escludenti -cioè di
clausole che precludono la partecipazione
alla gara, impedendo l'ammissione alla
stessa, o di quelle che non consentono di
effettuare un'offerta concorrenziale-
l'onere di presentare la domanda di
partecipazione costituisce un inutile
aggravio a carico dell'impresa.
L’Autorità è competente ad esaminare
l’avvenuto rispetto della concorrenza sotto
il profilo della garanzia di un’ampia
apertura al mercato a tutti gli operatori
economici del settore ed in particolare è
chiamata a vigilare su un’effettiva
concorrenza che, come statuito dalla Corte
Costituzionale nella sentenza del
22.11.2007, n. 401, deve essere intesa come
concorrenza “per” il mercato, in cui
il contraente venga scelto mediante
procedure di garanzia che assicurino il
rispetto dei valori comunitari e
costituzionali
(parere
di precontenzioso 12.01.2011 n. 11
- link a www.autoritalavoripubblici.it). |
INCARICHI PROGETTUALI:
La determinazione n. 5/2010 ha chiarito che
“qualora la prestazione riguardi opere
caratterizzate da più aspetti per esempio,
qualora si tratti di progetti integrati e
cioè progetti che prevedano prestazioni di
natura architettonica, strutturale ed
impiantistica, il criterio di valutazione a)
(professionalità o adeguatezza dell’offerta)
dovrebbe essere suddiviso in sub criteri e
relativi sub pesi (professionalità o
adeguatezza dell’offerta sul piano
architettonico, professionalità o
adeguatezza dell’offerta su piano
strutturale, professionalità o adeguatezza
dell’offerta sul piano impiantistico).
Tale tipo di scomposizione non deve, invece,
riguardare il criterio di valutazione b)
(caratteristiche qualitative e metodologiche
dell’offerta o caratteristiche metodologiche
dell’offerta), in quanto è proprio la
metodologia progettuale offerta che deve
tenere conto che il progetto, pur
presentando aspetti architettonici,
strutturali ed impiantistici, resta un unico
ed è proprio la migliore modalità proposta
dai concorrenti per dare soluzione al
rapporto fra i tre aspetti che condiziona la
valutazione dell’offerta”.
Non è conforme alla specifica normativa di
settore e risulta lesiva della concorrenza
la lex specialis che abbia omesso di
indicare i cd. criteri motivazionali, e, là
dove necessari, i sub criteri di valutazione
dell’offerta.
---------------
Costituisce una limitazione della
partecipazione alla gara contraria al
principio della massima concorrenza, l’aver
fissato i requisiti tecnico-organizzativi di
partecipazione in maniera difforme rispetto
all’art. 66 del D.P.R. n. 554/1999
(applicabile fino all'entrata in vigore del
regolamento di attuazione del Codice dei
contratti), ed in particolare in modo più
restrittivo.
Un bando di gara che prenda in
considerazione o i soli servizi di
progettazione o i soli servizi di direzione
dei lavori e, per la figura del direttore
dei lavori, richieda esclusivamente
l’esperienza professionale acquisita nello
svolgimento dei servizi di direzione
contrasta con la norma citata la quale, ai
fini della dimostrazione della capacità
tecnica ed organizzativa, ritiene utile
l’esperienza acquisita nello svolgimento di
tutti i servizi di ingegneria di cui
all’art. 50 del medesimo D.P.R..
---------------
L’Autorità, con la determinazione n. 5/2010,
ha precisato che nel caso dei servizi
tecnici si possono verificare due ipotesi:
l’appalto prevede l’affidamento di servizi
appartenenti ad una sola classe e categoria;
l’appalto prevede l’affidamento di servizi
appartenenti a più classe e categorie.
Nel primo caso, possono partecipare
all’appalto concorrenti singoli e
raggruppamenti temporanei di tipo
orizzontale. Nel secondo caso, possono
partecipare concorrenti singoli e
concorrenti in raggruppamento di tipo
verticale o misto. Si precisa che, nel caso
di raggruppamenti orizzontali, il requisito
di cui all’articolo 65, comma 4 del d.P.R.
n. 554/1999 per la mandataria riguarda una
percentuale di requisiti minimi, che la
stazione appaltante può fissare entro il
limite massimo del 60%. Le mandanti devono
coprire la restante quota del limite
stabilito per la mandataria. (…).
Nel caso di raggruppamento di tipo
verticale, la mandataria, ai sensi di quanto
disposto dall’articolo 37, comma 2, del
Codice, deve possedere i requisiti nella
percentuale del 100% di quanto previsto nel
bando e con riferimento alla classe e
categoria dei lavori di maggiore importo e,
pertanto da considerarsi la classe e
categoria principale in termini economici, e
ognuna delle mandanti deve possedere i
requisiti nella percentuale del 100% di
quanto previsto nel bando e con riferimento
alla classe e categoria dei lavori che
intende progettare.
Sulla base di quanto sopra evidenziato, in
caso di raggruppamento di tipo misto,
qualora il bando preveda una prestazione
principale e più prestazioni secondarie,
deve essere presente per ogni classe e
categoria un concorrente che possieda i
requisiti nella percentuale almeno pari a
quella indicata nei documenti di gara come
requisiti minimi della mandataria.
---------------
Nei casi in cui la richiesta di parere ex
articolo 6, comma 7, lettera n), del DLgs.
n. 163/2006 censuri profili della lex
specialis che attengono alla corretta
applicazione della disciplina legislativa di
settore, impedendo la partecipazione,
ostacolando o, comunque, restringendo la
concorrenza, può sussistere un interesse
strumentale di un soggetto non partecipante
alla gara all’enunciazione di principi che
possano orientare, anche in futuro, le
stazioni appaltanti nella stesura dei bandi
di gara nel pieno rispetto della disciplina
legislativa vigente in materia di appalti
pubblici
(parere
di precontenzioso 12.01.2011 n. 10
- link a www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI:
Se è corretto riportare nella lex
specialis il contenuto delle istruzioni
operative concernenti il versamento del
contributo all’Autorità, prevedendo,
altresì, l’esclusione in caso di mancato
pagamento, non è, invece, corretto prevedere
la medesima sanzione nel caso di violazione
meramente formale delle predette istruzioni.
Osta a ciò, da un lato, il principio di
stretta interpretazione della cause di
esclusione dalle gare pubbliche –avendo
previsto il legislatore l’esclusione solo in
caso di mancato versamento del contributo– e
dall’altro, i principi di ragionevolezza e
proporzionalità dell’azione amministrativa
–che sarebbero violati se la stazione
appaltante non distinguesse, all’interno
della lex specialis, tra
inadempimenti di tipo sostanziale,
comportanti l’esclusione del concorrente, ed
inadempimenti di tipo formale, non aventi le
stesse conseguenze dei primi
(parere
di precontenzioso 12.01.2011 n. 9
- link a www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI SERVIZI:
L’individuazione del corrispettivo d’appalto
non può prescindere, per il rispetto dei
basilari principi di efficienza, efficacia e
correttezza, da una verifica sostanziale
della sua congruità, che deve essere
valutata su una puntuale verifica delle
singole prestazioni dedotte in appalto. Per
ricondurre ad unità tutte le diverse
prestazioni richieste e addivenire alla
remunerazione complessiva del prestatore del
servizio, l’amministrazione può individuare
un prezzo a forfait, che presuppone,
ovviamente, l’effettuata analisi dei costi
delle singole prestazioni dedotte nel
contratto.
Per l’affidamento di un servizio di
ossigenoterapia domiciliare è compatibile
con la normativa di settore la scelta della
ASL di configurare il prezzo a base d’asta
sulla base di un canone giornaliero
forfetario per assistito, purché la stazione
appaltante effettui, preventivamente, una
puntuale analisi dei costi delle singole
prestazioni dedotte nel contratto per
garantire la remuneratività del
corrispettivo d’appalto, tenuto conto
dell’obbligo incombente sulle stazioni
appaltanti ai sensi dell’art. 89, comma 1,
del D.Lgs. n. 163/2006, sia un’adeguata
stima, ancorché in termini presuntivi, dei
fabbisogni di ossigeno per paziente al metro
cubo.
---------------
La qualificazione giuridica dell’appalto
misto avente per oggetto prodotti e servizi
deve essere effettuata utilizzando il c.d. “principio
della prevalenza economica”, in base al
quale l’appalto è considerato un appalto di
servizi solo se il valore di questi è
complessivamente superiore al totale delle
voci previste nel quadro economico per i
prodotti oggetto delle forniture
(parere
di precontenzioso 12.01.2011 n. 8
- link a www.autoritalavoripubblici.it). |
LAVORI PUBBLICI:
Non appare ragionevole giustificare la
scelta del Comune appaltante di non valutare
i servizi eseguiti in relazione a lavori
espletati in favore di privati, perché anche
la corretta esecuzione di interventi del
genere può garantire alla stazione
appaltante la necessaria competenza dei
concorrenti in relazione all’oggetto della
gara (caso di progettazione esecutiva e
realizzazione di un asilo nido), considerato
che la prestazione richiesta non si
differenzia, sostanzialmente, sotto il
profilo tecnico-professionale, dagli
interventi eseguiti in favore di privati.
A conferma della correttezza
dell’interpretazione proposta si evidenzia
che nel nuovo Regolamento di esecuzione ed
attuazione del D.Lgs. n. 163/2006,
pubblicato nella G.U. 10.12.2010, n. 288,
l’art. 263 (che riproduce con modifiche
l’art. 66 del D.P.R. n. 554/1999) al comma
2, quarto periodo opportunamente precisa che
“Sono valutabili anche i servizi svolti
per committenti privati documentati
attraverso certificati di buona e regolare
esecuzione rilasciati dai committenti
privati o dichiarati dall’operatore
economico che fornisce, su richiesta della
stazione appaltante, prova dell’avvenuta
esecuzione attraverso gli atti autorizzativi
o concessori, ovvero il certificato di
collaudo, inerenti il lavoro per il quale è
stata svolta la prestazione, ovvero tramite
copia del contratto e delle fatture relative
alla prestazione medesima”
(parere
di precontenzioso 12.01.2011 n. 7
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LAVORI PUBBLICI:
Il Decreto ministeriale n. 37/2008 ha
innovato alla precedente disciplina in
materia di sicurezza degli impianti;
nondimeno, non è stata prevista la completa
abrogazione della disciplina previgente.
Tale circostanza determina un duplice ordine
di effetti: da un lato, non è possibile “traslare”
automaticamente le abilitazioni riconosciute
ai sensi della legge n. 46/1990 in quelle
concesse ai sensi del D.M. n. 37/2008;
dall’altro, non è possibile ritenere che le
precedenti abilitazioni siano divenute
totalmente prive di efficacia.
Se la stazione appaltante non ha
inequivocabilmente formulato una richiesta
di possesso della sola abilitazione ai sensi
del D.M. n. 37/2008, l’applicazione del
canone della cd. interpretazione oggettiva
comporta che tra “interno volere” e “dichiarazione
esteriore” deve prevalere quest’ultima,
per cui ciò che conta è la dichiarazione che
è cristallizzata nel bando di gara.
L’abilitazione di cui alla legge 46/1990, in
quanto non annoverata nella tassativa
elencazione dei requisiti di qualificazione
d’ordine generale e d’ordine speciale
previsti rispettivamente dagli artt. 17 e 18
del D.P.R. 34/2000, viene in rilievo solo ai
fini dell’esecuzione dell’appalto, ma non
costituisce requisito di partecipazione alle
gare, onde è in linea generale irrilevante
ai fini dell’esclusione dalle stesse
(parere
di precontenzioso 12.01.2011 n. 6
- link a www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI:
La stazione appaltante vanta un apprezzabile
margine di discrezionalità nel chiedere
requisiti di capacità economica e
finanziaria ulteriori e più severi rispetto
a quelli indicati all’art. 41, comma 1, del
D.Lgs n. 163/2006, ma con il limite del
rispetto dei principi di proporzionalità e
ragionevolezza e, cioè, della loro
pertinenza e congruità a fronte dello scopo
perseguito; sicché non è consentito
pretendere il possesso di requisiti
sproporzionati o estranei rispetto
all’oggetto della gara
(parere
di precontenzioso 12.01.2011 n. 5
- link a www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI:
La previsione della lex specialis che
sanziona con l’esclusione non soltanto il
mancato pagamento del contributo a favore
dell’Autorità, ma anche l’avvenuto pagamento
con modalità difformi da quelle prescritte
nel disciplinare di gara, non è corretta ed
anzi si pone in contrasto con i principi di
derivazione comunitaria che regolano la
materia degli affidamenti degli appalti
pubblici.
Infatti, se è corretto riportare nella
lex specialis il contenuto delle
istruzioni operative concernenti il
versamento del contributo all’Autorità,
prevedendo l’esclusione in caso di mancato
pagamento, non è, invece, corretto prevedere
la medesima sanzione nel caso di violazione
meramente formale delle predette istruzioni.
Osta a ciò, da un lato, il principio di
stretta interpretazione della cause di
esclusione dalle gare pubbliche –avendo
previsto il legislatore l’esclusione solo in
caso di mancato versamento del contributo– e
dall’altro, i principi di ragionevolezza e
proporzionalità dell’azione amministrativa
–che sarebbero violati se la stazione
appaltante non distinguesse, all’interno
della lex specialis, tra
inadempimenti di tipo sostanziale,
comportanti l’esclusione del concorrente, ed
inadempimenti di tipo formale, non aventi le
stesse conseguenze dei primi
(parere
di precontenzioso 12.01.2011 n. 4
- link a www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI:
In generale va ribadito il principio per cui
la facoltà delle stazioni appaltanti di
richiedere nel bando di gara requisiti di
partecipazione e di qualificazione ulteriori
rispetto a quelli espressamente stabiliti
dalla legge trova un limite nel principio di
proporzionalità e ragionevolezza, nonché nel
divieto di inutile aggravamento del
procedimento di cui all'art. 1, comma 2,
della legge n. 241 del 1990.
Pertanto, l’adeguatezza e la proporzionalità
dei requisiti richiesti dal bando vanno
valutate con riguardo non solo all’importo
dell’appalto, ma al suo oggetto ed alle sue
specifiche peculiarità, sicché la richiesta
di un determinato fatturato, sia globale che
in servizi analoghi, va commisurata al
concreto interesse della stazione appaltante
a una certa affidabilità del proprio
interlocutore contrattuale, avuto riguardo
alle prestazioni oggetto di affidamento.
Risultano congrue e proporzionali, sia con
riguardo al valore dell’appalto sia rispetto
allo specifico oggetto della gara ed alla
sua importanza, in definitiva adeguate in
relazione all’interesse pubblico perseguito,
la richiesta di un fatturato globale nel
triennio solo di un terzo superiore rispetto
alla stima del servizio posto a base di gara
per la durata di un anno, e la richiesta di
un fatturato in servizi analoghi, nello
stesso triennio considerato, addirittura
inferiore al suddetto importo a base d’asta;
per altro verso, l’oggettiva complessità del
servizio oggetto di gara (e, quindi, tale da
esigere un’organizzazione particolarmente
solida, articolata e rodata), rende del
tutto giustificata la volontà della stazione
appaltante di individuare interlocutori in
possesso di un’esperienza specifica
particolarmente profonda, e quindi tali da
garantire anche sul piano economico una
speciale affidabilità
(parere
di precontenzioso 12.01.2011 n. 3
- link a www.autoritalavoripubblici.it). |
INCARICHI PROGETTUALI:
Costituisce una limitazione della
partecipazione alla gara contraria al
principio della massima concorrenza la
fissazione di requisiti tecnici e
professionali minimi di accesso dei
candidati che prenda in considerazione i
soli servizi di “direzione dei lavori”,
quindi in maniera più restrittiva rispetto
all’art. 66 del D.P.R. n. 554/1999.
Tale norma infatti, ai fini della
dimostrazione della capacità
tecnico-organizzativa, ritiene utile
l’esperienza pregressa acquisita nello
svolgimento di tutti i servizi di
ingegneria.
---------------
L’art. 42, comma 1, del D.Lgs. n. 163/2006
attribuisce eguale valore alle prestazioni
pregresse eseguite nei confronti di soggetti
pubblici e di soggetti privati, prevedendo
solo una diversa modalità probatoria del
requisito.
Non appare ragionevole la scelta della
stazione appaltante di non considerare i
servizi eseguiti in relazione a lavori
espletati in favore di privati, e nemmeno
quelli svolti per conto di soggetti comunque
tenuti al rispetto di procedure e regole
proprie dei contratti pubblici, al di là
della formale qualificazione soggettiva di
pubblica amministrazione, perché anche la
corretta esecuzione di interventi del genere
può garantire alla stazione appaltante la
necessaria competenza dei concorrenti in
relazione all’oggetto della gara,
considerato che la prestazione non si
differenzia, sotto il profilo
tecnico-professionale, dagli interventi
eseguiti in favore di privati (parere
di precontenzioso 12.01.2011 n. 2
- link a www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI:
Secondo il consolidato orientamento della
giurisprudenza, il divieto di commistione
tra requisiti di partecipazione alla gara e
criteri di valutazione dell’offerta
costituisce un sicuro principio di
derivazione nazionale e comunitaria, con la
sola eccezione nel caso in cui gli aspetti
organizzativi o le esperienze pregresse, per
il loro stretto collegamento con lo
specifico oggetto dell’appalto, non vengano
considerati in quanto tali, ma come elemento
incidente sulle modalità esecutive dello
specifico servizio, e quindi come parametro
afferente alle caratteristiche oggettive
dell’offerta.
Il divieto in questione può quindi essere “attenuato”
solo quando consente di rispondere in
concreto alle possibili specificità che le
procedure di affidamento degli appalti
pubblici in talune ipotesi presentano. In
ogni caso la pregressa esperienza non può
avere un valore preponderante nella
valutazione complessiva dell’offerta.
Pertanto, se il requisito della pregressa
esperienza dei concorrenti è suscettibile di
attribuzione di un massimo di 40 punti su
100, esso è potenzialmente in grado di
incidere in maniera rilevante sulla
determinazione del punteggio complessivo, e
appare tale da alterare la concorrenza e il
principio di parità di trattamento tra i
concorrenti
(parere
di precontenzioso 12.01.2011 n. 1
- link a www.autoritalavoripubblici.it). |
NEWS |
ENTI LOCALI - VARI: Fabbricati
rurali, le domande da presentare fino al 31.03.2012.
Prorogato al 31.03.2012 il termine per la
presentazione delle domande di variazione
catastale all'agenzia del Territorio al fine
di ottenere le agevolazioni fiscali sui
fabbricati rurali.
Il differimento del termine è previsto
dall'articolo 29, comma 8, del dl 216, che
considera regolari anche le domande
presentate dopo la scadenza del termine
originario fissato al 30.09.2011.
La norma fa salvo però il classamento
originario degli immobili rurali a uso
abitativo.
Quindi sono interessati alle variazioni i
titolari di immobili strumentali, per
ottenere l'inquadramento catastale nella
categoria D/10, per i quali dal prossimo
anno con l'introduzione dell'Imu non sarà
più prevista l'esenzione, ma un trattamento
agevolato con applicazione dell'aliquota del
2 per mille, che i comuni potranno ridurre
all'1 per mille.
Va ricordato che con decreto del ministro
dell'Economia e delle finanze del 14.09.2011, pubblicato sulla Gazzetta
Ufficiale n. 220/2011, è stata data
attuazione alle disposizioni contenute
nell'art. 7, commi 2-bis e seguenti, del Dl
Sviluppo (70/2011).
Sono state infatti fissate le modalità
procedurali per la presentazione delle
domande di variazione catastale all'agenzia
del Territorio al fine di ottenere i
benefici fiscali sui fabbricati rurali.
Inoltre, sono stati indicati i documenti
necessari che i contribuenti devono allegare
alle richieste che potranno essere
presentate, in seguito alla proroga, entro
il 31.03.2012. Il provvedimento
ministeriale ha dato indicazioni sul
contenuto delle domande di variazione
catastale e delle autocertificazioni che i
contribuenti devono allegare alle istanze.
L'agenzia del Territorio, con la circolare
6/2011, ha fornito dei chiarimenti sugli
adempimenti che devono porre in essere gli
interessati.
Nella circolare viene precisato che la
domanda di variazione per il riconoscimento
della categoria catastale deve essere
presentata solo per le unità immobiliari già
iscritte al Catasto edilizio urbano, secondo
le seguenti modalità:
●
mediante consegna diretta all'ufficio;
●
tramite servizio postale, con raccomandata
con avviso di ricevimento;
●
tramite fax;
●
mediante posta elettronica certificata.
Gli indirizzi degli uffici locali
dell'Agenzia e ogni altro riferimento o
indicazione utili alla presentazione della
domanda di variazione sono consultabili sul
sito internet: www.agenziaterritorio.gov.it.
L'istanza deve presentata all'ufficio
competente, in duplice originale,
direttamente dal proprietario o titolare del
diritto reale sui fabbricati rurali o
tramite i soggetti incaricati, vale a dire i
professionisti abilitati alla redazione
degli atti di aggiornamento del Catasto
terreni ed edilizio urbano oppure tramite le
associazioni di categoria degli agricoltori.
Un originale deve essere restituito come
ricevuta al soggetto che ha presentato la
domanda. Se la richiesta viene spedita
tramite raccomandata con avviso di
ricevimento, mediante fax o per posta
elettronica certificata fanno fede,
rispettivamente, le date di spedizione, di
invio del fax o l'attestato di trasmissione
elettronica. La compilazione e la
presentazione della domanda è consentita
anche con modalità informatiche
(articolo ItaliaOggi
del 31.12.2011). |
ENTI LOCALI: Vecchie
regole per i revisori locali.
Per la scelta dei propri nuovi revisori dei
conti, gli enti locali devono continuare a
seguire le vecchie regole, sia per quanto
riguarda le modalità di nomina sia per la
durata del mandato.
Nell'ultima versione del «Milleproroghe» (Dl
216/2011), è saltata la norma che avrebbe
dato più tempo per la fissazione delle nuove
regole, introdotte dalla manovra-bis di
Ferragosto (articolo 16, comma 25, del Dl
138/2011) con il principio del sorteggio
presso le Prefetture (si veda anche Il Sole
24 Ore di ieri).
I termini previsti dalla
norma per l'emanazione del decreto
ministeriale con cui il Viminale avrebbe
dovuto indicare le modalità operative della
nuova disciplina sono abbondantemente
scaduti (andava pubblicato entro il 15
novembre) e nel frattempo rimangono, dunque,
valide le indicazioni ministeriali sulla
necessità di seguire le vecchie procedure
fino a quando le nuove non saranno pronte.
Anche perché la pubblicazione del decreto,
che oltre ai requisiti per accedere alle
varie fasce demografiche dovrebbe indicare
anche le modalità per esprimere le
preferenze territoriali degli aspiranti
revisori, non basta da sola a far partire la
giostra dei sorteggi, a cui serve anche il
varo delle liste regionali e la preparazione
dei sistemi informatici per gestire le
richieste. Nel frattempo, quindi, è il
decreto legislativo 293/1994 (articolo 3,
comma 1) a dettare legge, prevedendo una
proroga massima di 45 giorni per i collegi
in carica e il rinnovo con il passaggio in
consiglio comunale.
Per quanto riguarda le altre scadenze,
invece, si sposta a giugno il termine per la
gestione associata delle prime due funzioni
fondamentali nei Comuni fino a 10mila
abitanti, e slitta di un anno l'applicazione
della "riforma" della riscossione
come previsto dal Dl 201/2011
(articolo Il Sole 24
Ore
del 31.12.2011). |
ENTI LOCALI: Revisori estratti a
sorte, anzi no.
Salta il rinvio della riforma che è in stand
by in attesa del dm. La mancata proroga
dell'art. 16 lascia invariata anche la dead line per le
dismissioni societarie.
Nessun rinvio per l'estrazione a sorte dei
revisori locali e la dismissione delle
società partecipate. La mancata proroga
delle norme sull'associazionismo dei piccoli
comuni contenute nell'art. 16 della manovra
di Ferragosto (dl n. 138/2011) vanifica
anche due differimenti molto attesi dagli
enti.
E che, stando alle prime indiscrezioni sul
decreto milleproroghe (dl n. 216/2011),
avrebbero dovuto trovare posto nel
provvedimento, salvo poi scomparire
all'improvviso nel testo pubblicato giovedì
sera in Gazzetta Ufficiale (si veda
ItaliaOggi di ieri).
Il primo rinvio avrebbe dovuto riguardare il
comma 25 dell'art. 16, quello per intenderci
che ha affidato la nomina dei revisori
locali a una sorta di lotteria con tanto di
estrazione a sorte da un elenco in cui i
professionisti saranno inseriti in base a
criteri non ancora definiti da parte del
ministero dell'interno. Il mancato rinvio
non avrà però conseguenze pratiche sulla
gestione dei comuni perché come chiarito dal
Viminale e dalla Corte dei conti (si veda
ItaliaOggi di ieri), la riforma non può
considerarsi applicabile fino a quando non
sarà stato approvato il decreto che il
ministero avrebbe dovuto licenziare entro 60
giorni dalla conversione in legge del dl
138.
Il termine è trascorso invano, ma
proprio la natura stessa di scadenza
ordinatoria (e dunque non sanzionata in caso
di inottemperanza) mal si concilia con
l'eventualità che possa essere differita con
una proroga. «In effetti non c'era bisogno
di un rinvio visto che le nuove regole
possono considerarsi già in stand-by in
attesa del decreto ministeriale», osserva
Antonino Borghi, presidente dell'Ancrel.
«Basta che il Viminale non approvi il
decreto e l'estrazione a sorte dei revisori
non diventerà mai operativa».
Discorso diverso per le dismissioni delle
partecipate da parte dei comuni con meno di
30 mila abitanti. La manovra di Ferragosto
ha anticipato di un anno (dal 31.12.2013 al 31.12.2012) la
dead line per
mettere in liquidazione le società o cederne
le quote di partecipazione. La modifica è
contenuta nel comma 27 dell'art. 16 che in
un primo momento figurava nell'elenco di
norme che avrebbero dovuto beneficiare della
proroga di un anno. Dunque il termine
sarebbe dovuto slittare nuovamente a fine
2013. Ma il fatto che la versione definitiva
del milleproroghe non ne faccia menzione
riporta tutto come prima. E assegna ai
comuni un orizzonte temporale di un solo
anno per portare a termine le dismissioni,
salvo un ripensamento globale da parte del
governo Monti che secondo quanto risulta a
ItaliaOggi appare assai probabile.
Confermata invece la proroga di un anno
della riforma della riscossione locale
introdotta dal decreto sviluppo di maggio
(dl n. 70/2011) e differita di 12 mesi dalla
manovra Monti (dl n. 201/2011)
(articolo ItaliaOggi
del 31.12.2011 - tratto da www.ecostampa.it). |
ENTI LOCALI: Mini-enti, proroga con
giallo.
Salta la sospensione dell'art. 16. Funzioni
associate dal 30/06/2012. La sorpresa nel
testo definitivo del milleproroghe in Gazzetta Ufficiale. I
comuni: andiamo avanti.
Proroga con giallo per i piccoli comuni. Nel
testo definitivo del decreto milleproroghe
(dl n. 216/2011), pubblicato sulla Gazzetta
Ufficiale n. 302 di ieri, i mini-enti che
già festeggiavano per lo slittamento di un
anno della marcia di avvicinamento verso
l'associazionismo forzoso scandita dall'art.
16 della manovra di Ferragosto (dl
138/2011), trovano invece una proroga a
metà.
Con buona pace dell'Anci (che dopo il varo
del decreto aveva ringraziato il governo per
la «sensibilità mostrata») e di un ordine
del giorno ad hoc approvato dalla camera,
del differimento dell'art. 16 non c'è
infatti traccia. E delle modifiche, già date
per acquisite dall'Anci, resta solo la
proroga della scadenza più ravvicinata:
quella che entro la fine di quest'anno
avrebbe imposto ai piccoli comuni di
svolgere in forma associata almeno due delle
sei funzioni fondamentali individuate dalla
legge delega sul federalismo fiscale:
amministrazione, gestione e controllo;
polizia locale; istruzione pubblica,
compresi gli asili nido e l'edilizia
scolastica; viabilità e trasporti; gestione
del territorio e ambiente; welfare.
La proroga c'è, ma a differenza delle
aspettative, non è più di un anno, ma di sei
mesi. La dead line per quello che prima di
questo pasticcio era considerato il primo
step dell'associazionismo scadrà dunque il
30.06.2012 (per esercitare in forma
associata tutte e sei le funzioni ci sarà
tempo fino al 30.06.2013). Ma prima di
questa data, visto che è sfumato lo
slittamento di un anno del cronoprogramma
imposto dall'art. 16, i piccoli comuni
troveranno una scadenza molto più
ravvicinata e per di più perentoria: entro
il 17.03.2012 (salvo proroghe) gli enti
sotto i mille abitanti dovranno trasmettere
alle regioni le proprie proposte di unione.
Meno di tre mesi, dunque, per capire se
Mario Monti intenda proseguire sulla strada
tracciata da Berlusconi e Tremonti o
piuttosto sospendere l'art. 16 per ripensare
in maniera globale la materia.
Il dietrofront del decreto milleproroghe
lascerebbe propendere per la prima ipotesi,
tanto più che nelle stanze del Mef e di
palazzo Chigi l'associazionismo obbligatorio
dei piccoli comuni può vantare sostenitori
di tutto rispetto (tra questi il
sottosegretario alla presidenza del
consiglio, Antonio Catricalà).
Ma in realtà l'impressione è che si sia
trattato solo di un pasticcio. Del resto,
dopo il varo del decreto, era stato lo
stesso ministro dell'interno Anna Maria
Cancellieri a telefonare al presidente dell'Anci,
Graziano Delrio per rassicurarlo sul
recepimento delle richieste di proroga dell'Anci.
Solo un qui pro quo, dunque? È possibile, ma
resta in piedi l'ipotesi che il governo
abbia consapevolmente rinviato di affrontare
il capitolo relativo all'art. 16 preferendo
invece concentrarsi sui soli termini di
immediata scadenza (quelli sull'esercizio
associato delle funzioni contenuti nell'art.
14, comma 31, lettere a) e b) del dl
78/2010). E le dichiarazioni di Monti al
termine del consiglio dei ministri, in cui
il premier ha vantato il numero limitato di
differimenti presenti nel decreto (per
questo non più etichettabile, ha detto, come
«milleproroghe») potrebbero essere un
indizio in tal senso.
I comuni dal canto
loro non fanno drammi. «Siamo comunque
soddisfatti per la proroga del termine per
l'esercizio delle funzioni fondamentali in
forma associata», ha dichiarato a ItaliaOggi
Delrio. «Sarebbe scaduto domani ed era
urgente spostarlo in avanti». «Possiamo dire
che se non è stato sospeso l'art. 16 ne è
stata sospesa la premessa».
Per Mauro
Guerra, coordinatore nazionale dei piccoli
comuni dell'Anci, «questi pochi mesi che ci
separano dalla scadenza di marzo devono
servire per riscrivere le norme in modo che
l'associazionismo non pregiudichi le unioni
già in atto da anni». Mentre Franca Biglio,
presidente dell'Anpci, invita a «lavorare
con ancora più forza per far comprendere al
parlamento e al governo che obbligare i
piccoli comuni ad associarsi non genera
risparmi»
(articolo ItaliaOggi
del 30.12.2011). |
ENTI LOCALI: In house, paletti dalla Corte
conti.
Dai corrispettivi dell'ente almeno l'80%
della produzione. La sezione autonomie pone
un punto fermo sulle spese di personale
delle società partecipate.
Ai fini del calcolo dell'incidenza delle
spese di personale negli enti locali, che si
riflettono sulla possibilità di effettuare
assunzioni, con riferimento alle spese
sostenute da società partecipate, queste
devono intendersi quelle partecipate
dall'ente o da più enti in modo totalitario,
il cui valore della produzione è costituito
da corrispettivi dell'ente proprietario in
misura non inferiore all'80% dei ricavi
complessivi.
Inoltre, ai fini della determinazione della
spesa complessiva, in attesa della riforma
dei sistemi contabili degli enti locali, si
assume quale riferimento la spesa inserita
nei questionari che i revisori dei conti
sono tenuti a trasmettere alla Corte dei
conti sul rendiconto dell'ente. Infine, per
determinare la quota delle spese di
personale della società partecipata,
occorrerà una semplice proporzione
matematica, il cui calcolo va effettuato per
ciascun organismo partecipato.
È quanto ha messo nero su bianco la sezione
delle autonomie della Corte dei conti, nel
testo della
deliberazione
28.12.2011 n. 14, in merito alla
determinazione della quota di spese di
personale da assumere ai fini del rispetto
del limite imposto dall'articolo 76, comma 7,
del dl n. 112/2008, norma che impedisce agli
enti locali di procedere ad assunzioni se
l'incidenza della spesa di personale è pari
o superiore al quaranta per cento delle
spese correnti.
Su impulso del comune di Campi Bisenzio (Fi),
la sezione autonomie ha inteso dirimere i
dubbi sussistenti sulla corretta
applicazione della disposizione, con
particolare riferimento alle spese delle
società partecipate, sia singolarmente sia
in consorzio, da enti locali.
In particolare, la Corte ha rilevato che
l'ambito soggettivo della disposizione si
applica a quelle società partecipate in modo
totalitario da un ente pubblico o da più
enti pubblici congiuntamente, tenuto conto
del concetto di società in house, come
società che vive «prevalentemente» di
risorse provenienti dall'ente locale (o da
più enti locali), caratterizzata da un
valore della produzione costituito per non
meno dell'80% da corrispettivi dell'ente
proprietario ovvero società che presentano
le caratteristiche di cui all'art. 2359 del
codice civile, purché affidatarie dirette di
servizi pubblici locali.
In merito al secondo quesito posto, ovvero
su quali basi (numeriche) porre a fondamento
la spesa di personale, la Corte ha
sottolineato che, al momento, gli enti
locali sono interessati da una profonda
ristrutturazione dei loro sistemi contabili.
Infatti, il dlgs n. 118/2011, all'articolo
11, prevede che le p.a. (tra cui enti locali
e loro società strumentali) sono tenuti ad
adottare schemi di bilancio finanziari,
economici e patrimoniali e schemi di
bilancio consolidato con i propri enti e
organismi strumentali, aziende, società
controllate e partecipate e altri organismi
controllati. Sistema che, terminata la fase
di sperimentazione che interessa una
trentina circa di amministrazioni
appositamente indicate, andrà a regime
dall'01/01/2014.
In attesa della «rivoluzione
contabile», con riferimento alle
partecipate, i dati rilevanti ai fini del
computo possono essere tratti dai
questionari allegati alle relazioni degli
organi di revisione al rendiconto dell'ente
locale, trattandosi di dati certificati
provenienti dalle contabilità degli enti e
verificati dagli organi di revisione.
Quindi, la Corte ha individuato nei
corrispettivi a carico dell'ente, desumibili
dai questionari delle predette linee guida,
lo strumento che consente di attribuire al
medesimo le spese di personale della società
che possono essere associati alla
prestazione dei servizi erogati a fronte di
quel corrispettivo.
Infine, per determinare la quota delle spese
di personale della società partecipata, da
sommare alle spese di personale degli enti
proprietari, la Corte ha elaborato un metodo
sintetico. In pratica, occorrerà effettuare
una semplice proporzione, secondo cui il
valore della produzione della società sta
alle spese totali del personale della stessa
come il corrispettivo sta alla quota del
costo di personale attribuibile all'ente,
che è poi l'incognita da calcolare. Quindi,
moltiplicare le spese di personale per il
corrispettivo e dividere tale risultato per
il valore della produzione.
La quota, così individuata, va a sommarsi
alle spese di personale dell'ente e il
totale si divide per le spese correnti
dell'ente stesso. Questo calcolo, rileva la
corte, va effettuato per ciascun organismo
partecipato, sia che si tratti di società
posseduta da uno o più enti, ovvero di
società miste pubblico-privato, che l'ente
controlla
(articolo ItaliaOggi
del 30.12.2011 - tratto da www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI: L'estrazione dei revisori non è
immediatamente applicabile. Novità congelate
in assenza del regolamento del Viminale.
La riforma del sistema di nomina dei
revisori dei conti negli enti locali, sia in
forma monocratica sia collegiale, dettata
dalla manovra-bis di Ferragosto (il dl n.
138/2011), non è immediatamente applicabile.
Almeno fino a quando non sarà pienamente
operativo il meccanismo di nomina dei
revisori che implica la preventiva
definizione dei criteri e dei principi cui
attenersi nella predisposizione degli
elenchi da cui trarre i nominativi ai quali
conferire l'incarico.
Così, in attesa di questi criteri, la nomina
dei revisori resta regolata, ancora oggi,
dall'articolo 234 del Tuel.
È quanto ha messo nero su bianco la sezione
regionale di controllo della Corte dei conti
Basilicata, nel testo del parere
16.12.2011 n. 136, con cui, per la prima volta sul
panorama giurisprudenziale, ha fatto
chiarezza sulla portata applicativa delle
disposizioni contenute all'articolo 16,
comma 25, del decreto legge n. 138/2011.
Come noto, tale norma prevede che a
decorrere dal primo rinnovo dell'organo di
revisione, i revisori dei conti degli enti
locali sono scelti mediante estrazione da un
elenco nel quale possono essere inseriti, a
richiesta, i soggetti iscritti, a livello
regionale, nel registro dei revisori legali,
nonché gli iscritti all'Ordine dei dottori
commercialisti e degli esperti contabili.
Con un decreto del Mininterno, che avrebbe
dovuto essere emanato entro lo scorso mese
di ottobre, ma di cui si sono perse le
tracce, sono stabiliti i criteri per
l'inserimento degli interessati nel predetto
elenco, sulla scorta di alcuni parametri tra
cui la precedente richiesta degli
interessati di voler svolgere la funzione di
revisore per enti locali e il possesso di
una specifica qualificazione professionale
in materia di contabilità pubblica.
Sulla vicenda, il sindaco di Banzi (Pz),
nell'esporre alla Corte che l'incarico di
revisore nel suo comune è scaduto il 30
settembre scorso, chiede se, nelle more
dell'emanazione del citato decreto
Mininterno, possa ritenersi vigente un
regime di prorogatio, secondo cui siano
ancora applicabili le disposizioni di nomina
dei revisori contenuti all'articolo 234 del
Testo unico sugli enti locali.
Per il collegio della Corte lucana, le
disposizioni contenute nella manovra di
Ferragosto sono destinate a sostituire il
vigente sistema di nomina dei revisori, con
nuove modalità. Ma è altrettanto vero che
per prodursi l'effetto abrogativo di tale
sistema, occorra la piena operatività della
nuova disposizione, destinata a prendere il
posto della precedente. Se tale operatività
non sia piena o non sia assicurata l'effetto
abrogativo non può realizzarsi.
In poche
parole, per la Corte, nel caso in esame, la
mancanza degli elenchi in cui gli
interessati alla nomina di revisore
avrebbero potuto chiedere di far inserire il
proprio nominativo, sulla base dei titoli e
dei criteri stabiliti dal Ministero
dell'interno, rende la disposizione di legge
non immediatamente operativa, con la
conseguenza che anche l'effetto abrogativo
della disposizione contenuta nell'art. 234
del Testo unico resta, al momento, impedito.
Sulla base di queste considerazioni, ha
concluso il collegio, fino a quando non sarà
pienamente operativo e applicabile il
meccanismo di nomina dei revisori previsto
dall'art. 16, comma 25, del decreto legge n.
138/2011, che implica la preventiva
definizione dei criteri e dei principi cui
attenersi nella predisposizione degli
elenchi da cui trarre i nominativi ai quali
conferire l'incarico, resta immutato e
vigente il sistema oggi regolato dall'art.
234 del Testo unico
(articolo ItaliaOggi
del 30.12.2011 - tratto da www.corteconti.it). |
CONSIGLIERI COMUNALI: OSSERVATORIO VIMINALE/ Dallo stadio al comune.
Molti ostacoli per il patron che vuole
candidarsi. L'incompatibilità del
presidente di un club sportivo va valutata
caso per caso.
La carica di sindaco è incompatibile con
quella di presidente di una società sportiva
che ha in concessione beni comunali, oltre a
ricevere dal comune aiuti economici sotto
forma di contributi?
L'eventuale incompatibilità potrebbe
configurarsi in base all'art. 63, comma 1,
n. 1 del Tuel, qualora risulti che la
società riceva in via continuativa la
sovvenzione, purché quest'ultima sia in
tutto o in parte facoltativa e la parte
facoltativa superi nell'anno il 10% del
totale delle entrate della società.
Una causa ostativa all'esercizio del mandato
potrebbe altresì verificarsi in base
all'ipotesi di cui al n. 2 del comma 1 del
citato art. 63, qualora risultasse
dall'analisi dell'eventuale convenzione
stipulata con il comune, che la società «ha
parte, direttamente o indirettamente, in
servizi nell'interesse del comune», ovvero
che si tratti di impresa volta al profitto
di privati, sovvenzionata dal comune in modo
continuativo, qualora la sovvenzione non sia
dovuta in forza di una legge dello stato o
della regione.
In ogni caso sarebbe necessario accertare se
il consiglio comunale si sia già espresso
sulla posizione del sindaco, in sede di
convalida degli eletti o, successivamente,
in esito alla procedura prevista dall'art.
69 del citato testo unico
(articolo ItaliaOggi
del 30.12.2011 - tratto da www.ecostampa.it). |
LAVORI PUBBLICI: OSSERVATORIO VIMINALE/ Consorzi per strade
vicinali.
Qual è l'attuale disciplina dei consorzi per
le strade vicinali ad uso pubblico e la
misura della partecipazione alle spese da
parte dell'ente locale, posto che l'unica
disposizione in vigore in materia
sembrerebbe essere l'art. 14 della legge
12/02/1958, n. 126, sulla base del
presupposto che il d.llgt. 01/09/1918, n. 1446
risulterebbe abrogato dal dl 22/12/2008, n.
200, convertito dalla legge 18/02/2009, n. 9?
Dalla ricostruzione dei passaggi normativi
che hanno interessato la disciplina in
materia, emerge che il dllgt n. 1446/1918
era stato mantenuto in vigore dalla citata
legge 18-2-2009 n. 9 fino al 15/12/2009.
Sennonché, il decreto legislativo 01.12.2009, n. 179, ha sottratto all'effetto
abrogativo le disposizione di cui al
suddetto dllgt 01/09/1918, n. 1446 (art. 1,
comma 2, all. 2); inoltre ha ritenuto
indispensabile la permanenza in vigore
dell'art. 14 della legge 12/12/1958, n. 126,
relativamente all'obbligo delle strade
vicinali di uso pubblico (art. 1, comma 1,
in combinato disposto con l'allegato 1 al dlgs n. 179/ 2009).
Ciò stante, la disciplina relativa alla
manutenzione e riscossione delle strade
vicinali, ed alla facoltà per gli utenti
delle stesse di costituirsi in consorzio,
può essere tutt'ora ricondotta alle
disposizioni di cui al dllgt 01/09/1918, n.
1446 e all'art 14 della legge n. 126 del
1958.
Occorre, tuttavia, distinguere se si tratti
di strade vicinali soggette ad uso pubblico
o esclusivamente ad uso privato.
Nel primo caso, quando il comune è titolare
di un diritto reale di uso pubblico sulla
strada vicinale, che è sempre di proprietà
privata, la costituzione di consorzi per la
manutenzione, sistemazione e ricostruzione
di dette strade, ai sensi dell'art. 14 della
legge n. 126 del 12/2/1958, è obbligatoria,
mentre rimane facoltativa nel secondo caso.
Dalla sussistenza o meno del pubblico
utilizzo deriva anche l'obbligo, per il
comune, di concorrere alle spese; in
applicazione, infatti, dell'art. 3 del citato dllgt n. 1446 del 1918, che fissa i limiti
di compartecipazione per le strade vicinali
soggette al pubblico transito, il comune è
tenuto a concorrere alle spese di
manutenzione, sistemazione e ricostruzione
nella misura variabile da un quinto sino
alla metà della spesa, a seconda
dell'importanza della strada.
Detti limiti, che riguardano il comune, sono
inderogabili in quanto con tale disciplina,
tenuto conto dello speciale regime giuridico
di queste strade, il legislatore ha già
contemperato a monte gli interessi pubblici
e privati in gioco, demandando ai comuni
solo la possibilità di scegliere in concreto
l'ammontare della contribuzione all'interno
dei limiti minimi e massimi consentiti,
motivando esaurientemente tale scelta (in
tal senso la Corte dei conti, sez. reg. di
controllo per il Veneto n. 140/2008).
Pertanto, nella fattispecie prospettata, che
riguarda i consorzi per le strade vicinali
ad uso pubblico, nella ritenuta applicazione
dell'art. 14 della legge n. 126/1958, che
rende obbligatoria la costituzione della
forma associativa, e degli artt. 1 e 3 del
dllgt n. 1446/1918, si deduce che gli oneri
per la manutenzione e sistemazione delle
strade vicinali gravano essenzialmente sui
soggetti privati che le utilizzano, salvo il
concorso del contributo comunale nei limiti
e termini stabiliti dalla legge
(articolo ItaliaOggi
del 30.12.2011 - tratto da www.ecostampa.it). |
ENTI LOCALI: Milleproroghe.
Sei mesi in più (invece di 12) per risolvere
i problemi applicativi della riforma della
riscossione locale.
Niente rinvio per i mini-Comuni.
Salta la dilazione sulle Unioni obbligatorie
per gli enti fino a mille abitanti.
Nella versione definitiva del decreto «Milleproroghe»
(battezzato come Dl 216/2011 nella «Gazzetta
Ufficiale» di ieri) scompaiono i tempi
supplementari per le Unioni obbligatorie
previste dalla manovra-bis di Ferragosto, si
riduce a sei mesi il rinvio della "riforma"
della riscossione locale scritta (male) nel
decreto Sviluppo di maggio, mentre vengono
confermati i sei mesi in più per il
calendario attuativo dell'esercizio in forma
associata delle funzioni fondamentali da
parte dei Comuni sotto i 10mila abitanti.
Saltata anche la proroga per le nuove regole
sui revisori.
In pratica, per i piccoli Comuni l'unica
concessione del decreto di fine anno nella
sua versione definitiva riguarda la prima
"razionalizzazione" amministrativa, quella
introdotta dalla manovra correttiva
dell'anno scorso (Dl 78/2010, articolo 14,
comma 31) e tutta concentrata sull'esercizio
associato delle sei «funzioni fondamentali»
individuate dalla legge sul federalismo
fiscale (si tratta di amministrazione
generale, Polizia locale, istruzione
pubblica, viabilità e trasporti, territorio
e ambiente –tranne l'edilizia residenziale
pubblica– e settore sociale). La norma
chiede di aggregare almeno 10mila abitanti
nella gestione di due funzioni fondamentali
entro fine 2011, quattro entro il 2012 e
tutte e sei entro il 2013, e con
l'intervento del Milleproroghe i termini si
spostano dall'ultimo giorno dell'anno al 30
giugno di quello successivo.
Nelle ultime settimane, però, la battaglia
da parte degli amministratori locali si era
accesa soprattutto sul secondo passo della
"razionalizzazione", quello che impone di
aggregare in Unioni di Comuni con almeno
5mila abitanti tutte le attività e i servizi
pubblici oggi gestiti da enti con meno di
mille residenti, e di far convogliare in
gestioni associate di almeno 10mila abitanti
tutte le funzioni fondamentali dei Comuni
oggi compresi fra mille e 5mila persone.
L'obbligo è molto più stringente rispetto al
primo, perché determina in pratica la
scomparsa delle attuali strutture
amministrative nei mini-enti (che perdono
anche le Giunte e si vedono ridotti i posti
in Consiglio) e lo spostamento delle
attività cruciali (bilancio compreso) dal
Comune all'Unione.
La prima scadenza è ad agosto 2012, e questo
potrebbe spiegare l'uscita dal Milleproroghe.
Il problema, però, è che la maggior parte
delle Regioni non hanno individuato in tempo
limiti demografici adeguati ai propri
territori, e l'applicazione rischia di
trasformarsi in un rebus insolubile
(articolo Il Sole 24
Ore
del 30.12.2011 - tratto da www.ecostampa.it). |
ENTI LOCALI - VARI: Imu, niente sgravi al comodato.
Non è possibile usufruire dell'aliquota
ridotta pari a 0,4%. L'imposta municipale
propria manda in soffitta l'agevolazione per
la casa concessa in uso gratuito.
Con l'introduzione dell'imposta municipale
propria (Imu) esce di scena l'agevolazione
sulle unità abitative destinate ad
abitazione principale concesse in uso
gratuito a parenti e la riduzione del 50%
del tributo sull'immobile locato.
Dal 2012 troverà applicazione, in luogo
dell'imposta comunale sugli immobili (Ici),
di cui al dlgs. 504/1992, l'imposta
municipale propria che, ancorché introdotta
in via sperimentale dal dl. 201/2011, è del
tutto autonoma e svincolata complessivamente
dal vecchio tributo locale.
A sostegno di quanto indicato, si evidenzia
l'assoggettamento al tributo anche dei
fabbricati rurali, sia a destinazione
abitativa (0,4%) che strumentale (0,2%),
ancorché rispettosi dei requisiti di
ruralità, di cui ai commi 3 e 3-bis,
dell'art. 9, dl. 557/1993 e ancorché censiti
nelle categorie specifiche (A/6 o D/10).
Sulla medesima falsariga non si rendono più
applicabili gli abbattimenti disposti
dall'art. 9, del dlgs.504/1992 per i terreni
agricoli, ancorché permanga la nota
«finzione giuridica», stante il richiamo
all'art. 2 del medesimo decreto istitutivo
dell'imposta comunale (Ici), secondo la
quale i terreni fabbricabili devono essere
considerati agricoli, se coltivati.
Permangono, inoltre, numerose perplessità
sulle modalità applicative dell'imposta
municipale, con la necessità di attendere
l'approvazione dei singoli regolamenti
comunali, considerata l'ampia potestà
legislativa concessa a tali enti, che non si
limita alla modulazione dell'aliquota, in
aumento o in diminuzione, fino a 0,2 punti
percentuali.
L'unica certezza è l'impossibilità di
usufruire dell'aliquota ridotta pari allo
0,4% per le abitazioni principali concesse
in uso gratuito (comodato) a parenti, con la
conseguenza che, fatte salve indicazioni
regolamentari diverse, a questa tipologia si
rende applicabile l'aliquota maggiorata pari
allo 0,76% e che soltanto le unità inserite
nelle categorie C/2, C/6 e C/7 possono
essere considerate pertinenze
dell'abitazione principale, con
l'applicazione della relativa aliquota
ridotta.
Peraltro, rispetto all'imposta municipale a
regime, non è prevista neppure la riduzione
al 50% dell'imposta dovuta per gli immobili
locati, stante il rinvio alla potestà
legislativa dei comuni che hanno la facoltà
di ridurre l'aliquota di tali immobili fino
allo 0,4%.
Con riferimento alle ulteriori perplessità,
permane quella dei fabbricati inagibili o
non abitabili, per i quali il comma 1,
dell'art. 8, dlgs n. 504/1992, dispone la
riduzione del 50% dell'imposta dovuta, se
non utilizzati nel periodo, mentre le
disposizioni di cui all'art. 13, dl n.
201/2011 non ne fanno alcun cenno,
richiamando l'articolo 8 solo nella parte
inerente (comma 4) le unità immobiliari,
appartenenti alle cooperative a proprietà
indivisa, adibite ad abitazione principale
dai soci assegnatari, ai fini del
riconoscimento della detrazione di 200 euro,
rapportata al periodo dell'anno in cui
l'unità è adibita a tale scopo.
Nessun riferimento specifico alle esenzioni
prescritte dall'art. 7, dlgs 504/1992 con
riferimento agli immobili destinati
«esclusivamente» ai compiti istituzionali
posseduti da Stato, regioni, province e
comuni, i fabbricati classificati nelle
categorie «E» (da E/1 a E/9), i fabbricati
destinati a usi culturali o all'esercizio
del culto o posseduti dalla Santa Sede o
Onlus, i terreni agricoli collocati nelle
zone collinari o montane e gli immobili
utilizzati dagli enti pubblici o privati
diversi dalle società per l'esercizio di
attività assistenziali, previdenziali,
sanitarie e didattiche o del culto.
Il nuovo tributo prevede esplicitamente
l'applicazione di un'aliquota ridotta solo
per l'abitazione principale e la detrazione
per il coniuge separato o divorziato non
assegnatario della casa coniugale, di cui al
comma 3-bis, art. 6, dlgs n. 504/1992 e per
l'unità immobiliare, non locata, posseduta a
titolo di proprietà o usufrutto da anziani o
disabili che prendono la residenza presso
istituti di ricovero o sanitari per ricovero
permanente, di cui al comma 56, dell'art. 3,
legge n. 662/1996.
Dubbi sull'applicazione delle agevolazioni
destinate agli immobili di interesse
storico-artistico, compresi quelli
appartenuti a enti pubblici o non
commerciali, restando in piedi le
disposizioni introdotte dall'art. 10, del
dlgs n. 42/2004 per la determinazione della
base imponibile ai fini dell'Ici, che non
sono state abrogate.
Infine, si prende atto dell'innalzamento (in
sede di conversione) della maggiorazione
della detrazione limitata ai primi due anni
di applicazione (2012 e 2013) che, con la
nuova formulazione, non può superare
l'importo massimo di 400 euro; di
conseguenza, se la maggiorazione massima
(400) si somma alla detrazione base (200),
l'ammontare complessivo potrà raggiungere
600 euro.
Sul punto, infine, si ritiene che la
detrazione di 50 euro per ciascun figlio di
età non superiore a 26 anni, purché
dimorante e residente nell'unità immobiliare
adibita ad abitazione principale, dovrà
essere applicata pro rata temporis,
mentre non risulta necessario che i figli
siano fiscalmente a carico del proprietario,
in attesa dei necessari chiarimenti sulla
corretta ripartizione in presenza di figli
di un solo coniuge o di figli comproprietari
dell'unità immobiliare
(articolo ItaliaOggi
del 29.12.2011 - tratto da www.corteconti.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI - VARI: P.a., certificati in soffitta dal
2012.
Chi continuerà a chiederli rischierà
sanzioni disciplinari. Direttiva di Patroni
Griffi. Due le chance: autocertificazioni o
acquisizione dei dati d'ufficio.
Dall'01.01.2012 niente più certificati
alla p.a.. Gli uffici pubblici dal prossimo
anno avranno solo due possibilità: acquisire
d'ufficio dati e informazioni sui cittadini
o accettare le autocertificazioni. Ma non
potranno più richiedere certificati. E chi
continuerà a farlo rischierà grosso perché
si tratterà di un'ipotesi di violazione dei
doveri d'ufficio.
Sui documenti dovrà essere obbligatoriamente
inserita la seguente avvertenza: «Il
presente certificato non può essere prodotto
agli organi della pubblica amministrazione o
ai privati gestori di pubblici servizi». Una
dicitura essenziale per la validità stessa
del certificato, in assenza della quale,
oltre alla nullità del documento, potranno
scattare pesanti sanzioni per il dipendente
pubblico responsabile.
Sulla «decertificazione» dei rapporti tra
p.a. e privati il ministro della funzione
pubblica Filippo Patroni Griffi si muove nel
solco avviato dal suo predecessore Renato
Brunetta. E con
la
direttiva 22.12.2011 n. 14
richiama
tutte le amministrazioni a un'applicazione
immediata delle norme contenute nella legge
di stabilità 2012 (legge n. 183/2011) che in
realtà non si inventano nulla di nuovo, ma
semplicemente puntano ad attuare due
principi esistenti nel nostro ordinamento da
oltre 20 anni, ma mai attuati. Il primo si
trova nell'art. 18 della legge sul
procedimento amministrativo (n. 241/1990)
secondo cui «i documenti attestanti atti,
fatti, qualità e stati soggettivi» sono
«acquisiti d'ufficio» quando «sono in
possesso dell'amministrazione procedente,
ovvero sono detenuti, istituzionalmente, da
altre pubbliche amministrazioni».
Il secondo nell'art. 43 del dpr 445/2000
(Testo unico sulla documentazione
amministrativa) che recita: «Le
amministrazioni pubbliche e i gestori di
pubblici servizi non possono richiedere atti
o certificati concernenti stati, qualità
personali e fatti che siano attestati in
documenti già in loro possesso o che
comunque esse stesse siano tenute a
certificare». E prosegue: «In luogo di tali
atti», le p.a. sono tenute «ad acquisire
d'ufficio le relative informazioni, ovvero
ad accettare la dichiarazione sostitutiva
prodotta dall'interessato». Eppure gli
uffici pubblici non li applicano mai,
costringendo i cittadini a file
interminabili e disagi.
I due principi per volere di Renato Brunetta
sono stati inseriti dapprima nella bozza di
decreto sviluppo che il governo Berlusconi
avrebbe dovuto presentare a fine ottobre ma
poi sono transitati nella legge di
stabilità.
Ora Patroni Griffi stringe i tempi. E la
direttiva è il chiaro segno della volontà
del ministro di non trasformare questa
opportunità di semplificazione nell'ennesima
occasione mancata. A farne le spese, oltre
ai cittadini, sarebbero soprattutto le
imprese a cui le nuove norme portano in dote
due ulteriori opportunità: l'acquisizione
d'ufficio del Durc (il Documento unico di
regolarità contributiva che attesta
l'assolvimento degli obblighi legislativi e
contrattuali nei confronti di Inps, Inail e
Cassa Edile) e la trasmissione telematica
dei certificati antimafia (che tanto ha
fatto discutere al momento dell'annuncio da
parte di Brunetta, si veda ItaliaOggi del
27/09/2011).
Per scongiurare il rischio di un nuovo flop
le p.a. che emettono i certificati dovranno
individuare un ufficio responsabile «per
tutte le attività volte a gestire, garantire
e verificare la trasmissione dei dati o
l'accesso diretto alle informazioni da parte
delle amministrazioni». La mancata risposta
alle richieste di controllo entro 30 giorni
costituirà violazione dei doveri d'ufficio e
verrà presa in considerazione ai fini della
valutazione delle performance individuali.
Non solo. Le amministrazioni certificanti
dovranno pubblicare sul proprio sito
internet istituzionale le misure
organizzative adottate per garantire una
«efficiente, efficace e tempestiva
acquisizione d'ufficio dei dati».
La correttezza delle autocertificazioni sarà
verificata attraverso controlli a campione,
mentre l'acquisizione dei dati da altre p.a.
dovrà avvenire senza oneri «con qualunque
mezzo idoneo ad assicurare la certezza della
loro fonte di provenienza».
A questo scopo le p.a. titolari di banche
dati accessibili per via telematica dovranno
predisporre, sulla base delle linee guida di
DigitPa e sentito il Garante privacy,
apposite convenzioni aperte a tutte le
amministrazioni e soprattutto senza oneri a
loro carico
(articolo ItaliaOggi
del 28.12.2011 - tratto da www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI: Slittano le unioni, non i tagli.
Proroga di un anno. La falcidia delle
poltrone scatta nel 2012. Il dl Milleproroghe modifica il programma della
manovra di Ferragosto per i piccoli
comuni.
L'associazionismo forzato dei piccoli comuni
può attendere ma non i tagli alle poltrone.
Il tradizionale
decreto legge di fine anno
con le proroghe dei termini in scadenza
(limitato dal governo Monti a pochi,
fondamentali differimenti e per questo non
più etichettabile come milleproroghe),
licenziato venerdì scorso dal consiglio dei
ministri, (si veda ItaliaOggi del
24/12/2011) fa slittare di un anno gran
parte del cronoprogramma fissato dall'art.
16 della manovra di Ferragosto (dl
138/2011), ma non le norme che a partire
dalle prossime elezioni amministrative
alleggeriranno gli organi di governo dei
comuni fino a 10 mila abitanti.
Il dl proroghe, infatti, sposta in avanti di
12 mesi solo le scadenze contenute nei commi
da 1 a 16 e nei commi 22, 24, 25 e 27
dell'art. 16. Non, quindi, il taglio di
consigli e giunte, disciplinato dal comma
17, che scatterà «dal primo rinnovo
amministrativo di ciascun comune a partire
dalla data di entrata in vigore della legge
di conversione del dl 138». E dunque dalla
tornata elettorale della prossima primavera.
Nei comuni fino a 1.000 abitanti le giunte
verranno eliminate e resteranno solo il
sindaco e sei consiglieri. Nei municipi fino
a 3.000 abitanti a questi si aggiungeranno
anche due assessori. Negli enti tra 3.000 e
5.000 abitanti il sindaco sarà coadiuvato da
7 consiglieri e 3 assessori, mentre nei
comuni tra 5.000 e 10.000 abitanti il
consiglio sarà composto da 10 consiglieri e
le giunte da 4 assessori.
Resta invariato anche il timing del taglio
dei gettoni di presenza ai consiglieri dei
comuni fino a 1.000 abitanti. Come previsto
dal comma 18 dell'art. 16, che non è stato
prorogato dal dl varato venerdì, la falcidia
scatterà a partire dalle prime elezioni
amministrative successive alla data del 13.08.2012 e dunque dalla primavera 2013.
Tutte le altre scadenze legate al termine
del 13.08.2012 (obbligo di esercizio
associato di tutte le funzioni
amministrative e dei servizi pubblici,
successione dell'unione di comuni in tutti i
rapporti giuridici degli enti associati)
slittano di un anno e con esse il momento
dal quale saranno operative, ossia,
verosimilmente, la primavera del 2014.
Nessuna novità anche per l'applicazione del
patto di stabilità ai piccoli comuni.
L'appuntamento resta il 2013 (essendo
previsto nel comma 31 non prorogato dal
decreto legge) mentre slitta di un anno il
debutto del patto di stabilità per le unioni
costituite dai comuni fino a 1.000 abitanti.
A parte questi punti fermi tutto il resto
dell'art. 16 guadagna 12 mesi di tempo in
più per diventare operativo. A cominciare
dal primo step, l'individuazione da parte
delle regioni di limiti demografici
ulteriori per la costituzione delle unioni,
rispetto a quelli individuati dalla norma.
La dead line era il 17 novembre scorso, ma
pochi governatori l'hanno centrata,
preferendo invece ricorrere alla Consulta
(lo hanno fatto Toscana e Lombardia, si veda
ItaliaOggi del 16/11/2011) contro le norme
sull'associazionismo ritenute lesive delle
prerogative regionali.
Tra i tanti
adempimenti prorogati di un anno (riassunti
nel cronoprogramma pubblicato in pagina) i
sindaci dei mini-enti dovranno tenerne a
mente soprattutto due perché si tratta di
termini perentori: la data entro cui i
comuni fino a 1.000 abitanti dovranno
avanzare alle rispettive regioni le loro
proposte di unione e la data entro cui i
governatori dovranno istituirle sulla base
delle indicazioni degli enti o in modo
autonomo in caso di mancanza di proposte da
parte dei municipi.
I due appuntamenti sono
rinviati rispettivamente al 17.03. e al 31.12.2013. Un tempo che dovrebbe
essere sufficiente per adeguarsi alle nuove
norme o affossarle del tutto. L'Anci, per
esempio, plaude alla «sensibilità mostrata
dal governo Monti» (così il presidente
Graziano Delrio) ma auspica un ripensamento
globale della disciplina
dell'associazionismo «per non
compromettere i processi già in atto da anni»
(articolo ItaliaOggi
del 27.12.2011 - tratto da www.corteconti.it). |
ESPROPRIAZIONE: Aree
fabbricabili: una sentenza della Corte
costituzionale tutela il diritto alla proprietà. Indennità di esproprio al sicuro.
Garantito un ragionevole rapporto con il
valore del suolo.
Per la Consulta, l'indennità di esproprio di
un'aera fabbricabile non può essere
totalmente azzerata (confiscata) per effetto
dell'assenza di un valore minimo di
riferimento, in caso di omissione della
presentazione della dichiarazione Ici.
Questo, in estrema sintesi, il principio
sancito dalla Corte costituzionale che,
con la
sentenza 22.12.2011 n. 338, è intervenuta
sull'illegittimità costituzionale del comma
1, dell'art. 16, del dlgs n. 504/1992, come
trasfuso, con decorrenza dal 30/06/2003, nel
comma 7, dell'art. 37, del dpr 327/2001.
La questione di illegittimità parte
dall'assunto, indicato nelle disposizioni
richiamate, che «l'indennità è ridotta a un
importo pari al valore indicato nell'ultima
dichiarazione o denuncia presentata
dall'espropriato ai fini dell'imposta
comunale sugli immobili prima della
determinazione formale dell'indennità (_),
qualora il valore dichiarato risulti
contrastante con la normativa vigente e
inferiore all'indennità di espropriazione
come determinata in base ai commi
precedenti».
Di conseguenza, in assenza di una
dichiarazione ai fini del tributo locale o
per indicazione di un valore irrisorio,
l'indennità si sarebbe potuta azzerare per
carenza del valore di riferimento, stante il
fatto che le disposizioni richiamate
condizionano la quantificazione
dell'indennità all'originario comportamento
tenuto ai fini tributari dall'espropriato.
Sul punto, con la recente sentenza
21/07/2000 n. 351, la stessa Corte
costituzionale aveva dichiarato
inammissibili le questioni di legittimità
costituzionale sollevate, con riferimento a
taluni articoli della carta costituzionale
per irragionevole disparità di trattamento
tra espropriato e proprietario privato
dell'immobile (art. 3), per disparità di
trattamento tra evasori totali ed evasori
parziali (articoli 3 e 24), per
inadeguatezza della sanzione o indennizzo
(art. 42, terzo comma), per la natura
extrafiscale della sanzione per mancato
rispetto di un dovere tributario (art. 53) e
per l'arbitrario e indiretto recupero di un
tributo non più dovuto a soggetto
espropriato (art. 97); l'infondatezza delle
questioni sollevate, per la Consulta, non
modificava i criteri stabiliti per il
calcolo dell'indennizzo, di cui all'art.
5-bis, dl 333/1992, come modificato dal
comma 65, dell'art. 3, legge 662/1996.
Per la Consulta, la sanzione relativa alla
riduzione dell'indennità di esproprio, in
caso di omessa o dichiarazione infedele (ai
fini Ici) trova applicazione con riferimento
all'ultima dichiarazione o denuncia
presentata, a prescindere da eventuali
ravvedimenti o presentazioni spontanee
successive alla determinazione formale
dell'indennità, resta esclusa ogni
possibilità di garantire un valore minimo
garantito, ma la vanificazione totale del
ristoro resta costituzionalmente
illegittima, a prescindere che la misura
sanzionatoria sia dipendente o meno dalla
volontà dell'espropriato o da un mero
errore.
Di conseguenza, ancorché le
disposizioni possano essere ritenute
applicabili per effetto del comportamento
omissivo del contribuente, non si può non
tenere conto del principio della tutela del
diritto della proprietà, di cui al terzo
comma, dell'art. 42 della carta
costituzionale e di quanto sancito dall'art.
1 per primo protocollo addizionale della
Convenzione europea per la salvaguardia dei
diritti dell'uomo e delle libertà
fondamentali (Cedu).
Pertanto, la Corte
costituzionale ha concluso che la norma
censurata (art. 16, dlgs n. 504/1992),
nell'interpretazione fornita dalle sezioni
unite, viola gli articoli 42, terzo comma e
117, primo comma, della carta, con
riferimento a quanto indicato dal citato
art. 1 del protocollo addizionale Cedu,
poiché «non contempla alcun meccanismo
che, in caso di omessa
dichiarazione/denuncia Ici, consenta di
porre un limite alla totale elisione di tale
indennità, garantendo comunque un
ragionevole rapporto tra il valore venale
del suolo espropriato e l'ammontare
dell'indennità», anche in presenza di
una denuncia a valori irrisori; di fatto,
via libera alla possibile applicazione di
sanzioni, anche deterrenti, a cura del
legislatore, ma da escludere la «reale»
confisca del bene
(articolo ItaliaOggi
del 27.12.2011 - tratto da www.corteconti.it). |
GIURISPRUDENZA |
EDILIZIA PRIVATA:
Ai sensi dell’art. 24 d.P.R. n.
380/2001, il “certificato di agibilità
attesta la sussistenza delle condizioni di
sicurezza, igiene, salubrità, risparmio
energetico degli edifici e degli impianti
negli stessi installati, valutate secondo
quanto dispone la normativa vigente”, e che,
conseguentemente, eventuali difformità
esecutive rispetto al progetto assentito non
sono ex se idonee a precludere il rilascio
del certificato medesimo, laddove inerenti
ad aspetti marginali del manufatto e/o,
comunque, riconducibili all’ambito
dell’attività edilizia cd. libera, come
affermato dal magistrato penale.
Ai sensi dell’art. 24 d.P.R. n. 380/2001, il
“certificato di agibilità attesta la
sussistenza delle condizioni di sicurezza,
igiene, salubrità, risparmio energetico
degli edifici e degli impianti negli stessi
installati, valutate secondo quanto dispone
la normativa vigente”, e che,
conseguentemente, eventuali difformità
esecutive rispetto al progetto assentito non
sono ex se idonee a precludere il
rilascio del certificato medesimo, laddove
inerenti ad aspetti marginali del manufatto
(in particolare se, come nel caso di specie,
prive di incidenza sulla volumetria e sulla
superficie dell’immobile interessato) e/o,
comunque, riconducibili all’ambito
dell’attività edilizia cd. libera, come
affermato dal magistrato penale
(TAR Campania-Salerno, Sez. I,
sentenza
30.12.2011 n.
2105 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Le valutazioni della commissione
giudicatrice nell'ambito di una gara
d'appalto sono espressione dell'esercizio
della c.d. discrezionalità tecnica.
Le valutazioni della commissione
giudicatrice nell'ambito di una procedura
concorsuale per l'affidamento di un appalto
costituiscono espressione dell'esercizio
della c.d. discrezionalità tecnica, o meglio
costituiscono -volendo utilizzare altra
terminologia- valutazioni tecniche;
tuttavia, a prescindere dalla terminologia
prescelta, è oggi pacifico che si tratta di
valutazioni pienamente sindacabili dal
giudice amministrativo, sia sotto il profilo
della ragionevolezza, adeguatezza e
proporzionalità che sotto l'aspetto più
strettamente tecnico.
Infatti, tramontata l'equazione
discrezionalità tecnica-merito insindacabile
a partire dalla sentenza n. 601/1999 della
IV Sezione del Consiglio di Stato, il
sindacato giurisdizionale sugli
apprezzamenti tecnici della p.a. può oggi
svolgersi in base non al mero controllo
formale ed estrinseco dell'iter logico
seguito dall'autorità amministrativa, bensì
alla verifica diretta dell'attendibilità
delle operazioni tecniche sotto il profilo
della loro correttezza quanto a criterio
tecnico ed a procedimento applicativo
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 29.12.2011 n. 6980 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il particolare procedimento
sanzionatorio di cui all’art. 31 del DPR
380/2001 prevede che, in caso di
inosservanza dell’ordine di demolizione
delle opere abusive nel termine di novanta
giorni dalla notificazione dell’ordine
stesso, il bene e l’area di sedime sono <<..acquisiti
di diritto gratuitamente al patrimonio del
comune>> (così il comma 3° dell’articolo
citato).
L'acquisizione si realizza automaticamente
per effetto della scadenza del termine
suindicato, per cui il successivo atto di
formale accertamento dell’inottemperanza ha
un valore meramente dichiarativo e
ricognitivo e non costitutivo del diritto
del Comune; parimenti anche la trascrizione
nei pubblici registri serve esclusivamente
per l’opponibilità dell’acquisto già
perfezionatosi ai terzi e non ha carattere
costitutivo.
Preliminarmente, pare utile rammentare che
il particolare procedimento sanzionatorio di
cui all’art. 31 del DPR 380/2001 (Testo
Unico dell’edilizia) prevede che, in caso di
inosservanza dell’ordine di demolizione
delle opere abusive nel termine di novanta
giorni dalla notificazione dell’ordine
stesso, il bene e l’area di sedime sono <<..acquisiti
di diritto gratuitamente al patrimonio del
comune>> (così il comma 3° dell’articolo
citato).
Per la giurisprudenza, l’acquisizione si
realizza automaticamente per effetto della
scadenza del termine suindicato, per cui il
successivo atto di formale accertamento
dell’inottemperanza ha un valore meramente
dichiarativo e ricognitivo e non costitutivo
del diritto del Comune; parimenti anche la
trascrizione nei pubblici registri serve
esclusivamente per l’opponibilità
dell’acquisto già perfezionatosi ai terzi e
non ha carattere costitutivo (cfr., fra le
tante, TAR Lazio, sez. I, 07.03.2011, n.
2031; TAR Campania, Napoli, sez. II,
14.02.2011, n. 928 e Cassazione Penale, sez.
III, 22.04.2010, n. 22237)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 29.12.2011 n. 3368 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
LAVORI PUBBLICI:
La qualificazione di una strada
comunale come pubblica o di uso pubblico non
può che avvenire in concreto, tenendo conto
delle effettive condizioni del bene ed in
particolare di una serie di elementi, quali
l’utilizzo da parte di una collettività di
persone, l’idoneità del bene a soddisfare
esigenze di carattere generale, oltre ad un
titolo valido a sorreggere l’affermazione di
un diritto di uso pubblico, vale a dire
l’uso da tempo immemorabile.
L’inserimento di una strada nell’elenco
delle vie pubbliche o soggette ad uso
pubblico, effettuato dagli stessi Comuni, ha
un valore meramente ricognitivo e non
costitutivo, potendo così dare luogo -tutt’al
più- ad una mera presunzione, superabile
mediante prova contraria.
La qualificazione di una strada comunale
come pubblica o di uso pubblico non può che
avvenire in concreto, tenendo conto delle
effettive condizioni del bene ed in
particolare di una serie di elementi, quali
l’utilizzo da parte di una collettività di
persone, l’idoneità del bene a soddisfare
esigenze di carattere generale, oltre ad un
titolo valido a sorreggere l’affermazione di
un diritto di uso pubblico, vale a dire
l’uso da tempo immemorabile (cfr., fra le
tante, Consiglio di Stato, sez. V,
28.06.2011, n. 3868; 24.05.2007, n. 2621;
TAR Puglia, Lecce, sez. III, 01.06.2011, n.
999; TAR Campania, Salerno, sez. II,
11.04.2011, n. 660; si noti che gli elementi
di cui sopra sono i medesimi che il
Consiglio di Stato, adito in sede di appello
cautelare nella presente fattispecie, ha
ritenuto di accertare tramite
verificazione).
Ciò premesso, l’inserimento di una strada
nell’elenco delle vie pubbliche o soggette
ad uso pubblico, effettuato dagli stessi
Comuni, ha un valore meramente ricognitivo e
non costitutivo, potendo così dare luogo
-tutt’al più- ad una mera presunzione,
superabile mediante prova contraria (cfr.,
fra le più recenti, TAR Lazio, Latina,
13.05.2011, n. 410; TAR Campania, Salerno,
sez. II, 11.04.2011, n. 660, oltre a
Consiglio di Stato, sez. IV, 24.03.2009, n.
1769 e sez. V, 24.05.2007, n. 2621) (TAR
Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 29.12.2011 n. 3364 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
L’autotutela avente per oggetto
la DIA –o meglio il titolo formatosi a
seguito della sua presentazione– deve
rispettare i requisiti previsti dalle norme
di legge succitate e quindi si impone, a
carico del Comune, l’obbligo di indicare lo
specifico interesse pubblico, diverso da
quello al mero ripristino della legalità,
posto a fondamento dell’autotutela, oltre
alla considerazione sia degli interessi dei
privati coinvolti, sia del tempo trascorso
dalla presentazione della DIA a quello di
adozione del provvedimento.
Il
provvedimento impugnato appare però viziato
non solo da evidente difetto di istruttoria
e di motivazione sulla questione della
natura della strada, ma anche dalla
violazione delle norme riguardanti
l’autotutela amministrativa (artt.
21-quinquies e 21-nonies della legge
241/1990, articoli entrambi richiamati
dall’art. 19 di quest’ultima, sia nel
precedente testo relativo alla DIA sia in
quello attuale relativo alla SCIA,
segnalazione certificata di inizio
attività).
L’ordinanza comunale gravata, infatti,
dispone (così testualmente) la “revoca”
della DIA n. 232/2000 (anche se, più
correttamente, si sarebbe dovuto parlare di
“annullamento d’ufficio”), presentata
dagli attuali esponenti al Comune di
Limbiate per la posa dei cancelli carrai
sulla strada vicinale di cui è causa (cfr.
doc. 2 dei ricorrenti, copia della DIA).
In realtà, com’è noto, l’autotutela avente
per oggetto la DIA –o meglio il titolo
formatosi a seguito della sua presentazione–
deve rispettare i requisiti previsti dalle
norme di legge succitate e quindi si impone,
a carico del Comune, l’obbligo di indicare
lo specifico interesse pubblico, diverso da
quello al mero ripristino della legalità,
posto a fondamento dell’autotutela, oltre
alla considerazione sia degli interessi dei
privati coinvolti, sia del tempo trascorso
dalla presentazione della DIA (luglio 2000)
a quello di adozione del provvedimento, nel
caso di specie oltre nove anni (cfr. sul
punto, TAR Lombardia, Milano, sez. II,
01.03.2011, n. 596; TAR Marche, 08.11.2010,
n. 3373; TAR Toscana, sez. II, 24.08.2010,
n. 4882) (TAR
Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 29.12.2011 n. 3364 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La mancata indicazione dell'area
di sedime, che verrebbe acquisita
nell'ipotesi di inottemperanza all'ordine di
demolizione, non costituisce causa di
illegittimità dell'ingiunzione a demolire,
in quanto tali indicazioni appartengono al
successivo atto di accertamento
dell'inottemperanza e di acquisizione
gratuita al patrimonio comunale.
---------------
La sanzione demolitoria, non avendo natura
afflittiva ma ripristinatoria non soggiace
al principio di retroattività.
L’illecito edilizio ha carattere permanente
onde il fatto che consente l’irrogazione
della sanzione della demolizione è
costituito dall’omessa spontanea demolizione
di quanto è stato realizzato e dalla attuale
incidenza sugli interessi urbanistici, onde
sono soggette al regime sanzionatorio di cui
alla l. 47/1985 anche le opere edilizie
ultimate prima della sua entrata in vigore.
---------------
L'ordine di demolizione, come tutti i
provvedimenti sanzionatori in materia
edilizia, è atto vincolato e, quindi, non
richiede una specifica valutazione delle
ragioni di interesse pubblico, né una
comparazione di quest'ultimo con gli
interessi privati coinvolti e sacrificati,
né una motivazione sulla sussistenza di un
interesse pubblico concreto ed attuale alla
demolizione. Non può, peraltro, ammettersi
alcun affidamento tutelabile alla
conservazione di una situazione di fatto
abusiva che il tempo non può avere
legittimato.
Parimenti infondato è il motivo n. 3 con cui
si lamenta la mancata individuazione del
sedime oggetto di acquisizione gratuita in
caso di inottemperanza all’ordine di
demolizione.
Infatti, la mancata indicazione dell'area di
sedime, che verrebbe acquisita nell'ipotesi
di inottemperanza all'ordine di demolizione,
non costituisce causa di illegittimità
dell'ingiunzione a demolire, in quanto tali
indicazioni appartengono al successivo atto
di accertamento dell'inottemperanza e di
acquisizione gratuita al patrimonio comunale
(TAR Piemonte Torino, sez. I, 24.03.2010, n.
1577).
---------------
Quanto poi
all’asserita impossibilità di ordinare la
demolizione è sufficiente rilevare che, in
disparte l’accertamento della data di
effettiva realizzazione dell’ampliamento B
di cui alla istanza di condono, la sanzione
demolitoria, non avendo natura afflittiva ma
ripristinatoria non soggiace al principio di
retroattività (C.S. V 29.04.2000 n. 2544).
Peraltro, l’illecito edilizio ha carattere
permanente onde il fatto che consente
l’irrogazione della sanzione della
demolizione è costituito dall’omessa
spontanea demolizione di quanto è stato
realizzato e dalla attuale incidenza sugli
interessi urbanistici (C.S. V 24.03.1998 n.
345), onde sono soggette al regime
sanzionatorio di cui alla l. 47/1985 anche
le opere edilizie ultimate prima della sua
entrata in vigore (C.S. VI 22.04.1997 n.
632).
---------------
Per costante giurisprudenza, anche della
Sezione, "l'ordine di demolizione, come
tutti i provvedimenti sanzionatori in
materia edilizia, è atto vincolato e,
quindi, non richiede una specifica
valutazione delle ragioni di interesse
pubblico, né una comparazione di
quest'ultimo con gli interessi privati
coinvolti e sacrificati, né una motivazione
sulla sussistenza di un interesse pubblico
concreto ed attuale alla demolizione. Non
può, peraltro, ammettersi alcun affidamento
tutelabile alla conservazione di una
situazione di fatto abusiva che il tempo non
può avere legittimato" (Cons. di St., V,
11.01.2011, n. 79; id., IV, 31.08.2010, n.
3955; TAR Liguria, I, 14.01.2011, n. 43)
(TAR Liguria, Sez.
I,
sentenza
29.12.2011 n.
1943 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
PUBBLICO IMPIEGO: Bacchettati i
fannulloni.
Mobbing, nessun danno per chi non è
produttivo. Sentenza della Cassazione sui
dipendenti della pubblica amministrazione.
La Cassazione ammonisce i «fannulloni»
all'interno della pubblica amministrazione.
Non ha infatti diritto al risarcimento per
il danno da mobbing il dipendente pubblico
che viene sanzionato e sostituito perché
l'ufficio è poco produttivo.
Lo ha stabilito
la Corte di Cassazione civile che, con la
sentenza
27.12.2011 n. 28962, ha respinto
il ricorso di un funzionario pubblico
sanzionato e poi sostituito per la scarsa
produttività del suo ufficio che, dopo
alcuni mesi, si era dimesso.
In questi casi, ha spiegato la sezione
lavoro, il capo non pone in essere una
condotta persecutoria finalizzata alle
dimissioni del lavoratore ma aumenta
l'efficienza degli uffici.
In particolare gli Ermellini hanno ricordato
che per mobbing si intende una condotta del
datore di lavoro o del superiore gerarchico,
sistematica e protratta nel tempo, tenuta
nei confronti del lavoratore nell'ambiente
di lavoro, che si risolve in sistematici e
reiterati comportamenti ostili che finiscono
per assumere forme di prevaricazione o di
persecuzione psicologica, da cui può
conseguire la mortificazione morale e
l'emarginazione del dipendente, con effetto
lesivo del suo equilibrio fisio-psichico e
del complesso della sua personalità.
In altri termini, «ai fini della
configurabilità della condotta lesiva del
datore di lavoro sono, pertanto, rilevanti:
a) la molteplicità di comportamenti di
carattere persecutorio, illeciti o anche
leciti se considerati singolarmente, che
siano stati posti in essere in modo
miratamente sistematico e prolungato contro
il dipendente con intento vessatorio; b)
l'evento lesivo della salute o della
personalità del dipendente; c) il nesso
eziologico tra la condotta del datore o del
superiore gerarchico e il pregiudizio
all'integrità psicofisica del lavoratore; d)
la prova dell'elemento soggettivo, cioè
dell'intento persecutorio».
Dunque, la
domanda di risarcimento del danno proposta
dal lavoratore per il mobbing subito è
soggetta a specifica allegazione e prova in
ordine agli specifici fatti asseriti come
lesivi e l'illecito del datore di lavoro nei
confronti del lavoratore consistente
nell'osservanza di una condotta protratta
nel tempo e con le caratteristiche della
persecuzione finalizzata all'emarginazione
del dipendente (cosiddetto mobbing, che
rappresenta una violazione dell'obbligo di
sicurezza posto a carico dello stesso datore
dall'art. 2087 cc) si può realizzare con
comportamenti materiali o provvedimentali
dello stesso datore di lavoro
indipendentemente dall'inadempimento di
specifici obblighi contrattuali previsti
dalla disciplina del rapporto di lavoro
subordinato.
La sussistenza della lesione
del bene protetto e delle sue conseguenze
deve essere verificata, procedendosi alla
valutazione complessiva degli episodi
dedotti in giudizio come lesivi,
considerando l'idoneità offensiva della
condotta del datore di lavoro.
Anche la procura generale del Palazzaccio
aveva sollecitato di negare il risarcimento
al funzionario dell'Agenzia delle entrate
(articolo ItaliaOggi
del 29.12.2011 - tratto da www.corteconti.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
A seguito della sent. 15.07.1991
n. 345 della Corte costituzionale,
l'acquisizione gratuita dell'area e dei
manufatti abusivi a favore del comune,
prevista dall'art. 7 l. 28.02.1985 n. 47 nel
caso d'inottemperanza all'ordine di
demolizione, non può considerarsi misura
strumentale diretta a consentire al comune
la demolizione, ma costituisce autonoma
sanzione da applicare al trasgressore
inadempiente: di conseguenza, l'acquisizione
non può essere disposta nei confronti del
proprietario non responsabile dell'abuso e
nei suoi confronti può essere eseguita solo
la demolizione d'ufficio, con addebito delle
spese.
E’ fondato ed assorbente il terzo motivo di
ricorso, con il quale la ricorrente lamenta
che l’acquisizione gratuita dell’opera
abusiva al patrimonio comunale non può
colpire il proprietario che non sia
–contemporaneamente– responsabile dell’abuso
edilizio.
In effetti, secondo una costante
giurisprudenza, a seguito della sent.
15.07.1991 n. 345 della Corte
costituzionale, l'acquisizione gratuita
dell'area e dei manufatti abusivi a favore
del comune, prevista dall'art. 7 l.
28.02.1985 n. 47 nel caso d'inottemperanza
all'ordine di demolizione, non può
considerarsi misura strumentale diretta a
consentire al comune la demolizione, ma
costituisce autonoma sanzione da applicare
al trasgressore inadempiente: di
conseguenza, l'acquisizione non può essere
disposta nei confronti del proprietario non
responsabile dell'abuso e nei suoi confronti
può essere eseguita solo la demolizione
d'ufficio, con addebito delle spese (TAR
Marche, 2.10.2001, n. 1105)
(TAR Liguria, Sez. I,
sentenza
27.12.2011 n.
1924 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
L'ordinanza di demolizione di una
costruzione abusiva può legittimamente
essere emanata nei confronti del
proprietario, anche se non responsabile
dell'abuso, considerato che l'abuso edilizio
costituisce illecito permanente e che
l'ordinanza stessa ha carattere
ripristinatorio e non prevede l'accertamento
del dolo o della colpa del soggetto cui si
imputa la trasgressione, ferma restando la
non acquisibilità dell'area di sedime delle
opere abusive in danno del proprietario
estraneo all'abuso.
Qualsiasi nuova opera eseguita su di una
preesistente costruzione abusiva è infatti
anch'essa abusiva e soggetta a demolizione,
integrando finanche un nuova violazione
della legge penale.
La mera “avvertenza” circa la futura ed
eventuale conseguenza dell’acquisizione del
bene al patrimonio comunale non integra
propriamente il contenuto dispositivo
dell’ingiunzione di demolizione e non ha un
immediato ed attuale effetto lesivo, effetto
che è eventualmente destinato a prodursi
soltanto successivamente all’accertamento
dell’ottemperanza, in caso di emissione del
relativo formale provvedimento.
Per costante giurisprudenza, ai sensi
dell'art. 7 L. 28.02.1985 n. 47, l'ordinanza
di demolizione di una costruzione abusiva
può legittimamente essere emanata nei
confronti del proprietario, anche se non
responsabile dell'abuso, considerato che
l'abuso edilizio costituisce illecito
permanente e che l'ordinanza stessa ha
carattere ripristinatorio e non prevede
l'accertamento del dolo o della colpa del
soggetto cui si imputa la trasgressione,
ferma restando la non acquisibilità
dell'area di sedime delle opere abusive in
danno del proprietario estraneo all'abuso
(TAR Umbria, I, 23.07.2009, n. 441).
Ai sensi dell’art. 7 L. n. 47/1985, “il
sindaco, accertata l'esecuzione di opere in
assenza di concessione […] ingiunge la
demolizione”.
Si tratta di sanzione ripristinatoria di
generale applicazione, giacché la sanzione
pecuniaria di cui al successivo art. 10
riguarda esclusivamente gli interventi
abusivi minori soggetti a semplice
autorizzazione gratuita, purché eseguiti su
immobili già regolari dal punto di vista
urbanistico-edilizio.
Qualsiasi nuova opera eseguita su di una
preesistente costruzione abusiva è infatti
anch'essa abusiva e soggetta a demolizione,
integrando finanche un nuova violazione
della legge penale (Cass. Pen., III,
11.10.2005, n. 40843).
Nel caso di specie, la società ricorrente
–pur essendone proprietaria- non ha dedotto
né dimostrato la regolarità edilizia del
capannone sul quale sono stati effettuati
gli interventi edilizi contestati, sicché
non può invocare il più mite regime
sanzionatorio previsto per gli interventi
soggetti ad autorizzazione gratuita.
Del resto, si osserva che le opere
contestate, comportando l'inserimento di
nuovi elementi ed impianti (quali la cabina
di verniciatura, il tamponamento della
parete nord, l’installazione di canna
fumaria e del relativo impianto di
depurazione ed allontanamento di fumi)
rivolti a “trasformare” l’organismo
edilizio da ricovero natanti ad officina,
integrano propriamente un intervento di
ristrutturazione ex art. 31, lett. d), L. n.
457/1978, parimenti assoggettato –ove
realizzato, come nel caso di specie,
abusivamente– alla sanzione ripristinatoria
ex art. 9 L. 47/1985, anche se realizzato su
immobile regolarmente assentito.
Come visto supra in relazione al
primo motivo, l'ordinanza di demolizione di
una costruzione abusiva può legittimamente
essere emanata nei confronti del
proprietario.
Per il resto, la mera “avvertenza”
circa la futura ed eventuale conseguenza
dell’acquisizione del bene al patrimonio
comunale non integra propriamente il
contenuto dispositivo dell’ingiunzione di
demolizione e non ha un immediato ed attuale
effetto lesivo, effetto che è eventualmente
destinato a prodursi soltanto
successivamente all’accertamento
dell’ottemperanza, in caso di emissione del
relativo formale provvedimento
(TAR Liguria, Sez. I,
sentenza
27.12.2011 n.
1923 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il provvedimento di accertamento
dell'inottemperanza all'ordine di
demolizione e quello di acquisizione
gratuita delle opere abusive e dell'area di
sedime debbono considerarsi consequenziali,
connessi e conseguenti all'ordine di
demolizione delle opere e ripristino dello
stato primitivo dei luoghi, con la
conseguenza che non sono autonomamente
impugnabili, in mancanza di impugnazione
dell'atto con cui si ingiunge la demolizione
o di irricevibilità dell'impugnazione
tardivamente proposta avverso tale atto.
E’ noto come, per costante giurisprudenza,
il provvedimento di accertamento
dell'inottemperanza all'ordine di
demolizione e quello di acquisizione
gratuita delle opere abusive e dell'area di
sedime debbono considerarsi consequenziali,
connessi e conseguenti all'ordine di
demolizione delle opere e ripristino dello
stato primitivo dei luoghi, con la
conseguenza che non sono autonomamente
impugnabili, in mancanza di impugnazione
dell'atto con cui si ingiunge la demolizione
o di irricevibilità dell'impugnazione
tardivamente proposta avverso tale atto
(Cons. di St., V, 10.01.2007, n. 40; TAR
Emilia-Romagna, II, 24.09.2010, n. 7897)
(TAR Liguria, Sez. I,
sentenza
27.12.2011 n.
1920 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Nell’ipotesi in cui la domanda di
sanatoria segua temporalmente il
provvedimento sanzionatorio, se questa viene
favorevolmente definita, l’ingiunzione di
demolizione perde efficacia e non può essere
eseguita, mentre se essa viene respinta,
l’amministrazione dovrà necessariamente
procedere, con autonomo procedimento, al
riesame dell’intera fattispecie ed emanare
un nuovo provvedimento sanzionatorio con
assegnazione, in tal caso, di un nuovo
termine per eseguirlo, con la conseguenza,
anche in quest’ultimo caso, dell’inefficacia
del precedente provvedimento demolitorio.
Nell’ipotesi in cui la domanda di sanatoria
segua temporalmente il provvedimento
sanzionatorio, se questa viene
favorevolmente definita, l’ingiunzione di
demolizione perde efficacia e non può essere
eseguita, mentre se essa viene respinta,
l’amministrazione dovrà necessariamente
procedere, con autonomo procedimento, al
riesame dell’intera fattispecie ed emanare
un nuovo provvedimento sanzionatorio con
assegnazione, in tal caso, di un nuovo
termine per eseguirlo, con la conseguenza,
anche in quest’ultimo caso, dell’inefficacia
del precedente provvedimento demolitorio
(cfr. TAR Salerno, Sez. II, 04.05.2006 n.
596 e 20.01.2003 n. 26)
(TAR Campania-Salerno, Sez. II,
sentenza
23.12.2011 n.
2070 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI: Anche nelle concessioni di servizi
è ammissibile l'avvalimento. Il Tar molise
ritiene la normativa comunitaria prevalente
sul codice dei contratti pubblici.
È illegittima per violazione del diritto
comunitario la limitazione del ricorso all'avvalimento
e della possibilità di partecipare alla gara
in raggruppamento.
È quanto afferma il TAR Molise con la
sentenza 23.12.2011 n. 990 rispetto a una
procedura di gara per l'affidamento di una
concessione di servizi da parte di un
comune.
Il bando di gara veniva impugnato
nella parte in cui non ammetteva la
possibilità di costituire associazioni di
più soggetti per la partecipazione alla gara
ed escludeva l'istituto dell'avvalimento per
la dimostrazione dei requisiti di capacità
tecnico-organizzativi ed
economico-finanziari. Le censura che veniva
portata davanti ai giudici molisani era
fondata sul mancato rispetto della normativa
comunitaria che (direttive 2004/18 e 17)
prevede in via generale sia la possibilità
di partecipare alle procedure concorsuali
pubbliche per ogni tipo di affidamento
(appalti e concessioni), singolarmente e in
forma associata, sia l'utilizzo dell'avvalimento.
A ciò si aggiungeva la censura di mancanza
di ragionevolezza e proporzionalità
nell'introduzione delle clausole restrittive
del bando di gara emesso dal comune. Il Tar
Molise accoglie integralmente il ricorso e
annulla gli atti di gara.
La sentenza, dopo
avere ritenuto pacifico che si tratti di una
concessione di servizi pubblici (gestione di
una piscina), analizza l'articolo 30 del
Codice dei contratti pubblici (dlgs
163/2006). In particolare la sentenza
evidenzia che la norma prevede che alle
concessioni di servizi non si applichino le
norme del Codice, fra cui vi sarebbe anche
l'articolo 49 sull'avvalimento.
In base alla
parte iniziale della disposizione esaminata,
effettivamente l'avvalimento non dovrebbe
essere applicato alle concessioni di servizi
e quindi non sarebbe possibile documentare e
provare requisiti di ordine
economico-finanziario e
tecnico-organizzativo facendo ricorso ad
altri soggetti. La restante parte della
disposizione fa però salve le disposizioni
di deroga del principio della generale
inapplicabilità delle norme del Codice
dettate nello stesso articolo.
Se si
osserva, dice la sentenza, il terzo comma
dell'articolo 30 si può quindi notare come
sia affermata esplicitamente l'applicabilità
dei principi del Trattato e di quelli
«generali relativi ai contratti pubblici e,
in particolare, dei principi di trasparenza,
adeguata pubblicità, non discriminazione,
parità di trattamento, mutuo riconoscimento,
proporzionalità». Proprio con riguardo
all'applicazione e al rispetto di questi
principi i giudici ritengono in particolare
che i principi di non discriminazione e di
proporzionalità, postulino «senza dubbio che
sia consentita la facoltà di riunirsi in
associazione per soddisfare i requisiti di
partecipazione ovvero di avvalersi di altri
soggetti per conseguire lo stesso effetto».
Al riguardo la sentenza si richiama anche a
precedenti decisioni del Consiglio di stato
che, ancorché non specificamente su
affidamenti di concessioni, ha comunque
ritenuto applicabile a tutto tondo
l'istituto dell'avvalimento. In particolare,
la sentenza n. 9577 del 29.12.2010,
sezione sesta, ha affermato testualmente che
una norma restrittiva dell'avvalimento
«sarebbe contraria al diritto comunitario» e
che «non vi sono limiti legali quantitativi
al ricorso all'avvalimento, potendo lo
stesso essere utilizzato anche per le
percentuali di capacità minima richiesti
dalla legge per ciascun singolo mandante»
(articolo ItaliaOggi
del 31.12.2011 - tratto da www.ecostampa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
presentazione dell'istanza di sanatoria -sia
essa di accertamento di conformità, sia essa
di condono- produce l'effetto di rendere
inefficace il provvedimento sanzionatorio
dell'ingiunzione di demolizione e, quindi,
improcedibile l'impugnazione stessa per
sopravvenuta carenza di interesse.
Per costante giurisprudenza, condivisa dal
Collegio, “La presentazione dell'istanza di
sanatoria -sia essa di accertamento di
conformità, sia essa di condono- produce
l'effetto di rendere inefficace il
provvedimento sanzionatorio dell'ingiunzione
di demolizione e, quindi, improcedibile
l'impugnazione stessa per sopravvenuta
carenza di interesse" (ex multis
ancora di recente TAR Campania-Salerno, sez.
II, 08.01.2010, n. 8)
(TAR Sicilia-Palermo, Sez. II,
sentenza 21.12.2011 n. 2439 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI: Il
provvedimento che dispone la sospensione
degli effetti di un precedente atto ha
natura strumentale e funzione meramente
cautelare, in relazione alla prevista
adozione di un eventuale provvedimento
definitivo di autotutela; sicché, attesa la
rilevata funzione cautelare di tale tipo di
atto, è applicabile l’art. 7, comma 2, della
L. n. 241/1990, che consente l’emanazione di
provvedimenti cautelari senza necessità di
preventiva comunicazione e di termini a
difesa, ancor prima che venga inviato
l’avviso dell’inizio del procedimento volto
all’assunzione del provvedimento finale.
Va parimenti respinta la doglianza volta a
contestare l’omessa comunicazione di avvio
del procedimento di adozione del
provvedimento di sospensione ex art.
21-quater della L. n. 241/1990.
Ed invero, il provvedimento che dispone la
sospensione degli effetti di un precedente
atto ha natura strumentale e funzione
meramente cautelare, in relazione alla
prevista adozione di un eventuale
provvedimento definitivo di autotutela;
sicché, attesa la rilevata funzione
cautelare di tale tipo di atto, è
applicabile, per consolidata giurisprudenza,
l’art. 7, comma 2, della L. n. 241/1990, che
consente l’emanazione di provvedimenti
cautelari senza necessità di preventiva
comunicazione e di termini a difesa, ancor
prima che venga inviato l’avviso dell’inizio
del procedimento volto all’assunzione del
provvedimento finale (Consiglio di Stato, VI,
29.11.2006, n. 6978; V, 30.10.2002, n. 5975;
Tar Lazio, Roma, I-quater, 04.07.2007, n.
5993; III, 19.07.2006, n. 6050)
(TAR Sicilia-Palermo, Sez. III,
sentenza 21.12.2011 n. 2436 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA: In
caso di impugnazione di Piano regolatore
Generale, il termine di decadenza di giorni
60 decorre dalla data di pubblicazione del
provvedimento regionale di approvazione del
P.R.G., in quanto atto a contenuto generale.
L’eventuale formazione del silenzio assenso
in relazione all’approvazione del Piano
regolatore può produrre effetti nei
confronti del Comune, ma non anche del
singolo cittadino, il quale non può certo
ritenersi a conoscenza del momento in cui il
provvedimento di adozione è stato trasmesso
o addirittura ricevuto dalla Regione.
E' regola generale (cfr. TAR Palermo,
sentenza n. 585/2007 e TAR Catania, sez. I,
22.02.2005, n. 289) che, in caso di
impugnazione di Piano regolatore Generale,
il termine di decadenza di giorni sessanta
decorra, per principio assolutamente
pacifico, dalla data di pubblicazione del
provvedimento regionale di approvazione del
P.R.G., in quanto atto a contenuto generale.
L’eventuale formazione del silenzio assenso
in relazione all’approvazione del Piano
regolatore può produrre effetti nei
confronti del Comune, ma non anche del
singolo cittadino, il quale non può certo
ritenersi a conoscenza del momento in cui il
provvedimento di adozione è stato trasmesso
o addirittura ricevuto dalla Regione
(TAR
Sicilia-Palermo, Sez. II,
sentenza 20.12.2011 n. 2429 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Se
è vero che la decadenza di una concessione
edilizia "avviene "di diritto" al
verificarsi dei presupposti di legge (art.
15, comma 2, D.P.R. n. 380 del 2001) e la
pronuncia di decadenza ha natura ricognitiva
con effetto retroattivo”, resta comunque
ferma la necessità dell’adozione di un atto
formale dell'Amministrazione in proposito.
Per quanto
attiene al successivo atto implicito di
dichiarazione della decadenza della
concessione edilizia, si ritiene opportuno
premettere che, pur non essendo stato
dimostrato l’effettivo, tempestivo, invio
della comunicazione di inizio dei lavori, il
comportamento del Comune, che ha consentito
il completamento, almeno al rustico, di
tutti gli edifici previsti, che ha incassato
gli oneri concessori e che ha preteso,
successivamente, la cessione delle aree da
destinare ad opere di urbanizzazione, induce
a ritenere che tale comunicazione vi sia
effettivamente stata e sia stata in concreto
ricevuta dal Comune. In caso contrario,
infatti, si dovrebbe ritenere gravemente
omissivo e comunque contradditorio l’agire
dell’Amministrazione.
Con riferimento al rispetto dei termini di
completamento dei lavori, invece, il
Collegio ritiene di poter condivide la tesi
di cui alla sentenza del Consiglio di Stato,
sez. IV, 10.05.2011, n. 2765, secondo cui: “se
è vero che la decadenza stessa "avviene "di
diritto" al verificarsi dei presupposti di
legge (art. 15, comma 2, D.P.R. n. 380 del
2001) e la pronuncia di decadenza ha natura
ricognitiva con effetto retroattivo”,
resta comunque ferma la necessità
dell’adozione di un atto formale
dell'Amministrazione in proposito (cfr.
Cons. Stato, Sez. V, 09.10.2007 n. 5228).
Anche nel caso di specie, quindi, non può
ritenersi in concreto intervenuta la
dichiarazione di decadenza, con la
conseguenza che il provvedimento impugnato,
con cui il Comune ha negato la possibilità
di proseguire i lavori, risulta fondato su
di un presupposto, l’intervenuta decadenza
della concessione edilizia, inesistente per
carenza del provvedimento di formale
accertamento della stessa e che, peraltro,
non sembrerebbe comunque precludere il
rilascio di un nuovo titolo legittimante il
suddetto completamento (TAR
Sicilia-Palermo, Sez. II,
sentenza 20.12.2011 n. 2429 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA: L'omessa
impugnazione del provvedimento di
approvazione di un piano regolatore generale
non determina, quindi, alcuna preclusione
all'ammissibilità del ricorso proposto
contro la delibera di adozione dello stesso
strumento urbanistico, in quanto
l'annullamento di quest'ultima, comportando
il venir meno di uno degli elementi
necessari di un atto complesso il cui
procedimento si conclude solo con
l'approvazione, esplica effetti
automaticamente caducanti e non meramente
vizianti su quest'ultimo provvedimento,
nella parte in cui lo stesso si limita a
confermare le previsioni già contenute nel
piano adottato e fatto oggetto di
impugnativa.
Va richiamato il consolidato orientamento,
anche del Consiglio di Stato, secondo cui “L'omessa
impugnazione del provvedimento di
approvazione di un piano regolatore generale
non determina, quindi, alcuna preclusione
all'ammissibilità del ricorso proposto
contro la delibera di adozione dello stesso
strumento urbanistico, in quanto
l'annullamento di quest'ultima, comportando
il venir meno di uno degli elementi
necessari di un atto complesso il cui
procedimento si conclude solo con
l'approvazione, esplica effetti
automaticamente caducanti e non meramente
vizianti su quest'ultimo provvedimento,
nella parte in cui lo stesso si limita a
confermare le previsioni già contenute nel
piano adottato e fatto oggetto di
impugnativa” (ex plurimis:
Consiglio di Stato, IV, 23.07.2009, n. 4662;
nello stesso senso: Consiglio di Stato, IV,
24.04.2009, n. 2630; 13.04.2005, n. 1743;
06.05.2003, n. 2386; TAR Sicilia, Palermo,
I, 08.04.2008, n. 449; TAR Puglia Bari, I,
13.01.2009, n. 11; TAR Campania, Salerno, I,
23.12.2008, n. 4286)
(TAR Sicilia-Palermo, Sez. III,
sentenza 20.12.2011 n. 2407 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Appalti pubblici e principio di
tassatività delle cause di esclusione.
Contrasta con l’articolo 46, comma 1-bis,
del d.lgs. 163/2006 la legge di gara che
chiede, a pena di esclusione, l’attestazione
notarile relativa ai poteri del funzionario
che rilascia la polizza fideiussoria; ed
infatti questa formalità non incide sul
contenuto formativo dell’offerta in quanto
non priva di certezza la provenienza della
garanzia, né impedisce a quest’ultima di
raggiungere il suo scopo.
Questo è il principio espresso dal TAR
Lazio-Roma, Sez. I-bis, con la
sentenza 15.12.2011 n.
9791.
Il ricorso veniva introdotto da un società,
esclusa da un appalto di servizi in quanto
il notaio non aveva attestato i poteri del
funzionario che aveva rilasciato la polizza
fideiussoria, inviata a garanzia
dell’offerta, in conformità alla clausola
della lettera di invito secondo cui “La
firma dei funzionari che rilasceranno la
polizza dovrà essere autenticata da un
notaio (pena l’esclusione dalla gara) il
quale dovrà, altresì, attestarne i relativi
poteri”.
Avverso questa esclusione, la società
contestava, tra l’altro, la nullità della
clausola in quanto contraria alle regole
previste dall’articolo 46, comma 1-bis, del
d.lgs. 163/2006.
Come noto, il comma 1-Bis è stato introdotto
dal decreto legge 70/2011 (convertito in
legge n. 106/2011) e prevede che “La
stazione appaltante esclude i candidati o i
concorrenti in caso di mancato adempimento
alle prescrizioni previste dal presente
codice e dal regolamento e da altre
disposizioni di legge vigenti, nonché nei
casi di incertezza assoluta sul contenuto o
sulla provenienza dell'offerta, per difetto
di sottoscrizione o di altri elementi
essenziali ovvero in caso di non integrità
del plico contenente l'offerta o la domanda
di partecipazione o altre irregolarità
relative alla chiusura dei plichi, tali da
far ritenere, secondo le circostanze
concrete, che sia stato violato il principio
di segretezza delle offerte; i bandi e le
lettere di invito non possono contenere
ulteriori prescrizioni a pena di esclusione.
Dette prescrizioni sono comunque nulle”.
In merito alla ratio della recente modifica
il TAR Roma ha chiarito come “Il
Legislatore, ispirato anche dal principio
del favor partecipationis, ha limitato il
numero di esclusioni fondate su elementi di
carattere formale.
L’intento è stato quello di tutelare in modo
sostanziale e concreto il principio di
derivazione comunitaria della concorrenza
oltre quello, più squisitamente
politico-economico-sociale, di ridurre il
contenzioso in materia di appalti.
Secondo il nuovo testo del citato art. 46,
la stazione appaltante può escludere le
imprese dalla gara di appalto esclusivamente
in caso di:
- mancato adempimento a prescrizioni di legge
previste dal codice degli appalti, dal
regolamento attuativo (DPR n. 207/2010) e da
altre disposizioni legislative vigenti;
- incertezza assoluta sul contenuto o sulla
provenienza dell’offerta per difetto di
sottoscrizione o di altri elementi
essenziali;
- non integrità del plico contenente
l’offerta o la domanda di partecipazione o
altre irregolarità relative alla chiusura
del plico, tale da far ritenere, secondo le
circostanze concrete, che sia stato violato
il principio di segretezza delle offerte.
Queste cause di esclusione sono tassative ed
ogni altra prescrizione prevista dagli atti
di gara deve considerarsi nulla (nullità
testuale).
Il Collegio ritiene che, seppure lo sforzo
Legislatore sia apprezzabile,
l’interpretazione delle norme non possa
andare a discapito dell’altro fondamentale
principio della par condicio o della
certezza dell’agire della pubblica
amministrazione.
Si tratta di appurare, pertanto, se nel caso
concreto siano state o meno violate le norme
regolatrici dell’appalto ed insieme a queste
i cennati principi informatori della
procedura di gara”.
In base a queste considerazioni i giudici
del TAR Roma hanno annullato il
provvedimento di esclusione, dichiarando
nulla la clausola impugnata, in quanto la
mancata attestazione notarile, attenendo al
contenuto meramente formale della garanzia,
non poteva essere considerata come un
elemento integrativo co-necessario
dell’offerta e dunque non rendeva incerto il
contenuto sostanziale dell’offerta medesima.
Con questa decisione i giudici hanno dunque
chiarito come il principio della tassatività
delle cause di esclusione, debba essere
contemperato con gli altri principi
fondamentali, nell’ambito degli appalti
pubblici, della par condicio e della
certezza dell’agire della pubblica
amministrazione (commento tratto da
www.professioni-imprese24.ilsole24ore.com -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI -
EDILIZIA PRIVATA: L'art.
216 r.d. 27.07.1934 n. 1265, nel prescrivere
che le industrie insalubri di prima classe
devono essere isolate dalle campagne e
tenute lontane dall'abitazione, non fissa
specifiche distanze; pertanto, se il
titolare dimostra che, per l'introduzione di
nuovi metodi o speciali cautele, l'esercizio
dell'attività non reca nocumento alla salute
del vicinato, le distanze eventualmente
prescritte dal p.r.g. possono essere
derogate.
Gli art. 216 e 217 r.d. 27.07.1934 n. 1265
conferiscono al comune ampi poteri in
materia di industrie insalubri, anche
prescindendo da situazioni di emergenza e
dall'autorizzazione a suo tempo rilasciata,
a condizione, però, che siano dimostrati, da
congrua e seria istruttoria, gli
inconvenienti igienici e che si sia
vanamente tentato di eliminarli.
---------------
L'obbligo di motivazione del provvedimento
amministrativo non può ritenersi violato
quando, anche a prescindere dal tenore
letterale dell'atto finale, i documenti
dell'istruttoria offrano elementi
sufficienti ed univoci dai quali possano
ricostruirsi le concrete ragioni e l'iter
motivazionale della determinazione assunta..
In sintesi: nel rilasciare un permesso di
costruire di un'attività quale "industria
insalubre", l’amministrazione comunale
sarebbe tenuta ad un obbligo di stringente
motivazione soltanto allorché intenda
discostarsi dal parere (sia esso di natura
favorevole, che negativo) reso dall’autorità
sanitaria, mentre, laddove ne condivida gli
approdi e ad essi intenda conformarsi,
potrebbe semplicemente richiamarlo.
Il parere della AUSL sotteso al
provvedimento reiettivo reso
dall’amministrazione comunale risulta
governato dalla disposizione di cui all’art.
216 del Regio Decreto 27.07.1934, n. 1265
(recante approvazione del testo unico delle
leggi sanitarie) che così dispone: “Le
manifatture o fabbriche che producono
vapori, gas o altre esalazioni insalubri o
che possono riuscire in altro modo
pericolose alla salute degli abitanti sono
indicate in un elenco diviso in due classi.
La prima classe comprende quelle che debbono
essere isolate nelle campagne e tenute
lontane dalle abitazioni; la seconda quelle
che esigono speciali cautele per la
incolumità del vicinato.
Questo elenco, compilato dal consiglio
superiore di sanità, è approvato dal
Ministro della sanità, sentito il Ministro
del lavoro e della previdenza sociale, e
serve di norma per l'esecuzione delle
presenti disposizioni.
Le stesse norme stabilite per la formazione
dell'elenco sono seguite per iscrivervi ogni
altra fabbrica o manifattura che
posteriormente sia riconosciuta insalubre.
Una industria o manifattura la quale sia
inscritta nella prima classe, può essere
permessa nell'abitato, quante volte
l'industriale che l'esercita provi che, per
l'introduzione di nuovi metodi o speciali
cautele, il suo esercizio non reca nocumento
alla salute del vicinato.
Chiunque intende attivare una fabbrica o
manifattura compresa nel sopra indicato
elenco, deve quindici giorni prima darne
avviso per iscritto al sindaco, il quale,
quando lo ritenga necessario nell'interesse
della salute pubblica, può vietarne
l'attivazione o subordinarla a determinate
cautele.
Il contravventore è punito con la sanzione
amministrativa da lire 40.000 a lire
400.000.”.
Come è agevole rilevare, il comma 5
della citata disposizione non vieta in
assoluto che una industria o manifattura del
genere di quelle per cui è causa sia
esercitata nell'abitato allorché si provi
che il suo esercizio non rechi nocumento
alla salute del vicinato.
Peraltro la giurisprudenza di questo
Consiglio di Stato si è spinta in passato
ancora oltre, ed è pervenuta alla
significativa affermazione per cui “l'art.
216 r.d. 27.07.1934 n. 1265, nel prescrivere
che le industrie insalubri di prima classe
devono essere isolate dalle campagne e
tenute lontane dall'abitazione, non fissa
specifiche distanze; pertanto, se il
titolare dimostra che, per l'introduzione di
nuovi metodi o speciali cautele, l'esercizio
dell'attività non reca nocumento alla salute
del vicinato, le distanze eventualmente
prescritte dal p.r.g. possono essere
derogate.” (Consiglio Stato, sez. V,
13.10.2004, n. 6648).
...
Un punto deve essere chiarito in via
assolutamente preliminare: pur con le
precisazioni che verranno fatte di seguito,
devono comunque essere disattesi –laddove
intesi in termini categorici- gli argomenti
contenuti nell’appello secondo cui il comune
non avrebbe potuto in via assoluta
discostarsi dal parere preclusivo
dell’Azienda sanitaria (si veda, ex
multis, in materia di poteri comunali,
comunque sussistenti, in subiecta materia,
Consiglio Stato, sez. V, 19.04.2005, n.
1794, ma anche Sezione V 05.02.1985 n. 67,
01.04.1996 n. 338, 17.09.1992 n. 809).
Peraltro lo stesso parere preclusivo
dell’Azienda sanitaria (si veda l’ultima
pagina, in particolare), dava atto della
circostanza che il comune avrebbe potuto
eventualmente discostarsi dalle conclusioni
cui era giunta l’Azienda sanitaria medesima.
Ciò è certamente esatto perché,
infatti, in via di principio
l’amministrazione comunale mantiene proprie
potestà (si vedano in proposito le decisioni
prima richiamate) in subiecta materia
e potrebbe motivatamente discostarsi dalle
determinazioni rese dall’Autorità sanitaria.
L’affermazione, tuttavia, merita talune
importanti precisazioni.
Le suindicate decisioni del Consiglio di
Stato, ed il relativo consolidato
orientamento giurisprudenziale -che ha
costantemente affermato come gli art. 216 e
217 r.d. 27.07.1934 n. 1265 conferiscono al
comune ampi poteri in materia di industrie
insalubri, anche prescindendo da situazioni
di emergenza e dall'autorizzazione a suo
tempo rilasciata, a condizione, però, che
siano dimostrati, da congrua e seria
istruttoria, gli inconvenienti igienici e
che si sia vanamente tentato di eliminarli
(Consiglio Stato, sez. V, 19.04.2005, n.
1794)- hanno in realtà esaminato la
situazione (speculare a quella odierna) in
cui, pur a fronte di una determinazione
favorevole dell’autorità sanitaria,
l’amministrazione comunale era addivenuta
all’emissione di una ordinanza contingibile
ed urgente di natura inibitoria resa
necessitata dal permanere di una grave
situazione igienico-sanitaria.
Affermata la persistenza di
discrezionalità valutativa del comune in
materia, appare ovvio che essa possa e debba
riscontrarsi anche in senso inverso (id
est: quello invocato dall’appellata
società, ampliativo rispetto ad un parere
negativo rilasciato dall’autorità
sanitaria).
Ma, affermato in via di principio detto
potere, è evidente che il comune (che non
possiede né strumenti né competenze per
accertare “in proprio” le condizioni
sanitarie di una industria insalubre) possa
esercitarlo –così discostandosi dal parere
negativo reso dall’Autorità sanitaria- in
ipotesi che configurano veri e propri casi
limite e che potrebbero sinteticamente
indicarsi in una compresenza di due
condizioni: l’assoluta insufficienza,
carenza, approssimazione del parere negativo
reso dall’azienda sanitari, e la
contemporanea sussistenza di allegazioni di
parte –o comunque acquisite
dall’amministrazione comunale- che provino
oltre ogni dubbio l’inattendibilità del
parere negativo e la sussistenza di
comprovati elementi che escludano
inconvenienti sanitari ascrivibili
all’azienda.
Soltanto in presenza di tale coacervo di
condizioni l’amministrazione comunale
potrebbe motivatamente discostarsi dal
parere reso dall’autorità che ha competenza
in materia (e possiede le professionalità
necessarie).
Di converso, è ovvio che, laddove non
si riscontrino tali condizioni,
l’amministrazione comunale è tenuta ad
attenersi alle prescrizioni dell’autorità
sanitaria e dalle stesse -laddove
espressione di discrezionalità tecnica
ragionevolmente esercitata– non si possa
discostare senza stravolgere l’ordine delle
competenze e macchiare, a propria volta, di
illegittimità la propria azione
amministrativa.
Puntualizzati tali principi, ritiene il
Collegio di interrogarsi in ordine ai doveri
dell’amministrazione comunale allorché
-trovatasi al cospetto di un parere negativo
(rectius: diniego di autorizzazione)
reso dall’autorità sanitaria, che non appaia
né irragionevole, né abnorme, ed in
relazione al quale non siano stati acquisiti
al procedimento elementi che inducano a
metterne in discussione le conclusioni-
decida di attenervisi.
Appare evidente che in una simile
evenienza la “motivazione” del
diniego di permesso di costruire non farebbe
che richiamare il contenuto del parere
negativo dell’autorità sanitaria e l’assenza
di elementi che inducano a discostarsene.
La “motivazione” della reiezione, in
un simile caso, a ben guardare, riposerebbe
in una semplice esternazione della
circostanza che non ci si intende discostare
dal parere negativo e, al di là della forma
più o meno diffusa, e delle espressioni
assertive od enfatiche utilizzate, non
consisterebbe in altro che nel richiamo
delle risultanze del parere e della
insussistenza di emergenze procedimentali
con lo stesso collidenti.
Se così è, ed esclusa la condivisibilità di una visione meramente
meccanicistica e formale dell’obbligo
generale di motivazione, ben le ragioni del
convincimento reiettivo (a propria volta
reso in conformazione al parere negativo)
potrebbero desumersi dagli atti istruttori
sottesi al procedimento: il Collegio
condivide pienamente infatti la consolidata
giurisprudenza di questo Consiglio di Stato
secondo cui “l'obbligo di motivazione del
provvedimento amministrativo non può
ritenersi violato quando, anche a
prescindere dal tenore letterale dell'atto
finale, i documenti dell'istruttoria offrano
elementi sufficienti ed univoci dai quali
possano ricostruirsi le concrete ragioni e
l'iter motivazionale della determinazione
assunta.” (Consiglio Stato, sez. V,
20.05.2010, n. 3190).
In sintesi: ritiene il Collegio che
l’amministrazione comunale sarebbe tenuta ad
un obbligo di stringente motivazione
soltanto allorché intenda discostarsi dal
parere (sia esso di natura favorevole, che
negativo) reso dall’autorità sanitaria,
mentre, laddove ne condivida gli approdi e
ad essi intenda conformarsi, potrebbe
semplicemente richiamarlo (Consiglio
di Stato, Sez. IV,
sentenza 15.12.2011 n. 6612 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA: Le
emissioni inquinanti integrano reato
contravvenzionale penale: la costante
giurisprudenza di legittimità ne ha
interpretato l’ambito oggettivo in senso
largamente estensivo (“ai fini della
sussistenza del reato di cui all'art. 674
c.p. non è richiesta la prova di un concreto
pericolo per la salute delle persone in
quanto tale norma fa riferimento al concetto
più attenuato di molestia") ed ha
costantemente affermato che esso è
configurabile “indipendentemente dal
superamento dei valori limite di emissione
stabiliti dalla legge qualora le emissioni
moleste non siano una diretta conseguenza
dell'attività autorizzata, ma siano dovute
all'omessa attuazione degli accorgimenti
tecnici idonei ad eliminarle o contenerle.”.
La contravvenzione di cui all'art. 674 c.p.
sussiste anche in presenza di rituali
autorizzazioni amministrative per
l'esercizio di un'attività d'impresa, ove da
tale esercizio derivino esalazioni odorifere
moleste alle persone, poiché l'imprenditore
ha comunque il dovere di adottare tutte le
misure consigliate dall'esperienza e dalla
tecnica atte a evitare il disagio, fastidio
o disturbo generalizzati ovvero a turbare il
modo di vivere quotidiano.
Né in proposito rileva che la competente
autorità amministrativa abbia attestato che
l'impianto "non produce inquinamento
atmosferico", giacché la norma
incriminatrice "de qua" non tutela il bene
giuridico "aria" in sé considerato, bensì le
persone che possono ricevere pregiudizio
diretto da eventuali emissioni, eccedenti il
limite della normale tollerabilità.”.
---------------
In tema di immissioni, l'art. 844,
comma 2, c.c., nella parte in cui prevede la
valutazione, da parte del giudice, del
contemperamento delle esigenze della
produzione con le ragioni della proprietà,
considerando eventualmente la priorità di un
determinato uso, deve essere letto, tenendo
conto che il limite della tutela della
salute è da ritenersi ormai intrinseco
nell'attività di produzione oltre che nei
rapporti di vicinato, alla luce di una
interpretazione costituzionalmente
orientata, dovendo considerarsi prevalente
rispetto alle esigenze della produzione il
soddisfacimento ad una normale qualità della
vita.
Ne consegue che le immissioni acustiche
determinate da un'attività produttiva che
superino i normali limiti di tollerabilità
fissati, nel pubblico interesse, da leggi o
regolamenti, e da verificarsi in riferimento
alle condizioni del fondo che le subisce,
sono da reputarsi illecite, sicché il
giudice, dovendo riconoscerle come tali, può
addivenire ad un contemperamento delle
esigenze della produzione soltanto al fine
di adottare quei rimedi tecnici che
consentano l'esercizio della attività
produttiva nel rispetto del diritto dei
vicini a non subire immissioni superiori
alla normale tollerabilità.”.
Ciò si inquadra nel condivisibile
orientamento per cui “l'art. 844 c.c.
impone, nei limiti della normale
tollerabilità e dell'eventuale
contemperamento delle esigenze della
proprietà con quelle della produzione,
l'obbligo di sopportazione di quelle
inevitabili propagazioni attuate nell'ambito
delle norme generali e speciali che ne
disciplinano l'esercizio. Viceversa,
l'accertamento del superamento della soglia
di normale tollerabilità di cui all'art. 844
c.c., comporta, nella liquidazione del danno
da immissioni, sussistente "in re ipsa",
l'esclusione di qualsiasi criterio di
contemperamento di interessi contrastanti e
di priorità dell'uso, in quanto venendo in
considerazione, in tale ipotesi, unicamente
l'illiceità del fatto generatore del danno
arrecato a terzi, si rientra nello schema
dell'azione generale di risarcimento danni
di cui all'art. 2043 c.c. e specificamente,
per quanto concerne il danno alla salute,
nello schema del danno non patrimoniale
risarcibile ai sensi dell'art. 2059 c.c..
Secondariamente, si evidenzia che le
emissioni inquinanti integrano reato
contravvenzionale penale: la costante
giurisprudenza di legittimità ne ha
interpretato l’ambito oggettivo in senso
largamente estensivo (“ai fini della
sussistenza del reato di cui all'art. 674
c.p. non è richiesta la prova di un concreto
pericolo per la salute delle persone in
quanto tale norma fa riferimento al concetto
più attenuato di molestia". -Cassazione
penale, sez. III, 07.04.1994-) ed ha
costantemente affermato che esso è
configurabile “indipendentemente dal
superamento dei valori limite di emissione
stabiliti dalla legge qualora le emissioni
moleste non siano una diretta conseguenza
dell'attività autorizzata, ma siano dovute
all'omessa attuazione degli accorgimenti
tecnici idonei ad eliminarle o contenerle.”
(Cassazione penale, sez. III, 16.05.2007, n.
23796).
Appare poi sintomatico della correttezza
della impostazione prevenzionistica
dell’autorità sanitaria -e del comune che ad
essa si è pedissequamente riportato-
l’orientamento della costante giurisprudenza
di legittimità, secondo il quale “la
contravvenzione di cui all'art. 674 c.p.
sussiste anche in presenza di rituali
autorizzazioni amministrative per
l'esercizio di un'attività d'impresa, ove da
tale esercizio derivino esalazioni odorifere
moleste alle persone, poiché l'imprenditore
ha comunque il dovere di adottare tutte le
misure consigliate dall'esperienza e dalla
tecnica atte a evitare il disagio, fastidio
o disturbo generalizzati ovvero a turbare il
modo di vivere quotidiano.
Né in proposito rileva che la competente
autorità amministrativa abbia attestato che
l'impianto "non produce inquinamento
atmosferico", giacché la norma
incriminatrice "de qua" non tutela il bene
giuridico "aria" in sé considerato, bensì le
persone che possono ricevere pregiudizio
diretto da eventuali emissioni, eccedenti il
limite della normale tollerabilità.”
(Cassazione penale, sez. III, 13.10.1999, n.
11688).
Infine, costituisce elemento processuale
pacificamente provato quello per cui
nell’area vicina all’impianto sorgevano
costruzioni adibite a civile abitazione.
---------------
V’è disaccordo tra le parti in ordine alla
circostanza relativa all’epoca di
realizzazione di queste ultime, ed alla
diretta insistenza –o meno- delle stesse
nell’area industriale.
Ritiene tuttavia il Collegio che non sia
dirimente accertare se le stesse siano
insorte anteriormente o successivamente
all’impianto per cui è causa, ovvero se esse
siano state ivi allocate legittimamente o
meno.
Si rammenta in proposito che il comma 2
dell’art. 844 del codice civile (“Il
proprietario di un fondo non può impedire le
immissioni di fumo o di calore, le
esalazioni, i rumori, gli scuotimenti e
simili propagazioni derivanti dal fondo del
vicino, se non superano la normale
tollerabilità, avuto anche riguardo alla
condizione dei luoghi. Nell'applicare questa
norma l'autorità giudiziaria deve
contemperare le esigenze della produzione
con le ragioni della proprietà. Può tener
conto della priorità di un determinato uso.”)
fa riferimento al criterio della “prevenzione
nell’uso”, ma ciò costituisce elemento
meramente facoltativo a fini valutativi (“Il
criterio di prevenzione, dettato per la
disciplina delle immissioni, dall'ultima
parte del comma 2 dell'art. 844 c.c., ha
carattere meramente complementare e
sussidiario: ne consegue che il giudice ha
la facoltà, non l'obbligo, di tener conto
della priorità di un determinato uso, e il
mancato esercizio di tale facoltà non può
costituire motivo di cassazione della
sentenza”.) (Cassazione civile, sez. II,
06.03.1979, n. 1404).
Più di recente, la Cassazione ha chiarito
che il principio, dettato in tema di
immissioni acustiche è agevolmente
traslabile a quelle odorigene; si è detto,
così: “In tema di immissioni, l'art. 844,
comma 2, c.c., nella parte in cui prevede la
valutazione, da parte del giudice, del
contemperamento delle esigenze della
produzione con le ragioni della proprietà,
considerando eventualmente la priorità di un
determinato uso, deve essere letto, tenendo
conto che il limite della tutela della
salute è da ritenersi ormai intrinseco
nell'attività di produzione oltre che nei
rapporti di vicinato, alla luce di una
interpretazione costituzionalmente
orientata, dovendo considerarsi prevalente
rispetto alle esigenze della produzione il
soddisfacimento ad una normale qualità della
vita.
Ne consegue che le immissioni acustiche
determinate da un'attività produttiva che
superino i normali limiti di tollerabilità
fissati, nel pubblico interesse, da leggi o
regolamenti, e da verificarsi in riferimento
alle condizioni del fondo che le subisce,
sono da reputarsi illecite, sicché il
giudice, dovendo riconoscerle come tali, può
addivenire ad un contemperamento delle
esigenze della produzione soltanto al fine
di adottare quei rimedi tecnici che
consentano l'esercizio della attività
produttiva nel rispetto del diritto dei
vicini a non subire immissioni superiori
alla normale tollerabilità.” (Cassazione
civile, sez. II, 08.03.2010, n. 5564).
Ciò si inquadra nel condivisibile
orientamento per cui “l'art. 844 c.c.
impone, nei limiti della normale
tollerabilità e dell'eventuale
contemperamento delle esigenze della
proprietà con quelle della produzione,
l'obbligo di sopportazione di quelle
inevitabili propagazioni attuate nell'ambito
delle norme generali e speciali che ne
disciplinano l'esercizio. Viceversa,
l'accertamento del superamento della soglia
di normale tollerabilità di cui all'art. 844
c.c., comporta, nella liquidazione del danno
da immissioni, sussistente "in re ipsa",
l'esclusione di qualsiasi criterio di
contemperamento di interessi contrastanti e
di priorità dell'uso, in quanto venendo in
considerazione, in tale ipotesi, unicamente
l'illiceità del fatto generatore del danno
arrecato a terzi, si rientra nello schema
dell'azione generale di risarcimento danni
di cui all'art. 2043 c.c. e specificamente,
per quanto concerne il danno alla salute,
nello schema del danno non patrimoniale
risarcibile ai sensi dell'art. 2059 c.c.”
(Cassazione civile, sez. III, 13.03.2007, n.
5844) (Consiglio
di Stato, Sez. IV,
sentenza 15.12.2011 n. 6612 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Gli spazi da destinare a
parcheggio ex art. 18 l. 06.08.1967 n. 765
sono qualificati dall'art. 26 l. 28.02.1985
n. 47 "pertinenze"; come tali essi rientrano
nel fenomeno dell'aggregazione funzionale e
non strutturale di cosa a cosa, sicché non
debbono, necessariamente essere in rapporto
di congiunzione fisica o di stretta
contiguità con l'edificio da costruire,
essendo, invece sufficiente che essi siano
collegati da un rapporto di strumentalità o
complementarità funzionale (es., dislocati
anche in aree esterne, circostanti o
adiacenti all'edificio, e persino ad una
certa distanza da questo).
Si rammenta, quanto a simile profilo, che
per dottrina e giurisprudenza gli spazi da
destinare a parcheggio ex art. 18 l.
06.08.1967 n. 765 sono qualificati dall'art.
26 l. 28.02.1985 n. 47 "pertinenze";
come tali essi rientrano nel fenomeno
dell'aggregazione funzionale e non
strutturale di cosa a cosa, sicché non
debbono, necessariamente essere in rapporto
di congiunzione fisica o di stretta
contiguità con l'edificio da costruire,
essendo, invece sufficiente che essi siano
collegati da un rapporto di strumentalità o
complementarità funzionale (es., dislocati
anche in aree esterne, circostanti o
adiacenti all'edificio, e persino ad una
certa distanza da questo)
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 15.12.2011 n. 6606 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il vicino, sebbene abbia
provocato interventi repressivi o in via di
autotutela, non assume la veste di
controinteressato nei ricorsi che il
titolare della concessione edilizia promuove
avverso provvedimenti di revoca e/o di
annullamento di ufficio.
L'invocata estensione ad esso della predetta
comunicazione comporterebbe un aggravio
procedimentale in contrasto con i principi
di economicità e di efficienza dell'attività
amministrativa.
Il Collegio
rammenta il condivisibile orientamento
giurisprudenziale secondo il quale il
vicino, sebbene abbia provocato interventi
repressivi o in via di autotutela, non
assume la veste di controinteressato nei
ricorsi che il titolare della concessione
edilizia promuove avverso provvedimenti di
revoca e/o di annullamento di ufficio. Come
in passato evidenziato da questo Consiglio
di Stato, infatti, (Consiglio Stato, sez. VI,
18.04.2005, n. 1773), l'invocata estensione
ad esso della predetta comunicazione
comporterebbe un aggravio procedimentale in
contrasto con i principi di economicità e di
efficienza dell'attività amministrativa
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 15.12.2011 n. 6606 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
natura precaria di un intervento edilizio va
valutata in relazione non ai connotati della
struttura realizzata e, ancora, ai materiali
utilizzati, ma alle esigenze ed all'utilità
che la struttura stessa è destinata
obiettivamente a soddisfare.
In via fattuale va, anzitutto, evidenziato,
che l’impugnato diniego ha riguardo alle
seguenti opere edilizie realizzate dalla
società ricorrente:
1) ampliamento di superficie coperta e di
volume per la chiusura dell’esistente
terrazza di collegamento con il limitrofo
edificio, per tutti i piani in elevazione,
con utilizzo delle stesse a locali deposito,
trasmissioni, condizionatori, sala
operatori, uffici e segreteria;
2) installazione sul terrazzo di copertura
di strutture ed apparecchiature
tecnologiche, quali pedane pedane
metalliche, pompe di calore, e collocazione
di n. 2 tralicci in ferro a supporto di n. 2
antenne aventi altezze pari a ml. 15,00 e
7,00 rispetto al piano del terrazzo.
Ora, va dato atto che il Comune di Palermo,
in ordine alle opere di cui al punto 2),
intervenendo in autotutela, con
provvedimento n. 9 del 22.11.2011 ha
annullato in parte qua il
provvedimento impugnato.
Ne discende la sopravvenuta cessazione della
materia del contendere per tale parte di
ricorso.
Quanto, poi, alle opere indicate sub 1), in
ordine alle quali muove soltanto la censura
di eccesso di potere per errore nei
presupposti e violazione dell’art. 71 delle
norme di attuazioni del P.R.G. (primo
motivo), trattandosi di opere amovibili che
non fanno perdere la caratteristica “di
struttura aperta” alle terrazze di
collegamento, non modificano la struttura e
non aumentano la volumetria del fabbricato,
va rilevato, che le opere descritte nel
provvedimento sono ben riconducibili
nell'ambito degli interventi che determinano
una variazione planivolumetrica ed
architettonica dell’immobile con perdurante
modifica dello stato dei luoghi, a
prescindere dai materiali utilizzati e,
dunque, dalla amovibilità o meno delle
opere.
A conferma, è sufficiente ricordare che la
natura precaria di un intervento edilizio va
valutata in relazione non ai connotati della
struttura realizzata e, ancora, ai materiali
utilizzati, ma alle esigenze ed all'utilità
che la struttura stessa è destinata
obiettivamente a soddisfare.
Tenuto conto di quanto avanti esposto,
appare doveroso riconoscere che le opere
realizzate dalla società ricorrente non
risultano funzionalmente connesse a
specifiche e ben individuate esigenze di
carattere transitorio, idonee a rivelare un
utilizzo precario e temporaneo per fini
contingenti e cronologicamente determinati,
bensì concretizzano nuove strutture
destinate a dare un'utilità prolungata nel
tempo.
Contrariamente a quanto dedotto dalla
società ricorrente, infatti, nell'ipotesi di
specie non si è in presenza di interventi
irrilevanti sul piano urbanistico, atteso
che le opere in argomento realizzano in
maniera stabile la chiusura delle terrazze
di collegamento adibiti a svariati usi
(locali deposito, trasmissioni, sala
operatori, uffici, ecc.), con conseguente
aumento di volumetria e modifica del
prospetto
(TAR Sicilia-Palermo, Sez. II,
sentenza 15.12.2011 n. 2392 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
provvedimento di rigetto dell'istanza di
permesso di costruire in sanatoria deve
essere supportato da una motivazione
consistente nella concreta individuazione di
un contrasto del progetto presentato con
specifiche norme urbanistiche,
esplicitamente indicate, dovendosi procedere
ad una valutazione della compatibilità
dell'intervento già realizzato con la
disciplina urbanistica ed edilizia vigente
sia al momento della realizzazione dello
stesso che al momento della presentazione
della domanda, valutazione che costituisce
l'essenza dell'istituto dell'accertamento di
conformità di cui all'art. 36, d.P.R.
06.06.2001 n. 380.
Ed invero, il provvedimento censurato, a
supporto del rigetto della domanda di
sanatoria, si limita a riportare
pedissequamente il contenuto dell’art. 36
del D.P.R. 381/2001.
Viceversa, rileva il Collegio, che il
provvedimento di rigetto dell'istanza di
permesso di costruire in sanatoria deve
essere supportato da una motivazione
consistente nella concreta individuazione di
un contrasto del progetto presentato con
specifiche norme urbanistiche,
esplicitamente indicate, dovendosi procedere
ad una valutazione della compatibilità
dell'intervento già realizzato con la
disciplina urbanistica ed edilizia vigente
sia al momento della realizzazione dello
stesso che al momento della presentazione
della domanda, valutazione che costituisce
l'essenza dell'istituto dell'accertamento di
conformità di cui all'art. 36, d.P.R.
06.06.2001 n. 380
(TAR Sicilia-Palermo, Sez. II,
sentenza 15.12.2011 n. 2391 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
sagoma di una costruzione attiene alla
conformazione planovolumetrica ed al suo
perimetro inteso in senso verticale ed
orizzontale, coincidendo con il contorno che
viene ad assumere l’edificio, ivi comprese
le strutture perimetrali come gli aggetti e
gli sporti.
---------------
Gli interventi di risanamento conservativo
presuppongono la conservazione della
tipologia, forma e struttura e il
mantenimento anche della sagoma
preesistente.
L'intervento di ristrutturazione c.d.
leggera di cui all’art 22, c. 1, t.u.
edilizia, presuppone l’invariabilità di
sagoma, volume e destinazione d’uso.
La documentazione depositata in giudizio
evidenzia il mutamento quantomeno delle
sagome preesistenti, non potendosi
condividere le risultanze di cui alla
perizia depositata dai ricorrenti, poiché
non vi è attinenza tra “orma d’imposta”
dell’edificio, rimasta immutata, e sagoma,
giacché quest’ultima non riguarda
esclusivamente l’area di sedime ma l’intero
profilo del fabbricato, il quale invece
risulta mutato.
Infatti, la sagoma di una costruzione
attiene alla conformazione planovolumetrica
ed al suo perimetro inteso in senso
verticale ed orizzontale, coincidendo con il
contorno che viene ad assumere l’edificio,
ivi comprese le strutture perimetrali come
gli aggetti e gli sporti (ex multis
Cassazione penale, sez. III, 06.02.2001, n.
9427).
Il progetto presentato dai ricorrenti
interviene su due fabbricati diversi
accomunando una porzione di uno con la
totalità dell’altro, generando tra l’altro
la fusione di tre distinte unità abitative e
la realizzazione di nuove aperture esterne,
giusta documentazione allegata alla perizia
tecnica depositata dal Comune.
Ne consegue l’infondatezza della tesi
prospettata da parte ricorrente circa la
riconducibilità nel novero degli interventi
di risanamento conservativo, che per
giurisprudenza consolidata presuppongono la
conservazione della tipologia, forma e
struttura e il mantenimento anche della
sagoma preesistente (Consiglio di Stato, sez
IV, 16.01.2008 n. 2981, id sez V 09.10.2007
n. 5273, TAR Campania Napoli, sez IV,
29.01.2009 n. 505) così come a quello di
ristrutturazione c.d. leggera di cui
all’art. 22, c. 1, t.u. edilizia,
presupponente l’invariabilità di sagoma,
volume e destinazione d’uso (TAR Piemonte
Torino, sez. I, 16.12.2010, n. 4551)
L’intervento realizzato dai ricorrenti va
quindi qualificato quale ristrutturazione
c.d. "pesante", prevista e
disciplinata dall'art. 10, comma 1, lettera
c), del D.P.R. 380/2001 portando comunque
alla realizzazione di un quid novi
comportando modifiche della sagoma, come
tale subordinato a permesso di costruire ai
sensi dell'art. 10, comma 1, D.P.R. 380/2001
e sanzionato in ipotesi di abusività con la
rimozione o la demolizione dell'opera.
E ciò tanto più in un sistema quale quello
pugliese in cui il legislatore regionale, a
differenza di altre Regioni, non ha inteso
ampliare il concetto di ristrutturazione,
non eliminando la sagoma quale vincolo da
rispettare (TAR Lombardia Brescia, sez I,
13.04.2011, n. 552)
(TAR Puglia-Bari, Sez. III,
sentenza 15.12.2011 n. 1889 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA: L’art.
27, c. 4, l. 457/1978 consente per gli
immobili ricompresi nella perimetrazione
della zona di recupero -nelle more della
formazione degli strumenti attuativi- anche
la realizzazione di interventi di
ristrutturazione rivolti a trasformare gli
organismi edilizi mediante un insieme
sistemativo di opere che possono portare ad
un organismo edilizio in tutto o in parte
diverso dal precedente, comprensivi di
ripristino o sostituzione di alcuni elementi
costitutivi dell'edificio, eliminazione,
modifica e inserimento di nuovi elementi ed
impianti, giusto il richiamo operato nei
confronti dell’art. 31, c. 1, lett. d),
della medesima legge.
Il piano di recupero del patrimonio edilizio
esistente, disciplinato dagli art. 27-30, l.
n. 457 del 1978 quale tipico strumento di
pianificazione urbanistica di carattere
esecutivo vincolato al rispetto di ogni
previsione contenuta nell'atto di
pianificazione generale può avere ad oggetto
non solo il recupero urbanistico, ma anche
quello edilizio, riferito anche a singoli
"compendi" immobiliari.
L’art. 27, c.
4, l. 457/1978 invocato dalla difesa dei
ricorrenti consente per gli immobili
ricompresi nella perimetrazione della zona
di recupero -nelle more della formazione
degli strumenti attuativi- anche la
realizzazione di interventi di
ristrutturazione rivolti a trasformare gli
organismi edilizi mediante un insieme
sistemativo di opere che possono portare ad
un organismo edilizio in tutto o in parte
diverso dal precedente, comprensivi di
ripristino o sostituzione di alcuni elementi
costitutivi dell'edificio, eliminazione,
modifica e inserimento di nuovi elementi ed
impianti, giusto il richiamo operato nei
confronti dell’art. 31, c. 1, lett. d),
della medesima legge.
Ritiene il Collegio, condividendo le tesi
del Comune resistente, che la localizzazione
dei PES (progetto edilizio singolo) e dei
PEU (progetto edilizio unitario) effettuata
con deliberazione C.C. n. 68 dell'01.01.2003
ai sensi dell’art. 6, c. 1, Direttiva
Commissario delegato del 28.08.2008, possa
avere sotto il profilo urbanistico-edilizio
valenza sostanzialmente attuativa del PRG,
al fine di introdurre una disciplina di
maggior tutela rispetto alle vigenti NTA per
la zona omogenea A.
D’altronde, il piano di recupero del
patrimonio edilizio esistente, disciplinato
dagli art. 27-30, l. n. 457 del 1978 quale
tipico strumento di pianificazione
urbanistica di carattere esecutivo vincolato
al rispetto di ogni previsione contenuta
nell'atto di pianificazione generale (TAR
Campania Napoli, sez. IV, 24.06.2002, n.
3725) può avere ad oggetto non solo il
recupero urbanistico, ma anche quello
edilizio, riferito anche a singoli "compendi"
immobiliari (Consiglio Stato, sez. IV,
19.04.2000 , n. 2336).
Ne consegue che gli strumenti adottati con
deliberazione dell’organo consiliare n. 68
dell'01.01.2003 -rimasta inoppugnata- lungi
dal derogare al principio di nominatività e
tipicità degli strumenti urbanistici (ex
multis TAR Lazio Roma, sez. II,
04.02.2010, n. 1524) perseguono quoad
effectum le medesime finalità del piano
di recupero ex l.457/78 ed introducono una
coerente e non irragionevole disciplina
ispirata alla tutela del patrimonio
edilizio-urbanistico del centro storico,
comunque ostativa all’assentibilità
dell’intervento per cui è causa, con
conseguente infondatezza delle
corrispondenti censure.
Osserva il Collegio che anche a voler
aderire alla tesi di parte ricorrente circa
la carenza di pianificazione attuativa
(piano di recupero), il risultato finale non
sarebbe l’assenza di disciplina urbanistica
alla stregua delle c.d. zone bianche -tipica
della diversa ipotesi della sopravvenuta
inefficacia di vincoli preordinati
all’esproprio e/o strumentali- bensì la
permanente applicazione dello strumento
generale (Consiglio di Stato sez IV
14.10.2005, n. 5801) che nella fattispecie
per cui è causa esclude espressamente la
ristrutturazione edilizia nel centro storico
(TAR
Puglia-Bari, Sez. III,
sentenza 15.12.2011 n. 1889 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: E'
pacifica l’applicabilità dell’istituto di
cui all’art 10-bis nell’ambito edilizio, ed
in particolare ai procedimenti volti al
rilascio del permesso a costruire pur se a
contenuto vincolato in quanto costituenti
mero risultato dell’attività di controllo
circa la conformità alla normativa
urbanistico-edilizia.
Il vizio di violazione dell’art 10-bis l.
241/1990, in ipotesi di attività vincolata,
al pari degli altri vizi di carattere
“formale” assume in linea di principio
carattere recessivo -anche ai fini
dell’applicazione dell’art 21-octies, c. 2,
primo allinea, l. 241/1990 e s.m.- di fronte
alla verifica in sede giurisdizionale dei
presupposti che rendono fondata la pretesa
sostanziale azionata, nell’ambito di un
giudizio il cui oggetto è oramai trasformato
a seguito dell’entrata in vigore del Codice
del processo amministrativo, da verifica
formale della legittimità del provvedimento
impugnato nei limiti dei vizi dedotti e con
salvezza del potere riesercitato, in
giudizio di accertamento della fondatezza
del rapporto sostanziale sottostante
azionato.
Per
giurisprudenza consolidata e condivisa da
questa Sezione, è pacifica l’applicabilità
dell’istituto di cui all’art 10-bis
nell’ambito edilizio, ed in particolare ai
procedimenti volti al rilascio del permesso
a costruire (ex multis TAR Lazio Roma
sez II 15.04.2009 n. 3847, TAR Veneto sez II
03.10.2008 n. 3116, Consiglio di Stato sez
VI 17.01.2011, n. 256) pur se a contenuto
vincolato (TAR Emilia Romagna Parma
17.06.2008 n. 314, TAR Emilia Romagna
Bologna sez II 06.11.2006 n. 2875, TAR
Liguria sez I 16.02.2008 n. 305, Consiglio
di Stato sez V 24.08.2007, n. 4507) in
quanto costituenti mero risultato
dell’attività di controllo circa la
conformità alla normativa
urbanistico-edilizia.
Ritiene il Collegio che il vizio di
violazione dell’art 10-bis l. 241/1990, in
ipotesi di attività vincolata, al pari degli
altri vizi di carattere “formale”
(TAR Puglia Lecce sez I 07.10.2008, n. 2791)
assume in linea di principio carattere
recessivo -anche ai fini dell’applicazione
dell’art 21-octies, c. 2, primo allinea, l.
241/1990 e s.m.- di fronte alla verifica in
sede giurisdizionale dei presupposti che
rendono fondata la pretesa sostanziale
azionata, nell’ambito di un giudizio il cui
oggetto è oramai trasformato a seguito
dell’entrata in vigore del Codice del
processo amministrativo, da verifica formale
della legittimità del provvedimento
impugnato nei limiti dei vizi dedotti e con
salvezza del potere riesercitato, in
giudizio di accertamento della fondatezza
del rapporto sostanziale sottostante
azionato (Consiglio di Stato Adunanza
Plenaria 23.03.2011, n. 3, TAR Puglia Bari
sez III 25.11.2011, n. 1807)
(TAR
Puglia-Bari, Sez. III,
sentenza 15.12.2011 n. 1889 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Costituisce principio generale
regolatore delle pubbliche gare quello che
vieta la commistione fra criteri soggettivi
di prequalificazione e quelli oggettivi
afferenti alla valutazione dell'offerta.
Tale principio trova il suo sostanziale
supporto logico nella necessità di tenere
separati i requisiti richiesti per la
partecipazione alla gara da quelli che
attengono all'offerta e, quindi,
all'aggiudicazione; detto canone operativo,
che affonda le sue radici nell'esigenza di
aprire il mercato premiando le offerte più
competitive ove presentate da imprese
comunque affidabili, unitamente al canone di
par condicio che osta ad asimmetrie
pregiudiziali di tipo meramente soggettivo,
trova in definitiva il suo sostanziale
supporto logico nel bisogno di tenere
separati i requisiti richiesti per la
partecipazione alla gara da quelli che
invece attengono all'offerta e
all'aggiudicazione.
A titolo esemplificativo del principio, che
requisiti soggettivi e di esperienza (come
fatturati precedenti o titoli curriculari)
costituiscono elementi che, attenendo
all'affidabilità dell'offerente e dunque
alla sua capacità tecnica di corretta
esecuzione dell'appalto, appartengono
propriamente alla fase di qualificazione;
dunque, essendo essi estranei alle
caratteristiche ed all'oggetto dell'offerta
e del contratto concretamente dedotti in
gara, non possono essere assunti quali
validi criteri di aggiudicazione.
Alle stazioni appaltanti è comunque
garantita un’ampia fascia di discrezionalità
in sede di determinazione dei criteri di
valutazione: costituisce parimenti principio
consolidato quello a mente del quale la
scelta del criterio di aggiudicazione
rientra nella discrezionalità tecnica delle
stazioni appaltanti che devono valutarne
l'adeguatezza rispetto alle caratteristiche
oggettive e specifiche del singolo
contratto, applicando criteri obiettivi che
garantiscano il rispetto dei principi di
trasparenza, di non discriminazione e di
parità di trattamento e che assicurino una
valutazione delle offerte in condizioni di
effettiva concorrenza. Peraltro, anche in
tale principio è insito il limite del
carattere oggettivo del criterio, scollegato
da elementi soggettivi propri di una fase
anteriore di prequalificazione e quindi di
ammissione alla gara.
---------------
La commissione di gara può integrare e
specificare i criteri di bando, con il solo
limite di non poter introdurre nuovi criteri
di qualificazione, né modificare i limiti di
punteggio massimo e minimo stabiliti nel
bando. Nel caso di specie pertanto
all’illegittimità predetta si aggiunge il
carattere di novità dei criteri contestati.
---------------
Il possesso in capo ai componenti di una
commissione di gara dei requisiti tecnici e
della professionalità necessaria a formulare
un giudizio pienamente consapevole,
costituisce principio immanente
nell'ordinamento generale, che oltretutto
trascende il settore dei lavori pubblici,
per rendersi operativo in qualsiasi gara, in
quanto risponde ai criteri di rango
costituzionale di buon andamento ed
imparzialità dell'azione amministrativa; in
particolare, la commissione giudicatrice
avendo il compito di valutare la qualità
dell’offerta, deve essere composta, almeno
prevalentemente, da persone fornite di
specifica competenza tecnica o munite di
qualificazioni professionali che tale
competenza facciano presumere.
In ordine al primo ordine di motivi,
dall’analisi degli atti di gara emerge
all’evidenza la violazione dei principi
invocati da parte ricorrente. Infatti,
rispetto ai criteri di valutazione delle
offerte così come correttamente
predeterminati dalla lex specialis
(cfr. punto 13 del disciplinare), la
commissione risulta aver aggiunto i criteri
motivazionali in termini incompatibili con i
consolidati principi predetti, in specie
rimettendo la valutazione dell’offerta
(anche) all’attività svolta in precedenza ed
al curriculum. A quest’ultimo
proposito, appare manifestamente
irragionevole, ad esempio, la valutazione
della metodologia dell’intervento proposto
con l’offerta sulla scorta del curriculum
cioè di elementi soggettivi, del tutto
estranei all’offerta in quanto relativi ai
titoli soggettivi in possesso dei singoli
partecipanti.
In tale contesto appare prima facie
violato il consolidato orientamento a mente
del quale costituisce principio generale
regolatore delle pubbliche gare quello che
vieta la commistione fra criteri soggettivi
di prequalificazione e quelli oggettivi
afferenti alla valutazione dell'offerta.
Tale principio trova il suo sostanziale
supporto logico nella necessità di tenere
separati i requisiti richiesti per la
partecipazione alla gara da quelli che
attengono all'offerta e, quindi,
all'aggiudicazione; detto canone operativo,
che affonda le sue radici nell'esigenza di
aprire il mercato premiando le offerte più
competitive ove presentate da imprese
comunque affidabili, unitamente al canone di
par condicio che osta ad asimmetrie
pregiudiziali di tipo meramente soggettivo,
trova in definitiva il suo sostanziale
supporto logico nel bisogno di tenere
separati i requisiti richiesti per la
partecipazione alla gara da quelli che
invece attengono all'offerta e
all'aggiudicazione (cfr. ex multis
Consiglio Stato , sez. VI, 15.12.2010 , n.
8933).
A titolo esemplificativo del principio, la
sezione ha già avuto modo di evidenziare che
requisiti soggettivi e di esperienza (come
fatturati precedenti o titoli curriculari)
costituiscono elementi che, attenendo
all'affidabilità dell'offerente e dunque
alla sua capacità tecnica di corretta
esecuzione dell'appalto, appartengono
propriamente alla fase di qualificazione;
dunque, essendo essi estranei alle
caratteristiche ed all'oggetto dell'offerta
e del contratto concretamente dedotti in
gara, non possono essere assunti quali
validi criteri di aggiudicazione (cfr. TAR
Liguria Genova, sez. II, 27.02.2008, n.
335).
E dire che alle stazioni appaltanti è
comunque garantita un’ampia fascia di
discrezionalità in sede di determinazione
dei criteri di valutazione: costituisce
parimenti principio consolidato quello a
mente del quale la scelta del criterio di
aggiudicazione rientra nella discrezionalità
tecnica delle stazioni appaltanti che devono
valutarne l'adeguatezza rispetto alle
caratteristiche oggettive e specifiche del
singolo contratto, applicando criteri
obiettivi che garantiscano il rispetto dei
principi di trasparenza, di non
discriminazione e di parità di trattamento e
che assicurino una valutazione delle offerte
in condizioni di effettiva concorrenza.
Peraltro, anche in tale principio è insito
il limite del carattere oggettivo del
criterio, scollegato da elementi soggettivi
propri di una fase anteriore di
prequalificazione e quindi di ammissione
alla gara. Nel caso di specie la
commistione, imputabile ai criteri
illegittimamente aggiunti dalla commissione,
appare evidente come sopra riportata.
---------------
Va ricordato
che secondo la giurisprudenza comunitaria,
condivisa dal Collegio e sotto il cui faro
va interpretata la norma nazionale (cfr. ad
es. Corte di Giust., sez. II, 24.11.2005,
C-331/04) la commissione di gara può
integrare e specificare i criteri di bando,
con il solo limite di non poter introdurre
nuovi criteri di qualificazione, né
modificare i limiti di punteggio massimo e
minimo stabiliti nel bando. Nel caso di
specie pertanto all’illegittimità predetta
si aggiunge il carattere di novità dei
criteri contestati.
---------------
Valenza autonoma, parimenti fondata, assume
il quarto ordine di rilievi, concernente
l’illegittima composizione della commissione
stessa.
Secondo la normativa invocata da parte
ricorrente, come noto, “la commissione,
nominata dall’organo della stazione
appaltante competente ad effettuare la
scelta del soggetto affidatario del
contratto, è composta da un numero dispari
di componenti, in numero massimo di cinque,
esperti nello specifico settore cui si
riferisce l’oggetto del contratto”.
Pur dinanzi alla ampiezza del concetto di
esperto nello specifico settore inerente
l’oggetto del contratto, è ben possibile
svolgere un’adeguata esegesi della norma,
sia in termini di principio che di
specificazione delle professionalità.
Nella prima direzione, dopo aver
ricordato la pacifica qualificazione della
norma come principio in quanto regola
attuativa del canone costituzionale del buon
andamento (cfr. Consiglio di Stato n.
1408/2004), pur rientrando nella sfera
discrezionale dell’Ente la scelta dei
commissari deputati a far parte della
commissione giudicatrice, tale provvedimento
non può ritenersi avulso dall’obbligo di
motivazione, soprattutto quando la
Commissione, peraltro composta quasi
integralmente da soggetti sforniti di titoli
di studio di livello universitario, sia
destinata ad esaminare proposte progettuali
particolarmente complesse, da valutare per
di più con il criterio dell’offerta
economicamente più vantaggiosa.
Non è rispondente ai criteri di logica e
ragionevolezza, che devono in particolare
presidiare l'attività della pubblica
amministrazione, che l'attività valutativa
debba essere posta in essere da soggetti
privi delle necessarie cognizioni tecniche
correlate all'oggetto della gara, ovvero che
il giudizio sia il frutto di una valutazione
individuale e non collegiale. Nel caso de
quo la scelta di commissari tutti privi
di titoli adeguati alla formulazione di atti
analoghi a quelli da valutare si accompagna
al tentativo di integrazione (inammissibile)
della motivazione posta a base della scelta
attraverso la produzione di curricula,
che peraltro confermano la carenza predetta.
Nella seconda direzione, va reputata
come illegittima la composizione della
commissione giudicatrice di una gara di
appalto per l’affidamento della
progettazione di una opera pubblica nel caso
in cui risulti che nessuno dei commissari
possieda alcun diploma di laurea ovvero
titolo equipollente o comunque adeguato,
atteso che in tale ipotesi nessuno dei
commissari avrebbe potuto progettare ciò su
cui erano chiamati ed esprimere il proprio
giudizio, non essendo possibile fare
riferimento esclusivamente alla pregressa
attività lavorativa dei commissari,
occorrendo invece una valutazione della
professionalità di questi ultimi, in
relazione al giudizio che sono chiamati a
rendere (cfr. per una analoga fattispecie
Consiglio di Stato n. 4829/2008).
In definitiva, va ribadito che il possesso
in capo ai componenti di una commissione di
gara dei requisiti tecnici e della
professionalità necessaria a formulare un
giudizio pienamente consapevole, costituisce
principio immanente nell'ordinamento
generale, che oltretutto trascende il
settore dei lavori pubblici, per rendersi
operativo in qualsiasi gara, in quanto
risponde ai criteri di rango costituzionale
di buon andamento ed imparzialità
dell'azione amministrativa; in particolare,
la commissione giudicatrice avendo il
compito di valutare la qualità dell’offerta,
deve essere composta, almeno
prevalentemente, da persone fornite di
specifica competenza tecnica o munite di
qualificazioni professionali che tale
competenza facciano presumere
(TAR Liguria, Sez.
II,
sentenza
15.12.2011 n.
1841 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Gli
allevamenti equini possono stare vicino alle
case.
Un allevamento equino può insediarsi, in
zona agricola, vicino alle abitazioni, non
essendovi obblighi legali di distanza (e
fatta salva la tutela civilistica in caso di
immissioni moleste). Di interesse le
considerazioni sulla disciplina regionale
lombarda in materia di infrastrutture
agricole che, essendo contenuta in mera
deliberazione della Giunta Regionale, non ha
carattere normativo.
... per l'annullamento del permesso di
costruire n. 7/2010 del 25.05.2010
rilasciato dal Comune di Sesto Calende alle
Aziende Agricole ... e ... per la
realizzazione in Via Legnate, di una nuova
stalla per l'allevamento dei cavalli e di
ogni altro atto comunque preordinato,
connesso e/o dipendente, ivi compresi, per
quanto occorra, il Regolamento Comunale di
Igiene, qualora lo stesso sia da
interpretare come non dispositivo di una
distanza minima tra allevamenti di equini e
bovini e abitazioni e l'art. 70 del Piano
delle Regole del P.G.T. adottato, nonché
dell'Autorizzazione Paesaggistica prot. n.
115/2501/08 del 31.03.2008 rilasciata dal
Consorzio Parco Lombardo della Valle del
Ticino per la "realizzazione di
allevamento per cavalli" nonostante una
pregressa contestazione non sanata di opere
non autorizzate di movimento terra e con
l'estensione dell'impugnativa alla nota
comunale 02.09.2010 e relativi allegati con
la quale è stata comunicata la revoca della
sospensione temporanea dell'efficacia del
permesso di costruire n. 7/2010.
...
Con il primo mezzo di censura i ricorrenti
assumono, indicando tra le norme violate
l’art. 216 del T.U.L.P.S., che l’opera
illegittimamente assentita non rispetta le
distanze minime imposte tra gli allevamenti
di animali e le abitazioni.
Le norme violate prescrivono, infatti, che “dette
attività (insalubri) debbono essere isolate
nelle campagne e tenute lontane dalle
abitazioni”.
In realtà, è ben vero che le norme invocate
esprimono il principio di cautela
sopraenunciato, ma è altrettanto vero che
l’art. 216, comma 5, del TULP, non prescrive
alcuna distanza minima, ponendo, come
spiegato, una regola di carattere generale
in base alla quale gli opifici classificati
come industrie insalubri devono essere
tenuti ad una distanza adeguata dalle
abitazioni, in funzione dei rischi concreti
che rappresentano e tenuto conto delle
possibili opere di mitigazione degli stessi.
Non sussiste quindi, quantomeno nel
T.U.L.P.S. alcuna norma che prescriva per
gli allevamenti equini la distanza dalle
abitazioni preesistenti nella misura
prudenzialmente ritenuta applicabile dai
ricorrenti (100 metri lineari).
Né risultano prescrittive di distanze minime
le linee guida regionali adottate con DDG n.
20109 del 29.12.2005 e richiamate dall’art.
33, punto 8, del PGT, di cui i ricorrenti
invocano l’applicazione, trascurando che le
distanze minime ivi suggerite sono
espressamente riferite al settore bovino e
suino con esclusione, quantomeno implicita,
di quello equino.
Il decreto dirigenziale che approva le Linee
Guida Regionali: criteri igienici e di
sicurezza in edilizia rurale è, d’altronde,
assolutamente chiaro sul punto specifico, e
non può essere oggetto di interpretazione
estensiva, come pretendono i ricorrenti, non
solo perché le linee guida si sostanziano
nella formulazione di “criteri di
valutazione e parametri di riferimento in
materia di igiene e sicurezza nonché di
indicazioni tecniche allineate allo stato
dell’arte”, che in quanto tali non
possono che inerire a ciò che da esse è
espressamente previsto e richiamato, ma
anche perché, non essendo ascrivibili ad una
fonte normativa tipica (né essendo chiaro,
oltretutto, da quale fonte normativa
traggano la loro efficacia) non è possibile
applicare alle stesse un criterio di
interpretazione che è esclusivamente
riferibile alle fonti normative.
E non solo: posto, infatti, che le linee
guida in questione ineriscono al rapporto
tra l’amministrazione regionale, che dispone
del potere normativo su un determinato
ambito di attività (nella specie quella
relativa all’igiene e alla sicurezza in
materia di edilizia rurale) e le
amministrazioni destinatarie (nella specie i
comuni) che dispongono dei poteri
regolamentari o di gestione nella stessa
materia, è escluso che l’inosservanza delle
linee guida (che consistono, come già
chiarito in una serie di parametri di
riferimento generali, indicativi e
orientativi, che non hanno, in quanto tali,
un valore cogente o prescrittivo né
normativo per i terzi) possa integrare il
dedotto vizio di violazione di legge se la
prescrizione o l’indirizzo non sia stato
recepito in una norma interna
dell’amministrazione stessa, e da
quest’ultima, successivamente al
recepimento, violata.
E comunque, non trattandosi, come è
pacifico, di atto a contenuto normativo, le
linee guida non possono mai prevalere sulle
norme regolamentari e, a fortiori, primarie
che eventualmente disciplinino
specificamente la materia e quindi fissino,
per stare all’oggetto della controversia,
distanze diverse da quelle in esse
contenute.
Ciò premesso, e chiarito che la censura
dedotta dai ricorrenti in merito
all’opportunità che le linee guida sulle
distanze (degli allevamenti suini e bovini)
vengano estese in via interpretativa anche
agli allevamenti equini è inconferente e
infondata , per quanto già ampiamente
rilevato sul contenuto e sulla natura della
fonte, non è tuttavia superfluo sottolineare
la genericità della stessa censura che si
incentra su una serie di considerazioni di
cd. "opportunità" che trascurano come
il legislatore (termine comprensivo anche
della regolamentazione locale) abbia già
effettuato una scelta discriminante tra i
diversi tipi di allevamento, tenendo conto
verosimilmente anche della natura e della
vocazione delle diverse zone del proprio
territorio comunale (nel senso che in zona
agricola, e soprattutto in zone storicamente
già destinate a talune tipologie di
allevamento le distanze dalle abitazioni
sono state ritenute, all’evidenza,
compatibili con le preesistenze assai più di
quanto non lo siano state attività diverse
da quelle ovvero collocate nelle zone
contigue alle aree residenziali o
caratterizzate da maggiore consistenza
insediativa.
Invero i ricorrenti trascurano, per quanto
attiene al luogo di ubicazione delle opere
contestate, che l’area di localizzazione
dell’allevamento dei resistenti è
classificata agricola; che la stessa si
trova in una zona di campagna dove
preesistono altri impianti di allevamento
equino (scuderie e stalle); e, da ultimo, ma
unicamente per sottolineare la vocazione
della zona, che gli stessi ricorrenti sono
titolari di un allevamento agricolo.
Va soggiunto, inoltre, che la censura mossa
in ordine all’opportunità di mantenere
l'edificio più vicino ad una distanza di 100
mt. dall’abitazione dei ricorrenti, non
attiene, come correttamente opposto dai
resistenti, a profili di legittimità edilizi
e/o urbanistici, bensì ai diversi interessi
di matrice civilistica rappresentati, nella
specie, dalle molestie derivanti dal nuovo
(e più consistente) allevamento realizzato a
ridosso delle abitazioni, ma piuttosto, come
si avrà modo di chiarire in prosieguo e
soprattutto in sede di disamina del ricorso
per motivi aggiunti, a profili che non
ineriscono al legittimo rilascio del titolo
edilizio, in quanto tale, ma al supposto
invasivo esercizio dell’attività
sottostante.
Ne consegue che è questa concreta attività,
e non il rilascio del permesso di costruire
impugnato,che può eventualmente giustificare
(non questo ma) altri tipi di azione a
salvaguardia della salute con specifico
riferimento alle temute immissioni nocive o
pericolose.
E’ infatti evidente che chi colloca la
propria attività potenzialmente insalubre in
prossimità di abitazioni di terzi, anche
quando le norme non fissino distanze minime,
non può sottrarsi all’obbligo di esercitare
tali attività in maniera compatibile con i
limiti e con i diritti dei terzi, sia che
discendono dalle norme del codice civile che
dalle disposizioni speciali riferite alla
natura delle suddette attività,.
Ne consegue che la violazione di tali norme
può, in astratto, comportare l’applicazione
delle sanzioni previste dalla legge (tra cui
l’inibizione dell’attività ovvero
l’imposizione di prescrizioni per la
riduzione degli effetti nei limiti di
legge); il che è quanto avverrebbe se
l’allevamento equino dell’Azienda Agricola “La
Corte” e dell’Azienda Agricola “I
Mulini” dovesse generare emissioni
dannose o pericolose, della cui
tollerabilità i titolari dell’azienda sono
tenuti a rispondere in funzione della
localizzazione aziendale prescelta e attuata
(e quindi in funzione della maggiore o
minore distanza delle strutture aziendali
dalla proprietà di terzi).
I controinteressati, d’altra parte, proprio
per contrastare tale profilo, evidenziano
che l’impianto di maggiore impatto (la vasca
di raccolta del letame) è stata collocata a
ben maggior distanza (circa 200 metri )
rispetto ai 10 metri dei box e che
l’allevamento (complessivamente di 42
cavalli, di cui 14 al pascolo per tutto
l’anno e 21 capi adulti allevati nei 21 box
di progetto oltre ai 7 collocati nella
struttura preesistente) è di dimensioni tali
da essere compatibile, quanto ad
allocazione, con la zona di insediamento, e,
quanto a dislocazione delle strutture fisse,
con le abitazioni esistenti in prossimità.
Per tali condivise ragioni il primo motivo
di ricorso va quindi respinto.
---------------
Per considerazioni parzialmente analoghe
merita di essere respinto anche il secondo
motivo, con cui i ricorrenti si dolgono del
fatto che mentre le norme esistenti
prevedono distanze minime di mt. 10 per
porcilaie pollai e conigliaie a carattere
familiare, nulla di specifico viene previsto
per le stalle e gli allevamenti di cavalli,
ritenendo, pertanto, il regolamento comunale
illegittimo nella parte in cui omette di
disciplinare la materia, trascurando i gravi
problemi igienici che possono derivare dalla
contiguità tra animali di grossa taglia e
abitazioni limitrofe.
In realtà come già sopra evidenziato dal
Collegio, nella specie non si pone un
problema di vuoto normativo da colmare con
la creazione di una regola ad hoc; la
norma regolamentare comunale sulle distanze,
infatti, sussiste, ma non ritiene di
prescrivere una distanza maggiore di 10
metri per gli allevamenti equini, che
evidentemente non sono ritenuti (si può
supporre in funzione della natura e della
vocazione delle zone agricole) impattanti
quanto e più di altri tipi di allevamento.
E tutto ciò appare legittimo, quantomeno in
sede di rilascio dei permessi di costruire
per la realizzazione delle strutture
aziendali: l’eventuale profilo igienico
sanitario resta infatti affidato, anche qui
come già in precedenza evidenziato, ad altre
e diverse norme che non rilevano sulla
legittimità dei permessi assentiti.
Per analoghe ragioni è infondato e va
respinto anche il terzo motivo con cui si
ripropone, sotto altro profilo, la dedotta
illegittimità del permesso di costruire per
la mancata applicazione delle linee guida
regionali e per violazione dell’art. 70 (in
materia di disposizioni transitorie) del PGT
adottato, in quanto si assume che la pratica
, alla data del 28.02.2009 non sarebbe stata
“completa ai fini istruttori”,
difettando ogni riferimento, in essa, alle
distanze dai confini e l’indicazione degli
edifici confinanti, oltre che per una falsa
rappresentazione dei livelli altimetrici.
In realtà, a parte il rilievo assorbente,
relativo all’inconferenza delle più volte
menzionate linee guida regionali, il
Collegio osserva che quand’anche la pratica
edilizia non avesse contenuto adeguati
riferimenti alle distanze dai confini e
dagli edifici confinanti, ciò che la
documentazione in atti peraltro smentisce,
la stessa pratica sarebbe rientrata comunque
nella previsione dell’art. 70 (id est
di pratica in corso di istruzione) e quindi
sarebbe stata comunque esclusa
dall’applicazione delle norme a regime
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 14.12.2011 n. 3167 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
presentazione dell’istanza di sanatoria
rende improcedibile per sopravvenuta carenza
di interesse l’eventuale ricorso proposto
avverso l’ordinanza di demolizione
precedentemente emessa.
---------------
Gli interventi che portano ad un organismo
edilizio in tutto o in parte diverso dal
precedente e che comportano modifiche del
volume, della sagoma, dei prospetti o delle
superfici, se eseguiti in assenza di titolo
edilizio, vanno sanzionati con la
demolizione.
L’eccezione preliminare è infondata e va
disattesa giacché, dopo l’emissione del
primo ordine di demolizione, i ricorrenti
hanno presentato un’istanza di sanatoria e,
a seguito del rigetto di quest’ultima, il
Comune ha emesso una nuova ingiunzione per
il ripristino dello stato dei luoghi.
Ne discende, quindi, che è del tutto
irrilevante ai fini del presente giudizio la
mancata impugnazione del primo ordine di
demolizione, anche alla luce del costante
orientamento giurisprudenziale, secondo il
quale la presentazione dell’istanza di
sanatoria rende improcedibile per
sopravvenuta carenza di interesse
l’eventuale ricorso proposto avverso
l’ordinanza di demolizione precedentemente
emessa (cfr. in termini TAR Campania,
Napoli, sez. VI, 15.07.2010, n. 16806; TAR
Liguria, sez. I, 15.05.2010, n. 2583; TAR
Toscana, sez. III, 26.02.2010, n. 520; TAR
Emilia Romagna, Bologna, sez. II,
11.01.2010, n. 8).
---------------
Vanno,
infine, disattese anche le censure
incentrate sulla erronea qualificazione
delle opere e sull'omessa valutazione della
possibilità di applicare una sanzione
pecuniaria, in luogo della sanzione
demolitoria, perché gli interventi che
portano ad un organismo edilizio in tutto o
in parte diverso dal precedente e che
comportano modifiche del volume, della
sagoma, dei prospetti o delle superfici, se
eseguiti in assenza di titolo edilizio,
vanno sanzionati con la demolizione (cfr.
TAR Campania, Napoli, sez. VII, 15.12.2010,
n. 27387) (TAR
Veneto, Sez. II,
sentenza 14.12.2011 n. 1831 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Una
tettoia avente carattere di stabilità,
realizzata in aderenza ad un preesistente
fabbricato ed idonea ad un'utilizzazione
autonoma, oltre a non poter essere
considerata una mera pertinenza, costituisce
un'opera esterna per la cui realizzazione
occorre il permesso di costruire.
Gli interventi consistenti
nell’installazione di tettoie o di altre
strutture che siano comunque apposte a parti
di preesistenti edifici come strutture
accessorie di protezione o di riparo di
spazi liberi, cioè non compresi entro
coperture volumetriche previste in un
progetto assentito, possono ritenersi
sottratti al regime del permesso di
costruire soltanto ove la loro conformazione
e le loro ridotte dimensioni rendano
evidente e riconoscibile la loro finalità di
arredo o di riparo e protezione
dell'immobile cui accedono.
Tali strutture non possono, viceversa,
ritenersi installabili senza permesso di
costruire o D.I.A "alternativa", allorquando
le loro dimensioni sono di entità tale da
arrecare una visibile alterazione
all'edificio o alle parti dello stesso su
cui vengono inserite; quando, quindi, per la
loro consistenza dimensionale non possono
più ritenersi assorbite, ovvero ricomprese
in ragione della accessorietà, nell'edificio
principale o della parte dello stesso cui
accedono.
Dalla
documentazione allegata emerge che la
tettoia realizzata dai ricorrenti ha una
superficie di 15 mq., è “posta in
aderenza ai muri a est e sud del fabbricato
principale“, risultando quindi chiusa su
due lati, e che, inoltre, “il lato aperto
a sud è stato parzialmente chiuso da un
pannello plastico rigido, fissato
stabilmente alla struttura della tettoia e
al pavimento”.
Tanto premesso in fatto, il Collegio
condivide l'orientamento giurisprudenziale
secondo il quale una tettoia avente
carattere di stabilità, realizzata in
aderenza ad un preesistente fabbricato ed
idonea ad un'utilizzazione autonoma, oltre a
non poter essere considerata una mera
pertinenza, costituisce un'opera esterna per
la cui realizzazione occorre il permesso di
costruire (cfr. in termini TAR Lombardia,
Milano, sez. II, 04.12.2007, n. 6544).
Al riguardo va rammentato che, per
giurisprudenza costante, gli interventi
consistenti nell’installazione di tettoie o
di altre strutture che siano comunque
apposte a parti di preesistenti edifici come
strutture accessorie di protezione o di
riparo di spazi liberi, cioè non compresi
entro coperture volumetriche previste in un
progetto assentito, possono ritenersi
sottratti al regime del permesso di
costruire soltanto ove la loro conformazione
e le loro ridotte dimensioni rendano
evidente e riconoscibile la loro finalità di
arredo o di riparo e protezione
dell'immobile cui accedono (cfr. TAR
Campania, Napoli, sez. III, 09.11.2010, n.
23699; TAR Piemonte, sez. I, 04.09.2009, n.
2247).
Tali strutture non possono, viceversa,
ritenersi installabili senza permesso di
costruire o D.I.A "alternativa",
allorquando le loro dimensioni sono di
entità tale da arrecare una visibile
alterazione all'edificio o alle parti dello
stesso su cui vengono inserite; quando,
quindi, per la loro consistenza dimensionale
non possono più ritenersi assorbite, ovvero
ricomprese in ragione della accessorietà,
nell'edificio principale o della parte dello
stesso cui accedono (cfr. in termini
Consiglio di Stato, sez. V, 13.03.2001 n.
1442).
Nel caso in esame la dimensione della
tettoia di cui trattasi, pari a 15 mq., è
visibilmente idonea a modificare la sagoma
ed il prospetto dell'edificio, con
conseguente alterazione del fabbricato cui
accede. Ne discende, dunque, che
correttamente l’Amministrazione comunale ha
qualificato il predetto manufatto come nuova
costruzione priva di carattere pertinenziale
e, quindi, non assentibile in centro storico
con conseguente legittimità del diniego di
sanatoria impugnato.
Né, infine, la "tettoia" di cui
trattasi potrebbe essere considerata un "volume
tecnico", malgrado l'asserita
destinazione a mera copertura della caldaia
a servizio dell’abitazione, in assenza dei
requisiti di strumentalità necessaria con
l'utilizzo della costruzione e della
necessaria proporzionalità fra tali volumi e
le esigenze effettivamente presenti (cfr.
TAR Campania, Napoli, sez. IV, 09.09.2009,
n. 4903; TAR Campania, Napoli, sez. II,
11.09.2009, n. 4949) (TAR
Veneto, Sez. II,
sentenza 14.12.2011 n. 1831 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA:
Ai sensi dell'art. 13 l. n. 241
del 1990, l'adozione di una variante al
piano regolatore generale, in quanto
provvedimento di pianificazione, non deve
essere necessariamente preceduta dalla
comunicazione di avvio del procedimento nei
confronti dei soggetti interessati.
Il principio di partecipazione di cui agli
artt. 7 e 8 della legge summenzionata non si
applica, infatti, ai procedimenti di
adozione di strumenti urbanistici (oltre che
per il rispetto della lettera della
disposizione dell'art. 13 l. n. 241 del
1990), giacché, sul piano ontologico,
l'esigenza del contraddittorio tra le parti
pubbliche e private risulta già
salvaguardata nell'ambito della vigente
disciplina di formazione degli strumenti
urbanistici primari (pubblicazione,
presentazione di osservazioni, esame,
controdeduzioni, approvazione.
Secondo il costante orientamento della
giurisprudenza, condiviso dal Collegio, "ai
sensi dell'art. 13 l. n. 241 del 1990,
l'adozione di una variante al piano
regolatore generale, in quanto provvedimento
di pianificazione, non deve essere
necessariamente preceduta dalla
comunicazione di avvio del procedimento nei
confronti dei soggetti interessati.
Il principio di partecipazione di cui agli
artt. 7 e 8 della legge summenzionata non si
applica, infatti, ai procedimenti di
adozione di strumenti urbanistici (oltre che
per il rispetto della lettera della
disposizione dell'art. 13 l. n. 241 del
1990), giacché, sul piano ontologico,
l'esigenza del contraddittorio tra le parti
pubbliche e private risulta già
salvaguardata nell'ambito della vigente
disciplina di formazione degli strumenti
urbanistici primari (pubblicazione,
presentazione di osservazioni, esame,
controdeduzioni, approvazione)" (cfr. in
termini Cons. Stato, sez. IV, 22.03.2005, n.
1236; TAR Veneto, sez. II, 22.11.2010, n.
6083)
(TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 14.12.2011 n. 1829 -
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URBANISTICA:
Sul procedimento che conduce
all'approvazione dei piani di recupero che è
analiticamente disciplinato nel titolo IV
della legge n. 457/1978 e, segnatamente,
dagli artt. 27 e 28, da un lato, e l'art.
30, dall'altro, i quali delineano una
precisa scansione degli adempimenti
procedurali per la formazione di validi
piani di recupero d'iniziativa,
rispettivamente, pubblica o privata.
Il procedimento
che conduce all'approvazione dei piani di
recupero è analiticamente disciplinato nel
titolo IV della legge n. 457/1978 e,
segnatamente, gli artt. 27 e 28, da un lato,
e l'art. 30, dall'altro, delineano una
precisa scansione degli adempimenti
procedurali per la formazione di validi
piani di recupero d'iniziativa,
rispettivamente, pubblica o privata.
In entrambi i casi la pianificazione
comincia con l'individuazione ad opera dei
comuni, con deliberazione consiliare, delle
zone degli strumenti urbanistici generali
ove, per le condizioni di degrado, si rende
opportuno il recupero del patrimonio
edilizio ed urbanistico esistente mediante
la realizzazione di interventi variamente
rivolti alla conservazione, al risanamento,
alla ricostruzione ed alla migliore
utilizzazione degli immobili già edificati.
L'atto di individuazione delle zone di
recupero segue le sorti dello strumento
urbanistico generale al quale accede ed è,
dunque, destinato a valere, almeno
tendenzialmente, per un tempo indeterminato.
Nell'ambito di tali zone il Comune ha la
facoltà di individuare –“con le stesse
modalità di approvazione”– “gli
immobili, i complessi edilizi, gli isolati e
le aree” per i quali subordinare il
rilascio del titolo edilizio alla preventiva
formazione di piani di recupero (art. 27).
Questi ultimi sono disciplinati dal
successivo art. 28 che ne prevede
l'approvazione con una deliberazione del
Consiglio comunale, recante contestualmente
la decisione delle opposizioni eventualmente
presentate. Orbene, ai sensi del citato art.
28, comma 3,”ove la deliberazione del
consiglio comunale di cui al comma
precedente non sia assunta, per ciascun
piano di recupero, entro tre anni dalla
individuazione di cui al terzo comma del
precedente articolo 27, ovvero non sia
divenuta esecutiva entro il termine di un
anno dalla predetta scadenza,
l'individuazione stessa decade ad ogni
effetto. In tal caso, sono consentiti gli
interventi edilizi previsti dal quarto e
quinto comma del precedente articolo 27”.
Infine, l'art. 27, comma 4, chiarisce quali
siano gli effetti giuridici
dell'individuazione soggetta a decadenza .
Infatti, mentre per le aree e gli immobili,
non assoggettati ai piani di recupero e
comunque in questi non compresi, possono
attuarsi tutti gli interventi che non siano
in contrasto con le previsioni degli
strumenti urbanistici generali,
diversamente, nei casi di avvenuta
individuazione degli immobili da recuperare,
sono unicamente realizzabili gli interventi
edilizi diretti alla conservazione
dell'esistente, peraltro variamente limitati
sul piano qualitativo e quantitativo, a
seconda che si tratti di singole unità
immobiliari e di parti di esse oppure di uno
o più edifici globalmente considerati.
La restrizione delle potenzialità
edificatorie degli immobili individuati a
norma dell’art. 27, comma 3, non può però
durare per oltre tre anni, secondo quanto
stabilito dal successivo art. 28. Secondo la
giurisprudenza, condivisa dal Collegio,
dalla lettura in combinato disposto di tutte
le richiamate disposizioni emergono le
ragioni sottese alla previsione di
decadenza: il vincolo di piano attuativo,
che viene in essere a seguito della
deliberazione consiliare di individuazione
degli immobili, assolve ad una chiara
funzione di salvaguardia, mirante alla
conservazione interinale del compendio
immobiliare esistente, onde consentire in
futuro la piena realizzazione degli
interventi previsti dallo strumento
urbanistico esecutivo, nel frattempo
eventualmente adottato.
Qualora, tuttavia, siffatta adozione non
segua entro i successivi tre anni, il
vincolo scaturente dalla deliberazione
consiliare summenzionata necessariamente
decade e, pertanto, torna ad applicarsi la
regola generale della possibilità di
realizzare ogni intervento edilizio conforme
agli strumenti urbanistici generali, posto
che nel novero degli immobili non
assoggettati al piano di recupero o non
compresi in questo devono includersi anche
quelli per i quali sia scaduta
l'individuazione deliberata a norma
dell'art. 27, comma 3.
Le considerazioni sin qui svolte conducono,
quindi, al rigetto della terza censura
giacché la decadenza in parola di per sé non
precludeva né rendeva illegittima
l'approvazione tardiva del piano presentato.
Occorre, infatti, precisare che
l'approvazione del piano di recupero può
intervenire dopo lo spirare del termine
triennale a condizione della perdurante
eseguibilità degli interventi previsti nello
strumento urbanistico attuativo, ovverosia
soltanto nell'ipotesi dell'assenza di
modifiche dei luoghi -comunque diverse da
quelle assentibili anche durante il regime
di salvaguardia- verificatesi in epoca
successiva alla decadenza (cfr. Cons. Stato,
sez. V, 01.07.2005, n. 3666)
(TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 14.12.2011 n. 1829 -
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APPALTI: Deve
essere escluso dalla gara il partecipante la
cui busta contenente l’offerta non è
controfirmata sui lembi di chiusura dal
legale rappresentante della ditta offerente
o dal suo procuratore, atteso che, nelle
avvertenze della lettera invito, si legge:
“si farà luogo all’esclusione dalla gara nel
caso … non venga osservata qualunque altra
prescrizione o formalità …”.
La previsione della lex specialis di cui
trattasi mira a garantire in astratto ogni
rischio di compromissione dei plichi
contenenti le offerte; essa stabilisce
modalità di chiusura delle buste facilmente
rispettabili procedendo con attenzione;
dette modalità sono, al contempo,
l’apposizione della ceralacca e della firma;
risulta quindi del tutto irrilevante ogni
indagine sull'effettiva integrità e
segretezza dell'offerta presentata.
La firma, in aggiunta alla ceralacca,
costituisce una maggiore garanzia nei
confronti di eventuali frodi od indebite
violazioni del segreto a tutela
dell'interesse della p.a. e dei partecipanti
affinché le buste non possano essere in
astratto manomesse.
Invero, il plico contenente l’offerta
avrebbe dovuto essere chiuso con ceralacca e
controfirmato sui lembi di chiusura dal
legale rappresentante della ditta offerente
o dal suo procuratore.
Detta prescrizione doveva essere osservata a
pena di esclusione atteso che, nelle
avvertenze della lettera invito, si legge: “si
farà luogo all’esclusione dalla gara nel
caso … non venga osservata qualunque altra
prescrizione o formalità …”.
Nel caso di specie risulta dalla
documentazione in atti, ed è peraltro
incontestato tra le parti, che i lembi di
chiusura del plico presentato dalla
ricorrente principale non sono stati
controfirmati dal legale rappresentante
dell’offerente.
Segue da ciò che la stazione appaltante
avrebbe dovuto comminare la sanzione
dell’esclusione dalla gara di cui trattasi.
D’altra parte, irrilevante appare
l’osservazione della difesa della ricorrente
principale secondo cui in sede di gara non
risulta essere stata sollevata alcuna
eccezione sull’integrità del plico,
garantita dalla presenza della ceralacca.
Invero, la previsione della lex specialis
di cui trattasi mira a garantire in astratto
ogni rischio di compromissione dei plichi
contenenti le offerte; essa stabilisce
modalità di chiusura delle buste facilmente
rispettabili procedendo con attenzione;
dette modalità sono, al contempo,
l’apposizione della ceralacca e della firma;
risulta quindi del tutto irrilevante ogni
indagine sull'effettiva integrità e
segretezza dell'offerta presentata (v. Cons.
Stato, sez. V, 30.09.2010, n. 7219).
Il Collegio ritiene altresì che la firma, in
aggiunta alla ceralacca, costituisca una
maggiore garanzia nei confronti di eventuali
frodi od indebite violazioni del segreto a
tutela dell'interesse della p.a. e dei
partecipanti a che le buste non possano
essere in astratto manomesse
(TAR Sicilia-Palermo, Sez. III,
sentenza 07.12.2011 n. 2304 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Sull'istituto
dell'usucapione.
In punto di diritto, deve anzitutto
sottolinearsi che l'usucapione costituisce
un modo di acquisto a titolo originario dei
diritti reali avente portata generale, e che
generali sono, soprattutto, le funzioni cui
essa assolve, di rendere certa e stabile la
proprietà e di favorire, sul piano
giuridico, chi occupa un bene e lo rende
socialmente utile. Le esigenze, appena
indicate, ricorrono in maniera
particolarmente intensa nell'ipotesi in
esame.
L'usucapione dell'immobile occupato
illegittimamente dalla p.a. (per scadenza
dei termini fissati negli atti finalizzati
all’espropriazione), ma senza violenza o
clandestinità (cfr. art. 1163 cod. civ.),
invero, consente di ricondurre al sistema
degli artt. 922 ss. cod. civ. una vicenda
fino ad allora connotata da permanente
illiceità: l'amministrazione, infatti,
diviene proprietaria a titolo originario
dell'immobile quale conseguenza del suo
possesso protratto ininterrottamente per
vent'anni che, altrimenti, proprio in
ragione del carattere permanente
dell'illecito commesso, comporterebbe
l'indefinito protrarsi di una situazione di
incertezza, connotata per un verso da un
utilizzo sine titulo di un bene
ancora privato ma di fatto in mano pubblica,
e, per altro verso, dalla possibilità di
un'azione di restitutio in pristinum
o, alternativamente, di risarcimento del
danno perpetuamente esercitabile da parte
del soggetto privato (in termini v. TAR
Puglia Lecce, sez. I, 08.07.2004, n. 4916).
Ed è proprio l’avvenuta usucapione
ventennale del bene espropriato
illegittimamente che la giurisprudenza
amministrativa ha costantemente indicato
quale limite temporale all’azione di
risarcimento del danno esperita dal privato
(tra le più recenti, v. TAR Lazio, Roma,
sez. II, 14.04.2011, n. 3260; TAR Palermo,
01.02.2011, n. 175; TAR Sicilia, Palermo,
sez. III, 21.01.2011, n. 115; TAR Campania,
Napoli, sez. V, 15.10.2010 , n. 19648; TAR
Sardegna, Cagliari, sez. II, 16.03.2010, n.
3035; TAR Sicilia, Palermo, III, 02.09.2009,
n. 1462).
Il compimento dell'usucapione, poi, così
specificamente venendo alle questioni
risarcitorie, estingue non solo le forme di
tutela reale spettanti al proprietario del
fondo ma anche quelle obbligatorie tese al
ristoro dei danni subiti, poiché retroagendo
gli effetti della usucapione, quale acquisto
del diritto reale a titolo originario, al
momento dell'iniziale esercizio della
relazione di fatto con il fondo altrui,
viene meno "ab origine" il connotato
di illiceità del comportamento
dell’amministrazione che occupava "sine
titulo” il bene poi usucapito (cfr.
Cass. civile, sez. II, 24.02.2009, n. 4434).
Secondo la giurisprudenza della Corte di
Cassazione, d'altronde, tutti i
comportamenti tenuti dall'usucapiente
rispetto alla cosa posseduta durante il
tempo necessario all'acquisto devono
considerarsi esercizio della situazione
giuridica appunto acquistata in virtù del
possesso: ciò è essenziale alle finalità
stesse dell'istituto, rivolto ad adeguare la
situazione di fatto a quella di diritto,
così che il fenomeno della "retroattività
degli effetti acquisitivi" si configura
come necessaria garanzia del pieno
soddisfacimento dell'interesse del quale è
stata solo rinviata, allo scadere del
termine ventennale, la realizzazione (cfr.
Cass. civile, sez. II, 25.03.1998, n. 3153)
(TAR Siclia-Palermo, Sez. II,
sentenza 06.12.2011 n. 2278 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
sanatoria di edifici non ultimati per
effetto di provvedimenti di sospensione
postula la mancanza dei lavori strettamente
necessari alla funzionalità di quanto già
costruito e non consente l'integrazione
delle opere con interventi edilizi che diano
luogo a nuove strutture: di conseguenza, la
realizzazione della sola struttura portante
in travi e pilastri non risulta sufficiente,
mancando il completamento delle strutture
edilizie necessarie a definire la volumetria
edilizia.
La richiamata disposizione normativa (ndr:
art. 43, comma 5, L. n. 47/1985) può
essere applicata agli edifici che, anche se
non ultimati, abbiano acquistato una
fisionomia che ne renda riconoscibile il
disegno progettuale e la destinazione e
debba essere solo completato ai fini della
sua funzionalità; pertanto, la sanatoria
anzidetta non può essere concessa nel caso
in cui i lavori di costruzione si siano
arrestati alla prima fase e non siano
riconoscibili oggettivamente né la funzione,
né la configurazione generale del costruendo
edificio.
Il requisito della "non ultimazione"
previsto dall'art. 43 deve essere
logicamente letto in relazione a quello
ordinario della "ultimazione" previsto
dall'art. 31 della legge n. 47/1985, secondo
cui "si intendono ultimati gli edifici nei
quali sia stato eseguito il rustico e
completata la copertura ovvero, quanto alle
opere interne e a quelle non destinate alla
residenza, quando esse siano completate
funzionalmente", con la conseguenza che
possono conseguire la sanatoria edilizia
anche manufatti la cui realizzazione sia
arrestata ad uno stadio anteriore a quello
di configurabilità dei predetti requisiti.
Avendo la disposizione di cui all'art. 43
carattere eccezionale rispetto alla regola
generale sancita dall'articolo 31, essa è di
stretta interpretazione ed applicabile in
termini restrittivi (vertendosi, tra
l'altro, in materia di condono di lavori
abusivi), richiedendosi necessariamente che
il manufatto, pur non ultimato, sia
suscettibile di una sicura identificazione
edilizia, sia da un punto di vista
strutturale che della destinazione.
La questione giuridica agitata in giudizio
concerne l'applicabilità, al manufatto per
il quale è stato richiesto il condono
edilizio, del comma 5 dell'articolo 43 della
legge 47/1985, secondo il quale "possono
ottenere la sanatoria le opere non ultimate
per effetto di provvedimenti amministrativi
o giurisdizionali limitatamente alle
strutture realizzate e ai lavori che siano
strettamente necessari alla loro
funzionalità".
L'interpretazione giurisprudenziale della
norma, condivisa dal Collegio, (cfr. Cons.
Stato, IV, 30.06.2005, n. 3542; V,
20.12.2001, n. 6327; TAR Toscana Firenze,
III, 06.04.2010, n. 927; TAR Campania,
Salerno, II, 26.01.2009, n. 177) ha chiarito
che la sanatoria di edifici non ultimati per
effetto di provvedimenti di sospensione
postula la mancanza dei lavori strettamente
necessari alla funzionalità di quanto già
costruito e non consente l'integrazione
delle opere con interventi edilizi che diano
luogo a nuove strutture: di conseguenza, la
realizzazione della sola struttura portante
in travi e pilastri non risulta sufficiente,
mancando il completamento delle strutture
edilizie necessarie a definire la volumetria
edilizia.
È stato anche affermato (cfr. Cons. Stato,
II, 14.03.1990, n. 669) che la richiamata
disposizione normativa può essere applicata
agli edifici che, anche se non ultimati,
abbiano acquistato una fisionomia che ne
renda riconoscibile il disegno progettuale e
la destinazione e debba essere solo
completato ai fini della sua funzionalità;
pertanto, la sanatoria anzidetta non può
essere concessa nel caso in cui i lavori di
costruzione si siano arrestati alla prima
fase e non siano riconoscibili
oggettivamente né la funzione, né la
configurazione generale del costruendo
edificio.
Rileva il Collegio che il requisito della "non
ultimazione" previsto dall'art. 43 deve
essere logicamente letto in relazione a
quello ordinario della "ultimazione"
previsto dall'art. 31 della legge n.
47/1985, secondo cui "si intendono
ultimati gli edifici nei quali sia stato
eseguito il rustico e completata la
copertura ovvero, quanto alle opere interne
e a quelle non destinate alla residenza,
quando esse siano completate funzionalmente",
con la conseguenza che possono conseguire la
sanatoria edilizia anche manufatti la cui
realizzazione sia arrestata ad uno stadio
anteriore a quello di configurabilità dei
predetti requisiti.
Tuttavia, avendo la disposizione di cui
all'art. 43 carattere eccezionale rispetto
alla regola generale sancita dall'articolo
31, essa è di stretta interpretazione ed
applicabile in termini restrittivi (vertendosi,
tra l'altro, in materia di condono di lavori
abusivi), richiedendosi necessariamente che
il manufatto, pur non ultimato, sia
suscettibile di una sicura identificazione
edilizia, sia da un punto di vista
strutturale che della destinazione
(TAR Sicilia-Palermo, Sez. III,
sentenza 06.12.2011 n. 2277 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
E' illegittima l’apertura delle
buste contenenti le offerte tecniche
avvenuta in occasione della seduta riservata
dedicata alla loro valutazione poiché
risulta in contrasto con il principio di
pubblicità affermato dalla sentenza
dell’adunanza plenaria del Consiglio di
Stato n. 13/2011.
L’assenza di motivazione dei provvedimenti
che hanno condotto alla nomina del dirigente
della stazione appaltante come segretario,
anziché come presidente della commissione di
gara e alla designazione dei componenti
della stessa mediante il ricorso a
professionalità esterne, inficia la
legittimità degli stessi, in quanto vìola
principi generali applicabili anche in
relazione all’affidamento di concessioni di
servizi.
Considerato:
- che, a prescindere dalla prova della
preclusione dell’accesso alla seduta
pubblica in cui sono state aperte le buste
contenenti la documentazione amministrativa,
l’apertura delle buste contenenti le offerte
tecniche risulta essere avvenuta in seduta
riservata, in contrasto non solo con il
principio di pubblicità recentemente
ribadito dal Consiglio di Stato, nella
sentenza dell’Adunanza plenaria n. 13/2001,
ma anche con la stessa lex specialis
della gara.
Contrariamente a quanto asserito da parte
resistente, infatti, il verbale della prima
seduta, pubblica, dà atto solo della <<presenza,
integrità e la correttezza delle buste
“Domanda di partecipazione”, “Offerta
tecnica” e "Offerta economica”>>,
dell’avvenuto accantonamento, in ordine
progressivo, delle suddette buste, del
riscontro della correttezza della sola
documentazione contenuta nelle buste n. 1;
- che, conseguentemente, deve presumersi che
l’apertura delle buste contenenti le offerte
tecniche sia avvenuta in occasione della
seduta riservata dedicata alla loro
valutazione, in contrasto con il principio
di pubblicità affermato dalla sentenza
dell’adunanza plenaria del Consiglio di
Stato n. 13/2011 e, prima ancora e
soprattutto, con il bando di gara;
- che l’assenza di motivazione dei
provvedimenti che hanno condotto alla nomina
del dirigente della stazione appaltante come
segretario, anziché come presidente della
commissione di gara e alla designazione dei
componenti della stessa mediante il ricorso
a professionalità esterne, inficia la
legittimità degli stessi, in quanto vìola
principi generali applicabili anche in
relazione all’affidamento di concessioni di
servizi.
Il Collegio non ravvisa, infatti, ragione di
discostarsi dal precedente di questo
Tribunale (sentenza TAR Brescia, II,
05.03.2010, n. 1122), in cui si legge, con
riferimento all’art. 84 del d.lgs. 163/2006,
come la giurisprudenza sia ormai costante
nel ritenere che: “la norma sia volta a
garantire l'imparzialità della commissione
incaricata di valutare le offerte, e quindi,
in ultima analisi, un principio fondamentale
delle gare come quello della parità fra i
concorrenti; si tratta in altre parole, come
sottolineato dalla citata TAR Lazio-Roma,
sez. III, 21.11.2008 n. 10565, di norma di
rilievo procedimentale, ma non formalistico,
che prescinde come tale "da ogni
considerazione circa la specifica
professionalità, competenza e serietà dei
soggetti in concreto nominati", ma che, ove
violata, vizia in modo irrimediabile l'esito
finale della procedura”.
Ne discende che la mancata rappresentazione
delle ragioni per cui, nella designazione
dei membri della commissione giudicatrice,
si è fatto ricorso a membri esterni alla
stazione appaltante, omettendo anche di
assegnare all’unico componente interno il
ruolo di Presidente, inficia la legittimità
di tutti gli atti adottati da tale
commissione
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. II,
sentenza 01.12.2011 n. 1685 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Riforma Brunetta. Legittima la
revoca dell'incarico al dirigente pubblico.
La Corte di Cassazione ha confermato che è
legittimo il provvedimento di revoca
dell'incarico se è giustificato da
manchevolezze e negligenze del dirigente
pubblico. La vicenda presa in esame dai
giudici di legittimità è di notevole
importanza per il mondo del pubblico impiego
che dopo una serie di riforme attuate in
questo ultimo decennio e, dopo la cura "Brunetta"
del precedente esecutivo di Governo, tende
ad assomigliare sempre più al privato.
Con la
sentenza 28.11.2011 n. 25036 la
Corte di Cassazione, Sez. lavoro, in tema di
pubblica amministrazione, ha confermato che
è legittimo il provvedimento di revoca se è
giustificato da manchevolezze e negligenze
del dirigente pubblico.
La vicenda presa in esame dai giudici di
legittimità è di notevole importanza per il
mondo del lavoro del pubblico impiego che
dopo una serie di riforme attuate in questo
ultimo decennio e, dopo la cura “Brunetta“
del precedente esecutivo di Governo, tende
ad assomigliare sempre più al privato.
Il caso nasce a seguito del fatto che il
Tribunale ordinario aveva dichiarato
l’illegittimità del decreto della Agenzia
delle Entrate, con cui un suo dirigente
pubblico era stato rimosso dall'incarico di
Capo di un Reparto dell'Ufficio IVA di una
città siciliana, ordinando alla stessa
Agenzia delle Entrate di reintegrare il
ricorrente in mansioni ritenute equivalenti
a quelle svolte in precedenza dal lavoratore
presso il suddetto Ufficio e condannando,
l'Amministrazione, al risarcimento dei danni
patrimoniali subiti dal ricorrente per
effetto del demansionamento.
Per converso i giudici di secondo grado
hanno “ribaltato” la sentenza dei
giudici di primo grado ritenendo che il
provvedimento di revoca dell’Agenzia delle
Entrate fosse giustificato alla luce di una
valutazione complessiva delle numerose
violazioni dei doveri d'ufficio commesse dal
dipendente e dei risultati negativi della
gestione del reparto, osservando altresì che
non vi era comunque prova che le nuove
mansioni assegnate al dipendente ricorrente
non rientrassero tra quelle proprie della
qualifica rivestita dal ricorrente.
Avverso tale sentenza il dirigente pubblico
ricorre in Cassazione.
La rimozione dell’incarico
nella pubblica amministrazione.
Occorre preliminarmente rilevare che con la
riforma Brunetta viene introdotto per la
prima volta il criterio della trasparenza e
della pubblicità nel procedimento per
l’affidamento degli incarichi e, dando un
forte rilievo alla valutazione, si punta
sulla rivoluzione del merito.
Occorre rilevare che dopo i numerosi
interventi interpretativi della magistratura
volti a tutelare la dirigenza riaffermando
la separazione del potere politico da quello
gestionale (vedi in particolare le sentenze
della Corte Costituzionale 103/2007 e
104/2007, nonché 161/2008) la riforma
Brunetta ha cercato (e sta cercando nel suo
intento) di porre rimedio ai problemi
connessi con l’attribuzione e la revoca
degli incarichi dirigenziali.
L’incarico può essere revocato (art. 21 del
D.Lgs 165/2001) in caso di responsabilità
dirigenziale per mancanza di raggiungimento
degli obiettivi fissati, da accertare
attraverso le risultanze del sistema di
valutazione previsto dal D.Lgs. 150/2009, o
per inosservanza delle direttive; la revoca
deve essere ancorata a dati oggettivi e
valutabili e non già “ad nutum e deve
seguire precise garanzie procedimentali
(atto comunicato al dirigente con congruo
avviso, motivato e previo contraddittorio,
sottoposto al controllo giurisdizionale in
relazione alla sua legittimità sostanziale e
al rispetto delle garanzie procedimentali)”.
Il D.Lgs. 165/2001 prevede, infatti, che il
mancato raggiungimento degli obiettivi
accertato attraverso le risultanze del
sistema di valutazione di cui al Titolo II
del decreto legislativo di attuazione della
legge 04.03.2009, n. 15, in materia di
ottimizzazione della produttività del lavoro
pubblico e di efficienza e trasparenza delle
pubbliche amministrazioni ovvero
l'inosservanza delle direttive imputabili al
dirigente comportano, previa contestazione e
ferma restando l'eventuale responsabilità
disciplinare secondo la disciplina contenuta
nel contratto collettivo, l'impossibilità di
rinnovo dello stesso incarico dirigenziale.
A proposito della gravità dei casi,
l'amministrazione può, inoltre, previa
contestazione e nel rispetto del principio
del contraddittorio, revocare l'incarico
collocando il dirigente a disposizione dei
ruoli o può recedere dal rapporto di lavoro
secondo le disposizioni del contratto
collettivo.
L’analisi dei giudici.
I giudici di legittimità con la sentenza
citata nel paragrafo iniziale osservano che
i giudici di merito hanno ritenuto
giustificato il provvedimento di revoca
dell'incarico, adottato dall'Amministrazione
nei confronti del dirigente ricorrente,
sulla base di un esame complessivo delle
manchevolezze riscontrate nella gestione del
reparto al quale il dirigente ricorrente era
preposto, manchevolezze ritenute "di
essenziale importanza, in quanto relative
alla principale finalità istituzionale
dell'Agenzia delle Entrate", oltre che
reiterate in un arco temporale inferiore ad
un anno, osservando che il ritardo
nell'invio di numerosi atti di contestazione
e avvisi di accertamento alla firma del
Dirigente non poteva trovare alcuna valida
giustificazione, considerato anche "il
rischio derivante dal ritardo nell'attività
di riscossione" e "il pregiudizio che
ne risente l'attività amministrativa,
gravemente penalizzata dalla necessità di
avviare alla notifica, in prossimità della
scadenza, una gran mole di atti che ben
potevano, invece, se correttamente gestiti,
essere scaglionati nel tempo".
Altrettanto grave e ingiustificato era il
calo di produttività del reparto, che si
attestava intorno al 74% e che, date le
proporzioni, non poteva essere spiegato con
le pur lamentate carenze di organico.
Per i giudici di legittimità si tratta, come
è evidente, di una valutazione di fatto,
devoluta al giudice del merito, non
censurabile in cassazione in quanto comunque
assistita da motivazione sufficiente e non
contraddittoria.
Per la Corte di Cassazione, quindi, il
ricorso deve essere pertanto respinto con la
conferma della sentenza impugnata (commento
tratto da www.ipsoa.it). |
APPALTI:
Esclusi dalla gara, serve il
punteggio minimo: anche per l'unico
partecipante.
E' legittima l'esclusione da una gara per
l'affidamento di un appalto di servizi, da
aggiudicarsi secondo il criterio
dell'offerta economicamente più vantaggiosa,
che sia motivata con riferimento al fatto
che l'offerta presentata dall'unico
concorrente partecipante non ha raggiunto il
punteggio minimo previsto dal bando.
La segnalata pronuncia risolve la questione
circa la legittimità dell'esclusione di una
ditta partecipante a una gara di appalto
che, sebbene unica concorrente, non ha
raggiunto il punteggio minimo imposto dalla
lex specialis.
Segnatamente, un'Amministrazione indiceva
una procedura di gara per l'affidamento del
servizio di nettezza urbana per la durata di
anni 7 da aggiudicarsi mediante il criterio
dell'offerta economicamente più vantaggiosa,
prevedendo l'assegnazione di 25 punti per
l'offerta economica e 75 punti per l'offerta
tecnica, quale punteggio massimo per
entrambe, suddiviso sulla base di una
pluralità di singoli parametri e
sottoparametri prestabiliti, ma con
previsione di una soglia minima (di punti
36) ai fini dell'ammissione all'esame
dell'offerta economica.
Nella seduta di valutazione delle offerte
pervenute, la Commissione procedeva a
vagliare l'offerta della ricorrente, unica
partecipante alla gara, e con successivo
predisponeva l'esclusione della stessa per
mancato raggiungimento della soglia minima
per l'offerta tecnica (30 punti contro i 36
necessari).
Avverso quest'ultimo provvedimento, nonché
tutti gli atti di gara, è insorta la società
interessata, all'uopo eccependo
l'illegittimità della previsione di una
soglia minima di punteggio tecnico
necessaria ai fini dell'ammissione alle
successive fasi di gara; il mancato
esperimento del contraddittorio orale prima
dell'adozione dell'esclusione;
l'illegittimità della griglia di valutazione
che, in relazione a ciascun parametro,
prevedeva unicamente un punteggio massimo e
non anche uno minimo; l'illegittima
fissazione, da parte della Commissione, dei
criteri di valutazione, nonché la mancata
descrizione del "metodo di lavoro" adottato;
l'insufficienza del punteggio espresso
unicamente con un dato numerico, nonché
l'erroneità della valutazione della propria
offerta tecnica, frutto dei travisamenti in
cui sarebbe incorsa la Commissione che non
avrebbe tenuto conto delle numerose
migliorie proposte.
Orbene, il Collegio di Milano ha ritenuto
infondata l'eccezione d'illegittimità della
soglia di sbarramento di 36 punti come
imposta dalla stazione appaltante.
Al riguardo, richiamando un consolidato
indirizzo giurisprudenziale, ha precisato
che "rispetto all'aggiudicazione con il
sistema dell'offerta economicamente più
vantaggiosa, si reputano legittime le
clausole del bando che prevedono la
valutazione dell'offerta economica solo in
caso di un punteggio minimo raggiunto
dall'offerta, considerata la rilevanza che
può avere l'aspetto della qualità tecnica
per la Amministrazione aggiudicatrice (cfr.
Cons. Stato, Sez. V, 03.03.2004, n. 1040,
che ha affermato la legittimità di una
clausola di sbarramento, prevista nel
capitolato speciale per una gara di appalto
per l'aggiudicazione di un servizio
all'offerta economicamente più vantaggiosa,
che non consente la valutazione del prezzo
nel caso di offerte che sotto il profilo
qualitativo non raggiungano un punteggio
minimo)" (TAR Lazio, Roma, Sez. III, 26.01.2009, n. 630).
Parimenti infondata è stata ritenuta la
seconda censura con cui la ricorrente ha
dedotto l'illegittimità della propria
esclusione in quanto non preceduta da
contraddittorio orale.
Sul punto, infatti, è stato evidenziato che
una volta determinato lo standard cui
l'offerta deve conformarsi, il mancato
raggiungimento dei livelli minimi prescritti
costituisce elemento di per sé legittimante
l'esclusione del concorrente senza necessità
di instaurare alcun confronto in
contraddittorio non previsto da alcuna norma
in relazione alla fattispecie in esame.
E ancora, in relazione al terzo ordine di
censure, la ricorrente ha dedotto la
violazione dell'art. 83, D.Lgs. n. 163/2006
per illogicità e violazione del principio di
proporzionalità, dell'art. 3, L. n. 241/1990
e dell'art. 53 della Dir. 2004/18/CE in
relazione alla previsione di un punteggio
massimo e non anche di un punteggio minimo:
le censure sono state reputate inammissibili
e infondate.
Sotto il primo profilo, il giudicante ha
precisato che la disciplina dettata dal
disciplinare di gara esprime una scelta
discrezionale della stazione appaltante, non
sindacabile da parte del G.A. qualora esente
da vizi di evidente incongruità e
irragionevolezza.
Quanto al secondo, ha soggiunto che la
graduazione del punteggio nell'ambito del
range prefissato costituisce valutazione di
merito tecnico che viene espressa dai
componenti della Commissione sulla base
della rispondenza o meno delle componenti di
offerta alla prestazione richiesta, come
formulata dalla disciplina di gara secondo
un apprezzamento che sfugge al sindacato
giurisdizionale.
Inoltre, il TAR lombardo ha ritenuto
infondata la doglianza con cui la ricorrente
ha eccepito che la Commissione avrebbe
definito i criteri di valutazione e adottato
un "metodo di lavoro" non altrimenti
illustrato a verbale.
In proposito, ha precisato che la
definizione del "metodo di lavoro" non
necessitava di alcuna esplicitazione
ulteriore rispetto a quella contenuta nel
bando di gara, in quanto riguardava aspetti
organizzativi privi di interesse ai fini
della valutazione.
Con un quinto ordine di censure la
ricorrente ha dedotto, con riferimento alle
valutazioni tecniche, il difetto di
motivazione quale conseguenza
dell'assegnazione di un punteggio numerico
non corredato da un giudizio.
Anche quest'ultima censura è stata reputata
infondata.
Difatti, l'adito Tribunale ha rimarcato che,
come in giurisprudenza ripetutamente
evidenziato, "il solo punteggio numerico può
essere ritenuto una sufficiente motivazione
in relazione agli elementi di valutazione
dell'offerta economicamente più vantaggiosa,
quando i criteri prefissati di valutazione
siano estremamente dettagliati" (ex multis,
Cons. Stato, Sez. VI, 10.01.2003, n.
67).
In ragione di tanto, il Collegio lombardo ha
rigettato il ricorso in quanto in parte
infondato, in parte inammissibile,
contestualmente condannando la ricorrente al
pagamento delle spese di lite (commento tratto da www.ipsoa.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
I,
sentenza 18.11.2011 n.
2802 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Legittimazione a ricorre delle
associazioni a tutela dell'ambiente.
La sentenza si sofferma sia sulla
individuazione dei soggetti collettivi e
non, legittimati a ricorrere per la tutela
di interessi ambientali sia sulla nozione
interesse di natura ambientale.
La controversia oggetto della sentenza in
esame riguardava in primo luogo la
legittimazione attiva a ricorrere avverso
provvedimenti lesivi di interessi
ambientali.
Il Consiglio di Stato conferma
l’orientamento, ormai consolidato in
giurisprudenza, secondo cui, tale interesse
deve essere riconosciuto non soltanto alle
associazioni ed ai comitati stabili, cui
tale facoltà è stata conferita con legge
(art. 13 legge n. 349 del 1986), nella
fattispecie tale interesse risultava così
riconosciuto in capo alla Onlus Italia
Nostra, ma anche a diversi soggetti, singoli
o collettivi, che assumano di difendere tale
interesse.
In particolare, deve ammettersi la
legittimazione a ricorrere sia di comitati
sorti spontaneamente allo specifico scopo di
proteggere l’ambiente, la salute e/o la
qualità della vita delle popolazioni
residenti su un circoscritto territorio, sia
di singole persone fisiche che risultino in
una posizione differenziata, sulla base del
criterio della vicinitas quale
elemento qualificante dell’interesse a
ricorrere.
Il Consiglio di Stato si sofferma inoltre
sui limiti entro cui è possibile riconoscere
l’esistenza di un interesse di natura
ambientale di cui si assuma le lesione.
Nella fattispecie oggetto della sentenza
risultava infatti impugnato l’atto con cui
era stata approvata una variante urbanistica
ed era, pertanto, in discussione la
possibilità di configurare la lesione di un
interesse alla tutela dell’ambiente a fronte
del coinvolgimento di disposizioni di natura
prettamente urbanistica.
Anche a questo riguardo la sentenza in esame
conferma un orientamento consolidato secondo
cui, “la materia ambientale per le
peculiari caratteristiche del bene protetto,
si atteggia in modo particolare: la tutela
dell’ambiente, infatti, lungi dal costituire
un autonomo settore d’intervento dei
pubblici poteri, assume il ruolo unificante
e finalizzante di distinte tutele giuridiche
predisposte a favore dei diversi beni della
vita che nell’ambiente si collocano
(assumendo un carattere per così dire
trasversale rispetto alle ordinarie materie
e competenze amministrative, che connotano
anche le distinzioni fra ministeri)”.
La giurisprudenza riconosce in tal modo la
possibilità di tutelare i cd. interessi
ambientali in senso lato, “comprendenti
proprio la conservazione e valorizzazione
dei beni culturali, dell'ambiente in senso
ampio, del paesaggio urbano, rurale e
naturale, dei monumenti e dei centri storici
e della qualità della vita”.
In particolare, ai fini della verifica della
legittimazione a ricorrere, il giudice deve
verificare caso per caso se l’annullamento,
richiesto per violazione di una norma
urbanistica, presupponga la lesione di un
interesse ambientale, rappresentando la
tutela di quest’ultimo la vera ragione
dell’azione giurisdizionale promossa
(commento tratto da www.ipsoa.it - Consiglio
di Stato, Sez. IV,
sentenza
11.11.2011 n. 5986 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Edificio abusivo e "ultimazione"
ai fini della prescrizione.
L'uso effettivo dell'immobile, accompagnato
dall'attivazione delle utenze e dalla
presenza di persone al suo interno, non è
sufficiente al fine di ritenere "ultimato"
l'immobile abusivamente realizzato,
coincidendo l'ultimazione con la conclusione
dei lavori di rifinitura interni ed esterni,
quali gli intonaci e gli infissi
(fattispecie in tema di prescrizione).
Sicuramente destinata a far discutere è la
sentenza con cui la Corte di Cassazione ha
respinto il ricorso di un indagato cui era
contestato di aver abusivamente realizzato
un manufatto. La Corte, infatti, pur
assumendo come provata la presenza di
persone occupanti l’immobile, l’avvenuta
attivazione delle utenze domestiche e,
dunque, emergendo con certezza che il
manufatto, seppur abusivo, era in realtà “vissuto”
ed effettivamente utilizzato dall’abusivo
proprietario, ha escluso che ciò sia
sufficiente per ritenere “ultimato”
l’immobile, essendo necessario “ben altro”.
Ha, quindi, negato il proscioglimento per
prescrizione del reato edilizio, poiché la
materiale utilizzazione di un immobile e
l'eventuale attivazione di utenze non sono
elementi da soli sufficienti per dimostrare
la sua concreta ed effettiva funzionalità e
la presenza di tutti i requisiti di
agibilità o abitabilità che consentano di
ritenerlo ultimato.
Il fatto
La vicenda processuale in esame trae origine
da un provvedimento emesso dal Tribunale del
riesame confermativo del decreto con il
quale veniva disposto il sequestro
preventivo di tre manufatti, realizzati in
assenza di permesso di costruire in
violazione del d. P.R. n. 380 del 2001,
articolo 44, lettera c), nonché delle
disposizioni in materia di costruzioni in
zone sismiche e sulle opere in cemento
armato.
In sostanza, affermava il Tribunale,
come l’illecito fosse di macroscopica
evidenza e che, in assenza di idonea
documentazione fotografica, catastale,
amministrativa o di altro genere,
comprovante con certezza la data di
ultimazione degli interventi, non potesse
ritenersi diversamente individuato da quello
accertato il momento consumativo dei reati
da considerare ai fini del calcolo della
prescrizione. Evidenziava, in particolare,
come la documentazione prodotta dalla difesa
non offrisse alcun elemento tale da fornire
una descrizione dettagliata dello stato dei
manufatti.
Il ricorso
L’ordinanza del tribunale del riesame veniva
impugnata mediante ricorso per cassazione
proposto dalla difesa dell’indagato,
proprietario dell’immobile abusivamente
costruito. Per quanto di interesse in questa
sede, la difesa contestava l’ordinanza del
tribunale, osservando di aver
documentalmente dimostrato la intervenuta
prescrizione dei reati ipotizzati sulla
scorta di verbali di perquisizione e
contratti di utenze relative alla fornitura
di elettricità e linee telefoniche che,
contrariamente a quanto sostenuto dal
Tribunale, comprovavano una funzionalità
all'uso degli immobili sequestrati risalente
negli anni.
La decisione della
Cassazione
La Corte ha, tuttavia, rigettato il ricorso
ritenendo del tutto prive di fondamento le
doglianze difensive. In merito al fatto
contestato, osservano gli Ermellini come nel
ricorso si sostenga che il completamento
funzionale sarebbe dimostrato dall'esistenza
delle utenze e dal fatto che gli immobili
fossero abitati. Date tali premesse, la
Corte ricorda quale sia l'orientamento
giurisprudenziale di legittimità sul
concetto di “ultimazione” dell'immobile
abusivo.
Si e' detto, a tale proposito, che il reato
urbanistico ha natura di reato permanente,
la cui consumazione ha inizio con l'avvio
dei lavori di costruzione e perdura fino
alla cessazione dell'attività edificatoria
abusiva (v., per tutte: Cass. pen., Sez. U,
n. 17178 del 27/02/2002, dep. 08/05/2002,
imp. C., in Ced Cass., n. 221399).
Si è poi precisato (v., tra le tante: Cass. pen., Sez. 3, n. 38136 del 25/09/2001, dep.
24/10/2001, imp. T., in Ced Cass., n.
220351) che la cessazione dell'attività si
ha con l'ultimazione dei lavori per
completamento dell'opera, con la sospensione
dei lavori volontaria o imposta (ad esempio,
mediante sequestro penale), con la sentenza
di primo grado, se i lavori continuano dopo
l'accertamento del reato e sino alla data
del giudizio.
Si e' inoltre chiarito che l'ultimazione dei
lavori coincide con la conclusione dei
lavori di rifinitura interni ed esterni
quali gli intonaci e gli infissi (Cass. pen.,
Sez. 3, n. 32969 del 08/07/2005, dep.
07/09/2005, imp. A., in Ced Cass., n.
232182). Deve trattarsi, in altre parole,
secondo la Corte, di un edificio
concretamente funzionale che possegga tutti
i requisiti di agibilità o abitabilità, come
si ricava dal disposto dell'articolo 25,
comma 1, d.P.R., n. 380 del 2001, che fissa
"entro quindici giorni dall'ultimazione dei
lavori di finitura dell'intervento" il
termine per la presentazione allo sportello
unico della domanda di rilascio del
certificato di agibilità.
Le opere devono essere, inoltre, valutate
nel loro complesso, non potendosi, in base
al concetto unitario di costruzione,
considerare separatamente i singoli
componenti (Cass. pen., Sez. 3, n. 4048 del
06/11/2002, dep. 29/01/2003, imp. T., in Ced
Cass., n. 223365). Tali caratteristiche
riguardano, inoltre, anche le parti che
costituiscono annessi dell'abitazione (Cass.
pen., Sez. 3, n. 8172 del 27/01/2010, dep.
02/03/2010, imp. V., in Ced Cass., n.
246221).
Ciò posto, secondo i giudici di Piazza
Cavour, deve rilevarsi come le conclusioni
dei giudici di merito siano da considerarsi
condivisibili.
In fatto, il Tribunale ha ritenuto che fosse
necessaria altra e più pregnante
documentazione per dimostrare lo stato di
avanzamento dei lavori, poiché la presenza
di utenze -che se effettivamente riferite
agli immobili abusivi sarebbero state
attivate in palese violazione del divieto di
cui al d.P.R. n. 380 del 2001, articolo 48
(che fa divieto a tutte le aziende
erogatrici di servizi pubblici di
somministrare le loro forniture per
l'esecuzione di opere prive di permesso di
costruire, nonché ad opere in assenza di
titolo iniziate dopo il 30.01.1977 e
per le quali non siano stati stipulati
contratti di somministrazione anteriormente
al 17.03.1985)- e la presenza di persone
all'interno del manufatto dimostrano, al
più, che l'immobile era abitato o comunque
utilizzato ma non che l'intervento edilizio
potesse ritenersi ultimato.
Lo stesso Tribunale ha, inoltre, considerato
anche altri dati fattuali, quali l'iter di
alcune pratiche edilizie, una delle quali
riferita ad un immobile rurale non reperito
all'atto del sopralluogo e le condizioni di
un immobile con il terzo piano ancora non
completato.
A fronte di ciò i giudici del riesame non
potevano ritenere determinato il momento
consumativo del reato e, conseguentemente,
maturata la prescrizione, poiché –conclude
la Cassazione- la materiale utilizzazione
di un immobile e l'eventuale attivazione di
utenze non sono elementi da soli sufficienti
per dimostrare la sua concreta ed effettiva
funzionalità e la presenza di tutti i
requisiti di agibilità o abitabilità che
consentano di ritenerlo ultimato.
In ogni caso, infine, soggiunge la Corte,
grava comunque sull'indagato che voglia
giovarsi della causa estintiva della
prescrizione, in contrasto o in aggiunta a
quanto già risulta in proposito dagli atti
di causa, l'onere di allegare gli elementi
in suo possesso (v., da ultimo: Cass. pen.,
Sez. 3, n. 19082 del 24/03/2009, dep.
07/05/2009, imp. C., in Ced Cass., n.
243765) e, per le medesime ragioni in
precedenza indicate, tale onere non poteva
ritenersi adeguatamente assolto.
La pronuncia si segnala per il particolare
rigore interpretativo con cui àncora il dies
a quo di decorrenza del termine di
prescrizione alla disposzione dell’art. 25,
comma 1, d.P.R. n. 380 del 2001, che obbliga
il soggetto titolare del permesso di
costruire -o il soggetto che ha presentato
la denuncia di inizio attività, o i loro
successori o aventi causa-, “entro quindici
giorni dall’ultimazione dei lavori di
finitura dell’intervento”, a presentare allo
sportello unico la domanda di rilascio del
certificato di agibilità, corredata dalla
documentazione ivi indicata.
E’ la prima
volta, infatti, che gli Ermellini utilizzano
tale argomento normativo per qualificare la
nozione di “ultimazione” dei lavori in
relazione alla decorrenza del termine di
prescrizione, essendo invece ormai pacifico
che la particolare nozione di "ultimazione",
contenuta invece nell'art. 31 della L. 28.02.1985, n. 47, è funzionale ed
applicabile solo in materia di condono
edilizio e non anche per stabilire in via
generale il momento consumativo del reato
(v., tra le tante: Cass. pen., Sez. 3, n.
33013 del 03/06/2003, dep. 05/08/2003, imp.
S. e altro, in Ced Cass., n. 225553)
(commento tratto da www.ipsoa.it - Corte di
Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 03.11.2011 n.
39733 - link a
www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Circa
la natura del “parere” previsto dalla L.
28.02.1985 n. 47 sul condono edilizio
(l’art. 31 di detta legge subordina la
concessione o l’autorizzazione in sanatoria
per opere eseguite su aree sottoposte a
vincoli “al parere favorevole delle
Amministrazioni preposte alla tutela del
vincolo stesso”), la giurisprudenza ha
chiarito che esso, al di là dell’imprecisa
terminologia usata, è un atto vincolante, il
quale esprime il consenso o il dissenso di
autorità, diverse da quelle operanti in
materia urbanistica, la cui individuazione
va operata alla stregua delle disposizioni
che, nelle varie materie, indicano l’organo
competente al rilascio di nulla-osta o
autorizzazioni.
---------------
Le misure sanzionatorie
previste dall’art. 15 della legge n. 1439
del 1939 devono essere comminate anche in
presenza del solo comportamento colposo o
doloso da parte di chi ha commesso l’abuso,
prescindendo dall’esistenza del danno
ambientale.
Tale articolo va, infatti, interpretato nel
senso che l’indennità ivi prevista per abusi
edilizi in zone soggette a vincolo
paesaggistico non costituisce un’ipotesi di
risarcimento del danno ambientale, ma
rappresenta una sanzione amministrativa,
applicabile sia nel caso di illeciti
sostanziali (cioè nel caso di compromissione
dell’integrità paesaggistica) sia in ipotesi
di illeciti formali, come deve ritenersi il
caso della violazione dell’obbligo di
conseguire l’autorizzazione preventiva a
fronte di un intervento compatibile col
contesto paesistico oggetto della
protezione.
Giova in proposito osservare che questa
Sezione con le decisioni n. 241 del
06.04.1987 e 114 del 28.01.1998 ha avuto
modo di occuparsi della natura del “parere”
previsto dalla L. 28.02.1985 n. 47 sul
condono edilizio (l’art. 31 di detta legge
subordina la concessione o l’autorizzazione
in sanatoria per opere eseguite su aree
sottoposte a vincoli “al parere
favorevole delle Amministrazioni preposte
alla tutela del vincolo stesso”),
chiarendo che esso, al di là dell’imprecisa
terminologia usata, è un atto vincolante, il
quale esprime il consenso o il dissenso di
autorità, diverse da quelle operanti in
materia urbanistica, la cui individuazione
va operata alla stregua delle disposizioni
che, nelle varie materie, indicano l’organo
competente al rilascio di nulla-osta o
autorizzazioni.
In tale occasione si è avuto modo di
precisare che –dovendo per le aree soggette
a vincolo paesistico trovare applicazione la
disciplina dettata dalla L. 08.08.1985 n.
431, la quale, modificando l’art. 82 del
D.P.R. 24.07.1977 n. 616, conferma la delega
alle Regioni a statuto ordinario delle
funzioni amministrative statali per la
protezione delle bellezze naturali “per
quanto attiene alla loro individuazione,
alla loro tutela e alle relative sanzioni”–
l’autorizzazione ex art. 7 legge n. 1497 del
1939 rientra nel potere delle Regioni.
Si è però subito sottolineato che restano
salve le misure (di sostituzione in caso di
inerzia e di annullamento in caso di
autorizzazione illegittima) la cui adozione
è riservata al Ministero per i beni
culturali ed ambientali.
A tale conclusione si è pervenuti nella
considerazione che tali misure sono
astrattamente compatibili con la disciplina
particolare del “parere” vincolante
inserito nel procedimento di sanatoria degli
abusi edilizi, anche se la norma attribuisce
al silenzio protrattosi per più di 180
giorni dalla domanda il significato di
parere negativo. Ciò in quanto l’intervento
del Ministro in via sostitutiva o repressiva
può avvenire in concreto prima di 180 giorni
dalla domanda, posto che il termine dato
alla Regione per provvedere è di soli
sessanta giorni.
Le riferite precisazioni dimostrano che il
parere vincolante di cui all’art. 32 della
legge n. 47 del 1985 in realtà è un atto di
volizione e non di opinione, ha cioè natura
e funzioni identiche all’autorizzazione ex
art. 7 legge n. 1497 del 1939; entrambi
detti atti, nei procedimenti nei quali
s’inseriscono –di rilascio della concessione
edilizia ordinaria ovvero in sanatoria–
svolgono sempre la stessa funzione di
presupposto per l’assentimento del titolo
che legittima la trasformazione
urbanistico-edilizia.
In ogni caso, si deve rilevare che ogni
dubbio è stato risolto dall’art. 1 della L.
13.03.1988 n. 68, secondo cui “per le
aree soggette al vincolo paesistico ai sensi
della L. 29.06.1939 n. 1497 e successive
modificazioni e del D.L. 27.06.1985 n. 312,
convertito, con modificazioni, dalla L.
08.08.1985 n. 431, il parere prescritto
dall’art. 32 della L. 28.02.1985 n. 47 è
reso del nono comma dell’art. 82 del D.P.R.
24.07.1977 n. 616, come modificato dal
citato D.L. 27.06.1985 n. 312…”.
Come pure precisato dalle summenzionate
decisioni della Sezione, il rinvio operato
da tale norma al nono comma dell’art. 82 non
può essere limitato all’individuazione del
soggetto chiamato ad esprimere il parere di
cui all’art. 32 citato, ma comprende anche
la restante disciplina ed in particolare il
potere di annullamento del Ministro dei
pareri favorevoli rilasciati dalle Regioni o
dagli Enti subdeledgati.
Sotto il profilo funzionale, il parere ex
art. 32 è assimilabile all’autorizzazione
paesaggistica intesa come strumento di
gestione del vincolo, per cui l’annullamento
ministeriale, posto ad estrema difesa del
vincolo, non può non comprendere anche la
valutazione di compatibilità paesistica da
effettuare in sede di condono.
In definitiva, il modello prescelto dal
legislatore nazionale con la legge n. 431
del 1985 per la realizzazione di un valore
primario, quale quello del paesaggio,
espressamente previsto dalla Costituzione
(art. 9, secondo comma), è caratterizzato da
un rapporto di concorrenza fra competenze
statali e competenze regionali, improntato
nel loro svolgimento al principio di leale
collaborazione. Tale modello di gestione del
“paesaggio” deve trovare applicazione
anche in sede di attuazione della legge sul
condono edilizio, essendo evidente che pure
in tale ipotesi deve essere valutata la
compatibilità della res abusiva con
le esigenze di salvaguardia del vincolo.
---------------
Parimenti fondato è il secondo motivo di
appello con il quale la difesa
dell’Amministrazione ha sostenuto che le
misure sanzionatorie previste dall’art. 15
della legge n. 1439 del 1939 devono essere
comminate anche in presenza del solo
comportamento colposo o doloso da parte di
chi ha commesso l’abuso, prescindendo
dall’esistenza del danno ambientale.
Tale articolo va, infatti, interpretato nel
senso che l’indennità ivi prevista per abusi
edilizi in zone soggette a vincolo
paesaggistico non costituisce un’ipotesi di
risarcimento del danno ambientale, ma
rappresenta una sanzione amministrativa,
applicabile sia nel caso di illeciti
sostanziali (cioè nel caso di compromissione
dell’integrità paesaggistica) sia in ipotesi
di illeciti formali, come deve ritenersi il
caso della violazione dell’obbligo di
conseguire l’autorizzazione preventiva a
fronte di un intervento compatibile col
contesto paesistico oggetto della protezione
(cfr., di recente, C.d.S., Sez. IV,
25.11.2003 n. 7765 e Sezione VI, 15.05.2003,
n. 2653)
(Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 28.07.2006 n. 4690 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
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