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AGGIORNAMENTI PREGRESSI mese di NOVEMBRE 2011

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aggiornamento al 30.11.2011

aggiornamento al 28.11.2011

aggiornamento al 24.11.2011

aggiornamento al 23.11.2011

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aggiornamento al 02.11.2011

 

 

 

 

 

 

 

AGGIORNAMENTO AL 30.11.2011

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QUESITI & PARERI

APPALTI SERVIZI: Servizi di Igiene Ambientale, l'avvicendamento di imprese nella gestione di appalti.
Domanda.
In caso di gara per Servizi di Igiene Ambientale l'obbligo per l'aggiudicatario di assumere il personale della ditta uscente previsto dal Contratto Collettivo Nazionale, comporta anche l'obbligo di rispettare il tipo di contratto in corso, per cui se i lavoratori da assorbire sono assunti a tempo pieno non è possibile proporre nel progetto offerta la loro assunzione part-time?
Risposta.
Il tema dell'avvicendamento di imprese nella gestione di appalti per l'espletamento dei Servizi di Igiene Ambientale viene compiutamente disciplinato dall'art. 6 del C.C.N.L. di settore.
Ivi si legge testualmente come: "L'impresa subentrante assume "ex novo", senza effettuazione del periodo di prova, tutto il personale in forza a tempo indeterminato -ivi compreso quello in aspettativa ai sensi dell'art. 31 della legge n. 300/1970 nonché quello di cui all'art. 59, lettera c), del vigente C.C.N.L.- addetto in via ordinaria allo specifico appalto/affidamento che risulti in forza presso l'azienda cessante nel periodo dei 240 giorni precedenti l'inizio della nuova gestione in appalto/affidamento previsto dal bando di gara e alla scadenza effettiva del contratto di appalto".
La possibilità di assumere il personale in forza alla vecchia gestione prevedendo una diversa tipologia contrattuale, ovvero prevedendo un mutamento delle modalità di svolgimento dell'attività lavorativa segnatamente all'orario di lavoro, quindi in concreto attuando una trasformazione da contratto di lavoro a tempo pieno a quello a tempo parziale appare di dubbia fattibilità.
Occorre infatti verificare se il nuovo appalto risulta sostanzialmente differente o meno da quello precedentemente in atto in quanto a termini, modalità e prestazioni contrattuali.
Nella prima ipotesi, visto l'oggettivo mutamento delle condizioni di fornitura apparirebbe anche plausibile una trasformazione delle modalità di svolgimento dell'attività lavorativa, dovuta alle mutate esigenze tecnico-organizzative di esecuzione di un appalto sostanzialmente diverso da quello per cui i lavoratori erano assunti con l'azienda cessante.
Nel secondo caso, ovvero qualora ci siano le medesime condizioni di fornitura applicate già dalla ditta cessante, appare sicuramente improponibile un mutamento dei contratti di lavoro in fase di assunzione "ex novo", in ottemperanza a quanto stabilito dall'art. 6 e dal successivo art. 10 del C.C.N.L. di settore.
Quest'ultimo prevede infatti come: "La trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale e viceversa deve avvenire con il consenso delle parti, le quali possono stabilire le condizioni per il ripristino del rapporto originario. Tale consenso deve risultare da atto scritto, convalidato dalla Direzione provinciale del lavoro competente per territorio".
Pertanto una volta assunti i lavoratori a tempo pieno, così come provenienti dall'azienda cessante, sarà nel caso possibile avviare tali consultazioni tese alla modifica dell'orario di lavoro, con la possibilità in capo agli stessi lavoratori di opporre validamente un rifiuto insindacabile (28.11.2011 - tratto da www.ipsoa.it).

DOTTRINA E CONTRIBUTI

ATTI AMMINISTRATIVI: R. Mancuso, La responsabilità della P.A. per i danni al cittadino (link a www.filodiritto.com).

APPALTI SERVIZI: C. Rapicavoli, L’affidamento dei servizi pubblici locali - La normativa vigente dopo la legge di stabilità (link a www.filodiritto.com).

NOTE, CIRCOLARI E COMUNICATI

PUBBLICO IMPIEGO - VARI: OGGETTO: Visite mediche di controllo domiciliare – Verbale Informatico delle visite (INPS, circolare 28.11.2011 n. 150).

PUBBLICO IMPIEGO: Al via il nuovo fondo pensione per i dipendenti delle Regioni, degli Enti Locali e della Sanità (COVIP - Commissione di vigilanza sui fondi pensione, comunicato stampa 24.11.2011).

APPALTI SERVIZI: Prima nota sulle modifiche dell’articolo 9 della legge 183/2011, c.d. legge di stabilità 2012, apportate all’articolo 4 del dl 138/2011, in materia di servizi pubblici locali di rilevanza economica (ANCI, nota 15.11.2011).

CORTE DEI CONTI

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Spese di formazione rimborsate da altri Enti.
La Corte dei Conti Sez. Reg.le Toscana, con parere 23.11.2011 n. 509, su quanto in oggetto, così conclude:
"... si ritiene che il comune possa escludere dal calcolo del tetto di spesa ai fini dell'applicazione dell'art. 6, comma 13, della L. 122/2011, le spese necessarie all'organizzazione dei corsi di formazione anche per conto di un'altra amministrazione ed erogate da quest'ultima, sempreché l'importo in questione sia computato dall'ente erogante nel conteggio della propria spesa di formazione al fine di evitare facili elusioni della norma limitativa (qualora quest'ultimo si compreso nei destinatari della norma di cui all'art. 6, comma 13, della L. 122/2011)" (tratto da www.publika.it).

INCARICHI PROFESSIONALI: Incarichi professionali esterni e danno erariale.
La Corte dei Conti Sez. Giurisdizionale per il Lazio, con sentenza 18.11.2011 n. 1619, decide su un contenzioso relativo a quanto in oggetto, riconoscendo responsabilità patrimoniale e, conseguentemente, condanna al risarcimento del danno erariale.
Emergono, nonostante i fatti esaminati risalgano ad anni passati, interessati principi e spunti di riflessione, fra i quali:
- le "notevoli difficoltà incontrate dall'ente comunale nella gestione ed organizzazione" è riferimento del tutto generico e non legittimante il ricorso ad incarico di consulenza esterna;
- le problematiche afferenti al personale costituiscono un momento indefettibile dei poteri di organizzazione e di ordinamento delle risorse professionali e umane del Comune e, quindi, costituisce un ingiustificato pregiudizio economico, anche per la notevole spesa sostenuta, l'incarico al consulente estraneo all'Amministrazione a fronte di non identificati contributi consulenziali e legali;
- non è adeguatamente motivata la carenza di professionalità interne adeguate a far fronte alle esigenze dell'ente;
- la violazione delle norme è palese anche sotto l'aspetto che la estrema genericità dell'oggetto della consulenza e la mancata previsione di riscontri documentali (redazione di studi e pareri) inibisce di verificare il rispetto della vera finalità della norma che è quella di escludere che ordinarie attività siano affidate all'esterno con incarichi di consulenza
(tratto da www.publika.it).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Proventi art. 208 Codice della Strada.
La Corte dei Conti Sez. Reg.le Veneto, con parere 17.11.2011 n. 403, conferma gli orientamenti consolidati secondo cui il finanziamento del trattamento economico del personale, mediante i proventi da sanzioni amministrative conseguenti a violazioni del codice della strada, rientra nelle spese di personale e, conseguentemente, deve essere effettuato nel rispetto dei vincoli vigenti, tra i quali quello di cui all'art. 9, comma 2-bis, del D.L. 78/2010 convertito in legge n. 122/2010 (tratto da www.publika.it).

ENTI LOCALI - SEGRETARI COMUNALI: Tagli al trattamento economico del Segretario Comunale incaricato delle funzioni di Direttore Generale ed altre fattispecie.
La Corte dei Conti Sez. Reg.le Veneto, con parere 17.11.2011 n. 400:
1) rimette alle Sezioni Riunite la seguente questione di massima "...se la decurtazione del dieci per cento prevista dall'articolo 6, comma 3, del decreto legge 31.05.2010, n. 78, convertito nella legge 30.07.2010 n. 122, vada applicata all'indennità, prevista dall'art. 44 del C.C.N.L. dei segretari comunali e provinciali, corrisposta al segretario generale ....incaricato, ai sensi dell'art. 108 del d.lgs. 267/2000, delle funzioni di direttore generale";
2) conferma l'orientamento consolidato in base al quale i compensi del Difensore Civico sono assoggettati alla decurtazione (taglio lineare del 10%) di cui all'art. 6, comma 3, del D.L. 78/2010, in quanto aventi carattere indennitario;
3) relativamente alla nomina di membri di CDA di società a totale partecipazione pubblica, effettuata direttamente dall'Assemblea societaria, in favore di soggetti titolari di cariche elettive in amministrazioni locali diverse, declina: "in base ad una stretta interpretazione letterale della disposizione in esame, ritiene che qualora il soggetto che conferisca l'incarico sia una società non ricompresa nell'elenco di cui ai commi 2 e 3 della legge 196/2009 (soggetti che compongono il settore istituzionale delle amministrazioni pubbliche individuati dall'ISTAT), non trovi applicazione il ricordato art. 5, comma 5", (che preclude ogni forma di retribuzione per lo svolgimento di qualsiasi incarico conferito dalle pubbliche amministrazioni, fatto salvo il solo rimborso delle spese sostenute ed eventuali gettoni di presenza di importo comunque non superiore a 30 euro a seduta) (tratto da www.publika.it).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Progressioni orizzontali.
Con parere 16.11.2011 n. 399, la Corte dei Conti Sez. Reg.le Veneto esamina i seguenti quesiti del Comune di Vigonza:
"1. quale sia il fondamento normativo, nel contesto dei CCNL applicabili agli enti locali, che consente un passaggio con effetti meramente giuridici in relazione alle progressioni orizzontali;
2. se, eventualmente attivate dall'Amministrazione comunale delle progressioni economiche nel corso degli anni 2011-2013, le risorse economiche del fondo per la produttività utilizzate allo scopo debbano essere vincolate (congelate) per l'intero triennio ed essere rese disponibili agli aventi diritto solo dal 2014;
3. se, nel caso di cui al precedente punto 2, il maturato economico dei dipendenti interessati alle predette progressioni orizzontali debba comunque essere garantito a far data dal 2014.
"
La Corte, sinteticamente, si esprime cose segue:
"Dalla disciplina emerge, in particolare, come il legislatore consideri l'istituto delle 'progressioni orizzontali' nel quadro di una più generale cristallizzazione stipendiale ai valori percepiti nel 2010, a mente del disposto di cui al primo comma dell'art. 9 della più volte richiamata legge n. 122/2010 di conversione del D.L. n. 78/2010."
Riguardo a punti 1 e 2, richiamati i contenuti della circolare della Ragioneria Generale dello Stato n. 12 del 15.04.2011, conclude:
"...l'approvazione di progressioni orizzontali con effetti economici o il riconoscimento di trattamenti retributivi accessori (che determinano effetti finanziari sul bilancio dell'ente), in mancanza di precisi accordi (che debbono essere stipulati in sede di contrattazione decentrata anteriormente al periodo di riferimento dell'accordo e non a sanatoria), nei quali siano stati determinati ex ante le modalità di esecuzione delle prestazioni accessorie o i presupposti per il conseguimento delle progressioni, potrebbe determinare responsabilità erariale a carico del soggetto che ha formalmente autorizzato la liquidazione delle relative somme" (tratto da www.publika.it).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Gli incentivi ICI devono transitare dal fondo.
La Corte dei Conti, Sez. giurisdiz. Puglia, con sentenza 20.09.2011 n. 1006, ravvisa responsabilità patrimoniale in caso di liquidazione dei compensi incentivanti il recupero dell'evasione ICI effettuata al di fuori del fondo per la contrattazione decentrata.
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Con atto di citazione del 29.11.2010, la Procura regionale presso la sezione giurisdizionale della Corte dei conti della Puglia conveniva in giudizio il Sig. ... per sentirlo condannare al pagamento della somma complessiva di € 28.000,00, oltre interessi legali e spese di giudizio, per avere lo stesso, in qualità di dirigente del settore economico e finanziario del Comune di Cerignola, provveduto alla liquidazione in proprio favore di detta somma, quale compenso incentivante a favore del personale addetto al potenziamento degli uffici tributari comunali, contravvenendo così alla normativa vigente che non consente l’erogazione diretta di compensi in favore della dirigenza locale.
Più precisamente, la Procura contesta che detta percentuale del gettito ICI, che ai sensi della l. 662/1996 (art. 3, comma 57) e della l. 446/1997 (art. 59) può essere destinata al personale addetto al potenziamento degli uffici tributari, previa adozione di specifico regolamento comunale, sia stata liquidata dall’odierno convenuto, per la parte di propria spettanza, direttamente a sé stesso, senza confluire, come dispone la normativa in materia per la dirigenza, nell’apposito fondo istituito presso ciascuna amministrazione ove, necessariamente, devono convergere le risorse destinate alla retribuzione di posizione e di risultato dei dirigenti.
L’art. 24, comma 3, d.lgs. 165/2001, dispone, infatti, che i compensi dovuti dai terzi (tra i quali, ai sensi della dichiarazione congiunta 4 del CCNL 2002–2005, anche quelli derivanti dall’applicazione dell’art. 3, comma 57, l. 662/1996 e all’art. 59, comma 1, lett. P, d.lgs. 446/1997), sono corrisposti direttamente alla medesima amministrazione e confluiscono nelle risorse destinate al trattamento economico accessorio della dirigenza.
Nel caso de quo, dunque, con l’attribuzione delle risorse destinate al fondo direttamente effettuata dall’odierno convenuto a sé medesimo, si è sottratta alla fonte di finanziamento della retribuzione di posizione e di risultato dei dirigenti, la somma di € 28.000, determinandosi, così, un danno erariale pari alla somma allontanata dalla sua specifica destinazione. (... continua) (link a www.corteconti.it).

NEWS

ENTI LOCALI: Le tappe del "cronoprogramma" delle Unioni di piccoli Comuni.   
Tra le novità introdotte dalla "manovra-bis" (legge 148/201, entrata in vigore il 17.09.2011), sono di forte impatto le numerose norme contenute nell'articolo 16 e che mutano profondamente l'assetto ordinamentale e quello fiscale dei piccoli Comuni e delle Unioni da essi costituite. ... (articolo Il Sole 24 Ore del 28.11.2011 - tratto da www.ecostampa.it).

CONSIGLIERI COMUNALI: Auto propria ferma allo stop del rimborso. Il Dm richiama un Ccnl disapplicato.
Il 3 novembre è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il decreto del 04.08.2011 che fissa il rimborso delle spese di viaggio e di soggiorno per gi amministratori locali. ... (articolo Il Sole 24 Ore del 28.11.2011 - tratto da www.ecostampa.it).

ENTI LOCALI: Per le assunzioni a tempo c'è il rebus delle quote.
Ora che la legge di stabilità è stata approvata, per gli enti locali iniziano i dubbi operativi in materia di assunzioni. Secondo la legge 183/2011, gli enti soggetti al patto di stabilità potranno assumere a tempo indeterminato nel limite del 20% della spesa delle cessazioni dell'anno precedente. Sulle forme di lavoro flessibile viene, invece, posta la percentuale del 50% rispetto alla spesa complessiva sostenuta per lo stesso titolo del l'anno 2009.
Ed è proprio su quest'ultimo aspetto che si concentrano le domande. Il comma 28 dell'articolo 9 del Dl 78/2010, così come modificato dalla legge di stabilità, prevede due tipologie di limitazioni. Da una parte indica che ci si può avvalere di personale con contratto a tempo determinato, con convenzioni e con contratti di collaborazione continuativa nel limite del 50% della spesa sostenuta nel 2009. Dall'altra, la stessa percentuale vale per le assunzioni relative a contratti di formazione lavoro, altri rapporti informativi, alla somministrazione di lavoro e al lavoro accessorio. Dal punto di vista letterale, siamo in presenza di due gruppi di fattispecie lavorative: ci si chiede, quindi, se il calcolo debba avvenire complessivamente sulle forme di lavoro flessibile di cui all'articolo 36 del Dlgs 165/2001, aggiungendo le spese per le collaborazioni coordinate e continuative, o se sia preferibile seguire il dettato letterale della disposizione che tiene separate le varie attività.
Nel comparto degli enti locali vi sono, inoltre, altre due tipologie di prestazioni lavorative da monitorare attentamente. La prima è quella contenuta nell'articolo 110 del Dlgs 267/2000, che disciplina gli incarichi a contratto. In questo caso la norma sembra completamente definita, ancorché integrata dall'articolo 19 comma 6 del Dlgs 165/2001: sembrerebbe, quindi, che non si possa applicare la limitazione del 50% della spesa sostenuta nel l'anno 2009. L'altra norma è l'articolo 90 del medesimo Tuel, che disciplina le assunzioni a tempo determinato negli uffici in staff degli amministratori. In questo caso, poiché non vi è alcun vincolo di spesa su tali prestazioni, potrebbe invece scattare il nuovo vincolo introdotto dalla legge di stabilità.
In base a considerazioni di logica e razionalità si potrebbero invece escludere dal calcolo le assunzioni di lavoro flessibile effettuate con trasferimenti da parte della Ue per la realizzazione di progetti specifici.
Inoltre, è vero che la legge di stabilità ha fatto chiarezza sulle percentuali da applicare alle assunzioni, ma va evidenziata la criticità gestionale per quelle amministrazioni che nel 2009 avevano avuto una spesa particolarmente bassa, o addirittura pari a zero, per le tipologie flessibili. Come comportarsi in questi casi?
La Corte dei conti della Lombardia, nella delibera 227/2011, ha affrontato una questione simile, relativa però agli incarichi di studio e consulenza. I giudici contabili hanno ritenuto che la norma in questione, per quegli enti locali che nel 2009 non hanno sostenuto alcuna spesa a tale titolo, va applicata individuando un diverso parametro di riferimento: il limite diventa quello della spesa strettamente necessaria che l'ente locale sosterrà nel l'anno in cui ci sarà bisogno di conferire un incarico di consulenza o di studio.
Quest'ultimo limite di spesa, a sua volta, diverrà il parametro finanziario per gli anni successivi. Ci si chiede se si potrà applicare lo stesso principio anche per le assunzioni di lavoro flessibile (articolo Il Sole 24 Ore del 28.11.2011 - tratto da www.corteconti.it).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Efficienza, il premio può avvantaggiare chi non ha tagliato.
Si bloccano i trattamenti economici individuali, si pongono tetti ai fondi per le risorse decentrate, ma quali possono essere gli effetti dei piani di razionalizzazione sulla spesa di personale?
La domanda sorge spontanea dalla lettera della circolare 11.11.2011 n. 13/2011 della Funzione pubblica, firmata in zona Cesarini dal ministro Brunetta. Questione che, allo stato attuale, non sembra avere risposta.
La circolare detta le istruzioni operative che consentono alle amministrazioni di destinare ai dipendenti una quota significativa del cosiddetto "dividendo per l'efficienza", introdotto dall'articolo 16, comma 5, della prima manovra estiva (Dl 98/2011). La procedura non è semplice e scontata ma, in sostanza, consiste nel destinare alla contrattazione decentrata fino al 50% dei maggiori risparmi che le amministrazioni conseguono rispetto a quanto già imposto dalle varie manovre finanziarie. Chi intende imboccare questa strada, dovrà approvare entro il 31 marzo di ogni anno un piano di razionalizzazione che quantifichi la spesa iniziale e le ulteriori economie che intende conseguire.
A consuntivo, dovranno essere verificati i risultati ottenuti, che andranno certificati dall'organo di revisione. Gli ambiti nei quali ci si può muovere sono molto ampi e vanno dalla semplificazione amministrativa ai costi della politica, dagli incarichi alle partecipate agli oneri per consulenze.
Le cose sembrano quasi scontate e potrebbero rappresentare un nuovo modo di procurarsi risorse fresche, superando gli ormai troppo rischiosi meccanismi introdotti con la privatizzazione del rapporto di lavoro del 1999. Non a caso le organizzazioni sindacali stanno spingendo per l'applicazione di questo istituto. Con ogni evidenza, ci sono ampi spazi per un uso non proprio ortodosso del dividendo per l'efficienza.
In primo luogo si dovrebbe partire da dati finanziari certi, che dovrebbero avere già scontato gli sforzi imposti nel corso degli anni precedenti dalla varie manovre finanziarie. Poiché questi non sempre sono stati scrupolosamente rispettati, e soprattutto analiticamente certificati, il punto di partenza potrebbe celare delle criticità trasformando quello che dovrebbe essere un dividendo dell'efficienza in un dividendo dell'inefficienza. Il meccanismo proposto va in modo inspiegabile a premiare proprio i dipendenti di quelle amministrazioni che storicamente sono state più cicale che formiche. Chi, infatti, non si è preoccupato di adeguarsi o di contenere le spese, oggi avrà ampio spazio per distribuire: un vero e proprio encomio ai meno virtuosi.
Il premio si colloca all'interno di un contesto normativo molto rigido che impone il blocco dei fondi al valore del 2010. La faticosa interpretazione della magistratura contabile ha escluso che vi possano essere delle deroghe se non in tema di progettazione e avvocatura. Per altro verso la manovra estiva non si è preoccupata di prendere posizione su questo punto decisivo. In caso di interpretazione restrittiva, ancora una volta, ne avrebbero beneficio gli enti che nel 2010 avevano spinto sull'acceleratore delle risorse variabili creandosi una zoccolo duro elevato che oggi potrebbe fare da alveo al nuovo premio che tutto sembra essere tranne che dell'efficienza (articolo Il Sole 24 Ore del 28.11.2011 - tratto da www.ecostampa.it).

CONDOMINIO: Il fotovoltaico conviene a casa. Il Quarto conto energia premia gli impianti di piccola taglia. Guida all'installazione dei pannelli nel proprio condominio. Serve la delibera assembleare.
Il Quarto conto energia ha ridotto gli incentivi per la produzione di energia elettrica dal fotovoltaico, premiando comunque (con una limatura dei bonus meno pesante) gli impianti integrati e di piccola taglia. Installare, quindi, i pannelli fotovoltaici in condominio può continuare a essere un'opzione interessante, a patto di fare attenzione a tempistiche e costi.
Vediamo come muoversi e cosa sapere se si decide di realizzare l'impianto.
Cosa sapere se si sceglie di installare i pannelli nel proprio condominio. I condomini che scelgono di installare un impianto fotovoltaico sul proprio edificio devono produrre una delibera assembleare, corredata anche da un progetto tecnico e da un'analisi di fattibilità da parte del fornitore. La maggioranza richiesta è quella semplice delle quote millesimali rappresentate dagli intervenuti in assemblea. L'impianto, quindi, può essere usato per soddisfare il bisogno di energia delle parti comuni, abbattendo i costi per l'utilizzo dell'ascensore o per l'illuminazione di scale e giardini.
Un risultato ottenibile grazie al regime di «scambio sul posto», il più indicato se l'impianto è dimensionato su tali consumi annui o sottodimensionato rispetto a essi. Da ricordare, però, che l'impianto condominiale non può essere usato per rifornire di energia i singoli appartamenti. Se il condomino intende procedere in questo senso deve farsi carico della realizzazione dell'impianto personale e ottenere il consenso dall'assemblea condominiale.
In caso di surplus di energia, quindi se l'impianto risulta sovradimensionato rispetto ai consumi annui, inoltre, il condominio può decidere di vendere l'energia in eccesso al Gse (Gestore dei servizi energetici), con il servizio di «ritiro dedicato». In entrambi i casi, al guadagno derivante dell'autoconsumo o dalla vendita dell'energia si aggiungono anche gli incentivi previsti dal Quarto conto energia, che in sostanza permettono di ripagarsi l'impianto.
Quali autorizzazioni sono necessarie. Per poter portare avanti l'operazione sono poi necessari anche dei permessi ad hoc, in base soprattutto ai requisiti dell'impianto da installare. Possono infatti esserci due casi. Nel primo, gli impianti fotovoltaici integrati nei tetti degli edifici con la stessa inclinazione e lo stesso orientamento della falda, la cui superficie non sia superiore a quella del tetto stesso e i cui componenti non modifichino la sagoma della costruzione, sono considerati interventi di manutenzione ordinaria e quindi non richiedono la Denuncia di inizio attività (Dia).
In questo caso, è, quindi, sufficiente una comunicazione preventiva al comune. Se, invece, la costruzione dell'impianto non rientra in questi parametri è soggetta alla Dia, a condizione che la superficie complessiva dei moduli fotovoltaici dell'impianto non sia superiore a quella del tetto dell'edificio sul quale i moduli sono collocati.
L'iter da seguire. Ci sono poi dei passaggi a carico dell'amministratore di condominio che devono essere effettuati per portare a termine l'operazione. In primo luogo, l'amministratore deve richiedere uno studio di fattibilità gratuito ad almeno tre installatori locali; convocare l'assemblea condominiale e, infine, dare inizio all'esecuzione dei lavori, con l'allaccio in rete e la richiesta degli incentivi al Gestore dei servizi energetici. Una volta ottenuto il finanziamento, i lavori si aprono in 30 giorni e si concludono nel giro di un paio di settimane.
Gli incentivi. Per quanto riguarda gli incentivi, il Quarto conto energia (decreto interministeriale del 5 maggio 2011) prevede che, per le installazioni realizzate entro il 2012, le tariffe incentivanti vanno dai 32 centesimi di euro a Kw di novembre 2011 ai 25 centesimi del secondo semestre 2012; inoltre, è possibile rivendere al Gse l'energia prodotta e non autoconsumata, che ai prezzi correnti di mercato vale circa 10 centesimi a Kw.
Fatti i dovuti calcoli si può azzerare la bolletta elettrica e si possono conseguire discreti guadagni, nell'arco di 20 anni di durata dell'incentivo. E visto che gli incentivi diminuiscono con il passare del tempo, prima si allaccia l'impianto e più conveniente è la tariffa. Dal 2013, infatti, sarà onnicomprensiva e inclusiva anche del valore dell'energia ma la quota incentivante dovrebbe ridursi di circa 20 centesimi.
Le possibilità di finanziamento. Calcolando che i costi di installazione dell'impianto si aggirano in genere intorno ai 15-20 mila euro, può essere utile valutare la strada dei finanziamenti bancari. Per procedere, l'amministratore deve ottenere una delega dall'assemblea condominiale e presentare un business plan.
La valutazione di quanto può essere finanziato viene elaborata dalla banca interpellata sulla base del valore catastale dell'intero immobile. Il finanziamento viene di solito erogato per una durata di 15-18 anni, mentre il Quarto conto energia incentiva per 20 anni. In genere sono gli ultimi anni ad essere fonte di forte utile netto, mentre quelli precedenti solitamente permettono un pareggio, oltre che l'abbattimento della bolletta elettrica condominiale di circa l'80%.
La banca richiede, infine, la stipula di un'assicurazione all risks, che copre per pochi euro a Kw da furti, atti di vandalismo, danneggiamento da eventi atmosferici e da mancata produzione per qualsiasi motivo (articolo ItaliaOggi Sette del 28.11.2011).

GIURISPRUDENZA

CONDOMINIO: Condominio, la comunione è prevalente sulle distanze.
Il condomino può installare tre pensiline su un bene comune anche se non rispettano le norme sui rapporti di vicinato. Le regole sulle distanze legali, infatti, sono applicabili anche nei rapporti tra i condomini quando siano compatibili con l'applicazione delle disposizioni particolari relative alle cose comuni, ma in caso di contrasto prevale, quale diritto speciale, la disciplina della comunione. L'importante, quindi, è che il condomino non alteri la destinazione del bene e non ne impedisca l'altrui pari uso.
Sono queste le rilevanti conclusioni raggiunte dalla Corte di cassazione con la sentenza n. 22092/2011 che ha respinto il ricorso del proprietario di un appartamento posto al primo piano di un condominio nei confronti di quello dell'alloggio sottostante.
Il ricorrente si è rivolto al tribunale denunciando che il condomino del piano terra aveva realizzato tre pensiline di materiale plastico con intelaiatura in ferro ledendo in tal modo l'estetica della facciata e violando il diritto di veduta e le norme sulle di distanze legali. Ha chiesto, perciò, la rimozione delle opere eseguite facendo presente che era a rischio anche la sua sicurezza, dal momento che, attraverso la pensilina, era possibile accedere facilmente al suo appartamento.
I giudici hanno respinto la domanda sia in primo che in secondo grado. In particolare la Corte d'appello ha affermato che i manufatti erano stati realizzati con materiale elegante, trasparente e in armonia con le caratteristiche strutturali e le linee estetiche del fabbricato, svolgendo una funzione di obiettiva utilità per il condomino del piano terra. Inoltre il pericolo per la sicurezza dell'appartamento del primo piano era pressoché inesistente in quanto la lastra in policarbonato che avrebbe potuto fornire una base di appoggio per salire era estremamente fragile e non avrebbe retto il peso di una persona.
La vicenda è quindi approdata in Cassazione dove il ricorrente ha sostenuto che i giudici erano incorsi in un grave errore perché avevano ritenuto che nell'ambito condominiale le norme che regolano i rapporti di vicinato trovano applicazione solo in quanto compatibili con le norme sulla comunione. In pratica, a suo dire, il collegio avrebbe sacrificato il suo diritto di sicurezza e di veduta per privilegiare quello relativo alla protezione dagli agenti atmosferici del condomino sottostante.
La Cassazione, nel respingere definitivamente il ricorso, ha stabilito che le norme sulle distanze legali sono applicabili anche in ambito condominiale purché non contrastino con le norme particolari relative alle cose comuni, perché in questo caso prevalgono queste ultime. In considerazione della peculiarità del condominio, ha spiegato la Cassazione, la disciplina che regola il godimento dei beni, degli impianti e dei sevizi comuni «ha natura speciale rispetto alla normativa che, nell'ambito dei rapporti di vicinato, stabilisce le limitazioni legali tra proprietà confinanti».
In definitiva, il diritto del singolo condomino sulle cose comuni trova solo il limite di «non sacrificare ma di consentire il potenziale pari uso della cosa da parte degli altri partecipanti» (articolo Il Sole 24 Ore del 28.11.2011).

CONDOMINIO: È contro la privacy esporre i dati in bacheca. L'esposizione di alcuni dati in bacheca può essere contraria al diritto di privacy.
Secondo la recente sentenza n. 186/2011 della Corte di Cassazione, infatti, gli spazi condominiali aperti all'accesso a terzi estranei al condominio non possono essere utilizzati per la comunicazione dei dati personali riferibili al singolo condomino.
Uno dei problemi principali degli amministratori è in effetti di tutelare la riservatezza dei singoli condomini e, nel contempo, il diritto del condominio nel suo insieme di essere a conoscenza di fatti riguardanti il bene comune. Un esempio è quello del condomino moroso sulle spese. I giudici della Suprema corte hanno però specificato che anche i dati dei condomini raccolti per la gestione della cosa comune, compresi gli eventuali debiti di ciascuno nei confronti del condominio, rientrano nell'ambito dei dati personali.
L'amministratore, pertanto, è autorizzato a raccogliere, registrare, conservare, esibire le informazioni necessarie per la gestione e l'amministrazione della cosa comune e a comunicarle anche a tutti gli altri partecipanti, ma, allo stesso tempo, deve adottare le opportune cautele per evitare l'accesso a quei dati da parte di persone estranee al condominio. Un diritto alla riservatezza che deve, quindi, sempre prevalere sulle esigenze di efficienza (articolo ItaliaOggi Sette del 28.11.2011).

ENTI LOCALI: Va dichiarata l’illegittimità costituzionale dei commi 2 e 4 dell’art. 49 della legge della Regione Lombardia 12.12.2003, n. 26 (Disciplina dei servizi locali di interesse economico generale. Norme in materia di gestione dei rifiuti, di energia, di utilizzo del sottosuolo e di risorse idriche), introdotti dall’art. 1, comma 1, lettera t), della legge della Regione Lombardia 27.12.2010, n. 21, recante «Modifiche alla legge regionale 12.12.2003, n. 26 (Disciplina dei servizi locali di interesse economico generale. Norme in materia di gestione dei rifiuti, di energia, di utilizzo del sottosuolo e di risorse idriche), in attuazione dell’articolo 2, comma 186-bis, della legge 23.12.2009, n. 191».
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... nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, lettera t), della legge della Regione Lombardia 27.12.2010, n. 21, recante «Modifiche alla legge regionale 12.12.2003, n. 26 (Disciplina dei servizi locali di interesse economico generale. Norme in materia di gestione dei rifiuti, di energia, di utilizzo del sottosuolo e di risorse idriche), in attuazione dell’art. 2, comma 186-bis, della legge 23.12.2009, n. 191», promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 25 febbraio-02.03.2011, depositato in cancelleria il 1° marzo 2011 ed iscritto al n. 12 del registro ricorsi 2011.
...
2.1. – Con riferimento alla prospettata violazione dell’art. 117, secondo comma, Cost., la questione è fondata nei limiti qui di séguito precisati.
2.1.1. – Al momento dell’emanazione della legge regionale recante la disposizione impugnata, era già vigente il principio generale stabilito –per tutti i servizi pubblici locali (SPL) di rilevanza economica (salvo quelli afferenti ad alcuni specifici settori, tassativamente indicati dalla legge statale)– dalla prima parte del comma 2 dell’articolo 113 del citato TUEL, secondo cui «Gli enti locali non possono cedere la proprietà degli impianti, delle reti e delle altre dotazioni destinati all’esercizio dei servizi pubblici», salva la possibilità, prevista dal successivo comma 13, di «conferire la proprietà» dei beni medesimi «a società a capitale interamente pubblico, che è incedibile», purché tale conferimento «non sia vietato dalle normative di settore». Sempre al momento dell’emanazione della stessa legge regionale vigeva anche il comma 5 dell’art. 23-bis del decreto-legge n. 112 del 2008 il quale, con riguardo in genere ai SPL di rilevanza economica, stabiliva –in parziale contrasto con detto comma 13 dell’art. 113 del TUEL– che, «Ferma restando la proprietà pubblica delle reti, la loro gestione può essere affidata a soggetti privati».
La disposizione regionale censurata prevede, sia pure con riferimento alle sole infrastrutture idriche, un caso di cessione ad un soggetto di diritto privato –la società patrimoniale d’àmbito a capitale pubblico incedibile– di beni demaniali e, perciò, incide sul regime giuridico della proprietà pubblica. Essa va, pertanto, ascritta alla materia ordinamento civile, riservata alla competenza legislativa esclusiva dello Stato, ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost. Ne segue che la Regione resistente è legittimata a disporre in tale materia solo ove la legge regionale costituisca attuazione di una specifica normativa statale.
2.1.2. – Nella specie, una siffatta normativa statale manca, non potendo essa essere individuata nel citato comma 13 dell’art. 113 del TUEL, nonostante che la stessa disposizione regionale impugnata lo richiami quale norma statale da attuare. Detto comma 13, infatti, non poteva costituire il fondamento della competenza legislativa regionale in tema di regime proprietario delle infrastrutture idriche, perché doveva ritenersi già tacitamente abrogato, per incompatibilità, dal comma 5 dell’art. 23-bis del decreto-legge n. 112 del 2008, il quale –come si è visto– aveva stabilito il principio secondo cui le reti sono di «proprietà pubblica»; principio evidentemente in contrasto con il richiamato comma 13, che consentiva, invece, il conferimento delle reti in proprietà a società di diritto privato a capitale interamente pubblico. Al riguardo, va osservato che la proprietà pubblica delle reti implica, indubbiamente, l’assoggettamento di queste –e, dunque, anche delle reti idriche– al regime giuridico del demanio accidentale pubblico, con conseguente divieto di cessione e di mutamento della destinazione pubblica. In particolare le reti, intese in senso ampio, vanno ricomprese, in quanto appartenenti ad enti pubblici territoriali, tra i beni demaniali, ai sensi del combinato disposto del secondo comma dell’art. 822 e del primo comma dell’art. 824 cod. civ. Il comma 1 dell’art. 143 del d.lgs. n. 152 del 2006 (anch’esso anteriore alla disposizione regionale impugnata) conferma la natura demaniale delle infrastrutture idriche, dettando una specifica normativa di settore. Esso dispone, infatti, che: «Gli acquedotti, le fognature, gli impianti di depurazione e le altre infrastrutture idriche di proprietà pubblica, fino al punto di consegna e/o di misurazione, fanno parte del demanio ai sensi degli articoli 822 e seguenti del codice civile e sono inalienabili se non nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge».
È, perciò, evidente l’incompatibilità del regime demaniale stabilito dal comma 5 dell’art. 23-bis del decreto-legge n. 112 del 2008 e dal comma l dell’art. 143 del d.lgs. n. 152 del 2006 con il conferimento in proprietà previsto dal comma 13 dell’art. 113 del TUEL.
2.1.3. – La difesa della Regione resistente obietta che la disposizione impugnata, nel prevedere espressamente l’incedibilità del capitale della società a totale partecipazione pubblica e nel richiamare il comma 13 dell’art. 113 del TUEL, garantisce il mantenimento del regime giuridico proprio dei beni demaniali conferiti in proprietà alla società patrimoniale d’àmbito.
L’obiezione non è fondata.
È noto che il patrimonio sociale costituisce una nozione diversa da quella di capitale sociale: il primo è rappresentato dal complesso dei rapporti giuridici, attivi e passivi, che fanno capo alla società; il secondo è l’espressione numerica del valore in denaro di quella frazione ideale del patrimonio sociale netto (dedotte, cioè, le passività) che è fissata dall’atto costitutivo e non è distribuibile tra i soci. Ne deriva che l’incedibilità delle quote od azioni del capitale sociale –sia essa frutto di una pattuizione fra i soci (art. 2341-bis cod. civ.) o, come nel caso di specie, di una previsione legislativa– non comporta anche l’incedibilità dei beni che costituiscono il patrimonio della società; beni, perciò, che possono liberamente circolare e che integrano la garanzia generica dei creditori (art. 2740 cod. civ.), limitabile solo nei casi stabiliti dalla legge dello Stato nell’esercizio della sua competenza esclusiva in materia di ordinamento civile. La sola partecipazione pubblica, ancorché totalitaria, in società di capitali non vale, dunque, a mutare la disciplina della circolazione giuridica dei beni che formano il patrimonio sociale e la loro qualificazione.
A sostegno dell’incedibilità dei beni conferiti in proprietà nella società patrimoniale d’àmbito non può invocarsi –come fa la difesa regionale– neppure il disposto dell’art. 7 del decreto-legge 15.04.2002, n. 63 (Disposizioni finanziarie e fiscali urgenti in materia di riscossione, razionalizzazione del sistema di formazione del costo dei prodotti farmaceutici, adempimenti ed adeguamenti comunitari, cartolarizzazioni, valorizzazione del patrimonio e finanziamento delle infrastrutture), convertito, con modificazioni, dalla legge 15.06.2002, n. 112, secondo cui il conferimento in proprietà di beni demaniali dello Stato alla «Patrimonio dello Stato S.p.A.», anch’essa società a capitale interamente pubblico, non comporta la modificazione del regime giuridico di tali beni, quale stabilito dagli articoli 823 e 829, primo comma, cod. civ. Tale normativa statale, infatti, non riguarda i beni demaniali degli enti pubblici territoriali considerati dalla disposizione impugnata, perché ha introdotto una speciale disciplina del regime proprietario dei soli beni demaniali dello Stato, insuscettibile di applicazione estensiva o analogica.
2.1.4. – Non può opporsi all’indicata abrogazione tacita del comma 13 dell’art. 113 del TUEL il fatto che tale comma non è stato inserito dall’art. 12, comma 1, lettera a), del regolamento di delegificazione di cui al d.P.R. 7 settembre 2010, n. 168 (Regolamento in materia di servizi pubblici locali di rilevanza economica, a norma dell’articolo 23-bis, comma 10, del decreto-legge 25.06.2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 06.08.2008, n. 133), tra le disposizioni del medesimo art. 113 abrogate ai sensi dell’art. 23-bis del decreto-legge n. 112 del 2008.
Va precisato in proposito che l’art. 23-bis ha previsto due diverse modalità di abrogazione delle norme previgenti: a) nella lettera m) del comma 10 ha affidato al Governo il potere di «individuare espressamente», con regolamento, le disposizioni abrogate ai sensi dello stesso art. 23-bis; b) nel successivo comma 11, con riferimento al solo art. 113 del TUEL, ne ha disposto l’abrogazione «nelle parti incompatibili con le disposizioni» del medesimo art. 23-bis. Nel primo caso, l’effetto abrogativo è stato differito –conformemente all’art. 17, comma 2, della legge 23.08.1988, n. 400 (Disciplina dell’attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri)– al momento dell’entrata in vigore del regolamento di delegificazione; nel secondo caso, invece, tale effetto è conseguito immediatamente dalla vigenza dell’art. 23-bis ed è accertato direttamente dall’interprete. La speciale disciplina dell’abrogazione per incompatibilità prevista per l’art. 113 del TUEL ha, dunque, lo specifico significato di far discendere l’effetto abrogativo di tale articolo unicamente dal comma 11 dell’art. 23-bis e, di conseguenza, di rendere non operante il disposto della lettera m) del precedente comma 10, che, perciò, si riferisce soltanto alle norme previgenti diverse dall’art. 113 del TUEL. Ciò trova indiretta conferma nell’alinea del comma 1 dell’art. 12 del citato regolamento di delegificazione, il quale –riferendosi cumulativamente alle disposizioni abrogate sia dell’art. 113 del TUEL (indicate nella lettera a), sia del d.lgs. n. 152 del 2006 (indicate nelle lettere b e c)– precisa che tali disposizioni «sono o restano abrogate». Con tale espressione, evidentemente, il Governo ha inteso distinguere le disposizioni di cui all’art. 113 del TUEL (lettera a), che «restano» abrogate perché l’effetto abrogativo si era già perfezionato all’atto della entrata in vigore dell’art. 23-bis, dalle altre disposizioni (lettere b e c), che «sono abrogate» a séguito dell’entrata in vigore del regolamento e, cioè, nel momento al quale la legge delegificante differisce l’effetto abrogativo.
In altri termini, il fatto che il menzionato regolamento di delegificazione non abbia ricompreso il comma 13 dell’art. 113 del TUEL tra le disposizioni abrogate non esclude che l’effetto abrogativo si sia già verificato a far data dalla promulgazione della lex posterior (art. 23-bis del decreto-legge n. 112 del 2008). E ciò indipendentemente dalla circostanza che il ricordato regolamento –adottato, come si è visto, sulla base del comma 10, lettera m), dell’art. 23-bis– è stato ormai privato del suo fondamento normativo dall’art. 1, comma 1, del d.P.R. 18.07.2011, n. 113 (Abrogazione, a seguito di referendum popolare, dell’art. 23-bis del decreto-legge n. 112 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008, e successive modificazioni, nel testo risultante a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 325 del 2010, in materia di modalità di affidamento e gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica), il quale ha dichiarato l’intervenuta abrogazione dell’intero art. 23-bis per effetto dell’esito del referendum popolare indetto con d.P.R. 23.03.2011.
2.1.5. – È necessario, infine, avvertire che il piú volte menzionato comma 13 dell’art. 113 del TUEL non ha ripreso vigore a séguito della dichiarazione –ad opera del citato art. 1, comma 1, del d.P.R. n. 113 del 2011– dell’avvenuta abrogazione dell’intero art. 23-bis del decreto-legge n. 112 del 2008 (in questo senso, specificamente, sentenza n. 24 del 2011).
Questo quadro normativo non è stato modificato neppure dal decreto-legge 13.08.2011, n. 138 (Ulteriori misure per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo), convertito, con modificazioni, dal comma 1 dell’art. 1 della legge 14.09.2011, n. 148. Il comma 28 dell’art. 4 di tale decreto, nel riprodurre letteralmente il contenuto del comma 5 dell’art. 23-bis del d.lgs. n. 112 del 2008 –abrogato, come si è visto, in seguito a referendum popolare-, ha ripristinato il principio (dettato in generale per i SPL di rilevanza economica) secondo cui, «Ferma restando la proprietà pubblica delle reti, la loro gestione può essere affidata a soggetti privati». Con riferimento al regime della proprietà delle reti, tale principio non solo è incompatibile –per le ragioni già esposte al punto 2.1.2.– con il comma 13 dell’art. 113 del TUEL, ma è espressamente dichiarato non applicabile al settore idrico dal comma 34 dello stesso art. 4 del decreto-legge n. 138 del 2011 («Sono esclusi dall’applicazione del presente articolo il servizio idrico integrato […]»). Ne deriva che questo settore continua ad essere disciplinato dalla sopra evidenziata normativa e, in particolare, dal citato art. 143 del d.lgs. n. 152 del 2006, che, come visto, prevede la proprietà demaniale delle infrastrutture idriche e, quindi, la loro «inalienabilità se non nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge».
2.2. – In conclusione, la rilevata abrogazione tacita del comma 13 dell’art. 113 del TUEL, per incompatibilità con il comma 5 dell’art. 23-bis del decreto-legge n. 112 del 2008, preclude alla Regione resistente di disciplinare, in attuazione del medesimo comma 13, il regime della proprietà di beni del demanio accidentale degli enti pubblici territoriali, trattandosi di materia ascrivibile all’ordinamento civile, riservata dall’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost. alla competenza legislativa esclusiva dello Stato. Da ciò consegue la violazione, da parte della Regione Lombardia, di tale sfera di competenza statale e, quindi, l’illegittimità costituzionale del comma 2 dell’art. 49 della legge reg. n. 26 del 2003, quale introdotto dalla disposizione impugnata.
Restano assorbiti gli altri profili di censura prospettati dal ricorrente in relazione al medesimo comma dell’art. 49.
3. – Con riguardo al comma 4 dell’art. 49 della legge reg. n. 26 del 2003, il ricorrente afferma che tale disposizione, nella parte in cui stabilisce che «l’ente responsabile dell’ATO può assegnare alla società il compito di espletare le gare per l’affidamento del servizio […]», si pone in contrasto con la seguente normativa emessa dallo Stato nell’esercizio della sua competenza legislativa esclusiva, ad esso riservata dalle lettere e), l), m) e s) del secondo comma dell’art. 117 Cost.: a) l’art. 150, comma 2, del d.lgs. n. 152 del 2006, come modificato dall’art. 12, comma 1, lettera b), del d.lgs. n. 168 del 2010, secondo cui «l’Autorità d’ambito aggiudica la gestione del servizio idrico integrato»; b) l’art. 2, comma 186-bis, della legge 23.12.2009, n. 191 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2010), il quale, prescrivendo che «le regioni attribuiscono con legge le funzioni già esercitate dall’Autorità […]», avrebbe previsto l’attribuzione di tali funzioni «in blocco ad altro, unico soggetto anziché […] l’enucleazione di una singola attribuzione da devolvere a soggetto formalmente privato isolatamente dalle rimanenti competenze».
Questa Corte deve preliminarmente rilevare che la disposizione denunciata, prevedendo la possibilità di assegnare il compito di espletare le gare per l’affidamento del servizio idrico alla società patrimoniale d’àmbito di cui al precedente comma 2 dello stesso art. 49, fa riferimento ad un soggetto la cui costituzione è prevista da una disposizione della quale è stata accertata, al punto 2, l’illegittimità costituzionale. Da tale illegittimità consegue quindi, necessariamente, anche quella del denunciato comma 4, senza che debba procedersi allo scrutinio di tale comma in base ai parametri evocati.
4. – Con riguardo al comma 6, lettera c), dell’art. 49 della legge reg. Lombardia n. 26 del 2003, secondo cui l’ente responsabile dell’ATO effettua «la definizione dei criteri per il trasferimento dei beni e del personale delle gestioni esistenti», il ricorrente afferma che tale disposizione víola le lettere e), l), m) e s) del secondo comma dell’art. 117 Cost., perché sussistono «le medesime illegittimità» già prospettate con riferimento al «collegato» comma 2 dello stesso articolo 49.
La questione non è fondata.
Il ricorrente, muovendo dalla premessa interpretativa che il denunciato comma 6, lettera c), sia «collegato» al precedente comma 2, ripropone le medesime censure prospettate in relazione a quest’ultimo comma. Detta premessa è, però, erronea, perché il comma 2 riguarda, come visto, il conferimento in proprietà delle infrastrutture idriche alla società patrimoniale d’àmbito, mentre l’impugnato comma 6, lettera c), concerne solo la definizione dei criteri per il trasferimento dei beni e del personale delle gestioni esistenti al gestore unico del servizio idrico integrato, gestore che è soggetto diverso dalla società patrimoniale d’àmbito. Risulta, quindi, evidente che non sussiste il dedotto collegamento tra il comma 2 e il comma 6, lettera c), dell’art. 49 e che, di conseguenza, le censure prospettate dal ricorrente nei riguardi della prima disposizione non possono valere con riferimento al contenuto normativo della seconda.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara l’illegittimità costituzionale dei commi 2 e 4 dell’art. 49 della legge della Regione Lombardia 12.12.2003, n. 26 (Disciplina dei servizi locali di interesse economico generale. Norme in materia di gestione dei rifiuti, di energia, di utilizzo del sottosuolo e di risorse idriche), introdotti dall’art. 1, comma 1, lettera t), della legge della Regione Lombardia 27.12.2010, n. 21, recante «Modifiche alla legge regionale 12.12.2003, n. 26 (Disciplina dei servizi locali di interesse economico generale. Norme in materia di gestione dei rifiuti, di energia, di utilizzo del sottosuolo e di risorse idriche), in attuazione dell’articolo 2, comma 186-bis, della legge 23.12.2009, n. 191»;
2) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale della lettera c) del comma 6 dell’art. 49, della legge reg. Lombardia n. 26 del 2003, introdotta dall’art. 1, comma 1, lettera t), della legge reg. Lombardia n. 21 del 2010, proposta dal Presidente del Consiglio dei ministri in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettere e), l), m) e s), della Costituzione, con il ricorso indicato in epigrafe (Corte Costituzionale, sentenza 25.11.2011 n. 320).

ATTI AMMINISTRATIVI - APPALTIL’utilizzo del fax costituisce modalità “ordinaria” di scambio delle comunicazione tra le stazioni appaltante e le imprese partecipanti alle gare.
L'invio tramite fax del provvedimento amministrativo rappresenta uno strumento idoneo -in assenza di espresse prescrizioni che dispongano altrimenti- a determinare la piena conoscenza del provvedimento stesso, in quanto il fax costituisce un sistema basato su linee di trasmissione di dati e su apparecchiature che consentono di documentare sia la partenza del messaggio dall'apparato trasmittente sia -attraverso il c.d rapporto di trasmissione- la ricezione del messaggio in quello ricevente, sicuramente atto a garantire l'effettività della comunicazione.
Quindi, posto che gli accorgimenti tecnici che caratterizzano il sistema garantiscono in via generale una sufficiente certezza circa la ricezione del messaggio, ne consegue non solo l'idoneità del mezzo a far decorrere termini perentori, ma anche la presunzione circa l'avvenuta ricezione, senza che colui che dimostra di aver inviato il messaggio debba fornire alcuna ulteriore prova, salva l'eventuale prova contraria concernente la funzionalità dell'apparecchio ricevente fornita, secondo l'ordinaria regola processualistica, da chi afferma la mancata ricezione del messaggio.
La presunzione di conoscenza che consegue all’invio della comunicazione a mezzo fax all’indirizzo corretto (accompagnata dal rapporto di ricezione) non ha quindi natura assoluta.
Può essere fornita la prova contraria, che può solo concernere la funzionalità dell'apparecchio ricevente; essa non può che essere fornita da chi afferma la mancata ricezione del messaggio.
Dunque, nel momento in cui il fax viene trasmesso, e ciò risulti debitamente documentato dal c.d. rapporto di trasmissione, si forma una presunzione della sua ricezione in capo al destinatario, il quale può vincerla solo opponendo la mancata funzionalità dell'apparecchio ricevente.
È evidente che di tale mancata funzionalità deve essere offerta prova rigorosa non potendo evidentemente darsi campo e giustificazione a circostanze impeditive opposte in modo generico e non seriamente documentate.

Nel merito, stabilisce l’art. 77, comma 1, d.lgs. 12.04.2006, n. 163 che tutte le comunicazioni e tutti gli scambi di informazioni tra stazioni appaltanti e operatori economici possono avvenire, a scelta delle stazioni appaltanti, mediante posta, mediante fax, per via elettronica ai sensi dei commi 5 e 6, per telefono nei casi e alle condizioni di cui al comma 7, o mediante una combinazione di tali mezzi. Il mezzo o i mezzi di comunicazione prescelti devono essere indicati nel bando o, ove manchi il bando, nell'invito alla procedura.
La lettura contestuale dei commi che compongono l’articolo consente di affermare che l’utilizzo del fax costituisce modalità “ordinaria” di scambio delle comunicazione tra le stazioni appaltante e le imprese partecipanti alle gare.
Secondo costante giurisprudenza, l'invio tramite fax del provvedimento amministrativo rappresenta uno strumento idoneo -in assenza di espresse prescrizioni che dispongano altrimenti- a determinare la piena conoscenza del provvedimento stesso, in quanto il fax costituisce un sistema basato su linee di trasmissione di dati e su apparecchiature che consentono di documentare sia la partenza del messaggio dall'apparato trasmittente sia -attraverso il c.d rapporto di trasmissione- la ricezione del messaggio in quello ricevente, sicuramente atto a garantire l'effettività della comunicazione.
Quindi, posto che gli accorgimenti tecnici che caratterizzano il sistema garantiscono in via generale una sufficiente certezza circa la ricezione del messaggio, ne consegue non solo l'idoneità del mezzo a far decorrere termini perentori, ma anche la presunzione circa l'avvenuta ricezione, senza che colui che dimostra di aver inviato il messaggio debba fornire alcuna ulteriore prova, salva l'eventuale prova contraria concernente la funzionalità dell'apparecchio ricevente fornita, secondo l'ordinaria regola processualistica, da chi afferma la mancata ricezione del messaggio.
La presunzione di conoscenza che consegue all’invio della comunicazione a mezzo fax all’indirizzo corretto (accompagnata dal rapporto di ricezione) non ha quindi natura assoluta.
Può essere fornita la prova contraria, che può solo concernere la funzionalità dell'apparecchio ricevente; essa non può che essere fornita da chi afferma la mancata ricezione del messaggio (es. Cons. di Stato VI, 04.06.2007, n. 2951, che fa riferimento a Cons. Stato, V, 24.04.2002, n. 2202).
Dunque, nel momento in cui il fax viene trasmesso, e ciò risulti debitamente documentato dal c.d. rapporto di trasmissione, si forma una presunzione della sua ricezione in capo al destinatario, il quale può vincerla solo opponendo la mancata funzionalità dell'apparecchio ricevente.
È evidente che di tale mancata funzionalità deve essere offerta prova rigorosa non potendo evidentemente darsi campo e giustificazione a circostanze impeditive opposte in modo generico e non seriamente documentate.
In applicazione di quanto precede è evidente che il principio secondo cui la comunicazione mediante telefax rappresenta strumento idoneo -in carenza di espresse previsioni che dispongano altrimenti- a determinare la piena conoscenza di un atto o documento (principio che trae fondamento nell’art. articolo 48 d.lgs. 07.03.2005, n. 82 e, in tema di documentazione amministrativa, nel d.P.R. 28.12.2000, n. 445) non può essere vanificato da semplici dichiarazioni del soggetto destinatario che opponga tout court di non avere ricevuto il fax (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 24.11.2011 n. 6208 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La realizzazione dei parcheggi obbligatori è esonerata dall'onere di pagamento del contributo di urbanizzazione.
Il parcheggio eseguito da privato se collegato alle disposizioni pianificatorie generali dettate dai comuni non è soggetto al contributo di urbanizzazione. Il Consiglio di Stato ha respinto il ricorso presentato da un comune che chiedeva a una società di costruzioni la restituzione delle somme percepite a titolo di contributo di concessione edilizia.
Il collegio ricorda che la realizzazione dei parcheggi obbligatori è esonerata dall'onere di pagamento del contributo di urbanizzazione, mentre quelli costruiti in aree private per libera scelta speculativa di un imprenditore rappresentano una modificazione edilizia del territorio realizzata su domanda del soggetto interessato, assimilabile a tutte le altre forme di edificazione soggette quindi a concessione e ai relativi oneri. In questo caso però l’opera è stata eseguita in attuazione di strumenti urbanistici: la pertinenzialità con l’atto pubblico di costituzione di vincolo a parcheggio è quindi indiscutibile.

La disposizione che governa la fattispecie è quella di cui all’art. 11, comma 1, della legge 24.03.1989, n. 122 che così prevede: “Le opere e gli interventi previsti dalla presente legge costituiscono opere di urbanizzazione anche ai sensi dell'articolo 9, primo comma, lettera f) , della legge 28.01.1977, n. 10”.
Il richiamo ivi contenuto a tale ultima disposizione (“il contributo di concessione non è dovuto: per gli impianti, le attrezzature, le opere pubbliche o di interesse generale realizzate dagli enti istituzionalmente competenti nonché per le opere di urbanizzazione, eseguite anche da privati, in attuazione di strumenti urbanistici”) consente di ricomprendere i parcheggi in tale esenzione.
Tale disposizione, peraltro, non risulta abrogata –come inesattamente sostenuto dall’appellante amministrazione- ma è stata riconfermata nella sua validità dal d.p.r. 06.06.2001 n. 380.
La pertinenzialità del parcheggio eseguito (come da progetto) dall’appellata è evidente in relazione all’atto di destinazione contenuto nell’ atto pubblico di costituzione di vincolo a parcheggio del 07.02.2001 né sussiste– o è stato anche soltanto prospettato- elemento alcuno che possa indurre a dubitare della costituzione del vincolo mercé il soprarichiamato atto pubblico.
Si rammenta peraltro che per pacifica e risalente giurisprudenza di questo Consiglio di Stato la realizzazione dei parcheggi obbligatori è esonerata dall'onere di pagamento del contributo di urbanizzazione (Consiglio Stato, sez. V, 14.10.1992, n. 987) mentre di converso si è rilevato che i parcheggi costruiti in aree private per libera scelta speculativa di un imprenditore rappresentano una modificazione edilizia del territorio realizzata su domanda del soggetto interessato, assimilabile a tutte le altre forme di edificazione soggette a concessione e ai relativi oneri (Consiglio Stato, sez. V, 22.12.2005, n. 7344) (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 22.11.2011 n. 6154 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICALa finalità perseguita dal legislatore lombardo con la l.r. 93/1980 –confermata negli articoli da 59 a 62 della vigente legge regionale 12/2005– è quella di mantenere e conservare le zone agricole o a destinazione agricola della Regione, attraverso la limitazione degli usi residenziali, ammessi soltanto se a servizio dell’impresa agricola, per impedire la definitiva ed irrimediabile perdita delle porzioni territoriali a vocazione rurale.
Tale scopo è reso evidente dal particolare procedimento previsto per gli interventi edificatori in zona agricola (ora disciplinato dall’art. 60 della LR 12/2005), caratterizzato dalla presentazione al Comune di un impegno al mantenimento della destinazione, da trascriversi nei pubblici registri e costituente un vero e proprio vincolo sull’immobile.
Tale vincolo non può venire meno se non in caso di variazione urbanistica dell’area interessata (così l’art. 60 della LR 12/2005 ma anche la pregressa LR 93/1980), essendo pertanto indifferenti, sul regime del vincolo, le eventuali vicende personali dell’imprenditore agricolo o dei suoi aventi causa.
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Il vincolo di asservimento della residenza a servizio dell’impresa agricola non è nella disponibilità di chi pone in essere l’atto di impegno, né sussiste decadenza del vincolo per cessazione dell’attività agricola o vendita dell’immobile; il vincolo appare necessario per la piena salvaguardia del patrimonio agricolo della Regione; gli strumenti urbanistici possono ovviamente disporre un motivato cambio d’uso ma la signora ..., che ha realizzato di fatto tale mutamento in violazione dello strumento urbanistico, non ha alcuna pretesa tutelata a che il Comune, attraverso il PGT, adegui la situazione di diritto a quella di fatto illecitamente realizzata.
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Non appare né illogico né arbitrario che l’Amministrazione, nel confermare la vocazione agricola dell’area dell’esponente, abbia escluso di utilizzare lo strumento urbanistico quale improprio mezzo per realizzare una sorta di surrettizia sanatoria, che avrebbe finito così di fatto per eliminare l’abuso posto in essere dall’esponente.
E’ del resto escluso dallo stesso art. 36, citato dalla ricorrente, che la sola conformità dell’opera abusiva allo strumento urbanistico sopravvenuto consenta la sanatoria dell’abuso, essendo invece necessaria anche la conformità allo strumento vigente al momento di esecuzione dell’opera (c.d. doppia conformità).

La finalità perseguita dal legislatore lombardo con la l.r. 93/1980 –confermata negli articoli da 59 a 62 della vigente legge regionale 12/2005– è quella di mantenere e conservare le zone agricole o a destinazione agricola della Regione, attraverso la limitazione degli usi residenziali, ammessi soltanto se a servizio dell’impresa agricola, per impedire la definitiva ed irrimediabile perdita delle porzioni territoriali a vocazione rurale (su tale finalità, si veda TAR Lombardia, Milano, sez. II, 07.07.2011, n. 1843, oltre all’importante ordinanza della Corte Costituzionale n. 167/1995, di declaratoria della manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale degli articoli 2 e 3 della legge regionale 93/1980).
Tale scopo è reso evidente dal particolare procedimento previsto per gli interventi edificatori in zona agricola (ora disciplinato dall’art. 60 della LR 12/2005), caratterizzato dalla presentazione al Comune di un impegno al mantenimento della destinazione, da trascriversi nei pubblici registri e costituente un vero e proprio vincolo sull’immobile.
Tale vincolo non può venire meno se non in caso di variazione urbanistica dell’area interessata (così l’art. 60 della LR 12/2005 ma anche la pregressa LR 93/1980), essendo pertanto indifferenti, sul regime del vincolo, le eventuali vicende personali dell’imprenditore agricolo o dei suoi aventi causa.
D’altronde, se così non fosse, la disciplina regionale sulla conservazione e sul mantenimento delle aree agricole sarebbe facilmente elusa, ad esempio attraverso la cessione dell’immobile dall’imprenditore agricolo ad un soggetto privo di tale qualità, oppure mediante la cessazione dell’attività di impresa agricola.
Non può pertanto configurarsi, contrariamente a quanto sostenuto dall’esponente, una sostanziale assimilazione fra la ordinaria destinazione abitativa e la residenza a servizio dell’impresa agricola.
Sul punto preme ancora ribadire –e si perdoni l’ovvietà– che non è certamente vietata in senso assoluto la trasformazione di una zona da agricola a residenziale; nel caso di specie tuttavia, l’esponente giustifica la propria pretesa all’accoglimento della sua osservazione al PGT, sulla base dell’intervenuto mutamento di destinazione realizzato in via di fatto, dopo l’acquisto dell’immobile.
Non pare certo al Collegio che la signora ... possa reputarsi titolata ad esigere un simile cambio d’uso, visto anche l’orientamento della giurisprudenza amministrativa, che riconosce ai Comuni ampia discrezionalità nelle scelte urbanistiche –nel caso di specie si è trattato di confermare la destinazione agricola già esistente– scelte che richiedono una specifica motivazione solo in caso di affidamento qualificato del privato, rientrando in tale ultima ipotesi le situazioni di chi ha ottenuto un giudicato di annullamento di una precedente destinazione di zona ovvero di un diniego di titolo edilizio oppure ancora del silenzio-rifiuto formatosi su una domanda edilizia (si veda, sul punto, la ancora fondamentale decisione del Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 08.01.1986, n. 1).
Alle situazioni sopra indicate, viene inoltre equiparata la condizione del privato che ha stipulato accordi vincolanti con la Pubblica Amministrazione, quale ad esempio una convenzione di lottizzazione (cfr. sul punto, fra le tante, TAR Lombardia, Milano, sez. II, 24.02.2010, n. 452).
La posizione dell’esponente non rientra in nessuna di quelle sopra indicate, sicché la stessa non appare titolare di una particolare o qualificata posizione di affidamento nei confronti del Comune.
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Il vincolo di asservimento della residenza a servizio dell’impresa agricola non è nella disponibilità di chi pone in essere l’atto di impegno, né sussiste decadenza del vincolo per cessazione dell’attività agricola o vendita dell’immobile; il vincolo appare necessario per la piena salvaguardia del patrimonio agricolo della Regione; gli strumenti urbanistici possono ovviamente disporre un motivato cambio d’uso ma la signora ..., che ha realizzato di fatto tale mutamento in violazione dello strumento urbanistico, non ha alcuna pretesa tutelata a che il Comune, attraverso il PGT, adegui la situazione di diritto a quella di fatto illecitamente realizzata.
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Nel sesto ed ultimo motivo del gravame principale, viene denunciata la presunta violazione da parte del Comune dell’art. 36 del DPR 380/2001, in quanto, a detta dell’esponente, lo strumento urbanistico comunale potrebbe anche sanare un abuso edilizio.
Il mezzo non può però trovare accoglimento, in quanto –con specifico riferimento alla presente fattispecie– non appare né illogico né arbitrario che l’Amministrazione, nel confermare la vocazione agricola dell’area dell’esponente, abbia escluso di utilizzare lo strumento urbanistico quale improprio mezzo per realizzare una sorta di surrettizia sanatoria, che avrebbe finito così di fatto per eliminare l’abuso posto in essere dall’esponente.
E’ del resto escluso dallo stesso art. 36, citato dalla ricorrente, che la sola conformità dell’opera abusiva allo strumento urbanistico sopravvenuto consenta la sanatoria dell’abuso, essendo invece necessaria anche la conformità allo strumento vigente al momento di esecuzione dell’opera (c.d. doppia conformità).
Infine, in merito alla nota del legale del Comune dell’08.08.2001 (doc. 1 della ricorrente in data 01.09.2011), la stessa non avalla in alcun modo il comportamento dell’esponente, visto che il difensore dell’Amministrazione indica chiaramente a quest’ultima come appaia insuperabile il vincolo pattizio gravante sulla costruzione della ricorrente
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 22.11.2011 n. 2823 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICA: La lottizzazione negoziale non concretizza un abuso senza adeguata istruttoria degli uffici comunali.
E’ stato affermato in giurisprudenza che il bene giuridico protetto dall’art. 18 L. 47/1985, descrivente le caratteristiche della lottizzazione abusiva, non è tanto o solo quello del rispetto della pianificazione urbanistica, ma soprattutto quello relativo al controllo effettivo del territorio da parte del soggetto pianificatore -gli organi comunali- tenuto a reprimere qualsiasi intervento lottizzatorio che non sia stato previamente assentito: al riguardo si è precisato che è ravvisabile l’ipotesi di lottizzazione abusiva solamente quando sussistono elementi precisi ed univoci da cui possa ricavarsi oggettivamente l’intento di asservire all'edificazione un’area non urbanizzata (Cons. Stato, IV, 11.10.2006 n. 6060; id., V, 13.09.1991 n. 1157).
Ne consegue che l’accertamento del presupposto di cui all’art. 18 L. 47/1985 non può essere affidato al mero riscontro del frazionamento di un terreno collegato a plurime vendite di tale terreno, ma che vi è anche la necessità di costruire un quadro indiziario dal quale sia possibile desumere in maniera non equivoca “la destinazione a scopo edificatorio” degli atti posti in essere dalle parti (Cons. Stato, V, 20.10.2004 n. 6810), giustificandosi l’adozione del provvedimento repressivo anche a fronte della dimostrazione della sussistenza di almeno uno degli elementi precisi e univoci sopraddetti (Cons. Stato, V, 14.05.2004 n. 3136).
La cosiddetta lottizzazione negoziale, ossia il tipo di lottizzazione corrente nel caso di specie e derivante non tanto dalla realizzazione di alcune opere, ma dal frazionamento contrattuale di un vasto terreno con la creazione di lotti sufficienti per la costruzione di un singolo edificio, può concretizzare in astratto già di per sé il fenomeno della lottizzazione abusiva, purché si possa desumere in modo non equivoco dalle dimensioni e dal numero dei lotti, dalla natura del terreno, dall’eventuale revisione di opere di urbanizzazione, la loro destinazione a scopo edificatorio (Con. Stato, IV, 11.09.2006 n. 6060).
Nel caso di specie manca qualsiasi autonoma valutazione svolta dagli uffici comunali, il provvedimento nulla descrive circa la consistenza dei lotti e lo stato dei terreni, né riferisce alcunché circa la creazione di opere di urbanizzazione e solo la memoria difensiva dell’Amministrazione depositata nell’imminenza dell’odierna udienza di trattazione riferisce genericamente dell’attuale esistenza di recinzioni dei lotti, elemento oggettivamente del tutto insufficiente, e dell’esistenza di una strada di collegamento tra questi, mentre non è contestato il fatto che tuttora il terreno sia adibito a frutteto e vigneto.
In conclusione si deve affermare che il Comune di Napoli non ha correttamente espresso i suoi poteri conformemente a quanto prescritto dall’art. 18, c. 7, L. 47/1985, così come all’epoca vigente.
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L’individuazione della lottizzazione abusiva presuppone l’accertamento di una serie di elementi, accertamento che implica indagini complesse che impongono la necessaria partecipazione dei soggetti interessati al relativo procedimento, per cui deve essere consentita la proposizione delle proprie osservazioni e deduzioni (Cons. Stato, V, 11.05.2004 n. 2953; id., 29.01.2004 n. 296; id., 23.02.2000 n. 948): ciò anche se il provvedimento di cui all’art. 18 L. 47/1985 ha un’indubbia natura vincolata, visto che lo stesso deve essere preceduto dall’accertamento della realtà materiale ed è destinato ad incidere, con funzioni di qualificazione giuridica di tale realtà materiale che potranno poi portare a successivi provvedimenti di acquisizione delle aree lottizzate (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 21.11.2011 n. 6128 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: I pareri legali o le relazioni legali riservate sono suscettibili di accesso soltanto se posti alla base della motivazione.
Sul punto, preme ricordare che per la giurisprudenza amministrativa, i pareri legali o le relazioni legali riservate sono suscettibili di accesso soltanto se posti alla base del provvedimento finale, costituendone parte integrante della motivazione; in difetto sono sottratti all’accesso (così, Consiglio di Stato, sez. V, 23.06.2011, n. 3812 e 15.04.2004, n. 2163, TAR Sicilia, Catania, sez. IV, 16.03.2011, n. 658 e TAR Campania, Napoli, 16.05.2007, n. 5264) (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 18.11.2011 n. 2788 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Oneri di urbanizzazione, rileva la tipologia dell'attività che vi verrà svolta.
Ai fini della determinazione degli oneri di urbanizzazione rileva non già l'immobile in sé considerato, bensì la tipologia economica dell'attività che in esso viene svolta in quanto quest'ultima consente di spiegare la qualità dello scambio di utilità e vantaggi che si realizza tra la collettività locale e il concessionario che realizza la ristrutturazione edilizia dell'immobile, al cui interno si svolgerà una determinata attività economica. Dal punto di vista della determinazione degli oneri di urbanizzazione, infatti, ciò che rileva non è l' immobile in sé considerato, ma la tipologia economica dell'attività che in esso viene svolta.
È la tipologia economica dell'attività svolta che consente di spiegare la qualità dello scambio di utilità e vantaggi che si realizza tra la collettività locale, di cui è espressione politico-amministrativa il Comune, e il concessionario che realizza la ristrutturazione edilizia dell'immobile, al cui interno si svolgerà una determinata attività economica.
Per determinare i parametri da applicare è logico cercare di analizzare quale è la caratterizzazione complessiva e prevalente dell'attività economica che viene condotta nell'immobile.
Ed è del tutto normale nell'assetto organizzativo di attività di produzione industriale che nei complessi immobiliari con tale vocazione siano inseriti uffici, con compiti di direzione, progettazione, controllo contabile e finanziario, ecc., che svolgono funzioni chiaramente strumentali e funzionali rispetto alla produzione del bene industriale destinato poi alla fase di commercializzazione.
Il giudice di primo grado ha dunque correttamente cercato di verificare, su basi analitiche certe, quale fosse in concreto la tipologia dell'attività economica svolta nell'immobile in questione.
La relazione tecnica redatta dal progettista, ha fornito sufficienti elementi per far ritenere che nella porzione immobiliare in questione si svolge in via prevalente un'attività direttamente e strumentalmente collegata al ciclo produttivo, trattandosi di spazi destinati ad "uffici dei responsabili di tale attività.... strettamente connessi con l'attività di ricerca ed integrati all'interno del complesso produttivo" (commento tratto da www.ispoa.it -
Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 11.11.2011 n. 5974 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Istanze di condono edilizio, per la PA termini ''perentori''. Necessario il rispetto dei principi di efficienza e celerità.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria ha stigmatizzato l'importanza e l'essenzialità che i provvedimenti della Pubblica Amministrazione nei confronti dei privati istanti vengano assunti nel termine stabilito per legge e, comunque, in tempi ragionevoli e congrui, pena l'illegittimità degli atti assunti. A conforto quanto contenuto nell'art. 97 della Costituzione Italiana in ordine a trasparenza ed efficienza della Pubblica Amministrazione.
Nel caso di specie, l’istanza di condono -come emerge dallo stesso provvedimento impugnato- è stata presentata in data 28.01.1986, mentre il rigetto della stessa è stato assunto dal Comune in data 06.04.1999 e notificato al ricorrente il 24.04.1999.
Il rigetto della domanda di condono è fondato esclusivamente sulla presunta data di realizzazione dell’immobile abusivo, successiva al primo ottobre 1983.
Risulta, quindi, del tutto evidente che, ove il ricorrente fosse stato posto nella condizione di conoscere in tempo utile (e ragionevole) la motivazione posta a base del diniego dall’Amministrazione Comunale, ben avrebbe potuto utilizzare –in presenza dei relativi presupposti- la sopravvenuta normativa di cui alla legge 23.12.1994, n. 724, disciplina che avrebbe permesso di superare la questione relativa alla data di ultimazione dell’opera abusiva, questione che è stata indicata dal Comune quale unico motivo posto a base del rigetto contestato.
Al contrario, il Comune intimato, provvedendo sull’istanza di condono dopo oltre 13 anni dalla sua presentazione, ha di fatto precluso al ricorrente la possibilità di valersi della ricordata sopravvenuta disciplina.
Simili comportamenti contrastano con i principi di efficienza e trasparenza che devono improntare l'attività amministrativa e che sono garantiti dall'art. 97 della Costituzione.
Per queste ragioni e restando assorbita ogni altra questione, il provvedimento impugnato è illegittimo e deve essere annullato (commento tratto da www.ipsoa.it - TAR Calabria-Catanzaro, Sez. I, sentenza 10.11.2011 n. 1346 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

COMPETENZE PROGETTUALI: La direzione dei lavori delle opere stradali è riservata alla categoria degli ingegneri.
Gli articoli 51 e 52 del R.D. n. 2537/1925 riservano alla comune competenza di architetti e ingegneri le sole opere di edilizia civile, mentre rimane riservata alla competenza generale degli ingegneri la progettazione di costruzioni stradali, opere igienico-sanitarie, impianti elettrici, opere idrauliche, operazioni di estimo, estrazione di materiali, opere industriali.
Se la progettazione dei lavori è rimessa, secondo l’ordine delle competenze professionali di cui si è detto, alla categoria degli ingegneri anche la direzione dei lavori deve essere affidata per quelle opere alla stessa categoria.

Con il ricorso in epigrafe, l’Ordine degli Ingegneri della Provincia di Parma si duole dell’asserita illegittimità della determinazione dirigenziale, con la quale la funzione di direttore lavori, nell’ambito delle opere di adeguamento della strada provinciale SP12, comprendente la rettifica del tracciato e il suo ampliamento (pari a € 2.054.638,46), è stata affidata ad un architetto, il dirigente del settore U.T.C. Assetto del territorio del Comune di Fidenza, arch. Gilioli.
...
In particolare, gli articoli 51 e 52 del R.D. n. 2537/1925, confermato nella sua piena vigenza e nel suo contenuto dall’art. 1 comma 2 del d.lgs. 129/1992 (di attuazione, tra l’altro, della direttiva Cee n. 384/85), riservano alla comune competenza di architetti e ingegneri le sole opere di edilizia civile, mentre rimane riservata alla competenza generale degli ingegneri la progettazione di costruzioni stradali, opere igienico-sanitarie, impianti elettrici, opere idrauliche, operazioni di estimo, estrazione di materiali, opere industriali.
Né può valere l’obiezione per cui, per la direzione dei lavori delle opere stradali, varrebbe una diversa regola rispetto a quella valevole per la progettazione, in quanto ormai la sede della disciplina della direzione dei lavori si trova nel “Codice dei contratti pubblici” (art. 130), atteso che l’art. 130 del d.lgs. 163/2011 manifesta solo una opzione per quanto concerne la direzione dei lavori, da svolgersi preferibilmente all’interno della stazione appaltante, ma non è norma che riguarda il riparto di competenze tra diverse figure professionali, che rimane invece, regolato dal R.D. n. 2537/1925.
Inoltre, l’art. 148 del d.P.R. 207/2010 (regolamento di esecuzione del d.lgs. 163/2011), sancisce che il direttore dei lavori cura che i lavori cui è preposto siano eseguiti a regola d’arte e in conformità del progetto; sembra pertanto logico che se la progettazione dei lavori è rimessa, secondo l’ordine delle competenze professionali di cui si è detto, alla categoria degli ingegneri anche la direzione dei lavori deve essere affidata per quelle opere alla stessa categoria.
Né può essere accolta la tesi comunale, in base alla quale la distinzione delle competenze tra architetti e ingegneri, in quanto disciplinata da una norma regolamentare (R.D. n. 2357/1925), sarebbe modificabile da regolamenti successivi dei singoli enti locali, e ciò per due ordini di motivi: in primo luogo, in ragione della circostanza per cui il citato R.D., pur non essendo una norma di rango legislativo primario, è fonte sovraordinata rispetto ai regolamenti degli enti locali e, in secondo luogo, in quanto il riparto delle competenze tra le due figure professionali ivi fissato è stato cristallizzato, come detto, dal d.lgs. 129/1992, che agli articoli 1 e 2 ha attribuito una specifica riserva a favore degli ingegneri per quanto concerne la progettazione di opere viarie non connesse con opere di edilizia civile, qual è all’evidenza l’opera pubblica in parola (TAR Emilia Romagna-Parma, sentenza 09.11.2011 n. 389 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZI: È da escludersi la redazione del DUVRI da parte del committente di un servizio di trasporto scolastico.
Con il secondo motivo viene fatta rilevare l’assenza nella lex specialis di gara del DUVRI e la mancanza dell’indicazione dei costi per la sicurezza ai sensi dell’art. 86 del d.lgs. 163/2006.
Il mezzo è infondato, in quanto dall’articolo 3, comma 1, lett. a), della L. n. 123/2007, il quale modifica l’art. 7, comma 3, del D.Lgs. n. 16.09.1994 n. 626, discende che il DUVRI deve essere redatto solo nei casi in cui esistano “interferenze”. In esso, dunque, non devono essere riportati i rischi propri dell’attività delle singole imprese appaltatrici o dei singoli lavoratori autonomi, in quanto trattasi di rischi per i quali resta immutato l’obbligo dell’appaltatore di redigere un apposito documento di valutazione e di provvedere all’attuazione delle misure necessarie per ridurre o eliminare al minimo tali rischi.
In assenza di interferenze non occorre redigere il DUVRI; in tal caso, tuttavia si ritiene opportuno che nella lex specialis di gara sia comunque indicato che l’importo degli oneri della sicurezza è pari a zero.
Si noti, inoltre, che la circolare interpretativa del Ministero del Lavoro e della Previdenza sociale n. 24 del 14.11.2007 ha escluso dalla valutazione dei rischi da interferenza le attività che, pur essendo parte del ciclo produttivo aziendale, si svolgano in luoghi sottratti alla giuridica disponibilità del committente e, quindi, alla possibilità per la stazione appaltante di svolgere nei medesimi luoghi gli adempimenti di legge, per cui nel caso di specie, trattandosi di un servizio di trasporto scolastico in cui il luogo fisico dell’espletamento del servizio è costituito da mezzi di trasporto messi a disposizione dallo stesso appaltatore, la redazione del DUVRI da parte del committente è da escludersi.
Per quanto concerne la mancata indicazione dei costi della sicurezza, sono quantificabili come costi della sicurezza da interferenze le misure, in quanto compatibili, di cui all’art. 7 comma 1 del d.P.R. n. 222/2003, previste nel DUVRI.
Il concetto di “costo della sicurezza” è quindi strettamente interconnesso con il DUVRI; per cui si ritiene che, ove non sia obbligatorio elaborare questo documento, si possa prescindere dalla indicazione dei costi della sicurezza in sede di documentazione di gara predisposta dalla stazione appaltante (TAR Emilia Romagna-Parma, sentenza 09.11.2011 n. 388 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Il comma 6-ter dell'art. 19 della Legge n. 241/1990 potrebbe mettere in discussione le conclusioni dell'Adunanza Plenaria sull’impugnazione della DIA.
Dapprima risulta necessario qualificare correttamente l’azione proposta dal ricorrente, che nel proprio atto introduttivo chiede, nel merito ed in via principale, di <<dichiarare la nullità della D.I.A.>>, attribuendo così alla propria impugnativa giurisdizionale la qualificazione di azione di nullità, azione prevista dall’art. 31, ultimo comma, del D.Lgs. 104/2010 (“Codice del processo amministrativo”).
Tuttavia, tenuto conto che, per generale principio processuale, la qualificazione dell’azione spetta al giudice, che può anche disporne la conversione (cfr. l’espressa previsione dell’art. 32, comma 2°, del D.Lgs. 104/2010 ed in giurisprudenza, fra le tante, Consiglio di Stato, sez. III, 11.03.2011, n. 1570); nel caso di specie l’azione proposta non appare rivolta a denunciare la presunta nullità delle DIA in epigrafe, ma semmai la loro illegittimità, configurandosi così come azione di annullamento, secondo l’art. 29 del D.Lgs. 104/2010 (si prescinde, in sede di qualificazione dell’azione, da ogni questione sulla impugnabilità diretta della DIA, che sarà invece affrontata in seguito).
Infatti, i presunti vizi delle DIA, che emergono dalla lettura del ricorso, sono senza ombra di dubbio riconducibili a vizi di legittimità dell’atto amministrativo, quali la violazione di legge (in specie, dell’art. 27 della legge regionale 12/2005 in merito alla corretta qualificazione dell’intervento edilizio, oltre che del decreto ministeriale 02.04.1968 sulle distanze minime ed inderogabili tra pareti finestrate dei fabbricati), oppure l’eccesso di potere per carenza dei presupposti o violazione delle norme tecniche di attuazione.
Al contrario, anche da una attenta lettura dell’atto introduttivo del giudizio, non emerge la denuncia di motivi di nullità dell’atto amministrativo, come previsti dalla legge (mancanza di elementi essenziali, difetto assoluto di attribuzione, violazione o elusione del giudicato, ai sensi dell’art. 21-septies della legge 241/1990), visto che il rilascio di titoli edilizi in violazione dei presupposti di legge o delle norme sulle distanze dà luogo tutt’al più ad un’ipotesi di cattivo esercizio del potere amministrativo, ma non certo ad un difetto assoluto di attribuzione del potere medesimo.
Di conseguenza, l’azione ivi proposta deve essere correttamente qualificata come azione di annullamento, avente ad oggetto le due DIA indicate in epigrafe e soggetta di conseguenza all’ordinario termine di decadenza di sessanta giorni di cui al già citato art. 29 del codice del processo amministrativo.
Una ulteriore e preliminare riflessione deve essere dedicata, seppure per sommi capi, alla questione del regime di impugnazione giurisdizionale della denuncia di inizio attività.
Sul punto, è noto il complesso dibattito giurisprudenziale, che ha visto la formazione di orientamenti anche radicalmente differenti fra i giudici amministrativi e che ha indotto il Consiglio di Stato, sez. IV, con ordinanza 05.01.2011, n. 14, a rimettere la questione all’esame dell’Adunanza Plenaria.
In particolare, per la Sezione IV, si possono individuare tre tesi sulla natura giuridica della DIA e conseguentemente sul suo regime di impugnazione:
a) titolo abilitativo implicito, impugnabile entro l’ordinario termine di decadenza (cfr. Consiglio di Stato, n. 72/2010);
b) atto del privato, suscettibile di autonoma azione di accertamento per la declaratoria di insussistenza dei presupposti (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, n. 717/2009);
c) atto del privato rispetto al quale il terzo può solo attivare i poteri repressivi e di controllo dell’Amministrazione ed impugnare l’eventuale diniego ovvero il silenzio rifiuto della P.A.
A tale ordinanza di remissione, ha fatto seguito la sentenza dell’Adunanza Plenaria 29.07.2011, n. 15, la quale ha dapprima escluso che la DIA (al pari della SCIA, segnalazione certificata di inizio attività, introdotta nel nostro ordinamento con legge n. 122/2010), costituisca un provvedimento amministrativo a formazione tacita, configurando semmai un atto privato volto a comunicare l’intenzione di intraprendere un’attività.
Quanto alla tutela giurisdizionale, l’Adunanza Plenaria ha delineato un complesso meccanismo, che vede la combinazione di un’azione di annullamento di un silenzio significativo negativo con un’azione di condanna pubblicistica (c.d. azione di adempimento), con un’ampia possibilità di ricorrere a misure cautelari, anche ante causam.
Alla decisione del Supremo Consesso Amministrativo, ha fatto però seguito un intervento legislativo, che ha –almeno stando ai primi commenti– messo in discussione le conclusioni dell’Adunanza Plenaria: infatti, con decreto legge 138/2011 convertito con legge 148/2011, è stato aggiunto il comma 6-ter all’art. 19 della legge 241/1990, il quale, dopo aver premesso che la DIA e la SCIA non costituiscono provvedimenti taciti direttamente impugnabili, prevede che gli interessati possano sollecitare l’esercizio delle verifiche spettanti all’Amministrazione e, in caso di inerzia, esperire esclusivamente l’azione di cui all’art. 31, commi da 1 a 3, del D.Lgs. 104/2010, vale a dire l’azione contro il silenzio della P.A.
Ciò premesso, reputa il Collegio che la citata decisione dell’Adunanza Plenaria, al pari del resto del successivo intervento legislativo, non possano trovare diretta ed immediata applicazione nella presente controversia, introdotta con ricorso notificato il 24.12.2010, addirittura prima della rimessione della questione all’Adunanza Plenaria; per cui l’azione di impugnazione diretta delle DIA, proposta col presente ricorso, non può essere ritenuta di per sé inammissibile, salva la verifica della tempestività dell’azione stessa, verifica da condursi alla luce della giurisprudenza da tempo formatasi e relativa alla decorrenza del termine perentorio di impugnazione di sessanta giorni, con riguardo specifico ai titoli edilizi (concessione edilizia, ora permesso di costruire e dichiarazione o denuncia di inizio attività).
E’ opinione comune della giurisprudenza che il termine di decadenza per impugnare il permesso di costruire –ma tale tesi vale anche per la DIA, in caso di impugnazione diretta della medesima– decorra, per il terzo che si reputa leso dall’intervento edilizio –perlomeno in casi come quello attuale, dove è contestata l’inosservanza delle distanze– dal completamento della costruzione nel suo assetto planivolumetrico definitivo, o come si suole dire al “rustico”, cioè dal momento in cui l’interessato è in grado di percepire la lesione alla propria posizione giuridica, visto lo stato di avanzamento e di realizzazione dell’edificazione (cfr., fra le tante, Consiglio di Stato, sez. IV, 05.01.2011, n. 18; sez. VI, 10.12.2010, n. 8705 e TAR Lombardia, Milano, sez. II, 10.12.2010, n. 7511; 08.02.2011, n. 386 e 05.07.2011, n. 1762, con la giurisprudenza ivi richiamata; si ricordi ancora che l’ordinanza sopra citata del Consiglio di Stato n. 14/2011 di rimessione all’Adunanza Plenaria prevede, qualora si ammetta il carattere provvedimentale della DIA, la necessità della sua impugnazione nell’ordinario termine decadenziale, mentre la citata sentenza n. 15/2011 dell’Adunanza Plenaria, in ordine al termine di impugnazione del titolo edilizio, afferma anch’essa che il termine suddetto <<inizia a decorrere quando la costruzione realizzata rivela in modo certo ed univoco le essenziali caratteristiche dell'opera e l'eventuale non conformità della stessa al titolo o alla disciplina urbanistica>>).
Di conseguenza, nel caso di specie il computo del termine decadenziale per l’impugnativa diretta delle DIA in epigrafe non può che decorrere dal momento in cui l’esponente aveva piena conoscenza degli abusi a suo dire commessi dai controinteressati nel corso dell’attività costruttiva (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 04.11.2011 n. 2640 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: L'ordinanza sindacale contro fenomeni di inquinamento acustico può essere adottata anche a seguito dell'esposto di una sola famiglia.
Col ricorso in commento una società proprietaria di una centrale elettrica aveva chiesto al Tribunale amministrativo di Torino di annullare un’ordinanza contingibile ed urgente con la quale il Sindaco del Comune in cui questa è ubicata le aveva ordinato di condurre le attività di produzione elettrica in pertinenza di un Condominio in modo da rispettare i limiti di immissione sonora differenziali consentiti dalla normativa vigente.
La società contestava il provvedimento, nella parte in cui il Sindaco avrebbe dichiarato di provvedere in via contingibile ed urgente “a prescindere dalla sussistenza e dall’attribuzione di responsabilità in merito alle violazioni di natura amministrativa” e, soprattutto, non avrebbe considerato la preesistenza della centrale idroelettrica rispetto all’edificazione del Condominio.
Ma tali argomentazioni non sono state condivise dai giudici del capoluogo sabaudo: da un lato, infatti, gli stessi evidenziano che, secondo giurisprudenza “in tema di inquinamento acustico, l'ordinanza prevista dall'art. 9, comma 1, l. 26.10.1995 n. 447, non ha, a termini di legge, natura sanzionatoria, ma ha il diverso e tipizzato scopo di contenere o abbattere le emissioni sonore, sicché non può assoggettarsi alla diversa disciplina regolante, in via generale, le sanzioni amministrative" (TAR Abruzzo L'Aquila, sez. I, 10.12.2010, n. 840), dall’altro, proprio per la sua natura di provvedimento volto a tutelare la salute pubblica, non può essere influenzato nella sua validità da fattori estranei a tale interesse primario quali l’omesso deposito, in sede di richiesta della concessione edilizia da parte della società costruttrice del Condominio della “valutazione di impatto acustico” o la pretesa mancanza di agibilità degli appartamenti nei quali si è riscontrato il superamento dei limiti di emissioni sonore – circostanze che avrebbero potuto essere fatte valere in sede di impugnativa del titolo edilizio per la realizzazione dell’immobile, situato comunque in classe acustica II e, dunque, in un’area destinata ad uso prevalentemente residenziale (commento tratto da www.documentazione.ancitel.it - TAR Piemonte, Sez. II, sentenza 27.10.2011 n. 1127 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Risarcimento d'obbligo per i ritardi delle Pa. Il tempo elemento importante per chi investe.
Tutte le Pa devono risarcire i danni che provocano ai privati per i ritardi con cui rispondono alle loro richieste. Alla base di questa censura c'è la considerazione che questi comportamenti risultano lesivi della posizione giuridica di un altro soggetto.
Possono essere così sintetizzate le principali indicazioni contenute nella sentenza 24.10.2011 n. 684 del Consiglio di giustizia amministrativa della Regione Sicilia, che ha confermato le indicazioni dettate in primo grado dal Tar della stessa regione, sede di Catania. Ricordiamo che il Consiglio di giustizia amministrativa nel l'Isola sostituisce il Consiglio di Stato quale sede di riesame dei pronunciamenti di primo grado della magistratura amministrativa.
Nel caso specifico oggetto della sentenza un piccolo comune ha ritardato la conclusione del procedimento edilizio riguardante un'azienda che asserisce di avere subito la perdita del finanziamento per la mancata conclusione dei lavori entro i termini prefissati.
La sentenza in premessa sviluppa le seguenti tre considerazioni: in primo luogo non si può negare che «i tempi di approvazione della lottizzazione di rilascio della relativa concessione abbiano subito alcuni ingiustificati allungamenti stimabili in un lasso di tempo superiore all'anno». Quindi, siamo in presenza di un dato oggettivo e che è marcato dalla semplice analisi dei fatti. In secondo luogo, non si può accettare «il tentativo della difesa dell'Amministrazione di addossare al comune la responsabilità per il superamento del limite di tempo fissato per la conclusione del procedimento».
Conclusione che viene supportata dalla seguente motivazione: il privato non si è attivato presso la Regione per la nomina di un commissario ad acta in sostituzione del comune inadempiente. La sentenza ricorda che questa motivazione non è convincente e nel caso era impossibile: abbiamo avuto infatti la «sommatoria di singoli ritardi, inerzie e rallentamenti, che hanno costellato nel corso del quadriennio ogni singola fase endoprocedimentale e hanno avuto l'effetto complessivo di allungare oltre misura i tempi di adozione».
In terzo luogo, la sentenza chiarisce che «anche il tempo è un bene della vita e la giurisprudenza ha riconosciuto che il ritardo nella conclusione di un qualunque procedimento è sempre un costo, dal momento che il fattore tempo costituisce una essenziale variabile nella predisposizione e nell'attuazione di piani finanziari relativi a qualsiasi intervento, condizionandone la relativa convenienza economica. In questa prospettiva ogni incertezza sui tempi di realizzazione di un investimento si traduce nell'aumento del cosiddetto rischio amministrativo e, quindi, in maggiori costi, attesa l'immanente dimensione diacronica di ogni operazione di investimento e di finanziamenti».
La sentenza ci dice infine che «la certezza che deve sussistere per rendere risaricibile il danno futuro non è la stessa di quella che caratterizza il danno presente».
Nella quantificazione il Consiglio di giustizia amministrativa si limita a riconoscere solamente i danni connessi alla revoca del finanziamento, stabilendo peraltro che il risarcimento potrà essere corrisposto solo dopo la dimostrazione della concreta restituzione della prima tranche di contributo concesso, e ciò deve essere «rigorosamente provato dal creditore» (articolo Il Sole 24 Ore del 28.11.2011 - tratto da www.corteconti.it).

EDILIZIA PRIVATA: Per gli immobili vincolati stop ai lavori motivato.
Quando un privato avvia un intervento per il superamento delle barriere architettoniche in un edificio vincolato, il diniego della Soprintendenza deve sempre essere motivato.

È quanto affermato dai giudici amministrativi, e in particolare da due recenti pronunce dei Tar Lazio e Campania.
In Italia gli immobili di proprietà privata assoggettati a vincolo storico-artistico sono molto diffusi, e un problema che si pone frequentemente è l'eliminazione delle barriere architettoniche, qualora edifici di questo tipo siano occupati o anche solo frequentati da soggetti disabili. Il tema è affrontato con la legge 13/1989, in parte trasfusa nel Testo unico dell'edilizia (Dpr 380/2011), e con il Dm 236/1989.
La disciplina legislativa e regolamentare riguarda sia la costruzione di nuovi edifici, sia l'esecuzione di opere su quelli esistenti, e tende a garantire idonee condizioni di accesso e di fruizione da parte dei soggetti che versano in situazione di minorazione fisica, anche in deroga alle norme civilistiche sul condominio. In particolare, l'articolo 2 del Dm qualifica come condizione di "accessibilità" dell'edificio «la possibilità anche per le persone con ridotta e impedita capacità motoria e sensoriale di raggiungere l'edificio e le sue singole unità immobiliari e ambientali, di entrarvi agevolmente e di fruirne spazi e attrezzature in condizioni di adeguata sicurezza e autonomia».
Il diritto del portatore di handicap a svolgere una normale vita di relazione, così come delineato dal legislatore, deve essere tendenzialmente garantito anche nei casi in cui l'immobile sia stato dichiarato di particolare interesse paesaggistico o storico-artistico. In questi casi, ferma restando la necessità di ottenere la prescritta autorizzazione ai sensi degli articoli 21 e 146 del Dlgs 42/2004 prima di dar corso agli interventi, gli articoli 4 e 5 della legge 13/1989 contengono specifiche previsioni agevolative.
Innanzitutto, è prevista la formazione del silenzio-assenso nel caso in cui le amministrazioni competenti alla tutela del vincolo (Regioni o soprintendenze), non si pronuncino nel termine assegnato.
In secondo luogo, il diniego all'esecuzione dei lavori volti al superamento o all'eliminazione delle barriere architettoniche potrà essere opposto «solo nei casi in cui non sia possibile realizzare le opere senza un serio pregiudizio del bene tutelato».
Infine, l'eventuale diniego dovrà essere necessariamente motivato «con la specificazione della natura e della serietà del pregiudizio, della sua rilevanza in rapporto al complesso in cui l'opera si colloca e con riferimento a tutte le alternative eventualmente prospettate dall'interessato».
La problematica è stata affrontata dalla giurisprudenza soprattutto con riferimento all'installazione di rampe e ascensori e due recenti pronunce del Tar Campania (sede Napoli, Sezione IV, sentenza 15.09.2011 n. 4402) e del Tar Lazio (sede Roma, Sezione II-quater, sentenza 28.09.2011 n. 7597) confermano un orientamento interpretativo ormai costante del richiamato quadro normativo, secondo cui, «sebbene dal testo e dalla ratio della legge 13/1989 non possa desumersi la vigenza di un principio di superabilità e derogabilità assoluta e automatica dei vincoli posti per finalità di tutela storico-culturale o paesistico-ambientale (si veda, Tar Umbria, 17.01.2000, n. 17), deve essere nondimeno ribadito che nel provvedimento con il quale la Soprintendenza esprima diniego ai fini della realizzazione di un'opera preordinata al superamento delle barriere architettoniche debbano essere compiutamente esternate le reali e dimostrabili ragioni di pregiudizio che il progettato intervento è suscettibile di arrecare all'interesse di tutela del quale l'Amministrazione è portatrice».
Le due pronunce evidenziano come il legislatore abbia operato un bilanciamento degli interessi in gioco, entrambi di rilievo costituzionale, che riguardano, da una parte, la tutela del patrimonio storico e artistico nazionale (articolo 9 della Costituzione) e, dall'altra, la salvaguardia dei diritti alla salute e al normale svolgimento della vita di relazione e socializzazione dei soggetti in minorate condizioni fisiche (articoli 3 e 32 della Costituzione), dando prevalenza a questi ultimi e ammettendo il diniego dell'autorizzazione nei soli casi di accertato e motivato "serio pregiudizio" del bene vincolato (si veda Tar Lazio-Roma, Sezione II, 15.02.2002 n.1061 e 13.05.2000, n. 3974). In entrambi i casi le sentenze hanno ritenuto legittimo il diniego di autorizzazione da parte della soprintendenza, che risultava debitamente motivato in ragione «della natura e della serietà del pregiudizio, della sua rilevanza in rapporto al complesso in cui l'opera si colloca e con riferimento a tutte le alternative eventualmente prospettate dall'interessato».
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L'attività è libera se non è esterna.
La legge contiene una definizione molto precisa di «barriere architettoniche». L'articolo 2 del Dm 236/1989 le definisce come: gli ostacoli fisici che sono fonte di disagio per la mobilità di chiunque e in particolare di coloro che, per qualsiasi causa, hanno una capacità motoria ridotta o impedita in forma permanente o temporanea; gli ostacoli che limitano o impediscono a chiunque la comoda e sicura utilizzazione di parti, attrezzature o componenti; la mancanza di accorgimenti e segnalazioni che permettono l'orientamento e la riconoscibilità dei luoghi e delle fonti di pericolo per chiunque e in particolare per i non vedenti, per gli ipovedenti e per i sordi.
Quanto ai contenuti progettuali e alle autorizzazioni necessarie per gli interventi di superamento delle barriere architettoniche, l'articolo 77 del testo unico dell'edilizia prescrive che i progetti –compresi quelli di ristrutturazione di interi edifici– debbano essere redatti con l'osservanza delle prescrizioni tecniche stabilite con il Dm 236/1989, con questo contenuto minimo:
- accorgimenti tecnici idonei alla installazione di meccanismi per l'accesso ai piani superiori, ivi compresi i servoscala;
- idonei accessi alle parti comuni degli edifici e alle singole unità immobiliari;
- almeno un accesso in piano, rampe prive di gradini o idonei mezzi di sollevamento;
- l'installazione, nel caso di immobili con più di tre livelli fuori terra, di un ascensore per ogni scala principale raggiungibile mediante rampe prive di gradini.
La stessa disposizione, con specifico riferimento agli «immobili vincolati ai sensi del Dlgs 490/1999», stabilisce che i progetti debbano essere preventivamente «approvati dalla competente autorità di tutela, a norma degli articoli 23 e 151 del medesimo decreto legislativo» (ora articoli 21 e 146 del Dlgs 42/2004). L'omessa pronuncia sull'istanza nei termini previsti dalla legge 13/1989 (90 giorni per i vincoli paesaggistici e 120 giorni per quelli storico-artistici) comporta la formazione del silenzio-assenso sul progetto.
Gli interventi dovranno comunque essere realizzati anche nel rispetto delle norme antisismiche, antincendio e di prevenzione degli infortuni.
In tema di titoli abilitativi, l'articolo 6, comma 1, lettera b), del Dpr 380/2001 (nel testo modificato dalla legge n. 73/2010) ha ricompreso nell'ambito dell'attività edilizia libera anche gli interventi volti all'eliminazione di barriere architettoniche, ma alla specifica condizione che gli stessi non comportino la realizzazione di rampe o di ascensori esterni, o di manufatti che alterino la sagoma dell'edificio. In questi casi sarà quindi necessario il rilascio di un titolo abilitativo. Inoltre, in base all'articolo 79, le opere possono essere realizzate in deroga alle norme sulle distanze previste dai regolamenti edilizi, anche per i cortili e le chiostrine interni ai fabbricati o comuni o di uso comune a più fabbricati.
È comunque fatto salvo l'obbligo di rispetto delle distanze dettate dagli articoli 873 e 907 del Codice civile nell'ipotesi in cui tra le opere da realizzare e i fabbricati alieni non sia interposto alcuno spazio o alcuna area di proprietà o di uso comune (articolo Il Sole 24 Ore del 28.11.2011).

AGGIORNAMENTO AL 28.11.2011

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UTILITA'

EDILIZIA PRIVATA: Lombardia, Necessita aggiornare il costo di costruzione entro il 31.12.2011 il cui effetto sarà efficace a decorrere dall'01.01.2012: ecco il fac-simile di determinazione (file 1 - file 2).
ATTENZIONE: se non si adotta la determinazione di aggiornamento entro la suddetta scadenza per tutto il 2012 si dovrà applicare il medesimo costo di costruzione vigente nell'anno 2011 (cfr. art. 48, comma 2, della L.R. n. 12/2005).
ALCUNE CONSIDERAZIONI: ad oggi, il dato ufficiale ISTAT è quello relativo alla variazione del mese di maggio 2011, mentre quello di giugno 2011 è ufficioso e, come tale, non utilizzabile (N.B.: per controllare il dato in tempo reale cliccare qui).
Pertanto,
si consiglia di adottare la determinazione di aggiornamento del costo di costruzione, per l'anno 2012, verso la fine di dicembre 2011 poiché è verosimile che entro il 31.12.2011 possa essere pubblicato dall'ISTAT il dato ufficiale relativo a giugno 2011 ed avere, così, un valore maggiore (rispetto a maggio 2011) della variazione ISTAT per il calcolo del costo di costruzione (e, quindi, non perdere soldi per le casse comunali ...).
28.11.2011 - LA SEGRETERIA PTPL

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATAGuide “passo passo” sul sistema di tracciabilità dei rifiuti. Vademecum per produttori, trasportatori, smaltitori e intermediari.
Il SISTRI (sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti) ha lo scopo di permettere l'informatizzazione dell'intera filiera dei rifiuti speciali a livello nazionale.
La Legge 148/2011 affida al Ministero dell’Ambiente il compito di organizzare, entro il 15.12.2011, in collaborazione con le associazioni di categoria, test di funzionamento del SISTRI, al fine di verificare l’efficacia del funzionamento delle tecnologie utilizzate nonché la validità delle procedure individuate.
Il Ministero dell'Ambiente ha pubblicato una serie di guide “passo passo” per gli utenti, elaborate in funzione della tipologia di utente, che rappresentano un notevole aiuto per le aziende che devono operare con il nuovo e controverso sistema di tracciabilità dei rifiuti.
Le guide pubblicate sono le seguenti:
● Guida rapida produttori
● Guida rapida trasportatori
● Guida rapida recuperatori/smaltitori
● Guida rapida intermediari (24.11.2011 - link a www.acca.it).

dite la vostra ... RICEVIAMO E PUBBLICHIAMO

EDILIZIA PRIVATA: Perché le commissioni paesaggio non funzionano.
Le commissioni paesaggio sono state introdotte a seguito dell'evoluzione normativa sia nazionale (codice urbani) che regionale (legge 12/2005 e varie dgr) e hanno sostituito quelli che erano gli esperti ambientali della legge regionale 18/1997.
L'intento normativo a sua volta discendente dalla convenzione europea del paesaggio è teso alla tutela e ... (... continua cliccando qui) (24.11.2011 - Parenti Geom. Christian).

SINDACATI

PUBBLICO IMPIEGO: D.L. 98/2011: col taglio delle agevolazioni verranno colpite le famiglie più povere (CGIL-FP di Bergamo, nota 25.11.2011).

GURI - GUUE - BURL (e anteprima)

ENTI LOCALI: B.U.R. Lombardia, supplemento n. 47 del 25.11.2011, "Modifiche alla legge regionale 02.02.2010, n. 6 (Testo unico delle leggi regionali in materia di commercio e fiere)" (L.R. 22.11.2011 n. 19).

VARI: B.U.R. Lombardia, supplemento n. 47 del 25.11.2011, "Esposizione del crocifisso negli immobili regionali" (L.R. 21.11.2011 n. 18).

ENTI LOCALI - VARI: G.U. 23.11.2011 n. 273, suppl. ord. n. 242, "Ripubblicazione del testo della legge 12.11.2011, n. 183, recante: «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilità 2012)», corredato delle relative note".

ATTI AMMINISTRATIVI: G.U. 23.11.2011 n. 273 "Disposizioni correttive ed integrative al decreto legislativo 02.07.2010, n. 104, recante codice del processo amministrativo a norma dell’articolo 44, comma 4, della legge 18.06.2009, n. 69" (D.Lgs. 15.11.2011 n. 195).

DOTTRINA E CONTRIBUTI

APPALTI: F. Gavioli, Gare nella P.A., subappalti senza ''cascata'' (link a www.ipsoa.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: G. Miele, Nota a sentenza del TAR Campania, Sez. V, 04.11.2011 n. 5114 - Ordinanze comunali contingibili ed urgenti in materia di rimozione rifiuti: Obbligo d'istruttoria, violazione dell’art. 192 D.Lgs. 152/2006 in relazione all’art. 3 L. 241/1990 – Necessità di avvio del procedimento ex artt. 7 e 8 L. 241/1990 tranne che in ipotesi di urgenza qualificata – Principio di specialità dell'art. 14 C.d.S.: attività esigibili da parte di ANAS ai sensi del combinato disposto dei commi 1 e 3 dell’art. 14 del Codice della Strada (link a www.ambientediritto.it).

CORTE DEI CONTI

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Limitazione delle spese di formazione.
La Corte dei Conti Sez. Reg.le Molise, con parere 17.11.2011 n. 113, ricostruito il quadro normativo e pattizio in tema di formazione ed aggiornamento professionale nel pubblico impiego, formula osservazioni di rilevante significato; successivamente, esamina un aspetto particolare e, con specifico riferimento alla limitazione posta dall'art. 6, comma 13, del D.L. 78/2010 (conv. in L. 122/2010), evidenzia:
"... la limitazione della spesa non può risolversi in un impedimento alla programmazione di fabbisogni formativi. Affermata quindi la possibilità e la necessità della previsione, la problematica proposta con il primo quesito si sposta esclusivamente sulla fissazione di un parametro di riferimento cui rapportare la riduzione nel caso in cui nel 2009 l'Amministrazione procedente -erroneamente- non abbia sostenuto spese di tale natura. Al riguardo la Sezione ritiene che l'ente possa fare riferimento all'ultimo stanziamento utile pregresso."
La finale precisazione così recita:
"Inoltre è bene precisare che l'obbligo di riduzione in parola non incide sulle singole voci di spesa, ma sulle spese riconducibili ad attività esclusivamente di formazione che, a decorrere dal 2011 non devono essere superiori al 50% di quelle complessivamente sostenute nel 2009. Si inducono in tal guisa le amministrazioni ad individuare le attività di formazione effettivamente vantaggiose, per destinare esclusivamente ad esse, nei limiti di spesa imposti, le risorse disponibili (cfr. Sez. Reg. Contr. Piemonte n. 55/2011" (tratto da www.publika.it).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGOProgressioni orizzontali anno 2010.
La Corte dei Conti Sez. Reg.Le Veneto, con parere 16.11.2011 n. 393, conferma l'orientamento già assunto dalle Sezioni Lombardia (69/2011) e Friuli Venezia Giulia (28/2011) secondo il quale:
"... ai sensi delle disposizioni di cui all'art. 9, comma 21, del D.L. 31.05.2010 n. 122 (D.L. 78/2010 conv. in L. 122/2010), le amministrazioni locali non possono dar luogo nell'anno in corso a progressioni orizzontali, con effetti economici, a decorrere dall'01.01.2010, a seguito di accordi decentrati stipulati nell'anno 2011 o in presenza di una mera preintesa a detti accordi".
Aggiunge:
"Appare necessario evidenziare che l'approvazione di progressioni orizzontali con effetti economici o il riconoscimento di trattamenti retributivi accessori, che determinano effetti finanziari sui bilanci degli enti, in mancanza di puntuali accordi (da stipularsi in sede di contrattazione decentrata in epoca anteriore al periodo di riferimento dell'accordo e non 'in sanatoria') con i quali siano stati determinati ex ante le modalità di esecuzione delle prestazioni accessorie o i presupposti per il conseguimento delle progressioni, potrebbero determinare responsabilità erariale a carico del soggetto che ha formalmente autorizzato la liquidazione delle relative somme (per giurisprudenza consolidata si veda, da ultimo, Sezione Giurisdizionale Campania - sentenza 1808/2011)" (tratto da www.publika.it).

APPALTI SERVIZI - ENTI LOCALI: Il termine legale per le dismissioni delle partecipazioni contra legem ex art. 14, c. 32, del d.l. n. 78/2010, per i comuni con una popolazione compresa tra 30.000 e 50.000 abitanti è il 31.12.2013.
Il vigente quadro normativo ex art. 14, c. 32, del d.l. n. 78/2010 può essere ricostruito nei seguenti termini: fermo quanto previsto dall'articolo 3, commi 27, 28 e 29 della l. 24.12.2007, n. 244, i comuni con popolazione inferiore a 30.000 abitanti non possono costituire società.
Entro il 31.12.2012 i comuni mettono in liquidazione le società già costituite alla data di entrata in vigore del decreto, ovvero ne cedono le partecipazioni, a meno che le società già costituite:
a) abbiano, al 31.12.2012, il bilancio in utile negli ultimi tre esercizi;
b) non abbiano subito, nei precedenti esercizi, riduzioni di capitale conseguenti a perdite di bilancio;
c) non abbiano subito, nei precedenti esercizi, perdite di bilancio in conseguenza delle quali il comune sia stato gravato dell'obbligo di procedere al ripiano delle perdite medesime.
Le disposizioni di cui al comma 32 non si applicano alle società, con partecipazione paritaria ovvero con partecipazione proporzionale al numero degli abitanti, costituite da più comuni la cui popolazione complessiva superi i 30.000 abitanti; i comuni con popolazione compresa tra 30.000 e 50.000 abitanti possono detenere la partecipazione di una sola società; entro il 31.12.2013 i predetti comuni mettono in liquidazione le altre società già costituite (Corte dei Conti, sez. regionale di controllo per la Regione Lombardia, pareri 15.11.2011 n. 602 e n. 603 - massima tratta da www.dirittodeiservizipubblici.it).
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Per un approfondimento si legga anche: Nota sul parere della Corte e dei Conti, sezione Lombardia n. 602/2011/PAR del 15/11/2011 relativo al termine per le dismissioni societarie dei Comuni con popolazione compresa fra i 30.000 ed i 50.000 abitanti (ANCI, nota 18.11.2011).

ENTI LOCALI: Incarichi, è corsa contro il tempo. Contratti a termine e co.co.co. con meno paletti fino al 2011.  La legge di stabilità prevede che dall'anno prossimo si applichi il limite del 50% della spesa 2009.
Molti comuni e province stanno forzando i tempi per effettuare assunzioni a tempo determinato e conferire incarichi di collaborazione coordinata e continuativa entro la fine del 2011. In questo scorcio di tempo, infatti, non vi sono specifici limiti dettati nel ricorso a questi istituti, limiti che la legge di stabilità introduce per tutti gli enti locali dal prossimo 01.014.2012, ma valgono solamente le limitazioni di carattere generale previste in materia di assunzioni e di spesa del personale.
I commi 102 e 103 dell'articolo 4 della legge n. 183/2011, cd di stabilità 2012, stabiliscono innanzitutto che il riferimento al tetto del 20% della spesa del personale cessato nell'anno precedente come soglia massima della spesa per le assunzioni negli enti soggetti al patto di stabilità, deve essere riferito esclusivamente a quelle a tempo indeterminato.
E ancora si dispone l'applicazione agli enti locali dello stesso tetto previsto per le assunzioni a tempo determinato, con convenzioni e con contratti di collaborazione coordinata e continuativa da parte delle amministrazioni dello stato e delle regioni dall'articolo 9, comma 28, del dl n. 78/2010. Tale tetto è fissato nel 50% della spesa sostenuta allo stesso titolo nell'anno 2009. Si può aggiungere che questo tetto sembra esteso anche alle altre tipologie di assunzioni flessibili, quali i contratti di somministrazione, il lavoro accessorio e i contratti di formazione e lavoro. Sono ovviamente comprese in tale limite anche le assunzioni ex articoli 110 e 90 del dlgs n. 267/2000.
Per cui, con riferimento agli enti soggetti al patto, viene a cadere la lettura data dalla deliberazione n. 46/2011 delle sezioni riunite di controllo della Corte dei conti, per la quale il tetto del 20% della spesa del personale cessato nell'anno precedente «deve essere riferito alle assunzioni di personale a qualsiasi titolo e con qualsivoglia tipologia contrattuale. Ciò ferme restando le eccezioni espressamente stabilite per legge, gli interventi caratterizzati da ipotesi di somma urgenza e lo svolgimento di servizi infungibili ed essenziali». Negli enti non soggetti al patto non era previsto alcun limite specifico.
Con il parere 15.11.2011 n. 410 la sezione regionale di controllo della Corte dei conti della Toscana ha chiarito che «il comma 103 dell'art. 4 della legge n. 183/2011 è considerato dalla sezione quale norma di carattere interpretativo come, peraltro, evidenziato nella relazione illustrativa al disegno di legge di stabilità per il 2012 per cui (rispondendo al quesito specifico) l'assunzione o la proroga di un contratto a tempo determinato per sostituzione maternità non rientra nell'applicazione della norma di cui all'art. 76, comma 7, della legge 133/2008 e ss. mm., nella parte in cui stabilisce il vincolo di spesa (20%) alle assunzioni di personale negli enti soggetti al patto di stabilità interno».
Ecco quindi le conseguenze concrete: la fissazione del tetto di spesa per assunzioni a tempo determinato e co.co.co. negli enti soggetti al patto nel 20% di quella del personale cessato nell'anno precedente deve essere ritenuta superata. Il che vuol dire che gli enti locali, tanto soggetti o meno al patto di stabilità, non hanno specifici limiti alle assunzioni flessibili nello scorcio finale dell'anno 2011. Mentre essi avranno il limite del 50% della spesa del personale assunto con contratto flessibile nel 2009 a partire dal prossimo 01.01.2012, data di entrata in vigore della legge di stabilità.
Limite che si estende anche alle amministrazioni non soggette al patto di stabilità. In questo periodo è sufficiente rispettare le tre condizioni necessarie per l'effettuazione di assunzioni a qualunque titolo: avere rispettato il patto di stabilità, avere rispettato il tetto di spesa del personale (anno precedente per le amministrazioni soggette al patto e 2004 per quelle non soggette) e rispettare il rapporto massimo del 40% tra spesa del personale e spesa corrente (articolo ItaliaOggi del 25.11.2011 - tratto da www.corteconti.it).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGOFondi decentrati, Corte conti divisa su compensi Istat e risparmi.
Le sezioni regionali di controllo delle Corti dei conti sono in contrasto sulla possibilità che i compensi erogati dall'Istat e quelli derivanti dai risparmi provenienti dalla contrattazione decentrata del 2010 possano derogare al tetto del fondo della contrattazione decentrata. Mentre si deve considerare preclusa la possibilità di derogare a tale limite con le risorse derivanti dalle sanzioni per le violazioni al codice della strada, nonché per la utilizzazione dei commi 2 e 5 del Ccnl 01/04/1999.
Parimenti non possono incrementare il fondo per la contrattazione decentrata le risorse destinate alla incentivazione del personale degli uffici tributi con i maggiori gettiti Ici né quelle provenienti da sponsorizzazioni. Sicuramente le uniche deroghe ammesse al tetto del fondo sono quelle per la incentivazione del personale degli uffici tecnici per la realizzazione di opere pubbliche e per l'adozione degli strumenti urbanistici.

Possono essere così riassunte le indicazioni che si ricavano dai pareri resi dalle sezioni di controllo della Corte dei conti sull'applicazione delle previsioni dettate dall'articolo 9, comma 2-bis, del dl n. 78/2010. Ricordiamo che, sulla base di questa disposizione, le amministrazioni devono garantire il raggiungimento di due risultati per il fondo per la contrattazione decentrata negli anni 2011/2012 e 2013 (periodo che il governo potrà allungare di 1 anno ancora): in primo luogo il non superamento del tetto del fondo 2010 e poi la sua decurtazione in misura proporzionale alla riduzione del personale in servizio a tempo indeterminato.
L'ultimo contrasto interpretativo è quello emerso tra le sezioni regionali di controllo della Corte dei conti della Toscana e della Lombardia sulla inclusione dei compensi Istat nel tetto per il fondo alla contrattazione decentrata integrativa.
Per la sezione toscana, parere 26.10.2011 n. 291, rientrano nel tetto posto dal dl n. 78/2010 al fondo per la contrattazione decentrata anche i compensi che i comuni vanno a riconoscere ai propri dipendenti impegnati nelle operazioni di censimento in ragione degli specifici trasferimenti effettuati dall'Istat.
Per la sezione regionale di controllo della Lombardia, parere 28.10.2011 n. 550, invece essi vanno comunque esclusi dal tetto al fondo per la contrattazione decentrata, qualunque ne sia la modalità di erogazione.
Per i giudici contabili toscani si arriva a questa conclusione sulla base delle indicazioni dettate dalle sezioni riunite che, con il parere n. 51/2011, hanno stabilito che sfuggono al vincolo i compensi destinati solamente a precisi dipendenti e se si tratta di «prestazioni professionali tipiche la cui provvista all'esterno potrebbe comportare aggravi di spesa a carico dei bilanci delle amministrazioni pubbliche».
I giudici contabili lombardi mettono invece in evidenza che le singole amministrazioni non hanno alcuna possibilità di incidere su questa scelta ed in quanto l'applicazione di questi istituti non pone a loro carico oneri aggiuntivi (articolo ItaliaOggi del 25.11.2011 - tratto da www.corteconti.it).

NEWS

ENTI LOCALII compensi alle partecipate fuori dal computo delle spese. Una nota interpretativa dell'Anci mette in guardia dal rischio di duplicazione dei costi.
I corrispettivi erogati alle società partecipate in esecuzione dei contratti di servizio non vanno considerati nel complesso delle spese da sommare alle spese correnti dell'ente locale, al fine di computare l'incidenza della spesa di personale sul totale della spesa, in applicazione dell'articolo 76, comma 7, della legge 133/2008.
È uno tra i principali suggerimenti avanzati dall'Anci nella sua nota interpretativa dedicata al problema del computo delle spese delle società partecipate, ai fini del calcolo appunto dell'indice della spesa di personale su quella corrente, che non deve superare il 40%.
I problemi affrontati dalla nota interpretativa trovano la loro origine nella modifica apportata dall'articolo 76, comma 7, della legge 133/2008 dalla prima manovra estiva 2011, che impone di computare «le spese sostenute anche dalle società a partecipazione pubblica locale totale o di controllo che sono titolari di affidamento diretto di servizi pubblici locali senza gara, ovvero che svolgono funzioni volte a soddisfare esigenze di interesse generale aventi carattere non industriale, né commerciale, ovvero che svolgono attività nei confronti della pubblica amministrazione a supporto di funzioni amministrative di natura pubblicistica».
L'Anci propone alcune chiave interpretative, mettendo contestualmente a nudo tutte le contraddizioni della norma, che secondo l'associazione dei comuni sarebbe comunque necessario rivedere profondamente, se non abolire del tutto.
No alle duplicazioni della spesa. La necessità di depurare dalle spese delle società i corrispettivi pagati dagli enti partecipanti discende dall'esigenza di evitare la duplicazione del computo di un medesimo costo. I trasferimenti come compenso per le attività rese dalle società in esecuzione dei contratti di servizio sono spesa corrente dell'ente dominus, ma anche costo di esercizio della società.
Il pericolo di conteggiare due volte tali partite va scongiurato eliminando dai conteggi i costi di esercizio correlati a ricavi delle società derivanti dai pagamenti connessi ai contratti di servizio. L'Anci propone anche formule di calcolo per determinare l'incidenza complessiva delle spese generali delle società e delle spese correnti degli enti locali, senza dimenticare di sottolineare come, tuttavia, essi possano essere fortemente influenzati dalla presenza di utili o perdite, che possono rendere disomogenei i risultati.
Campo di applicazione. La formulazione dell'articolo 76, comma 7, novellato non è coerente con le definizioni normative delle società di gestione di servizi pubblici locali o delle società strumentali e crea parecchie incertezze. L'Anci esclude che la norma possa estendere la sua efficacia oltre l'insieme delle società vere e proprie: non sono da considerare, dunque, le spese di soggetti, sia pure partecipati dal capitale locale, diversi dalle società, come associazioni, fondazioni, aziende speciali.
Se non vi sono problemi, poi, a identificare le società a partecipazione pubblica totalitaria, più complesso è il riferimento al «controllo». Secondo l'associazione si deve fare ricorso all'articolo 2359 del codice civile.
La norma vale sostanzialmente per tutte le società affidatarie senza gara dei servizi sia a rilevanza sia senza rilevanza economica; ma si estende anche alle società cui sia stato affidato un servizio privo di rilevanza economica, visto che la norma non richiede necessariamente la formula dell'in house providing, nonché a tutte le società (totalitarie, miste o in house) strumentali, che cioè hanno come destinatario della propria attività l'ente locale, per conto del quale gestiscono servizi pubblici in forma privatistica.
Sono escluse dalla norma, oltre che le società quotate in borsa espressamente citate, anche le società miste costituite per effetto della gara a doppio oggetto, con la quale il socio viene selezionato per partecipare ad almeno il 40% del capitale e svolgere specifici compiti operativi.
Spesa del personale. L'Anci ricorda le troppe contraddizioni esistenti nell'individuazione delle spese da considerare attinenti al personale, derivanti dall'assenza di una norma che le enumeri in maniera chiara e dalla diversità di visioni tra le conclusioni contenute nella circolare 9/2006 della Ragioneria generale dello stato e la Corte dei conti.
In attesa di un pronunciamento più chiaro, che l'associazione si è impegnata a promuovere con la Rgs, la nota suggerisce di escludere le spese per il personale comandato rimborsate da enti terzi, gli straordinari elettorali rimborsati dallo stato, le spese di personale per attività svolte in conto terzi e da essi rimborsati (esempio, il censimento Istat), le spese totalmente finanziate dalla Ue o da privati, gli incentivi per progettisti e avvocati, gli incentivi derivanti da recupero Ici e dal condono edilizio. Queste indicazioni, tuttavia, sono in contrasto con le indicazioni del parere 51/2011 delle sezioni riunite della Corte dei conti.
Disomogeneità dei bilanci. L'Anci perora la necessità di rivedere o abolire le norme commentate dalla nota, sottolineando come manchi del tutto la possibilità di conciliare con precisione le spese dell'ente locale, con quelle delle società, vista la assoluta difformità delle regole contabili. Nelle società non esiste la contabilità finanziaria, che se venisse applicata potrebbe consentire di elevare il computo della spesa per indebitamento (non considerando gli ammortamenti), il che paradossalmente aumenterebbe la voce delle spese generali e finirebbe per consentire assunzioni in numero maggiore di quello che avverrebbe se non si applicasse l'articolo 76, comma 7.
Inoltre, mentre gli enti locali adottano un bilancio di previsione, le società conoscono l'entità delle loro spese solo a posteriori, col bilancio consuntivo da approvare entro quattro mesi dalla chiusura dell'esercizio: il che non permette di capire il regime temporale di verifica di applicazione del divieto assoluto di assumere, nel caso di sforamento dell'indice della spesa di personale del 40% (articolo ItaliaOggi del 25.11.2011 - tratto da www.corteconti.it).

CONSIGLIERI COMUNALIOSSERVATORIO VIMINALE/ Incompatibilità personale. Conflitto di interesse attenuato per le società. In giudizio contro il comune il rappresentante non assume la qualifica di parte.
Sussiste la causa di incompatibilità ex art. 63, comma 1, n. 4 del Tuel nei confronti di un consigliere comunale che, in qualità di legale rappresentante di una società a responsabilità limitata, ha instaurato un contenzioso con l'Agenzia del demanio, la regione e il comune, concluso con sentenza del tribunale?
Secondo una giurisprudenza meno recente, la Corte di cassazione ha più volte ribadito che l'espressione «essere parte di un procedimento» va intesa in senso tecnico, per cui la pendenza di una lite va accertata con riferimento alla qualità di parte in senso processuale, quindi, agli effetti della sussistenza della causa di incompatibilità della lite pendente con il comune, non sono sindacabili i motivi del giudizio pendente, dovendo unicamente rivelarsi il dato formale ed obiettivo di tale pendenza, che esaurisce «ex se» il presupposto dell'incompatibilità (cfr. Cassazione civile, sezione I, 16.02.1991, n. 1666).
Secondo l'orientamento giurisprudenziale più recente è stato ritenuto che a integrare gli estremi della causa di incompatibilità di cui al comma 1, n. 4) del citato articolo 63, «non basta la pura e semplice constatazione dell'esistenza di un procedimento civile o amministrativo nel quale risultino coinvolti, attivamente o passivamente, l'eletto o l'ente, ma occorre che a tale dato formale corrisponda una concreta contrapposizione di parti, ossia una reale situazione di conflitto: solo in tal caso sussiste l'esigenza di evitare che il conflitto di interessi nella lite medesima possa orientare le scelte dell'eletto in pregiudizio dell'ente amministrativo, o comunque possa ingenerare all'esterno sospetti al riguardo» (cfr. Cassazione civile, sezione I, 28.07.2001, n. 10335).
Nel caso in esame, non sussiste la causa di incompatibilità di cui all'art. 63, comma 1, n. 4 del Testo unico sugli enti locali, in quanto l'amministratore non è parte processuale nel giudizio con il comune, ma lo è la società di cui il consigliere comunale in questione è rappresentante legale.
La stessa Corte costituzionale è stata chiamata a pronunciarsi in via incidentale sulla legittimità costituzionale dell'art. 63, comma 1, n. 4, in occasione di una questione in parte analoga a quella ora in esame, concernente un giudizio instaurato nei confronti di un comune da un consigliere non in proprio, ma quale amministratore di due società di diritto privato. Il giudice delle leggi, con sentenza del 02.07.2008, n. 240, ha ritenuto che la questione di legittimità costituzionale è inammissibile quando il remittente solleciti alla Corte stessa un intervento additivo al quale non è costituzionalmente obbligata atteso che spetta al legislatore, nel ragionevole esercizio della sua discrezionalità, stabilire il regime delle cause di ineleggibilità e incompatibilità.
Secondo la Consulta è, quindi, inammissibile la questione di costituzionalità sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 97 Cost., sulla disposizione di cui all'art. 63, comma 1, n. 4 del dlgs n. 267/2000, che individua le incompatibilità per lite pendente nei confronti degli amministratori locali, sollevata nella parte in cui non è estesa all'ipotesi ove l'eletto sia titolare della rappresentanza organica di un soggetto avente lite con l'ente locale.
Ciò premesso il comune, in conformità al principio generale per cui ogni organo collegiale è competente a deliberare sulla regolarità dei titoli di appartenenza dei propri componenti, potrà eventualmente esaminare la questione sotto il profilo dell'art. 63, comma 1, n. 1) o n. 2), del dlgs 267/2000, sulla base degli atti in possesso (articolo ItaliaOggi del 25.11.2011).

GIURISPRUDENZA

APPALTI: Sull'illegittimità dell'esclusione di un concorrente da una gara, sull'assunto che tutti progettisti da esso indicati non avevano reso, per proprio conto, la dichiarazione di assoggettamento all'obbligo di cui alla legge n. 68/1999.
Secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, è doveroso, in difetto di esplicite previsioni escludenti in base alla lex specialis, effettuare una valutazione sostanzialistica circa la sussistenza delle cause di esclusione, ciò in considerazione del fatto che, l'art. 38, c. 1, del d.lgs. n. 163/2006, ricollega l'esclusione dalla gara al dato sostanziale del mancato possesso dei requisiti indicati, mentre il secondo comma non prevede analoga sanzione per l'ipotesi della mancata o non perspicua dichiarazione. Da ciò discende che solo l'insussistenza, in concreto, delle cause di esclusione previste dalla citata disposizione comporta, "ope legis", l'effetto espulsivo.
Diversamente, allorquando il partecipante sia in possesso di tutti i requisiti richiesti, e la "lex specialis" non preveda espressamente la sanzione dell'esclusione a seguito della mancata osservanza delle puntuali prescrizioni in ordine a modalità ed'oggetto delle dichiarazioni da fornire, l'omissione non produce alcun pregiudizio agli interessi presidiati dalla norma, ricorrendo al più un'ipotesi di "falso innocuo", come tale non suscettibile, in carenza di una espressa previsione legislativa o della legge di gara, a fondare l'esclusione, le cui ipotesi sono tassative.
Nel caso di specie, le dichiarazioni fornite dai professionisti di cui trattasi possono ritenersi caratterizzate da completezza e veridicità, sufficienti a soddisfare le esigenze che la norma che le prevede è tesa a tutelare, atteso che con le stesse essi avevano dichiarato di avere alle proprie dipendenze un numero di dipendenti inferiore a quello comportante l'obbligo di assunzione di lavoratori diversamente abili, che corrispondeva sostanzialmente alla dichiarazione di non assoggettamento agli obblighi di assunzione obbligatoria di cui alla l. n. 68/1999, che era previsto dovesse essere prodotta. Illegittimamente, quindi, l'impresa concorrente è stata esclusa dalla gara, sull'assunto che tutti progettisti indicati dalla stessa per l'attività di progettazione non avevano reso per proprio conto la dichiarazione di assoggettamento all'obbligo di cui alla legge n. 68/1999 (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 24.11.2011 n. 6240 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Spetta all'amministrazione e non all'impresa partecipante ad una gara di appalto il giudizio sull'eventuale gravità delle eventuali condanne riportate.
L'art. 38, c. 2, del d.lgs. n. 163/2006, limitandosi a fare riferimento alla necessità di produrre un'attestazione che documenti il "possesso dei requisiti", ricollega il contenuto della dichiarazione relativa alle condanne subite, direttamente al precetto di cui all'art. 1, lett. c, della medesima disposizione.
Secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, spettando all'amministrazione il giudizio sull'eventuale gravità delle eventuali condanne riportate, è comunque obbligo del concorrente dichiarare tutti i pregiudizi penali subiti, non spettando a quest'ultimo effettuare valutazioni in ordine alla gravità del reato ascrittogli o del pregiudizio penale riportato, in quanto ciò si risolverebbe nella possibile privazione, in capo alla stazione appaltante, delle conoscenze indispensabili per potere delibare in ordine all'incidenza del precedente riportato sulla moralità professionale e sulla gravità del medesimo.
Detto approccio interpretativo, pienamente conciliabile con il dato testuale contenuto nella disposizione di legge in parola, ha il pregio di non vanificarne la portata, demandando al concorrente una delibazione preventiva sulla "gravità" della condanna. Tale delibazione compete alla discrezionalità valutativa della stazione appaltante, previa comunicazione alla medesima della sussistenza del precedente penale da valutare (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 22.11.2011 n. 6153 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: E' obbligo del concorrente dichiarare tutti i pregiudizi penali subiti non pertenendo a quest'ultimo effettuare valutazioni in ordine alla gravità del reato ascrittogli o del pregiudizio penale riportato.
Deve ritenersi che le valutazioni in ordine alla gravità delle condanne riportate dai concorrenti ed alla loro incidenza sulla moralità professionale spettano alla Stazione appaltante e non al concorrente medesimo, il quale è pertanto tenuto a indicare tutte le condanne riportate, non potendo operare a monte alcun «filtro», omettendo la dichiarazione di alcune di esse sulla base di una selezione compiuta secondo criteri personali. (Consiglio Stato, sez. IV, 10.02.2009, n. 740).
Spettando all’amministrazione il giudizio sulla eventuale gravità delle eventuali condanne riportate, è comunque obbligo del concorrente dichiarare tutti i pregiudizi penali subiti non pertenendo a quest’ultimo effettuare valutazioni in ordine alla gravità del reato ascrittogli o del pregiudizio penale riportato perché ciò si risolverebbe nella possibile privazione in capo alla stazione appaltante delle conoscenze indispensabili per potere delibare in ordine alla incidenza del precedente riportato sulla moralità professionale e sulla gravità del medesimo.
Ne consegue che, in ipotesi di omessa dichiarazione di condanne riportate è legittimo il provvedimento d’esclusione non dovendosi configurare in capo alla stazione appaltante l’ulteriore obbligo di vagliare la gravità del precedente penale di cui è stata omessa la dichiarazione e conseguendo la statuizione espulsiva dalla omissione della prescritta dichiarazione (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 22.11.2011 n. 6153 - link a www.mediagraphic.it).

EDILIZIA PRIVATA: Abusivismo edilizio, i provvedimenti di repressione non vanno comunicati all’interessato.
Gli atti di repressione degli abusi edilizi hanno natura urgente e strettamente vincolata, essendo emanati a motivo dell’insussistenza del titolo per l’avvenuta trasformazione del territorio. Ne consegue che, ai fini della loro adozione, non sono richiesti apporti partecipativi del soggetto destinatario. In altri termini viene meno l’obbligo di comunicazione di cui all’art. 7 L. 241/1990, legge generale sul procedimento amministrativo.
La precisazione proviene dal TAR Campania-Napoli, Sez. III, sentenza 22.11.2011 n. 5480.
Di più: nella fattispecie all’esame del giudice di merito le doglianze attoree sono state ritenute infondate anche in ordine all’insufficienza della motivazione.
La comunicazione di avvio, si ricorda, costituisce, il primo atto del complessivo iter procedimentale e si configura quale obbligo per l’amministrazione procedente di notiziare dell’attivazione i soggetti che potrebbero essere compromessi dagli effetti del provvedimento finale.
Solo in presenza di ragioni di impedimento derivanti da particolari esigenze di celerità del procedimento viene meno l’obbligo della comunicazione in parola. L’articolo 7 succitato esprime invero un principio generale dell’ordinamento giuridico, per cui le limitazioni espresse alla sua osservanza si devono intendere in modo rigoroso e restrittivo. Al riguardo si è anzi puntualizzato che deve trattarsi non di un’urgenza qualsiasi, piuttosto di un’urgenza qualificata e che la decisione della
pubblica amministrazione di derogare all’obbligo di comunicazione deve essere supportata da idonea motivazione circa i presupposti di urgenza che hanno giustificato la stessa. (cfr. Cons. Stato, sez. IV, sent. 5832/2006).
Nella fattispecie particolare di abuso edilizio l'ordinanza di demolizione non richiede, in linea generale, una specifica motivazione; l'abusività costituisce di per sé motivazione sufficiente per l'adozione della misura repressiva in argomento. Presupposto per l'emanazione dell'ordinanza di demolizione di opere edilizie abusive è soltanto la constatata esecuzione di queste ultime in assenza o in totale difformità del titolo concessorio, con la conseguenza che, essendo l'ordinanza di demolizione atto dovuto, essa è sufficientemente motivata con l'accertamento dell'abuso.
È "in re ipsa" l'interesse pubblico alla sua rimozione, mentre un eventuale obbligo di motivazione al riguardo potrebbe ravvisarsi solo se l'ordinanza stessa intervenga a distanza di tempo dall'ultimazione dell'opera avendo l'inerzia dell'amministrazione creato un qualche affidamento nel privato. In tal caso ad essere minato è l’interesse superiore alla certezza del diritto (cfr. sul punto Cons. Stato, sez. V, sent. 3270/2006) (commento tratto da www.diritto.it - link a www.giustizia-amministrativa.it).

PUBBLICO IMPIEGO: Concorso pubblico per dirigente.
Il Consiglio di Stato Sezione V, con sentenza 21.11.2011 n. 6135, si occupa di quanto in oggetto per diversi aspetti. Tra l'altro, statuisce:
"... per quanto riguarda le selezioni per l'accesso alla dirigenza, le amministrazioni locali non sono tenute ad un ineludibile rispetto ad litteram dell'elencazione delle categorie di personale legittimate a concorrere che si rinviene nell'art. 28 del d.lgs. 165/2001. Tali amministrazioni possono, invece, nell'esercizio della propria potestà statutaria e regolamentare, adeguare i propri ordinamenti ai principi del relativo capo, alla luce delle loro peculiarità, apportando alla detta elencazione i ragionevoli adattamenti che si reputino necessari...".
"Si deve però prendere atto che l'art. 28 d.lgs. n. 165 cit, considerato sub specie di fonte di norme di principio vincolanti per gli enti locali ai sensi del precedente art. 27, esprime un quid pluris rispetto al canone della necessaria effettività dell'esperienza professionale pregressa. Esso postula anche, difatti, l'esigenza che tale esperienza sia qualificata, e, soprattutto, sia stata maturata all'interno della P.A., o quantomeno in prevalente rapporto con essa" (tratto da www.publika.it - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZI: Il rinnovo di una concessione può essere legittimamente disposto bandendo una gara. In assenza di diverse disposizioni nell'atto concessorio, il concessionario non può vantare alcuna aspettativa al rinnovo del rapporto.
In applicazione del principio del "favor partecipationis" possono essere pretesi particolari requisiti di capacità tecnica e finanziaria solo se necessari.

Secondo la prevalente giurisprudenza, il rinnovo di una concessione può essere legittimamente disposto bandendo una gara per l'individuazione del concessionario cui assegnare il bene, essendo le pubbliche amministrazioni assoggettate all'obbligo di esperire procedure ad evidenza pubblica ai fini dell'individuazione del soggetto contraente; inoltre che da tali acquisizioni giurisprudenziali non può ritenersi estranea la materia della concessione dei beni pubblici, in applicazione dei principi discendenti dall'art. 81 del Trattato UE e dalle Direttive comunitarie in materia di appalti, con attribuzione mediante procedure concorsuali, trasparenti, non discriminatorie, nonché tali da assicurare la parità di trattamento ai partecipanti.
Il concessionario di un bene demaniale non può vantare (se non diversamente disposto nell'atto concessorio) alcuna aspettativa al rinnovo del rapporto e che il relativo diniego, comunque esplicitato, nei limiti ordinari della ragionevolezza e della logicità dell'agire amministrativo, non necessita di ulteriore motivazione (essendo parificabile al rigetto di un'ordinaria istanza di concessione), né implica alcun "diritto d'insistenza" allorché la Amministrazione intenda procedere ad un nuovo sistema d'affidamento mediante gara pubblica o comunque procedura comparativa. Pertanto, in sede di rinnovo di una concessione, il precedente concessionario va posto sullo stesso piano di altro soggetto richiedente lo stesso titolo, con possibilità di indizione di una gara al riguardo senza necessità di particolare motivazione con riferimento alla richiesta di rinnovo.
In applicazione del principio del "favor partecipationis", possono essere pretesi particolari requisiti di capacità tecnica e finanziaria solo se necessari. Pertanto, nel caso di specie, legittimamente il Comune ha affidato la gestione dell'impianto sportivo tramite gara (che non necessita, per comune conoscenza, di particolari capacità tecniche o finanziarie) senza richiedere ai partecipanti il possesso di alcun requisito di capacità tecnica, economica e finanziaria, utilizzando solo il criterio del prezzo offerto (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 21.11.2011 n. 6132 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: RIFIUTI – Abbandono in prossimità dell’area stradale – Ordine di rimozione ex art. 192 d.lgs. n. 152/2006 – Ente gestore – Assenza di responsabilità per dolo o colpa – Illegittimità.
Nell’ ipotesi in cui l'abbandono abusivo dei rifiuti non pericolosi avvenga in prossimità dell'area stradale, deve ritenersi illegittimo l'ordine di rimozione intimato, ai sensi dell’art. 192 del d.lgs. n. 152/2006, nei confronti dell'ente gestore, quando in capo ad esso non risulti riscontrabile un profilo soggettivo di dolo o, quanto meno, di colpa (cfr. TAR Campania Napoli, sez. V, 05.12.2008, n. 21013; Id. 12.03.2002, n. 1291; 04.03.2009, n. 1284) (TAR Campania-Salerno, Sez. I, sentenza 19.11.2011 n. 1852 - massima tratta da www.ambientediritto.it - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Sulla legittimità dell'esclusione da una gara di un concorrente, che abbia prodotto, in relazione al proprio atto costitutivo, una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà, in luogo di copia autentica, come richiesto dal disciplinare di gara.
E' legittimo il provvedimento di esclusione da una gara, adottato da una stazione appaltante nei confronti di un Consorzio concorrente, che abbia omesso di produrre un documento nelle forme richieste dalla lettera d'invito, avendolo viceversa presentato nelle forme dell'atto di notorietà.
Nel caso di specie, trattasi dell'atto costitutivo del consorzio stesso. La dichiarazione sostitutiva assolve, infatti, alla funzione di far constatare alla P.A., esclusivamente a fini amministrativi ed in luogo di certificazioni rilasciate dalla stessa o da essa conservate, circostanze ad essa in propri atti.
Nel caso in esame, l'atto costitutivo non era stato rilasciato, né conservato dall'Amministrazione procedente, in quanto redatto da un Notaio e da esso custodito in originale, sicché, stante l'inderogabilità della legge di gara, non era comunque possibile surrogare la mancata produzione del citato atto, prevista a pena di esclusione, con la presentazione di documento redatto in base all'art. 19 del D.P.R. n. 445/2000 (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 18.11.2011 n. 6090 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: L'impresa concorrente in una gara d'appalto deve dichiarare la propria posizione nei confronti degli obblighi previdenziali, al momento dell'effettiva presentazione dell'offerta.
Secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, peraltro avallato dalla Corte di Giustizia UE e sostenuto in sede amministrativa dall'AVCP, l'impresa che abbia ottenuto una rateizzazione del debito tributario, deve essere considerata in regola ai fini della presentazione della domanda di partecipazione alla gara, stante il valore novativo che tali atti assumono; ciò, purché la sussistenza del requisito della regolarità fiscale e contributiva sia comunque riguardata in relazione al momento ultimo per la presentazione delle offerte.
Infatti, condizione necessaria affinché l'impresa possa considerarsi in regola, pur in presenza di inadempienze fiscali in corso, è quella secondo cui, gli eventi sopra richiamati, che pongono nuovamente l'impresa stessa in condizione di regolarità, devono essersi verificati entro la scadenza del termine di presentazione della domanda di partecipazione alla gara. In materia di contribuzione obbligatoria, l'accoglimento dell'istanza di dilazione deve in ogni caso precedere l'autodichiarazione circa il possesso della regolarità, in quanto non è ammissibile una dichiarazione che attesti il possesso di un requisito in data futura; e ciò, tanto più nell'ipotesi in cui esso non dipenda dalla presentazione dell'istanza, bensì dall'accoglimento della stessa.
Pertanto, è al momento dell'effettiva presentazione dell'offerta che l'impresa deve dichiarare la sua effettiva posizione nei confronti degli obblighi previdenziali, a nulla rilevando che tale situazione possa essere accertata e dimostrata solo in un momento successivo alla scadenza del termine, pur se con riferimento ad una data anteriore a tale scadenza.
La circostanza che, in relazione ai debiti, sia intervenuta una richiesta di rateizzazione, conferma il carattere della definitività del debito, in quanto la rateizzazione implica la certezza dell'ammontare e dell'esistenza della pretesa erariale, la quale non può essere più contestata in sede giudiziale, e non è comunque certo il suo accoglimento prima dell'adozione del relativo atto. Pertanto, nel caso di specie, la dichiarazione inerente all'insussistenza di infrazioni definitivamente accertate, prima dell'effettivo accoglimento della domanda di rateizzazione suddetta, deve ritenersi non proponibile (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 18.11.2011 n. 6084 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: INQUINAMENTO DEL SUOLO – Bonifica – Artt. 240 e ss. d.lgs. n. 152/2006 – Obbligo di bonifica o messa in sicurezza – Responsabile dell’inquinamento – Proprietario incolpevole.
Tanto la disciplina di cui al d.lgs. n. 22/1997 (in particolare, l’art. 17, comma 2), quanto quella introdotta dal d.lgs. n. 152/2006 (ed in particolare, gli artt. 240 e segg.), si ispirano al principio secondo cui l’obbligo di adottare misure, sia urgenti che definitive, idonee a fronteggiare la situazione di inquinamento, deve essere posto a carico unicamente di colui che di tale situazione sia responsabile per avervi dato causa a titolo di dolo o colpa, con la conseguenza che l’obbligo di bonifica o di messa in sicurezza non può essere invece addossato al proprietario incolpevole, ove manchi la dimostrazione di ogni sua responsabilità (TAR Sicilia, Ct, Sez. I, 26.07.2007, n. 1254; TAR Toscana, Sez. II, 17.04.2009, n. 665 e 06.05.2009, n. 762).
INQUINAMENTO DEL SUOLO – Mancata esecuzione degli interventi di bonifica da parte del soggetto responsabile – Esecuzione da parte della P.A. competente – Rivalsa sul soggetto responsabile.
Il “Codice dell’ambiente” (artt. 244, 250 e 253) prevede, nell’ipotesi di mancata esecuzione degli interventi ambientali da parte del “responsabile” dell’inquinamento, ovvero di impossibile individuazione dello stesso –e sempreché non provvedano autonomamente il proprietario del sito o altri soggetti interessati– che le opere di recupero ambientale siano eseguite dalla P.A. competente, che potrà rivalersi sul soggetto “responsabile” –e non, quindi, sul proprietario/utilizzatore- nei limiti del valore dell’area bonificata, anche esercitando, ove la rivalsa non vada a buon fine, le garanzie gravanti sul terreno oggetto dei medesimi interventi (TAR Lombardia, Milano, Sez. II, 10.07.2007, n. 5355; TAR Toscana, Sez. II, 17.09.2009, n. 1448).
INQUINAMENTO DEL SUOLO – Interventi di bonifica – Imposizione della misura della barriera fisica – Presupposti – Attività istruttoria.
L’imposizione della misura della cd. “barriera fisica”, in quanto molto gravosa e spesso invasiva per l’ambiente stesso, deve essere supportata, in corso di istruttoria, da adeguati accertamenti tecnici che la indichino come l’unico e/o il miglior sistema per evitare la diffusione dello specifico inquinamento (TAR Toscana, Sez. II, n. 225/2011). In particolare, la P.A. è tenuta a valutare ed accertare non solo l’inefficacia di misure meno invasive della barriera fisica, ma anche l’effettiva necessità, efficacia e realizzabilità del sistema di contenimento fisico nel singolo caso concreto.
Pertanto, l’opzione per detto sistema, ovvero per un utilizzo combinato delle differenti tipologie di intervento, può legittimamente avere luogo soltanto all’esito di un’analisi comparativa tra le diverse alternative in discorso, in ragione delle specifiche caratteristiche dell’area (TAR Puglia, Le, Sez. I, 11.06.2007, n. 2247, TAR Toscana, Sez. II, 14.10.2009, n. 1540 e 18.12.2009, n. 3973) (TAR Toscana, Sez. II, sentenza 18.11.2011 n. 1780 - massima tratta da www.ambientediritto.it - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: E' consentito il ricorso all'avvalimento, da parte di un consorzio concorrente alla gara, ai fini della dimostrazione del possesso dei requisiti in ordine al fatturato, all'esperienza pregressa e al numero di dipendenti.
Il capitolato richiedeva che i concorrenti autocertificassero il possesso di un’esperienza documentata di almeno tre anni nello svolgimento di servizi analoghi a quelli oggetto di gara, nonché di un numero annuo di dipendenti a tempo indeterminato non inferiore a cinque negli ultimi tre anni dalla pubblicazione del bando.
il Giudice di primo grado, sul rilievo incontestato che il Consorzio partecipante non avesse singolarmente il requisito della capacità tecnica e professionale richiesta (in specie, il fatturato specifico e l’esperienza pregressa, nonché il numero annuo di dipendenti a tempo indeterminato non inferiore a cinque negli ultimi tre anni), in quanto soggetto giuridico di recente costituzione, ha ritenuto illegittimo l’avvalimento intercorso tra lo stesso Consorzio e la mandante, sul presupposto che i requisiti dell’esperienza triennale nel settore dei servizi sociali per disabili e del numero annuo di dipendenti fossero di carattere soggettivo.
Il Collegio è dell’avviso, invece, che il ricorso all’avvalimento, avente ad oggetto il fatturato, l’esperienza pregressa ed il numero dei dipendenti a tempo indeterminato, sia stato legittimo, atteso che la disciplina dell’art. 49 del Codice dei contratti non pone alcuna limitazione, se non per i requisiti strettamente personali di carattere generale, di cui agli artt. 38 e 39, il cui possesso da parte dell’odierno appellante è nella fattispecie in esame incontestato (Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 15.11.2011 n. 6040 - link a www.mediagraphic.it).

EDILIZIA PRIVATA: Oneri di urbanizzazione: rileva la tipologia dell'attività che vi verrà svolta.
Ai fini della determinazione degli oneri di urbanizzazione rileva non già l'immobile in sé considerato, bensì la tipologia economica dell'attività che in esso viene svolta in quanto quest'ultima consente di spiegare la qualità dello scambio di utilità e vantaggi che si realizza tra la collettività locale e il concessionario che realizza la ristrutturazione edilizia dell'immobile, al cui interno si svolgerà una determinata attività economica.
Dal punto di vista della determinazione degli oneri di urbanizzazione, infatti, ciò che rileva non è l’immobile in sé considerato, ma la tipologia economica dell’attività che in esso viene svolta.
È la tipologia economica dell’attività svolta che consente di spiegare la qualità dello scambio di utilità e vantaggi che si realizza tra la collettività locale, di cui è espressione politico–amministrativa il Comune, e il concessionario che realizza la ristrutturazione edilizia dell’immobile, al cui interno si svolgerà una determinata attività economica.
Per determinare i parametri da applicare è logico cercare di analizzare quale è la caratterizzazione complessiva e prevalente dell’attività economica che viene condotta nell’immobile. Ed è del tutto normale nell’assetto organizzativo di attività di produzione industriale che nei complessi immobiliari con tale vocazione siano inseriti uffici, con compiti di direzione, progettazione, controllo contabile e finanziario, ecc., che svolgono funzioni chiaramente strumentali e funzionali rispetto alla produzione del bene industriale destinato poi alla fase di commercializzazione
(Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 11.11.2011 n. 5974 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIn ordine ai presupposti legittimanti la formazione del silenzio assenso sulle domande di condono edilizio presentate ai sensi delle ll. nn. 47 del 1985 e 724 del 1994.
In ordine ai presupposti legittimanti la formazione del silenzio assenso sulle domande di condono edilizio presentate ai sensi delle ll. nn. 47 del 1985 e 724 del 1994, il collegio non intende decampare dai consolidati principi elaborati dalla giurisprudenza di questo Consiglio (cfr. sez. IV, 16.02.2011, n. 1005; sez. V, 03.11.2010, n. 7770; sez. IV, 30.06.2010, n. 4174; sez. II, 11.01.2006, n. 7892/2004; sez. V, 14.10.1998, n. 1468), in forza dei quali:
a) in linea generale il tacito accoglimento della domanda di condono si differenzia dalla decisione esplicita solo per l’aspetto formale;
b) conseguentemente il silenzio assenso non si perfeziona per il solo fatto dell’inutile decorso del termine perentorio a far data dalla presentazione della domanda di sanatoria e del pagamento dell’oblazione, se non sopravviene la risposta del comune, occorrendo altresì l’acquisizione della prova, da parte del comune medesimo, della ricorrenza dei requisiti soggettivi ed oggettivi stabiliti dalle specifiche disposizioni di settore, da verificarsi all’interno del relativo procedimento; in quest’ottica si ritiene inammissibile la domanda di accertamento della fondatezza della pretesa formulata in sede di giudizio avente ad oggetto l’inerzia del comune;
c) la domanda di condono deve, pertanto, essere corredata dalla prescritta documentazione indicata dalla legge essendo la produzione di tale documentazione indispensabile proprio al fine del riscontro dei requisiti soggettivi ed oggettivi;
d) in particolare, sul piano oggettivo, la formazione del silenzio-assenso richiede quale presupposto essenziale, oltre al completo pagamento delle somme dovute a titolo di oblazione, che siano stati integralmente dimostrati gli ulteriori requisiti sostanziali relativi al tempo di ultimazione dei lavori, all’ubicazione, alla consistenza delle opere e ad ogni altro elemento rilevante affinché possano essere utilmente esercitati i poteri di verifica dell’amministrazione comunale;
e) del pari, sotto il profilo soggettivo, deve essere dimostrata la legittimazione attiva del richiedente il condono (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 08.11.2011 n. 5894 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATASul quadro delle norme e dei principi che presiedono al rilascio dei titoli edilizi avuto particolare riguardo all’aspetto della legittimazione del richiedente e degli impedimenti di carattere negoziale.
E' possibile accogliere le istanze di sanatoria di opere edilizie che creano limitazioni di tipo urbanistico alle proprietà finitime qualora le eventuali limitazioni di tipo urbanistico o regolamentare possano essere rimosse attraverso la disponibilità del vicino o del condominio a cedere in uso o in vendita porzioni di terreno (o di parti comuni di edificio), oppure mediante stipula da parte degli stessi proprietari confinanti di atti di asservimento di dette aree al lotto contiguo, o ancora attraverso la creazione di servitù permanente; non vi sono dubbi, infatti, che il nostro ordinamento giuridico riconosce un potere dispositivo alle parti in ordine alle norme in materia di distanze tra edificazioni e fra queste ed i confini, potendo i privati rinunciare al diritto di pretendere l’osservanza delle norme in materia.
La giurisprudenza del Consiglio di Stato, superando l’indirizzo precedente che affermava la totale indifferenza delle ragioni privatistiche rispetto alla legittimità dei provvedimenti edilizi, è oggi allineata nel senso che l’amministrazione, quando venga a conoscenza dell’esistenza di contestazioni sul diritto del richiedente il titolo abilitativo, debba compiere le indagini necessarie per verificare la fondatezza delle contestazioni, precisando anche che, se il richiedente non sia in grado di fornire elementi seri a fondamento del suo diritto, l’amministrazione non deve rilasciare il provvedimento abilitativo.

Conviene delineare brevemente il quadro delle norme e dei principi che presiedono al rilascio dei titoli edilizi avuto particolare riguardo all’aspetto della legittimazione del richiedente e degli impedimenti di carattere negoziale.
Tra le limitazioni al diritto a costruire, da prendere in considerazione ai fini del rilascio del relativo permesso o di un titolo edilizio in sanatoria, la giurisprudenza ha operato un’accurata distinzione tra limiti legali e limiti negoziali. I primi, pure in caso di istanza di condono, sono destinati ad investire anche il rapporto pubblicistico. Per gli altri si prospetta una diversa incidenza, considerato che il comune non è tenuto a ricercarli.
L’art. 11, ultimo comma, t.u. edilizia —secondo cui «il rilascio del permesso di costruire non comporta limitazione dei diritti dei terzi»— ha cristallizzato a livello positivo una prassi amministrativa e giurisprudenziale assolutamente pacifica che aveva ricevuto un primo riconoscimento legale nell’art. 2, comma 37, lett. c), l. n. 662 del 1996 (che ha novellato l’art. 39 l. n. 724 del 1994, successivamente si veda l’art. 32, comma 31, d.l. n. 269 cit. in materia di condono straordinario).
L’ordinamento giuridico ammette, in via generale, limitazioni di varia natura al diritto di costruire a presidio dei diritti dei terzi controinteressati.
Nell’ambito del diritto civile si distinguono limiti legali dell’attività edificatoria (sempre concernenti i rapporti tra proprietari di fondi finitimi), essenzialmente rivenienti nella disciplina contenuta nel libro terzo, capo II, c.c. (si tratta delle prescrizioni in materia di distanze, luci e vedute); e limiti che discendono non direttamente dalla legge ma dall’esercizio dell’autonomia negoziale: fra questi spiccano gli iura in re aliena di godimento (usufrutto, servitù, ecc.) cui corrispondono altrettante restrizioni del diritto di proprietà riguardanti lo ius aedificandi dei confinanti, che può risultare semplicemente inciso o del tutto sottratto.
I su menzionati limiti operano diversamente sul piano dei controlli esercitabili dall’amministrazione in sede di rilascio del permesso di costruire.
I limiti legali, trovando applicazione generalizzata e conservando sempre il medesimo contenuto, concorrono a formare lo statuto generale dell’attività edilizia e non pongono problemi di conoscibilità all’amministrazione che è tenuta a considerarli sempre.
Diversamente per le limitazioni negoziali del diritto di costruire, cui possono ricondursi anche quelle scaturenti dall’art. 1117 c.c. (cfr. Cons. St., sez. IV, 10.12.2007, n. 6332, secondo cui è legittimo il provvedimento con cui il comune rilascia un condono straordinario ex art. 32 d.l. 30.09.2003 n. 269, avente ad oggetto la costruzione di un terrazzo coperto e disimpegno, di pertinenza di un appartamento ubicato in uno stabile condominiale, non potendosi accogliere le censure riguardanti la violazione delle distanze legali minime rispetto alla costruzione di terzi e al difetto di autorizzazione del condominio all’esecuzione dei lavori su parti comuni dello stabile (nella specie, al momento del rilascio del permesso in sanatoria, era assolutamente controversa, fra le parti confinanti, la questione concernente la reintegra delle distanze violate, pendendo la relativa controversia in sede civile, e non constava alcuna opposizione da parte del condominio).
Circa l’ambito di operatività di tali limiti la giurisprudenza oscilla fra due soluzioni che costituiscono un corollario della clausola di salvezza dei diritti dei terzi ed hanno in comune l’inesistenza, in capo all’amministrazione, di un autentico obbligo di ricerca di tali limiti, prodromico al diniego di permesso.
La prima ne esclude ogni rilevanza nel presupposto che all’amministrazione sia inibito qualsiasi sindacato anche indiretto sulla validità ed efficacia dei rapporti giuridici dei privati (cfr. Cons. Stato, sez. V, 20.12.1993, n. 1341); la seconda ammette che il comune verifichi il rispetto dei limiti privatistici, purché siano immediatamente conoscibili, effettivamente e legittimamente conosciuti nonché del tutto incontestati, di guisa che il controllo si traduca in una semplice presa d’atto (cfr., da ultimo, Cons. Stato, sez. IV, 12.03.2007, n. 1206).
Coerenti, ma non recepibili nel caso di specie, sono le conclusioni cui è giunta la giurisprudenza più recente in ordine agli oneri del comune di verificare la legittimazione dei singoli condomini ad eseguire opere su parti comuni (cfr. sez. IV 14.09.2005, n. 4744, che ritiene in contrasto con l’art. 11 t.u. cit., il titolo edilizio rilasciato in mancanza dell’assenso condominiale); anche in tali casi il comune si limita a verificare, puramente e semplicemente, la presenza di un’autorizzazione senza ovviamente poterne vagliare la validità.
Le conclusioni rimangono immutate quando il comune sia chiamato a rilasciare un titolo edilizio in sanatoria ordinaria (ex art. 36 t.u. edilizia) o straordinaria (da ultimo, ex art. 32 d.l. n. 269 del 2003).
Nel primo caso si richiede, specie in presenza di contrasto conclamato fra condomini, che l’istruttoria del comune sia particolarmente accurata (cfr. sez. IV, 16.03.2010, n. 1537; sez. V 21.10.2003, n. 6529, fattispecie relativa all’art. 13 l. n. 47 del 1985 oggi trasfuso con modificazioni nell’art. 36 t.u. edilizia; 20); in tal caso doverosamente si acquisisce la delibera di autorizzazione condominiale che esonera il comune da ogni altro tipo di accertamento non potendo essere disapplicata da quest’ultimo (cfr. Cons. St., sez. IV, n. 1537 del 2010 cit.).
Nel caso di condono straordinario la giurisprudenza registra una maggiore varietà di posizioni.
Secondo una minoritaria tesi la concessione del condono straordinario è impedita qualora l’abuso consista non già nella inosservanza di prescrizioni dirette principalmente a soddisfare finalità di interesse pubblico, ma nella violazione delle norme che tutelano in modo diretto ed immediato lo specifico interesse dei proprietari confinanti (cfr. Cons. Stato, sez. V, 09.12.1997, n. 1487 relativa a fattispecie di condono governata dall’art. 39 l. n. 724 del 1994).
Di contro, ed in linea con quanto illustrato circa il controllo esigibile da parte del comune in sede di rilascio del permesso di costruire ex art. 11 t.u. edilizia, si ritiene che la rilevanza giuridica del condono straordinario si esaurisca nell’ambito del rapporto pubblicistico, senza estendersi ai rapporti fra privati, essendo il condono rilasciato con salvezza espressa dei diritti dei terzi (cfr. Cass., sez. un., 12.01.2007, n. 417); ne discende che la presentazione di istanza di sanatoria, con riguardo a costruzione realizzata in violazione della disciplina urbanistica, non implica la sospensione della contesa promossa dal proprietario confinante, per far valere, nel rapporto di vicinato, gli effetti di detta violazione (cfr. Cass. 07.02.1991, n. 1276).
Il compendio delle regole fin qui esaminate consente:
a) all’autore dell’abuso di fruirne anche se l’illecito consista nella violazione delle distanze legali;
b) al comune di disinteressarsi delle relative vicende, fermo restando che il terzo leso potrà ottenere satisfattiva tutela davanti al giudice civile non subendo alcun pregiudizio dal rilascio del titolo (cfr., da ultimo, Cons. Stato, sez. IV, 30.12.2006, n. 8626).
Coerentemente si ritiene possibile accogliere le istanze di sanatoria di opere edilizie che creano limitazioni di tipo urbanistico alle proprietà finitime qualora le eventuali limitazioni di tipo urbanistico o regolamentare possano essere rimosse attraverso la disponibilità del vicino o del condominio a cedere in uso o in vendita porzioni di terreno (o di parti comuni di edificio), oppure mediante stipula da parte degli stessi proprietari confinanti di atti di asservimento di dette aree al lotto contiguo, o ancora attraverso la creazione di servitù permanente; non vi sono dubbi, infatti, che il nostro ordinamento giuridico riconosce un potere dispositivo alle parti in ordine alle norme in materia di distanze tra edificazioni e fra queste ed i confini, potendo i privati rinunciare al diritto di pretendere l’osservanza delle norme in materia (cfr. Cons. giust. amm., sez. cons., 16.07.1996, n. 467/1996).
In definitiva, la giurisprudenza del Consiglio di Stato, superando l’indirizzo precedente che affermava la totale indifferenza delle ragioni privatistiche rispetto alla legittimità dei provvedimenti edilizi, è oggi allineata nel senso che l’amministrazione, quando venga a conoscenza dell’esistenza di contestazioni sul diritto del richiedente il titolo abilitativo, debba compiere le indagini necessarie per verificare la fondatezza delle contestazioni, precisando anche che, se il richiedente non sia in grado di fornire elementi seri a fondamento del suo diritto, l’amministrazione non deve rilasciare il provvedimento abilitativo (Cons. Stato, sez. IV, 08.06.2007, n. 3027; sez. V, 07.07.2005, n. 3730)
(Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 08.11.2011 n. 5894 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAAlla richiesta di sanatoria edilizia (condono) e agli adempimenti relativi possono provvedere, non solo «coloro che hanno titolo, ai sensi della l. 28.01.1977 n. 10, a richiedere la concessione edilizia o l’autorizzazione» (oggi i soggetti indicati dall’art. 11 t.u. edilizia), ma anche, «salvo rivalsa nei confronti del proprietario, ogni altro soggetto interessato al conseguimento della sanatoria medesima», la sanatoria, quindi, sarebbe fungibile ratione persona rum, ma a condizione che sia acquisito in modo univoco il consenso comunque manifestato dal proprietario.
La sezione deve stabilire se siano rinvenibili regole peculiari, in punto di legittimazione attiva, all’interno della speciale normativa che, nel tempo, ha disciplinato il c.d. condono edilizio straordinario.
La norma base è quella sancita dall’art. 31, co. 3, l. n. 47 del 1985 (sostanzialmente richiamata dalla successiva legislazione in materia di condoni edilizi straordinari), secondo cui: <<Alla richiesta di sanatoria ed agli adempimenti relativi possono altresì provvedere coloro che hanno titolo, ai sensi della L. 28.01.1977, n. 10, a richiedere la concessione edilizia o l'autorizzazione nonché, salvo rivalsa nei confronti del proprietario, ogni altro soggetto interessato al conseguimento della sanatoria medesima>>.
Secondo un primo, più rigoroso indirizzo, che svaluta la portata letterale del riferimento normativo a <<ogni altro soggetto interessato al conseguimento della sanatoria medesima>>, la legittimazione a chiedere il condono spetterebbe esclusivamente a chi abbia diritto al rilascio di un ordinario titolo edilizio (cfr. da ultimo Cons. St., sez. VI, 25.03.2011, n. 1842, fattispecie relativa ad occupante di fatto di area demaniale, privo di qualsivoglia titolo abilitativo, che è stato ritenuto privo della legittimazione a chiedere il condono dell’immobile realizzato abusivamente; sez. IV, 27.10.2009, n. 6545).
Secondo la tesi diametralmente opposta (sostenuta da buona parte della dottrina e dalla giurisprudenza di primo grado, cfr. Tar Puglia, Lecce, sez. III, 09.07.2011, n. 1057), che fa leva sul tenore letterale della norma e sulla indisponibilità degli effetti penali favorevoli del condono da parte del proprietario dell’immobile, <<è possibile procedere al condono senza il consenso ed anche contro la volontà del proprietario del bene oggetto del procedimento di sanatoria>>.
Una tesi intermedia, invece, ritiene che alla richiesta di sanatoria e agli adempimenti relativi possono provvedere, non solo «coloro che hanno titolo, ai sensi della l. 28.01.1977 n. 10, a richiedere la concessione edilizia o l’autorizzazione» (oggi i soggetti indicati dall’art. 11 t.u. edilizia), ma anche, «salvo rivalsa nei confronti del proprietario, ogni altro soggetto interessato al conseguimento della sanatoria medesima», la sanatoria, quindi, sarebbe fungibile ratione persona rum, ma a condizione che sia acquisito in modo univoco il consenso comunque manifestato dal proprietario (cfr. Cons. St., sez. IV, 26.01.2009, n. 437; sez. IV, 22.06.2000, n. 3520, secondo la quale, però, la riduzione della misura dell’oblazione prevista dall’art. 34 l. n. 47 cit., essendo calcolata in base al solo criterio funzionale della destinazione economica delle opere, opererebbe esclusivamente ratione rei).
In quest’ottica:
a) è stata considerata sufficiente l'avvenuta sottoscrizione, da parte di un soggetto, di un atto di impegno ad acquistare il locale interessato alla sanatoria (cfr. Cons. St., sez. VI, 27.06.2008, n. 3282);
b) è stato ritenuto indispensabile, in caso di dissidio fra proprietari perché le opere di cui si chiede il condono incidono sul diritto di alcuni di essi, che l’istruttoria della pratica ed il provvedimento finale diano conto della verifica della legittimazione del soggetto richiedente (cfr. Cons. giust. amm. 03.06.2009, n. 84/2009);
c) è stato considerato inapplicabile l’istituto del condono, laddove l’abuso sia realizzato dal singolo condomino su aree comuni, in assenza di ogni elemento di prova circa la volontà degli altri comproprietari, atteso che, diversamente opinando, l’amministrazione finirebbe per legittimare una sostanziale appropriazione di spazi condominiali da parte del singolo condomino, in presenza di una possibile volontà contraria degli altri, i quali potrebbero essere interessati all’eliminazione dell’abuso anche in via amministrativa e non solo con azioni privatistiche (cfr. Cons. St., sez. VI, 27.06.2008, n. 3282).
A tale tesi intermedia aderisce il collegio, precisando che essa appare preferibile perché:
d) non è incompatibile col dato testuale della norma;
e) dal punto di vista sistematico appare in maggior sintonia con il quadro generale dei principi che governano il micro ordinamento di settore (illustrati al precedente par. 13.3.1.);
f) la disponibilità degli effetti penali del condono non è rimessa all’arbitrio del proprietario in quanto, a mente dell’art. 39, l. n. 47 del 1985, l’effettuazione dell’oblazione, qualora le opere non possano conseguire la sanatoria, estingue comunque i reati; invero, il perfezionamento della fattispecie estintiva del reato non è condizionato dagli accertamenti di merito dell’autorità amministrativa relativi alla sussistenza dei requisiti oggettivi e soggettivi del condono, ma a diversi parametri del cui vaglio è investito il giudice penale (cfr. Cass. pen., sez. III, 08.03.2000, n. 5031)
(Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 08.11.2011 n. 5894 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: RIFIUTI – Abbandono - Ente proprietario o gestore della strada – Rifiuti abbandonati sull’area di sedime della strada – Rifiuti depositati nelle vicinanze della strada – Differenza.
L'Ente proprietario (e, in sua vece, l’Ente gestore) della strada ha l'obbligo di provvedere alla pulizia della stessa in modo da non creare danno o pericoli alla circolazione; pertanto spetta alla detta P.A. procedere alla raccolta dei rifiuti abbandonati da terzi “sull'area di sedime della strada stessa” a prescindere dalla sussistenza dell'elemento soggettivo del dolo o della colpa del detto proprietario (Cfr. Cons. Stato Sez. IV 18.06.2009 n. 4005).
La soluzione è invece diversa allorché si tratti di rifiuti solidi non pericolosi abusivamente depositati nelle “vicinanze” dell'area stradale e non risulti riscontrabile né tanto meno denunciato alcun profilo soggettivo di dolo o quanto meno di colpa in capo all' Ente proprietario o gestore (TAR Campania, Napoli, V, 05.12.2008, n. 21013).
RIFIUTI – Abbandono – Art. 192 d.lgs. n. 152/2006 – Sanzione amministrativa di tipo reintegratorio – Adozione anche in assenza di urgenza – Responsabilità dell’autore del fatto di discarica o immissione abusiva – Proprietario dell’area – Imputabilità a titolo di dolo o colpa.
L’art. 192 d.lgs. n. 152/2006 (per la sua esegesi, cfr. Cons. Stato, V, 25.08.2008, n. 4061) ha introdotto una sanzione amministrativa di tipo reintegratorio, potendo essere adottata anche in assenza di una situazione in cui sussista l’urgente necessità di provvedere con efficacia e immediatezza (TAR Veneto, III, 29.09.2009, n. 2454) e avente a contenuto l’obbligo di rimozione, di recupero o di smaltimento e di ripristino a carico del responsabile del fatto di discarica o immissione abusiva, in solido con il proprietario e con i titolari di diritti reali o personali di godimento sull’area ai quali tale violazione sia imputabile a titolo di dolo o di colpa; la norma, pertanto, ai fini dell’imputabilità della condotta del divieto di abbandono e di deposito incontrollato di rifiuti sul suolo, richiede, a carico del proprietario o dei titolari di diritti reali o personali sul bene, un comportamento titolato di dolo o colpa, così come richiesto per l’autore materiale, mentre le conseguenze sanzionatorie connesse alla violazione del divieto di abbandono incontrollato di rifiuti sul suolo o nel suolo sono accollate anche al proprietario dell’area, ma ciò solo nel caso in cui la violazione sia a lui imputabile a titolo di dolo o di colpa (ex multis, TAR Calabria, Catanzaro, I, 20.10.2009, n. 1118; Cons. Stato, V, 19.03.2009, n. 1612; TAR Sardegna, 18.05.2007, n. 975; 19.09.2004, n. 1076; TAR Puglia, Bari, 27.02.2003, n. 872; TAR Lombardia, Milano, I, 26.01.2000, n. 292).
RIFIUTI – Abbandono – Comuni – Imposizione autoritativa al gestore della strada di obblighi di facere a fini di sicurezza della circolazione – Potere – Esclusione.
Nessuna norma di legge nel settore specifico della viabilità attribuisce ai Comuni il potere di assicurare la pulizia delle strade imponendo autoritativamente obblighi di facere al gestore al fine di garantire "la sicurezza e la fluidità della circolazione", né un tal potere può desumersi implicitamente dalla natura del Comune quale ente locale a fini generali atteso che tra gli interessi pubblici affidati alla cura dei comuni non v'è anche quello di garantire la sicurezza e la fluidità della circolazione delle strade.
RIFIUTI – Abbandono – Art. 14, cc. 1 e 3 Codice della Strada – Attività ordinarie e straordinarie naturalmente connesse alla gestione della sede stradale.
E’ illegittimo l'ordine di rimozione dei rifiuti rivolto al proprietario della strada in assenza di adeguata istruttoria e di idonea motivazione circa l'imputabilità soggettiva di una qualche condotta attiva od omissiva che abbia anche solo agevolato la violazione del divieto di abbandono di rifiuti, beninteso che dall'ente gestore sono piuttosto esigibili, ai sensi del combinato disposto dei commi 1 e 3 dell’art. 14 del Codice della strada, solo le attività ordinarie e straordinarie naturalmente connesse alla gestione della sede stradale (a titolo di mero quanto non esaustivo esempio: manutenzione dell'asfalto, della segnaletica orizzontale e verticale, delle eventuali infrastrutture a corredo, potatura degli arbusti prospicienti e delle aiuole divisorie e pulizia connessa, eliminazione di pericoli, ect.) (TAR Campania-Napoli, Sez. V, sentenza 04.11.2011 n. 5114 - massima tratta da www.ambientediritto.it - link a www.giustizia-amministrativa.it).

PUBBLICO IMPIEGO: Sempre a pena di esclusione le formalità di partecipazione che evitano favoritismi.
E' legittima la clausola di un bando di concorso, per titoli ed esami, per l'assunzione a tempo indeterminato alle dipendenze della P.A., secondo cui i documenti rappresentativi dei titoli posseduti dai concorrenti devono essere prodotti, unitamente alla domanda di partecipazione, ma in un plico chiuso e separato.

La segnalata pronuncia affronta la tematica della legittimità di una clausola escludendi di un bando di concorso relativa alle modalità di presentazione della domanda partecipativa.
Nello specifico, il ricorrente, partecipante a un concorso pubblico per l’assunzione a tempo indeterminato alle dipendenze di una P.A., ha impugnato la deliberazione con cui la Commissione di valutazione ha provveduto alla pubblicazione della graduatoria e alla nomina dei vincitori della predetta selezione.
In primis, ha assunto che uno dei vincitori, nella busta contenente la domanda di partecipazione, avrebbe inserito i propri titoli in modo sciolto e libero e non, come (implicitamente) previsto a pena di esclusione dall’art. 8 del bando, in plico chiuso.
Prosegue, indi, lamentando un’errata valutazione dei propri titoli per i quali sarebbe stato inesattamente attribuito un punteggio inferiore rispetto a quello che, suo dire, avrebbe dovuto vedersi assegnare con conseguente diritto alla nomina.
Nelle more del giudizio, tuttavia, la Commissione esaminatrice del concorso ha proceduto a un riesame delle posizioni del ricorrente e del controiteressato pervenendo, in particolare, alla modifica in melius dei punteggi attribuiti a quest’ultimo e, comunque, confermando l’ordine della graduatoria originariamente approvata.
Il ricorso è stato accolto.
Il Collegio di Napoli, con riferimento all’eccepita illegittima ammissione del controinteressato-vincitore alla procedura de qua, ha rilevato come il ricorrente ha fondato l’assunto sulla violazione dell’art. 8 del bando di concorso secondo cui, nella stessa busta contenente la domanda di partecipazione al concorso, il candidato avrebbe dovuto inserire in un plico chiuso tutta la documentazione relativa ai titoli posseduti; invero, il controinteressato aveva racchiuso i documenti rappresentativi dei propri titoli in modo sciolto e libero.
Orbene, l’eccepita illegittimità dell’inclusione del controinteressato è stata pienamente condivisa dall’adito TAR che, sul punto, ha ritenuto di evidenziare la ratio sottesa al menzionato art. 8 del bando.
In disparte la considerazione per cui le clausole di dubbia significazione e portata debbono, per il principio di conservazione dei valori giuridici, "interpretarsi nel senso in cui possono avere qualche effetto anziché in quello secondo cui non ne avrebbero alcuno" (art. 1367), il giudicante ha osservato come il controverso adempimento era stato posto unicamente a presidio e garanzia dell’imparzialità dell’azione amministrativa e valeva ad assicurare che la Commissione esaminatrice non debordasse, in sede di determinazione del valore da attribuire ai singoli titoli, dai principi di logicità e imparzialità (art. 97 Cost.), esercitando il relativo potere in modo distorto e deformato.
In considerazione di tanto, il G.A. campano ha compreso la ragione per la quale l’Amministrazione chiedeva l’inserimento nella stessa busta contenente la domanda di partecipazione al concorso dei titoli posseduti, da racchiudersi, però, in plico separato.
La separatezza nella stessa busta delle due entità, domanda e titoli, era evidentemente preordinata al fine di assicurare che la Commissione giudicatrice operasse la graduazione dei punteggi “al buio”, senza la previa conoscenza della paternità dei titoli prodotti dai singoli candidati, in modo tale da escludere in radice il sospetto che la graduazione fosse predeterminata in favore di taluni candidati.
Cosi ricostruita la ratio della clausola in parola, il Collegio ha ritenuto che l’adempimento prescritto dal precetto dovesse intendersi intrinseco alla logica stessa dei concorsi che si svolgono anche per titoli e consustanziale al relativo meccanismo selettivo: una sorta di precondizione, pertanto, imposta dalla funzione, propria di tale meccanismo, di mezzo di scelta del candidato più meritevole
Trattasi, del resto, di principio generale nel sistema, costantemente applicato, a cui risultano informate tutte le procedure concorsuali e selettive di soggetti in base a determinati titoli.
Di ciò evidentemente era ben consapevole l’Amministrazione in sede di predisposizione del bando del concorso in questione, al punto da far ritenere superfluo inserire la mancata osservanza della prevista formalità nel novero delle cause di esclusione dal concorso; sicché, la mancata osservanza del predetto adempimento da parte di un candidato, costituiva un irrimediabile attentato alla segretezza e all’imparzialità dell’agire amministrativo, rendendo inutile comprendere l’ipotesi della sua inosservanza nel novero delle cause di esclusione dal concorso.
Alla stregua delle considerazioni svolte, il Tribunale amministrativo ha concluso che il controinteressato, avendo violato la disposizione dell’art. 8 bando, non poteva essere ammesso al concorso de quo e al contrario doveva essere escluso dalla partecipazione allo stesso.
Tuttavia, il G.A. di Napoli si è posto il problema se la relativa, menzionata invalidità avrebbe investito l’intero concorso, comportandone l’annullamento totale con conseguente sua rinnovazione, oppure solo parziale, limitata cioè alla declaratoria dell’illegittima ammissione al concorso del controinteressato.
Il Collegio ha ritenuto corretta la soluzione dell’annullamento parziale non solo in applicazione del principio "utile per inutile non vitiatur", ma anche e soprattutto per il differente punto di incidenza dell’accertata invalidità.
Mentre infatti la violazione da parte del candidato della mancata chiusura in plico chiuso dei titoli da lui prodotti, ha rilevato come circostanza astrattamente perturbatrice della volontà della Commissione giudicatrice, nessun effetto invalidante può annettersi alla stessa anomalia sulla sorte del concorso (commento tratto da www.ipsoa.it - TAR Campania-Napoli, Sez. IV, sentenza 12.10.2011 n. 4675 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZI: Affidamento pubblici servizi - Interesse al ricorso - Sussiste anche laddove il vantaggio non sia diretto ma eventuale.
L'interesse al ricorso avverso l'affidamento ad altro concorrente di un servizio pubblico sussiste non solo nel caso in cui dall'annullamento dell'atto impugnato derivi al ricorrente un diretto e immediato vantaggio (quale, ad esempio, lo scorrimento in graduatoria e l'affidamento alla ricorrente seconda classificata), ma anche nel caso in cui il vantaggio sia successivo ed eventuale (caducazione dell'intera gara e rinnovo delle procedure di selezione ad evidenza pubblica), dovendosi dichiarare inammissibile il gravame solo laddove risulti che la parte ricorrente non potrebbe in nessun caso risultare aggiudicataria in caso di accoglimento del ricorso e di indizione di nuova procedura selettiva (TAR Lombardia Milano, Sez. I, 16.12.2009 n. 5357) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 31.08.2011 n. 2113 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: 1. Onere immediata impugnazione del bando di gara - Soltanto ove sia impedita la possibilità di partecipazione alla procedura selettiva;
2. Aggiudicazione basata esclusivamente su criteri soggettivi dei candidati e non correlati all'oggetto dell'appalto - Illegittimità - Preferenze per aree geografiche di operatività dei concorrenti - illegittimità.

1. Sussiste l'onere di immediata impugnazione del bando soltanto nelle ipotesi in cui sia impedita la partecipazione formale o sostanziale alla procedura selettiva da intendersi come obiettiva impossibilità di presentare un'offerta competitiva alla gara (TAR Campania Napoli, sez. I, 14.01.2005, n. 158, C.S. Sez. IV, 26.11.2009 n. 7442).
2. E' illegittima l'aggiudicazione disposta dalla stazione appaltante basata unicamente su criteri soggettivi dei candidati (controlli effettuati nel passato su una determinata area geografica, possesso di attestazioni, abilitazioni, certificazioni), senza alcuna correlazione con il concreto svolgimento dei servizi oggetto dell'appalto (Fattispecie nella quale il TAR ha altresì rilevato che i criteri soggettivi a base di gara, oltreché non pertinenti con l'oggetto dell'appalto, risultavano palesemente discriminatori, privilegiando i concorrenti che avevano già operato in Regione Lombardia e, in particolare, nella Provincia di Pavia) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 31.08.2011 n. 2112 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Procedura di gara - Apertura offerte tecniche in seduta riservata - Illegittimità - Ratio.
E' illegittimo l'operato della commissione di gara, da cui discende l'illegittimità dell'intero procedimento di selezione, che procede all'apertura delle offerte tecniche in seduta privata senza la presenza dei rappresentanti delle imprese che hanno preso parte alla gara.
Come sottolineato dalla giurisprudenza amministrativa, infatti, la ratio che sorregge il divieto di aprire la documentazione tecnica in seduta riservata è quella di assicurare la massima trasparenza della procedura selettiva in quanto i concorrenti, senza una ricognizione pubblica del contenuto documentale delle offerte, non sarebbero garantiti dal pericolo di manipolazioni successive delle offerte proprie e di quelle altrui, eventualmente dovute ad inserimenti, sottrazioni o alterazioni di documenti (cfr., da ultimo, Cons. Stato, Ad. Plen., 28.07.2011 n. 13) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 31.08.2011 n. 2110 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Annullamento in autotutela ex art. 21-octies l. 241/1990 - Necessaria compresenza di tutti i presupposti di legge: pubblico interesse e termine ragionevole.
Il potere dell'amministrazione di disporre l'annullamento in autotutela dei provvedimenti amministrativi illegittimi ai sensi dell' articolo 21-octies della legge n. 241/1990 è subordinato non soltanto all'accertamento delle ragioni di interesse pubblico ma anche (e soprattutto) al presupposto temporale che l'atto di annullamento d'ufficio intervenga "entro un termine ragionevole e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati" (Fattispecie nella quale il TAR ha disposto l'annullamento del decreto rettorale che aveva annullato una prova d'esame, sostenuta positivamente dal ricorrente da oltre 5 mesi, su mero rilievo del "contrasto con l'ordine delle propedeuticità stabilite dal D.P.R. 28.02.1980 n. 135 e dal Consiglio di Facoltà") (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 29.07.2011 n. 2038 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZI: Servizi pubblici locali - Partecipazione alla gara in ATI - Corrispondenza sostanziale tra quote di qualificazione e quote di partecipazione al raggruppamento - Non è prevista dalla legge.
Il canone normativo di corrispondenza sostanziale tra quote di qualificazione e quote di partecipazione all'ATI e tra quote di partecipazione e quote di esecuzione, sancito nell'art. 37, comma 6, d.lgs. n. 163 del 2006 in materia di lavori, non è estendibile agli appalti di servizi (per i quali il nostro ordinamento non contempla un rigido sistema normativo di qualificazione dei soggetti esecutori) in cui è riconosciuta alle amministrazioni aggiudicatrici una più ampia discrezionalità nell'individuazione dei requisiti di capacità tecnica e nella correlazione di questi con l'istituto del raggruppamento d'imprese.
Ed infatti, l'art. 37 comma 4, del d.lgs. n. 163 del 2006 si limita a stabilire che le ATI devono specificare le parti del servizio che saranno eseguite da ciascun singolo operatore, mentre il successivo art. 42 nulla dispone in merito al rapporto tra requisiti di capacità tecnica e quota di partecipazione all'associazione temporanea (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 29.07.2011 n. 2037 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

PUBBLICO IMPIEGO: Concorsi pubblici - Procedure di selezione - Sindacato giurisdizionale - Verifica dell'attendibilità delle operazioni concorsuali - Possibilità - Limiti.
Il sindacato giurisdizionale del Giudice amministrativo in materia di procedure di selezione nell'ambito dei concorsi pubblici (nella fattispecie, per la nomina di professori universitari di prima fascia) può svolgersi anche con la verifica dell'attendibilità delle operazioni tecniche compiute dalla commissione esaminatrice, rispetto alla correttezza dei criteri utilizzati e applicati, con la precisazione che resta comunque fermo il limite della relatività delle valutazioni scientifiche, potendo il giudice amministrativo censurare la sola valutazione che si ponga al di fuori dell'ambito dell'opinabilità, poiché altrimenti all'apprezzamento dell'Amministrazione sostituirebbe quello proprio e altrettanto opinabile (cfr. da ultimo: Cons. Stato, sez. VI, 30.06.2011, n. 3896; Cons. Stato, Sez. VI, 06.02.2009, n. 694 e Cons. Stato, Sez. VI, 04.09.2007, n. 4635) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 29.07.2011 n. 2036 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Procedura di gara - Errore materiale nell'indicazione di un dato numerico - Soccorso istruttorio ai sensi dell'art. 46 del d.lgs. n. 163/2006 - Necessità - Esclusione dalla gara - Illegittimità.
In ossequio al principio del favor partecipationis contenuto nell'art. 46 del d.lgs. n. 163/2006 (di portata ancora maggiore nella formulazione risultante all'esito delle modifiche apportante dal D.L. n. 70/2011) laddove la commissione di gara verifichi l'esistenza di un errore materiale o di altra irregolarità sanabile essa non può comminare l'esclusione dalla gara ma ha l'onere di richiedere chiarimenti in ordine al contenuto di un documento.
Ciò al fine di evitare che il numero dei concorrenti possa restringersi per carenze documentali di ordine formale e di orientare l'azione amministrativa sulla concreta verifica del possesso dei requisiti di partecipazione in capo ai concorrenti (Fattispecie nella quale il ricorrente era stato illegittimamente escluso dalla procedura selettiva per essere incorso in un errore materiale nell'indicazione dell'ammontare del fatturato annuo dovuto all'errata apposizione di una virgola) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 12.07.2011 n. 1878 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Centrale di committenza - Scelta di un'Amministrazione di aderirvi - Facoltatività - Specifica motivazione dell'interesse pubblico - Non sussiste.
L'applicazione della fattispecie contrattuale della "Centrale di committenza" è giuridicamente qualificabile come contratto normativo e non postula un obbligo di adesione, con l'effetto che la decisione di aderire alla convenzione, resta pur sempre una scelta con l'unica differenza che non richiede da parte della amministrazione che se ne avvale una specifica motivazione dell'interesse pubblico che la sottende, in quanto l'individuazione del miglior contraente è avvenuta a monte nel rispetto dei principi comunitari (TAR Campania Napoli, sez. I, 04.11.2010, n. 22688).
In altri termini è l'ente che, nell'ambito della sua autonomia e nell'esercizio di un'attività non imposta ma consentita dalla legge, assume la decisione di avvalersi o di non avvalersi della convenzione con altri enti (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 01.10.2010, n. 7261) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 06.07.2011 n. 1819 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Gara pubblica - Aggiudicazione tramite procedura negoziata senza previa pubblicazione del bando - Art. 57 del D.lgs. 163/2006 - Tassatività delle ipotesi di applicazione della procedura - Violazione - Caducazione di tutti gli atti di gara - Necessità di indire nuova gara ad evidenza pubblica.
E' principio consolidato che la procedura disciplinata dall'art. 57 del D.Lgs. 163/2006 abbia portata derogatoria rispetto alla regola secondo cui la procedura di evidenza pubblica costituisce un indispensabile presidio a garanzia del corretto dispiegarsi della libertà di concorrenza e della trasparenza dell'operato delle amministrazioni (ex multis: Cons. Stato, sez. VI, 28.01.2011, n. 642).
Ne discende che l'utilizzo di tale modulo procedurale, al di fuori delle ipotesi ivi tassativamente previste, vizia in radice gli atti posti in essere dall'Amministrazione che se ne avvalga, che vanno, pertanto, annullati con conseguente caducazione degli atti a valle eventualmente adottati in spregio all'ordinanza sospensiva, con conseguente obbligo per la stazione appaltante di provvedere ex novo mediante indizione di procedura ad evidenza pubblica (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 06.07.2011 n. 1814 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: 1. Bonifica di siti inquinati - Successione di norme nel tempo - D.lgs. 22/1997 - Applicabilità a tutte le situazioni di inquinamento in atto al momento dell'entrata in vigore - Sussiste - Limiti.
2. Bonifica di siti inquinati - Direttiva CE 2004/35 - Principio del contraddittorio - Obbligo di partecipazione (e preventiva audizione) al procedimento dell'operatore diverso dal soggetto sui cui terreni devono essere svolti gli interventi di bonifica - Sussiste quale principio comunitario di diretta applicazione.

1. Il Consiglio di Stato ha statuito che "le previsioni del decreto Ronchi si applicano a qualunque sito che risulti attualmente inquinato, indipendentemente dal momento in cui possa essere avvenuto il fatto o i fatti generatori dell'attuale situazione patologica" e che "la normativa in parola, che peraltro presenta profili di continuità sostanziale con le disposizioni pregresse, trova applicazione a qualunque situazione di inquinamento in atto al momento dell'entrata in vigore del decreto legislativo", posto che l'inquinamento dà luogo ad una situazione di carattere permanente che perdura fino a che non ne vengano rimosse le cause (C.S. Sez. VI 09.10.2007, n. 5283, pertinente una vicenda relativa ad una raffineria per la quale ogni attività era cessata fin dai primi anni 80).
2. In altra occasione il Consiglio di Stato, pur negando la continuità normativa dell'art. 17 del D.Lgs. n. 22/1997 con gli artt. 2043 e 2058 c.c., ha ulteriormente precisato che un divieto di applicazione retroattiva del predetto art. 17 deve intendersi riferito solo "ad un soggetto estinto prima del 1997" (C.S. Sez. V 05.12.2008 n. 6055; contra TAR Toscana Sez. II 01.4.2011, n. 573).
La giurisprudenza nazionale ritiene che l'attività istruttoria del procedimento di bonifica debba prevedere la partecipazione del soggetto interessato (TAR Friuli Venezia Giulia, 27.07.2001, n. 488), attesa l'onerosità degli obblighi imposti (TAR Toscana Sez. II 06.07.2010, n. 2316).
La Corte di Giustizia CE (Grande Sezione, sentenza 09.03.2010 nei procedimenti riuniti C-379/08 e C-380/08), ha chiarito che, mentre l'art. 7, n. 4, della direttiva 2004/35 obbliga l'autorità competente, in qualunque caso, ad invitare le persone sui cui terreni devono essere eseguite misure di riparazione a presentare le loro osservazioni, di cui essa deve tener conto, lo stesso art. 7, in particolare il n. 2 del medesimo, non contiene una formula analoga riguardo all'operatore interessato dalle misure di riparazione che detta autorità programmi di imporgli. Tuttavia, il principio del contraddittorio impone all'autorità pubblica di sentire gli interessati prima dell'adozione di una decisione che li riguardi (v. punto 54).
Alla luce di ciò, benché un diritto dell'operatore interessato ad essere ascoltato in qualsiasi caso non sia stato espressamente citato nell'art. 7, n. 2 della direttiva 2004/35, si deve riconoscere che questa disposizione non può essere interpretata nel senso che, in sede di definizione delle misure di riparazione, l'autorità competente non sia tenuta ad ascoltare detto operatore (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 06.07.2011 n. 1808 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Richiesta di accesso agli atti - Verifica della possibilità di lesioni nella sfera dei privati - Possibilità di un Comune di acquisire la registrazione della seduta consiliare di altro Comune e di una nota - Sussiste.
Per giurisprudenza costante la disciplina sull'accesso ai documenti amministrativi è volta a tutelare l'interesse alla conoscenza, allo scopo di verificare la possibilità di eventuali, future lesioni della sfera dei privati (cfr. ex multis TAR Lazio Roma, sez. III, 03.05.2011, n. 3825); deve considerarsi, quindi, meritevole di tutela l'interesse di un Amministrazione locale ad acquisire la documentazione richiesta (registrazione della seduta consiliare di altro Comune e copia della nota dell'Autorità ove effettivamente detenuta), trattandosi di corrispondenza privata il cui contenuto è, in astratto, potenzialmente lesivo dell'immagine del Comune richiedente (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 23.06.2011 n. 1699 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Partecipazione ad una gara pubblica - Verifica dei requisiti ex art. 38 del D.lgs. 163/2006 - Dichiarazione di pendenza di un procedimento per l'applicazione di una delle misure ai sensi della L. 1423/1956 e L. 575/1965 - Soggetti tenuti alla dichiarazione - Amministratori con rappresentanza e Direttore tecnico - Ampliamento dei soggetti tenuti alla dichiarazione - Possibilità - Verifica delle funzioni sostanziali di tali soggetti.
L'art. 38, comma 1, lett. b), del D.Lgs. n. 163/2006, individua i soggetti tenuti a rilasciare la prescritta dichiarazione (sull'eventuale pendenza di un procedimento per l'applicazione di una delle misure ai sensi della L. 1423/1956 e L. 575/1965) negli amministratori muniti di poteri di rappresentanza o nel direttore tecnico.
Parte della giurisprudenza (Cons. Stato, Sez. V, n. 375/2009), ispirata dalla ratio sottesa alla norma di verificare l'affidabilità, complessivamente considerata, dell'operatore economico che andrà a stipulare il contratto di appalto con la stazione appaltante, individuando coloro che effettivamente sono in grado di manifestare all'esterno al volontà dell'azienda, ha ricercato, in via interpretativa, di ampliare l'ambito di applicazione della disposizione includendo nel novero dei dichiaranti anche soggetti che, pur non ricoprendo le specifiche cariche indicate, siano, tuttavia, titolari di ampi poteri decisionali tali da consentire di determinare gli indirizzi di gestione dell'impresa.
Secondo il richiamato orientamento occorrerebbe quindi "avere riguardo alle funzioni sostanziali del soggetto, più che alle qualifiche formali, altrimenti la ratio legis potrebbe venire agevolmente elusa e dunque vanificata" (Cons. Stato, Sez. VI n. 523/2007) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 23.06.2011 n. 1687 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Accesso ai documenti amministrativi - Istanza di accesso - Oggetto determinato o quanto meno determinabile - Necessità - Ratio.
La domanda di accesso agli atti amministrativi deve avere un oggetto determinato o quanto meno determinabile e non può essere generica, dovendo riferirsi a specifici documenti.
L'onere di specificazione dell'oggetto della domanda di accesso assolve infatti una duplice funzione: quella di rendere possibile e non eccessivamente oneroso per l'amministrazione procedere all'esibizione dei documenti e quella di consentire un'attenta valutazione, documento per documento, in ordine alla sussistenza di eventuali motivi ostativi e di eventuali soggetti controinteressati che possano interloquire sulla domanda (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 22.06.2011 n. 1621 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Modifiche impianto radioelettrico - Titolo abilitativo -DIA prevista dal Codice delle Comunicazioni (d.lgs. n. 259/2003) - Sostituibilità con la SCIA di cui all'art. 49, comma 4-bis, del D.L. 31.05.2010, n. 78 - Esclusione.
Per apportare le modifiche ad un impianto radioelettrico preesistente mediante installazione di apparati con tecnologia UMTS è sufficiente la presentazione della Denuncia di Inizio Attività (DIA), così come previsto dall'art. 87-bis del D. Lgs. 259/2003 (c.d. Codice delle comunicazioni elettroniche), non essendo necessaria la presentazione della Segnalazione Certificata di Inizio Attività (SCIA) di cui all'art. 49, comma 4bis, del D.L. 31.05.2010, n. 78, (conv. L. 122/2010).
Il Ministro per la Semplificazione, con la nota P.C.M. del 16.09.2010, ha chiarito che la SCIA si applica al DPR n. 380/2001 (c.d. Testo Unico dell'edilizia), mediante il meccanismo della sostituzione automatica nelle norme in esso contenute della parola DIA con SCIA. Ciò però non comporta, in mancanza di un'espressa previsione legislativa, anche l'automatica sostituzione nelle norme contenute nel Codice delle comunicazioni elettroniche della parola DIA con SCIA.
Ed infatti, i titoli abilitativi previsti dal d.lgs. n. 259/2003 (autorizzazione e denuncia di inizio attività), malgrado l'identità del nomen con gli istituti previsti dal T.U. dell'edilizia, sono del tutto autonomi ed assolvono le diverse e esigenze proprie del settore delle telecomunicazioni rispetto a quelle dell'edilizia territoriale (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 15.07.2010, n. 4557) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 22.06.2011 n. 1610 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

INCARICHI PROGETTUALI: Annullamento/revoca d'ufficio di un incarico professionale - Giurisdizione amministrativa - Sussiste.
Rientra nella giurisdizione del giudice amministrativo la controversia avente per oggetto l'annullamento d'ufficio o la revoca di un incarico professionale di progettazione e di direzione lavori, atteso che la controversia non riguarda la validità ed efficacia del contratto ma il legittimo uso del provvedimento di autotutela (Nella sentenza il Collegio dà tuttavia atto che si registra in giurisprudenza un orientamento di segno opposto cui lo stesso ha ritenuto di non aderire, cfr. da ultimo C.G.A., Sez. giur. 31.05.2011, n. 402) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 22.06.2011 n. 1606 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

CONSIGLIERI COMUNALI: Consiglio comunale - Difetto di costituzione - Impugnazione da parte dei Consiglieri non presenti in sede di deliberazione - Legittimità.
Per costante giurisprudenza amministrativa, il Consigliere comunale è legittimato ad impugnare le delibere del Consiglio in caso di difetto di costituzione dell'assemblea, trattandosi di un vizio rispetto al quale egli non è in posizione equivalente rispetto al quisque de populo, ma in una posizione differenziata, che viene lesa attraverso l'imputazione al Consiglio, di cui è parte, di un'attività deliberativa che gli è in realtà estranea, in quanto realizzata in difetto di quorum (cfr., TAR Lombardia Milano, Sez. I, n. 4523 del 2009) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 22.06.2011 n. 1604 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Contratti della p.a. - Gara - Esclusione illegittima - Risarcimento del danno patrimoniale - Presupposti - Onere della prova - An e quantum del lucro cessante (danno subìto) - Necessità - Sussiste - Casistica e criteri.
In presenza di una domanda di risarcimento del danno patrimoniale, è onere della parte che la propone provare dettagliatamente e con rigore non il solo an del danno ma anche il quantum dello stesso, offrendo gli idonei mezzi di prova e riversando in causa i documenti da cui il Giudice possa trarre elementi: il ricorso alla CTU, ovvero l'indicazione di criteri risarcitori, da parte del Giudice all'Amministrazione, presuppongono entrambi che sia stata raggiunta la prova e che debba procedersi esclusivamente a fini liquidatori (Nella specie, il TAR ha rigettato la domanda di risarcimento del danno proposta dall'impresa ricorrente illegittimamente esclusa dalla gara, in quanto la stessa avrebbe dovuto allegare ogni elemento utile ai fini della determinazione, secondo criteri di verosimiglianza, del costo derivante dall'assunzione della fornitura, poiché solo in tal modo esso avrebbe potuto essere comparato all'offerta, al fine di dedurne il margine effettivo di profitto, e conseguentemente il lucro cessante) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 20.06.2011 n. 1580 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Contratti della p.a. - Bando di gara - Carattere immediatamente escludente di determinate clausole - Impugnazione immediata - Legittima - Onere per l'impresa di proporre una previa domanda di partecipazione alla gara - Non sussiste - Condizioni.
L'operatore che si veda precludere la partecipazione alla gara, in forza di clausole del bando che ne determinerebbero la certa esclusione, è legittimato a proporre immediato ricorso, senza che sussista l'onere di proporre una previa domanda di partecipazione alla procedura.
Tale principio trova, tuttavia, applicazione a condizione che risulti pacifica la natura assolutamente escludente delle clausole impugnate giacché, in caso contrario, deve trovare applicazione la regola generale, secondo cui la legittimazione al ricorso si radica in forma qualificata in capo alle sole imprese che abbiano deciso di partecipare alla gara. (Cfr., Cons. Stato, Ad. Plen., 07.04.2011, n. 4) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 09.06.2011 n. 1493 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Contratti della p.a. - Appalti - Bando - Sub criteri - Indicazione - Ratio - Riduzione del margine di discrezionalità della Commissione giudicatrice.
La ratio dell'art. 83, comma 4, D.lgs. 12.04.2006, n. 163 -nello stabilire che il bando di gara, per ciascun criterio di valutazione prescelto, può prevedere, ove necessario, sub-criteri e sub-pesi o sub-punteggi- è rinvenibile nell'esigenza di ridurre gli apprezzamenti soggettivi della Commissione giudicatrice, garantendo in tale modo l'imparzialità delle valutazioni a tutela della par condicio tra i concorrenti, i quali sono tutti messi in condizione di formulare consapevolmente un'offerta sulla base di elementi che, conosciuti per tempo, possono orientare le loro decisioni nella presentazione delle offerte (Cfr., Cons. Stato, sez. III, 22.03.2011, n. 1749; Cons. Stato, sez. V, 01.10.2010, n. 7256) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 31.05.2011 n. 1386 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Omessa acquisizione dei pareri di regolarità tecnica e contabile - Illegittimità della delibera - Non sussiste - Ratio.
La mancata acquisizione del parere di regolarità contabile, ex art. 49 T.U.E.L., non comporta l'illegittimità della delibera, avendo piuttosto lo scopo di individuare il soggetto che formalmente assume la responsabilità sul riscontro della regolarità contabile della proposta di provvedimento (Cfr., TAR Piemonte, sez. II, 29.06.1995, n. 373; TAR Campania Napoli, sez. I, 08.04.2010, n. 1830) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 31.05.2011 n. 1385 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: 1. Giustizia amministrativa - Organismo di diritto pubblico - Procedure di vendita di beni patrimoniali - Disciplina di evidenza pubblica - Applicabilità - Giurisdizione - Spetta al Giudice amministrativo.
2. Pubblica amministrazione - Contratti della p.a. - Dichiarazione ex art. 38 D.lgs. 163/2006 - Omesso inserimento nel plico dell'offerta - Costituisce mera irregolarità sanabile - Condizioni.

1. Una volta qualificato il soggetto appaltante quale organismo di diritto pubblico, ne consegue l'assoggettamento alla disciplina dell'evidenza pubblica non solo in materia di appalti, ma anche nel diverso caso di contratti attivi volti alla vendita di un proprio bene patrimoniale, con conseguente attrazione delle relative controversie alla giurisdizione amministrativa (Cfr., Cons. Stato, sez. VI, 19.05.2008, n. 2280).
2. L'omesso inserimento della dichiarazione ex art. 38, D.lgs. 12.04.2006, n. 163 nel plico dell'offerta, qualora risulti pacifica l'inesistenza di elementi preclusivi alla partecipazione, integra una mera irregolarità formale, sanabile ai sensi dell'art. 46 (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 25.05.2011 n. 1324 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: 1. Contratti della p.a. - Appalto - Offerte - Verifica di anomalia - Discrezionalità della p.a. - Sussiste - Giudizio - Sindacabilità - Limiti.
2. Contratti della p.a. - Gara - Giudizio di anomalia dell'offerta - Giustificazioni della p.a. - Devono essere rese nel corso del procedimento di verifica - Giustificazioni formulate in sede processuale - Inammissibilità.

1. L'ampia discrezionalità delle valutazioni compiute dalla pubblica amministrazione nell'esercizio dei poteri di verifica di anomalia di un'offerta, non è assoluta potendo le stesse essere sindacate in sede giurisdizionale laddove emergano elementi distonici tali da indurre a ritenere che il potere valutativo attribuito sia stato esercitato in contrasto con i canoni di logicità, congruità, proporzionalità e ragionevolezza. (Cfr., Cons. Stato, sez. V, 22.09.2009, n. 5642; id., sez. IV, 11.04.2007 n. 1658; id., sez. V, 20.09.2005 n. 4856; id., sez. VI, 07.09.2006 n. 5191).
2. Le giustificazioni delle offerte anomale devono essere proposte nell'ambito del procedimento amministrativo di verifica e non possono essere articolate, per la prima volta, nel corso del giudizio di impugnazione. (Cfr., Cons. Stato, Sez. V, 18.09.2008, n. 4494) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 25.05.2011 n. 1320 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Responsabilità civile (extracontrattuale) della p.a. - Danno da attività provvedimentale illegittima - Elemento soggettivo - Accertamento - Onere probatorio del privato - Ricorso a presunzioni semplici - Ammissibile - Possibilità per la p.a. di dimostrare l'assenza di colpa per errore scusabile - Sussiste - Presupposti.
Il particolare modo di atteggiarsi dell'elemento psicologico, qualora il soggetto agente sia una pubblica amministrazione, non richiede al privato danneggiato l'assolvimento di particolari oneri probatori, potendosi, in ultima analisi, risolvere nel richiamo o nell'applicazione di presunzioni semplici di cui all'art. 2727 cod. civ..
Residua, tuttavia, all'Amministrazione la possibilità di dimostrare che si è trattato di un errore scusabile, configurabile in caso di contrasti giurisprudenziali sull'interpretazione di una norma, di formulazione incerta di norme da poco entrate in vigore, di rilevante complessità del fatto (Cfr., Cons. Stato, sez. VI, 09.06.2008, n. 2751) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 25.05.2011 n. 1319 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI:  Giudizio di legittimità - Principio del "tempus regit actum" - Applicabilità - Conseguenze.
Il procedimento amministrativo è regolato dal principio del "tempus regit actum" in forza del quale la legittimità di un provvedimento deve essere valutata in relazione alle norme vigenti al tempo in cui lo stesso è adottato (Cfr., Cons. Stato, sez. IV, 12.03.2009, n. 1458) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 25.05.2011 n. 1318 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

COMPETENZE GESTIONALI: Circolazione stradale - Limitazioni del transito di veicoli - Competenza del dirigente (oltre che del Sindaco) ad emettere i provvedimenti di cui agli artt. 6 e 7 del D.lgs. 30 aprile 1992, n. 285 - Sussiste - Ragioni.
Rientrano nelle competenze dei dirigenti anche i provvedimenti che gli articoli 6 e 7 del D.lgs. 30.04.1992, n. 285 attribuiscono espressamente al Sindaco, trattandosi di atti che, per un verso, non implicano l'esercizio di funzioni di indirizzo e controllo politico amministrativo, ma di gestione ordinaria e, per altro verso, non rientrano nelle deroghe di cui agli artt. 50 e 54 del D.lgs. 18.08.2000, n. 267 (Nella specie, la parte ricorrente aveva eccepito l'incompetenza del Comandante della Polizia Locale ad emettere un'ordinanza di limitazione della circolazione e della sosta dei veicoli nel centro abitato per ragioni di sicurezza e di ordinato flusso del traffico) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 25.05.2011 n. 1317 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AGGIORNAMENTO AL 24.11.2011

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UTILITA'

EDILIZIA PRIVATA: Lombardia, Necessita aggiornare il costo di costruzione entro il 31.12.2011 il cui effetto sarà efficace a decorrere dall'01.01.2012: ecco il fac-simile di determinazione (file 1 - file 2).
ATTENZIONE: se non si adotta la determinazione di aggiornamento entro la suddetta scadenza per tutto il 2012 si dovrà applicare il medesimo costo di costruzione vigente nell'anno 2011 (cfr. art. 48, comma 2, della L.R. n. 12/2005).
Alcune considerazioni: ad oggi, il dato ufficiale ISTAT è quello relativo alla variazione del mese di maggio 2011, mentre quello di giugno 2011 è ufficioso e, come tale, non utilizzabile.
Pertanto,
si consiglia di adottare la determinazione di aggiornamento del costo di costruzione, per l'anno 2012, verso la fine di dicembre 2011 poiché è verosimile che entro il 31.12.2011 possa essere pubblicato dall'ISTAT il dato ufficiale relativo a giugno 2011 ed avere, così, un valore maggiore (rispetto a maggio 2011) della variazione ISTAT per il calcolo del costo di costruzione (e, quindi, non perdere soldi per le casse comunali ...).
24.11.2011 - LA SEGRETERIA PTPL

SINDACATI

PUBBLICO IMPIEGO: Benessere organizzativo, risorsa dimenticata (CGIL-FP di Bergamo, nota 23.11.2011).

QUESITI & PARERI

APPALTI: Appalti pubblici e perdita di chances. Per illegittima mancata aggiudicazione.
Domanda.
Nell'ipotesi di illegittima mancata aggiudicazione di un appalto pubblico, cosa si intende per perdita di chances?
Risposta.
Nell'ipotesi di illegittima mancata aggiudicazione di un appalto pubblico la perdita di chances, aspetto della responsabilità precontrattuale della P.A. (diversamente dal danno futuro, che riguarda un pregiudizio non attuale, ma soggetto a ristoro purché certo e altamente probabile, nonché ascrivibile ad una causa efficiente già in atto) costituisce un danno attuale, che non si identifica con la perdita di un risultato utile, ma con quella della concreta possibilità ovvero probabilità di conseguirlo, e necessita, a tal fine, della sussistenza di una situazione presupposta, concreta ed idonea a consentire la realizzazione del vantaggio sperato, da valutarsi sulla base di un giudizio prognostico e statistico, fondato sugli elementi di fatto allegati dal danneggiato (22.11.2011 - commento tratto da www.ipsoa.it).

DIPARTIMENTO FUNZIONE PUBBLICA

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Oggetto: art. 16, commi 9 e 10, d.l. n. 98 del 2011, convertito in l. n. 111 del 15.07.2011 - controllo sulle assenze dal servizio per malattia dei dipendenti pubblici (nota 21.11.2011 n. 56340 di prot.).
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Malattia, controlli dopo il permesso. La Funzione pubblica sul dl n. 98/2011.
L'obbligo di inviare il medico fiscale per verificare lo stato di malattia dei dipendenti pubblici scatta non solo se questa inizia in un giorno precedente o successivo a una giornata festiva, ma anche in caso di malattia che è iniziata dopo un giorno di ferie, di permesso o di congedo.
Lo ha chiarito la Funzione pubblica, nel testo del parere di cui alla nota 21.11.2011 n. 56340 di prot., con il quale ha fatto chiarezza in ordine alla portata delle disposizioni recate dall'articolo 16, commi 9 e 10 del decreto legge n. 98/2011, in materia di controllo delle assenze per malattia da parte dei dipendenti pubblici.
Con le novità introdotte dalla disposizione legislativa sopra riportata, le amministrazioni pubbliche dispongono il controllo delle assenze per malattie dei dipendenti, valutando la condotta complessiva del dipendente stesso, anche alla luce dell'onerosità dell'invio del medico fiscale al domicilio del dipendente malato.
Ma la legge mette un paletto, ovvero che, in ogni caso, allo scopo di porre un freno all'assenteismo, il controllo del medico fiscale va fatto se la malattia insorge in un giorno immediatamente precedente o successivo a una giornata non lavorativa. Molte amministrazioni pubbliche hanno chiesto indicazioni alla Funzione pubblica sull'esatto significato di quest'ultimo inciso. E Palazzo Vidoni ha precisato che la ratio del legislatore è quella di frenare il facile assenteismo. Quindi, la giornata «non lavorativa», deve intendersi non solo quella festiva o la domenica, ma anche tutte quelle giornate in cui, anche in relazione all'articolazione dell'orario di lavoro del dipendente, oppure perché lo stesso ha usufruito di ferie, permessi o congedi, la prestazione lavorativa non è stata fisicamente effettuata nella sede di servizio.
Infine, aggiunge la nota, in relazione a particolari tipologie di assenze quali l'espletamento di esami, visite mediche o diagnostiche, ai fini di un'eventuale imputazione di tali assenze al regime della malattia, sarà sufficiente l'attestazione giustificativa rilasciata al dipendete dal medico o dalla struttura sanitaria, anche privata e questo «a prescindere dalla circostanza che tali prestazioni sanitarie siano connesse a una patologia in atto» (articolo ItaliaOggi del 23.11.2011).

GIURISPRUDENZA

EDILIZIA PRIVATACorte Costituzionale n. 309/2011: nessuna demolizione e ricostruzione senza rispetto della sagoma.
Nella seduta del 20.01.2010 della Commissione V ^Territorio^ della Lombardia il dott. Umberto Sala, alto funzionario regionale, ebbe a dichiarare che "da circa un anno sono intervenute sentenze dal TAR di Milano e di Brescia che hanno evidenziato un contrasto" la normativa nazionale e quella lombarda in tema di ristrutturazione, sull’assunto che la legge dello Stato porrebbe -in punto ricostruzione con vincolo di sagoma- una norma di principio che le regioni non potrebbero derogare. "Sarebbe auspicabile che il TAR, pur continuando ad eccepire, rimettesse la questione alla Corte Costituzionale", concludeva il dirigente.
Il dott. Sala é stato accontentato. Non solo -come noto- il TAR ha rimesso alla Corte la questione nel settembre 2010, ma con sentenza 23.11.2011 n. 309 questa ha dichiarato l'incostituzionalità:
1. dell’art. 27, comma 1, lettera d), ultimo periodo, della legge della Regione Lombardia 11.03.2005, n. 12 (Legge per il governo del territorio), nella parte in cui esclude l’applicabilità del limite della sagoma alle ristrutturazioni edilizie mediante demolizione e ricostruzione;
2. dell’art. 103 della legge della Regione Lombardia n. 12 del 2005, nella parte in cui disapplica l’art. 3 del d.P.R. 06.06.2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia) (testo A);
3. dell’art. 22 della legge della Regione Lombardia 05.02.2010, n. 7 (Interventi normativi per l’attuazione della programmazione regionale e di modifica ed integrazione di disposizioni legislative – Collegato ordinamentale 2010),

confermando la fondatezza della eccezione di illegittimità costituzionale sollevata dal TAR Lombardia con l'ordinanza n. 5122 del 7.9.2010 (sul punto, v. Ristrutturazione edilizia: e alla fine il TAR ha rimesso alla Corte Costituzionale il rito lombardo), ossia che non c'é spazio per una definizione di ristrutturazione edilizia diversa da quella indicata dal legislatore nazionale nell'articolo 3 del DPR 380/2011.
Sugli esiti della decisione della Corte sui titoli rilasciati, v. La ristrutturazione edilizia in Lombardia alla luce della l.r. 7/2010 di interpretazione autentica dell'art. 27 l.r. 12/2005 pubblicato il 30.06.2010 all'indirizzo www.studiospallino.it/interventi/ristrutturazione.htm (link a http://studiospallino.blogspot.com).
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... nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 27, comma 1, lettera d), ultimo periodo, e 103 della legge della Regione Lombardia 11.03.2005, n. 12 (Legge per il governo del territorio) e dell’art. 22 della legge della Regione Lombardia 05.02.2010, n. 7 (Interventi normativi per l’attuazione della programmazione regionale e di modifica ed integrazione di disposizioni legislative – Collegato ordinamentale 2010), promosso dal Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, Sez. II, nel procedimento vertente tra C. B. ed altro e il Comune di Besozzo con ordinanza del 07.09.2010, iscritta al n. 364 del registro ordinanze 2010 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 49, prima serie speciale, dell’anno 2010.
...
2. – La questione è fondata.
2.1. – Questa Corte ha già ricondotto nell’ambito della normativa di principio in materia di governo del territorio le disposizioni legislative riguardanti i titoli abilitativi per gli interventi edilizi (sentenza n. 303 del 2003, punto 11.2 del Considerato in diritto): a fortiori sono principi fondamentali della materia le disposizioni che definiscono le categorie di interventi, perché è in conformità a queste ultime che è disciplinato il regime dei titoli abilitativi, con riguardo al procedimento e agli oneri, nonché agli abusi e alle relative sanzioni, anche penali.
L’intero corpus normativo statale in ambito edilizio è costruito sulla definizione degli interventi, con particolare riferimento alla distinzione tra le ipotesi di ristrutturazione urbanistica, di nuova costruzione e di ristrutturazione edilizia cosiddetta pesante, da un lato, e le ipotesi di ristrutturazione edilizia cosiddetta leggera e degli altri interventi (restauro e risanamento conservativo, manutenzione straordinaria e manutenzione ordinaria), dall’altro. La definizione delle diverse categorie di interventi edilizi spetta, dunque, allo Stato.
2.2. – Tali categorie sono individuate dall’art. 3 del d.P.R. n. 380 del 2001, collocato nel titolo I della parte I del testo unico, intitolato «Disposizioni generali». In particolare, la lettera d) del comma 1 di detto articolo include, nella definizione di «ristrutturazione edilizia», gli interventi di demolizione e ricostruzione con identità di volumetria e di sagoma rispetto all’edificio preesistente; la successiva lettera e) classifica come interventi di «nuova costruzione» quelli di «trasformazione edilizia e urbanistica del territorio non rientranti nelle categorie definite alle lettere precedenti».
In base alla normativa statale di principio, quindi, un intervento di demolizione e ricostruzione che non rispetti la sagoma dell’edificio preesistente –intesa quest’ultima come la conformazione planivolumetrica della costruzione e il suo perimetro considerato in senso verticale e orizzontale– configura un intervento di nuova costruzione e non di ristrutturazione edilizia.
A conferma di ciò non sta solo il dato letterale dell’art. 3, comma 1, lettera d), del d.P.R. n. 380 del 2001 –che fa riferimento alla «stessa volumetria e sagoma» dell’edificio preesistente e ammette «le sole innovazioni necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica – ma vi è anche la successiva legislazione statale in materia edilizia. L’art. 5, commi 9 e ss., del decreto-legge 13.05.2011, n. 70 (Semestre Europeo – Prime disposizioni urgenti per l’economia), convertito, con modificazioni, nella legge 12.07.2011, n. 106, infatti, nel regolare interventi di demolizione e ricostruzione con ampliamenti di volumetria e adeguamenti di sagoma, non ha qualificato tali interventi come ristrutturazione edilizia, né ha modificato la disciplina dettata al riguardo dall’art. 3 del d.P.R. n. 380 del 2001.
2.3. – La linea di distinzione tra le ipotesi di nuova costruzione e quelle degli altri interventi edilizi, d’altronde, non può non essere dettata in modo uniforme sull’intero territorio nazionale, la cui «morfologia» identifica il paesaggio, considerato questo come «la rappresentazione materiale e visibile della Patria, coi suoi caratteri fisici particolari, con le sue montagne, le sue foreste, le sue pianure, i suoi fiumi, le sue rive, con gli aspetti molteplici e vari del suo suolo, quali si sono formati e son pervenuti a noi attraverso la lenta successione dei secoli» (Relazione illustrativa della legge 11.06.1922, n. 778 «Per la tutela delle bellezze naturali e degli immobili di particolare interesse storico», Atti parlamentari, Legislatura XXV, Senato del Regno, Tornata del 25.09.1920).
Sul territorio, infatti, «vengono a trovarsi di fronte» –tra gli altri– «due tipi di interessi pubblici diversi: quello alla conservazione del paesaggio, affidato allo Stato, e quello alla fruizione del territorio, affidato anche alle Regioni» (sentenza n. 367 del 2007, punto 7.1 del Considerato in diritto). Fermo restando che la tutela del paesaggio e quella del territorio sono necessariamente distinte, rientra nella competenza legislativa statale stabilire la linea di distinzione tra le ipotesi di nuova costruzione e quelle degli altri interventi edilizi.
Se il legislatore regionale potesse definire a propria discrezione tale linea, la conseguente difformità normativa che si avrebbe tra le varie Regioni produrrebbe rilevanti ricadute sul «paesaggio […] della Nazione» (art. 9 Cost.), inteso come «aspetto del territorio, per i contenuti ambientali e culturali che contiene, che è di per sé un valore costituzionale» (sentenza n. 367 del 2007), e sulla sua tutela.
2.4. – In conclusione, l’art. 27, comma 1, lettera d), ultimo periodo, della legge della Regione Lombardia n. 12 del 2005, come interpretato dall’art. 22 della legge della Regione Lombardia n. 7 del 2010, nel definire come ristrutturazione edilizia interventi di demolizione e ricostruzione senza il vincolo della sagoma, è in contrasto con il principio fondamentale stabilito dall’art. 3, comma 1, lettera d), del d.P.R. n. 380 del 2001, con conseguente violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., in materia di governo del territorio.
Parimenti lesivo dell’art. 117, terzo comma, Cost., è l’art. 103 della legge della Regione Lombardia n. 12 del 2005, nella parte in cui, qualificando come «disciplina di dettaglio» numerose disposizioni legislative statali, prevede la disapplicazione della legislazione di principio in materia di governo del territorio dettata dall’art. 3 del d.P.R. n. 380 del 2001 con riguardo alla definizione delle categorie di interventi edilizi.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 27, comma 1, lettera d), ultimo periodo, della legge della Regione Lombardia 11.03.2005, n. 12 (Legge per il governo del territorio), nella parte in cui esclude l’applicabilità del limite della sagoma alle ristrutturazioni edilizie mediante demolizione e ricostruzione;
2) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 103 della legge della Regione Lombardia n. 12 del 2005, nella parte in cui disapplica l’art. 3 del d.P.R. 06.06.2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia) (testo A);
3) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 22 della legge della Regione Lombardia 05.02.2010, n. 7 (Interventi normativi per l’attuazione della programmazione regionale e di modifica ed integrazione di disposizioni legislative – Collegato ordinamentale 2010)
(Corte Costituzionale, sentenza 23.11.2011 n. 309).

VARI: La lunga degenza estingue le ferie. Sentenza della Corte di giustizia europea.
È lecita la decadenza dal diritto alla ferie per il lavoratore assente per lungo tempo per malattia. La norma o prassi nazionale (come i contratti collettivi) che prevede tale deroga non è contraria al diritto europeo.     
Questo è quanto statuisce la Corte di Giustizia CE con sentenza 22.11.2011 n. C-214/10.
La vicenda riguarda la normativa tedesca. Prende vita dal ricorso di un lavoratore dipendente che, assentatosi dal lavoro per lungo tempo a causa di malattia prima di divenire definitivamente inabile, aveva visto negarsi il diritto all'indennità sostitutiva delle ferie non godute nei tre anni di assenza. Egli, in sostanza, rivendicava il diritto all'indennità sostitutiva delle ferie sostenendo di essere stato privato della possibilità di esercitare il diritto alle ferie annuali retribuite a causa del lungo congedo di malattia.
L'azienda presso cui lavorava invece, gli aveva negato questo diritto dichiarando estinto il diritto alle ferire annuali a causa della malattia e, soprattutto, a motivo della scadenza del periodo di comporto di quindi mesi previsto dal contratto collettivo.
La Corte Ue, adita dal giudice tedesco in ordine alla compatibilità della normativa nazionale con la direttiva sull'organizzazione dell'orario di lavoro, spiega che il diritto di ogni lavoratore alle ferie annuali retribuite deve essere considerato come un principio particolarmente importante del diritto sociale dell'Unione, al quale non si può derogare e la cui attuazione da parte delle autorità nazionali può essere effettuata solo nei limiti esplicitamente indicati dal medesimo diritto dell'Ue. Tuttavia, la Corte di giustizia ha ritenuto legittima una normativa nazionale che preveda la perdita del diritto alle ferie annuali allo scadere di un periodo di riferimento o di un periodo di riporto, a condizione che il lavoratore abbia effettivamente avuto la possibilità di esercitare il suo diritto alle ferie.
Ciò al fine di tutelare, d'altra parte, il datore di lavoro dal rischio di cumulo troppo rilevante di periodi di assenza del lavoratore e dalle difficoltà che queste assenze potrebbero comportare per l'organizzazione del lavoro. In conclusione, dunque, la sentenza stabilisce che, nell'ipotesi di un lavoratore inabile per più periodo di riferimento consecutivi, non è contraria al diritto Ue una norma o prassi nazionale (i contratti collettivi) che, prevedendo un periodo di riporto allo scadere del quale si estingue, limitano il cumulo dei diritti alle ferire annuali retribuite (articolo ItaliaOggi del 23.11.2011).

EDILIZIA PRIVATA: Impianti di telefonia mobile: non occorre la concessione edilizia.
Gli impianti di telefonia mobile non possono essere assimilati alle normali costruzioni edilizie in quanto normalmente non sviluppano volumetria o cubatura, non determinano ingombro visivo paragonabile a quello delle costruzioni, non hanno un impatto sul territorio paragonabile a quello degli edifici in cemento armato o muratura.
Va rilevato anzitutto che per l’installazione degli impianti di telefonia mobile non occorre la concessione edilizia e tantomeno alcuna variante urbanistica e che la loro collocazione deve ritenersi consentita sull'intero territorio comunale, non assumendo carattere ostativo le specifiche destinazioni di zona (residenziale, verde, agricola, etc.) rispetto appunto ad infrastrutture di interesse generale che presuppongono la realizzazione di una rete capillare sul territorio, in quanto la loro localizzazione nelle sole zone espressamente e preventivamente individuate si porrebbe in contrasto proprio con l'esigenza di assicurare l’uniforme erogazione del servizio (in tal senso, Cons. Stato, sez. VI, 10.02.2003, n. 673; C.G.A. ordinanza 28.06.2006, n. 543).
In particolare, il Collegio ritiene di ribadire quanto affermato da questa Sezione con la sentenza n. 1010 del 09.05.2006, nella quale, nel riesaminare funditus la dibattuta questione dei poteri comunali in materia di installazione delle stazioni radio base necessarie per fornire il sistema di telefonia mobile nel territorio nazionale, si è, in particolare, osservato che, secondo un consolidato e condiviso orientamento giurisprudenziale, gli impianti di telefonia mobile non possono essere assimilati alle normali costruzioni edilizie, in quanto normalmente non sviluppano volumetria o cubatura, non determinano ingombro visivo paragonabile a quello delle costruzioni, non hanno un impatto sul territorio paragonabile a quello degli edifici in cemento armato o muratura.
Trattasi, difatti, di strutture, che, per esigenze di irradiamento del segnale, si sviluppano normalmente in altezza, tramite strutture metalliche, pali o tralicci, talora collocate su strutture preesistenti, su lastrici solari, su tetti, a ridosso di pali. Tali caratteristiche peculiari impongono, quindi, una valutazione separata e distinta del fenomeno, che deve essere compiuta con specifico riferimento alle infrastrutture telefoniche, escludendosi la legittimità di una estensione analogica di una normativa edilizia concepita per altri scopi e diretta a regolamentare altre forme di utilizzazione del territorio (cfr., tra le tante, Cons. Stato, VI, 26.08.2003, n. 4847; 24.11.2003, n. 7725, TAR Campania Napoli, sez. I, 04.03.2005, n. 16110).
Sotto diverso profilo, va poi osservato che la disciplina di riferimento -ratione temporis- è contenuta nell’art. 8 della legge 22.02.2001, n. 36, il quale recita: “1. Sono di competenza delle regioni, nel rispetto dei limiti dì esposizione, dei valori di attenzione e degli obiettivi di qualità nonché dei criteri e delle modalità fissati dallo Stato, fatte salve le competenze dello Stato e delle autorità indipendenti: a) l'esercizio delle funzioni relative all'individuazione dei siti dì trasmissione e degli impianti per telefonia mobile, degli impianti radioelettrici e degli impianti per radiodiffusione, ai sensi della legge 31.07.1997, n. 249, e nel rispetto del decreto di cui all'articolo 4, comma 2, lettera a), e dei principi stabiliti dal regolamento di cui all'articolo 5; b) … omissis; c) le modalità per il rilascio delle autorizzazioni alla installazione degli impianti di cui al presente articolo, in conformità a criteri di semplificazione amministrativa, tenendo conto dei campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici preesistenti; d)… omissis.
6) i comuni possono adottare un regolamento per assicurare il corretto insediamento urbanistico e territoriale degli impianti e minimizzare l'esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici.

In relazione all’interpretazione di tale norma il Consiglio di Stato, sez. VI, si è già pronunciato più volte (cfr sentenze n. 2997 del 30.05.2003 e 03.06.2002, n. 3095) affermando che “La fissazione di limiti di esposizione ai campi elettromagnetici diversi da quelli stabiliti dallo Stato (con il d.m. 381 del 1998) non rientra nell'ambito delle competenze attribuite ai comuni dall'art. 8 l. 22.02.2001 n. 36. Ma alla stregua della disposizione in esame nemmeno è consentito che il comune, attraverso il formale utilizzo degli strumenti di natura edilizia-urbanistica, adotti misure che nella sostanza costituiscono una deroga ai predetti limiti di esposizione fissati dallo Stato, quali ad esempio il generalizzato divieto di installazione delle stazioni radio-base per la telefonia cellulare in tutte le zone territoriali omogenee a destinazione residenziale; ovvero di introdurre misure che pur essendo tipicamente urbanistiche (distanze, altezze, ecc..) non siano funzionali al governo del territorio, quanto piuttosto alla tutela della salute dai rischi dell'elettromagnetismo.”
(TAR Sicilia-Palermo, Sez. II, sentenza 11.11.2011 n. 2100 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Ordinanze contingibili e urgenti. Le querce secolari non si toccano: neppure dai Comuni.
Deve ritenersi illegittima un'ordinanza contingibile e urgente con la quale il Sindaco, per ragioni di asserita tutela della pubblica e privata incolumità, correlata alla sicurezza della circolazione stradale, ha ordinato a un privato l'immediato abbattimento di numerose querce centenarie ubicate su una piccola strada interpoderale, interessata da traffico veicolare scarso e puramente locale.
Il ricorrente, deducendo la violazione degli artt. 50 e 54, D.Lgs. n. 267/2000, ha impugnato l’ordinanza con cui un Comune aveva intimato di provvedere all’abbattimento delle alberature ubicate nel terreno in sua proprietà confinante con una strada interpoderale con affaccio sulla carreggiata stradale.
Accordata in sede cautelare la sospensione dell’impugnato provvedimento, il ricorrente con successiva memoria ha dato atto dell’intervenuta esecuzione, nelle more, dell’ordinanza di demolizione, rilevando come, altresì, il legname risultante dall’abbattimento era stato depositato su di un terreno frontista peraltro senza l’indicazione nemmeno delle generalità del relativo proprietario.
Il ricorso è stato accolto in quanto fondato.
Il TAR di Roma, in via preliminare, ha dovuto prendere in considerazione gli sviluppi intervenuti nelle more della trattazione del merito, atteso che il Comune aveva provveduto d’ufficio, in modo forzoso, all’abbattimento di dodici delle querce interessate dall’impugnata ordinanza.
Quest’ultima, difatti, era stata adottata dal sindaco della civica P.A. in quanto le querce avrebbero mostrato un’evidente pericolosità essendo inclinate verso la carreggiata e collocate in curva.
Tuttavia, è stato rilevato come il luogo su cui insistevano gli alberi era una piccola strada interpoderale, di interesse puramente locale che, in quanto tale, era percorsa da uno scarso traffico veicolare, fatta eccezione per il primo tratto di cinquanta metri, attesa la presenza di una casa di riposo per anziani.
Il tratto interessato dall’ordinanza aveva una lunghezza di circa 500 metri lineari e sul relativo ciglio insistevano circa un centinaio di querce secolari; con l’impugnata ordinanza era stato disposto l’abbattimento di una settantina di querce di proprietà del ricorrente.
La pericolosità addotta da parte dell’amministrazione comunale, infatti, riguardava, da un lato, l’inclinazione delle querce verso la carreggiata stradale e, dall’altro, la collocazione in curva di alcune delle stesse; circostanze, queste ultime, che, a opinione del Collegio, dovevano ritenersi sussistenti da lungo tempo in considerazione dell’età delle piante, nonché della conformazione del tragitto stradale in questione.
Orbene, con riferimento all’impugnata ordinanza sindacale, il giudicante ha evidenziato che il richiamo all’art. 50 del D.Lgs. n. 267/2000 avrebbe consentito all’amministrazione (id est: Sindaco) di emanare un’ordinanza contingibile e urgente nel solo caso di emergenze sanitarie e di igiene pubblica a livello locale, ipotesi che, invero, non ricorrevano nella specie.
Né è stato ritenuto correttamente effettuato il richiamo alla norma di cui all’art. 29 del D.Lgs. n. 285/1992, Codice della strada, atteso che l’invocata norma, rubricata "Piantagioni e siepi", dispone testualmente che: “I proprietari confinanti hanno l'obbligo di mantenere le siepi in modo da non restringere o danneggiare la strada o l'autostrada e di tagliare i rami delle piante che si protendono oltre il confine stradale e che nascondono la segnaletica o che ne compromettono comunque la leggibilità dalla distanza e dalla angolazione necessarie. Qualora per effetto di intemperie o per qualsiasi altra causa vengano a cadere sul piano stradale alberi piantati in terreni laterali o ramaglie di qualsiasi specie e dimensioni, il proprietario di essi è tenuto a rimuoverli nel più breve tempo possibile”.
Non è parso, dunque, che la menzionata disposizione attribuisse al Sindaco i poteri contingibili e urgenti dei quali, invece, lo stesso ha fatto uso.
In secondo luogo, è stato precisato che la norma tratta di "siepi" e di "rami delle piante", ma non sembra assolutamente consentire l’abbattimento forzoso di un rilevante numero di querce centenarie collocate lungo la carreggiata di una stradina interpoderale nata seguendo il percorso segnato dalla loro presenza, ma, invece, soltanto, l’eventuale taglio, nella ricorrenza dei relativi presupposti, dei rami inclinati che compromettano, in qualche modo, la sicura circolazione stradale; ma è parso evidente che il taglio dei rami protesi è operazione sostanzialmente diversa dall’abbattimento in toto degli alberi stessi.
Inoltre, è stato rilevato che, nonostante la loro inclinazione, le querce che, nelle more del giudizio, erano state effettivamente abbattute in modo forzoso, non erano in condizioni fitosanitarie tali da farne dedurre la pericolosità ai fini della sicurezza nella circolazione stradale.
Quanto, poi, alle motivazioni addotte da parte dell’amministrazione concernenti l’effettiva pericolosità derivante dalla posizione delle querce, il TAR capitolino ha evidenziato come di tale circostanza non vi era traccia nella motivazione dell’impugnata ordinanza, la quale si era limitata a rinviare a un verbale di sopralluogo nel quale l’amministrazione aveva esclusivamente proceduto all’esatta individuazione e alla segnalazione fisica delle querce delle quali aveva ritenuto necessario disporre l’abbattimento.
Infine, alcuna valenza è stata attribuita all’ulteriore argomentazione dell’amministrazione comunale, incentrata sul disposto di cui all’art. 26 del C.d.S., nella parte in cui individua una distanza minima di sei metri delle alberature dal ciglio della strada extraurbana; infatti, in disparte la considerazione che la menzionata norma non era stata puntualmente richiamata in seno all’impugnata ordinanza né l’ordinanza era stata specificatamente fondata sul suo contenuto dispositivo, l’adito G.A. ha comunque ritenuto che la norma invocata non poteva trovare applicazione con riferimento ad alberature secolari preesistenti all’entrata in vigore della stessa (commento tratto da www.ipsoa.it - TAR Lazio-Roma, Sez. II-ter, sentenza 17.10.2011 n. 7991 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AGGIORNAMENTO AL 23.11.2011

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dite la vostra ... RICEVIAMO E PUBBLICHIAMO

URBANISTICA: Breve replica al commento di Roberto Pagliaro del 15.11.2011.
Ho letto il commento di Roberto Pagliaro sull'incontro del 2 novembre scorso, un commento che merita una replica, anche perché ruota attorno ad alcune incomprensioni di quanto detto o, almeno, voluto dire: non è vero che, “dal punto di vista penale ed amministrativo, gli avvocati ritengono -tutto sommato- tollerabile questo modo di fare”.
Infatti: a mio giudizio, ... (... continua cliccando qui) (22.11.2011 - Avv. Mario Viviani).

DOTTRINA E CONTRIBUTI

EDILIZIA PRIVATA: L. Spallino, Parziali difformità ex art. 34 TUE: la soglia del 2% secondo il DL Sviluppo (link a http://studiospallino.blogspot.com).
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Ecco un primo contributo
sul novellato comma 2-ter dell'art. 34 del DPR n. 380/2011 che tanto sta facendo tribolare gli Uffici Tecnici Comunali.
Prossimamente, dovrebbero seguire altri due interventi (sempre di avvocati) che potranno contribuire a "schiarire" le idee agli addetti ai lavori.
23.11.2011 - LA SEGRETERIA PTPL

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: G. Forleo, Il materiale da costruzione e demolizione e la normativa sui rifiuti (link a www.lexambiente.it).

CORTE DEI CONTI

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Compensi ISTAT fuori dal blocco del fondo risorse decentrate.
La Corte dei Conti Sez. Reg.le Lombardia, con parere 15.11.2011 n. 607, conferma quanto già espresso con propria precedente n. 550/2011 e quindi che le risorse ISTAT, nel loro complesso, risultano escluse dai vincoli di contenimento della spesa di personale (tratto da www.publika.it).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Unioni e assunzione a tempo determinato ex art. 110 TUEL.
La Corte dei Conti, Sez. Reg.le Emilia Romagna, con parere 10.11.2011 n. 111, stabilisce quanto segue:
"...le Unioni di Comuni, enti non assoggettati alle regole del patto di stabilità interno, anche a seguito dell'adozione del predetto decreto ministeriale (si veda art. 1 D.Lgs. 141/2011), potranno procedere al conferimento di incarichi dirigenziali ex articolo 110, comma 1, TUEL nei limiti della percentuale dell'8% prevista dall'articolo 19, comma 6, d.lgs. 165/2001 (cfr. SS.RR. 12 e 13 del 2011)" (tratto da www.publika.it).

SINDACATI

ENTI LOCALI: Unioni di comuni e servizi in convenzione: ricorso alla Corte Costituzionale della regione Lombardia (CGIL-FP di Bergamo, nota 21.11.2011).

GURI - GUUE - BURL (e anteprima)

AMBIENTE-ECOLOGIA: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 47 del 21.11.2011, "Modalità, contenuti e tempistiche per la compilazione dell’applicativo O.R.SO. (osservatorio rifiuti sovraregionale) relativo alla raccolta dei dati di produzione e gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti gestiti dagli impianti in Regione Lombardia – Nuove disposizioni" (deliberazione G.R. 16.11.2011 n. 2513).

AMBIENTE-ECOLOGIA: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 47 del 21.11.2011, "Atto di indirizzi, ai sensi del comma 3 dell’articolo 19 della l.r. 12.12.2003, n. 26 in materia di programmazione della gestione dei rifiuti" (deliberazione C.R. 08.11.2011 n. 280).

AMBIENTE-ECOLOGIA: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 47 del 21.11.2011, "Aggiornamento delle tariffe dei diritti di escavazione - Art. 25, l.r. n. 14/1998" (deliberazione C.R. 08.11.2011 n. 279).

QUESITI & PARERI

EDILIZIA PRIVATA: Enti locali e vincolo paesaggistico.
Domanda.
I comuni hanno un potere pregnante in ordine all'imposizione di vincoli paesaggistici da parte del ministero dei beni culturali e delle attività culturali?
Risposta.
È vero che lo stato, alla luce del principio di leale collaborazione e cooperazione, di cui alla riforma del titolo V della costituzione (articoli 114 e seguenti), prima di imporre un vincolo paesaggistico, deve svolgere adeguate consultazioni con le autonomie locali cointeressate. Questo principio trova riscontro sia negli articoli 138 e 139 del decreto legislativo 22.01.2004, numero 42, concernenti il procedimento di dichiarazione di notevole interesse pubblico, sia nell'articolo 144 del citato decreto legislativo 22.01.2004, numero 42, riguardo al procedimento di formazione ed approvazione dei piani paesaggistici. In questi casi è prevista la consultazione degli enti locali territoriali.
Però, nel caso del procedimento speciale previsto dall'articolo 138, comma 3, del decreto legislativo 22.01.2004, numero 42, per l'apposizione del vincolo paesaggistico, non è stato previsto dal legislatore il coinvolgimento del comune o dei comuni interessati. In questa ipotesi la legge prevede che il ministero dei beni culturali e delle attività culturali deve chiedere soltanto il parere della regione o delle regioni interessate. Detto parere deve essere espresso entro il termine di trenta giorni dalla richiesta.
In merito, è da sottolineare che la Corte costituzionale con la sentenza numero 88 del 2009, ha affermato che quando il legislatore ha previsto la partecipazione della regione, con la previsione del «previo parere», al procedimento, l'acquisizione di detto parere viene a porre il provvedimento al riparo dalle denunce di violazione della leale collaborazione, di cui sopra.
Ora, il procedimento di cui al citato articolo 138, comma 3, del decreto legislativo 22.01.2004, numero 42, caratterizzato da autonomia e specialità, non impone al ministero dei beni culturali e delle attività culturali di procedere «previa intesa». Peraltro, l'articolo 133 del decreto legislativo numero 63, del 2008, richiama il rapporto cooperativo ministero-regioni, mentre «gli altri enti pubblici territoriali conformano la loro attività di pianificazione agli indirizzi di cui ai precedenti commi» (cfr. art. 133, citato, comma 3).
Il lettore può consultare anche la sentenza del 10.11.2010, n. 33365, del Tar del Lazio, sezione II-quater, nonché la sentenza del consiglio di stato, sezione VI, del 04.08.2008, numero 3895 (Quesitario ItaliaOggi Sette del 21.11.2011).

EDILIZIA PRIVATA: Vincoli paesaggistici su aree di vasta estensione.
Domanda.
Si chiede se in tema di imposizione di vincoli paesaggistici il ministero dei beni culturali e delle attività culturali abbia o meno un potere autonomo, che non preveda limiti di intervento.
Risposta.
Il tribunale regionale amministrativo (Tar) del Lazio, sezione II-quater, con la sentenza del 10.11.2010, n. 33365, ha affermato che il potere previsto dall'articolo 138, 3° comma, del decreto legislativo 22.01.2004, numero 42, attribuito al ministero dei beni culturali e delle attività culturali in ordine all'imposizione di vincoli paesaggistici è un potere autonomo che non prevede limiti di intervento. Infatti, per i giudici amministrativi, nella fattispecie, non si è in presenza «né di potestà, né concorrente, né sussidiaria, né suppletiva».
Si tratta di un potere statale autonomo che si rileva né concorrente, né sussidiario, né suppletivo e interagisce nel caso in cui l'azione di tutela espressa dal governo regionale sia inadeguata ed insufficiente al fine della salvaguardia dei valori paesaggistici. Scrivono, al riguardo, i predetti giudici amministrativi: «l'ordinamento giuridico ha approntato uno speciale ed esclusivo potere dovere discrezionale d'intervento dello stato nei casi nei quali possa essere concretamente a rischio l'interesse costituzionalmente affidato allo stato della salvaguardia del territorio: la naturale contiguità tra forze politiche e forze economiche (che tendono all'utile immediato) spesso implica la prevalenza degli interessi di pochi a danno degli interessi diffusi della generalità dei cittadini».
Con la suddetta sentenza, il tribunale regionale amministrativo (Tar) del Lazio riconosce il potere del ministero dei beni culturali e delle attività culturali di dichiarare che gli immobili e le aree di cui all'articolo 138, comma 3, del decreto legislativo 22.01.2004, numero 42, hanno un notevole interesse pubblico. Non è in gioco, nel caso, il prevalere dei contenuti del piano paesaggistico sulle disposizioni dei piani urbanistici.
Aggiungono, difatti i suddetti magistrati amministrativi che il paesaggio non deve essere limitato al significato, meramente estetico, di «bellezza naturale», ma deve indicare il complesso dei valori inerenti il territorio, vale a dire l'ambiente nel suo complesso, considerato come bene primario e assoluto. E la vasta estensione delle aree oggetto del vincolo non assume alcun rilievo, atteso che il complesso dei beni immobili di cui all'articolo 136, comma 1, lettera c), non incontra limiti territoriali (Quesitario ItaliaOggi Sette del 21.11.2011).

AUTORITA' VIGILANZA CONTRATTI PUBBLICI

INCARICHI PROGETTUALIGli affidamenti diretti per tutti Soglia a 40 mila anche per ingegneria e architettura. L'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici: prevale l'art. 125, comma 11 del Codice.
Via libera agli affidamenti diretti fino a 40 mila euro anche per i servizi di ingegneria e architettura; scelti senza gara progettisti, direttore dei lavori e collaudatori di lavori pubblici per piccoli affidamenti.
Con il parere del 16.11.2011, deciso dall'adunanza del Consiglio del 9 e 10.11.2011, che a breve sarà pubblicato sul sito dell'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici, l'organismo di vigilanza ha fornito alcune importanti precisazioni rispetto alla recente modifica del Codice dei contratti pubblici in materia di affidamenti diretti di appalti pubblici.
La necessità di un intervento interpretativo dell'Autorità era nata dal fatto che la legge 106/2011 (di conversione del decreto legge 98/2011), nell'innalzare a 40 mila euro la soglia (in precedenza di 20 mila euro) per tutti gli affidamenti di lavori, forniture e servizi, affidati sia in economia, sia direttamente, aveva anche modificato una norma regolamentare (l'articolo 267, comma 10, del Dpr 207/2010), specifica per i servizi di ingegneria, creando un dubbio interpretativo sulla reale portata della modifica stessa.
In sostanza la legge 106 era intervenuta sull'articolo 125, comma 11, sia nel primo periodo (relativo agli affidamenti in economia), sia nel secondo periodo (relativo agli affidamenti diretti), mentre la modifica all'articolo 267, comma 10, del dpr 207 consisteva nell'eliminazione del secondo periodo dell'articolo 125, comma 11, del Codice per i servizi di ingegneria e architettura.
L'intervento sull'articolo 267 era stato letto da alcuni come volontà del legislatore di non ritenere applicabile ai servizi di ingegneria e architettura la possibilità di affidare in via diretta incarichi (dal momento che era stato eliminato il richiamo al secondo periodo della disposizione del Codice), rimanendo invece operativa soltanto la strada degli affidamenti in economia, peraltro con il limite dei 20 mila euro (visto che il primo periodo dell'articolo 267 reca ancora la soglia dei 20 mila euro).
L'Autorità, rispondendo ai quesiti giunti sia dalle stazioni appaltanti, sia dai rappresentanti delle professioni e delle associazioni di categoria, ha viceversa affermato la piena applicabilità dell'articolo 125, comma 11, anche ai servizi di ingegneria e architettura nel presupposto che il legislatore «ha inteso modificare un aspetto di una normativa di rango primario omettendo di porre mano ad una modifica che in un'ottica di carattere sistematico appare tanto logica quanto necessaria».
Per l'Autorità, quindi, le «correlate disposizioni di carattere disposizioni di carattere regolamentare aventi carattere esecutivi ed attuativo e non anche delegificante non potranno che doversi interpretare in senso conforme a quanto previsto dalla normativa di rango primario non potendosi in alcun modo porsi in contrasto con la disciplina stessa». La lettura della modifica all'articolo 267, comma 10, che l'Autorità dà nel parere è anche quella per cui l'eliminazione del secondo periodo non varrebbe tanto a rendere inapplicabili gli affidamenti diretti per gli incarichi di servizi di ingegneria, bensì, al contrario, a riportare nell'alveo della disciplina primaria dell'articolo 125, comma 11, l'ambito di applicazione dei servizi di ingegneria e architettura, quindi con un rinvio più ampio di quello previsto dalla precedente versione della norma regolamentare.
A questa conclusione l'Autorità giunge anche richiamando gli atti parlamentari dai quali si desume che la modifica regolamentare aveva la funzione di rendere compatibile la norma regolamentare con la disciplina primaria (eliminando un riferimento specifico per i servizi di ingegneria e architettura). Pertanto per i servizi di ingegneria e architettura fino a 20 mila euro sarebbe possibile l'affidamento in economia ai sensi dell'articolo 267, comma 10, del dpr 207, mentre l'affidamento diretto fino a 40 mila euro è ammesso in base alla norma del Codice modificata con la legge 106/2011 (articolo ItaliaOggi del 22.11.2011 - tratto da www.corteconti.it).

NEWS

SICUREZZA LAVOROSICUREZZA/ Pulizia di silos, serve esperienza. Stop ai lavori in ambienti a rischio senza giusta formazione. Entra in vigore il dpr n. 177/2011 che approva il regolamento per la qualificazione delle imprese.
Stop ai lavori di pulitura di silos e cisterne senza adeguata formazione dei lavoratori e dispositivi di sicurezza. Il 23 novembre entra in vigore il dpr n. 177/2011 che approva il regolamento per la qualificazione di imprese e lavoratori autonomi che operano in ambienti sospetti di inquinamento o confinati.
Le disposizioni, che resteranno valide in attesa della definizione del complessivo sistema di qualificazione delle imprese previsto dal T.u. sicurezza (dlgs n. 81/2008), stabiliscono tra l'altro che per svolgere attività lavorativa in ambienti confinati l'azienda deve avere in forza personale con esperienza almeno triennale (in misura non inferiore al 30% della forza lavoro), munito di specifici dispositivi di protezione individuale (maschere protettive ecc.), di attrezzature e di strumentazioni (come rilevatori di gas, respiratori ecc.) idonei a prevenire i rischi.
Finalità e ambito di applicazione. Il regolamento disciplina il sistema di qualificazione di imprese e lavoratori autonomi destinati a operare nel settore degli ambienti sospetti di inquinamento o confinati, quali individuati ai sensi degli articoli 66 e 121 del T.u. sicurezza (si veda tabella). Restano comunque disposizioni di carattere temporaneo, in attesa della definizione del complessivo sistema previsto dal T.u. sicurezza.
Le nuove regole. Il regolamento stabilisce che qualsiasi attività lavorativa nel settore degli ambienti sospetti di inquinamento o confinati può essere svolta unicamente da imprese o lavoratori autonomi qualificati in ragione del possesso dei seguenti requisiti:
a) integrale applicazione delle disposizioni in materia di valutazione dei rischi, sorveglianza sanitaria e misure di gestione delle emergenze;
b) integrale e vincolante applicazione delle norme relative alle imprese familiari e lavoratori autonomi;
c) presenza di personale, in percentuale non inferiore al 30% della forza lavoro, con esperienza almeno triennale relativa a lavori in ambienti sospetti di inquinamento o confinati, assunta con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato ovvero anche con altre tipologie contrattuali o di appalto, a condizione, in questa seconda ipotesi, che i relativi contratti siano stati preventivamente certificati. Tale esperienza deve essere necessariamente in possesso dei lavoratori che svolgono le funzioni di preposto;
d) avvenuta effettuazione di attività di informazione e formazione di tutto il personale, ivi compreso il datore di lavoro ove impiegato per attività lavorative in ambienti sospetti di inquinamento o confinati, specificamente mirato alla conoscenza dei fattori di rischio propri di tali attività, oggetto di verifica di apprendimento e aggiornamento (contenuti e modalità della formazione verranno individuati entro 90 giorni con accordo in Conferenza permanente per i rapporti tra lo stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, sentite le parti sociali);
e) possesso di dispositivi di protezione individuale, strumentazione e attrezzature di lavoro idonei alla prevenzione dei rischi propri delle attività lavorative in ambienti sospetti di inquinamento o confinati e avvenuta effettuazione di attività di addestramento all'uso corretto di tali dispositivi, strumentazione e attrezzature;
f) avvenuta effettuazione di attività di addestramento di tutto il personale impiegato per le attività lavorative in ambienti sospetti di inquinamento o confinati, ivi compreso il datore di lavoro, relativamente alla applicazione di procedure di sicurezza;
g) rispetto delle vigenti previsioni, ove applicabili, in materia di Documento unico di regolarità contributiva (Durc);
h) integrale applicazione della parte economica e normativa della contrattazione collettiva di settore, compreso il versamento della contribuzione all'eventuale ente bilaterale di riferimento, ove la prestazione sia di tipo retributivo, con riferimento ai contratti e accordi collettivi di settore sottoscritti da organizzazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale (articolo ItaliaOggi Sette del 21.11.2011).

EDILIZIA PRIVATAAce, l'obbligatorietà è a due vie. Da valutare ogni volta se vale la legge statale o regionale. I chiarimenti del Notariato sugli attestati di certificazione energetica degli immobili.
Attestati di certificazione energetica degli immobili: obbligatorietà a due vie. Ai fini della corretta applicazione della recente modifica normativa che ha interessato il dlgs n. 192/2005 sul rendimento energetico degli edifici è infatti necessario valutare caso per caso se sia applicabile la disciplina statale piuttosto che quella regionale e, in quest'ultimo caso, che cosa la stessa abbia previsto.
Questo uno dei tanti utili chiarimenti contenuti nello studio 03.11.2011 n. 342/2011-C preparato dalla commissione studi civilistici del Consiglio nazionale del notariato.
Le ragioni del nuovo comma 2-ter dell'art. 6 del dlgs n. 192/2005. Come è stato ricordato nello studio del notariato, il dlgs n. 192/2005 di attuazione della direttiva comunitaria n. 2002/91/Ce relativa al rendimento energetico nell'edilizia disponeva che l'Attestato di certificazione energetica (il c.d. Ace, ovvero lo strumento di informazione a disposizione del proprietario e/o dell'acquirente per attestare la prestazione energetica e il grado di efficienza degli edifici da acquistare o locare) dovesse essere allegato in originale o in copia autentica all'atto di trasferimento dell'immobile e che la mancata allegazione determinasse la nullità del contratto.
Tuttavia le relative disposizioni di legge erano state abrogate dal successivo dl n. 112/2008, convertito nella legge n. 133/2008 e tale abrogazione aveva determinato l'apertura di una procedura di infrazione a carico dell'Italia per la non puntuale attuazione dell'art. 7 della predetta direttiva n. 2002/91/Ce, il quale prevedeva che in fase di costruzione, compravendita o locazione di un edificio l'attestato di certificazione energetica dovesse essere messo a disposizione del proprietario o dell'acquirente o del locatario.
Da ultimo, l'art. 13 del dlgs n. 28/2011 ha aggiunto il comma 2-ter all'art. 6 del predetto dlgs n. 192/2005, stabilendo che nei contratti di compravendita e locazione di edifici e singole unità immobiliari debba essere inserita «apposita clausola con la quale l'acquirente o il conduttore danno atto di aver ricevuto le informazioni e la documentazione in ordine alla certificazione energetica degli edifici».
Il coordinamento tra la normativa statale e le normative regionali. Lo studio del notariato ricorda come alle regioni (in base all'art. 117, commi 3 e 5, della Costituzione) competa non solo stabilire quando e quale tipo di edifici debba essere dotato di certificazione energetica, determinare quali siano i requisiti di forma e di contenuto dell'Ace e quali siano i soggetti abilitati alla redazione del documento, ma anche dare attuazione alla direttiva n. 2002/91/Ce sul rendimento energetico nell'edilizia.
Tuttavia, in quelle regioni e/o province autonome che non abbiano ancora adottato specifiche disposizioni normative nelle materie di competenza trova integrale applicazione la disciplina statale dettata dal dlgs n. 192/2005 e dalle relative disposizioni statali di attuazione. Resta in ogni caso riservato alla competenza esclusiva dello stato il potere di dettare le regole di forma e contenuto dei contratti (ordinamento civile), nel cui ambito rientra la nuova disciplina contenuta nel comma 2-ter dell'art. 6 del dlgs n. 192/2005, che trova quindi applicazione uniforme sull'intero territorio nazionale.
Il notariato sottolinea però che l'obbligo di fornire informazioni e di consegnare la documentazione in ordine alla certificazione energetica, di cui al predetto comma 2-ter, può trovare applicazione solo quando le norme statali (cioè il dlgs n. 192/2005 e le relative disposizioni statali di attuazione per le sole regioni che non abbiano dato autonoma attuazione alla direttiva comunitaria) o regionali vigenti prevedano l'obbligo di dotare l'edificio di certificazione energetica: in tali caso nei relativi contratti deve essere inserita l'apposita clausola.
I contratti compresi nel comma 2-ter dell'art. 6 del dlgs n. 192/2005. Lo studio del notariato chiarisce che il comma 2-ter dell'art. 6 del dlgs n. 192/2005 trova applicazione non solo in caso di compravendita o locazione (o permuta) ma in tutte le ipotesi di trasferimento a titolo oneroso (quindi anche i decreti di trasferimento da parte dell'autorità giudiziaria a seguito di procedura esecutiva e i conferimenti societari), che è la tipologia cui sia la norma statale (6, comma 1-bis, del dlgs 192/2005) sia la maggior parte delle norme regionali fanno riferimento ai fini del sorgere dell'obbligo di dotazione della certificazione energetica (solo le normative del Piemonte e della Liguria fanno riferimento alla sola figura specifica della compravendita). In ogni caso il comma 2-ter dell'art. 6 non si applica a quelle specifiche ipotesi di compravendita che alcune normative regionali escludono dall'obbligo di dotazione della certificazione energetica.
Al contrario troverà applicazione quando una norma regionale assoggetti all'obbligo di dotazione una fattispecie che secondo la normativa statale è esclusa da tale obbligo. Infine il comma 2-ter dell'art. 6 non si applica ai contratti relativi a tipologie di edificio che per norma statale o regionale sono escluse dall'obbligo di dotazione (per es. box, cantine, autorimesse, depositi ecc.).
La violazione del comma 2-ter dell'art. 6 del dlgs n. 192/2005. Come precisato dal notariato, il mancato inserimento nel contratto della clausola in questione non rende l'atto irricevibile dal pubblico ufficiale rogante, né determina la nullità del rapporto contrattuale, ma sarà fonte di responsabilità a carico del venditore/locatore inadempiente (per il risarcimento del danno, la riduzione del prezzo o la risoluzione del contratto).
E questo perché il legislatore non ha previsto sanzione espressa in caso di violazione della norma in questione. Inoltre il comma 2-ter dell'art. 6, si legge nello studio, impone ai privati obblighi che riguardano uno specifico comportamento e che non entrano a far parte della struttura negoziale dell'atto.
L'inderogabilità del disposto normativo. Infine lo studio del notariato scaccia ogni dubbio sul carattere inderogabile dell'obbligo di inserimento nel contratto della clausola in questione, poiché se l'informazione e la consegna della certificazione sono avvenuti, non sussiste alcun motivo perché le parti non ne debbano dare atto nel contratto. In ogni caso dalla nuova disposizione normativa emerge chiaramente che al momento della stipulazione dell'atto l'acquirente e il locatario devono avere già ricevuto le informazioni e la documentazione in ordine alla certificazione energetica.
Del resto, come emerge dai principi generali della normativa comunitaria e statale e dalla funzione che la consegna della certificazione energetica mira ad assolvere, è di tutta evidenza che gli obblighi di informazione e consegna della certificazione non possano affatto essere derogati dalle parti, pena le conseguenze su piano della responsabilità contrattuale alle quali si accennava in precedenza.
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Compresi anche i contratti di locazione.
Gli obblighi di consegna e informazione in tema di certificazione energetica degli edifici si applicano ai contratti di locazione solo se il relativo edificio sia già dotato dell'attestato.
Prima della recente introduzione del nuovo comma 2-ter dell'art. 6 del dlgs n. 192/2005 si dubitava se l'obbligo dell'Ace valesse anche per le locazioni o andasse applicato solo in caso di compravendita.
La nuova normativa, in aderenza a quanto previsto dalla direttiva comunitaria del 2002, ha sciolto ogni dubbio, anche se ha parzialmente ristretto l'ambito applicativo della certificazione a quegli immobili che siano già dotati del relativo attestato.
La disposizione di legge, secondo lo studio del notariato, deve essere interpretata nel senso che l'obbligo di fornire informazioni e di consegna esiste non solo allorquando l'edificio sia già dotato di Ace, ma anche quando avrebbe dovuto esserne dotato. Diversamente, dovrebbe sostenersi che la violazione dell'obbligo di dotazione della certificazione in occasione di una compravendita o della costruzione di un nuovo edificio legittimerebbe renderebbe legittimo che il proprietario possa non consegnare la certificazione energetica al locatore. La limitazione dell'obbligo alle sole ipotesi di edifici già dotati di Ace sembra porsi comunque in contrasto con il contenuto della direttiva comunitaria del 2002.
Secondo la sintesi elaborata dallo studio del notariato, attualmente nei territori soggetti alla normativa statale il locatore sarebbe quindi tenuto a fornire informazioni e a consegnare all'inquilino la documentazione in ordine alla certificazione energetica nel caso in cui l'edificio debba essere dotato di Ace in quanto:
1) sia di nuova costruzione, intendendosi per tale l'edificio costruito o ristrutturato in forza di un permesso di costruire successivo al 09.10.2005;
2) sia stato oggetto di precedente atto di trasferimento a titolo oneroso;
3) abbia avuto accesso a incentivi e agevolazioni fiscali finalizzati al miglioramento delle prestazioni energetiche; 4) sia interessato da contratto, nuovo o rinnovato, relativo alla gestione dell'impianto termico o di climatizzazione, se di proprietà pubblica, ovvero anche se di proprietà privata, ma in tal caso solo qualora figuri come committente un soggetto pubblico.
Diversamente, per gli edifici siti nei territori delle regioni che hanno dato autonoma attuazione alla direttiva n. 2002/91/Ce, la preesistenza dell'obbligo di dotazione dell'Ace dovrà essere valutata con riferimento alle rispettive normative.
Pertanto, in presenza di norme regionali (si pensi all'Emilia Romagna, alla Lombardia, al Piemonte, alla Toscana, alla Liguria) che in maniera più rigorosa hanno stabilito che in occasione di ogni contratto di locazione l'immobile debba sempre essere dotato dell'attestato di certificazione energetica, la limitazione introdotta dalla normativa statale non potrà essere applicata (articolo ItaliaOggi Sette del 21.11.2011).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: Rifiuti, esonerate le terre da scavo. Nel regolamento in arrivo le condizioni per semplificare lo smaltimento.
È attualmente all’esame del Consiglio di Stato e poi andrà alla Corte dei conti il regolamento di attuazione dell’articolo 186 del Dlgs 152/2006 (codice ambientale).
Quello cioè che aveva sollevato le terre e rocce da scavo dalla pesante classificazione dei rifiuti accordandogli la qualifica di sottoprodotto.
Il regolamento, firmato dall’ex ministro Stefania Prestigiacomo pochi giorni prima di lasciare l’Ambiente, si incarica di spiegare alle imprese e alla pubblica amministrazione cosa si intende per sottoprodotto e a quali condizioni il materiale da scavo può essere trattato come tale.
Il testo introduce poi per la prima volta il piano di utilizzo, contenente le coordinate del materiale e la loro destinazione. Il piano deve essere inviato all’autorità competente entro 90 giorni dall’inizio dei lavori. Previste semplificazioni ... (Edilizia e Territorio n. 44/2011 - tratto da www.corteconti.it).

GIURISPRUDENZA

LAVORI PUBBLICIStraripa il canale e paga il comune. La sentenza sui danni al cantiere allagato.
Il risarcimento dei danni al cantiere allagato dal canale che straripa è a carico del comune.

È quanto emerge dalla sentenza 21.11.2011 n. 24406 depositata dalle Sezioni unite civili della Corte di cassazione.
Tale canale risulta infatti di proprietà dell'ente, che era l'unico soggetto titolato a intervenire. Impossibile dunque imputare all'azienda danneggiata un concorso di colpa per scarsa diligenza, laddove un intervento «manu militari» dell'impresa edile l'avrebbe esposta al rischio di un illecito di natura civile, per la violazione della proprietà pubblica, e di natura penale, in quanto foriero della realizzazione di un manufatto abusivo.
Il Collegio esteso, componendo il contrasto di giurisprudenza, ha precisato che l'obbligo giuridico di impedire l'evento può derivare anche da una specifica situazione che esige una determinata attività a tutela di un diritto altrui. E, in particolare, la colpa del creditore-danneggiato si configura nel caso di violazione, oltre che di un obbligo giuridico, di norme comportamentali di diligenza. Troppo rigida, spiegano le Sezioni unite, l'interpretazione di un certo indirizzo giurisprudenziale secondo cui il diritto al risarcimento risulta limitato oppure escluso quando il danneggiato nulla ha fatto per rimuovere subito una situazione pericolosa, per quanto creata dallo stesso danneggiante.
Insomma, non si configura il comportamento colposo per l'azienda edile che, nonostante le piogge minacciose, non poteva intervenire ad alzare l'argine del canale di proprietà del comune. Che paga le spese di giudizio alla controparte.
Dopo la lunga causa, la Cassazione ha dato torto al comune di Ancona che era stato citato in giudizio da una grande società che, mentre eseguiva lavori su un complesso immobiliare, li dovette sospendere a causa di un allagamento del cantiere perché era straripato un canale di scolo. A questo punto l'ente locale chiamò in causa il suo assicuratore ma il Tribunale dichiarò la nullità della chiamata.
Contestualmente accolse il ricorso della società sul fronte risarcimento. La decisione è stata confermata in appello e ora resa definitiva in Cassazione (articolo ItaliaOggi del 22.11.2011 - tratto da www.ecostampa.it).

APPALTI: Esclusione dalla gara, gravità del reato senza codice penale. La valutazione dipende dalle modalità di esecuzione del contratto.
Nelle gare d'appalto il Codice dei contratti pubblici è volto ad evitare che i questi possano essere affidati a coloro che abbiano commesso reati lesivi degli interessi collettivi che, nella veste di aggiudicatari, sarebbero chiamati a tutelare. L’art. 38 del D.Lgs. 133 del 2006 è volto ad evitare che i contratti pubblici possano essere affidati a coloro che abbiano commesso reati lesivi degli interessi collettivi che, nella veste di aggiudicatari, sarebbero chiamati a tutelare.
Il requisito della gravità dei reati commessi dal rappresentante legale dell’impresa concorrente deve essere, pertanto, apprezzato non tanto in termini penalistici (tenendo conto del massimo o del minimo edittale o della pena in concreto irrogata) ma alla stregua del contenuto del contratto oggetto della gara.
Muovendo da tali premesse la giurisprudenza amministrativa ha più volte affermato che, nelle gare volte alla aggiudicazione di appalti di lavori, il requisito della gravità può essere riconosciuto tutte le volte in cui la fattispecie delittuosa sia consistita nella lesione della salute dei dipendenti da parte dell’impresa edile che non abbia apprestato tutti i mezzi e gli strumenti imposti dalla normativa volta a prevenire gli infortuni suoi luoghi di lavoro.
E ciò tenuto anche conto del fatto che è lo stesso legislatore a considerare la commissione di gravi infrazioni debitamente accertate alle norme in materia di sicurezza e a ogni altro obbligo derivante dai rapporti di lavoro come causa ostativa alla partecipazione alle gare pubbliche.
Nel caso di specie, peraltro, alla condanna per lesioni colpose si aggiungeva anche quella per evasione fiscale che, ancorché di per sé non decisiva ai fini dell’esclusione, valeva comunque ad appannare ulteriormente l’immagine morale e commerciale dell’impresa.
Privo di pregio è anche il rilievo secondo cui la stazione appaltante non avrebbe tenuto in considerazione il lungo tempo trascorso fra la commissione dei reati e la presentazione della domanda di partecipazione alla gara.
Invero, il lasso temporale che, eventualmente, deve essere valutato ai fini del giudizio sulla moralità dell’impresa partecipante alla gara è quello intercorso dalla condanna, che, nel caso di specie, non appare particolarmente lungo visto che entrambe le condanne prese in esame dalla Commissione di gara sono state pronunciate nel 2008.
Nessun rilievo, ai fini della decisione del presente ricorso, può, inoltre, avere il fatto che la società abbia partecipato e vinto altre gare di appalto successivamente alle condanne sopra menzionate.
Infatti, la valutazione in ordine alla moralità professionale ha natura discrezionale e comporta apprezzamenti legati all’oggetto di ciascun appalto che possono variare da caso a caso.
Senza contare, poi, che i giudizi espressi in proposito da altre stazioni appaltanti non potevano certo ritenersi condizionanti o decisivi nel caso di specie (commento tratto da www.ipsoa.it -
TAR Lombardia-Milano, Sez. III, sentenza 10.11.2011 n. 2715 - link a www.giustizia-amministrativa.it

EDILIZIA PRIVATA: Pertinenze.
Le caratteristiche peculiari della pertinenza urbanistica possono essere così sintetizzate: deve trattarsi di un'opera che abbia comunque una propria individualità fisica ed una propria conformazione strutturale e non sia parte integrante o costitutiva di altro fabbricato; deve essere preordinata ad un'oggettiva esigenza dell'edificio principale, funzionalmente ed oggettivamente inserita al servizio dello stesso; deve essere sfornita di un autonomo valore di mercato; non deve essere valutabile in termini di cubatura o comunque dotata di un volume minimo (non superiore, in ogni caso, al 20% di quello dell'edificio principale) tale da non consentire, in relazione anche alle caratteristiche dell'edificio principale, una sua destinazione autonoma e diversa da quella a servizio dell'immobile cui accede; la relazione con la costruzione preesistente deve essere, in ogni caso, non di integrazione ma "di servizio", allo scopo di renderne più agevole e funzionale l'uso (carattere di strumentalità funzionale) (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 04.11.2011 n. 40031 - link a www.lexambiente.it).

AMBIENTE-ECOLOGIAAlzare l'inquinamento è danno ambientale.
È responsabile di «danno ambientale», con lo scattare dei conseguenti obblighi di bonifica del sito o risarcimento per equivalente patrimoniale, anche il gestore della discarica che accetta in deposito rifiuti con potenziale inquinante maggiore di quello che è autorizzato a ricevere.
E ciò in base al fatto che per configurare, dal punto di vista oggettivo, un danno ambientale è sufficiente anche il solo incremento illegittimo del livello di inquinamento già insistente su un terreno.

A pronunciarsi sulla portata dell'istituto previsto dal dlgs 152/2006 (cd. «Codice ambientale») è la Corte di cassazione, che con sentenza 12.10.2011 n. 36818 ha confermato la responsabilità riconosciuta dal giudice di appello in appello in capo al gestore di una discarica per inerti non pericolosi che aveva accettato, ai fini dello smaltimento, rifiuti speciali (invece) pericolosi.
Il «danno ambientale». Con la pronuncia in parola, la Suprema Corte ha effettuato una ricognizione della definizione di danno ambientale recata dall'articolo 300 del dlgs 152/2006 quale «deterioramento, in confronto alle condizioni originarie, provocato (_) al terreno, mediante qualsiasi contaminazione che crei un rischio significativo di effetti nocivi, anche indiretti, sulla salute umana a seguito dell'introduzione nel suolo, sul suolo o nel sottosuolo di sostanze, preparati, organismi o microrganismi nocivi per l'ambiente». E, per la Cassazione, la presenza in discarica di rifiuti maggiormente inquinanti rispetto a quelli che il medesimo sito è, in base alle proprie caratteristiche costruttive (e alla speculare autorizzazione rilasciata al gestore), in grado di recepire sicuramente costituisce deterioramento rispetto alle condizioni originarie del terreno.
La disciplina del danno ambientale, attualmente disciplinata dalla Parte Sesta del dlgs 152/2006 (insieme ad alcune residue disposizioni della storica legge 349/1986), prevede il sorgere della responsabilità in capo all'autore dello stesso sussistendo, oltre al degrado dell'ecosistema, gli ulteriori requisiti del nesso causale tra condotta ed evento e l'elemento psicologico consistente nell'aver agito «realizzando un fatto illecito, o omettendo attività o comportamenti doverosi, con violazione di legge, di regolamento, o di provvedimento amministrativo, con negligenza, imperizia, imprudenza o violazione di norme tecniche». Il tutto facendo sorgere l'obbligo al ripristino ambientale oppure, ove impossibile o eccessivamente oneroso, al risarcimento patrimoniale per equivalente a favore della pubblica amministrazione.
Il controllo dei rifiuti in discarica. Con la medesima sentenza la Corte si è altresì soffermata sugli obblighi gravanti sul gestore della discarica in relazione al controllo in entrata dei rifiuti, sottolineando come la «verifica» della corrispondenza tra i beni a fine vita effettivamente conferiti e la tipologia risultante dal formulario di trasporto degli stessi (obbligo all'epoca dei fatti previsto dal dm Ambiente 11.03.1998 n. 141, attualmente dal dlgs 13.01.2003, n. 36) non possa ritenersi soddisfatta mediante il semplice controllo visivo del carico in entrata, ma necessiti dell'adozione di tutti i mezzi idonei a provare realmente tale conformità.
Ciò, assume la Corte, sulla base che principio generale informatore della disciplina sulla gestione dei rifiuti sia la protezione dell'ambiente e dell'uomo, principio la cui attuazione impone quindi una interpretazione non restrittiva delle disposizioni a carico dei soggetti gestori delle discariche (articolo ItaliaOggi Sette del 21.11.2011).

ATTI AMMINISTRATIVI - AMBIENTE-ECOLOGIABonifica siti contaminati - Ordinanze contingibili e urgenti - Comunicazione di avvio del procedimento - Non è dovuta.
L'istituto della comunicazione di avvio del procedimento ex art. 7 della L. n. 241/1990 non risulta applicabile alla categoria delle ordinanze contingibili ed urgenti (Nella fattispecie, il provvedimento oggetto di impugnativa era costituito da un'ordinanza con la quale era stata disposta, in via d'urgenza, la bonifica ed il recupero ambientale dell'area interessata allo smaltimento e scarico rifiuti e il risanamento della falda acquifera sottostante) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 25.05.2011 n. 1315 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZIContratti della p.a. - Appalto di servizi - Utilizzabilità da parte dell'aggiudicatario di personale costituito in via esclusiva da prestatori d'opera professionale - Limitazioni.
Deve escludersi la possibilità che l'affidatario di un appalto pubblico di servizi si avvalga, in via pressoché esclusiva, di personale rappresentato da prestatori d'opera professionale, laddove si tratti di eseguire prestazioni continuative, predeterminate e ripetitive: attività che, nella sostanza, rappresentano un aspetto dell'inserimento del lavoratore nell'organizzazione aziendale, destinataria delle sue energie lavorative (Cfr., TAR Lazio Roma, sez. III, 01.07.2010, n. 22058) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 25.05.2011 n. 1314 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVIMotivazione - Pluralità di motivi - Eventuale infondatezza di uno dei motivi - Inidoneità a condurre all'annullamento del provvedimento plurimotivato - Condizioni.
Laddove una determinazione amministrativa tragga forza da una pluralità di ragioni, ciascuna delle quali sia, di per sé, idonea a supportarla in modo autonomo, è sufficiente che anche una sola di esse passi indenne alle censure mosse in sede giurisdizionale, perché il provvedimento nel suo complesso resti esente dall'annullamento. (Cfr., TAR Puglia Bari, sez. III, 10.02.2011, n. 240; TAR Campania Napoli, sez. III, 13.07.2010, n. 16686) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 25.05.2011 n. 1313 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI:  1. Contratti della p.a. - Appalto - "Taglio delle ali" - Art. 86, comma 1, D.lgs. 163/2006 - Individuazione della soglia di anomalia - Esclusione automatica delle offerte oltre soglia - Inammissibilità - Vaglio di congruità ai fini dell'aggiudicazione - Necessità.
2. Contratti della p.a. - Bando di gara - Clausola comminante l'esclusione in ragione della mancata presentazione delle giustificazione preventive dell'anomalia dell'offerta - Illegittimità - Ragioni.

1. Salva diversa previsione contenuta nel bando di gara, il c.d. "taglio delle ali", previsto dall'art. 86, comma 1, D.lgs. 12.04.2006, n. 163 ha la finalità, unitamente ad altri elementi, di individuare esclusivamente la soglia di anomalia delle offerte e non di escludere automaticamente dalla gara le imprese che abbiano presentato offerte ricadenti nel c.d. "taglio"; ne consegue che le offerte che si situano oltre la fissata soglia di anomalia devono essere assoggettate al vaglio di congruità ai fini dell'aggiudicazione (Cfr., TAR Lazio Latina, sez. I, 10.11.2010, n. 1872; TAR Puglia Lecce, sez. III, 10.06.2009, n. 1460).
2. Deve ritenersi illegittima, in quanto vessatoria, la clausola di un bando di gara che imponga a pena di esclusione la presentazione in via preventiva delle giustificazioni dell'eventuale anomalia dell'offerta presentata, in quanto tali giustificazioni, ove non ritenute sufficienti ad escludere l'incongruità dell'offerta, debbono necessariamente essere integrate su richiesta della stazione appaltante.
In altri termini, le giustificazioni preventive non possono assurgere a requisito di partecipazione alla gara a pena di esclusione (Cfr., TAR Abruzzo Pescara, sez. I, 11.05.2009, n. 332) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 25.05.2011 n. 1312 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVIAtto amministrativo - Atti presupposti - Vizi - Invalidità ad effetto caducante ed invalidità ad effetto viziante - Differenze - Presupposti e condizioni.
Nell'ambito del fenomeno dell'invalidità derivata deve tracciarsi una distinzione tra la figura della c.d. invalidità ad "effetto caducante" e quella ad "effetto viziante": la prima può essere ravvisata solo quando tra due provvedimenti sussista uno stretto rapporto di presupposizione (intesa come consequenzialità immediata, diretta e necessaria), nel senso che l'atto successivo si ponga come inevitabile conseguenza di quello precedente, perché non vi sono nuove ed ulteriori valutazioni di interessi, né del destinatario dell'atto presupposto, né di altri soggetti; la seconda ricorre quando l'atto successivo, pur facendo parte della stessa sequenza procedimentale in cui si colloca l'atto precedente, non ne costituisca conseguenza inevitabile, perché la sua adozione implichi nuove e ulteriori valutazioni di interessi, sicché l'impugnazione dell'atto presupponente non fa venire meno la necessità di impugnare quello successivo, a pena di improcedibilità del primo ricorso (Cfr., TAR Campania Napoli, sez. VII, 25.03.2008, n. 1526) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 25.05.2011 n. 1308 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICAAtto amministrativo - Piano regolatore generale - Ius variandi - Obbligo di motivazione - Sussistenza - Soltanto in caso di incidenza su aspettative qualificate dei privati - Casistica.
L'obbligo di motivazione in sede di adozione del piano regolatore sussiste, al fine del legittimo uso del ius variandi da parte della p.a., quando le nuove scelte urbanistiche incidano su aspettative qualificate del privato quali, ad esempio, quelle derivanti dalla stipulazione di una convenzione di lottizzazione, da una sentenza dichiarativa dell'obbligo di disporre la convenzione urbanistica, da un giudicato di annullamento di un diniego di concessione edilizia o dalla decadenza di un vincolo preordinato all'espropriazione; viceversa, l'affidamento relativo alla non reformatio in peius di previsioni urbanistiche non comporta la necessità di una motivazione specifica rispetto a quella che può agevolmente evincersi dai criteri di ordine tecnico-urbanistico seguiti per la redazione dello strumento urbanistico generale (Cfr., Cons. Stato, sez. IV 26.05.2003, n. 2827) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 25.05.2011 n. 1307 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZI: Contratti della p.a - Procedura di affidamento del servizio di prelievo, trasporto, trattamento e/o smaltimento dei rifiuti - Non costituisce servizio pubblico locale - Conseguenze - Art. 23-bis D.L. 112/2008 - Inapplicabilità.
Il servizio di prelievo, trasporto, trattamento e/o smaltimento dei rifiuti prodotti dall'impianto di depurazione delle acque reflue, non è qualificabile quale servizio pubblico locale, e conseguentemente, non è soggetto alla disciplina dettata dall'art. 23-bis, del D.L. n. 112/2008 costituendo, invece, attività rimessa alle libere dinamiche di mercato.
L'ambito di operatività del citato art. 23-bis riguarda, infatti, l'affidamento e la gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, nell'intento di garantire, da una parte, la più ampia diffusione dei principi di concorrenza e, dall'altra, un'adeguata tutela degli utenti, sicché non trova applicazione laddove il servizio dedotto in contratto non sia qualificabile come servizio pubblico locale (Fattispecie relativa ad una procedura aperta per l'affidamento del servizio di prelievo, trasporto e smaltimento finale con recupero in agricoltura dei fanghi derivanti dal trattamento di acque reflue urbane) (Cfr., Cons. Stato, sez. V, 01.04.2011, n. 6033 che riforma TAR Lombardia Milano, 16.06.2010, n. 1845) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 25.05.2011 n. 1306 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI1. Risarcimento del danno da ritardo - Ammissibile - Condizioni - Sussistenza elemento soggettivo (dolo o colpa della p.a.) e prova dell'effettivo danno patito dal privato.
2. Risarcimento del danno - Onere della prova dell'ammontare - Ineludibile - Necessaria allegazioni di puntuali circostanze di fatto ai fini della valutazione equitativa del danno ex art. 1226 c.c.

1. Ai sensi dell'art. 2-bis, comma 1, della legge n. 241/1990, introdotto dalla legge n. 69/2009, che ha confermato la tutela del privato nei confronti dei ritardi delle pubbliche amministrazioni, deve ritenersi risarcibile il c.d. danno da ritardo dell'azione amministrativa a condizione che sia fornita la prova dell'elemento soggettivo (in termini di dolo o colpa) e di un danno effettivo e apprezzabile (cfr. Cons. Stato Sez. V 28.02.2011, n. 1271) (Nella fattispecie il Collegio ha ravvisato l'esistenza dell'elemento soggettivo a titolo di colpa nel comportamento dell'amministrazione comunale che ha operato il trasferimento di due aree oggetto di una gara a tre anni di distanza dall'aggiudicazione della stessa in quanto la gara era stata indetta senza la previa verifica della sussistenza dell'effettiva proprietà delle aree).
2. Ai fini dell'assolvimento dell'onere della prova dell'ammontare del danno, se anche può ammettersi il ricorso alle presunzioni semplici ex art. 2729 c.c., è comunque ineludibile l'onere di allegare puntuali circostanze di fatto in difetto delle quali non può darsi ingresso alla valutazione equitativa del danno ex art. 1226 c.c. (cfr. Cass. Sez. III 12.12.2008, n. 29202) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 02.05.2011 n. 1111 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI1. Bando di gara - Clausole ambigue - Deve essere privilegiata l'interpretazione di buona fede che assicuri la massima partecipazione alla gara.
2. Risarcimento del danno - Criteri di riconoscimento e quantificazione.
3. Danno curriculare - Risarcibile in quanto ha valenza autonoma.

1. Secondo giurisprudenza ormai consolidata, nell'ipotesi di clausole ambigue del bando di gara deve essere accolta l'interpretazione che tuteli la buona fede dei partecipanti, sì da soddisfare il concorrente interesse pubblico al più ampio confronto tra le offerte (cfr., ex multis, Cons. Stato Sez. V 08.03.2006, n. 1224).
2. In sede di risarcimento dei danni derivanti dalla mancata illegittima aggiudicazione di una gara di appalto, il mancato utile nella misura integrale, pari al 10% del prezzo offerto, spetta nel caso di annullamento dell'aggiudicazione e di certezza dell'aggiudicazione in favore del ricorrente, solo se il ricorrente dimostri di non aver potuto altrimenti utilizzare maestranze e mezzi, tenuti a disposizione in vista dell'aggiudicazione.
In difetto di tale dimostrazione, è da ritenere che l'impresa possa aver ragionevolmente riutilizzato mezzi e manodopera per altri lavori o servizi e, pertanto, in tale ipotesi deve operarsi una decurtazione del risarcimento. Di qui la ragionevolezza della detrazione, affermata dalla giurisprudenza, dal risarcimento del mancato utile, nella misura del 50%, rispetto al 10% del prezzo offerto (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 21.09.2010 n. 7004 e Cons. Stato Sez. V 24.02.2011 n. 1193).
3. In materia di risarcimento del danno patito a seguito di illegittima aggiudicazione a terzi di un appalto pubblico, il danno da mancate referenze assume una valenza autonoma ed ulteriore rispetto al danno da mancato utile e da mancato assorbimento delle spese generali e la liquidazione di tale danno soggiace al generale criterio equitativo di cui all'art. 1226, c.c. (cfr. TAR Veneto Sez. I 20.03.2007 n. 798) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 02.05.2011 n. 1110 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AGGIORNAMENTO AL 21.11.2011

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SINDACATI

PUBBLICO IMPIEGO: L'ultimo regalo di Brunetta: mobilità e collocamento in disponibilità dei dipendenti pubblici (CGIL-FP di Bergamo, nota 17.11.2011).

GURI - GUUE - BURL (e anteprima)

VARI: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 46 del 18.11.2011, "Disposizioni per l’utilizzo del marchio dei parchi e delle riserve da parte delle aziende agricole presenti nelle aree protette lombarde" (decreto D.S. 11.11.2011 n. 10531).

ENTI LOCALI: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 46 del 18.11.2011, "Iniziative per la diffusione della semplificazione nel sistema pubblico lombardo" (deliberazione G.R. 16.11.2011 n. 2499).

EDILIZIA PRIVATA: G.U. 16.11.2011 n. 267 "Misure per l’attuazione dello sportello unico per le attività produttive di cui all’articolo 38, comma 3-bis del decreto-legge 25.06.2008, n. 112, convertito con modificazioni, dalla legge 06.08.2008, n. 133" (D.M. 10.11.2011).

AUTORITA' VIGILANZA CONTRATTI PUBBLICI

APPALTI: Tracciabilità - On-line le nuove FAQ sulla Tracciabilità dei flussi finanziari.
Sono state elaborate dall’Avcp le nuove risposte alle domande frequenti sulla tracciabilità dei flussi finanziari che sostituiscono completamente quelle precedenti. Le nuove Faq sono state realizzate anche in base alle Linee guida pubblicate in materia con la Determinazione n. 4 del 7 luglio scorso.
Le FAQ sono state suddivise in cinque sezioni. Oltre a delineare il quadro normativo e fornire informazioni di carattere generale, le nuove Faq esaminano sia le casistiche contrattuali che rientrano nella tracciabilità, sia le particolari fattispecie che esulano dalla normativa, nonché gli aspetti sulla disciplina del periodo transitorio (18.11.2011 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

QUESITI & PARERI

PUBBLICO IMPIEGO: Protezione dei dati personali. Installazione di un firewall su rete aziendale: come viene tutelata la privacy dei lavoratori?
Domanda.
Se il sistema informatico aziendale comprende l'installazione di un firewall che controlla il traffico di rete, come ci si deve comportare rispetto alla privacy degli impiegati che utilizzano i computer dell'azienda?
Risposta.
La recente diffusione delle nuove tecnologie ha contribuito a un assottigliamento della barriera della privacy, basti pensare, ad esempio, alla tracciabilità dei cellulari o alla relativa facilità di reperire gli indirizzi di posta elettronica delle persone. Anche il firewall può rivelarsi uno strumento "pericoloso" per la privacy.
In termini generali, un firewall di rete è un sistema o un gruppo di sistemi che impone una politica di controllo dell'accesso tra due reti. Generalmente le due reti sono Internet e la propria rete LAN e, a volte, con l'installazione di un firewall si è più interessati a regolamentare l'accessibilità delle proprie risorse da Internet, mentre altre volte si vuole regolamentare l'accesso a Internet da parte degli utenti locali.
Le funzionalità di un firewall sono diverse:
a) la "packet inspection" permette di analizzare il contenuto di ogni pacchetto che passa attraverso esso e può bloccare il traffico indesiderato o gli attacchi di hacker informatici;
b) il "content filtering" consente di filtrare il traffico di rete in base al tipo di protocollo, all'indirizzo e alla porta sorgente e all'indirizzo e alla porta di destinazione, ma può anche filtrare il traffico Web degli utenti interni (cioè il traffico dalla rete LAN verso Internet) in base al contenuto dei siti Web o in base ad altre policy;
c) può essere usato come gateway verso Internet e, in questo caso, il firewall viene visto dalla rete locale come un router (anche se generalmente sarà un altro router a realizzare la connessione fisica verso Internet) e lo strumento può gestire una rete sicura riservata ai propri server Internet e isolare la rete locale.
Ora, è evidente che la funzione di "content filtering" può servire anche ad evitare un uso improprio di Internet con conseguente perdita di tempo e di produttività dei dipendenti, ma questo può contrastare con il loro diritto alla privacy, diritto che il D.Lgs. 196/2003 tutela anche nell'ambito del rapporto di lavoro.
Perciò l'azienda deve informare tutti i dipendenti della presenza del firewall precisando le sue funzionalità (ad esempio la possibilità di creare log sul traffico e/o di filtrare lo stesso) e deve comunque fare in modo che l'accesso allo strumento sia consentito solo per attività di manutenzione. In nessun caso e per nessun motivo deve essere resa possibile l'analisi sistematica del traffico degli utenti, soprattutto con l'individuazione puntuale degli stessi.
Per l'eventuale controllo sull'utilizzo di Internet da parte dei dipendenti devono comunque essere sempre rispettate le regole e le garanzie stabilite dal Garante nel provvedimento generale dell'01.03.2007 (17.11.2011 - tratto da www.ipsoa.it).

UTILITA'

EDILIZIA PRIVATALavori in copertura e valutazione del rischio di caduta dall’alto. La documentazione di INAIL ex-Ispesl.
I lavori in copertura sono particolarmente delicati, in quanto espongono i lavoratori a rischi elevati per la loro salute e sicurezza. Certamente il rischio più grave, da non sottovalutare, è quello di caduta dall’alto, che deve essere valutato in maniera molto attenta da chi redige i piani di sicurezza.
L’INAIL ex-Ispesl ha pubblicato gli atti del convegno tenutosi ad ottobre 2011 a Bologna
La documentazione tratta diversi aspetti legati alle operazioni in copertura, in particolare:
Classificazione delle coperture;
Valutazione del rischio per i lavori su coperture;
Aspetti relativi ai materiali costituenti le strutture di copertura;
Ispezione e mantenimento in efficienza dei sistemi di ancoraggio su coperture;
Requisiti dei sistemi di ancoraggio su coperture.
Gli argomenti trattati costituiscono un utile supporto ai progettisti, ai coordinatori e alle imprese impegnati nella progettazione e nella esecuzione di interventi di manutenzione delle coperture (17.11.2011 - link a www.acca.it).

EDILIZIA PRIVATA - VARIIVA e imposte su vendita, locazione e ristrutturazione dei fabbricati. Ecco la tabella riepilogativa.
Le imposte sulla vendita, locazione e manutenzione dei fabbricati variano in funzione della tipologia di immobile, di chi cede l’immobile e di chi lo acquista.
Ad esempio, la cessione di un immobile non di lusso, destinato a prima casa dell’acquirente, sarà soggetta ad IVA pari al 4% e imposta di Registro pari a 168 euro, se il venditore è un’impresa costruttrice che ha terminato i lavori nei 5 anni antecedenti la vendita. Se i lavori sono terminati da oltre 5 anni o il venditore non è l’impresa costruttrice, l’IVA è esente e l’imposta di registro è pari al 3% dell’importo di vendita.
Questo è solo uno dei tanti casi che potrebbero presentarsi per la cessione o locazione di un immobile.
L’ANCE ha pubblicato una utile Tavola Sinottica contenente il regime di imposte relativo alla vendita, locazione, manutenzione e ristrutturazione di abitazioni e immobili strumentali.
In particolare vengono definiti:
Þ IVA
Þ Registro
Þ Ipotecaria
Þ Catastale
in funzione della tipologia di immobile, di chi cede l’immobile, di chi acquista e delle condizioni al contorno.
E’ presente anche una tabella che riporta l’IVA per le diverse operazioni di manutenzione e ristrutturazione edilizia (17.11.2011 - link a www.acca.it).

EDILIZIA PRIVATAQuali sono le agevolazioni fiscali per ristrutturazioni edilizie e nuove costruzioni? Arriva la guida aggiornata dell’Agenzia delle Entrate.
Nelle opere di riqualificazione edilizia è possibile usufruire di una serie di agevolazioni, quali:
● IVA agevolata al 10% per interventi di recupero degli immobili;
● detrazione IRPEF del 19% sugli interessi passivi pagati per mutui stipulati per la costruzione e la ristrutturazione dell’abitazione principale;
● IVA agevolata al 4% sui beni finiti acquistati per la costruzione di abitazioni non di lusso.
Ma chi può fruire di queste detrazioni? A quali tipologie di lavori spettano queste agevolazioni? Cosa occorre fare per ottenere queste detrazioni?
A tutte queste domande vengono fornite risposte chiare e precise dall’Agenzia delle Entrate, con la nuova versione, aggiornata a novembre 2011, della guida “Ristrutturazioni Edilizie: le agevolazioni fiscali”.
Il documento contiene in dettaglio le istruzioni operative per utilizzare al meglio le principali agevolazioni fiscali ed è corredato da una serie di esempi pratici (17.11.2011 - link a www.acca.it).

CORTE DEI CONTI

ENTI LOCALIPARTECIPATE/  Dismissioni lente. Due le finestre: a fine 2012 e 2013. Parere della Corte conti Lombardia.
Più tempo per le dismissioni societarie dei comuni medio-grandi. Gli enti con popolazione compresa tra 30 mila e 50 mila abitanti non dovranno affrettarsi entro fine 2011 a ridurre a una sola le partecipazioni societarie detenute, ma potranno farlo con calma entro il 31.12.2013. Per i comuni sotto i 30 mila abitanti le dismissioni dovranno essere portate a termine entro il 31.12.2012 a meno che le partecipate abbiano avuto il bilancio in utile negli ultimi tre esercizi, non abbiano subìto riduzioni di capitale sociale e perdite da ripianare.
L'importante chiarimento arriva dalla Corte conti Lombardia che nel parere 15.11.2011 n. 602 ha preso in esame la scansione temporale contenuta nell'art. 14, comma 32 del dl 78/2010 e rimaneggiata più volte dal legislatore tanto da indurre gli enti in più di un equivoco.
Lo stesso in cui stava per cadere il comune di Seregno (Mb) che con 43 mila abitanti e tre partecipazioni societarie, temeva di doverne dismettere due entro il 31.12.2011.
Questa almeno sembrava essere la dead line risultante dall'applicazione delle norme, modificate prima dal decreto milleproroghe di fine 2010 (dl n. 225 convertito nella legge n. 10/2011) e poi da ultimo dalla manovra di Ferragosto (dl 138/2011).
Si trattava però di una lettura «eccessivamente restrittiva e non coerente» (come ha commentato l'Anci in una nota in cui ha espresso apprezzamento per il chiarimento) perché avrebbe stabilito per i comuni più grandi una scadenza anticipata rispetto agli obblighi dei comuni sotto i 30 mila abitanti. I giudici contabili lombardi hanno ricordato come il dl 225/2010 abbia prima fatto slittare dal 31/12/2011 al 31/12/2013 il termine per tutti i comuni (sia quelli inferiori a 30 mila abitanti sia quelli compresi tra 30 mila e 50 mila abitanti). Ma poi è intervenuto il dl 138/2011 che ha anticipato di un anno (31.12.2012) la dead line solo per i comuni inferiori a 30 mila abitanti.
La diversa scansione temporale, secondo la Corte conti, ha una giustificazione: «Una diversa esigenza di snellimento degli apparati, coerente con l'impianto generale dell'art. 14, comma 32, del dl 78».
Infatti entro la fine del 2012 i comuni sotto i 30 mila abitanti dovranno mettere in liquidazione le società già costituite (oppure cederne le partecipazioni) a meno che non ricorrano le tre condizioni sopra menzionate (bilanci in utile negli ultimi tre esercizi, nessuna riduzione di capitale conseguente a perdite di bilancio, nessuna perdita che abbia costretto il comune a un'operazione di salvataggio).
Tale disciplina non si applica alle società (con partecipazione paritaria ovvero proporzionale al numero degli abitanti) costituite da comuni di popolazione complessiva superiore a 30 mila abitanti.
Entro il 31.12.2013, invece, i comuni tra 30 mila e 50 mila abitanti potranno mantenere la partecipazione in una sola società e dovranno mettere in liquidazione tutte le altre (articolo ItaliaOggi del 19.11.2011 - tratto da www.ecostampa.it).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGOIncremento del fondo per recupero evasione TARSU.
La Corte dei Conti Sez. Reg.le Lombardia, con il parere 10.11.2011 n. 577, al quesito se la potestà regolamentare dei Comuni consenta una integrazione del fondo per la produttività, ai sensi dell'art. 15, comma 1, lettera k), CCNL 01.04.1999, con risorse derivanti dal recupero dell'evasione TARSU e di altre entrate dell'ente (o se, invece, la possibilità sia limitata alla sola ipotesi dell' ICI), evidenzia:
- "Diversamente (rispetto all'ICI), per la TARSU e per le entrate non sussistono specifiche disposizioni di legge che consentono all'ente locale di destinare nel fondo risorse c.d. incentivanti";
- "...nell'attuale sistema normativo, il tetto di spesa cui fa riferimento il citato art. 9, comma 2-bis, preclude all'ente locale di valutare a priori la possibilità o meno di stabilire se destinare al trattamento accessorio del personale risorse derivanti dal recupero della Tarsu o di altre entrate" (tratto da www.publika.it).

ENTI LOCALIPiccoli Comuni: gestioni associate ex art. 16 D.L. 138/2011.
La Corte dei Conti Sez. Reg.le Lombardia, con il parere 08.11.2011 n. 571 risponde a due quesiti del Comune di Semiana e così conclude:
- "...dalla richiamata normativa si desume che nessun limite di soglia demografica minima sussiste per i Comuni con popolazione fino a 1.000 abitanti, che optino per l'esercizio di tutte le funzioni amministrative ed i servizi pubblici in convenzione entro il 30.09.2012.
Al contrario, un limite si pone per i Comuni di entità demografica superiore ma contenuta entro i 5.000 abitanti, costituito dalla soglia minima di 10.000 abitanti (salva diversa previsione regionale) per le convenzioni finalizzate all'esercizio delle funzioni fondamentali
." (tratto da www.publika.it).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Emolumenti incentivanti la produttività previsti da legge regionale.
La Corte dei Conti Sezioni Riunite di Controllo, con deliberazione 02.11.2011 n. 56, si pronuncia su questione di massima deferita dalla Sezione Regionale Marche. Queste le conclusioni:
- "Ai fini del rispetto dell'art. 9, comma 1, del decreto legge 31.05.2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30.07.2010, n. 122, la parte variabile del trattamento accessorio è esclusa dall'aggregato di riferimento. Pertanto, gli emolumenti indicati dall'art. 15 LR 22/2009, che prevede la maggiorazione dei diritti di segreteria e la destinazione di queste ulteriori risorse a progetti di produttività, non vanno computati nella quantificazione del 'trattamento economico ordinariamente spettante', quale parametro del limite ai trattamenti retributivi individuali, afferendo gli stessi alle voci retributive dell'accessorio e privi del carattere fisso e continuativo";
- "Le componenti variabili del trattamento accessorio, escluse dai limiti del comma 1 per il loro carattere non fisso e continuativo, hanno il loro vincolo di incremento nella disciplina del comma 2-bis del medesimo articolo, che va ad incidere sui fondi unici di amministrazione.
La fattispecie di cui alla presente delibera non appare riconducibile alle ipotesi in deroga, indicate nella richiamata delibera delle Sezioni riunite n. 51/CONTR/1, ed essendo potenzialmente destinabili alla generalità dei dipendenti dell'ente attraverso lo svolgimento della contrattazione integrativa, rientra quindi nell'aggregato da considerare ai fini del rispetto nel limite imposto dal legislatore nel triennio 2011/2013
" (tratto da www.publika.it).

NEWS

EDILIZIA PRIVATASuap operativi e informatizzati. Predisposti appositi collegamenti per gli sportelli unici. In G.U. il decreto dei ministeri dello sviluppo economico e della semplificazione amministrativa.
Facilitazioni per la presentazione dell'istanza o della Scia; pubblicazione sui siti internet degli enti e nei portali degli Suap, tramite appositi collegamenti informatici, dell'elenco dei pagamenti da effettuarsi per ciascun procedimento autorizzatorio, le causali, le modalità di calcolo degli importi e gli estremi dei propri conti correnti bancari e postali.
Sono alcune delle novità contenute nel decreto 10.11.2011 «Misure per l'attuazione dello Sportello unico per le attività produttive di cui all'articolo 38, comma 3-bis del decreto-legge 25.06.2008, n. 112, convertito con modificazioni, dalla legge 06.08.2008, n. 133» pubblicato in G.U. del 16 novembre scorso e che in parte erano state anticipate dalla circolare interministeriale del 28 settembre a firma dei responsabili degli uffici legislativo rispettivamente del ministero dello sviluppo economico e del ministero della semplificazione normativa.
Il decreto ha come obiettivo quello di rendere operativi gli Sportelli unici per le attività produttive, in attesa della completa informatizzazione degli uffici coinvolti nei relativi procedimenti.
Cosa non è funzionato. Il dpr 160/2010 prevedeva due distinti step che sono stati già superati. Il primo è scaduto lo scorso 29.03.2011 e rendeva obbligatorio l'invio della Scia esclusivamente con modalità telematica, ovvero via web se il comune competente si era organizzato in tal senso o, in alternativa, mediante pec, la posta elettronica certificata.
Lo step successivo era previsto a fine settembre e avrebbe imposto l'uso esclusivo della telematica anche per i procedimenti soggetti a domanda. Peraltro, entro tale data, Anci e Unioncamere avrebbero dovuto predisporre, regione per regione, una modulistica univoca. L'ambizioso progetto non è riuscito a rispettare la tempistica programmata ed ecco che, con il decreto pubblicato mercoledì scorso, sono state stabilite le norme transitorie.
La soluzione proposta. Innanzitutto è stato previsto che, in mancanza della modulistica predisposta dallo Sportello unico per le attività produttive, si utilizzino gli strumenti messi a disposizione dal portale www.impresainungiorno.gov.it per il territorio di competenza regionale, previa validazione adottata con provvedimento del ministero dello sviluppo economico e sentite le amministrazioni statali e regionali per i procedimenti di rispettiva competenza.
Pagamenti e agevolazioni. Per quanto riguarda i pagamenti dei diritti relativi ai procedimenti, nell'ipotesi in cui il Suap non disponga dell'autorizzazione che consente il pagamento dell'imposta di bollo in modo virtuale, il soggetto interessato potrà provvedere ad inserire nella domanda i numeri identificativi delle marche da bollo utilizzate, nonché ad annullare le stesse, conservandone gli originali.
Il dpr attuativo dello Sportello unico, infine, prevede particolari agevolazioni per i soggetti che non sono in possesso della pec e della firma digitale. Questi possono avvalersi di soggetti terzi, ricorrendo al potere di rappresentanza previsto dall'art. 38 del dpr 445/2000 (articolo ItaliaOggi del 19.11.2011).

VARICase fantasma, vendite bloccate. Senza regolarizzazione catastale nessun atto di trasferimento. Circolare del Territorio esclude il rilascio della dichiarazione di conformità oggettiva.
Stop alle compravendite per gli immobili fantasma. Per i fabbricati cosiddetti «fantasma», intercettati dal Territorio, è esclusa, infatti, la possibilità di rilascio della dichiarazione di conformità «oggettiva» in atto prima della definitiva regolarizzazione catastale. La conseguenza è il blocco di qualsiasi tipo di trasferimento (successione, donazione o compravendita).
Il chiarimento arriva dalla circolare 18.11.2011 n. 7/2011 dell'Agenzia del territorio, sull'attribuzione della rendita presunta e le modalità di gestione della regolarizzazione catastale.
Il legislatore ha disposto l'obbligo di procedere all'aggiornamento (iscrizione) in catasto dei fabbricati non censiti, intercettati mediante le foto aree digitali (ortofoto) sulle varie particelle, a cura dei titolari dei diritti reali, entro il 31/12/2010; termine poi spostato al 30/04/2011. Decorso il termine di regolarizzazione spontanea è il Territorio che si è surrogato al proprietario procedendo d'ufficio nella regolarizzazione con attribuzione all'immobile di una rendita «presunta» da iscrivere in catasto.
Con il documento in commento, il Territorio ha indicato le regole di individuazione del numero di unità immobiliari urbane da iscrivere in catasto e le modalità di registrazione nelle banche dati catastali; detta registrazione è stata eseguita con procedure automatizzate, utilizzando lo specifico software, con l'obbligo di presentazione delle dichiarazioni di aggiornamento a cura dei legittimi proprietari e/o professionisti delegati.
La circolare evidenzia che, al fine di rendere riconoscibile l'immobile dotato di rendita presunta, lo stesso viene iscritto con l'inserimento, nella relativa banca dati, di taluni simboli nella cartografia, nel campo annotazione, nel data base censuario (Ceu) e nel data base planimetrico.
Sulla nullità degli atti per mancanza dell'identificazione catastale e dell'attestazione di conformità delle planimetrie depositate in catasto con lo stato di fatto dell'immobile il documento di prassi avverte che nell'ipotesi di trasferimento il proprietario deve aver concluso l'intero iter di regolarizzazione, stante l'impossibilità di rendere, nella fase intermedia, «(_) la dichiarazione di conformità oggettiva prevista, a pena di nullità dell'atto, dalla prima parte del comma 1-bis, dell'art. 29 della legge n. 52 del 1985 (_)».
Per le dichiarazioni di successione, qualora nel coacervo dei beni ereditari siano collocati immobili mai dichiarati, iscritti in catasto ma dotati di rendita presunta, il Territorio invita i titolari di diritti reali a definire completamente la regolarizzazione catastale, in data anteriore alla presentazione della dichiarazione di successione.
Con riferimento alle procedure di notifica, la circolare ricorda che la stessa avviene mediante affissione all'albo pretorio in ogni comune ove gli immobili risultano ubicati e della detta affissione viene data notizia con comunicato collocato sul sito web del Territorio e con la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale. Infine, il documento ricorda l'applicazione delle sanzioni prescritte dal provvedimento direttoriale del 19/4/2011 (articolo ItaliaOggi del 19.11.2011).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGOBuoni ai pensionati. Ex dipendenti richiamabili in comune. Interpello sul ricorso al lavoro accessorio negli enti locali.
Il pensionato di anzianità può svolgere attività di lavoro accessorio (voucher) con l'ex ente locale da cui dipendeva. In tal caso infatti, non opera il divieto imposto alle pubbliche amministrazioni dal Tu sul pubblico impiego (dlgs n. 165/2001) di conferire incarichi a chi abbia cessato volontariamente il servizio con una p.a.
Lo precisa il ministero del lavoro nell'interpello 11.11.2011 n. 44/2011, in risposta all'Anci (associazione nazionale comuni italiani) che ha chiesto chiarimenti sull'interpretazione dell'articolo 70 del dlgs n. 276/2003, relativamente allo svolgimento da parte di pensionati delle attività di natura occasionale nei confronti di enti locali. L'Anci, in particolare, ha sollevato la problematica afferente alla possibilità, da parte degli enti locali, di utilizzare lavoratori ex dipendenti di enti locali, che siano stati collocati a riposo con pensione di anzianità da meno di cinque anni, per l'espletamento di attività a carattere accessorio.
In via preliminare, il ministero ricorda che, per quanto riguarda le prestazioni di lavoro accessorio, gli enti locali (da intendersi comuni, province, città metropolitane, comunità montane, comunità isolane, unioni di comuni, nonché consorzi cui partecipano enti locali, in base alla circolare Inps n. 17/2010), possono utilizzare prestazioni di natura accessoria per peculiari tipologie di attività, quali pulizia e manutenzione di edifici, strade, parchi e monumenti, giardinaggio.
Per quanto riguarda i pensionati, il ministero ricorda che loro possono svolgere attività occasionali «in qualsiasi settore produttivo, compresi gli enti locali». Infine, il ministero ricorda che «il ricorso a prestazioni di lavoro accessorio da parte (_) degli enti locali è consentito nel rispetto dei vincoli previsti dalla vigente disciplina in materia di contenimento delle spese di personale (...)». Tale disposto, spiega sempre il ministero, va coordinato con le norme del T.u. sul pubblico impiego che impongono limitazioni lavorative.
In particolare, è precluso il conferimento di incarichi di consulenza, collaborazione, studio e ricerca da parte dell'amministrazione di provenienza o di altre amministrazioni al dipendente «che cessa volontariamente dal servizio pur non avendo il requisito previsto per il pensionamento di vecchiaia ma che abbia tuttavia il requisito per l'ottenimento della pensione anticipata di anzianità da parte dell'amministrazione di provenienza o di amministrazioni con le quali ha avuto rapporti di impiego nei cinque anni precedenti a quello della cessazione».
Il vincolo, spiega il ministero, non trova applicazione con riferimento al lavoro accessorio che si connota per l'occasionalità della prestazione la quale, in ogni caso, non può superare dei limiti di compenso ben definiti dal legislatore. Detti limiti, infatti, consentono di scongiurare quei possibili fenomeni elusivi che lo stesso legislatore ha voluto contrastare introducendo particolari vincoli circa la possibilità, da parte delle pubbliche amministrazioni, di avvalersi di soggetti cessati dal servizio anticipatamente (articolo ItaliaOggi del 19.11.2011 - tratto da www.ecostampa.it).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGOStatali e P.A.: cosa cambia con la legge di stabilità.
Procedura veloce per individuare i posti in eccesso. Se fallisce la ricollocazione il personale viene messo in mobilità.
LE NOVITÀ - Ai dipendenti in disponibilità stipendio all'80% per 2 anni Vietato il reclutamento senza verifica sul sovrannumero.

È la novità che più di tutte promette di avere impatto sulle dinamiche del pubblico impiego. La legge di stabilità interviene drasticamente sulla mobilità dei dipendenti delle amministrazioni prevedendo caratteristiche e procedure innovative rispetto al passato. La modifica all'articolo 33 del decreto legislativo 165/2001 vuole sottolineare ulteriormente la maggior autonomia datoriale rispetto alle scelte gestionali, dribblando, ancora una volta, le relazioni sindacali.
Di cosa si tratta.
L'articolo in esame era destinato a disciplinare le eccedenze di personale degli enti pubblici.
La Riforma Brunetta (Dlgs 150/2009) aveva previsto un vero e proprio obbligo in capo al dirigente per individuare questo personale, precisando che un comportamento diverso avrebbe potuto essere oggetto di valutazione al fine della responsabilità per danno erariale.
Dopo una precisa procedura i soggetti in eccedenza venivano collocati in disponibilità con ogni sospensione delle obbligazioni del rapporto di lavoro e il diritto, per ventiquattro mesi, ad una retribuzione pari all'80% dello stipendio in godimento.
La novità.
Dall'entrata in vigore della legge di stabilità, l'articolo 33 non disciplina però solamente le eccedenze di personale, ma anche le situazioni di soprannumero in relazione alle esigenze funzionali o alla «situazione finanziaria».
È proprio quest'ultimo aspetto a destare qualche preoccupazione in più. Manca infatti qualsiasi ulteriore indicazione su quali circostanze un'amministrazione potrebbe far leva.
La «situazione finanziaria» è una definizione talmente vaga che potrebbe essere utilizzata ad ampio raggio per motivare scelte di rilevante impatto.
Il contesto.
La verifica va effettuata ogni anno con l'obiettivo principale di favorire la coordinata attuazione dei processi di mobilità e di reclutamento di personale.
Pertanto le amministrazioni dovranno procedere annualmente a questa ricognizione, senza peraltro dimenticare che il Dlgs 165/2001 chiede anche ai dirigenti di contribuire all'individuazione delle risorse e dei profili professionali necessari allo svolgimento dei compiti dell'ufficio cui sono preposti.
La sanzione.
La norma prevede due sanzioni. Innanzitutto, in base all'articolo 6 del Testo unico del pubblico impiego, l'amministrazione che non provvede alla ricognizione annuale dei posti in eccedenza o in soprannumero non può procedere ad assunzione di nuovo personale, compreso quello appartenente alle categorie protette.
Su questo l'articolo 33 rincara la dose indicando che il divieto si estende ai rapporti di lavoro con qualunque tipologia di contratto, pena la nullità degli atti posti in essere.
In secondo luogo viene confermata l'eventuale responsabilità in capo al dirigente.
La procedura.
L'azione prende il via con una semplice informazione preventiva alle rappresentanze unitarie del personale e alle organizzazioni sindacali firmatarie del contratto nazionale di lavoro.
Questo è l'unico coinvolgimento dei sindacati che, rispetto al passato, vengono di fatto relegati, almeno dal punto di vista procedurale, a meri spettatori nella procedura.
Trascorsi dieci giorni da tale comunicazione l'amministrazione tenta di ricollocare totalmente o parzialmente il personale in soprannumero o in eccedenza nell'ambito della stessa amministrazione, utilizzando anche forme flessibili di gestione del rapporto di lavoro (si pensi a una riduzione del tempo del lavoro).
Con accordi preventivi è possibile collocare il personale anche in altre amministrazioni nel medesimo ambito regionale. I contratti nazionali potranno prevedere forme di trasferimento anche presso enti di altre regioni.
Trascorsi novanta giorni dall'informazione sindacale preventiva e qualora le operazioni di ricollocamento di cui sopra non siano andate a buon fine, il personale viene inserito nelle liste di disponibilità.
Il trattamento economico.
Al personale viene corrisposto un trattamento pari al l'80% dello stipendio, con esclusione di ogni altro emolumento, per la durata di ventiquattro mesi. È garantito l'assegno famigliare, nei casi in cui sia spettante, ed il periodo è utile ai fini pensionistici.
L'entrata in vigore.
Le novità entrano in vigore dal 2012, in quanto contenute nella legge di stabilità per il prossimo anno, e non si applicano ai concorsi già banditi e alle assunzioni già autorizzate (articolo Il Sole 24 Ore del 19.11.2011 - tratto da www.ecostampa.it).

EDILIZIA PRIVATASe lo sportello unico tarda ecco l'ufficio del governo. Le disposizioni dello Statuto imprese e della legge di Stabilità.
Se lo Sportello unico non conclude il procedimento nei termini prescritti, perché non è riuscito ad acquisire in tempo i pareri necessari, subentra l'ufficio locale del Governo. E per le imprese, d'ora innanzi, saranno le Camere di commercio a fornire agli imprenditori le informazioni di base necessarie ad iniziare una nuova attività.
Sono queste due delle rilevanti novità contenute rispettivamente nell'art. 14 della legge di stabilità 2012 (l. 183/2011) e nella legge 180/2011 «Norme per la tutela della libertà d'impresa. Statuto delle imprese».
Pubblicate entrambe sulla G.U. del 14 novembre scorso, la prima entrerà in vigore l'1 gennaio del prossimo anno, mentre lo statuto delle imprese è in vigore dal giorno successivo della sua pubblicazione. Più in particolare, l'articolo 14 della legge di stabilità 183/2011, prevede la riduzione degli oneri amministrativi per imprese e cittadini disponendo che, «In via sperimentale, fino al 31.12.2013, sull'intero territorio nazionale si applica la disciplina delle zone a burocrazia zero prevista dall'articolo 43 del decreto legge 31.05.2010, n. 78 (conv. legge 122/2010)».
Il citato dl aveva previsto un anno fa le zone a burocrazia zero per le regioni del Meridione. Con la legge di stabilità si è previsto ora di estendere a tutto il Paese i benefici che tale innovazione comporta per le imprese. Con riferimento agli sportelli unici per le attività produttive, comunemente noti ormai come Suap, il comma 5 dell'art. 14, prevede espressamente che «nel caso di mancato rispetto dei termini dei procedimenti, di cui all'articolo 7 del decreto, (ovvero per le attività soggette ad autorizzazione) da parte degli enti interessati, l'adozione del provvedimento conclusivo è rimessa all'ufficio locale del Governo».
E, quindi, sembrerebbe anche in carenza dei prescritti pareri. Per quanto riguarda, invece, lo Statuto delle imprese, la rilevante novità è collegata al fatto che alle Camere di commercio viene ora affidato uno dei compiti che in base all'articolo 4 del dpr 160/2010 di disciplina dello Sportello unico, era affidato proprio agli Suap. Il comma 3 del suddetto art. 4, infatti, prevede che Il Suap [_] cura l'informazione attraverso il portale in relazione agli adempimenti necessari per lo svolgimento delle attività per tutti i procedimenti che abbiano ad oggetto l'esercizio di attività produttive e di prestazione di servizi, indicando altresì quelle per le quali è consentito l'immediato avvio dell'intervento.
Con lo Statuto delle imprese, e precisamente con l'art. 9, comma 2, invece, le pubbliche amministrazioni dovranno garantire attraverso le camere di commercio, la pubblicazione e l'aggiornamento delle norme e dei requisiti minimi per l'esercizio di ciascuna tipologia di attività d'impresa. A tal fine, le medesime amministrazioni dovranno comunicare alle camere di commercio, entro il 31 dicembre di ogni anno, l'elenco delle norme e dei requisiti minimi per l'esercizio di ciascuna tipologia di attività d'impresa (articolo ItaliaOggi del 18.11.2011 - tratto da www.ecostampa.it).

ENTI LOCALIFederalismo fiscale, lunedì si chiude. E le regioni autonome sono al palo.
Non c'è più spazio per le leggi attuative del federalismo fiscale. Scade, infatti, lunedì prossimo (21 novembre) il termine di trenta mesi stabilito dall'art. 2, comma 1, della legge 05.05.2009, n. 42, che consente al governo di adottare, uno o più decreti legislativi per attuare la delega sul federalismo.

Tale termine era stato inizialmente fissato in 24 mesi e portato a 30 dalla legge 08.06.2011, n. 85, che ha modificato in più punti la legge n. 42 del 2009, proprio per consentire una più tranquilla definizione delle varie attività richieste per il completamento del disegno federalista.
Il termine di 30 mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, scade, quindi, il 21.11.2011, dal momento che la legge n. 42, pubblicata in Gazzetta ufficiale il 06.05.2009, è entrata in vigore il 21.05.2009.
Stop dunque all'approvazione di nuove disposizioni sul federalismo fiscale che rientrino nello schema applicativo della legge n. 42 del 2009, mentre nessuno impedisce l'approvazione di norme che possano in qualche modo impattare sul sistema, magari anche migliorandolo. La data del 21 novembre segna anche la fine dei tavoli di confronto con le autonomie speciali che sono previsti nell'art. 27 della legge 42, vale a dire in uno dei pochi articoli della delega che risultano applicabili anche a questi enti territoriali.
Si ricorda, infatti, che il legislatore ha tenuto inspiegabilmente fuori dalla riforma federale del sistema tributario le regioni a statuto speciale e le province autonome stabilendo all'art. 1, comma 2 della legge n. 42 che nei confronti delle autonomie speciali le uniche norme applicabili sono gli articoli 15, 22, e 27. Come se non bastasse c'è stato già un intervento della Corte Costituzionale, sollecitata dalla regione Sicilia, che ha giustamente confermato la chiara lettera della norma nella sentenza n. 201 del 10.06.2010.
Ebbene l'art. 27 della legge n. 42 prevede anch'esso che «entro il termine di 30 mesi stabilito per l'emanazione dei decreti legislativi» si sarebbe dovuto definire, con le norme di attuazione dei singoli statuti, le modalità ed i criteri con cui le regioni autonome «concorrono al conseguimento degli obiettivi di perequazione e di solidarietà ed all'esercizio dei diritti e doveri da essi derivanti, nonché al patto di stabilità interno e all'assolvimento degli obblighi posti dall'ordinamento comunitario».
Un aspetto molto particolare si rinviene nel comma 7 dove viene prevista la creazione di un tavolo di confronto tra il governo e ciascuna regione a statuto speciale (o provincia autonoma) finalizzato ad:
- assicurare il rispetto delle norme fondamentali della legge e dei princìpi che da essa derivano, nel rispetto delle peculiarità di ciascuna regione a statuto speciale o provincia autonoma;
- individuare linee guida, indirizzi e strumenti per assicurare il concorso delle regioni a statuto speciale e delle province autonome agli obiettivi di perequazione e di solidarietà e per valutare la congruità delle attribuzioni finanziarie ulteriori intervenute successivamente all'entrata in vigore degli statuti, verificandone la coerenza con i princìpi di cui alla presente legge e con i nuovi assetti della finanza pubblica.
Il tavolo rappresenta, dunque, il luogo in cui si realizza il confronto tra lo stato e le autonomie speciali per quanto attiene ai profili perequativi e finanziari del federalismo fiscale delineati dalla legge delega, secondo il principio di leale collaborazione. Sebbene detti tavoli siano stati istituiti con dpcm 06.08.2009 non risulta che abbiano concretamente operato, e dal punto di vista operativo si devono fare i conti con norme tributarie mal coordinate che non definiscono linee di azione ben precise. Manca, infatti, molta chiarezza sull'applicabilità delle norme in questione agli enti locali che si trovano nel territorio delle autonomie speciali.
Infatti, mentre il dlgs n.68/2011, sul federalismo regionale e provinciale, pur prevedendo un'eccezione per l'imposta provinciale di trascrizione (Ipt) e per l'imposta sulle assicurazioni Rc-Auto, stabilisce a chiare lettere che le disposizioni in esso contenute si applicano solo alle regioni a statuto ordinario ed alle province ubicate nei loro territori, nessuna dichiarazione di questo tipo esiste nel dlgs n. 23/2011, in materia di federalismo fiscale municipale, dove le uniche norme utili alla comprensione del sistema sono gli art. 14, commi 2 e 3.
Queste fanno una differenza tra autonomie che esercitano la finanza locale e altre autonomie. Per le regioni e province autonome che rientrano nel primo gruppo la disciplina è contenuta nel comma 3 dell'art. 14, in base al quale le modalità di applicazione delle disposizioni relative alle imposte comunali istituite con il dlgs 23 sono stabilite dalle autonomie speciali in conformità con i rispettivi statuti e le relative norme di attuazione. Invece, per la Sicilia e la Sardegna, che non svolgono funzioni in materia di finanza locale, trova applicazione il comma 2, in base al quale «il presente decreto si applica nel rispetto dei rispettivi statuti e in conformità con le procedure previste dall'art. 27 della citata legge n. 42 del 2009».
Non sembra che allo stato attuale siano state avviate dette procedure e la scadenza del termine fissato dalla legge delega crea sicuramente un problema che forse è sfuggito all'attenzione di molti (articolo ItaliaOggi del 18.11.2011 - tratto da www.corteconti.it).

APPALTI SERVIZIServizi locali, Antitrust rafforzata. L'Authority potrà entrare nel merito delle decisioni degli enti. Le novità della legge di stabilità. Il format per le delibere arriverà entro fine gennaio con decreto.
La delibera-quadro sull'assetto concorrenziale dei servizi pubblici locali che gli enti dovranno adottare entro il 12.08.2012 e in ogni caso prima di procedere al conferimento e al rinnovo della gestione, avrà uno specifico format entro il 31 gennaio del prossimo anno, grazie a un decreto interministeriale.
A specificarlo è l'art. 9, co. 2, lett. m), della recente legge di stabilità (legge n. 183/2011).
Inoltre, se con il dl 138/2011 la stessa delibera sembrava dovesse assumere un ruolo marginale e di «presa d'atto» da parte dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato ai fini della relazione al parlamento ai sensi della legge 287/1990, con l'aggiunta dell'inciso «anche» disposta dalla lett. b) del medesimo comma e articolo, la funzione dell'Authority potrebbe essere più incisiva con la possibilità di entrare nel merito di quanto deliberato dagli enti locali; non più un ruolo «passivo» di quest'ultima, ma tutt'altro, di regolatore e garante di una maggiore concorrenza dei servizi pubblici a svantaggio dei monopoli molto spesso antieconomici e svantaggiosi per gli utenti.
La previsione di tale decreto recepisce di fatto quanto rilevato da tempo dal Consiglio di stato che aveva, già con parere, sez. consultiva per gli atti normativi 24.05.2010 n. 2415, auspicato in merito la definizione di criteri puntuali e definiti.
Intanto, sono molte le perplessità che assillano gli enti in questo periodo: se la previsione di un prossimo decreto aiuterà a capire quali elementi inserire nella delibera-quadro (tra i quali troviamo i criteri per la verifica della concorrenza e l'idoneità o meno della libera iniziativa economica privata, le modalità per la comparazione delle diverse gestioni), resta da capire cosa fare ora in una fase delicata caratterizzata da scadenze contrattuali e normative che può portare a cessazioni prima della scadenza del prossimo 31 marzo o del 30 giugno –rispettivamente– delle in-house laddove siano riferite a servizi con valore superiore a 900 mila (senza frazionamenti artificiosi) ovvero non conformi alle prescrizioni della giurisprudenza europea e delle società miste laddove non vi sia stata contestuale gara per la scelta del socio e dell'attribuzione dei compiti operativi.
Medesime problematicità per i rinnovi e le aggiudicazioni a mezzo gara che dovranno essere effettuate prima dell'emanando decreto interministeriale.
Se da un lato ci si augura che detto decreto possa essere emanato anche molto prima della scadenza del 31 gennaio, dall'altro ciò non può costituire un esimente per non adottare la delibera laddove necessaria nel frattempo.
La previsione del decreto da parte della legge di stabilità non sembra pregiudicare l'immediata operatività dell'art. 4 del dl 138/2011; solo la decisione di liberalizzare uno o più servizi pubblici locali potrebbe non richiedere l'adozione preventiva della delibera-quadro che, viceversa, serve a giustificare l'eventuale decisione dell'ente di riservarsi i diritti di esclusiva, quest'ultimi da attribuire mediante gara ovvero nella forma dell'in-house providing.
La scelta migliore per gli enti locali rimane quella di approcciarsi quanto prima alla definizione della delibera-quadro (a prescindere dalle imminenti e prossime scadenze) suscettibile anche di miglioramenti ed integrazioni sulla base del futuro decreto, con cui, secondo una visione unitaria tra ente e partecipate, procedere immediatamente alla verifica delle attuali condizioni economiche, finanziarie e qualitative dei diversi servizi, distinguendo quelli a rilevanza economica e quelli privi di tale rilevanza, rispetto ai servizi strumentali. Per i primi soprattutto sarà necessario valutare se liberalizzare o meno sulla base di apposite indagini di mercato con l'ausilio di esperti esterni, augurandosi che anche l'Autorità garante per il mercato e la concorrenza possa essere quanto prima di supporto agli enti nel fornire assistenza e elementi utili, quali banche dati per settore e attività.
I tempi sono ormai maturi per trasformare il settore dei servizi pubblici locali in volano per lo sviluppo economico territoriale. Agli amministratori locali uno sforzo per garantire competitività eliminando monopoli non più giustificabili anche in relazione alla attuale grave crisi economica (articolo ItaliaOggi del 18.11.2011 - tratto da www.corteconti.it).

ENTI LOCALIOSSERVATORIO VIMINALE/ Consorzi senza conflitti. Non si applica il regime delle incompatibilità. Le norme che limitano i diritti di status sono di stretta interpretazione.
Sussiste un'ipotesi di incompatibilità per un imprenditore, designato tra i componenti dell'assemblea consortile, il quale, titolare di più imprese operanti in un agglomerato di competenza del consorzio, da un lato fornisce, in maniera continuativa e in regime di monopolio, utilities al consorzio e dall'altro usufruisce dei servizi forniti dall'ente stesso?
Fatte salve eventuali specifiche disposizioni regionali in materia, non sussistono le cause di incompatibilità previste dall'art. 63, comma 1, nn. 2 e 6 del dlgs 267/2000, in quanto tra i destinatari di tali norme non figurano i componenti degli organi dei consorzi tra enti locali.
Né, peraltro, è possibile estendere l'ambito applicativo delle disposizione in questione, in quanto le norme che restringono eccezionalmente diritti di status come, nel caso di specie, il diritto di elettorato passivo riconosciuto dall'articolo 51 della Costituzione – sono norme di stretta interpretazione, le cui previsioni non possono essere estese in via analogica al di fuori dei casi ivi espressamente indicati (cfr., ex multis, Consiglio di stato, I sezione, 22.10.2008, n. 3376) (articolo ItaliaOggi del 18.11.2011).

CONSIGLIERI COMUNALIOSSERVATORIO VIMINALE/ Decadenza per assenza.
È applicabile anche alla carica di assessore comunale la disciplina relativa all'istituto della decadenza per ingiustificata assenza a più sedute dell'organo collegiale?

Il legislatore statale contempla l'ipotesi della decadenza per mancata partecipazione alle sedute con esclusivo riferimento alla carica di consigliere (v. art. 43, ultimo comma, del Tuel n. 267/2000; tale norma va letta in combinato disposto con l'art. 273, co. 6, del medesimo Tuel n. 267 in base al quale, nelle more dell'adozione della prescritta disciplina statutaria, trova applicazione, per il profilo considerato, il disposto dell'art. 289 del Tulcp n. 148/1915).
Nulla di analogo si prevede, alla stregua del vigente ordinamento, per la carica di assessore, a differenza dal pregresso ordinamento (v. art. 289, co. 2 del citato Tulcp n. 148/1915).
Tale circostanza è da imputarsi alla configurazione della giunta quale organo fiduciario, di diretta collaborazione con il sindaco che dispone, fra l'altro, del potere di revoca dell'assessore allorché venga meno il rapporto di fiducia alla base dell'investitura a tale carica per le più svariate cause, ivi compresa la protratta e ingiustificata assenza alle sedute, quale esternazione di un atteggiamento di indisponibilità alla prosecuzione del rapporto instaurato con l'accettazione della nomina; appare evidente come, in un'ipotesi di tal tipo, debba desumersi l'inevitabilità di una nuova valutazione da parte del sindaco in ordine alla permanenza dei presupposti che avevano condotto all'individuazione di quel soggetto quale suo stretto collaboratore per l'attuazione del programma di governo.
Pertanto, la norma dello statuto comunale che disciplina l'ipotesi della decadenza dell'assessore per assenze ingiustificate alle sedute della giunta appare di dubbia applicabilità, sia perché, secondo i comuni canoni ermeneutici, le previsioni statutarie conformate a un regime giuridico successivamente riformato possono continuare a trovare applicazione solo nella misura in cui non confliggono con il nuovo sistema; sia per la difficoltà d'individuare, nell'ambito dell'organo collegiale di cui l'amministratore locale fa parte, l'organo deputato alla valutazione della posizione dell'assessore stesso.
Infatti, se per il consiglio vale il principio, proprio degli organi collegiali elettivi, per cui la valutazione circa la posizione dei singoli componenti il consesso (cioè la legittimazione a farne parte) costituisce materia di esclusiva competenza del collegio medesimo, per la giunta non sembrerebbe possibile l'applicazione di analogo principio, trattandosi di un organo collegiale che non è elettivo, bensì nominato fiduciariamente dal sindaco che appare, pertanto, come l'unico soggetto legittimato a pronunciarsi sulla legittimità della partecipazione del singolo assessore alla compagine della giunta (articolo ItaliaOggi del 18.11.2011).

ATTI AMMINISTRATIVI: PROCESSO AMMINISTRATIVO/ Ecco la multa per lite temeraria. Fino a 20 mila euro per un contenzioso sugli appalti. Cosa prevede il decreto correttivo approvato dal governo.
Scatta la multa per le liti temerarie davanti a Tar e Consiglio di stato. Fino al quintuplo del contributo unificato (e quindi, ad esempio, fino 20 mila euro per un processo sugli appalti).
Passa la linea dura nel decreto correttivo del codice del processo amministrativo, approvato definitivamente venerdì scorso dal consiglio dei ministri.
Anche se viene escluso l'automatismo della multa quando si propone un ricorso sostenendo una tesi contraria a quella della giurisprudenza consolidata. Il decreto correttivo del decreto legislativo n. 104 del 2010 (codice del processo amministrativo) interviene con alcune rettifiche formali e di coordinamento e chiarisce alcuni dubbi sorti nella pratica forense. Alcune correzioni sono, invece, delle innovazioni. Vediamo, in particolare quelle in materia di spese di giudizio e di domiciliazione della parte.
SPESE DI GIUDIZIO
Scatta una multa da pagare allo stato per le liti temerarie. anche se rispetto a una versione iniziale la regola viene cambiata in corsa, con un minore rigore, poiché viene meno l'automatismo previsto nella formulazione preliminare delle modifiche all'articolo 26 del codice del processo amministrativo.
L'attuale articolo 26 prescrive un risarcimento all'altra parte a carico della parte soccombente quando la decisione è fondata su ragioni manifeste o orientamenti giurisprudenziali consolidati: insomma chi perde può trovarsi a dover pagare al suo avversario, anche su provvedimento di ufficio del giudice, una somma da determinarsi a discrezione del Tar o del Consiglio di Stato. Il presupposto del risarcimento del danno è avere iniziato una causa o avere resistito in una causa pur avendo palesemente torto o in contrasto con le tesi accreditate unanimemente dal consiglio di stato e dai Tar.
Le cose cambiano e di molto con il correttivo.
Innanzi tutto il beneficiario del versamento non è chi vince la causa, ma è lo stato.
Inoltre viene fissato un minimo e massimo: la multa nel minimo non può essere inferiore al doppio del contributo unificato dovuto per il ricorso introduttivo del giudizio, e nel massimo non deve essere superiore al quintuplo.
Quindi la multa sarà molto elevata per i processi in materia di appalti, per i quali si rischia una multa da 8 a 20 mila euro; per la generalità dei processi la sanzione va da 1.200 euro a 3 mila euro.
Rimane il potere di condanna d'ufficio da parte del giudice e, quindi, non c'è bisogno di una richiesta di parte.
Cambia, soprattutto, invece, il presupposto per l'applicazione della sanzione, che è così descritto dalla nuova disposizione: quando la parte soccombente ha agito o resistito temerariamente in giudizio.
Sarà il giudice a dovere valutare di volta in volta se vi è stata colpevole o dolosa avventatezza. Nella versione attuale basta la contrarietà alla giurisprudenza consolidata. Si tratta di un concetto non sempre ben definibile: ad esempio ci si può chiedere se basta una sentenza difforme a eliminare il presupposto richiesto. Inoltre una regola di questo tipo tende a impedire qualsiasi mutamento di giurisprudenza e le parti sarebbero fortemente vincolati e disincentivati a proporre ricorsi sostenendo tesi in contrasto con quelle precedenti, ma maturate a seguito di novità legislative o comunque di una evoluzione interpretativa.
Con la novità del correttivo parti e avvocati saranno meno timorose di proporre tesi nuove, anche se rimane il limite generale della temerarietà.
La regola in commento vale sia per il privato sia per l'amministrazione resistente.
DOMICILIO
Per ricevere le comunicazioni delle segreterie di Tar e Consiglio di Stato l'avvocato può indicare il proprio indirizzo di posta elettronica certificata e il proprio fax, anche se si elegge domicilio presso un altro studio legale.
Spieghiamo la novità. Le parti, nel primo atto difensivo, devono eleggere domicilio presso il comune dove ha sede il Tar (per il primo grado) e a Roma (per i procedimenti del consiglio di stato); se non lo fanno sono domiciliate d'ufficio presso la segreteria dell'ufficio giudiziario, con qualche problema per la conoscibilità delle comunicazione e degli avvisi (per averli bisogna andare al Tar o al Consiglio di stato).
Per questa ragione le parti eleggono domicilio presso uno studio legale che ha sede dove ha sede il Tar o a Roma. Quindi, ad esempio, se un avvocato di Milano difende un suo cliente in appello al Consiglio di stato la parte, di solito, elegge domicilio presso uno studio legale romano e per le comunicazioni si indica il fax e la posta elettronica dello studio legale di Roma.
Con la modifica l'avvocato di Milano potrà continuare a far eleggere domicilio presso il corrispondente (domiciliatario) di Roma, ma potrà inserire negli atti il proprio indirizzo di pec e il proprio fax, così da ricevere direttamente avvisi e comunicazioni.
Il correttivo consente, infatti, di ricevere comunicazioni all'indirizzo di posta elettronica certificata e un recapito di fax, che possono essere anche diversi dagli indirizzi del domiciliatario (nuovo articolo 136). Questo anche se la parte non ha eletto domicilio nel comune sede del tribunale amministrativo regionale o della sezione staccata o a Roma.
PROCEDIMENTI IN CAMERA DI CONSIGLIO
Viene modificato l'articolo 87 (procedimenti in camera di consiglio) disponendo che il dimezzamento dei termini previsti per questi riti si applica a tutti i termini, tranne nei giudizi di primo grado, quelli del ricorso introduttivo, del ricorso incidentale e dei motivi aggiunti. La modifica sta nella specificazione della esclusione del dimezzamento dei termini per ricorsi e motivi aggiunti solo in primo grado.
SOSPENSIONE DELLA SENTENZA
Per chiedere al consiglio di stato la sospensione della sentenza, in via di urgenza, bisognerà comunque prima notificare la relativa istanza alle altre parti. Così viene modificato L'articolo 111, comma 1, del codice.
OTTEMPERANZA
Il correttivo introduce la disciplina specifica delle impugnazione degli atti del commissario ad acta (di regola un funzionario pubblico nominato per dare esecuzione alle sentenze non eseguite spontaneamente dall'amministrazione).
La novità prevede che contro gli atti del commissario ad acta le stesse parti possono proporre, dinanzi al giudice dell'ottemperanza, reclamo; il reclamo va depositato, previa notifica ai controinteressati, nel termine di 60 giorni (articolo ItaliaOggi del 17.11.2011 - tratto da www.corteconti.it).

VARI: Contanti? Sì, ma sotto la soglia. Attenzione ai pagamenti ai fornitori, tra società o tra i soci. Le novità sui trasferimenti di importi pari o superiori a 2.500 euro. No ai frazionamenti artificiosi.
La manovra-bis 2011 ha nuovamente abbassato il limite all'utilizzo del denaro contante e dei titoli al portatore: per effetto del contenuto disposto dall'articolo 2, comma 4, del dl n. 138/2011, a partire dallo scorso 13.08.2011 sono vietati i trasferimenti di denaro contante, di libretti di deposito bancari o postali al portatore o di altri titoli al portatore in euro o in valuta estera, effettuati a qualsiasi titolo tra soggetti diversi, per un importo riferito a ciascun trasferimento, anche frazionato artificiosamente, pari o superiore a 2.500 euro.
È utile ricordare che precedentemente l'articolo 49, del dlgs n. 231/2007, recante «limitazioni all'uso del contante e dei titoli al portatore», nella versione previgente alle modifiche apportate dalla manovra-bis 2011, disponeva fra l'altro:
a) il divieto di trasferimento di denaro contante o di libretti di deposito bancari o postali al portatore o di titoli al portatore in euro o in valuta estera, effettuato a qualsiasi titolo tra soggetti diversi, quando il valore oggetto di trasferimento, è complessivamente pari o superiore a 5 mila euro. Il trasferimento è vietato anche quando è effettuato con più pagamenti inferiori alla soglia che appaiono artificiosamente frazionati. Il trasferimento può tuttavia essere eseguito per il tramite di banche, istituti di moneta elettronica e Poste italiane spa;
b) il divieto di detenere libretti di deposito bancari o postali al portatore con saldo pari o superiore a 5 mila euro.
Tale limite di 5 mila euro era stato elevato a 12.500 euro dall'articolo 32 del decreto legge n. 112 del 2009 e successivamente riportato a 5 mila euro dall'articolo 20 del dl 78 del 2010.
La novità sostanziale è che ora la norma riduce ulteriormente il limite: in pratica non è più possibile effettuare pagamenti in contanti di importi pari o superiori a 2.500 euro, l'importo massimo consentito per il pagamento in contanti è di 2.499. Nella pratica commerciale occorrerà, pertanto, fare attenzione ai pagamenti a fornitori, ai pagamenti tra società appartenenti allo stesso gruppo, ai rapporti tra socio e società (prestiti, finanziamenti, prelievi) che avvengono in contanti; tali pagamenti dovranno essere eseguiti entro l'importo massimo consentito di 2.499.
Si evidenzia che non sono consentiti i pagamenti inferiori alla soglia quando sono artificiosamente frazionati allo scopo di eludere la legge.
L'ulteriore riduzione della soglia agevolerà il compito dell'amministrazione finanziaria sia nell'ipotesi di controllo fiscale in via amministrativa, sia nell'ipotesi di utilizzo ai fini fiscali dei dati, informazioni ed elementi acquisiti dalla Polizia giudiziaria nell'ambito delle indagini di carattere penale.
Anche il saldo dei libretti di deposito al portatore non può superare i 2.499 euro; conseguentemente per i libretti di deposito di importo pari o superiore a 2.500 euro, entro il 30 settembre scorso, occorreva operare la scelta di: estinguere i libretti; ridurre il saldo dei libretti a 2.499 euro, prelevando la somma in eccedenza; estinguerli e trasformarli in libretti al portatore nominativi.
Nessuna innovazione è stata apportata, invece, per quanto concerne l'emissione degli assegni bancari e postali da parte delle banche e di Poste italiane spa, i quali devono essere sempre muniti della clausola di «non trasferibilità» con l'evidente intento di ridurre la circolazione degli assegni liberi per limitarli, comunque, a pagamenti inferiori a 2.500 euro.
Resta fermo il diritto del cliente di richiedere, per iscritto, il rilascio di moduli di assegni bancari e postali in forma libera tenuto conto, però, che l'Agenzia delle entrate e la Guardia di finanza possono chiedere ai soggetti emittenti (banche e Poste) i dati identificativi e il codice fiscale dei richiedenti ovvero dei soggetti che li hanno presentati all'incasso.
In ogni caso, gli assegni recanti la clausola di non trasferibilità non hanno limite di importo (articolo ItaliaOggi del 17.11.2011).

INCARICHI PROGETTUALIA discrezione sempre più incarichi. Per effetto dell'innalzamento della soglia per gli affidamenti. Le conseguenze per i progettisti dell'entrata in vigore da ieri del cosiddetto Statuto delle imprese.
Sempre più discrezionali gli incarichi di progettazione e servizi di ingegneria e architettura della pubblica amministrazione. Per incarichi fino a 193 mila euro la scelta dei progettisti avverrà tramite elenchi o avvisi di gara, ricorrendo anche al sorteggio e con criteri di rotazione; prevista la suddivisione in lotti degli appalti; velocizzato l'iter di recepimento della direttive europea per i ritardi nei pagamenti delle pubbliche amministrazioni, previste sanzioni dell'Antirust per le grandi imprese.
Sono queste alcune delle norme di maggiore rilievo contenute nella legge dell'11.11.2011 il cosiddetto Statuto delle imprese, in vigore da ieri.
Di particolare impatto sul mercato delle progettazioni è la modifica all'articolo 91, comma 1 del Codice perché porta a 125.000 euro (per le amministrazioni centrali dello Stato) e a 193 mila euro per tutte le altre stazioni appaltanti, la soglia (in precedenza pari a 100.000 euro) entro la quale è ammesso scegliere progettisti, direttori dei lavori, coordinatori per la sicurezza e collaudatori con procedura negoziata previo invito di almeno cinque soggetti ai sensi di quanto disposto dall'articolo 57, comma 6 del Codice. La norma del Codice prescrive che la scelta dei soggetti da invitare a presentare offerta (almeno cinque) debba fare seguito ad informazioni desunte da una indagine di mercato.
In concreto, per quel che riguarda le modalità di selezione del mercato ai fini dell'individuazione degli invitati a presentare offerta per incarichi fino alla soglia comunitaria, l'articolo 267 del Dpr 207/2010, il regolamento del Codice, entra nel dettaglio applicativo della disposizione di rango primario che la legge sullo statuto delle imprese ha modificato, prevedendo due modalità propedeutiche all'individuazione dei soggetti da invitare: l'istituzione di elenchi di operatori economici, o l'effettuazione di indagini di mercato finalizzate al singolo affidamento che si concretizzano nella pubblicazione di un avviso di gara, in ogni caso rispettando il criterio di rotazione degli incarichi.
In entrambi i casi le amministrazioni dovranno rispettare i principi di non discriminazione, parità di trattamento, proporzionalità e trasparenza, correttamente e esaustivamente interpretati dall'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici che ha anche specificato come le stazioni appaltanti debbano evitare di inserire nei bandi di gara (e ciò rileva anche per gli affidamenti di maggiore importo) preferenze territoriali o locali.
In ogni caso, per effetto della modifica apportata all'articolo 91 del Codice, le stazioni appaltanti: - da 0 a 193.000 euro, potranno optare per la procedura negoziata con invito di almeno cinque soggetti; - oltre i 193 mila euro saranno utilizzabili le procedure (aperte, negoziate, ristrette) con pubblicità europea, applicando gli articoli da 263 a 266 del Regolamento.
La legge sullo statuto delle imprese prevede anche il recepimento della direttiva ritardati pagamenti (da effettuare entro 12 mesi, quindi con cinque mesi di anticipo rispetto alla scadenza del marzo 2013): in questo caso le norme europee, quando entreranno in vigore, consentiranno pagamenti da parte delle amministrazioni e dei privati entro un massimo di 60 giorni. Previste anche sanzioni e diffide per le grandi imprese relativamente a comportamenti illeciti messi in atto nei confronti delle piccole e medie imprese.
In via generale vengono poi introdotte norme che tutelano le piccole e medie imprese che partecipano agli appalti: la prova dei requisiti dovrà essere effettuata solo dall'aggiudicatario dell'appalto; sarà possibile una più ampia autocertificazione dei requisiti con il divieto di chiedere documenti già in possesso dell'Amministrazione; sarà vietato chiedere requisiti sproporzionati rispetto all'oggetto dell'appalto (articolo ItaliaOggi del 16.11.2011).

APPALTIAppalti, corsia di favore per le pmi. Multe Antitrust per tardivo pagamento. Sanzioni ridotte in Cdc. In vigore la legge sullo Statuto delle imprese. Accesso privilegiato alle infrastrutture per le pmi locali.
Sanzioni dell'Antitrust in caso di ritardi nei pagamenti a danno delle pmi da parte delle grandi imprese; codice etico «antimafia» obbligatorio per le associazioni di categoria; incentivi alla partecipazione delle piccole e medie imprese agli appalti pubblici; un garante tutto nuovo per le piccole e medie imprese.
Eppoi, procedure più flessibili per l'affidamento di incarichi di progettazione (e altri servizi tecnici) fino alla soglia comunitaria dei 193 mila euro. E ancora sanzioni dimezzate per l'omessa esecuzione di denunce, comunicazioni e depositi al registro imprese; con tanto di ravvedimento operoso a breve termine.

Sono queste solo alcune delle novità della legge 180/2011, contenente lo Statuto delle imprese, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 265 del 14.11.2011. ItaliaOggi ne aveva anticipato i contenuti il 4 e 5 novembre scorso. Ora, con la pubblicazione in Gazzetta il provvedimento è entrato in vigore, ieri 15.11.2011. Ma andiamo con ordine.
Accesso al mercato delle pmi. Il testo interviene sugli appalti pubblici, invitando le stazioni appaltanti a procedere alla suddivisione degli appalti in più lotti o lavorazioni, ammettendo il subappalto e garantendo la corresponsione diretta dei pagamenti da effettuare tramite bonifico bancario. Prevista, inoltre, una disposizione a favore delle aggregazioni (raggruppamenti temporanei, consorzi e reti di impresa) per partecipare alle gare. Per i contratti stipulati dai piccoli comuni (sotto i 5 mila abitanti), invece, la legge disegna una corsia di favore per le aziende che hanno sede nelle aree in cui vanno realizzate opere compensative per grandi infrastrutture. Garantendo in primis un accesso privilegiato alle pmi del posto.
Non solo. Per i servizi pubblici degli stessi comuni, la normativa dispone l'individuazione di lotti adeguati all'entità del servizio da erogare. E ambiti di servizio compatibili con le caratteristiche tipiche della stessa comunità locale. Più in generale, negli appalti relativi alle pmi, la prova dei requisiti dovrà essere sostenuta solo dall'aggiudicatario dell'appalto. Mentre, verrà fatto divieto di chiedere requisiti sproporzionati rispetto all'oggetto dell'appalto. Quindi, sul fronte della tutela dei rapporti commerciali delle imprese, la legge prevede la possibilità che l'Antitrust intervenga, con tanto di diffide e sanzioni, per comportamenti illeciti messi in atto da grandi imprese nei confronti delle pmi.
Infine, lo statuto delle imprese introduce anche un nuovo strumento: la legge annuale per le pmi. Che stabilirà, anno per anno, le norme da introdurre (articolo ItaliaOggi del 16.11.2011 - tratto da www.corteconti.it).

ENTI LOCALIUnioni, regioni salva comuni. La Lombardia ricorre alla Consulta. Boom in Emilia e Veneto. Le scelte dei governatori a un giorno dalla scadenza del termine per definire gli ambiti territoriali.
Sull'associazionismo comunale le regioni si alleano con i comuni. A un giorno dalla scadenza del 17 novembre entro cui i governatori avrebbero potuto (si tratta infatti di una facoltà e non di un obbligo) individuare soglie demografiche diverse da quelle minime (5.000 abitanti o 3.000 per i territori montani) stabilite dalla manovra di Ferragosto per dare vita alle unioni, le regioni hanno evitato fughe in avanti non condivise dai sindaci. Anzi, fioccano i ricorsi alla Corte costituzionale contro l'art. 16 del dl 138/2011.
Dopo la regione Toscana, l'Anci nazionale, le Anci locali (Puglia e Abruzzo), ieri è stata la volta della regione Lombardia. L'annuncio di impugnare dinanzi alla Consulta la norma, che impone ai comuni sotto i 1.000 abitanti di esercitare tutte le funzioni amministrative e tutti i servizi pubblici in forma associata attraverso unione o convenzione, è arrivato ieri dall'assessore lombardo alla semplificazione, Carlo Maccari. Che non ha escluso la presentazione di uno specifico emendamento al collegato alle leggi di bilancio per abbassare il limite minimo di abitanti richiesto per dare vita alle unioni. Ma vediamo come si sono regolate le regioni fino a questo momento.
Lombardia. In Lombardia la via dell'unione o della convenzione sarà obbligatoria anche per gli enti sopra i 1.000 abitanti. Tutti i comuni tra 1.000 e 3.000 abitanti (se montani) e quelli di pianura tra i 1.000 e i 5.000 abitanti dovranno associare i 27 servizi racchiusi nelle 6 funzioni fondamentali (organizzazione, gestione e controllo; viabilità e trasporti; servizi sociali; istruzione pubblica; polizia locale; territorio e urbanistica). Due di queste dovranno essere obbligatoriamente associate entro il 31 dicembre di quest'anno, le altre quattro entro il 31.12.2012.
Piemonte. In Piemonte il presidente dell'Anci locale, Amalia Neirotti, ha chiesto ieri una moratoria di 6 mesi per discutere le norme sull'associazionismo. Ma intanto la regione guidata da Roberto Cota si è portata avanti. E già da settembre ha costituito un gruppo di lavoro tecnico, coordinato dall'assessore regionale agli enti locali Elena Maccanti, che ha proposto di suddividere il territorio regionale in aree omogenee (pianura, collina e montagna) per ciascuna delle quali sono stati individuati limiti demografici minimi (5000 abitanti per la prima, 3000 per le altre due).
Emilia-Romagna. Sull'associazionismo l'Emilia-Romagna batte tutti. Su 348 comuni 270 fanno già parte di Unioni e comunità montane, 45 di forme associate. Le unioni esistenti vanno da un minimo di circa 3.000 abitanti ad un massimo di oltre 120.000 abitanti. Le norme del dl 138 interessano dunque solo tre comuni sotto i mille abitanti, per i quali, assicurano alla regione, si porterà avanti un percorso di associazionismo condiviso.
Basilicata. Ieri la giunta guidata da Vito De Filippo ha approvato una delibera che mantiene a quota 5000 abitanti il limite demografico minimo che l'insieme dei comuni tenuti ad esercitare le funzioni fondamentali in forma associata deve raggiungere. Tutto questo in deroga alla normativa nazionale (art. 14 del dl 78/2010 come modificato dalla manovra di Ferragosto) che invece prevede un limite di 10.000 abitanti.
Veneto. In Veneto la giunta presieduta da Luca Zaia ha messo a punto un ddl su cui il consiglio si pronuncerà il 22 novembre. L'obiettivo è estendere l'obbligo dell'esercizio associato di funzioni e servizi a tutti i comuni sotto i 5.000 abitanti. A seguito di questo provvedimento su 581 comuni (tanti ne conta il Veneto), saranno tenuti a riorganizzarsi 313 enti di cui 8 nella provincia di Venezia, 50 in quella di Padova, 32 a Treviso, 40 a Rovigo, 70 a Vicenza, 52 a Verona.
In provincia di Belluno dovranno riorganizzarsi ben 61 comuni sul totale di 69. Ma l'assessore regionale, Roberto Ciambetti, che ha proposto la legge, è convinto che questa sia la strada giusta. «Ci saranno risparmi in termini di spesa e un guadagno nell'efficienza dei servizi», ha dichiarato a ItaliaOggi, «e lo dimostra l'esperienza maturata in particolar modo nell'area padovana dove in passato si sono sperimentate forme di aggregazione».
Liguria. Ma c'è anche chi come la Liguria, deciderà d'accordo con i comuni quale sia la popolazione minima per costituire le unioni. L'emergenza alluvione ha consigliato di rimandare la scelta, ma intanto la regione ha stanziato contributi da 40 a 80 mila euro per favorire l'associazionismo.
«Vogliamo che questo provvedimento non sia il frutto di un'imposizione dall'alto ma nasca da un processo di partecipazione e condivisione», ha commentato l'assessore regionale alle infrastrutture Raffaella Paita. «È giusto che i comuni si uniscano e migliorino organizzativamente ma ciò deve avvenire avendo presente che la Liguria è un territorio complesso e che deve essere rafforzato il rapporto tra entroterra e costa» (articolo ItaliaOggi del 16.11.2011 - tratto da www.corteconti.it).

GIURISPRUDENZA

EDILIZIA PRIVATALa riduzione in pristino può essere posta in carico anche al proprietario incolpevole, atteso il carattere reale della sanzione edilizia.
Il potere repressivo in materia edilizia –di cui all’art. 27 del DPR 380/2001– non è soggetto a termine o prescrizione e non può pertanto trovare ostacoli per effetto del tempo trascorso dall’effettuazione dell’illecito edilizio.

E' pacifico in giurisprudenza che la riduzione in pristino può essere posta in carico anche al proprietario incolpevole, atteso il carattere reale della sanzione edilizia (cfr. fra le tante TAR Lombardia, sez. II, 29.07.2010, n. 3278).
In merito al lungo tempo che sarebbe trascorso dalla realizzazione dell’abuso, il Collegio non può che richiamare il prevalente indirizzo giurisprudenziale, in forza del quale il potere repressivo in materia edilizia –di cui all’art. 27 del DPR 380/2001– non è soggetto a termine o prescrizione e non può pertanto trovare ostacoli per effetto del tempo trascorso dall’effettuazione dell’illecito edilizio (cfr. da ultimo, TAR Campania, Napoli, sez. III, 17.09.2010, n. 17441) (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 18.11.2011 n. 2786 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIl carattere “precario” di un’opera non dipende dalla relativa facilità della sua rimozione dal terreno, quanto dalla sua concreta destinazione ed utilizzazione, escludendosi di conseguenza tale carattere in caso di prolungata utilizzazione nel tempo.
La giurisprudenza amministrativa ha da tempo chiarito che il carattere “precario” di un’opera non dipende dalla relativa facilità della sua rimozione dal terreno, quanto dalla sua concreta destinazione ed utilizzazione, escludendosi di conseguenza tale carattere in caso di prolungata utilizzazione nel tempo (cfr., fra le tante, TAR Lombardia, Milano, sez. II, 27.06.2011, n. 1720) (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 18.11.2011 n. 2785 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIrrilevante è che l’ingiunzione sia stata rivolta al proprietario del terreno e non al responsabile dell’abuso, visto che l’ordine di demolizione è una sanzione che assume carattere reale, inscindibilmente legata alla proprietà del fondo, sicché può essere rivolta anche al proprietario incolpevole dell’abuso.
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La giurisprudenza, a partire dalla nota sentenza della Corte Costituzionale 345/1991, esclude che l’acquisizione gratuita delle opere abusive e delle aree connesse possa operare a danno del proprietario incolpevole, non autore dell’abuso.

Parimenti irrilevante è che l’ingiunzione sia stata rivolta al proprietario del terreno e non al responsabile dell’abuso, visto che l’ordine di demolizione è una sanzione che assume carattere reale, inscindibilmente legata alla proprietà del fondo, sicché può essere rivolta anche al proprietario incolpevole dell’abuso (cfr. TAR Lombardia, Milano, sez. II, 29.07.2010, n. 3278).
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Il gravame merita invece accoglimento, laddove dispone a carico della proprietaria, in caso di inottemperanza dell’ordine di demolizione, l’acquisizione gratuita al patrimonio comunale dei manufatti abusivi e delle relative aree, in asserita applicazione dell’art. 31 del DPR 380/2001.
La giurisprudenza, infatti, a partire dalla nota sentenza della Corte Costituzionale 345/1991, esclude che l’acquisizione gratuita delle opere abusive e delle aree connesse possa operare a danno del proprietario incolpevole, non autore dell’abuso (cfr. TAR Lombardia, Milano, sez. II, 17.01.2011, n. 77) (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 18.11.2011 n. 2785 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

INCARICHI PROGETTUALI: E' illegittimo l’affidamento dell’incarico (sotto soglia comunitaria) ad un professionista esterno avvenuto in assenza di qualsiasi valutazione. Invero, l'art. 130 del codice dei contratti pubblici dispone in capo alla p.a. un ordine di priorità nell'affidamento dell'incarico di direzione dei lavori: in primo luogo ai propri dipendenti o di altra amministrazione convenzionata, poi al progettista incaricato e, soltanto in via residuale, a soggetti esterni, comunque scelti nel rispetto delle norme comunitarie.
L’impugnato provvedimento (ndr: determina n. 54 del 04.06.2011 del Responsabile del Servizio tecnico comunale tecnico con la quale è stato designato il tecnico, esterno all’amministrazione, cui è stato affidato l’incarico di direttore dei lavori relativi all’adeguamento strutturale ed antisismico della scuola di Gerre de’ Caprioli) risulta, quindi, essere privo della necessaria motivazione, la cui assenza potrebbe avere notevole rilevanza in termini di configurabilità di una fattispecie di responsabilità erariale, per la verifica della sussistenza della quale si ravvisa l’opportunità della trasmissione della presente sentenza alla competente Procura Regionale della Corte dei Conti.

Come chiarito dalla giurisprudenza, per l’affidamento di un incarico di progettazione che non superi la soglia comunitaria, trova applicazione l'art. 130 del codice dei contratti pubblici, che dispone in capo alla p.a. un ordine di priorità nell'affidamento dell'incarico di direzione dei lavori: in primo luogo ai propri dipendenti o di altra amministrazione convenzionata, poi al progettista incaricato e, soltanto in via residuale, a soggetti esterni, comunque scelti nel rispetto delle norme comunitarie (tra le tante TAR Lazio-Roma, sez. II, 10.09.2010, n. 32214).
Ne discende che laddove, come nel caso di specie, l’affidamento dell’incarico ad un professionista esterno sia avvenuta in assenza di qualsiasi valutazione alla luce della sopra richiamata disposizione, il provvedimento non può che essere considerato illegittimo.
Né può condurre a diverse conclusioni il fatto che il Comune, nella propria memoria di costituzione, abbia evidenziato come la scelta del conferimento dell’incarico sia caduta su di un architetto (e, quindi, su di una figura professionale diversa dagli ingegneri che hanno redatto il progetto e dall’ingegnere odierno ricorrente), a causa della natura vincolata del bene e del disposto di cui all’art. 52 comma 2 del Regio Decreto 23.10.1925 n. 2537.
Premesso che, se così fosse, non è dato comprendere come il fatto che la direzione lavori sia affidata ad un architetto (figura professionale individuata come competente rispetto ad opere di edilizia civile che presentano rilevante carattere artistico ed il restauro e il ripristino degli edifici contemplati dalla legge 20.06.1909, n. 364 per l’antichità e le belle arti) potesse garantire il rispetto della norma laddove la progettazione sia stata elaborata da ingegneri, ciò che appare dirimente è che di tale preteso obbligo di legge non è dato alcun conto in sede di conferimento dell’incarico.
L’impugnato provvedimento risulta, quindi, essere privo della necessaria motivazione, la cui assenza potrebbe avere notevole rilevanza in termini di configurabilità di una fattispecie di responsabilità erariale, per la verifica della sussistenza della quale si ravvisa l’opportunità della trasmissione della presente sentenza alla competente Procura Regionale della Corte dei Conti (TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 17.11.2011 n. 1587 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AMBIENTE-ECOLOGIAIn presenza di un fenomeno d'inquinamento acustico, anche se non coinvolgente l'intera collettività, ma solo alcuni cittadini, e in assenza di una norma di legge che preveda un potere di intervento amministrativo ordinario, che consenta di ottenere il risultato dell'immediato abbattimento delle emissioni sonore inquinanti, legittimamente il Comune interviene a tutela della salute pubblica mediante l'adozione di un'ordinanza contingibile e urgente, configurandosi la medesima come strumento costituente espressione della potestà regolatoria, spettante ai Comuni, di conformare l'attività privata al rispetto dei limiti di emissione/immissione acustica nell'ambito del territorio comunale.
Per affrontare correttamente il merito della questione che ha ad oggetto tale provvedimento, peraltro, appare opportuno ricordare l’orientamento della giurisprudenza secondo cui: “In presenza di un fenomeno d'inquinamento acustico, anche se non coinvolgente l'intera collettività, ma solo alcuni cittadini, e in assenza di una norma di legge che preveda un potere di intervento amministrativo ordinario, che consenta di ottenere il risultato dell'immediato abbattimento delle emissioni sonore inquinanti, legittimamente il Comune interviene a tutela della salute pubblica mediante l'adozione di un'ordinanza contingibile e urgente, configurandosi la medesima come strumento costituente espressione della potestà regolatoria, spettante ai Comuni, di conformare l'attività privata al rispetto dei limiti di emissione/immissione acustica nell'ambito del territorio comunale” (così TAR Umbria Perugia, sez. I, 22.10.2010, n. 492 e nel medesimo senso anche TAR Toscana, II, 16.06.2010, n. 1930; TAR Lombardia, Brescia, 02.11.2009, n. 1814; Milano, IV, 02.04.2008, n. 715; TAR Piemonte, I, 02.03.2009, n. 199; TAR Lazio, II, 26.06.2002, n. 5904).
Accertato il superamento dei limiti fissati per le immissioni acustiche, quindi, il Sindaco ben può, in linea di principio, fare ricorso allo strumento straordinario dell’ordinanza contingibile ed urgente, perseguendo l’obiettivo del contemperamento dei contrapposti interessi in gioco (TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 17.11.2011 n. 1585 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIl provvedimento che ingiunge la demolizione e i successivi provvedimenti connessi sono atti vincolati e, quindi, non richiedono una specifica valutazione delle ragioni di interesse pubblico né una comparazione di quest'ultimo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati: presupposto per la loro adozione è, infatti, soltanto la constatata esecuzione dell'opera in assenza della concessione, con la conseguenza che i provvedimenti, ove ricorra il predetto requisito, sono sufficientemente motivati con l'affermazione dell'accertata abusività dell'opera, essendo in re ipsa l'interesse pubblico alla sua rimozione, né, trattandosi di atti del tutto vincolati, è necessaria una comparazione di interessi e una motivazione sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale alla demolizione.
La sanabilità delle opere abusivamente realizzate può e deve essere verificata dall'amministrazione solo su istanza dell'interessato e non d'ufficio (sicché la presentazione di un'istanza di sanatoria successivamente alla notifica dell'ordine di demolizione non incide sulla legittimità di questo, atteso che l'amministrazione non deve procedere ad alcuna verifica circa la conformità agli strumenti urbanistici degli abusi realizzati prima della presentazione dell'apposita istanza).

Il provvedimento che ingiunge la demolizione e i successivi provvedimenti connessi sono atti vincolati e, quindi, non richiedono una specifica valutazione delle ragioni di interesse pubblico né una comparazione di quest'ultimo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati: presupposto per la loro adozione è, infatti, soltanto la constatata esecuzione dell'opera in assenza della concessione, con la conseguenza che i provvedimenti, ove ricorra il predetto requisito, sono sufficientemente motivati con l'affermazione dell'accertata abusività dell'opera, essendo in re ipsa l'interesse pubblico alla sua rimozione, né, trattandosi di atti del tutto vincolati, è necessaria una comparazione di interessi e una motivazione sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale alla demolizione (così, per tutte, TAR Lazio, I, 06.04.2011, n. 3057).
Quanto alla sostanziale conformità dell’opera rispetto alla disciplina urbanistica di zona, si osserva che, per costante giurisprudenza, la sanabilità delle opere abusivamente realizzate può e deve essere verificata dall'amministrazione solo su istanza dell'interessato e non d'ufficio (sicché la presentazione di un'istanza di sanatoria successivamente alla notifica dell'ordine di demolizione non incide sulla legittimità di questo, atteso che l'amministrazione non deve procedere ad alcuna verifica circa la conformità agli strumenti urbanistici degli abusi realizzati prima della presentazione dell'apposita istanza – TAR Campania-Napoli, III, 27.09.2006, n. 8331) (TAR Liguria, Sez. I, sentenza 17.11.2011 n. 1585 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Il criterio della vicinitas, intesa come situazione di stabile collegamento con la zona interessata dall’intervento edilizio, non postula necessariamente l'adiacenza fra gli immobili, essendo sufficiente la semplice prossimità.
Il proprietario o il possessore dell'immobile o il semplice residente o domiciliato nella zona interessata è legittimato a ricorrere in ragione di tale stabile collegamento, idoneo a radicare una posizione d'interesse, differenziata rispetto a quella posseduta dal "quisque de populo", all'impugnazione di una concessione edilizia, a prescindere da ogni indagine sulla sussistenza di un ulteriore, specifico interesse.

Premesso che il criterio della vicinitas, intesa come situazione di stabile collegamento con la zona interessata dall’intervento edilizio, non postula necessariamente l'adiacenza fra gli immobili, essendo sufficiente la semplice prossimità (nel caso di specie pacificamente sussistente), si osserva come, secondo la prevalente giurisprudenza –anche della Sezione- il proprietario o il possessore dell'immobile o il semplice residente o domiciliato nella zona interessata è legittimato a ricorrere in ragione di tale stabile collegamento, idoneo a radicare una posizione d'interesse, differenziata rispetto a quella posseduta dal "quisque de populo", all'impugnazione di una concessione edilizia, a prescindere da ogni indagine sulla sussistenza di un ulteriore, specifico interesse (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 30.11.2009, n. 7491; nello stesso senso cfr. id., V, 07.05.2008, n. 2086; TAR Liguria, I, 18.11.2010, n. 10389) (TAR Liguria, Sez. I, sentenza 17.11.2011 n. 1583 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

PUBBLICO IMPIEGO: Il voto numerico attribuito dalle competenti Commissioni alle prove o ai titoli nell’ambito di un concorso pubblico o di un esame esprime e sintetizza il giudizio tecnico-discrezionale della Commissione stessa –contenendo in sé la sua stessa motivazione, senza bisogno di ulteriori spiegazioni e chiarimenti– atteso che il punteggio, oltre a rispondere al principio di economicità e proporzionalità dell’azione amministrativa, assicura la necessaria graduazione della valutazione di merito compiuta dalla Commissione e consente il sindacato sul potere esercitato.
Il principio sopra espresso incontra il limite della contraddizione manifesta tra specifici elementi di fatto obiettivi, i criteri di massima prestabiliti e la conseguente attribuzione del voto: ove manchino criteri di massima cui raccordare il punteggio assegnato, si può ritenere illegittima la valutazione in forma numerica.
Un giudizio formulato in una procedura selettiva concorsuale –in assenza di commenti specifici ed analitici sui singoli elaborati– non può prescindere dalla preventiva predisposizione di criteri dettagliati, in modo che l’attribuzione del punteggio numerico consenta di evincere gli elementi utili a suffragare la coerenza e l’attendibilità delle conclusioni raggiunte dalla Commissione. L’indicazione numerica, in altri termini, deve essere associata ad un ben individuato sub-criterio, in modo da renderlo oggettivamente percepibile e significativo.

E’ noto l’orientamento del Consiglio di Stato sul voto numerico attribuito dalle competenti Commissioni alle prove o ai titoli nell’ambito di un concorso pubblico o di un esame: esso esprime e sintetizza il giudizio tecnico-discrezionale della Commissione stessa –contenendo in sé la sua stessa motivazione, senza bisogno di ulteriori spiegazioni e chiarimenti– atteso che il punteggio, oltre a rispondere al principio di economicità e proporzionalità dell’azione amministrativa, assicura la necessaria graduazione della valutazione di merito compiuta dalla Commissione e consente il sindacato sul potere esercitato (cfr. per tutte Consiglio di Stato, sez. V – 13/07/2010 n. 4528).
Tuttavia il giudice d’appello ha anche chiarito che il principio sopra espresso incontra il limite della contraddizione manifesta tra specifici elementi di fatto obiettivi, i criteri di massima prestabiliti e la conseguente attribuzione del voto (Consiglio di Stato, sez. VI – 11/02/2011 n. 913), ed ha in particolare sostenuto che –ove manchino criteri di massima cui raccordare il punteggio assegnato– si può ritenere illegittima la valutazione in forma numerica (Consiglio di Stato, sez. VI – 10/09/2009 n. 5447, la quale ha statuito che proprio la mancanza di precisi parametri di riferimento cui correlare il punteggio assegnato impone la necessità di dare motivazione degli elementi ritenuti rilevanti ai fini della sua quantificazione).
Il Collegio rileva che la giurisprudenza –nel dare atto dell'orientamento tradizionale mantenuto dal giudice d'appello in materia di valutazioni degli esami di avvocato (secondo il quale l’onere della motivazione è sufficientemente adempiuto con l'attribuzione di un punteggio numerico)– ha altresì dato conto degli indirizzi del Consiglio di Stato riguardo a procedure concorsuali di diverso tipo (ed in particolare, alle c.d. procedure a numero chiuso), nel senso della possibilità di verificare in concreto e con specifico riferimento alle ulteriori indicazioni rinvenibili nel procedimento, la sufficienza motivazionale del voto numerico (cfr. TAR Umbria – 01/02/2011 n. 41 che richiama, tra le tante, Consiglio di Stato, sez. VI – 08/05/2008 n. 2128; 12/11/2008 n. 5638): si è in particolare affermato che l’esternazione di un voto numerico può essere sufficiente ad adempiere l’onere di motivazione soltanto laddove la Commissione abbia precostituito criteri di valutazione atti a rendere pregnante un giudizio che, altrimenti (cioè, qualora inteso autonomamente, al di fuori di un sistema di riferimento precostituito) risulta apodittico e privo di alcun significato condivisibile al di fuori della percezione del soggetto che lo ha formulato, e quindi di alcun significato oggettivo e sindacabile. E’ stato quindi sottolineato che, in sede di valutazione delle prove scritte nei concorsi a posti di pubblico impiego, la questione del punteggio numerico a fungere da motivazione va risolta non in astratto, ma in concreto, con riguardo ad una serie di aspetti, tra cui la tipologia dei criteri di massima fissati dalla commissione, potendosi ritenere sufficiente il punteggio nel caso in cui siano rigidamente predeterminati e insufficiente nel caso in cui essi si risolvono in espressioni generiche (TAR Liguria, sez. II – 21/04/2011 n. 662).
Ad avviso del Collegio, nell’ottica della trasparenza dell’attività amministrativa, un giudizio formulato in una procedura selettiva concorsuale –in assenza di commenti specifici ed analitici sui singoli elaborati– non può prescindere dalla preventiva predisposizione di criteri dettagliati, in modo che l’attribuzione del punteggio numerico consenta di evincere gli elementi utili a suffragare la coerenza e l’attendibilità delle conclusioni raggiunte dalla Commissione. L’indicazione numerica, in altri termini, deve essere associata ad un ben individuato sub-criterio, in modo da renderlo oggettivamente percepibile e significativo.
Nella prova pratica della selezione in commento l’impostazione delineata è stata disattesa, per l’enucleazione di una pluralità di parametri (ciascuno dei quali privo di un proprio autonomo valore numerico) e per la contestuale formulazione dei punteggi in assenza di spiegazioni o commenti. In aggiunta la valutazione (con riguardo alla tempistica e al numero di errori) è illogica, contrastando con le regole matematiche comunemente utilizzabili
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 17.11.2011 n. 1582 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICA: Sono conformativi i vincoli che hanno la funzione di definire per zone, in via astratta e generale, le possibilità edificatorie connesse al diritto dominicale, mentre sono espropriativi i vincoli incidenti su beni determinati in funzione della localizzazione puntuale di un'opera pubblica e che hanno portata e contenuto direttamente ablatori.
Il vincolo conformativo si distingue da quello espropriativo sulla base delle seguenti caratteristiche, non necessariamente cumulative: a) investe una generalità di beni e di soggetti indipendentemente dal successivo instaurarsi di procedure espropriative; b) destina parti del territorio comunale ad usi pubblici operando nell'ambito della mera zonizzazione; c) consente la realizzazione dell'intervento di interesse pubblico a cura dei privati senza necessità di previa espropriazione; pertanto, si potrebbero qualificare come soltanto conformative tutte le zonizzazioni relative a servizi che costituiscono standard urbanistico quando manchi la contestuale localizzazione di un'opera pubblica specifica o quando sia attribuita ai privati la possibilità di realizzare l'intervento in alternativa all'ente pubblico.

Gli arresti più recenti della Giurisprudenza civile ed amministrativa hanno infatti affermato che “Sono conformativi i vincoli che hanno la funzione di definire per zone, in via astratta e generale, le possibilità edificatorie connesse al diritto dominicale, mentre sono espropriativi i vincoli incidenti su beni determinati in funzione della localizzazione puntuale di un'opera pubblica e che hanno portata e contenuto direttamente ablatori" (Cassazione civile, sez. un., 25.11.2008, n. 28051).
E’ pur vero che una giurisprudenza amministrativa più risalente aveva ritenuto al contrario che “La destinazione di un'area a "standard per urbanizzazione secondaria F2", vale a dire a zona destinata in via preminente alla realizzazione di opere di urbanizzazione secondaria, necessarie all'adeguamento degli standard riferiti al tessuto edilizio esistente (asili nido, scuole, mercati di quartiere, chiese, impianti sportivi, attrezzature culturali e sanitarie, aree verdi di quartiere), implica la sottostante imposizione di un vincolo preordinato alla espropriazione e comportante inedificabilità, con conseguente applicabilità del principio della decadenza quinquennale degli effetti del vincolo medesimo ai sensi dell'art. 2 l. 19.11.1968 n. 1187" (TAR Veneto Venezia, sez. I, 16.04.2003, n. 2405).
Tuttavia, la giurisprudenza più recente, che questo tribunale condivide afferma che “Il vincolo conformativo si distingue da quello espropriativo sulla base delle seguenti caratteristiche, non necessariamente cumulative: a) investe una generalità di beni e di soggetti indipendentemente dal successivo instaurarsi di procedure espropriative; b) destina parti del territorio comunale ad usi pubblici operando nell'ambito della mera zonizzazione; c) consente la realizzazione dell'intervento di interesse pubblico a cura dei privati senza necessità di previa espropriazione; pertanto, si potrebbero qualificare come soltanto conformative tutte le zonizzazioni relative a servizi che costituiscono standard urbanistico quando manchi la contestuale localizzazione di un'opera pubblica specifica o quando sia attribuita ai privati la possibilità di realizzare l'intervento in alternativa all'ente pubblico" (TAR Lombardia Brescia, sez. I, 08.07.2009, n. 1460; Cassazione civile, sez. I, 28.07.2010, n. 17677) (TAR Liguria, Sez. I, sentenza 17.11.2011 n. 1579 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: L'interpretazione dell'atto amministrativo è rimessa alla valutazione del giudice, senza che possano ritenersi vincolanti per quest'ultimo le eventuali indicazioni ermeneutiche provenienti dalla stessa amministrazione, alla quale anzi è precluso, dopo l'adozione di un determinato atto, dare allo stesso una interpretazione autentica, giacché la medesima non può condizionare in ogni caso l'interpretazione del giudice.
L’interpretazione autentica dell'atto amministrativo, intesa quale identificazione del suo contenuto a opera della stessa autorità che lo ha posto in essere, costituisce operazione di per sé non univoca, con due possibilità alternative nel rispetto della regola generale dell'irretroattività degli atti amministrativi: o l'interpretazione è realmente fedele all'atto interpretato, e allora opererà fin dal momento del venir in essere di questo, ovvero se ne discosta e, in tal caso, non potrà operare che per l'avvenire, sempre che l'autorità abbia, nel momento in cui “interpreta”, potestà modificativa.

In linea di principio, va rammentato come l'interpretazione dell'atto amministrativo sia rimessa alla valutazione del giudice, senza che possano ritenersi vincolanti per quest'ultimo le eventuali indicazioni ermeneutiche provenienti dalla stessa amministrazione, alla quale anzi è precluso, dopo l'adozione di un determinato atto, dare allo stesso una interpretazione autentica, giacché la medesima non può condizionare in ogni caso l'interpretazione del giudice (TAR Lombardia, Milano, sez. IV, 20.10.2008, n. 5165; Cons. Stato, Ad. plen., 27.02.2003, n. 3; Cass. civ., sez. II, 15.02.1999, n. 1271).
La giurisprudenza ha anche precisato che l’interpretazione autentica dell'atto amministrativo, intesa quale identificazione del suo contenuto a opera della stessa autorità che lo ha posto in essere, costituisce operazione di per sé non univoca, con due possibilità alternative nel rispetto della regola generale dell'irretroattività degli atti amministrativi: o l'interpretazione è realmente fedele all'atto interpretato, e allora opererà fin dal momento del venir in essere di questo, ovvero se ne discosta e, in tal caso, non potrà operare che per l'avvenire, sempre che l'autorità abbia, nel momento in cui “interpreta”, potestà modificativa (cfr., ex multis, TAR Lombardia, Brescia, 15.03.2007, n. 263) (TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 17.11.2011 n. 1197 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATASul destinatario dell'ordinanza di demolizione opera abusiva.
L’art. 31, comma 2, del d.p.r. 06.06.2001, n.380, prevede che il “Il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale, accertata l'esecuzione di interventi in assenza di permesso, in totale difformità dal medesimo…ingiunge al proprietario e al responsabile dell'abuso la rimozione o la demolizione…”.
La disposizione citata, dunque, non prevede che anche il titolare del diritto di reale di usufrutto debba essere destinatario dell’ordinanza di demolizione, ma prevede che l’ordine debba essere comunicato sia al proprietario sia al responsabile dell’abuso.
Orbene, poiché nella fattispecie non risulta che l’abuso sia stato commesso dal titolare del diritto di usufrutto, ne consegue la correttezza dell’operato dell’ente intimato che ha provveduto alla notifica dell’ordinanza di demolizione e rimessione in pristino nei confronti del sig. ..., che si identificava contemporaneamente quale soggetto titolare del diritto di proprietà e responsabile dell’abuso, non essendo contestata la circostanza che lo stesso sia stato l’autore materiale delle opere
(TAR Basilicata, sentenza 17.11.2011 n. 557 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa realizzazione di una vasca interrata è soggetta a permesso di costruire (già concessione edilizia), in quanto comporta una modificazione in modo apprezzabile del precedente assetto territoriale, tale da avere un significativo rilievo ambientale.
La circostanza che una c.d. vasca serbatoio sia interrata non riduce sostanzialmente la portata dell'incidenza urbanistica per la alterazione del suolo arrecata dagli scavi, dai blocchi di mattoni, dai rivestimenti e dagli eventuali impianti di cui deve essere fornita; tutti, infatti, nel loro complesso assemblaggio, costituiscono vera e propria costruzione per la quale l'assenza di concessione non consente alcuna graduazione della sanzione, essendo applicabile la sola demolizione.

Con specifico riferimento alla realizzazione di una vasca interrata la giurisprudenza ha da tempo chiarito che la stessa è soggetta a permesso di costruire (già concessione edilizia), in quanto comporta una modificazione in modo apprezzabile del precedente assetto territoriale, tale da avere un significativo rilievo ambientale (Consiglio Stato, sez. V, 06.09.1999, n. 1015).
La circostanza che una c.d. vasca serbatoio sia interrata non riduce sostanzialmente la portata dell'incidenza urbanistica per la alterazione del suolo arrecata dagli scavi, dai blocchi di mattoni, dai rivestimenti e dagli eventuali impianti di cui deve essere fornita; tutti, infatti, nel loro complesso assemblaggio, costituiscono vera e propria costruzione per la quale l'assenza di concessione non consente alcuna graduazione della sanzione, essendo applicabile la sola demolizione (TAR Campania Salerno, 30.01.1992, n. 7).
Nella specie, trattandosi di una vasca interrata di rilevanti dimensioni, con un'altezza utile di 3 mt., realizzata con mattoni e blocchi di calcestruzzo, questa era tale da modificare lo stato materiale del suolo con alterazione avente rilievo funzionale.
Ne consegue la corretta applicazione della sanzione prevista dall’art. 31 del d.p.r. n. 380 del 2001
(TAR Basilicata, sentenza 17.11.2011 n. 557 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - APPALTIIl rimedio della regolarizzazione postuma è attivabile solo nelle ipotesi di dichiarazioni, documenti e certificati non chiari o di dubbio contenuto, ma che siano pur sempre stati presentati, e non anche laddove si sia in presenza di documentazione del tutto mancante o fisicamente incompleta, risolvendosi in caso contrario in una palese violazione della par condicio rispetto alle imprese concorrenti che abbiano rispettato la disciplina prevista dalla lex specialis.
Come osservato in giurisprudenza (cfr. TAR Campania Napoli, sez. I, 24.02.2011, n. 1094; TAR Lombardia Milano, sez. I, 11.02.2011, n. 449) il rimedio della regolarizzazione postuma è attivabile solo nelle ipotesi di dichiarazioni, documenti e certificati non chiari o di dubbio contenuto, ma che siano pur sempre stati presentati, e non anche laddove si sia in presenza di documentazione del tutto mancante o fisicamente incompleta (come nel caso di specie), risolvendosi in caso contrario in una palese violazione della par condicio rispetto alle imprese concorrenti che abbiano rispettato la disciplina prevista dalla lex specialis (orientamento consolidato: cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 02.08.2010 n. 5084; Consiglio di Stato, Sez. VI, 18.12.2009 n. 8386; TAR Campania Napoli, Sez. I, 27.05.2010 n. 9649; TAR Trentino Alto Adige Trento, 04.12.2006 n. 390) (TAR Basilicata, sentenza 17.11.2011 n. 549 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: I lavori eseguiti abusivamente sono “lo spianamento, inghiaiamento e rullatura del terreno” con correzione della pendenza del piazzale e l’utilizzo dell’area per il parcheggio di camion. Si tratta quindi di interventi di carattere definitivo comportanti una irreversibile mutazione dello stato dei luoghi con modificazione ontologica della sua destinazione, che richiedono il rilascio della concessione edilizia.
Infatti il bene così trasformato si presta ad un uso non precario e temporaneo, secondo la nozione funzionale di precarietà accolta dalla legge e dalla giurisprudenza edilizio.
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Non solo ogni cambiamento della situazione edilizia preesistente (creazione di nuove costruzioni, ampliamento, modifiche, ristrutturazioni, opere di urbanizzazione, mutamento di destinazione degli edifici, ecc.) ma anche del suolo inteso in tutti i suoi possibili significati costituisce opera soggetta al rilascio di titolo edilizio.

La giurisprudenza ha chiarito che dopo l’art. 1 della legge n. 10/77, che impone di munirsi di concessione edilizia per tutte quelle attività consistenti in una modificazione dello stato materiale e della conformazione del suolo per adattarlo ad un impiego diverso da quello che gli è proprio in relazione alla sua condizione naturale ed alla sua qualificazione giuridica, occorre il rilascio del titolo concessorio allorché lo spargimento di ghiaia su un’area che ne era priva appaia preordinato alla trasformazione permanente del suolo inedificato (cfr., da ultimo, CdS, V, 22.12.2005 n. 7324).
Dagli atti del ricorso RG 125/1998 risulta il verbale di sopralluogo del tecnico comunale in data 22.02.1995 dal quale si desume che i lavori eseguiti sono “lo spianamento, inghiaiamento e rullatura del terreno” con correzione della pendenza del piazzale e l’utilizzo dell’area per il parcheggio di camion. Si tratta quindi di interventi di carattere definitivo comportanti una irreversibile mutazione dello stato dei luoghi con modificazione ontologica della sua destinazione, che richiedono il rilascio della concessione edilizia.
Infatti il bene così trasformato si presta ad un uso non precario e temporaneo, secondo la nozione funzionale di precarietà accolta dalla legge e dalla giurisprudenza edilizio (cfr. Tar Lazio Roma sez. II 03/02/2006 n. 780; Tar Sardegna Sez. II 27/09/2006 n. 2013; Tar Campania Napoli Sez. IV 28/02/2006 n. 2451), ed è incompatibile con gli usi previsti dalla pianificazione dell’area.
In particolare deve escludersi che le suddette opere rientrino nella previsione del DL 27/03/1995 n. 88, art. 8, secondo il quale sono soggette a d.i.a. le occupazioni di suolo mediante deposito di materiali ed esposizioni di merci a cielo libero, come invece affermato dal ricorrente.
Infatti non si tratta di una mera occupazione di suolo bensì una vera e propria trasformazione dello stesso di carattere stabile.
Ne consegue che lo spargimento di ghiaia in questione non poteva essere realizzato senza titolo edilizio e richiedeva in particolare il rilascio di concessione edilizia con la conseguenza che la sanzione demolitoria è legittima.
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Sebbene la realizzazione di un parcheggio non costituisca propriamente una costruzione, l’estensione del controllo edilizio dagli edifici veri e propri, menzionati nel primo comma dell'art. 31 della legge urbanistica n. 1150/1942 come sostituito dall'art. 10 della legge 06.08.1967, n. 765, ad "ogni attività comportante trasformazione urbanistica ed edilizia" fu opera della L. 10/1977, che introdusse una nozione allargata di edilizia comprendente ogni attività che comporti la trasformazione del territorio attraverso la esecuzione di opere comunque attinenti agli aspetti urbanistici ed edilizi, ove il mutamento o l'alterazione abbiano un qualche rilievo ambientale, estetico o anche funzionale. Quindi, non solo ogni cambiamento della situazione edilizia preesistente (creazione di nuove costruzioni, ampliamento, modifiche, ristrutturazioni, opere di urbanizzazione, mutamento di destinazione degli edifici, ecc.) ma anche del suolo inteso in tutti i suoi possibili significati costituisce opera soggetta al rilascio di titolo edilizio.
In secondo luogo le opere realizzate non rientrano nell'attività di straordinaria manutenzione, risanamento, restauro conservativo per la quale era sufficiente, ai sensi dell'art. 48 l. 05.08.1978 n. 457, la semplice autorizzazione del sindaco
(TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 16.11.2011 n. 2757 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

COMPETENZE GESTIONALI: La competenza del legale rappresentante dell'organismo di gestione dell'area naturale protetta a disporre la riduzione in pristino dei luoghi in caso di attività, inclusa quella edilizia, non conforme al regolamento del Parco, al piano per il Parco, o al nulla osta preventivo, trova fondamento nell'art. 29, l. 06.12.1991 n. 394
La competenza del legale rappresentante dell'organismo di gestione dell'area naturale protetta a disporre la riduzione in pristino dei luoghi in caso di attività, inclusa quella edilizia, non conforme al regolamento del Parco, al piano per il Parco, o al nulla osta preventivo, trova fondamento nell'art. 29, l. 06.12.1991 n. 394 ("legge quadro sulle aree protette") (TAR Campania Salerno, sez. II, 22.04.2003, n. 329) (TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 16.11.2011 n. 2757 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: I lavori edilizi che riguardano manufatti abusivi che non siano sanati né condonati non sono assoggettabili al regime nella DIA (anche se astrattamente riconducibili, nella loro oggettività a tale regime), o dell’autorizzazione edilizia, in quanto gli interventi ulteriori ripetono le caratteristiche di illegittimità dell'opera principale alla quale ineriscono.
I lavori edilizi che riguardano manufatti abusivi che non siano sanati, come nel caso in questione, né condonati non sono assoggettabili al regime nella DIA (anche se astrattamente riconducibili, nella loro oggettività a tale regime), o dell’autorizzazione edilizia, in quanto gli interventi ulteriori ripetono le caratteristiche di illegittimità dell'opera principale alla quale ineriscono (Cass. Sez. III n. 34764 del 26.09.2011; TAR Abruzzo Pescara, 19.02.2007, n. 167)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 16.11.2011 n. 2757 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La costruzione abusiva di un manufatto di non trascurabili dimensioni (m. 5.20 x 7.80 e di altezza pari a mt. 3) rientra a pieno titolo tra quelle trasformazioni fisiche del territorio a carattere permanente che l’art. 1 della L. n. 10 del 1977 (all’epoca vigente) assoggettava a previo rilascio della concessione edilizia (ora permesso di costruire).
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La precarietà individuata dalla legge non è determinata dalla caratteristica di costruzione, bensì dall'uso realmente precario e temporaneo del manufatto destinato a fini specifici e limitati nel tempo. Si tratta quindi di un concetto di precarietà funzionale, che si desume dalla funzione, temporanea o stabile, che il manufatto riveste. E’ quindi precario e non richiede titolo edilizio il manufatto che è diretto a soddisfare esigenze specifiche e cronologicamente delimitate.
Solo se l’opera è destinata a dare al costruttore una utilità prolungata, e quindi è di fatto destinata a durare nel tempo, tale manufatto è riconducibile alla nozione di “costruzioni” e, come tali, necessita di un titolo edilizio.
Ne consegue che a nulla rileva, pertanto, che i manufatti non siano stabilmente collegati al suolo e siano facilmente amovibili, dal momento che gli stessi manufatti sono stati destinati ad uso continuativo e durevole nel tempo.
Ugualmente sono irrilevanti le caratteristiche costruttive e al tipo di materiale utilizzato, come, nel caso in giudizio, una struttura metallica e copertura in legno.

La costruzione abusiva di un manufatto di non trascurabili dimensioni (m. 5.20 x 7.80 e di altezza pari a mt. 3) rientra a pieno titolo tra quelle trasformazioni fisiche del territorio a carattere permanente che l’art. 1 della L. n. 10 del 1977 (all’epoca vigente) assoggettava a previo rilascio della concessione edilizia (ora permesso di costruire) (TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez. II, sentenza 28.05.2010 n. 5157).
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La precarietà individuata dalla legge non è determinata dalla caratteristica di costruzione, bensì dall'uso realmente precario e temporaneo del manufatto destinato a fini specifici e limitati nel tempo. Si tratta quindi di un concetto di precarietà funzionale, che si desume dalla funzione, temporanea o stabile, che il manufatto riveste. E’ quindi precario e non richiede titolo edilizio il manufatto che è diretto a soddisfare esigenze specifiche e cronologicamente delimitate.
Solo se l’opera è destinata a dare al costruttore una utilità prolungata, e quindi è di fatto destinata a durare nel tempo, tale manufatto è riconducibile alla nozione di “costruzioni” e, come tali, necessita di un titolo edilizio (cfr. Tar Lazio Roma sez. II 03/02/2006 n. 780; Tar Sardegna Sez. II 27/09/2006 n. 2013; Tar Campania Napoli Sez. IV 28/02/2006 n. 2451).
Ne consegue che a nulla rileva, pertanto, che i manufatti non siano stabilmente collegati al suolo e siano facilmente amovibili, dal momento che gli stessi manufatti sono stati destinati ad uso continuativo e durevole nel tempo.
Ugualmente sono irrilevanti le caratteristiche costruttive e al tipo di materiale utilizzato, come, nel caso in giudizio, una struttura metallica e copertura in legno
(TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 16.11.2011 n. 2756 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Non è necessaria l'acquisizione di alcun parere (della commissione edilizia o della sezione urbanistica regionale), nell'ipotesi in cui si debba procedere alla repressione di un abuso edilizio (non dovendosi procedere a valutazioni tecniche, ma fare applicazione di valutazioni di natura giuridica).
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L'acquisizione da parte del Comune dell'immobile abusivo e dell'area di sedime avviene ipso iure, a seguito dell'emissione dell'ordinanza sindacale di demolizione e dello spirare del novantesimo giorno dalla notifica della stessa all'intimato, ove questi non vi abbia prestato ottemperanza, con la conseguenza che non si tratta di effettuare una scelta discrezionale in merito all’acquisto di un bene al patrimonio comunale, competenza che spetterebbe agli organi politici.
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L'ordine di demolizione di opere edilizie abusive non deve essere preceduto dall'avviso ex art. 7 della L. n. 241/1990, trattandosi di un atto dovuto, che viene emesso quale sanzione per l’accertamento della inosservanza di disposizioni urbanistiche secondo un procedimento di natura vincolata precisamente tipizzato dal legislatore e conseguente disciplinato rigidamente dalla legge.
L’amministrazione non ha l’onere di motivare l’ingiunzione di demolizione comparando l’interesse pubblico a quello privato in quanto non esiste, in caso di abuso, un affidamento del privato degno di tutela da parte dell’ordinamento

La giurisprudenza ha chiarito che non è necessaria l'acquisizione di alcun parere (della commissione edilizia o della sezione urbanistica regionale), nell'ipotesi in cui si debba procedere alla repressione di un abuso edilizio (non dovendosi procedere a valutazioni tecniche, ma fare applicazione di valutazioni di natura giuridica) (cfr. sul punto TAR Campania, Napoli, sez. VI, 27.10.2008, n. 18243; 27.03.2007, n. 2885; 23.06.2005, n. 8579; TAR Campania, Napoli, sez. IV, 26.06.2009, n. 3530; 15.07.2003, n. 8246; TAR Campania, Napoli, sez. IV, 20.04.2010 n. 2057) con conseguente spettanza al Dirigente dei relativi poteri sanzionatori.
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La giurisprudenza ha chiarito che l'ingiunzione di demolizione, prevista dall'art. 7, comma 2, l. n 47 del 1985, deve contenere l'accertamento dell'esecuzione delle opere abusive e il conseguente ordine di demolizione; non è necessario, invece, che precisi quali siano le conseguenze per il caso della sua inosservanza, né tanto meno che identifichi l'area destinata, in tale caso, ad acquisizione gratuita (Consiglio di Stato, sez. V 26.01.2000, n. 341).
L’inserimento della previsione dell’indicazione dell’area da acquisire nell’ordine di demolizione è avvenuta con l’art. 31, c. 2, del DPR 380/2001 secondo il quale “Il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale, accertata l'esecuzione di interventi in assenza di permesso, in totale difformità dal medesimo, ovvero con variazioni essenziali, determinate ai sensi dell’articolo 32, ingiunge al proprietario e al responsabile dell’abuso la rimozione o la demolizione, indicando nel provvedimento l’area che viene acquisita di diritto, ai sensi del comma 3”.
Tuttavia deve escludersi che l’inserimento di tale previsione renda illegittimo l’ordine di demolizione impartito prima dell’entrata in vigore del T.U. Edilizia in quanto si tratta di un elemento aggiuntivo che svolge la funzione di rafforzare le garanzie del cittadino che viene così a sapere delle conseguenze dell’omissione della demolizione.
Ne consegue che l’anticipazione dell’individuazione dell’area da acquisire in caso di inottemperanza non incide sulla legittimità dell’ordine di demolizione, che possiede tutti i requisiti suoi tipici, e non lede la posizione del privato destinatario dell’ordine di demolizione.
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Ai sensi dell'art. 51, comma 3, lett. f), l. 08.06.1990, n. 142, nel testo novellato dall'art. 6, comma 2, l. 15.05.1997, n. 127, rientra nella competenza esclusiva dei dirigenti e non in quella degli organi politici, l’emanazione di atti vincolati e sanzionatori, tra i quali rientra anche l’acquisizione al patrimonio dell’area in caso di omessa demolizione, trattandosi di un accertamento vincolato e di un atto sanzionatorio dell’inottemperanza all’ordine di demolizione (Corte Costituzionale, 15.07.1991, n. 345)
D’altro canto l'acquisizione da parte del Comune dell'immobile abusivo e dell'area di sedime avviene ipso iure, a seguito dell'emissione dell'ordinanza sindacale di demolizione e dello spirare del novantesimo giorno dalla notifica della stessa all'intimato, ove questi non vi abbia prestato ottemperanza (Corte di Cassazione penale, Sez. III, 08.01.2009 (Ud. 19.11.2008), Sent. n. 143), con la conseguenza che non si tratta di effettuare una scelta discrezionale in merito all’acquisto di un bene al patrimonio comunale, competenza che spetterebbe agli organi politici.
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L'ordine di demolizione di opere edilizie abusive non deve essere preceduto dall'avviso ex art. 7 della L. n. 241/1990, trattandosi di un atto dovuto, che viene emesso quale sanzione per l’accertamento della inosservanza di disposizioni urbanistiche secondo un procedimento di natura vincolata precisamente tipizzato dal legislatore e conseguente disciplinato rigidamente dalla legge (Tar Campania, Napoli, sez. IV, 10.12.2007, n. 15871).
A tale conclusione deve giungersi a maggior ragione in un caso come questo, nel quale l’atto è meramente confermativo di altro già emesso e conosciuto dalle ricorrenti.
L’amministrazione non ha l’onere di motivare l’ingiunzione di demolizione comparando l’interesse pubblico a quello privato in quanto non esiste, in caso di abuso, un affidamento del privato degno di tutela da parte dell’ordinamento (v. TAR Campania, Napoli, sez. VI, 30.07.2007 n. 7130)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 16.11.2011 n. 2756 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AMBIENTE-ECOLOGIAL'art. 9, comma 1, l. n. 447/1995, nel prevedere la possibilità di emettere ordinanze contingibili ed urgenti in materia di inquinamento acustico, contiene due elementi di specialità che differenziano le ordinanze stesse rispetto alla disciplina delle ordinanze contingibili ed urgenti genericamente intese: a) il riferimento al carattere "eccezionale" della situazione; b) il riferimento alla "temporaneità" delle misure ordinate;
Pertanto, è illegittima un'ordinanza ex art. 9, comma 1, l. n. 447/1995, nel caso in cui: - la situazione non venga descritta nel provvedimento come "eccezionale"; - non sia dato ravvisare elementi che la connotino come tale; - e le misure ordinate non si connotino come temporanee.

La giurisprudenza, condivisa dal Collegio, ha spiegato che “l'art. 9, comma 1, l. n. 447/1995, nel prevedere la possibilità di emettere ordinanze contingibili ed urgenti in materia di inquinamento acustico, contiene due elementi di specialità che differenziano le ordinanze stesse rispetto alla disciplina delle ordinanze contingibili ed urgenti genericamente intese: a) il riferimento al carattere "eccezionale" della situazione; b) il riferimento alla "temporaneità" delle misure ordinate; pertanto, è illegittima un'ordinanza ex art. 9, comma 1, l. n. 447/1995, nel caso in cui: - la situazione non venga descritta nel provvedimento come "eccezionale"; - non sia dato ravvisare elementi che la connotino come tale; - e le misure ordinate non si connotino come temporanee” (TAR Umbria Perugia, sez. I, 11.11.2008, n. 722) (TAR Lazio-Latina, sentenza 16.11.2011 n. 916 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

VARI: Autovelox vietato nelle strade secondarie.
La Cassazione torna a bacchettare l’uso indiscriminato degli autovelox sulle strade “minori”, nelle quali invece vige l’obbligo della contestazione immediata. Una prassi alimentata dalla crisi finanziaria dei piccoli comuni che in tal modo provano a riequilibrare i bilanci.
L’infrazione del limite di velocità, questa volta, era avvenuta nel territorio del comune di Frascineto, in Calabria, e già il giudice di Pace di Castrovillari, in primo grado, aveva bocciato il verbale per eccesso di velocità, per le modalità di rilevamento utilizzate. Sentenza poi confermata in appello dal tribunale di Castrovillari che aveva ribadito il concetto per cui “non possono essere installati gli apparecchi elettronici di rilevazione su una strada extraurbana secondaria”, quale era quella percorsa dall’automobilista.
Ragionamento sposato anche dalla Suprema Corte, sentenza n. 23882/2011, secondo cui la legge demanda “al prefetto l’individuazione delle strade, o di singoli tratti di esse, diverse dalla autostrade o dalle strade extraurbane principali, nelle quali non è possibile il fermo di un veicolo, ai fini della contestazione immediata delle infrazioni”. La ratio della norma infatti è quella di ammettere il controllo elettronico solo nei casi in cui risulti difficoltoso fermare il veicolo.
In quanto il Dl 121/2002 prevede che sulle autostrade e sulle strade extraurbane principali, gli organi di polizia stradale seguendo le direttive fornite dal ministero dell'Interno possono installare dispositivi o mezzi tecnici di controllo del traffico -di cui deve sempre essere data informazione agli automobilisti  finalizzati al rilevamento a distanza delle violazioni del codice della strada. Mentre l’installazione sulle strade extraurbane secondarie e sulle strade urbane di scorrimento è possibile unicamente quando siano individuate con apposito decreto del prefetto (Corte di Cassazione, Sez. II civile, sentenza 15.11.2011 n. 23882 - link a www.diritto24.ilsole24ore.com).

ATTI AMMINISTRATIVI - URBANISTICA: La vicinitas non è condizione sufficiente per agire in giudizio quando non è inciso il valore di mercato dell’area viciniore.
È acquisizione pacifica che la legittimazione ad agire, nel sistema giurisdizionale amministrativo, può essere riconosciuta solo se alla base sussista un titolo legittimante rappresentato da un interesse peculiare e qualificato.
Sulla base di questo principio cardine, la IV Sez. del Consiglio di Stato, sentenza 15.11.2011 n. 6016, ha ritenuto inammissibile, sotto il profilo della legittimazione ad agire, l’impugnativa dei titoli all’edificazione proposta da un gruppo di soggetti e diretta ad ottenere l’annullamento di una delibera comunale di approvazione di un Programma integrato di intervento edilizio nell’ambito di un’area industriale dimessa.
Sebbene i soggetti abitassero in area vicina (ma estranea) a quella deputata ad ospitare l’intervento edilizio (nella specie di realizzazione di un complesso di edifici a destinazione per la gran parte residenziale e per altra parte terziaria/commerciale), i giudici di palazzo Spada hanno ritenuto non sufficiente il criterio della vicinitas a fondare la richiesta della pronuncia costitutiva di annullamento.
Come già approfondito dal medesimo collegio in altra sede (sent. 8364/2010) in base ai principi generali in materia di condizioni dell’azione, desumibili dall’art. 24, co. 1, Cost. (tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ed interessi legittimi) e dall’art. 100 c.p.c. (per proporre una domanda o per resistere alla stessa occorre avere un interesse), l’azione di annullamento è sottoposta a due fondamentali condizioni:
a) l’interesse processuale che presuppone, nella prospettazione della parte, una lesione dell’interesse sostanziale dedotto in giudizio (cfr. sul punto Cons. Stato, sez. VI, n. 51921/2009);
b) la legittimatio ad causam, costituita dall’essere titolare di un rapporto controverso in relazione all’esercizio del potere pubblico, in virtù del quale viene conferito al soggetto interessato alla contestazione giudiziale una posizione qualificata e differenziata.
In mancanza dell’uno o dell’altro requisito, l’azione è inammissibile, dovendo esservi piena corrispondenza tra titolo (o possibilità giuridica dell’azione) ed interesse sostanziale ad agire.
Nel caso di specie si è riscontrata la carenza di interesse in capo ai cittadini proprietari (e abitanti) di fabbricati siti in area vicina a quella destinata ad ospitare l’insediamento immobiliare di cui al contestato intervento edilizio, in quanto è richiesto quale condizione ulteriore al criterio della vicinitas (ai fini dell’azionabilità in giudizio) che la nuova destinazione urbanistica concernente un’area non appartenente al ricorrente incida direttamente sul godimento o sul valore di mercato dell’area viciniore o comunque su interessi propri e specifici del medesimo esponente. E di tanto l’interessato deve fornire se non una rigorosa dimostrazione, almeno idonei principi di prova.
Nei fatti invece non è stato minimamente dimostrato un eventuale deprezzamento delle proprietà dei ricorrenti (situate, come detto, al di fuori delle aree del PII). Di conseguenza non si è rinvenuta una lesione effettiva e documentata delle facoltà dominicali dei medesimi idonea a sorreggere la predetta impugnativa (commento tratto da www.diritto.it - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIl termine previsto dall'art. 159 D.Lgs. 42/2004, pur essendo perentorio e decorrente dalla ricezione da parte della Sovrintendenza dell’autorizzazione rilasciata e della documentazione tecnico-amministrativa sulla cui base l’autorizzazione è stata adottata, non decorre quando la Soprintendenza ritenga necessario richiedere atti mancanti.
Solo dal momento in cui la Soprintendenza riceva la documentazione completa può quindi computarsi la decorrenza del termine; ulteriori integrazioni istruttorie, purché non si tratti di ingiustificati aggravamenti del procedimento attraverso domande pretestuose, dilatorie o tardive, possono essere richieste dalla Sovrintendenza, e in questo caso l’originario termine di sessanta giorni si prolunga di ulteriori trenta giorni, con la conseguenza che il tempo decorrente dall’originario ricevimento degli atti fino alla richiesta istruttoria sommato a quello successivo che va dal ricevimento della documentazione integrativa richiesta fino all’adozione del provvedimento di annullamento non deve complessivamente essere superiore a novanta giorni.
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L’art. 2 dell’allegato al D.P.C.M. del 12.12.2005, ha indicato i “Criteri per la redazione della relazione paesaggistica”, prevedendo che “la relazione paesaggistica, mediante opportuna documentazione, dovrà dar conto sia dello stato dei luoghi (contesto paesaggistico e area di intervento) prima dell'esecuzione delle opere previste, sia delle caratteristiche progettuali dell'intervento, nonché rappresentare nel modo più chiaro ed esaustivo possibile lo stato dei luoghi dopo l'intervento”.
Il medesimo art. 2 non ha necessariamente richiesto l’inoltro di una documentazione fotografica dello stato dei luoghi, con sovrapposizione delle opere da realizzare, ma ha disposto la trasmissione che consenta l’immediata percepibilità dell’impatto delle opere, con riferimento alla loro specifica localizzazione, alla altezza e alle relative caratteristiche costruttive, rispetto all’ambiente circostante.

Costituisce infatti principio consolidato e condiviso dal Collegio che il termine previsto dall'art. 159 D.Lgs. 42/2004, pur essendo perentorio e decorrente dalla ricezione da parte della Sovrintendenza dell’autorizzazione rilasciata e della documentazione tecnico-amministrativa sulla cui base l’autorizzazione è stata adottata, non decorre quando la Soprintendenza ritenga necessario richiedere atti mancanti.
Solo dal momento in cui la Soprintendenza riceva la documentazione completa può quindi computarsi la decorrenza del termine (per tutte, Cons. Stato, sez. VI, 10.01.2011, n. 43); ulteriori integrazioni istruttorie, purché non si tratti di ingiustificati aggravamenti del procedimento attraverso domande pretestuose, dilatorie o tardive, possono essere richieste dalla Sovrintendenza, e in questo caso –in base alla incontestata normativa di settore, vigente ratione temporis- l’originario termine di sessanta giorni si prolunga di ulteriori trenta giorni, con la conseguenza che il tempo decorrente dall’originario ricevimento degli atti fino alla richiesta istruttoria sommato a quello successivo che va dal ricevimento della documentazione integrativa richiesta fino all’adozione del provvedimento di annullamento non deve complessivamente essere superiore a novanta giorni.
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L’art. 2 dell’allegato al D.P.C.M. del 12.12.2005, ha indicato i “Criteri per la redazione della relazione paesaggistica”, prevedendo che “la relazione paesaggistica, mediante opportuna documentazione, dovrà dar conto sia dello stato dei luoghi (contesto paesaggistico e area di intervento) prima dell'esecuzione delle opere previste, sia delle caratteristiche progettuali dell'intervento, nonché rappresentare nel modo più chiaro ed esaustivo possibile lo stato dei luoghi dopo l'intervento”.
Il medesimo art. 2 non ha necessariamente richiesto l’inoltro di una documentazione fotografica dello stato dei luoghi, con sovrapposizione delle opere da realizzare, ma ha disposto la trasmissione che consenta l’immediata percepibilità dell’impatto delle opere, con riferimento alla loro specifica localizzazione, alla altezza e alle relative caratteristiche costruttive, rispetto all’ambiente circostante
(Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 15.11.2011 n. 6032 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Nell'ipotesi di gara con il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa, è illegittima la clausola di un bando di gara, che svilisca l'elemento economico dell'offerta, attribuendo ad esso un ruolo secondario, se non addirittura irrilevante.
Ferma restando, nel caso di adozione del criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa, la discrezionalità dell'amministrazione di decidere il peso da attribuire all'elemento economico dell'offerta, nonché di stabilire la formula matematica da utilizzare per la sua concreta determinazione, è evidente che deve esistere coerenza logica rispetto al criterio di gara utilizzato oltre che tra le varie disposizioni che regolano la gara. Nell'indicazione delle condizioni minime che devono connotare le offerte, per essere ammissibili, l'amministrazione è libera di indicare tutti i requisiti che ritiene necessari, a garanzia di un elevato standard qualitativo delle offerte che partecipano alla gara; offerte che comunque, superato il vaglio di ammissibilità, saranno valutate da un punto di vista qualitativo per l'attribuzione del punteggio all'uopo previsto.
Ma una volta compiutamente valutati tutti gli aspetti concernenti il livello qualitativo dell'offerta, e determinate le implicazioni che da tale valutazione discendono, il peso che deve essere attribuito all'elemento prezzo non può ulteriormente essere condizionato da una supposta volontà di privilegiare la qualità delle offerte, e deve autonomamente essere valutato e ponderato secondo il peso ad esso assegnato negli atti di gara.
Pertanto, è illegittima l'impugnata previsione del bando di gara, nel caso di specie, che finisce per svilire l'elemento economico dell'offerta attribuendo ad esso un ruolo assolutamente secondario, se non addirittura irrilevante (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 15.11.2011 n. 6023 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: La motivazione del provvedimento amministrativo non può essere integrata nel corso del giudizio con la specificazione di elementi di fatto, dovendo la motivazione precedere e non seguire ogni provvedimento amministrativo individuando con ciò il fondamento della illegittimità della motivazione postuma nella tutela del buon andamento amministrativo e nella esigenza di delimitazione del controllo giudiziario.
La motivazione del provvedimento amministrativo non può essere integrata nel corso del giudizio con la specificazione di elementi di fatto, dovendo la motivazione precedere e non seguire ogni provvedimento amministrativo individuando con ciò il fondamento della illegittimità della motivazione postuma nella tutela del buon andamento amministrativo e nella esigenza di delimitazione del controllo giudiziario (Consiglio di Stato, V, 15.11.2010, n. 8040; TAR Lombardia, Milano, IV, 17.10.2011, n. 2450) (TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 15.11.2011 n. 2749 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La misura dell'area da acquisire, contenuta nell'ordine di demolizione, deve reputarsi meramente indicativa, in quanto la corretta determinazione potrà avvenire soltanto dopo il rituale accertamento, da parte del Comune, dell'inottemperanza all'ingiunzione.
Preme al Collegio richiamare l’orientamento della giurisprudenza, cui la Sezione aderisce, incline a ritenere che la misura dell'area da acquisire, contenuta nell'ordine di demolizione, deve reputarsi meramente indicativa, in quanto la corretta determinazione potrà avvenire soltanto dopo il rituale accertamento, da parte del Comune, dell'inottemperanza all'ingiunzione (allorché sarà avviato, nell'ambito del procedimento sanzionatorio di cui all'art. 31 cit., un sub-procedimento specificamente finalizzato alla precisa individuazione delle aree da acquisire gratuitamente, ai sensi del comma 3 del cit. art. Sul punto, cfr., da ultimo, TAR Lombardia Milano, sez. II, 26.01.2010, n. 175, secondo cui: <<L'indicazione, nel provvedimento di demolizione delle aree che saranno acquisite, ai sensi del comma 2 dell'art. 31, equivale ad una sorta di avvio del procedimento finalizzato all'acquisizione gratuita delle aree (cfr. sul punto TAR Veneto, sez. II, 10.06.2009, n. 1725), per cui l'eventuale riferimento erroneo alle aree da acquisire, contenuto nell'ordine di demolizione, appare irrilevante ai fini della legittimità di quest'ultimo (TAR Lombardia, Milano, sez. II, 20.02.2008, n. 377)>> (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 14.11.2011 n. 2734 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Nel caso di partecipazione ad una gara di appalto di un raggruppamento temporaneo di imprese la polizza fideiussoria deve essere intestata a tutte le imprese componenti il costituendo RTI.
Nel caso di partecipazione alla gara di appalto di un raggruppamento temporaneo di imprese, la polizza fideiussoria deve essere intestata a tutte le imprese componenti il costituendo RTI, al fine di costituire la cauzione provvisoria richiesta per la partecipazione alla gara; infatti, stante il carattere accessorio della garanzia, il fideiussore, nel manifestare in modo espresso la volontà di prestarla, deve anche indicare l'obbligazione principale garantita, il soggetto garantito, nonché le eventuali condizioni e limitazioni soggettive ed oggettive della garanzia rispetto all'obbligazione principale, e tanto in omaggio al principio generale, desumibile dagli artt. 1346 e 1348 c.c., secondo cui, l'oggetto del contratto deve essere determinato o almeno determinabile a pena di nullità. In presenza di un'ATI costituenda, il soggetto garantito non è l'ATI nel suo complesso, non essendo ancora costituita, e neanche la sola capogruppo designata, in quanto la garanzia riguarda tutte le imprese associande che, durante la gara, operano individualmente e responsabilmente nell'assolvimento degli impegni connessi alla partecipazione alla gara, ivi compreso, in caso di aggiudicazione, quello di conferire il mandato collettivo alla impresa designata capogruppo, che stipulerà il contratto con l'Amministrazione.
Pertanto, nel caso di specie, è inidonea la costituzione della cauzione provvisoria mediante polizza intestata alla sola mandataria e non corredata da altra indicazione volta ad identificare l'altra impresa costituente il raggruppamento di imprese e ad estendere il perimetro dell'obbligazione di garanzia anche con riguardo alle condotte della mandante (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 11.11.2011 n. 5959 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

EDILIZIA PRIVATAIn tema di rispetto delle distanze legali tra costruzioni, la sopraelevazione di un edificio preesistente, determinando un incremento della volumetria del fabbricato, è qualificabile come nuova costruzione. Deriva da quanto precede, pertanto, l'applicazione della normativa urbanistica vigente al momento della modifica e l'inoperatività del criterio della prevenzione se riferito alle costruzioni originarie, in quanto sostituito dal principio della priorità temporale correlata al momento della sopraelevazione.
L’istituto della prevenzione, secondo l'interpretazione consolidata del combinato disposto di cui agli art. 873, 875 e 877 c.c., muove dalla circostanza di fatto che, a partire dalla linea di confine, non siano intervenute costruzioni nelle due proprietà sicché, il soggetto che costruisce per primo, potendo scegliere se edificare sul confine o a distanza da esso, condiziona il proprietario del fondo limitrofo che, a propria volta, può scegliere di costruire in aderenza ovvero mantenendo la distanza legale minima prescritta: detta figura non può, quindi, trovare applicazione laddove sui due fondi finitimi, esistano già edifici, come è nel caso sottoposto all’esame del Collegio).
Ne discende, quindi, che il principio della prevenzione non è applicabile quando l'obbligo di osservare un determinato distacco dal confine sia dettato da regolamenti comunali in tema di edilizia e di urbanistica, avuto riguardo al carattere indiscutibilmente cogente di tali fonti normative, da intendersi preordinate alla tutela, oltre che di privati diritti soggettivi, di interessi generali. Proprio in quest'ottica la giurisprudenza ha sottolineato che nel caso in cui i regolamenti edilizi stabiliscano espressamente la necessità di rispettare determinate distanze dal confine non può ritenersi consentita la costruzione in aderenza o in appoggio a meno che tale facoltà non sia consentita come alternativa all'obbligo di rispettare le suddette.

Secondo la giurisprudenza della Corte di Cassazione, condivisa dal Collegio, in tema di rispetto delle distanze legali tra costruzioni, la sopraelevazione di un edificio preesistente, determinando un incremento della volumetria del fabbricato, è qualificabile come nuova costruzione. Deriva da quanto precede, pertanto, l'applicazione della normativa urbanistica vigente al momento della modifica e l'inoperatività del criterio della prevenzione se riferito alle costruzioni originarie, in quanto sostituito dal principio della priorità temporale correlata al momento della sopraelevazione (In applicazione del riferito principio la Suprema Corte ha accertato che la parte, nel trasformare in vano chiuso e coperto il terrazzo a livello posto al primo piano del suo fabbricato, a confine con il fondo della controparte, avrebbe dovuto comunque rispettare la distanza prescritta dallo strumento urbanistico vigente, anche se il nuovo manufatto era contenuto entro l'ingombro orizzontale del piano inferiore) (cfr. Cassazione civile, sez. II, 03.01.2011, n. 74).
E, infatti, l’istituto della prevenzione, secondo l'interpretazione consolidata del combinato disposto di cui agli art. 873, 875 e 877 c.c., muove dalla circostanza di fatto che, a partire dalla linea di confine, non siano intervenute costruzioni nelle due proprietà sicché, il soggetto che costruisce per primo, potendo scegliere se edificare sul confine o a distanza da esso, condiziona il proprietario del fondo limitrofo che, a propria volta, può scegliere di costruire in aderenza ovvero mantenendo la distanza legale minima prescritta: detta figura non può, quindi, trovare applicazione laddove sui due fondi finitimi, esistano già edifici, come è nel caso sottoposto all’esame del Collegio (cfr. Consiglio Stato, sez. V, 24.12.2001, n. 6374).
Ne discende, quindi, che il principio della prevenzione non è applicabile quando l'obbligo di osservare un determinato distacco dal confine sia dettato da regolamenti comunali in tema di edilizia e di urbanistica, avuto riguardo al carattere indiscutibilmente cogente di tali fonti normative, da intendersi preordinate alla tutela, oltre che di privati diritti soggettivi, di interessi generali. Proprio in quest'ottica la giurisprudenza ha sottolineato che nel caso in cui i regolamenti edilizi stabiliscano espressamente la necessità di rispettare determinate distanze dal confine non può ritenersi consentita la costruzione in aderenza o in appoggio a meno che tale facoltà non sia consentita come alternativa all'obbligo di rispettare le suddette distanze (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 13.01.2004, n. 46) (TAR Veneto, Sez. II, sentenza 11.11.2011 n. 1683 -  link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAL'annullamento in sede giurisdizionale del diniego di concessione edilizia comporta l'obbligo per il Comune di riesaminare l'originaria domanda applicando la disciplina urbanistica vigente al momento in cui la sentenza è stata notificata o comunicata in via amministrativa, con la conseguenza che se, da un lato, occorre tenere conto dell'eventuale disciplina pianificatoria sopravvenuta in corso di giudizio, dall'altro, sono inopponibili all'interessato le variazioni dello strumento urbanistico sopravvenute alla notificazione o alla comunicazione in via amministrativa della sentenza di annullamento.
E' stato costantemente affermato il principio per cui l'annullamento in sede giurisdizionale del diniego di concessione edilizia comporta l'obbligo per il Comune di riesaminare l'originaria domanda applicando la disciplina urbanistica vigente al momento in cui la sentenza è stata notificata o comunicata in via amministrativa, con la conseguenza che se, da un lato, occorre tenere conto dell'eventuale disciplina pianificatoria sopravvenuta in corso di giudizio, dall'altro, sono inopponibili all'interessato le variazioni dello strumento urbanistico sopravvenute alla notificazione o alla comunicazione in via amministrativa della sentenza di annullamento (cfr. Ad. Plenaria 8.1. n. 1; Cons. Stato, sez. IV, 14.01.1997, n. 5; Cons. Stato, sez. V, 13.11.1995, n. 1551; Cons. Stato, sez. IV, 10.11.1998, n. 1471; Cons. Stato, sez. V, 22.02.2002 n. 1079; TAR Campania, Napoli, sez. II, 17.05.2004, n. 8803) (TAR Veneto, Sez., II, sentenza 11.11.2011 n. 1681 -  link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: L'ordine di demolizione di opera edilizia abusiva è sufficientemente motivato con l'affermazione dell'accertata abusività dell'opera, richiedendosi una motivazione specifica solo nel caso in cui, per il protrarsi e il lungo lasso di tempo trascorso dalla commissione dell'abuso e il protrarsi della inerzia dell'Amministrazione preposta alla vigilanza, si sia ingenerata una posizione di affidamento nel privato, ipotesi questa in cui è ravvisabile un onere di congrua motivazione che, avuto riguardo anche alla entità e alla tipologia dell'abuso, indichi il pubblico interesse, diverso da quello al ripristino della legalità, idoneo a giustificare il sacrificio del contrapposto interesse privato.
Secondo l’orientamento giurisprudenziale condiviso dal Collegio, “l'ordine di demolizione di opera edilizia abusiva è sufficientemente motivato con l'affermazione dell'accertata abusività dell'opera, richiedendosi una motivazione specifica solo nel caso in cui, per il protrarsi e il lungo lasso di tempo trascorso dalla commissione dell'abuso e il protrarsi della inerzia dell'Amministrazione preposta alla vigilanza, si sia ingenerata una posizione di affidamento nel privato, ipotesi questa in cui è ravvisabile un onere di congrua motivazione che, avuto riguardo anche alla entità e alla tipologia dell'abuso, indichi il pubblico interesse, diverso da quello al ripristino della legalità, idoneo a giustificare il sacrificio del contrapposto interesse privato” (così, da ultimo, C.d.S. IV, 12.04.2011, n. 2266) (TAR Veneto, Sez. II, sentenza 11.11.2011 n. 1680 -  link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVIIl potere di cui all'art. 54 del D.lgs. n. 267/2000, in base al quale il Sindaco, nella sua qualità di ufficiale di Governo, "adotta, con atto motivato e nel rispetto dei principi generali dell'ordinamento giuridico, provvedimenti contingibili ed urgenti" è esercitabile solo quando si tratti di affrontare situazioni eccezionali ed imprevedibili, costituenti concreta minaccia per la pubblica incolumità.
È ius receptum che l'ordinanza contingibile e urgente debba contenere una specifica e puntuale motivazione circa la sussistenza in concreto degli elementi giustificativi dell'esercizio del potere, con indicazione dell'istruttoria compiuta e dei presupposti di fatto considerati, posto che il potere di emanare tale tipologia di atti presuppone la necessità di provvedere, con immediatezza, in relazione a situazioni di natura eccezionale ed imprevedibile, cui sia impossibile far fronte con gli strumenti ordinari apprestati dall'ordinamento.
Il ricorso al potere di ordinanza contingibile ed urgente non può assumere, in relazione al suo scopo, carattere di continuità e stabilità di effetti divenendo suscettibile di stabile regolazione delle situazioni cui si riferisce.

Secondo il costante e consolidato orientamento della giurisprudenza, condiviso dal Collegio, il potere di cui all'art. 54 del D.lgs. n. 267/2000, in base al quale il Sindaco, nella sua qualità di ufficiale di Governo, "adotta, con atto motivato e nel rispetto dei principi generali dell'ordinamento giuridico, provvedimenti contingibili ed urgenti" è esercitabile solo quando si tratti di affrontare situazioni eccezionali ed imprevedibili, costituenti concreta minaccia per la pubblica incolumità (cfr. da ultimo TAR Abruzzo, L’Aquila, 15.03.2011, n. 134).
È, inoltre, ius receptum che l'ordinanza contingibile e urgente debba contenere una specifica e puntuale motivazione circa la sussistenza in concreto degli elementi giustificativi dell'esercizio del potere, con indicazione dell'istruttoria compiuta e dei presupposti di fatto considerati, posto che il potere di emanare tale tipologia di atti presuppone la necessità di provvedere, con immediatezza, in relazione a situazioni di natura eccezionale ed imprevedibile, cui sia impossibile far fronte con gli strumenti ordinari apprestati dall'ordinamento.
Va, inoltre, evidenziato che il ricorso al potere di ordinanza contingibile ed urgente non può assumere, in relazione al suo scopo, carattere di continuità e stabilità di effetti divenendo suscettibile di stabile regolazione delle situazioni cui si riferisce (cfr. TAR Veneto, sez. III, 23.03.2011, n. 487; TAR Toscana, sez. II, 24.08.2010, n. 4876).
Merita, da ultimo, di essere rammentato che l’orientamento giurisprudenziale condiviso dal Collegio ha trovato conferma anche nella recente sentenza della Corte Costituzionale n. 115 del 07.04.2011 che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 54, comma 4, del decreto legislativo 18.08.2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali), come sostituito dall’art. 6 del decreto-legge 23.05.2008, n. 92 (Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 24.07.2008, n. 125, nella parte in cui comprende la locuzione «anche» prima delle parole «contingibili e urgenti», così consentendo che il Sindaco, quale ufficiale del Governo, adotti provvedimenti a «contenuto normativo ed efficacia a tempo indeterminato», al fine di prevenire e di eliminare gravi pericoli che minaccino la sicurezza urbana, anche fuori dai casi di contingibilità e urgenza.
Il Giudice delle leggi ha affermato che “contingibilità e urgenza, infatti, dovrebbero rappresentare «presupposto, condizione e limite» per una disciplina che consenta il superamento, sia pure nell’ambito dei principi generali dell’ordinamento, delle disposizioni vigenti in rapporto ad una determinata materia, e che attribuisca un potere siffatto «in capo ad un organo monocratico, in luogo di quello ordinariamente deputato». Per tale ragione, le norme in materia di ordinanze dovrebbero assicurare indefettibilmente il contenuto provvedimentale delle medesime, in rapporto all’obbligo di motivazione e all’efficacia nel tempo” (cfr. Corte Cost. 07.04.2011, n. 115) (TAR Veneto, Sez., II, sentenza 11.11.2011 n. 1673 -  link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Sul silenzio-rifiuto che si forma a fronte dell'inerzia della P.A. su di un'istanza presentata.
Per costante giurisprudenza, il particolare meccanismo del silenzio-rifiuto è diretto ad accertare se l’inerzia serbata dall’Amministrazione sull’istanza del privato si ponga in violazione dell’obbligo di adottare un provvedimento esplicito –richiesto con l’istanza stessa–, derivando l’obbligo di provvedere, di regola, da una norma di legge o di regolamento, ma potendosi talora desumere anche da prescrizioni di carattere generale o dai principi dell’ordinamento che regolano l’azione amministrativa, sicché può originare dal rispetto del principio di imparzialità o trovare fondamento nel principio di buon andamento dell’azione amministrativa o nel principio di legalità della stessa azione amministrativa, tanto da apparire suscettibile di configurazione in tutte quelle fattispecie particolari nelle quali ragioni di giustizia ed equità impongano l’adozione di un provvedimento, cioè in tutte quelle ipotesi in cui, in relazione al dovere di correttezza e di buona amministrazione della parte pubblica, sorga per il privato una legittima aspettativa a conoscere il contenuto e le ragioni delle determinazioni, qualunque esse siano, dell’organo interpellato (v., ex multis, TAR Puglia, Lecce, Sez. I, 12.05.2011 n. 830) (TAR Emilia Romagna-Parma, sentenza 10.11.2011 n. 399 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVA: L'attività amministrativa, alla quale gli artt. 22 e 23 della legge n. 241 del 1990 correlano il diritto d'accesso, ricomprende, non solo, quella di diritto amministrativo, ma, anche quella di diritto privato posta in essere dai soggetti gestori di pubblici servizi che, pur non costituendo direttamente gestione del servizio stesso, sia collegata a quest'ultima da un nesso di strumentalità derivante anche, sul versante soggettivo, dalla intensa conformazione pubblicistica.
La Sezione ritiene di non doversi discostare dal prevalente orientamento della giurisprudenza amministrativa secondo cui l'attività amministrativa, alla quale gli artt. 22 e 23 della legge n. 241 del 1990 correlano il diritto d'accesso, ricomprende, non solo, quella di diritto amministrativo, ma, anche quella di diritto privato posta in essere dai soggetti gestori di pubblici servizi che, pur non costituendo direttamente gestione del servizio stesso, sia collegata a quest'ultima da un nesso di strumentalità derivante anche, sul versante soggettivo, dalla intensa conformazione pubblicistica (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 26.01.2006, n. 229; idem, n. 4152/2002; n. 2855/2002; n. 67/2002; n. 654/2001; TAR Lombardia Brescia, 14.03.2005, n. 159; TAR Lombardia Milano, Sez. I, 05.08.2004, n. 3292, TAR Lombardia Milano 21.11.2007 n. 6406; TAR Piemonte Torino, sez. II, 06.03.2009, n. 655; TAR Marche Ancona, sez. I, 12.11.2008, n. 1880) (TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 09.11.2011 n. 2702 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIL’art. 46, comma 1-bis, del D.L.vo 12.04.2006, n. 163 ha introdotto il principio della tassatività delle cause di esclusione dei soggetti partecipanti agli esperimenti indetti dalla P.A, prevedendo la possibilità di comminare l’esclusione solo “nei casi di incertezza assoluta sul contenuto o sulla provenienza dell’offerta, per difetto di sottoscrizione o di altri elementi essenziali ovvero in caso di non integrità del plico contenente l'offerta o la domanda di partecipazione o altre irregolarità relative alla chiusura dei plichi, tali da far ritenere, secondo le circostanze concrete, che sia stato violato il principio di segretezza delle offerte” e che “i bandi e le lettere di invito non possono contenere ulteriori prescrizioni a pena di esclusione” e “dette prescrizioni sono comunque nulle”.
In base a tale norma, è oggi possibile comminare l’esclusione da una gara solo ove vi sia incertezza in ordine alla provenienza della domanda, al suo contenuto o alla sigillazione dei plichi e che ogni altra ragione di non partecipazione agli incanti non può essere prevista, a pena di nullità della disposizione del bando o della lettera d’invito.

L’art. 46, comma 1-bis, del D.L.vo 12.04.2006, n. 163, aggiunto dall’art. 4, 2 comma, n. 2, lett. d) del D.L. n. 70 del 2011, convertito con modificazioni nella L. 12.07.2011, n. 106, ha introdotto il principio della tassatività delle cause di esclusione dei soggetti partecipanti agli esperimenti indetti dalla P.A, prevedendo la possibilità di comminare l’esclusione solo “nei casi di incertezza assoluta sul contenuto o sulla provenienza dell’offerta, per difetto di sottoscrizione o di altri elementi essenziali ovvero in caso di non integrità del plico contenente l'offerta o la domanda di partecipazione o altre irregolarità relative alla chiusura dei plichi, tali da far ritenere, secondo le circostanze concrete, che sia stato violato il principio di segretezza delle offerte” e che “i bandi e le lettere di invito non possono contenere ulteriori prescrizioni a pena di esclusione” e “dette prescrizioni sono comunque nulle”.
In base a tale norma, in definitiva, è oggi possibile comminare l’esclusione da una gara solo ove vi sia incertezza in ordine alla provenienza della domanda, al suo contenuto o alla sigillazione dei plichi e che ogni altra ragione di non partecipazione agli incanti non può essere prevista, a pena di nullità della disposizione del bando o della lettera d’invito (cfr. in tal senso e da ultimo TAR Liguria, sez. II, 22.09.2011, n. 1396, e TAR Veneto, sez. I, 13.09.2011, n. 1376) (TAR Abruzzo-Pescara, sentenza 09.11.2011 n. 632 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICA: Le scelte effettuate dall’Amministrazione all’atto dell’adozione del P.R.G. costituiscono apprezzamento di merito sottratte al sindacato di legittimità di questo Giudice, salvo che siano inficiate da errori di fatto o da grave illogicità o contraddittorietà; tali scelte, non necessitano, inoltre, di apposita motivazione, oltre quella che si può evincere dai criteri generali -di ordine tecnico discrezionale- seguiti per l’impostazione del piano stesso, essendo sufficiente l’espresso riferimento alla relazione di accompagnamento al progetto di modificazione al p.r.g., salvo che particolari situazioni non abbiano creato aspettative o affidamenti in favore di soggetti le cui posizioni appaiono meritevoli di specifiche considerazioni. Cioè nell’emanare nuove previsioni urbanistiche, l’Amministrazione ha l’onere di fornire una specifica motivazione sulla destinazione di singole zone solo quando tale destinazione incida, in senso peggiorativo, su situazioni meritevoli di particolari considerazioni o per la singolarità del sacrificio imposto al privato o per la preesistenza di legittime aspettative in quest’ultimo ingenerate; mentre tale motivazione non è necessaria ove si tratti semplicemente di modificare la precedente destinazione urbanistica, trattandosi in tal caso di generica aspettativa alla precedente utilizzazione più proficua dell’immobile.
Né ugualmente una specifica motivazione deve giustificare il rigetto delle osservazioni proposte dai privati in sede di formazione del piano regolatore, in quanto le osservazioni formulate dai proprietari interessati costituisconono un mero apporto collaborativo alla formazione degli strumenti urbanistici e non danno luogo a peculiari aspettative, essendo al riguardo sufficiente che esse siano state esaminate e ragionevolmente ritenute in contrasto con gli interessi e le considerazioni generali poste a base della formazione del piano regolatore o della sua variante.
In sede di sindacato di legittimità delle scelte di piano la giurisprudenza ha costantemente affermato che tali scelte effettuate dall’Amministrazione all’atto dell’approvazione del piano regolatore generale costituiscono apprezzamento di merito sottratto in via generale al sindacato di legittimità del Giudice amministrativo a meno che non siano inficiate da errori di fatto o da abnormi illogicità. Poiché, infatti, l’Amministrazione comunale ha un’ampia discrezionalità nel definire la tipologia delle utilizzazioni delle singole parti del territorio, le scelte effettuate non sono sindacabili da questo Giudice, salvo che risultino incoerenti con l’impostazione di fondo dell’intervento pianificatorio o siano manifestamente incompatibili con le caratteristiche oggettive del territorio.
In particolare, è stato anche precisato che in sede di previsione di zona di piano regolatore, la valutazione dell’idoneità di un immobile a soddisfare determinati interessi pubblici piuttosto che altri, non può essere censurata neanche per disparità di trattamento basato sulla sola comparazione con la destinazione impressa agli immobili adiacenti; per cui nell’impugnazione di un piano regolatore generale non è configurabile il vizio di eccesso di potere per disparità di trattamento, non essendo possibile individuare in via generale situazioni identiche sia sul piano soggettivo, che sul piano oggettivo.

Secondo il costante orientamento della giurisprudenza, le scelte effettuate dall’Amministrazione all’atto dell’adozione del P.R.G. costituiscono apprezzamento di merito sottratte al sindacato di legittimità di questo Giudice, salvo che siano inficiate da errori di fatto o da grave illogicità o contraddittorietà (così, per tutti e da ultimo, Cons. St., sez. IV, 12.01.2011, n. 133); tali scelte, non necessitano, inoltre, di apposita motivazione, oltre quella che si può evincere dai criteri generali -di ordine tecnico discrezionale- seguiti per l’impostazione del piano stesso, essendo sufficiente l’espresso riferimento alla relazione di accompagnamento al progetto di modificazione al p.r.g., salvo che particolari situazioni non abbiano creato aspettative o affidamenti in favore di soggetti le cui posizioni appaiono meritevoli di specifiche considerazioni. Cioè nell’emanare nuove previsioni urbanistiche, l’Amministrazione ha l’onere di fornire una specifica motivazione sulla destinazione di singole zone solo quando tale destinazione incida, in senso peggiorativo, su situazioni meritevoli di particolari considerazioni o per la singolarità del sacrificio imposto al privato o per la preesistenza di legittime aspettative in quest’ultimo ingenerate; mentre tale motivazione non è necessaria ove si tratti semplicemente di modificare la precedente destinazione urbanistica, trattandosi in tal caso di generica aspettativa alla precedente utilizzazione più proficua dell’immobile.
Né ugualmente una specifica motivazione deve giustificare il rigetto delle osservazioni proposte dai privati in sede di formazione del piano regolatore, in quanto le osservazioni formulate dai proprietari interessati costituisconono un mero apporto collaborativo alla formazione degli strumenti urbanistici e non danno luogo a peculiari aspettative, essendo al riguardo sufficiente che esse siano state esaminate e ragionevolmente ritenute in contrasto con gli interessi e le considerazioni generali poste a base della formazione del piano regolatore o della sua variante (Cons. St., sez. III, 26.08.2010, n. 3146, sez. IV, 15.09.2010, n. 6911, e TAR Lazio, sede Roma sez. II, 02.03.2011, n. 1950).
Con riferimento a quanto sopra esposto, deve, in definitiva, evidenziarsi che in sede di sindacato di legittimità delle scelte di piano la giurisprudenza ha costantemente affermato che tali scelte effettuate dall’Amministrazione all’atto dell’approvazione del piano regolatore generale costituiscono apprezzamento di merito sottratto in via generale al sindacato di legittimità del Giudice amministrativo a meno che non siano inficiate da errori di fatto o da abnormi illogicità. Poiché, infatti, l’Amministrazione comunale ha un’ampia discrezionalità nel definire la tipologia delle utilizzazioni delle singole parti del territorio, le scelte effettuate non sono sindacabili da questo Giudice, salvo che risultino incoerenti con l’impostazione di fondo dell’intervento pianificatorio o siano manifestamente incompatibili con le caratteristiche oggettive del territorio.
In particolare, è stato anche precisato che in sede di previsione di zona di piano regolatore, la valutazione dell’idoneità di un immobile a soddisfare determinati interessi pubblici piuttosto che altri, non può essere censurata neanche per disparità di trattamento basato sulla sola comparazione con la destinazione impressa agli immobili adiacenti (Cons. St., sez. IV, 21.04.2010, n. 2264, e 18.06.2009 n. 4024); per cui nell’impugnazione di un piano regolatore generale non è configurabile il vizio di eccesso di potere per disparità di trattamento, non essendo possibile individuare in via generale situazioni identiche sia sul piano soggettivo, che sul piano oggettivo (TAR Abruzzo-Pescara, sentenza 09.11.2011 n. 628 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICA: La variante di un piano regolatore che conferisce nuova destinazione ad aree che risultino già urbanisticamente classificate necessita di apposita motivazione solo quando le classificazioni preesistenti siano assistite da specifiche aspettative, in capo ai rispettivi titolari, fondate su atti di contenuto concreto, nel senso che deve trattarsi di scelte che incidano su particolari situazioni di affidamento, come quelle derivanti da un piano di lottizzazione approvato, da un giudicato di annullamento di un diniego di concessione edilizia o dalla reiterazione di un vincolo scaduto.
Le osservazioni formulate dai proprietari interessati costituiscono un mero apporto collaborativo alla formazione degli strumenti urbanistici e non danno luogo a peculiari aspettative, con la conseguenza che il loro rigetto non richiede una dettagliata motivazione, essendo sufficiente che siano state esaminate e ragionevolmente ritenute in contrasto con gli interessi e le considerazioni generali poste a base della formazione del piano regolatore o della sua variante, e che il merito della scelta relativa alla localizzazione di un’opera pubblica è sottratto al sindacato del giudice amministrativo, salvo profili di illogicità, travisamento e contraddittorietà, onde nella localizzazione dell’intervento l’Amministrazione non è tenuta a fornire le specifiche ragioni della scelta di un luogo piuttosto di un altro, rimanendo inibita al sindacato giurisdizionale sull’eccesso di potere ogni possibilità di sovrapporre una nuova graduazione di interessi in conflitto alla valutazione che di essi sia stata già compiuta dall’organo competente, in quanto profilo attinente alla discrezionalità tecnica e, quindi, al merito dell’azione amministrativa, salvo che la scelta risulti manifestamente illogica o abnorme e tale vizio sia rilevabile prima facie.

Come è noto, la variante di un piano regolatore che conferisce nuova destinazione ad aree che risultino già urbanisticamente classificate necessita di apposita motivazione solo quando le classificazioni preesistenti siano assistite da specifiche aspettative, in capo ai rispettivi titolari, fondate su atti di contenuto concreto, nel senso che deve trattarsi di scelte che incidano su particolari situazioni di affidamento, come quelle derivanti da un piano di lottizzazione approvato, da un giudicato di annullamento di un diniego di concessione edilizia o dalla reiterazione di un vincolo scaduto (v., ex multis, Cons. Stato, Sez. IV, 04.05.2010 n. 2545); dal che, nella circostanza, la sufficienza di indicazioni generali circa le ragioni di pubblico interesse addotte a giustificazione del mutamento della qualificazione urbanistica della zona interessata dalla localizzazione dell’opera pubblica.
Va premesso che, per costante giurisprudenza, le osservazioni formulate dai proprietari interessati costituiscono un mero apporto collaborativo alla formazione degli strumenti urbanistici e non danno luogo a peculiari aspettative, con la conseguenza che il loro rigetto non richiede una dettagliata motivazione, essendo sufficiente che siano state esaminate e ragionevolmente ritenute in contrasto con gli interessi e le considerazioni generali poste a base della formazione del piano regolatore o della sua variante (v., ex multis, TAR Lombardia, Milano, Sez. III, 21.12.2010 n. 7636), e che il merito della scelta relativa alla localizzazione di un’opera pubblica è sottratto al sindacato del giudice amministrativo, salvo profili di illogicità, travisamento e contraddittorietà, onde nella localizzazione dell’intervento l’Amministrazione non è tenuta a fornire le specifiche ragioni della scelta di un luogo piuttosto di un altro, rimanendo inibita al sindacato giurisdizionale sull’eccesso di potere ogni possibilità di sovrapporre una nuova graduazione di interessi in conflitto alla valutazione che di essi sia stata già compiuta dall’organo competente, in quanto profilo attinente alla discrezionalità tecnica e, quindi, al merito dell’azione amministrativa, salvo che la scelta risulti manifestamente illogica o abnorme e tale vizio sia rilevabile prima facie (v., tra le altre, TRGA Trentino Alto Adige, Trento, 07.04.2010 n. 104) (TAR Emilia Romagna-Parma, sentenza 08.11.2011 n. 381 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Il rilascio del permesso di costruire obbliga alla corresponsione di un contributo commisurato in parte all’incidenza degli oneri di urbanizzazione e in parte al costo di costruzione, avendo gli oneri di urbanizzazione lo scopo di ridistribuire i costi sociali delle opere rese necessarie dall’aggravamento del carico urbanistico che il nuovo intervento determina e atteggiandosi il costo di costruzione come l’espressione dell’incremento di valore della proprietà immobiliare privata per effetto dell’utilizzazione edificatoria del territorio; ove, però, il titolare del permesso di costruire si impegni a realizzare in tutto o in parte le opere di urbanizzazione, i relativi oneri vengono proporzionalmente scomputati dal contributo dovuto, tenendosi a tale fine conto delle percentuali di incidenza fissate a livello comunale sulla base delle apposite tabelle regionali.
Al diverso aspetto del reperimento delle aree necessarie alla realizzazione delle opere di urbanizzazione –ove imposto al privato– attiene poi la c.d. “monetizzazione” sostitutiva dell’obbligatoria cessione degli standard, che è dunque cosa diversa dallo “scomputo” spettante sugli oneri di urbanizzazione in conseguenza della realizzazione diretta delle relative opere.

A norma dell’art. 16 del d.P.R. n. 380 del 2001 (e del pregresso art. 3 della legge n. 10 del 1977), il rilascio del permesso di costruire (in precedenza, concessione edilizia) obbliga alla corresponsione di un contributo commisurato in parte all’incidenza degli oneri di urbanizzazione e in parte al costo di costruzione, avendo gli oneri di urbanizzazione –la cui incidenza è stabilita in sede locale sulla base di tabelle parametriche regionali– lo scopo di ridistribuire i costi sociali delle opere rese necessarie dall’aggravamento del carico urbanistico che il nuovo intervento determina e atteggiandosi il costo di costruzione come l’espressione dell’incremento di valore della proprietà immobiliare privata per effetto dell’utilizzazione edificatoria del territorio; ove, però, il titolare del permesso di costruire si impegni a realizzare in tutto o in parte le opere di urbanizzazione, i relativi oneri vengono proporzionalmente scomputati dal contributo dovuto, tenendosi a tale fine conto delle percentuali di incidenza fissate a livello comunale sulla base delle apposite tabelle regionali.
Al diverso aspetto del reperimento delle aree necessarie alla realizzazione delle opere di urbanizzazione –ove imposto al privato– attiene poi la c.d. “monetizzazione” sostitutiva dell’obbligatoria cessione degli standard, che è dunque cosa diversa dallo “scomputo” spettante sugli oneri di urbanizzazione in conseguenza della realizzazione diretta delle relative opere (v., tra le altre, Cons. Stato, Sez. IV, 16.02.2011 n. 1013)  (TAR Emilia Romagna-Parma, sentenza 08.11.2011 n. 380 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZI: Appalti di servizi, per prestazioni specifiche ok a bandi più rigidi. Ragionevole l'esclusione per mancata allegazione dei requisiti di affidabilità.
E' legittima, non contrastando con i canoni di ragionevolezza, proporzionalità e massima partecipazione alle procedure di evidenza pubblica, la clausola del bando di gara per l'affidamento dell'appalto del servizio di trasporto scolastico che prevede, a pena di esclusione, la produzione di un titolo idoneo allo svolgimento di un'attività intimamente connessa all'oggetto dell'appalto.

La ricorrente ha impugnato, oltre al resto, il provvedimento con cui la stazione appaltante aveva disposto la sua esclusione da una gara di appalto per l’affidamento del servizio di trasporto scolastico.
Nello specifico, ha eccepito l’illegittimità della clausola del bando di gara con cui era stata prevista, a pena di esclusione, la produzione di un titolo idoneo per lo svolgimento dell’attività dell’oggetto dell’appalto.
In particolare, di un contratto di locazione o di un certificato di proprietà attestante la disponibilità di un deposito a uso rimessa, ubicato a una certa distanza dalla sede di espletamento del servizio di trasporto scolastico.
Depositate le memorie dalle parti in causa in vista della Camera di consiglio, il Collegio lombardo, con sentenza in forma semplificata, ha, in punto di rito, rilevato di non poter ammettere la memoria e i documenti depositati dalla controinteressata, aggiudicatrice dell’appalto, in quanto tardive rispetto al termine dimidiato di 1 giorno libero (da calcolare a ritroso dalla data della Camera di consiglio), ai sensi dell’art. 55, comma 5, 119 e 120 del Codice del processo amministrativo (allo stesso modo, TAR Lombardia, Brescia, Sez. II, 13.05.2011 n. 693).
Ha precisato, infatti, che nel calcolo "a ritroso" dei termini, l’assegnazione di un intervallo minimo prima del quale deve essere compiuta un’attività processuale comporta l’impossibilità di prorogare al primo giorno seguente non festivo il termine che scada in giorno festivo (poiché diversamente opinando si produrrebbe l’effetto di un’abbreviazione dell’intervallo): detta proroga "in avanti" opera dunque con esclusivo riguardo ai termini cd. a decorrenza successiva (cfr. Cass. Civ., Sez. II, 04.01.2011, n. 182).
Nel merito, ha ritenuto il ricorso infondato.
Invero, non ha mancato di rilevare che la ricorrente era stata esclusa, tra l’altro, per non avere allegato copia di un contratto di locazione o di un certificato di proprietà attestante la disponibilità di un deposito a uso rimessa, ubicato a una distanza non superiore a 15 Km. dal luogo in cui svolgere l’attività di trasporto scolastico.
Detto requisito doveva essere comprovato con apposita produzione documentale, giusta quanto imposto dall’art. 8, lett. m), del bando di gara che, al riguardo, precisava pure che il mancato possesso anche di uno solo dei requisiti richiesti avrebbe comportato l’esclusione dalla procedura selettiva.
La ricorrente, tuttavia, aveva esibito in sede di gara la dichiarazione di un’agenzia di intermediazione immobiliare attestante la disponibilità di un capannone di 420 mq. ubicato in comune affatto differente da quello in cui si sarebbe dovuto svolgere il servizio oggetto d’appalto.
Orbene, il TAR lombardo, precisando il principio in massima, ha proseguito che la prescrizione contenuta nel bando di gara rispondeva all’interesse pubblico della stazione appaltante di affidare il servizio –rivolto ai minori frequentanti la scuola dell’obbligo e per sua natura essenziale– a un operatore economico che disponesse delle condizioni minime indispensabili a garantirlo con continuità ed efficienza.
Pertanto, il G.A. bresciano ha rilevato come la semplice dichiarazione di un’agenzia immobiliare non dava conto di alcun impegno giuridicamente coercibile a carico del terzo proprietario dell’immobile, il quale avrebbe ben potuto decidere di non concludere il contratto di compravendita (o di locazione) dopo l’eventuale aggiudicazione.
Per siffatta ragione, i concorrenti –per evitare di assumere il vincolo definitivo prima di conoscere l’esito della gara– avrebbero al più potuto stipulare un contratto preliminare recante una clausola condizionale di validità e efficacia all'aggiudicazione dell’appalto.
Alla stregua di tanto, considerato che il bando non consentiva la tardiva presentazione del titolo attestante la disponibilità del locale, pena la violazione della fondamentale regola della par condicio dei concorrenti, e che l’art. 46 del Codice dei contratti pubblici prevede effettivamente il potere-dovere di soccorso della stazione appaltante nei confronti dei concorrenti mediante la richiesta di chiarimenti in ordine al contenuto dei documenti presentati, ha precisato il giudicante che nella vicenda non poteva essere esercitato da parte dell’amministrazione un potere di soccorso per permettere all’offerente di sanare l’irregolarità originaria della propria domanda.
Non a caso, il titolo di disponibilità del deposito a uso rimessa degli autobus costituiva un elemento essenziale dell’offerta, diretto come già sottolineato ad avallarne la credibilità e l’affidabilità.
A siffatta conclusione, del resto, si è pervenuti anche con riferimento alla novella di cui all’art. 46, comma 1-bis, D.Lgs. n. 163/2006; infatti la nuova normativa contempla la fattispecie dell’esclusione dei concorrenti per difetto di "elementi essenziali" dell’offerta, come l’impegno di cui si discorre nella fattispecie.
Ragion per cui il Collegio, reputando che la domanda della ricorrente fosse priva di tale elemento essenziale, ha rilevato la legittimità dell’operato della stazione appaltante, contestualmente rigettando il gravame (tratto da www.ipsoa.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 04.11.2011 n. 1510 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Nei casi in cui la discrezionalità tecnico/amministrativa abbia un ruolo considerevole, un diniego di nulla-osta paesaggistico deve essere assistito da una motivazione concreta sulla realtà dei fatti e sulle ragioni ambientali ed estetiche che sconsigliano alla P.A. di non ammettere un determinato intervento: affermare che un determinato intervento compromette gli equilibri ambientali della zona interessata per le incongruenze fra tipologia e materiali scelti e contesto paesaggistico senza nulla aggiungere, non spiega alcunché sul futuro danno alle bellezze ambientali che ne deriverebbe ed è un mero postulato apodittico.
Per quanto concerne la motivazione idonea a sorreggere un provvedimento di diniego del richiesto nulla-osta per la costruzione in area soggetta a vincolo paesaggistico, deve chiarirsi che l'Amministrazione non può limitare la sua valutazione al mero riferimento ad un pregiudizio ambientale, utilizzando espressioni vaghe o formule stereotipate, ma tale motivazione deve contenere una sufficiente esternazione delle specifiche ragioni per le quali si ritiene che un'opera non sia idonea ad inserirsi nell'ambiente, attraverso l'individuazione degli elementi di contrasto; pertanto, occorre un concreto ed analitico accertamento del disvalore delle valenze paesaggistiche

In fattispecie affini alla presente, la giurisprudenza amministrativa ha avuto modo di precisare che “nei casi in cui -come quello in esame- la discrezionalità tecnico/amministrativa abbia un ruolo considerevole, un diniego di nulla osta deve essere assistito da una motivazione concreta sulla realtà dei fatti e sulle ragioni ambientali ed estetiche che sconsigliano alla P.A. di non ammettere un determinato intervento: affermare che un determinato intervento compromette gli equilibri ambientali della zona interessata per le incongruenze fra tipologia e materiali scelti e contesto paesaggistico senza nulla aggiungere, non spiega alcunché sul futuro danno alle bellezze ambientali che ne deriverebbe ed è un mero postulato apodittico” (TAR Liguria, sez. I, 22.12.2008, n. 2187).
Ed ancora: “Per quanto concerne la motivazione idonea a sorreggere un provvedimento di diniego del richiesto nulla osta per la costruzione in area soggetta a vincolo paesaggistico, deve chiarirsi che l'Amministrazione non può limitare la sua valutazione al mero riferimento ad un pregiudizio ambientale, utilizzando espressioni vaghe o formule stereotipate, ma tale motivazione deve contenere una sufficiente esternazione delle specifiche ragioni per le quali si ritiene che un'opera non sia idonea ad inserirsi nell'ambiente, attraverso l'individuazione degli elementi di contrasto; pertanto, occorre un concreto ed analitico accertamento del disvalore delle valenze paesaggistiche” (TAR Campania, Napoli, sez. VIII, 10.11.2010, n. 23751) (TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 04.11.2011 n. 1153 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTILa segnalazione all'Autorità va fatta non solo nel caso di riscontrato difetto dei requisiti di ordine speciale in sede di controllo a campione, ma anche in caso di riscontrato difetto dei requisiti di ordine generale, trattandosi di esclusione idonea a segnalare una circostanza di estrema rilevanza per la corretta conduzione delle procedure di affidamento dei lavori pubblici.
Sostiene l’esponente che la segnalazione all’Autorità sarebbe stata effettuata in aperta violazione della normativa di riferimento, applicabile ratione temporis, poiché la sanzione della segnalazione all’Autorità era prevista nel solo caso di irregolarità accertate con riferimento ai requisiti di ordine speciale di cui all’art. 48 del d.lgs. n. 163/2006 e non anche a quelle relative ai requisiti di ordine generale di cui all’art. 38, essendo queste ultime sanzionabili, in conseguenza, solo con l’esclusione dalla gara.
L’assunto in questione trova riscontro nel precedente orientamento ermeneutico della Sezione, consolidatosi a partire dalla sentenza n. 3699 del 21.12.2009.
Con tale pronuncia, il Collegio aveva rilevato che “l'ipotesi di carenza dei requisiti di carattere generale, regolata dall'art. 38 del citato d.lgs., che prevede in tal caso solo l'esclusione del concorrente dalla gara, è cosa assai diversa da quella relativa al mancato possesso dei requisiti di capacità economico-finanziaria e tecnico-organizzativa, disciplinata dall'art. 48 del d.lgs. n. 163 del 2006, che riconnette a tale circostanza non solo l'esclusione del concorrente dalla gara, ma anche l'escussione della relativa cauzione provvisoria e la segnalazione del fatto all'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici”.
Ne consegue, secondo la pronuncia richiamata, che “l'art. 48 del d.lgs 163/2006, dedicato ai procedimento e sanzioni, si applica limitatamente ai soli requisiti economico-finanziari e tecnico-organizzativi; pertanto, il procedimento e le sanzioni ex art. 48 non si applicano alla verifica delle dichiarazioni sostitutive circa il possesso dei requisiti di carattere generale; trattandosi, infatti, di norme sanzionatorie e quindi di stretta interpretazione, l'esplicito riferimento ai requisiti economico-finanziari e tecnico-organizzativi esclude che gli effetti previsti all'art. 48 possano estendersi anche al controllo disposto dalla stazione appaltante delle dichiarazioni sostitutive relative ai requisiti di ordine generale di cui all'art. 38 d.lgs. 163/2006. Pertanto, l'eventuale falsità delle stesse dichiarazioni sostitutive sui requisiti di ordine generale non trova disciplina, quanto alle sanzioni, nell'art. 48”.
Tale orientamento, aderente all’interpretazione offerta dalla prevalente giurisprudenza di prime cure nonché da talune pronunce del giudice d’appello (cfr., ad es., Cons. Stato, sez. VI, 28.08.2006, n. 5009), è stato più volte ribadito dalla Sezione (v., fra le altre, le sentenze n. 3699 del 21.12.2009, n. 957 del 15.02.2010, n. 3129 del 16.07.2010 e n. 3738 del 22.10.2010).
Esso necessita, però, di essere radicalmente riconsiderato, alla luce del recente arresto del giudice amministrativo d’appello (Cons. Stato, sez. VI, 13.06.2011, n. 3567) che, accogliendo il gravame proposto dall’Autorità avverso una delle citate sentenze di questo Tribunale (la n. 957 del 2010), ha affermato l’opposto principio secondo cui “la segnalazione all'Autorità va fatta non solo nel caso di riscontrato difetto dei requisiti di ordine speciale in sede di controllo a campione, ma anche in caso di riscontrato difetto dei requisiti di ordine generale, trattandosi di esclusione idonea a segnalare una circostanza di estrema rilevanza per la corretta conduzione delle procedure di affidamento dei lavori pubblici”.
Trattasi, ad avviso del Collegio, di argomentazione dirimente, sia in ragione della sua intrinseca logicità e rilevanza sia perché rappresenta un elemento di saldatura rispetto alla posizione prevalentemente assunta dal giudice d’appello in merito alla questione controversa (cfr., ad es., Cons. Stato, sez. IV, 07.09.2004, n. 5792; sez. V, 12.02.2007 n. 554; sez. VI, 04.08.2009, n. 4905 e, più recentemente, sez. VI, 03.02.2011, n. 782) (TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 04.11.2011 n. 1152 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Il diritto di accesso ai documenti amministrativi a favore di “chiunque vi abbia interesse per la tutela di situazioni giuridicamente rilevanti” è ammissibile solo con riferimento a singole situazioni o a singoli rapporti, perché in caso contrario si consentirebbe una sorta di ispezione popolare volta alla verifica della legittimità e dell’efficienza dell’azione amministrativa non consentita.
Come è noto l’art 22 della L. 07.08.2000, n. 241, ha riconosciuto il diritto di accesso ai documenti amministrativi a favore di “chiunque vi abbia interesse per la tutela di situazioni giuridicamente rilevanti”.
Ora, interpretando tale normativa, il giudice amministrativo ha costantemente chiarito che tale diritto di accesso è ammissibile solo con riferimento a singole situazioni o a singoli rapporti, perché in caso contrario si consentirebbe una sorta di ispezione popolare volta alla verifica della legittimità e dell’efficienza dell’azione amministrativa non consentita (cfr., da ultimo, Cons. St., sez. V, 08.06.2011, n. 3457) (TAR Abruzzo-Pescara, sentenza 04.11.2011 n. 603 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

SICUREZZA LAVOROAssenza di sicurezza sui luoghi di lavoro? Nessuno sgravio fiscale!
Nessuno sgravio fiscale se nei luoghi di lavoro non sono rispettate le norme di igiene e sicurezza.

Lo stabilisce la Corte di Cassazione con l'ordinanza 03.11.2011 n. 22860, precisando che, in presenza di violazioni in materia di sicurezza sul lavoro da parte delle Imprese, non è dovuta alcuna agevolazione fiscale per il Datore di Lavoro che le richiede.
Il rispetto delle Norme in materia di tutela del lavoratore rappresenta, quindi, un elemento necessario e fondamentale per le Imprese che richiedano sgravi fiscali e/o contributivi quando assumono nuovi dipendenti.
In particolare, la Cassazione ha bocciato il ricorso di un datore di lavoro che si era visto negare il diritto ad un credito di imposta, a causa delle sanzioni subite per violazioni delle norme di prevenzione e protezione dai rischi dei propri lavoratori (link a www.acca.it).

APPALTI: Le clausole di esclusione poste dalla legge o dal bando sono di stretta interpretazione, dovendosi dare esclusiva prevalenza alle espressioni letterali in esse contenute e restando preclusa ogni forma di estensione analogica diretta ad evidenziare significati impliciti, che rischierebbe di vulnerare l'affidamento dei partecipanti, la par condicio dei concorrenti e l'esigenza della più ampia partecipazione.
Ne consegue che le norme di legge e di bando che disciplinano i requisiti soggettivi e oggettivi di partecipazione alle gare pubbliche devono essere interpretate nel rispetto del principio di tipicità e tassatività delle ipotesi di esclusione, che di per sé costituiscono fattispecie di restrizione della libertà di iniziativa economica tutelata dall'art. 41 della Costituzione, oltre che dal Trattato comunitario.

Le clausole di esclusione poste dalla legge o dal bando sono di stretta interpretazione, dovendosi dare esclusiva prevalenza alle espressioni letterali in esse contenute e restando preclusa ogni forma di estensione analogica diretta ad evidenziare significati impliciti, che rischierebbe di vulnerare l'affidamento dei partecipanti, la par condicio dei concorrenti e l'esigenza della più ampia partecipazione.
Ne consegue che le norme di legge e di bando che disciplinano i requisiti soggettivi e oggettivi di partecipazione alle gare pubbliche devono essere interpretate nel rispetto del principio di tipicità e tassatività delle ipotesi di esclusione, che di per sé costituiscono fattispecie di restrizione della libertà di iniziativa economica tutelata dall'art. 41 della Costituzione, oltre che dal Trattato comunitario (tra le tante, TAR Trentino Alto Adige Trento, sez. I, 23.02.2011, n. 50; TAR Campania Napoli, sez. I, 18.03.2011, n. 1498) (TAR Abruzzo-Pescara, sentenza 03.11.2011 n. 594 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Se è pur vero che i Comuni non possono introdurre un divieto generalizzato di istallazione delle stazioni radio base per telefonia cellulare in tutte o in intere zone territoriali omogenee, va ritenuta legittima la previsione, contenuta in apposito regolamento comunale, della prescrizione di distanze minime da strutture sanitarie e scolastiche, da ritenersi quali siti particolarmente sensibili, perché ciò risponde a un principio di precauzione con riferimento a un criterio di localizzazione che tiene conto della realtà secondo dati di comune esperienza, che consigliano e giustificano una particolare disciplina relativamente a quei siti, senza, però, che questo impedisca una ragionevole dislocazione degli impianti nel territorio comunale in modo da assicurare la fruizione del servizio pubblico delle telecomunicazioni.
Se è pur vero che -come pacificamente affermato dalla giurisprudenza amministrativa ed anche, più volte, da questa stessa Sezione- i Comuni non possono introdurre un divieto generalizzato di istallazione delle stazioni radio base per telefonia cellulare in tutte o in intere zone territoriali omogenee, va ritenuta legittima la previsione, contenuta in apposito regolamento comunale, della prescrizione di distanze minime da strutture sanitarie e scolastiche, da ritenersi quali siti particolarmente sensibili, perché ciò risponde a un principio di precauzione con riferimento a un criterio di localizzazione che tiene conto della realtà secondo dati di comune esperienza, che consigliano e giustificano una particolare disciplina relativamente a quei siti, senza, però, che questo impedisca una ragionevole dislocazione degli impianti nel territorio comunale in modo da assicurare la fruizione del servizio pubblico delle telecomunicazioni (Cons. St., sez. VI, 12.11.2009, n. 7023, 08.09.2009, n. 5258, e 19.06.2009, n. 4056) (TAR Abruzzo-Pescara, sentenza 03.11.2011 n. 588 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTILa regolarità contributiva costituisce requisito sostanziale di partecipazione alla gara, avendo il legislatore ritenuto tale regolarità indice dell’affidabilità, diligenza e serietà dell’impresa e della sua correttezza nei rapporti con le maestranze. La regolarità contributiva e fiscale deve essere presente al momento dell’offerta e deve essere assicurata pure in momenti successivi alla presentazione della domanda e dell’offerta e quindi certamente fino al momento dell’aggiudicazione, essendo palese l’esigenza per la stazione appaltante di verificare l’affidabilità del soggetto partecipante alla gara fino alla conclusione della stessa.
Punto di riferimento ineludibile, in quest’ottica, sono dunque le risultanze del documento unico di regolarità contributiva che, come da costante giurisprudenza, vincola la p.a. in ragione della sua natura di dichiarazione di scienza da collocarsi fra gli atti di certificazione o di attestazione redatti da un pubblico ufficiale e aventi carattere meramente dichiarativo di dati in possesso dell’amministrazione e assistiti da pubblica fede ex art. 2700 c.c., facente pertanto prova fino a querela di falso essendo la formale regolarità contributiva rimessa al potere di accertamento e di valutazione dell’istituto previdenziale.
L'art. 38, comma 1, lett. i), del Codice dei contratti pubblici (d.lgs. n. 163 del 2006) va interpretato nel senso che il principio dell'autonomia del procedimento di rilascio del DURC (documento unico regolarità contributiva) impone che la stazione appaltante debba basarsi sulle certificazioni risultanti da quest'ultimo documento, prendendole come un dato di fatto inoppugnabile dovendo residuare tuttavia in capo alla stazione appaltante, oltre alla valutazione sulla sussistenza di procedimenti diretti a contestare gli accertamenti degli enti previdenziali riportati nel DURC, o condoni, anche quella afferente il se la violazione riportata nel DURC, risulti o no "grave”.
La dichiarazione di irregolarità espressa dagli enti previdenziali interessati implica anche l’avvenuta verifica della gravità dei relativi scostamenti, in quanto il citato decreto ministeriale ha attribuito al D.U.R.C. l’idoneità ad attestare anche l’entità dell’inadempimento degli obblighi contributivi, dando conto delle sole irregolarità tali da superare la delineata soglia di gravità.

Il collegio deve anzitutto ricordare che la regolarità contributiva costituisce requisito sostanziale di partecipazione alla gara, avendo il legislatore ritenuto tale regolarità indice dell’affidabilità, diligenza e serietà dell’impresa e della sua correttezza nei rapporti con le maestranze (cfr. Cons. St., IV, 15/09/2010 n. 6907). La regolarità contributiva e fiscale deve essere presente al momento dell’offerta e deve essere assicurata pure in momenti successivi alla presentazione della domanda e dell’offerta e quindi certamente fino al momento dell’aggiudicazione, essendo palese l’esigenza per la stazione appaltante di verificare l’affidabilità del soggetto partecipante alla gara fino alla conclusione della stessa (cfr. Cons. St., IV, 12/03/2009 n. 1548; Cons. St., IV, 31/05/2007 n. 2876).
Punto di riferimento ineludibile, in quest’ottica, sono dunque le risultanze del documento unico di regolarità contributiva che, come da costante giurisprudenza, vincola la p.a. in ragione della sua natura di dichiarazione di scienza da collocarsi fra gli atti di certificazione o di attestazione redatti da un pubblico ufficiale e aventi carattere meramente dichiarativo di dati in possesso dell’amministrazione e assistiti da pubblica fede ex art. 2700 c.c., facente pertanto prova fino a querela di falso essendo la formale regolarità contributiva rimessa al potere di accertamento e di valutazione dell’istituto previdenziale (cfr. Cons. St., V, 03/02/2011 n. 789).
E’ cioè giurisprudenza consolidata -in materia di esclusione dalla partecipazione alle procedure di gara e dalla stipula dei relativi contratti dei soggetti che "hanno commesso violazioni gravi, definitivamente accertate, alle norme in materia di contributi previdenziali e assistenziali, secondo la legislazione italiana e dello Stato in cui sono stabiliti"- che l'art. 38, comma 1, lett. i), del Codice dei contratti pubblici (d.lgs. n. 163 del 2006) vada interpretato nel senso che il principio dell'autonomia del procedimento di rilascio del DURC (documento unico regolarità contributiva) impone che la stazione appaltante debba basarsi sulle certificazioni risultanti da quest'ultimo documento, prendendole come un dato di fatto inoppugnabile (cfr. TAR Campania, Salerno, sez. I, 04.04.2011, n. 617) dovendo residuare tuttavia in capo alla stazione appaltante, oltre alla valutazione sulla sussistenza di procedimenti diretti a contestare gli accertamenti degli enti previdenziali riportati nel DURC, o condoni, anche quella afferente il se la violazione riportata nel DURC, risulti o no "grave”.
Sennonché, sotto quest’ultimo profilo, questo Tribunale condivide la giurisprudenza (cfr. Cons. St., V, 16/09/2011 n. 5194; TAR Basilicata 24/12/2008 n. 1026) che ritiene che la stazione appaltante debba effettuare detta valutazione sulla base del DM 24/10/2007 n. 28578, di disciplina del documento unico di regolarità contributiva, il cui articolo 8 (cause non ostative al rilascio del DURC) co. 3 fornisce un criterio uniforme e a carattere vincolato per l’individuazione della linea di demarcazione fra scostamento grave e non grave nel rapporto fra somme dovute e somme versate. La disposizione infatti recita:
Ai soli fini della partecipazione a gare di appalto non osta al rilascio del DURC uno scostamento non grave tra le somme dovute e quelle versate, con riferimento a ciascun Istituto previdenziale ed a ciascuna Cassa edile. Non si considera grave lo scostamento inferiore o pari al 5% tra le somme dovute e quelle versate con riferimento a ciascun periodo di paga o di contribuzione o, comunque, uno scostamento inferiore ad Euro 100,00, fermo restando l'obbligo di versamento del predetto importo entro i trenta giorni successivi al rilascio del DURC.”.
Il d.m. 24.10.2007, nel disciplinare le modalità di rilascio del D.U.R.C. e definendo in tal modo la soglia di gravità dell’inadempimento, limita sul punto la discrezionalità delle stazioni appaltanti (vedi Circolare del Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale del 30/01/2008 n. 5), che al riguardo possono quindi solo prendere atto della certificazione di cui al D.U.R.C.
Infatti, come di recente rilevato (cfr. Cons. St., V, n. 5194/2011 cit.), la dichiarazione di irregolarità espressa dagli enti previdenziali interessati implica anche l’avvenuta verifica della gravità dei relativi scostamenti, in quanto il citato decreto ministeriale ha attribuito al D.U.R.C. l’idoneità ad attestare anche l’entità dell’inadempimento degli obblighi contributivi, dando conto delle sole irregolarità tali da superare la delineata soglia di gravità (TAR Basilicata, sentenza 03.11.2011 n. 542 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATA: In sede di adozione di un atto in autotutela la comparazione tra interesse pubblico e quello privato è necessaria nel caso in cui l'esercizio dell'autotutela discenda da errori di valutazione dovuti all'amministrazione pubblica, non già quando lo stesso è dovuto a comportamenti del soggetto privato che hanno indotto in errore l'autorità amministrativa.
Dunque, la falsa rappresentazione di una scala esterna nello stato di fatto della D.I.A. presentata rende l’affidamento del privato circa il mantenimento del manufatto non meritevole di tutela, e sicuramente recessivo di fronte all’interesse pubblico al ripristino della situazione edilizia regolarmente assentita.
E ciò, particolarmente, trattandosi di un edificio sito nel centro storico (zona A), dove più intenso è l’interesse pubblico al mantenimento delle caratteristiche architettoniche originarie degli edifici (trattasi di profilo specificamente evidenziato nel corpo della motivazione dell’atto).

Quanto alla denunciata carenza di un interesse pubblico concreto ed attuale alla rimozione del precedente atto, si osserva che, secondo una costante giurisprudenza, in sede di adozione di un atto in autotutela la comparazione tra interesse pubblico e quello privato è necessaria nel caso in cui l'esercizio dell'autotutela discenda da errori di valutazione dovuti all'amministrazione pubblica, non già quando lo stesso è dovuto a comportamenti del soggetto privato che hanno indotto in errore l'autorità amministrativa (Cons. di St., IV, 12.03.2007, n. 1189).
Dunque, la falsa rappresentazione della scala in questione nello stato di fatto della D.I.A. 09.10.2003 rende l’affidamento del privato circa il mantenimento del manufatto non meritevole di tutela, e sicuramente recessivo di fronte all’interesse pubblico al ripristino della situazione edilizia regolarmente assentita.
E ciò, particolarmente, trattandosi di un edificio sito nel centro storico (zona A), dove più intenso è l’interesse pubblico al mantenimento delle caratteristiche architettoniche originarie degli edifici (trattasi di profilo specificamente evidenziato nel corpo della motivazione dell’atto)
(TAR Liguria, Sez. I, sentenza 02.11.2011 n. 1509 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La realizzazione di una scala esterna ex novo non può in nessun caso rientrare tra gli interventi di manutenzione, restauro e risanamento conservativo, interventi che postulano indefettibilmente il rispetto degli elementi tipologici, formali e strutturali dell’edificio.
La realizzazione in facciata di una nuova scala di accesso al lastrico solare, incidendo sulle caratteristiche formali e strutturali dell’edificio integra più propriamente un intervento di ristrutturazione.

La realizzazione di una scala esterna ex novo non può in nessun caso rientrare tra gli interventi di manutenzione, restauro e risanamento conservativo, interventi che postulano indefettibilmente il rispetto degli elementi tipologici, formali e strutturali dell’edificio.
La realizzazione in facciata di una nuova scala di accesso al lastrico solare, incidendo sulle caratteristiche formali e strutturali dell’edificio (da intendersi, ex art. 83 L.R. n. 16/2008, come i caratteri architettonici che determinano l’immagine esterna dell’edificio) integra più propriamente un intervento di ristrutturazione (che ammette infatti, ex art. 3, comma 1, lett. d, D.P.R. n. 380/2001, l’inserimento di nuovi elementi costitutivi dell’edificio), espressamente vietato in zona A dall’art. 19 delle N.T.A. del P.R.G., ove interessante –come nel caso di specie– opere esterne
(TAR Liguria, Sez. I, sentenza 02.11.2011 n. 1509 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Il diniego di concessione in sanatoria basato sull'inadempimento di una convenzione di lottizzazione e/o di un atto unilaterale aggiuntivo è illegittimo, dovendo l'amministrazione (avendo omesso di esercitare i diritti nascenti da tali previsioni), verificare che gli abusi realizzati rientrino nelle previsioni del condono edilizio di cui alla legge n. 724 del 1994.
Secondo una costante giurisprudenza, il diniego di concessione in sanatoria basato sull'inadempimento di una convenzione di lottizzazione e/o di un atto unilaterale aggiuntivo è illegittimo, dovendo l'amministrazione (avendo omesso di esercitare i diritti nascenti da tali previsioni), verificare che gli abusi realizzati rientrino nelle previsioni del condono edilizio di cui alla legge n. 724 del 1994 (Cons. di St., IV, 16.01.2008, n. 74; TAR Liguria, I, 02.07.2009, n. 1639) (TAR Liguria, Sez. I, sentenza 02.11.2011 n. 1508 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La presentazione dell’istanza di sanatoria influisce soltanto sulla efficacia, non già sulla validità dell’ordinanza di demolizione di opere abusive, sicché, in assenza dell’avvenuta sanatoria, essa non determina l’improcedibilità del ricorso.
Tale principio trova un’esplicita conferma nella normativa sul condono edilizio, posto che, una volta presentata nei termini la domanda di condono, quel che resta sospesa è soltanto la fase del procedimento amministrativo concernente l’esecuzione o l’applicazione delle sanzioni, in quanto destinate a venire definitivamente meno in caso di concessione della sanatoria (art. 38, commi 1 e 4, L. n. 47/1985).

La presentazione dell’istanza di sanatoria influisce soltanto sulla efficacia, non già sulla validità dell’ordinanza di demolizione di opere abusive (TAR Liguria, I, 28.01.2011, n. 169; TAR Campania-Napoli, II, 02.03.2010, n. 1259), sicché, in assenza dell’avvenuta sanatoria, essa non determina l’improcedibilità del ricorso.
Tale principio trova un’esplicita conferma nella normativa sul condono edilizio, posto che, una volta presentata nei termini la domanda di condono, quel che resta sospesa è soltanto la fase del procedimento amministrativo concernente l’esecuzione o l’applicazione delle sanzioni, in quanto destinate a venire definitivamente meno in caso di concessione della sanatoria (art. 38, commi 1 e 4, L. n. 47/1985) (TAR Liguria, Sez. I, sentenza 02.11.2011 n. 1507 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: L'art. 7 della L. 07.08.1990 n. 241, nella parte in cui impone all'Amministrazione di dare previa comunicazione all'interessato dell'avvio del procedimento che lo riguarda, non va interpretato in modo formalistico, ma con riferimento alla sua ratio concreta, che è quella di assicurare la partecipazione del privato interessato al procedimento amministrativo, con la conseguenza che l'eventuale omissione dell'adempimento non determina l’illegittimità dell'azione amministrativa, laddove sia provato che il destinatario abbia avuto comunque e aliunde conoscenza del procedimento in corso, potendo quindi parteciparvi.
Secondo una costante giurisprudenza -anche della Sezione- l'art. 7 della L. 07.08.1990 n. 241, nella parte in cui impone all'Amministrazione di dare previa comunicazione all'interessato dell'avvio del procedimento che lo riguarda, non va interpretato in modo formalistico, ma con riferimento alla sua ratio concreta, che è quella di assicurare la partecipazione del privato interessato al procedimento amministrativo, con la conseguenza che l'eventuale omissione dell'adempimento non determina l’illegittimità dell'azione amministrativa, laddove sia provato che il destinatario abbia avuto comunque e aliunde conoscenza del procedimento in corso, potendo quindi parteciparvi (Cons. di St., VI, 20.05.2009, n. 3086; id., IV, 03.03.2009, n. 1207; TAR Lombardia-Milano, III, 01.03.2011, n. 595; TAR Liguria, I, 05.07.2010, n. 5564) (TAR Liguria, Sez. I, sentenza 02.11.2011 n. 1506 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Il comma 1 dell’art. 38 D.Lgs. 163/2006 ricollega l’esclusione dalla gara al dato sostanziale del mancato possesso dei requisiti indicati, mentre il comma 2 non prevede analoga sanzione per l’ipotesi della mancata o non perspicua dichiarazione: da ciò discende che solo l’insussistenza, in concreto, delle cause di esclusione previste dall’art. 38 comporta, "ope legis", l’effetto espulsivo.
Quando, al contrario, il partecipante sia in possesso di tutti i requisiti richiesti e la "lex specialis" non preveda espressamente la pena dell’esclusione in relazione alla mancata osservanza delle puntuali prescrizioni sulle modalità e sull’oggetto delle dichiarazioni da fornire, facendo generico richiamo all’assenza delle cause impeditive di cui alla normativa in esame, l’omissione o l’incompletezza in ordine a tali elementi non produce alcun pregiudizio agli interessi presidiati dalla norma, ricorrendo un’ipotesi di mero formalismo come tale insuscettibile, in carenza di una espressa previsione legislativa o -si ripete- della legge di gara, a fondare l’esclusione, le cui ipotesi sono tassative.

Va ricordata la prevalente opinione giurisprudenziale (cfr. ad es. Consiglio di Stato Sez. VI 04.08.2009, n. 4906, 22.02.2010, n. 1017) da tempo in via consolidamento, che si muove nella medesima ottica sopra evidenziata, a tenore della quale il comma 1 dell’art. 38 cit. ricollega l’esclusione dalla gara al dato sostanziale del mancato possesso dei requisiti indicati, mentre il comma 2 non prevede analoga sanzione per l’ipotesi della mancata o non perspicua dichiarazione: da ciò discende che solo l’insussistenza, in concreto, delle cause di esclusione previste dall’art. 38 comporta, "ope legis", l’effetto espulsivo.
Quando, al contrario, il partecipante sia in possesso di tutti i requisiti richiesti e la "lex specialis" non preveda espressamente la pena dell’esclusione in relazione alla mancata osservanza delle puntuali prescrizioni sulle modalità e sull’oggetto delle dichiarazioni da fornire, facendo generico richiamo all’assenza delle cause impeditive di cui alla normativa in esame, l’omissione o l’incompletezza in ordine a tali elementi non produce alcun pregiudizio agli interessi presidiati dalla norma, ricorrendo un’ipotesi di mero formalismo come tale insuscettibile, in carenza di una espressa previsione legislativa o -si ripete- della legge di gara, a fondare l’esclusione, le cui ipotesi sono tassative (cfr. Consiglio Stato, sez. V, 09.11.2010, n. 7967).
In senso conforme alla prospettata soluzione depone anche l'art. 45 della direttiva 2004/18/CE che ricollega l'esclusione alle sole ipotesi di grave colpevolezza di false dichiarazioni nel fornire informazioni, non rinvenibile nel caso in cui il concorrente non consegua alcun vantaggio in termini competitivi , essendo in possesso di tutti i requisiti previsti (cfr. Cons. St. n. 1017/2010 cit.) (TAR Liguria, Sez. II, sentenza 02.11.2011 n. 1497 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICAIn occasione dell’indirizzo di politica urbanistica espresso negli strumenti generali di pianificazione, le scelte ampiamente discrezionali dell’Amministrazione in ordine ai tempi ed alle modalità di intervento sul proprio territorio circa la destinazione di singole aree, in funzione delle concrete possibilità operative che essa soltanto è in grado di accertare, nonché la stessa natura di atto a contenuto generale, valgono ad escludere l’obbligo di un’apposita motivazione, oltre quella che si può evincere dai criteri generali seguiti nell’impostazione del piano stesso, essendo sindacabili in sede giurisdizionale solo laddove emergano errori di fatto, abnormi illogicità o profili di eccesso di potere per palese travisamento dei fatti o manifesta irrazionalità. La motivazione in ordine alle scelte generali compiute dall’Amministrazione in sede di P.R.G. non deve essere necessariamente contenuta nel solo atto che conclude il procedimento, ma può essere ricavata anche dagli elaborati tecnici che lo accompagnano, che il provvedimento conclusivo richiami e a condizione che in essi siano chiaramente illustrate le esigenze che hanno indotto l’Amministrazione ad adottare la nuova disciplina.
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Non esiste una preclusione assoluta a nuovi interventi di pianificazione urbanistica, che vanifichino in tutto o in parte le aspettative edilizie dei privati, atteso che lo ius variandi, relativo alle prescrizioni di Piano Regolatore Generale, include -eventualmente- anche uno ius poenitendi, relativo ai successivi vincoli assunti dal Comune mediante convenzioni di lottizzazione, salva la necessità di motivazione, intesa pure come giusta considerazione di quelle aspettative. Nelle delibere di adozione di un Piano Regolatore o di una sua variante, la motivazione può desumersi per relationem dal contenuto dell'atto deliberato, cioè dall'insieme di esso e particolarmente dalla relazione illustrativa, che ne forma parte integrante e le cui considerazioni s'intendano accettate e fatte proprie dal Consiglio comunale.
Gli apprezzamenti di merito del Comune in ordine alle scelte urbanistiche non sono sindacabili in sede di giudizio di legittimità, a meno che non risultino inficiati da errori di fatto o da vizi di grave illogicità.
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Una motivazione specifica si impone solo in presenza di situazioni idonee a creare aspettative e affidamenti nei privati, quali l’esistenza un piano di lottizzazione debitamente approvato e convenzionato ovvero un giudicato di annullamento del diniego di concessione edilizia. Le evenienze che in particolare giustificano una più incisiva e singolare motivazione nelle scelte pianificatorie degli strumenti urbanistici generali sono state ravvisate:
1) nel superamento degli standards minimi di cui al DM 02.04.1968, con l’avvertenza che la motivazione ulteriore va riferita esclusivamente alle previsioni urbanistiche complessive di sovradimensionamento, indipendentemente dal riferimento alla destinazione di zona di determinate aree;
2) nella lesione dell’affidamento qualificato del privato derivante dall’avvenuta stipula di convenzioni di lottizzazione, accordi di diritto privato intercorsi tra il Comune e i proprietari delle aree, aspettative legittime nascenti da sentenze passate in giudicato di annullamento di dinieghi di concessione edilizia o di silenzio - rifiuto su una domanda di concessione;
3) nella modificazione in zona agricola della destinazione di un’area limitata, interclusa da fondi edificati in modo non abusivo.
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Le Amministrazioni comunali possono e devono costruire gli strumenti urbanistici intorno a linee guida che esaltino il momento del recupero e della razionalizzazione del patrimonio edilizio esistente, atteso che lo strumento urbanistico generale non presuppone inderogabilmente tendenze espansive edilizie e demografiche, ma, al contrario, una moderna e realistica concezione dell’urbanistica appare incentrata sulla necessità di tener conto della fortissima antropizzazione del territorio nazionale concentrata in specifiche aree, del calo demografico generale, dell’ineludibile bisogno di tutela delle ormai rare zone non edificate.
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Le scelte effettuate dalla Amministrazione in sede di pianificazione urbanistica non necessitano invero di dettagliata motivazione oltre quella che si evince dai criteri generali, di ordine tecnico-discrezionale, seguiti nella predisposizione del piano stesso.
In proposito, è sufficiente l'espresso riferimento alla relazione di accompagnamento al progetto di modifica del piano, salvo i casi particolari innanzi evidenziati- individuati dalla giurisprudenza per il caso di affidamenti particolarmente qualificati e qui non ricorrenti - in cui si configuri uno specifico obbligo motivazionale a carico dell'Amministrazione.
I provvedimenti comunali di pianificazione urbanistica e le varianti hanno infatti natura discrezionale e possono, in sede di variante, incidere su precedenti, difformi, destinazioni di zona, comportare modifiche radicali al piano vigente e rettificare direttive urbanistiche pregresse al fine di realizzare un processo di adeguamento e modernizzazione delle strutture al servizio del territorio.
In sede di pianificazione generale o di variante generale, e salvi i casi individuati dalla giurisprudenza in cui sono riscontrabili posizioni di aspettativa qualificata da particolari situazioni verificatesi in sede amministrativa o giurisdizionale, il Comune ha in definitiva la facoltà ampiamente discrezionale di modificare le precedenti previsioni e non è tenuto a dettare una motivazione specifica per le singole zone o aree a destinazione innovata.
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Le osservazioni proposte dai cittadini nei confronti degli atti di pianificazione urbanistica non costituiscono veri e propri rimedi giuridici, ma semplici apporti collaborativi e, pertanto non danno luogo a peculiari aspettative; conseguentemente il loro rigetto o il loro accoglimento non richiede una motivazione analitica, essendo sufficiente che esse siano state esaminate e confrontate con gli interessi generali dello strumento pianificatorio.
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La classificazione a zona agricola possiede anche una valenza conservativa dei valori naturalistici, venendo a costituire il polmone dell’insediamento urbano ed assumendo, per tale via, la funzione decongestionante e di contenimento dell’espansione dell’aggregato urbano.
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L’art. 2, 1° comma, della L. 19.11.1968 n. 1187 e l’analogo art. 9 del T.U. sulle espropriazioni n. 327 del 2001 hanno fissato entro il limite temporale del quinquennio l'efficacia delle prescrizioni dei piani regolatori generali «nella parte in cui incidono su beni determinati ed assoggettano i beni stessi a vincoli preordinati all'espropriazione od a vincoli che comportino l'inedificabilità». Tale disposto per la giurisprudenza è applicabile “non solo con riferimento ai vincoli preordinati all’esproprio o a quei vincoli che svuotano il contenuto del diritto di proprietà, rendendolo inutilizzabile rispetto alla sua destinazione naturale, ma anche ai vincoli c.d. "strumentali", a quei vincoli cioè che subordinano l’edificabilità di un’area all’inserimento della stessa in un programma pluriennale, oppure alla formazione di uno strumento esecutivo”.
In considerazione della limitata efficacia temporale del vincolo preordinato all’esproprio, l’obbligo di corresponsione dell’indennizzo sorge solo nell’ipotesi di reiterazione del vincolo medesimo.
Prima della reiterazione oltre del suddetto limite temporale del vincolo preordinato all’esproprio o dell’avvio della procedura espropriativa alcun pretesa indennitaria può vantare parte ricorrente. Infatti, come chiarito dalla giurisprudenza, “il fatto costitutivo del diritto all'indennizzo non è individuabile nell'imposizione originaria di un vincolo di inedificabilità, e neppure nella protrazione di fatto del medesimo dopo la sua decadenza -giacché in tal caso ben può il proprietario sollecitare l'esercizio del potere pianificatorio attraverso la procedura di messa in mora, e far accertare, di risulta, l'illegittimità del silenzio-, bensì nell'atto che esplicitamente lo reitera".

In relazione alla materia della pianificazione urbanistica il Collegio condivide quella giurisprudenza assolutamente prevalente (ex multis, Consiglio di stato, sez. IV, 15.09.2010, n. 6911; Consiglio Stato, sez. IV, 18.06.2009, n. 4024; Consiglio Stato, IV, 26.04.2009, n. 2293; TAR Campania, Napoli, IV, 31.12.2007, n. 16679; I, 16.11.2007, n. 13722; 09.07.2007, n. 6605; Cons. Stato, IV, 19.02.2007, n. 861; 13.04.2005, n. 1743; 22.02.2000, n. 2934; 19.01.2000, n. 245; 24.12.1999, n. 1943; Ad. Plen., 22.12.1999, n. 24; IV, 02.11.1995, n. 887; 25.02.1988, n. 99) orientata nel senso che, in occasione dell’indirizzo di politica urbanistica espresso negli strumenti generali di pianificazione, le scelte ampiamente discrezionali dell’Amministrazione in ordine ai tempi ed alle modalità di intervento sul proprio territorio circa la destinazione di singole aree, in funzione delle concrete possibilità operative che essa soltanto è in grado di accertare, nonché la stessa natura di atto a contenuto generale, valgono ad escludere l’obbligo di un’apposita motivazione, oltre quella che si può evincere dai criteri generali seguiti nell’impostazione del piano stesso, essendo sindacabili in sede giurisdizionale solo laddove emergano errori di fatto, abnormi illogicità o profili di eccesso di potere per palese travisamento dei fatti o manifesta irrazionalità (Consiglio Stato, sez. IV, 18.06.2009, n. 4024; TAR Calabria, Reggio Calabria, 11.05.2006, n. 786; Cons. Stato, IV, 06.10.2003, n. 5869; 08.02.1999, n. 121). La motivazione in ordine alle scelte generali compiute dall’Amministrazione in sede di P.R.G. non deve essere necessariamente contenuta nel solo atto che conclude il procedimento, ma può essere ricavata anche dagli elaborati tecnici che lo accompagnano, che il provvedimento conclusivo richiami e a condizione che in essi siano chiaramente illustrate le esigenze che hanno indotto l’Amministrazione ad adottare la nuova disciplina (Cons. Stato, IV, 03.10.2001, n. 5207).
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La giurisprudenza ha inoltre precisato che non esiste una preclusione assoluta a nuovi interventi di pianificazione urbanistica, che vanifichino in tutto o in parte le aspettative edilizie dei privati, atteso che lo ius variandi, relativo alle prescrizioni di Piano Regolatore Generale, include -eventualmente- anche uno ius poenitendi, relativo ai successivi vincoli assunti dal Comune mediante convenzioni di lottizzazione, salva la necessità di motivazione, intesa pure come giusta considerazione di quelle aspettative (Cons. Stato, IV, 01.07.1992, n. 653). La stessa giurisprudenza ha poi chiarito che, nelle delibere di adozione di un Piano Regolatore o di una sua variante, la motivazione può desumersi per relationem dal contenuto dell'atto deliberato, cioè dall'insieme di esso e particolarmente dalla relazione illustrativa, che ne forma parte integrante e le cui considerazioni s'intendano accettate e fatte proprie dal Consiglio comunale (Cons. Stato, IV, 03.06.1987, n. 326).
Naturalmente, poi, occorre tener presente che gli apprezzamenti di merito del Comune in ordine alle scelte urbanistiche non sono sindacabili in sede di giudizio di legittimità, a meno che non risultino inficiati da errori di fatto o da vizi di grave illogicità (Cons. Stato, IV, 17.01.1989, n. 5; 15.07.1986, n. 522).
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Ora, contrariamente a quanto dedotto in ricorso circa l’eccesso di potere per insufficienza e carenza della motivazione, questo Tribunale è dell’avviso che una motivazione specifica si impone solo in presenza di situazioni idonee a creare aspettative e affidamenti nei privati, quali l’esistenza un piano di lottizzazione debitamente approvato e convenzionato ovvero un giudicato di annullamento del diniego di concessione edilizia (Cons. Stato, IV, 22.02.1999, n. 209). Le evenienze che in particolare giustificano una più incisiva e singolare motivazione nelle scelte pianificatorie degli strumenti urbanistici generali sono state ravvisate (TAR Umbria, 02.10.2006, n. 497; Cons. Stato, Ad. plen., 22.12.1999, n. 24):
1) nel superamento degli standards minimi di cui al DM 02/04/1968, con l’avvertenza che la motivazione ulteriore va riferita esclusivamente alle previsioni urbanistiche complessive di sovradimensionamento, indipendentemente dal riferimento alla destinazione di zona di determinate aree;
2) nella lesione dell’affidamento qualificato del privato derivante dall’avvenuta stipula di convenzioni di lottizzazione, accordi di diritto privato intercorsi tra il Comune e i proprietari delle aree, aspettative legittime nascenti da sentenze passate in giudicato di annullamento di dinieghi di concessione edilizia o di silenzio - rifiuto su una domanda di concessione;
3) nella modificazione in zona agricola della destinazione di un’area limitata, interclusa da fondi edificati in modo non abusivo.
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In sintesi non è comunque configurabile un'aspettativa qualificata ad una destinazione edificatoria in relazione ad una precedente determinazione dell'Amministrazione, ma soltanto un'aspettativa generica ad una reformatio in melius, analoga a quella di ogni altro proprietario di aree che aspira ad una utilizzazione più proficua dell'immobile. Le Amministrazioni comunali possono e devono costruire gli strumenti urbanistici intorno a linee guida che esaltino il momento del recupero e della razionalizzazione del patrimonio edilizio esistente, atteso che lo strumento urbanistico generale non presuppone inderogabilmente tendenze espansive edilizie e demografiche, ma, al contrario, una moderna e realistica concezione dell’urbanistica appare incentrata sulla necessità di tener conto della fortissima antropizzazione del territorio nazionale concentrata in specifiche aree, del calo demografico generale, dell’ineludibile bisogno di tutela delle ormai rare zone non edificate (Cons. Stato, IV, 08.05.2000, n. 2639).
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Con riguardo all'alto livello di discrezionalità nelle scelte di piano, che determina il conseguente dovere motivazionale, le scelte effettuate dalla Amministrazione in sede di pianificazione urbanistica non necessitano invero di dettagliata motivazione oltre quella che si evince dai criteri generali, di ordine tecnico-discrezionale, seguiti nella predisposizione del piano stesso.
In proposito, è sufficiente l'espresso riferimento alla relazione di accompagnamento al progetto di modifica del piano, salvo i casi particolari innanzi evidenziati- individuati dalla giurisprudenza per il caso di affidamenti particolarmente qualificati e qui non ricorrenti - in cui si configuri uno specifico obbligo motivazionale a carico dell'Amministrazione (in tal senso, Consiglio Stato, IV, 26.04.2009, n. 2293; Consiglio di stato, sez. IV, 15.09.2010, n. 6911).
I provvedimenti comunali di pianificazione urbanistica e le varianti hanno infatti natura discrezionale e possono, in sede di variante, incidere su precedenti, difformi, destinazioni di zona, comportare modifiche radicali al piano vigente e rettificare direttive urbanistiche pregresse al fine di realizzare un processo di adeguamento e modernizzazione delle strutture al servizio del territorio (Consiglio Stato, IV, 25.11.2003, n. 7782).
In sede di pianificazione generale o di variante generale, e salvi i casi individuati dalla giurisprudenza in cui sono riscontrabili posizioni di aspettativa qualificata da particolari situazioni verificatesi in sede amministrativa o giurisdizionale, il Comune ha in definitiva la facoltà ampiamente discrezionale di modificare le precedenti previsioni e non è tenuto a dettare una motivazione specifica per le singole zone o aree a destinazione innovata (Consiglio Stato, IV, 13.05.1992, n. 511).
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Le osservazioni proposte dai cittadini nei confronti degli atti di pianificazione urbanistica non costituiscono veri e propri rimedi giuridici, ma semplici apporti collaborativi e, pertanto non danno luogo a peculiari aspettative; conseguentemente il loro rigetto o il loro accoglimento non richiede una motivazione analitica (peraltro presente nell’ipotesi di specie), essendo sufficiente che esse siano state esaminate e confrontate con gli interessi generali dello strumento pianificatorio (Consiglio Stato, IV, 19.03.2009, n. 1652; Consiglio Stato, sez. IV, 18.06.2009, n. 4024; Cons. St., IV, 01.03.2010, n. 1182; Consiglio Stato, sez. IV, 15.09.2010, n. 6911).
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Non si può ignorare che la classificazione a zona agricola possiede anche una valenza conservativa dei valori naturalistici, venendo a costituire il polmone dell’insediamento urbano ed assumendo, per tale via, la funzione decongestionante e di contenimento dell’espansione dell’aggregato urbano (TAR Lombardia, Milano, II, 24.11.2006, n. 2847; Cons. Stato, IV, 20.09.2005, n. 4828).
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E’ infatti noto che l’art. 2, 1° comma, della L. 19.11.1968 n. 1187 e l’analogo art. 9 del T.U. sulle espropriazioni n. 327 del 2001 hanno fissato entro il limite temporale del quinquennio l'efficacia delle prescrizioni dei piani regolatori generali «nella parte in cui incidono su beni determinati ed assoggettano i beni stessi a vincoli preordinati all'espropriazione od a vincoli che comportino l'inedificabilità». Tale disposto per la giurisprudenza è applicabile “non solo con riferimento ai vincoli preordinati all’esproprio o a quei vincoli che svuotano il contenuto del diritto di proprietà, rendendolo inutilizzabile rispetto alla sua destinazione naturale, ma anche ai vincoli c.d. "strumentali", a quei vincoli cioè che subordinano l’edificabilità di un’area all’inserimento della stessa in un programma pluriennale, oppure alla formazione di uno strumento esecutivo” (cfr Consiglio di Stato Sez. IV - sentenza 24.03.2009, n. 1765).
Peraltro, in considerazione della limitata efficacia temporale del vincolo preordinato all’esproprio, l’obbligo di corresponsione dell’indennizzo sorge solo nell’ipotesi di reiterazione del vincolo medesimo.
Infatti l’art. 39 del T.U. sulle espropriazioni n. 327 del 2001 (“Indennità dovuta in caso di incidenza di previsioni urbanistiche su particolari aree comprese in zone edificabili”) al comma 1 prevede “In attesa di una organica risistemazione della materia, nel caso di reiterazione di un vincolo preordinato all'esproprio o di un vincolo sostanzialmente espropriativo è dovuta al proprietario una indennità, commisurata all'entità del danno effettivamente prodotto”.
Pertanto prima della reiterazione oltre del suddetto limite temporale del vincolo preordinato all’esproprio o dell’avvio della procedura espropriativa alcun pretesa indennitaria può vantare parte ricorrente.
Infatti, come chiarito dalla giurisprudenza, “il fatto costitutivo del diritto all'indennizzo non è individuabile nell'imposizione originaria di un vincolo di inedificabilità, e neppure nella protrazione di fatto del medesimo dopo la sua decadenza -giacché in tal caso ben può il proprietario sollecitare l'esercizio del potere pianificatorio attraverso la procedura di messa in mora, e far accertare, di risulta, l'illegittimità del silenzio-, bensì nell'atto che esplicitamente lo reitera" (Cass., Sez. I, sent. n. 1754 del 26.01.2007)
(TAR Valle d'Aosta, sentenza 02.11.2011 n. 73 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATALa disciplina relativa alla comunicazione di avvio del procedimento non va interpretata in modo formalistico, ma con riferimento alla sua ratio concreta, che è quella di assicurare la partecipazione del privato interessato al procedimento amministrativo, con la conseguenza che l'eventuale omissione dell'adempimento non determina illegittimità dell'azione amministrativa, laddove sia provato che il destinatario abbia avuto comunque ed aliunde conoscenza del procedimento in corso, potendo quindi parteciparvi.
Gli atti di repressione degli abusi edilizi (nel caso di specie una diffida a demolire) non devono necessariamente essere preceduti da una comunicazione di avvio del relativo procedimento, che é oggetto di una specifica ed esaustiva disciplina normativa, specie allorquando lo scopo partecipativo sia stato raggiunto in altro modo (es. notifica provvedimenti di sequestro e dissequestro, notifica ordinanza di sospensione lavori ecc.)”.
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In caso di diffida a demolire non è dovuto alcun avviso di avvio del procedimento, potendo gli interessati far valere le proprie ragioni prima dell'emissione della vera e propria ordinanza di demolizione.
In materia di procedimenti sanzionatori per abusi edilizi gli atti di diffida, -quali l'ingiunzione a demolire o l'ordine di sospensione dei lavori e simili- tengono luogo della comunicazione di avvio del procedimento.
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L'omessa comunicazione del responsabile del procedimento e dell'ufficio presso cui poter prendere visione degli atti non determina l'illegittimità del provvedimento finale, dovendosi considerare responsabile del procedimento il dirigente e/o responsabile della struttura amministrativa, da cui promana l'atto.
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La repressione dell'abuso edilizio, disposta a distanza di tempo ragguardevole, richiede una puntuale motivazione sull'interesse pubblico al ripristino dei luoghi. In tali casi, infatti, per il lungo lasso di tempo trascorso dalla commissione dell'abuso ed il protrarsi dell'inerzia dell'amministrazione preposta alla vigilanza, si ritiene che si sia ingenerata una posizione di affidamento nel privato, in relazione alla quale l'esercizio del potere repressivo è subordinato ad un onere di congrua motivazione che, avuto riguardo anche all'entità e alla tipologia dell'abuso, indichi il pubblico interesse, evidentemente diverso da quello ripristino della legalità, idoneo a giustificare il sacrificio del contrapposto interesse privato.
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In relazione appunto ai vincoli paesaggistici, non possono trovare spazio applicativo i peculiari principi in base ai quali la giurisprudenza amministrativa ha individuato una posizione di affidamento tutelabile (quanto meno con il richiedersi nel provvedimento sanzionatorio una motivazione specifica, ulteriore rispetto a quella fondata sul mero perseguimento di un ripristino della legalità, in ordine alla necessità della demolizione dei manufatti e al connesso sacrificio dell'interesse privato) per colui che, pur avendo posto in essere abusi edilizi, abbia visto trascorrere un lungo lasso di tempo dalla loro commissione con inerzia dell'Amministrazione preposta alla vigilanza.

Come infatti ritenuto dalla prevalente giurisprudenza, in relazione all’analogo disposto della l. 241/1990, la disciplina relativa alla comunicazione di avvio del procedimento non va interpretata in modo formalistico, ma con riferimento alla sua ratio concreta, che è quella di assicurare la partecipazione del privato interessato al procedimento amministrativo, con la conseguenza che l'eventuale omissione dell'adempimento non determina illegittimità dell'azione amministrativa, laddove sia provato che il destinatario abbia avuto comunque ed aliunde conoscenza del procedimento in corso, potendo quindi parteciparvi (ex plurimis Cons. Stato, Sez. V, 07.12.2005 n. 6990; Sez. IV, 03.03.2009 n. 1207; TAR Calabria Catanzaro, sez. I, 14.12.2010, n. 2908; in senso analogo TAR Emilia Romagna Bologna, sez. II, 14.01.2009, n. 19 secondo cui “Gli atti di repressione degli abusi edilizi (nel caso di specie una diffida a demolire) non devono necessariamente essere preceduti da una comunicazione di avvio del relativo procedimento, che é oggetto di una specifica ed esaustiva disciplina normativa, specie allorquando lo scopo partecipativo sia stato raggiunto in altro modo (es. notifica provvedimenti di sequestro e dissequestro, notifica ordinanza di sospensione lavori ecc.)”.
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Il Collegio aderisce a quell’orientamento giurisprudenziale secondo il quale in caso di diffida a demolire non è dovuto alcun avviso di avvio del procedimento, potendo gli interessati far valere le proprie ragioni prima dell'emissione della vera e propria ordinanza di demolizione (TAR Trentino Alto Adige Bolzano, 08.02.2007, n. 52; TAR Friuli Venezia Giulia Trieste, 08.09.2004, n. 556 secondo cui “in materia di procedimenti sanzionatori per abusi edilizi gli atti di diffida, -quali l'ingiunzione a demolire o l'ordine di sospensione dei lavori e simili- tengono luogo della comunicazione di avvio del procedimento”).
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Del tutto irrilevante è poi l’omessa indicazione del responsabile procedimento in quanto per la giurisprudenza, formatasi sull’analogo disposto della l. 241/1990 (art. 8), l'omessa comunicazione del responsabile del procedimento e dell'ufficio presso cui poter prendere visione degli atti non determina l'illegittimità del provvedimento finale, dovendosi considerare responsabile del procedimento il dirigente e/o responsabile della struttura amministrativa, da cui promana l'atto (ex multis TAR Campania Napoli, sez. VII, 03.11.2010, n. 22302; TAR Campania Napoli, sez. VII, 15.12.2010, n. 27393).
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Vi è un orientamento giurisprudenziale secondo il quale “la repressione dell'abuso edilizio, disposta a distanza di tempo ragguardevole, richiede una puntuale motivazione sull'interesse pubblico al ripristino dei luoghi. In tali casi, infatti, per il lungo lasso di tempo trascorso dalla commissione dell'abuso ed il protrarsi dell'inerzia dell'amministrazione preposta alla vigilanza, si ritiene che si sia ingenerata una posizione di affidamento nel privato, in relazione alla quale l'esercizio del potere repressivo è subordinato ad un onere di congrua motivazione che, avuto riguardo anche all'entità e alla tipologia dell'abuso, indichi il pubblico interesse, evidentemente diverso da quello ripristino della legalità, idoneo a giustificare il sacrificio del contrapposto interesse privato” (C.d.S., Sez.V, 04/03/2008, n. 883; Tar Campania, Napoli, Sez. IV - 05.05.2009, n. 2357).
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Un consolidato orientamento giurisprudenziale ritiene che “in relazione appunto ai vincoli paesaggistici, non possono trovare spazio applicativo i peculiari principi in base ai quali la giurisprudenza amministrativa (cfr. Cons. di Stato sez. IV, n° 2705 del 06.06.2008; Cons. di Stato sez. V, n° 883 del 04.03.2008; Cons. di Stato sez. IV, n° 2441 del 14.5.2007; Cons. di Stato sez. V, n° 247 del 12.03.1996; TAR Liguria n° 4127 del 31.12.2009; TAR Calabria Catanzaro n° 1026 del 06.10.2009; TAR Piemonte n° 2247 del 04.09.2009; TAR Campania Napoli n° 504 del 29.01.2009) ha individuato una posizione di affidamento tutelabile (quanto meno con il richiedersi nel provvedimento sanzionatorio una motivazione specifica, ulteriore rispetto a quella fondata sul mero perseguimento di un ripristino della legalità, in ordine alla necessità della demolizione dei manufatti e al connesso sacrificio dell'interesse privato) per colui che, pur avendo posto in essere abusi edilizi, abbia visto trascorrere un lungo lasso di tempo dalla loro commissione con inerzia dell'Amministrazione preposta alla vigilanza” (TAR Campania Napoli Sez. VII, Sent., 14-06-2010, n. 14156, cui si rinvia)
(TAR Valle d'Aosta, sentenza 02.11.2011 n. 72 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAL’accertamento di conformità è strumento di conservazione di opere già realizzate e provviste della doppia conformità, senza che possono venire in rilievo le opere da eseguirsi per rendere le opere già eseguite conformi alla normativa urbanistica e vincolistica.
L'istituto dell'accertamento di conformità, già previsto dall'art. 13, l. 28.02.1985 n. 47 ed ora regolato dall'art. 36, d.lgs. n. 380 del 2001 è infatti, come noto, diretto a sanare le opere solo formalmente abusive, in quanto eseguite senza concessione o autorizzazione, ma conformi nella sostanza alla disciplina urbanistica applicabile per l'area su cui sorgono (vigente sia al momento della loro realizzazione che al momento della presentazione dell'istanza di sanatoria: c.d. doppia conformità). Nel caso, l'Amministrazione è chiamata a svolgere una valutazione eminentemente doverosa e vincolata, priva di contenuti discrezionali e relativa alla realizzazione di un assetto di interessi già prefigurato dalla disciplina urbanistica applicabile, di tal che il provvedimento di accertamento di conformità assume una connotazione eminentemente oggettiva e vincolata, priva di apprezzamenti discrezionali.
Pertanto, alcuna pretesa può avere la parte istante ad ottenere la concessione edilizia in sanatoria in forza dell’esecuzione di ulteriori lavori, volti a rendere le opere difformi alla normativa urbanistica e vincolistica, ad essa conformi.

L’accertamento di conformità è strumento di conservazione di opere già realizzate e provviste della doppia conformità (TAR Trentino Alto Adige Trento, 20.03.2003, n. 117), senza che possono venire in rilievo le opere da eseguirsi per rendere le opere già eseguite conformi alla normativa urbanistica e vincolistica.
L'istituto dell'accertamento di conformità, già previsto dall'art. 13, l. 28.02.1985 n. 47 ed ora regolato dall'art. 36, d.lgs. n. 380 del 2001 è infatti, come noto, diretto a sanare le opere solo formalmente abusive, in quanto eseguite senza concessione o autorizzazione, ma conformi nella sostanza alla disciplina urbanistica applicabile per l'area su cui sorgono (vigente sia al momento della loro realizzazione che al momento della presentazione dell'istanza di sanatoria: c.d. doppia conformità). Nel caso, l'Amministrazione è chiamata a svolgere una valutazione eminentemente doverosa e vincolata, priva di contenuti discrezionali e relativa alla realizzazione di un assetto di interessi già prefigurato dalla disciplina urbanistica applicabile, di tal che il provvedimento di accertamento di conformità assume una connotazione eminentemente oggettiva e vincolata, priva di apprezzamenti discrezionali (TAR Campania Napoli, sez. III, 05.10.2009, n. 5149; TAR Campania Napoli, sez. VI, 11.03.2009, n. 1393; TAR Campania Napoli, sez. VI, 17.12.2008, n. 21345).
Pertanto alcuna pretesa può avere la parte istante ad ottenere la concessione edilizia in sanatoria in forza dell’esecuzione di ulteriori lavori, volti a rendere le opere difformi alla normativa urbanistica e vincolistica, ad essa conformi (TAR Valle d'Aosta, sentenza 02.11.2011 n. 71 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALe norme sul versamento degli oneri concessori non prevedono, a carico del Comune, l'onere di escutere previamente il garante prima di applicare le sanzioni per il ritardato pagamento del contributo.
L'obbligo di collaborazione ex art. 1227 cc. è estraneo all'ambito sanzionatorio e dunque non vincolante per l'amministrazione. In questa diversa prospettiva la diligenza è richiesta al privato, il quale è tenuto a estinguere spontaneamente le obbligazioni assunte senza potersi giovare dell'inerzia dell'amministrazione. L'affidamento del privato non potrebbe d'altra parte derivare dalla mera inerzia dell'ente pubblico ma solo da un eventuale comportamento positivo di quest'ultimo tale da configurare una qualche responsabilità da contatto.
Il dovere di diligenza a carico del privato non è attenuato dalla presenza della fideiussione, la quale non ha la finalità di agevolare l'adempimento ma costituisce una garanzia personale prestata unicamente nell'interesse dell'amministrazione.
La natura sanzionatoria delle misure ex art. 3 della legge 47/1985 impone che l'ente pubblico stabilisca in modo chiaro le obbligazioni del privato e che quest'ultimo sia messo in condizione di adempiere. Non è necessario invece che il privato sia sollecitato ad adempiere o agevolato in altro modo. Pertanto se il rapporto con l'amministrazione è trasparente e il privato è puntualmente informato delle scadenze delle rate degli oneri concessori non servono ulteriori atti di impulso diretti a provocare l'adempimento. Parimenti non è necessaria la preventiva escussione del fideiussore, a meno che un obbligo in questo senso non sia stato espressamente assunto dall'amministrazione.
L'Amministrazione non ha l'obbligo, a fronte del ritardato pagamento degli oneri concessori, di escutere la fideiussione, evitando in tal modo di applicare la sanzione. Infatti la fideiussione che accompagna la rateizzazione del pagamento degli oneri di urbanizzazione non ha la finalità di agevolare l'adempimento del soggetto obbligato al pagamento, bensì costituisce una garanzia personale prestata unicamente nell'interesse dell'amministrazione, sulla quale non incombe alcun obbligo di preventiva escussione del fideiussore; invero, la garanzia sussidiaria serve a scongiurare che il Comune possa irrimediabilmente perdere una entrata di diritto pubblico, ma non alleggerisce affatto la posizione del soggetto tenuto al pagamento, né attenua i doveri di diligenza sullo stesso incombenti, né estingue di per sé l'obbligazione principale.

Con il quarto motivo di ricorso parte ricorrente contesta la debenza delle sanzioni applicate per il ritardato pagamento degli oneri concessori, assumendo che il Comune ben avrebbe potuto escutere la garanzia fideiussoria, in relazione alla quale non era contemplato il beneficium excussionis, prima di far maturare i termini previsti per l’irrogazione delle sanzioni nella misura massima; pertanto il comportamento del Comune, oltre ad essere viziato per eccesso di potere si rileverebbe, nella prospettiva di parte ricorrente, anche irrispettoso del principio di buona fede di cui all’art. 1175 c.c., al quale deve essere improntato l’operato dell’Amministrazione nei rapporti con il cittadino.
Il Collegio non ignora che in ordine a tale problematica sussistano diversi orientamenti giurisprudenziali; sulla specifica questione sia l'orientamento del Consiglio di Stato che dei TAR non può dirsi univoco, essendosi talvolta affermato in materia il dovere dell'Amministrazione di non aggravare la posizione del debitore ai sensi dell'art. 1227 c.c. (V. la decisione del Consiglio di Stato Sezione V. n. 1001 del 03.07.1995 e TAR Veneto n. 342 del 09.02.2000), mentre in altre occasioni si è ritenuto che specifiche clausole in tema di fideiussione (quali l'obbligo del garante di pagare a seguito di semplice richiesta scritta del creditore e con rinuncia alla preventiva escussione) possono valere solo a rendere il rapporto fideiussorio autonomo rispetto al rapporto obbligatorio principale, senza comportare il dovere dell'Amministrazione di chiedere prima l'adempimento per poter poi applicare le relative sanzioni pecuniarie (V. la decisione del Consiglio di Stato Sezione V. 2072 del 10.12.1999, TAR Lombardia, Milano, sez. 2°, n. 1192 del 17.04.1999, TAR Puglia Lecce, sez. I, 06.11.2000, n. 3494, secondo cui “In materia edilizia ed urbanistica, le norme sul versamento degli oneri concessori non prevedono a carico del comune l'onere di escutere previamente l'istituto garante prima di applicare le sanzioni per il ritardato pagamento del contributo. La prestazione di garanzie reali o personali, infatti, in caso di rateizzazione del contributo di concessione, è obbligatoriamente richiesta dalla legge (art. 47 l. n. 457 del 1978) e si colloca nell'interesse esclusivo dell'amministrazione. Trovano, perciò, piena applicazione i principi civilistici in materia di fidejussione e cioè solidarietà ai sensi dell'art. 1944 c.c., autonomia delle azioni verso i vari coobbligati e responsabilità principale del soggetto garantito rispetto a quella accessoria del garante (c.d. solidarietà diseguale)” TAR Veneto Venezia, sez. II, 21.10.2005, n. 3727 ).
Peraltro più di recente il Consiglio di Stato Sezione V, con le decisioni n. 1250 del 24.03.2005 e n. 6345 dell'11.11.2005 e n. 4025 del 16.07.2007, ha precisato che, in assenza di inadempimenti imputabili all'Amministrazione idonei a configurare a suo carico una responsabilità "da contatto" oppure di natura precontrattuale, il richiamo all'art. 1227 c.c. è del tutto inconferente, essendo tale disposizione riferibile solo alle obbligazioni di carattere risarcitorio e non a quelle (anche di contenuto pecuniario) di natura sanzionatoria, come nel caso in esame.
"Invero, pur in presenza di un contratto di garanzia cosiddetta autonoma, con il quale il garante si obbliga ad eseguire la prestazione oggetto della garanzia "a semplice richiesta" del creditore garantito, senza opporre eccezioni attinenti alla validità, all'efficacia ed alla vicenda del rapporto principale, anche in questa ipotesi il meccanismo dell'adempimento del garante "a prima richiesta" scatta a seguito dell'inadempimento dell'obbligazione principale, ancorché resti vietato al garante di chiedere la preventiva escussione del debitore principale (Cass. 18.11.1992 n. 12341, 03.11.1993 n. 10850, 17.05.2001 n. 6757) .
D'altronde, neppure con riguardo al regime ordinario delle obbligazioni tra privati sarebbe pertinente il richiamo all'art. 1227 cod. civ. Infatti, l'onere di diligenza che questa norma fa gravare sul creditore non si estende alla sollecitudine nell'agire a tutela del proprio credito onde evitare maggiori danni, i quali viceversa sono da imputare esclusivamente alla condotta del debitore, tenuto al tempestivo adempimento della sua obbligazione (V. Corte cost. n. 308 del 14.07.1999).
Inoltre, non è dato ravvisare nel sistema di cui agli artt. 1936 ss. cod. civ. alcun principio di preventiva doverosa escussione del fideiussore alla scadenza del termine fissato per l'adempimento dell'obbligazione garantita, che peraltro colliderebbe con le finalità dell'istituto, inteso a rafforzare la garanzia del credito in funzione di un interesse proprio e specifico del creditore.
In altri termini, ed in materia di obbligazioni "portable" quali quelle pecuniarie, e con termine di adempimento che esonera dalla costituzione in mora del debitore, il creditore è soltanto facultato ad attivare la solidale responsabilità del fideiussore, senza che possa invece ritenersi tenuto ad escutere il coobbligato piuttosto che attendere il pagamento, ancorché tardivo, salva l'esistenza di apposita clausola in tal senso (che dovrebbe essere accettata dall'Amministrazione), nella specie non prevista
” (Consiglio di stato, sez. V, 16.07.2007, n. 4025).
A tale orientamento ha aderito anche la IV sezione del Consiglio di Stato con la sentenza n. 4419 del 10.08.2007, secondo cui “Le norme sul versamento degli oneri concessori non prevedono, a carico del Comune, l'onere di escutere previamente il garante prima di applicare le sanzioni per il ritardato pagamento del contributo”.
Il Collegio aderisce a tale ultimo orientamento, atteso che l'obbligo di collaborazione ex art. 1227 cc. è estraneo all'ambito sanzionatorio e dunque non vincolante per l'amministrazione. In questa diversa prospettiva la diligenza è richiesta al privato, il quale è tenuto a estinguere spontaneamente le obbligazioni assunte senza potersi giovare dell'inerzia dell'amministrazione. L'affidamento del privato non potrebbe d'altra parte derivare dalla mera inerzia dell'ente pubblico ma solo da un eventuale comportamento positivo di quest'ultimo tale da configurare una qualche responsabilità da contatto.
Il dovere di diligenza a carico del privato non è attenuato dalla presenza della fideiussione, la quale non ha la finalità di agevolare l'adempimento ma costituisce una garanzia personale prestata unicamente nell'interesse dell'amministrazione (in questo senso cfr. di recente TAR Lombardia Brescia Sez. I, Sent., 11.09.2009, n. 1688 secondo cui “la natura sanzionatoria delle misure ex art. 3 della legge 47/1985 impone che l'ente pubblico stabilisca in modo chiaro le obbligazioni del privato e che quest'ultimo sia messo in condizione di adempiere. Non è necessario invece che il privato sia sollecitato ad adempiere o agevolato in altro modo. Pertanto se il rapporto con l'amministrazione è trasparente e il privato è puntualmente informato delle scadenze delle rate degli oneri concessori non servono ulteriori atti di impulso diretti a provocare l'adempimento. Parimenti non è necessaria la preventiva escussione del fideiussore, a meno che un obbligo in questo senso non sia stato espressamente assunto dall'amministrazione”; TAR Lombardia Milano, sez. II, 21.07.2009, n. 4405 “L'Amministrazione non ha l'obbligo, a fronte del ritardato pagamento degli oneri concessori, di escutere la fideiussione, evitando in tal modo di applicare la sanzione. Infatti la fideiussione che accompagna la rateizzazione del pagamento degli oneri di urbanizzazione non ha la finalità di agevolare l'adempimento del soggetto obbligato al pagamento, bensì costituisce una garanzia personale prestata unicamente nell'interesse dell'amministrazione, sulla quale non incombe alcun obbligo di preventiva escussione del fideiussore; invero, la garanzia sussidiaria serve a scongiurare che il Comune possa irrimediabilmente perdere una entrata di diritto pubblico, ma non alleggerisce affatto la posizione del soggetto tenuto al pagamento, né attenua i doveri di diligenza sullo stesso incombenti, né estingue di per sé l'obbligazione principale”)
(TAR Valle d'Aosta, sentenza 02.11.2011 n. 71 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATANell'esaminare un'istanza di compatibilità paesaggistica appare necessario privilegiare un’interpretazione finalistica del dato normativo (art. 167, comma 4, del D.Lgs. 22.01.2004, n. 42), che sia, al contempo, “aderente alla ragione d’essere e alla funzione essenziale della tutela paesaggistica e coerente con le sempre più avvertite esigenze di semplificazione e di proporzionalità nel commisurare la risposta sanzionatoria dell’ordinamento all’effettiva portata lesiva del bene protetto propria dell’abuso commesso” (cfr. parere in data 13.09.2010 dell’Ufficio legislativo del Ministero per i Beni e le Attività Culturali).
La funzione essenziale della tutela paesaggistica è da sempre da ricondursi all’aspetto visibile del territorio, conseguendone che, costituendo la percepibilità della modificazione dell’aspetto esteriore del bene protetto un prerequisito di rilevanza paesaggistica del fatto, la sua insussistenza è da ritenersi idonea ad elidere, alla radice, la sussistenza stessa dell’illecito contestato, senza che possa darsi corso a valutazioni o apprezzamenti di sorta sull’esistenza di superfici utili o di volumi.

Con riferimento al diniego di accertamento di compatibilità paesaggistica, sono condivisibili gli assunti di parte ricorrente, atteso che appare necessario privilegiare un’interpretazione finalistica del dato normativo (art. 167, comma 4, del D.Lgs. 22.01.2004, n. 42), che sia, al contempo, “aderente alla ragione d’essere e alla funzione essenziale della tutela paesaggistica e coerente con le sempre più avvertite esigenze di semplificazione e di proporzionalità nel commisurare la risposta sanzionatoria dell’ordinamento all’effettiva portata lesiva del bene protetto propria dell’abuso commesso” (cfr. parere in data 13.09.2010 dell’Ufficio legislativo del Ministero per i Beni e le Attività Culturali).
La funzione essenziale della tutela paesaggistica è da sempre (ed ora ritraibile dall’art. 1 della Convenzione europea sul paesaggio, ratificata con legge 09.01.2006, n. 14, e dagli artt. 131, 146, comma 1, e 149 del D.Lgs. 22.01.2004, n. 42) da ricondursi all’aspetto visibile del territorio, conseguendone che, costituendo la percepibilità della modificazione dell’aspetto esteriore del bene protetto un prerequisito di rilevanza paesaggistica del fatto, la sua insussistenza è da ritenersi idonea ad elidere, alla radice, la sussistenza stessa dell’illecito contestato, senza che possa darsi corso a valutazioni o apprezzamenti di sorta sull’esistenza di superfici utili o di volumi
(TAR Pimonte, Sez. II, sentenza 27.10.2011 n. 1135 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIl lungo lasso di tempo trascorso dalla commissione dell’abuso edilizio ed il protrarsi dell’inerzia dell’amministrazione preposta alla vigilanza, comporta la nascita di una posizione di affidamento nel privato cittadino, in relazione alla quale il potere repressivo è subordinato ad un onere di congrua motivazione che, avuto riguardo anche all’entità e alla tipologia dell’abuso, indichi il pubblico interesse, evidentemente diverso da quello di ripristino della legalità, idoneo a giustificare il sacrificio del contrapposto interesse privato.
Il lungo lasso di tempo trascorso dalla commissione dell’abuso edilizio ed il protrarsi dell’inerzia dell’amministrazione preposta alla vigilanza, comporta la nascita di una posizione di affidamento nel privato cittadino, in relazione alla quale il potere repressivo è subordinato ad un onere di congrua motivazione che, avuto riguardo anche all’entità e alla tipologia dell’abuso, indichi il pubblico interesse, evidentemente diverso da quello di ripristino della legalità, idoneo a giustificare il sacrificio del contrapposto interesse privato (C.d.S., V, 04.03.2008, n. 883; C.d.S., V, 29.05.2006, n. 3270; in termini: TAR Lazio, Roma, I-quater, 22.06.2010, n. 19923; TAR Umbria, I, 18.06.2010, n. 382; TAR Campania, Napoli, IV, 24.05.2010, n. 8343) (TAR Pimonte, Sez. II, sentenza 27.10.2011 n. 1135 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AMBIENTE-ECOLOGIAL'accertata presenza di un fenomeno di inquinamento acustico -pur se non coinvolgente l'intera collettività- deve ritenersi sufficiente a concretare l'eccezionale ed urgente necessità di intervenire a tutela della salute pubblica, con la conseguenza che l'ordinanza sindacale ben può essere adottata anche a seguito dell'esposto di una sola famiglia, non constando nella norma alcun parametro numerico o dimensionale.
Come riconosciuto anche dal Consiglio di Stato nell’ordinanza n. 4254/2008, “l'accertata presenza di un fenomeno di inquinamento acustico -pur se non coinvolgente l'intera collettività- deve ritenersi sufficiente a concretare l'eccezionale ed urgente necessità di intervenire a tutela della salute pubblica, con la conseguenza che l'ordinanza sindacale ben può essere adottata anche a seguito dell'esposto di una sola famiglia, non constando nella norma alcun parametro numerico o dimensionale” (TAR Lombardia Brescia, sez. II, 02.11.2009 , n. 1814, cfr. anche TAR Piemonte, Sez. I, 02.03.2009 n. 199, TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, 27.12.2007 n. 6819) (TAR Piemonte, Sez. II, sentenza 27.10.2011 n. 1127 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

VARI: Attenti alle parole con la stradale. Dire alla polizia: vi do quello che volete se mi lasciate andare costituisce reato.
Lo ha ribadito la Corte di cassazione, Sez. VI penale, con la sentenza 17.10.2011 n. 37402.
Un giovane automobilista è stato fermato dalla polizia stradale che gli ha immediatamente contestato la falsità dell'attestazione di avvenuta revisione del proprio veicolo.
Durante il controllo l'autista ha quindi proposto agli agenti di chiudere un occhio specificando «vi do quello che volete se mi lasciate andare». Per queste semplici affermazioni molto dirette il tribunale di Arezzo ha condannato il giovane automobilista per il reato di istigazione alla corruzione.
Successivamente la Corte d'appello e la Cassazione hanno confermato il giudicato. Anche se l'offerta è generica e indeterminata nel contenuto resta molto pericoloso pronunciare certe frasi agli organi di vigilanza stradale.
La proposta del giovane infatti «è concretamente diretta a spingere il destinatario a qualificare lui stesso la somma che intende ricevere quale corrispettivo del mancato compimento dell'atto del proprio ufficio, avviando così la contrattazione illecita tipica della fattispecie corruttiva» (articolo ItaliaOggi del 17.11.2011).

EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICIAppalto di manodopera, la Cassazione chiarisce.
L'argomento relativo all'appalto illegale di manodopera nell'ambito della contrattazione privata è sempre di attualità.
Interessante si presenta sul tema la lettura della sentenza 15.07.2011 n. 15615 della Cassazione.
In tema di interposizione nelle prestazioni di lavoro l'esercizio di un potere di controllo da parte del committente è compatibile con un regolare contratto di appalto e, sotto questo profilo, può ritenersi legittima la predeterminazione da parte del committente anche delle modalità temporali e tecniche di esecuzione del servizio o dell'opera oggetto dell'appalto che dovranno essere rispettate dall'appaltatore, con la conseguenza che non può ritenersi sufficiente ai fini della configurabilità di un appalto fraudolento la circostanza che il personale dell'appaltante impartisca disposizioni agli ausiliari dell'appaltatore, occorrendo verificare se le disposizioni impartite siano riconducibili al potere direttivo del datore di lavoro, in quanto inerenti a concrete modalità di svolgimento delle prestazioni lavorative, oppure al solo risultato di tali prestazioni, il quale può formare oggetto di un genuino contratto di appalto.
Tanto richiamato, ferma la ratio legis che sottende la disciplina di cui al dlgs n. 276/2003 e l'autonomia e la specificità degli istituti ivi previsti rispetto alle disposizioni previgenti abrogate dal medesimo dlgs e alle disposizioni del codice civile, l'interprete può, tutt'ora, rinvenire nei principi sopra richiamati alcuni parametri significativi al fine della verifica della ricorrenza o meno di un contratto di appalto attraverso il quale si intenda eludere le disposizioni che disciplinano il mercato del lavoro.
Nella fattispecie in esame, la Corte di appello di Torino aveva accolto il ricorso in appello proposto da un lavoratore che aveva domandato l'accertamento della sussistenza di un rapporto di lavoro in capo alla committente ai sensi dell'art. 29, comma 3-bis, del dlgs n. 276/2003, nell'ambito di un contratto di appalto, avente ad oggetto servizi informatici, che prevedeva lo svolgimento dell'attività lavorativa dei dipendenti della società appaltatrice presso la struttura della committente, con mezzi materiali propri della committente e in gruppi di lavoro formati anche dai dipendenti della società committente.
La sentenza della Corte ha poi confermato la sentenza d'appello (articolo ItaliaOggi del 18.11.2011).

AGGIORNAMENTO AL 17.11.2011

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A V V I S O

     Come saprete, il novellato comma 2-ter dell'art. 34 del DPR n. 380/2011 così recita: "Art. 34 (L) - Interventi eseguiti in parziale difformità dal permesso di costruire.
1. Gli interventi e le opere realizzati in parziale difformità dal permesso di costruire sono rimossi o demoliti a cura e spese dei responsabili dell'abuso entro il termine congruo fissato dalla relativa ordinanza del dirigente o del responsabile dell’ufficio. Decorso tale termine sono rimossi o demoliti a cura del comune e a spese dei medesimi responsabili dell'abuso.
2. Quando la demolizione non può avvenire senza pregiudizio della parte eseguita in conformità, il dirigente o il responsabile dell’ufficio applica una sanzione pari al doppio del costo di produzione, stabilito in base alla legge 27.07.1978, n. 392, della parte dell'opera realizzata in difformità dal permesso di costruire, se ad uso residenziale, e pari al doppio del valore venale, determinato a cura della agenzia del territorio, per le opere adibite ad usi diversi da quello residenziale.
2-bis. Le disposizioni del presente articolo si applicano anche agli interventi edilizi di cui all'articolo 22, comma 3, eseguiti in parziale difformità dalla denuncia di inizio attività.
(comma aggiunto dal d.lgs. n. 301 del 2002)
2-ter. Ai fini dell’applicazione del presente articolo, non si ha parziale difformità del titolo abilitativo in presenza di violazioni di altezza, distacchi, cubatura o superficie coperta che non eccedano per singola unità immobiliare il 2 per cento delle misure progettuali. (comma introdotto dall'articolo 5, comma 2, lettera a), legge n. 106 del 2011).".
     Orbene, l'interpretazione e l'applicazione di questo "benedetto" 2 per cento sta creando non pochi problemi agli addetti ai lavori. Invero, abbiamo già ricevuto alcune richieste di delucidazioni in merito ...
     E allora, abbiamo investito della questione il nostro legale di fiducia il quale, però, essendo già al lavoro da alcuni giorni per dirimere alcune controversie gradirebbe conoscere, al fine di poter redigere il proprio pensiero in maniera esaustiva (che sarà pubblicato su questo Portale), gli elementi di criticità applicativa.
     In altre parole, se avete da porre quesiti specifici sull'interpretazione ed applicazione del comma 2-ter di cui sopra lo potete fare inviandoci una mail cliccando qui
entro e non oltre lunedì 21.11.2011.
     Grazie per la collaborazione.
17.11.2011 - LA SEGRETERIA PTPL

GURI - GUUE - BURL (e anteprima)

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 46 del 16.11.2011, "Pubblicazione ai sensi dell’art. 5 del regolamento regionale 21.01.2000, n. 1 dell’elenco dei “Tecnici competenti” in acustica ambientale riconosciuti dalla Regione Lombardia alla data del 27 ottobre 2011, in attuazione dell’art. 2, commi 6 e 7 della legge 26.10.1995, n. 447, della deliberazione 17.05.2006, n. 8/2561 e del decreto 30.05.2006, n. 5985" (comunicato regionale 09.11.2011 n. 126).

ATTI AMMINISTRATIVI - ENTI LOCALI: G.U. 16.11.2011 n. 267 "Comunicazioni con strumenti informatici tra imprese e amministrazioni pubbliche, ai sensi dell’articolo 5-bis del Codice dell’amministrazione digitale, di cui al decreto legislativo 07.03.2005, n. 82 e successive modificazioni" (D.P.C.M. 22.07.2011).

QUESITI & PARERI

AMBIENTE-ECOLOGIA: Dove sono stabiliti modalità e importi delle garanzie finanziarie che devono essere prestate a favore dello Stato dai commercianti e intermediari dei rifiuti senza detenzione dei rifiuti stessi? (16.11.2011 - link a www.ambientelegale.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Quali sono le modalità di rinnovo per le imprese iscritte alle cat. 2 e 3 dell’Albo, abrogate in seguito all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 205/2010? (16.11.2011 - link a www.ambientelegale.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Quali sono i tempi e modalità per l’aggiornamento delle iscrizioni al trasporto in conto proprio dei rifiuti? (16.11.2011 - link a www.ambientelegale.it).

APPALTI: Criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa. Stazione appaltante, no all'elezione diretta di un professionista.
Domanda.
Questo Comune ha indetto una procedura per l'affidamento di un appalto di lavori da assegnare con il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa. Dovendosi nominare la Commissione giudicatrice, ci siamo posti il problema se, per velocizzare il sub-procedimento di nomina, e' possibile interpellare un professionista -esperto nella materia oggetto dell'appalto- con il quale l'Amministrazione ha avuto e ha in corso proficui rapporti di consulenza.
Risposta.
Come si sa, l'art. 84, comma 8, D.Lgs. 12-04-2006, n. 163 e s.m.i. prevede che: "8. I commissari diversi dal presidente sono selezionati tra i funzionari della stazione appaltante. In caso di accertata carenza in organico di adeguate professionalità, nonché negli altri casi previsti dal regolamento in cui ricorrono esigenze oggettive e comprovate, i commissari diversi dal presidente sono scelti tra funzionari di amministrazioni aggiudicatrici di cui all'art. 3, comma 25, ovvero con un criterio di rotazione tra gli appartenenti alle seguenti categorie:
a) professionisti, con almeno dieci anni di iscrizione nei rispettivi albi professionali, nell'ambito di un elenco, formato sulla base di rose di candidati fornite dagli ordini professionali;
b) professori universitari di ruolo, nell'ambito di un elenco, formato sulla base di rose di candidati fornite dalle facoltà di appartenenza.
9. Gli elenchi di cui al comma 8 sono soggetti ad aggiornamento almeno biennale
."
Secondo l'orientamento giurisprudenziale più recente, la corretta applicazione di questa norma esclude che la stazione appaltante possa fare luogo a elezione diretta di un professionista, sia pure in possesso dei requisiti e delle capacità professionali richiesti dall'art. 84, comma 2, D.Lgs. cit. (in questo senso, da ultimo, TAR Lazio-Roma Sez. II-ter, 27.05.2011, n. 4810, che ha giudicato illegittima la scelta come professionista esterno in Commissione di un avvocato, nella qualità di esperto in appalti, effettuata senza la preventiva richiesta all'Ordine degli avvocati di una rosa di candidati e la conseguente formazione di un apposito elenco dal quale attingere).
La risposta al quesito, pertanto, deve ritenersi negativa, in ossequio all'orientamento giurisprudenziale più recente (15.11.2011 - tratto da www.ipsoa.it).

AGGIORNAMENTO AL 16.11.2011

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dite la vostra ... RICEVIAMO E PUBBLICHIAMO

URBANISTICA: E' lecito offrire al comune somme di denaro e/o opere di interesse pubblico in cambio della destinazione fabbricabile di alcuni terreni?
Spettabile Redazione sito PTPL,
ho partecipato in data 02.11.2011 al vostro convegno i cui relatori erano l’Avv. Mario VIVIANI (Avvocato amministrativista in Milano) e l’Avv. Attilio Antonio CILLARIO (Avvocato penalista in Milano).
Tra gli altri, uno degli argomenti trattati dal convegno è stato quello sintetizzabile nella domanda “è lecito offrire al comune somme di denaro e/o opere di interesse pubblico in cambio della destinazione fabbricabile di alcuni terreni?
Devo subito dire che -secondo me- la risposta è ...
(... continua cliccando qui)
(15.11.2011 - roberto pagliaro - responsabile UT comune del bergamasco).

DOTTRINA E CONTRIBUTI

URBANISTICA: L. Spallino, Lombardia, Esiti della mancata approvazione dei PGT al 31.12.2012 (link a www.studiospallino.it).

PUBBLICO IMPIEGO: M. Catellani, I COMPENSI ISTAT PER IL CENSIMENTO: ATTENZIONE AI RICORDI DEL PASSATO (tratto dalla newsletter di www.publika.it n. 45 - novembre 2011).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: G. Forleo, La disciplina delle terre e rocce da scavo alla luce del D.L.vo n. 205/2010 (link a www.lexambiente.it).

SINDACATI

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: EE.LL.: Costituzione del fondo per le risorse decentrate - I residui dell'anno precedente (CGIL-FP di Bergamo, nota 14.11.2011).

NOTE, CIRCOLARI E COMUNICATI

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Oggetto: art. 9, D.Lgs. n. 124/2004 – utilizzo lavoro accessorio ex art. 70, D.Lgs. n. 276/2003 (... problematica afferente alla possibilità da parte degli Enti medesimi di utilizzare lavoratori, ex dipendenti di Enti locali, collocati a riposo con pensione di anzianità da meno di 5 anni, per l’espletamento di attività a carattere “accessorio”).
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Lavoro accessorio.
Il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, con nota 11.11.2011 n. 37/0005092 di prot., risponde alla richiesta di interpello (n. 44/2011) dell'ANCI in merito all'utilizzo del lavoro accessorio (ex art. 70 D.Lgs. 276/2003) da parte delle Pubbliche Amministrazioni.

GURI - GUUE - BURL (e anteprima)

URBANISTICA: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 46 del 15.11.2011, "Modalità per l’individuazione di esperienze positive in tema di uso razionale del suolo e recupero del patrimonio edilizio esistente" (deliberazione G.R. 09.11.2011 n. 2477).

ENTI LOCALI - VARI: G.U. 14.11.2011 n. 265, suppl. ord. n. 234/L, "Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilità 2012)"  (Legge 12.11.2011 n. 183).

APPALTI - VARI: G.U. 14.11.2011 n. 265 "Norme per la tutela della libertà d’impresa. Statuto delle imprese" (Legge 11.11.2011 n. 180).
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L'ENNESIMA MODIFICA AL CODICE DEI CONTRATTI (D.Lgs. 163/2006): si legga, al riguardo, l'art. 12 ed anche l'interessante art. 13.

DIPARTIMENTO FUNZIONE PUBBLICA

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGOP.a., premi ai bravi. Vanno certificati gli obiettivi raggiunti. Circolare di Brunetta sul dividendo di efficienza.
Prendono corpo le risorse da destinare alla contrattazione integrativa degli statali, tra cui quelle destinate a premiare la qualità della performance individuale, prevista dalla riforma Brunetta del pubblico impiego. Ma affinché si possano utilizzare a tal fine i risparmi conseguiti, le amministrazioni dovranno accertare, a consuntivo, il raggiungimento dell'obiettivo fissato nel piano triennale di razionalizzazione della spesa, per ciascuna delle singole voci di spesa ivi previste.
E' quanto rende noto la circolare 11.11.2011 n. 13 della funzione pubblica, resa nota sabato scorso sul sito dello stesso dipartimento di Palazzo Vidoni, con cui si disciplina il cosiddetto «dividendo dell'efficienza».
La normativa vigente, infatti, ovvero l'articolo 61, comma 17, del dl n. 112/2008 e l'articolo 16, commi 4 e 5, del dl n. 98/2011, offrono delle «opportunità» alle amministrazioni statali, per ottenere risorse concrete da destinare ai propri dipendenti dalla razionalizzazione e dal contenimento della spesa. In linea generale, c'è un ampio ventaglio che le stesse p.a. possono sfruttare, al fine di incrementare le risorse dedicate alla contrattazione integrativa, così da «compensare» il perdurante blocco delle risorse destinate al pubblico impiego.
Da questi presupposti, la circolare precisa che la base di fondo è quanto sancito al predetto articolo 61 dl n. 12/2008, ovvero l'istituzione di un fondo cui affluiscono le risorse scaturenti dalle riduzioni di spesa per gli apparati amministrativi e le maggiori entrate previste tra le pieghe del citato dl, una cui parte deve alimentare la contrattazione integrativa.
Inoltre, ad incrementare parte di detto fondo, intervengono, grazie alla manovra correttiva del 2010, le risorse provenienti dalla riduzione di alcuni costi sostenuti dalle p.a., ovvero la partecipazione agli organi collegiali, le indennità ed i gettoni di presenza, nonché le riduzioni in materia di spesa annua per studi e consulenze. Ma le stesse amministrazioni possono conseguire ulteriori risparmi che «non andranno perduti». Infatti, per effetto dell'articolo 16 della prima manovra correttiva di quest'anno, questi possono essere destinati al finanziamento della contrattazione integrativa.
Su questo punto, le maggiori economie possono ricavarsi dai piani triennali di razionalizzazione e riqualificazione della spesa, dalle misure in materia di semplificazione e digitalizzazione, dai risparmi derivati dal blocco delle assunzioni, dalle riduzioni in materia di utilizzo della auto blu, nonché dalla riduzione dei costi della politica. Se la p.a. raggiunge ulteriori economie di spesa, allora, in sede di rendicontazione annuale ne destina, al massimo, il 50% alla contrattazione integrativa, ma di questo importo, la metà deve andare all'erogazione dei premi per la qualità della prestazione individuale previsti dalla riforma Brunetta (il dlgs n. 150/2009), la restante somma deve essere riversata all'erario, ai fini del miglioramento dei saldi di finanza pubblica.
C'è una precisazione, però, che il documento di Renato Brunetta sottolinea espressamente. Ovvero, che le economie conseguite sono utilizzabili solo se le amministrazioni interessate, a consuntivo e per ogni esercizio finanziario, accertano che gli obiettivi fissati (e i relativi risparmi) sono stati raggiunti «per ciascuna delle singole voci di spesa previste nei piani triennali di razionalizzazione della spesa» (articolo ItaliaOggi del 15.11.2011 - tratto da www.corteconti.it).

NEWS

ATTI AMMINISTRATIVI - ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGOIl ritardo della p.a. va risarcito. Non un semplice indennizzo per il mancato rispetto dei termini. Brunetta lascia in dote il codice della pubblica amministrazione. Concorsi senza firme autenticate.
Non sarà un indennizzo, ma un vero e proprio risarcimento del danno quello che la pubblica amministrazione dovrà pagare ai cittadini quando non osserverà il termine di conclusione del procedimento, fissato al massimo in 90 giorni. E il diritto a ricevere il pagamento scatterà non solo in presenza di dolo, ma anche in caso di inosservanza colposa del termine.
Il principio, sancito nella legge di semplificazione n. 69/2009, entra di diritto nel nuovo codice della pubblica amministrazione, l'opera omnia che il ministro della funzione pubblica, Renato Brunetta, ha lasciato come ultimo atto della proprio dicastero. In 163 pagine e 262 articoli il provvedimento racchiude in un'unica codificazione tutta la legislazione, spesso alluvionale, accumulatasi negli anni in materia di p.a. Con evidenti risparmi di tempo per cittadini e imprese.
Il codice è suddiviso in quattro libri: principi fondamentali, attività amministrativa, lavoro alle dipendenze delle p.a., disposizioni finali e abrogazioni. Toccherà al prossimo inquilino di palazzo Vidoni portare il decreto legislativo all'approvazione definitiva, visto che il testo licenziato venerdì scorso dal penultimo consiglio dei ministri del governo Berlusconi è solo uno schema di dlgs che dovrà ancora ricevere i pareri previsti.
Il provvedimento lega a doppio filo la tutela dei diritti lesi dal silenzio delle pubbliche amministrazioni con il codice del processo amministrativo, anch'esso approvato dal consiglio dei ministri di venerdì scorso (si veda ItaliaOggi del 12/11/2011).
Oltre a legittimare il diritto al risarcimento del danno nei confronti del cittadino, la mancata adozione del provvedimento nei termini previsti sarà oggetto di valutazione disciplinare per il dirigente. Che dunque risponderà in prima persona per i ritardi degli uffici di sua competenza.
Revoca del provvedimento. Le pubbliche amministrazioni dovranno mettere mano al portafoglio non solo in caso di inosservanza dei termini, ma anche in caso di revoca di un atto. In questo caso però il codice della p.a. non parla di risarcimento ma di «indennizzo» che dovrà essere corrisposto ai destinatari del provvedimento originario. L'indennizzo sarà parametrato al solo danno emergente (non dunque al lucro cessante, ossia il mancato guadagno).
Scia. Il codice recepisce anche le ultime novità in materia di segnalazione certificata di inizio attività introdotta dalla manovra correttiva 2010 (dl 78/2010). Sarà sostituito da una semplice segnalazione dell'interessato ogni provvedimento di autorizzazione, licenza, permesso o nulla osta (comprese le domande per le iscrizioni in albi o ruoli per l'esercizio di attività imprenditoriale, commerciale, professionale o artigianale) il cui rilascio dipenda esclusivamente dall'accertamento di requisiti e presupposti stabiliti dalla legge e non sia soggetto ad alcun contingente complessivo.
Concorsi senza autentica di firma. Un'altra semplificazione non da poco sarà l'esonero dall'autentica della firma per le domande di partecipazione ai concorsi pubblici. Niente autentica anche per gli esami di abilitazione o diploma.
Acquisizione d'ufficio di informazioni. Infine, il dlgs recepisce le ultime novità in materia di autocertificazione introdotte dalla legge di stabilità (n. 183/2011, pubblicata ieri in Gazzetta Ufficiale). Le amministrazioni pubbliche non potranno richiedere atti o certificati quando le informazioni sono già in loro possesso.
Saranno obbligate ad acquisirle d'ufficio, ma il cittadino dovrà indicare chiaramente dove reperirle. In alternativa, le p.a. saranno sempre tenute ad accettare le autocertificazioni (articolo ItaliaOggi del 15.11.2011 - tratto da www.corteconti.it).

PUBBLICO IMPIEGO - VARIRicetta cartacea, l'addio nel 2012. In Gazzetta le linee guida del Mef.
Entro settembre 2012 diremo addio alla tradizionale ricetta medica cartacea e un benvenuto a quella in formato elettronico.
Sono state infatti definite dal decreto 02.11.2011 del Mineconomia (sulla G.U. di sabato 12 novembre), le linee guida per la dematerializzazione della ricetta medica cartacea, così come prevede l'articolo 11, comma 16, del dl n. 78/2010.
La parola d'ordine, pertanto, è l'accelerazione del conseguimento dei risparmi che si otterranno grazie alla trasmissione telematica delle ricette mediche. E su questo punto, il dm in esame già mette nero su bianco le modalità operative che interesseranno i medici prescrittori e le strutture di erogazione dei servizi sanitari, secondo un corposo protocollo allegato al dm stesso. In tutto questo, il Mineconomia renderà a breve disponibile, per le regioni e le Asl, nonché ai medici convenzionati con il servizio sanitario nazionale, la piattaforma dei servizi telematici necessaria per l'invio online.
Seguiamo l'iter di generazione di una ricetta medica telematica. Il medico proscrittore, al momento della generazione della ricetta elettronica, invia al Sistema di accoglienza centrale (Sac) del Mineconomia i dati della stessa, comprensivi del Numero di ricetta elettronica (Nre), del codice fiscale dell'assistito titolare della prescrizione e del codice di eventuale esenzione dalla compartecipazione dalla spesa sanitaria. Se il sistema risponde con esito positivo, il medico proscrittore rilascia al soggetto assistito un promemoria cartaceo. Se, invece, il sistema non accoglie la richiesta, il medico segnala tale anomalia al Sistema tessera sanitaria, provvedendo a compilare tradizionalmente la ricetta medica, utilizzando il bollettario standard. Il passo successivo si manifesta all'atto dell'utilizzazione, da parte dell'assistito, della ricetta elettronica.
Qui, la struttura di erogazione dei servizi sanitari «preleva» (sempre in ambito telematico) dal sistema di accoglienza centrale, la ricetta elettronica nonché il promemoria che l'assistito stesso ha presentato alla struttura. Una volta completata la prestazione, la stessa struttura invia le informazioni sull'erogazione della prestazione, provvedendo, altresì, alla sua rendicontazione in apposito archivio informatico (articolo ItaliaOggi del 15.11.2011 - tratto da www.ecostampa.it).

INCARICHI PROFESSIONALILA LEGGE DI STABILITÀ/ La tariffa ora è un affare privato. Gli ordini non potranno più vigilare sui professionisti. I compensi saranno determinati seguendo solo la legge del mercato.
Addio istruttorie, richiami, sanzioni disciplinari. Le tariffe diventano un affare privato tra professionista e cliente, con buona pace degli ordini.
La nuova rivoluzione, per il comparto, è contenuta in due righe al comma 12 dell'art. 4-septies del maxiemendamento alla legge di stabilità, dove si prevede la soppressione [dall'art. 3, comma 5, lettera d), della legge n. 148/2011] delle parole: «prendendo come riferimento le tariffe professionali. È ammessa la pattuizione dei compensi anche in deroga alle tariffe». E quindi di qualsiasi riferimento a vincoli o riferimenti degli ordini professionali. D'altra parte, il cambiamento, per i professionisti, era già in atto da tempo: dal decreto Bersani del 2006 che aveva sdoganato i minimi tariffari. E da cinque anni sta andando avanti la lotta degli ordini nei confronti di quelle iniziative che, a loro dire, non rispettano il livello di decoro minimo della prestazione professionale.
L'ultima frontiera è stata raggiunta proprio nei giorni scorsi con il «caso Groupon» (si veda ItaliaOggi dell'8 novembre scorso), con da una parte il moltiplicarsi di medici, architetti e ingegneri che propongono visite specialistiche e certificazioni a prezzi stracciati, dall'alt tra gli ordini di riferimento che hanno intrapreso iniziative di contrasto e denunce all'Antitrust. Ebbene, da oggi presumibilmente le categorie dovranno deporre le armi e i professionisti sottostare alla sola legge del mercato. Ma vediamo nel dettaglio tutte le novità e cosa cambia nel rapporto professionista-cliente.
Il conferimento dell'incarico. Professionista e cliente contratteranno il compenso della prestazione in maniera totalmente libera. Il tariffario, approvato dal ministero della giustizia, non avrà valore nemmeno come punto di riferimento. Tranne in caso di mancata determinazione consensuale del compenso, quando il committente è un ente pubblico, in caso di liquidazione giudiziale dei compensi, ovvero nei casi in cui la prestazione è resa nell'interesse dei terzi. Altrimenti, gli obblighi del professionista, nei confronti del cliente, contenuti nella legge di stabilità consistono nel comunicare: il livello di complessità dell'incarico, tutte le informazioni utili riguardo gli oneri ipotizzabili dal momento del conferimento alla conclusione dell'incarico, gli estremi della polizza stipulata per la responsabilità professionale e il relativo massimale.
Già, perché con la legge di stabilità il professionista è tenuto a stipulare idonea assicurazione per i rischi derivanti dall'esercizio dell'attività professionale. Le condizioni generali delle polizza possono essere negoziate, in convenzione con i propri iscritti, dai Consigli nazionali e dagli enti previdenziali dei professionisti.
Società fra professionisti. L'altra novità prevista dal maxiemendamento (ma in linea con le altre bozze circolate nei giorni scorsi) riguarda le società tra professionisti. L'esercizio delle attività intellettuali potrà avvenire tramite società partecipate non solo da professionisti iscritti a ordini, albi e collegi (purché in possesso del titolo di studio abilitante) ma anche da soggetti non professionisti soltanto per prestazioni tecniche o con una partecipazione minoritaria, o per finalità di investimento. Viene fissato poi in sei mesi il tempo in cui il ministro dello sviluppo economico dovrà adottare un regolamento per disciplinare la materia.
Riforma delle professioni. Entro 12 mesi, infine, verrà approvato il restyling del comparto professionale. Restano invariati i principi da seguire e già indicati nella manovra di fine agosto: difesa dell'esame di stato, libertà di accesso agli ordini, istituzione di un equo compenso per i tirocinanti ecc. (articolo ItaliaOggi Sette del 14.11.2011).

ATTI AMMINISTRATIVILA LEGGE DI STABILITÀ/ Fondo spese ad hoc per il caro-liti. Aumento generalizzato per le controversie, a prescindere dal valore.
La causa civile è un investimento. L'incremento del contributo unificato e cioè della somma che bisogna versare allo stato per iniziare una causa fa lievitare il fondo spese che bisogna preventivare per fruire del sistema giustizia. Peraltro il costo della singola controversia non contempla solo la voce del contributo unificato, dovendosi aggiungere una serie di altre poste: spese per la notificazione degli atti, diritti di copia degli atti, imposta di registro sulle sentenze. Anche il costo della mediazione, se non ha successo, diventa un costo aggiuntivo. Così come lo sono eventuali sanzioni per scelte processuali che si rivelano poco favorevoli (chiedere la sospensione di una sentenza di primo grado) o sanzioni per omissioni negli atti difensivi (mancata indicazione di pec e fax dell'avvocato).
Il cumulo degli oneri raggiunge cifre considerevoli e non solo per i processi di valore alto. Questo l'effetto combinato delle modifiche al testo unico delle spese di giustizia (dlgs 115/2002) apportate da vari decreti legge (decreto 78/2010 e 98/2011) e dalla legge di stabilità.
Proporre una domanda contro chi ci ha citati in giudizio costa, dunque, molto più di prima. E grazie al pacchetto giustizia contenuto nella legge di stabilità costerà molto di più proporre una domanda riconvenzionale. Per avanzare la quale si dovrà pagare il contributo unificato pieno, mentre fino a oggi versava solo una integrazione rispetto a quanto già versato dal suo avversario.
A bene vedere lo stato per una causa nella quale si propone una domanda riconvenzionale incassa due volte il contributo per la quota di valore comune alle due domande e in più incassa il contributo unificato per la parte eccedente.
Appello e Cassazione. Il contributo unificato per i giudizi di impugnazione è aumentato del 50% e quello per i giudizi in cassazione è aumentato del 100%. Questo per effetto dell'inserimento del comma 1 bis all'articolo 13 del Testo unico delle spese di giustizia (dpr 115/2002). Tra l'altro questi ulteriori aumenti si applicano su importi già aumentati. L'effetto combinato di questi aumenti porta a risultati eccezionali: se fino ad agosto 2010 per un appello su una causa di valore di 50 mila euro si pagavano 310 euro, dopo la legge di stabilità se ne devono pagare 675 e per la cassazione addirittura 900. Un innalzamento esponenziale che non pare giustificato dal fatto che ci si trova in differenti gradi di giudizio. Così come non appare ragionevole ritenere conforma alla costituzione disincentivare dal proporre impugnazioni. Se ci sono tre gradi di giudizi non è ragionevole tenere lontano con disincentivi economici i cittadini dal secondo e dal terzo grado.
Il risultato della legge di stabilità è che più si va avanti nei gradi di giudizio più si paga. Certo avere meno appelli avrà il significato di ridurre il carico e l'arretrato, ma si dubita che ciò sia compatibile con l'articolo 24 della costituzione. La novità dell'aumento del contributo unificato per secondo e terzo grado di giudizio ha efficacia anche alle controversie pendenti nelle quali il provvedimento impugnato sarà pubblicato o depositato successivamente alla entrata in vigore della legge di stabilità.
Domande riconvenzionali. Nel corso del processo civile in alcuni casi è ammesso che le parti modifichino la propria domanda o replichino alla domanda formulate contro di loro proponendo una domanda contro l'avversario (domanda riconvenzionale).
La modifica della domanda e la domanda riconvenzionale possono aumentare il valore della causa, nel senso che si chiede, ad esempio, la condanna a pagare un importo maggiore di quello originario o maggiore di quello che reciprocamente ha chiesto il proprio avversario. Il valore della controversia è ovviamente la base di calcolo per determinare contributo unificato da versare. Per esempio la società X fa causa alla società Y chiedendo al giudice la condanna a pagare 100 mila euro, ma la società Y si difende, negando di dover pagare e anzi contrattacca e chiede un risarcimento del danno di 300 mila euro.
La legge di stabilità aumenta il contributo dovuto per domande modificate e riconvenzionali. Nell'impianto originario del Testo Unico delle spese di giustizia, sviluppando l'esempio, la società X pagava il contributo dovuto per il valore di 100 mila euro (e quindi 660 euro) e che la società Y, a fronte della domanda riconvenzionale, dovesse integrare il contributo per la parte eccedente il valore di 100 mila euro (fino a coprire il contributo dovuto per il valore di 300 mila euro), pagando 396 euro (così da arrivare a 1056 euro, importo del contributo per le controversie di valore da 260 mila a 520 mila euro. Quindi in ogni caso la se la domanda riconvenzionale o modificata comportava un aumento del valore della causa, era dovuta solo un'integrazione per l'eccedenza.
La legge di stabilità mantiene questa regola solo in un caso e cioè per la parte che per prima si costituisce in giudizio, che deposita il ricorso introduttivo, o che, nei processi esecutivi di espropriazione forzata, fa istanza per l'assegnazione o la vendita dei beni pignorati; fissa, invece, per le altre parti una regola più onerosa: le altre parti, quando modificano la domanda o propongono domanda riconvenzionale o formulano chiamata in causa o svolgono intervento autonomo, sono tenute a farne espressa dichiarazione e a procedere al contestuale pagamento di un autonomo contributo unificato, determinato in base al valore della domanda proposta. Nell'esempio la società Y deve pagare un contributo unificato di euro 1.056 per il valore di 300 mila euro (e non solo un'integrazione per la quota eccedente i 100 mila euro).
In sostanza per quella causa il contributo per il valore di 100 mila euro è pagato due volte e in più si paga il differenziale per le cause di valore pari a 300 mila euro. Nel vecchio sistema lo stato incassava 1.056 euro, versati in parte dalla società X e in parte dalla società Y. Con il nuovo sistema lo stato incassa 1.716 euro (articolo ItaliaOggi Sette del 14.11.2011).

ENTI LOCALILA LEGGE DI STABILITÀ/ Vendonsi immobili per ripianare i conti. Si è messa in moto l'operazione di cessione dei fabbricati pubblici.
Mattone pubblico in vendita per risanare i conti. E anche i terreni agricoli di proprietà statale, con prelazione ai giovani imprenditori.
I tempi sono piuttosto serrati: pochi mesi per individuare i cespiti da dismettere, qualcuno in più per individuare e/o costituire le società alle quali trasferire gli immobili. La macchina disciplinata dagli articoli 4-ter e 4-quater della legge di stabilità è già partita.
Immobili pubblici. La cessione di immobili dello stato non residenziali, carceri inutilizzate e caserme prevede l'emanazione del primo dpcm di individuazione entro aprile 2012. Una volta che i fabbricati saranno stati inglobati dal patrimonio dei fondi immobiliari e delle società individuate dal Mef, sarà effettuata la vendita delle quote/azioni. In prima battuta, il collocamento dei titoli avverrà tramite offerta pubblica. Gli investitori potranno corrispondere il prezzo anche pagando in titoli di stato.
Destinazione introiti. Il ricavato delle dismissioni sarà indirizzato alla riduzione del debito pubblico. In particolare, qualora le cessioni abbiano interessato soltanto immobili liberi, i relativi proventi saranno versati al Fondo per l'ammortamento dei titoli di stato. Negli altri casi, invece, i predetti dm prevedranno l'attribuzione dei proventi all'Agenzia del demanio, che dovrà investirli sul mercato in titoli di stato da detenere fino a scadenza.
Regime fiscale. La legge di stabilità disciplina anche il trattamento tributario applicabile ai fondi o alle società che prenderanno parte alla dismissione. Si tratta del regime fiscale previsto per le società di investimento immobiliare quotate (Siiq), recato dall'articolo 1, comma 134 della legge n. 296/2006. La valutazione dei beni conferiti o trasferiti sarà effettuata gratuitamente dall'Agenzia del territorio.
Immobili all'estero. La politica di dismissione non lascia fuori neppure i fabbricati statali oltreconfine, per i quali è prevista una procedura semplificata: trattativa privata e eventualmente anche in deroga al parere della Commissione immobili della Farnesina. La stima del valore di mercato potrà essere effettuata avvalendosi di soggetti abilitati del luogo. I contratti di vendita, però, saranno assoggettati al controllo preventivo di legittimità della Corte dei conti.
Terreni agricoli. Una delle novità previste dalla legge di stabilità riguarda la dismissione in favore dei privati dei terreni statali a vocazione agricola non utilizzabili per altre finalità istituzionali (si vedano altri servizi a pagina7). Il ministero delle politiche agricole dovrà individuare quelli vendibili entro la fine di marzo 2012. Restano esclusi anche in questo caso i terreni ricompresi negli elenchi predisposti ai sensi del dlgs n. 85/2010 e quelli di proprietà di enti pubblici nazionali.
Imprenditoria giovanile. Nella procedura di alienazione dei terreni viene previsto un diritto di prelazione in favore dei giovani imprenditori agricoli (18-35 anni). Laddove entro cinque anni si registri un cambio di destinazione urbanistica e un conseguente aumento del valore del terreno, allo stato andrà il 75% dell'incremento rispetto al prezzo di vendita. Previsto un decreto attuativo del Mipaaf (articolo ItaliaOggi Sette del 14.11.2011 - tratto da www.corteconti.it).

ENTI LOCALI: LA LEGGE DI STABILITÀ/ Dismissione terreni con condizione. Il cessionario deve allo Stato il 75% del maggior valore se cambia qualifica.
Il cessionario retrocede allo Stato il 75% del maggior valore rilevato del terreno di proprietà pubblica dismesso se, nel quinquennio successivo alla prima alienazione, risulta variata la destinazione urbanistica del fondo ceduto.
Questa la condizione inserita all'interno del comma 2, dell'art. 4-quater del maxiemendamento al disegno di legge di stabilità, avente a oggetto le disposizioni in materia di dimissioni di terreni «a vocazione» agricola.
La norma è finalizzata alla più generale fase di dismissione dei beni pubblici, destinata alla riduzione del debito pubblico, come indicato al comma 5 dell'articolo in commento.
In sostanza, il ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, di concerto con quello dell'economia e delle finanze, con appositi decreti di natura non regolamentare, procederà a identificare i terreni a destinazione agricola (si parla semplicemente di «vocazione» agricola) di proprietà dello Stato e che lo stesso non utilizza in proprio per finalità istituzionali, purché non ricompresi negli elenchi di cui al dlgs n. 85/2000 (beni statali attribuiti a titolo non oneroso a città metropolitane, comuni, province e regioni), da destinare alla dismissione.
L'alienazione avverrà a trattativa privata se di valore inferiore a 400 mila euro o con asta pubblica per quelli di valore pari o superiore a detto importo, mentre l'individuazione del fondo, che dovrà avvenire nelle modalità indicate dai commi 3, 4 e 5, dell'art. 1, dl n. 351/2001 (disposizioni in materia di privatizzazione e valorizzazione del patrimonio immobiliare pubblico), produrrà l'effetto immediato di trasferimento della proprietà in capo allo Stato.
Peraltro, non risultando limitato né l'ambito soggettivo né quello oggettivo, qualsiasi interessato può tentare l'acquisto e qualsiasi fondo può essere suscettibile di cessione, con la necessità, prescritta dal comma 3, dell'articolo in commento, che se il terreno ricade in aree protette, di cui alla legge 394/1991 (parchi e riserve naturali), la cessione è condizionata al via libera (assenso) del gestore della medesima area.
Possono, inoltre, attuare la dismissione nelle modalità in commento anche gli enti locali (regioni, province e comuni) con conferimento di un mandato irrevocabile all'Agenzia del demanio, con riversamento nelle casse statali degli introiti derivanti dalla cessione, nettizzati dai costi e dagli oneri sostenuti per la stessa vendita.
Una parte veramente interessante è da ritenere quella inserita all'interno delle disposizioni destinate a favorire l'imprenditoria giovanile operante nel comparto primario (agricoltura), cui viene riconosciuto il diritto di prelazione, se acquirenti in possesso di un'età compresa tra i 18 e i 35 anni; detta agevolazione si aggiunge alla possibilità, già esistente, di concedere in godimento (affitto) i terreni agricoli di proprietà pubblica, non utilizzati per fini istituzionali.
Nel medesimo comma 2, il legislatore ha inserito una clausola di salvaguardia a favore dello Stato prevedendo che una volta effettuata la dismissione dei terreni agricoli e sopravvenuto un mutamento di destinazione urbanistica dell'area (per esempio, da agricola a edificabile) entro il quinquennio dalla data di alienazione, il cessionario, a prescindere da una possibile vendita successiva, deve retrocedere una quota pari al 75% del maggior valore acquisito dal terreno rispetto al prezzo di vendita; se, per esempio, il fondo viene ceduto a 100 mila euro dall'ente ed entro i cinque anni lo stesso terreno da agricolo diventa edificabile e il valore, a prescindere dalla ulteriore e possibile vendita a cura del cessionario, viene fissato a 200 mila euro, quest'ultimo deve restituire 75 mila euro allo Stato (200.000–100.000 = 100.000 x 75% = 75 mila).
Sul punto è opportuno evidenziare che, stante la complessità dell'argomento e le problematiche emergenti nella fase pratica della dismissione, il legislatore ha già previsto l'emanazione di un decreto di attuazione, sia per disciplinare il rispetto del diritto di prelazione a favore dei giovani agricoltori che delle modalità di ristorno del prezzo (e si auspica anche di valorizzazione successiva) in presenza di una variazione della destinazione urbanistica del fondo che, di fatto, assume una natura «virtualmente» speculativa, ancorché limitatamente ai fini temporali, in assimilazione a quanto prescritto da talune disposizioni di natura tributaria (lettera b, comma 1, art. 67, dpr n. 917/1986) e ancorché, come più volte indicato, il cessionario non proceda nella rivendita; si tratta, di fatto, di un aggiornamento (e recupero coatto statale) dell'incremento del valore di cessione, per effetto del maggior valore attribuito a un terreno che potrà essere suscettibile, soprattutto, di utilizzazione edificatoria (articolo ItaliaOggi Sette del 14.11.2011).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGOLA LEGGE DI STABILITÀ/ Dipendenti pubblici sotto osservazione. Più fluido e veloce il procedimento per dichiarare l'esubero.
Stop agli equivoci sul licenziamento nella p.a. Il maxiemendamento alla legge di stabilità ha modificato proprio la disciplina del licenziamento dei dipendenti pubblici, ma non si tratta né dell'introduzione di «licenziamenti facili» nella pubblica amministrazione, né, tanto meno, di estendere ai dipendenti pubblici la cassa integrazione.
L'equivoco interpretativo è sorto dalla famosa lettera presentata dal governo lo scorso ottobre a Cannes, ove si leggeva: «Per rendere più efficiente, trasparente, flessibile e meno costosa la pubblica amministrazione tanto a livello centrale quanto a livello degli enti territoriali (oltre al vigente blocco del turnover del personale) renderemo effettivi con meccanismi cogenti/sanzionatori: a) la mobilità obbligatoria del personale; b) la messa a disposizione (Cassa integrazione guadagni) con conseguente riduzione salariale e del personale; c) il superamento delle dotazioni organiche». Il maxiemendamento alla legge di stabilità ha, in effetti, attuato l'intenzione, ma senza introdurre gli istituti della mobilità e della Cig, propri del settore privato, al sistema del lavoro pubblico.
La legge di stabilità è intervenuta riformando l'articolo 33 del dlgs 165/2001, che regola il collocamento dei dipendenti pubblici in esubero nella condizione di «disponibilità».
Molti hanno ritenuto che l'intervento normativo abbia introdotto per la prima volta nella pubblica amministrazione la mobilità obbligatoria e la cassa integrazione per i dipendenti in esubero, cui spetta per la durata di 24 mesi lo stipendio base, ridotto del 20%. Si tratta di un equivoco. La legge di stabilità ha inteso rendere più fluido e veloce il procedimento per dichiarare l'esubero dei dipendenti pubblici rafforzando l'obbligo delle p.a. di verificare l'adeguatezza del numero dei propri dipendenti in relazione alle attività svolte e obbligando i lavoratori interessati ad accettare anche trasferimenti verso altre amministrazioni per scongiurare l'eventuale licenziamento. Ma, si tratta come detto del rafforzamento di misure già esistenti nel testo previgente dell'articolo 33 del dlgs 165/2001. Rispetto al quale il nuovo testo disposto dalla legge di stabilità rileva tre differenze.
In primo luogo, la novella normativa impone alle amministrazioni l'obbligo di procedere necessariamente ogni anno alla rilevazione del personale in servizio, per rilevare se emergano casi di lavoratori in eccedenza rispetto ai fabbisogni. Per effetto della riforma, qualora le amministrazioni non rispettassero l'obbligo di effettuare la rilevazione andrebbero incontro a una rilevante sanzione: il divieto assoluto di effettuare assunzioni a qualsiasi titolo, la cui violazione a sua volta implica la nullità assoluta dei contratti di lavoro eventualmente stipulati. A tale sanzione si aggiunge, poi, la responsabilità dei dirigenti che non attivino le procedure per la mobilità o la messa in disponibilità del personale in esubero, o, ancora, effettuino le assunzioni nulle.
Una seconda differenza riguarda il procedimento da seguire. Il nuovo testo dell'articolo 33 del dlgs 165/2001 comprime estremamente le relazioni sindacali, limitandole a una mera informazione. Il testo precedente, invece, richiedeva una vera e propria concertazione, nel caso di esuberi relativi ad almeno 10 dipendenti. L'iter novellato si deve concludere entro 90 giorni, nel corso dei quali l'amministrazione deve sondare la possibilità di ricollocare i dipendenti in esubero all'interno delle sue strutture, anche modificando il contratto di lavoro, prevedendo forme flessibili di impegno orario.
Ultima rilevante differenza è la decisa spinta all'utilizzo della mobilità, intesa come trasferimento di un dipendente da un ente all'altro, ai sensi dell'articolo 30 del dlgs 165/2001.
Per effetto della legge di stabilità la mobilità «volontaria», nei riguardi dei dipendenti in esubero, diviene, in effetti, «obbligatoria». Infatti, l'amministrazione procedente, deve accertare che il dipendente in eccedenza possa essere utilmente ricollocato presso un'altra amministrazione, appunto mediante la mobilità. In questo caso, può stipulare un accordo con l'altra amministrazione, per definire le modalità e i tempi del trasferimento.
La novella normativa intende così perseguire l'obiettivo di razionalizzare la distribuzione dei dipendenti presso le p.a., consentendo a quelle sovradimensionate di dimagrire in favore di quelle con vacanze in organico.
Se l'amministrazione che abbia accertato la condizione di esubero abbia stipulato con un'altra amministrazione un accordo per disciplinare la mobilità e i dipendenti eccedenti non accettino il trasferimento loro proposto, per detti dipendenti scatta la tagliola della messa «in disponibilità». Si tratta, cioè, di quella condizione che apre le porte ad un potenziale licenziamento, nella quale il dipendente non presta alcuna attività lavorativa e percepisce, a titolo di indennità e non di retribuzione, una somma pari all'80% dello stipendio e dell'indennità integrativa speciale, escluso qualsiasi altro onere retributivo, per un periodo non superiore ai 24 mesi.
La collocazione in disponibilità deriva, comunque, dall'impossibilità di ricollocare utilmente i lavoratori in mobilità sia presso l'ente che dichiara l'eccedenza, sia verso altre amministrazioni.
Durante il periodo di disponibilità, per effetto degli articoli 34 e 34-bis del dlgs 165/2001, le amministrazioni legittimate ad assumere, debbono verificare la presenza di dipendenti inseriti nelle liste di disponibilità con le province e il dipartimento della funzione pubblica, perché in caso positivo sono obbligate a proporre a detti dipendenti l'assunzione, prima di fare i concorsi.
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Il glossario della p.a..
Un breve glossario è necessario per comprendere quali siano i contenuti della norma introdotta dalla legge di stabilità.
Mobilità. Con tale denominazione vengono identificati due istituti completamente diversi tra loro. Nel settore privato, la mobilità null'altro è se non il licenziamento dei dipendenti conseguente a crisi aziendali, spesso successive a fasi di cassa integrazione straordinaria. La mobilità è regolata dalla legge 223/1991, nel caso di licenziamenti collettivi conseguenti a riduzioni di personale o trasformazione di attività o di lavoro e a cessazione dell'attività dell'azienda.
Vi è anche la mobilità di cui alla l. 236/1993 per licenziamenti individuali anche di imprese con meno di 15 dipendenti per giustificato motivo oggettivo connesso a riduzione, trasformazione o cessazione di attività. La mobilità di cui si occupa la legge di stabilità, modificando l'articolo 33 del dlgs 165/2001, altro non è, invece, se non l'istituto regolato dall'articolo 30 del dlgs 165/2001: si tratta del trasferimento di un dipendente pubblico da un'amministrazione all'altra, oppure il cambio di sede nell'ambito della medesima amministrazione.
Disponibilità. L'istituto che nel lavoro pubblico è un ibrido tra cassa integrazione e mobilità del settore privato, è la «messa in disponibilità». Verificato l'irrimediabile situazione di esubero del personale, le amministrazioni collocano in disponibilità i lavoratori che non sia possibile impiegare diversamente sia nell'ambito della medesima amministrazione, sia presso altre amministrazioni, oppure i lavoratori che non abbiano preso servizio presso la diversa amministrazione che, secondo gli accordi intervenuti ai sensi dei commi precedenti, ne avrebbe consentito la ricollocazione.
Analogamente a quanto avviene nel caso di collocazione in cassa integrazione nel settore privato, dalla data di collocamento in disponibilità il lavoratore pubblico ed ha diritto solo ad un'indennità pari all'80% dello stipendio e dell'indennità integrativa speciale, con esclusione di qualsiasi altro emolumento retributivo comunque denominato, per la durata massima di ventiquattro mesi (articolo ItaliaOggi Sette del 14.11.2011 - tratto da www.corteconti.it).

APPALTI SERVIZIStop alle elusioni «salva in-house». Vietato frazionare il servizio per non superare la soglia che vieta l'affidamento.
Gli enti locali non possono frazionare un servizio pubblico per farlo rientrare nel limite di valore che consente di affidarlo in-house a una società partecipata.
La legge di stabilità interviene con un'importante integrazione della disciplina degli affidamenti diretti di servizi pubblici locali con rilevanza economica, recependo le osservazioni dell'Autorità garante per la concorrenza ed il mercato (Agcm).
La nuova disposizione è inserita nel comma 13 dell'articolo 4 della legge 148/2011 e stabilisce che, per garantire l'unitarietà del servizio, è vietato procedere al frazionamento del medesimo servizio e del relativo affidamento. Il dato normativo fa fronte a una delle principali criticità delle nuove regole per l'in-house, evidenziate dall'Agcm nell'atto di segnalazione al parlamento AS 864 del 26.08.2011, con cui si rilevava che il sistema di esenzioni dall'obbligo di gara configurato dalla nuova disciplina si prestava facilmente a comportamenti elusivi da parte delle amministrazioni.
Per aggirare i limiti normativi sarebbe stato infatti sufficiente frazionare gli affidamenti in tante "tranche", ciascuna non oltre i 900mila euro annui, per poterle poi attribuire tutte direttamente a controllate in-house.
Business plan.
Gli enti locali non potranno distinguere artificiosamente le attività rientranti in un unico processo produttivo, come, per esempio, quelle del ciclo integrato dei rifiuti. In secondo luogo, sono obbligati a definire un business plan complessivo e ad affidare in un unico momento tutte le attività riferibili alla tipologia di servizio, non potendo effettuare integrazioni successive: per esempio, un servizio di gestione parcheggi da 850mila euro annui dovrà essere affidato tutto insieme con riferimento al piano sosta, e una eventuale successiva integrazione del valore di 100mila euro andrà affidata con gara.
L'affidamento in-house resta comunque configurato come procedura derogatoria rispetto a quella principale (la gara) e all'opzione alternativa (la società mista con socio privato operativo), che può essere esperita solo se ricorrono i presupposti richiesti dall'ordinamento comunitario (controllo analogo e prevalenza dell'attività a favore dei soci) e per servizi di valore annuo non superiore ai 900mila euro.
La deliberazione.
Le modifiche apportate dalla legge di stabilità rafforzano l'importanza della deliberazione (prevista dal comma 1 dell'articolo 4 della legge 148/2011) con la quale dev'essere verificata la realizzabilità di una gestione concorrenziale dei servizi stessi (a fini di liberalizzazione massima delle attività economiche) oppure, in base ad un'analisi di mercato, viene prevista l'attribuzione di diritti di esclusiva al gestore quando l'iniziativa economica privata non risulti idonea a garantire un servizio rispondente ai bisogni della comunità. La rilevanza di questo passaggio è stata evidenziata dall'integrazione al comma 4, in base alla quale, quando la deliberazione non è adottata, l'ente locale non può procedere all'attribuzione di diritti di esclusiva e, conseguentemente, la gestione dei servizi dev'essere rimessa a una pluralità di gestori.
La formalizzazione della verifica è quindi necessaria per sviluppare l'affidamento con gara, come previsto nel primo periodo del comma 8 dell'articolo 4, ma anche per l'eventuale opzione della società mista e, soprattutto, per l'affidamento in-house. In questa ipotesi, infatti, l'attribuzione del diritto di esclusiva è una condizione necessaria perché si concretizzi l'affidamento diretto, il quale, per sua natura, esclude comunque gestioni contestuali o concorrenti.
Dalla combinazione delle disposizioni deriva pertanto un effetto interdittivo: se l'ente non adotta la deliberazione con cui definisce i diritti di esclusiva, non può esserci affidamento in house, in quanto ammetterebbe implicitamente il possibile intervento di operatori privati. Per poter adottare la deliberazione, le amministrazioni devono attendere un decreto ministeriale (da emanare entro il 31.01.2012), con cui si definiranno i contenuti essenziali dell'atto-quadro (in base al nuovo comma 33-ter).
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Nell'ultimo anno si rientra in gara.
Le società attualmente affidatarie dirette di servizi pubblici locali possono concorrere a gare per i servizi da esse gestiti, ma entro limiti più precisi.
La legge di stabilità ridisegna la disposizione derogatoria contenuta nell'ultimo periodo del comma 33 dell'articolo 4 della legge 148/2011, traducendo le indicazioni fornite dall'Agcm per limitare i potenziali effetti distorsivi della particolare disciplina.
Le condizioni.
Il nuovo dato normativo stabilisce che i soggetti affidatari diretti di servizi pubblici locali possono comunque concorrere su tutto il territorio nazionale a gare indette nell'ultimo anno di affidamento dei servizi da essi gestiti, se sussistono determinati presupposti.
Rispetto alla formulazione originaria (che replicava quella del comma 9 dell'articolo 23-bis della legge 133/2008 e sulla quale si era sviluppata una consistente giurisprudenza) la nuova disposizione modifica le condizioni che consentono agli affidatari diretti di partecipare ad altre gare. A essi è consentito concorrere alle procedure per il conferimento di servizi nel caso in cui siano nella fase finale (inferiore a un anno) del proprio affidamento e sia già stata bandita la gara per il riaffidamento del servizio o, almeno, sia stata adottata la decisione di procedere al nuovo affidamento attraverso procedure a evidenza pubblica oppure anche mediante in-house, ma a soggetto diverso dall'affidatario diretto uscente.
I paletti.
Il dato normativo consente quindi alle società in house di partecipare a gare per servizi pubblici indette da altre amministrazioni solo se sono nella fase conclusiva della propria gestione.
Una società che abbia mantenuto l'affidamento diretto, perché compatibile con i limiti previsti dal comma 13, o che lo abbia ottenuto ex novo, non potrà invece partecipare alle procedure che vengano indette in altri contesti.
L'affidatario in-house potrà prendere parte alla gara per il servizio da esso gestito, a condizione che sia formalizzata la fase finale della gestione esistente o la stessa ricada nelle scadenze previste per il periodo transitorio (31.03.2012).
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Mancano le regole per la delibera quadro.
Il quadro delle regole per lanciare lo sviluppo del sistema dei servizi pubblici locali è quasi completo. Manca un ultimo tassello, che potrebbe dare l'input determinante per segnare il momento decisivo di una riforma attesa da anni e destinata a trasformare molti settori.
La legge di stabilità (con il comma 33-ter appena introdotto nell'articolo 4 della legge 148/2011) prevede che con un decreto interministeriale –adottato dal ministro degli Affari regionali d'intesa con i ministri dell'Economia e dell'Interno– sia definito il format della deliberazione-quadro che gli enti dovranno adottare per la definizione dei diritti di esclusiva e siano precisati alcuni profili relativi agli standard qualitativi per gli utenti.
Tuttavia il decreto è previsto anche come strumento di attuazione dell'intera disciplina dei servizi pubblici locali e proprio questa sua finalizzazione dovrebbe permettere all'esecutivo di definire tutte le norme di chiarimento per gli affidamenti.
Molti elementi critici sono già stati risolti proprio dalle disposizioni della legge di stabilità, a partire dalle importanti precisazioni introdotte nel comma 32, che fanno decadere al 31.03.2012 gli affidamenti diretti non conformi ai parametri comunitari per l'in-house.
Tutte le scadenze delle gestioni esistenti permangono nei termini originariamente previsti dall'articolo 4 della legge 148/2011 e questo dato, unito alla scadenza per l'adozione del Dm attuativo (fissata al 31.01.2012) non sembra offrire margine alcuno per dilazioni ulteriori: la combinazione tra le norme e i vari passaggi delineati obbligano gli enti locali a compiere un percorso a tappe forzate, che dovrà essere avviato necessariamente tra marzo e giugno del prossimo anno.
Alla fine del primo trimestre e del primo semestre del 2012, infatti, scadono rispettivamente le gestioni esistenti affidate direttamente a società in house e a società miste che siano state costituite in modo non conforme ai principi comunitari del partenariato pubblico-privato.
Possono proseguire solo i rapporti derivanti da affidamenti diretti per servizi di valore fino al limite (900mila euro annui) stabilito dalla disposizione derogatoria, anch'esso, peraltro, oggetto di chiarimenti decisivi nella legge di stabilità (articolo Il Sole 24 Ore del 14.11.2011 - tratto da www.corteconti.it).

ENTI LOCALICertificazioni, scatta l'obbligo.
La legge di stabilità 2012 introduce importanti novità in materia di certificazione dei debiti di Regioni ed Enti locali relativi a somministrazioni, forniture e appalti, al fine di porre parziale rimedio ai ritardi nei pagamenti delle Pa. Ritardi, che, per le imprese fornitrici (spesso Pmi), sono fonte di grandi difficoltà finanziarie, peraltro acuite dalle parallele difficoltà di accesso al credito bancario.
L'articolo 9 comma 3-bis del Dl 185/2008, convertito nella legge legge 2/2009, viene integralmente sostituito.
La nuova formulazione prevede che siano soggette alla certificazione soltanto le somme dovute per somministrazioni, forniture e appalti da Regioni ed enti locali. Non si fa più riferimento, invece, agli enti del Servizio sanitario nazionale. Non sono certificabili, inoltre, i crediti degli enti commissariati per infiltrazioni mafiose ex articolo 143 del Tuel delle Regioni sottoposte ai piani di rientro in materia di sanità. Cessato il commissariamento, la certificazione non può comunque essere rilasciata per i crediti sorti prima del commissariamento stesso né, in caso di gestione commissariale, può essere accordata per i crediti rientranti nella gestione commissariale stessa.
Viene ritoccato anche il termine per la certificazione, che passa da 20 a 60 giorni dalla ricezione dell'istanza.
La modifica più rilevante comunque consiste nell'introduzione dell'obbligatorietà della certificazione. Si passa dal "possono certificare" del vecchio comma 3-bis al "certificano" del nuovo testo. Inoltre, in caso d'inadempienza dell'ente, si prevede l'intervento della Ragioneria territoriale dello Stato che, su istanza del creditore, può anche nominare un commissario ad Acta.
I profili della certificazione rimangono gli stessi, vale a dire, certezza, liquidità ed esigibilità del credito.
Non si prevede più che la cessione produca effetti nei confronti del debitore ceduto anche qualora il contratto escluda la cedibilità del credito. Adesso, invece, si fa riferimento all'articolo 117 del Dlgs 163/2006, che autorizza le stazioni appaltanti pubbliche a rifiutare la cessione, a meno che non vi sia una precedente clausola di cedibilità. Ai sensi dell'articolo 117, la Pa può opporre al cessionario le eccezioni opponibili al cedente in base contratto. Ferma restando l'efficacia liberatoria dei pagamenti eseguiti dal debitore ceduto, si applicano gli articoli 5 comma 1 e 7 comma 1 della legge 52/1991 di disciplina della cessione dei crediti di impresa (factoring).
Le certificazioni, che devono sempre avvenire nel rispetto delle regole del patto di stabilità interno, ovviamente sono finalizzate soprattutto alla cessione del credito pro soluto a banche o intermediari finanziari. Ed a questo fine, si prevede un'integrazione all'articolo 210 del Tuel che regola l'affidamento del servizio di tesoreria. Il nuovo comma 2-bis dell'articolo 210 stabilisce che la convenzione di tesoreria può prevedere l'obbligo per il tesoriere di accettare, su istanza del creditore, i crediti pro soluto certificati dall'ente ai sensi dell'articolo 9 comma 3-bis. L'obbligo vale soltanto per le convenzioni stipulate dopo l'entrata in vigore della legge di stabilità. Le modalità di accettazione dei crediti da parte del tesoriere dovranno essere inserite nel bando di gara per l'affidamento del servizio.
Infine, l'attuazione del nuovo articolo 9, comma 3-bis, sarà disciplinata, entro 90 giorni dall'entrata in vigore della legge di stabilità, da un decreto del ministero delle Finanze. Fino all'emanazione del decreto, resteranno valide le certificazioni prodotte ai sensi del Dm 19.05.2009 (articolo Il Sole 24 Ore del 14.11.2011 - tratto da www.ecostampa.it).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGOUna nuova occasione per i contratti decentrati.
I toni del dibattito scaturito all'indomani dell'entrata in vigore dell'articolo 8 della manovra-bis sulla derogabilità di contratti nazionali e legislazione nazionale nel contratto di secondo livello, non hanno consentito di esaminare le esigenze organizzative che possono spingere datore di lavoro e sindacati a sfruttare le nuove regole.
Partendo da questa chiave di analisi, sarebbe utile verificare le potenzialità di applicazione della norma alle Pa, in questa fase storica di riduzione significativa della spesa pubblica, che impone di superare i tagli lineari per arrivare a una riorganizzazione della struttura.
Il settore pubblico ha visto, in questi ultimi anni, fortemente limitato il secondo livello di contrattazione, in particolare per contenere la spesa del personale cresciuta a livello decentrato. L'applicabilità di un meccanismo come quello dell'articolo 8 dovrebbe quindi riguardare gli aspetti ordinamentali, e accrescere la flessibilità nelle prestazioni, nel rispetto dei limiti di spesa previsti dalle norme di finanza pubblica. Un ottimo strumento di volano, ma anche di corretta e finalizzata applicazione della deroga, potrebbe essere costituito dai piani di razionalizzazione dell'articolo 16 del DL 98/2011, che ora andrebbero resi obbligatori. Gli stessi riferimenti contenuti nella lettera alla Ue su mobilità, utilizzo della cassa integrazione e superamento della dotazione organica rischiano di rivelarsi vuoti e ridondanti, rispetto a quanto già è previsto e non si fa, senza un'idea di pianificazione.
Serve uno strumentario complessivo, in grado di accompagnare questa fase di ristrutturazione del settore pubblico, che consenta agevolmente di spostare, riqualificare e riconvertire il personale. In alcuni casi occorrerà favorire l'esodo anticipato con 35 anni di contributi, superando però la contraddizione fra le norme sulla risoluzione anticipata e la finestra mobile di 15 mesi, in altri si dovrà consentire l'applicazione accompagnata della legge 223/1991, in presenza di piani industriali o nei casi di soppressione o crisi finanziaria dell'ente.
La gestione del personale nel settore pubblico richiede una serie di flessibilità, essenziali per salvare posti di lavoro e riconvertire il personale in servizio. Un vincolo presente oggi riguarda la dotazione organica e il profilo acquisito dal dipendente, che spesso si troverebbe in eccedenza rispetto a una dotazione di dettaglio ed aggiornata o, realisticamente, rispetto ai reali carichi di lavoro e fabbisogni di competenze. Ragionando sulle competenze, si scopre infatti che il settore pubblico soffre di eccedenze in alcuni campi, ma anche di vacanze in altri settori. Molte progressioni hanno creato eccedenze di personale in alto, mentre le esternalizzazioni di funzioni e servizi hanno in alcuni casi creato eccedenze di personale nelle aree o categorie più basse. Si tratta di eccedenze percepite dal dirigente, ma non facilmente formalizzabili, soprattutto in presenza di dotazioni organiche generiche e per nulla rappresentative dei reali fabbisogni delle pubbliche amministrazioni.
Un primo elenco di strumenti utili è presto fatto: un accordo quadro sulle equiparazioni o un decreto per consentire la mobilità intercompartimentale; la possibilità di derogare con il contratto integrativo alla normativa sulle mansioni, sull'utilizzo delle ferie e sui limiti all'orario di lavoro; infine una deroga sul requisito minimo di 40 di contributi per la risoluzione unilaterale, con la possibilità di adottare la risoluzione con 35 anni di contributi, in presenza di piani di riduzione.
Uno strumentario da arricchire, ma che comunque richiede a monte di politiche e piani di razionalizzazione che da anni la politica promette senza essere in grado però di proporli e soprattutto di realizzarli (articolo Il Sole 24 Ore del 14.11.2011 - tratto da www.ecostampa.it).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGOMobilità anche negli enti in crisi. La procedura potrà scattare per «difficoltà finanziarie» - Nodi sull'applicazione.
La legge di stabilità mette l'acceleratore alle procedure di mobilità e al collocamento in disponibilità dei dipendenti pubblici. Viene consegnata al datore di lavoro pubblico una regola che sembra perseguire due obiettivi: specificare e ampliare le casistiche che consentono di utilizzare questo istituto e ridurre al minimo le relazioni sindacali.
La mobilità è stata estesa, oltre alle eccedenze di personale, anche ai casi di soprannumero. La procedura scatta per esigenze funzionali o per situazioni finanziarie che possano dimostrare dipendenti in esubero. Si tratta di un'applicazione di largo raggio proprio perché la locuzione «situazione finanziaria» è decisamente più ampia rispetto alle più "tradizionali" esigenze funzionali. Con la nuova formulazione, un ente in difficoltà finanziarie (mancato rispetto del patto di stabilità, situazioni prossime al dissesto, non rispetto dei parametri di spesa del personale, eccetera) potrebbe decidere di ridurre il proprio personale anche senza dover dimostrare le mutate esigenze funzionali o organizzative. Certo, non c'è un automatismo di legge fra le difficoltà finanziare e la riduzione del personale, ma la novità è importante. Per dare maggior forza a questo istituto è stato introdotto un nuovo obbligo di "ricognizione annuale" del personale in eccesso prevedendo il divieto di assunzione in caso di inadempimento con relativa nullità degli atti eventualmente posti in essere.
Pur trattandosi di una materia di impatto rilevante sul personale, le relazioni sindacali sono ormai ridotte all'obbligo di informazione preventiva alle Rsu e ai sindacati firmatari del contratto nazionale. Nel settore pubblico, insomma, la procedura sarà più libera che nel privato perché la legge 223/1991 non è più richiamata dall'articolo 33 del Dlgs 165/2001. Quindi non ci saranno più tavoli per discutere i motivi delle eccedenze e per trovare eventuali soluzioni, e non è più previsto un contenuto obbligatorio della comunicazione da inviare ai sindacati. Abrogate anche le garanzie in merito ai criteri di scelta dei dipendenti da considerare in esubero. Con ogni probabilità inizierà un ennesimo contenzioso, visto che in molti casi nei contratti collettivi queste materie sono oggetto di contrattazione.
Il tentativo di ricollocare il personale al proprio interno o presso altre Pa, anche attraverso con contratti flessibili di gestione del tempo di lavoro o con contratti di solidarietà, resta di competenza della parte datoriale. Decorsi 10 giorni dall'informativa, devono essere collocati a riposo d'ufficio i dipendenti che abbiano maturato 40 anni di contributi; quella che in termini generali rappresenta una facoltà diviene nel caso di specie un obbligo. Decorsi 90 giorni, il dipendente è collocato in disponibilità all'80% dello stipendio base, senza accessorio, per 24 mesi decorsi i quali il rapporto di lavoro si risolve di diritto.
Lo strumento normativo in mano al datore di lavoro è potente, ma ci si chiede se, in pratica, troverà applicazione. Si tratta, infatti, di una possibilità e non di un obbligo di ridurre il personale e in periodi nei quali vige il diktat del blocco delle assunzioni, con uffici strutturalmente sotto organico, chi avrà voglia di intraprendere una strada politicamente costosa e funzionalmente penalizzante? (articolo Il Sole 24 Ore del 14.11.2011 - tratto da www.corteconti.it).

GIURISPRUDENZA

URBANISTICA: E' illegittimo il silenzio serbato dall'Amministrazione sulla diffida volta ad ottenere una nuova destinazione urbanistica a seguito della decadenza dei vincoli preordinati all'espropriazione.
E' illegittimo il silenzio serbato dall'Amministrazione rispetto alla diffida volta ad ottenere l'emanazione degli atti necessari a conferire una nuova destinazione urbanistica ad aree divenute prive di disciplina a causa della decadenza di vincoli urbanistici preordinati all'espropriazione, o che comportino l'inedificabilità del suolo, o che comunque privino il diritto di proprietà del suo sostanziale valore economico, determinata dall'inutile decorso del termine quinquennale di cui all'art. 2, comma 1, L. n. 1187 del 1968, decorrente dall'approvazione del Piano Regolatore Generale (tratto da
www.dirittodegliappaltipubblici.it - TAR Sicilia-Palermo, Sez. II, sentenza 11.11.2011 n. 2118 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: E' inammissibile per carenza di interesse il ricorso dal cui accoglimento non possa derivare alcun vantaggio sostanziale.
Secondo un consolidato indirizzo giurisprudenziale, nel processo amministrativo l'interesse a ricorrere è caratterizzato dalla presenza degli stessi requisiti, che qualificano l'interesse ad agire di cui all'art. 100 c.p.c., vale a dire dalla prospettazione di una lesione concreta ed attuale della sfera giuridica del ricorrente e dall'effettiva utilità, che potrebbe derivare a quest'ultimo dall'eventuale annullamento dell'atto impugnato.
È stato, pertanto, affermato che il ricorso deve essere considerato inammissibile per carenza di interesse in tutte le ipotesi in cui l'annullamento giurisdizionale di un atto amministrativo non sia in grado di arrecare alcun vantaggio sostanziale al ricorrente, neppure di carattere strumentale, precisando che quest'ultimo sussiste allorquando le censure dedotte siano tali da determinare, in caso di accoglimento, la rinnovazione dell'intera procedura (per tutte Consiglio di Stato, V, 04.03.2011, n. 1398) (tratto da
www.dirittodegliappaltipubblici.it - TAR Sicilia-Palermo, Sez. I, sentenza 10.11.2011 n. 2053 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

PUBBLICO IMPIEGO: Il vigile che minaccia multe al commerciante per costringerlo a pagare mazzette è colpevole di concussione.
A deciderlo è stata un recente sentenza 10.11.2011 n. 40898 della Corte di cassazione con cui è stata confermata la condanna per il reato ex art. 317 del codice penale nei confronti di tre istruttori della Polizia Municipale di Roma cha avevano minacciato alcuni negozianti di elevare contravvenzione per violazione delle normative antinfortunistiche e igienico-sanitarie qualora costoro non gli avessero corrisposto una «mazzetta».
Il reato di concussione presuppone un abuso dei poteri da parte del pubblico ufficiale per ottenere un vantaggio indebito, e un conseguente stato di soggezione della vittima, che, per questa pressione psicologica, sia indotta a corrispondere quanto richiesto.
L’elemento saliente del reato di cui all’art. 317 c.p., che lo caratterizza rispetto alla corruzione, è appunto il metus pubblicae potestatis, ossia la soggezione della vittima, collegata spesso al ruolo rivestito dal pubblico ufficiale; la corruzione invece, presuppone una convergenza di interessi tra pubblico ufficiale e privato, per il quale i due si mettano d’accordo, il primo, per compiere un atto contrario ai doveri d’ufficio (o per non compiere un atto d’ufficio) e il secondo per corrispondergli un certo vantaggio economico.
Quindi il privato nella corruzione sostanzialmente «compra» un atto del pubblico ufficiale corrotto.
Ma la fattispecie posta all’attenzione della Corte esula dall’ambito della corruzione, presentando invece tutti gli elementi della più grave ipotesi incriminatrice della concussione, e contrassegnandosi per una volontà prevaricatrice e aggressiva dei pubblici ufficiali in danno delle vittime designate (tratto da www.diritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: Il paesaggio è un valore costituzionale primario la cui tutela costituisce un finalità fondamentale dell’ordinamento sia al fine di salvaguardare un bene insostituibile per la qualità della vita, sia anche al fine di proteggere la zona boscata quale componente del paesaggio inteso come bellezza naturale d'insieme.
In assenza dei presupposti richiesti dalla legge n. 47/1985 non esiste alcun principio di preferenza per il mantenimento dell’abuso del privato, in quanto -al contrario- l’art. 9 Cost. considera la “tutela del paesaggio della Repubblica” come un valore fondamentale della nazione ed un bene “primario” ed “assoluto” .

Il paesaggio è un valore costituzionale primario la cui tutela costituisce un finalità fondamentale dell’ordinamento sia al fine di salvaguardare un bene insostituibile per la qualità della vita (cfr. Consiglio Stato, sez. VI, 15.03.2007, n. 1255), sia anche al fine di proteggere la zona boscata quale componente del paesaggio inteso come bellezza naturale d'insieme (cfr. Consiglio Stato, sez. IV, 09.07.2010, n. 4457).
In assenza dei presupposti richiesti dalla legge n. 47/1985 non esiste alcun principio di preferenza per il mantenimento dell’abuso del privato, in quanto -al contrario- l’art. 9 Cost. considera la “tutela del paesaggio della Repubblica” come un valore fondamentale della nazione (cfr. Corte Cost., 07.11.1994, n. 379) ed un bene “primario” ed “assoluto” (Corte Cost., 05.05.2006, nn. 182, 183)
(Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 10.10.2011 n. 5500 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Sull'illegittimità della modifica dell'originaria composizione di una commissione giudicatrice, avvenuta successivamente all'apertura delle buste contenenti le offerte tecniche.
E' illegittima la modifica della struttura della commissione giudicatrice, avvenuta in un momento successivo all'apertura delle buste contenenti le offerte tecniche e concretizzatasi nell'aggiunta di due commissari esterni rispetto ai tre componenti originari.
La variazione della consistenza numerica dell'organo, intervenuta in un momento in cui i membri originari avevano già potuto prendere conoscenza dei contenuti delle offerte tecniche presentate dai concorrenti, si pone, infatti, in contrasto con l'esigenza di trasparenza e la garanzia di continuità delle operazioni valutative che impongono di individuare in detto discrimine temporale il limite invalicabile oltre il quale non può essere variata la consistenza numerica della Commissione.
L'alterazione della composizione numerica dell'organo collegiale, nella specie disposta nel corso della procedura per effetto di un'iniziativa assunta dal Presidente della Commissione in contrasto gli altri componenti, si presta al rischio di alterazione del giudizio in corso di formazione e di formazione di maggioranze precostituite, in guisa da cagionare un vulnus ai principi di trasparenza, imparzialità e continuità dell'azione amministrativa (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 09.11.2011 n. 5906 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Sull'obbligo in capo ad un'ATI di indicare sia le quote di ciascun componente, sia le quote di esecuzione dell'appalto.
Secondo il più recente indirizzo giurisprudenziale, quale che sia il settore dell'appalto lavori, servizi, forniture, l'a.t.i. offerente deve indicare sia le quote di partecipazione all'a.t.i. di ciascun componente, sia le quote di esecuzione dell'appalto, e vi deve essere corrispondenza tra quota di partecipazione e quota di esecuzione.
Tale obbligo di duplice indicazione è espressione di un principio generale che prescinde dall'assoggettamento della gara alla disciplina comunitaria e non consente distinzioni legate alla morfologia del raggruppamento verticale ovvero orizzontale, o ancora alla tipologia delle prestazioni, principali o secondarie, scorporabili o unitarie (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 08.11.2011 n. 5892 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Non sussiste l'obbligo, anche in capo ad un'ATI orizzontale, di indicare le parti del servizio che saranno assunte da ciascuna impresa.
Ai sensi dell'art. 37, c. 4, del d.lgs. n. 163/2006, nelle gare pubbliche indette per l'affidamento di servizi, l'offerta di un'ATI concorrente deve indicare le parti del servizio che saranno assunte da ciascuna impresa, solo nell'ipotesi in cui il raggruppamento sia di tipo verticale, vale a dire con scorporo di singole parti, mentre nel caso di RTI orizzontale, non è necessario indicare le parti da eseguire da ciascuna impresa, ma soltanto le percentuali, e ciò in quanto, nel raggruppamento orizzontale gli operatori economici eseguono il medesimo tipo di prestazione e tutte le imprese sono responsabili in solido dell'intero (TAR Veneto, Sez. I, sentenza 08.11.2011 n. 1658 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Cauzione provvisoria: è superflua ai fini dell'operatività della garanzia la sottoscrizione del contratto da parte del soggetto garantito.
Nel negozio di fideiussione le parti contraenti sono il garante e il soggetto a favore del quale opera la garanzia, mentre non è parte del contratto di fideiussione il soggetto garantito (cioè il debitore), la cui sottoscrizione risulta, pertanto, superflua ai fini della operatività della garanzia.
La normativa applicabile nella Regione Siciliana sancisce chiaramente che la cauzione definitiva deve essere valida ed operante sino alla data di collaudo provvisorio a prescindere dal fatto che quest’ultimo intervenga o meno entro il termine stabilito in astratto per il suo espletamento.
Ne consegue che la dichiarazione preventiva di impegno del garante deve necessariamente conformarsi alla concreta realizzazione del suddetto evento, non potendosi ritenere idonea l’indicazione di un termine prefissato di durata, seppur in via astratta superiore al termine entro il quale, di norma, l’evento (collaudo) dovrebbe realizzarsi (tratto da
www.dirittodegliappaltipubblici.it - C.G.A.R.A., sentenza 07.11.2011 n. 786 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Risarcimento del danno per equivalente: non sono mai rimborsabili le spese sostenute per la partecipazione ad una gara.
L'amministrazione, di conseguenza, è legittimata a revocare la procedura solo se fornisce una adeguata motivazione in ordine alla natura e alla gravità delle anomalie contenute nel bando o verificatesi nel corso delle operazioni di gara o comunque negli atti della fase procedimentale che, alla luce della comparazione dell'interesse pubblico con le contrapposte posizioni dei partecipanti alla gara, giustificano il provvedimento di autotutela.
Per quanto specificamente riguarda le spese di partecipazione, secondo l’indirizzo giurisprudenziale prevalente, in assenza di una specifica previsione di legge le spese sostenute per la partecipazione ad una gara pubblica non sono mai rimborsabili, a nulla rilevando se l'impresa che ne pretenda la restituzione sia risultata o meno aggiudicataria, trattandosi di un onere ordinariamente affrontato da ogni impresa interessata a procacciarsi un affare e, quindi, a carico dei concorrenti in conseguenza della sola partecipazione a una procedura di evidenza pubblica e del tutto indipendentemente dal relativo esito (V Sez. n. 808 del 2010) (tratto da
www.dirittodegliappaltipubblici.it -  C.G.A.R.S., sentenza 07.11.2011 n. 785 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Sull'illegittimità della clausola del bando di gara che preveda, per la fase di apertura delle buste contenenti le offerte tecniche, una apposita seduta riservata.
Sulla legittimità dell'esclusione da una gara di quei concorrenti che, secondo motivata valutazione della stazione appaltante, abbiano commesso grave negligenza o malafede nell'esecuzione delle prestazioni affidate dall'amministrazione che bandisce la gara.

Alla luce di una recente sentenza dell'Adunanza Plenaria del C.d.S., negli appalti pubblici da aggiudicare con il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa, il principio della pubblicità delle operazioni da svolgere in seduta pubblica, trova applicazione con specifico riferimento anche all'apertura della busta contenente l'offerta tecnica.
Infatti, la pubblicità delle sedute di gara risponde all'esigenza di tutela non solo della parità di trattamento dei concorrenti, cui deve essere consentito di effettuare gli opportuni riscontri sulla regolarità formale degli atti prodotti e di avere, in tal modo, la garanzia che non siano successivamente intervenute indebite alterazioni, ma anche dell'interesse pubblico alla trasparenza ed imparzialità dell'azione amministrativa, le cui conseguenze negative sono difficilmente apprezzabili ex post, una volta rotti i sigilli ed aperti i plichi, in mancanza di un riscontro immediato.
Pertanto, è illegittima la clausola del bando che prevede, per la fase di apertura delle buste contenenti le offerte tecniche, una seduta riservata, atteso che all'apertura delle buste delle offerte tecniche deve procedersi in seduta pubblica, trattandosi di un passaggio essenziale e determinante dell'esito della procedura concorsuale, che deve essere presidiata dalle medesime garanzie previste per l'aperture delle buste contenenti la documentazione amministrativa e l'offerta economica, a tutela degli interessi privati e pubblici coinvolti dal procedimento.
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Ai sensi dell'articolo 38, c. 1, lett. f), del d.lgs. n. 163/2006, sono esclusi dalla partecipazione alle gare d'appalto i soggetti che, secondo motivata valutazione della stazione appaltante, abbiano commesso grave negligenza o malafede nell'esecuzione delle prestazioni affidate dalla stazione appaltante che bandisce la gara; ovvero che siano incorsi in un errore grave nell'esercizio della loro attività professionale.
Tale disposizione prevede quindi la possibile esclusione di quelle imprese che si siano rese responsabili di gravi inadempienze nell'esecuzione di precedenti rapporti contrattuali, pertanto non ritenute affidabili dalla stazione appaltante. La giurisprudenza ha peraltro chiarito che, l'esclusione dalla gara, non ha carattere sanzionatorio, e per procedere alla stessa è necessario che l'amministrazione, con atto motivato, dia conto della gravità della negligenza o dell'errore professionale commesso e del rilievo che tali elementi hanno sull'affidabilità dell'impresa e sull'interesse pubblico a stipulare un nuovo contratto con la stessa.
La valutazione sulla rilevanza, ai fini dell'affidamento di un nuovo appalto, della negligenza o dell'errore professionale e, quindi, sulla sussistenza o meno del requisito di affidabilità, ha quindi carattere discrezionale; pertanto, occorre che il provvedimento di esclusione sia adeguatamente motivato con l'indicazione delle ragioni del convincimento circa la mancanza del requisito di affidabilità dell'impresa partecipante alla gara.
Nel caso di specie, la mancata esclusione del concorrente è stata determinata da una valutazione discrezionale della P.A., la quale ha ritenuto che l'errore professionale commesso non fosse talmente grave da far venir meno il requisito di affidabilità della stessa impresa nella partecipazione ad una nuova gara (Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 04.11.2011 n. 5866 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI SERVIZI: Sulla legittimità dell'esclusione di un concorrente da una gara per il servizio di trasporto scolastico, per omessa attestazione della disponibilità di un deposito-rimessa, sito ad una determinata distanza dalla sede di espletamento del servizio.
E' legittimo il provvedimento di esclusione da una gara per l'affidamento del servizio di trasporto scolastico, adottato da una stazione appaltante nei confronti di un concorrente che abbia omesso di attestare la disponibilità di un deposito ad uso rimessa, ubicato ad una determinata distanza dalla sede di espletamento del servizio, qualora il bando richieda la dimostrazione del predetto requisito, come nel caso di specie, mediante apposita produzione documentale, pena l'esclusione dalla procedura.
Non confligge con i canoni di ragionevolezza, proporzionalità e massima partecipazione alle procedure selettive, la previsione espressa, nella lex specialis, della produzione di un titolo idoneo allo svolgimento di un'attività intimamente connessa all'oggetto dell'appalto; nella fattispecie in esame, trattasi di apposito luogo di ricovero dei mezzi a distanza non eccessiva dal territorio ove il servizio deve essere espletato; infatti, tale prescrizione risponde all'interesse pubblico della stazione appaltante, di affidare il servizio ad un operatore economico che disponga delle condizioni minime indispensabili a garantirlo con continuità ed efficienza (TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 04.11.2011 n. 1510 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Sulla legittimità dell'aggiudicazione di una gara ad un concorrente che abbia indicato, nella propria offerta, voci relative al costo del lavoro, ridimensionate rispetto alle tabelle ministeriali.
L'art. 86, c. 3-bis, del d.lgs. n. 163/2006, in relazione al giudizio di anomalia delle offerte presentate dai concorrenti in sede di gara, prescrive una rigorosa verifica del rispetto del costo del lavoro, alla luce delle indicazioni "tendenziali" evincibili dalla tabelle ministeriali.
Per pacifica giurisprudenza, congruente anche con le più recenti indicazioni normative, tra cui il nuovo art. 81, c. 3-bis, del medesimo decreto, sono inderogabili solo i minimi salariali di costo del lavoro dettati dalla contrattazione collettiva i quali, in sede di valutazione di congruità di un'offerta, non possono che essere ritenuti come tali inderogabili. In realtà, l'unico parametro di computo dettato dalle tabelle ministeriali, effettivamente inderogabile, è la retribuzione minima oraria dettata dalla contrattazione collettiva; invece i restanti maggiori costi, se pure esistenti, possono essere concretamente giustificati in termini anche minori rispetto a quanto astrattamente ed omogeneamente previsto dalla tabelle ministeriali.
Pertanto, nel caso di specie, è legittimo il provvedimento di aggiudicazione di una gara adottato da una stazione appaltante nei confronti di un concorrente che abbia indicato nella propria offerta, voci relative al costo del lavoro, ridimensionate rispetto alle tabelle ministeriali (TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 04.11.2011 n. 1173 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Sull'illegittimità della composizione di una commissione di gara, nel caso in cui alcuni membri della stessa siano privi di adeguata competenza tecnica, in relazione allo specifico settore oggetto dell'appalto da affidare.
In materia di gare d'appalto, è illegittima la composizione di una commissione giudicatrice, nel caso in cui alcuni membri effettivi della stessa siano privi di adeguata competenza tecnica, in relazione allo specifico settore oggetto dell'appalto da affidare.
La regola fissata dall'art. 84 del d.lgs. n. 163/2006, secondo cui i componenti della Commissione di gara vanno scelti fra soggetti dotati di competenza tecnica adeguata alle peculiarità dello specifico settore interessato dall'appalto da assegnare, costituisce espressione di principi generali, costituzionali e comunitari, volti ad assicurare il buon andamento e l'imparzialità dell'azione amministrativa, ed in quanto tale, non è suscettibile di essere derogata; la mancanza, all'interno della stazione appaltante, di funzionari competenti in relazione all'appalto oggetto di gara, non costituisce ostacolo alla corretta applicazione delle disposizioni codicistiche atteso che, ai sensi del combinato disposto dei commi 2 e 8 dell'art. 84 citato, in caso di assenza, nell'organico dell'amministrazione che ha bandito la gara, delle specifiche professionalità, i componenti della Commissione in possesso delle capacità tecniche e professionali adeguate all'importanza dell'appalto, devono essere scelti tra funzionari di altre amministrazioni, ovvero tra professionisti e professori universitari di ruolo (TAR Lazio-Roma, Sez. III, sentenza 03.11.2011 n. 8414 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Sui casi in cui la Commissione di gara giudica in composizione plenaria.
Sui casi in cui le valutazioni effettuate dalla Commissione di gara siano sindacabili dal G.A..

La regola secondo cui la Commissione giudicatrice ha natura di collegio perfetto, e deve quindi operare con il plenum e non con la semplice maggioranza dei suoi componenti, è applicabile allorché la Commissione sia chiamata a compiere scelte decisorie e discrezionali, rispetto alle quali determinante appare il contributo di tutti i componenti del collegio ai fini di una corretta formazione della volontà collegiale; non è invece applicabile allorché la Commissione è chiamata a svolgere compiti a carattere non valutativo, che si sostanziano in un'attività puramente preparatoria ovvero del tutto vincolata.
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Secondo un costante indirizzo giurisprudenziale, in materia di gare d'appalto, le valutazioni effettuate dalla Commissione costituiscono espressione di ampia discrezionalità, finalizzate a stabilire in concreto l'idoneità tecnica delle offerte. Ne consegue che le valutazioni stesse non sono sindacabili dal giudice amministrativo, se non nei casi in cui sussistano elementi idonei ad evidenziare uno sviamento logico od un errore di fatto o, ancora, una contraddittorietà ictu oculi rilevabile.
Peraltro, laddove la lex specialis articoli analiticamente i parametri per l'assegnazione dei punteggi, risultano palesi anche le motivazioni del punteggio dato in relazione alle caratteristiche tecniche. Nel caso di specie, il Capitolato speciale di gara prefissava dettagliatamente il punteggio attribuibile alle singole voci e sottovoci, indicatori della valenza tecnica dell'offerta, sicché il giudizio della Commissione si estrinsecava nel punteggio assegnato per ciascuna voce (TAR Lazio-Roma, Sez. III-quater, sentenza 02.11.2011 n. 8355 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

EDILIZIA PRIVATALa costruzione di una tettoia, per i materiali utilizzati, le caratteristiche strutturali e le dimensioni (copre una superficie di mq. 19,35), configura una nuova costruzione, integrando un organismo edilizio suscettibile di autonomo utilizzo, preordinato a soddisfare esigenze non precarie sotto il profilo funzionale, in quanto tale idoneo ad alterare lo stato dei luoghi ed a comportare una significativa trasformazione del territorio.
Non appare condivisibile neanche la riduttiva definizione dell’intervento sopra descritto come mera pertinenza, atteso che la nozione urbanistica di pertinenza non coincide con quella più ampia fornita dall’art. 817 del cod. civ., dovendo essere perimetrata in modo compatibile con i principi della materia e riferita, quindi, alle sole opere edilizie minori, che abbiano scarso o nullo peso dal punto di vista del carico edilizio ed urbanistico.

Nella nozione di “volume tecnico” sono da comprendere esclusivamente le porzioni di fabbricato destinate ad ospitare impianti, legati da un rapporto di strumentalità necessaria con l’utilizzazione dello stesso. Invero, ai fini della qualificazione di una costruzione, rilevano le caratteristiche oggettive della stessa, prescindendosi dall’intento dichiarato dal privato di voler destinare l’opera ad utilizzazioni più ristrette di quelle alle quali il manufatto potenzialmente si presta.
... i ricorrenti contestano la legittimità del parere contrario al rilascio del permesso di costruire in sanatoria, richiesto ex art. 36 del D.P.R. n.380 del 2001, espresso dalla commissione edilizia del Comune di San Paolo Bel Sito e comunicato agli interessati con l’atto individuato in epigrafe, per una tettoia realizzata sul terrazzo al secondo piano.
...
Anzitutto, i lavori eseguiti non appaiono inquadrabili nell’attività di manutenzione straordinaria –che, ai sensi dell’art. 2, lettera b), del T.U. sull’edilizia, è qualificata dal duplice aspetto della finalità dei lavori, diretti alla mera sostituzione o al puro rinnovo di un preesistente manufatto, e dal divieto di alterarne i volumi e le superfici (cfr., tra le tante, con riferimento anche all’analoga nozione già prevista dall’art. 31 della legge n.457 del 1978, Consiglio di Stato, Sezione V, 22.07.1992 n. 336; Sezione VI, 30.09.2008 n. 4694; TAR Campania, Sezione II, 17.04.2009 n. 1994; Sezione IV, 04.07.2001 n. 3072)– in quanto i ricorrenti non hanno fornito neanche un principio di prova in ordine ad un’eventuale preesistenza sicché la struttura si configura indubbiamente come un quid novi.
Nel caso di specie, il manufatto realizzato, per i materiali utilizzati, le caratteristiche strutturali e le dimensioni (copre una superficie di mq. 19,35), configura, piuttosto, una nuova costruzione, integrando un organismo edilizio suscettibile di autonomo utilizzo, preordinato a soddisfare esigenze non precarie sotto il profilo funzionale, in quanto tale idoneo ad alterare lo stato dei luoghi ed a comportare una significativa trasformazione del territorio (cfr., ex multis, Consiglio di Stato, Sezione V, 13.06.2006 n. 3490; TAR Lazio, Roma, Sezione I, 18.06.2008 n. 5965; Sez. I-quater, 23.11.2007 n. 11679).
Non appare condivisibile neanche la riduttiva definizione dell’intervento sopra descritto come mera pertinenza, atteso che, come chiarito dalla giurisprudenza (cfr., Consiglio di Stato, Sezione V, 23.03.2000 n. 1600; Sezione IV, 07.07.2008 n. 3379; TAR Lazio, Sezione II-ter, 06.09.2000 n. 6900; TAR Campania, Sezione II, 24.01.2008 n. 402 e Sezione IV, 03.01.2002 n. 50; TAR Lazio, Latina, 04.07.2006 n. 428), la nozione urbanistica di pertinenza non coincide con quella più ampia fornita dall’art. 817 del cod. civ., dovendo essere perimetrata in modo compatibile con i principi della materia e riferita, quindi, alle sole opere edilizie minori, che abbiano scarso o nullo peso dal punto di vista del carico edilizio ed urbanistico.
Né può farsi utilmente ricorso alla nozione di “volume tecnico”. Tale categoria, infatti, comprende esclusivamente le porzioni di fabbricato destinate ad ospitare impianti, legati da un rapporto di strumentalità necessaria con l’utilizzazione dello stesso. Invero, ai fini della qualificazione di una costruzione, rilevano le caratteristiche oggettive della stessa, prescindendosi dall’intento dichiarato dal privato di voler destinare l’opera ad utilizzazioni più ristrette di quelle alle quali il manufatto potenzialmente si presta (cfr. Consiglio di Stato, V Sezione, 21.10.1992 n. 1025 e 13.05.1997 n. 483; TAR Campania, IV Sezione, 12.01.2000 n. 30; II Sezione, 03.02.2006 n. 1506) (TAR Campania-Napoli, Sez. II, sentenza 31.10.2011 n. 5093 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIn relazione al rapporto tra il provvedimento di acquisizione gratuita al patrimonio comunale dell’immobile abusivo e la domanda di condono edilizio successivamente presentata per la sanatoria dell’immobile stesso, l’acquisizione gratuita determina una situazione inconciliabile con la sanatoria soltanto quando all’immissione nel possesso, da parte dell’Amministrazione comunale, abbia fatto seguito la demolizione dell’immobile abusivo ovvero la sua effettiva destinazione a fini pubblici; pertanto, qualora non si siano verificati mutamenti della situazione di fatto che rendano impossibile il rilascio della richiesta sanatoria, a seguito della presentazione dell’istanza di condono edilizio il ricorso proposto avverso il provvedimento di acquisizione gratuita diviene improcedibile, perché l’Amministrazione comunale è tenuta a pronunciarsi sulla domanda di sanatoria e l’interesse del responsabile dell’abuso si sposta, dall’annullamento del provvedimento sanzionatorio già adottato e divenuto inefficace, all’annullamento dell’eventuale provvedimento di rigetto della domanda di condono e degli eventuali ulteriori provvedimenti sanzionatori.
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La mera pendenza di un’istanza di condono non autorizza la realizzazione di ulteriori lavori, né può precludere l’esercizio dei poteri repressivi diretti a sanzionare abusi commessi in epoca successiva.
Infatti, la regola secondo cui la presentazione della domanda di condono preclude all’amministrazione di ordinare la demolizione dell’opera abusiva prima di avere definito il procedimento di sanatoria vale limitatamente alle opere abusive esistenti al momento della istanza ed in essa indicate, non potendosi estendere ad abusi realizzati in epoca successiva.
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L’abusivo intervento di completamento (del manufatto abusivo) deve essere sanzionato sempre e comunque con l’ordine di ripristino dello stato dei luoghi, perché in tal caso vale il principio in forza del quale è il completamento in sé ad essere precluso, senza che sia possibile distinguere tra opere soggette al rilascio del permesso di costruire ed opere realizzabili in base ad una semplice DIA o SCIA.
Invero, dal testo dell’art. 35, comma 13, della legge n. 47/1985 si evince chiaramente che il responsabile dell’abuso si assume la responsabilità di completare un manufatto abusivo che potrebbe non conseguire la sanatoria (laddove l’Amministrazione accerti l’insussistenza dei presupposti per l’accoglimento della domanda di condono) e che l’intervento di completamento è subordinato ad una speciale procedura finalizzata innanzi tutto a “cristallizzare” (per evidenti ragioni istruttorie) lo stato di fatto antecedente l’esecuzione di tale intervento, attraverso l’allegazione di una perizia giurata ovvero di altra documentazione avente data certa in ordine allo stato dei lavori abusivi.
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La natura interamente vincolata dell’ordine di demolizione esclude la necessaria ponderazione di interessi diversi da quelli pubblici tutelati e non richiede ulteriore motivazione rispetto alla dichiarata abusività dell’intervento. Inoltre, i provvedimenti repressivi degli abusi edilizi non devono essere preceduti dalla comunicazione dell’avvio del procedimento perché trattasi di provvedimenti tipizzati e vincolati, che presuppongono un mero accertamento tecnico sulla consistenza delle opere realizzate e sul carattere abusivo delle medesime.
Secondo l’art. 43, comma 1, della legge n. 47/1985 “l’esistenza di provvedimenti sanzionatori non ancora eseguiti, ovvero ancora impugnabili o nei cui confronti pende l’impugnazione, non impedisce il conseguimento della sanatoria”.
Secondo la giurisprudenza formatasi in relazione al rapporto tra il provvedimento di acquisizione gratuita al patrimonio comunale dell’immobile abusivo e la domanda di condono edilizio successivamente presentata per la sanatoria dell’immobile stesso (ex multis, TAR Lazio Roma, Sez. II, 02.04.2010, n. 5614), l’acquisizione gratuita determina una situazione inconciliabile con la sanatoria soltanto quando all’immissione nel possesso, da parte dell’Amministrazione comunale, abbia fatto seguito la demolizione dell’immobile abusivo ovvero la sua effettiva destinazione a fini pubblici; pertanto, qualora non si siano verificati mutamenti della situazione di fatto che rendano impossibile il rilascio della richiesta sanatoria, a seguito della presentazione dell’istanza di condono edilizio il ricorso proposto avverso il provvedimento di acquisizione gratuita diviene improcedibile, perché l’Amministrazione comunale è tenuta a pronunciarsi sulla domanda di sanatoria e l’interesse del responsabile dell’abuso si sposta, dall’annullamento del provvedimento sanzionatorio già adottato e divenuto inefficace, all’annullamento dell’eventuale provvedimento di rigetto della domanda di condono e degli eventuali ulteriori provvedimenti sanzionatori.
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Una consolidata giurisprudenza (da ultimo, TAR Campania Salerno, Sez. II, 01.03.2011, n. 379) afferma che la mera pendenza di un’istanza di condono non autorizza la realizzazione di ulteriori lavori, né può precludere l’esercizio dei poteri repressivi diretti a sanzionare abusi commessi in epoca successiva.
Infatti, la regola (espressione del principio di ragionevolezza dell’azione amministrativa) secondo cui la presentazione della domanda di condono preclude all’amministrazione di ordinare la demolizione dell’opera abusiva prima di avere definito il procedimento di sanatoria vale limitatamente alle opere abusive esistenti al momento della istanza ed in essa indicate, non potendosi estendere ad abusi realizzati in epoca successiva.
Talune oscillazioni si registrano, invece, in ordine al tipo di sanzione che l’Amministrazione deve adottare laddove il completamento del manufatto abusivo sia realizzato senza aver preventivamente attivato lo speciale procedimento di cui all’art. 35, comma 13, della legge n. 47/1985.
Infatti -a fronte del prevalente orientamento giurisprudenziale (ex multis, TAR Campania Salerno, Sez. II, 01.03.2011, n. 379; TAR Campania Napoli, Sez. VII, 14.01.2011, n. 160; Sez. IV, 02.12.2008, n. 20793; Sez. VI, 09.03.2006, n. 2834), secondo il quale l’abusivo intervento di completamento deve essere sanzionato sempre e comunque con l’ordine di ripristino dello stato dei luoghi, perché in tal caso vale il principio in forza del quale è il completamento in sé ad essere precluso, senza che sia possibile distinguere tra opere soggette al rilascio del permesso di costruire ed opere realizzabili in base ad una semplice DIA o SCIA (si veda al riguardo l’art. 5, comma 2, lett. c), del decreto legge n. 70/2011, convertito dalla legge n. 106/2010)- una giurisprudenza minoritaria (TAR Campania Napoli, Sez. VI, 10.01.2011, n. 36) ritiene che, in assenza di nuove superfici e/o nuovi volumi e/o ulteriori trasformazioni del territorio, ferma restando la violazione dell’art. 35, comma 13, della legge n. 47/1985, la sanzione demolitoria non possa essere irrogata e che l’Amministrazione sarebbe, quindi, comunque tenuta, ai fini sanzionatori, ad individuare esattamente gli ulteriori lavori abusivi eseguiti e ad operare una preventiva qualificazione degli stessi.
Il Collegio ritiene di dover aderire al richiamato orientamento maggioritario, perché dal testo dell’art. 35, comma 13, della legge n. 47/1985 si evince chiaramente che il responsabile dell’abuso si assume la responsabilità di completare un manufatto abusivo che potrebbe non conseguire la sanatoria (laddove l’Amministrazione accerti l’insussistenza dei presupposti per l’accoglimento della domanda di condono) e che l’intervento di completamento è subordinato ad una speciale procedura finalizzata innanzi tutto a “cristallizzare” (per evidenti ragioni istruttorie) lo stato di fatto antecedente l’esecuzione di tale intervento, attraverso l’allegazione di una perizia giurata ovvero di altra documentazione avente data certa in ordine allo stato dei lavori abusivi.
Risulta quindi evidente che, in assenza di tale documentazione, è preclusa in radice la possibilità di operare una qualificazione giuridica dell’intervento di completamento perché non vi è certezza sullo stato di fatto antecedente l’esecuzione dell’intervento stesso. Inoltre, qualora si tratti di un intervento di completamento da realizzare su immobile che ricade in zona vincolata, la speciale procedura prevista dall’art. 35, comma 13, della legge n. 47/1985 risulta chiaramente finalizzata ad acquisire, in via preventiva, la valutazione della compatibilità dell’intervento stesso con gli interessi tutelati attraverso l’apposizione del vincolo.
Del resto non si spiega altrimenti la disposizione secondo la quale “i lavori per il completamento delle opere di cui all’articolo 32 possono essere eseguiti solo dopo che siano stati espressi i pareri delle competenti amministrazioni”. Coglie, quindi, nel segno la giurisprudenza (TAR Campania Napoli, Sez. IV, 02.12.2008, n. 20793) che pone in rilievo come, nel caso di manufatti abusivi realizzati in zona sottoposta a vincolo paesaggistico, non può essere realizzato nessun tipo di intervento di completamento funzionale in assenza della preventiva valutazione di compatibilità paesaggistica da parte dell’autorità preposta alla gestione del vincolo.
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Secondo una consolidata giurisprudenza (ex multis, TAR Campania Napoli, Sez. VII, 14.01.2011, n. 160), la natura interamente vincolata dell’ordine di demolizione esclude la necessaria ponderazione di interessi diversi da quelli pubblici tutelati e non richiede ulteriore motivazione rispetto alla dichiarata abusività dell’intervento. Inoltre, i provvedimenti repressivi degli abusi edilizi non devono essere preceduti dalla comunicazione dell’avvio del procedimento (ex multis, TAR Campania Napoli, Sez. IV, 12.04.2005, n. 3780; 13.01.2006, n. 651) perché trattasi di provvedimenti tipizzati e vincolati, che presuppongono un mero accertamento tecnico sulla consistenza delle opere realizzate e sul carattere abusivo delle medesime.
Peraltro, seppure si aderisse all’orientamento che ritiene necessaria tale comunicazione anche per gli ordini di demolizione, troverebbe comunque applicazione nel caso in esame l’art. 21-octies, comma 2, della legge n. 241/1990, nella parte in cui dispone che “non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento … qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato”.
Infatti, considerato che l’ordine di demolizione è atto dovuto in presenza di opere realizzate in assenza del prescritto titolo abilitativo e che, nel caso in esame, trattasi di un intervento di completamento realizzato su immobile che ricade in zona vincolata, senza l’attivazione della speciale procedura prevista dall’art. 35, comma 13, della legge n. 47/1985, risulta palese che il contenuto dispositivo dell’impugnata ordinanza di demolizione non avrebbe potuto essere diverso se alla parte ricorrente fosse stata data comunicazione dell’avvio del procedimento
(TAR Campania-Napoli, Sez. VII, sentenza 28.10.2011 n. 5031 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa presentazione dell’istanza di accertamento di conformità ai sensi dell’art. 36 del D.P.R. n. 380/2001, successivamente all’impugnazione dell’ordine di demolizione, produce l’effetto di rendere improcedibile l’impugnazione stessa per carenza di interesse.
Infatti, il riesame dell’abusività dell’opera provocato dall’istanza di sanatoria determina la necessaria formazione di un nuovo provvedimento, di accoglimento o di rigetto (espresso o tacito), che vale comunque a rendere inefficace il provvedimento sanzionatorio oggetto dell’originario ricorso, che deve conseguentemente essere dichiarato improcedibile per carenza di interesse, perché l’interesse del responsabile dell’abuso edilizio si sposta, dall’annullamento del provvedimento sanzionatorio già adottato e divenuto inefficace, all’annullamento dell’eventuale provvedimento di rigetto della domanda di sanatoria e degli eventuali ulteriori provvedimenti sanzionatori.
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Per i lavori realizzati in assenza o difformità dall’autorizzazione paesaggistica che hanno determinato la creazione di superfici utili o volumi ovvero un aumento di quelli legittimamente realizzati, deve affermarsi l’inidoneità della presentazione dell’istanza di accertamento di conformità a determinare l’inefficacia dell’ordine di demolizione relativo a tali lavori.
Infatti -a fronte del divieto assoluto di rilasciare l’autorizzazione paesaggistica in sanatoria per i lavori che prima facie hanno determinato la creazione di superfici utili o volumi ovvero un aumento di quelli legittimamente realizzati- un’eventuale istanza di accertamento di conformità avrebbe un intento meramente dilatorio e, quindi, il giudice amministrativo -che nei casi di attività vincolata deve oramai essere considerato giudice del rapporto- può senz’altro escluderne ogni rilevanza, perché in tal caso è palese che il contenuto dispositivo del provvedimento impugnato (ossia l’ordine di demolizione) non potrà essere diverso a seguito della pronuncia dell’Amministrazione sulla richiesta di sanatoria

Secondo la prevalente giurisprudenza (ex multis, TAR Campania Napoli, Sez. VII, 20.11.2007, n. 14442; Sez. IV 02.10.2006, n. 8424) la presentazione dell’istanza di accertamento di conformità ai sensi dell’art. 36 del D.P.R. n. 380/2001, successivamente all’impugnazione dell’ordine di demolizione, produce l’effetto di rendere improcedibile l’impugnazione stessa per carenza di interesse.
Infatti, il riesame dell’abusività dell’opera provocato dall’istanza di sanatoria determina la necessaria formazione di un nuovo provvedimento, di accoglimento o di rigetto (espresso o tacito), che vale comunque a rendere inefficace il provvedimento sanzionatorio oggetto dell’originario ricorso, che deve conseguentemente essere dichiarato improcedibile per carenza di interesse, perché l’interesse del responsabile dell’abuso edilizio si sposta, dall’annullamento del provvedimento sanzionatorio già adottato e divenuto inefficace, all’annullamento dell’eventuale provvedimento di rigetto della domanda di sanatoria e degli eventuali ulteriori provvedimenti sanzionatori.
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Secondo la giurisprudenza di questa Sezione (TAR Campania Napoli, Sez. VII, 28.12.2007, n. 16539) tali conclusioni devono mantenersi ferme anche per il caso in cui la domanda di sanatoria riguardi opere abusive realizzate su un’area oggetto di un vincolo paesaggistico-ambientale, a condizione che si tratti di opere che, prima facie, non hanno determinato la creazione di superfici utili o volumi ovvero un aumento di quelli legittimamente realizzati.
Infatti, l’articolo 146, comma 4, del decreto legislativo n. 42/2004 -applicabile anche procedimento autorizzatorio previsto per la fase transitoria in base al successivo articolo 159, comma 5- esclude dal divieto di rilasciare l’autorizzazione paesaggistica, in sanatoria (ossia successivamente alla realizzazione, anche parziale, degli interventi) i casi previsti dall’articolo 167, comma 4, del medesimo decreto legislativo, costituiti -oltre che dall’impiego di materiali in difformità dall’autorizzazione paesaggistica e dai lavori comunque configurabili quali interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria- proprio dai “lavori, realizzati in assenza o difformità dall’autorizzazione paesaggistica, che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati”.
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Per i lavori realizzati in assenza o difformità dall’autorizzazione paesaggistica che hanno determinato la creazione di superfici utili o volumi ovvero un aumento di quelli legittimamente realizzati, deve affermarsi l’inidoneità della presentazione dell’istanza di accertamento di conformità a determinare l’inefficacia dell’ordine di demolizione relativo a tali lavori.
Infatti -a fronte del divieto assoluto di rilasciare l’autorizzazione paesaggistica in sanatoria per i lavori che prima facie hanno determinato la creazione di superfici utili o volumi ovvero un aumento di quelli legittimamente realizzati- un’eventuale istanza di accertamento di conformità avrebbe un intento meramente dilatorio e, quindi, il giudice amministrativo -che nei casi di attività vincolata deve oramai essere considerato giudice del rapporto (ex multis, TAR Campania Napoli, Sez. IV, 27.03.2006, n. 3200; 20.11.2006, n. 9983; TAR Campania Napoli, Sez. VII, n. 14442/2007 cit.)- può senz’altro escluderne ogni rilevanza, perché in tal caso è palese che il contenuto dispositivo del provvedimento impugnato (ossia l’ordine di demolizione) non potrà essere diverso a seguito della pronuncia dell’Amministrazione sulla richiesta di sanatoria (TAR Campania-Napoli, Sez. VII, sentenza 28.10.2011 n. 5023 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIl provvedimento di annullamento di ufficio di una concessione edilizia, quale atto discrezionale, deve essere adeguatamente motivato in ordine all’esistenza dell’interesse pubblico, specifico e concreto, che giustifica il ricorso all’autotutela anche in ordine alla prevalenza del predetto interesse pubblico su quello antagonista del privato.
in determinate ipotesi, l’interesse pubblico all’eliminazione dell’atto illegittimo è da considerarsi in re ipsa. Tra queste è annoverabile l’ipotesi di annullamento d’ufficio di titolo edilizio illegittimo:
a) a fronte dell’esigenza di garantire e tutelare l’equilibrato sviluppo del territorio e l’osservanza della vigente disciplina urbanistica, rispetto alla quale l’opera da realizzare si ponga in aperto e permanente contrasto;
b) a fronte di falsa, infedele, erronea o inesatta rappresentazione, dolosa o colposa, della realtà da parte dell’interessato, risultata rilevante o decisiva ai fini del provvedimento autorizzativo, non potendo l’interessato vantare il proprio legittimo affidamento nella persistenza di un titolo ottenuto attraverso l’induzione in errore dell’amministrazione procedente;
c) a fronte dell’esigenza di salvaguardare i caratteri e i pregi ambientali e paesaggistici dei luoghi attinti dagli interventi assentiti.
Non è sufficiente a giustificare l'esercizio del potere di autotutela la pura e semplice finalità di ripristinare la legalità violata, occorrendo dar conto della sussistenza di un interesse pubblico attuale e concreto alla rimozione del titolo edilizio e della comparazione tra tale interesse e l'entità del sacrificio imposto all'interesse privato, tanto più quando il beneficiario dell’atto autorizzativo, in ragione del tempo decorso, abbia maturato un legittimo affidamento in merito alla realizzazione delle opere, ovvero quando sia riscontrabile la realizzazione di una significativa parte delle opere assentite.

Il Collegio non ignora il costante orientamento giurisprudenziale (Cons. Stato, sez. V, 12.11.2003, n. 7218; sez. IV, 31.10.2006, n. 6465; TAR Campania, Napoli, sez. VII, 22.06.2007, n. 6238; sez. III, 11.09.2007, n. 7483; sez. VIII, 30.07.2008, n. 9586; 01.10.2008, n. 12321; TAR Sicilia, Palermo, sez. III, 19.01.2007, n. 170; sez. II, 08.06.2007, n. 1652; TAR Liguria, sez. I, 11.12.2007, n. 2050; TAR Basilicata, sez. I, 19.01.2008, n. 15), secondo cui “il provvedimento di annullamento di ufficio di una concessione edilizia, quale atto discrezionale, deve essere adeguatamente motivato in ordine all’esistenza dell’interesse pubblico, specifico e concreto, che giustifica il ricorso all’autotutela anche in ordine alla prevalenza del predetto interesse pubblico su quello antagonista del privato”.
Anche nell’ipotesi di annullamento di un permesso di costruire va, cioè, riconosciuta piena operatività ai principi generali che condizionano il legittimo esercizio del potere di autotutela. Potere che è espressione della discrezionalità dell’amministrazione e che, nell’adozione di un provvedimento espresso, postula la valutazione di elementi ulteriori rispetto alla mero ripristino della legalità violata. In omaggio all’orientamento tradizionale che trova il suo fondamento nei valori di rango costituzionale di buon andamento e dell’imparzialità dell’azione amministrativa, è, infatti, doveroso rimettere la verifica di legittimità dell’atto di autotutela ad un apprezzamento concreto, condotto sulla base dell’effettiva e specifica situazione creatasi a seguito del rilascio dell’atto autorizzativo.
Ciò premesso in via di principio, il Collegio nemmeno ignora l’indirizzo, altrettanto consolidato, in base al quale, in determinate ipotesi, l’interesse pubblico all’eliminazione dell’atto illegittimo è da considerarsi in re ipsa.
Tra queste è annoverabile l’ipotesi di annullamento d’ufficio di titolo edilizio illegittimo:
a) a fronte dell’esigenza di garantire e tutelare l’equilibrato sviluppo del territorio e l’osservanza della vigente disciplina urbanistica, rispetto alla quale l’opera da realizzare si ponga in aperto e permanente contrasto (Cons. Stato, sez. V, 28.11.2005, n. 6630; sez. IV, 26.10.2007, n. 5601; TAR Calabria, Catanzaro, sez. II, 15.06.2005, n. 1110);
b) a fronte di falsa, infedele, erronea o inesatta rappresentazione, dolosa o colposa, della realtà da parte dell’interessato, risultata rilevante o decisiva ai fini del provvedimento autorizzativo, non potendo l’interessato vantare il proprio legittimo affidamento nella persistenza di un titolo ottenuto attraverso l’induzione in errore dell’amministrazione procedente (Cons. Stato, sez. V, 12.10.2004, n. 6554; sez. IV, 24.12.2008, n. 6554; TAR Sicilia, Palermo, sez. II, 03.11.2003, n. 2366; TAR Puglia, Lecce, sez. III, 21.02.2005, n. 686; TAR Liguria. Genova, sez. I, 07.07.2005, n. 1027; 17.11.2006, n. 1550; TAR Campania, Napoli, sez. IV, 13.02.2006, n. 2026; TAR Calabria, Catanzaro, sez. I, 05.02.2008, n. 129; TAR Basilicata, Potenza, sez. I, 04.03.2004, n. 115; 10.05.2005, n. 299; 10.04.2006, n. 238; 18.10.2008, n. 643);
c) a fronte dell’esigenza di salvaguardare i caratteri e i pregi ambientali e paesaggistici dei luoghi attinti dagli interventi assentiti.
a) Sotto il primo profilo, rileva la circostanza oggettiva e dirimente dell’accertata violazione delle distanze legali, ossia di una violazione di norme inderogabili, che, in quanto tale, implicava una iniziativa in autotutela sostanzialmente vincolata dell’amministrazione comunale, e non imponeva, quindi, una specifica motivazione né una espressa comparazione tra l'interesse pubblico alla rimozione e quello del privato alla conservazione dell'atto illegittimo (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 12.07.2002, n. 3929; 26.05.2006, n. 3201).
b) Sotto il secondo profilo, occorre rimarcare che il progetto assentito col permesso di costruire n. 10 del 23.07.2004 non ha correttamente riportato le distanze del manufatto previsto dai fondi e dai fabbricati confinanti, così inducendo in errore l’amministrazione resistente circa l’osservanza dell’art. 23 delle n.a. del p.r.g. di Ailano.
c) Sotto il terzo profilo, giova rammentare che l’annullamento d’ufficio di un permesso di costruire in contrasto con i vincoli paesaggistici gravanti sulla zona non presuppone una peculiare comparazione tra l’interesse pubblico all’eliminazione degli atti viziati e il confliggente interesse privato alla conservazione degli stessi, stante l’evidente sussistenza dell’interesse di rango costituzionale (art. 9 Cost.) alla tutela dell’ambiente e la sua preminenza su qualunque altro interesse pubblico o privato (cfr. Cons. stato, sez. VI, 20.01.2000, n. 278; TAR Lazio, Roma, sez. II, 04.01.2005, n. 48; TAR Campania, Napoli, sez. III, 10.04.2007, n. 3193).
Ebbene, nel caso in esame, l’annullato permesso di costruire n. 10 del 23.07.2004, ancorché non in immediato contrasto con norme di tutela paesaggistica (sul punto, cfr. retro, sub n. 4), ha, comunque, illegittimamente assentito opere ricadenti in area assoggettata a vincolo paesaggistico ed è risultato, così, suscettibile di inficiare, sia pure indirettamente, i valori da quest’ultimo tutelati.
La motivazione dianzi riportata risulta, peraltro, proporzionata al tempo decorso tra il momento di emissione del titolo abilitativo e quello del suo successivo annullamento, che si appalesa non irragionevole.
Al riguardo, il Collegio ha presente l’incontrastato indirizzo giurisprudenziale, accreditato dall’art. 21-nonies, comma 1, della l. n. 241/1990, secondo cui non è sufficiente a giustificare l'esercizio del potere di autotutela la pura e semplice finalità di ripristinare la legalità violata, occorrendo dar conto della sussistenza di un interesse pubblico attuale e concreto alla rimozione del titolo edilizio e della comparazione tra tale interesse e l'entità del sacrificio imposto all'interesse privato (cfr. Cons. Stato, sez. V, 01.03.2003, n. 1150), tanto più quando il beneficiario dell’atto autorizzativo, in ragione del tempo decorso, abbia maturato un legittimo affidamento in merito alla realizzazione delle opere (cfr. Cons. Stato, sez. V, 19.01.2003, n. 899), ovvero quando sia riscontrabile la realizzazione di una significativa parte delle opere assentite (cfr. Cons. Stato, sez. V, 12.11.2003, n. 7218) (TAR Campania-Napoli, Sez. VIII, sentenza 26.10.2011 n. 4945 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Estensione ordine di demolizione.
L'ordine demolitorio impartito dal giudice penale riguarda l'edificio nel suo complesso, comprensivo di eventuali aggiunte o modifiche successive all'esercizio dell'azione penale e alla condanna, sia perché si configura un dovere di restitutio in integrum sia perché ogni intervento additivo su una costruzione abusiva si qualifica anch'esso come abusivo ed è destinato a subire la stessa sorte dell'opera cui accede (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 17.10.2011 n. 37499 - tratto da www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: Natura giuridica ed esigibilità dei contributi per il rilascio del permesso di costruire ex art. 16 T.U. dell’edilizia.
La voltura del titolo edilizio implica la liberazione del cedente dall’obbligo di corrispondere gli oneri di urbanizzazione e il contributo di costruzione, laddove il cedente medesimo non abbia realizzato, neppure in minima parte, la costruzione degli edifici assentiti.
E’ questo il principio espresso dal C.G.A.R.S. con sentenza 13.10.2011 n. 666.
Il ricorrente aveva ottenuto, nel 1985, una concessione edilizia per la costruzione di 4 palazzine, senza dare inizio ad alcuna edificazione.
In seguito, aveva ceduto il terreno e l’annessa facoltà di edificare ad una società, la quale aveva costruito 3 delle 4 palazzine originariamente previste.
Pertanto, il comune chiedeva all’originario ricorrente-cedente il pagamento degli oneri di costruzione e di urbanizzazione, ritenendo che la cessione della concessione edilizia comportasse un vincolo di solidarietà delle parti della cessione.
Il TAR Catania adito, accoglieva il ricorso sottolineando come la voltura del titolo edilizio aveva determinato la liberazione del cedente dall’obbligo di corrispondere gli oneri di concessione ed il contributo di costruzione poiché quest’ultimo non aveva realizzato, neppure in minima parte, la costruzione degli edifici. Ed infatti ad avviso del T.A.R. di Catania, il presupposto di esigibilità di questi oneri doveva essere individuato nella materiale trasformazione urbanistica del territorio.
Avverso la sentenza proponeva appello il Comune.
Il C.G.A. adito, preliminarmente precisava come per gli oneri concessori in oggetto, trovava applicazione il termine di prescrizione decennale, e non quello quinquennale indicato dai giudici del primo grado.
Nel merito del ricorso, condivideva le motivazioni espresse dal TAR Catania, sottolineando come “L’esercizio del potere di edificare costituirebbe, dunque, il necessario presupposto di esigibilità del credito, non potendosi rimettere il sorgere dell’obbligazione al solo possesso del titolo edilizio”.
Inoltre, il Collegio effettuava una particolare analisi sulla natura pubblicistica dei contributi previsti dall’articolo 16 del T.U. dell’edilizia precisando che “La natura giuridica di corrispettivo di diritto pubblico di entrambi i contributi in questione comporta l’applicabilità del tutto recessiva dei principi civilistici dell’accollo, mancando tra l’altro un vincolo pattizio alla base, necessario ai sensi dell’art. 1273 c.c.
I contributi in questione vanno, dunque, più correttamente inquadrati nell’ambito delle prestazioni patrimoniali imposte, con la conseguenza che non può prescindersi da un’espressa previsione di legge.
In altri termini, pur non caratterizzandosi per la causa impositionis tipica dei tributi, bensì per la presenza dell’elemento formale dell’imposizione, trattandosi di prestazioni patrimoniali all'Ente autoritativamente determinate, va salvaguardata, nell’individuazione di tali corrispettivi di diritto pubblico, l’esigenza di rispettare l’art. 23 Cost., secondo il quale nessuna prestazione patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge.[…]
Ne consegue, in definitiva, che, non offrendo la legge, che ne disciplina il regime, alcun indicatore normativo speciale che faccia ritenere comunque applicabile la disciplina civilistica della solidarietà derivante dalla fattispecie dell’accollo, la parte cedente che non ha iniziato l’edificazione e quindi non abbia realizzato, neppure in minima parte, la costruzione degli edifici, viene a trovarsi liberata, in virtù della voltura del titolo edilizio, dall’obbligo di corrispondere gli oneri di concessione ed il contributo di costruzione di cui alla l. n. 10 del 1977, non essendosi verificato il presupposto di esigibilità del credito pubblico, ovvero la materiale trasformazione urbanistica del territorio
”.
In conclusione, secondo i giudici siciliani, il vincolo di solidarietà sussiste nella sola ipotesi in cui l’edificazione abbia avuto consistenza in capo al dante causa e al cessionario, in quanto in tal caso il presupposto di esigibilità degli oneri, e cioè la materiale trasformazione urbanistica del territorio, si realizza in capo ai due autori (commento tratto da www.professioni-imprese24.ilsole24ore.com - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Beni Ambientali. Nozione di bosco.
La nozione di “bosco” deve essere riferita non soltanto ai terreni completamente coperti da boschi o foreste di alto fusto, ma anche (per identità di ratio) a tutte le aree parzialmente boscate, a condizione che siano concretamente inserite in un contesto con la preponderanza di vegetazione, anche di tipo arbustivo.
Pertanto, a prescindere dalla presenza o meno di alberi di alto fusto, non vi sono dubbi della sussistenza di un vincolo boschivo anche qualora l’area sia coperta solo da vegetazione qualificabile come "macchia".

La qualificazione di un’area come “boscata” o meno, attiene alla sfera della discrezionalità amministrativa, per cui, una volta intervenuto l'accertamento da parte della Commissione, della ricorrenza del vincolo in ragione della presenza di flora arborea (art. 1, lett. g, l. n. 431/1985), è irrilevante disquisire se tale tipologia vegetativa sia costituita, prevalentemente od esclusivamente, da alberi di alto fusto o piuttosto da macchia tipica quale quella carsica (cfr. Sez. IV 14.04.2010 n. 2105, concernente proprio il Comune di Sgonico nella stessa zona).
In ogni caso, l'art. 72 della legge regionale F.V.G. n. 34/1997, definisce il “bosco” come la “formazione vegetale in cui la componente arborea copre il suolo in misura superiore al 20%”.
Tale definizione del resto è in linea con quanto anche disposto dall' art. 2, comma 3, lett. b), d.lgs. 08.06.2001 n. 327, per cui la nozione di “bosco” deve essere riferita non soltanto ai terreni completamente coperti da boschi o foreste di alto fusto, ma anche (per identità di ratio) a tutte le aree parzialmente boscate, a condizione che siano concretamente inserite in un contesto con la preponderanza di vegetazione, anche di tipo arbustivo.
Pertanto, a prescindere dalla presenza o meno di alberi di alto fusto, non vi sono dubbi della sussistenza di un vincolo boschivo anche qualora l’area fosse coperta solo da vegetazione qualificabile come "macchia"
(Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 10.10.2011 n. 5500 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Il paesaggio è un valore costituzionale primario la cui tutela costituisce un finalità fondamentale dell’ordinamento sia al fine di salvaguardare un bene insostituibile per la qualità della vita, sia anche al fine di proteggere la zona boscata quale componente del paesaggio inteso come bellezza naturale d'insieme.
In assenza dei presupposti richiesti dalla legge n. 47/1985 non esiste alcun principio di preferenza per il mantenimento dell’abuso del privato, in quanto -al contrario- l’art. 9 Cost. considera la “tutela del paesaggio della Repubblica” come un valore fondamentale della nazione ed un bene “primario” ed “assoluto” .

Il paesaggio è un valore costituzionale primario la cui tutela costituisce un finalità fondamentale dell’ordinamento sia al fine di salvaguardare un bene insostituibile per la qualità della vita (cfr. Consiglio Stato, sez. VI, 15.03.2007, n. 1255), sia anche al fine di proteggere la zona boscata quale componente del paesaggio inteso come bellezza naturale d'insieme (cfr. Consiglio Stato, sez. IV, 09.07.2010, n. 4457).
In assenza dei presupposti richiesti dalla legge n. 47/1985 non esiste alcun principio di preferenza per il mantenimento dell’abuso del privato, in quanto -al contrario- l’art. 9 Cost. considera la “tutela del paesaggio della Repubblica” come un valore fondamentale della nazione (cfr. Corte Cost., 07.11.1994, n. 379) ed un bene “primario” ed “assoluto” (Corte Cost., 05.05.2006, nn. 182, 183)
(Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 10.10.2011 n. 5500 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AGGIORNAMENTO AL 14.11.2011

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GURI - GUUE - BURL (e anteprima)

ENTI LOCALI - VARI: Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2012) (approvata definitivamente dalla Camera dei Deputati il 12.11.2011 ed in attesa di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale).

DOTTRINA E CONTRIBUTI

EDILIZIA PRIVATA: N. Durante, La non idoneità delle aree e dei siti all'installazione di impianti di produzione di energia alternativa (link a www.giustizia-amministrativa.it).

CORTE DEI CONTI

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Assunzioni in deroga in base a legge regionale.
La Corte dei Conti Sez. Reg.le Sardegna, con parere 10.11.2011 n. 78 ritiene quanto segue:
"In ordine, quindi, ai limiti di spesa assunzionali per il personale degli enti locali, va richiamata la normativa regionale secondo la quale si ammette la possibilità in favore degli enti superiori ai 5000 abitanti -purché in regola con i vincoli del patto di stabilità interno per il precedente esercizio e per quello in corso- di derogare ai limiti previsti dal sistema statale (contemplati nel d.l. 78 del 2010, convertito in legge 122 del 2010, art. 14 commi 7 e 9).
Tale deroga, però, trova ingresso esclusivamente con riguardo alla spesa discendente da nuovi rapporti di lavoro a diverso titolo quando derivino da comprovati reali processi di decentramento o riorganizzazione di funzioni e il cui onere sia finanziato con risorse regionali e/o del fondo unico. In tal senso dispone, infatti, in ultimo la legge regionale n. 10 del 18.03.2011, art. 2, comma 7, la quale, peraltro, ripropone modalità di deroga sulla materia cui si è fatto sistematicamente ricorso negli ultimi esercizi finanziari (sul presupposto della mancata conclusione del processo di decentramento di cui sopra e dell'indifferibilità o obbligatorietà dello svolgimento delle funzioni amministrative interessate).
Si deve ulteriormente precisare, rispondendo al quesito della provincia di Sassari, che detta deroga si estende anche al limite del 40% dell'incidenza della intera spesa del personale sulla spesa corrente, attesa l'espressa previsione di deroga consentita dal Legislatore regionale ai vincoli posti dall'art. 14, comma 9, del cit. d.l. 78 (convertito nella legge n. 122 del 2010).
Quindi l'eventuale superamento della percentuale di incidenza della spesa del personale sulla spesa corrente (in via ordinaria pari o superiore al 40%) non rileva né al momento dell'assunzione del personale in questione, né successivamente alla medesima assunzione. La spesa per il personale in questione può, quindi, essere correttamente sostenuta, pur determinandosi il superamento del 40% della spesa del personale sulla spesa corrente a condizione che sia stato rispettato il patto di stabilità nell'esercizio precedente e in quello in corso ed esclusivamente per le finalità sopra delineate. Infatti, il d.l. 112/2008, convertito in legge 06.08.2008 n. 133, art. 76, comma 4, fa divieto agli enti di assunzioni a qualsiasi titolo in caso di mancato rispetto del patto di stabilità interno nell'esercizio precedente e tale disposizione non è stata abrogata dalla normativa regionale in esame.
Il presente orientamento era già stato affermato da questa Sezione (cfr. deliberazione n. 26/2011/PAR)
" (tratto da www.publika.it).

NOTE, CIRCOLARI E COMUNICATI

EDILIZIA PRIVATA: Lombardia, Casa, nuove regole per rilanciare l'edilizia.
Via libera dalla Giunta regionale al nuovo Progetto di legge per la valorizzazione, il recupero e la ristrutturazione del patrimonio edilizio (ndr: il cosiddetto "piano casa-bis).
Il nuovo provvedimento, approvato su proposta del presidente Roberto Formigoni, di concerto con gli assessori al Territorio e Urbanistica Daniele Belotti, alla Casa Domenico Zambetti e all'Ambiente, Energia e Reti Marcello Raimondi, è in linea con gli indirizzi di contenimento del consumo di suolo e di promozione del recupero dell'esistente (indirizzi ulteriormente declinati nel Piano territoriale regionale), punta alla riqualificazione delle aree degradate e dismesse (così come già previsto dalla legge 12 del 2005) ed è coerente con gli obiettivi di miglioramento dell'efficienza energetica delle abitazioni e della sempre maggior diffusione delle fonti di energia rinnovabili.
La Proposta di legge, che dovrà ora essere approvata dal Consiglio regionale, detta le norme per la riqualificazione urbana e del patrimonio edilizio esistente, per contenere il consumo di nuovo suolo e l'utilizzo di energia da fonti fossili, riaffermando esplicitamente il ruolo delle Amministrazioni comunali nell'ambito del governo del territorio e delle scelte effettuate negli strumenti di pianificazione urbanistica (in sintonia con le disposizioni della legge regionale n. 12 del 2005).
AIUTO ALLA CRESCITA - "Risparmio del suolo ed efficienza energetica -spiega il presidente Formigoni- sono capisaldi di questo progetto, che semplifica le norme per recuperi e ampliamenti, a vantaggio dei cittadini e delle imprese del settore e con lo scopo di rilanciare la riqualificazione urbanistica ed edilizia".
RUOLO DEI COMUNI - "Con questo piano -dichiara Belotti- vogliamo favorire un effettivo rilancio del settore edilizio, semplificando e incentivando alcuni interventi particolari come quelli riguardanti i sottotetti e le autorimesse interrate, il miglioramento dell'efficienza energetica degli edifici e il recupero delle aree dismesse". "Sottolineo -aggiunge l'assessore al Territorio- che, nonostante un terzo dei Comuni lombardi abbia limitato la portata applicativa del precedente Piano casa, abbiamo ritenuto di mantenere la potestà di attuazione delle disposizioni di questo piano in capo ai Comuni, in coerenza con i principi ispiratori della legge di Governo del territorio lombardo". Il Progetto di legge introduce alcune disposizioni di rinnovo, parziale e a tempo, della disciplina per il recupero e la sostituzione del patrimonio edilizio esistente, a suo tempo dettata dalla legge regionale n. 13 del 2009.
RECUPERO DELL'ESISTENTE - In particolare, il Pdl prevede la possibilità, in deroga allo strumento urbanistico, di recuperare volumi del patrimonio edilizio esistente, con un nuovo termine fissato al 31.12.2013 (art. 3) per destinazioni residenziali o destinazioni ammesse dagli strumenti urbanistici, anche nel caso in cui i volumi siano seminterrati.
SOSTITUZIONE - E' contemplata anche la sostituzione edilizia -a esclusione dei centri storici e dei nuclei di antica formazione- con proroga dei termini al 31.12.2013 (art. 4). In pratica la ricostruzione di un edificio demolito può avvalersi di un incremento di volumetria fino al 35 per cento (come previsto dalla legge 13 del 2009), sempre in deroga allo strumento urbanistico.
EDILIZIA SOCIALE - Il Pdl intende anche estendere l'applicazione delle normative già previste per l'Edilizia residenziale pubblica (Erp) all'edilizia sociale, con proroga dei termini al 31.12.2014 (art. 5). Tre gli interventi previsti: incremento volumetrico fino al 40 per cento degli attuali alloggi sociali; trasformazione di edifici pubblici esistenti e/o dismessi, anche non pubblici, in residenza sociale; possibilità di realizzare edilizia sociale sulle aree standard (destinate a servizi, parcheggi, verde). Un pacchetto di norme cui Zambetti tiene particolarmente, perché "l'housing sociale è la strada giusta delle moderne politiche per la casa".
EFFICIENZA ENERGETICA - Da registrare una prima attuazione del Decreto legislativo n. 28/2011 per incrementare l'efficienza energetica e l'uso delle fonti rinnovabili nell'edilizia sia privata che pubblica, mediante riconoscimento di premialità volumetriche aggiuntive a quelle già previste dal piano casa. "Si tratta di un punto molto qualificante -nota Raimondi- che ci pone all'avanguardia nel panorama nazionale. E' d'altra parte in linea con le politiche complessive per l'energia e il rispetto dell'ambiente che la Regione persegue".
ALTRE NORME - Vengono introdotte inoltre ulteriori disposizioni di incentivazione di interventi immediati sul tessuto edilizio, quali: - modifiche alla normativa per incentivare il recupero aree industriali dismesse (art. 6); - modifiche alla disciplina in materia di sottotetti per favorire il loro recupero a fini abitativi (art. 8); - norme per l'incentivazione alla realizzazione di autorimesse pertinenziali a edifici residenziali (art. 9); - norme per favorire la conversione di coperture in cemento amianto in coperture di tipo tradizionale (art. 10); - norme che favoriscano la realizzazione degli ascensori esterni, per l'abbattimento di barriere architettoniche (art. 11).
SILENZIO-ASSENSO - Tra le novità da segnalare: il recepimento della modalità silenzio-assenso per il rilascio del permesso di costruire, come già previsto dalla normativa statale (art. 14). La legge, come noto, detta una procedura con tempistica precisa per il rilascio del permesso di costruire. Con la legge 12 del 2005, allo scadere del termine, l'effetto era di "silenzio-rifiuto". Ora il meccanismo si capovolge e, se il Comune non si pronuncia entro il termine prestabilito, scatta il "silenzio-assenso".
VAS E PGT - Il Pdl conferma, infine, la competenza del Consiglio comunale ad approvare i piani attuativi conformi agli strumenti urbanistici vigenti (art. 15) e aggiorna le procedure in materia di Vas dei PGT (art. 12) (09.11.2011 - link a www.territorio.regione.lombardia.it).

UTILITA'

SICUREZZA LAVOROTesto Unico sulla Sicurezza e verifica periodica delle attrezzature: domande, risposte e chiarimenti.
Gli obblighi del datore di lavoro sono disciplinati dall’articolo 71 del Decreto Legislativo 81/2008; tra questi vi è la verifica periodica delle attrezzature di lavoro.
Le attrezzature sono definite come qualsiasi macchina, apparecchio, utensile o impianto necessari all’attuazione di un processo produttivo; le attrezzature da sottoporre a verifica periodica sono specificate nell’Allegato VII del D.Lgs. 81/2008.
Le modalità attuative sono state stabilite dal D.M. 11.04.2011 che entrerà in vigore il 24.01.2012. In particolare il Decreto definisce:
le modalità di effettuazione delle verifiche periodiche cui sono sottoposte le attrezzature di lavoro;
i criteri per l'abilitazione dei soggetti pubblici o privati;
le modalità con cui l'INAIL e le ASL possono avvalersi del supporto di soggetti pubblici o privati per l'effettuazione delle verifiche periodiche di cui all'articolo 71, comma 11.
La Regione Piemonte e la ASL di Alessandria hanno reso disponibile una pubblicazione completa sulla verifica periodica delle attrezzature.
Il documento fornisce utili chiarimenti e delucidazioni, fornendo risposta a tante domande frequenti, tipo cosa accade se non vengono effettuate le verifiche nei termini previsti, oppure quali sono i costi da sostenere.
Gli argomenti trattati sono:
● Analisi del DM 11 aprile 2011;
● Denuncia dei dispositivi di messa a terra e obblighi di verifica;
● Infortuni connessi all'uso di macchine, attrezzature e impianti (10.11.2011 - link a www.acca.it).

SICUREZZA LAVORO: Guida illustrata sulla sicurezza nei cantieri: disegni, schemi e didascalie su cosa fare e cosa non fare.
Durante le attività di cantiere i lavoratori devono prestare particolare attenzione alle operazioni svolte, anche quelle apparentemente più semplici.
Al riguardo è necessaria un'opportuna attività di formazione e informazione da parte dei datori di lavoro.
In questo articolo proponiamo ai lettori di BibLus-net una guida realizzata da ANFOS (Associazione Nazionale Formatori della Sicurezza sul Lavoro) in collaborazione con E.Bi.N.Fo.S. (Ente Paritetico Bilaterale Nazionale Formazione della Sicurezza) che ha lo scopo di richiamare l’attenzione sugli aspetti principali della sicurezza e dell’igiene del lavoro nei cantieri edili.
La guida è costituita da illustrazioni e didascalie riportanti i comportamenti corretti e quelli da evitare in diverse fasi da affrontare in un cantiere edile ed è facilmente comprensibile anche dagli operatori extracomunitari.
In particolare, i temi trattati sono:
● Dispositivi di protezione individuale nelle varie lavorazioni;
● Lavori in quota;
● Movimentazione dei carichi;
● Operazioni di scavo;
● Operazioni di demolizione (10.11.2011 - link a www.acca.it).

NEWS

ENTI LOCALI - VARII PROVVEDIMENTI PER LO SVILUPPO/ In porto la legge di stabilità 2012. Pensioni, professioni, semplificazione: ecco cosa cambia. Ok dal senato, oggi il via alla Camera, lunedì in G.U..
Via libera dell'aula del Senato alla Legge di Stabilità, la ex finanziaria. Il provvedimento e' stato approvato con 156 voti a favore, 12 contrari e un astenuto. Non hanno partecipato al voto Pd e Terzo Polo e l'Idv ha votato contro. Ora il testo passa all'esame della Camera dove, dopo un rapido passaggio in commissione, il voto per il via libera definitivo da parte dell'aula di Montecitorio e' previsto per oggi. Per la pubblicazione se ne parlerà lunedì: la legge sarà in Gazzetta Ufficiale, probabilmente con il numero 180.
Dalle pensioni alla mobilità per gli statali in esubero, dalle dismissioni all'aumento delle accise sulla benzina, dal rifinanziamento della Legge Mancia alla deroga del patto di stabilità interno del comune di Barletta per le spese sostenute per il crollo della palazzina che causò la morte di cinque donne: queste alcune delle novità contenute nella Legge di Stabilità.
Non ci sono le ventilate norme sui cosiddetti licenziamenti facili, né la patrimoniale o la reintroduzione dell'Ici, interventi che erano stati ipotizzati nei giorni scorsi per rispondere alle richieste della Ue. Nel pacchetto non rientrano nemmeno misure a favore delle zone alluvionate di Liguria e Toscana perché bisognerà aspettare la quantificazione dei danni. Con 153 sì, 11 no e 3 astenuti il Senato ha approvato anche il ddl Bilancio e la Nota di variazione. Anche questi provvedimenti passano, quindi, alla Camera per la seconda e ultima lettura (oggi senza modifiche).
Intanto Ivan Malavasi, presidente di Rete Imprese Italia afferma che «sarebbe un errore gravissimo non confermare le detrazioni fiscali per l`efficienza energetica (55%) in scadenza a fine anno. Ben consapevoli delle difficoltà connesse al delicatissimo equilibrio del bilancio pubblico rileviamo con grande disappunto la mancata riconferma, nel ddl di stabilità, degli incentivi per la riqualificazione energetica degli edifici. Evidenziamo il ruolo fondamentale delle detrazioni che, dal 2007, hanno contribuito alla riduzione dei consumi e delle emissioni climalteranti hanno prodotto circa 11 mld di euro di investimenti e creato nuova occupazione, generando ritorni positivi sui conti pubblici» (articolo ItaliaOggi del 12.11.2011 - tratto da www.ecostampa.it).

ATTI AMMINISTRATIVII PROVVEDIMENTI PER LO SVILUPPO/ Certificati scaduti. Proroga fai-da-te. Autocertificazione ampia con la p.a..
Autocertificazione a tutto campo con la pubblica amministrazione. In caso di certificati anagrafici, certificazione di stato civile e copie di atti dello stato civile che siano scaduti, cioè oltre i termini di validità, l'interessato potrà con l'autocertificazione scrivere in fondo al documento che le informazioni non hanno subito variazioni dalla data del rilascio.
La semplificazione arriva con il maxiemendamento al disegno di legge della stabilità approvato ieri dal senato e che oggi sarà approvato dalla camera. Il prolungamento di validità però avrà effetto nei rapporti con pubbliche amministrazione e gestori o esercenti di pubblici servizi.
La novità del maxiemendamento va nella direzione di sopprimere la precedente disposizione che stabiliva anche che il procedimento per il quale gli atti certificativi sono richiesti dovesse avere comunque corso una volta acquisita la dichiarazione dell'interessato.
La legge di stabilità punta dunque ad allargare l'uso dell'autocertificazione nei rapporti con la pubblica amministrazione; tanto che si dispone che le certificazioni rilasciate dalla pubblica amministrazione relativamente a stati, qualità personali e fatti, siano valide e utilizzabili solo nei rapporti con i privati mentre nei rapporti con la p.a., e con i gestori dei servizi pubblici, i certificati e gli atti di notorietà devono essere sostituiti dalle relative dichiarazioni sostitutive. Allo stesso tempo è previsto che sui documenti rilasciati per i privati sia apposta una dicitura che ne escluda l'utilizzo nei rapporti con gli organi della p.a. o con i privati gestori di pubblici servizi.
Alla pubblica amministrazione è poi riconosciuto l'onere di acquisire d'ufficio le informazioni oggetto delle dichiarazioni sostitutive dei certificati e degli atti di notorietà. L'interessato dovrà però indicare gli elementi indispensabili per il reperimento di informazioni o dei dati richiesti.
Per le imprese arriva poi la semplificazione del Durc. La legge stabilità sposta l'obbligo di acquisire e controllare le informazioni relative alla regolarità contributiva dall'impresa alla pubblica amministrazione (articolo ItaliaOggi del 12.11.2011 - tratto da www.ecostampa.it).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: I PROVVEDIMENTI PER LO SVILUPPO/ Personale, rilevazioni d'obbligo. Sanzionata la p.a. che non mette nero su bianco gli esuberi. Al dipendente collocato in disponibilità va l'80% dello stipendio a titolo di indennità.
Rafforzati i poteri delle pubbliche amministrazioni per trasferire i dipendenti che risultino in esubero, ma senza le norme sulla mobilità o sulla cassa integrazione proprie dell'ordinamento privato.
È ancora molta la confusione a cui si assiste nei dibattiti rispetto alla portata della modifica all'articolo 33 del dlgs 165/2001.
Molti commentatori e osservatori sintetizzano l'emendamento al ddl stabilità, presentandolo come se esso introducesse nella pubblica amministrazione la mobilità obbligatoria e la cassa integrazione per i dipendenti in esubero, cui spetta per la durata di 24 mesi lo stipendio base, ridotto del 20%.
Le cose non stanno così. In effetti il testo ancora oggi vigente dell'articolo 33 del dlgs 165/2001 prevede esattamente gli stessi strumenti: e cioè che nel caso in cui uno o più dipendenti siano dichiarati in esubero, in quanto non più utilmente impiegabili nell'ambito dell'organizzazione, né li si possa trasferire in altre amministrazioni, vengono messi «in disponibilità», cioè sulle soglie del licenziamento, per 24 mesi, nel corso dei quali percepiscono uno stipendio pari all'80% di quello precedente e sono vincolati ad accettare eventuali proposte di altre amministrazioni che intendano assumerli.
Tra il nuovo testo proposto dal maxiemendamento e il testo attualmente vigente dell'articolo 33 del dlgs 165/2001, allora, intercorrono sostanzialmente solo tre rilevanti differenze.
La prima discende dall'imposizione, in capo alle amministrazioni, dell'obbligo di procedere necessariamente ogni anno alla rilevazione del personale in servizio, per comprendere se emergano casi di lavoratori in eccedenza. Dunque, mentre nel testo attualmente vigente la situazione di esubero può essere evidenziata in modo episodico e contingente, in quanto discendente da particolari situazioni (ad esempio, l'esternalizzazione di funzioni), per effetto del maxiemendamento ogni datore di lavoro pubblico deve in modo continuativo, almeno ogni anno, controllare che la quantità dei dipendenti sia adeguata all'organizzazione e non vi siano eccedenze di personale. Tanto è vero, che il maxiemendamento sanziona l'inadempimento a effettuare la ricognizione annuale sull'eventuale soprannumero dei dipendenti col divieto assoluto di effettuare assunzioni a qualsiasi titolo. A tale sanzione si aggiunge, poi, la responsabilità dei dirigenti che non attivino le procedure per la mobilità o la messa in disponibilità del personale in esubero.
La seconda differenza concerne procedimento da seguire. Il maxiemendamento riduce al minimo le relazioni sindacali, limitandole ad una mera informazione. L'iter si deve concludere entro il breve volgere di 90 giorni, nel corso dei quali l'amministrazione deve sondare la possibilità di ricollocare i dipendenti in esubero all'interno delle sue strutture, anche modificando il contratto di lavoro.
La terza differenza consiste nella decisa spinta all'utilizzo della mobilità. Non si tratta, però, dell'istituto vigente nel settore privato: nell'ambito del lavoro pubblico per “mobilità” si intende il trasferimento di un dipendente da un ente all'altro. La regolamentazione della mobilità è contenuta nell'articolo 30 del dlgs 165/2001, che la qualifica come mobilità «volontaria», in quanto l'iniziativa per i trasferimenti è nei fatti rimessa alla volontà di ciascun dipendente di trasferirsi, anche se allo scopo occorre l'espressione di un consenso da parte dell'ente di appartenenza, trattandosi di cessione di contratto.
Per effetto del maxiemendamento la mobilità «volontaria», nei riguardi dei dipendenti in esubero, diviene, in effetti, «obbligatoria». Infatti, l'amministrazione procedente, può accertare che il dipendente in eccedenza possa essere utilmente ricollocato presso un'altra amministrazione, appunto mediante la mobilità. In questo caso, può stipulare un accordo con l'altra amministrazione, per definire le modalità ed i tempi del trasferimento.
La spinta verso l'utilizzo della mobilità è forte, perché in questo modo si garantisce l'obiettivo di razionalizzare la distribuzione dei dipendenti presso le p.a.: quelle, infatti, che si ritrovino con un plafond ridondante di dipendenti, possono spingere i dipendenti in esubero a trasferirsi verso enti il cui organico risulti, invece, deficitario.
Laddove l'amministrazione che abbia accertato la condizione di esubero abbia stipulato con un'altra amministrazione un accordo per disciplinare la mobilità e i dipendenti eccedenti non accettino il trasferimento loro proposto, per detti dipendenti scatta la tagliola della messa «in disponibilità». Si tratta, cioè, di quella condizione che apre le porte a un potenziale licenziamento, nella quale il dipendente non presta alcuna attività lavorativa e percepisce, a titolo di indennità e non di retribuzione, una somma pari all'80% dello stipendio e dell'indennità integrativa speciale, escluso qualsiasi altro onere retributivo, per un periodo non superiore ai 24 mesi.
Durante questo lasso di tempo, per effetto degli articoli 34 e 34-bis del dlgs 165/2001, le amministrazioni legittimate ad assumere, debbono verificare la presenza di dipendenti inseriti nelle liste di disponibilità con le province e il Dipartimento della funzione pubblica, perché in caso positivo sono obbligate a proporre a detti dipendenti l'assunzione, prima di fare i concorsi.
Dunque, il maxiemendamento non ha nulla a che vedere con la cassa integrazione e con la disciplina privatistica di tutela dei dipendenti licenziati, ma punta a rafforzare l'obbligo delle amministrazioni di razionalizzare la distribuzione quantitativa dei propri dipendenti, puntellando norme e regole già esistenti (articolo ItaliaOggi dell'11.11.2011 - tratto da www.corteconti.it).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGOI PROVVEDIMENTI PER LO SVILUPPO/ Mobilità, i sindacati restano fuori dai giochi. Resta solo l'informazione preventiva. La competenza esclusiva spetta alla dirigenza. Si compie il percorso avviato dalla riforma brunetta.
Sindacati out dalle procedure per la dichiarazione di esubero e messa in disponibilità dei dipendenti pubblici.
La modifica all'articolo 33 del dlgs 165/2001 prevista dagli emendamenti alla legge di stabilità produrrà l'effetto di conclamare la netta riduzione della sfera di intervento delle organizzazioni sindacali nelle vicende organizzative delle pubbliche amministrazioni, compiendo definitivamente il percorso avviato dalla riforma-Brunetta. In effetti, ai sensi dell'articolo 5, comma 2, del Testo unico sul pubblico impiego stabilisce che «le determinazioni per l'organizzazione degli uffici e le misure inerenti alla gestione dei rapporti di lavoro sono assunte in via esclusiva dagli organi preposti alla gestione con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro, fatta salva la sola informazione ai sindacati».
L'individuazione dei casi di esubero dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni rientra indubbiamente nell'ambito delle determinazioni per l'organizzazione degli uffici; così come le conseguenti decisioni da adottare, come il tentativo di ricollocare i dipendenti in esubero all'interno dell'ente, oppure di avviarli in mobilità verso altri enti e, infine, di metterli in disponibilità, sono misure inerenti alla gestione dello specifico rapporto di lavoro.
Insomma, l'iter finalizzato agli esuberi, alla luce del dlgs 150/2009, rientra nella competenza esclusiva della dirigenza, sicché per le organizzazioni sindacali resta solo l'informazione preventiva.
Non è un caso, allora, che il maxiemendamento riduca le relazioni sindacali finalizzate alla gestione della procedura appunto alla sola informazione, modificando radicalmente la sequenza procedimentale del testo dell'articolo 33 attuale.
Oggi la norma stabilisce che laddove gli esuberi riguardino almeno dieci dipendenti occorre rivolgere alle rappresentanze unitarie del personale e alle organizzazioni sindacali firmatarie del contratto collettivo nazionale del comparto o area la comunicazione preventiva prevista dall'articolo 4 della legge 223/1991, indicando i motivi che determinano la situazione di eccedenza, i motivi tecnici e organizzativi che non consentono di riassorbire le eccedenze all'interno della medesima amministrazione, il numero, la collocazione, le qualifiche del personale in esubero, nonché eventuali proposte per risolvere la situazione di eccedenza e i relativi tempi di attuazione.
L'attuale testo consente alle organizzazioni sindacali di chiedere un esame congiunto delle cause di esubero, per verificare la possibilità di diversa utilizzazione e di pervenire ad un accordo sulla ricollocazione totale o parziale del personale eccedente, o nell'ambito della stessa amministrazione, anche mediante il ricorso a forme flessibili di gestione del tempo di lavoro o a contratti di solidarietà, ovvero presso altre amministrazioni comprese nell'ambito della Provincia o della regione. In ogni caso, la procedura deve concludersi con un accordo o un verbale nel quale sono riportate le diverse posizioni.
Il maxiemendamento elimina radicalmente tale iter e rimette tutto alle decisioni unilaterali del datore di lavoro, coerentemente, del resto, con le disposizioni contenute nell'articolo 1, comma 29, del dl 138/2011, convertito in legge 148/2011 (articolo ItaliaOggi dell'11.11.2011).

VARI: I PROVVEDIMENTI PER LO SVILUPPO/ Società tra professionisti a 360°. Snc, sas, srl, spa e cooperative: possibili tutte le opzioni. Porte aperte ai soci maggioritari di capitale, che potranno anche essere nominati nel board.
Ai professionisti iscritti in ordini professionali sarà consentito costituirsi oltre che in società semplici, anche attraverso la forma di società di persone (snc e sas), società di capitali (srl, spa e sapa) e società cooperative. È ammesso che alle stesse possano partecipare soci tecnici e di capitali per i quali, da un lato sarà ammissibile detenere anche quote maggioritarie del capitale e, dall'altro, essere nominati nei board delle società.
È quanto contempla l'art. 4-septies dell'emendamento al disegno di legge per la stabilità 2012, che prevede peraltro, entro 12 mesi, l'abrogazione delle attuali norme sugli ordinamenti professionali i quali dovranno essere emendati per tener conto dell'art. 3, comma 5, del dl 138/2008.
Via libera alle società personali fra professionisti. A seguito dell'abrogazione dell'art. 2 della legge 1815/1939 a seguito della legge 266/1997, manca una disciplina di riferimento per la costituzione di società fra professionisti. In concreto, dunque, ad oggi la costituzione di società personali fra professionisti è ammessa (seppur con qualche incertezza giurisprudenziale) solo nella forma di società semplice.
La formula della società personale è, inoltre, consentita per la costituzione di società di revisione (art. 2, comma 4, dlgs 39) o di società fra avvocati (dlgs 2001/1996). Con le nuove disposizioni, di contro, che fanno riferimento a tutte le tipologie societarie di cui al titolo V, libro V del codice civile, professionisti e non professionisti (tecnici o soci investitori) potranno costituire sia società semplici, sia società in nome collettivo, che società in accomandita semplice. In presenza di soci di capitali, peraltro, la formula più adatta potrebbe rivelarsi proprio quest'ultima con i professionisti soci accomandatari e i soci di capitale quali accomandanti.
Società di capitali. Le società fra professionisti potranno essere costituite anche nella forma di società a responsabilità limitata, o società per azioni o in accomandita per azioni. Di fatto, in queste forme societarie (come peraltro nelle società personali) i soci potranno essere, non solo professionisti, ma anche tecnici (probabilmente inseribili soprattutto in compagini attinenti l'esercizio di professioni mediche) e meri investitori.
Due elementi di assoluto interesse emergono nell'ultima bozza di provvedimento (a riguardo modificata rispetto al primo testo):
1) che i tecnici e i soci investitori possano detenere anche la maggioranza del capitale;
2) che i soci non professionisti possano essere eletti nel consiglio di amministrazione.
Tali possibilità, ovviamente, potrebbero ridurre a un ruolo marginale i professionisti nell'ambito della società professionale avvicinandoli a una posizione molto vicina a quella dei «dipendenti».
Si pensi a una srl, in cui sia previsto che i soci di capitale sottoscrivano oltre il 50% del capitale sociale. In questi casi essi avrebbero:
1) la possibilità di nominare (salvo ovviamente diversi accordi sociali o parasociali) gli amministratori, che potrebbero addirittura essere scelti anche totalmente nell'ambito dei soci capitalisti o perfino fra soggetti estranei alla società;
2) stabilire le strategie della società professionale attribuendo gli incarichi a professionisti scelti dal cda (quando gli stessi non vengano nominati dai clienti) e il loro «modus operandi»;
3) stabilire il compenso del cda, che se costituito da soggetti non professionisti, potrebbe ridurre gli utili della società e quindi i dividendi degli stessi professionisti «soci».
Professionisti anche in società cooperative. Da evidenziare, da ultimo, che fra le società di cui al titolo VI del libro V del codice civile (richiamato dal maxiemendamento) rientrino anche le società cooperative. Ne deriva che anche queste forme societarie dovrebbero ritenersi ammissibili per la costituzione e l'utilizzo delle future società fra professionisti e soci non professionisti (articolo ItaliaOggi dell'11.11.2011 - tratto da www.corteconti.it).

PUBBLICO IMPIEGO - VARI: I PROVVEDIMENTI PER LO SVILUPPO/ In pensione a 67 anni dal 2016. Per gli autonomi è l'effetto di finestre e speranza di vita. Dai conteggi della relazione tecnica al maxiemendamento emerge l'anticipo rispetto al 2026.
Per pensionarsi all'età di 67 anni non bisognerà aspettare il 2026. Già nel 2016, infatti, i lavoratori autonomi dovranno attendere quest'età per incassare il primo assegno di pensione: dieci anni prima del traguardo (il 2026) garantito all'Ue. Poi sarà la volta dei dipendenti privati e delle lavoratrici del pubblico impiego, nel 2022; quindi delle lavoratrici autonome nel 2024, e infine delle lavoratrici dipendenti nel 2025.
È quanto evidenzia la relazione tecnica al maxiemendamento del governo al ddl di stabilità 2012.
Finestre e speranza di vita. I requisiti per la pensione sono influenzati da due elementi: speranza di vita e finestra di pensionamento. La prima, che entrerà in vigore il 2013, è un meccanismo di aggiornamento automatico del requisito di età; in pratica, ogni tre anni l'Istat misurerà la probabilità di vita che resta a chi ha 65 anni e, se questa aumenta, l'incremento eleverà il requisito d'età per la pensione.
La relazione al maxiemendamento dà una stima di questa speranza di vita: nel 2013 dovrebbe produrre un incremento di tre mesi del requisito d'età per la pensione, nel 2016 di altri quattro mesi, e così nel 2019, 2022, 2025, 2028 e 2031 per poi riscendere a tre mesi nei trienni successivi. Quanto al secondo elemento, la finestra determina la data di effettiva decorrenza della pensione, una volta maturato il diritto; ha misura fissa di 12 mesi (dipendenti) e 18 mesi (autonomi).
Pensione di vecchiaia. È la pensione ordinaria. Il diritto si matura con 20 anni di contributi (sistema retributivo), ovvero cinque anni per chi ha cominciato a lavorare dal 1996 (sistema contributivo), e un'età di 65 anni per gli uomini, 61 anni per le donne del pubblico (65 anni dal 2012) e di 60 anni per le donne del privato (crescerà dal 2014 per arrivare a 65 anni nel 2024).
Dal 2013 il requisito d'età sarà soggetto alla speranza di vita; la relazione al maxiemendamento dà una stima dell'evolversi, tenendo conto anche delle finestre. In pratica, se oggi un dipendente incassa la pensione a 66 anni (a 65 matura il diritto, poi attende un anno per la finestra), nel 2021 la incasserà a 66 anni e 11 mesi e nel 2022 a 67 anni e tre mesi. Va molto peggio agli autonomi; oggi, infatti, incassano la pensione a 66 anni e 6 mesi (a 65 anni il diritto, poi attendono un anno e mezzo per la finestra), nel 2015 la incasseranno a 66 anni e 9 mesi e nel 2016 a 67 anni e un mese.
Va meglio alle lavoratrici, dipendenti e autonome, del privato; le prime, che oggi vanno in pensione a 61 anni, dovranno aspettare il 2024 per vedersi elevare l'età a 67 anni e 4 mesi; le autonome, che oggi vanno in pensione a 61 anni e sei mesi, nel 2024 andranno in pensione a 67 anni. Le stime del governo arrivano fino al 2050, quando tutti i dipendenti, pubblici e privati, donne e uomini, andranno in pensione a 69 anni e 10 mesi, mentre gli autonomi, uomini e donne, a 70 anni e 4 mesi.
Pensione di anzianità. È la pensione anticipata, per evitare le età per la vecchiaia. Si ha diritto in questi casi: con un'anzianità contributiva di almeno 40 anni (a qualunque età), oppure in presenza di almeno 35 anni di contributi e un'età che dai 60 anni del 2010 salirà a 62 anni dal 2013 per i dipendenti e da 61 anni del 2010 a 63 anni dal 2013 per gli autonomi (è possibile abbassare l'età di un anno, ma il minimo di contributi passa a 36 anni).
In base alla stima della relazione al maxiemendamento, se oggi un dipendente, pubblico e privato, incassa la pensione di anzianità a 61/62 anni (con 35/36 anni di contributi), nel 2021 la incasserà a 62/63 anni e 11 mesi e nel 2050 a 65/66 anni e 10 mesi. Vanno peggio gli autonomi, con un anno in più di attesa (articolo ItaliaOggi dell'11.11.2011 - tratto da www.corteconti.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: I PROVVEDIMENTI PER LO SVILUPPO/ Procedere in giudizio costa caro. Contributo unificato pieno per le domande riconvenzionali. Sulle cause civili un incasso più che doppio per la giustizia e un disincentivo all'impugnazione.
Salasso per chi vuole contrattaccare in giudizio, proponendo la domanda riconvenzionale: dovrà pagare il contributo unificato pieno. Mentre fino ad oggi versava solo un'integrazione rispetto a quanto già versato dal suo avversario. Con il risultato che la giustizia, per il valore della causa comune ai due contendenti, incassa due volte il contributo unificato e in più incassa uno spread per il valore eccedente conseguente alla domanda riconvenzionale.
Un emendamento al ddl stabilità aggrava ancora il costo delle cause civili. Oltre al pagamento integrale del contributo unificato per le domande riconvenzionali, l'aumento del contributo unificato per appello e cassazione e le sanzioni per le istanze temerarie di sospensione delle sentenze esecutive di primo grado sono i punti di un nuovo rincaro, che va ad aggiungersi a quelli decisi con le manovre del 2010 e del 2011 (decreti legge 78/2010, 98/2011 e 138/2011).
L'onere da sostenere per un contenzioso è aumentato, dunque, in maniera rapida. Nel conto non va considerato solo il contributo unificato, ma anche la spesa per la mediazione e le eventuali maggiorazioni per violazioni formali degli atti giudiziari (omessa indicazione di fax e pec dell'avvocato). Vediamo di analizzare quanto prescritto dall'emendamento.
Contributo unificato per appello e cassazione. Come spiegato nella relazione all'emendamento, il contributo unificato per i giudizi di impugnazione è aumentato del 50% e quello per i giudizi in cassazione è aumentato del 100%. Questo per effetto dell'inserimento del comma 1-bis all'articolo 13 del Testo unico delle spese di giustizia (dpr 115/2002). Si noti che la base di calcolo degli aumenti è quella risultante dagli aumenti disposti già con i decreti 78 del 2010 e 98 del 2011.
Per fare un esempio per le cause di valore di 25 mila euro in origine si pagavano 155 euro di contribuito, aumentati a 187 euro grazie al decreto 78/2010 e passati a 206 euro con il decreto 98/2011. Si tratta di un aumento di un terzo nel giro di un anno. Per impugnare ora, invece, l'emendamento pretende il pagamento di 309 euro per l'appello e di 412 euro per la Cassazione. E più si avanza nei gradi di giudizio, più si paga. Si tratta di una decisione che avrà anche prevedibili effetti disincentivanti dal proporre impugnazioni e, quindi, deflativi, con conseguente concorso all'abbattimento dell'arretrato civile pendente.
La novità avrà effetto immediato, in quanto le nuove cifre del contributo dovuto per le impugnazioni si applicano anche alle controversie pendenti nelle quali il provvedimento impugnato sarà pubblicato o depositato successivamente alla entrata in vigore della legge di stabilità.
Contributo per le domande riconvenzionali. Nel corso del processo civile può capitare che le parti modifichino la propria domanda o replichino alla domanda formulata contro di loro proponendo una domanda contro l'avversario (domanda riconvenzionale).
La modifica della domanda e la domanda riconvenzionale possono aumentare il valore della causa, che è la base per il calcolo del contributo da versare. Ad esempio Tizio fa causa a Caio chiedendo la condanna a pagare 100, ma Caio si difende contrattaccando e chiedendo che Tizio sia condannato a pagare 150. Il maxiemendamento aumenta il contributo dovuto per domande modificate e riconvenzionali.
Nell'impianto originario del Testo Unico delle spese di giustizia, sviluppando l'esempio, la regola era che Tizio pagasse il contributo dovuto per il valore di 100 e che Caio, a fronte della domanda riconvenzionale, dovesse integrare il contributo per la parte eccedente il valore di 100 (fino a coprire il contributo dovuto per il valore di 150). Quindi in ogni caso se la domanda riconvenzionale o modificata comportava un aumento del valore della causa, era dovuta solo un'integrazione per l'eccedenza.
L'emendamento al ddl stabilità mantiene questa regola solo per la parte che per prima si costituisce in giudizio, che deposita il ricorso introduttivo, o che, nei processi esecutivi di espropriazione forzata, fa istanza per l'assegnazione o la vendita dei beni pignorati; fissa, invece, per le altre parti una regola più onerosa: le altre parti, quando modificano la domanda o propongono domanda riconvenzionale o formulano chiamata in causa o svolgono intervento autonomo, sono tenute a farne espressa dichiarazione e a procedere al contestuale pagamento di un autonomo contributo unificato, determinato in base al valore della domanda proposta.
Nell'esempio Caio deve pagare un contributo unificato per il valore di 150 (e non solo un'integrazione per 50). In sostanza per quella causa il contributo per il valore di 100 è pagato due volte e in più si paga il differenziale per le cause di valore pari a 150.
Multa per pretestuose istanze di sospensione delle sentenze. L'emendamento sbarra la strada alle istanze di sospensione delle sentenze, quando sono inammissibili o manifestamente infondate.
Le sentenze di primo grado sono, infatti, esecutive e il solo modo di bloccarle, nelle more dell'appello, è chiedere al giudice di appello la sospensione.
L'emendamento prescrive (sia per il rito ordinario sia per il rito del lavoro) che se la richiesta di sospensione è inammissibile o manifestamente infondata il giudice, con ordinanza non impugnabile, può condannare la parte che l'ha proposta a una pena pecuniaria non inferiore ad euro 250 e non superiore ad euro 10.000. L'ordinanza, peraltro, è revocabile con la sentenza che definisce il giudizio.
La novità scatterà decorsi trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di stabilità. La ricaduta pratica sarà un disincentivo a proporre la sospensione delle sentenze, con il risultato di ulteriormente blindare la sentenza di primo grado. La norma è fortemente criticata dal Consiglio nazionale forense, che la descrive come una «mina anti civiltà».
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I PROVVEDIMENTI PER LO SVILUPPO/ Costi cause in aumento.
Oggi, una causa che percorra tutti i gradi del processo, dalla mediazione obbligatoria fino alla Cassazione, può costare anche più di 13 mila euro. Per una durata media di circa otto anni. Ciò significa un aumento dei costi del 1000% rispetto a prima del 2009.

Lo denuncia il Consiglio nazionale forense che, in una nota, ha riassunto i costi di una causa di valore medio (50 mila euro) prima e dopo il 2009.
Nel caso, per esempio, di una causa per risarcimento danni nei confronti di una compagnia assicuratrice, la mediazione obbligatoria costa 1.056,40 euro. E una multa per mancata partecipazione senza giustificato motivo comporta una spesa aggiuntiva di 450 euro. Nel procedimento di primo grado, invece, se prima del 2009 era previsto il pagamento di un contributo unificato pari a 374 euro, oggi ammonta a 450. In caso di richiesta di motivazione lunga (pagamento del contributo unificato secondo i nuovi importi) l'importo da versare è di 675 euro. La durata della mediazione può raggiungere i 120 giorni. Il primo grado può durare fino a 845 giorni.
Per i gradi successivi del procedimento (Appello e Cassazione), prima del 2009 era previsto il versamento di un contributo unificato pari, in entrambi i casi, a 374 euro. Ora, invece, per l'Appello si devono versare 900 euro in caso di richiesta di motivazione lunga (pagamento del contributo unificato secondo i nuovi importi). E può raggiungere i 10 mila euro la spesa per il rigetto di istanza di inibitoria sospensione della sentenza di primo grado. La durata del processo d'Appello è di 981 giorni. In Cassazione di 1.050 giorni. In totale, mentre prima del 2009 il costo della causa ammontava a 1.122 euro, oggi si può pagare fino a 13.531,40 euro. Per una durata del processo di 2.996 giorni (8 anni), secondo i dati tratti dalla Relazione sull'amministrazione della giustizia nell'anno 2010 della Corte di cassazione (articolo ItaliaOggi dell'11.11.2011).

ENTI LOCALI: Le convenzioni salvano i mini-enti. Iniziativa Anpci.
È la convenzione la migliore soluzione per i piccoli comuni per adempiere alle prescrizioni dell'art. 16 della manovra di Ferragosto (dl 138/2011) salvaguardando l'autonomia degli enti.
Ne è convinta l'Anpci, l'Associazione dei piccoli comuni italiani, che presenterà oggi a Roma una bozza di convenzione tipo. Il modello contempla tutti i requisiti prescritti dall'art. 31 del Tuel e prevede il ruolo centrale della «Conferenza dei sindaci». Ogni comune aderente resta libero di scegliere i protocolli cui aderire ed i comuni con cui associarsi, senza in alcun caso limitare la propria autonomia. Unica condizione da seguire: il rispetto della normativa sui costi standard.
L'Anpci promuoverà una serie di incontri sul territorio per illustrare la proposta e seguirla nella fase di attuazione (articolo ItaliaOggi dell'11.11.2011).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: I PROVVEDIMENTI PER LO SVILUPPO/ Licenziare resterà una chimera. Senza parametri oggettivi impossibile determinare gli esuberi. I fabbisogni non sono noti e le dotazioni insufficienti.
Licenziamenti per esuberi difficili da attuare, in assenza di parametri oggettivi sulla base dei quali determinare la giusta provvista di personale nelle amministrazioni pubbliche.
Il potenziamento dei poteri dei datori di lavoro pubblici di licenziare i dipendenti, previsto dal maxiemendamento alla legge di stabilità, rischia di restare una norma di bandiera, la cui concreta attuazione potrebbe non portare a risultati molto diversi da quelli scaturiti dalla previgente stesura dell'articolo 33 del dlgs 165/2001, che il maxiemendamento intende modificare.
In termini astratti, non c'è alcun dubbio: nel caso in cui l'ente rilevi un'eccedenza di dipendenti pubblici, deve adottare accorgimenti per ridurre il carico che ne deriva, come farebbe un'impresa privata.
Ma, nel caso delle aziende private, a guidare la scelta di licenziamenti per esuberi sono fondamentalmente ragioni economiche e finanziarie: una situazione di crisi che non consenta di sostenere la spesa, in quanto i fattori di produzione costano di più di quanto l'impresa riesca a guadagnare sul mercato.
Le amministrazioni pubbliche, però, non operano sul mercato. Il finanziamento delle loro attività è frutto dell'imposizione fiscale e, per altro, alcune funzioni debbono essere gestite obbligatoriamente, come quelle connesse alla sanità, all'anagrafe, all'assistenza sociale, alla sicurezza. Finché sia garantito il pareggio di bilancio e il rispetto del patto di stabilità mancano, allora, oggettivi parametri finanziari per stabilire una situazione di esubero.
Essa potrebbe derivare da una revisione delle dotazioni organiche. Ma, perché si creino le condizioni di esuberi oggettivi, sarebbe necessario individuare fabbisogni standard di personale o di spesa di personale, da qualificare come necessari e sufficienti allo svolgimento di una certa funzione. Come è noto, però, i fabbisogni standard non sono noti: nel 2010 è partita l'opera finalizzata alla loro costruzione, adempiendo alle previsioni della legge 42/2009 sul federalismo fiscale. Gli enti, allora, potrebbero essere indotti a verificare eventuali eccedenze di personale alla luce della loro dotazione organica, parametrando gli utenti in servizio con quelli astrattamente previsti dalla dotazione di diritto. È noto, però, che le dotazioni di fatto siano nella quasi totalità dei casi largamente inferiori alle dotazioni di diritto. Sicché, ben difficilmente gli enti in questo modo potrebbero evidenziare situazioni di esubero.
Situazioni di eccedenza di personale potrebbero derivare da processi di esternalizzazione di servizi, come si evince dal combinato disposto degli articoli 6-bis e 31, sempre del dlgs 165/2001. Infatti, una volta trasferita la competenza a gestire una funzione o un servizio a un soggetto terzo, occorrerebbe trasferire tutte le dotazioni, economiche, finanziarie, strumentali e di personale, per evitare una duplicazione di tale ultima voce di spesa. Il maxiemendamento, però, manca di una chiara correlazione tra esuberi ed esternalizzazioni: sarebbe la sede per rendere più evidente tale connessione, spesso ignorata dagli enti, tanto che spesso processi di esternalizzazione conducono ad incrementi della spesa, senza nessuna razionalizzazione delle dotazioni.
Anche il fine del maxiemendamento di obbligare alla mobilità, cioè ai trasferimenti, di dipendenti di enti sovradimensionati verso enti sotto organico, richiederebbe, a monte, uno standard per stabilire effettivamente in base a quali indicatori un ente presenti eccedenze ed un altro, invece, sia in stato di richiedere maggiori dotazioni. Potrebbero essere qualificati come indicatori le regole sul contenimento della spesa: una situazione di esubero oggettivo potrebbe derivare dal superamento della soglia del 40% nel rapporto tra spese di personale e totale delle spese correnti. Ma, nessuna norma fornisce indicazioni precise in merito.
Questa laconicità e insufficienza della normativa ed anche del maxiemendamento finisce per lasciare all'autonomia di ciascun singolo ente la valutazione della sufficienza o esuberanza della propria dotazione di personale, il che di per sé non assicura alcun risultato di riduzione della spesa di personale o di redistribuzione tra enti (articolo ItaliaOggi dell'11.11.2011 - tratto da www.corteconti.it).

CONSIGLIERI COMUNALI: OSSERVATORIO VIMINALE/ Terzo mandato senza tabù. Ok al sindaco durato meno di 2 anni e 6 mesi. Per il Consiglio di stato la sospensione non incide sulla durata minima.
Può configurarsi l'ipotesi di ineleggibilità, di cui all'art. 51 del decreto legislativo n. 267/2000, nei confronti di un sindaco che nel corso del primo dei suoi due mandati è stato sospeso dalla carica per 30 mesi, esercitando di fatto il mandato stesso per un periodo pari alla metà di quello previsto dalla legge?
L'art. 51 prevede, al comma 3, che è consentito un terzo mandato consecutivo se uno dei due mandati precedenti ha avuto durata inferiore a due anni, sei mesi e un giorno, per causa diversa dalle dimissioni volontarie.
Inoltre il Consiglio di stato, con il parere n. 1137/2005, ha espresso l'avviso che un eventuale periodo di sospensione dalla carica, durante il quale il sindaco perde l'effettivo esercizio delle funzioni, non concorre a concretare la durata del mandato ostativa, secondo il disposto dell'art. 51, comma 3, del decreto legislativo n. 267/2000, della rieleggibilità.
Pertanto, nella fattispecie, non sussiste, per il predetto aspirante alla carica sindacale, l'ipotesi ostativa (articolo ItaliaOggi dell'11.11.2011).

CONSIGLIERI COMUNALI: OSSERVATORIO VIMINALE/ Accesso agli atti.
Qual è la disciplina relativa all'accesso all'archivio informatizzato, in particolare per quanto riguarda la visione, da parte dei consiglieri, dell'oggetto delle determine dirigenziali adottate, per le finalità connesse al loro mandato?

L'esercizio del diritto di accesso è previsto dal secondo comma dell'articolo 43 del dlgs 267/2000, definito dal Consiglio di stato (sent. n. 4471/2005) «diritto soggettivo pubblico funzionalizzato», finalizzato al controllo politico-amministrativo sull'ente nell'interesse della collettività e, come tale, diverso dal diritto di accesso, di cui agli artt. 22 e ss. della legge n. 241/1990, riconosciuto ai soggetti interessati allo scopo di predisporre la tutela di posizioni soggettive lese.
In linea generale «le norme disciplinanti l'accesso dei consiglieri comunali non pongono limiti quantitativi agli atti cui si chieda di accedere, né presuppongono che, di tali atti, i richiedenti conoscano già il contenuto, sia pure approssimativamente, ben potendo l'intervento connesso al mandato ravvisarsi opportuno anche a seguito dell'acquisita conoscenza di atti precedentemente del tutto ignorati» (Tar Lombardia, Brescia, n. 362/2005).
I giudici del Tar Sardegna, con la sentenza n. 29/2007, hanno affermato, tra l'altro, che è consentito prendere visione del protocollo generale senza alcuna esclusione di oggetti e notizie riservate e di materie coperte da segreto, posto che i consiglieri comunali sono comunque tenuti al segreto ai sensi dell'art. 43 del dlgs n. 267/2000.
La Commissione per l'accesso ai documenti amministrativi ha richiamato il consolidato principio giurisprudenziale (ex multis Consiglio di stato, sez. V. n. 929/2007) secondo cui il diritto del consigliere di accesso agli atti «non può subire compressioni per pretese esigenze di natura burocratica dell'ente con l'unico limite di poter esaudire la richiesta, qualora sia di una certa gravosità, secondo i tempi necessari per non determinare interruzione delle altre attività di tipo corrente» (limite della proporzionalità e ragionevolezza delle richieste). Sotto tale profilo il consigliere deve quindi contemperare il diritto di accesso con l'esigenza di non intralciare lo svolgimento dell'attività amministrativa e il regolare funzionamento degli uffici comunali, comportando ad essi il minor aggravio possibile, sia dal punto di vista organizzativo che economico (Corte dei conti, sez. Liguria n. 1/2004).
Per quanto riguarda la specifica richiesta di accesso all'archivio informatizzato del comune, la stessa Commissione, sulla base principio di economicità che incombe sia sugli uffici tenuti a provvedere, sia sui soggetti che chiedono prestazioni amministrative (parere del 12.12.2002) ha riconosciuto «la possibilità per il consigliere di avere accesso diretto al sistema informatico interno, anche contabile, dell'ente attraverso l'uso della password di servizio proprio al fine di evitare che le continue richieste di accesso si trasformino in un aggravio dell'ordinaria attività amministrativa dell'ente locale» (cfr. parere 29.11.2009) e nel parere espresso nella seduta del 3 febbraio 2009, ha precisato che «il ricorso a supporti magnetici o l'accesso diretto al sistema informatico interno dell'ente, ove operante, sono strumenti di accesso certamente consentiti al consigliere comunale che favorirebbero la tempestiva acquisizione delle informazioni richieste senza aggravare l'ordinaria attività amministrativa» (articolo ItaliaOggi dell'11.11.2011).

LAVORI PUBBLICI: Incentivi energetici al click day. Anche gli enti locali tra i beneficiari dei contributi fino al 90%. L'ora X scatta alle ore 9 del 17 novembre. Le amministrazioni avranno 36 mesi di tempo.
Contributo del 90% a fondo perduto solo per i comuni che saranno pronti ad inviare la domanda alle ore 9 del 17 novembre. Si estende ai comuni il click day, o meglio il click second. Sarà il decimo di secondo di invio che determinerà chi potrà ottenere il ricco premio a carico dello stato per promuovere l'impiego delle tecnologie per l'efficienza energetica e delle fonti rinnovabili nelle strutture edilizie di piena proprietà pubblica e destinate esclusivamente ad uso pubblico. Possono presentare istanza di cofinanziamento diverse amministrazioni, tra cui gli enti locali.
Il ministero dell'ambiente ha pubblicato lo scorso 2 novembre un bando rivolto agli enti locali che prevede contributi a fondo perduto a copertura del 90% delle spese da sostenere. Le domande potranno essere presentate a partire dal 17.11.2011 con modalità a sportello in cui l'unico criterio per la concessione dei contributi è rappresentato dall'ordine di presentazione dell'istanza. Il bando sarà riproposto anche nelle annualità 2012 e 2013.
Finanziabili fonti rinnovabili, trigenerazione e geotermia. Sono finanziabili progetti per l'impiego di fonti rinnovabili integrate nelle strutture edilizie, in combinazione con tecnologie per l'efficienza energetica degli edifici, nonché progetti per la promozione di impianti di trigenerazione ad alta efficienza (85% almeno) per la generazione di elettricità, calore e freddo. Inoltre, sono finanziabili investimenti per l'utilizzo del calore derivante da impianti geotermici a bassa entalpia incluse le pompe di calore. I progetti devono prevedere interventi nell'ambito di nuove edificazioni di proprietà pubblica, riqualificazione energetica di edifici pubblici esistenti ovvero riqualificazione eco efficiente di edifici di interesse storico-architettonico. Gli interventi dovranno avere una dimensione economica minima, su base annua, di un milione e massima di cinque milioni di euro.
Possibile presentare domanda anche su progetti in corso. Le spese ammissibili a cofinanziamento sono quelle relative a progettazione, direzione lavori, studi di fattibilità per un massimo pari all'8% del totale generale delle spese ammissibili. Inoltre, il contributo copre le spese per fornitura dei materiali e dei componenti necessari alla realizzazione degli impianti, installazione e posa in opera degli impianti (compresi avviamento e collaudo). Infine, sono ammissibili spese per eventuali opere edili strettamente necessarie e connesse all'installazione degli impianti, nonché dispositivi per il monitoraggio delle prestazioni del sistema. Possono essere ammessi a cofinanziamento nuovi progetti oppure progetti in corso di realizzazione alla data del 2 novembre scorso. In tale ultimo caso saranno ritenute ammissibili le sole spese sostenute successivamente alla presentazione delle istanze.
Contributo fino al 90% della spesa ammissibile. La percentuale massima di cofinanziamento concedibile è pari al 90% del costo totale ammissibile per la realizzazione dell'intervento e comunque non potrà superare il valore di 1 milione di euro su base annua.
Domande via Pec. Le istanze dovranno essere trasmesse al ministero a partire dalle ore 9,00 del 17.11.2011. Le domande, con firma digitale, dovranno essere trasmesse, pena la non ricevibilità e conseguente non ammissione ad istruttoria, via Posta elettronica certificata (Pec).
Trentasei mesi per il progetto. Gli enti finanziati avranno 36 mesi di tempo dalla notifica del decreto di ammissione a finanziamento per realizzazione e completamento degli interventi, sia dal punto di vista tecnico-economico che in termini di rendicontazione secondo la normativa comunitaria vigente in materia. I soggetti beneficiari dovranno quindi impegnarsi a completare le opere. È fatto espresso divieto al soggetto beneficiario di alienare e/o dismettere l'impianto, per un periodo non inferiore a dieci anni a far data dal collaudo dell'impianto stesso.
Sarà possibile avere un anticipo del 25%. I soggetti beneficiari, una volta concesso il contributo, potranno richiedere una prima quota, di importo pari al 25% dell'importo ammesso a cofinanziamento, contro presentazione della documentazione di inizio lavori (articolo ItaliaOggi dell'11.11.2011).

GIURISPRUDENZA

EDILIZIA PRIVATANell'ambito degli interventi edilizi di cui alla l.r. 13/2009 (piano casa regionale) le distanze minime previste da disposizioni di legge, tra cui quelle di cui al Codice civile (Artt. dal 873 al 907) o al Codice della strada (D.Lgs. n. 285/1992, Artt. dal 13 al 34) devono essere sempre rispettate.
E’ possibile derogare alle disposizioni previste all’interno degli strumenti urbanistici comunali, che stabiliscono distanze diverse, salvo che le stesse non configurino norme integrative della disciplina di cui all’art. 873 del Codice civile in materia di distanze tra fabbricati. In ogni caso, non può essere derogata la distanza minima di mt. 10 tra fabbricati di cui al D.M. 02.04.1968.

... per l’annullamento, previo provvedimento cautelare, del provvedimento 29.06.2011 prot. n° 11-542, comunicato il 29.07.2011, con il quale il Responsabile del settore sportello unico dell’edilizia del Comune di Brescia ha in via di riesame respinto l’istanza di rilascio di permesso di costruire presentata da ... per lavori di ampliamento residenziale ai sensi della l.r. Lombardia 16.07.2009 n. 3 da eseguire sull’immobile sito in Brescia, via Caboto 10.
...
Il Sig. ... nella presente sede impugna il provvedimento meglio indicato in epigrafe, con il quale si è visto denegare il rilascio di un permesso di costruire, richiesto ai sensi della normativa sul cd. “piano casa” per ampliare l’abitazione propria e dei familiari, sita in Brescia, alla via Caboto 10 (doc. 1 ricorrente, copia provvedimento impugnato).
...
Il ricorso è fondato e va accolto. L’interpretazione sostenuta dalla parte ricorrente è infatti corretta anzitutto alla luce di due argomenti logici.
In primo luogo, l’art. 3, comma 1, della l. 13/2009, con formula ripetuta negli altri articoli della legge, fa riferimento ad una duplice deroga, sia “alle previsioni quantitative degli strumenti [urbanistici] medesimi, vigenti o adottati” sia ai “regolamenti edilizi”, il che mal si comprenderebbe se, come vorrebbe il Comune, la deroga fosse una sola, ai limiti volumetrici.
In secondo luogo, l’art. 5 della stessa legge, nel dettare “disposizioni generali” per gli interventi da essa previsti, consente senza restrizioni una deroga alle “previsioni dei piani territoriali di coordinamento dei parchi regionali, escluse le aree naturali protette”, a significare che una deroga a limiti non volumetrici è nello spirito della legge.
Inoltre, vi è un importante indizio in tal senso tratto dalla prassi, dato che le risposte alle “domande frequenti” sull’argomento nel sito web ufficiale della Regione, alla domanda “Le distanze minime previste dal Codice civile e dagli strumenti urbanistici comunali devono essere rispettate dagli interventi di cui alla legge 13/2009?” rispondono affermativamente nel senso che “Le distanze minime previste da disposizioni di legge, tra cui quelle di cui al Codice civile (Artt. dal 873 al 907) o al Codice della strada (D.Lgs. n. 285/1992, Artt. dal 13 al 34) devono essere sempre rispettate. E’ possibile derogare alle disposizioni previste all’interno degli strumenti urbanistici comunali, che stabiliscono distanze diverse, salvo che le stesse non configurino norme integrative della disciplina di cui all’art. 873 del Codice civile in materia di distanze tra fabbricati. In ogni caso, non può essere derogata la distanza minima di mt. 10 tra fabbricati di cui al D.M. 02.04.1968”.
Le distanze di zona di cui nella specie si ragiona sono quindi fra quelle derogabili (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 11.11.2011 n. 1561 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVILa mera indicazione nel preambolo e nello stesso corpo del provvedimento amministrativo di una serie di disposizioni di legge senza la specificazione delle norme di riferimento, non implica la illegittimità dell’atto qualora la formulazione letterale delle ragioni, l’esposizione del fatto e il contenuto del dispositivo siano sufficientemente chiari ad individuare in concreto il potere esercitato.
Secondo un consolidato filone giurisprudenziale, condiviso dal Collegio, “la mera indicazione nel preambolo e nello stesso corpo del provvedimento amministrativo di una serie di disposizioni di legge senza la specificazione delle norme di riferimento, non implica la illegittimità dell’atto qualora la formulazione letterale delle ragioni, l’esposizione del fatto e il contenuto del dispositivo siano sufficientemente chiari ad individuare in concreto il potere esercitato” (TAR Campania, Napoli, VII, 05.02.2008, n. 554) (TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 10.11.2011 n. 2725 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

COMPETENZE GESTIONALIIl Direttore generale è un dirigente a tutti gli effetti, anzi è il vertice della struttura dirigenziale comunale e quindi è in grado di adottare tutti gli atti (di gestione) che competono all’apparato burocratico dell’Ente.
La disciplina legislativa configura certamente il direttore generale come funzionario di vertice destinato a fare da tramite tra organi di governo (competenti alla determinazione degli indirizzi ed obiettivi) e organi burocratici dell’ente, (competenti per la gestione); nondimeno, deve sicuramente escludersi che il direttore generale possa ascriversi alla prima delle categorie di organi, siccome, nei comuni, gli organi politici di governo sono tassativamente elencati dall’art. 36 del citato Decreto [n. 267 del 2000, già art. 30 della legge n. 142 del 1990] (il consiglio, la giunta e il sindaco), tutti strettamente legati da rapporto politico-rappresentativo alla collettività di cui l’ente è esponenziale e titolari delle funzioni di indirizzo politico- amministrativo (…). Pertanto, il direttore generale, pur essendo investito di compiti e funzioni che valgono a conferirgli una posizione differenziata rispetto a quella degli altri dirigenti, è esso stesso un dirigente.

Il Direttore generale è un dirigente a tutti gli effetti, anzi è il vertice della struttura dirigenziale comunale e quindi è in grado di adottare tutti gli atti (di gestione) che competono all’apparato burocratico dell’Ente, come sembrerebbe ricavarsi anche dall’art. 26-bis dello Statuto del Comune di Fagnano Olona (all. 6 del Comune). Difatti, il potere di controllo e di vigilanza sulla struttura organica dell’Amministrazione implicano anche la possibilità di intervenire per sostituire o modificare le determinazioni assunte da soggetti allo stesso Direttore generale gerarchicamente subordinati.
In tal senso sembra essere orientata la stessa giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione, allorquando ha affermato che “la disciplina legislativa configura certamente il direttore generale come funzionario di vertice destinato a fare da tramite tra organi di governo (competenti alla determinazione degli indirizzi ed obiettivi) e organi burocratici dell’ente, (competenti per la gestione); nondimeno, deve sicuramente escludersi che il direttore generale possa ascriversi alla prima delle categorie di organi, siccome, nei comuni, gli organi politici di governo sono tassativamente elencati dall’art. 36 del citato Decreto [n. 267 del 2000, già art. 30 della legge n. 142 del 1990] (il consiglio, la giunta e il sindaco), tutti strettamente legati da rapporto politico-rappresentativo alla collettività di cui l’ente è esponenziale e titolari delle funzioni di indirizzo politico- amministrativo (…). Pertanto, il direttore generale, pur essendo investito di compiti e funzioni che valgono a conferirgli una posizione differenziata rispetto a quella degli altri dirigenti, è esso stesso un dirigente” (Cassazione civile, sez. un., ord. 12.06.2006, n. 13538) (TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 10.11.2011 n. 2725 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

PUBBLICO IMPIEGOIl giudizio della commissione di concorso comporta una valutazione essenzialmente qualitativa della preparazione scientifica dei candidati ed attiene così alla sfera della discrezionalità tecnica, censurabile unicamente, sul piano della legittimità, per evidente superficialità, incompletezza, incongruenza, manifesta disparità, emergenti dalla stessa documentazione, tali da configurare un palese eccesso di potere, senza che con ciò il giudice possa o debba entrare nel merito della valutazione.
Secondo la pacifica giurisprudenza, “il giudizio della commissione comporta una valutazione essenzialmente qualitativa della preparazione scientifica dei candidati ed attiene così alla sfera della discrezionalità tecnica, censurabile unicamente, sul piano della legittimità, per evidente superficialità, incompletezza, incongruenza, manifesta disparità, emergenti dalla stessa documentazione, tali da configurare un palese eccesso di potere, senza che con ciò il giudice possa o debba entrare nel merito della valutazione” (Consiglio di Stato, IV, 03.08.2010, n. 5165) (TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 10.11.2011 n. 2724 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIL'art. 38 del D.Lgs. 133 del 2006 è volto ad evitare che i contratti pubblici possano essere affidati a coloro che abbiano commesso reati lesivi degli interessi collettivi che, nella veste di aggiudicatari, sarebbero chiamati a tutelare. Il requisito della gravità dei reati commessi dal rappresentante legale dell’impresa concorrente deve essere, pertanto, apprezzato non tanto in termini penalistici (tenendo conto del massimo o del minimo edittale o della pena in concreto irrogata) ma alla stregua del contenuto del contratto oggetto della gara.
Nelle gare volte alla aggiudicazione di appalti di lavori, il requisito della gravità può essere riconosciuto tutte le volte in cui la fattispecie delittuosa sia consistita nella lesione della salute dei dipendenti da parte dell’impresa edile che non abbia apprestato tutti i mezzi e gli strumenti imposti dalla normativa volta a prevenire gli infortuni suoi luoghi di lavoro. E ciò tenuto anche conto del fatto che è lo stesso legislatore a considerare la commissione di gravi infrazioni debitamente accertate alle norme in materia di sicurezza e a ogni altro obbligo derivante dai rapporti di lavoro come causa ostativa alla partecipazione alle gare pubbliche (art. 39, comma 1, lett. e), del D.Lgs. 163 del 2006).

Occorre ricordare che l’art. 38 del D.Lgs. 133 del 2006 è volto ad evitare che i contratti pubblici possano essere affidati a coloro che abbiano commesso reati lesivi degli interessi collettivi che, nella veste di aggiudicatari, sarebbero chiamati a tutelare. Il requisito della gravità dei reati commessi dal rappresentante legale dell’impresa concorrente deve essere, pertanto, apprezzato non tanto in termini penalistici (tenendo conto del massimo o del minimo edittale o della pena in concreto irrogata) ma alla stregua del contenuto del contratto oggetto della gara (Consiglio Stato sez. VI,, 04.06.2010 n. 3560; TAR Toscana, Sez. II, 31.08.2011 n. 1351).
Muovendo da tali premesse la giurisprudenza amministrativa (anche di questo Tribunale) ha più volte affermato che, nelle gare volte alla aggiudicazione di appalti di lavori, il requisito della gravità può essere riconosciuto tutte le volte in cui la fattispecie delittuosa sia consistita nella lesione della salute dei dipendenti da parte dell’impresa edile che non abbia apprestato tutti i mezzi e gli strumenti imposti dalla normativa volta a prevenire gli infortuni suoi luoghi di lavoro (Consiglio di Stato, sez. V, 12.04.2007 n. 1723; TAR Campania, Salerno, sez. I, 09.03.2011 n. 436; TAR Milano, sez. I, 17.12.2009 n. 5594). E ciò tenuto anche conto del fatto che è lo stesso legislatore a considerare la commissione di gravi infrazioni debitamente accertate alle norme in materia di sicurezza e a ogni altro obbligo derivante dai rapporti di lavoro come causa ostativa alla partecipazione alle gare pubbliche (art. 39, comma 1, lett. e), del D.Lgs. 163 del 2006) (TAR Lombardia-Milano, Sez. III, sentenza 10.11.2011 n. 2715 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATARiguardo alle opere realizzate in zone soggette a vincolo non trova applicazione l'ipotesi del silenzio-assenso sulla domanda di condono, la quale è suscettibile di perfezionarsi solo ove le opere abusive oggetto di condono non insistano su aree vincolate.
Ove l'abuso per il quale è chiesto il condono edilizio insista in area soggetta a vincolo idrogeologico, i termini per la formazione del silenzio assenso e per la prescrizione del conguaglio dell'oblazione non decorrono dalla domanda di condono, ma solo dal successivo momento in cui si forma l'eventuale nulla osta in ordine al vincolo idrogeologico.
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Quando una costruzione abusiva lede i diritti di terzi, la concessione autorizzativa in sanatoria non pregiudica questi diritti, ma estingue egualmente l'illecito amministrativo e quello penale.
Il condono edilizio è volto a regolare i rapporti fra privato e p.a., ma fa sempre salvi i diritti dei terzi; pertanto, i provvedimenti di concessione in sanatoria non privano i proprietari di fondi contigui del potere di far valere la violazione delle norme sulle distanze tra costruzioni, chiedendo, a seconda dei casi, la demolizione delle opere abusive o il risarcimento dei danni.
Il condono edilizio ha efficacia limitata ai rapporti tra p.a. e costruttore, regolarizzando, da un punto di vista esclusivamente penale, amministrativo e fiscale, la posizione di chi abbia costruito abusivamente. Nessuna efficacia lesiva può esercitare a danno dei terzi confinanti, i quali, in presenza di violazione delle distanze, ben possono pretendere egualmente l'abbattimento della costruzione. In altri termini, l'art. 39, l. n. 724 del 1994, come vigente per effetto delle modifiche di cui alla l. n. 662 del 1996, impone il rilascio della concessione in sanatoria al ricorrere dei presupposti ivi previsti, ma per i privati lesi rimane la possibilità di invocare l'AGO a tutela dell'aspetto civilistico della proprietà.
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Il "dies a quo" del termine prescrizionale previsto dall'art. 35, comma 18, L. 28.02.1985 n. 47, per l'esercizio del diritto al conguaglio degli oneri concessori decorre dalla presentazione della domanda di concessione in sanatoria, e non dal provvedimento comunale che conclude il procedimento di condono edilizio, ovvero dalla maturazione del silenzio assenso.

Peraltro, la consolidata giurisprudenza ha rilevato che riguardo alle opere realizzate in zone soggette a vincolo non trova applicazione l'ipotesi del silenzio-assenso sulla domanda di condono, la quale è suscettibile di perfezionarsi solo ove le opere abusive oggetto di condono non insistano su aree vincolate (cfr. ex multis, TAR Puglia Bari, sez. II, 22.03.2011 n. 448; Consiglio Stato, Sez. IV, 22.07.2010 n. 4823).
In particolare, per quanto specificatamente il vincolo idrogeologico, la giurisprudenza ha avuto modo di rilevare che ove l'abuso per il quale è chiesto il condono edilizio insista in area soggetta a vincolo idrogeologico, i termini per la formazione del silenzio assenso e per la prescrizione del conguaglio dell'oblazione non decorrono dalla domanda di condono, ma solo dal successivo momento in cui si forma l'eventuale nulla osta in ordine al vincolo idrogeologico (cfr. TAR Emilia Romagna, Sez. II, 21.11.2007 n. 3247; TAR Toscana, Sez. III 07.11.1998 n. 355, TAR Bologna 05.05.2003 n. 504; TAR Veneto 25.10.1999 n. 1750, TAR Marche 07.10.1999 n. 1119).
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In tema di c.d. condono edilizio, il legislatore del 1994 escludeva, per le opere edilizie che creano limitazioni di tipo urbanistico alle proprietà finitime, non solo sanatorie civilistiche, ma anche sanatorie urbanistiche e penali. Con la L. 23.12.1996 n. 662 la normativa è cambiata poiché, con l'art. 2, comma 37, lett. c), di questa legge, il comma 2 dell'art. 39 L. 2312.1994 n. 724 è sostituito dal seguente: "il rilascio della concessione o autorizzazione in sanatoria non comporta limitazioni al diritto dei terzi". Con tutta evidenza il legislatore del 1996 ha voluto ripristinare il sistema (di cui alla l. 28.02.1985 n. 47) precedente alla L. n. 724 del 1994, che distingueva il profilo amministrativo e penale da quello civilistico: alla stregua di tale sistema ha stabilito espressamente che gli effetti di sanatoria urbanistica e di estinzione penale della procedura di condono edilizio non si estendono ai rapporti civili (restano quindi salvi i diritti dei terzi e, in particolare, quelli dei proprietari confinanti con la costruzione abusiva), sicché, quando una costruzione abusiva lede i diritti di terzi, la concessione autorizzativa in sanatoria non pregiudica questi diritti, ma estingue egualmente l'illecito amministrativo e quello penale (cfr. Cassazione penale, sez. III, 09.04.1997 n. 6209).
Il condono edilizio è volto a regolare i rapporti fra privato e p.a., ma fa sempre salvi i diritti dei terzi; pertanto, i provvedimenti di concessione in sanatoria non privano i proprietari di fondi contigui del potere di far valere la violazione delle norme sulle distanze tra costruzioni, chiedendo, a seconda dei casi, la demolizione delle opere abusive o il risarcimento dei danni (cfr. Cons. St., Sez. IV, 16.10.1998 n. 1306).
Pertanto, va affermato che, a seguito delle disposizioni espressamente introdotte in occasione della sanatoria edilizia di cui alla L. n. 724 del 1994, come modificate dalla L. 662 del 1996, il condono edilizio ha efficacia limitata ai rapporti tra p.a. e costruttore, regolarizzando, da un punto di vista esclusivamente penale, amministrativo e fiscale, la posizione di chi abbia costruito abusivamente. Nessuna efficacia lesiva può esercitare a danno dei terzi confinanti, i quali, in presenza di violazione delle distanze, ben possono pretendere egualmente l'abbattimento della costruzione. In altri termini, l'art. 39, l. n. 724 del 1994, come vigente per effetto delle modifiche di cui alla l. n. 662 del 1996, impone il rilascio della concessione in sanatoria al ricorrere dei presupposti ivi previsti, ma per i privati lesi rimane la possibilità di invocare l'AGO a tutela dell'aspetto civilistico della proprietà (cfr. TAR Sicilia Catania, sez. I, 13.03.2008 n. 476; Cassazione civile, sez. II, 26.09.2005 n. 18728)
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Va rilevato che la richiesta di pagamento del conguaglio degli oneri concessori, quand’anche dovesse ritenersi ammissibile in assenza di una specifica determinazione delle relative modalità da parte dell’amministrazione comunale) risulta comunque prescritta.
Infatti, il "dies a quo" del termine prescrizionale previsto dall'art. 35, comma 18, L. 28.02.1985 n. 47, per l'esercizio del diritto al conguaglio decorre dalla presentazione della domanda di concessione in sanatoria, e non dal provvedimento comunale che conclude il procedimento di condono edilizio, ovvero dalla maturazione del silenzio assenso (cfr. Cons. St., Sez. V, 28.04.1999 n. 495; Sez. V, 22.11.1996 n. 1388; Sez. V, 04.05.1992, n. 360; 11.12.1991 n. 1364)
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 08.11.2011 n. 1532 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAE' inammissibile il ricorso avverso il verbale di accertamento di inottemperanza all'ordinanza di demolizione, di natura non provvedimentale. Tale atto, infatti, non ha alcun contenuto dispositivo nuovo, limitandosi a constatare l'inadempimento all'ordine di demolizione contenuto nel provvedimento impugnato.
Come già osservato dalla Sezione (cfr. TAR Brescia, sez. I, 14.05.2010, n. 1730), la questione oggetto di questo giudizio è stata, infatti, affrontata più volte in giurisprudenza ed è stata risolta sempre nel senso che "è inammissibile il ricorso avverso il verbale di accertamento di inottemperanza all'ordinanza di demolizione, di natura non provvedimentale. Tale atto, infatti, non ha alcun contenuto dispositivo nuovo, limitandosi a constatare l'inadempimento all'ordine di demolizione contenuto nel provvedimento impugnato" (cfr. TAR Napoli, Sez. III, n. 195/2010).
Il mero accertamento dell'inottemperanza non produce alcun effetto lesivo né per le ricostruzioni giurisprudenziali che aderiscono alla tesi che il procedimento di acquisizione gratuita al patrimonio comunale dell'area su cui è stato realizzato il manufatto abusivo e del manufatto stesso consegue direttamente alla norma di legge che la prevede (TAR Palermo, Sez. II, 4652/2002: l'atto con il quale il comune accerta l'inottemperanza ad ordine di demolizione di un'opera edilizia abusiva ha efficacia meramente dichiarativa, limitandosi ad esternare e formalizzare effetti già verificatisi in base allo stesso ordine, ai sensi dell'art. 7, comma 3, l. 28.02.1985 n. 47, essendo a quest'ultimo ed al decorso del termine ivi fissato che vanno ricondotti effetti costitutivi; pertanto, è questo l'atto che va ritenuto immediatamente lesivo e con la cui impugnazione l'interessato deve tutelare le proprie ragioni, mentre il verbale con cui viene accertata la mancata ottemperanza all'ordinanza di demolizione rappresenta un mero atto procedimentale avente contenuto conoscitivo e di accertamento di un fatto storico, inidoneo, di per sé, a ledere situazioni giuridiche) né per le pronunce che ritengono che lo stesso abbisogni di un provvedimento finale che costituisce l'effetto dell'immissione in possesso previsto dalla norma (Tar Napoli, VII, 8816/2009: è inammissibile il ricorso proposto avverso il verbale di accertamento dell'inottemperanza alla precedente ingiunzione di demolizione di opere edilizie abusive, redatto dal personale della Polizia Municipale, in quanto il suddetto atto ha chiaramente valore endoprocedimentale ed efficacia meramente dichiarativa delle operazioni effettuate dai vigili urbani, ai quali non è attribuita la competenza all'adozione di atti di amministrazione attiva, a tal uopo occorrendo che la competente autorità amministrativa ne faccia proprio l'esito attraverso un formale atto di accertamento)
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 08.11.2011 n. 1532 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZI: In sede di verifica del rispetto del costo del lavoro, l'unico parametro di computo dettato dalla tabelle ministeriali effettivamente inderogabile è la retribuzione minimia inderogabile oraria dettata dalla contrattazione collettiva.
L’art. 86, comma 3-bis, prescrive una rigorosa verifica del rispetto del costo del lavoro alla luce delle indicazioni “tendenziali” evincibili dalla tabelle ministeriali. E’ sul punto pacifica e univoca giurisprudenza, congruente anche con le più recenti indicazioni normative (si veda il nuovo art. 81, comma 3-bis) che inderogabili siano solo i minimi salariali di costo del lavoro dettati dalla contrattazione collettiva i quali, in sede di valutazione di congruità di una offerta, non possono che essere ritenuti come tali inderogabili. Altra e ben diversa problematica attiene alla verifica del rispetto tendenziale dal maggior costo “del servizio” che tiene complessivamente conto, oltre che del costo orario inderogabile del singolo lavoratore, dei maggiori costi effettivi del servizio che possono essere indotti dalla circostanza che non tutte le ore teoriche retribuite sono effettivamente lavorate (si pensi alle assenze per malattia, ferie ecc.).
L’unico parametro di computo dettato dalla tabelle ministeriali effettivamente inderogabile è la retribuzione minimia inderogabile oraria dettata dalla contrattazione collettiva, mentre i restanti maggiori costi, se pure esistenti, possono essere concretamente giustificati in termini anche minori rispetto a quanto astrattamente e omogeneamente previsto dalla tabelle ministeriali (TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 04.11.2011 n. 1173 - tratto da www.mediagraphic.it - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: OPERE PUBBLICHE.
Sussiste violazione dell'art. 84, Codice dei Contratti Pubblici per illegittima composizione della Commissione di gara, nell'ipotesi in cui due dei soggetti diversi dal Presidente, con qualifica di membro effettivo, risultino privi della necessaria esperienza nello specifico settore oggetto dell'accordo quadro. In merito deve rilevarsi che la regola fissata dal menzionato disposto normativo costituisce espressione di principi generali, costituzionali e comunitari, volti ad assicurare il buon andamento e l'imparzialità dell'azione amministrativa, ed, in quanto tale, non è suscettibile di deroga.
Il ristoro del danno conseguente a lesione di interesse legittimo pretensivo è subordinato, pur in presenza di tutti i requisiti dell'illecito -e dunque della condotta, della colpa, del nesso di causalità e dell'evento dannoso- secondo un giudizio di prognosi formulato ex ante, alla dimostrazione, ancorché fondata con il ricorso a presunzioni, della spettanza definitiva del bene collegato a tale interesse. Tale giudizio prognostico favorevole non può in alcun modo essere formulato nelle ipotesi in cui (come nella specie) l'annullamento dell'aggiudicazione consegua unicamente alla riscontrata illegittima composizione della Commissione di gara
(TAR Lazio-Roma, Sez. III, sentenza 03.11.2011 n. 8414 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: E' irrilevante il possesso del titolo di studio di un determinato livello da parte di un commissario di gara, essendo rilevante, invece, che quest'ultimo sia esperto nel settore oggetto d'appalto.
Il requisito generale dell’esperienza “nello specifico settore cui si riferisce l’oggetto del contratto”, prescritto dall’art. 84, comma 2, del codice dei contratti pubblici, deve essere inteso gradatamente ed in modo coerente con la poliedricità delle competenze di volta in volta richieste in relazione alla complessiva prestazione da affidare; non è necessario, pertanto, che l’esperienza professionale di ciascun componente della commissione copra tutti i possibili ambiti oggetto di gara, in quanto è la commissione, unitariamente considerata, che deve garantire quel grado di conoscenze tecniche richiesto nella specifica fattispecie, in ossequio al principio di buon andamento della pubblica amministrazione (cfr. TAR Sardegna, Sez. I, 04.06.2008 n. 1126; TAR Piemonte, Sez. II, 22.05.2007 n. 2223).
Il pacifico assunto che, ad onta di quanto indicato nella determinazione di nomina della commissione, nel caso di specie, un componente non possegga il diploma di laurea in ingegneria, non induce a ritenere lo stesso sprovvisto di competenza in materia, essendo descritta nel curriculum una vasta esperienza in ambito informatico, corroborata da titolo di studio specifico (perito elettrotecnico) nonché da vari corsi di formazione e docenze. Invero, l’art. 84, comma 2, cit. non richiede che i membri della commissione giudicatrice debbano essere tutti laureati, ma semplicemente pretende che chi è nominato commissario debba essere esperto nel settore oggetto d’appalto, con conseguente irrilevanza del possesso del titolo di studio di un determinato livello, purché, beninteso, il titolo di studio vantato sia adeguato alla prestazione oggetto della gara (come è puntualmente avvenuto nella presente fattispecie) (TAR Campania-Napoli, Sez. I, sentenza 26.10.2011 n. 4975 - tratto da www.mediagraphic.it - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAAnche nel vigore del D.P.R. 380/2001, la valutazione sulla possibilità di demolire, ai sensi dell’art. 34, le difformità parziali deve precedere soltanto l’ordine di esecuzione d’ufficio in caso di inottemperanza da parte dell’ingiunto, ma non è necessaria ai fini della prima adozione dell’ingiunzione al responsabile dell’abuso.
La prevalente e più recente giurisprudenza, da cui il Collegio non ha ragione di discostarsi, ha chiarito, anche nel vigore del D.P.R. 380/2001, che la valutazione sulla possibilità di demolire, ai sensi dell’art. 34, le difformità parziali deve precedere soltanto l’ordine di esecuzione d’ufficio in caso di inottemperanza da parte dell’ingiunto, ma non è necessaria ai fini della prima adozione dell’ingiunzione al responsabile dell’abuso (così TAR Sicilia, Catania, I, 14.01.2011, n. 44; TAR Basilicata, 921/2008, 340/2008 e 779/2005; TAR Napoli, IV, 4703/2001; TAR Marche, 259/2002).
In nessun caso, poi, la definitività dell’ingiunzione a demolire potrebbe precludere all’interessato di attivare a domanda la valutazione sul pregiudizio alla parte conforme, e sulla sostituibilità della sanzione reale con quella pecuniaria di cui all’art. 34/2° comma D.P.R. 380/2001 (TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez. II, sentenza 26.10.2011 n. 734 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

COMPETENZE GESTIONALISulla facoltà del dirigente di assegnare la responsabilità del procedimento ad altro dipendente addetto all’unità responsabile dell’istruttoria, comprendendo nell’incarico ogni adempimento inerente il procedimento stesso, inclusa l’adozione del provvedimento finale.
Il ricorrente impugna l’ingiunzione (05.06.2009. n. 142207/2009, del Comune di Bologna) a demolire opere edilizie eseguite in parziale difformità dal titolo, in quanto: .. 3) sottoscritta dal funzionario delegato, per il competente Direttore del Settore Urbanistica e Territorio, sulla base di delega (P.G. 103597/2007) illegittima poiché non sufficientemente circoscritta nell’oggetto, nella durata e nei motivi, in violazione dell’art. 17 del D.Lgs. 165/2001.
...
Contrariamente a quanto dedotto dal ricorrente, l’applicazione dell’invocato art. 17 D.lgs. n. 165/2001 agli enti locali non è diretta, ma mediata dalle disposizioni dello Statuto e del Regolamento del personale. L’art. 27 del D.lgs. n. 165/2001 prevede, infatti, che gli ordinamenti locali si adeguino con i propri statuti e regolamenti, nel rispetto delle proprie peculiarità ed autonomia, al principio di separazione delle funzioni di indirizzo da quelle gestionali e amministrative attribuite ai dirigenti.
L’art. 111 del D.lgs. 267/2000 dispone che “gli enti locali, tenendo conto delle proprie peculiarità, nell’esercizio della propria potestà statutaria e regolamentare, adeguano lo statuto e il regolamento ai principi del capo II del D.lgs. N. 29/1993 e successive modificazioni" (oggi D.lgs. 165/2001). Lo statuto del Comune di Bologna specificamente prevede, all’8° comma dell’art. 44 (titolato “Funzione dirigenziale”), che “i dirigenti hanno facoltà di delegare l’esercizio delle funzioni loro spettanti ai responsabili delle strutture in cui si articolano i settori cui sono preposti” e, in tal senso, dispone anche l’art. 13, 5° comma, del “Regolamento sull’ordinamento generale degli uffici e dei servizi”, reiterando, con identica formulazione, quanto già previsto dall’art. 13, 5° comma, del previgente Regolamento approvato il 07/06/2005. Anche gli articoli 5 e 6 della legge 241/1990 legittimano disposizioni statutarie e regolamentari che distinguano le funzioni dirigenziali –di amministrazione finalizzata al conseguimento degli obiettivi– da quelle propriamente amministrative, tecniche e di dettaglio, quindi delegabili, necessarie per la minuta attuazione dei programmi.
Infatti l’art. 5 prevede la facoltà del dirigente di assegnare la responsabilità del procedimento ad altro dipendente addetto all’unità responsabile dell’istruttoria, comprendendo nell’incarico ogni adempimento inerente il procedimento stesso, inclusa l’adozione del provvedimento finale. L’art. 6, alla lettera f), prevede espressamente che tra le competenze del responsabile del procedimento vi è quella di adottare il provvedimento finale (TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez. II, sentenza 26.10.2011 n. 734 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: ARIA – INQUINAMENTO ATMOSFERICO - Getto pericoloso di cose - Emissione - Configurazione del reato - Presunzione di legittimità delle emissioni – Nei casi non consentiti dalla legge - Art. 674 cod. pen..
L'espressione "nei casi non consentiti dalla legge" contenuta nell’art. 674 cod. pen., costituisce una precisa indicazione della necessità, ai fini della configurazione del reato, che, qualora si tratti di attività considerata dal legislatore socialmente utile e che per tale motivo sia prevista e disciplinata, l'emissione avvenga in violazione delle norme o prescrizioni di settore che regolano la specifica attività.
Deve ritenersi, infatti, che la legge contenga una sorta di presunzione di legittimità delle emissioni che non superino la soglia fissata dalle nonne speciali in materia. In altri termini, all'inciso "nei casi non consentiti dalla legge" deve riconoscersi un valore rigido e decisivo, tale da costituire una sorta di spartiacque tra il versante dell'illecito penale da un lato e quello dell'illecito civile dall'altro [Cass. sez. I, 16/06/2000, Meo; Cass. sez. I, 24/10/2001, Tulipano; Cass. sez. III, 23/01/2004, Pannone; Cass. sez. III, 19/03/2004, n. 16728, Parodi; Cass. sez. I, 20/05/2004, Invernizzi; sez. III, 18/06/2004, Previdenti; sez. III, 10/2/2005, Montinaro; sez. III, 21/06/2006, Bortolato; sez. III, 26/10/2006, Gigante; sez. III, 11/05/2007, Pierangeli; sez. III, 09.10.2007, n. 41582, Saetti].
In conclusione, il reato di cui all'art. 674 cod. pen. non è configurabile nel caso in cui le emissioni provengano da una attività regolarmente autorizzata o da una attività prevista e disciplinata da atti normativi speciali e siano contenute nei limiti previsti dalle leggi di settore o dagli specifici provvedimenti amministrativi che le riguardano, il cui rispetto implica una presunzione di legittimità del comportamento [Cass., sez. III, 21/10/2010, n. 40849, Rocchi; 09/01/2009, n. 15707, Abbaneo; 13/05/2008, n. 36845, Tucci; 27/02/2008, n. 15653, Colombo].
ARIA – INQUINAMENTO ATMOSFERICO - Emissioni ex art. 674 cod. pen. due distinte ed autonome ipotesi di reato – Esclusione.
La fattispecie contravvenzionale descritta dall'art. 674 cod. pen. non prevede due distinte ed autonome ipotesi di reato ma un reato unico, in quanto la condotta consistente nel provocare emissioni di gas, vapori o fumo rappresenta una species del più ampio genus costituito dal gettare o versare cose atte ad offendere, imbrattare o molestare persone.
Le emissioni di cui alla seconda ipotesi (riferita a gas, vapori o fumo) rientrano già nell'ampio significato dell'espressione "gettare cose", di cui in realtà costituiscono una specie, e sono state espressamente previste dalla norma unicamente per specificare che quando si tratta di attività disciplinata per legge -e per tale motivo ritenuta dal legislatore di un qualche interesse pubblico e generale- la loro rilevanza penale nasce soltanto con il superamento dei limiti e delle prescrizioni di settore [Cass., sez. III, 21/10/2010, n. 40849, Rocchi; 09/01/2009, n. 15707, Abbaneo].
L'elemento che caratterizza e giustifica la previsione speciale di cui alla seconda ipotesi dell'art. 674 cod. pen. è costituito dal riferirsi ad una attività socialmente utile e quindi disciplinata e non già dalla natura dell'oggetto dell'emissione (Corte di cassazione, Sez. III penale, sentenza 17.10.2011 n. 37495 - link a www.
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AMBIENTE-ECOLOGIA: RIFIUTI - Abbandono di rifiuti "alla rinfusa" - Deposito temporaneo o regolare - Configurabilità – Esclusione - Art. 183, c.1, lett. m), D.Lgs. n. 152/2006.
L'abbandono di rifiuti "alla rinfusa" e non per categorie omogenee, come invece previsto dall'art. 183, comma primo, lett. m), D.Lgs. 03.04.2006, n. 152 (e, in precedenza, dall'abrogato art. 6, comma primo, lett. m), D.Lgs. 05.02.1997, n. 22), esclude la configurabilità del cosiddetto deposito temporaneo o regolare, quali che siano i limiti dell'accumulo (Cass. Sez. 3, n. 11258 del 11/02/2010) (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 13.10.2011 n. 36979 - link a www.
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PUBBLICO IMPIEGO: Incentivi alla produttività, responsabile il dirigente.
LA SENTENZA - L'utilizzo dei fondi di un progetto obiettivo illegittimo determina un pregiudizio patrimoniale al comune.

L'erogazione di compensi incentivanti la produttività per attività svolte al di fuori del lavoro ordinario determina il maturare di responsabilità amministrativa in capo al dirigente per tutto l'importo eccedente il compenso per il lavoro straordinario.
È questo il principio dettato dalla
Corte dei conti Campania, nel testo della sentenza 13.10.2011 n. 1808.
La sentenza condanna a oltre 100mila euro di sanzione un dirigente del comune di Salerno per avere corrisposto al personale impegnato nella raccolta e smaltimento dei rifiuti risorse aggiuntive derivanti da un progetto obiettivo illegittimo. La vicenda deriva dalle risultanze di un'ispezione della Ragioneria dello Stato, che vede quindi confermata la bontà della sua attività e che anzi dalla sentenza riceve un'ulteriore legittimazione. Infatti viene riconosciuto che il «contenuto della relazione ispettiva rappresenta, a pieno titolo, una specifica e concreta notizia di danno in ragione della quale la Procura era pienamente legittimata –se non obbligata– a porre in essere ogni iniziativa istruttoria ritenuta necessaria ai fini di individuare le responsabilità amministrativo-contabili connesse al prodursi di un ingente nocumento alle finanze pubbliche e, successivamente, a esercitare l'azione di competenza, sussistendone le condizioni».
La sentenza chiarisce che l'illegittimità della condotta del dirigente deriva dal fatto che «per i progetti obiettivo non risultano essere state rispettate le condizioni normativamente previste per il loro finanziamento, determinando l'utilizzo dei fondi, nella circostanza, un pregiudizio patrimoniale al comune per la loro distribuzione a pioggia». Le indicazioni sulla corretta utilizzazione dello strumento sono state dettate dall'Aran. La circostanza della presenza di una condizione di emergenza dei rifiuti non è stata intesa come una circostanza esimente del maturare di responsabilità, ma ha determinato unicamente la riduzione della misura della sanzione del 50 per cento.
E ancora l'invocata «impossibilità di coprire i servizi resi con il ricorso ai pressoché inesistenti fondi per il lavoro straordinario» non è neppure un'esimente: «Oggetto di contestazione non è l'utilizzo ex se dei progetti obiettivo, bensì l'inappropriata procedura seguita a tal fine, violativa della disciplina normativamente prevista». E inoltre, entrando nel merito delle scelte, la sentenza evidenzia che si è determinato un danno nella quantificazione del compenso erogato: se «le prestazioni rese dal personale fossero state retribuite come lavoro straordinario avrebbero comportato un costo equivalente a circa 1/3 della spesa sostenuta per i progetti obiettivo». Da qui la conclusione che il danno erariale deve essere quantificato in tale differenza. «Non vi è luogo, invece, alla valutazione dei vantaggi comunque conseguiti dall'amministrazione perché dall'eventuale corresponsione della retribuzione per lavoro straordinario sarebbero derivati gli stessi benefici».
Il dirigente condannato era quello preposto al servizio di raccolta dei rifiuti; la sentenza stabilisce che la sua condotta può essere qualificata come colpa grave, anche se egli non è un esperto di gestione delle risorse umane. Ciò dipende dalla «palese violazione delle disposizioni disciplinanti il finanziamento dei progetti obiettivo» e perché ciò è avvenuto dopo una nota del segretario «con la quale si censuravano i criteri procedurali seguiti dai dirigenti ai fini dell'utilizzazione dei fondi» (articolo Il Sole 24 Ore del'11.11.2011 - tratto da www.corteconti.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: RIFIUTI - Liquami zootecnici - Deiezioni animali provenienti da allevamento - Tracimazione della vasca di raccolta - Riversamento in un corso d'acqua superficiale - Art. 256, c. 1, lett. a), D.Lgs. 152/2006 – Configurabilità – Fattispecie: immissione di rifiuti liquidi in acque superficiali.
Il riversare in un corso d’acqua superficiale rifiuti liquidi consistenti in liquami zootecnici provenienti da una vasca di raccolta ubicata all’interno dell’azienda di loro pertinenza configura la violazione contenuta nell’articolo 256, comma primo lettera a) del Decreto Legislativo n. 152/2006.
Infatti, i liquami costituiti dalle deiezioni animali provenienti da un allevamento zootecnico rappresentano, per qualità e quantità, un dato significativo della pericolosità per l'ambiente e la salute delle persone che può derivare dallo svolgimento di tale attività e richiede pertanto, da parte dei soggetti preposti, la predisposizione di ogni necessario accorgimento atto ad evitare sversamenti, anche accidentali, dei liquami prodotti.
La necessità di adottare tutte le misure preventive, tecniche ed organizzative, atte ad evitare simili eventi esclude, inoltre, che la accidentale rottura di una conduttura possa costituire un evento imprevedibile ascrivibile ad ipotesi di caso fortuito ( Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 12.10.2011 n. 36830 - link a www.
ambientediritto.it).

AGGIORNAMENTO ALL'11.11.2011

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DOTTRINA E CONTRIBUTI

COMPETENZE GESTIONALI - URBANISTICA: A. Galbiati, La competenza all’approvazione dei piani attuativi conformi dopo il D.L. Sviluppo (link a www.studiospallino.it).

APPALTI: G. P. Cirillo, Requisiti generali di qualificazione: garanzie per l’amministrazione o occasione di contenzioso? (link a www.giustizia-amministrativa.it).

UTILITA'

ENTI LOCALI - VARI: Legge di stabilità: il testo integrale del maxiemendamento governativo.
Dopo tante versioni più o meno attendibili, è ora disponibile sul sito del Senato il testo ufficiale degli emendamenti presentati dal Governo alla legge di stabilità in discussione presso la Commissione Bilancio.
Il primo (emendamento 4.2000) è sicuramente quello di maggiore interesse in quanto riporta le modifiche più rilevanti al disegno di legge in discussione e incorpora le misure concordate con l'Unione europea. Gli altri testi presentati dall'Esecutivo (emendamenti 5.2000 e 5.0.1000) contengono disposizioni a favore dei terremotati dell'Abruzzo e per gli esercenti impianti di distribuzione di carburanti.
Agli emendamenti governativa vanno aggiunti quelli presentati dal relatore del provvedimento (emendamenti 3.1000, 4.0.1000 e 5.1000) contenenti disposizioni in materia di rispetto del Patto di stabilità interno (commento tratto da www.leggioggi.it).
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La Commissione Bilancio del Senato ha reso disponibile il testo della legge di stabilità per il 2012 coordinato con le modifiche introdotte dal maxiemendamento governativo presentato nella serata di mercoledì. Quasi sicuramente sarà la versione che verrà approvata in via definitiva, visto il calendario concordato nei giorni scorsi tra le forze politiche e le massime cariche istituzionali.
Il provvedimento è stato licenziato oggi dall'Aula del Senato. Il varo definitivo si avrà entro sabato sera quando passerà anche l'esame della Camera. Seguirà una pubblicazione in Gazzetta rapidissima, forse nella stessa giornata di sabato.
AGGIORNAMENTO DELL'11.11.2011 ORE 14,45 (tratto da www.diritto.it).

NOTE, CIRCOLARI E COMUNICATI

PUBBLICO IMPIEGOBuonuscita, differimento per tutti. Il rinvio della liquidazione per ogni cessazione dal servizio. Una circolare dell'Inpdap illustra le novità per i dipendenti pubblici della legge 148/2011.
L'allungamento dei tempi di riscossione della buonuscita comprende tutte le cessazioni dal servizio e tutti i trattamenti di fine rapporto comunque erogati dall'Inpdap, inclusi i dipendenti di enti che, pur avendo perso la natura di pubblica amministrazione, hanno invece conservato la disciplina del trattamento di fine servizio.
Lo precisa l'Inpdap nella circolare 09.11.2011 n. 16, emanata con l'assenso del ministero del lavoro, illustrando alcune delle novità del dl n. 138/2011 convertito dalla legge n. 148/2011.
La finestra nella scuola. La circolare interviene sulle nuove norme in tema di decorrenza della pensione per il personale della scuola. Dal prossimo anno, chi matura i requisiti in un anno solare, andrà in pensione dall'anno scolastico o accademico dell'anno solare seguente, e non più dall'anno scolastico o accademico dello stesso anno solare di maturazione dei requisiti (come accade oggi), cosa che resta possibile soltanto per chi maturerà i requisiti entro il prossimo 31.12.2011.
L'Inpdap spiega che nel comparto scuola rientra anche il personale dipendente da istituzioni scolastiche pubbliche non statali (per esempio scuole comunali), nonché il personale appartenente al comparto dell'alta formazione e specializzazione artistica e musicale, Afam (conservatori, accademie belle arti ecc.). Pertanto, per coloro che maturano i requisiti per il diritto a partire dall'01.01.2012, l'accesso alla pensione avverrà dal 1° settembre o 1° novembre dell'anno successivo.
La buonuscita può attendere. Per quanto riguarda i nuovi termini di pagamento delle buonuscite, poiché la novità è introdotta con una modifica della disciplina vigente dal 1997 (legge n. 140/1997), l'ambito di applicazione, spiega l'Inpdap, comprende tutte le cessazioni dal servizio e tutti i trattamenti di fine rapporto, comunque denominati, erogati dall'istituto, con le sole eccezioni stabilite dalla medesima norma di riforma. Vale a dire: lavoratori che hanno maturato i requisiti contributivi e anagrafici per il pensionamento, sia di anzianità che di vecchiaia prima del 13 agosto (data di entrata in vigore del dl di riforma); personale del comparto scuola e delle istituzioni di alta formazione artistica e specializzazione musicale, Afam.
In tabella le singole ipotesi aggiornate; alla scadenza dei singoli termini previsti, l'Inpdap è tenuta a erogare gli interessi. In sostanza, la novità è il periodo di attesa più lungo da sei a 24 mesi nei casi di prepensionamento e di cessazioni per altri motivi, nonché l'introduzione di un termine di sei mesi (prima inesistente) per i pensionamenti ordinari. Dal 13 agosto il pagamento avviene:
● entro 105 giorni dalla cessazione dal servizio per inabilità o decesso del dipendente;
● non prima di 180 e non oltre 270 giorni dal collocamento a riposo per limiti d'età o di servizio e per collocamento a riposo d'ufficio per anzianità massima di servizio, maturati dal 13 agosto (se maturati entro il 12.08.2011, il termine è di 105 giorni);
● non prima di 24 mesi e un giorno e non oltre 24 mesi e 90 giorni dalla cessazione dal servizio in ogni altra ipotesi (dimissioni, licenziamento ecc.) verificatasi dal 13 agosto (se verificatasi entro il 12.08.2011, il termine è tra 181 e 270 giorni).
Per il personale interessato dalla deroga, la buonuscita è erogata tra 181 e 270 giorni se relativa a una qualsiasi causa di cessazione; nel termine di 105 giorni se relativa al collocamento a riposo per limiti d'età o di servizio oppure per collocamento a riposo d'ufficio per anzianità massima di servizio.
L'Inpdap, infine, precisa che l'introduzione dei nuovi termini di pagamento non modifica le regole sulle modalità di erogazione rateale; pertanto, se la buonuscita supera i 90 mila euro, il pagamento della seconda ed eventuale terza rata avverrà dopo, rispettivamente, un anno e due anni dai nuovi termini (articolo ItaliaOggi del 10.11.2011 - link a www.corteconti.it).

SINDACATI

PUBBLICO IMPIEGO: DDL STABILITA’ – MAXIEMENDAMENTO MOLTO INSTABILE (CSA di Roma, nota 10.11.2011).

GURI - GUUE - BURL (e anteprima)

SICUREZZA LAVORO: G.U. 08.11.2011 n. 260 "Regolamento recante norme per la qualificazione delle imprese e dei lavoratori autonomi operanti in ambienti sospetti di inquinamento o confinanti, a norma dell’articolo 6, comma 8, lettera g), del decreto legislativo 09.04.2008, n. 81" (D.P.R. 14.09.2011 n. 177).
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Più sicurezza in silos e cisterne. In G.U. il dpr sugli ambienti confinati.
Per svolgere attività lavorativa in ambienti confinati l'azienda deve avere personale con esperienza almeno triennale (in misura non inferiore al 30% della forza lavoro), munito di specifici dispositivi di protezione individuale (maschere protettive ecc.), di attrezzature e di strumentazioni (rilevatori di gas, respiratori ecc.) idonei a prevenire i rischi di tali attività e provvedere all'addestramento all'uso corretto degli stessi.
Lo stabilisce, tra l'altro, il dpr n. 177/2011 pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 260/2011 che entrerà in vigore dal 23.11.2011.
Il provvedimento approva il regolamento per la qualificazione di imprese e lavoratori autonomi che operano in ambienti sospetti di inquinamento o confinati; sono disposizioni che restano valide in attesa della definizione del complessivo sistema di qualificazione delle imprese previsto dal T.u. sicurezza (dlgs n. 81/2008).
Tra le novità principali, il provvedimento introduce le condizioni per lo svolgimento delle attività nel settore degli ambienti sospetti di inquinamento o confinati. Infatti, possono svolgere tali attività unicamente le imprese e i lavoratori autonomi qualificati in ragione del possesso, tra l'altro, dei seguenti requisiti: integrale applicazione delle disposizioni in materia di valutazione dei rischi, sorveglianza sanitaria e misure di gestione delle emergenze; presenza di personale, in percentuale non inferiore al 30% della forza lavoro, con esperienza almeno triennale relativa a lavori in ambienti sospetti di inquinamento o confinati, assunta con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato ovvero anche con altre tipologie contrattuali o di appalto, a condizione, in questa seconda ipotesi, che i relativi contratti siano stati preventivamente certificati; avvenuta effettuazione di attività di informazione e formazione di tutto il personale, ivi compreso il datore di lavoro se impiegato per attività lavorative in ambienti sospetti di inquinamento o confinati, mirato specificamente alla conoscenza dei fattori di rischio propri di tali attività; ancora possesso di dispositivi di protezione individuale, strumentazione e attrezzature di lavoro idonei alla prevenzione dei rischi propri delle attività lavorative in ambienti sospetti di inquinamento o confinati e avvenuta effettuazione di attività di addestramento al loro corretto uso; infine rispetto delle norme, se applicabili, in materia di Durc (articolo ItaliaOggi del 10.11.2011).

NEWS

VARIAutovelox, avvisi ad almeno un chilometro.
Fuori dal centro abitato la distanza minima di un chilometro dal segnale di velocità deve essere assicurata a tutti gli utenti che si approssimano al controllo autovelox a prescindere dal tratto di strada percorso. Inoltre non trova applicazione fuori città la disciplina semplificata dei segnali a validità zonale che permetterebbero di limitare l'uso della segnaletica verticale.
Lo ha chiarito il Ministero dei trasporti con il parere 24.10.2011 n. 5234.
Con l'entrata in vigore della legge 120/2010 i controlli della velocità effettuati in sede automatica, fuori centro abitato, devono essere segnalati e ben visibili ma anche distanti almeno 1 km dall'inizio del limite di velocità.
Questa previsione è contenuta nell'art. 25 della legge di riforma del codice stradale laddove la stessa specifica che con apposito decreto saranno definite, altresì, «le modalità di collocazione e uso dei dispositivi o mezzi tecnici di controllo, finalizzati al rilevamento a distanza delle violazioni delle norme di comportamento di cui all'articolo 142 del decreto legislativo n. 285 del 1992, che fuori dei centri abitati non possono comunque essere utilizzati o installati ad una distanza inferiore a un chilometro dal segnale che impone il limite di velocità».
Per tentare di semplificare l'apposizione della necessaria segnaletica stradale di limite di velocità anche su tutte le strade laterali di avvicinamento al controllo autovelox fisso il comune di Prato ha richiesto chiarimenti al ministero, proponendo l'istituzione, fuori centro abitato, di un limite zonale senza cartelli ripetuti.
Il Dipartimento per i trasporti terrestri ha bocciato questa proposta evidenziando che i segnali a validità zonale sono previsti dalla normativa solo in relazione al limite di velocità urbano e per le zone a traffico limitato. Peraltro, prosegue l'interessante parere centrale, «se la richiesta si riferisce alla possibilità di utilizzo dei dispositivi finalizzati al rilevamento a distanza delle violazioni, si precisa che l'obbligo della distanza di almeno un chilometro dal segnale posto dopo l'intersezione non sussiste qualora la velocità massima consentita sia la stessa su tutti i rami dell'intersezione».
In buona sostanza tutti gli utenti in arrivo devono poter beneficiare della regola del chilometro prima di incappare in un controllo autovelox automatico, fuori città (articolo ItaliaOggi del 10.11.2011).

CORTE DEI CONTI

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGOMobilità per interscambio.
In conclusione, la Sezione non ritiene possibile lo scambio di dipendenti in mobilità che comporti un incremento di spesa per l'ente che abbia violato il limite massimo di incidenza della spesa di personale sulla spesa corrente dettato dall'art. 76, comma 7, della L. 133/2008 come sostituito dall'articolo 14, comma 9, della legge n. 122 del 2010, e successivamente modificato dall'art. 1, comma 118, della legge n. 220 del 2010 (Corte dei Conti, Sez. controllo Toscana, parere 08.11.2011 n. 294 - tratto da www.publika.it).

SEGRETARI COMUNALIDecurtazione compensi del Segretario Comunale incaricato delle funzioni di Direttore Generale.
In merito a quanto in oggetto, la Corte dei Conti Sez. Reg.Le Lombardia, con il parere 03.11.2011 n. 554, ritiene che:
"Il compenso connesso all'attribuzione dell'incarico di direttore generale dell'ente locale è quindi assoggettato alla previsione di cui all'art. 6, comma 3, del D.L. 78/2010...Tale ultima norma è più specifica (e deteriore) rispetto alla disciplina dettata dall'art. 9, comma 2, del D.L. 78/2010 e dunque trova applicazione esclusiva per il principio di specialità rispetto ad altre disposizioni apparentemente applicabili alla fattispecie.
Peraltro il taglio del 10 per cento sui compensi percepiti ai sensi dell'art. 6, comma 3, del D.L. 78/2010 si applica sull'intero importo della somma erogata e pertanto ha un'incidenza molto più penalizzante rispetto alla decurtazione operata dall'art. 9, comma 2, del medesimo decreto
."
"Al dualismo della posizione giuridica corrisponde il dualismo sia della posizione economica sia, in conseguenza, dei tagli che non possono essere cumulati, stante la concorrenza di due disposizioni di legge di cui una generale (art. 9, commi 1 e 2) ed un'altra speciale (art. 6, comma 3), con applicazione di quest'ultima al caso in esame" (tratto da www.publika.it).

ENTI LOCALIPiccoli Comuni: obbligo gestione associata delle funzioni.
La Corte dei Conti Sez. Reg.le Lombardia, con il parere 03.11.2011 n. 553, risponde al quesito:
se " ...il Comune istante, avente 2.250 abitanti, ove costituisca con un comune avente popolazione inferiore a 1.000 abitanti una o più convenzioni relative a tutti i servizi e funzioni pubbliche, come previsto dall'art. 16, comma 16, del D.L. 13.08.2011, n. 138 convertito in L. 14.09.2011, n. 148 sia o meno tenuto a costituire ulteriori convenzioni con altri comuni per raggiungere la quota minima di 10.000 abitanti prevista dal successivo comma 24"
come segue:
"... si ritiene che tale ente, in mancanza di espressa previsione legale e fermo il divieto di svolgere la medesima funzione con più di una forma associativa, per procedere alla stipulazione di convenzioni nei termini illustrati nel quesito, sia soggetto al rispetto della quota minima di 10.000 abitanti prevista dall'art. 16, comma 24, D.L. 138/2011, conv. in L. 148/2011" (tratto da www.publika.it).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGOLa trasformazione da full-time a part-time non è cessazione.
La Corte dei Conti Sez. Reg.le Lombardia, con il parere 28.10.2011 n. 551, in riferimento ad ente non soggetto a patto di stabilità, ritiene: "I Comuni che hanno una popolazione inferiore ai 5000 abitanti, a partire dall'01.01.2011 possono effettuare nuove assunzioni solamente per sostituire il personale cessato nell'anno precedente, sempreché la loro spesa complessiva di personale incida in misura inferiore al 40 per cento sulla spesa corrente e sia inferiore a quella sostenuta nel 2004.
... non può considerarsi cessazione la riduzione definitiva da tempo pieno a tempo parziale del dipendente, poiché una tale trasformazione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato realizzerebbe, semmai, una semplice novazione oggettiva dell'obbligazione contrattuale originariamente assunta con il dipendente in servizio, il quale continuerà ad occupare il posto in ruolo, seppure a tempo ridotto ed in altro ufficio
." (tratto da www.publika.it).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGOCompensi ISTAT e art. 9, comma 2-bis, D.L. 78/2010.
Secondo la Corte dei Conti Sez. Reg.le Lombardia, come da parere 28.10.2011 n. 550:
"Le risorse per le rilevazioni censuari sono, dunque, trasferimenti statali vincolati all'espletamento di una funzione amministrativa inderogabile, resa dall'ente locale al servizio d'interessi di portata generale.
Il contributo forfettario statale per le rilevazioni ISTAT è specificamente vincolato alle operazioni di censimento che si manifestano ciclicamente secondo la cadenza prevista dalla legge. Esso costituisce la risorsa necessaria per assicurare la puntuale esecuzione di un'attività amministrativa obbligatoria
."
"Le valutazioni circa la compatibilità delle risorse impiegate con i vincoli di finanza pubblica, sono state già effettuate 'a monte', nella determinazione compiuta a livello centrale di destinare il quantum di risorse disponibili da distribuire in ambito locale. Con riferimento a tali trasferimenti, non residua alcuna verifica di compatibilità con la disciplina vincolistica imposta agli enti locali che partecipano alle rilevazioni censuarie.
Delineato il quadro di riferimento, appare coerente con la ricostruzione giuridica prospettata, argomentare che a prescindere dalle concrete modalità di erogazione, trattandosi di finanziamenti statali a destinazione vincolata, le risorse ISTAT nel loro complesso, risultano escluse tout court dai vincoli di contenimento della spesa di personale imposti dall'art. 9, comma 2-bis, del D.L. 31.05.2010, n. 78 convertito nella legge 30.07.2010, n. 122
" (tratto da www.publika.it).

GIURISPRUDENZA

PUBBLICO IMPIEGOSanzione disciplinare e valutazione della prestazione.
Il Consiglio di Stato, Sez. VI, con sentenza 09.11.2011 n. 5914, stabilisce che sono legittime sia la sanzione disciplinare che la valutazione negativa della prestazione quando, sostanzialmente, ricorrono le condizioni di "grave negligenza in servizio" e "inosservanza dei doveri d'ufficio" per scarso numero di pratiche espletato e mancata vigilanza sull'emissione di determinati provvedimenti in tempo utile per la loro efficacia.
L'irrilevanza della condotta nel sindacato di responsabilità patrimoniale non risulta rilevante (tratto da www.publika.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Le ordinanze sindacali non possono introdurre sanzioni definitive per l’inosservanza delle prescrizioni sullo smaltimento dei rifiuti urbani.
L’art. 54, comma 4, del D.Lgs. n. 267/2000, nel testo risultante a seguito della modifica introdotta dall’art. 6 del D.L. 23/5/2008, n. 92, conv. in L. 24/07/2008, n. 125, prevedeva che: “Il sindaco, quale ufficiale del Governo, adotta con atto motivato provvedimenti, anche contingibili e urgenti nel rispetto dei princìpi generali dell’ordinamento, al fine di prevenire e di eliminare gravi pericoli che minacciano l'incolumità pubblica e la sicurezza urbana …”.
Come emerge dalla presenza nel testo riportato della locuzione “anche”, la norma attribuiva al sindaco, “al fine di prevenire e di eliminare gravi pericoli che minacciano l'incolumità pubblica e la sicurezza urbana”, due distinti poteri: quello di emanare ordinanze “contingibili ed urgenti” e quello di adottare ordinanze di ordinaria amministrazione.
Sennonché la menzionata disposizione, con sentenza della Corte Costituzionale 07/04/2011 n. 115, è stata dichiarata incostituzionale <<nella parte in cui comprende la locuzione “anche” prima delle parole “contingibili e urgenti”>>, con l’effetto di far venire meno il potere del sindaco di adottare ordinanze di ordinaria amministrazione. Ciò in quanto queste ultime, “pur non potendo derogare a norme legislative o regolamentari vigenti, si presentano come esercizio di una discrezionalità praticamente senza alcun limite, se non quello finalistico, genericamente identificato dal legislatore nell'esigenza «di prevenire e di eliminare gravi pericoli che minacciano l'incolumità pubblica e la sicurezza urbana”.
La Corte ha, infatti, “affermato in più occasioni l'imprescindibile necessità che in ogni conferimento di poteri amministrativi venga osservato il principio di legalità sostanziale, posto a base dello Stato di diritto. Tale principio non consente «l'assoluta indeterminatezza» del potere conferito dalla legge ad una autorità amministrativa, che produce l'effetto di attribuire, in pratica, una «totale libertà» al soggetto od organo investito della funzione (sentenza n. 307 del 2003; in senso conforme, ex plurimis, sentenze n. 32 del 2009 e n. 150 del 1982). Non è sufficiente che il potere sia finalizzato dalla legge alla tutela di un bene o di un valore, ma è indispensabile che il suo esercizio sia determinato nel contenuto e nelle modalità, in modo da mantenere costantemente una, pur elastica, copertura legislativa dell'azione amministrativa” (citata sent. 115/2011).
La declaratoria di illegittimità costituzionale di una norma ha, com’è noto, efficacia retroattiva nei confronti dei rapporti giuridici pendenti, con l’unico limite –che qui non rileva- dei c.d. diritti quesiti e dei c.d. rapporti esauriti (cfr. TAR Sardegna, I Sez., 25/11/2009 n. 1954; Cons. Stato, IV Sez., 11/09/2009 n. 5479).
Alla luce della citata pronuncia del giudice delle leggi, l’art. 54, comma 4, del D.Lgs. n. 267/2000, autorizzava il sindaco ad emanare esclusivamente ordinanze contingibili e urgenti, le quali però, per pacifica giurisprudenza, non possono avere contenuti normativi.
Queste ultime, infatti, oltre al carattere della contingibilità, intesa come urgente necessità di provvedere con efficacia ed immediatezza nei casi di pericolo attuale od imminente, presentano quello della provvisorietà, intesa nel duplice senso di imposizione di misure non definitive e a efficacia temporalmente limitata. Sicché non si ammette che i provvedimenti in oggetto vengano emanati per fronteggiare esigenze prevedibili e permanenti, ovvero per regolare stabilmente una situazione od assetto di interessi permanenti (TAR Campania-Napoli, V Sez., 29/12/2010, n. 28169).
Così come correttamente dedotto dalla ricorrente il Sindaco di Alghero non poteva, dunque, nell’esercizio del potere di cui al menzionato art. 54, comma 4, introdurre stabilmente una norma sanzionatoria per l’inosservanza delle prescrizioni relative alle modalità di smaltimento dei rifiuti urbani.
Da ciò l’illegittimità dell’impugnata ordinanza n. 24/2010, che a sua volta si riflette sulla successiva ordinanza dirigenziale n. 229/2010 (TAR Sardegna, Sez. I, sentenza 03.11.2011 n. 1049 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: La titolarità di precedenti concessioni non cancella l’obbligo dell’Amministrazione concedente di assoggettare a procedura comparativa le offerte presentate.
La pregressa esperienza nel noleggio di articoli da mare, ovvero la titolarità di precedenti concessioni, non può oscurare l’obbligo dell’Amministrazione concedente di assoggettare a procedura comparativa le offerte presentate, risultando solo in tal modo soddisfatto il prevalente interesse all’individuazione dell’affidatario che offra migliori garanzie di proficua utilizzazione del bene per finalità di pubblico interesse, secondo quanto prevede l’art. 37 del codice della navigazione, il quale impone l’abbandono dell’originaria valorizzazione del diritto di insistenza o di posizioni assimilabili al medesimo, a vantaggio del confronto concorrenziale tra i contenuti di più offerte, in modo da assicurare la migliore gestione possibile del bene (Cons. Stato, VI, 25/09/2009, n. 5765), in coerenza con il principio comunitario di non discriminazione. Tale principio si applica anche a materie diverse dagli appalti, essendo sufficiente che si tratti di attività suscettibile di apprezzamento in termini economici (Cons. Stato, VI, n. 3642/2008; TAR Piemonte, II, 29/11/2010, n. 4239) (TAR Toscana, Sez. III, sentenza 25.10.2011 n. 1557 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAL’ordine di demolizione non presuppone necessariamente la comunicazione di avvio del procedimento.
L’ordine di demolizione non presuppone necessariamente la comunicazione di avvio del procedimento, stante il suo carattere di atto dovuto e vincolato, basato su meri accertamenti tecnici e privo di apprezzamenti discrezionali.
Invero la giurisprudenza amministrativa ha ripetutamente precisato che gli atti repressivi di abusi edilizi hanno natura urgente e strettamente vincolata, con la conseguenza che, ai fini della loro adozione, non sono richiesti apporti partecipativi del destinatario e quindi non devono necessariamente essere preceduti dalla comunicazione di avvio del procedimento (ex multis: Cons. Stato, VI, 24/09/2010, n. 7129; TAR Puglia, Lecce, III, 09/02/2011, n. 240; TAR Campania, Napoli, IV, 13/01/2011, n. 84) (TAR Toscana, Sez. III, sentenza 25.10.2011 n. 1556 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Ai fini dell’applicazione delle sanzioni previste in materia di abusi edilizi rileva il momento in cui il Comune adotta il provvedimento sanzionatorio.
Qualora, dopo la presentazione della domanda di sanatoria edilizia, sopravvengano previsioni dello strumento urbanistico o delle relative N.T.A. che non ammettono l’intervento realizzato, quest’ultimo non può ottenere il titolo richiesto, sia perché la legittimità del provvedimento abilitativo assume necessariamente a riferimento la normativa vigente al momento della sua adozione, sia perché la finalità dell’art. 13 della legge n. 47/1985 è consentire la regolarizzazione degli abusi edilizi meramente formali, i quali cioè siano conformi alle norme urbanistiche ed edilizie e difettino del rilascio del titolo edilizio pur sussistendone i requisiti normativi, rilevando una situazione sostanziale legittimante analoga a quella del titolare della concessione edilizia.

Secondo il prevalente orientamento giurisprudenziale, al quale il Collegio ritiene di aderire, ai fini dell’applicazione delle sanzioni previste in materia di abusi edilizi rileva il momento in cui il Comune adotta il provvedimento sanzionatorio, in ossequio al principio generale tempus regit actum (TAR Piemonte, I, 05/05/2004, n. 762).
Ciò in quanto l’illecito edilizio ha natura permanente, ovvero si pone in contrasto perdurante con l’interesse al regolare assetto del territorio tutelato dal legislatore ed è connotato dall’omissione dell’obbligo, protratta nel tempo, di ripristinare lo stato dei luoghi (Cons. Stato, V, 09/02/1996, n. 152; idem, 29/04/2000, n. 2544; TAR Emilia Romagna, Bologna, II, 14/11/2005, n. 1636).
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Qualora, dopo la presentazione della domanda di sanatoria edilizia, sopravvengano previsioni dello strumento urbanistico o delle relative N.T.A. che non ammettono l’intervento realizzato, quest’ultimo non può ottenere il titolo richiesto, sia perché la legittimità del provvedimento abilitativo assume necessariamente a riferimento la normativa vigente al momento della sua adozione, sia perché la finalità dell’art. 13 della legge n. 47/1985 è consentire la regolarizzazione degli abusi edilizi meramente formali, i quali cioè siano conformi alle norme urbanistiche ed edilizie e difettino del rilascio del titolo edilizio pur sussistendone i requisiti normativi, rilevando una situazione sostanziale legittimante analoga a quella del titolare della concessione edilizia (Cons. Stato, V, 15/11/1999, n. 1914; idem, 29/05/2006, n. 3236; TAR Campania, Napoli, VI, 06/06/2007, n. 5966)
(TAR Toscana, Sez. III, sentenza 25.10.2011 n. 1550 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AMBIENTE-ECOLOGIACASSAZIONE/ Eco-danni estesi. Conta l'incremento marginale. Sentenza sulla configurabilità.
Ai fini della configurabilità oggettiva del danno ambientale ciò che rileva non è tanto il livello di inquinamento in senso assoluto, quanto il suo incremento rispetto alle condizioni originarie: è questo il principio di diritto che emerge dalla sentenza 12.10.2011 n. 36818 della Suprema corte.
Nel caso sottoposto all'attenzione degli ermellini, i responsabili civile e legale di una società autorizzata all'esercizio della discarica di rifiuti speciali inerti non pericolosi venivano condannati al pagamento di una provvisionale di 200.000,00 –oltre alle spese processuali e di rappresentanza e assistenza per la parte civile– per aver «violato le prescrizioni impartite nel provvedimento autorizzatorio», accettando che venissero recapitati rifiuti speciali tossici e nocivi, «non rispondenti alla definizione di rifiuto inerte indicata nel provvedimento autorizzatorio» stesso e per non aver provveduto a delimitare la zona adibita allo stoccaggio dei rifiuti contenenti amianto.
Ricorsi per cassazione, entrambi gli imputati lamentano –tra gli «analoghi motivi di doglianza»– l'insussistenza del danno ambientale (dal momento che la discarica è ex se un luogo inquinato) e l'erronea applicazione dell'art. 1, comma 3, del dm n. 141/2998, sulle norme per lo smaltimento in discarica dei rifiuti e per la catalogazione di quelli pericolosi: «L'accertata presenza in discarica di rifiuti di tipologia diversa e maggiormente inquinante rispetto a quella per la quale la discarica stessa era stata autorizzata», chiarisce Piazza Cavour, «è di per sé sufficiente a configurare un danno ambientale»: in una simile fattispecie trova, infatti, applicazione l'art. 300, comma 2, lett. d), del dlgs 152/2006, ai sensi del quale il danno in oggetto consisterebbe nel deterioramento, rispetto alle condizioni originarie, del terreno «mediante qualsiasi contaminazione che crei un rischio significativo di effetti nocivi sulla salute umana» a seguito dell'introduzione nel suolo o nel sottosuolo di sostanze, preparati, organismi o microrganismi nocivi per l'ambiente.
Quanto alla responsabilità del gestore, i giudici precisano che nella formulazione del testo normativo è intrinseco «un generale obbligo di controllo da assolversi con tutti i mezzi idonei»: non può considerarsi sufficiente, quindi, il mero controllo visivo (articolo ItaliaOggi del 10.11.2011).

APPALTI: Rifiuto da parte della ditta interessata di stipulare il contratto di appalto al fine di ottenere condizioni contrattuali più convenienti rispetto a quelle del bando. Provvedimenti che può adottare la P.A. appaltante.
E’ legittima la determinazione con la quale la stazione appaltante:
a) ha preso atto della rinuncia all'aggiudicazione effettuata dalla ditta vincitrice di una gara di appalto;
b) ha dichiarato la sua decadenza dall'aggiudicazione;
c) ha disposto l'escussione della polizza fideiussoria e la segnalazione telematica all'Autorità di Vigilanza contratti pubblici delle generalità della ditta stessa ai fini dell'assunzione dei conseguenti provvedimenti amministrativi sanzionatori, nel caso in cui la medesima ditta, nonostante la conoscenza di tutte le circostanze e le condizioni incidenti sull'esecuzione della prestazione in gara, la consapevole e volontaria presentazione della propria domanda di partecipazione con la relativa offerta, e la prestazione della cauzione provvisoria, si sia più volte sostanzialmente rifiutata di stipulare il contratto di appalto, condizionando la stipula alla preventiva modifica delle condizioni contrattuali in senso economicamente ad essa più conveniente e/o favorevole, rispetto a quelle originariamente fissate nel bando, accettate con la domanda di partecipazione
(massima tratta da www.regione.piemonte.it - TAR Puglia-Bari, Sez. I, sentenza 22.09.2011 n. 1373 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

PUBBLICO IMPIEGO: Stipendi, assegni ed indennità per lo svolgimento in via di fatto di mansioni di pubblico impiego.
Nel caso di svolgimento in via di fatto di mansioni di pubblico impiego, il pagamento delle differenze retributive e previdenziali spettanti va determinato alla luce dell'art. 2126 c.c.; in tal caso le prestazioni lavorative rese non possono essere retribuite mediante l'attribuzione di una paga oraria, ma mediante uno stipendio tabellare mensile lordo iniziale rapportato alle funzioni svolte, comprensivo della indennità integrativa speciale e della tredicesima mensilità, nonché degli altri elementi accessori e continuativi della retribuzione (nella specie, contributo posto, premio di produzione, ecc.), ed infine mediante erogazione della indennità di fine rapporto (Cfr. Cons. Stato, Sez. V, n. 3464/2011) (massima tratta da www.regione.piemonte.it - Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 21.09.2011 n. 5338 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Requisito della moralità professionale dell’impresa. Esclusione da una gara d’appalto per mancata dichiarazione delle sentenze penali di condanna riportate.
La mancata dichiarazione nelle gare di appalto delle sentenze penali di condanna riportate costituisce una causa autonoma di esclusione dalla gara, a prescindere dal tipo di prescrizioni contenute nel bando di gara. Tale principio va confermato anche dopo l’entrata in vigore dell’art. 46, comma 1-bis D.L.vo n. 163/2006 (entrato in vigore soltanto con riferimento ai bandi pubblicati dal 14.05.2011), introdotto dall’art. 4, comma 2, lett. d), D.L. n. 70/2011 conv. nella L. n. 106/2011, in quanto anche quest’ultima norma prevede la sanzione dell’esclusione dalla gara nel "caso di mancato adempimento alle prescrizioni previste dal presente Codice" dei contrati pubblici di cui al D.L.vo n. 163/2006 (1).
Ai fini della dichiarazione nelle gare di appalto circa il possesso del requisito della moralità professionale dell’impresa, va considerato che, per evitare la dichiarazione di una condanna perché estinta ex art. 445, comma 2, C.P.P (richiamato dallo stesso art. 38, comma 1, lett. c, D.L.vo n. 163/2006, come circostanza che esime dal dichiarare la condanna definitiva estinta ai sensi di tale art. 445, comma 2, C.P.P), risulta necessaria l’adozione di un apposito provvedimento dichiarativo del Giudice dell’esecuzione penale ex art. 676 C.P.P., in assenza del quale l’estinzione ex art. 445, comma 2, C.P.P non opera ipso jure e/o automaticamente (2).
A seguito della sentenza Corte Costituzionale 08.10.2010, n. 287, che ha dichiarato illegittimo l’art. 5, comma 2, lett. d), DPR n. 313/2002, limitatamente all’inciso "salvo che non sia stato concesso alcuno dei benefici di cui agli artt. 163 e 175 C.P.", deve ritenersi che non sussista alcun obbligo nelle gare di appalto di dichiarare quelle condanne relative "ai provvedimenti giudiziari di condanna per contravvenzioni, per le quali" era "stata inflitta" soltanto "la pena dell’ammenda" "trascorsi 10 anni dal giorno in cui la pena è stata eseguita ovvero si è in altro modo estinta", indipendentemente dal fatto che le condanne siano state accompagnate dalla concessione dei "benefici di cui agli artt. 163 e 175 C.P.", cioè rispettivamente dei benefici della sospensione condizionale della pena e della non menzione della condanna nel certificato del Casellario giudiziale.
Conseguentemente, non possono essere escluse dalle gare di appalti pubblici le imprese, le cui persone indicate dall’art. 38, comma 1, lett. c), D.L.vo n. 163/2006, non hanno dichiarato le sentenze penali di condanna definitiva per contravvenzioni, punite solo con la pena pecuniaria dell’ammenda, se entro 10 anni dall’estinzione della pena dell’ammenda non hanno compiuto altri reati (3).
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(1) Cfr. TAR Basilicata 13.06.2011, n. 360; 01.03.2011, n. 106; 20.06.2009, n. 387. Nella sentenza in rassegna si dà atto lealmente del fatto che esiste un diverso orientamento giurisprudenziale (Cons. Stato, Sez. VI sentenze 01.04.2011, n. 2018 e 04.08.2009, n. 4905), che applica ai procedimenti di evidenza pubblica, dove vige il fondamentale principio della par condicio tra i concorrenti, la teoria penalistica del cd. "falso innocuo", considerando lecite le clausole dei bandi che impongono ai concorrenti di dichiarare tutte le condanne penali definitive e, conseguentemente, ha ritenuto legittimi i relativi provvedimenti di esclusione.
Al riguardo è stato evidenziato che l’art. 4, comma 2, lett. b, n. 4, D.L. n. 70/2011 conv. nella L. n. 106/2011 statuisce espressamente l’obbligo dei concorrenti di indicare "tutte le condanne riportate", specificando che i concorrenti non sono tenuti ad indicare soltanto "le condanne per reati depenalizzati ovvero dichiarati estinti dopo la condanna stessa, né le condanne revocate, né quelle per le quali è intervenuta la riabilitazione".
(2) Giurisprudenza costante: cfr. Cass. Pen. Sez. I Sent. n. 49987 del 24.11.2009; Cass. Pen. Sez. IV Sent. n. 11560 del 27.02.2002; C.d.S. Sez. V Sent. n. 1331 del 20.03.2007; TAR Piemonte Sez. I Sent. n. 401 dell’11.02.2009; TAR Piemonte Sez. I Sent. n. 2568 del 10.10.2008; TAR Milano Sez. I Sent. n. 4062 del 15.09.2008; TAR Brescia Sent. n. 406 del 20.04.2006; TAR Toscana Sez. Sent. n. 2552 del 25.05.2005; TAR Veneto Sez. III Sent. n. 2009 del 16.05.2005.
(3) Ha precisato la sentenza in rassegnata che, dopo la citata pronuncia della Corte costituzionale, i partecipanti ad una gara di appalto pubblico non sono tenuti a dichiarare, oltre le sentenze patteggiate ex artt. 444 C.P.P., per le quali è stato ottenuto il provvedimento formale di estinzione ex art. 445, comma 2, C.P.P. da parte del Giudice Penale dell’Esecuzione, ed i provvedimenti giurisdizionali di riabilitazione ex art. 178 C.P., anche i provvedimenti giudiziari di condanna, che ai sensi dell’art. 5 DPR n. 313/2002 non devono essere iscritti nel Casellario Giudiziale e perciò anche le sentenze penali di condanna definitiva per contravvenzioni, punite solo con la pena pecuniaria dell’ammenda, se "se durante i 10 anni dall’estinzione della pena dell’ammenda il condannato non ha compiuto altri reati"
(massima tratta da www.regione.piemonte.it - TAR Basilicata, sentenza 15.09.2011 n. 472 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La nozione di nuova costruzione di cui all’art. 3 del D.P.R. n. 380/2001 (rilevante ai fini della sussistenza dell’obbligo di richiedere il permesso di costruire e l’autorizzazione paesaggistica) implica una trasformazione urbanistico-edilizia del territorio, con perdurante modifica dello stato dei luoghi, sicché si configura una nuova costruzione non solo nel caso di opere realizzate in muratura, ma anche nel caso di opere realizzate in metallo, in laminati di plastica, in legno o altro materiale, sempreché le stesse risultino preordinate a soddisfare esigenze non precarie del costruttore ed a recare un’utilità perdurante nel tempo.
Secondo una consolidata giurisprudenza (ex multis, TAR Lombardia Brescia, sez. I, 25.05.2010, n. 2143; TAR Campania Napoli, Sez. VIII, 24.04.2009, n. 2163), la nozione di nuova costruzione di cui all’art. 3 del D.P.R. n. 380/2001 (rilevante ai fini della sussistenza dell’obbligo di richiedere il permesso di costruire e l’autorizzazione paesaggistica) implica una trasformazione urbanistico-edilizia del territorio, con perdurante modifica dello stato dei luoghi, sicché si configura una nuova costruzione non solo nel caso di opere realizzate in muratura, ma anche nel caso di opere realizzate in metallo, in laminati di plastica, in legno o altro materiale, sempreché le stesse risultino preordinate a soddisfare esigenze non precarie del costruttore ed a recare un’utilità perdurante nel tempo (TAR Campania-Napoli, Sez. VII, sentenza 01.09.2011 n. 4260 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La realizzazione di un muro di contenimento lungo circa mt. 16,00 ed alto circa mt. 1,30, con relativa scala di collegamento con il terrazzamento sovrastante rientra tra gli interventi per i quali la disposizione dell’art. 167, comma 4, del decreto legislativo n. 42/2004 preclude radicalmente il rilascio dell’autorizzazione paesaggistica in sanatoria.
Contrariamente a quanto affermato dalla ricorrente, la realizzazione del muro di contenimento di cui trattasi (ndr: nello specifico, muro di contenimento lungo circa mt. 16,00 ed alto circa mt. 1,30, con relativa scala di collegamento con il terrazzamento sovrastante) rientra tra gli interventi per i quali la disposizione dell’art. 167, comma 4, del decreto legislativo n. 42/2004 preclude radicalmente il rilascio dell’autorizzazione paesaggistica in sanatoria. In particolare:
A) l’art. 146, comma 4, del decreto legislativo n. 42/2004 esclude dal divieto di rilasciare ex post l’autorizzazione paesaggistica i casi previsti dal predetto articolo 167, comma 4, costituiti -oltre che dall’impiego di materiali in difformità dall’autorizzazione paesaggistica e dai lavori comunque configurabili quali interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria- dai “lavori, realizzati in assenza o difformità dall’autorizzazione paesaggistica, che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati”, fermo restando che l’interpretazione teleologica di tale disposizione induce a ritenere che, nonostante l’utilizzo della particella disgiuntiva “o” nella frase “che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi”, il duplice riferimento alle nuove superfici utili e ai nuovi volumi costituisca un’endiadi, ossia una modalità di esprimere un concetto unitario con due termini coordinati (TAR Campania Napoli, Sez. VII, 15.12.2010, n. 27380; 03.04.2009, n. 1748).
In altri termini, la necessità di interpretare le eccezioni al divieto di rilasciare l’autorizzazione paesistica in sanatoria in coerenza con la ratio dell’introduzione di tale divieto induce a ritenere che esulino dall’eccezione prevista dall’articolo 167, comma 4, gli interventi che abbiano contestualmente determinato la realizzazione di nuove superfici utili e di nuovi volumi;
B) ciò posto in termini generali, il Collegio osserva, da un lato, che nel caso in esame la ricorrente non contesta la situazione di fatto descritta nella motivazione del provvedimento impugnato -ossia la circostanza che il muro di contenimento sia stato realizzato al fine di creare ex novo (in luogo di una preesistente scarpata) un terrazzamento, mediante il riporto di terreno- e, dall’altro, che un intervento di tal genere non può non essere incluso tra quelli per i quali è radicalmente precluso il rilascio dell’autorizzazione paesaggistica in sanatoria, perché la costruzione del terrazzamento ha determinato, contestualmente, la realizzazione di una nuova superficie utile, in quanto destinata alla coltivazione (come implicitamente ammette la stessa ricorrente quando riconduce l’intervento di cui trattasi tra quelli di “riordino colturale”), e di nuovo volume, costituito dal terrapieno ottenuto mediante il riporto di terreno
(TAR Campania-Napoli, Sez. VII, sentenza 01.09.2011 n. 4260 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: L’Amministrazione comunale non è tenuta ad individuare l’effettivo proprietario dell’area sulla quale viene realizzato l’abuso edilizio perché, qualora tale soggetto non corrisponda con l’autore materiale dell’abuso, l’ordine di demolizione può essere notificato anche esclusivamente all’autore materiale dell’abuso, fermo restando che l’estraneità del proprietario dell’area alla realizzazione dell’abuso comporta che l’ordine di demolizione non può costituire titolo per l’acquisizione gratuita al patrimonio comunale dell’area di sedime sulla quale insistono le opere abusive.
Da un confronto tra le due disposizioni dell’art. 31 del D.P.R. n. 380/2001 in precedenza richiamate emerge che, mentre il comma 2 indica come destinatari dell’ordine di demolizione il proprietario e il responsabile dell’abuso, il successivo comma 3 si rivolge soltanto al responsabile dell’abuso sul presupposto che questi abbia la disponibilità dell’area ove insistono le opere abusive e, quindi, sia in condizione di eseguire spontaneamente la demolizione. Pertanto, qualora il proprietario del fondo sia un soggetto diverso dal responsabile dell’abuso, l’acquisizione gratuita (essendo una sanzione prevista per il caso dell’inottemperanza all’ingiunzione di demolire) si verifica senz’altro nei confronti del responsabile dell’abuso che non esegua spontaneamente la demolizione nel termine assegnatogli, mentre il proprietario dell’area (che non può eseguire spontaneamente la demolizione perché non ha la disponibilità dell’area) può evitare che l’effetto acquisitivo operi anche nei suoi confronti dimostrando, in modo inequivocabile, la sua completa estraneità al compimento dell’opera abusiva o che, essendone egli venuto a conoscenza (ad esempio attraverso la notifica dell’ordine di demolizione), si sia adoperato per impedirlo con gli strumenti previsti dall’ordinamento.
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La mancata notifica dell’ordine di demolizione al proprietario del fondo, laddove questi sia un soggetto diverso dal responsabile dell’abuso, non incide né sulla legittimità dell’ordine di demolizione (posto che la notifica di un provvedimento al suo destinatario attiene alla cosiddetta fase integrativa dell’efficacia), né sulla idoneità dell’ordine di demolizione (se ritualmente notificato al responsabile dell’abuso) a costituire il presupposto per il verificarsi dell’effetto acquisitivo anche nei confronti del proprietario del fondo, laddove questi non abbia dimostrato la sua completa estraneità alla realizzazione dell’opera abusiva o che, essendone egli venuto a conoscenza aliunde, si sia adoperato per impedirla con gli strumenti previsti dall’ordinamento.
Infatti ciò che determina l’inefficacia relativa (nei confronti del proprietario del fondo) del provvedimento di acquisizione gratuita non è la mancata notifica dell’ordine di demolizione al proprietario del fondo, bensì la dimostrazione della sua completa estraneità alla realizzazione dell’opera abusiva o della sua attivazione per impedirla con gli strumenti offertigli dall’ordinamento.
L’art. 31 del D.P.R. n. 380/2001 prevede (al secondo comma) che “il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale, accertata l’esecuzione di interventi in assenza di permesso, in totale difformità dal medesimo, ovvero con variazioni essenziali, determinate ai sensi dell’articolo 32, ingiunge al proprietario e al responsabile dell’abuso la rimozione o la demolizione, indicando nel provvedimento l’area che viene acquisita di diritto, ai sensi del comma 3” e (al successivo comma 3) che “se il responsabile dell’abuso non provvede alla demolizione e al ripristino dello stato dei luoghi nel termine di novanta giorni dall’ingiunzione, il bene e l’area di sedime, nonché quella necessaria, secondo le vigenti prescrizioni urbanistiche, alla realizzazione di opere analoghe a quelle abusive sono acquisiti di diritto gratuitamente al patrimonio del comune. L’area acquisita non può comunque essere superiore a dieci volte la complessiva superficie utile abusivamente costruita”.
In ragione di tale disciplina, secondo una consolidata giurisprudenza (ex multis, TAR Lazio Roma, Sez. I-quater, 07.03.2011, n. 2031; TAR Lazio Roma, Sez. II-ter, 03.07.2007, n. 5968), l’Amministrazione comunale non è tenuta ad individuare l’effettivo proprietario dell’area sulla quale viene realizzato l’abuso edilizio perché, qualora tale soggetto non corrisponda con l’autore materiale dell’abuso, l’ordine di demolizione può essere notificato anche esclusivamente all’autore materiale dell’abuso, fermo restando che l’estraneità del proprietario dell’area alla realizzazione dell’abuso comporta che l’ordine di demolizione non può costituire titolo per l’acquisizione gratuita al patrimonio comunale dell’area di sedime sulla quale insistono le opere abusive.
Tale orientamento discende dalla pronuncia con cui la Corte costituzionale (sentenza n. 345 del 15.07.1991) ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale relativa alla disposizione dell’art. 7, comma 3, della legge n. 47/1985 (oggi integralmente riprodotta nell’art. 31, comma 3, del D.P.R. n. 380/2001), evidenziando che «l’acquisizione gratuita dell’area non è … una misura strumentale, per consentire al Comune di eseguire la demolizione, né una sanzione accessoria di questa, ma costituisce una sanzione autonoma che consegue all’inottemperanza all’ingiunzione, abilitando poi il sindaco ad una scelta fra la demolizione di ufficio e la conservazione del bene, definitivamente già acquisito, in presenza di “prevalenti interessi pubblici”, il che significa per la destinazione a fini pubblici, sempre che l’opera non contrasti con rilevanti interessi urbanistici o ambientali.
Da quanto precede deve dedursi che, essendo l’acquisizione gratuita una sanzione prevista per il caso dell’inottemperanza all’ingiunzione di demolire, essa, come risulta dalla stessa formulazione del terzo comma dell’art. 7 della legge in questione, si riferisce esclusivamente al responsabile dell’abuso, non potendo di certo operare (come avviene talvolta per la confisca, quando questa costituisce misura accessoria di altra sanzione o misura strumentale diretta ad impedire l’ulteriore produzione dell’illecito o l’utilizzazione dei proventi di questo) nella sfera di altri soggetti e, in particolare, nei confronti del proprietario dell’area quando risulti, in modo inequivocabile, la sua completa estraneità al compimento dell’opera abusiva o che, essendone egli venuto a conoscenza, si sia adoperato per impedirlo con gli strumenti offertigli dall’ordinamento.
L’essere la sanzione dell’acquisizione dell’area ispirata dall’intento di costringere il responsabile dell’abuso ad eseguire egli stesso la demolizione nel termine stabilito dall’ingiunzione, esclude, anche sotto altro profilo, che essa possa colpire il proprietario estraneo all’esecuzione dell’opera, perché se fosse vero il contrario si sarebbe in presenza di una sanzione inidonea ad assolvere alla funzione di prevenzione speciale in vista della quale è comminata, in quanto tale comminatoria non potrebbe esercitare alcuna coazione sul responsabile dell’abuso per costringerlo ad eseguire la demolizione
»;
Oltre a quanto precede, il Collegio osserva che da un confronto tra le due disposizioni dell’art. 31 del D.P.R. n. 380/2001 in precedenza richiamate emerge che, mentre il comma 2 indica come destinatari dell’ordine di demolizione il proprietario e il responsabile dell’abuso, il successivo comma 3 si rivolge soltanto al responsabile dell’abuso sul presupposto che questi abbia la disponibilità dell’area ove insistono le opere abusive e, quindi, sia in condizione di eseguire spontaneamente la demolizione. Pertanto, qualora il proprietario del fondo sia un soggetto diverso dal responsabile dell’abuso, l’acquisizione gratuita (essendo una sanzione prevista per il caso dell’inottemperanza all’ingiunzione di demolire) si verifica senz’altro nei confronti del responsabile dell’abuso che non esegua spontaneamente la demolizione nel termine assegnatogli, mentre il proprietario dell’area (che non può eseguire spontaneamente la demolizione perché non ha la disponibilità dell’area) può evitare che l’effetto acquisitivo operi anche nei suoi confronti dimostrando, in modo inequivocabile, la sua completa estraneità al compimento dell’opera abusiva o che, essendone egli venuto a conoscenza (ad esempio attraverso la notifica dell’ordine di demolizione), si sia adoperato per impedirlo con gli strumenti previsti dall’ordinamento.
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Quanto al secondo motivo -incentrato sulla violazione l’art. 31, comma 4, del D.P.R. n. 380/2001 e volto a censurare la circostanza che il provvedimento di acquisizione gratuita al patrimonio comunale non sia stato notificato al proprietario del fondo- il Collegio osserva che la mancata notifica dell’ordine di demolizione al proprietario del fondo, laddove questi sia un soggetto diverso dal responsabile dell’abuso, non incide né sulla legittimità dell’ordine di demolizione (posto che la notifica di un provvedimento al suo destinatario attiene alla cosiddetta fase integrativa dell’efficacia), né sulla idoneità dell’ordine di demolizione (se ritualmente notificato al responsabile dell’abuso) a costituire il presupposto per il verificarsi dell’effetto acquisitivo anche nei confronti del proprietario del fondo, laddove questi non abbia dimostrato la sua completa estraneità alla realizzazione dell’opera abusiva o che, essendone egli venuto a conoscenza aliunde, si sia adoperato per impedirla con gli strumenti previsti dall’ordinamento.
Infatti ciò che determina l’inefficacia relativa (nei confronti del proprietario del fondo) del provvedimento di acquisizione gratuita non è (come invece sostenuto dalla società ricorrente) la mancata notifica dell’ordine di demolizione al proprietario del fondo, bensì la dimostrazione della sua completa estraneità alla realizzazione dell’opera abusiva o della sua attivazione per impedirla con gli strumenti offertigli dall’ordinamento.
Ne consegue che la ricorrente (indipendentemente dal rilievo della sua qualità di procuratrice generale del marito) non ha alcun motivo di dolersi del fatto che il provvedimento di cui trattasi non sia stato notificato a questi, in quanto effettivo proprietario dl fondo
(TAR Campania-Napoli, Sez. VII, sentenza 01.09.2011 n. 4260 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTICONTRIBUTO DI GARA.
"L'unica prescrizione imposta dalla legge, ai fini dell'ammissibilità dell'offerta, è l'effettivo versamento del contributo, restando del tutto irrilevante le modalità, attraverso le quali tale versamento viene di fatto eseguito. Deve, conseguentemente, ritenersi illegittima la clausola del disciplinare di gara che impone, a pena di esclusione, l'osservanza di specifiche modalità del versamento anzidetto, così attribuendo rilievo a condotte non espressamente previste dalla legge e oltretutto violando il generale principio del favor partecipationis" (TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez. I, sentenza 08.07.2011 n. 591).
In relazione alle concrete modalità di versamento dell'illustrato contributo di gara, è intervenuta, alla fine dello scorso anno, un'interessante pronuncia (TAR Toscana, Sez. I, sentenza 16.12.2010 n. 6770). I giudici amministrativi toscani, in tale occasione, hanno posto in collegamento le modalità di corresponsione con il ben noto principio di proporzionalità ed hanno, significativamente, affermato che non appare conforme al medesimo "la clausola del bando di gara, prescrivente l'esclusione dell'impresa, che non osservi le previste modalità di corresponsione del contributo di gara. Infatti, la sanzione dell'espulsione dalla gara appare eccessiva e non proporzionata rispetto all'obiettivo di garantire il pagamento del dovuto contributo, dal momento che il pagamento medesimo è stato effettuato con tempestività, seppur con mezzo irregolare in quanto diverso da quelli contemplati".
In altri termini, è stato ben chiarito che le modalità di pagamento non possono che afferire ad elementi del tutto formali ed estranei alla finalità dell'istituto del contributo di gara.
Di conseguenza, tali concrete modalità devono essere attentamente verificate, ai fini della loro congruità e ragionevolezza, attraverso il filtro del principio di proporzionalità, il quale impone di tener conto dei seguenti due elementi di valutazione:
a) adeguamento del potere al fine da raggiungere;
b) realizzazione del fine con il minor pregiudizio degli interessi coinvolti.
In altri termini, occorre verificare se:
- la decisione amministrativa risulta funzionale rispetto alle finalità perseguite dalla Pubblica amministrazione e, quindi, adeguata rispetto alla funzione;
- se la medesima non risulti, ad ogni modo, eccessiva nella misura, cioè spropositata rispetto al perseguimento dell'interesse pubblico primario e tale da sacrificare "troppo" ed in modo ingiustificato gli altri interessi coinvolti nella procedura amministrativa.
La pronuncia in esame perviene ai medesimi approdi ermeneutici, raggiunti dal Tar Toscana, attraverso una diversa impostazione, che trae forza e linfa argomentativa dal primato dell'effettività.
Il Tar Bologna, primariamente, evidenzia che anche il Codice dei contratti pubblici (D.Lgs. n. 163/2006), al comma 12°, dell'articolo 8, conferma, seppur indirettamente, che il contributo di gara costituisce l'esclusivo strumento di finanziamento, per garantire l'attuazione dei suoi compiti istituzionali, stante l'espresso divieto di porre nuovi o maggiori oneri a carico del bilancio dello Stato.
Chiarita l'assoluta importanza, anche in sede meta-giuridica, del contributo, il Tar Bologna riconsidera il già illustrato articolo 1, comma 67, della legge n. 266/2005, ove, in modo inequivoco, si stabilisce che il contributo medesimo costituisce una condizione di ammissibilità dell'offerta, nell'ambito delle procedure di gara.
Ma, è ciò rappresenta la fondamentale domanda, cos'è che realmente costituisce "condizione di ammissibilità"? L'intervenuto pagamento, comunque e tempestivamente effettuato od il pagamento effettuato mediante determinate modalità?
E' questo il "cuore" centrale del problema, che, da qualche anno, la giurisprudenza sta affrontando. Si è detto prima che il Tar Toscana ha affrontato e risolta le indicate questioni, facendo un corretto e condivisibile utilizzo del principio di proporzionalità.
Il Tar Bologna, nella sentenza in esame, si dimostra "maggiormente diretto", nel senso che perviene ai punti nodali della questione, senza alcuna intermediazione. Ad avviso dei giudici amministrativi bolognesi, "l'unica prescrizione imposta dalla legge ai fini dell'ammissibilità dell'offerta, è l'effettivo versamento del contributo, restando del tutto irrilevante le modalità attraverso le quali tale versamento viene di fatto eseguito".
Gli importanti esiti ermeneutici, ricompresi in tale statuizione, possono essere così riassunti:
a) la normativa di settore impone solo l'effettivo versamento del contributo di gara;
b) le concrete modalità di corresponsione sono irrilevanti.
La conseguenza logica di tale impostazione è ovvia: ciò che è importante è che il contributo sia stato effettivamente corrisposto ed in modo tempestivo, cioè entro il termine di presentazione delle offerte. Se l'operatore economico comprova tale effettivo e tempestivo pagamento, non può, in alcun modo, procedersi all'esclusione, in quanto sono irrilevanti le modalità di pagamento, seppur previste (in modo irragionevolmente sbagliato) come "esclusive" in sede di disciplinare di gara.
Sulla base di tali condivisibili argomentazioni, il Tar Bologna qualifica come illegittima la clausola del disciplinare di gara, che impone, a pena di esclusione, l'osservanza di specifiche modalità del versamento anzidetto, in quanto attribuisce "rilievo a condotte non espressamente previste dalla legge e oltretutto violando il generale principio del favor partecipationis" (tratto dalla newsletter di www.centrostudimarangoni.it - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIREGOLARIZZAZIONE DOCUMENTALE.
"L'articolo 46 del Codice dei contratti pubblici (D.Lgs. n. 163/2006) ed il relativo dovere di soccorso alle imprese non è invocabile, quando la procedura di gara è prevenuta alla fase di valutazione dell'offerta. Invero, il perimetro applicativo del citato articolo resta circoscritto e contenuto alla fase della prequalificazione, atteso che la norma dispone che la stazione appaltante invita i concorrenti a chiarire il contenuto di dichiarazioni o documenti presentati in sede di offerta ed è doverosamente delimitato temporalmente e confinato alla fase nella quale l'Amministrazione deve ammettere alla gare le imprese. Viceversa, la norma non può trovare applicazione per interpretare, chiarire, completare dati afferenti alla successiva fase dell'offerta in senso proprio, pena la violazione della par condicio" (TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 06.07.2011 n. 739).
Quando il Tar parla della "prequalificazione" intende riferirsi alla fase, preliminare all'apertura del plico contenente l'offerta, in cui si effettua l'esame della completezza e della validità delle previste autodichiarazioni e presentazioni di documenti. Allora, solo in tale fase, ad avviso dei giudici piemontesi, è possibile "completare o fornire chiarimenti in ordine al contenuto dei certificati, documenti e dichiarazioni presentati".
Nella successiva fase, cioè quella dell'apertura e della valutazione dell'offerta, la regolarizzazione non è più possibile. Orbene, anche alla luce delle precedenti sentenze riportate, occorre prendere atto che si è in presenza di un orientamento, confermato anche dalla pronuncia in esame, diretto ad operare una diversa restrizione del potere di regolarizzazione. Non più solo chiarificazione di documenti già presentati e divieto di integrazione, ma limitazione della portata prescrittiva dell'intera disposizione normativa alla sola fase della "prequalificazione", cioè quella antecedente all'apertura del plico contenente l'offerta.
Invero, deve osservarsi che il 1° comma dell'articolo 46 del Codice fa riferimento al "contenuto dei certificati, documenti e dichiarazioni presentati". Ora, dal momento che anche l'offerta sembra costituire una "dichiarazione", per cui potrebbe agevolmente rientrare nell'alveo precettivo della norma in esame, l'orientamento giurisprudenziale indicato opera una significativa esegesi della disposizione, che sembra travalicare l'elemento puramente letterale (tratto dalla newsletter di www.centrostudimarangoni.it - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTISUBAPPALTO.
Nelle gare per l'aggiudicazione di appalti pubblici, la dichiarazione resa dalla ditta appaltante all'atto della presentazione dell'offerta, secondo cui la stessa si riserva di subappaltare alcuni lavori in caso di aggiudicazione, costituisce un presupposto essenziale, non ai fini della partecipazione alla gara, ma in vista della successiva autorizzazione della stazione appaltante.
In ogni caso, l'indicazione delle imprese subappaltatrici deve essere effettuata in sede di deposito del contratto presso la stazione appaltante, e non in corso di esecuzione del contratto (TAR Lazio-Roma, Sez. III, sentenza 01.07.2011 n. 5806 - tratto dalla newsletter di www.centrostudimarangoni.it - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIINTERPRETAZIONE CLAUSOLE BANDO DI GARA.
In tema di interpretazione delle clausole di un bando di gara, è evidente che un corretto rapporto tra amministrazione e privato, rispettoso dei principi generali di buon andamento dell'azione amministrativa, di imparzialità e di correttezza, impone che il bando contenga regole chiare, in modo da evitare equivoci ed ambigue interpretazioni.
Tuttavia, a chi partecipa ad una gara, in quanto operatore del settore e, quindi, soggetto qualificato, si richiede una lettura complessiva e globale delle regole della medesima, in modo da poter pervenire ad una interpretazione sistematica di tutte le clausole (TAR Campania-Napoli, Sez. VII, sentenza 24.06.2011 n. 3387 - tratto dalla newsletter di www.centrostudimarangoni.it - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AGGIORNAMENTO AL 10.11.2011

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DOTTRINA E CONTRIBUTI

APPALTI: C. Contessa, L’abuso delle clausole escludenti nelle pubbliche gare e i suoi possibili rimedi: un ritorno alla disapplicazione? (link a www.giustizia-amministrativa.it).

CORTE DEI CONTI

INCARICHI PROFESSIONALI - PUBBLICO IMPIEGOP.a., la negligenza costa. Incarichi al buio, si paga il doppio dei compensi. La Corte conti della Sicilia richiama le amministrazioni alla trasparenza.
Se un ente pubblico conferisce legittimamente un incarico a un dipendente statale, è tenuto a comunicare all'amministrazione di appartenenza del citato dipendente, ai sensi dell'art. 53, comma 11, del dlgs n. 165/2001, anche l'ammontare dei compensi erogati. In caso di omissione, infatti, scatta la sanzione pari al doppio degli emolumenti percepiti e questo costituisce danno erariale a carico dei vertici dell'ente inadempiente, in quanto indice della negligenza a percepire la sussistenza di un obbligo di legge, previsto in una disposizione di agevolissima interpretazione.
È quanto ha messo nero su bianco la sezione giurisdizionale della Corte dei conti siciliana, nel testo della sentenza 26.10.2011 n. 3488, con cui ha condannato presidente e direttore generale di un'autorità d'ambito ottimale a rifondere le stesse casse dell'ente, del danno pari alla sanzione pagata per la violazione relativa all'omessa comunicazione dei compensi percepiti da un dipendente pubblico cui era stato conferito un incarico di esperto amministrativo.
La norma sopra richiamata, infatti, prevede che «entro il 30 aprile di ciascun anno, i soggetti pubblici o privati che erogano compensi a dipendenti pubblici per incarichi, sono tenuti a dare comunicazione all'amministrazione di appartenenza dei dipendenti stessi dei compensi erogati nell'anno precedente».
Norma, questa, di strettissima e rigorosa interpretazione che prevede un altrettanto rigoroso sistema sanzionatorio in caso di inosservanza. Ne è prova l'articolo 6, comma 1, del dl n. /97 ove si prevede che «nei confronti dei soggetti pubblici che non comunicano l'ammontare degli emolumenti o che si avvalgano di prestazioni di lavoro autonomo o subordinato rese dai dipendenti pubblici senza autorizzazione dell'amministrazione di appartenenza, oltre alle sanzioni per le eventuali violazioni tributarie o contributive, si applica una sanzione pecuniaria pari al doppio degli emolumenti corrisposti sotto qualsiasi forma a dipendenti pubblici».
È questo ciò che è avvenuto nella vicenda sottoposta al giudizio della Corte siciliana. Che non ha avuto dubbi nel decidere per la condanna dell'ex presidente e del direttore generale dell'autorità d'ambito. Secondo la Corte, infatti, nel caso di enti collettivi, in mancanza della formalizzazione sulla ripartizione delle competenze, l'obbligo di effettuare una comunicazione è riferibile a quei soggetti che, per l'ufficio ricoperto, hanno il potere di amministrare e rappresentare l'ente. Soggetti che hanno messo in pratica una condotta negligente (quindi con colpa grave, tale da generare l'inutile esborso) in quanto l'adempimento, consistente in un'azione di agevolissima realizzazione, era (ed è) imposto da una norma chiara, inidonea a dar luogo a dubbi interpretativi. Nella norma di legge non è alcun margine di discrezione e la semplicità dell'adempimento richiesto ha indotto la Corte a ritenere che l'omissione della comunicazione «integra un negligente esercizio di compiti istituzionali la cui gravità configura la responsabilità amministrativa».
Ad avviso della Corte, si legge nella sentenza, non può essere ignorato che del danno sono stati chiamati a rispondere due soggetti, professionalmente molto qualificati, che ricoprivano posizioni apicali nell'organigramma aziendale. L'assunzione di tali uffici, nell'ambito di una società di significativa consistenza, è «indice inequivocabile della capacità dei soggetti chiamati a ricoprirli, di percepire la sussistenza di un obbligo di legge, previsto in una disposizione di agevolissima interpretazione e di assumere le conseguenti iniziative per assicurare il rispetto di tale obbligo» (articolo ItaliaOggi dell'08.11.2011 - link a www.corteconti.it).

QUESITI & PARERI

AMBIENTE-ECOLOGIA: I produttori di rifiuti speciali pericolosi devono iscriversi al SISTRI indipendentemente dal numero di dipendenti impiegati? (09.11.2011 - link a www.ambientelegale.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Come è regolata la movimentazione di rifiuti da attività di manutenzione riguardo al SISTRI? (09.11.2011 - link a www.ambientelegale.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Come si configura il divieto di miscelazione di rifiuti? (09.11.2011 - link a www.ambientelegale.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Chi è obbligato alla messa in sicurezza e ripristino ambientale dei siti inquinati? (09.11.2011 - link a www.ambientelegale.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Il deposito temporaneo di rifiuti che superi le quantità consentite configura abbandono di rifiuti? (09.11.2011 - link a www.ambientelegale.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Albo Pretorio online.
E' obbligatorio pubblicare sul sito le determinazioni dei Responsabili di servizio?
Domanda.
Come è noto, dall'01.01.2011, in forza dell'art. 32 della L. 18-06-2009, n. 69 -legge recante "Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività nonché in materia di processo civile" e che ha tra le sue finalità l'eliminazione degli sprechi- è entrato in vigore l'Albo Pretorio online, ovvero l'obbligo per le P.A. di pubblicare sul proprio sito Internet (o su quello di altre Amministrazioni affini o associazioni) tutte le notizie e gli atti amministrativi che necessitano di pubblicità legale.
In virtù di tale obbligo, dall'inizio del 2011 le pubblicazioni effettuate su carta non hanno più valore legale, mentre solo per gare (procedure ad evidenza pubblica) e Bilanci l'obbligo scatta dall'01.01.2013 (per quanto riguarda quest'ultimo punto, la relativa regolamentazione è fissata dal D.P.C.M. 26-04-2011).
Risposta.
Tradizionalmente l'Albo Pretorio è il luogo nel quale vengono affissi tutti gli atti per i quali la legge impone la pubblicazione in quanto debbono essere portati a conoscenza del pubblico, come condizione necessaria per acquisire efficacia e quindi produrre gli effetti previsti. L'art. 32 della L. 18-06-2009, n. 69, dunque, sancisce il passaggio da un regime di pubblicità legale realizzata mediante l'affissione degli atti in un luogo fisico (ad es. l'Albo Pretorio) ad un regime che all'uopo prevede un luogo virtuale (il sito istituzionale).
In linea di massima, pertanto, le regole del funzionamento dell'Albo sono rimaste invariate, in quanto ciò che è cambiato è solo lo strumento impiegato: semplificando, in luogo del documento stampato e affisso nello spazio dedicato all'Albo Pretorio c'è ora un sito web. La pubblicazione di un documento online è un atto indipendente dalla produzione del documento stesso - come si legge dal "Vademecum 2011 - Modalità di pubblicazione dei documenti nell'Albo online", reso disponibile dal Ministero per l'Innovazione della P.A. al seguente indirizzo Internet: http://www.innovazionepa.gov.it.
Infatti:
- la responsabilità della formazione dell'atto soggetto a pubblicità legale è del Responsabile del procedimento che ha generato l'atto, cioè la persona a capo dell'Ufficio o del Servizio che ha le competenze per materia;
- la responsabilità della pubblicazione online, invece, è del Responsabile del procedimento di pubblicazione come individuato dalla Direttiva n. 8/2009 del Ministro per la Pubblica Amministrazione e l'Innovazione.
Oggetto della pubblicazione sono, dunque, tutti gli atti amministrativi a cui deve essere data pubblicità legale: deliberazioni, ordinanze, determinazioni, avvisi, manifesti, gare, concorsi e altri atti del Comune e di altri Enti Pubblici.
Venendo più nello specifico a quanto chiesto nel quesito, pertanto, a parere della scrivente, anche le determinazioni dei Responsabili di servizio devono essere pubblicate sul sito dell'Ente. Come si evince, infatti, anche dalla passata Giurisprudenza la pubblicazione all'Albo Pretorio del Comune (disciplinata in precedenza dall'art. 124, D.Lgs. 18-08-2000, n. 267) è prevista "per tutte le deliberazioni del Comune e della Provincia ed essa riguarda non solo le deliberazioni degli organi di governo (Consiglio e Giunta municipali) ma anche le determinazioni dirigenziali, esprimendo la parola "deliberazione" "ab antiquo" sia risoluzioni adottate da organi collegiali che da organi monocratici ed essendo l'intento quello di rendere pubblici tutti gli atti degli Enti Locali di esercizio del potere deliberativo, indipendentemente dalla natura collegiale o meno dell'organo emanante (V. Corte cost., 01.06.1979, n. 38 e n. 39 e Cons. Stato Sez. IV, 06.12.1977, n. 1129)" [Cons. Stato Sez. V, 15.03.2006, n. 1370].
Le determinazioni sono atti a struttura bivalente, nel senso che sono atti amministrativi -che seguono un certo iter istruttorio- e atti di gestione -rispondenti a degli obiettivi che l'apparato amministrativo deve raggiungere.
La determina ha valenza giuridica nel momento della sottoscrizione da parte del Responsabile del servizio -pertanto, la pubblicazione nell'Albo ha fini di pubblicità e trasparenza dell'atto- a differenza delle deliberazioni le quali assumono valenza giuridica a seguito della pubblicazione, in difetto della quale l'atto non è esecutivo.
La pubblicazione, dunque, per gli atti amministrativi per la quale è necessaria, segna il normale termine decadenziale per ricorrere. Infatti, secondo l'art. 21, comma 1, della L. 06-12-1971, n. 1034, nel testo novellato dalla L. 21-07-2000, n. 205, in tutti i casi in cui non sia necessaria la notificazione individuale del provvedimento e sia al contempo prescritta da una norma di legge o di regolamento la pubblicazione dell'atto in un apposito albo, il termine per proporre l'impugnazione decorre dal giorno in cui sia scaduto il periodo della pubblicazione.
Concludendo si ritiene che la pubblicazione all'Albo Pretorio online del Comune sia prevista per tutte le deliberazioni dell'Ente, non solo quelle degli organi di governo (Consiglio e Giunta municipali) ma anche le determinazioni dirigenziali, in quanto la finalità legislativa è quella di rendere pubblici tutti gli atti degli Enti Locali di esercizio del potere deliberativo, indipendentemente dalla natura collegiale o meno dell'organo emanante. Alla stregua di ciò, peraltro, si ritiene che tale obbligo debba essere assolto pubblicando integralmente l'atto e non come accaduto in alcuni casi limitandosi a pubblicarne i soli estremi.
Una serie di utili indicazioni in tema di Albo pretorio online può essere reperita sul sito dell'iniziativa governativa "URP degli URP" al seguente indirizzo: http://www.urp.gov.it (08.11.2011 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AMBIENTE-ECOLOGIAGestione dei rottami metallici.
Quali sono le corrette modalità di gestione dei rottami metallici?

Il 09.10.2011 è entrato in vigore il Regolamento (Ue) 333/2011, che stabilisce i criteri che determinano quale e quando il rottame metallico, sia esso di ferro, di acciaio o di alluminio (incluse le leghe di quest'ultimo), cessa di essere considerato e classificato come rifiuto (si veda anche Direttiva 2008/98/Ce) e se sia definibile come «materia prima seconda» e, come tale, possa essere inserito nuovamente nei cicli produttivi.
Questo può avvenire solamente quando l'organizzazione garantisce che il rottame metallico in oggetto, ottenuto da un'operazione di recupero, soddisfi i requisiti tecnici dell'industria metallurgica, sia conforme alla legislazione e alle norme vigenti applicabili al prodotto, non comporti ripercussioni generali negative sull'ambiente e sulla salute umana. La normativa in oggetto riguarda sia le imprese che si occupano di recupero di rottami, sia quelle che generano scarti metallici.
Tra gli elementi essenziali per comprendere l'applicabilità della normativa in oggetto, si citano a titolo esemplificativo e non esaustivo:
- le definizioni di «detentore» (persona fisica o giuridica che è in possesso dei rottami metallici), «produttore» (detentore che cede a un altro detentore i rottami metallici che per la prima volta hanno cessato di essere considerati rifiuti), «partita» (lotto di rottami metallici destinato a essere spedito da un produttore a un altro detentore e che può essere contenuto in una o più unità di trasporto);
- i criteri di analisi e di classificazione dei rottami metallici sono definiti e devono essere applicati coerentemente agli allegati I e II della normativa in oggetto;
- la dichiarazione di conformità: il detentore deve redigere una dichiarazione di conformità conforme al modello contenuto nell'allegato III della normativa in oggetto e deve, coerentemente al ruolo, fornirla alle parti interessate, conservarla, ecc.;
- il sistema di gestione qualità: il produttore, che aderisce alla normativa in oggetto, deve progettare, applicare, mantenere e migliorare un sistema di gestione qualità, del tutto simile (o integrabile) al modello Uni En Iso 9001:2008 (anche se la norma non è richiamata espressamente), caratterizzato, a titolo di esempio, da:
● definizioni, adozione dei criteri, gestione della dichiarazione di conformità ecc., conformi/e ai suddetti requisiti, disposizioni verso i fornitori per i processi, prodotti e servizi affidati (§ 4.1, 7.4.1, 7.4.2),
● controllo in accettazione dei rifiuti utilizzati come materia da recupero (§ 7.4.2, 7.4.3, 8.2.4),
● monitoraggio dei processi e delle tecniche di trattamento (§ 7.5.1, 7.5.2, 8.2.4),
● monitoraggio delle caratteristiche qualitative del rottame metallico ottenuto dall'operazione di recupero (§ 7.6, 8.2.4),
● efficacia del monitoraggio delle radiazioni (§ 7.6, 8.2.4, 8.2.3, 8.4),
● gestione delle osservazioni dei clienti sulla qualità del rottame metallico (§ 7.2.3, 8.5.2),
● gestione dell'identificazione e della rintracciabilità del rottame metallico (§ 7.5.3),
● formazione al personale (§ 6.2.2),
● revisione e miglioramento del sistema di gestione (§ 5.6, 8.2.2, 8.4 e 8.5),
● registrazioni del sistema di gestione (§ 4.2.4, 8.2.4);
● il produttore può richiedere il riconoscimento del proprio sistema di gestione da parte di un organismo preposto alla valutazione della conformità, conforme alla normativa indicata nel Regolamento in oggetto.
Quanto riportato non è da considerarsi come esaustivo di tutti i requisiti del Regolamento (Ue) 333/2011, a cui si rimanda per approfondimenti (articolo ItaliaOggi Sette del 07.11.2011).

NEWS

ENTI LOCALI - VARII PROVVEDIMENTI PER LO SVILUPPO/ I terreni agricoli venduti a tutti. Stop al vincolo di età. Vendibile anche terra di parco protetto. Lo stato potrà trattare direttamente con l'acquirente.
Anche lo stato, attraverso l'Agenzia del demanio, potrà vendere i terreni agricoli in suo possesso mediante trattativa privata. E potrà farlo a tutti, indistintamente. Non solo ai giovani, come inizialmente previsto. L'accordo diretto tra le parti potrà avvenire per i campi agricoli di valore inferiore a 400 mila euro.
Invece, per quelli di valore pari o superiore, la vendita avverrà attraverso aste pubbliche. In vendita, potranno anche finire i terreni agricoli in area protetta, cioè quelli dei parchi nazionali, regionali e delle oasi protette.

L'ampliamento dell'operazione di dismissione dei terreni agricoli è contenuta nell'ultima versione del maxiemendamento alla legge di stabilità, per come già vagliato dalla Ragioneria dello stato. La compravendita sarà resa possibile dall'Agenzia del demanio, entro tre mesi dalla data di entrata in vigore del ddl stabilità.
La norma è stata quasi interamente riscritta rispetto alla precedente versione, anticipata venerdì scorso da ItaliaOggi. La nuova bozza estende anche ai beni demaniali di proprietà dello stato centrale, la libertà di dismissione mediante trattativa privata, prevista nella prima versione per i soli terreni in portafoglio delle amministrazioni periferiche dello stato: regioni, province, comuni e enti pubblici. E il nuovo articolato, si diceva, non limita più l'acquisto dei terreni ai soli under 40 (come previsto nel primo schema di maxiemendamento), ma estende a tutti la possibilità di shopping. Riservando però, nelle procedure di alienazione, un diritto di prelazione ai giovani imprenditori agricoli (così come definiti ai sensi del decreto legislativo 21.04.2000, n. 185, e successive modificazioni).
Anche qui, la novità non è da poco. La precedente versione del maxiemendamento riconosceva solamente ai giovani imprenditori agricoli professionali (Iap) e ai giovani coltivatori diretti il diritto all'acquisto dei terreni agricoli pubblici. E indicava come prova del loro status l'iscrizione di costoro, già avvenuta o da realizzare a medio termine (entro 36 mesi), nelle rispettive gestioni previdenziali. Quindi, la norma prevedeva la possibilità di shopping anche per i giovani che subentrano alla guida dell'azienda agricola di famiglia.
Col nuovo testo, invece, tutto cambia: la bussola per riconoscere chi ha diritto alla prelazione è il dlgs 185/2000, che disciplina gli incentivi all'autoimprenditorialità in agricoltura. In sostanza, la corsia preferenziale nell'acquisto sarà percorribile solamente dagli agricoltori di età compresa tra i 18 e i 35 anni, che subentrino a un familiare nella conduzione dell'azienda agricola. Quindi, né la qualifica Iap né lo status di coltivatore diretto daranno vantaggi nell'acquisto.
Parchi e aree protette. C'è poi il nodo dei terreni che ricadono nelle aree nazionali e regionali, protette dalla legge quadro 394/1991. E cioè i parchi nazionali, i parchi naturali e le riserve naturali. Bene, anche questi terreni, secondo l'ultima versione del maxiemendamento, potranno essere oggetto di compravendita diretta. Ma per la messa in vendita, l'Agenzia del demanio dovrà prima incassare il via libera dei rispettivi enti gestori del parco.
La corsia privilegiata Ismea per gli enti locali. Il maxiemendamento riscrive anche la disposizione relativa alla dismissione dei terreni a vocazione agricola in possesso di regioni, province, comuni e, testualmente, di «tutte le altre amministrazioni ricadenti nell'ambito di applicazione del dl 165/2001». Nel caso l'acquirente sia Ismea (Istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare), nella sua veste di ente fondiario nazionale, un nuovo codicillo dispone che le vendite potranno avvenire mediante trattativa privata, anche per i terreni che hanno un valore superiore ai 400 mila euro. In sostanza, se Ismea diventa protagonista della cessione dei campi agricoli, cessa l'obbligo di ricorrere alle aste pubbliche.
Infine, una norma che può apparire scontata, ma scontata non è: tutti i soldi ricavati dalle operazioni di dismissione dei terreni agricoli del Demanio finiranno nel bilancio dello stato. Quindi, nulla rimarrà nelle casse dell'ente locale sul cui territorio quel terreno insiste (articolo ItaliaOggi del 09.11.2011).

ATTI AMMINISTRATIVIBurocrazia zero ovunque. Il maxiemendamento estende l'agevolazione a tutta Italia.
Estese a tutto il territorio nazionale le zone a burocrazia zero. Le nuove imprese potranno godere di una notevole semplificazione amministrativa in via sperimentale fino a tutto il 2013.
Lo prevede una delle misure contenute nel maxiemendamento alla legge di stabilità.
L'istituzione delle zone a burocrazia zero era stata inizialmente prevista dal decreto legge 31.05.2010 n. 78 nelle sole regioni meridionali, ma non aveva comunque mai visto la luce fino ad oggi.
Per l'attuazione di questa misura sarà comunque necessaria l'istituzione dell'Ufficio locale dei governi in ciascun capoluogo di provincia.
Agevolazioni amministrative per le nuove imprese. Le zone a burocrazia zero nascono come aree in cui il procedimento per la nascita di una nuova imprese è notevolmente semplificato rispetto al percorso standard. In particolare, la legge si concentra sui provvedimenti conclusivi dei procedimenti amministrativi di qualsiasi natura e oggetto avviati su istanza di parte, nei riguardi delle nuove imprese. La legge stabilisce che tali provvedimenti siano adottati da un'unica struttura locale accentrata entro un massimo di 30 giorni dall'avvio del procedimento, con validità del principio del silenzio-assenso. Sono esclusi dalla semplificazione i procedimenti di natura tributaria, di pubblica sicurezza e di incolumità pubblica e i procedimenti connessi alle nuove iniziative produttive avviate su aree soggette a vincolo.
Necessaria la creazione dell'Ufficio locale dei governi. I provvedimenti amministrativi saranno accentrati presso l'Ufficio locale dei governi per ciascuna provincia. La creazione di queste strutture sarà disposta con decreto del presidente del consiglio dei ministri, su richiesta della regione, d'intesa con gli enti interessati e su proposta del ministro dell'interno. L'Ufficio locale dei governi dovrà essere presieduto dal prefetto e composto da un rappresentante della regione, da un rappresentante della provincia, da un rappresentante della città metropolitana, ove esistente, e da un rappresentante del comune interessato.
Procedimenti ancora più snelli con il silenzio-assenso. L'Ufficio locale dei governi sarà chiamato a esprimersi sui procedimenti amministrativi e prenderà decisioni in via esclusiva e all'unanimità. Se uno dei componenti l'Ufficio sarà in dissenso dovrà comunque motivare adeguatamente la propria posizione e fissare già le integrazioni richieste per il proseguimento dell'iter. Si considera poi acquisito l'assenso dell'amministrazione il cui rappresentante non partecipa alla riunione medesima, ovvero non esprime definitivamente la volontà dell'amministrazione rappresentata.
Nessun compenso per i componenti dell'Ufficio. La partecipazione all'Ufficio locale dei governi non sarà retribuita né tramite compensi né tramite rimborsi di alcun tipo. L'estensione delle zone a burocrazia zero a tutto il territorio nazionale non dovrà comportare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.
Zone a burocrazia zero ferme da oltre un anno. Lo strumento delle zone a burocrazia zero aveva visto la luce a fine maggio 2010 con il decreto legge che prevedeva «Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica» ed era stato confermato in sede di conversione in legge. Il dl prevedeva però che le zone fossero istituite con decreto del presidente del Consiglio dei ministri, su proposta dei ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il ministro dell'interno. Di fatto, questo decreto istitutivo delle aree non è mai stato emanato e l'agevolazione è rimasta congelata da allora. Adesso, l'applicazione dell'agevolazione sarà legata all'istituzione degli Uffici locali dei governi (articolo ItaliaOggi del 09.11.2011 - link a www.corteconti.it).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGOI PROVVEDIMENTI PER LO SVILUPPO/ P.a., o mobilità o licenziamento. Il trasferimento ad altro ente evita la risoluzione del rapporto. Il maxiemendamento delinea la riforma che il governo ha in mente sul lavoro pubblico.
Mobilità obbligatoria per scongiurare i licenziamenti. La nuova versione del maxiemendamento alla legge di stabilità delinea la riforma che il governo vuole apportare alla disciplina del lavoro pubblico, per rafforzare il potere datoriale di licenziare i dipendenti pubblici, per ragioni di natura organizzativa e finanziaria.
Come già rilevato (ItaliaOggi del 28 ottobre scorso), le misure riguardanti la risoluzione dei rapporti di lavoro pubblici non hanno nulla a che vedere con gli istituti della mobilità e della cassa integrazione, valevoli nel sistema privato. Il maxiemendamento, infatti, non estende al settore pubblico la normativa privatistica, ma modifica la regolamentazione già esistente, cioè l'articolo 33 del dlgs 165/2001, rendendola più cogente ed efficace
Obbligo di rilevare le eccedenze di personale. Il nuovo testo dell'articolo 33, come delineato dal maxiemendamento, chiarisce definitivamente l'obbligo in capo a ogni amministrazione pubblica di rilevare annualmente, anche in sede di ricognizione delle dotazioni organiche ai sensi dell'articolo 6, comma 1, del dlgs 165/2001, eventuali eccedenze di personale, cioè esuberi di dipendenti, rispetto alle attività da svolgere.
Laddove le eccedenze siano riscontrate, scattano una serie di adempimenti vincolanti, tra i quali l'osservanza delle procedure per ricollocare i dipendenti in esubero e l'immediata comunicazione della situazione di esubero e dei dipendenti interessati al Dipartimento della funzione pubblica.
Omettere la rilevazione annuale (da realizzare, dunque, in via formale e per iscritto) costerà caro: le amministrazioni inadempienti non potranno instaurare rapporti di lavoro con qualunque tipologia di contratto e l'eventuale violazione del divieto sarà sanzionata con la nullità degli atti posti in essere. In ogni caso la mancata attivazione delle procedure di rilevazione delle eccedenze e finalizzate alla ricollocazione o al licenziamento dei dipendenti sarà valutabile ai fini della responsabilità per danno erariale, visto che tali inadempienze possono far insorgere una spesa senza titolo.
Procedura per gli esuberi. È evidente, anche se il testo dell'articolo 33 che si intende novellare non lo afferma esplicitamente, che la rilevazione andrà effettuata da ciascun dirigente per la propria struttura, in modo che sia sintetizzata, poi dal dirigente del personale e dagli organi di vertice. Una volta accertata la situazione di personale in esubero, sarà il dirigente preposto alla direzione delle risorse umane obbligato a trasmettere un'informativa preventiva alle rappresentanze unitarie del personale e alle organizzazioni sindacali firmatarie del contratto collettivo nazionale del comparto o area.
Decorsi 10 giorni da tale comunicazione, l'ente ha due possibilità. Applicare l'articolo 72, comma 1, del dl 112/2008, convertito in legge 133/2008: dunque, risolvere unilateralmente il rapporto di lavoro dei dipendenti con 40 anni di anzianità contributiva (non si capisce, dal testo della novella, se questa facoltà sia ristretta ai soli dipendenti in esubero, sia da estendere a tutti i dipendenti dell'ente, per garantire risparmi sulle spese di personale in generale).
In alternativa, l'amministrazione, in via subordinata, verifica la possibilità di ricollocare tutti o parte dei dipendenti in soprannumero nell'ambito della stessa amministrazione. A tale scopo, potrà anche essere posta in essere una novazione oggettiva del rapporto di lavoro, visto che la norma ammette il ricorso a forme flessibili di gestione del tempo di lavoro o a contratti di solidarietà. Laddove non fosse possibile la ricollocazione all'interno dell'ente stesso, il nuovo testo dell'articolo 33 del dlgs 165/2001 consente di attivare trasferimenti forzati (cioè la mobilità di cui all'articolo 30 del dlgs 165/2001) ovvero presso altre amministrazioni comprese nell'ambito della regione di appartenenza.
A tale scopo, sarà necessario che le due amministrazioni stipulino un accordo tra loro. La novella all'articolo 33 chiarisce quello che era sfuggito ad alcuni interpreti: essa richiama espressamente l'articolo 1, comma 29, del dl 138/2011, convertito in legge 148/2011 che consente di obbligare i dipendenti alla mobilità territoriale all'interno della regione. Secondo alcuni, tale norma si sarebbe dovuta intendere come riferita solo alla mobilità territoriale nell'ambito di un medesimo ente. Il maxiemendamento spiega che non è così.
Ruolo della contrattazione. La novella demanda alla contrattazione nazionale la fissazione di criteri generali e procedure per consentire la gestione delle eccedenze di personale attraverso il passaggio diretto ad altre amministrazioni anche al di fuori del territorio regionale.
Risoluzione del rapporto di lavoro. Trascorsi 90 giorni dalla comunicazione ai sindacati dello stato di esubero dei dipendenti, qualora tutti o parte di essi non siano stati ricollocati nella stessa o in altre amministrazione, saranno messi in disponibilità: dunque il lavoratore non presterà più le proprie funzioni e avrà diritto a un'indennità pari all'80% dello stipendio e dell'indennità integrativa speciale, con esclusione di qualsiasi altro emolumento retributivo comunque denominato, per la durata massima di 24 mesi, trascorsi i quali scatterà il licenziamento.
Borsa nazionale del lavoro. Allo scopo di agevolare la ricollocazione dei dipendenti pubblici in esubero, le pubbliche amministrazioni dovranno comunicare le eccedenze di personale alla «Borsa nazionale sulla mobilità del personale delle pubbliche amministrazioni», visualizzabile sul portale Cliclavoro (articolo ItaliaOggi del 09.11.2011 - link a www.corteconti.it).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGOI PROVVEDIMENTI PER LO SVILUPPO/ Meno concorsi e più graduatorie. Dipendenti da reclutare chiamando i vincitori in attesa.
Meno concorsi, largo all'utilizzo delle graduatorie. Il maxiemendamento alla legge di stabilità per il quadriennio 2012-2015 obbliga le amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del dlgs 165/2001 a reclutare i dipendenti da assumere a tempo indeterminato (nel rispetto delle restrizioni previste a vario titolo dalla normativa vigente) in via principale e prevalente chiamando i vincitori inseriti all'interno delle graduatorie vigenti.
L'obbligo di non effettuare i concorsi e scorrere le graduatorie scatterà in particolare quando occorrerà assumere figure professionali previste dai bandi dei concorsi ai quali si riferiscono le graduatorie medesime; nel caso delle amministrazioni dello stato, anche a ordinamento autonomo, degli enti pubblici non economici statali e delle Agenzie la necessità di utilizzare le graduatorie si verifica anche per l'assunzione di figure professionali solo equipollenti a quelle indicate nei bandi di concorso.
Per effetto di questa spinta all'impiego delle graduatorie, le amministrazioni statali, gli enti pubblici non economici statali e le Agenzie, qualora non dispongono di proprie graduatorie utili, dovranno avvalersi per il quadriennio 2012-2015, della possibilità di utilizzare le graduatorie di pubblici concorsi approvate da altre amministrazioni, sulla base di un preventivo accordo
Regioni ed enti locali, una volta che abbiano esaurito le graduatorie dei vincitori dei concorsi da essi banditi, potranno a loro volta convenzionarsi con altri enti per attingere alle graduatorie di questi
Il maxiemendamento, allo scopo di dare piena applicazione alla norma, proroga l'efficacia delle graduatorie dei concorsi pubblici per assunzioni a tempo indeterminato fino al 31.12.2015 e chiarisce che fino all'esaurimento degli elenchi dei vincitori risultanti dall'esito dei concorsi, le amministrazioni pubbliche non potranno indire nuovi concorsi per assumere qualifiche e alle mansioni di concorsi già indetti
A partire dall'01.01.2014, qualora siano state completate le assunzioni mediante lo scorrimento delle graduatorie anche in convenzione, o anche prima di tale data se risulteranno esauriti gli elenchi dei vincitori, le amministrazioni potranno reclutare il personale attingendo alle graduatorie degli idonei per un 50%; il restante 50 per cento potrà essere coperto bandendo nuovi concorsi (articolo ItaliaOggi del 09.11.2011 - link a www.corteconti.it).

APPALTI SERVIZII PROVVEDIMENTI PER LO SVILUPPO/ Niente affidamenti in house sopra i 500 mila. Circoscritto l'ambito dell'in house nei servizi pubblici locali.
Il maxiemendamento del governo alla legge di stabilità, allo scopo di aprire maggiormente i mercati alla concorrenza, restringe ulteriormente la possibilità di affidare la gestione delle utility senza passare dalla gara.
La soglia di valore del servizio, al di sopra della quale non saranno più ammessi affidamenti in house nei confronti di società a capitale interamente pubblico, scende infatti, per effetto delle modifiche proposte dal governo, da 900 a 500 mila euro. Inoltre, per garantire l'unitarietà del servizio, sarà vietato frazionarlo in vari tronconi da affidare ciascuno autonomamente.
Nel maxiemendamento hanno trovato posto, inoltre, le misure per facilitare la cessione alle banche dei crediti vantati dalle imprese verso la p.a. (anticipate su ItaliaOggi del 4/10/2011). Per gli enti locali e le regioni diventerà un obbligo (e non più solo una facoltà come accade oggi) certificare i crediti certi, liquidi ed esigibili vantati dalle aziende affinché queste possano cederli a banche o altri intermediari finanziari.
Su istanza delle imprese, gli enti dovranno rilasciare la certificazione entro 60 giorni. In caso contrario, toccherà alla Ragioneria dello stato competente per territorio che potrà arrivare a nominare un commissario ad acta pagato dalle amministrazioni locali. Per realizzare queste modifiche il maxiemendamento corregge l'art. 9, comma 3-bis, del decreto anticrisi del 2008 (dl 185/2008) che per primo ha previsto la chance della cessione alle banche dei crediti delle imprese verso regioni, enti locali ed enti del Ssn. Anche se si è trattato di una disposizione pressoché inattuata. Il punto debole della norma, secondo i tecnici del ministero della semplificazione, è stato rappresentato dal fatto che la certificazione dei crediti era prevista come eventuale e non obbligatoria. E questo ne ha radicalmente depotenziato l'effetto.
Ora invece gli istituti di credito non potranno ostacolare la cessione dei crediti. Perché in futuro nei bandi di gara per la gestione dei servizi di tesoreria degli enti sarà previsto come requisito essenziale l'impegno da parte del tesoriere comunale a non opporsi alla cessione pro soluto delle somme dovute per somministrazioni, forniture e appalti. A questo proposito il maxiemendamento del governo inserisce una modifica ad hoc all'interno dell'art.210 del Testo unico sugli enti locali (dlgs n.267/2000).
Affitti trasparenti. Tra le altre novità del maxiemendamento di interesse per gli enti locali se ne segnala una (sempre partorita dai tecnici di Roberto Calderoli) che impone di far luce sui costi sostenuti per la locazione di beni immobili. Le amministrazioni saranno obbligate a pubblicare sul proprio sito internet tutte le informazioni su spese di affitto, finalità di utilizzo, dimensioni e ubicazione (articolo ItaliaOggi dell'08.11.2011 - link a www.corteconti.it).

APPALTII PROVVEDIMENTI PER LO SVILUPPO/ Anche il Durc passa da internet. Richiesta e invio online. E la p.a. non lo richiederà più. La semplificazione nel maxiemendamento. Gli sgravi per gli apprendisti dal 2012 al 2016.
Stop al Durc cartaceo. Imprese e amministrazioni, infatti, devono richiedere, inviare e archiviare il certificato di regolarità contributiva esclusivamente per via telematica sia per i lavori privati che per quelli pubblici. In quest'ultimo caso, inoltre, le imprese non devono più presentare il documento, in quanto il Durc è richiesto direttamente dall'amministrazione interessata nei cinque giorni successivi al ricevimento dell'atto che rende necessaria la verifica della regolarità contributiva.
A prevedere la semplificazione del Durc è il maxiemendamento del governo con le misure per lo sviluppo al ddl di stabilità, presentato ieri alla Camera.
La semplificazione del Durc. Il Durc è un certificato che attesta contestualmente la regolarità di un'impresa nei pagamenti e negli adempimenti previdenziali, assistenziali e assicurativi, nonché in tutti gli altri obblighi previsti dalla normativa vigente nei confronti di Inps, Inail e casse edili. La regolarità contributiva (attestata dal Durc) serve, tra l'altro, per tutti i contratti pubblici (appalti e subappalti, sia di lavori che di servizi e forniture) e per i lavori privati in edilizia soggetti al rilascio di permesso di costruire o a denuncia inizio attività. Due le semplificazioni previste dal maxiemendamento: la prima è relativa alla procedura; la seconda è la smaterializzazione del certificato.
Oggi il Durc è previsto tra la documentazione obbligatoria da consegnare per la partecipazione e/o aggiudicazione di lavori; il maxiemendamento semplifica la procedura, esonerando le imprese dal dover presentare il certificato. Che non significa il venir meno del requisito della regolarità contributiva, in quanto a ciò provvederanno direttamente le amministrazioni interessate, tenute a formulare «le richieste di rilascio del Durc entro il termine di cinque giorni dal ricevimento dell'atto che ne rende necessaria l'acquisizione e informando contestualmente l'interessato delle richiesta».
La seconda semplificazione è la smaterializzazione del Durc. Infatti, il maxiemendamento stabilisce che, nell'ambito dei lavori pubblici e privati dell'edilizia, imprese e amministrazioni competenti richiedono, inviano e archiviano il Durc per via telematica.
Sconto apprendisti dal 2012 al 2016. Il maxiemendamento, tra l'altro, incentiva l'apprendistato per promuovere l'occupazione giovanile nelle piccole aziende (quelle con un numero di addetti fino a nove). Infatti, per i primi tre anni i datori di lavoro sono esonerati dal pagamento di contributi, fruendo così dello sconto dell'1,5% il primo anno, del 3% il secondo e del 10% il terzo anno. La versione finale del maxiemendamento prevede l'applicazione dell'incentivo esclusivamente ai contratti stipulati dall'01.01.2012 fino al 31.12.2016 (e non dall'entrata in vigore della legge di stabilità).
Rincaro contributi dal 2012. Il maxiemendamento dispone l'aumento di un punto percentuale dell'aliquota contributiva, e della relativa aliquota di computo delle prestazioni pensionistiche, per gli iscritti alla gestione separata Inps. Oggi l'aliquota è al 26,72% per la generalità dei lavoratori, salirà al 27,72% (il 27% utile ai fini pensionistici); per gli iscritti ad altre forme di previdenza obbligatoria e per i titolari di pensione l'aliquota oggi è al 17%, salirà al 18%. La versione finale del maxiemendamento stabilisce che gli aumenti hanno effetto a decorrere dall'01.01.2012 (e non dall'entrata in vigore della legge di stabilità).
Niente Irap per la produttività aziendale. Dal 2012 le regioni potranno disporre la deduzione dalla base imponibile Irap (imposta regionale sulle attività produttive) delle somme erogate ai lavoratori in attuazione dei contratti collettivi per la produttività (un ulteriore sconto de 4-6%, dunque, che si aggiunge a detassazione e decontribuzione già previste). La versione finale del maxiemendamento precisa che gli effetti finanziaria, in tal caso, «sono esclusivamente a carico del bilancio della regione» (articolo ItaliaOggi dell'08.11.2011 - link a www.corteconti.it).

AMBIENTE-ECOLOGIAAlberi rimuovibili se creano pericoli. Un parere del ministero dei trasporti.
Possono essere rimossi gli alberi piantati troppo vicino alla carreggiata prima dell'entrata in vigore del nuovo codice della strada. Ma solo se rappresentano un evidente pericolo per la circolazione e non sono possibili misure alternative di protezione per gli utenti.
Lo ha chiarito il Ministero dei trasporti con il parere n. 3224/2011.
La sicurezza delle strade è spesso compromessa da manufatti, installazioni e piantumazioni poste troppo a ridosso della carreggiata. Per quanto riguarda il posizionamento degli alberi la provincia di Terni ha richiesto istruzioni in relazione all'art. 26 del regolamento stradale il quale letteralmente dispone al comma 6 che «la distanza dal confine stradale, fuori dai centri abitati, da rispettare per impiantare alberi lateralmente alla strada, non può essere inferiore alla massima altezza raggiungibile per ciascun tipo di essenza a completamento del ciclo vegetativo e comunque non inferiore a 6 metri».
A parere del dipartimento per i trasporti terrestri la questione delle fasce di rispetto interessa innanzitutto sia i soggetti pubblici che privati. Ma la severa regola sulle distanze minime trova applicazione espressa solo per le nuove piantumazioni.
In pratica, prosegue la nota, «gli alberi già impiantati, prima dell'entrata in vigore del codice della strada, lateralmente alla carreggiata nella fascia di pertinenza a una distanza inferiore di quella prevista dall'art. 26 c. 6 del regolamento possono non essere rimossi. Ciò non toglie che gli alberi debbano essere adeguatamente protetti, così come tutti gli altri elementi, quali costruzioni, muri, pali e sostegni, potenzialmente pericolosi per gli utenti della strada, presenti sia nella fascia di pertinenza che in quella di rispetto».
In buona sostanza l'ente proprietario della strada deve comunque assicurarsi di limitare i rischi per la circolazione stradale anche in relazione alle strutture vegetative secolari presenti per esempio a lato della carreggiata. Se le necessarie misure preventive come l'installazione di barriere protettive o altri sistemi di ritenuta non sono sufficienti per garantire gli utenti stradali l'ente proprietario può quindi disporre l'abbattimento degli alberi pericolosi anche se impiantati prima dell'entrata in vigore del codice stradale, ovvero il decreto legislativo n. 285/1992 (articolo ItaliaOggi dell'08.11.2011 - link a www.ecostampa.it).

ENTI LOCALI - VARISenza la Pec scatta la sanzione. Lo stesso account potrà essere usato da più imprese. Circolare del Minsviluppo ricorda gli obblighi della scadenza del 29.11.2011.
Sarà sanzionata la mancata comunicazione della Pec societaria.
La circolare 03.11.2011 n. 3645/C del Ministero dello sviluppo economico conferma che il mancato rispetto del termine del 29.11.2011 configurerà l'illecito previsto dall'art. 2630 c.c. In capo al rappresentante legale della società, quindi, sarà comminata la sanzione amministrativa pecuniaria da un minimo di 103 euro a un massimo di 1.032 euro. Tali importi, indicati come aggiornati dallo Statuto dell'impresa in corso di pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, potranno essere ridotti a un terzo qualora la società si ravveda nei successivi 30 gg.
La circolare conferma, inoltre, l'interpretazione diffusa sulla non univocità della Pec: uno stesso account potrà essere usato per più imprese. Viene infatti esplicitamente prevista la possibilità di comunicare, chiaramente previa consenso del legittimo titolare, l'indirizzo di posta elettronica di un professionista (per esempio, il commercialista) o di altra società giuridicamente o economicamente collegata (per esempio, la capogruppo o una controllata). Soluzioni certo pratiche ma, a nostro avviso, sconsigliabili visti gli adempimenti e le potenziali responsabilità che ne conseguirebbero.
Il ministero dello sviluppo economico individua come obbligati alla comunicazione le società di persone (anche semplici), le società di capitali, le società cooperative, le società estere con sedi secondarie in Italia nonché le società in liquidazione. Nulla viene detto in merito alle società soggette a procedure concorsuali: varie Cciaa ritengono che anche le fallite, per fare l'esempio più ricorrente, debbano adempiere; altra tesi, invece, propende per un adempimento facoltativo.
È comunque consigliabile, vista la sua semplicità, procedere con la comunicazione: il curatore, anche per non gravare con oneri aggiuntivi la procedura, potrebbe allora indicare la propria Pec professionale (in linea con l'art. 48 della legge fallimentare secondo cui «la corrispondenza diretta al fallito [anche quella elettronica, nda] che non sia persona fisica è consegnata al curatore»).
Sempre la circolare ricorda come la comunicazione, non soggetta all'imposta di bollo e ai diritti di segreteria (salvo la pratica richieda l'iscrizione di ulteriori atti o fatti come, per esempio, il trasferimento di sede o la nomina di amministratori), possa essere eseguita con la procedura web semplificata predisposta da Infocamere oppure, magari con affidamento ad un professionista incaricato ex art. 31, comma 2-quinquies, della legge 340/2000, mediante la canonica Comunicazione unica (modello S2, riquadro 5, campi «nome» e «dominio» della casella, compilato grazie a ComunicaFedra o ComunicaStarweb). L'indirizzo fornito al Registro delle imprese deve risultare valido e operativo e non possono essere impiegate, infine, le cosiddette «Pec del cittadino» poiché riservate esclusivamente all'interazione fra i primi e la pubblica amministrazione (articolo ItaliaOggi dell'08.11.2011 - link a www.ecostampa.it).

ENTI LOCALI - VARIRifiuti, Iva al 10% sui costi del personale.
Scontano l'aliquota Iva agevolata del 10% i servizi accessori a quello di raccolta e smaltimento dei rifiuti solidi urbani e fra questi vanno compresi anche quelli di puro ribaltamento degli oneri del personale.
A stabilirlo è stata la sentenza n. 172/24/11 della Ctr Puglia, sezione staccata di Lecce.
I giudici tributari di secondo grado hanno rigettato l'appello promosso dall'amministrazione finanziaria che, invece, aveva rettificato le operazioni di una società esercente l'attività di smaltimento e stoccaggio rifiuti, applicando l'aliquota ordinaria (all'epoca dei fatti era al 20%, mentre ora la legge di conversione della manovra di Ferragosto l'ha portata al 21% a partire dal 17.09.2011) alle fatture emesse che consistevano nel ribaltare alla società appaltante i costi vivi del personale sostenuti dall'appaltata.
La disciplina.
La disciplina oggetto di contenzioso è il numero 127-sexiesdecies della tabella A, parte III, allegata al Dpr n. 633/1972 (il decreto Iva), secondo cui le prestazioni di smaltimento (gestione, stoccaggio e deposito temporaneo) di rifiuti urbani all'articolo 7, comma 2, del Dlgs n. 22/1997 («Attuazione della direttiva 91/156/Cee sui rifiuti, della direttiva 91/689/Cee sui rifiuti pericolosi e della direttiva 94/62/Ce sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio»), e dei soli rifiuti speciali all'articolo 7, comma 3, lettera g), dello stesso decreto legislativo sono soggette all'aliquota Iva del 10 per cento.
Ebbene, secondo il fisco, per individuare le attività assoggettabili all'aliquota ridotta del 10%, il numero 127-sexiesdecies fa riferimento alle prestazioni, rispettivamente individuate dalle lettere d), l) ed m) del comma 1 dell'articolo 6 del Dlgs n. 22/1997.
Nel proprio atto di contestazione, l'amministrazione finanziaria ribadiva che –stando alla norma citata– le attività trattabili con aliquota ridotta sono espressamente circostanziate dal legislatore. La disposizione ha, infatti, voluto comprendere fra le attività a cui applicare l'Iva al 10% anche quelle accessorie al servizio di smaltimento e stoccaggio dei rifiuti. Tuttavia, ad avviso del fisco, non si può affermare che il ribaltamento dei costi del personale integri tale fattispecie, dato che si sostanzia più una prestazione collaterale di servizio autonoma, di per sé non assoggettabile ad aliquota ridotta.
La valutazione.
Di diverso avviso è stato il collegio giudicante. Secondo la Commissione tributaria regionale, infatti, il costo del personale impiegato è certamente «prestazione accessoria» al servizio principale di smaltimento dei rifiuti. Ciò in quanto è evidente il rapporto di complementarietà esistente con la prestazione principale, atteso che senza la mano d'opera non potrebbe essere espletato il servizio principale di raccolta e trasporto dei rifiuti solidi urbani e assimilati.
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In sintesi
01|IL CASO
Il fisco aveva aveva rettificato le operazioni di una società di smaltimento e stoccaggio rifiuti, applicando l'aliquota ordinaria invece di quella del 10% alle fatture emesse
02|LA DECISIONE
Per la Ctr, il costo del personale impiegato è qualificabile come «prestazione accessoria» al servizio principale di smaltimento dei rifiuti e sconta quindi l'aliquota Iva ridotta al 10% (articolo Il Sole 24 Ore del 07.11.2011 - link a www.ecostampa.it).

ENTI LOCALIAl via la rivoluzione dei bilanci locali. Fondo pluriennale vincolato per fare fronte al principio della competenza finanziaria.
Con l'approvazione in Conferenza unificata dei decreti attuativi della riforma della contabilità inserita nel Dlgs 118/2011, entra nel vivo la rivoluzione dei bilanci locali. Per oltre 70 enti tra Comuni, Province e Regioni, il Dpcm che dà attuazione alla fase sperimentale (e i suoi allegati) sarà un vero banco di prova per testare, nei prossimi due anni, la bontà delle riforme previste nel settimo decreto attuativo del federalismo fiscale. Ciò nondimeno, la riforma dovrà essere studiata e applicata fin dal 2012 dalla generalità degli enti territoriali per avere, dal 2014, i conti in grado di assorbire le innumerevoli novità previste dal decreto legislativo e dai decreti attuativi.
Nuovo principio.
Di tutte le novità, il maggiore e immediato impatto sui prossimi bilanci locali è dovuto alla riscrittura del nuovo principio della competenza finanziaria e del relativo principio gestionale applicato, allegato al Dpcm in via di emanazione.
La diversa modalità di contabilizzazione, infatti, avrà effetti per tutti già a partire dal rendiconto 2011, oltre che in sede di predisposizione dei preventivi 2012. In sede di rendiconto dovrà essere attentamente valutato ogni singolo residuo attivo e passivo alla luce del nuovo principio; dai bilanci 2012, poi, non sarà più possibile ignorare la programmazione di opere e lavori pubblici che, inevitabilmente, saranno conclusi dopo la fine del periodo di sperimentazione, con la conseguenza che quanto oggi programmato e finanziato dovrà, almeno in parte, essere reinserito nei bilanci 2014 e successivi.
Il nuovo principio della competenza finanziaria impone l'impegno delle spese di investimento negli esercizi finanziari in cui scadono le singole obbligazioni passive. Il "timing" dei prossimi bilanci, quindi, deriva dalla programmazione temporale di realizzazione dei singoli interventi. Le nuove opere programmate a decorrere dal 2012, nei fatti, ipotecano gli esercizi futuri sia in termini di compatibilità con le attuali regole di finanza pubblica (si veda l'articolo sotto) sia in termini di costruzione dei futuri preventivi che, prima di accogliere la nuova programmazione, devono assicurare gli stanziamenti di competenza di tutte le opere già programmate e finanziate e la cui obbligazione giuridica non è ancora scaduta.
Più trasparenza.
Il nuovo modello di contabilizzazione ipotizzato dal Dpcm attuativo del decreto sull'armonizzazione, con un indubbio contributo alla trasparenza dei bilanci pubblici, imporrà alle amministrazioni di fare propri le opere e gli interventi programmati nel passato e di consentire nuovi interventi solo una volta conclusi quelli in essere, garantendo una più lineare programmazione degli investimenti sul territorio.
L'opera pubblica, una volta finanziata, non sarà più, come accade ora, gestita solo a residui, ma sarà riproposta nei preventivi degli anni successivi sino alla sua conclusione, dando la possibilità all'organo decisionale di esercitare effettivamente il ruolo di controllo sull'attività dell'ente.
Equilibri finanziari nel tempo.
L'impegno di spesa da imputare negli esercizi in cui lo stesso scade e l'obbligo di avere attivato il finanziamento per l'intero importo dell'investimento programmato hanno costretto il legislatore delegato a introdurre un meccanismo tale da permettere, in sede di previsione e di rendicontazione, l'equilibrio finanziario nel tempo.
Tale meccanismo è stato individuato nel fondo pluriennale vincolato, costituito da un saldo pari alla differenza tra le risorse già accertate e l'esigibilità differita della spesa in esercizi successivi a quello in cui è accertata l'entrata. Il fondo consente di dare copertura, negli esercizi successivi a quello in cui è finanziato l'investimento, e di applicare il nuovo principio di competenza finanziaria rendendo esplicita la distanza tra il finanziamento di un'opera e la sua effettiva realizzazione attraverso l'impiego nel tempo delle risorse già accantonate.
Il fondo può essere costituito solamente a seguito dell'accertamento delle entrate che finanziano la spesa, la quale, come accade oggi, può essere impegnata solo a copertura finanziaria avvenuta.
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Sotto la lente
01|IL PRINCIPIO
Il nuovo principio della competenza finanziaria impone l'impegno delle spese di investimento negli esercizi finanziari in cui vanno a scadenza le singole obbligazioni passive.
02|OPERE PUBBLICHE
L'opera pubblica, una volta finanziata, non sarà più gestita solo a residui, ma sarà riproposta nei preventivi degli anni successivi sino alla sua effettiva conclusione, consentendo all'organo decisionale di esercitare effettivamente il ruolo di controllo sull'attività dell'ente.
03|IL FONDO
Lo strumento in grado di permettere, in sede di previsione e di rendicontazione, l'equilibrio finanziario nel tempo è stato individuato nel fondo pluriennale vincolato, costituito da un saldo pari alla differenza tra le risorse già accertate e l'esigibilità differita della spesa in esercizi successivi a quello in cui è accertata l'entrata.
04|LA COPERTURA
Gli enti devono farsi trovare pronti alla stesura dei nuovi documenti di programmazione. Per le entrate, particolare attenzione andrà riservata a tutte le obbligazioni giuridicamente valide, ma la cui scadenza è fissata oltre l'esercizio 2013 (articolo Il Sole 24 Ore del 07.11.2011 - link a www.ecostampa.it).

ENTI LOCALIOcchio all'anzianità dei residui attivi.
STRALCI IN VISTA - Le obbligazioni con scadenza oltre il 2013 non continueranno a formare l'avanzo di amministrazione.

Il principio della competenza finanziaria metterà a dura prova i documenti contabili degli enti, non solo per le modalità di contabilizzazione delle entrate e delle spese di competenza (parte corrente o relative al conto capitale) ma, soprattutto in fase di avvio, per la gestione dei residui attivi e passivi degli esercizi precedenti.
Gli enti devono farsi trovare pronti alla stesura dei nuovi documenti di programmazione. Per le entrate, particolare attenzione va riservata a tutte le obbligazioni giuridicamente valide, ma la cui scadenza è oltre l'esercizio 2013. Secondo il nuovo principio, infatti, tali somme non possono formare l'avanzo di amministrazione e devono essere stralciate e riproposte negli esercizi in cui tali obbligazioni scadono. È il caso dei ruoli coattivi iscritti negli esercizi precedenti e non ancora riscossi, o dei contributi statali e regionali accertati ma non ancora incassati. In queste situazioni, la nuova contabilità impone lo stralcio dalla gestione dei residui e la contestuale riproposizione sugli stanziamenti di competenza.
Operare tali stralci solo nell'esercizio 2013, che precede l'avvio dell'armonizzazione, può determinare un disavanzo di amministrazione dovuto al passaggio da un sistema contabile a un altro, evidenziando avanzi di amministrazione precedentemente determinati e applicati in assenza di una reale certezza di solvibilità dei crediti iscritti nei rendiconti degli esercizi passati. Già dal prossimo rendiconto, quindi, è bene prestare attenzione all'anzianità dei residui attivi, anche per prevenire possibili squilibri della gestione finanziaria e la copertura non certa della spesa in conto capitale.
Quest'ultima ipotesi può verificarsi quando un ente locale dà atto della copertura di un'opera in base a un contributo regionale per cui la Regione non ha imputato la relativa spesa nello stesso esercizio nel quale l'ente ha accertato l'entrata. Dal 2014 (ma la revisione va operata anche per gli accertamenti già registrati nel passato e per quelli che lo saranno nel futuro) non si potrà più accertare l'intero contributo concesso, ma solo la parte imputata dall'altro ente pubblico nell'anno di competenza. Ne consegue che, in caso di contributo riconosciuto in più annualità, l'opera deve essere autofinanziata per la parte non "coperta" nell'anno. L'ente destinatario del contributo è così costretto a prefinanziare l'opera distraendo risorse fino ad oggi destinate ad altre finalità.
Per la parte spesa, i residui devono, fin da subito, essere reiscritti nel rendiconto solo a fronte di un'obbligazione giuridica perfezionata, rilevando la minore spesa in tutti gli altri casi. In fase di prima applicazione, tutti i residui passivi sorretti da idonea obbligazione giuridica andranno stralciati dal rendiconto e inseriti nelle previsioni di competenza in relazione alla scadenza delle obbligazioni stesse, avvicinando di molto la fase dell'impegno a quella del pagamento (articolo Il Sole 24 Ore del 07.11.2011 - link a www.ecostampa.it).

ENTI LOCALILa programmazione diventa strategica.
IL LIMITE - Gli stanziamenti della spesa per investimenti non potranno superare i pagamenti ammessi dai vincoli del «patto».

La competenza "breve", la revisione dei residui e il continuo innalzamento dell'asticella sul patto di stabilità interno impongono oggi più che mai una costruzione e una gestione molto attenta dei bilanci locali. La programmazione del prossimo bilancio diventa strategica per tutte le amministrazioni locali e regionali, per consentire, nei pochi mesi ancora a disposizione, di rendere agevole il percorso che porta all'adozione della nuova contabilità.
Se oggi il bilancio di previsione non riesce a dare immediatamente conto dell'influenza che la programmazione subisce dai vincoli di finanza pubblica, da domani non sarà più così. Con il nuovo principio di competenza finanziaria, gli stanziamenti in bilancio della spesa in conto capitale rappresenteranno il valore delle obbligazioni giuridiche che scadono e, in ultima istanza, dei pagamenti autorizzati per l'esercizio. La parte significativa di tali stanziamenti sarà finanziata con il fondo pluriennale vincolato (si veda l'articolo sopra) derivante dalle opere già finanziate e i cui impegni non sono ancora giunti a scadenza. Tale fondo agisce come l'avanzo di amministrazione: è un aggregato non rilevante ai fini della determinazione del saldo utile per il rispetto del patto di stabilità interno e finanzia una spesa che, al contrario, risulta rilevante.
Gli stanziamenti della spesa per investimenti, infatti, non potranno superare i pagamenti ammessi dai vincoli del patto, poiché, oltre e prima delle nuove spese, devono dare conto dalle somme accertate negli esercizi precedenti e che scadranno nell'anno di competenza.
Oggi il legislatore, per evidenziare la coerenza del bilancio di previsione e i vincoli di finanza pubblica, costringe gli enti ad allegare al bilancio stesso un prospetto con le previsioni di competenza e di cassa degli aggregati rilevanti ai fini del patto. Con la nuova contabilità tale dimostrazione non sarà più necessaria, rappresentando lo stanziamento di competenza stesso la stima dei pagamenti che l'ente è obbligato a sostenere in relazione alle obbligazioni giuridiche assunte in passato e che ritiene dovranno essere pagate per le obbligazioni giuridiche autorizzate dal bilancio.
La nuova contabilità costringerà gli enti a rappresentare già in sede di bilancio di previsione la concreta realizzabilità delle opere previste, indicando fin da subito quali spazi saranno concessi dai vincoli di finanza pubblica. La prossima programmazione triennale e l'annesso elenco annuale 2012, ancor più che in passato, devono tenere conto di un cronoprogramma compatibile con gli obiettivi strutturali del patto di stabilità interno, pena il rischio di trovarsi impossibilitati a costruire un previsionale 2014 con le regole dettate dall'armonizzazione.
Assume più che mai rilevanza l'articolo 9, comma 1, lettera a), punto 2, del Dl 78/2009, da alcuni amministratori sottovalutato, secondo cui prima di assumere nuovi impegni di spesa va accertato che il programma dei conseguenti pagamenti sia compatibile con le regole di finanza pubblica (articolo Il Sole 24 Ore del 07.11.2011 - link a www.ecostampa.it).

ENTI LOCALILe «soglie minime» per le gestioni associate.
IL TERMINE - Attese entro il 16 novembre le eventuali modifiche al numero di abitanti che deve essere raggiunto dalle Unioni.

Le Regioni hanno tempo fino a mercoledì 16 novembre per modificare la soglia minima di popolazione da raggiungere nella gestione associata tra i piccoli Comuni. In molte di esse non vi sono state finora decisioni formali. Occorre comunque ricordare che tale termine non ha carattere perentorio già con le disposizioni ora in vigore, che peraltro potrebbero perdere il carattere vincolante se tra Governo, Regioni e associazioni degli enti locali si arriverà a una intesa per cambiare il contenuto delle due manovre estive e, tanto più, se la Corte costituzionale accoglierà i ricorsi che piccoli Comuni e Anci, tramite i consigli regionali delle autonomie locali e le Regioni, stanno presentando.
L'articolo 16 del Dl 138/2011 detta un cronoprogramma a tappe forzate per dare il via alla gestione associata delle funzioni e dei servizi tra i piccoli Comuni. La prima scadenza è fissata entro il 16 novembre, a due mesi dall'entrata in vigore della legge di conversione. Le Regioni possono modificare la soglia minima di popolazione che va raggiunta dalle Unioni tra i Comuni con popolazione inferiore a mille abitanti. Tale soglia è fissata dal provvedimento nazionale in 5mila abitanti e per i Comuni montani scende a 3mila. Non è stabilita, invece, alcuna soglia minima se questi piccolissimi Comuni danno vita a una convenzione. Entro la stessa data le Regioni possono variare la soglia minima di 10mila abitanti fissata per i Comuni con popolazione oltre i 5mila che danno corso alla gestione associata scegliendo l'Unione o le convenzioni.
Tali termini non sono perentori, a differenza, per esempio, di quello del 31 dicembre 2012 entro cui le Regioni devono istituire le Unioni tra i piccolissimi Comuni. Per cui questa scelta può essere effettuata anche successivamente, ma il ritardo rischia di determinare condizioni di incertezza per i Comuni con popolazione superiore a 5mila abitanti, che devono, entro il 2011, dare corso alla gestione associata di almeno due funzioni fondamentali. La legge di conversione non definisce lo strumento con cui le Regioni effettuano questa scelta; ma, mancando una precisa indicazione, si ritiene che sia sufficiente anche una semplice deliberazione. Non è imposto che le Regioni consultino preventivamente i Comuni interessati e/o il consiglio delle autonomie locali.
Nelle Regioni a statuto speciale e nelle due Province autonome, poi, l'applicazione delle disposizioni sulla gestione associata è spostata al momento in cui in queste realtà entrerà in vigore il federalismo fiscale. Il che si realizzerà entro maggio 2014 (vale a dire entro i 30 mesi successivi alla scadenza del termine, fissata entro questo mese di novembre, per l'emanazione dei decreti attuativi della legge 42/2009).
In molte Regioni si attendono le conclusioni del gruppo di lavoro Governo-amministrazioni regionali-enti locali, che sta cercando di ricucire lo strappo sul Dl 138. Su richiesta dell'Anci uno dei temi è proprio l'allentamento del carattere vincolante delle disposizioni sulla gestione associata, che dovrebbero essere cambiate per rientrare tra le scelte di carattere volontario dei singoli Comuni. Intanto la stessa Anci sostiene l'iniziativa dei piccoli Comuni e dei consigli regionali delle autonomie per depositare ricorsi alla Consulta contro questa parte della manovra di Ferragosto. Già presentati i ricorsi di Piemonte e Toscana (articolo Il Sole 24 Ore del 07.11.2011 - link a www.ecostampa.it).

APPALTI SERVIZIPartecipate «blindate» sui servizi. La società non può gestire insieme funzioni pubbliche e strumentali.
Una società partecipata non può gestire contestualmente servizi pubblici e servizi strumentali, quindi gli enti locali soci devono definire adeguate soluzioni.
La Corte dei conti, sezione regionale di controllo per la Lombardia, con il parere 17.10.2011 n. 517 ha spiegato come l'articolo 13 della legge n. 248/2006 vieti a una società partecipata di gestire allo stesso tempo servizi pubblici locali e servizi strumentali.
La disposizione non ammette deroghe e rende necessario il superamento di quelle situazioni nelle quali le amministrazioni abbiano utilizzato lo strumento societario per svolgere funzioni e attività di loro competenza in modo eterogeneo, senza distinguere fra la gestione di servizi pubblici locali –a rilevanza economica o privi di rilevanza economica– e servizi strumentali.
La Corte dei conti lombarda rileva come la commistione tra attività, resa possibile in passato da una normativa molto permissiva, oggi non sia più possibile, a fronte di regole precise e rigorose, differenziate per la gestione delle varie funzioni e attività. In particolare, dice la Corte, l'articolo 13 del decreto Bersani stabilisce specifiche incompatibilità fra la gestione di attività strumentali, che vedono come interlocutore l'ente locale e le attività a rilevanza economica, che hanno un'incidenza sul mercato. L'analisi dà per acquisito il principio per cui il requisito della strumentalità sussiste quando l'attività che le società svolgono sia rivolta agli stessi enti promotori o comunque azionisti della società per svolgere le funzioni di supporto delle amministrazioni pubbliche.
Il parere dunque mette in evidenza come le società che gestiscono servizi strumentali non possano svolgere, in relazione alla loro posizione privilegiata, altre attività a favore di altri soggetti pubblici o privati, poiché in caso contrario si verificherebbe un'alterazione o comunque una distorsione della concorrenza all'interno del mercato locale di riferimento.
È in quest'ottica che si giustifica, del resto, la previsione contenuta nel secondo comma dello stesso articolo 13 della legge n. 248/2006, in base al quale gli enti locali devono prevedere per le società strumentali un oggetto sociale esclusivo. Non è possibile pertanto che la stessa società che opera in house svolga per conto di uno o più enti attività strumentali e gestisca servizi pubblici locali.
Il divieto imponeva agli enti locali di intervenire entro il 04.01.2010 per adottare soluzioni organizzative che comportassero la reinternalizzazione dei servizi strumentali, ovvero l'affidamento a terzi con gara dei servizi pubblici locali a rilevanza economica o, ancora, la creazione di distinti organismi societari per la gestione in modo separato delle attività strumentali e dei servizi pubblici locali. A fronte anche del caso analizzato, la Corte dei conti lombarda rileva come vi siano ancora commistioni gestionali in molte società, per le quali gli enti soci, se non hanno ancora provveduto a eliminare l'anomalia, devono provvedere, anche per evitare di incorrere nelle specifiche violazioni di legge e nella nullità dei contratti in essere.
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Incompatibilità
01 | LA LEGGE
In base alla legge 248 del 2006 gli enti locali prevedono per le società strumentali un oggetto sociale esclusivo: la stessa società che opera in house non può svolgere per uno o più enti attività strumentali e gestire servizi pubblici.
02 | LA CORTE DEI CONTI
La sezione di controllo della Lombardia ha ribadito che una partecipata non deve gestire contestualmente servizi pubblici e strumentali (articolo Il Sole 24 Ore del 07.11.2011 - link a www.corteconti.it).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGOIstat fuori dal blocco ma i dubbi restano.
DISCORDANTI - I magistrati contabili in Lombardia ammettono l'eccezione, ma la sezione della Toscana non è d'accordo.

I compensi corrisposti ai dipendenti degli enti locali per le attività di censimento sono all'esame della Corte dei conti. L'obiettivo è stabilire se questi incentivi sono o non sono fuori dal campo di applicazione dell'art. 9, comma 2-bis, del Dl n. 78/2010. La questione, molto attesa, ha avuto conclusioni differenti nelle Sezioni della Lombardia e della Toscana.
La manovra estiva dello scorso anno ha posto un tetto insormontabile all'ammontare complessivo delle risorse destinate al trattamento accessorio del personale dipendente: per gli anni 2011-2013 non potrà superare il relativo importo dell'anno 2010. Agli operatori erano rimasti diversi dubbi fin dall'entrata in vigore della disposizione. La Corte dei conti ha espresso la propria opinione nell'ambito delle Sezioni riunite con la recente deliberazione n. 51/2011. Nel documento si afferma che la norma non ammette eccezioni ricomprendendo ogni fonte di finanziamento del salario accessorio dei lavoratori degli enti locali. Due sole, per la Corte, le eccezioni: nel caso delle progettazioni interne e in quello delle attività di avvocatura interna (si veda Il Sole 24 Ore dell'11 ottobre scorso).
La partita sembrava chiusa. Rimaneva però in sospeso una questione di grande attualità: i compensi relativi al censimento. L'Istat infatti trasferisce a ciascuna amministrazione locale risorse economiche da destinare alle attività di direzione, coordinamento e rilevamento delle informazioni statistiche. Alcune di queste somme possono essere destinate al personale dipendente. Per la Corte dei conti della Lombardia si è sempre trattato di attività di natura istituzionale, sulla quale si è persino posto il dubbio di legittimità in merito all'erogazione di specifici incentivi (si veda la Deliberazione n. 14/2009).
La stessa Sezione è tornata però sulla questione per esaminare gli effetti di questi emolumenti sul fondo. Coerentemente con quanto affermato in precedenza la recente deliberazione n. 550/2011 sottolinea innanzitutto che non è ancora dimostrato che il contributo forfettario per le rilevazioni Istat sia destinato a comporre il fondo incentivante della contrattazione decentrata.
Il documento si occupa però soprattutto degli effetti di natura finanziaria. Poiché la rilevazione è obbligatoria per ciascun comune, le risorse sono di fatto dei trasferimenti statali per l'espletamento di una funzione amministrativa inderogabile e sono specificatamente vincolate alle operazioni di censimento.
Il passaggio chiave risiede nella considerazione che queste erogazioni sono già state definite "a monte" e che quindi il legislatore, al momento della stesura delle manovre, ha già provveduto a valutare la compatibilità delle risorse impiegate con i vincoli di finanza pubblica. Pertanto a ciascun ente non può spettare alcuna ulteriore verifica di congruità. Un blocco su questi compensi costituirebbe quindi un doppio vincolo.
In conclusione, quindi, le risorse Istat nel loro complesso sono escluse tout court dai vincoli di contenimento di cui all'art. 9, comma 2-bis, del Dl n. 78/2010.
Diversamente, la Corte dei conti della Toscana nella Deliberazione n. 291/2011 ritiene che nel blocco rientrino anche i compensi relativi al censimento, perché si tratta di risorse della contrattazione integrativa potenzialmente destinate a tutti i dipendenti (articolo Il Sole 24 Ore del 07.11.2011 - link a www.corteconti.it).

VARIInternet conviene solo illimitato. Addio alle offerte a consumo. Per navigare meglio i pacchetti. Una guida alla scelta dell'operatore giusto a seconda di prezzi, esigenze e velocità di connessione.
Adsl, pacchetti «tuttocompreso» o abbonamenti solo navigazione.
Gli italiani hanno detto addio all'internet a consumo e si sono posizionati solo sugli abbonamenti a navigazione illimitata. E gli operatori si sono adeguati. Il mercato della connessione con l'Adsl è diviso in offerte per navigare fino a 7/8 mega e quelle per connessioni veloci fino a 20 mega.
Il prezzo è uniforme per tutti gli operatori nazionali o locali, che ricorrano alla pubblicità o meno: 20 euro al mese per la linea più limitata e 25 per quella veloce. Quindi la scelta degli operatori può basarsi soltanto sulle promozioni del momento e sulla banda che si vuole utilizzare.
Perciò le offerte si caratterizzano per gli sconti sul costo di attivazione della linea, mesi gratuiti o a prezzo ridotto, l'utilizzo del conto corrente per il pagamento al posto del bollettino postale, i servizi aggiuntivi come noleggio modem e pc o la sicurezza del sistema da attacchi di virus e cancellazione dati. ... (articolo ItaliaOggi Sette del 07.11.2011).

GIURISPRUDENZA

ATTI AMMINISTRATIVI: La motivazione del provvedimento amministrativo non può essere integrata nel corso del giudizio.
E' inammissibile l'integrazione postuma della motivazione di un atto amministrativo, realizzata mediante gli atti difensivi predisposti dall’Amministrazione resistente, e ciò anche dopo le modifiche apportate alla l. n. 241/1990 dalla l. 15/2005, rimanendo sempre valido il principio secondo cui la motivazione del provvedimento non può essere integrata nel corso del giudizio con la specificazione di elementi di fatto, dovendo la motivazione precedere e non seguire ogni provvedimento amministrativo, a tutela del buon andamento amministrativo e dell’esigenza di delimitazione del controllo giudiziario (vedi, ex multis, Cons. St., sez. VI, 29.05.2008 n. 2555, e la motivazione ivi contenuta) (tratto da www.dirittodegliappaltipubblici.it - TAR Sicilia-Catania, Sez. IV, sentenza 07.11.2011 n. 2647 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Consorzio stabile: sulla qualificazione minima della consorziata indicata per l'esecuzione dei lavori.
Poiché l’art. 97, comma 4, nella seconda parte prevede espressamente che “alle singole imprese consorziate si applicano le disposizioni previste per le imprese mandanti dei raggruppamenti temporanei di imprese”, va quindi richiamato l’art. 95, comma 2, del medesimo DPR, il quale dispone che tali imprese devono possedere i requisiti economico-finanziari e tecnico-organizzativi ciascuna nella misura minima del 10% di quanto richiesto all'intero raggruppamento.
Come ancora questa Sezione ha già avuto modo di precisare (cfr. sentenza 08.02.2007 n. 223), tale soluzione interpretativa consente di salvaguardare la fondamentale esigenza di far eseguire i lavori ad imprese consorziate adeguatamente qualificate, e quindi in grado di operare con la necessaria competenza tecnica, fornendo idonee garanzie di buona esecuzione all’Ente committente.
E tale esigenza non può essere confusa, da una parte, con la possibilità che ha il Consorzio, come soggetto distinto, di cumulare le qualificazioni delle consorziate al fine di partecipare alla gara, con la diversa esigenza che chi si occuperà in concreto, anche in parte, della esecuzione dell’appalto, sia comunque qualificato a tal fine; e, dall’altra, con l’espressa previsione dell’art. 97, comma 1, del citato D.P.R. 554/1999 secondo cui la facoltà, che i consorzi stabili di imprese hanno, di far eseguire i lavori dai consorziati, lascia “ferma la responsabilità sussidiaria e solidale degli stessi nei confronti della stazione appaltante”.
Perché anche tale previsione ha una distinta ratio, che non incide in alcun modo sulla necessità, già precisata, che anche i consorziati siano adeguatamente qualificati per le opere che dovranno eseguire (nello stesso senso cfr. anche Cons. St., sez. IV, 21.04.2008 n. 1778, secondo cui, a prescindere dal fatto che si tratti di consorzio stabile o ordinario, “è fuori discussione che esso debba dare la dimostrazione, nei modi previsti, del possesso dei requisiti di tutti i consorziati che vengano individuati come esecutori delle prestazioni scaturenti dal contratto”; nonché Id., sez. VI, 22.10.2010 n. 7609) (tratto da www.dirittodegliappaltipubblici.it - TAR Sicilia-Catania, Sez. IV, sentenza 07.11.2011 n. 2645 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

PUBBLICO IMPIEGO: Pubblico impiego, il provvedimento di inquadramento è soggetto a termine decadenziale di impugnazione.
Questo, in estrema sintesi, il principio affermato dal Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 02.11.2011 n. 5845.
In tale sede l’organo collegiale ha avuto modo di ricordare che il provvedimento di inquadramento di pubblici dipendenti è atto autoritativo e, in quanto tale, soggetto a termine decadenziale di impugnazione, con la conseguenza che non è ammissibile un'azione volta all'ottenimento di un diverso inquadramento, se non tempestivamente proposta avverso il provvedimento di attribuzione della qualifica. Allo stesso tempo i giudici escludono la possibilità di un autonomo giudizio di accertamento in funzione di disapplicazione dei provvedimenti dell'Amministrazione, atteso che l'azione di accertamento è esperibile a tutela di un diritto soggettivo, laddove il pubblico dipendente a fronte dell’esercizio della potestà organizzatoria della Pubblica amministrazione risulta invece essere di titolare di un mero interesse legittimo (cfr. sul punto anche Cons. Stato, sez. V, sentt. 1251/2011 e 7104/2010).
In materia di inquadramento di pubblici dipendenti, il Collegio ancora ribadisce, non sono proponibili azioni di accertamento, ma solo domande di impugnazione degli atti autoritativi di assegnazione della qualifica funzionale e del corrispondente livello retributivo, in quanto essendo la posizione giuridica del dipendente qualificabile in termini di interesse legittimo, egli è legittimato a far valere
lo stesso insorgendo tempestivamente, nel rispetto dei termini decadenziali, contro l'atto autoritativo che gli attribuisca una posizione di status e retributiva inferiore a quella che ritiene spettargli (commento tratto da www.diritto.it - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ESPROPRIAZIONEL'esproprio non è in regola? Scatta anche il danno morale.
Scatta anche il danno morale, oltre che quello patrimoniale, in favore del proprietario del terreno quando l'esproprio non è in regola. E ciò grazie alla manovra economica 2011 che ha reintrodotto l'istituto dell'acquisizione sanante.
Lo chiarisce la sentenza 02.11.2011 n. 5844 della V Sez. del Consiglio di Stato.
Il decreto legge 98/2011, che contiene la cosiddetta «manovra di luglio», all'articolo 34 aggiunge una nuova disposizione al Testo unico dell'espropriazione di cui al dpr 327/01 (introducendo l'articolo 42-bis). La novella prevede che al proprietario sia corrisposto un indennizzo per il pregiudizio patrimoniale e non patrimoniale patito dall'illegittima attività posta in essere dalla pubblica amministrazione, anche con riferimento ai fatti antecedenti (comma 8 della norma). Il riferimento al pregiudizio non patrimoniale contenuto nella disposizione, osservano i giudici di Palazzo Spada, costituisce una disposizione innovativa, che impone la necessità di opportuna considerazione anche in sede di risarcimento del danno per illecita occupazione.
La controversia, nella specie, nasce per l'illecita occupazione (temporanea e definitiva) delle aree impiegate nella realizzazione delle opere di urbanizzazione del rione di un comune sardo. E su questo punto, spiega il collegio, ci troviamo di fronte a un'obbligazione che deriva da un illecito extracontrattuale: si tratta, quindi, di un debito di valore e le relative somme, determinate con riferimento alla data della trasformazione irreversibile del bene, devono essere rivalutate secondo equità all'attualità sulla base degli indici Istat (nel caso concreto questa voce di danno è stimata in 50 mila euro, tenuto conto del valore complessivo del risarcimento che non è esiguo).
Risulta poi necessario il riconoscimento del danno da lucro cessante, costituito dalla perdita della possibilità di far fruttare la somma in questione: il danno, considerato il tempo trascorso e il graduale mutamento del potere di acquisto della moneta, è liquidato in via equitativa nella misura degli interessi legali sulle somme rivalutate anno per anno a decorrere dalla data dell'illecito, salvo detrarre quanto già eventualmente versato dal comune ai singoli proprietari interessati dalla procedura ablativa.
Per dirimere la controversia, infine, è rilevante anche la giurisprudenza costituzionale: dopo la sentenza 349/07 della Consulta, infatti, il meccanismo indennitario risulta inapplicabile anche per le occupazioni illegittime anteriori al 30.09.2006 e al proprietario deve essere corrisposto il risarcimento del danno, rapportato al pregiudizio arrecato per la perdita di proprietà del bene (articolo ItaliaOggi dell'08.11.2011 - link a www.ecostampa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATA: A differenza dei casi nei quali il silenzio serbato dall'amministrazione concerne una richiesta di intervenire su presunti abusi edilizi nel caso di richiesta di definire il procedimento, la natura propria del giudizio di accertamento, fa sì che il ricorso possa dirsi regolarmente instaurato con la notifica al controinteressato principale.
Lo scopo del ricorso avverso il silenzio rifiuto, o inadempimento, infatti è di ottenere un provvedimento espresso dell'Amministrazione, che elimini lo stato di inerzia sulla sua istanza.
Di norma la qualifica di controinteressato in senso stretto infatti spetta solo ai soggetti che abbiano una posizione giuridicamente contrapposta a quella della parte ricorrente.
Nell'ipotesi in cui un terzo ricorra per accertare l'illegittimità di un silenzio-rifiuto dell'amministrazione a provvedere sulla domanda di un altro privato, quest’ultimo non può essere un controinteressato.
Il titolare dell’interesse principale è infatti un cointeressato all’ottenimento di un provvedimento esplicito sulla sua domanda. Volendo ritenere il contrario, dovrebbe ammettersi che chi ha azionato il procedimento amministrativo in realtà voglia indebitamente approfittare, in via di fatto, degli effetti perversi conseguenti all’inerzia dell’amministrazione.
In conseguenza, i proprietari del fondo che avevano presentato l’istanza di condono non sono parti necessarie, alle quali il ricorso avrebbe dovuto essere notificato a pena di inammissibilità del primo giudizio, perché non sono titolari di una situazione soggettiva di segno opposto a quello fatto valere con il ricorso in I grado.
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Alla concessione edilizia in sanatoria di cui all'art. 31, l. 28.02.1985, n. 47 sono applicabili i principi in materia di legittimazione all'impugnazione da parte dei proprietari dei fondi confinanti incisi dalla sanatoria dell'illecito non conforme a legge.
Tale legittimazione sussiste per il fatto stesso che il terzo si trovi nella zona interessata dalla costruzione oggetto di sanatoria, a prescindere da ogni indagine sulla sussistenza di un ulteriore specifico interesse.
In tali casi deve riconoscersi una posizione di interesse qualificato all'impugnativa a chi si trovi in una situazione di stabile collegamento con la zona, senza che sia richiesta la prova di un danno specifico:è insito nella violazione edilizia stessa, il danno a tutti i membri di quella collettività derivante dalla presenza di immobili od abitazioni ubicate su un terreno comunque in prossimità delle loro aree.

A differenza dei casi nei quali il silenzio serbato dall'amministrazione concerne una richiesta di intervenire su presunti abusi edilizi (cfr. Consiglio Stato, sez. V, 06.12.1999, n. 2045) nel caso di richiesta di definire il procedimento, la natura propria del giudizio di accertamento, fa sì che il ricorso possa dirsi regolarmente instaurato con la notifica al controinteressato principale.
Lo scopo del ricorso avverso il silenzio rifiuto, o inadempimento, infatti è di ottenere un provvedimento espresso dell'Amministrazione, che elimini lo stato di inerzia sulla sua istanza (cfr. Consiglio Stato, sez. IV, 15.09.2010, n. 6892).
Di norma la qualifica di controinteressato in senso stretto infatti spetta solo ai soggetti che abbiano una posizione giuridicamente contrapposta a quella della parte ricorrente.
Nell'ipotesi in cui un terzo ricorra per accertare l'illegittimità di un silenzio-rifiuto dell'amministrazione a provvedere sulla domanda di un altro privato, quest’ultimo non può essere un controinteressato.
Il titolare dell’interesse principale è infatti un cointeressato all’ottenimento di un provvedimento esplicito sulla sua domanda. Volendo ritenere il contrario, dovrebbe ammettersi che chi ha azionato il procedimento amministrativo in realtà voglia indebitamente approfittare, in via di fatto, degli effetti perversi conseguenti all’inerzia dell’amministrazione.
In conseguenza i proprietari del fondo che avevano presentato l’istanza di condono non sono parti necessarie, alle quali il ricorso avrebbe dovuto essere notificato a pena di inammissibilità del primo giudizio, perché non sono titolari di una situazione soggettiva di segno opposto a quello fatto valere con il ricorso in I grado.
Di qui la piena ammissibilità del gravame in primo grado.
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In linea di principio, alla concessione edilizia in sanatoria di cui all'art. 31, l. 28.02.1985, n. 47 sono applicabili i principi in materia di legittimazione all'impugnazione da parte dei proprietari dei fondi confinanti incisi dalla sanatoria dell'illecito non conforme a legge.
Come la Sezione ha già avuto modo di chiarire, tale legittimazione sussiste per il fatto stesso che il terzo si trovi nella zona interessata dalla costruzione oggetto di sanatoria, a prescindere da ogni indagine sulla sussistenza di un ulteriore specifico interesse (cfr. Consiglio Stato, sez. IV, 30.11.2009, n. 7491).
In tali casi deve riconoscersi una posizione di interesse qualificato all'impugnativa a chi si trovi in una situazione di stabile collegamento con la zona, senza che sia richiesta la prova di un danno specifico:è insito nella violazione edilizia stessa, il danno a tutti i membri di quella collettività derivante dalla presenza di immobili od abitazioni ubicate su un terreno comunque in prossimità delle loro aree (Consiglio Stato, sez. VI, 01.02.2010, n. 400; idem 16.03.2010 n. 1535)
(Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 27.10.2011 n. 5775 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAAl di là della individuazione delle aree golenali, la particolarità del lotto, che non è inserito nell’ambito di un’area totalmente edificata, esclude la qualità della stessa di lotto intercluso, essendo evidente che una tale qualità, in tanto sussiste in quanto lo stesso si trovi circondato da altri lotti edificati in un’area totalmente urbanizzata, mentre è fuori discussione che qualsiasi intervento edificatorio nella zona, per le norme di salvaguardia, andava preceduto da uno specifico piano attuativo, che non c’è stato.
In linea di principio, l’esonero dalla previa formazione dello strumento di pianificazione attuativa pur contemplato dal piano regolatore generale comunale può avvenire riguardo nell’ipotesi del c.d. “lotto intercluso”, nel quale –per l’appunto- nessuno spazio si rinviene per un’ulteriore pianificazione e che va conseguentemente identificato quale lotto residuale ubicato in area completamente urbanizzata, fermo restando che può essere al caso considerato intercluso anche il lotto affacciante sulla pubblica via e compreso tra edifici che sorgono su almeno due lati.
A’ sensi dell’art. 9 del T.U. approvato con D.P.R. 08.06.2001 n. 380, nella aree per le quali non sono stati approvati gli strumenti urbanistici attuativi di quello generale è inibita qualsiasi attività edilizia, a meno che questa non debba essere svolta all’interno di un lotto intercluso; con la precisazione che la relativa fattispecie costituisce una deroga eccezionale al divieto per le amministrazioni comunali di rilasciare un permesso di costruire in assenza della preventiva approvazione dei piani attuativi previsti dallo strumento urbanistico generale.
In conseguenza di ciò, non è comunque sufficiente un qualunque stadio d’urbanizzazione di fatto per eludere l’obbligatorietà della pianificazione attuativa, essendo -semmai– doveroso il ricorso a quest’ultima fino a quando essa conservi una qualche utile funzione anche in aree compromesse o urbanizzate, e fermo altresì restando che l’Amministrazione Comunale, prima di assentire l’edificazione diretta nel presupposto della sussistenza del lotto intercluso, deve accertare, motivando adeguatamente sul punto, che la pianificazione esecutiva non conservi un’utile funzione e non sia in grado di esprimere scelte programmatorie distinte rispetto a quelle contenute nel piano regolatore generale.

La Sezione, a tale riguardo, si è esplicitamente pronunciata confermando sul punto quanto già affermato dal TAR, ossia rilevando che “al di là della individuazione delle aree golenali, la particolarità del lotto, che non è inserito nell’ambito di un’area totalmente edificata, esclude la qualità della stessa di lotto intercluso, essendo evidente che una tale qualità, in tanto sussiste in quanto lo stesso si trovi circondato da altri lotti edificati in un’area totalmente urbanizzata, mentre è fuori discussione che qualsiasi intervento edificatorio nella zona, per le norme di salvaguardia, andava preceduto da uno specifico piano attuativo, che non c’è stato” (cfr. pag. 7 della decisione qui impugnata); e, come è ben noto, al fine della stessa ammissibilità dell’istanza revocatoria, la stessa non deve riguardare un punto controverso sul quale il giudice si sia espressamente pronunciato (cfr. al riguardo, ex plurimis, Cons. Stato, Sez. VI, 23.02.2011 n. 1145, secondo cui l’errore di fatto idoneo a costituire il vizio revocatorio previsto dall'art. 395 n. 4, c.p.c. deve consistere in un travisamento di fatto costitutivo di quell’“abbaglio dei sensi” che cade –per l’appunto- su un punto decisivo ma non espressamente controverso della causa.: la ratio di tale condivisibile orientamento si fonda sulla necessità di evitare che tale mezzo straordinario di impugnazione si trasformi in un gravame, teoricamente reiterabile più volte e idoneo a condizionare sine die il passaggio in giudicato di una pronuncia giurisdizionale).
Comunque sia, è ben noto che –in linea di principio– l’esonero dalla previa formazione dello strumento di pianificazione attuativa pur contemplato dal piano regolatore generale comunale può avvenire riguardo nell’ipotesi del c.d. “lotto intercluso”, nel quale –per l’appunto- nessuno spazio si rinviene per un’ulteriore pianificazione (cfr. sul punto, ex plurimis, Cons. Stato, Sez. V, 01.12.2003 n. 7799) e che va conseguentemente identificato quale lotto residuale ubicato in area completamente urbanizzata (così, ex multis, Cons. Stato, Sez. IV, 25.05.2002 n. 2592), fermo restando che può essere al caso considerato intercluso anche il lotto affacciante sulla pubblica via e compreso tra edifici che sorgono su almeno due lati (cfr., ad es., Cons. Stato , Sez. V, 21.10.1985 n. 339).
La giurisprudenza, pertanto, con riguardo alla disciplina legislativa edilizia attualmente in vigore, correntemente afferma che a’ sensi dell’art. 9 del T.U. approvato con D.P.R. 08.06.2001 n. 380, nella aree per le quali non sono stati approvati gli strumenti urbanistici attuativi di quello generale è inibita qualsiasi attività edilizia, a meno che questa non debba essere svolta all’interno di un lotto intercluso (così, ex plurimis, Cons. Stato, Sez. IV, 21.12.2009 n. 8531), precisando peraltro, allo stesso tempo, che la relativa fattispecie costituisce una deroga eccezionale al divieto per le amministrazioni comunali di rilasciare un permesso di costruire in assenza della preventiva approvazione dei piani attuativi previsti dallo strumento urbanistico generale (così, ad es., Cons. Stato, Sez. IV, 10.06.2010 n. 3699).
In conseguenza di ciò, non è comunque sufficiente un qualunque stadio d’urbanizzazione di fatto per eludere l’obbligatorietà della pianificazione attuativa, essendo -semmai– doveroso il ricorso a quest’ultima fino a quando essa conservi una qualche utile funzione anche in aree compromesse o urbanizzate (cfr. al riguardo Cons. Stato, Sez. V, 06.10.2000 n. 5326), e fermo altresì restando che l’Amministrazione Comunale, prima di assentire l’edificazione diretta nel presupposto della sussistenza del lotto intercluso, deve accertare, motivando adeguatamente sul punto, che la pianificazione esecutiva non conservi un’utile funzione e non sia in grado di esprimere scelte programmatorie distinte rispetto a quelle contenute nel piano regolatore generale (Cons. Stato, Sez. IV, 10.06.2010 n. 3699) (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 27.10.2011 n. 5764 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

COMPETENZE GESTIONALIL'ordine di demolizione d'un edificio abusivo, essendo un atto sanzionatorio a carattere vincolato, è di competenza del dirigente del settore a seguito della devoluzione, in via generale, delle competenze gestionali del sindaco ai dirigenti del comune operata dagli art. 4 e 51, della riforma della autonomie locali di cui alla L. 08.06.1990 n. 142. Tel principio è stato poi ulteriormente chiarito dalle disposizioni di carattere interpretativo, rispettivamente dell’art. 6, comma 2, l. n. 127 del 1997, e dell’art. 2, l. n. 191 del 1998 con cui il legislatore ha espressamente ricompreso, tra gli atti di gestione, proprio i provvedimenti repressivi degli abusi edilizi.
La giurisprudenza ha affermato che l'ordine di demolizione d'un edificio abusivo, essendo un atto sanzionatorio a carattere vincolato, è di competenza del dirigente del settore (cfr. Consiglio Stato, sez. V, 06.03.2000, n. 1149; Consiglio Stato, sez. IV, 24.12.2008, n. 6550) a seguito della devoluzione, in via generale, delle competenze gestionali del sindaco ai dirigenti del comune operata dagli art. 4 e 51, della riforma della autonomie locali di cui alla L. 08.06.1990 n. 142. Tel principio è stato poi ulteriormente chiarito dalle disposizioni di carattere interpretativo, rispettivamente dell’art. 6, comma 2, l. n. 127 del 1997, e dell’art. 2, l. n. 191 del 1998 con cui il legislatore ha espressamente ricompreso, tra gli atti di gestione, proprio i provvedimenti repressivi degli abusi edilizi
(Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 27.10.2011 n. 5758 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALe sanzioni edilizie hanno natura “reale” nel senso che colpiscono il bene.
In materia di abusi edilizi, è destinatario dell’ordine di demolizione il soggetto che ha la disponibilità dell’opera, indipendentemente dal fatto che l’abbia concretamente realizzata o meno.
Al fine della legittimità dell’applicazione delle sanzioni demolitorie, l’Amministrazione non ha alcun obbligo di compiere accertamenti giuridici circa l’esistenza di particolari rapporti interprivati, ma solo l’onere di individuare il proprietario catastale.
In conclusione, l’ordine di demolizione di opere abusive è legittimamente notificato al proprietario dell’area, che ne è anche il materiale legittimo detentore, a prescindere dalla sua corresponsabilità o meno dell’abuso (profilo che rileva solo ai fini della responsabilità penale).
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La “variazione essenziale” ricorre sempre quando viene mutata la localizzazione dell'edificio sull'area di pertinenza rispetto al titolo edilizio: in tali casi la costruzione è sempre abusiva quando l’edificio è "traslato" in maniera significativa rispetto alla localizzazione autorizzata nelle tavole progettuali.
L’abusività della medesima è dalla legge collegata al fatto che la traslazione avrebbe dovuto comportare una nuova valutazione del progetto da parte dell'amministrazione, sotto il profilo della sua compatibilità con i parametri urbanistici e, come nel caso in esame con le caratteristiche, le connotazioni e le limitazioni dell'area. Al riguardo, in caso di difformità tra fabbricato realizzato e progetto, quello che ha rilievo ai fini giuridici è sempre quest’ultimo.
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Gli abusi edilizi sono essere considerati illeciti di carattere permanente, costituiti dall'omissione della spontanea demolizione da effettuare per adeguare lo stato di fatto a quello di diritto.
Di conseguenza, l'obbligo di disporre la demolizione nasce nel momento della realizzazione del manufatto, ed esclude che sia configurabile la violazione del principio di irretroattività della legge per fatti commessi prima della sua entrata in vigore, poiché il fatto che consente la demolizione è caratterizzato proprio dall'omessa demolizione di quanto è stato insanabilmente realizzato e dalla sua incidenza sugli interessi urbanistici.
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L'ordine di demolizione di un’opera edilizia abusiva è, quindi, sufficientemente motivato con la sola affermazione della accertata abusività dell'opera stessa.
Il provvedimento di demolizione, al pari di tutti i provvedimenti sanzionatori in materia edilizia, è atto vincolato che non richiede una specifica valutazione delle ragioni di interesse pubblico, né una comparazione di quest'ultimo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati, né una motivazione sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale alla demolizione, non potendo neppure ammettersi l'esistenza di alcun affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di fatto abusiva, che il tempo non può giammai legittimare.
Le sanzioni edilizie hanno natura “reale” nel senso che colpiscono il bene.
In materia di abusi edilizi, è destinatario dell’ordine di demolizione il soggetto che ha la disponibilità dell’opera, indipendentemente dal fatto che l’abbia concretamente realizzata o meno (cfr. Consiglio Stato, sez. IV, 12.04.2011, n. 2266).
Al fine della legittimità dell’applicazione delle sanzioni demolitorie, l’Amministrazione non ha alcun obbligo di compiere accertamenti giuridici circa l’esistenza di particolari rapporti interprivati, ma solo l’onere di individuare il proprietario catastale (cfr. Consiglio Stato, sez. V, 31.03.2010, n. 1878).
In conclusione, l’ordine di demolizione di opere abusive è legittimamente notificato al proprietario dell’area, che ne è anche il materiale legittimo detentore, a prescindere dalla sua corresponsabilità o meno dell’abuso (profilo che rileva solo ai fini della responsabilità penale).
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Secondo il principio generale posto dall’art. 8 della L. n. 47/1985 (che peraltro oggi risulta definitivamente trasposto nell'art. 32, lett. c), d.P.R. 06.06.2001 n. 380), la “variazione essenziale” ricorre sempre quando viene mutata la localizzazione dell'edificio sull'area di pertinenza rispetto al titolo edilizio: in tali casi la costruzione è sempre abusiva quando l’edificio è "traslato" in maniera significativa rispetto alla localizzazione autorizzata nelle tavole progettuali.
L’abusività della medesima è dalla legge collegata al fatto che la traslazione avrebbe dovuto comportare una nuova valutazione del progetto da parte dell'amministrazione, sotto il profilo della sua compatibilità con i parametri urbanistici e, come nel caso in esame con le caratteristiche, le connotazioni e le limitazioni dell'area. Al riguardo, in caso di difformità tra fabbricato realizzato e progetto, quello che ha rilievo ai fini giuridici è sempre quest’ultimo.
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Gli abusi edilizi sono essere considerati illeciti di carattere permanente, costituiti dall'omissione della spontanea demolizione da effettuare per adeguare lo stato di fatto a quello di diritto.
Di conseguenza, l'obbligo di disporre la demolizione nasce nel momento della realizzazione del manufatto, ed esclude che sia configurabile la violazione del principio di irretroattività della legge per fatti commessi prima della sua entrata in vigore, poiché il fatto che consente la demolizione è caratterizzato proprio dall'omessa demolizione di quanto è stato insanabilmente realizzato e dalla sua incidenza sugli interessi urbanistici (cfr. Consiglio Stato, sez. V, 12.10.2010 , n. 7392).
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L'ordine di demolizione di un’opera edilizia abusiva è, quindi, sufficientemente motivato con la sola affermazione della accertata abusività dell'opera stessa (cfr. Consiglio Stato, sez. IV, 12.04.2011, n. 2266).
Esattamente il TAR ha rilevato che il provvedimento di demolizione, al pari di tutti i provvedimenti sanzionatori in materia edilizia, è atto vincolato che non richiede una specifica valutazione delle ragioni di interesse pubblico, né una comparazione di quest'ultimo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati, né una motivazione sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale alla demolizione, non potendo neppure ammettersi l'esistenza di alcun affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di fatto abusiva, che il tempo non può giammai legittimare (cfr. Consiglio Stato , sez. V, 27.04.2011, n. 2497; Consiglio Stato, sez. V, 11.01.2011, n. 79)
(Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 27.10.2011 n. 5758 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVIIl conseguimento -a seguito del silenzio-accoglimento- del provvedimento favorevole non esclude che l'amministrazione possa esercitare, in via di autotutela, ulteriori controlli di legittimità e di merito in ordine all'autorizzazione assentita ed eventualmente pronunciarne l'annullamento, senza dover motivare circa le ragioni di interesse pubblico attuale.
In linea generale, deve rilevarsi che il conseguimento  -a seguito del silenzio-accoglimento- del provvedimento favorevole non esclude che l'amministrazione possa esercitare, in via di autotutela, ulteriori controlli di legittimità e di merito in ordine all'autorizzazione assentita ed eventualmente pronunciarne l'annullamento, senza dover motivare circa le ragioni di interesse pubblico attuale (cfr. Consiglio Stato, sez. VI, 25.07.2006, n. 4620) (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 27.10.2011 n. 5758 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La nozione di “area di sedime” si riferisce ex se non all’interrato ma alla sola edificazione “fuori terra”, in quanto indica la superficie coperta di un edificio risultante dalla proiezione sul piano orizzontale delle parti edificate fuori terra e delimitate dalle superfici esterne delle murature perimetrali.
La nozione di “area di sedime” si riferisce ex se non all’interrato, ma alla sola edificazione “fuori terra”, in quanto indica la superficie coperta di un edificio risultante dalla proiezione sul piano orizzontale delle parti edificate fuori terra e delimitate dalle superfici esterne delle murature perimetrali (così, ad es., Cons. Stato, Sez. V, 08.01.1998 n. 55) (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 27.10.2011 n. 5756 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTILa difformità tra bando e lettera d’invito può produrre una lesione della par condicio dei partecipanti alla gara.
Nelle procedure ristrette, infatti, vale la regola dell’inderogabilità del bando da parte della lettera d’invito, collegata sia alla funzione meramente integrativa della lettera d’invito rispetto al bando, sia alla necessità che le prescrizioni rese note alla generalità degli aspiranti a partecipare alla gara non possano essere modificate con un atto rivolto alle sole imprese che abbiano chiesto di partecipare.
L’applicazione di questa regola implica che ove la stazione appaltante riscontri una illegittimità ovvero intenda modificare le prescrizioni del bando di gara, non può procedere ad una sua rettifica mediante la lettera d’invito, ma è tenuta ad utilizzare per la modifica lo strumento del contrarius actus. Parimenti, quando illegittimità vengano riscontrate nella lettera d’invito, né l’amministrazione né la Commissione hanno il potere di emendarla dopo l’apertura delle offerte, avendo la possibilità di annullare l’intera gara.
Secondo i giudici del Consiglio di Stato, pertanto, nonostante sotto il profilo interpretativo, il contrasto tra bando e lettera d’invito vada risolto in base alla prevalenza del primo, quale lex specialis della selezione concorsuale (Cons. St. Sez. V, 29.03.2004, n. 1660, che richiama il parere della Sez. II, n. 149 del 07.03.2001), ciò non toglie che la difformità tra i due atti –indipendentemente dai motivi che abbiano, consapevolmente o per mero errore materiale, indotto l’amministrazione alla modifica delle prescrizioni nella lettera d’invito- sia idonea, in concreto, a pregiudicare l’imparzialità e l’applicazione uniforme delle regole nei confronti di tutti i partecipanti.
Nella pronuncia in commento, la società ricorrente, al pari degli altri concorrenti, al momento di presentare l’offerta, ha dovuto tener conto della contraddittoria modifica delle prescrizioni sulle cauzioni ed ha presentato un’offerta confidando (o, comunque, potendo confidare, non prevedendo il successivo comportamento della Commissione di valutazione) nell’attribuzione di pesi ponderali contenuti nella lettera d’invito difformi da quelli indicati nel bando.
Il comportamento della stazione appaltante e della Commissione, a parere dei giudici di Palazzo Spada –che prima ha applicato le regole della lettera d’invito per poi correggersi applicando i pesi indicati nel bando- avvalora lo stato di incertezza e la turbativa al corretto ed uniforme svolgimento della procedura di selezione denunciato dalla ricorrente e la violazione dei principi di correttezza, pubblicità, trasparenza e par condicio tra i concorrenti di cui agli articoli 2, 64 e 67 del codice dei contratti pubblici, applicabili a tutte le procedure di scelta, sia dell’appaltatore che del concessionario, anche in base all’espresso richiamo contenuto nell’art. 30 dello stesso codice (commento tratto da www.documentazione.ancitel.it - Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 27.10.2011 n. 5740 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

PUBBLICO IMPIEGO: Mansioni superiori di fatto e diritto alle differenze retributive.
La Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, ha stabilito che il diritto del pubblico dipendente a percepire le differenze del trattamento economico rispetto alla qualifica superiore, in caso di esercizio di fatto di mansioni superiori (senza effetto ai fini dell'inquadramento), sussiste sempre, anche quando si sia in presenza di esercizio (di fatto) di funzioni dirigenziali da parte di un funzionario.
Infatti, la ratio dell'art. 52 del D.Lgs. 165/2001 è quella di assicurare, in ogni caso, al lavoratore, pur in assenza di un diritto alla promozione, la retribuzione proporzionata alla qualità del lavoro prestato (tratto da www.publika.it - Corte di Cassazione, Sez. lavoro, sentenza 27.10.2011 n. 2243).

APPALTI: Partecipazione alle gare, cauzione anche con assegno (circolare).
Poiché l'assegno circolare, a differenza dell'assegno bancario, costituisce un ordinario strumento di pagamento delle obbligazioni pecuniarie, in tutto e per tutto equivalente al versamento in contanti delle somme dovute, ne consegue che in sede di gara per l'aggiudicazione di lavori pubblici la presentazione delle cauzioni mediante assegno circolare deve ritenersi ritualmente effettuata rispetto alla previsione del bando che faccia riferimento al versamento per numerario o in titoli di Stato o garantiti dallo Stato. In sede di gara di appalto la cauzione costituisce parte integrante dell’offerta e non un elemento di corredo della stessa ed ha, come ragione di essere, la finalità di garantire la serietà della partecipazione alla gara e l'adempimento dell'impegno a contrattare in caso di aggiudicazione.
Tale funzione è ugualmente assicurata, oltre che dalla quietanza rilasciata da una Tesoreria Provinciale dello Stato ovvero da una polizza assicurativa o da una fideiussione bancaria, anche dalla presentazione di un assegno circolare che, a differenza dell'assegno bancario, costituisce un ordinario strumento di pagamento delle obbligazioni pecuniarie, in tutto e per tutto equivalente al versamento in contanti delle somme dovute.
D'altra parte, secondo un orientamento della Suprema Corte di Cassazione la consegna di assegni circolari, pur non equivalendo direttamente al pagamento a mezzo di somme di danaro, estingue l'obbligazione quando il rifiuto del creditore appare contrario alle regole di correttezza che gli impongono l'obbligo di prestare la sua collaborazione all'adempimento dell'obbligazione a norma dell'art. 1175 C.C.; la stessa natura dell'assegno circolare assicura al legittimo portatore la sicurezza di conseguire la somma di danaro in esso indicata, così che, salvo che non vi siano dubbi sulla sua regolarità o autenticità ovvero salvo che non vi sia un apprezzabile interesse a ricevere il danaro in contanti, anziché in titoli, l'assegno circolare estingue l'obbligazione.
Con parere 29.03.2007 anche l’Autorità di Vigilanza sui contratti pubblici ha ritenuto che Ai fini della cauzione provvisoria, la presentazione dell’assegno circolare è stata ritenuta ammissibile dalla giurisprudenza amministrativa: "atteso che l'assegno circolare, a differenza dell'assegno bancario, costituisce un ordinario strumento di pagamento delle obbligazioni pecuniarie, in tutto e per tutto equivalente al versamento in contanti delle somme dovute, in sede di gara per l'aggiudicazione di lavori pubblici la presentazione delle cauzioni mediante assegno circolare deve ritenersi ritualmente effettuata rispetto alla previsione del bando che faccia riferimento al versamento per numerario o in titoli di Stato o garantiti dallo Stato”.
Ciò premesso, si tratta di verificare se l’assegno circolare tratto da una sola delle imprese (la mandataria) del costituendo raggruppamento possa garantire in tutto e per tutto la stazione appaltante anche nel caso in cui l’eventuale inadempimento sia ascrivibile ad altra impresa associanda (mandante).
Ritiene il Collegio che la garanzia offerta nella specie soddisfi alla disciplina di gara, in conformità con quanto previsto dal codice dei contratti pubblici; la cauzione può essere, infatti, a scelta dell’offerente, costituita, tra l’altro, in contanti o in titoli del debito pubblico a titolo di pegno a favore dell’amministrazione aggiudicatrice; nel caso in esame la stessa è stata costituita con assegno circolare, nel rispetto, per quanto sopra rilevato, della disciplina di settore; solo che, nell’allegare detti assegni all’offerta, non è stato fatto esplicito riferimento all’ATI costituenda, né alla mandante.
È non di meno da ritenere che, essendovi sostanziale coincidenza tra la garanzia in numerario e l’assegno circolare (che è coperto dalla banca emittente, che ne garantisce la copertura per l’intero importo pari al prescritto 2% dell’importo posto a base di gara), l’assegno stesso costituisca una sorta di garanzia reale, in virtù della quale l’eventuale inadempimento da parte dell’ATI, indipendentemente dall’impresa associanda alla quale è dovuto, viene garantito dalla possibilità stessa, per la stazione appaltante, di riscuotere l’assegno stesso presso la banca emittente, senza che questa possa eccepire alcunché o opporre ostacoli alla corresponsione del dovuto, mentre eventuali divergenze interpretative per ciò che attiene all’impresa oggettivamente responsabile dell’inadempimento dovranno essere risolte tra le imprese associande, senza che nelle eventuali controversie tra di esse possa essere coinvolta la stazione appaltante.
Come ritenuto dalla stazione appaltante, quindi, si è trattato della presentazione di una garanzia immediata, potendo essa stessa escutere direttamente la cauzione presentando in banca il titolo in suo possesso, senza correre il rischio connesso ad eventuali eccezioni del terzo in ordine all’estensione soggettiva della garanzia (laddove, invece, nell’ipotesi di garanzia offerta mediante polizza fideiussoria da un soggetto terzo in base ad un rapporto di natura obbligatoria, le imprese debbono essere intestatarie tutte della cauzione stessa, onde garantire la stazione appaltante da eventuali eccezioni del fideiussore in ordine ad inadempimenti imputabili ai soggetti che non risultano intestatari della polizza medesima).
Donde, in definitiva, la piena tutela assicurata da detto strumento finanziario alla stazione appaltante; strumento che, in quanto allegato dall’ATI concorrente all’offerta quale garanzia della stessa e per il prescritto importo percentuale, non poteva che essere riferita a quest’ultima ed agli eventuali inadempimenti di entrambe le associande (commento tratto da www.ipsoa.it - TAR Toscana, Sez. I, sentenza 27.10.2011 n. 1584 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICAL'escussione, da parte del Comune, di una polizza fideiussoria concessa a garanzia di somme pattuite in una convenzione di lottizzazione, rientra nella giurisdizione del G.O..
La controversia da cui è tratto questo principio si incentrava sull'annullamento di una sentenza del TAR che aveva considerato inammissibile il ricorso proposto per l’annullamento delle deliberazioni con le quali un Comune aveva accertato l’inadempimento degli obblighi assunti dal ricorrente con convenzione, decidendo di ottenere il pagamento della penale prevista.
Secondo il ricorrente la convenzione stipulata tra il Comune ed un costruttore privato, con la quale questi, per ottenere una licenza di costruzione, si obblighi a determinati adempimenti nei confronti del Comune, non costituisce atto di diritto privato e rappresenta invece un atto intermedio del procedimento amministrativo diretto al conseguimento del provvedimento finale; dalla convenzione, pertanto, derivano poteri autoritativi e le relative controversie appartengono al provvedimento concessorio, con giurisdizione del G.A..
I giudici del Consiglio di Stato hanno, al contrario, riconosciuto la natura di attività privatistica alla possibilità prevista nella convenzione a favore del Comune di chiedere il pagamento di una penale ex art. 1382 del c.c. (che stabilisce che la clausola, con cui si conviene che, in caso d'inadempimento o di ritardo nell'adempimento, uno dei contraenti è tenuto a una determinata prestazione, ha l'effetto di limitare il risarcimento alla prestazione promessa, se non è stata convenuta la risarcibilità del danno ulteriore), sia perché nel prevedere essa penale l’Amministrazione è ricorsa ad un contratto e non ha al riguardo emanato un provvedimento autoritativo e sia perché per ottenere quella prestazione non può agire in autotutela.
Osservano in proposito gli stessi giudici che in linea generale sussiste la giurisdizione del G.A. in ordine alle controversie inerenti a convenzioni urbanistiche, ex art. 11, comma 5, della l. n. 241/1990, che devolve al G.A. la giurisdizione esclusiva sulle controversie relative alla formazione, conclusione ed esecuzione degli accordi sostitutivi del provvedimento conclusi dalla p.a. con gli interessati, ed è applicabile, quale norma sulla giurisdizione, anche agli accordi stipulati, come nel caso in rassegna, anteriormente alla sua entrata in vigore.
Essi non possono però ritenersi dotati della specifica autonomia, fonte negoziale di regolamento dei contrapposti interessi delle parti stipulanti, che ha invece caratterizzato l’apposizione della clausola di cui trattasi alla convenzione intercorsa tra le parti, in deroga alla normativa urbanistica comunale all’epoca vigente e non esplicitamente prevista ed individuata dalla l.r. n. 1/1982 in base alla quale è stata stipulata, che fa riferimento genericamente alla necessarietà di garanzie per gli impegni assunti.
Non può quindi riconoscersi natura di accordo procedimentale previsto da detto art. 11, comma 5, della l. n. 241/1990 alla convenzione stipulata nel caso per cui è causa, che riguarda invece un rapporto privatistico qualificabile come garanzia a prima richiesta e che configura un contratto autonomo di garanzia, espressione dell'autonomia negoziale ex art. 1322 c.c., che ha la funzione di tenere indenne il creditore dalle conseguenze del mancato adempimento della prestazione gravante sul debitore principale e che può riguardare anche un fare infungibile; come tale esso è volto a trasferire da un soggetto ad un altro il rischio economico connesso alla mancata esecuzione di una prestazione contrattuale, che può dipendere o meno dall'inadempimento del debitore e non è quindi condizionato necessariamente all'esatto adempimento della medesima prestazione principale, come nel caso della fideiussione (commento tratto da www.documentazione.ancitel.it - Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 26.10.2011 n. 5711 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIl divieto di costruire nuovi edifici o di ampliare quelli esistenti, sancito dall’art. 338 del R.D. n. 1265/1934 integra, in via ordinaria, un vincolo di inedificabilità assoluta.
Ne deriva che non trova applicazione, in relazione ad abusi edilizi realizzati all’interno dell’area di rispetto cimiteriale, l’istituto del silenzio-assenso, stante il disposto dell’art. 35, comma 12, della legge n. 47/1985.
La deroga alla distanza minima di duecento metri dai cimiteri può riguardare soltanto l’ampliamento degli stessi, e non anche l’attività edificatoria dei privati; infatti, con l’entrata in vigore dell’art. 57, comma 4, del D.P.R. n. 285/1990, si registrano due distinti regimi di inedificabilità per quanto concerne la fascia di rispetto cimiteriale: per gli ampliamenti dei cimiteri esistenti tale fascia è ridotta a 100 o 50 metri, con possibilità per i comuni di estenderne l’ampiezza ma non di ridurla ulteriormente, mentre per le restanti edificazioni la misura della zona di rispetto è stabilita in 200 metri dal perimetro dei cimiteri.
Il vincolo così regolamentato, costituendo vincolo assoluto di inedificabilità ex lege, è tale da prevalere anche su eventuali disposizioni contrarie del PRG: trattasi di vincolo operante ex se, indipendentemente dagli strumenti urbanistici vigenti ed eventualmente anche in contrasto con i medesimi.
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Il vincolo cimiteriale riguarda anche gli edifici sparsi utilizzati per il ricovero di attrezzi agricoli o aventi destinazione diversa da quella abitativa, ponendosi anche rispetto ad essi l’esigenza, perseguita dall’art. 338, comma 1, del R.D. n. 1265/1934, di salvaguardare la salubrità pubblica e di consentire futuri ampliamenti del cimitero.
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La riduzione della fascia di rispetto cimiteriale è possibile, a seguito dell’entrata in vigore del D.P.R. n. 285/1990, solo a beneficio di ampliamenti del cimitero, e non per incrementare l’area di edificabilità privata. Il vincolo de quo, come risulta da consolidato orientamento giurisprudenziale puntualmente richiamato nella trattazione della prima censura, comporta l’inedificabilità assoluta nella fascia dei 200 metri e trova applicazione diretta, indipendentemente dalle previsioni dello strumento urbanistico, con la conseguenza che appare corretto il riferimento, espresso nell’atto impugnato, all’art. 33 della legge n. 47/1985.
Invero la presenza del manufatto all’interno della predetta fascia rappresenta, per applicazione diretta dell’art. 338 del R.D. n. 1265/1934, ragione di per sé ostativa alla regolarizzazione dell’abuso.

Il divieto di costruire nuovi edifici o di ampliare quelli esistenti, sancito dall’art. 338 del R.D. n. 1265/1934 integra, in via ordinaria, un vincolo di inedificabilità assoluta (Cons. Stato, V, 23/08/2000, n. 4574; TAR Campania, Napoli, II, 13/02/2009, n. 802; idem, 25/01/2007, n. 711; TAR Toscana, III, 02/07/2008, n. 1712).
Ne deriva che non trova applicazione, in relazione ad abusi edilizi realizzati all’interno dell’area di rispetto cimiteriale, l’istituto del silenzio-assenso, stante il disposto dell’art. 35, comma 12, della legge n. 47/1985.
La deroga alla distanza minima di duecento metri dai cimiteri può riguardare soltanto l’ampliamento degli stessi, e non anche l’attività edificatoria dei privati; infatti, con l’entrata in vigore dell’art. 57, comma 4, del D.P.R. n. 285/1990, si registrano due distinti regimi di inedificabilità per quanto concerne la fascia di rispetto cimiteriale: per gli ampliamenti dei cimiteri esistenti tale fascia è ridotta a 100 o 50 metri, con possibilità per i comuni di estenderne l’ampiezza ma non di ridurla ulteriormente, mentre per le restanti edificazioni la misura della zona di rispetto è stabilita in 200 metri dal perimetro dei cimiteri (Cons. Stato, V, 23/08/2000, n. 4574; TAR Sicilia, Catania, I, 19/05/2003, n. 791).
Il vincolo così regolamentato, costituendo vincolo assoluto di inedificabilità ex lege, è tale da prevalere anche su eventuali disposizioni contrarie del PRG: trattasi di vincolo operante ex se, indipendentemente dagli strumenti urbanistici vigenti ed eventualmente anche in contrasto con i medesimi (Cons. Stato, V, 27/08/1999, n. 1006; idem, IV, 27/10/2009, n. 6547).
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Il vincolo cimiteriale riguarda anche gli edifici sparsi (Cons. Stato, V, 14/09/2010, n. 6671; idem, 03/05/2007, n. 1933; TAR Campania, Napoli, II, 13/02/2009, n. 802; idem, 25/01/2007, n. 711) utilizzati per il ricovero di attrezzi agricoli o aventi destinazione diversa da quella abitativa (Cons. Stato, V, 23/08/2000, n. 4574), ponendosi anche rispetto ad essi l’esigenza, perseguita dall’art. 338, comma 1, del R.D. n. 1265/1934, di salvaguardare la salubrità pubblica e di consentire futuri ampliamenti del cimitero (TAR Abruzzo, L’Aquila, I, 14/10/2008, n. 1141).
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La riduzione della fascia di rispetto cimiteriale è possibile, a seguito dell’entrata in vigore del D.P.R. n. 285/1990, solo a beneficio di ampliamenti del cimitero, e non per incrementare l’area di edificabilità privata (Cons. Stato, V, 23/08/2000, n. 4574; TAR Puglia, Bari, II, 07/06/1999, n. 392). Il vincolo de quo, come risulta da consolidato orientamento giurisprudenziale puntualmente richiamato nella trattazione della prima censura, comporta l’inedificabilità assoluta nella fascia dei 200 metri e trova applicazione diretta, indipendentemente dalle previsioni dello strumento urbanistico, con la conseguenza che appare corretto il riferimento, espresso nell’atto impugnato, all’art. 33 della legge n. 47/1985.
Invero la presenza del manufatto all’interno della predetta fascia rappresenta, per applicazione diretta dell’art. 338 del R.D. n. 1265/1934, ragione di per sé ostativa alla regolarizzazione dell’abuso (TAR Toscana, Sez. III, sentenza 25.10.2011 n. 1542 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAAi fini della presentazione della domanda di sanatoria edilizia è sufficiente l’esistenza di un contratto preliminare relativo all’acquisto dell’immobile, avuto riguardo all’esperibilità della tutela in forma specifica, ex art. 2932 c.c., in caso di inadempimento della controparte.
Alla luce di un significativo orientamento giurisprudenziale al quale il Collegio ritiene di aderire, ai fini della presentazione della domanda di sanatoria edilizia è sufficiente l’esistenza di un contratto preliminare relativo all’acquisto dell’immobile, avuto riguardo all’esperibilità della tutela in forma specifica, ex art. 2932 c.c., in caso di inadempimento della controparte (Cons. Stato, IV, 27/10/2009, n. 6545; TAR Puglia, Lecce, III, 07/04/2011, n. 612)
(TAR Toscana, Sez. III, sentenza 25.10.2011 n. 1541 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAL’art. 873 c.c. non contiene una definizione di costruzione, rilevante ai fini del calcolo delle distanze tra edifici; tale definizione è data dall’interpretazione giurisprudenziale, secondo cui vi rientra qualsiasi opera non totalmente interrata avente i caratteri della solidità e immobilizzazione rispetto al suolo, compresi i balconi e le scale esterne in muratura.
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La concessione edilizia in sanatoria può introdurre o recepire prescrizioni tese ad imporre correttivi sull’esistente, qualora si tratti, come nel caso di specie, di integrazioni minime, di esigua entità, che consentano il ripristino della salvaguardia di diritti dei terzi.

L’art. 17 delle N.T.A. del piano regolatore approvato con deliberazione regionale n. 11302 del 12/12/1988 (richiamato da Grilli s.a.s. nella memoria difensiva; documento n. 4 depositato in giudizio dalla stessa) prevede che non vadano considerate, ai fini del calcolo delle distanze tra edifici e dai confini, “le sporgenze dei balconi che abbiano uno sbalzo inferiore a 2 metri e, sempre nel limite di 2 metri dal corpo di fabbrica principale, tutte le scale esterne sia principali che di servizio insieme agli aggetti delle coperture”. Analoga esclusione dal computo delle distanze è prevista dall’art. 7 delle N.T.A. del regolamento urbanistico, nel testo vigente al momento dell’emissione del gravato provvedimento.
La disposizione di cui al citato art. 17, tuttavia, è intitolata “distanze tra gli edifici”, assume a presupposto la distanza, maggiore di quella prevista dall’art. 873 c.c., dettata dalla normativa comunale, sviluppa la disciplina dell’art. 16 dedicata alla distanza degli edifici dai confini (disciplina che completa quanto statuito dall’art. 873 c.c., facente riferimento non alla distanza dal confine ma alla distanza tra costruzioni), e fa espressamente salve le disposizioni del codice civile, con la conseguenza che il criterio di esclusione da essa introdotto riguarda il computo delle distanze da rispettare nella costruzione degli edifici, e non l’apertura di vedute e balconi, la cui dislocazione è disciplinata dall’art. 905 c.c., ispirato a finalità del tutto diverse da quelle perseguite dall’art. 873 c.c. ed applicabile alle scale esterne o ai pianerottoli in cui sia possibile l’affaccio verso il fondo altrui (ex multis: Cons. Stato, IV, 21/02/2011, n. 1086; Cass., II, 15/10/2008, n. 25188).
Invero l’art. 873 c.c. non contiene una definizione di costruzione, rilevante ai fini del calcolo delle distanze tra edifici; tale definizione è data dall’interpretazione giurisprudenziale, secondo cui vi rientra qualsiasi opera non totalmente interrata avente i caratteri della solidità e immobilizzazione rispetto al suolo (Cass., II, 19/10/2009, n. 22127), compresi i balconi (Cass., II, 25/03/2004, n. 5963) e le scale esterne in muratura (Cass., II, 30/01/2007, n. 1966).
In tale contesto l’art. 17 delle N.T.A. si limita a precisare la nozione di costruzione rilevante ai fini del computo delle distanze dell’edificio dal confine o tra edifici, escludendo da essa, con statuizione chiarificatrice, i balconi e le scale esterne, integrando così quanto sancito dall’art. 873 c.c. e facendo salva per il resto la normativa codicistica (compreso l’art. 905 c.c.).
Di ciò è apparsa consapevole la stessa parte controinteressata, in quanto, nella relazione annessa alla domanda di concessione in sanatoria, il tecnico incaricato ha precisato che “in corrispondenza del confine dovrà essere installato un parapetto frangisole di altezza tale da non consentire la vista diretta o laterale verso la proprietà confinante” (documento n. 3 depositato in giudizio da Grilli s.a.s.).
Il Comune di Monsummano, nel rilasciare il titolo richiesto, non ha espressamente recepito la prescrizione indicata nella relazione tecnica; tuttavia il gravato provvedimento, richiamando indistintamente la relazione tecnica medesima e tutti gli elaborati e documenti annessi all’istanza, non prescinde dalla dichiarazione scritta del tecnico incaricato in punto di necessità di installare un adeguato parapetto frangisole a tutela del diritto del confinante, dichiarazione che vale come persistente impegno del richiedente ad integrare l’opera in tal senso.
Invero la concessione edilizia in sanatoria può introdurre o recepire prescrizioni tese ad imporre correttivi sull’esistente, qualora si tratti, come nel caso di specie, di integrazioni minime, di esigua entità (TAR Liguria, I, 04/11/2004, n. 1515; idem, 11/07/2007, n. 1380; TAR Campania, Napoli, VIII, 30/10/2006, n. 9249), che consentano il ripristino della salvaguardia di diritti dei terzi
(TAR Toscana, Sez. III, sentenza 25.10.2011 n. 1541 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Diritto di accesso agli atti da parte delle organizzazioni sindacali.
Il TAR Lazio (Roma) ha sancito il diritto delle organizzazioni sindacali all'accesso agli atti anche relativi a singole posizioni lavorative dei pubblici dipendenti.
Gli atti debbono essere esibiti, con consentita facoltà di estrazione di copia e, in presenza di dati sensibili e/o altrimenti preclusivi alla divulgabilità, si dovrà fare ricorso ad idonee forme di "opacizzazione" ovvero di "oscuramento" di elementi comunque suscettibili di consentire una identificazione soggettiva (tratto da www.publika.it - TAR Lazio-Roma, Sez. I, sentenza 18.10.2011 n. 8014 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

PUBBLICO IMPIEGOAttenti alle liti, l'ingiuria è dietro l'angolo. Il preside aveva attaccato un prof in riunione. Leso l'onore e il decoro. La cassazione detta il galateo dei rapporti.
É penalmente rilevante, ai fini del reato di ingiuria, il comportamento del preside che, durante una riunione del consiglio di istituto, si rivolge a un docente dicendogli: «Lei dice stronzate».
Lo ha stabilito la V Sez. penale della Corte di Cassazione con la sentenza 17.10.2011 n. 37380, una sentenza di grande interesse visto anche l'esplodere di comportamenti conflittuali nella scuola.
Il caso riguardava un docente, che era stato fatto oggetto di un'aspra critica da parte del preside, durante i lavori del consiglio di istituto di cui facevano entrambi parte. Secondo la versione del giudice di I grado, peraltro, la frase esatta profferita dal dirigente sarebbe la seguente: «Lei dice solo stronzate». Ma l'avverbio non risultava nel verbale di seduta. E quindi, dopo avere subito una condanna in primo grado, il preside era riuscito ad ottenere l'assoluzione in appello. Secondo i giudici di II grado, infatti, l'omessa comparizione dell'avverbio «solo», anteposto alla parola volgare, aveva inciso sul significato dell'espressione profferita dal preside. Perché la frase ne risultava indirizzata non al modo di essere della persona offesa ma a quanto la stessa aveva argomentato nella specifica circostanza.
Giova ricordare che il reato di ingiuria si configura allorquando l'apprezzamento lesivo cade direttamente sul soggetto che lo riceve e non sul comportamento del medesimo. Per esempio, dire a qualcuno che è stupido è reato. Se invece si dice alla stessa persona che l'affermazione appena pronunciata dal medesimo è una stupidaggine, non è reato. Il docente, però, non si era rassegnato, ed aveva presentato ricorso in Cassazione. E i giudici di legittimità gli hanno dato ragione. La sezione ha spiegato che, a prescindere dalla presenza dell'avverbio «solo», il comportamento del preside risulta lesivo dell'onore e del decoro del docente.
Secondo la Corte, infatti, la collocazione dell'episodio in una riunione di docenti di un istituto scolastico, lo svolgimento dello stesso in presenza di colleghi quotidianamente impegnati in un'attività professionale comune a quella del soggetto passivo e la provenienza dell'espressione contestata da un immediato superiore di quest'ultimo sono elementi sicuramente rilevanti nel definire l'incidenza lesiva della condotta. E quindi il giudice di merito avrebbe dovuto esaminarne la portata ai fini di un compiuto giudizio sull'esistenza o meno di un pregiudizio per l'onore e il decoro della parte offesa nel proprio ambiente lavorativo ed umano. Di qui la cassazione della sentenza con rinvio ad altra sezione della Corte d'appello (articolo ItaliaOggi dell'08.11.2011).

CONDOMINIOLa delibera assembleare va sempre rispettata.
La delibera assembleare va rispettata anche se illegittima e i condomini che intendono far valere le loro ragioni devono impugnarla nei modi e nei termini di legge. Ma fino alla sua eventuale dichiarazione d'invalidità, salvo ottenimento d'un provvedimento di sospensione, tutti gli interessati devono comunque rispettarla.
È quanto affermato dalla Corte di cassazione con la sentenza 06.10.2011 n. 20492.
La Suprema corte ha anche specificato che la citazione deve essere notificata all'amministratore del condominio in quanto legale rappresentante dei comproprietari in relazione alla gestione e conservazione delle parti comuni dell'edificio. Una specifica che non vale soltanto per il giudizio di primo grado ma anche per i successivi procedimenti d'appello e di legittimità.
In sostanza, il condomino, che nel caso di giudizio incentrato sull'impugnazione di una deliberazione assembleare intende proporre appello contro la sentenza di primo grado o ricorso per cassazione contro quella d'appello, deve sempre far notificare l'atto introduttivo del giudizio all'amministratore del condominio (articolo ItaliaOggi Sette del 07.11.2011).

ATTI AMMINISTRATIVI: Accesso agli atti, limiti anche per le associazioni di consumatori. Negato a Codacons l'accesso ad atti di Bankitalia.
Le associazioni di consumatori non godono di un generalizzato e indifferenziato titolo per il diritto d'accesso a tutela degli interessi diffusi degli utenti di un servizio. Occorre piuttosto che perché il principio di trasparenza operi verso l'esterno, anche per tali figure sia sostenuto da un effettivo, attuale e concreto interesse alla conoscenza di atti che incidono in via diretta e immediata (in quanto collegati alla prestazione o alla funzione svolta), e non già in via meramente ipotetica e riflessa, sugli interessi collettivi degli associati.
Un’associazione di consumatori, che rappresenta gli interessi diffusi degli utenti di un servizio o dei destinatari di atti autoritativi, ha astrattamente un titolo a richiedere l’accesso agli atti relativi all’esercizio di una determinata attività avente rilievo, ma deve rappresentare l’interesse differenziato, concreto e attuale, all’accesso ai documenti.

Secondo la giurisprudenza, tale limite è imposto dal generale principio del necessario interesse alla domanda giudiziale, espresso dall’art. 100 Cod. proc. civ., e di cui l’art. 22, comma 1, lett. b), legge 06.08.1990, n. 241 come sostituito dall'art. 15, l. 11.02.2005, n. 15.
Legittimati all’accesso in qualità di interessati sono infatti “tutti i soggetti privati, compresi quelli portatori di interessi pubblici o diffusi, che abbiano un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l'accesso”.
Il diritto di accesso non corrisponde ad un’azione popolare neanche se esercitato da un’associazione di consumatori rappresentativa di interessi diffusi, né può essere utilizzato come forma di controllo generalizzato ed indiscriminato sull’azione amministrativa, pertanto il suo esercizio non può che essere collegato alla sussistenza di un interesse differenziato, concreto e attuale, all’accesso ai documenti.
La sentenza in esame evidenzia in particolare come la rappresentatività di interessi collettivi o diffusi non è sufficiente a legittimare un generalizzato interesse alla conoscenza di qualsivoglia documento riferito all’attività di un gestore di un servizio pubblico o dell’esercente una pubblica potestà.
Occorre piuttosto che perché il principio di trasparenza operi verso l’esterno, anche per tali figure sia sostenuto da un effettivo, attuale e concreto interesse alla conoscenza di atti che incidono in via diretta e immediata (in quanto collegati alla prestazione o alla funzione svolta), e non già in via meramente ipotetica e riflessa, sugli interessi collettivi degli associati (commento tratto da www.ipsoa.it - Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 06.10.2011 n. 5481 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Telefonia mobile. Il TAR detta l'indirizzo interpretativo della normativa statale.
Il TAR di Bologna ha affermato che e' illegittimo il no dell'amministrazione comunale all'installazione di un impianto di telefonia mobile, quando il rifiuto viene motivato con l'incompatibilità tra l'impianto e la destinazione urbanistica della zona, qualificata come zona in espansione da attuarsi mediante un piano urbanistico.
Il caso.
Il caso riguarda una società gestrice di rete ed impianti di telefonia mobile che aveva chiesto al Comune l’installazione di una stazione radio base. L’amministrazione comunale ha respinto l’istanza di autorizzazione all’installazione di una stazione radio base.
Il Comune avena negato l’autorizzazione in quanto sosteneva che vi era incompatibilità tra l’impianto progettato e la disciplina urbanistica della zona in cui esso sarebbe stato installato.
La società gestrice di rete ed impianti di telefonia mobile ha impugnato il diniego davanti al Tar che ha accolto il ricorso.
La posizione del Tar dell’Emilia Romagna.
Il Collegio giudicante nell’accogliere il ricorso presentato dalla società gestrice di rete ed impianti di telefonia mobile ha affermato i seguenti principi:
1) l’art. 86, comma 3, del D.Lgs. n. 259 del 2003 ha ricondotto gli impianti di telefonia mobile alle opere di urbanizzazione primarie;
2) conseguentemente gli impianti di telefonia mobile (qualificati come opere aventi carattere di pubblica utilità) sono ora ricondotti alle opere di urbanizzazione e sono stati svincolati dalla destinazione urbanistica di zona;
3) da questo deriva la conseguente illegittimità del provvedimento comunale che –come è avvenuto nel caso di specie– sulla base della disciplina di zona che prevede l’approvazione di uno strumento urbanistico attuativo, nega al gestore di impianti di telefonia mobile la richiesta autorizzazione proprio in ragione della mancata pianificazione dell’area mediante detto strumento urbanistico attuativo.
I giudici del Tar dell’Emilia Romagna con la sentenza in commento hanno interpretato la normativa statale sulla telefonia mobile e hanno tracciato le linee di comportamento dei Comuni su questi problemi.
Ora ogni Amministrazione comunale potrebbe per assicurare il corretto insediamento urbanistico e territoriale degli impianti e minimizzare l’esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici adottare il regolamento previsto dall’articolo 8 della legge 36/2001 (commento tratto da www.ipsoa.it -
TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez. II, sentenza 04.10.2011 n. 691 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

CONDOMINIOIl danno al decoro deve tenere il passo coi tempi.
Ciò che è stato considerato lesivo ieri del decoro architettonico dell'edificio può non esserlo oggi, visto che nel tempo cambiano i gusti e, con essi, il senso estetico comune.
A stabilirlo è la sentenza 19.08.2011 n. 1038 da parte del giudice di pace di Grosseto.
Nello specifico, in riferimento al caso di affissione di un condizionatore sulla facciata di un condominio, il magistrato toscano ha affermato che «le nuove invenzioni, quali la televisione e il telefono, ormai di uso comune, hanno modificato il comune senso dell'estetica e del decoro: le antenne televisive installate sui tetti, le parabole satellitari, sporgenti dai muri, gli stessi impianti di climatizzazione, sempre più numerosi, non vengono più percepiti come causa di deturpazione dell'estetica delle abitazioni e, più in generale, dell'ambiente».
Per questo, nel caso preso in esame non sussiste, quindi, un danno al decoro dell'immobile condominiale, non più di quanto possa arrecare fastidio la vista di panni stesi alle finestre delle singole abitazioni o ai muri condominiali (articolo ItaliaOggi Sette del 07.11.2011).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Immissioni che superano la normale tollerabilità. Odori maleodoranti, conta la capacità inquinante del singolo.
Risponde del fatto chi autonomamente, contribuisce a provocare esalazioni inquinanti oltre la normale tollerabilità, a prescindere dalla circostanza che vi siano state cause ulteriori e diverse (come per esempio riversamenti illeciti altrui) ad aver incrementato gli odori maleodoranti. In un centro destinato ad edilizia abitativa, anche una percepibile, seppur minima, immissione di aria fognaria, deve reputarsi inaccettabile. Quando non vi sia una norma di legge a fissare il limite di tollerabilità delle immissioni, questo viene rimesso di volta in volta alla valutazione discrezionale del giudice.
La fattispecie oggetto di riflessione del Giudice è molto semplice.
La rottura dello scarico fognario di un condominio provoca la fuoriuscita di sostanze tossiche, che spargendosi nel fiume vicino giungono nei pressi dell’abitazione dell’attore rendendogli, attraverso il promanare di esalazioni maleodoranti, l’aria irrespirabile.
Sulla base della consulenza tecnica il Giudice riscontra che il carattere inquinato dell’aria deriva solo parzialmente dai miasmi emessi dai liquami fuoriuscenti dalla fogna dei convenuti.
Gli altri fattori sono da riscontrarsi principalmente nel degrado dell’alveo del fiume, in quanto utilizzato in parte come discarica, e nella stagnazione in esso delle acque.
In più, l’irregolarità degli allacci fognari di molti condomini della zona crea il sospetto, secondo i resistenti, della presenza nello stesso rio di scarichi illeciti.
Tenuto conto di queste rilevazioni il giudice enuncia il principio fondamentale secondo cui risponde del fatto chi autonomamente, contribuisce a provocare esalazioni inquinanti oltre la normale tollerabilità, a prescindere dalla circostanza che vi siano state cause ulteriori e diverse (come per esempio riversamenti illeciti altrui) ad aver incrementato gli odori maleodoranti.
Nel caso di specie ciò significa che la provenienza delle esalazioni da fonti non rientranti nella disponibilità dei convenuti non elimina la loro “capacità inquinante” né quindi li solleva da responsabilità.
Il secondo aspetto interessante riguarda il ragionamento seguito nella sentenza per qualificare gli odori in questione intollerabili, presupposto indispensabile per l’accoglimento dell’azione interdittiva ex art. 844 c.c.
Il giudice ritiene che in un centro destinato ad edilizia abitativa, anche una percepibile, seppur minima, immissione di aria fognaria, deve reputarsi inaccettabile.
Trattandosi di zona densamente abitata viene tutelata, nel caso di specie, l’esigenza personale di vita connessa all’abitazione rispetto all’utilizzo, tra l’altro illecito, di condotti fognari che riversano sostanze tossiche nelle acque fluviali.
Al contrario, nel caso in cui il l’abitazione attorea si fosse trovata nelle immediate vicinanze di aziende, probabilmente si sarebbe data prevalenza alle ragioni della produzione e le esalazioni in questione sarebbero state considerate accettabili.
Da queste considerazioni si ricava che quando non vi sia una norma di legge a fissare il limite di tollerabilità delle immissioni, questo viene rimesso di volta in volta alla valutazione discrezionale del giudice, il quale nel determinarlo deve tener conto di una serie di circostanze, tra cui, le attività normalmente svolte in determinato contesto produttivo, il sistema di vita, le correnti abitudini della popolazione in un preciso momento storico e le condizioni dei luoghi.
Infine, il giudicante si pronuncia in merito alla domanda di risarcimento proposta dall’attore: quest’ultimo sostiene infatti di aver subito, in virtù della risalenza del fenomeno molesto, un danno derivante dalla diminuzione del valore dell’appartamento.
Perché i condomini possano ritenersi responsabili di tale pregiudizio, si afferma però che si sarebbe dovuta dimostrare la sussistenza di una serie di circostanze, tra cui
1) la risalenza della rottura del condotto fognario convenuto (e quindi l’esistenza pregressa degli odori provenienti dal liquame fuoriuscente dallo stesso);
2) la riduzione effettiva del canone di locazione quale indice di decadimento del valore locativo dell’immobile (commento tratto da ww.ispoa.it - TRIBUNALE di Genova, sentenza 17.07.2011).

AGGIORNAMENTO AL 07.11.2011

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Sigg. Deputati e Senatori della Repubblica Italiana:
è ora di finirla di prendere per i fondelli gli Italiani !!

     Lo scorso 16.08.2011 dicevamo la nostra sulla cosiddetta "MANOVRA-BIS" di ferragosto (economico-finanziaria di cui al D.L. 13.08.2011 n. 138) definendola semplicemente scandalosa, laddove si colpivano tutti (o quasi) ma che, in realtà, chi ci rimettevano veramente erano milioni di Italiani che alla fine del mese non ci arrivano e si indebitano sempre più nell'arrangiarsi a campare quotidianamente.
     Ci chiedevamo:
E la casta dei politicanti?? Cosa ci mette di suo in questo momento di duri e pesanti sacrifici??
     Ricordavamo come il Governo -poco tempo prima- avesse licenziato il ddl costituzionale (ad oggi, chi l'ha visto??) per la riforma del bicameralismo perfetto con la riduzione dei parlamentari e, conseguentemente, con la riduzione dei costi della politica. Ma alcuni osservatori di quotidiani nazionali hanno fatto notare che, di fatto, è una presa in giro poiché non vi sono i tempi tecnici, in questa legislatura, per portare ad approvazione il ddl costituzionale de quo dato il necessario doppio passaggio alle Camere.
    
E allora?? Non si poteva prendere al volo il treno di questa "MANOVRA-BIS" per inserire anche il taglio di quei privilegi della "casta dei politicanti" che tanto fanno odiare la Politica (quella con la P maiuscola) ed accrescono il malcontento popolare e la disaffezione alle Istituzioni??
     Ancòra lo scorso 16.08.2011, abbiamo puntualmente esplicitato l'elenco delle varie voci che compongono lo stipendio, con annessi e connessi, dei parlamentari italiani (fonte sito web CAMERA DEI DEPUTATI e SENATO DELLA REPUBBLICA) pervenendo alla constatazione come la fonte primaria di statuizione sia da ricercarsi nella "Legge 31.10.1965, n. 1261 - Determinazione dell'indennità spettante ai membri del Parlamento" ove, di fatto, l'entità delle varie voci spettanti è rimandata all'ampia discrezionalità degli Uffici di Presidenza delle due Camere.
     Cerchiamo di capire esattamente cosa dispone la suddetta legge:
1. L'indennità spettante ai membri del Parlamento a norma dell'art. 69 della Costituzione per garantire il libero svolgimento del mandato è regolata dalla presente legge ed è costituita da quote mensili comprensive anche del rimborso di spese di segreteria e di rappresentanza.
Gli Uffici di Presidenza delle due Camere determinano l'ammontare di dette quote
in misura tale che non superino il dodicesimo del trattamento complessivo massimo annuo lordo dei magistrati con funzioni di presidente di Sezione della Corte di cassazione ed equiparate (3).
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(3) Vedi, anche, il comma 52 dell'art. 1, L. 23.12.2005, n. 266.
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L. 23-12-2005 n. 266
Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2006).
Pubblicata nella Gazz. Uff. 29.12.2005, n. 302, S.O.
1. 52. Le indennità mensili spettanti ai membri del Parlamento nazionale sono rideterminate in riduzione nel senso che il loro ammontare massimo, ai sensi dell'articolo 1, secondo comma, della legge 31 ottobre 1965, n. 1261, è diminuito del 10 per cento. Tale rideterminazione si applica anche alle indennità mensili spettanti ai membri del Parlamento europeo eletti in Italia ai sensi dell'articolo 1 della legge 13 agosto 1979, n. 384.
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2. Ai membri del Parlamento è corrisposta inoltre una diaria a titolo di rimborso delle spese di soggiorno a Roma. Gli Uffici di Presidenza delle due Camere ne determinano l'ammontare sulla base di 15 giorni di presenza per ogni mese ed in misura non superiore all'indennità di missione giornaliera prevista per i magistrati con funzioni di presidente di Sezione della Corte di cassazione ed equiparate; possono altresì stabilire le modalità per le ritenute da effettuarsi per ogni assenza dalle sedute dell'Assemblea e delle Commissioni.
3. Con l'indennità parlamentare non possono cumularsi assegni o indennità medaglie o gettoni di presenza comunque derivanti da incarichi di carattere amministrativo, conferiti dallo Stato, da Enti pubblici, da banche di diritto pubblico, da enti privati concessionari di pubblici servizi, da enti privati con azionariato statale e da enti privati aventi rapporti di affari con lo Stato, le Regioni, le Province ed i Comuni.
L'indennità di cui all'art. 1, fino alla concorrenza dei quattro decimi del suo ammontare, detratti i contributi per la Cassa di previdenza dei parlamentari della Repubblica, non è cumulabile con stipendi, assegni o indennità derivanti da rapporti di pubblico impiego, secondo quanto disposto dal successivo art. 4.
Le disposizioni di cui al comma precedente si applicano anche alle indennità e agli assegni derivanti da incarichi accademici, quando i rispettivi titolari siano stati posti in aspettativa.
Restano in ogni caso escluse dal divieto di cumulo le indennità per partecipazione a Commissioni giudicatrici di concorso, a missioni a Commissioni di studio e a Commissioni d'inchiesta.
4.
... (4).
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(4) Ha sostituito i commi primo e secondo dell'art. 88 del testo unico delle leggi per l'elezione della Camera dei deputati, approvato con D.P.R. 30.03.1957, n. 361.
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5. L'indennità mensile prevista dall'art. 1 della presente legge, limitatamente ai quattro decimi del suo ammontare e detratti i contributi per la Cassa di previdenza dei parlamentari della Repubblica, è soggetta ad una imposta unica, sostitutiva di quelle di ricchezza mobile, complementare e relative addizionali, con aliquota globale pari al 16 per cento alla cui riscossione si provvede mediante ritenuta diretta.
L'indennità mensile è altresì assoggettata, nei limiti e con le detrazioni di cui al comma precedente, ad una imposta sostitutiva dell'imposta di famiglia per la quota di reddito imponibile corrispondente al suo ammontare netto, alla cui riscossione si provvede mediante ritenuta diretta, con aliquota forfettaria pari all'8 per cento; l'importo corrispondente è devoluto ai Comuni presso i quali ciascun membro del Parlamento ha la residenza.
L'indennità mensile e la diaria per il rimborso delle spese di soggiorno prevista dall'art. 2 sono esenti da ogni tributo e non possono comunque essere computate agli effetti dell'accertamento del reddito imponibile e della determinazione dell'aliquota per qualsiasi imposta o tributo dovuti sia allo Stato che ad altri Enti, o a qualsiasi altro effetto.
L'indennità mensile e la diaria non possono essere sequestrate o pignorate.
(omissis).

    
Avete letto bene?? Sono gli Uffici di Presidenza delle due Camere del Parlamento che hanno il "pallino" in mano ovverosia hanno il potere, se sussiste la volontà politica, di diminuire drasticamente i loro privilegi danarosi !! Infatti, sia l'Ufficio di Presidenza della Camera dei Deputati che l'Ufficio di Presidenza del Senato della Repubblica sono composti (in forma ristretta) da rappresentanti di tutte le forze politiche che siedono in Parlamento. Ma, allora, perché in TV ci propinano continuamente l'idea che sia il Parlamento a dover legiferare per eventualmente ridurre drasticamente quegli odiosi privilegi (in primis il c.d. vitalizio) della "casta di politicanti" che ci governa?? Quando, nella realtà, basterebbe una semplice e veloce deliberazione dell'Ufficio di Presidenza di ogni ramo del Parlamento?? La risposta è semplice: così facendo è assai più difficile mettere d'accordo circa 950 parlamentari e, soprattutto, raggiungere la maggioranza per la votazione favorevole ... e tutto rimane nel limbo. Poi, ovviamente, necessita una rivisitazione più complessiva dell'architettura costituzionale per un miglior funzionamento del Parlamento ... (questo il solito refrain che sentiamo ogni sera al TG per bocca dei soliti parlamentari avvezzi alle frequentazioni in TV).

Semplicemente: KAZZATE PER NON FARE NULLA !!!

     La tanto sbandierata promessa di riduzione dello stipendio dei parlamentari con la MANOVRA-BIS di ferragosto, del 5 o 10 percento a seconda della fascia di reddito, di fatto è rimasta nella penna del legislatore e poca eco ha avuto la notizia da parte dei mass media. Certamente, non con quell'enfasi ripetitiva ed ossessiva ad ogni TG che, quando fa comodo per altri argomenti, sono gran bravi (alcuni giornalisti) nel mettere in atto.
     Insomma, non è possibile qui dilungarsi oltre e tiriamo le fila del ragionamento:
come può questo Parlamento, composto da persone che NON hanno a cuore l'interesse del bene comune, essere serio e credibile??
     Come si può chiedere agli Italiani di tirare ulteriormente la cinghia (in questo momento internazionale di crisi economico-finanziaria ove l'Italia si trova sull'orlo del baratro) quando la maggioranza degli stessi ha già il cappio al collo non sapendo come tirare a campare sino alla fine del mese??
     Come fanno questi circa 950 parlamentari ad essere seri e credibili, e chiedere riforme draconiane agli Italiani, quando loro stessi non eliminano i loro ODIOSI privileghi di casta dando (per primi !!) l'esempio di sacrificio che è richiesto a tutti quanti??
     Allora,
chiediamo ai Presidenti ed ai componenti degli Uffici di Presidenza delle due Camere di recuperare quanto meno il senso dell'etica e di provvedere immediatamente, subito, ora (!!) a deliberare la drastica riduzione dei propri privilegi monetari riconducibili alla carica di ogni parlamentare: primo fra tutti, l'abolizione del vitalizio, ma da questa legislatura e non dalla prossima !!
     E, per cortesia,
non adducete motivazioni di sorta che impediscono di deliberare quanto richiesto perché dalle nostre parti si dice che "volere è potere" e, sinceramente, di altre "balle" ne abbiamo abbastanza !!
     Un'ultima richiesta: ci è dato sapere che questo Portale è assiduamente letto (non sappiamo nelle persone di chi ...) anche da parte della Presidenza del Consiglio dei Ministri, dal Ministero dell'Interno, dal Ministero dell'Istruzione, dalla Camera dei Deputati, ed altri ancora ... ebbene, se questi lettori possono informare i Presidenti ed i componenti degli Uffici di Presidenza delle due Camere di questo nostro appello gliene saremo grati.
     Infine,
tutti coloro che non siano ancora sufficientemente inkazzati, indignati, disgustati, nauseati, skifati pròvino a guardare questo video.
07.11.2011 - LA SEGRETERIA PTPL

DOTTRINA E CONTRIBUTI

EDILIZIA PRIVATA: M. Viviani, Interventi di ristrutturazione edilizia e reperimento di spazi per parcheggi privati.
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Ringraziamo l'amico Mario Viviani per il contributo reso. Tuttavia, ci sembrava che la questione fosse talmente chiara da non abbisognare di approfondimenti ... evidentemente, non è così !!
Ed il fatto che ci siano ancora oggi Uffici Tecnici comunali che richiedono in sede progettuale la verifica della Tognoli (1 mq. di parcheggio per ogni 10 mc. di volume) nell'ambito di interventi edilizi quali la "ristrutturazione edilizia" nella vecchia accezione della L. 457/1978 non fa altro che rafforzare la convinzione che "Il mondo è bello perché vario".
07.11.2011 - LA SEGRETERIA PTPL

ATTI AMMINISTRATIVI: M. Lipari, La nuova sanzione per “lite temeraria” nel decreto sviluppo e nel correttivo al codice del processo amministrativo: un istituto di dubbia utilità (link a www.giustizia-amministrativa.it).

INCARICHI PROGETTUALI: L’offerta economicamente più vantaggiosa quale unico criterio per l’aggiudicazione dei servizi attinenti all’architettura e all’ingegneria (art. 266, comma 4, DPR 207/2010) (ottobre 2011 - tratto da www.centrostudicni.it).

APPALTI SERVIZI: A. Barbiero, Le società partecipate non possono gestire contestualmente servizi pubblici locali e servizi strumentali (28.10.2011 - tratto da www.albertobarbiero.net).

APPALTI: A. Barbiero, La tracciabilità dei flussi finanziari negli appalti pubblici - Analisi dei principali adempienti per le imprese appaltatrici previsti dall'art. 3 della legge n. 136/2010 (28.10.2011 - tratto da www.albertobarbiero.net).

AMBIENTE-ECOLOGIA: M. Benozzo, La responsabilità oggettiva del danno ambientale nel Codice dell'ambiente (link a www.lexambiente.it).

NOTE, CIRCOLARI E COMUNICATI

EDILIZIA PRIVATARogito senza certificato energetico. Atti in salvo anche se non viene consegnata la certificazione. Il Notariato: chi vende l'immobile senza l'attestato può essere chiamato a rispondere dei danni.
Rogiti salvi anche se non viene consegnata la certificazione energetica. Ma chi vende può essere chiamato a rispondere dei danni.
Questa la conclusione cui giunge il Consiglio nazionale del notariato nello Studio 03.11.2011 n. 342-2011/C, dedicato appunto alla certificazione energetica degli edifici (articolo 6, comma 2-ter, dlgs 19.08.2005 n. 1).
Insomma la violazione degli obblighi sulla certificazione non porta all'invalidità del contratto, anche se non rimane senza conseguenze, che possono arrivare fino alla risoluzione del contratto. Ma vediamo di illustrare le soluzioni interpretative fornite dai notai.
La norma di riferimento. L'articolo 6, comma 2-ter, citato, prevede che nei contratti di compravendita o di locazione di edifici o di singole unità immobiliari deve essere inserita una apposita clausola con la quale l'acquirente o il conduttore danno atto di aver ricevuto le informazioni e la documentazione in ordine alla certificazione energetica degli edifici. Nel caso di locazione, la disposizione si applica solo agli edifici e alle unità immobiliari già dotate di attestato di certificazione energetica.
Tra l'altro, nel caso di offerta di trasferimento a titolo oneroso di edifici o di singole unità immobiliari, a decorrere dall'01.01.2012 gli annunci commerciali di vendita dovranno riportano l'indice di prestazione energetica contenuto nell'attestato di certificazione energetica
Competenza regionale. In base alla ricostruzione dei rapporti stato-regione, nello studio in esame si giunge alla conclusione che dalla data di entrata in vigore delle leggi regionali e/o delle norme regolamentari regionali attuative della Direttiva 2002/91/CE, non troveranno più applicazione, nei rispettivi territori di competenza, le relative disposizioni statali. Questo perché, se la materia «ordinamento civile» (e quindi il dettare regole di forma e contenuto dei contratti) è riservata alla competenza esclusiva dello Stato, tuttavia la materia «rendimento energetico nell'edilizia» è riservata alla competenza regionale («legislazione concorrente»), nel rispetto dei principi fondamentali riservati alla legislazione dello Stato, e ciò per effetto della connessione delle materie «governo del territorio» (e quindi edilizia e urbanistica) e «produzione, trasporto e distribuzione dell'energia».
Vale quindi la regola per cui nell'ambito delle materie di competenza regionale è riservata alle regioni, salvo l'esercizio del potere sostitutivo da parte dello stato in caso di inerzia regionale. Peraltro la consegna della certificazione energetica dovrà aver luogo, evidentemente, solo qualora vi sia obbligo di dotazione della certificazione energetica, mentre il comma 2-ter non troverà applicazione, pertanto, ogni qualvolta le norme (statali o regionali) vigenti in base al territorio in cui è ubicato l'edificio escludano l'obbligo di dotazione.
Atti coinvolti. Il comma 2-ter dell'articolo 6 citato si riferisce esclusivamente alle compravendite e quindi l'applicazione potrebbe essere limitata solo appunto alle compravendite e fattispecie analoghe. I notai, però, consigliano una interpretazione più sistematica, applicando la disposizione a tutti gli atti di trasferimento a titolo oneroso, per i quali è vigente l'obbligo di dotazione della certificazione energetica.
In base a questa interpretazione l'obbligo in questione si applica anche a: assegnazioni, cessioni di azienda, vendite di eredità, trasferimenti fra coniugi in sede di separazione personale o scioglimento degli effetti civili del matrimonio, ma anche ad altri trasferimenti a titolo oneroso (decreti di trasferimento da parte dell'autorità giudiziaria ed i conferimenti societari).
Violazione degli obblighi. Secondo lo studio la violazione degli obblighi inderogabili di dotazione, informazione e consegna non potrà avere riflessi sul piano della validità ed efficacia dei contratti. Il contratto rimane in piedi. Ma la violazione non sarà priva di effetti: in particolare sarà fonte di responsabilità a carico dell'alienante/locatore inadempiente, con le conseguenze dell'obbligo di risarcimento danni oppure di subire una riduzione del prezzo o addirittura la risoluzione del contratto. Si tratterebbe quindi di un inadempimento, ma non di una condizione di validità della compravendita.
Inoltre è da escludere per il notaio la possibilità di ricevere dichiarazioni in cui la parte acquirente dà atto di non aver ricevuto le informazioni e la documentazione in ordine alla certificazione energetica o la parte acquirente rinuncia a ricevere le informazioni e la documentazione in ordine alla certificazione energetica o, infine, la parte alienante è esonerata dal fornire informazioni in ordine alla certificazione energetica ed alla consegna di tale documentazione (articolo ItaliaOggi del 03.11.2011).

EDILIZIA PRIVATA: Documentazione da conservare ed esibire a richiesta degli Uffici dell’Agenzia delle Entrate, ai sensi dell’art. 1, comma 1, lett. a), del Decreto Interministeriale 18.02.1998, n. 41 come sostituito dall’art. 7 , comma 2, lett. q) del Decreto Legge 13.05.2011, n. 70 (Agenzia delle Entrate, provvedimento 02.11.2011 n. 2011/149646 di prot.).
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Il 36% ora snellisce le procedure. Niente comunicazione preventiva, ma carte da conservare. Provvedimento dell'Agenzia delle entrate sulle detrazioni per il recupero del patrimonio edilizio.
Soppresso l'obbligo d'invio della comunicazione preventiva d'inizio lavori posta a carico del contribuente che desidera usufruire della detrazione del 36%, ma resta in piedi l'ulteriore obbligo di indicare determinati dati in dichiarazione dei redditi e di conservare ed esibire determinati documenti.

Questo il contenuto del provvedimento 02.11.2011 n. 2011/149646 di prot. del direttore dell'Agenzia delle entrate, avente a oggetto la semplificazione intervenuta, a cura del decreto legge 13.05.2011 n. 70, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 110 del 13.05.2011, sul tema della detrazione sulle spese sostenute per il recupero del patrimonio edilizio.
Il provvedimento in commento, però, non conferma alcuna decorrenza e, stante il fatto che l'obbligo è stato cancellato con l'entrata in vigore del decreto sviluppo (14/05/2011) è opportuno evidenziare che la semplificazione intervenuta resta valida, ma solo ed esclusivamente per i lavori iniziati da quella data in avanti.
Il provvedimento, inoltre, invalida la reale semplificazione in quanto, a mente delle disposizioni richiamate, conferma l'obbligo di conservare (ed esibire) determinati documenti indicati nel medesimo documento e di indicare taluni dati all'interno delle dichiarazioni dei redditi, ai sensi del decreto interministeriale 18/02/1998 n. 41 (lett. a) e, non ultimo, conferma l'obbligo d'invio della comunicazione preventiva d'inizio lavori all'Azienda sanitaria locale (Asl), nei casi prescritti dai dlgs n. 626/1994 e 494/1996 (Agenzia delle entrate, circ. n. 121/E/1998 e ris. n. 76229/1999).
Come indicato dal provvedimento, il contribuente deve tenere a disposizione dell'Amministrazione finanziaria le abilitazioni amministrative richieste in base alle tipologie dei lavori, la domanda di accatastamento degli immobili (se ancora da censire), la ricevuta di pagamento (se dovuta), la delibera assembleare in presenza di lavori condominiali e la dichiarazione di consenso del possessore dell'immobile all'esecuzione dei lavori, quando gli stessi non sono stati effettuati dal proprietario ma dal mero detentore (se diverso dai familiari residenti), nonché la comunicazione alla Asl competente, le fatture e le ricevute fiscali comprovanti le spese e le ricevute dei bonifici di pagamento.
Pertanto, a pena di decadenza dell'agevolazione, il contribuente deve inserire (obbligo e non facoltà) nella dichiarazione dei redditi i dati indicati dal citato decreto interministeriale (n. 41/1998) e deve conservare ed esibire, a richiesta degli uffici preposti ai controlli, i documenti appena indicati, compresa la comunicazione all'azienda sanitaria competente, se obbligatoria, in quanto indicata dalla lett. b), del comma 1, dell'art. 1 del richiamato decreto interministeriale.
Si ricorda che, prima dell'entrata in vigore del decreto sviluppo, si rendeva necessario trasmettere al Centro operativo di Pescara (Cop), mediante raccomandata senza ricevuta di ritorno, la comunicazione relativa all'inizio dei lavori, redatta su moduli ad hoc, con l'indicazione dei dati catastali (o della richiesta di accatastamento), con allegata precisa documentazione che, guarda caso, risulta speculare a quella da conservare ed esibire; detta comunicazione, tassativamente, doveva essere inviata, a pena di decadenza del bonus, prima di iniziare i lavori con l'eccezione delle ipotesi di costruzione o acquisto di autorimesse pertinenziali di unità abitative (articolo ItaliaOggi del 04.11.2011).

GURI - GUUE - BURL (e anteprima)

CONSIGLIERI COMUNALI: G.U. 03.11.2011 n. 256 "Intesa con la Conferenza Stato-Città ed autonomie locali, concernente la fissazione della misura del rimborso delle spese di viaggio e di soggiorno sostenute dagli amministratori locali in occasione delle missioni istituzionali" (D.M. 04.08.2011).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: G.U. 02.11.2011 n. 255 "Disposizioni per la codificazione in materia di pubblica amministrazione" (Legge 03.10.2011 n. 174).

SINDACATI

PUBBLICO IMPIEGO: EE.LL.: ancora sulle risorse del censimento destinate ai dipendenti (CGIL-FP di Bergamo, nota 31.10.2011).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: La lettera del Governo alla Ue: bentornati a Cisl e Uil (CGIL-FP di Bergamo, nota 31.10.2011).

PUBBLICO IMPIEGO: Il foglio dei lavoratori della Funzione Pubblica (CGIL-FP di Bergamo, settembre-ottobre 2011).

QUESITI & PARERI

APPALTI: Requisiti per l'affidamento di contratti pubblici.
Appalti pubblici, ha valore la dichiarazione resa dal legale rappresentante dell'impresa?
Domanda.
La dichiarazione relativa all'art. 38, comma 1, lettere b) e c), del D.Lgs. 12-04-2006, n. 163, può essere resa dal legale rappresentante anche in relazione agli altri Amministratori o al Direttore tecnico in carica, atteso che il comma 2 dell'art. 38, parla di autocertificazione resa dal concorrente o candidato senza individuare il soggetto tenuto a renderla?
Risposta.
La prescritta dichiarazione di cui all'art. 38 del Codice dei Contratti Pubblici consente alle Amministrazioni di individuare tutti i soggetti obbligati a dimostrare il possesso dei requisiti necessari per poter contrarre con la P.A. e conseguentemente, gli eventuali reati che tali soggetti hanno commesso e per i quali sono stati condannati. L'omissione di siffatta dichiarazione è causa di esclusione dalle procedure di gara. Lo stesso art. 38, D.Lgs. 12-04-2006, n. 163 chiarisce che le dichiarazioni, attestanti il possesso dei requisiti generali, devono essere rese in conformità alle disposizioni del D.P.R. 28-12-2000, n. 445, ovvero, rispondere ai principi generali in tema di dichiarazioni sostitutive rese alla Pubblica Amministrazione ed essere connesse alla responsabilità penale per le false dichiarazioni.
Proprio in ragione di siffatto richiamo al D.P.R. 28-12-2000, n. 445, la Giurisprudenza sembra ormai orientata nel ritenere che l'obbligo per il "concorrente o candidato" di dichiarare il possesso dei requisiti può ritenersi assolto dal legale rappresentante dell'impresa anche avuto riguardo ai terzi (Direttori tecnici o altri soggetti comunque muniti di poteri di rappresentanza anche se cessati dalla carica nel triennio antecedente) e ciò in considerazione del fatto che anche in questo caso sono operanti le previsioni di responsabilità penale ed il potere di verifica da parte della stazione appaltante.
Diversamente opinando, la disposizione apparirebbe illogica e contraria al buon senso comune in quanto finirebbe con il subordinare la possibilità di partecipazione a gare pubbliche di un soggetto economico, alla dichiarazione di un soggetto estraneo e privo di responsabilità sul punto, cessato già da tempo dalla carica e magari animato da spirito di rivalsa nei confronti del richiedente proprio a causa dell'intervenuta risoluzione del rapporto di lavoro ovvero perché deceduto o più semplicemente in quanto irreperibile, tanto è vero che per superare tale ostacolo è ammessa la prova della difficoltà di ritrovamento del soggetto che dovrebbe rendere la dichiarazione in questione (02.11.2011 - tratto da www.ispoa.it).

CORTE DEI CONTI

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGOI risparmi gonfiano i fondi decentrati. Corte conti Piemonte: ma il tetto del 2010 va comunque rispettato.
Enti locali liberi di alimentare i fondi per la contrattazione decentrata mediante risparmi provenienti da progetti di miglioramento della produttività o con fondi che si autoalimentano, come il recupero dall'evasione Ici, ma tenuti comunque a rispettare il tetto del 2010. Pertanto, tali somme potranno solo giustificare la destinazione alla produttività, ma non sforare il tetto complessivo.
La Corte dei conti, sezione regionale di controllo per il Piemonte, con il parere 21.10.2011 n. 127, prende una posizione intermedia nel contrasto di interpretazioni relativo alla possibilità di incrementare o meno le risorse decentrate con fondi che trovano finanziamenti esterni, come sponsorizzazioni o recuperi dell'evasione.
Come è noto, alcune sezioni della magistratura contabile si sono espresse in senso favorevole, altre in modo diametralmente opposti, mentre la recente deliberazione 51/2011 delle sezioni riunite ha sostenuto che solo gli incentivi per progettisti ed avvocati possono comportare un incremento del fondo, perché non destinabili nemmeno potenzialmente alla generalità dei dipendenti.
La sezione Piemonte, discostandosi in parte anche dalle indicazioni delle sezioni Riunite, afferma che nuove voci retributive possono essere introdotte nel fondo per la contrattazione decentrata, ricorrendone i presupposti, ma «l'ammontare complessivo del trattamento accessorio non potrà incrementarsi rispetto al parametro individuato, e pertanto ciò sarà possibile solo a condizione di riduzioni, di pari importo, di altre voci».
Il parere fornisce un'indicazione operativa.
Si supponga che il fondo per la contrattazione sia, tra risorse stabili e risorse variabili, nel 2010 ammontasse a 100 mila euro, e che le risorse variabili fossero 30 mila euro. Le risorse variabili a loro volta poniamo siano scomposte, per semplicità, in 1.500 per incentivi da sponsorizzazioni, 3 mila in incentivi per progettazioni, 1.500 in incentivi per avvocatura, 3 mila in incentivi per recupero Ici e 21 mila per progetti di incremento di produttività (che trovino il finanziamento nell'articolo 15, commi 2 e 4, del Ccnl 01/04/1999).
Secondo quanto indica la sezione Piemonte, nulla impedisce che di anno in anno possano aumentare le risorse da destinare alle macrovoci delle risorse variabili.
Dunque, l'anno successivo, un ente potrebbe destinare all'incentivazione delle sponsorizzazioni 3 mila euro, invece di 1.500, ovviamente sul presupposto di aver stipulato contratti che assicurino quella cifra. Ciò significa che la maggiore destinazione di 1500 euro sulle sponsorizzazioni deve ridurre necessariamente di pari importo una delle altre destinazioni, così da assicurare che, comunque, il fondo nel suo complesso non superi mai i 100 mila euro del 2010 e, anzi, si riduca.
In sostanza, la sezione Piemonte chiarisce indirettamente agli enti locali che essi possono «manovrare» le destinazioni all'interno del fondo, a seconda dei progetti e delle attività che di anno in anno si svolgono. Stando a quanto hanno indicato le sezioni riunite, invece, solo nel caso di incentivi per progettazione ed avvocatura possono esservi incrementi da un anno all'altro, tali addirittura da sforare la base di partenza del 2010 (articolo ItaliaOggi del 04.11.2011 - link a www.corteconti.it).

INCENTIVO PROGETTAZIONE: Comune di Carmignano - Richiesta di parere formulata dal Sindaco relativa ad un quesito vertente sull’applicabilità della disposizione recata dall’art. 92, comma 6, del Codice dei contratti pubblici afferente il compenso incentivante da corrispondersi per la progettazione c.d. interna, ad un atto di regolazione, trasmesso in copia a questa Sezione unitamente alla richiesta, redatto da personale dell’Ente in materia di aree naturali protette di interesse locale, ai sensi dell’art. 19, lett. b, della legge regionale 11.04.1995, n. 49.
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Il compenso incentivante per la progettazione interna.
Il compenso incentivante per la progettazione interna, ex art. 92, comma 6, D.Lgs. n. 163 del 2006, non spetta in relazione ad un atto di regolazione, redatto da personale dell'Ente, in materia di aree naturali protette d'interesse locale, ai sensi dell'art. 19, lett. b), L.R. 11.04.1995, n. 49 Toscana.

Il quesito, come anticipato in parte fattuale, è stato posto con riferimento all’applicabilità nei confronti dell’atto regolamentare delle aree protette di interesse locale, della disposizione recata dall’art. 92, comma 6, del Codice dei contratti pubblici di cui al D.lgs. n.163 del 2006 e s.m.i., che testualmente prevede che “Il trenta per cento della tariffa professionale relativa alla redazione di un atto di pianificazione comunque denominato è ripartito, con le modalità e i criteri previsti nel regolamento di cui al comma 5, tra i dipendenti dell’amministrazione aggiudicatrice che lo abbiano redatto”.
Tale norma, collocata nella sistematica del codice dei contratti pubblici nel Capo IV rubricato “Servizi attinenti all’architettura e all’ingegneria”, consente, -in deroga al principio di onnicomprensività della retribuzione sancito dall’art.45 del D.lgs. n. 165 del 2001, ed in ossequio al manifestato favor legislatoris per il ricorso da parte delle stazioni appaltanti alla progettazione c.d. interna avvalendosi, così, prioritariamente del personale tecnico dipendente delle stesse(art. 90, c.6, D.lgs. n. 163/2006),- la corresponsione di un compenso incentivante da ripartirsi tra i dipendenti che hanno preso parte alla redazione esclusivamente di un piano o progetto preliminare, definitivo ed esecutivo di lavori pubblici (leggasi, in terminis, anche Sez. Contr. Campania n. 14/2008 e Veneto n. 337/2011).
Infatti, l’art. 90 del D.lgs. n. 163/2006 sia alla rubrica che al c.1, fa riferimento esclusivamente ai lavori pubblici, e l’art. 92, c.1, presuppone l’attività di progettazione nelle varie fasi, expressis verbis come finalizzata alla costruzione dell’opera pubblica progettata. A fortiori, lo stesso comma 6 dell’art. 92 prevede che l’incentivo alla progettazione venga ripartito “tra i dipendenti dell’amministrazione aggiudicatrice che lo abbiano redatto” e, dunque, è di palmare evidenza come il riferimento normativo e la conseguente voluntas legis sia ascrivibile solo alla materia dei lavori pubblici, presupponendosi una procedura ad evidenza pubblica finalizzata alla realizzazione di un’opera di pubblico interesse.
Di talché, con riferimento al caso de quo,
il regolamento dell’Ente redatto dal personale interno, come esplicitato dal richiedente, oltre a costituire un’attività vincolata espressamente prevista dalla menzionata normativa regionale di settore, ed a sostanziarsi in un atto amministrativo disciplinante gli assetti territoriali ambientali delle aree protette, assunto dall’ente locale nell’esercizio delle proprie prerogative regolamentari, non può essere assimilato, per il suo contenuto intrinseco, ad un progetto di lavori comunque denominato, anche alla luce del fatto che detto atto regolamentare allegato alla richiesta di parere, non è nemmeno mediatamente riconducibile alla materia dei lavori pubblici.
Se, pertanto, per l’amministrazione pubblica si è in presenza, nella fattispecie oggetto del presente parere, di una funzione istituzionale, il dipendente/i che abbia redatto materialmente l’atto regolamentare, svolge un’attività lavorativa ordinaria che è da ricomprendersi nei compiti e doveri d'ufficio (art. 53 D.lgs. n. 165/2001), non suscettibile della liquidazione dell’incentivo di cui all’art. 92, c. 6, D.lgs. n. 163/2006 ( Corte dei Conti, Sez. controllo Toscana, parere 18.10.2011 n. 213).

CONSIGLIERI COMUNALILe riprese tv del consiglio non subiscono tagli.
La diffusione televisiva delle sedute del consiglio comunale, lungi dal costituire una mera attività di pubbliche relazioni, rappresenta una delle forme con cui l'amministrazione locale attua i principi di informazione e comunicazione istituzionale previsti dalla legge n. 150/2000. Per tale motivo, alle spese connesse alla predetta telediffusione non si applica il taglio previsto dall'articolo 6, comma 8 della manovra correttiva del 2010.
Lo ha messo nero su bianco la sezione regionale di controllo della Corte dei Conti per la Liguria, nel testo del parere 22.09.2011 n. 66, reso nei confronti del Comune di Imperia, facendo chiarezza sull'ambito applicativo delle disposizioni richiamate, contenute nel dl n. 78/2010.
Come noto, dal corrente anno, le pubbliche amministrazioni non possono effettuare spese per relazioni pubbliche che superino il venti per cento della spesa sostenuta nel 2009 per le stesse finalità. Sulla scorta di ciò, il comune di Imperia ha richiesto se entro tale limite debba rientrare anche l'onere economico derivante dall'affidamento, ad emittente locale scelta a conclusione di una regolare gara, del servizio di trasmissione in diretta delle sedute del consiglio comunale, ovvero se ne possa essere escluso, in quanto tale servizio rientri nel concetto di comunicazione istituzionale resa al cittadino.
Per la Corte ligure, la diffusione via etere delle sedute consiliari può essere configurata quale strumento di comunicazione istituzionale. Il collegio ha infatti sottolineato che le attività di informazione e comunicazione istituzionale, in cui rientrano le dirette televisive delle sedute di consiglio comunale, si differenziano da quelle di pubbliche relazioni. Ne è prova l'assunto dell'articolo 1 della legge n. 150/2000, ove si ricomprendono espressamente, nell'ambito della comunicazione istituzionale, le attività di informazione ai mezzi di comunicazione di massa, attraverso organi di stampa, audiovisivi e strumenti telematici. Altresì vi si ricomprende la comunicazione esterna rivolta ai cittadini, alle collettività e ad altri enti «attraverso ogni modalità tecnica ed organizzativa».
Da ciò, conclude la Corte, la diffusione televisiva delle sedute consiliari «costituisce attuazione dei principi generali di trasparenza e di pubblicità dell'azione amministrativa, in quanto consente di rafforzare le modalità e le forme di comunicazione, ai fini del controllo politico, del corretto ed efficiente comportamento dei rappresentanti scelti dai cittadini, in ossequio al principio del buon andamento dell'azione amministrativa» (articolo ItaliaOggi del 03.11.2011 - link a www.corteconti.it).

INCARICHI PROFESSIONALICollaborazioni e consulenze, l'oggetto deve essere chiaro.
Il conferimento di incarichi di collaborazione e consulenza di carattere generale, cioè senza una delimitazione precisa dell'oggetto, determina l'insorgere di responsabilità amministrativa in capo al dirigente responsabile.
E' questa la principale indicazione che si può trarre dalla sentenza 21.09.2011 n. 167 della Corte dei Conti del Friuli-Venezia Giulia. Con questa pronuncia il dirigente di una pubblica amministrazione è stato condannato a rifondere l'80% dei compensi erogati dall'ente a un ex sindacalista di cui ci si era avvalsi per varie attività relative alla gestione del personale.
La sentenza evidenzia che per il conferimento di questi incarichi occorre scegliere dei soggetti che sono in possesso di una adeguata professionalità: il titolo di studio ne costituisce una sorta di precondizione.
Il primo elemento contestato è il seguente: «L'oggetto della consulenza erano questioni tutte relative all'attività, propria dell'ente, di gestione delle risorse umane. Non si tratta pertanto della soluzione di problematiche complesse e specifiche, ma di questioni comportanti l'esercizio delle funzioni amministrative di carattere organizzatorio. Nonostante la lunga elencazione, non è stata operata alcuna delimitazione di una particolare e specifica questione da risolvere, per la quale fosse apparso necessario acquisire l'apporto di un soggetto esperto, ma è piuttosto stata trasferita una rilevante parte della attività ordinaria dell'ente, relativa ai rapporti di lavoro con il personale; nella fase genetica e in quella attuativa e funzionale sussistono gli elementi per configurare l'incarico quale ipotesi di non consentita consulenza globale, per avere a oggetto una generalizzata gamma di attività dell'ente».
Ed ancora, il conferimento dell'incarico non è stato preceduto da alcuna analisi tesa a verificare se nell'ente quella professionalità esisteva ed era utilizzabile. Indagine resa ancora più necessaria nel caso specifico dalla circostanza che la dotazione organica risultava essere adeguata ed in linea con le previsioni.
E ancora, «il Collegio non può esimersi dal rilevare, quale altro profilo di illiceità, che non risulta sia stato rispettato il principio amministrativistico di concorsualità, che ispira in generale la scelta del contraente e in base al quale l'affidamento dell'incarico avrebbe dovuto essere preceduto da gare informali, volte a consultare una pluralità di soggetti» (articolo ItaliaOggi del 04.11.2011 - link a www.corteconti.it).

NEWS

PUBBLICO IMPIEGO - VARII PROVVEDIMENTI PER LO SVILUPPO/ Busta paga per tutti. E via e-mail. Il cedolino diventa una copia del Libro unico del lavoro. La semplificazione nel maxiemendamento al ddl di stabilità. Raddoppiate le sanzioni.
Addio cara e vecchia busta-paga. Il cedolino, infatti, diventa una copia del libro unico del lavoro, da consegnarsi con più calma (entro tre giorni dall'erogazione delle paghe non più contestualmente) e non necessariamente in formato cartaceo (possibile la consegna telematica, per esempio con email in formato pdf).
Inoltre, l'obbligo di consegna allarga i confini interessando non solo i dipendenti (e peraltro «tutti», non solo operai e impiegati come previsto oggi), ma pure collaboratori coordinati e continuativi e associati in partecipazione con apporto lavorativo. Infine le sanzioni: mancare all'adempimento costerà la multa da 125 a 1.500 euro (oggi da 125 a 770 euro), in base al numero di violazioni e/o di lavoratori interessati.

A prevederlo è il maxiemendamento al ddl di stabilità.
Lul e busta paga. Si tratta, dunque, di una completa riedizione della disciplina del cedolino paga, da consegnare a tutti i lavoratori per rendicontare le spettanze liquidate in virtù di un rapporto di lavoro, con indicazione delle ritenute operate (tasse e contributi). In pratica, viene abrogata la vigente disciplina (la legge n. 4/1953) e contestualmente modificata la normativa relativa al libro unico del lavoro, il Lul (dl n. 112/2008).
La novità è introdotta al fine di semplificare la gestione del rapporto di lavoro; in effetti, con le nuove norme il cedolino non costituisce più adempimento a parte (ossia una comunicazione delle registrazioni eseguite su vecchi libri paga, oggi Lul), ma un sunto, anzi una copia del libro unico del lavoro.
Le nuove regole. Il nuovo cedolino è «una copia del libro unico del lavoro contenente il prospetto delle retribuzioni, con esclusione del calendario delle presenze». L'obbligo interessa i datori di lavoro e i committenti, in quanto il nuovo cedolino va consegnato ai lavoratori subordinati, ai collaboratori coordinati e continuativi e agli associati in partecipazione con apporto lavorativo.
Per quanto concerne la scadenza per la consegna (oggi contestuale al pagamento delle retribuzioni), viene fissato un termine di «tre giorni dal momento in cui viene corrisposta al lavoratore la relativa somma o, in alternativa, entro tre giorni dal termine ultimo per l'elaborazione del libro unico»; quest'ultima norma, dunque, fissa automaticamente il termine massimo, ossia il giorno 19 del mese successivo a quello di riferimento.
Per quanto riguarda infine il formato, il prospetto potrà essere anche di tipo informatico, perché la consegna potrà aver luogo in modalità telematica.
Le sanzioni. La violazione dell'obbligo di consegna del nuovo prospetto è punita con la sanzione amministrativa da 125 a 770 euro. Se la violazione si riferisce a più di cinque lavoratori ovvero si è verificata in almeno cinque mensilità la sanzione passa all'importo da 200 a 1.000 euro; se si riferisce a più di dieci lavoratori ovvero si è verificata in almeno dieci mensilità, la sanzione è da 500 a 1.500 euro.
Conservazione Lul e sanzione. Il maxiemendamento riscrive anche la disposizione con le sanzioni in materia di Lul (articolo 39, comma 7, del dl n. 112/2008), inserendo quale novità la previsione di una sanzione da 100 a 600 euro in caso di mancata conservazione del Lul per la durata di cinque anni dalla data dell'ultima registrazione (articolo ItaliaOggi del 05.11.2011).

ENTI LOCALIAl via l'imposta di soggiorno. Regolamenti comunali da approvare entro il varo dei bilanci. Il cdm ha licenziato il dpr con la disciplina del tributo. Si pagherà fino a 5 euro a notte.
Al via l'imposta di soggiorno nei comuni. La pagheranno, fino a un massimo di 5 euro a notte, gli ospiti degli alberghi e delle strutture ricettive dei capoluoghi di provincia, dei comuni turistici, delle città d'arte e delle unioni di comuni (se ci sarà accordo tra tutti gli enti componenti).
Ma il balzello potrebbe essere applicato da tutti i sindaci d'Italia se dovesse essere confermata la novità, inserita nel decreto correttivo al fisco comunale (si veda ItaliaOggi del 27/10/2011), che estende la chance a tutti i municipi.

A mettere nero su bianco la disciplina dell'imposta di soggiorno (peraltro già applicata a Venezia e a Roma dove può arrivare fino a 10 euro a notte) c'ha pensato uno schema di dpr varato mercoledì sera dal consiglio dei ministri riunito per definire gli ulteriori interventi a sostegno dello sviluppo chiesti a gran voce dai mercati finanziari europei.
L'approvazione del dpr arriva con cinque mesi di ritardo rispetto alla tabella di marcia. Avrebbe dovuto infatti vedere la luce entro 60 giorni dall'entrata in vigore del decreto sul federalismo fiscale municipale (dlgs. n. 23/2011) e dunque entro il 07.06.2011.
I comuni che vorranno far pagare il tributo già dal 2012 dovranno istituirlo con regolamento entro il termine di approvazione dei preventivi. Ossia sulla carta entro il 31 dicembre di quest'anno. Anche se, si sa, la proroga della scadenza per il varo dei bilanci di previsione è una certezza a cui gli enti locali sono ormai da anni abituati.
I regolamenti comunali saranno efficaci 15 giorni dopo la pubblicazione nell'albo pretorio. E non bisognerà rinnovare le misure di anno in anno perché queste si intenderanno tacitamente prorogate salvo espressa variazione.
I regolamenti comunali varati dai sindaci che, nell'inerzia del governo, hanno voluto portarsi avanti, saranno pienamente legittimi. Ma dovranno essere adeguati alle disposizioni del dpr entro il termine per l'approvazione dei bilanci.
L'imposta servirà a finanziare interventi in materia di turismo, oltre alla manutenzione e al recupero di beni culturali, paesaggistici e ambientali. Ma andrà anche a beneficio delle strutture ricettive.
Il regolamento messo a punto dai tecnici del ministero di Roberto Calderoli spiega cosa debba intendersi per interventi in materia di turismo. Per poter istituire l'imposta i sindaci dovranno metterne in atto almeno uno. L'elenco è lungo: itinerari tematici, innovazione tecnologica, manutenzione dei beni culturali, sviluppo dei punti di accoglienza, incentivi per il soggiorno di giovani e anziani, incentivi all'accesso degli animali nelle strutture alberghiere, sviluppo dell'occupazione giovanile, finanziamento delle maggiori spese connesse ai flussi turistici.
Cosa mettere nel regolamento comunale. La disciplina del tributo è chiaramente già delineata dal dlgs n. 23/2011 e i comuni non potranno discostarsene. Dunque, soggetti passivi saranno coloro che alloggiano nelle strutture ricettive e non risultano essere residenti nel comune. L'imposta sarà incassata dai gestori delle strutture che saranno tenuti a compilare ogni anno una dichiarazione indicando il numero dei soggiornanti, il periodo di permanenza e quanti di loro hanno diritto a esenzioni o riduzioni (che potranno essere previste tenendo conto della tipologia della struttura, dell'età dei soggetti passivi, della consistenza del nucleo familiare, della durata del soggiorno e della stagione turistica).
I gestori dovranno versare al comune quanto incassato. Ma saranno i sindaci a fissare le scadenze per i versamenti e i rimborsi. Nel regolamento i comuni dovranno anche indicare le modalità di riscossione coattiva del tributo e prevedere una relazione al consiglio su come sono stati spesi i soldi incassati dall'imposta.
Attività di controllo. In materia di controlli lo schema di dpr chiarisce che gli avvisi di accertamento per omessa o infedele dichiarazione o per omesso, ritardato o parziale versamento dell'imposta dovranno essere notificati al gestore delle strutture ricettive entro cinque anni dal momento in cui la dichiarazione o il versamento avrebbero dovuto essere effettuati.
Regioni a statuto speciale. Come chiarito nella relazione d'accompagnamento allo schema di dpr, le norme sull'imposta di soggiorno si applicano anche alle regioni autonome in conformità ai rispettivi statuti.
Sanzioni. Il mancato pagamento dell'imposta di soggiorno, in quanto istituita e disciplinata con regolamento comunale, sarà sanzionabile, ai sensi del Tuel (dlgs n. 267/2000) con una multa da 25 a 500 euro (articolo ItaliaOggi del 04.11.2011 - link a www.ecostampa.it).

ENTI LOCALIPioggia di aumenti nei comuni. In 5 anni il trattamento accessorio è cresciuto del 24%. I servizi ispettivi della Ragioneria mettono ai raggi X la spesa degli enti locali nel 2004-2009.
Aumento del trattamento economico accessorio dei dipendenti dei comuni di quasi il 24% nel quinquennio 2004/2009 e, nello stesso periodo, aumento dei compensi per i dirigenti di quasi il 38%. Risorse erogate in modo illegittimo; in particolare per l'utilizzazione distorta della produttività, per le progressioni orizzontali concesse senza valorizzare il merito e per le indennità di specifiche responsabilità corrisposte in modo molto ampio.
Sono queste alcune delle principali indicazioni che si ricavano dalle «Risultanze delle indagini svolte dai servizi ispettivi di finanza pubblica in materia di spesa del personale del comparto regioni ed enti locali, con particolare riferimento agli oneri della contrattazione decentrata». Il volume della Ragioneria dello stato riferisce sugli esiti delle ispezioni effettuate nell'anno 2010 in 49 amministrazioni, cifra a cui si arriva sommando 6 camere di commercio, 4 province e 39 comuni.
Nella gran parte delle amministrazioni sono state contestate illegittimità: ricordiamo che le relazioni conclusive delle ispezioni sono trasmesse, oltre che agli enti perché provvedano a sanare le illegittimità e ai recuperi necessari, anche alla procura regionale della Corte dei conti. Da sottolineare che la stragrande maggioranza dei procedimenti aperti dinanzi alla magistratura contabile ha determinato la condanna di dirigenti, segretari, direttori generali e amministratori.
Sicuramente la voce che più concorre all'aumento illegittimo del fondo per la contrattazione decentrata è costituita dalla utilizzazione distorta dell'articolo 15, comma 5, Ccnl 01/04/1999, in particolare per gli aumenti disposti sulla parte variabile per l'attivazione di nuovi servizi e il miglioramento di quelli esistenti. Ma non si devono neppure dimenticare le illegittime riproposizioni nel corso degli anni degli aumenti una tantum previsti dai Ccnl 2006, 2008 e 2009 sulla parte variabile del fondo. E ancora, la mancata decurtazione dei compensi in godimento da parte del personale Ata trasferito allo stato e dei dipendenti trasferiti a seguito di esternalizzazioni; nonché il mancato taglio per il finanziamento dei reinquadramenti disposti dal Ccnl 31/03/1999 (nuovo ordinamento professionale). Il trattamento economico accessorio dei dipendenti nei comuni ispezionati è passato da 3.377 euro del 2004 a 4.185 del 2009 (aumento del 23,02%); quello dei dirigenti è cresciuto da 33.618 del 2004 a 46.137 del 2009, cioè l'incremento è stato pari al 37,24%. Tali valori sono ancora più elevati nelle province e nelle camere di commercio: è del tutto evidente che gli aumenti consentiti dai contratti nazionali sono entro volumi ben minori.
Le risorse destinate alla produttività continuano a essere una parte ridotta del fondo per la contrattazione decentrata, la cui quota prevalente è assorbita dalle progressioni orizzontali. Nonostante la carenza di risorse, esse sono spesso erogate in modo illegittimo. In primo luogo, perché non vengono assegnati preventivamente obiettivi e poi perché non sono attestati i risultati effettivamente raggiunti e le valutazioni dei dirigenti non sono effettuate in modo selettivo. La relazione mette in evidenza che «un'altra criticità rappresentata dalla tendenza a utilizzare le risorse della produttività per retribuire prestazioni ordinarie svolte al di fuori dell'orario di lavoro. Anche in questo caso ci si trova di fronte a una prassi distorsiva della disciplina contrattuale concernente la produttività».
Le progressioni economiche sono state effettuate in numero assai elevato nel comparto regioni ed enti locali. Non sempre le risorse destinate al suo finanziamento sono state prelevate dal fondo. La relazione ispettiva della Ragioneria dello stato inoltre segnala che in molte amministrazioni esse sono state concesse a tutto o quasi il personale e non si sono in alcun modo, o in modo molto limitato, utilizzati criteri selettivi o meritocratici. Ci viene ricordato che tali comportamenti determinano il maturare di responsabilità amministrativa. Un'altra frequente illegittimità, spesso spiegata dal ritardo con cui in molti enti vengono stipulati i contratti decentrati, è costituita dalla retroattività con cui esse vengono concesse (articolo ItaliaOggi del 04.11.2011 - link a www.ecostampa.it).

CONSIGLIERI COMUNALIOSSERVATORIO VIMINALE/ Stop alle giunte fai-da-te. No ad assessori in più rispetto ai limiti di legge. Gli enti entro 120 giorni devono adeguare gli statuti alle modifiche legislative.
Il sindaco di un comune (che ha nominato la giunta in conformità con le disposizioni recate dall'art. 2, comma 185, della legge finanziaria 2010, come integrato dall'art. 1, comma 2 della legge 26.03.2010, n. 42, di conversione del decreto legge 25.01.2010, n. 2, che hanno modificato l'art. 47 del dlgs n. 267/2000, riducendo il numero degli assessori) può nominare due assessori con funzioni consultive in più, rispetto al numero massimo previsto dalla vigente normativa, in base ad un'intervenuta modifica statutaria adottata dal consiglio comunale?
La disciplina relativa agli organi di governo dell'ente locale, come noto riservata dalla Costituzione al legislatore statale, è contenuta, per quanto riguarda la composizione delle giunte comunali, nell'art. 47 del dlgs n. 267/2000 che, al primo comma, per l'individuazione del numero massimo degli assessori, stabilisce un criterio proporzionale rispetto al numero dei consiglieri, e un limite massimo di 12 assessori che, all'esito del calcolo proporzionale, non può essere superato.
Sulla base di quanto dispone il comma 2 del citato articolo 47 «gli statuti, nel rispetto di quanto stabilito dal comma 1, possono fissare il numero degli assessori ovvero il numero massimo degli stessi». Nel caso di specie, la disposizione statutaria dell'ente risulta incompatibile con le disposizioni normative statali e, quindi, non può trovare applicazione, anche in relazione a quanto disposto dall'art. 1, comma 3, del dlgs n. 267, per il quale «l'entrata in vigore di nuove leggi che enunciano espressamente i principi che costituiscono limite inderogabile per l'autonomia normativa dei comuni e delle province abroga le norme statutarie con essi incompatibili. I consigli comunali e provinciali adeguano gli statuti entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore delle leggi suddette».
Non è, pertanto, possibile la nomina di ulteriori assessori, sia pure con funzioni consultive (articolo ItaliaOggi del 04.11.2011).

CONSIGLIERI COMUNALIOSSERVATORIO VIMINALE/ Accesso agli atti dei consiglieri.
Come deve essere disciplinato l'accesso agli atti da parte dei consiglieri comunali, secondo la Commissione per l'accesso ai documenti amministrativi? Può essere prolungato il termine per evadere le richieste d'accesso?

La Commissione ha precisato che non può negarsi «al singolo consigliere comunale di ottenere informazioni o atti detenuti dall'amministrazione comunale, anche quando la richiesta di accesso sia analoga a quella presentata da altri consiglieri comunali del gruppo, in quanto la prerogativa è riconosciuta al singolo rappresentante politico in funzione del proprio mandato».
Tuttavia, ha altresì evidenziato che «la reiterazione di istanze di accesso da parte dei medesimi consiglieri, in assenza di elementi di novità, potrebbe costituire un abuso del diritto di informazione» in quanto resta comunque ferma l'esigenza che le istanze di accesso non abbiano carattere emulativo e non aggravino la funzionalità dell'amministrazione comunale, superando i limiti della proporzionalità e della ragionevolezza.
In ordine al prolungamento del termine per evadere la richiesta di accesso, la Commissione ritiene che il protrarsi di quest'ultimo potrebbe determinare il rischio di concreta soppressione delle prerogative del consigliere nei casi di procedimenti urgenti o che richiedano l'espletamento delle funzioni politiche in un termine più breve. In ogni caso, è necessario che l'ente garantisca l'accesso al consigliere comunale nell'immediatezza e nei tempi più celeri e ragionevoli possibili. Eventualmente, qualora l'accesso, per l'eccessiva gravosità delle richieste, non potesse essere garantito subito, potrà essere dilazionato opportunamente il rilascio di copie degli atti, ferma restando, nel frattempo, la facoltà del consigliere di prendere visione della documentazione richiesta negli orari stabiliti, anche con mezzi informatici.
In tal caso il Consiglio di stato ha condiviso l'avviso espresso dal ministero dell'interno circa la possibile riproduzione di planimetrie su cd-rom, nel caso in cui l'accesso del consigliere mediante l'estrazione di copie di atti, comportasse la fotoriproduzione a costi elevati. Anche il Tar Puglia, Bari, 21.01.2011, n. 115, ha affermato che «gli unici limiti all'esercizio del diritto di accesso dei consiglieri comunali si rivengono, per un verso, nel fatto che esso debba avvenire in modo da comportare il minor aggravio possibile per gli uffici comunali e, per altro verso, che non debba sostanziarsi in richieste assolutamente generiche, fermo restando che la sussistenza di tali caratteri debba essere attentamente vagliata in concreto al fine di non introdurre surrettiziamente inammissibili limitazioni al diritto stesso».
La Commissione ha precisato, infine, che l'individuazione di spazi presso la segreteria dell'ente, da destinare alla visione e al rilascio di atti, appare misura organizzativa, possibile in astratto, pienamente compatibile con il regime di accesso dei consiglieri comunali (articolo ItaliaOggi del 04.11.2011).

ATTI AMMINISTRATIVIViminale/ Albo ko? Al bando la carta.
In tema di pubblicazioni sull'albo pretorio online, se il sistema informatico del comune dovesse subire un blocco informatico, il predetto servizio non potrà essere erogato, in nessun modo, in modalità cartacea. Piuttosto, gli enti locali, in casi di malfunzionamento del proprio sito web, si attivino per utilizzare a tal fine siti internet alternativi.
È quanto mette nero su bianco la circolare 28.10.2011 n. 26, emanata dalla direzione centrale per i servizi demografici del mininterno che indica la corretta procedura da seguire in caso di ipotesi di blocco del sistema informatico dell'ente locale, dopo che, sul punto, è stato investito l'ente nazionale per la digitalizzazione della pubblica amministrazione (DigitP.a.).
Una circolare che si è resa dovuta a seguito di apposite richieste pervenute da enti locali, nei quali si è verificato il blocco del proprio sistema informatico con la conseguente sospensione forzata delle pubblicazioni online. In merito, riporta il Viminale nel documento in esame, la DigitP.a. ha specificato che in nessun caso, anche se i server dei comuni dovessero andare in tilt, «potrà essere ripristinata l'erogazione del servizio in modalità cartacea». È un'evenienza tutt'altro che remota, per cui, la stessa DigitP.a. raccomanda che i comuni «nel progettare e realizzare tale servizio, dispongano le misure cautelative previste dall'articolo 50 del dlgs n. 82/2005, in materia di continuità operativa, la cui adozione è obbligatoria entro il 25.06.2012».
In pratica, si consiglia di prevedere che, in caso di malfunzionamento che causi il blocco del sito web presso il quale viene esposto l'albo pretorio, «si utilizzino, a tal fine, siti web alternativi», senza però specificare quali siano tali siti. Misure di estrema prudenza, pertanto, consigliano di procedere alla verifica della struttura informatica attualmente utilizzata, in termini di procedure di salvataggio dei dati, nonché in termini di formazione del personale adibito per far fronte agli eventi tali da produrre il blocco della funzionalità.
Nei casi in cui il server informatico sia localizzato presso una struttura esterna sarebbe opportuno mettere nero su bianco nel contratto, apposite clausole a garanzia della continuità del servizio (articolo ItaliaOggi del 03.11.2011).

ENTI LOCALI: P.a. pigra sul web? L'attività parte. L'assenza di documenti online non blocca l'avvio dell'impresa. La legge 106/2011 aggira l'inerzia delle amministrazioni sui documenti per Scia e autorizzazioni.
Da lunedì 31.10.2011, il diniego al rilascio dell'autorizzazione per l'esercizio di un'attività, a causa di incompletezza della domanda, è nullo qualora il Comune non abbia pubblicato sul proprio sito internet l'elenco dei documenti da presentare a corredo della domanda.
È questo uno degli effetti di quanto espressamente previsto nel primo decreto sviluppo del luglio scorso che ha imposto alle pubbliche amministrazioni diversi obblighi al fine di ridurre gli oneri derivanti dalla normativa vigente e gravanti in particolare sulle piccole e medie imprese.
Più in particolare, l'art. 6, comma 2 del dl decreto-legge 13.05.2011, n. 70 «Semestre europeo - Prime disposizioni urgenti per l'economia» (G.U. n.110 del 13.05.2011), così come convertito dalla legge 12 luglio 2011, n. 106 ha imposto l'obbligo per le pubbliche amministrazioni di pubblicare sui propri siti istituzionali, per ciascun procedimento amministrativo ad istanza di parte e rientrante nelle proprie competenze, l'elenco degli atti e documenti che l'istante ha l'onere di produrre.
Perché nel caso di mancato adempimento degli obblighi prescritti, la pubblica amministrazione non può respingere l'istanza adducendo la mancata produzione di un atto o documento, ma può soltanto invitare l'istante a regolarizzare la documentazione in un congruo termine. Ciò in quanto, in caso contrario, il provvedimento di diniego non preceduto dall'invito alla regolarizzazione è da considerarsi nullo, con le conseguenze giuridiche che ne derivano. Peraltro, il mancato adempimento dell'obbligo di pubblicizzazione, determina ripercussioni nei confronti dei dirigenti responsabili, perché viene considerato ai fini dell'attribuzione della retribuzione di risultato.
Più complessa la questione nei procedimenti previsti dall'articolo 19 della legge 241/1990, perché in questi casi, la segnalazione certificata d'inizio attività, seppur incompleta, legittima comunque l'istante a iniziare l'attività dalla data di presentazione della Scia e, in tal caso, l'amministrazione non può adottare i provvedimenti previsti dal comma 3 del medesimo art. 19 l. 241/1990, ovvero emettere un provvedimento di divieto di prosecuzione dell'attività, prima di aver concesso un congruo termine per la regolarizzazione. Rimangono esclusi dall'obbligo di pubblicità sul sito dell'Ente soltanto i procedimenti i cui documenti da presentare siano espressamente previsti da norme di legge, regolamento o da atti pubblicati sulla G.U.
Tale disposizione, peraltro, va coordinata con quanto dispone il dpr 160/2010, ovvero il regolamento relativo all'istituzione dello Sportello unico per le attività produttive, che impone ai comuni di prevedere nei propri siti istituzionali una specifica sezione riservata al Suap telematico, dove vanno inseriti tutti i procedimenti e i relativi allegati di competenza del Suap stesso. In caso di mancato adempimento, comunque, in base a un'ulteriore disposizione contenuta nel medesimo articolo 3 del dl 70/2011, il prefetto nomina un commissario ad acta (articolo ItaliaOggi del 02.11.2011 - link a www.corteconti.it).

CONSIGLIERI COMUNALI: Mini-enti, tagli alle giunte senza scappatoie.
Comuni con meno di 1.000 abitanti, niente assessori e niente giunte. La non felice formulazione dell'articolo 16 del dl 138/2011, convertito in legge 148/2011, che riguarda la ridefinizione della struttura ordinamentale dei piccolissimi comuni sta destando alcuni problemi interpretativi. La norma è chiaramente rivolta a dire addio ai comuni «polvere» per risparmiare risorse ed assicurare la presenza di enti locali solo entro bacini di popolazione tendenzialmente di almeno 5.000 abitanti.
Il problema è dato dalla circostanza che il legislatore non se l'è sentita di adottare la decisione più chiara e semplice: disporre l'obbligatoria fusione dei piccoli comuni con quelli confinanti, entro un determinato lasso di tempo. Al contrario, ha introdotto una forma speciale di unione di comuni, che deroga in parte alle disposizioni dell'articolo 32 del dlgs 267/2000, prevedendo connotati ordinamentali a dir poco confusi. Gli equivoci derivano dalla lettura combinata dei commi 1 e 16 dell'articolo 16 della manovra estiva bis. Il comma 1 dispone che, allo scopo di contribuire agli obiettivi di finanza pubblica e per razionalizzare gli assetti ordinamentali, i «comuni con popolazione fino a 1.000 abitanti esercitano obbligatoriamente in forma associata tutte le funzioni amministrative e tutti i servizi pubblici loro spettanti sulla base della legislazione vigente mediante un'unione di comuni».
A completamento di tale disposizione, il successivo comma 9 tenta di chiarire che l'obbligo scatta «a decorrere dal giorno della proclamazione degli eletti negli organi di governo del comune che, successivamente al 13.08.2012, sia per primo interessato al rinnovo». In questo caso «nei comuni con popolazione fino a 1.000 abitanti che siano parti della stessa unione, nonché in quelli con popolazione superiore che esercitino mediante tale unione tutte le proprie funzioni, gli organi di governo sono il sindaco e il consiglio comunale, e le giunte in carica decadono di diritto».
Il comma 16, tuttavia, prevede che se alla data del 13.08.2012 i comuni con meno di 1.000 abitanti gestiscano tutte le funzioni e servizi non mediante un'unione, bensì attraverso convenzioni con altri comuni, «l'obbligo di cui al comma 1 non trova applicazione», cioè non occorre entrare a far parte dell'unione. Si può, dunque, immaginare che i comuni con meno di 1.000 abitanti che non entrino nell'unione conservino, in conseguenza di ciò, la giunta comunale e gli assessori. A smentire, tuttavia, la fattibilità di questa «scappatoia» per mantenere in piedi le giunte anche nei mini enti è il comma 17, sempre dell'articolo 16 della manovra estiva-bis, il quale stabilisce quanti siano i componenti degli organi collegiali di governo dei comuni fino a 10.000 abitanti.
Ebbene, tale norma indica espressamente il numero degli assessori per i comuni con popolazione compresa nelle fasce da 1.000 a 3.000 abitanti (6 consiglieri più il sindaco e massimo due assessori); da 3.000 a 5.000 abitanti (7 consiglieri più il sindaco e 3 assessori); da 5.000 a 10.000 abitanti (10 consiglieri più il sindaco e 4 assessori). Ma, per i comuni fino a 1.000 abitanti il comma 17 si limita a stabilire che «il consiglio comunale è composto, oltre che dal sindaco, da sei consiglieri», senza fare lontanamente cenno al numero massimo di assessori. Essendo il comma 17 la disposizione deputata a fissare i componenti degli organi di governo a decorrere dal primo rinnovo di ciascun consiglio comunale successivo alla data di entrata in vigore della legge 148/2011, si deve concludere che i comuni con popolazione fino a 1.000 abitanti non potranno più avere la giunta comunale, anche laddove non aderissero alle unioni di comuni.
La previsione del comma 9, secondo cui decadono di diritto le giunte in carica dei comuni che aderiscono alle unioni non ha lo scopo di assicurare simmetricamente che qualora gli enti «sfuggano» alle unioni, per loro le giunte restino operanti. Semplicemente, se ancora in carica, non decadono di diritto, visto che non si costituisce l'unione. Tuttavia, una volta che il comune con meno di 1.000 abitanti va ad elezioni, in applicazione del comma 17 non potrà più disporre di assessori e giunta (articolo ItaliaOggi del 02.11.2011 - link a www.corteconti.it).

GIURISPRUDENZA

EDILIZIA PRIVATALa lombricoltura in sé non può qualificarsi come attività a carattere industriale, essendo legata ad un uso agricolo del suolo, e non al trattamento dei rifiuti in senso industriale.
Conseguentemente, è illegittimo il diniego comunale sulla istanza per il rilascio di concessione edilizia per la realizzazione di un impianto di lombricoltura motivato con riferimento ad una pretesa incompatibilità dell’intervento con la destinazione agricola del suolo in oggetto: l’ufficio ha invero qualificato l’intervento tra quelli a carattere industriale, non localizzabile in zona agricola.

Il presente ricorso verte sulla legittimità del diniego di concessione edilizia per la realizzazione di un impianto di lombricoltura in località agricola del Comune di Nola, motivato dalla amministrazione con riferimento ad una pretesa incompatibilità dell’intervento con la destinazione agricola del suolo in oggetto: l’ufficio ha invero qualificato l’intervento tra quelli a carattere industriale, non localizzabile in zona agricola.
...
Va premesso che la lombricoltura in sé non può qualificarsi come attività a carattere industriale, essendo legata ad un uso agricolo del suolo, e non al trattamento dei rifiuti in senso industriale.
Ed infatti, la stessa amministrazione ha dedotto elementi ostativi che attengono più alla fase posteriore di concreto funzionamento dell’impianto, che non alla valutazione ex ante degli elementi del proposto progetto, in riferimento alla compatibilità urbanistica dell’intervento con la destinazione di zona.
Gli elementi ritenuti ostativi, in quanto presumono una lavorazione di rifiuti in situ, ovvero l’esercizio di un’attività insalubre, non costituiscono un adeguato substrato motivazionale del gravato diniego, come autorevolmente ritenuto in fattispecie analoga dal Consiglio di Stato.
Il giudice di appello ha affermato (CdS sez. IV 07.10.2009 n. 6117, peraltro con riferimento ad un impianto più complesso in quanto destinato alla produzione di energia elettrica con il biogas) che non si tratta affatto di impianti che smaltiscano o trattino in qualche modo rifiuti: “…… si tratta, invece, di impianti che producono energia, mediante quel particolare procedimento che si concreta nel cosiddetto biogas, per cui vengono inizialmente introdotti elementi organici che procedono ad un’attività riproduttiva rispetto alle sostanze immesse, donde la caratteristica relativamente alla quale i residui in parola non sono utilizzati per essere smaltiti o in qualche modo trattati, ma servono solo per iniziare l’attività di decomposizione delle sostanze immesse, ai fini della produzione energetica.
Il fatto che inizialmente, all’atto dell’avvio dell’impianto, vi fosse l’immissione di sostanze organiche, rifiuti animali in senso lato, non determina solo per questo la classificazione dell’impianto fra quelli afferenti il trattamento dei rifiuti, in quanto le sostanze organiche suddette, lungi dall’essere l’oggetto del trattamento, ne sono invece uno strumento operativo, con il quale l’impianto funziona, alla stregua di un meccanismo di messa in moto.
Né rientrano gli impianti medesimi nell’ambito delle industrie insalubri, non essendo i medesimi menzionati fra quelli e non potendo peraltro operare l’analogia nella materia della elencazione degli impianti che rientrano nella insalubrità, nelle varie classi di cui essa consiste
.”
Dette argomentazioni (riferibili specularmente all’impianto di lombricoltura in cui i lombrichi trasformano i rifiuti organici in fertilizzante attraverso la naturale attività di decomposizione, come documentato da parte ricorrente nelle note tecniche del prof. D’Errico prodotte nella istruttoria procedimentale), che il Collegio condivide pienamente, comportano la illegittimità del gravato diniego per difetto di motivazione (TAR Campania-Napoli, Sez. II, sentenza 04.11.2011 n. 5135 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATASono soggetti alla disciplina delle distanze tutti gli interventi edilizi, ancorché definiti come “ristrutturazione”, che comportino l'ampliamento di edifici «all'esterno della sagoma esistente» [cfr. le «definizioni» di cui all'art. 27, comma 1, lett. e), n. 1), l.rg. n. 12 del 2005, che testualmente annovera tale fattispecie tra gli «interventi di nuova costruzione»].
Infatti la disposizione di cui all’art. 9, d.m. 02.04.1968 n. 1444, pur riferendosi (comma 1 n. 2) alla realizzazione di "nuovi edifici", è applicabile anche agli interventi di sopraelevazione e dunque anche alle ristrutturazioni, quando comportano un incremento dell'altezza del fabbricato.

Con il ricorso principale viene impugnata la delibera di approvazione del piano di recupero, interessante un immobile limitrofo alla proprietà di parte ricorrente.
...
Nel merito il ricorso merita accoglimento, essendo prima facie fondato il motivo n. 4 (indicato nel ricorso al punto 9), relativo alla violazione delle distanze.
Dalla ricostruzione dei fatti è evidente che la torretta è stata ampliata e sostituita con un nuovo piano, violando la distanza dai confini e dagli edifici.
...
Questa Sezione ha recentemente affermato che sono soggetti alla disciplina delle distanze tutti gli interventi edilizi, ancorché definiti come “ristrutturazione”, che comportino l'ampliamento di edifici «all'esterno della sagoma esistente» [cfr. le «definizioni» di cui all'art. 27, comma 1, lett. e), n. 1), l.rg. n. 12 del 2005, che testualmente annovera tale fattispecie tra gli «interventi di nuova costruzione»] (TAR Lombardia Milano, sez. II, 10.12.2010, n. 7505).
Infatti la disposizione di cui all’art. 9, d.m. 02.04.1968 n. 1444, pur riferendosi (comma 1, n. 2) alla realizzazione di "nuovi edifici", è applicabile anche agli interventi di sopraelevazione e dunque anche alle ristrutturazioni, quando comportano un incremento dell'altezza del fabbricato (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 04.11.2011 n. 2654 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVIL’avviso di avvio di cui all’art. 7 della legge 241/1990 è un atto meramente endoprocedimentale, privo di lesività e non impugnabile.
L’impugnazione contro la comunicazione di avvio del procedimento del 02.09.2011 deve reputarsi invece inammissibile per difetto di interesse, visto che, per pacifica giurisprudenza, l’avviso di avvio di cui all’art. 7 della legge 241/1990 è un atto meramente endoprocedimentale, privo di lesività e non impugnabile (cfr., fra le più recenti, TAR Campania, Napoli, sez. III, 01.03.2011, n. 1249) (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 04.11.2011 n. 2644 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTILa regola fissata dall’art. 84 del codice dei contratti pubblici, per la quale i componenti della Commissione di gara vanno scelti fra soggetti dotati di competenza tecnica adeguata alle peculiarità dello specifico settore interessato dall’appalto da assegnare, costituisce espressione di principi generali, costituzionali e comunitari, volti ad assicurare il buon andamento e l’imparzialità dell’azione amministrativa e, in quanto tale, non è suscettibile di essere derogata.
La mancanza, all’interno della stazione appaltante, di funzionari competenti in relazione all’appalto oggetto di gara non costituisce ostacolo alla corretta applicazione delle disposizioni codicistiche atteso che, ai sensi del combinato disposto dei commi 2 e 8 dell’art. 84, d.lgs. 12.04.2006, n. 163, in caso di assenza, nell’organico dell’amministrazione che ha bandito la gara, delle specifiche professionalità, i componenti della Commissione di gara, in possesso delle capacità tecniche e professionali adeguate all'importanza dell'appalto, devono essere scelti o tra funzionari di altre amministrazioni ovvero tra professionisti e professori universitari di ruolo.

Il Collegio intende confermarsi a quanto già affermato nella propria ordinanza n. 2958/2011, la quale, nell'accogliere l'istanza cautelare proposta dalla società ricorrente, ha ritenuto fondato il motivo di doglianza in esame, considerato che:
a) la regola fissata dall’art. 84 del codice dei contratti pubblici, per la quale i componenti della Commissione di gara vanno scelti fra soggetti dotati di competenza tecnica adeguata alle peculiarità dello specifico settore interessato dall’appalto da assegnare, costituisce espressione di principi generali, costituzionali e comunitari, volti ad assicurare il buon andamento e l’imparzialità dell’azione amministrativa (Cons. St., sez. V, 04.03.2011, n. 1386) e, in quanto tale, non è suscettibile di essere derogata;
b) la mancanza, all’interno della stazione appaltante, di funzionari competenti in relazione all’appalto oggetto di gara non costituisce ostacolo alla corretta applicazione delle disposizioni codicistiche atteso che, ai sensi del combinato disposto dei commi 2 e 8 dell’art. 84, d.lgs. 12.04.2006, n. 163, in caso di assenza, nell’organico dell’amministrazione che ha bandito la gara, delle specifiche professionalità, i componenti della Commissione di gara, in possesso delle capacità tecniche e professionali adeguate all'importanza dell'appalto, devono essere scelti o tra funzionari di altre amministrazioni ovvero tra professionisti e professori universitari di ruolo (Cons. St., sez. V, 24.11.2009 n. 7353; Tar Veneto, sez. I, 08.10.2009, n. 2575) (TAR Lazio-Roma, Sez. III, sentenza 03.11.2011 n. 8414 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAL'art. 15 della legge nr. 1497 del 1939 (divenuto poi art. 164 del d.lgs. nr. 490 del 1999, ed oggi l'art. 167 del d.lgs. n. 42 del 2004) va interpretato nel senso che l'indennità prevista per abusi in zone soggette a vincoli paesaggistici costituisce vera e propria sanzione amministrativa e non una forma di risarcimento del danno.
In secondo luogo tale sanzione ha natura affittiva, cioè di punire l’autore dell’abuso e non quella ripristinatoria (o reale), che colpisce l’oggetto dell’illecito, riportando la situazione allo stato quo ante. Ne consegue che la sanzione pecuniaria paesistica, a differenza di quella urbanistica, ha natura personale ed è quindi soggetta alle regole previste dalla l. 24.11.1981 n. 689. Non può perciò essere notificata al proprietario del bene in mancanza dell’accertamento di una responsabilità a suo carico nella condotta illecita, eventualmente in solido (art. 6 L. 689/1981).

La giurisprudenza prevalente ha ormai chiarito che l'art. 15 della legge nr. 1497 del 1939 (divenuto poi art. 164 del d.lgs. nr. 490 del 1999, ed oggi l'art. 167 del d.lgs. n. 42 del 2004) va interpretato nel senso che l'indennità prevista per abusi in zone soggette a vincoli paesaggistici costituisce vera e propria sanzione amministrativa e non una forma di risarcimento del danno (cfr. Consiglio di stato, sez. IV, 12.03.2009, n. 1464; Cons. Stato, sez. VI, 28.07.2006, nr. 4690; Cons. Stato, sez. IV, 15.11.2004, nr. 7405; id. 03.11.2003, nr. 7047; Cons. Stato, sez. VI, 03.04.2003, nr. 1729; Cons. Stato, sez. IV, 12.11.2002, nr. 6279; Cons. Stato, sez. VI, 08.11.2000, nr. 6007; id. 06.06.2000, nr. 3185), con la conseguenza che si applica anche in mancanza di un danno ambientale.
In secondo luogo tale sanzione per la giurisprudenza prevalente (cfr. Tar Sicilia Catania, I, 25.03.2010; Cons. Stato, Ad. Gen. 11.04.2002 n. 4) ha natura affittiva, cioè di punire l’autore dell’abuso e non quella ripristinatoria (o reale), che colpisce l’oggetto dell’illecito, riportando la situazione allo stato quo ante. Ne consegue che la sanzione pecuniaria paesistica, a differenza di quella urbanistica, ha natura personale ed è quindi soggetta alle regole previste dalla l. 24.11.1981 n. 689. Non può perciò essere notificata al proprietario del bene in mancanza dell’accertamento di una responsabilità a suo carico nella condotta illecita, eventualmente in solido (art. 6 L. 689/1981).
In terzo luogo la condotta illecita può consistere sia in una condotta commissiva, consistente nella compromissione dell’integrità paesaggistica (illecito sostanziale), sia in una condotta omissiva, consistente nella violazione dell’obbligo di conseguire preventivamente l’atto di assenso necessario per la realizzazione dell’intervento (illecito formale) (In questo senso v. Cons. Stato, VI, 21.02.2001 n. 912; Cons. Stato, sez. IV, 02.06.2000, nr. 3184). Nel caso in giudizio l’amministrazione ha contestato alla ricorrente ed alla società Oasi srl la violazione formale (v. lettera del Consorzio 31.01.2005 doc. n. 12 del ricorrente).
Occorre quindi confermare quanto affermato nel parere del Consiglio di Stato reso sul ricorso straordinario, nella parte in cui afferma che la responsabilità graverebbe sull’autore del disboscamento non autorizzato, in quanto ha compiuto le opere senza autorizzazione preventiva (TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 03.11.2011 n. 2637 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Solo il Consiglio comunale può ratificare il provvedimento della Giunta verificandone anche il merito.
Nel novero dei provvedimenti di convalescenza, volti ad eliminare il vizio che rende l’atto illegittimo, l'istituto della ratifica ricorre allorché sussista una legittimazione straordinaria di un organo ad emanare a titolo provvisorio e in una situazione d'urgenza un provvedimento che rientra nella competenza di un altro organo il quale, ratificando, lo fa proprio.
In particolare, per quel che concerne la ratifica dei provvedimenti adottati dalla Giunta in via di urgenza, il Consiglio comunale non deve limitare la propria indagine al solo accertamento delle condizioni previste dalla legge, ma può spingersi a verificare il contenuto stesso del provvedimento, con conseguente possibilità di modificarlo. Ancora, gli è consentito altresì di escludere la ratifica per ragioni diverse da quelle relative alla sussistenza del presupposto dell'urgenza. La quinta sezione del Consiglio di Stato ammette, infatti, che l’organo consiliare del Comune possa operare una diversa valutazione dell'opportunità dell'atto.
Di più: il presupposto dell'urgenza, in base al quale la Giunta esercita i poteri ordinariamente spettanti al Consiglio comunale, può essere sindacato in esclusiva da quest'ultimo, in sede di ratifica, in quanto la sua rilevanza costituisce valutazione di merito, non altrettanto sindacabile dal giudice amministrativo in sede di giudizio di legittimità (cfr. sul punto anche Consiglio di Stato, sez. IV, n. 6366/2004) (commento tratto da www.diritto.it).
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L'istituto della ratifica ricorre allorché sussista una legittimazione straordinaria di un organo ad emanare a titolo provvisorio e in una situazione d'urgenza un provvedimento che rientra nella competenza di un altro organo il quale, ratificando, lo fa proprio, come nella specie.
In sede di ratifica dei provvedimenti adottati dalla Giunta municipale in via di urgenza, il Consiglio Comunale non deve limitare la propria indagine al solo accertamento delle condizioni previste dalla legge, affinché la Giunta possa provvedere in sua vece, ma può verificare anche il contenuto del provvedimento, con conseguente possibilità di modificarlo, nonché di escludere la ratifica anche per ragioni diverse da quelle attinenti alla sussistenza del presupposto dell'urgenza, compresa una diversa valutazione dell'opportunità dell'atto.
In particolare, il presupposto dell'urgenza, in base al quale la Giunta esercita i poteri ordinariamente spettanti al Consiglio Comunale, può essere sindacato solo da quest'ultimo, in sede di ratifica, in quanto la sua rilevanza costituisce valutazione di merito, non sindacabile dal giudice amministrativo in sede di giudizio di legittimità (cfr. Consiglio di Stato , sez. IV, 01.10.2004, n. 6366).
Pertanto, alla luce di tale pacifico orientamento, la prima censura d’appello relativa all’asserita mancanza del requisito dell’urgenza è infondata (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 02.11.2011 n. 5849 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Sull'obbligo di prestare la cauzione provvisoria per tutti i soggetti partecipanti ad una gara di appalto, compresi mandanti e mandatari, nel caso di RTI non costituito.
La cauzione provvisoria deve essere prestata da tutti i soggetti partecipanti, compresi mandanti e mandatari nel caso di RTI non costituito, di modo che, ove la cauzione, come nel caso di specie, sia prestata a mezzo polizza fideiussoria, quest'ultima deve essere intestata a tutti i soggetti del raggruppamento, e non solo alla mandataria. In materia di cauzione provvisoria vanno considerati, infatti, obbligati a prestare la cauzione provvisoria tutti i soggetti che intendono partecipare alla gara, senza esclusione alcuna, perché individualmente responsabili delle dichiarazioni rese. Diversamente opinando, qualora l'inadempimento non dipenda dalla capogruppo designata, bensì dalle mandanti, verrebbe a configurarsi una carenza di garanzia per la stazione appaltante.
Pertanto, è illegittimo il provvedimento di aggiudicazione di una gara, adottato da una stazione appaltante nei confronti di un RTI concorrente, che abbia prodotto una cauzione provvisoria, la cui fideiussione, a garanzia della stessa, sia stata rilasciata alla sola impresa mandataria, in violazione di quanto disposto dall'art. 75 del d.lgs. n. 163/2006 (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 02.11.2011 n. 5841 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

AMBIENTE-ECOLOGIAUno degli strumenti messi a disposizione per la bonifica e il ripristino di siti contaminati è quello dell’ordinanza da emanare ai sensi dell’art 244 del d.lgs. 152/2006.
Occorre ricordare che l’asse portante del sistema normativo degli interventi in questione è costituito dal principio di matrice comunitaria “chi inquina paga”, richiamato dalla norma che apre il titolo dedicato alla bonifica dei siti contaminati nel contesto del cd codice dell’ambiente.
Il principio "chi inquina paga" deve essere posto a base, in particolare, di interventi come quello divisato dall’amministrazione provinciale di Brindisi perché non può ammettersi un sistema sanzionatorio o anche di tipo preventivo il quale si apra ad ipotesi di responsabilità oggettiva o per fatto altrui.
E’ questo il senso della norma in forza della quale la provincia può emanare l’ordinanza ex art 244 d.lgs. 152/2006 “dopo aver svolto opportune indagini volte ad identificare il responsabile dell’evento di superamento".
Il potere di ordinanza affidato all’ente provinciale poggia dunque sulla compiuta verifica delle responsabilità relative alla contaminazione di un sito, in linea con un sistema che annovera tra le sue funzioni anche quella sanzionatoria.
Esso non può dirigersi verso il proprietario incolpevole del sito perché ciò vuol dire aprire uno spiraglio ad un regime di autentica responsabilità oggettiva.
E’ dunque necessario che il proprietario del sito sia chiamato in causa solo quando emergono profili quantomeno di compartecipazione colposa alla condotta inquinante.

Il Collegio ha già avuto occasione di porre in evidenza, ai fini della tutela cautelare concessa in favore della società ricorrente, che “non sembra potersi desumere una situazione di sicura imputabilità dell’inquinamento alla società Transeco in quanto:
- il sito che si ritiene sorgente inquinante risulta dismesso da tempo;
- non è possibile, allo stato degli atti, escludere che la fonte dell’inquinamento sia riconducibile ad altra attività produttiva in esercizio, essendo stata acclarata la prossimità al sito in discorso di una discarica comunale di rifiuti;
- e, conclusivamente, non sussistono i presupposti per emanare un provvedimento con le caratteristiche delineate dall’art 244 del d.lgs. 152/2006, il quale presuppone la identificazione del responsabile della potenziale contaminazione
”.
Queste argomentazioni debbono oggi essere ulteriormente corroborate da una disamina più dettagliata del quadro di interventi e misure che l’amministrazione competente può adottare in caso di potenziale contaminazione di un sito con pericolo di inquinamento ambientale .
Uno degli strumenti messi a disposizione per la bonifica e il ripristino di siti contaminati è quello dell’ordinanza da emanare ai sensi dell’art 244 del d.lgs. 152/2006, la quale è stata appunto impiegata dalla amministrazione intimata .
Occorre ricordare che l’asse portante del sistema normativo degli interventi in questione è costituito dal principio di matrice comunitaria “chi inquina paga”, richiamato dalla norma che apre il titolo dedicato alla bonifica dei siti contaminati nel contesto del cd codice dell’ambiente.
Il principio "chi inquina paga" deve essere posto a base, in particolare, di interventi come quello divisato dall’amministrazione provinciale di Brindisi perché non può ammettersi un sistema sanzionatorio o anche di tipo preventivo il quale si apra ad ipotesi di responsabilità oggettiva o per fatto altrui.
E’ questo il senso della norma in forza della quale la provincia può emanare l’ordinanza ex art 244 d.lgs. 152/2006 “dopo aver svolto opportune indagini volte ad identificare il responsabile dell’evento di superamento".
Il potere di ordinanza affidato all’ente provinciale poggia dunque sulla compiuta verifica delle responsabilità relative alla contaminazione di un sito, in linea con un sistema che annovera tra le sue funzioni anche quella sanzionatoria.
Esso non può dirigersi verso il proprietario incolpevole del sito perché ciò vuol dire aprire uno spiraglio ad un regime di autentica responsabilità oggettiva.
E’ dunque necessario che il proprietario del sito sia chiamato in causa solo quando emergono profili quantomeno di compartecipazione colposa alla condotta inquinante (TAR Puglia-Lecce, Sez. I, sentenza 02.11.2011 n. 1901 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: La revoca del provvedimento di aggiudicazione di una gara non può essere impedita dalla cessione di un ramo d'azienda.
Se da una parte il divieto di cessione del contratto, nel settore dei pubblici appalti, risulta temperato nei casi di cessione di azienda, ovvero di trasformazione, fusione o scissione societaria, purché permangano i requisiti soggettivi ed oggettivi richiesti, al fine di non penalizzare i processi di ristrutturazione delle società, è comunque imposta la possibilità di verifica dei predetti requisiti da parte dell'Amministrazione: in tale ottica, ai sensi dell'art. 35, c. 1, della l. n. 109/1994, gli atti gli atti sopra indicati non producono effetti nei confronti delle Amministrazioni aggiudicatrici, fino a che non siano intervenute le comunicazioni, di cui all'art. 1 del D.P.C.M. n. 187/1991, circa il nuovo reale assetto societario.
Ne consegue la perdurante inefficacia dei medesimi atti in relazione al subentro in rapporti contrattuali, che alla data della cessione siano già stati revocati dall'Amministrazione, non solo non sussistendo, in tale ipotesi, l'esigenza di non penalizzare i processi di trasformazione societaria, ma potendo configurarsi la cessione quale strumento elusivo dell'inidoneità alla stipula dell'originale soggetto aggiudicatario (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 31.10.2011 n. 5809 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

EDILIZIA PRIVATA: In sede di rilascio del titolo abilitativo edilizio sussiste l'obbligo per il Comune di verificare il rispetto da parte dell'istante dei limiti privatistici, a condizione che tali limiti siano effettivamente conosciuti o immediatamente conoscibili e/o non contestati, di modo che il controllo da parte dell'ente locale si traduca in una semplice presa d'atto dei limiti medesimi senza necessità di procedere ad un'accurata ed approfondita disamina dei rapporti tra i condomini.
E' stato condivisibilmente affermato che, in sede di rilascio del titolo abilitativo edilizio sussiste l'obbligo per il Comune di verificare il rispetto da parte dell'istante dei limiti privatistici, a condizione che tali limiti siano effettivamente conosciuti o immediatamente conoscibili e/o non contestati, di modo che il controllo da parte dell'ente locale si traduca in una semplice presa d'atto dei limiti medesimi senza necessità di procedere ad un'accurata ed approfondita disamina dei rapporti tra i condomini (così, Cons. Stato, IV, 04.05.2010, n. 2546).
E' è tra le ipotesi di questo tipo che sembra doversi ricomprendere la d.i.a. in esame, a causa della preventiva comunicazione al Comune di un esposto del comproprietario, cioè di un atto che il Comune non poteva che considerare come sostanziale opposizione all’intervento, e che quindi, oggettivamente, metteva in seria discussione la autonoma disponibilità della copertura dell’edificio da parte della ricorrente ai sensi dell’articolo 1102 c.c..
Infatti, non è detto che l’installazione di pannelli solari sul tetto dell’edificio (intervento certamente agevolato ed incentivato dalla normativa, per la sua valenza sotto il profilo ambientale) non possa pregiudicare l’uso o il godimento della cosa comune da parte degli altri partecipanti alla comunione - condizione affinché, ai sensi dell’articolo 1102 c.c., l’intervento modificativo possa essere liberamente realizzato da ciascuno di essi; basti pensare, ad esempio, che ciascun comproprietario potrebbe avere interesse ad installare pannelli per produrre energia, ma potrebbe non essere sufficiente per tutti la superficie a disposizione, o sopportabile dalla struttura il peso di più impianti, etc.; dette eventualità, fanno sì che la disponibilità dell’installazione ai sensi dell’articolo 1102 c.c. non sia affatto scontata, ma debba essere valutata caso per caso, considerando la volontà e gli interessi di tutti i comproprietari (TAR Umbria, sentenza 28.10.2011 n. 333 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ENTI LOCALICase vip da non svendere. Niente accordo con l'ente per immobili di pregio. Il Consiglio di stato mette un freno alle cessioni a prezzi stracciati.
Non è possibile alcuna definizione bonaria della controversia fra l'ente pubblico che dismette l'immobile e il conduttore che intende aggiudicarsela se l'aspirante acquirente non si rassegna ad accettare che la casa in cui abita va classificato come «di prestigio»: le stime dell'Agenzia del territorio parlano chiaro e il susseguente provvedimento dell'ente chiamato alla cessione risulta ben motivato.
È quanto emerge dalla sentenza 27.10.2011 n. 5786 della VI Sez. del Consiglio di stato.
Dovranno pagarla al prezzo di mercato, la casa a Roma nel cuore del quartiere-bene dei Parioli, gli attuali conduttori che aderiscono al procedimento di cartolarizzazione.
Altro che storie: in zona, siamo a due passi da piazza Euclide, le quotazioni immobiliari oscillano fra 5.700 e 8.000 euro in base alla stima effettuata dall'Osservatorio del mercato immobiliare costituito presso l'ex Demanio.
Palazzo Spada rovescia la sentenza del Tar rigettando i ricorsi introduttivi dei conduttori degli immobili: è stato dunque inutile, per loro, impugnare i decreti dichiarativi gli immobili in questione «di pregio», sia la stima del Territorio.
È vero: l'ente pubblico che dismette le sue proprietà deve preferire in ogni modo il risultato economico immediato evitando di accollarsi il rischio di cause-lumaca che rendono sempre più improbabile la riscossione dei crediti. Ma la scelta se addivenire o meno a una composizione delle vertenze è affidata al prudente apprezzamento dell'ente. E l'Inps, nella specie, adotta una decisione ineccepibile dichiarando l'impossibilità di addivenire a una soluzione transattiva. Non bisogna dimenticare che uno dei comandamenti della seconda operazione di cartolarizzazione Scip resta sempre «massimizzare gli incassi in relazione alla situazione del mercato immobiliare». La procedura di dismissione degli immobili è la seguente.
I soggetti originariamente proprietari degli immobili assolvono la vendita di tutti i beni ad essi trasferiti nel rispetto delle procedure che regolano l'alienazione dei cespiti da parte della Scip per la seconda operazione di cartolarizzazione, per quanto compatibili.
E le procedure si possono modificare per rendere più efficiente il processo di vendita. Se gli immobili trasferiti risultino non cedibili ai sensi del dl 351/2001 (convertito con modificazioni dalla legge 410/2001), gli enti provvedono all'individuazione di unità immobiliari che hanno le caratteristiche dal decreto e analogo valore. Una volta entrato in vigore il decreto, i soggetti originariamente proprietari degli immobili si sostituiscono alla Scip in tutti i rapporti, anche processuali e attinenti alle procedure di vendita in corso, relativi agli immobili trasferiti, con liberazione della società. Intanto i conduttori delle case in zona Vip pagano le spese di giudizio, in solido fra loro, all'ente pubblico (articolo ItaliaOggi del 03.11.2011 - link a www.corteconti.it).

EDILIZIA PRIVATAEDIFICI DI CULTO – SEDI DI ASSOCIAZIONI CULTURALI ISLAMICHE – PREVALENZA DELL’ATTIVITA’ DI PREGHIERA – DETERMINA MUTAMENTO DELLA DESTINAZIONE D’USO – NECESSITA’ DI PERMESSO DI COSTRUIRE - SUSSISTE.
In tema di edilizia cultuale, qualora un immobile non risulti utilizzato in via esclusiva quale luogo di culto, ma come sede di un’Associazione culturale islamica (nella specie ubicata in un negozio), in linea di principio non sarebbe possibile affermare la sussistenza di un’incompatibilità edilizio-urbanistica della destinazione d’uso dell’immobile medesimo, salvo che le circostanze di fatto non inducano a ritenere che l’attività ivi prevalentemente svolta sia quella della preghiera congregazionale, espressamente prevista dallo Statuto dell’Associazione culturale, e quest’ultima non sia in grado di provare il prevalente svolgimento di attività diverse da quelle proprie della preghiera.
LEGGE URBANISTICA DELLA LOMBARDIA – EDIFICI DI CULTO – NECESSITA’ DI PERMESSO DI COSTRUIRE ANCHE PER MUTAMENTI DI DESTINAZIONE D’USO SENZA OPERE – INCOSTITUZIONALITA’ PER DISCRIMINAZIONE – NON SUSSISTE.
L’art. 52, comma 3-bis della L.R. della Lombardia 11.03.2005 n. 12, che dispone la necessità del rilascio del permesso di costruire per i “mutamenti di destinazione d’uso di immobili, anche non comportanti la realizzazione di opere edilizie, finalizzati alla creazione di luoghi di culto e luoghi destinati a centri sociali”, non si presta a dubbi di costituzionalità o di discriminazione, poiché esso, trovando applicazione in relazione all’intera categoria delle “attrezzature di interesse comune per servizi religiosi … gli immobili (comunque) destinati a sedi di associazioni, società o comunità di persone in qualsiasi forma costituite, le cui finalità statutarie o aggregative siano da ricondurre alla religione, all’esercizio del culto o alla professione religiosa quali sale di preghiera, scuole di religione o centri culturali”, si propone di controllare i mutamenti di destinazione d’uso suscettibili, per l’afflusso di persone o di utenti, di creare centri di aggregazione con riflessi di rilevante impatto urbanistico.

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La sentenza resa in primo grado va riformata e –per l’effetto– il ricorso ivi proposto va respinto.
Il Collegio ribadisce in tal senso che, come evidenziato anche nella recente ordinanza cautelare n. 2008 dd. 10.05.2011, se un immobile non risulta sia utilizzato in via esclusiva quale luogo di culto (diritto, questo, il cui esercizio è comunque garantito anche ai non cittadini a’ sensi e nei limiti dell’art. 19 Cost.), in linea di principio non è possibile affermare la sussistenza di un’incompatibilità edilizio-urbanistica della destinazione d’uso dell’immobile medesimo, il quale peraltro consterebbe sia a tutt’oggi nella specie adibito a “negozio”, anche se poi divenuto sede dell’Associazione Culturale Da’awa.
L’esame dello statuto di tale Associazione e delle circostanze di fatto documentate sino alla predetta data del 23.07.2011 convincono tuttavia il Collegio della circostanza che, a differenza del caso definito in sede cautelare da questa stessa Sezione mediante l’anzidetta ordinanza n. 2008 del 2001, nella fattispecie non risulta materialmente comprovato lo svolgimento da parte della Associazione medesima di attività diverse da quelle proprie della preghiera, nondimeno reputata in via del tutto apodittica dal TAR come accessoria e marginale nel contesto degli scopi statutari perseguiti da Da’awa.
In effetti, nell’estrema genericità dei pur commendevoli scopi di carattere generale enunciati dallo statuto di Da’awa (“rafforzare il legame di fratellanza umana tra comunità e i cittadini locali attraverso lo scambio culturale, la collaborazione sociale, la vicinanza civile all’interno di un quadro di rispetto e di integrazione”; “essere un elemento di una area di convivenza e di pace, promuovendo una condotta morale che porti alla pratica del bene”; “far rivivere gli insegnamenti del Profeta - Sunna e la rivelazione Divina - Corano”), la specifica attività di “organizzare preghiere individuali e collettive” assume all’evidenza un carattere non occasionale ma del tutto preminente: e ciò inderogabilmente impone, pertanto, l’applicazione nella specie dell’art. 52, comma 3-bis della L.R. 11.03.2005 n. 12 come introdotto dall’art. 1 della L.R. 14.07.2006 n. 12, laddove si dispone la necessità del rilascio del permesso di costruire per i “mutamenti di destinazione d’uso di immobili, anche non comportanti la realizzazione di opere edilizie, finalizzati alla creazione di luoghi di culto e luoghi destinati a centri sociali”.
Né va sottaciuto che l’art. 70 e ss. della medesima L.R. 12 del 2005 reca una specifica disciplina urbanistica per i luoghi di culto e che, medio tempore, lo ius superveniens contenuto nell’art. 71, comma 1, lett. c–bis, della L.R. 11.03.2005 n. 12, così come inserito dall’art. 12 della L.R. 21.02.2011 n. 3, ha comunque ricondotto nella categoria delle “attrezzature di interesse comune per servizi religiosi … gli immobili (comunque) destinati a sedi di associazioni, società o comunità di persone in qualsiasi forma costituite, le cui finalità statutarie o aggregative siano da ricondurre alla religione, all’esercizio del culto o alla professione religiosa quali sale di preghiera, scuole di religione o centri culturali”.
In tale contesto, pertanto, la trasformazione –inoppugnabilmente avvenuta nella specie– del preesistente “negozio” in luogo preminentemente adibito a culto non poteva che richiedere, anche a prescindere dalla concomitantemente contestata realizzazione al piano seminterrato di un tavolato interno, il rilascio del titolo edilizio abilitante al mutamento della destinazione d’uso dei relativi locali.
Né la disciplina contenuta nel testé citato art. 52, comma 3-bis, della L.R. 12 del 2005 come introdotto dall’art. 1 della L.R. 12 del 2006 può reputarsi incostituzionale secondo la prospettazione svolta in tal senso dagli appellati.
Secondo questi ultimi, infatti, tale disciplina violerebbe:
- l’art. 2 Cost. (riconoscimento costituzionale dei diritti inviolabili dell’uomo sia come singolo sia nelle formazioni sociali; tra i diritti inviolabili dell’uomo vi è il diritto alla preghiera religiosa ed al culto);
- l’art. 3 Cost. (violazione del principio d’eguaglianza e ragionevolezza in quanto sarebbe chiara la discriminazione che la Regione Lombardia pone a coloro che vogliano destinare i locali, anche senza opere, a luogo di culto -necessità di operare con permesso di costruire- rispetto a tutti gli altri cittadini che vogliano effettuare un mutamento di destinazione d'uso d’altro genere -il permesso di costruire non necessita- è sufficiente la denuncia d’inizio attività, o la semplice comunicazione);
- l’art. 8 Cost. (libertà di tutte le confessioni religiose davanti alla legge);
- l’art. 9 Cost. (promozione dello sviluppo della cultura);
- gli artt. 18 e 19 Cost. (a mezzo della contestata disciplina regionale si inciderebbe e si annullerebbe il diritto di associarsi liberamente ed il diritto di professare liberamente la propria fede religiosa al fine di farne propaganda -anche a mezzo di associazioni culturali- ed anche per esercitare in pubblico ed in privato il proprio culto);
- l’art. 20 Cost. (si violerebbe il divieto costituzionale di non porre speciali limitazioni legislative per ogni forma d’attività dell’associazione con fine di culto);
- e, da ultimo, l’art. 21 Cost. (si inciderebbe e si annullerebbe il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero costituito anche dall’esercizio del culto.
Il Collegio a tale ultimo riguardo evidenzia che lo stesso giudice di primo grado ha convenuto che l’art. 52, comma 3-bis della L.R. 12 del 2005 per la sua collocazione e la sua ratio è palesemente volto al controllo di mutamenti di destinazione d’uso suscettibili, per l’afflusso di persone o di utenti, di creare centri di aggregazione (chiese, moschee, centri sociali, ecc.) aventi come destinazione principale o esclusiva l’esercizio del culto religioso o altre attività con riflessi di rilevante impatto urbanistico, le quali richiedono la verifica delle dotazioni di attrezzature pubbliche rapportate a dette destinazioni: se non altro agli effetti dell’altrettanto necessario e conseguente rilascio del certificato di agibilità (cfr. art. 23 e ss. del T.U. approvato con D.P.R. 06.06.2001 n. 380) dell’immobile destinato al nuovo uso, nonché della parimenti necessaria e conseguente pratica di prevenzione incensi di cui al D.P.R. 12.01.1998 n. 37 di competenza dei Vigili del Fuoco.
Pertanto non sussiste, nel contesto del medesimo comma 3-bis, alcuna discriminazione di carattere politico-culturale e religioso, anche per il fatto che la disciplina sopradescritta è uniformemente applicata ad ogni luogo di culto, anche cattolico, nonché ad ogni centro sociale, di qualsivoglia tendenza socio-politica, al fine di salvaguardare l’incolumità di tutti coloro che frequentano tali luoghi di riunione (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 27.10.2011 n. 5778 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: E' illegittima la correzione di voci di costo, da parte di un'impresa chiamata a giustificare l'anomalia di un offerta, conferendo valori diversi rispetto a quelli indicati nella documentazione presentata al momento della partecipazione alla gara.
Nelle procedure di gara, il sub procedimento di giustificazione dell'offerta anomala non è volto a consentire aggiustamenti dell'offerta "in itinere" ma mira, al contrario, a verificare la serietà di un'offerta consapevolmente già formulata ed immutabile.
È illegittima, pertanto, per violazione della par condicio, la correzione di voci di costo, da parte di un'impresa chiamata a giustificare l'anomalia di un offerta, conferendo valori diversi rispetto a quelli indicati nella documentazione presentata al momento della gara. Un siffatto modo di concepire il procedimento di verifica dell'anomalia, che realizza la formulazione di una nuova offerta, si risolve nella radicale vanificazione delle regole in materia di gare pubbliche.
Da ciò discende l'inaccettabilità delle giustificazioni che, nel tentativo di far apparire seria un'offerta non adeguatamente meditata, risultino tardivamente dirette ad un'allocazione dei costi diversa rispetto a quella originariamente enunciata. La possibilità di rimodulare i costi in sede di giustificazioni, infatti, può indurre i partecipanti a presentare offerte a basso costo per poi successivamente effettuare le necessarie correzioni per evitare l'anomalia (TAR Puglia-Lecce, Sez. III, sentenza 27.10.2011 n. 1859 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: In materia di appalti pubblici il principio della unicità dell'offerta risponde non solo alla necessità di garantire l'effettiva "par condicio" dei concorrenti, ma soprattutto a quella di far emergere la migliore offerta nella gara.
In materia di appalti pubblici il principio della unicità dell'offerta -che impone ai partecipanti alle gare di presentare un'unica proposta tecnica ed economica quale contenuto della propria offerta-, risponde non solo alla necessità di garantire l'effettiva "par condicio" dei concorrenti, ma soprattutto a quella di far emergere la migliore offerta nella gara.
In particolare, la necessità di presentare, in sede di pubbliche gare, una sola offerta con un'unica soluzione tecnica ed un unico prezzo ed il fatto che l'Amministrazione sia tenuta a valutare solo proposte così formulate risponde, da un lato, al principio di buon andamento ed imparzialità dell'azione amministrativa e, dall'altro, all'esigenza di rispettare il principio di imparzialità, poiché la presentazione di più di un'offerta da parte di uno dei concorrenti, attribuendo allo stesso maggiori possibilità di conseguire l'aggiudicazione dell'appalto attraverso la presentazione di diverse proposte, finirebbe per ledere la par condicio fra i concorrenti.
La violazione del principio par condicio fra i concorrenti non può ritenersi sanata dalla circostanza che, in presenza di due diverse proposte contenute nella medesima offerta, la stessa sia stata ricondotta ad unicità dalla commissione disponendo l'esclusione di una delle soluzioni proposte, risolvendosi in tale ipotesi il rispetto della "par condicio" a circostanza meramente eventuale discendente dall'operato della commissione, laddove la "par condicio" va assicurata a monte attraverso l'esclusione della stessa possibilità di presentazione di duplici offerte o di plurime proposte nell'ambito della medesima offerta, la cui inammissibilità non può che condurre alla esclusione del concorrente che le ha formulate dalla gara (TAR Puglia-Lecce, Sez. III, sentenza 27.10.2011 n. 1857 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Sulla validità della consegna, alla stazione appaltante, di un assegno circolare quale garanzia presentata da un'ATI concorrente in una gara d'appalto.
In sede di gara d'appalto, la cauzione costituisce parte integrante dell'offerta e non, invece, un elemento di corredo della stessa, ed ha lo scopo di garantire la serietà della partecipazione alla gara, nonché l'adempimento dell'impegno a contrattare, in caso di aggiudicazione. Tale funzione è ugualmente assicurata, oltre che dalla quietanza rilasciata da una Tesoreria Provinciale dello Stato ovvero da una polizza assicurativa o da una fideiussione bancaria, anche dalla presentazione di un assegno circolare che, a differenza di quello bancario, costituisce un ordinario strumento di pagamento delle obbligazioni pecuniarie, equivalente al versamento in contanti delle somme dovute.
D'altra parte, secondo un orientamento della Suprema Corte di Cassazione, la consegna di assegni circolari, pur non equivalendo direttamente al pagamento a mezzo di somme di danaro, estingue l'obbligazione qualora il rifiuto del creditore appaia contrario alle regole di correttezza, che gli impongono l'obbligo di prestare la sua collaborazione all'adempimento dell'obbligazione, a norma dell'art. 1175 c.c.; la stessa natura dell'assegno circolare assicura, al legittimo portatore, la sicurezza di conseguire l'importo di danaro in esso indicata, così che, salvo dubbi sulla sua regolarità od autenticità, ovvero salvo che non vi sia un apprezzabile interesse a ricevere il danaro in contanti, l'assegno circolare estingue l'obbligazione (TAR Toscana, Sez. I, sentenza 27.10.2011 n. 1584 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

PUBBLICO IMPIEGOAi sensi dell’art. 33, comma 5, della legge n. 104 del 1992 (nel testo ora vigente, dopo le modifiche apportate prima dall'art. 19 della legge n. 53 dell’08.03.2000, e poi dall’art. 24, comma 1, lettera b), della legge n. 183 del 04.11.2010), il lavoratore dipendente pubblico o privato “che assiste persona con handicap in situazione di gravità, coniuge, parente o affine entro il secondo grado, ovvero entro il terzo grado qualora i genitori o il coniuge della persona con handicap in situazione di gravità abbiano compiuto i sessantacinque anni di età oppure siano anche essi affetti da patologie invalidanti o siano deceduti o mancanti”, che non sia ricoverata a tempo pieno, ha diritto di scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al domicilio della persona da assistere e non può essere trasferito senza il suo consenso ad altra sede.
Per effetto di tale disposizione il lavoratore dipendente pubblico o privato ha quindi, qualora ne sussistano i presupposti, il diritto di chiedere (ed ottenere) il trasferimento nella sede di lavoro più vicina al domicilio della persona da assistere (o di non essere allontanato da tale domicilio).
Per poter ottenere la concessione del beneficio, il richiedente deve dimostrare, con dati o riferimenti oggettivi, la necessità di dover assistere un familiare in condizione di handicap grave e che altri parenti e affini non sono in grado o comunque non sono disponibili ad occuparsi dell'assistenza del disabile.
Tale diritto, come previsto dalla stessa norma, non è tuttavia incondizionato ma deve essere necessariamente confrontato con le irrinunciabili esigenze organizzative dell'Amministrazione.
Si è quindi affermato che la pretesa del lavoratore, che effettivamente assiste con continuità un parente portatore di handicap, alla scelta della sede di lavoro può trovare accoglimento solo “ove possibile” e quindi quando la richiesta di trasferimento possa essere soddisfatta senza porsi in contrasto con specifiche esigenze funzionali dell'Amministrazione di appartenenza, dovendo assumere rilievo, con riferimento alle Forze Armate ed ai corpi di Polizia, possibili situazioni di deficit di organico di particolari sedi o reparti ovvero le necessità operative che impongono un obbligato utilizzo in alcune sedi di personale in possesso di particolari specializzazioni.
In conseguenza, l’amministrazione deve considerare i bisogni, personali e familiari, dei suoi dipendenti, ma non può subordinare ad essi la realizzazione dei propri compiti istituzionali, ai quali nel bilanciamento degli interessi, deve riconoscersi priorità.
Si deve peraltro precisare che le cause di servizio ostative al trasferimento non possono essere enunciate in modo generico o apodittico ma devono essere indicate in concreto perché solo concrete (e prevalenti) esigenze di servizio possono giustificare il diniego di accoglimento di una richiesta che trova fondamento in esigenze di natura personale e sociale alle quali il legislatore ha voluto dare particolare tutela.
Senza contare che, per principio più generale, la motivazione costituisce un elemento fondamentale del provvedimento amministrativo e consente il possibile sindacato giurisdizionale sulla correttezza delle valutazioni compiute.
Anche se la normativa in questione deve essere applicata con il giusto rigore, in modo da evitare possibili abusi, e con la dovuta comparazione dei contrapposti interessi pubblici e privati, occorre peraltro che l’amministrazione valuti in concreto la rilevanza delle esigenze assistenziali esposte dal lavoratore e le modalità con le quali tale assistenza è stata (e sarà) fornita.

Si deve ricordare che, ai sensi dell’art. 33, comma 5, della legge n. 104 del 1992 (nel testo ora vigente, dopo le modifiche apportate prima dall'art. 19 della legge n. 53 dell’08.03.2000, e poi dall’art. 24, comma 1, lettera b), della legge n. 183 del 04.11.2010), il lavoratore dipendente pubblico o privato “che assiste persona con handicap in situazione di gravità, coniuge, parente o affine entro il secondo grado, ovvero entro il terzo grado qualora i genitori o il coniuge della persona con handicap in situazione di gravità abbiano compiuto i sessantacinque anni di età oppure siano anche essi affetti da patologie invalidanti o siano deceduti o mancanti”, che non sia ricoverata a tempo pieno, ha diritto di scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al domicilio della persona da assistere e non può essere trasferito senza il suo consenso ad altra sede.
Per effetto di tale disposizione il lavoratore dipendente pubblico o privato ha quindi, qualora ne sussistano i presupposti, il diritto di chiedere (ed ottenere) il trasferimento nella sede di lavoro più vicina al domicilio della persona da assistere (o di non essere allontanato da tale domicilio).
Per poter ottenere la concessione del beneficio, il richiedente deve dimostrare, con dati o riferimenti oggettivi, la necessità di dover assistere un familiare in condizione di handicap grave e che altri parenti e affini non sono in grado o comunque non sono disponibili ad occuparsi dell'assistenza del disabile.
Tale diritto, come previsto dalla stessa norma, non è tuttavia incondizionato ma deve essere necessariamente confrontato con le irrinunciabili esigenze organizzative dell'Amministrazione.
Si è quindi affermato che la pretesa del lavoratore, che effettivamente assiste con continuità un parente portatore di handicap, alla scelta della sede di lavoro può trovare accoglimento solo “ove possibile” e quindi quando la richiesta di trasferimento possa essere soddisfatta senza porsi in contrasto con specifiche esigenze funzionali dell'Amministrazione di appartenenza, dovendo assumere rilievo, con riferimento alle Forze Armate ed ai corpi di Polizia, possibili situazioni di deficit di organico di particolari sedi o reparti ovvero le necessità operative che impongono un obbligato utilizzo in alcune sedi di personale in possesso di particolari specializzazioni (Consiglio di Stato, sez. IV, n. 923 dell’11.02.2011).
In conseguenza, l’amministrazione deve considerare i bisogni, personali e familiari, dei suoi dipendenti, ma non può subordinare ad essi la realizzazione dei propri compiti istituzionali, ai quali nel bilanciamento degli interessi, deve riconoscersi priorità (Consiglio di Stato, sez. IV, n. 923 dell’11.02.2011 cit.).
Si deve peraltro precisare che le cause di servizio ostative al trasferimento non possono essere enunciate in modo generico o apodittico ma devono essere indicate in concreto perché solo concrete (e prevalenti) esigenze di servizio possono giustificare il diniego di accoglimento di una richiesta che trova fondamento in esigenze di natura personale e sociale alle quali il legislatore ha voluto dare particolare tutela.
Senza contare che, per principio più generale, la motivazione costituisce un elemento fondamentale del provvedimento amministrativo e consente il possibile sindacato giurisdizionale sulla correttezza delle valutazioni compiute.
Ciò premesso, in relazione a tale profilo, il diniego dell’amministrazione di concedere al sig. ... il trasferimento da lui richiesto (sia in applicazione della legge n. 104 del 1992, che regola in via ordinaria la concessione dei benefici per i lavoratori che prestano assistenza ai familiari portatori di handicap, sia in applicazione dell’art. 55 del D.P.R. n. 335, che consente all’Amministrazione di disporre il trasferimento anche in soprannumero per gravissime ed eccezionali situazioni personali ed eventualmente anche in deroga alla graduatoria dei trasferimenti), risulta affetto, come sostenuto dall’appellante, da evidente illegittimità per difetto di motivazione (e di istruttoria).
Nel diniego impugnato in primo grado non sono state infatti indicate le concrete (e prevalenti) ragioni di servizio che hanno impedito l’accoglimento della richiesta di trasferimento dell’interessato mentre sono state enunciate, come ostative, solo generiche ragioni di interesse pubblico, connesse alla peculiarità dei doveri cui è tenuto un appartenente alla Polizia di Stato, e all’esistenza di numerose analoghe domande avanzate da altri aspiranti con pari qualifica alla stessa sede.
Ma tali (generiche) ragioni non possono ritenersi sufficienti. Tanto più perché non sono state smentite dall’amministrazione (neanche in giudizio) le affermazioni, fatte dall’appellante, secondo cui: i posti nella città di Isernia per i quali era stato chiesto il trasferimento erano liberi nell’organico; vi erano stati medio tempore altri trasferimenti presso la Questura di Isernia; risultava soddisfatta la condizione apposta dal Questore di Reggio Emilia all’accoglimento della richiesta di trasferimento, con l’assegnazione alla Questura di Reggio di altro dipendente nel posto da lui ricoperto.
Il Ministero dell’Interno ha peraltro negato il trasferimento del signor ... (con riferimento alla richiesta applicazione della legge n. 104 del 1992) anche per la carenza del requisito della continuità dell’assistenza al familiare portatore di handicap, a causa della notevole distanza intercorrente fra la residenza della persona disabile e il luogo di lavoro.
Ma la conclusione alla quale è giunta sul punto l’amministrazione (e che il TAR ha ritenuto esente da censure) non può essere condivisa.
Infatti nella fattispecie non poteva ricavarsi automaticamente l’insussistenza di una continuità assistenziale (richiesta dalla norma all’epoca vigente) solo a causa della distanza fra il luogo di lavoro e la residenza della persona disabile.
Anche se la normativa in questione deve essere applicata con il giusto rigore, in modo da evitare possibili abusi, e con la dovuta comparazione dei contrapposti interessi pubblici e privati (Consiglio di Stato, sez. IV, n. 8527 del 03.12.2010), occorre peraltro che l’amministrazione valuti in concreto la rilevanza delle esigenze assistenziali esposte dal lavoratore e le modalità con le quali tale assistenza è stata (e sarà) fornita.
Deve allora osservarsi che, nella fattispecie, come evidenziato con il primo motivo di appello, il sig. ... aveva dichiarato di prestare fin dal 2000 assistenza alla madre handicappata, che il padre era deceduto, che gli unici due fratelli più piccoli lavoravano e risiedevano in Lombardia, che aveva continuato a prestare assistenza alla madre anche quando, nel 2007, era stato assunto ed assegnato alla Questura di Reggio Emilia da dove si recava, anche organizzando i turni di servizio “in quinta”, per metà del suo tempo presso la madre.
Sulla base di tali elementi l’amministrazione avrebbe potuto eventualmente negare il trasferimento richiesto (oltre che, come si è visto, per eventuali concrete ragioni di servizio anche) qualora avesse accertato l’insussistenza di alcuni presupposti o la non veridicità delle ragioni indicate, ma non poteva limitarsi a negare il trasferimento per la carenza del requisito dell’assistenza solo a causa della distanza dalla sede di lavoro tenuto conto delle modalità con le quali l’assistenza veniva comunque (asseritamente) prestata dall’interessato con carattere di continuità.
Del resto proprio la distanza dalla persona handicappata che occorreva assistere aveva determinato la richiesta di trasferimento in sede a lei più vicina (Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 26.10.2011 n. 5725 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Sequestro immobile abusivo.
L’esigenza di impedire la prosecuzione di lavori di edificazione di un immobile abusivo ancora in atto è condizione di per sé sufficiente per disporre e mantenere il sequestro preventivo del manufatto e dell’area ove lo stesso insiste, indipendentemente dalla natura ed entità degli interventi ancora da eseguire per completare l’immobile in ogni sua parte e ritenere così perfezionato il reato (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 24.10.2011 n. 38216 - tratto da www.lexambiente.it).

URBANISTICAIllegittima la variante al Prg se il sindaco è in commissione.
La variante al piano regolatore è illegittima quando il sindaco presiede la commissione edilizia. Così facendo il primo cittadino finisce per inficiare l'atto poi adottato creando un'indebita commistione fra la politica e un organo di natura squisitamente tecnica.
Lo chiarisce la sentenza 24.10.2011 n. 5695 della IV Sez. del Consiglio di stato.
I giudici hanno bocciato il ricorso della giunta municipale confermando la sentenza del Tar. Lo statuto del comune non può derogare a un principio fondamentale nell'ordinamento degli enti locali come quello della distinzione fra atti d'indirizzo, affidati alla politica, e atti di gestione, di competenza dell'amministrazione. Alcuni cittadini ottengono lo stop alle ruspe, laddove i parcheggi e il percorso fitness relativi all'area verde da creare in origine risultano già realizzati.
La giunta, infatti, è troppo frettolosa nel dare il via alla variante urbanistica che doveva consentire la lottizzazione: la presenza del sindaco nell'organo consultivo dell'ente configura un conflitto d'interessi vero e proprio. L'entrata in vigore del nuovo Testo unico in materia urbanistica, ricordano i giudici di palazzo Spada, ha reso facoltativa l'istituzione della commissione edilizia da parte dell'amministrazione locale. Nessun dubbio resta sulla vera natura dell'organo: si tratta di un pool di tecnici che ha il compito di esprimere pareri in materia amministrativa, edilizia, sanitaria, ambientale, senza l'adozione di alcuna scelta di indole politica.
Inutile, per l'amministrazione, eccepire che nella fattispecie l'organo consultivo dell'amministrazione non si sarebbe espressa nell'ambito di un procedimento autorizzativo edilizio –nel quale, sempre secondo la difesa comunale, sarebbe pacificamente esclusa qualsiasi competenza politica– ma nell'ambito di un procedimento di pianificazione urbanistica, caratterizzato per contro da ampi profili di discrezionalità politica e nel quale non sarebbe pertanto ravvisabile alcun conflitto di interessi. Confermate le valutazioni secondo cui il dlgs 267/2000 ha individuato in modo netto gli organi competenti ad emanare gli atti di indirizzo (consiglio comunale, giunta comunale e sindaco) e quelli competenti all'emanazione degli atti di gestione (dirigenti comunali).
Poi, con più specifico riferimento alla Commissione edilizia comunale, la giurisprudenza ha chiarito che, anche a seguito dell'entrata in vigore del nuovo T.u. in materia urbanistica, non può più far parte della stessa il sindaco in quanto organo politico (articolo ItaliaOggi del 03.11.2011 - link a www.corteconti.it).
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A ragione il giudice di primo grado ha affermato che “è fin troppo noto (che) nel nostro ordinamento vige la distinzione fra atti di indirizzo politico-amministrativo (spettanti agli organi politici) e atti di gestione (spettanti agli organi burocratici)” e che, “in applicazione di tale distinzione, a livello locale, come riconosciuto dalla stessa difesa del Comune, il D.L.vo 267 del 2000 ha individuato in modo netto gli organi competenti ad emanare gli atti di indirizzo (Consiglio Comunale, Giunta Comunale e Sindaco) e quelli competenti all’emanazione degli atti di gestione (dirigenti comunali). Ciò si evince in modo inequivoco dal combinato disposto degli artt. 50 e 107 del D.L.vo 267 del 2000. Poi, con più specifico riferimento alla Commissione edilizia comunale, la giurisprudenza ha chiarito che, anche a seguito dell’entrata in vigore del nuovo Testo Unico in materia urbanistica (che ha reso facoltativa la Commissione Edilizia Comunale) non può più far parte della stessa il Sindaco in quanto organo politico. Parte ricorrente osserva però che la Corte di Cassazione con sentenza n. 12658 del 2005 (recte, Cass., SS.UU. civili, 12.06.2005 n. 12868) avrebbe precisato che, alla luce della nuova formulazione dell’art. 117 della Costituzione, gli statuti comunali potrebbero derogare alle disposizioni di legge che non contengono principi generali (e quindi nella specie il procedimento sarebbe legittimo in quanto lo Statuto comunale di Zanè ha previsto che il Sindaco faccia parte della Commissione). Ora a prescindere dai dubbi che si nutrono in ordine a tale affermazione giurisprudenziale, deve comunque ritenersi assorbente nella specie il fatto che la distinzione tra atti di indirizzo e atti di gestione (con relativa distinzione di competenza) costituisce proprio un principio generale dell’ordinamento giuridico e di conseguenza non potrebbe mai essere disatteso dagli Statuti comunali (quindi non poteva essere disatteso neppure dallo Statuto del Comune di Zanè). In forza delle svolte considerazioni il ricorso va pertanto accolto e, per l’effetto, va disposto l’annullamento in parte qua dei provvedimenti impugnati”.
L’appellante Comune ha contestato tali assunti della sentenza impugnata, affermando, a sua volta, che il principio di distinzione tra competenze di natura politica e di natura gestionale non opererebbe nella specie in quanto la Commissione edilizia comunale, presieduta dal Sindaco, non si sarebbe espressa nell'ambito di un procedimento autorizzativo edilizio (nel quale, sempre a detta della difesa comunale, sarebbe pacificamente esclusa qualsiasi competenza politica), ma nell’ambito di un procedimento di pianificazione urbanistica, caratterizzato -per contro- da ampi profili di discrezionalità politica e nel quale non sarebbe pertanto ravvisabile quell’ “indebita commistione dell’organo politico in una attività provvedimentale attratta alla competenza dirigenziale” (così a pag. 6 dell’atto introduttivo del giudizio di primo grado) affermata dagli attuali appellati.
Ma, come -per l’appunto– correttamente evidenziato da questi ultimi, il punto cruciale della causa non riguarda il tipo di procedura (“politica”, o meno) all’interno della quale la Commissione edilizia è chiamata ad esprimersi, ma la natura “politica” -o meno- intrinsecamente assunta sia dalla Commissione medesima quale organo dell’Amministrazione Comunale, sia dai pareri da essa espressi.
In tal senso va quindi evidenziato che l’art. 4 del T.U. dell’edilizia, approvato con D.P.R. 06.06.2001 n. 380, lascia ai singoli Comuni la discrezionalità in ordine all’istituzione, o meno, della Commissione medesima, qualificandola come “organo consultivo” dell’Amministrazione Comunale.
In questo modo il legislatore ha dunque integralmente devoluto alla fonte regolamentare comunale la disciplina dell’organo medesimo, come del resto era anche avvenuto per effetto dell’art. 1 della L. 17.08.1942 n. 1150; e, del resto, con parere 492/1999 dd. 21.05.1999 la Commissione Speciale di questo stesso Consiglio ha affermato che “in assenza di precetti in contrario nel testo unico sull’ordinamento degli Enti Locali di cui al D.L.vo 18.08.2000, n. 267, spetta al regolamento edilizio del Comune di disciplinare la formazione, le attribuzioni e il funzionamento della Commissione in questione”.
Ciò posto, l’art. 13 del Regolamento edilizio del Comune di Zanè, vigente all’epoca dei fatti di causa (cfr. doc. 12 del fascicolo di primo grado) configura all’evidenza il parere Commissione come un’espressione di tipo tecnico, legata “all’osservanza delle norme urbanistiche, edilizie, tecniche ed igieniche vigenti e sull'adeguatezza dei singoli progetti, sotto i profili estetico e ambientale”; e, del resto, tale connotazione “tecnica” e non già “politica” dell’organo medesimi risulta puntualmente confermata anche dalla disciplina ad oggi vigente, posto che l’attuale art. 14 del Regolamento medesimo dispone nel senso che “la Commissione Edilizia Comunale è l’organo consultivo del Comune”, i cui membri sono eletti dal Consiglio Comunale tra candidati “di competenza tecnica, estetica e amministrativa in materia di edilizia urbanistica” e laddove uno di essi “deve essere laureato in architettura od ingegneria” (cfr. ivi, in www.comune.zane.vi.it).
Né va sottaciuto che il parere reso dalla Commissione è obbligatorio ma non vincolante per il Responsabile dell’Ufficio Tecnico Comunale, il quale può quindi discostarsene soltanto con congrua e puntuale motivazione (cfr. art. 15 del Regolamento attuale).
Deve dunque da tutto ciò concludersi nel senso che la Commissione edilizia comunale di Zanè ha essenzialmente il compito di esprimere pareri tecnico-amministrativi, tecnico-edilizi, tecnico-sanitari, e tecnico-ambientali, nel mentre non assume alcuna scelta di indole politica.
In ragione di ciò, quindi, l’organo consultivo dell’Amministrazione Comunale in materia edilizio-urbanistica doveva essere composto soltanto da tecnici, senza la presenza di esponenti politici, con la conseguenza che presenza in esso del Sindaco è stata in effetti tale da creare quella “commistione” -a ragione censurata dagli attuali appellati- tra istanze politiche e competenze tecniche all’interno di un organo viceversa esclusivamente deputato allo svolgimento di una funzione tecnica (Consiglio di Stato, Sez. IV sentenza 24.10.2011 n. 5695 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - URBANISTICALa giurisprudenza è pacifica nell’ammettere il risarcimento del danno da ritardo (a condizione ovviamente che tale danno sussista e venga provato) e l’intervenuto art. 2-bis, comma 1, della legge n. 241/1990, introdotto dalla legge n. 69/2009, conferma e rafforza la tutela risarcitoria del privato nei confronti dei ritardi della p.a., stabilendo che le pubbliche amministrazioni e i soggetti equiparati siano tenuti al risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell’inosservanza dolosa e colposa del termine di conclusione del procedimento.
La norma presuppone che anche il tempo è un bene della vita per il cittadino e la giurisprudenza ha riconosciuto che il ritardo nella conclusione di un qualunque procedimento è sempre un costo, dal momento che il fattore tempo costituisce una essenziale variabile nella predisposizione e nell’attuazione di piani finanziari relativi a qualsiasi intervento, condizionandone la relativa convenienza economica. In questa prospettiva ogni incertezza sui tempi di realizzazione di un investimento si traduce nell’aumento del c.d. “rischio amministrativo” e, quindi, in maggiori costi, attesa l’immanente dimensione diacronica di ogni operazione di investimento e di finanziamento.

Come è stato recentemente osservato dal Consiglio di Stato (cfr. sez. V, 28.02.2011, n. 1271), la giurisprudenza è pacifica nell’ammettere il risarcimento del danno da ritardo (a condizione ovviamente che tale danno sussista e venga provato) e l’intervenuto art. 2-bis, comma 1, della legge n. 241/1990, introdotto dalla legge n. 69/2009, conferma e rafforza la tutela risarcitoria del privato nei confronti dei ritardi della p.a., stabilendo che le pubbliche amministrazioni e i soggetti equiparati siano tenuti al risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell’inosservanza dolosa e colposa del termine di conclusione del procedimento.
La norma presuppone che anche il tempo è un bene della vita per il cittadino e la giurisprudenza ha riconosciuto che il ritardo nella conclusione di un qualunque procedimento è sempre un costo, dal momento che il fattore tempo costituisce una essenziale variabile nella predisposizione e nell’attuazione di piani finanziari relativi a qualsiasi intervento, condizionandone la relativa convenienza economica. In questa prospettiva ogni incertezza sui tempi di realizzazione di un investimento si traduce nell’aumento del c.d. “rischio amministrativo” e, quindi, in maggiori costi, attesa l’immanente dimensione diacronica di ogni operazione di investimento e di finanziamento (cfr. questo C.G.A., 04.11.2010, n. 1368).
Nel caso di specie va escluso che vi sia stato il concorso del fatto colposo del creditore ex art. 1227 c.c. in relazione alla mancata richiesta dell’intervento sostitutivo regionale, previsto dall’art. 27 della legge regionale n. 71 del 1978.
A prescindere dal rilievo, che pure potrebbe farsi, in ordine all’irrilevanza del summenzionato intervento sostitutivo ai fini della dimostrazione della colpa del creditore, non prescrivendo la norma un obbligo comportamentale a carico del creditore stesso, è, in ogni caso, risolutiva di qualsiasi dubbio la constatazione del giudice di prime cure, che “il danno subito dalla ricorrente non avrebbe potuto essere eliminato attraverso la richiesta di intervento sostitutivo, tendente a ottenere una rapida conclusione del procedimento avviato a domanda, atteso che il pregiudizio denunciato si è manifestato non in unica soluzione, ma è frutto della sommatoria di singoli ritardi, inerzie e rallentamenti, che hanno costellato nel corso del quadriennio ogni singola fase endoprocedimentale e hanno avuto l’effetto complessivo di allungare oltre misura i tempi di adozione del provvedimento”.
Per ragioni analoghe va escluso che il prolungamento dei tempi sia dipeso da un comportamento acquiescente della società alle richieste istruttorie dell’Amministrazione, senza contare che v’è stato da parte della società medesima un ricorso al TAR ai sensi dell’art. 21-bis L. n. 1034/1971 avverso una delle denunciate inerzie.
Per altro verso, va evidenziato che il TAR ha minuziosamente elencate le inerzie dell’Amministrazione ritenute ingiustificate in relazione alle quali non è stata sollevata in questa sede alcuna deduzione difensiva.
Infine, va respinta la doglianza secondo cui la domanda risarcitoria avrebbe dovuto essere integralmente rigettata in relazione alla circostanza che non era stata data dimostrazione dell’avvenuta restituzione della prima rata del finanziamento a fondo perduto né della definitiva revoca del beneficio a suo tempo erogato.
Avendo il giudice di prime cure circoscritto il danno risarcibile a una somma corrispondente all’importo della prima rata erogata alla società appellata, è solo su questo aspetto della questione che occorre soffermarsi.
Come è stato osservato dalla giurisprudenza (cfr., di recente, Cass. Civ., sez. III, 27.04.2010, n. 10072), in ambito risarcitorio, il danno futuro rispetto al momento della decisione, sia esso emergente (quali le spese non ancora affrontate) o da lucro cessante, in realtà non può mai essere declinato in termini di assoluta certezza, che esclusivamente si attaglia al pregiudizio già completamente verificatosi al momento del giudizio. Come è stato efficacemente osservato in dottrina, “la certezza che deve sussistere per rendere risarcibile il danno futuro non è la stessa di quella che caratterizza il danno presente”.
E la giurisprudenza ha da tempo chiarito che se non basta la mera eventualità di un pregiudizio futuro per giustificare la condanna al risarcimento, per dirlo immediatamente risarcibile è invece sufficiente la fondata attendibilità che esso si verifichi secondo la normalità e la regolarità dello sviluppo causale (ex multis, Cass., nn. 1637/2000, 1336/1999, 495/1987, 2302/1965).
Dovendo, quindi affermarsi che la rilevante probabilità di conseguenze pregiudizievoli è configurabile come danno futuro immediatamente risarcibile quante volte l’effettiva diminuzione patrimoniale appaia come il naturale sviluppo di fatti concretamente accertati e inequivocamente sintomatici di quella probabilità, secondo un criterio di normalità fondato sulle circostanze del caso concreto, non sembra dubbio che il pregiudizio lamentato dalla società appellata abbia siffatte caratteristiche (CGARS, sentenza 24.10.2011 n. 684 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - URBANISTICA: Danno per mancata conclusione di un procedimento amministrativo.
Il Consiglio di Giustizia amministrativa della Regione Sicilia ricorda che risulta ammissibile il risarcimento del danno causato dalla mancata o ritardata conclusione di un procedimento amministrativo, in quanto ogni incertezza sui tempi di realizzazione di un investimento si traduce nell’aumento del c.d. "rischio amministrativo" e, quindi, in maggiori costi.

Il C.G.A.R.S., con la sentenza 24.10.2011 n. 684, confermando la precedente sentenza del TAR, verificato che i tempi di approvazione di una lottizzazione per insediamenti produttivi e di rilascio delle relative autorizzazioni edilizie abbiano subito alcuni ingiustificati allungamenti (stimabili in un lasso di tempo superiore all’anno), ha dichiarato legittimo il risarcimento del danno accertato; richiamando la recentemente pronuncia del Consiglio di Stato (sezione V, sentenza n. 1271 del 28.02.2011,), che ricorda come la giurisprudenza sia pacifica nell’ammettere il risarcimento del danno da ritardo (a condizione ovviamente che tale danno sussista e venga provato).
Nel merito viene fatto riferimento a quanto previsto dall’articolo 2-bis, comma 1, della legge 241/1990, introdotto dalla legge 69/2009; che, in merito alla tutela risarcitoria del privato nei confronti dei ritardi della P.A., stabilisce che le pubbliche amministrazioni e i soggetti equiparati sono tenuti al risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell’inosservanza dolosa e colposa del termine di conclusione di un procedimento.
La norma richiamata presuppone, ad avviso della CGA, che anche il tempo costituisca un bene della vita per il cittadino, per cui la giurisprudenza ha riconosciuto che ogni incertezza sui tempi di realizzazione di un investimento si traduca nell’aumento del c.d. "rischio amministrativo" e, quindi, il ritardo nella conclusione di un qualunque procedimento rappresenti sempre un costo, dal momento che il fattore tempo costituisce una variabile essenziale nella predisposizione e nell’attuazione dei piani finanziari (di investimento e di finanziamento) relativi a qualsiasi intervento, condizionandone la relativa convenienza economica (commento tratto da www.legislazionetecnica.it - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Gare d'appalto, sì alla partecipazione con requisiti ''indiziari''.
Nelle gare d'appalto l'Amministrazione deve disporre la regolarizzazione della documentazione comprovante il possesso dei requisiti dei partecipanti quando gli atti, tempestivamente depositati, contengano elementi che possano costituire un indizio e rendano ragionevole ritenere sussistenti i requisiti di partecipazione.

La "ratio" dell'art. 46 del d.lgs. n. 163/2006 è ravvisabile nell'esigenza di assicurare la massima partecipazione alle gare di appalto (al fine di evitare che l'esito delle stesse possa essere alterato da carenze di ordine meramente formale nella documentazione comprovante il possesso dei requisiti dei partecipanti), in un'ottica intesa al contemperamento di principi talvolta in antitesi, come quello del "favor partecipationis" e quello della "par condicio" tra i concorrenti.
Detta disposizione va, quindi, intesa nel senso che l'Amministrazione deve disporre la regolarizzazione quando gli atti, tempestivamente depositati, contengano elementi che possano costituire un indizio e rendano ragionevole ritenere sussistenti i requisiti di partecipazione: in sostanza, quando il documento è già stato presentato in sede di gara, anche se parzialmente, è consentita la sua regolarizzazione se la violazione è squisitamente formale ed il rimedio, in concreto, non altera la "par condicio" tra i concorrenti, secondo i principi di proporzionalità e del dovere dell'Amministrazione di ascoltare i privati prima di assumere decisioni.
Differente da detta attività amministrativa volta alla regolarizzazione degli atti è quella giurisdizionale volta, tramite istruttoria o acquisizione di atti, a verificare la fondatezza o meno delle censure mosse all'operato della Amministrazione, esperibile quando il giudicante ritenga di dover attivare i suoi poteri d'ufficio al superiore fine di decidere, solo dopo però che le parti abbiano delineato il tema del contendere.
Il Giudice può, dunque, approfondire aspetti che non appaiano convincenti o che siano controversi, ma la cui emersione sia avvenuta già nel procedimento, mentre egli non deve finire per integrare la mancante istruttoria.
Nel caso che occupa l'istruttoria svolta dal Giudice di primo grado e la accettata produzione documentale non appare, in base all'esame degli atti, volta ad operare una non consentita regolarizzazione degli atti che avrebbero dovuto essere prodotti in sede di gara, ma solo ad attivare i suoi poteri istruttori in ordine a aspetti processuali controversi, già emersi nel corso del procedimento, ed in riferimento a requisiti già auto dichiarati in sede di presentazione delle offerte (commento tratto da www.ipsoa.it - Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 21.10.2011 n. 5639 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIl posizionamento dei condizionatori climatici all’esterno dell’edificio, pur potendo comportare, in ipotesi, alterazione della sagoma e dell’aspetto esteriore (art. 10, comma 1, lett. c), t.u. edilizia e art. 146 d.lgs. n. 42/2004) può dirsi opera del tutto minore e sostanzialmente libera non idonea a ledere in modo apprezzabile né l’interesse paesaggistico né tantomeno quello urbanistico, in disparte ogni questione sulla perdurante efficacia o meno del vincolo “provvisorio” apposto ai sensi dell’art. 2 l. n. 1497/1939.
... per l'annullamento, previa sospensione dell'efficacia:
a) dell’ordinanza 2011/00643 - 2011/130/0116 del 22.06.2011 (notificata l’01.07.2011), con la quale il Dirigente della Ripartizione Urbanistica ed Edilizia Privata del Comune di Bari ha ingiunto al ricorrente di provvedere, entro 30 giorni dalla notifica, alla demolizione delle opere abusive realizzate ed al ripristino del precedente stato dei luoghi nonché di provvedere, entro il medesimo termine, al pagamento della somma di Euro 516,00 quale sanzione amministrativa, il tutto ai sensi e per gli effetti dell’art. 37 del DPR n. 380/2011;
...
Il posizionamento dei condizionatori climatici all’esterno dell’edificio, pur potendo comportare, in ipotesi, alterazione della sagoma e dell’aspetto esteriore (art. 10, comma 1, lett. c), t.u. edilizia e art. 146 d.lgs. n. 42/2004) può dirsi opera del tutto minore e sostanzialmente libera (Consiglio di Stato, parere 16.03.2005 n. 2602/2003) non idonea a ledere in modo apprezzabile né l’interesse paesaggistico né tantomeno quello urbanistico, in disparte ogni questione sulla perdurante efficacia o meno del vincolo “provvisorio” apposto ai sensi dell’art. 2 l. n. 1497/1939.
Nel bilanciamento dei contrapposti interessi appare pertanto prevalente quello privato, in considerazione dello scarso impatto dell’intervento sul corretto assetto del territorio, con conseguente sussistenza dei presupposti per la concessione dell’invocata tutela cautelare (TAR Puglia-Bari, Sez. III, ordinanza 20.10.2011 n. 847 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

COMPETENZE GESTIONALI - EDILIZIA PRIVATAVariazione di destinazione d'uso dell'immobile - Istanza - Diniego - Adozione - Sindaco - Vizio di incompetenza - Competenza del Dirigente - Ipotesi di ordinaria attività gestionale. (D.Lgs. 18.08.2000, n. 267, art. 107).
L'istanza di variazione di destinazione d'uso dell'immobile, non rientrando nell'ambito della definizione di obiettivi e programmi o della verifica della rispondenza dei risultati dell'attività amministrativa, integra una ipotesi di ordinaria attività gestionale, come tale affidata, in virtù del principio della separazione fra livello di indirizzo politico e gestionale, alla generale competenza del Dirigente in quanto apice della struttura burocratica.
Qualora, dunque, il provvedimento di diniego sull'istanza suddetta sia stato adottato dal Sindaco ha luogo una ipotesi di vizio di incompetenza per violazione dell'art. 107 del D.Lgs. n. 267 del 2000, nella parte in cui contempla una previsione generale che attribuisce ai dirigenti tutti i compiti non ricompresi espressamente dalla legge o dallo statuto tra le funzioni di indirizzo e controllo politico-amministrativo, ivi compresa l'adozione degli atti e provvedimenti amministrativi che impegnano l'Amministrazione verso l'esterno (TAR Valle d'Aosta, sentenza 20.10.2011 n. 68 - tratto da www.diritto24.ilsole24ore.com - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Sulla legittimità dell'esclusione di un partecipante da una gara per non avere rispettato la clausola del disciplinare secondo cui l'offerta tecnica, a pena d'esclusione, doveva essere firmata o siglata in ogni sua pagina.
E' legittima l'esclusione di un partecipante dalla gara per l'affidamento del servizio di igiene ambientale per la raccolta e trasporto dei rifiuti per non avere rispettato la disposizione del disciplinare secondo cui l'offerta tecnica, a pena d'esclusione, doveva essere firmata o siglata in ogni sua pagina dal legale rappresentante dell'impresa.
La clausola di esclusione corrisponde, infatti, ad un interesse sostanziale apprezzabile dell'amministrazione, che è quello alla autenticità ed alla certezza del contenuto integrale dell'offerta, assolvendo la sigla di ogni pagina la funzione di assicurare provenienza, serietà, affidabilità e insostituibilità dell'offerta, in tutti i suoi elementi, vincolando l'autore al contenuto di tutte le parti, nella specie separate in singole schede.
Inoltre, i pur ammissibili temperamenti al formalismo delle procedure di gara, nei casi in cui questo sia in grado di compromettere l'interesse pubblico -ipotesi da escludere nel caso di specie, in cui tutte le imprese partecipanti sono state escluse in applicazione della medesima clausola- non possono operare fino a spingersi a configurare l'esistenza, in capo all'amministrazione, di un potere discrezionale volto a porre rimedio ad eventuali insufficienze o inadempienze della impresa partecipante, soprattutto qualora queste appaiano imputabili esclusivamente alla impresa, dovendosi rispettare le regole di gara al fine di assicurare la par condicio tra i concorrenti (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 19.10.2011 n. 5619 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Sussiste la responsabilità precontrattuale di un Comune che abbia proceduto alla revoca di una procedura di gara a distanza di lungo tempo dalla pubblicazione del bando, e successivamente alla fase di valutazione delle offerte tecniche.
Sussiste la responsabilità precontrattuale in capo ad un Comune appaltante, che abbia proceduto alla revoca di una procedura di gara a distanza di lungo tempo dalla pubblicazione del bando, e successivamente alla fase di valutazione delle offerte tecniche. Costituisce ius receptum il principio secondo cui, la legittimità dell'atto di revoca dell'aggiudicazione di una gara di appalto, non elimina il profilo relativo alla valutazione del comportamento della P.A., con riguardo al rispetto dei canoni di buona fede e correttezza in senso oggettivo.
La previsione dell'obbligo di indennizzare il privato, per eventuali pregiudizi subiti in conseguenza della revoca, di cui all'art. 21-quinquies della legge n. 241/1990, non fa venir meno la possibile responsabilità della stazione appaltante per violazione dell'obbligo di buona fede, nelle trattative che conducono alla conclusione del contratto di appalto. Non costituisce ostacolo al riconoscimento della responsabilità precontrattuale dell'ente, la mancata impugnazione del provvedimento di revoca, purché sia provato che l'elusione delle aspettative del concorrente, seppure non intenzionale, è colposa e contraria ai canoni di correttezza e buona fede nella formazione del contratto.
La responsabilità precontrattuale per la revoca della gara è infatti sempre configurabile, qualora il fine pubblico venga attuato attraverso un comportamento obbiettivamente lesivo dei doveri di lealtà, sicché, anche dalla revoca legittima degli atti di gara, può scaturire l'obbligo di risarcire il danno, nel caso di affidamento suscitato nell'impresa. Nelle ordinarie ipotesi di danni conseguenti alla violazione di interessi legittimi, ai fini del risarcimento, non vi è una violazione diretta della disciplina sulle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici; l'illegittimità è piuttosto riferibile al comportamento complessivo della stazione appaltante, la quale assume, con ingiustificato ritardo, una legittima determinazione di revoca della gara, violando il legittimo affidamento dei concorrenti.
Nel caso di specie, la delibera comunale relativa alla revoca è giunta a distanza di nove mesi dalla pubblicazione del bando di gara; il decorso di un tempo così lungo costituisce, di per sé, sintomo di negligenza e cattiva amministrazione, giacché le gare per l'affidamento dei servizi pubblici debbono svolgersi nel rispetto dei principi di concentrazione e speditezza delle procedure di evidenza pubblica, anche al fine di scongiurare le sopravvenienze legate al passare del tempo, le quali fanno sì che le condizioni tecnico-economiche fissate nei bandi di gara non rispondano più alle effettive esigenze della P.A. aggiudicatrice (TAR Puglia-Bari, Sez. I, sentenza 19.10.2011 n. 1552 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Rifiuti. Abbandono e deposito.
L'abbandono di rifiuti "alla rinfusa" e non per categorie omogenee, come invece previsto dall'art. 183, comma primo, lett. m), D.Lgs. 03.04.2006, n. 152 (e, in precedenza, dall'abrogato art. 6, comma primo, lett. m), D.Lgs. 05.02.1997, n. 22), esclude la configurabilità del cosiddetto deposito temporaneo regolare (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 13.10.2011 n. 36979 - tratto da www.lexambiente.it).

APPALTI: La mancata allegazione del documento d'identità è causa di esclusione?
I giudici del Tar Lazio hanno ritenuta legittima l'esclusione da una gara di appalto di un concorrente che abbia omesso di allegare il documento di identità alla busta contenente l'offerta economica.

Il caso.
I giudici del Tar Lazio sono chiamati a pronunciarsi sulla legittimità dell'esclusione da una gara di un concorrente che abbia omesso di allegare il documento di identità alla busta contenente l'offerta economica .
La posizione del Tar Lazio.
I giudici del Tar Lazio affermano che è legittimo il provvedimento di esclusione da una gara, adottato da una stazione appaltante nei confronti di un concorrente che, in violazione di una clausola contenuta nel bando di gara, abbia omesso di allegare copia del documento di identità all'offerta economica presentata, e ciò anche nell'ipotesi in cui tale copia sia stata prodotta all'interno della busta contenente la documentazione amministrativa, in quanto a fronte del chiaro ed inequivoco disposto letterale del disciplinare di gara, l'amministrazione è tenuta ad applicare in modo rigoroso ed incondizionato le clausole inserite nella lex specialis, senza alcuna possibilità di valutazione discrezionale in ordine alla rilevanza dell'adempimento, non risolvendosi la richiesta di allegare il documento di identità in un mero formalismo, in quanto detta prescrizione è diretta a comprovare, oltre alle generalità del dichiarante, il nesso di imputabilità soggettiva della dichiarazione ad un determinato concorrente.
Peraltro, detta clausola da un lato trova la sua ragion d'essere nell'esigenza di soddisfare un interesse apprezzabile dell'amministrazione procedente, dando certezza in ordine alla provenienza della dichiarazione e, d'altra parte, si limita ad imporre ai partecipanti uno sforzo minimo e proporzionato rispetto all'interesse pubblico perseguito.
In materia di gare relative a contratti pubblici deve ritenersi indefettibile la produzione della copia fotostatica del documento d'identità nel caso in cui si tratti di supportare la più importante delle dichiarazioni di volontà che intervengono nella procedura concorsuale, cioè l'offerta economica, stante che la prescritta formalità assolve all'essenziale funzione di ricondurre incontrovertibilmente al suo autore l'autenticità dell'apposta sottoscrizione (commento tratto da www.ispa.it - TAR Lazio-Roma, Sez. III-quater, sentenza 13.10.2011 n. 7931 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Ordine di demolizione e sospensione.
In tema di esecuzione dell'ordine di demolizione di un manufatto abusivo, anche nel caso in cui sia intervenuta sospensione -da parte dell'autorità giudiziaria amministrativa- dell'ordinanza sindacale di demolizione del manufatto, il giudice deve verificare la compatibilità dell'ordine di demolizione con la predetta sospensione in base ad una disamina della motivazione posta a sostegno del provvedimento cautelare: solo l'intervenuta sospensiva concessa con riferimento al “fumus boni iuris' di possibili vizi relativi a violazioni sostanziali della normativa urbanistica, non riparabili in sede di autotutela dall'autorità amministrativa, è da ritenersi influente: mentre se il provvedimento cautelare trova la sua giustificazione in vizi meramente formali, esso non è incompatibile con l'ordine di demolizione (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 12.10.2011 n. 36843 - tratto da www.lexambiente.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Rifiuti. Liquami costituiti da deiezioni animali provenienti da allevamento zootecnico.
I liquami costituiti dalle deiezioni animali provenienti da un allevamento zootecnico rappresentano, per qualità e quantità, un dato significativo della pericolosità per l’ambiente e la salute delle persone che può derivare dallo svolgimento di tale attività e richiede pertanto, da parte dei soggetti preposti, la predisposizione di ogni necessario accorgimento atto ad evitare sversamenti, anche accidentali, dei liquami prodotti (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 12.10.2011 n. 36830 - tratto da www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATAL’omessa notifica della ingiunzione di demolizione ad uno dei comproprietari dell'area sulla quale insiste il manufatto abusivo comporta la illegittimità del successivo provvedimento di acquisizione gratuita che si fondi sulla inottemperanza di uno e non di tutti i comproprietari.
I provvedimenti repressivi di abusi edilizi non devono essere preceduti dall'avviso di avvio del relativo procedimento, trattandosi di atti tipici e vincolati emessi ad esito di un mero accertamento tecnico della consistenza delle opere realizzate e del loro carattere abusivo.
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E' applicabile l'ordinanza di demolizione anche alle cd. case mobili, in quanto la precarietà di un manufatto la cui realizzazione non necessita di concessione edilizia, non dipende dai materiali utilizzati o dal suo sistema di ancoraggio al suolo, bensì dall'uso al quale il manufatto stesso è destinato; pertanto, essa, va esclusa quando trattasi di struttura destinata a dare un'utilità prolungata nel tempo, a nulla rilevando la temporaneità della destinazione data all'opera dai proprietari, in quanto occorre valutare la stessa alla luce della sua obiettiva ed intrinseca destinazione naturale.

Osserva, al riguardo, il collegio che alla stregua della giurisprudenza del Giudice amministrativo: …”l’omessa notifica della ingiunzione di demolizione ad uno dei comproprietari dell'area sulla quale insiste il manufatto abusivo comporta la illegittimità del successivo provvedimento di acquisizione gratuita che si fondi sulla inottemperanza di uno e non di tutti i comproprietari” (TAR Sicilia-Catania, sez. III, 20.06.1991, n. 229).
I provvedimenti repressivi di abusi edilizi non devono essere preceduti dall'avviso di avvio del relativo procedimento, trattandosi di atti tipici e vincolati emessi ad esito di un mero accertamento tecnico della consistenza delle opere realizzate e del loro carattere abusivo (TAR Toscana Firenze, sez. III, 18.01.2010, n. 42).
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Viene ritenuta l'applicabilità dell'ordinanza di demolizione anche alle cd. case mobili, in quanto la precarietà di un manufatto la cui realizzazione non necessita di concessione edilizia, non dipende dai materiali utilizzati o dal suo sistema di ancoraggio al suolo, bensì dall'uso al quale il manufatto stesso è destinato; pertanto, essa, va esclusa quando, come nella fattispecie, trattasi di struttura destinata a dare un'utilità prolungata nel tempo, a nulla rilevando la temporaneità della destinazione data all'opera dai proprietari, in quanto occorre valutare la stessa alla luce della sua obiettiva ed intrinseca destinazione naturale (Cons. Stato, V Sez., n. 3321/2000) (TAR Lazio-Latina, sentenza 12.10.2011 n. 799 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: L'obbligo di osservare nelle costruzioni determinate distanze sussiste solo in relazione alle vedute, e non anche con riferimento alle luci; ne deriva che la dizione "pareti finestrate", che si ispiri all'art. 9 d.m. 02.04.1968 n. 1444 riguardo la distanza minima nelle sopraelevazioni di dieci metri tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti, va riferita esclusivamente alle pareti munite di finestre qualificabili come "vedute", senza ricomprendere quelle sulle quali si aprono finestre cosiddette "lucifere".
In tema di limitazioni legali della proprietà, l'art. 873 cod. civ., per evitare intercapedini dannose, prevede che le norme sulle distanze tra fabbricati non si misurano in modo radiale, come invece avviene per le distanze rispetto alle vedute, ma in modo lineare. Questo modo di misurazione comporta anche che, in ragione della ratio che governa la specifica disciplina in esame, le norme sulle distanze legali si applicano soltanto agli edifici che si fronteggiano, mentre non hanno rilievo le distanze calcolate fra gli spigoli delle costruzioni prese in esame.

Osserva il Collegio che, in linea generale non ha motivo di discostarsi dall’orientamento della giurisprudenza riguardo la materia delle distanze nelle costruzioni e nel richiamare la disciplina legale dei "rapporti di vicinato" rileva che l'obbligo di osservare nelle costruzioni determinate distanze sussiste solo in relazione alle vedute, e non anche con riferimento alle luci; ne deriva che la dizione "pareti finestrate", che si ispiri all'art. 9 d.m. 02.04.1968 n. 1444 riguardo la distanza minima nelle sopraelevazioni di dieci metri tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti, va riferita esclusivamente alle pareti munite di finestre qualificabili come "vedute", senza ricomprendere quelle sulle quali si aprono finestre cosiddette "lucifere" (cfr. Cass. civile, sez. II, 04.02.1999, n. 982).
In tema di limitazioni legali della proprietà, l'art. 873 cod. civ., per evitare intercapedini dannose, prevede che le norme sulle distanze tra fabbricati non si misurano in modo radiale, come invece avviene per le distanze rispetto alle vedute, ma in modo lineare. Questo modo di misurazione comporta anche che, in ragione della ratio che governa la specifica disciplina in esame, le norme sulle distanze legali si applicano soltanto agli edifici che si fronteggiano, mentre non hanno rilievo le distanze calcolate fra gli spigoli delle costruzioni prese in esame (cfr. Cass. civile, sez. II, 07.04.2005, n. 7285; Corte Appello Salerno, 29.01.2007, n. 66) (TAR Lazio-Roma, Sez. II-bis, sentenza 11.10.2011 n. 7896 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa conformità urbanistico-edilizia dell’immobile è una condizione necessaria per richiedere e ottenere il certificato di agibilità.
Appare preliminare l’esame dei profili di illegittimità, sollevati con le prime tre censure del ricorso principale, dell’art. 83 del RUEC di Serrara Fontana, laddove prevede che: «… per gli edifici oggetto di istanze di condono edilizio la sospensione dei procedimenti amministrativi e giurisdizionali, anche penali, comporta che i titolari hanno facoltà di continuare ad utilizzare gli immobili per le destinazioni d’uso consolidate ed in atto alla data di presentazione delle istanze, pur in assenza di un formale certificato di abitabilità, qualora il titolare formuli richiesta di certificato di abitabilità questa può essere rilasciata a titolo provvisorio, nel rispetto delle condizioni dettate dall’art. 4 D.P.R. 425/1994, con la precisazione nella dichiarazione del direttore dei lavori, o altro tecnico incaricato, deve essere certificato che le opere sono conformi a quelle oggetto della istanza di condono».
La norma riportata, in sostanza, consente di certificare provvisoriamente l’abitabilità di immobili, pur non in regola con le disposizioni urbanistico-edilizie, qualora sia stata presentata un’istanza condonistica, non ancora definita, e nel rispetto delle altre condizioni di legge.
In proposito, va osservato che la normativa primaria di riferimento non consente il rilascio del certificato di agibilità o di abitabilità con riferimento a immobili non conformi alla normativa urbanistico edilizia.
La lettura dell’art. 24 del D.P.R. 380/2001, del resto, chiaramente evidenzia come la conformità edilizia dell’opera sia un presupposto per il rilascio del certificato di abitabilità; questo, infatti, è regolato nel senso di imporre l’obbligo di richiederlo esclusivamente al soggetto (o ai suoi aventi causa) che abbia ottenuto il titolo edilizio per realizzare: a) nuove costruzioni; b) ricostruzioni o sopraelevazioni, totali o parziali; c) interventi sugli edifici esistenti che possano influire sulle condizioni di sicurezza, igiene, salubrità, risparmio energetico degli edifici e degli impianti negli stessi installati. In mancanza di permesso di costruire o di altro atto autorizzativo (e, quindi, del suo titolare), non appare neppure possibile richiedere il certificato di abitabilità, non essendovi, a norma di legge, soggetti legittimati a farlo.
In tal senso, va letta anche la successiva disposizione dell’art. 25 del D.P.R. 380/2001 (di natura regolamentare) laddove, al co. 1, lett. b), prevede che il certificato possa essere rilasciato solo dopo la presentazione, fra l’altro, di una «dichiarazione, sottoscritta dallo stesso richiedente il certificato di agibilità, di conformità dell'opera rispetto al progetto approvato (…)».
Inoltre, l’art. 35, co. 20, L. 47/1985, espressamente richiamato dall’art. 39 L. 724/1994 ai sensi del quale si è chiesta la sanatoria dell’ampliamento di cui si discute, prevede che solo «a seguito della concessione o autorizzazione in sanatoria» possa essere «rilasciato il certificato di abitabilità o agibilità anche in deroga ai requisiti fissati da norme regolamentari» (sempre che le «opere sanate non contrastino con le disposizioni vigenti in materia di sicurezza statica, attestata dal certificato di idoneità di cui alla lettera b) del terzo comma e di prevenzione degli incendi e degli infortuni»).
La giurisprudenza assolutamente maggioritaria, del resto, sulla scorta delle argomentazioni appena esposte, ritiene che la conformità urbanistico-edilizia dell’immobile sia una condizione necessaria per richiedere e ottenere il certificato di agibilità (cfr., ex multis, Consiglio di stato, sez. V, 30.04.2009, n. 2760, TAR Lombardia Milano, sez. II, 17.09.2009, n. 4672) (TAR Campania-Napoli, Sez. VI, sentenza 11.10.2011 n. 4648 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICA: Legittimati ad impugnare gli atti di pianificazione urbanistica sono, di regola, soltanto i proprietari delle aree alle quali le varianti stesse si riferiscono ovvero i soggetti, anche diversi dai proprietari, allorché la nuova destinazione urbanistica incida sul godimento o sul valore di mercato dell'area, sempre che dimostrino l’esistenza di uno specifico loro pregiudizio.
Come affermato dalla consolidata giurisprudenza anche del giudice d’appello, infatti, legittimati ad impugnare gli atti di pianificazione urbanistica sono, di regola, soltanto i proprietari delle aree alle quali le varianti stesse si riferiscono ovvero i soggetti, anche diversi dai proprietari, allorché la nuova destinazione urbanistica incida sul godimento o sul valore di mercato dell'area, sempre che dimostrino l’esistenza di uno specifico loro pregiudizio (cfr., ex multis, Cons. St., sez. IV, 23.07.2009, n. 4605) (TAR Veneto, Sez. II, sentenza 11.10.2011 n. 1541 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La ristrutturazione edilizia, per essere tale e non finire per coincidere con la nuova costruzione, debba conservare le caratteristiche fondamentali dell'edificio preesistente e la successiva ricostruzione dell'edificio debba riprodurre le precedenti linee fondamentali quanto a sagoma, superfici e volumi.
Il concetto di ristrutturazione edilizia, quale enunciato dall'art. 31, lett. d), l. 05.08.1978, n. 431 ("interventi rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono anche portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente"), ha subito nel tempo diversificate interpretazioni e diffuse incertezze soprattutto riguardo alla ristrutturazione per demolizione e ricostruzione, nella ricerca degli elementi che distinguessero la fattispecie dalla ristrutturazione.
Ad un primo orientamento che escludeva la demolizione e ricostruzione dalla fattispecie di ristrutturazione (Cons. St., sez. V, 09.02.1996, n. 144), è seguito l'orientamento trasfuso nel Testo Unico dell'edilizia che ha compreso la fattispecie nella categoria della "ristrutturazione" purché "fedele" in quanto modalità estrema di conservazione dell'edificio preesistente nella sua consistenza strutturale, essendosi ritenuto che "la ricostruzione di un preesistente fabbricato senza variazione o alterazione della superficie, volumetria e destinazione d'uso, non incide sul carico urbanistico già esistente e non è, pertanto, assoggettato ad oneri né al rispetto degli indici sopravvenuti" (Cons. St., sez. V, 10.08.2000, n. 4397).
In recepimento degli indirizzi giurisprudenziali formatisi in materia, il T.U. dell'edilizia ha ricompreso tra gli interventi di ristrutturazione edilizia "quelli consistenti nella demolizione e successiva fedele ricostruzione di un fabbricato identico quanto a sagoma, volumi, area di sedime e caratteristiche dei materiali, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l'adeguamento alla normativa antisismica".
L'art. 1 del decreto legislativo 27.12.2002, n. 301 ha modificato l'art. 3, in parte qua, eliminando la locuzione "fedele ricostruzione di un fabbricato identico, quanto a sagoma, volumi, area di sedime e caratteristiche di materiali a quello preesistente" e l'ha sostituita con l'espressione "ricostruzione con la stessa volumetria e sagoma di quello preesistente" (art. 1, lett. a).
Anche escludendo il superato criterio della fedele ricostruzione, esigenze di interpretazione logico-sistematica della nuova normativa inducono tuttavia la giurisprudenza a ritenere che la ristrutturazione edilizia, per essere tale e non finire per coincidere con la nuova costruzione, debba conservare le caratteristiche fondamentali dell'edificio preesistente e la successiva ricostruzione dell'edificio debba riprodurre le precedenti linee fondamentali quanto a sagoma, superfici e volumi (fra le tante Cons. Stato, sez. IV, 18.03.2008, n. 1177) (TAR Veneto, Sez. I, sentenza 11.10.2011 n. 1539 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Approvazione tecnica di progetto in sanatoria.
La mera approvazione “tecnica” di un progetto in sanatoria se certamente vale quale preliminare presupposto per farsi luogo al rilascio del provvedimento formale di concessione, non equivale a rilascio della concessione, subordinata, invece, ad una serie di adempimenti (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 10.10.2011 n. 36531 - tratto da www.lexambiente.it).

APPALTI SERVIZI: Sul divieto di cui all'art. 23-bis c. 9, del d.l. n. 112/2008.
L'art. 23-bis, c. 9, del DL n. 112/2008, vieta l'acquisizione della gestione di servizi ulteriori, in concessione o in appalto, alle società che già gestiscono servizi pubblici locali ad esse affidati senza il rispetto dei principi dell'evidenza pubblica, anche per il tramite di società controllanti o da essa controllate. La ratio della predetta disposizione va ravvisata nell'esigenza di impedire alterazioni del mercato concorrenziale che deriverebbero dalla partecipazione alle gare per l'affidamento di ulteriori servizi pubblici locali a quei soggetti che, in quanto già affidatari diretti di tali servizi, si trovano in una posizione di privilegio acquisita al di fuori dei meccanismi dell'evidenza pubblica; in tale contesto, è affatto irrilevante la modalità di affidamento prescelta dalla stazione appaltante (appalto o concessione), atteso che il divieto posto dal legislatore riguarda genericamente "l'acquisizione della gestione di servizi ulteriori".
Inoltre, non v'è motivo per ritenere che le modalità di remunerazione delle attività, la bilateralità del rapporto e la mancanza dell'alea, pur idonee a far ascrivere la gara nella categoria dell'appalto anziché in quella della concessione, possano influire sulla natura delle prestazioni da svolgere: è evidente che anche in tal caso le attività affidate continuano a configurarsi quale servizio pubblico locale, essendo del tutto irragionevole ritenere che esse possano, al contrario, perdere detta qualità in dipendenza della tipologia dell'affidamento (concessione o appalto) (TAR Veneto, Sez. I, sentenza 10.10.2011 n. 1509 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

EDILIZIA PRIVATAI provvedimenti repressivi di abusi edilizi non devono essere preceduti dall'avviso dell'inizio del procedimento, trattandosi di procedimenti tipizzati e vincolati, considerato, altresì, che i provvedimenti sanzionatori presuppongono un mero accertamento tecnico sulla consistenza delle opere realizzate e sul carattere abusivo delle medesime.
La concessione edilizia in sanatoria presuppone la conformità del manufatto abusivo agli strumenti urbanistici vigenti sia al tempo della sua realizzazione, sia al momento in cui si chiede il rilascio del provvedimento di condono.
L'accertamento di conformità previsto dall'art. 13 della l. 28.02.1985, n. 47, poi confluito nel citato art. 36 del D.P.R. 06.06.2001, n. 380, infatti, è diretto a sanare le opere solo formalmente abusive, in quanto eseguite senza il previo rilascio del titolo, ma conformi nella sostanza alla disciplina urbanistica applicabile per l'area su cui sorgono, vigente sia al momento della loro realizzazione che al momento della presentazione dell'istanza di sanatoria.
Il provvedimento di accertamento di conformità assume, pertanto, una connotazione eminentemente oggettiva e vincolata, priva di apprezzamenti discrezionali, dovendo l'autorità procedente valutare l'assentibilità dell'opera eseguita senza titolo, sulla base della normativa urbanistica e edilizia vigente, in relazione ad entrambi i momenti considerati dalla norma.

Il Collegio non ravvisa, nel caso di specie, alcuna ragione peculiare per discostarsi dal consolidato orientamento giurisprudenziale secondo il quale, i provvedimenti repressivi di abusi edilizi non devono essere preceduti dall'avviso dell'inizio del procedimento, trattandosi di procedimenti tipizzati e vincolati, considerato, altresì, che i provvedimenti sanzionatori presuppongono un mero accertamento tecnico sulla consistenza delle opere realizzate e sul carattere abusivo delle medesime (ex plurimis: Cons. Stato, IV, 30.03.2000, n. 1814; TAR Sicilia, Palermo, II, 06.06.2007, n. 1617; 27.03.2007, n. 979; III, 20.03.2006, n. 608; 20.04.2005, n. 577; TAR Sicilia, Catania, III, 03.03.2003, n. 374; TAR Campania, Napoli, IV, 12.02.2003, n. 797; 14.06.2002, n. 3499; 28.03.2001, n. 1404).
Secondo l’orientamento assolutamente prevalente della giurisprudenza, condiviso dal Collegio, che non rinviene nel caso in esame ragioni peculiari per discostarsene –peraltro confermato dalla recente legislazione (art. 36 d.P.R. 06.06.2001, n. 380) che esplicitamente richiede la cd. “doppia conformità”-, la concessione edilizia in sanatoria presuppone la conformità del manufatto abusivo agli strumenti urbanistici vigenti sia al tempo della sua realizzazione, sia al momento in cui si chiede il rilascio del provvedimento di condono (cfr. TAR Toscana, Firenze, III, 13.05.2011, n. 837; TAR Lombardia, Brescia, I, 27.05.2011, n. 785; TAR Sicilia, Palermo, III, 09.11.2009, n. 1743; II, 11.02.2003, n. 805; TAR Sicilia, Catania, I, 09.01.2009, n. 5).
L'accertamento di conformità previsto dall'art. 13 della l. 28.02.1985, n. 47, poi confluito nel citato art. 36 del D.P.R. 06.06.2001, n. 380, infatti, è diretto a sanare le opere solo formalmente abusive, in quanto eseguite senza il previo rilascio del titolo, ma conformi nella sostanza alla disciplina urbanistica applicabile per l'area su cui sorgono, vigente sia al momento della loro realizzazione che al momento della presentazione dell'istanza di sanatoria.
Il provvedimento di accertamento di conformità assume, pertanto, una connotazione eminentemente oggettiva e vincolata, priva di apprezzamenti discrezionali, dovendo l'autorità procedente valutare l'assentibilità dell'opera eseguita senza titolo, sulla base della normativa urbanistica e edilizia vigente, in relazione ad entrambi i momenti considerati dalla norma
(TAR Sicilia-Palermo, Sez. III, sentenza 06.10.2011 n. 1737 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Illegittimità dell'atto a fini risarcitori, per il G.A. criteri restrittivi.
Per il C.P.A. quando, nel corso del giudizio, l'annullamento del provvedimento impugnato non risulta più utile per il ricorrente, il giudice accerta l'illegittimità dell'atto se sussiste l'interesse ai fini risarcitori. Il principio deve applicarsi in via restrittiva e soltanto allorquando la domanda risarcitoria sia stata proposta nello stesso giudizio, oppure quando la parte ricorrente dimostri che ha già incardinato un separato giudizio di risarcimento o che è in procinto di farlo.
Con sentenza 05.10.2011 n. 2352, la IV Sez. del TAR Lombardia-Milano ha affermato che dal condono edilizio derivano effetti tipici, prodotti direttamente dalla legge, senza che sugli stessi possa influire la volontà del soggetto al quale è contestato l'abuso e che ritiene di avvalersi dell'istituto (non potendo modificare i caratteri e gli effetti di un istituto regolato dalla legge) sicché nessuna condizione è apponibile alla domanda di sanatoria, e se questa risulta apposta è tamquam non esset.
Ciò posto, deve ritenersi che l'art. 34 comma 3 c.p.a., ai sensi del quale quando, nel corso del giudizio, l'annullamento del provvedimento impugnato non risulta più utile per il ricorrente, il giudice accerta l'illegittimità dell'atto se sussiste l'interesse ai fini risarcitori, non può essere interpretata nel senso che, in seguito ad una semplice segnalazione della parte o, addirittura d'ufficio, lo stesso giudice debba verificare la sussistenza di un interesse ai fini risarcitori, tenendo presente che vi è un ristretto numero di controversie in cui non si potrebbe, in astratto, individuare un interesse di natura risarcitoria, e che è stato positivizzato il principio dell'autonomia dell'azione risarcitoria (art. 30 stesso codice) (commento tratto da www.ipsoa.it - link a www.giustizia-amministrativa.it).

VARIAutovelox, valide le multe in presenza di tecnici privati.
Sono valide le multe scattate dall'autovelox alla presenza di un tecnico privato purché l'agente municipale sia sempre presente e abbia la disponibilità dell'attrezzatura affittata dal comune.

Lo ha evidenziato la Corte di Cassazione, Sez. II civ., con la sentenza 28.09.2011 n. 19816.
Un automobilista dal piede pesante ha proposto ricorso contro una multa accertata dai vigili con l'autovelox preso a noleggio dal comando evidenziando l'ingerenza eccessiva del privato fornitore del servizio nella gestione del procedimento sanzionatorio.
Il giudice di pace ha accolto le censure mettendo in risalto che il controllo stradale è stato affidato ad una ditta privata senza le adeguate garanzie previste dalla legge per la gestione dei sistemi autovelox da parte degli organi di polizia stradale. La Cassazione è di contrario avviso. L'assistenza tecnica dell'operatore privato, specifica la sentenza, «limitata all'installazione ed all'impostazione dell'apparecchiatura secondo le indicazioni del pubblico ufficiale, non interferisce sull'attività di accertamento poi direttamente svolta da quest'ultimo ed, anzi, offre agli utenti della strada nei confronti dei quali è effettuato il controllo una più sicura garanzia di precisione nel funzionamento degli strumenti di rilevazione ove tenuti sotto sorveglianza da parte di personale tecnico specializzato».
Nel caso in esame, prosegue il collegio, per espressa previsione contrattuale tutte le attività tecniche inerenti all'utilizzo dell'autovelox si svolgono alla presenza costante del pubblico ufficiale. L'allontanamento anche occasionale dell'operatore di polizia secondo la convenzione, comporta per contratto l'immediata disattivazione dello strumento di controllo. Ad ogni modo, proseguono gli ermellini, è evidente che il magistrato onorario ha esorbitato dai propri poteri occupandosi delle modalità di organizzazione del servizio di controllo stradale.
Erroneamente inoltre il giudice di pace ha ritenuto che il verbale dovesse contenere l'attestazione della sperimentata funzionalità dell'apparecchiatura e che tale funzionalità dovesse essere dimostrata in giudizio dall'amministrazione (articolo ItaliaOggi del 03.11.2011).

ATTI AMMINISTRATIVI - URBANISTICA: Provvedimenti di revoca della PA senza ''proprieta' transitiva''.
Il Consiglio di Stato ha precisato che un provvedimento di revoca deve provenire dallo stesso organo che ha assunto l'atto che s'intende revocare e seguire il medesimo iter procedurale del primo atto. La questione verte in merito alla revoca di una convenzione per concessione diritto di superficie in area per edilizia economica popolare.

E' il Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 27.09.2011 n. 5382, che definisce la competenza del Consiglio Comunale in ordine all'approvazione dei Piani di Edilizia Economica Popolare e delle relative convenzioni, nonché e, questa è la novità importante, anche per la revoca delle convenzioni.
Il Giudice di Appello ha rovesciato la sentenza del Giudice di prime cure che non aveva accolto il ricorso.
Sinteticamente questo l'evento oggetto della vicenda processuale: una società a r.l. ottiene dal Comune il diritto di superficie per area residenziale, compresa nel Piano di Edilizia Economica Popolare e contestualmente veniva prevista apposita convenzione da stipularsi per la costituzione del diritto di superficie sull'area, destinata ad edilizia residenziale pubblica, ai sensi dell'art. 35, L. n. 865 del 1971. Il tutto con deliberazione di Consiglio Comunale.
Avviene stipula della convenzione.
Successivamente, lo steso Comune ha provveduto a revocare l'assegnazione dei suoli, motivando ciò con la mancata realizzazione dell'opera ed altro.
Il tutto con deliberazione di Giunta Comunale.
Il Consiglio di Stato ha riconosciuto fondato il ricorso sulla constatazione dell'avvenuta revoca con atto deliberativo di Giunta Comunale, nel mentre il provvedimento concessorio, oggetto di revoca, era avvenuto, come sopra detto, con deliberazione di Consiglio Comunale.
Interessante rilevare che la deliberazione di Giunta Comunale aveva quale motivazione la volontà di eliminare l'ulteriore produzione di effetti giuridici provenienti dall'atto revocato, ciò in ragione ed in considerazione del mutato apprezzamento dell'interesse pubblico e della situazione di fatto.
Il Comune resistente ha giustificato e difeso la deliberazione di Giunta Comunale sostenendo che la stessa era provvedimento esecutorio e di dettaglio.
Il Consiglio di Stato non ha accolto tale tesi ed ha riconosciuto valide le argomentazioni delle censure esposte dagli appellanti.
Tale decisione è stata sostenuta dal Consiglio di Stato con le seguenti motivazioni:
- La revoca è atto di pari valenza giuridica rispetto all'atto revocato e, pertanto, deve essere assunta dallo stesso organo e con le medesime modalità procedimentali che hanno visto sorgere il primo atto.
Ciò perché nel mondo giuridico, è di fondamentale importanza il principio della competenza, intesa come entità di poteri di quell'organo.
Ha disatteso il Giudice di Appello le argomentazioni dell'appellato anche allorquando quest'ultimo ha sostenuto essere la revoca un atto di verifica e controllo dell'attuazione concreta dell'attività di governo sull'indirizzo del Consiglio sostenendo che la deroga era intervento in autotutela.
Le argomentazioni del Consiglio di Stato che hanno permesso di accogliere il ricorso in appello sono state ancorate all'applicazione di due norme giuridiche:
- Art. 35, L. n. 865 del 1971 che espressamente attribuisce al Consiglio Comunale la competenza ad approvare la convenzione per l'assegnazione del diritto di superficie sui suoli destinati ad edilizia residenziale pubblica e, quindi, necessariamente anche eventuali successivi atti di integrazione, modifica e/o revoca.
- L'art. 42, D.Lgs. n. 267 del 2000 che elenca tassativamente le competenze del Consiglio Comunale e tra queste...piani territoriali ed urbanistici, programmi annuali e pluriennali per la loro attuazione...
E' evidente che la specificità della norma non lascia spazi a libertà interpretative che possano spostare la competenza degli atti consiliari a quella della Giunta Comunale.
Per quanto avanti esposto il ricorso in appello è stato accolto avendo il Consiglio di Stato provveduto all'annullamento della deliberazione di Giunta Comunale con la quale si era provveduto a revocare la precedente deliberazione di Consiglio Comunale.
A margine è doveroso annotare che il ricorso chiedeva anche il risarcimento dei danni patiti dalla Società p, prima ricorrente e poi appellante, per l'avvenuta revoca.
A tal proposito il Consiglio di Stato non ha ritenuto procedibile la domanda poiché con l'avvenuto annullamento della deliberazione di Giunta Comunale che aveva disposto per la revoca, il Comune è nelle condizioni di nuovamente operare e determinarsi, pertanto, non vi sono danni risarcibili che, comunque, potrebbero sorgere a seguito delle nuove determinazioni del Comune (commento tratto da www.ipsoa.it - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATADestinazione d'uso; mutamento; assenza di lavori edili; concessione edilizia; non necessarietà; modifiche prospettiche; ampliamento dell'immobile; titolo abilitativo.
Il mutamento di destinazione d'uso degli immobili in assenza di lavori edili, purché compatibile con la destinazione di zona, non è assoggettato a concessione edilizia, in quanto costituisce espressione non già dello ius aedificandi, bensì dello ius utendi.
La circostanza di cui innanzi, e la conseguente non necessità del titolo abilitativo, deve, tuttavia, escludersi ogni qualvolta il richiedente, formulando istanza di condono ai sensi della L. n. 47 del 1985, indichi nel medesimo modello il cambio di destinazione d'uso e le modifiche prospettiche, le quali non solo implicano necessariamente delle opere, in quanto incidenti sulla forometria esterna del fabbricato, ma per di più appaiono strutturalmente finalizzate proprio alla diversa utilizzazione dell'immobile medesimo (nella specie come albergo e non più come abitazione), nonché, in altro modello, la necessità di un ampliamento (TAR Veneto, Sez. II, sentenza 15.02.2011 n. 236 - tratto da www.diritto24.ilsole24ore.com - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAMutamento di destinazione d'uso - Finalità - Mutamento d'uso funzionale - Variazione su immobile senza opere - Assenza del titolo - Illegittimità dell'ordine di demolizione - Variazioni con opere - Necessità del titolo - Legittimità dell'ordine di demolizione - Impugnativa - Infondatezza.
Il mutamento di destinazione d'uso consiste nel variare la destinazione cui l'immobile è urbanisticamente destinato. Esso può essere realizzato con opere, ed in tal caso è soggetto a licenza o concessione ovvero a semplice autorizzazione, a seconda del tipo di intervento, o senza opere ed in tal caso è soggetto a semplice autorizzazione. Ai fini del legittimo mutamento d'uso "funzionale" di un locale, inteso quale variazione di destinazione dell'immobile non implicante la realizzazione di opere edilizie, non essendo richiesta concessione edilizia, è illegittimo l'ordine sindacale di demolizione, motivato con l'assenza o la difformità di idoneo titolo concessorio. Viceversa, l'ipotesi di un mutamento di destinazione d'uso non già funzionale, bensì strutturale, ovvero connesso e conseguente all'esecuzione di opere, necessita di apposita concessione il cui difetto legittima la demolizione delle opere stesse.
Orbene, nel caso in esame, risulta infondato il gravame promosso dalla ricorrente per l'annullamento del provvedimento con cui il Comune resistente le ordinava la demolizione di tre manufatti, perché realizzati in assenza sia del titolo edilizio che del titolo paesistico -quest'ultimo necessario essendo il predetto Comune sottoposto alle norme del Piano Territoriale Paesistico approvato con D.M. del 04.07.2002, pubblicato in G.U. serie generale n. 219 del 19.09.2002-, giacché risultava che i predetti manufatti, diversamente da quanto asseriva la ricorrente, presentavano caratteristiche difficilmente riconducibili a quelle precedenti, con la conseguenza che vi era stata un'attività edilizia manipolativa che doveva necessariamente qualificarsi come illecita e, quindi, abusiva in quanto posta in essere senza i succitati titoli (TAR Campania-Napoli, Sez. III, sentenza 07.02.2011 n. 735 - tratto da www.diritto24.ilsole24ore.com - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAConcessione edilizia e licenza di abitabilità - Destinazione d'uso - Mutamento senza opere edili - Non occorre - Condizione.
Il cambio di destinazione d'uso di un immobile senza opere edilizie non costituisce immutazione urbanistica ai sensi dell'art. 1,1. 28.01.1977 n. 10 ed è, pertanto, soggetto ad autorizzazione, non già a concessione, ma esclusivamente a condizione che non implichi situazioni di incompatibilità con le previsioni funzionali di zona ed il piano regolatore non diversifichi gli indici di edificazione a seconda delle destinazioni (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 07.12.2010 n. 8620 - tratto da www.diritto24.ilsole24ore.com - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Polizia Giudiziaria. Agenti di polizia municipale.
È legittimo il sequestro preventivo del manufatto abusivo eseguito dagli agenti di polizia municipale addetti al controllo del settore edilizio, essendo gli stessi, ai sensi dell'art. 5 L. n. 65 del 1986, ufficiali di polizia giudiziaria, indipendentemente dalla documentazione di tale qualifica comunque loro derivante dallo svolgimento effettivo della funzione di controllo (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 06.07.2010 n. 25606 - tratto da www.lexambiente.it).

AGGIORNAMENTO AL 02.11.2011

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GURI - GUUE - BURL (e anteprima)

AMBIENTE-ECOLOGIA: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 44 del 31.10.2011, "Comunicato congiunto delle Direzioni generali Agricoltura - Ambiente, energia e reti - Territorio e urbanistica - Utilizzo dei fanghi in agricoltura" (comunicato regionale 26.10.2011 n. 120).

NOTE, CIRCOLARI E COMUNICATI

PUBBLICO IMPIEGO: Oggetto: Decreto legislativo n. 119 del 18.07.2011, artt. 2 e 8 - Modifica degli artt. 16 e 45 del Testo Unico delle disposizioni normative a tutela e sostegno della maternità e della paternità (decreto legislativo n. 151/2001) (INPS, circolare 27.10.2011 n. 139).

EDILIZIA PRIVATAOggetto: Lettera circolare prot. n. 13061 del 06.10.2011 - Precisazioni (Ministero dell'Interno, lettera-circolare 21.10.2011 n. 13722 di prot.).
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Prevenzione incendi e nuovo regolamento: ulteriori Indirizzi applicativi e correzione di alcuni modelli.
Il Dipartimento dei Vigili del Fuoco ha emanato la lettera-circolare 21.10.2011 n. 13722 di prot. contenente alcune correzioni relative alla precedente lettera-circolare 06.10.2011 n. 13061 di prot..
Ricordiamo che la circolare 06.01.2011 fornisce chiarimenti circa le nuove procedure di prevenzione incendi e la documentazione e modulistica da adottare (V. art. “Regolamento Antincendio: nuova modulistica e chiarimenti”).
Con la nuova Lettera Circolare 13722, i Vigili del Fuoco apportano alcune correzioni ai precedenti criteri interpretativi e definiscono il corretto metodo per il calcolo delle tariffe di alcuni servizi previsti dal nuovo regolamento, in attesa dell’emanazione del Decreto (previsto nel DPR 151) che allinea le tariffe al nuovo regolamento.
Vengono anche aggiornati alcuni modelli:
1- gpl - SEGNALAZIONE CERTIFICATA DI INIZIO ATTIVITA' AI FINI DELLA SICUREZZA ANTINCENDIO (ai sensi dell’art. 4 del D.P.R n. 151/2011);
2- gpl - DICHIARAZIONE DI CONFORMITÀ AI FINI DELLA SICUREZZA ANTINCENDIO;
3-  gpl - ATTESTAZIONE DI RINNOVO PERIODICO DI CONFORMITA’ ANTINCENDIO (ai sensi dell’art. 5 del D.P.R. 01/08/2011 n. 151);
4-  gpl - DICHIARAZIONE DI EFFETTUATA MANUTENZIONE PER DEPOSITI DI G.P.L. IN SERBATOI FISSI DI CAPACITÀ NON SUPERIORE A 5 M3, AI SENSI DELL’ART. 11 D.P.R. 151/2011;
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5-  allegato 1 - ELENCO DELLE ATTIVITA' SOGGETTE AI CONTROLLI DI PREVENZIONE INCENDI;
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6-  ASSEVERAZIONE AI FINI DELLA SICUREZZA ANTINCENDIO (N.B.: sostituisce il precedente modulo pubblicato con la lettera-circolare 06.10.2011 n. 13061 di prot.) (27.10.2011 - link a www.acca.it).

APPALTI: Oggetto: novità in tema di acquisizione del documento unico di regolarità contributiva negli appalti di lavori, servizi e forniture (Consorzio dei Comuni Trentini, circolare 21.10.2011 n. 43/2011).

UTILITA'

APPALTI: TRACCIABILITÀ DEI FLUSSI FINANZIARI RELATIVI A CONTRATTI PUBBLICI DI LAVORI, SERVIZI, FORNITURE - INQUADRAMENTO GENERALE DELLA MATERIA E INDICAZIONI OPERATIVE (ANCE, Direzione Legislazione Opere Pubbliche - testo e schema operativo - link a www.osservatorioappalti.unitn.it).

SICUREZZA LAVOROProgettazione, installazione e valutazione dei rischi dei sistemi di ancoraggio. Ecco le pubblicazioni INAIL.
Gli ancoraggi nelle costruzioni sono sempre stati fonte di dibattito. Risulta difficile, infatti, affrontare in maniera organica ed esauriente le questioni relative all’identificazione, qualificazione, progettazione e installazione dei sistemi di ancoraggio.
Le principali confusioni scaturiscono dal fatto che gli ancoraggi possono essere classificati secondo diverse normative, in particolare:
Direttiva prodotti da costruzione 89/106/CEE
Direttiva DPI 89/686/CEE
Norme Tecniche (UNI EN 795)
Circolari del Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale (è il caso degli ancoraggi dei ponteggi)
L’INAIL (ex Ispesl) ha reso disponibili gli atti del Convegno tenutosi a Bologna il 07.10.2011.
Le pubblicazioni sono le seguenti:
● Classificazione degli ancoraggi
● Valutazione del rischio relativa alla scelta degli ancoraggi
● Aspetti relativi ai materiali costituenti le strutture di copertura
● Ancoranti ed ETAG 001
● Dispositivi di ancoraggio e punti di ancoraggio
● Ancoraggio per Ponteggi (27.10.2011 - link a www.acca.it).

SICUREZZA LAVORORischio elettrico e individuazione e gestione dei rischi. Ecco il quaderno tecnico.
I rischi di natura elettrica assumono particolare rilevanza nei cantieri edili a causa delle condizioni ambientali in cui si trovano a dover operare gli impianti e le apparecchiature elettriche.
Basti pensare agli effetti delle escursioni termiche e della luce diretta, alle vibrazioni prodotte dai macchinari, all’esposizione alle intemperie e alla presenza di polveri o liquidi.
La ASL di Milano ha pubblicato un Quaderno Tecnico sui controlli fondamentali in cantiere per ridurre il rischio elettrico.
La pubblicazione è rivolta a tutti coloro che si occupano di valutazione e gestione dei rischi (datori di lavoro, coordinatori per la sicurezza, RSPP, consulenti per la sicurezza) e costituisce una guida per l’individuazione dei principali rischi elettrici e le misure di prevenzione più comuni.
Gli argomenti trattati sono:
● Integrità del materiale elettrico;
● Modifiche non autorizzate delle apparecchiature;
● Idoneità del materiale elettrico in cantiere;
● Installazione dell’impianto a regola d’arte;
● Protezione contro i fulmini;
● Organizzazione e gestione dei rischi (27.10.2011 - link a www.acca.it).

QUESITI & PARERI

LAVORI PUBBLICI - PUBBLICO IMPIEGO: Le risposte dell'ANCI.
Il responsabile del procedimento.
Si chiede di sapere se come responsabile del procedimento di lavori, alla luce del nuovo regolamento attuativo di cui al Dpr n. 207/2010 che nell’art. 9, co. 4, fa riferimento alla figura del funzionario, possa essere nominato sia il dipendente di cat. D1 che cat. C, essendo entrambe queste figure presenti nel comune.

Per individuare con esattezza la figura di cui si discute occorre fare riferimento al co. 5 dell’art. 10 del Codice degli appalti, Dlgs n. 163/2006, ed in particolare al successivo co. 6 per il quale spetta al regolamento la determinazione dei requisiti di professionalità richiesti al Rup.
Ai sensi del co. 4 dell’art. 9 del nuovo regolamento (citato dal quesito) “il responsabile del procedimento è un tecnico, abilitato all’esercizio della professione o, quando l’abilitazione non sia prevista dalle norme vigenti, è un funzionario tecnico, anche di qualifica non dirigenziale, con anzianità di servizio non inferiore a cinque anni”.
In sintesi la lettura dell’articolato ci dice che il Rup deve essere un tecnico con:
● titolo di studio adeguato all’intervento da realizzare;
● abilitazione all’esercizio dell’attività professionale.
Soltanto nel caso in cui l’abilitazione non sia prevista, le funzioni di Rup possono essere attribuite a un funzionario tecnico, anche di qualifica non dirigenziale, con anzianità di servizio di almeno 5 anni.
Appare interessante notare come il dispositivo del nuovo regolamento, rispetto al corrispondente art. 7 del vecchio regolamento Merloni (Dpr n. 554/1999) elimini l’ulteriore puntualizzazione secondo cui si dovrebbe comunque trattare di un funzionario tecnico “con idonea professionalità” e specifichi, in aggiunta rispetto allo stesso art. 7, che potrebbe trattarsi di un funzionario tecnico “anche di qualifica non dirigenziale”.
Inoltre, l’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici ha più volte chiarito che la capacità richiesta al soggetto è più organizzativa e propositiva che meramente tecnica. Resta ovvio che di fronte alla realizzazione di opere particolarmente complesse, è chiaramente opportuno affidare l’incarico a soggetti in possesso di titolo di studio più elevato e commisurato alla tipologia degli interventi da realizzare. Così, discutendo della figura professionale del geometra, risulta ormai consolidato che essendo questi un tecnico e soddisfacendo, quindi, la prima condizione posta, nel caso in cui siano soddisfatte anche le ulteriori condizioni, e cioè l’adeguata professionalità (non espressamente contemplata dal nuovo regolamento) e anzianità di ruolo non inferiore a 5 anni, questi può essere tranquillamente nominato Rup.
Il soggetto va prescelto tra i dipendenti di ruolo dell’ente e la formale nomina (provvedimento “ad hoc” con data certa) compete al dirigente o al responsabile dell’unità organizzativa che gestisce l’intervento (competenza ad “assegnare a sé o ad altro dipendente addetto alla unità la responsabilità della istruttoria e di ogni altro adempimento inerente il singolo procedimento”, ai sensi dell’art. 5 della L. n. 241/1990).
Si terrà altresì presente che secondo quanto disposto dall’art. 10 del Codice degli appalti già citato, tale responsabile deve essere “unico per le fasi della progettazione, dell’affidamento e dell’esecuzione”.
Alla luce di quanto chiarito, l’appartenenza alla categoria C o D, fermo restando le declaratorie professionali contrattualmente definite e fatto salvo quanto disciplinato dal regolamento locale dei servizi e degli uffici, assume un rilievo poco rilevante nel contesto di precipuo interesse.
Risulta per contro pregnante la qualifica di tecnico e la sussistenza degli ulteriori requisiti sopra citati (tratto da Guida al Pubblico Impiego n. 10/2011).

INCENTIVO PROGETTAZIONE: Le risposte dell'ANCI.
L’incentivo per la progettazione.
Si chiede un parere in merito all’applicabilità dell’art. 92, co. 5, del Dlgs n. 163/2006 nel seguente caso:
● all’interno del programma triennale 2010/2012 è stato inserito un progetto di “manutenzione straordinaria verde pubblico” per un importo complessivo di 300mila euro, ripartito in più lotti;
● nel quadro economico dell’opera è stato previsto l’importo da destinarsi all’incentivo per la progettazione redatta dal personale tecnico interno all’ente;
● i primi due lotti di lavori sono stati appaltati mediante procedura negoziata;
● il terzo lotto, di importo pari a 82.400 euro, è stato affidato, ai sensi della legge n. 381/1991, ad una cooperativa come servizio di sfalcio erba, potatura siepi e messa a dimora di fiori e piante.
È corretto erogare per intero l’incentivo accantonato per la progettazione o se si deve decurtare la parte inerente il lotto appaltato come servizio?

Trattandosi di interventi i quali, al di là della ripartizione in lotti, sono stati previsti ed inseriti nell’ambito della programmazione comunale di cui all’art. 128 del Codice dei contratti pubblici (che riguarda soltanto le opere pubbliche e non i servizi), si ritiene che tale circostanza induca a ritenere che essi debbano considerarsi (e siano stati considerati) unitariamente dal punto di vista tecnico e funzionale in conformità ai principi generali in tale disposizione.
In sostanza dovrebbe presumersi che l’amministrazione abbia considerato la manutenzione straordinaria del verde (applicando, in presenza di prestazioni di tipo “misto”, i criteri di cui all’art. 14 del codice) come intervento edilizio richiedendo agli affidatari la relativa e necessaria qualificazione (cfr. OS24).
Ai fini del calcolo del compenso incentivante la progettazione, che spetta ex art. 92, co. 5, soltanto in relazione ad appalti di opere e non di servizi, sembrerebbe quindi anomalo o comunque distonico, per quanto anzidetto, che esso sia effettuato solo in relazione all’importo dei primi due lotti e non del terzo che si vorrebbe ora considerare come mero ed autonomo appalto di servizi nonostante che le opere siano state configurate come unico intervento edilizio ai fini della programmazione.
La diversa eventuale conclusione di limitare tale compenso riferendolo solo ai primi due lotti di lavori avrebbe peraltro senso, pur nella distonia rilevata, se il terzo lotto comprenda effettivamente solo meri “servizi” (ad es., mero sfalcio dell’erba) e nessun intervento che possa considerarsi di natura “edilizia” (come ad esempio rifacimento di manti erbosi ecc.), avendo riguardo essenzialmente al fatto che l’ambito di applicazione dell’art. 92 cit. risulta circoscritto ai fini del compenso incentivante a determinati ben precisi presupposti (tra cui in particolare che si tratti di progettazione di opere e non di servizi) (tratto da Guida al Pubblico Impiego n. 10/2011).

LAVORI PUBBLICI: Le risposte dell'ANCI.
I livelli di progettazione.
Per piccoli lavori un ente approva prima la progettazione preliminare e poi anche quella definitiva/esecutiva.
La legge è chiara livelli di progettazione devono essere tre. Però nel caso che un’opera non abbia procedure espropriative (il cui avvio parte dalla progettazione preliminare), né vi è bisogno di Conferenze di servizi, depositi ecc. (dove serve quella definitiva) si potrebbe optare per un’unica progettazione, magari chiamandola “progettazione completa preliminare, definitiva ed esecutiva”? E sempre rispettando i documenti di legge di cui gli artt. 17 e seguenti del nuovo regolamento?

La possibilità, ipotizzata nel quesito di accorpare in un’unica progettazione da definire come progettazione “completa” e cioè che pur comprenda tutti gli elementi previsti per ciascuna fase (preliminare, definitiva ed esecutiva) si ritiene di non certa ammissibilità.
Ed infatti, se da una parte l’Avcp con la determinazione n. 9/2005 si è espressa in senso favorevole all’accorpamento, purché la fase esecutiva sia sempre presente ed i lavori non rivestano una particolare complessità e rilevanza economica, la giurisprudenza (anche se formatasi in relazione alla previgente legge n. 109/1994, tuttavia sostanzialmente omologa sul punto) tende a ritenere che il triplice livello previsto “ex lege” preclude impropri accorpamenti o contrazioni, evidenziando come le tre fasi debbano rimanere distinte e separate in quanto ciascuna deve essere elaborata sulla base del livello precedente di cui costituisce uno sviluppo
in termini di complessità e rilevanza con la finalità di garantire la qualità finale dell’opera (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 19.03.2003 n. 1467; 10.01.2002 n. 112 e 11.05.2004 n. 2930).
È stato anche precisato peraltro che tale facoltà di accorpamento non può trovare fondamento nell’ambito del potere del Rup di cui all’art. 16 della L. n. 109/1994 (ora si veda analogamente l’art. 93 del Codice dei contratti pubblici. E anche l’art. 10 del Dpr n. 207/2010), il quale consente di dare una diversa composizione allo studio di fattibilità o una diversa articolazione agli elaborati progettuali tenendo conto della tipologia e rilevanza delle opere da eseguire, poiché tale facoltà non si può mai risolvere in quella di eliminare alcuno dei citati livelli ma solo di adattare, con idonea motivazione, l’elenco dei vari elaborati progettuali in concreto ritenuti necessari (cfr. Cons. Stato, n. 112/2002 citata) (tratto da Guida al Pubblico Impiego n. 10/2011).

EDILIZIA PRIVATA - PUBBLICO IMPIEGO: Le risposte dell'ANCI.
La polizza assicurativa.
Per la locazione e la vendita dei propri immobili, l’amministrazione comunale deve predisporre gli attestati di certificazione energetica (Ace) previsti dalla legge.
Nel proprio organico, l’amministrazione possiede dipendenti che sono abilitati presso il Cened (Certificazione energetica degli edifici) alla redazione della suddetta certificazione.
In base della direttiva 2010/31/Ue del 19.05.2010 sulla prestazione energetica nell’edilizia, i soggetti certificatori, l’alienante e il locatore sono soggetti ad accertamenti a campione; inoltre, la Regione Lombardia, con Lr n. 24/2006, ha previsto sanzioni pesanti in termini economici per i certificatori.

Ciò premesso, si chiede se l’amministrazione comunale possa stipulare una polizza assicurativa, con oneri a proprio carico, a copertura dei rischi nei quali incorre il dipendente pubblico nell’esercizio dell’attività di certificatore energetico effettuata a favore dell’ente, per la vendita e la locazione degli immobili comunali.
Il comune, datore di lavoro di cui trattasi, sulla base delle informazioni fornite può legittimamente richiedere le speciali prestazioni (attestazione di certificazione energetica, Ace).
In ordine alla seconda domanda va inizialmente evidenziato che la materia delle responsabilità in capo a chi svolge le proprie attività lavorative nel sistema pubblico trova trattazione in numerose norme, a partire dall’art. 28 della Costituzione fino al Dlgs n. 267/2000.
In ogni caso, per i generali principi normativi contenuti nelle accennate legislazioni ed il consolidato orientamento della giurisprudenza contabile i dipendenti delle amministrazioni pubbliche non possono essere assicurati con polizze a carico dalla propria amministrazione di appartenenza, per i casi di colpa grave.
Tali principi non possono ritenersi derogati neppure da quelle disposizioni legislative che prevedono in forma generale la copertura assicurativa a carico dell’amministrazione dei rischi connessi ad alcune attività professionali (progettazione, Rup ecc.) Anche in questi casi, infatti, le amministrazioni pubbliche non possono farsi legittimamente carico delle spese per i rischi connessi alle responsabilità derivanti da colpa grave, che rimangono onere dell’assicurato.
Alcune legislazioni regionali, per alcune attività professionali (progettazione, responsabilità Rup ecc.) hanno sancito l’obbligo di stipulare apposite polizze, fermo restando che , come si diceva, i rischi connessi alla responsabilità per colpa grave non possono essere posti a carico dell’amministrazione.
Ancora oggi mancando una obbligatorietà temporale per il committente ente pubblico di assicurare i propri dipendenti, utilizzati nelle diverse figure che concorrono alla realizzazione di lavori pubblici, si verificano le più diverse situazioni di fatto.
L’ente però potrebbe procedere nel caso di specie, in un contesto più ampio di assicurabilità delle responsabilità civili e amministrative dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche, ad assicurare i soggetti interessati in maniera indiretta, mediante una polizza che assicuri l’ente per danni a terzi nell’espletamento dell’attività istituzionale con colpa lieve senza dolo o colpa grave (tratto da Guida al Pubblico Impiego n. 10/2011).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Le risposte dell'ANCI.
Il servizio in convenzione.
Questo comune ha una organizzazione basata su 5 servizi di cui 2 servizi tecnici:
1) servizio tecnico manutentivo con responsabile di cat. D);
2) servizio tecnico-progettuale Ll.Pp urbanistica.
Dal 30 giugno risulta scoperto il posto di responsabile del servizio tecnico-progettuale Ll.Pp urbanistica, per scadenza di un incarico conferito ex art. 110 del Dlgs n. 267/2000. Nel suddetto servizio non risultano categorie D) ma solo 2 categorie C).
Si precisa che l’ente, soggetto a patto di stabilità per l’anno 2011, non rientra nei parametri di cui all’art. 14, co. 9, del Dl n. 78/2010, convertito dalla L. n. 122/2010, per cui risulta impossibile procedere a qualsiasi tipologia di assunzione.
L’amministrazione comunale intende anche per una maggiore funzionalità dei servizi ed in linea con gli stessi principi sanciti dal Dl n. 78/2010, di procedere ad una convenzione per la gestione associata del predetto servizio istituendo un unico ufficio con personale messo a disposizione dagli enti partecipanti, che comunque non dovrà comportare maggiori oneri a carico di questo ente.
In via d’urgenza e temporanea l’amministrazione comunale intende, inoltre, attribuire la responsabilità del servizio ad un dipendente di cat. C) (geometra) assegnato al predetto servizio tecnico progettuale Ll.Pp urbanistica.
Si chiede un parere in ordine alla possibilità di attuare le proposte avanzate dall’amministrazione comunale.
In caso di esito positivo al primo quesito si chiede inoltre un suggerimento in ordine alla possibile organizzazione del servizio tecnico in forma associata così come prospettato.

A parere di chi scrive, la forma più corretta potrebbe essere quella di affidare in attesa della convenzione di cui al quesito la responsabilità del servizio o all’altra P.O. del servizio tecnico o al segretario comunale.
L’organizzazione del servizio in forma associata, attraverso apposita convenzione con altro comune, pare una soluzione corretta nella fattispecie (tratto da Guida al Pubblico Impiego n. 10/2011).

INCARICHI PROGETTUALI: Le risposte dell'ANCI.
Il direttore dei lavori.
Dovendo procedere all’affidamento di un incarico di direzione dei lavori relativi al risanamento conservativo di un immobile scolastico, tutelato dalla Soprintendenza, i cui lavori richiedono qualificate e specifiche competenze tecniche si chiede:
1) se è possibile procedere all’affidamento di che trattasi individuando, mediante procedura prevista dalla normativa vigente, un direttore lavori per le opere architettoniche a cui affidare anche la contabilità; un direttore lavori per le strutture in cemento armato; un direttore lavori per gli impianti meccanici.
2) se è possibile procedere, trattandosi di un incarico di sola direzione lavori, all’affidamento secondo il criterio del prezzo più basso.

L’affidamento dell’incarico di cui al quesito in esame appare soggetto alle disposizioni del Dpr n. 207/2010, entrato in vigore in data 08.06.2011, come si ricava dall’art. 357, co. 9. L’art. 130 del codice impone alle amministrazioni aggiudicatrici di istituire, per l’esecuzione dei lavori pubblici, un ufficio di direzione lavori costituito da un direttore dei lavori ed eventualmente da assistenti.
Il regolamento di esecuzione, in presenza delle condizioni che non consentono lo svolgimento delle attività tecniche connesse alla progettazione ed all’esecuzione da parte delle amministrazioni aggiudicatrici, detta le modalità di affidamento dei servizi attinenti all’architettura ed all’ingegneria nella parte terza, artt. 252 e seguenti.
Inoltre, lo stesso regolamento conferma il disposto del codice riguardo alla costituzione di un ufficio di direzione dei lavori (art. 147) che può essere formato dal direttore, ed eventualmente, secondo le dimensioni, tipologia e categoria dell’intervento, da uno o più assistenti le cui funzioni sono riportate nell’art. 149.
Secondo quanto dispongono sia il codice che il regolamento non appare quindi possibile costituire più uffici di direzione dei lavori, ma occorre concentrare tutta l’attività in un unico ufficio.
Il suddetto regolamento, alla parte terza, dispone anche in merito alle procedure di aggiudicazione dei servizi in esame di importo sia inferiore che superiore a 100mila euro.
All’art. 266 sono dettate le modalità di svolgimento della gara che avviene con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa e con attribuzione di fattori ponderali stabiliti dall’amministrazione entro i valori fissati dalla citata norma (tratto da Guida al Pubblico Impiego n. 10/2011).

DOTTRINA E CONTRIBUTI

PUBBLICO IMPIEGO: A. Trovato, Onnicomprensività e prestazioni aggiuntive.
Il principio di onnicomprensività della retribuzione dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni nel nostro ordinamento deve essere correlato, da una parte, ai principi di privatizzazione e contrattualizzazione del rapporto di pubblico impiego, dall’altra all’obbligo di fedeltà ed imparzialità imposto ai dipendenti pubblici dagli artt. 98, co. 1 (“i pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione”) e 54, co. 2 (“i cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore”) della nostra Costituzione.
Preliminarmente, va precisato che nel diritto del lavoro per onnicomprensività si intende l’unitarietà della retribuzione, la quale include tutti indistintamente i compensi recanti i caratteri di continuità, obbligatorietà, corrispettività, determinatezza e/o determinabilità.
Invero, con la privatizzazione del pubblico impiego la fonte del rapporto è costituita dal contratto collettivo e la disciplina del trattamento economico spettante al dipendente della pubblica amministrazione è contenuta esclusivamente in tale atto. Pertanto, il riconoscimento del diritto a percepire una voce stipendiale e/o indennitaria deve necessariamente trovare fondamento nel documento delle parti sociali, come espressamente disposto dall’art. 45 del Dlgs n. 165/2001, nel quale si dispone che “il trattamento economico fondamentale ed accessorio è definito dai contratti collettivi”. (... continua) (Guida al Pubblico Impiego n. 10/2011).

APPALTI SERVIZI: DOSSIER - La nuova disciplina dei servizi pubblici locali alla luce del decreto-legge n. 138 del 13.08.2011 convertito, con modifiche, dalla legge n. 148 del 14.09.2011 (ANCI, XXVIII Assemblea Anci - Brindisi, 05-08.10.2011).

AMBIENTE-ECOLOGIA: R. Camisa e A. Valentino, L’organizzazione di un deposito temporaneo dei rifiuti (link a www.lexambiente.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: G. Aiello, Lo scippo ai Comuni dei proventi delle sanzioni degli abbandoni dei rifiuti: L’errore del testo Unico Ambientale che costa caro alle casse comunali e ciò che nessuno a mai detto in merito proposte e soluzioni (link a www.lexambiente.it).

URBANISTICA: L. Spallino, Nuovo Piano Casa Lombardia: la pubblicazione on-line degli atti di PGT (link a http://studiospallino.blogspot.com).

APPALTI: P. Leozappa, IL DIVIETO DI RIBASSO D’ASTA SUL COSTO DEL LAVORO - Intervento al Convegno: Il decreto sviluppo è legge. Con modifiche, e quindi con problemi applicativi - organizzato da IGI in Roma il 20.09.2011 (link a www.osservatorioappalti.unitn.it).

APPALTI: G. Guidarelli, IL REGIME DI AGGIUDICAZIONE DEGLI APPALTI DI IMPORTO INFERIORE ALLA SOGLIA COMUNITARIA NEL SETTORE DELLA GESTIONE DELLE INFRASTRUTTURE AEROPORTUALI, TRA CODICE DEI CONTRATTI E REGOLAMENTAZIONE INTERNA ALLA STAZIONE APPALTANTE - articolo estratto e aggiornato dalla Rivista Trimestrale degli Appalti, n. 4/2010, 1181-1223 (link a www.osservatorioappalti.unitn.it).

APPALTI: G. Marchianò, L’ANALISI ECONOMICA DEL DIRITTO E LA FINANZA DI PROGETTO: UN METODO ALTERNATIVO DI ANALISI (link a www.osservatorioappalti.unitn.it).

APPALTI: G. M. Di Paolo, L’AVVALIMENTO NEL REGOLAMENTO ATTUATIVO DEL CODICE DEI CONTRATTI PUBBLICI - Intervento al Convegno di aggiornamento organizzato a Milano per Convenia, 22.02.2011 (link a www.osservatorioappalti.unitn.it).

APPALTI: A. Bonanni, FLUSSI E TEMPI DI PAGAMENTO DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE: IL RECEPIMENTO DELLA NUOVA DIRETTIVA CONTRO I RITARDATI PAGAMENTI - Intervento al Convegno organizzato dal Comune di Pisa, 24.02.2011 (link a www.osservatorioappalti.unitn.it).

APPALTI: R. De Nictolis, LA QUALIFICAZIONE NEL NUOVO REGOLAMENTO DI ATTUAZIONE DEL CODICE DEGLI APPALTI PUBBLICI - Intervento al Convegno: Un regolamento per ogni decennio? Il DPR 207/2010: prime riflessioni - organizzato da IGI in Roma, 27.01.2011 (link a www.osservatorioappalti.unitn.it).

APPALTI: B. Veca, RIFLESSIONI A MARGINE DEL NUOVO REGOLAMENTO DI ATTUAZIONE DEL CODICE DEGLI APPALTI PUBBLICI - Intervento al Convegno: Un regolamento per ogni decennio? Il DPR 207/2010: prime riflessioni - organizzato da IGI in Roma, 27.01.2011 (link a www.osservatorioappalti.unitn.it).

APPALTI: A. Bonanni, LA PRIMA APPLICAZIONE DELLA CAUSA DI ESCLUSIONE DI CUI ALLA LETTERA M-TER) DELL’ART. 38 DEL CODICE DEI CONTRATTI PUBBLICI (link a www.osservatorioappalti.unitn.it).

APPALTI: M. Cozzio, AGGIUDICAZIONE ILLEGITTIMA E RISARCIMENTO DEL DANNO: QUALCOSA STA CAMBIANDO? Prime osservazioni a Corte di giustizia, C-314/09, del 30.09.2010, Stadt Graz (link a www.osservatorioappalti.unitn.it).

APPALTI SERVIZI: C. Tosolini, SULL’OBBLIGO DI SPECIFICARE LE “PARTI DEL SERVIZIO” CHE SARANNO ESEGUITE DAI SINGOLI OPERATORI ECONOMICI RIUNITI IN R.T.I. - Note a sentenza del TRGA di Trento, 25.02.2009 n. 59 e del Cons. Stato, Sez. IV, 02.11.2009 n. 6787 (link a www.osservatorioappalti.unitn.it).

APPALTI: M. Cozzio, CAMBIA LA NOZIONE DI OPERATORE ECONOMICO: LA CORTE DI GIUSTIZIA CONFERMA LA PARTECIPAZIONE ALLE GARE PUBBLICHE DI UNIVERSITÀ, ENTI NO PROFIT, IMPRESE SOCIALI, FONDAZIONI ED ALTRE ORGANIZZAZIONI - Nota alle sentenze della Corte di giustizia C-305/08 del 23.12.2009 e C-357/06 del 18.12.2007 (link a www.osservatorioappalti.unitn.it).

APPALTI SERVIZI: A. Santuari, LE COOPERATIVE SOCIALI E I SERVIZI PUBBLICI LOCALI: BREVI CONSIDERAZIONI SULL’AFFIDAMENTO DEI SECONDI ALLE PRIME - da Giustamm, 05.2010 (link a www.osservatorioappalti.unitn.it).

APPALTI SERVIZI: C. Tosolini, QUALCHE CONSIDERAZIONE SULL’ART. 13 DEL D.L. 223/2006 (DECRETO BERSANI) - Note alla sentenza del TRGA di Trento, 14.09.2009 n. 239 (link a www.osservatorioappalti.unitn.it).

APPALTI: A. Borroni, IL DANNO DA INADEMPIMENTO DEL COMMITTENTE: PER UNA RICOSTRUZIONE EVOLUTIVA DELL’INADEMPIMENTO DELL’OBBLIGAZIONE PECUNIARIA. SPUNTI DI DIRITTO COMUNITARIO E COMPARATO (link a www.osservatorioappalti.unitn.it).

APPALTI: M. Cozzio e L. Ghezzo, LA TUTELA CAUTELARE ANTE CAUSAM NEL CODICE DEGLI APPALTI PUBBLICI: ORIGINI COMUNITARIE ALLA BASE DI UNO STRUMENTO ANCORA POCO UTILIZZATO - estratto da Informator, 3, 2009 (link a www.osservatorioappalti.unitn.it).

APPALTI: L. V. Moscarini, RIFLESSIONI SUL NUOVO DIRITTO DEI CONTRATTI PUBBLICI (A MARGINE DI UNA RACCOLTA DI SCRITTI IN MEMORIA DI MICHELE PALLOTTINO) - Intervento al Convegno organizzato da IGI in Roma, 22.10.2009 (link a www.osservatorioappalti.unitn.it).

APPALTI SERVIZI: V. M. Leone, IN HOUSE: OSSIA DELL’AUTONOMIA DECISIONALE DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE - estratto da Franchini C., Tedeschini F. (a cura di), Una nuova pubblica amministrazione: aspetti problematici e prospettive di riforma dell'attività contrattuale, 2009 (link a www.osservatorioappalti.unitn.it).

APPALTI: R. De Nictolis, LE NOVITÀ DELL’ESTATE IN MATERIA DI OFFERTE ANOMALE - Intervento al Convegno organizzato da IGI in Roma, 23.09.2009 (link a www.osservatorioappalti.unitn.it).

APPALTI: F. A. Caputo, MANCATA SPECIFICAZIONE DEI SUB-CRITERI: IMPUGNABILITÀ IMMEDIATA? - Intervento al Convegno organizzato da IGI in Roma, 23.09.2009 (link a www.osservatorioappalti.unitn.it).

APPALTI: M. De Vita, LA CESSIONE DEL CREDITO ED I RIMEDI PER I RITARDI NEI PAGAMENTI DELLA PA. ELEMENTI NORMATIVI GIURISPRUDENZIALI E DI PRASSI - Intervento al Convegno organizzato da IGI in Roma, 23.09.2009 (link a www.osservatorioappalti.unitn.it).

APPALTI: S. Cacace, L’ART. 38 DEL CODICE 163: DUBBI DI COSTITUZIONALITÀ E DI CONFORMITÀ COMUNITARIA. FALSI CERTIFICATI E FALSE DICHIARAZIONI: FATTISPECIE E SANZIONI - Intervento al Convegno organizzato da IGI in Roma, 28.05.2009 (link a www.osservatorioappalti.unitn.it).

CORTE DEI CONTI

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Progressioni economiche orizzontali.
La Corte dei Conti Sez. Reg.le Campania, col parere 24.10.2011 n. 482, dopo aver esposto le proprie tesi (particolarmente argomentate in diritto) e di contrario avviso rispetto a quelle di altre sezioni regionali (in particolare Lombardia) propone il deferimento alle SS.RR. delle seguenti questioni di massima:
- "se le progressioni economiche orizzontali previste dall'art. 23 del d.lgs. 27.10.2009 n. 150 ricadano o meno nell'accezione 'progressioni di carriera comunque denominate', e, dunque nel regime giuridico ed economico di contenimento delle spese in materia di pubblico impiego previsto dall'art. 9, comma 21, del decreto legge 31.05.2010 n. 78, convertito, con modificazioni, nella legge 30.07.2010 n. 122";
- "se, nell'ipotesi in cui le progressioni economiche orizzontali non dovessero essere ricomprese nel novero delle 'progressioni di carriera comunque denominate' ai sensi dell'art. 9, comma 21, del decreto legge 31.05.2010 n. 78, convertito, con modificazioni, nella legge 30.07.2010 n. 122, dette progressioni economiche orizzontali debbano o meno essere considerate -ai fini dell'esclusione dal tetto economico di cui al comma 1 dell'art. 9 del decreto legge n. 78 del 2010- 'eventi straordinari della dinamica retributiva', con ogni conseguenza anche in ordine all'efficacia e alla retroattività dei relativi provvedimenti, anche qualora questi ultimi fossero adottati ex novo nell'arco del triennio 2011-2013" (commento tratto da www.publika.it).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Trasformazione part-time in full-time e vincoli in materia di personale.
La Corte dei Conti, Sez. Reg.le Piemonte, con parere 21.10.2011 n. 124, considera tutti gli aspetti legati alla trasformazione a tempo pieno di un rapporto di lavoro a tempo parziale in ente non soggetto alle regole del patto di stabilità interno (commento tratto da www.publika.it).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGOL'ente anticipa le spese legali. Un parere della Corte conti Lombardia.
In caso di procedimento penale a carico di dipendente di un ente locale per fatti attinenti l'attività di servizio, nulla vieta alla stessa amministrazione locale di poter anticipare i costi relativi alle spese legali. Infatti, come precisa l'articolo 67 del dpr n. 268/1987, tale scelta non appare incompatibile con la previsione secondo cui la pubblica amministrazione «assumerà a proprio carico ogni onere di difesa sin dall'apertura del procedimento». Tuttavia, regole di prudenza impongono che l'ente dovrà cautelarsi prevedendo la ripetizione di tali spese in funzione dell'esito del giudizio penale.
È quanto ha chiarito la sezione regionale di controllo della Corte dei conti per la Lombardia, nel testo del parere 18.10.2011 n. 528, rispondendo in tal senso ad un'istanza pervenuta dal comune di Robecco sul Naviglio (Mi).
La decisione da parte dell'amministrazione comunale di provvedere o meno al pagamento delle spese di lite in favore di un proprio dipendente, «deve essere frutto di una valutazione propria, nel rispetto delle previsioni legali e contrattuali, che rientrano nelle prerogative esclusive dei relativi organi decisionali». Ora, l'articolo 28 del Ccnl 14.09.2000 del comparto regioni ed autonomie locali, richiamando l'articolo 67 del citato dpr n. 268/1987, prevede che, in caso di apertura di procedimento penale a carico di dipendenti per fatti o atti connessi all'adempimento di compiti d'ufficio, l'ente, a tutela dei propri diritti ed interessi, può assumere a proprio carico ogni onere di difesa sin dall'apertura del procedimento. Ovviamente, in caso di sentenza esecutiva di condanna, l'ente dovrà ottenere dal dipendente tutti gli oneri sostenuti per la sua difesa.
Pertanto, in riferimento all'oggetto del parere, ovvero alla possibilità di anticipare le spese legali al dipendente sottoposto a procedimento penale, il collegio della magistratura contabile lombarda ha sostenuto che, sempre nel rispetto del requisito del «comune gradimento» dell'avvocato difensore e al verificarsi dei presupposti previsti dalla normativa, tale possibilità non appare incompatibile con l'ampia previsione contrattuale secondo cui la pubblica amministrazione «assumerà a proprio carico ogni onere di difesa sin dall'apertura del procedimento» (articolo ItaliaOggi dell'01.11.2011 - tratto da www.ecostampa.it).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGOEnti, progetti doc. Chiarezza su obiettivi, tempi, risorse. Corte conti Campania: in caso contrario è danno erariale.
Negli enti locali, l'avvio di un progetto obiettivo che coinvolga i dipendenti in attività che esulano dai normali compiti d'istituto e caratterizzati da una situazione di eccezionalità, deve possedere tutti i requisiti previsti dalle normative vigenti e dai contratti collettivi di settore. In particolare, devono essere presenti documenti che attestino la loro corretta elaborazione, che deve dar conto del personale coinvolto, dei tempi di attuazione, del responsabile, della verifica dei risultati e della successiva corresponsione dei benefici economici. In mancanza di ciò e sostanziandosi in una mera elargizione a pioggia ai dipendenti coinvolti, la condotta del dirigente responsabile di tale «progetto obiettivo» causa danno erariale.
È quanto ha deciso la Corte dei conti Campania, nel testo della sentenza 13.10.2011 n. 1808, che ha condannato un dirigente comunale per una serie di irregolarità commesse in sede di determinazione e applicazione del fondo per il trattamento accessorio previsto dall'art. 15 del Ccnl dell'01/04/1999 per il personale non dirigenziale degli enti locali.
In particolare, si è contestato al convenuto di aver liquidato compensi relativi a due progetti obiettivo, riferiti all'intervento straordinario di rimozione Rsu da parte dei dipendenti del servizio igiene urbana, senza che siano state rispettate le condizioni normativamente previste per il loro finanziamento (art. 45, comma 3, del dlgs n. 156 del 2001; artt. 17 e 18 del Ccnl per il personale del comparto delle regioni-enti locali; all'art. 30 del contratto collettivo decentrato per il periodo 1998-2001). L'accusa è quella che alla base di tali progetti non vi sia stata alcuna evidenza documentale sulla loro corretta elaborazione, intesa come personale da coinvolgere, verifica dei risultati e della corresponsione dei benefici solo dopo la citata verifica.
In breve, i progetti non sono stati redatti preventivamente, risolvendosi in una mera distribuzione di somme a consuntivo, né risultava una certificazione da parte del nucleo di valutazione interno, nonostante la previsione dell'art. 6 del Ccnl del 31/03/1999.
Secondo il collegio giudicante i rilievi mossi dalla procura appaiono condivisibili. È stato evidenziato, pertanto, come per i progetti obiettivo in esame non risultano essere state rispettate le condizioni normativamente previste per il loro finanziamento, cosicché, l'utilizzo dei fondi ha determinato, in tale circostanza, un pregiudizio patrimoniale alle casse comunali per la loro distribuzione a pioggia.
Passando al quantum del danno, il collegio ha ritenuto sussistente, in questo caso, l'esercizio del cosiddetto potere riduttivo (ex art. 52, comma 2, rd 1214/1934), specificando che «il particolare contesto in cui i fatti si sono verificati (periodo di emergenza rifiuti per la cittadinanza) e l'intento verosimile del convenuto di incrementarne la raccolta», può determinare una riduzione del 50% del danno erariale addebitatogli (articolo ItaliaOggi del 29.10.2011 - tratto da www.ecostampa.it).

CONSIGLIERI COMUNALILa partecipata aggira il patto? Il sindaco «paga».
Con le società partecipate non si può più scherzare: la gestione dissennata dell'azienda, che si concretizzi in comportamenti volti ad aggirare i vincoli imposti all'ente locale in ordine alla spesa di personale e al patto di stabilità, comporta danno erariale, per il quale rispondono sia gli amministratori del Comune, sia quelli della società partecipata.
Questo, in sintesi, il contenuto della sentenza 21.09.2011 n. 402 della Corte dei Conti, Sez. I giurisdizionale centrale.
Il casus belli è rappresentato da una società mista, di proprietà per i due terzi dal Comune. Scopo della società, risultante nello statuto e nell'atto costitutivo, doveva identificarsi nel conseguimento di una maggior efficienza ed economicità dei servizi pubblici alla stessa affidati. In realtà, era servita per perseguire scopi di tipo occupazionale, volti a stabilizzare una serie di lavoratori socialmente utili. Scopi estranei alle regole di buona amministrazione, non sostenibili dal punto di vista economico e che hanno comportato, nella società, il susseguirsi di risultati deficitari. Queste perdite sociali, riservate nella contabilità del comune, ne hanno determinato il dissesto.
Innanzitutto la Corte dei conti ha riconosciuto la propria giurisdizione in materia. Infatti la gestione non oculata della società non ha prodotto effetti negativi limitati al patrimonio del stessa società, fattispecie per la quale la giurisprudenza consolidata della Corte di cassazione ha escluso la competenza dei magistrati contabili. Le perdite sociali hanno comportato danno al Comune e, di conseguenza, al patrimonio pubblico, sul quale vigila la Corte dei conti. Ad avvalorare la tesi, vi è la sussistenza del rapporto di servizio e le finalità pubbliche che la società perseguiva.
La Corte delinea con precisione il confine oltre il quale non possono spingersi le scelte discrezionali indiscutibilmente in mano agli amministratori, sia dell'ente locale che delle sue società partecipate. Il confine trova fondamento nel dettato costituzionale della buona amministrazione, che si concretizza nel rispetto delle regole di sana ed economica gestione. E sicuramente non può rinvenirsi quando, a fronte di uno strumento di per sé legittimo e idoneo a perseguire il fine dichiarato (la costituzione della società), viene messo in atto un comportamento attraverso il quale si tenta di raggiungere scopi diversi da quelli esplicitati (stabilizzazioni), adottando atti che, naturalmente, risultano illegittimi per sviamento di potere. Ne discende la conferma della competenza della Corte dei conti, la quale potrà sindacare in merito alla malagestione, in ipotesi di danno erariale.
Il principio può essere esteso anche ad altre scelte effettuate dalle società partecipate, tipicamente in merito ad azioni volte ad aggirare i vincoli in tema di patto di stabilità. I magistrati contabili condannano in primo luogo il sindaco e l'assessore del comune, attribuendo loro la metà del danno riconosciuto (oltre 200mila euro ciascuno), e, in secondo luogo, il presidente e l'amministratore della società, che partecipano per il 30% al risarcimento (oltre 120mila euro a testa). In via residuale sono coinvolti i componenti della giunta; esclusi anche i revisori dei conti, i quali hanno collaborato con il consiglio comunale per la verifica sulla società (articolo Il Sole 24 Ore del 31.10.2011 - tratto da www.corteconti.it).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Divieto di incremento del valore dei buoni pasto.
La Corte dei Conti, Sez. Reg.le Puglia, con parere 14.09.2011 n. 63, si pronuncia sulla possibilità di incremento del valore dei buoni pasto, in relazione al disposto dell'art. 9, comma 1, del D.L. 78/2010 (conv. in L. 122/2010). Le conclusioni (conformi a precedente pronuncia della Corte Conti Toscana e alla circolare RGS n. 12/2011):
- la disciplina dell'art. 9 del D.L. 78/2010 "prevede misure di contenimento finalizzate a garantire l'invarianza dei trattamenti retributivi nel triennio di riferimento e che tale invarianza deve riguardare anche il valore dei buoni pasto la cui misura non può essere incrementata nel medesimo triennio in considerazione del fatto che, ai sensi dell'art. 51 comma 2, lett. c), del T.U.I.R., i buoni pasto costituiscono redditi da lavoro dipendente per importi superiori a euro 5,29.".
- "Ne consegue, ad avviso del Collegio, che qualora il valore del buono pasto non sia superiore a euro 5,29 non costituisce reddito da lavoro dipendente e pertanto non soggiace ai vincoli imposti dall'art. 9 del citato D.L. 78/2010." (commento tratto da www.publika.it).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Mobilità, valore della posizione economica, fondo per le risorse decentrate.
La Corte dei Conti, Sez. Reg.le Friuli Venezia Giulia, con parere 07.09.2011 n. 75, affronta -alla luce della normativa generale e di quella specifica regionale- i temi legati all'espletamento di procedure di mobilità che si concludano con l'acquisizione di personale inquadrato in categoria economica superiore rispetto a quella della posizione dotazionale resasi vacante (commento tratto da www.publika.it).

EDILIZIA PRIVATA - PUBBLICO IMPIEGO: In tema di responsabilità di un dipendente comunale, geometra responsabile del procedimento, per danno erariale derivante dall’esborso sostenuto dall’Ente locale quale sanzione amministrativa per lavori di costruzione di un impianto di depurazione ed ampliamento della rete fognante in assenza di preventivo nulla osta paesaggistico.
Il danno erariale del quale si discute ha ad oggetto la somma versata dal Comune di Altomonte quale sanzione per le opere di ristrutturazione e potenziamento di un impianto di depurazione già esistente –ubicato all’interno di una zona boschiva– senza la previa richiesta del nulla osta paesaggistico in violazione del D.Lgs. n. 490/1999, art. 151, norma vigente all’epoca dei fatti.
Da tale violazione sarebbe infatti dipesa la sanzione a carico del Comune di appartenenza del geom. ... da parte della regione Calabria per euro 3.450,50, al fine di ottenere la relativa sanatoria, con conseguente procedimento di danno erariale a carico del dipendente comunale geom. ... in qualità di responsabile del relativo procedimento.
Assume parte appellata che il suddetto nulla osta paesaggistico non è stato richiesto in quanto non necessario, e che, per tale ragione, se il Comune ha inteso pagare la sanzione irrogata dalla Regione anziché contestarne la fondatezza, imputet sibi.
Osserva il Collegio che la normativa vigente all’epoca dei fatti –art. 151, I e II comma, D.Lgs. n. 490/1999, abrogato con decorrenza dall'01.05.2004 ad opera dell’art. 184 del D.Lgs. n. 42 del 22.01.2004– così testualmente dispone: “I proprietari, i possessori o detentori a qualsiasi titolo di beni ambientali inclusi negli elenchi pubblicati a norma dell’articolo 140 o dell’articolo 144 o nelle categorie elencate all’articolo 146 non possono distruggerli né introdurvi modificazioni, che rechino pregiudizio a quel loro esteriore aspetto che è oggetto di protezione.
I proprietari, possessori o detentori a qualsiasi titolo dei beni indicati al comma 1, hanno l’obbligo di sottoporre alla Regione i progetti delle opere di qualunque genere che intendano eseguire, al fine di ottenerne la preventiva autorizzazione
”.
Con la ulteriore rilevante precisazione –art. 152, lettera a), D.Lgs. n. 490/1999– che la predetta autorizzazione non è comunque necessaria relativamente alla realizzazione di opere e attività di manutenzione straordinaria.
Nel caso di specie, come acclarato anche in primo grado, si trattava di un lavoro di ampliamento di un impianto già esistente mediante l’interramento di una vasca settica a cielo aperto (cfr. pag. 10 sentenza n. 280/2009).
In altre parole, il Comune ha provveduto a sostituire un canale di scolo di acque nere che confluivano in un’unica vasca di raccolta a cielo aperto, priva dei più basilari requisiti igienico-sanitari, con un depuratore –suddiviso in più vasche– completamente interrato.
Il tutto con un intervento che il Comune medesimo ha definito come “opera pubblica di necessità ed urgenza” (cfr. lettera Comune del 28.02.2005).
Siffatta qualificazione delle opere eseguite quali attività di manutenzione straordinaria che non necessitavano di alcuna autorizzazione paesaggistica (art. 152, lett. a), D.Lgs. n. 490/1999) è resa evidente dalla circostanza che nella fattispecie all’esame non si discute affatto della realizzazione ex novo di una rete fognaria, bensì dell’ammodernamento (rectius: messa a norma) di un inadeguato impianto preesistente mediante realizzazione di vasche di depurazione.
Per tale ragione –attesa, altresì, la pacifica necessità ed urgenza dell’opera– il geom. ..., in qualità di responsabile del procedimento, non ha reputato necessaria l’autorizzazione paesaggistica, ai sensi e per gli effetti di cui alla normativa summenzionata (art. 152 cit.) in quanto gli interventi realizzati sono stati considerati come di straordinaria manutenzione e non come realizzazione di nuova opera.
Ed inoltre, sotto il profilo oggettivo, la correttezza della condotta tenuta da parte appellata si evincerebbe anche nel caso in cui le opere realizzate non fossero qualificabili quale intervento di manutenzione straordinaria bensì quale realizzazione di nuova opera.
In tal caso essa deriverebbe direttamente dall’art. 151 D.Lgs. n. 490/1999, anziché dal successivo art. 152 (relativo, per l’appunto, alle sole opere di manutenzione straordinaria).
In merito, osserva il Collegio che è quanto mai significativo che le opere realizzate non hanno determinato alcun pregiudizio di tipo esteriore/estetico, in quanto del tutto interrate.
La stessa relazione tecnica allegata al progetto, a firma dell’ing. ... e dell’ing. ..., precisa che “La tipologia costruttiva di tipo interrato e coperto non reca danno al paesaggio di primo piano. In conclusione l’intervento non apporta una modifica irreversibile del paesaggio e delle caratteristiche naturali ed ambientali dell’area e del territorio circostante”.
E’ pur vero che il capoverso del citato art. 151 richiede l’autorizzazione preventiva per il compimento di “opere di qualunque genere”, ma il primo comma della medesima norma si occupa di prevenire e reprimere eventuali pregiudizi all’aspetto esteriore/estetico dei beni tutelati: pregiudizio che nella fattispecie non è neppure ipotizzabile, attesa la peculiare tipologia di intervento (interrato) attuato.
Si deve pertanto convenire che una lettura sistematica dei due commi in parola impone di ritenere che il nulla osta paesaggistico deve essere richiesto per la realizzazione di opere di qualsiasi genere ma sempre che le stesse possano incidere –per le loro caratteristiche e modalità organizzative– sul bene tutelato, il paesaggio, in caso contrario non essendo necessario acquisire alcun preventivo nulla-osta paesaggistico.
Nella fattispecie, pertanto, difetta il presupposto necessario di applicazione del citato art. 151 capoverso: non ha alcun senso parlare di tutela paesaggistica esteriore a fronte di un’opera interrata.
Stante tale situazione oggettiva, corrette appaiono le motivazioni della sentenza appellata, che ha ritenuto di escludere, in capo al geom. ..., il requisito soggettivo della colpa grave.
La Corte regionale ha rilevato come la corretta esegesi della normativa di settore non fosse di immediata individuazione in considerazione:
a) della oggettiva complessità della normativa in materia paesaggistica anche alla luce della necessità di operare un coordinamento tra le norme medesime (artt. 151 e 152 del D.Lgs. n. 490/1999);
b) delle concrete modalità di realizzazione delle opere (interrate e comunque di intervento su manufatti preesistenti);
c) della specifica formazione culturale del convenuto (geometra) che, seppure dotato di padronanza delle regole tecniche, non sempre è in grado di valutare con dimestichezza l’esegesi giuridica.
La scusabilità dell’eventuale errore, pertanto, appare idoneo a ritenere corretto escludere ogni addebito di colpa grave in capo alla parte appellante per la buona fede con cui agito.
Per le considerazioni che precedono, l'appello della parte pubblica si appalesa infondato e deve essere respinto, con conseguente conferma dell'impugnata sentenza di prime cure (Corte dei Conti, Sez. I centrale d'appello, sentenza 31.08.2011 n. 356).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Rimborso spese di missione al personale in convenzione: ancora consentito.
La Corte dei Conti, Sez. Reg. Calabria, con parere 30.06.2011 n. 356, in parziale difformità con gli orientamenti consolidati (ivi comprese SS.RR. 8 e 9/2011), su quanto in oggetto, così conclude: "Ciò non di meno, il Comune di Canna, ai sensi dell'art. 9 della legge n. 417/1978, è tuttora legittimato ad autorizzare il personale dipendente all'uso del proprio mezzo di trasporto, se più conveniente economicamente per l'Amministrazione comunale, allo scopo di far fronte a particolari esigenze di servizio, che il medesimo Ente avrà cura di individuare con provvedimento motivato e responsabile, nel rispetto del limite quantitativo di spesa fissato dall'art. 6, comma 12, del D.L. 78/2010, convertito in legge n. 122/2010 (50% della spesa per missioni sostenute nell'anno 2009)" (commento tratto da www.publika.it).

NEWS

ENTI LOCALIVideosorveglianza doc. Sistemi autorizzati dal Garante privacy. I comuni sorvegliati speciali.
I sistemi pubblici di videosorveglianza intelligente devono essere preventivamente autorizzati dal garante.
Lo ha chiarito l'Autorità per la protezione dei dati personali con la nota 13.09.2011 n. 18197.
Il comune di Grugliasco ha richiesto chiarimenti circa l'implementazione del proprio sistema di videosorveglianza con tecnologie evolute, in grado di focalizzare l'attenzione del grande fratello su ambiti specifici, in concomitanza con eventi che attivano il sistema elettronico.
La legge 38/2009 di conversione del dl 11/2009, ha modificato sensibilmente il panorama normativo in materia di videosorveglianza. Le immagini raccolte dagli impianti comunali possono ora essere utilizzate anche per la tutela della sicurezza urbana e conservate fino ai sette giorni. L'utilizzo delle tecniche di videosorveglianza locale è sempre stato collegato alle finalità tradizionali dei comuni ovvero il controllo del traffico e la tutela delle proprietà comunali.
Ma non certo per vigilanza di polizia urbana in senso stretto. Questa attività, infatti, è di recente istituzione e deriva dal pacchetto sicurezza che ha riformulato l'art. 54 del testo unico enti locali. In pratica ai sensi del dl 92/2008, il legislatore ha ammesso la partecipazione diretta dei comuni a questioni prima riservate a polizia e carabinieri. Ora riconoscere ai comuni la possibilità di utilizzare la videosorveglianza per la tutela della sicurezza urbana equivale ammettere l'uso di questi impianti per l'esercizio di una nuova attività di polizia.
Il primo risultato apprezzabile è stato innanzitutto quello di non dover più utilizzare immagini a bassa definizione. Ma anche di poter conservare i dati per un lasso di tempo ragionevole, senza informativa nelle zone a rischio, previa opportuna valutazione del comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza. Attenzione però agli impianti più sofisticati.
In questo caso prima dell'attivazione servirà l'esame preventivo del Garante. Specifica infatti il parere del 13 settembre scorso che «con specifico riferimento ai sistemi di videosorveglianza intelligenti il garante ha disposto, in particolare, che devono essere sottoposti alla verifica preliminare dell'autorità i sistemi che non si limitano a riprendere e registrare le immagini, ma sono in grado di rilevare automaticamente comportamenti o eventi anomali, segnalarli ed eventualmente registrarli» (articolo ItaliaOggi dell'01.11.2011 - tratto da www.ecostampa.it).

ENTI LOCALIFisco federale, riparte il cantiere. Tagli agli enti locali compensati da maggiori poteri fiscali. Primo via libera del governo al decreto correttivo: dall'Imu alla Res, ecco le nuove misure.
Riapre il cantiere del federalismo fiscale. A poco più di un mese dalla pubblicazione del decreto «premi e sanzioni», che ha chiuso la prima fase di attuazione della legge 42/2009 (si veda ItaliaOggi Sette del 15.08.2011), il consiglio dei ministri ha approvato in via preliminare il primo decreto correttivo, destinato a modificare ben quattro degli otto precedenti decreti attuativi finora approdati in Gazzetta Ufficiale.
Nel frattempo, il percorso della riforma è divenuto via via sempre più accidentato, a causa dell'incrocio pericoloso con le recenti manovre finanziarie, che hanno pesantemente colpito i bilanci di regioni ed enti locali, inducendo molti a decretare la «morte clinica» del sogno federale.
Non sorprende, pertanto, che gli interventi più significativi puntino a restituire un po' di ossigeno a sindaci e presidenti di provincia, agendo, peraltro, soprattutto sul lato delle entrate, secondo una logica che dalla fiscalizzazione dei trasferimenti si sta spostando sempre di più verso una sorta di «fiscalizzazione dei tagli».
La strada, insomma, pare essere quella di compensare (almeno in parte) questi ultimi mediante il rafforzamento dei poteri di manovra della leva fiscale a livello locale. Possono leggersi in questa prospettiva, per quanto riguarda i comuni, l'introduzione del nuovo tributo comunale Rifiuti e servizi (Res). l'anticipazione dell'entrata in vigore dell'Imu (anche se probabilmente con un'aliquota più bassa di quella al momento prevista) e l'estensione a tutti dell'imposta di soggiorno (anche se le potenzialità di tale misura paiono decisamente modeste).
Rispetto alla province, invece, spicca soprattutto il via libera immediato alla maggiorazione dell'Ipt, che va ad aggiungersi, nell'arsenale a disposizione degli enti di area vasta (in attesa della loro promessa abolizione), al prelievo sulla Rc auto, sbloccato fin da subito.
Basterà a placare la sete di risorse (e le vibranti proteste) degli amministratori locali? Al momento non è dato saperlo.
Nel mirino case e automobili. Stavolta colpiti anche i residenti. Nuova, piccola rivoluzione per la fiscalità locale: Imu al via dal 2013, insieme al nuovo tributo comunale Rifiuti e servizi (Res). Decollo immediato per l'Ipt maggiorata.
Sono i contenuti più importanti del primo decreto correttivo del federalismo fiscale, che interviene chirurgicamente su alcuni passaggi chiave dei dlgs. 23/2011 (fisco municipale) e 68/2011 (fisco provinciale e regionale).
Per quanto concerne la nuova imposta comunale sugli immobili, il governo, dopo non pochi tentennamenti, ha finalmente deciso di accelerare i tempi, accogliendo le richieste dei sindaci, anche se solo in parte dato che molti primi cittadini puntavano a incassarne i proventi già dal prossimo anno. L'anticipo scatterà invece nel 2013 e riguarderà sia l'imposta municipale propria che l'imposta municipale secondaria.
Mentre quest'ultima prenderà il posto di una serie di balzelli minori (tassa per l'occupazione di spazi e aree pubbliche, canone di occupazione di spazi e aree pubbliche, imposta comunale sulla pubblicità e diritti sulle pubbliche affissioni, canone per l'autorizzazione all'installazione dei mezzi pubblicitari, oltre all'addizionale ex Eca), la prima, come noto, sostituirà l'Ici, nonché l'Irpef e le relative addizionali dovute in relazione ai redditi fondiari per beni non locati, a eccezione, ovviamente, delle prime case. La relativa aliquota, però, potrebbe essere abbassata (forse dal 7,6 al 6,6 per mille), per fare spazio alla new entry, il Res, che scatterà anch'esso nel 2013 (previa adozione, entro il 31.10.2012, di un regolamento governativo per la determinazione della tariffa relativa alla parte ambientale).
Tale tributo, in effetti, sarà strutturato in due componenti: la prima sarà istituita a fronte del servizio di gestione dei rifiuti soldi urbani e dei rifiuti assimilati avviati allo smaltimento svolto dai comuni in regime di privativa, la seconda a fronte dei servizi indivisibili erogati dai medesimi comuni, quali, per esempio, illuminazione, pulizia, polizia locale e così via.
Il Res sui rifiuti sarà dovuto da chiunque possieda, occupi o detenga a qualsiasi titolo locali o aree scoperte, a qualsiasi uso adibiti, suscettibili di produrre rifiuti, inglobando le forme di prelievo attualmente esistenti (Tarsu, Tia1 e Tia2). A prima lettura, peraltro, la nuova disciplina lascia intatti i dubbi sulla sua natura tariffaria o tributaria: il Res rifiuti, infatti, dovrà bensì essere pagato in base ad una tariffa commisurata alla quantità e qualità medie ordinarie dei rifiuti prodotti per unità di superficie. La tariffa, tuttavia, sarà composta da una quota determinata in relazione alle componenti essenziali del costo del servizio, riferite in particolare agli investimenti per le opere ed i relativi ammortamenti, e da una quota rapportata alla quantità dei rifiuti conferiti, al servizio fornito ed all'entità dei costi di gestione.
La seconda componente del Res, invece, sarà dovuta dalle persone fisiche anagraficamente residenti nel territorio del comune che occupino a qualsiasi titolo fabbricati destinati ad uso abitativo, ovvero di categoria catastale da A1 ad A9 (o non ancora iscritti a catasto). La relativa aliquota sarà fissata dallo stesso comune in misura non superiore a un massimo e si applicherà al valore dei predetti fabbricati quale risulta applicando all'ammontare delle rendite risultanti in catasto, vigenti al 1° gennaio dell'anno di imposizione, un moltiplicatore pari a 100 aggiornato con i coefficienti stabiliti per le imposte sui redditi. È di tutta evidenza, quindi, che il nuovo decreto disciplina una forma di prelievo anche sulle prime case, come opportuno nell'ottica dell'attuazione del principio pago-vedo-voto (ed in tal senso auspicato da molti esperti, oltre che, di recente, dalla stessa Banca d'Italia), ma come forse non del tutto consentito dalla legge 42/2009 (e in tal senso potrebbe profilarsi il rischio di un eccesso di delega).
A partire dal 2015, ciascun comune potrà deliberare il progressivo incremento dell'aliquota del Res con contestuale riduzione, anche fino all'azzeramento, dell'addizionale Irpef.
Le altre novità per le entrate dei comuni riguardano:
● l'estensione dell'imposta di soggiorno anche ai comuni non turistici (che, peraltro, per evidenti ragioni, difficilmente potranno sfruttare questa leva);
● l'anticipo al 2013 della compartecipazione (al 30%) al gettito dei tributi erariali immobiliari;
● il ritorno alla compartecipazione (al 2%) all'Irpef, al posto di quella all'Iva.
Riguardo a quest'ultimo punto, il governo recupera l'idea originaria del ministro Calderoli, forse spinto dalla difficoltà di determinare il gettito Iva a livello locale. I proventi dell'imposta sui redditi, invece, potranno essere agevolmente attribuiti al comune nel quale il contribuente ha domicilio fiscale al 1° gennaio dell'anno di riferimento. I conti complessivi non cambieranno (dal momento che la compartecipazione Iva era stata quantificata in misura tale da risultare equivalente ad una compartecipazione Irpef al 2%), ma modifiche anche significative potranno osservarsi in ordine al riparto fra i diversi enti delle risorse, che non transiteranno dal fondo sperimentale di riequilibrio.
Per le province, come detto, il dato più interessante riguarda l'Ipt, con la precisazione che la soppressione della misura forfetaria della tariffa per gli atti soggetti a Iva potrà scattare anche senza il previsto decreto di Mef. A tutti i passaggi di proprietà, quindi, si applicherà il regime finora previsto per gli atti fra privati, decisamente più oneroso per i contribuenti, con conseguente maggior incasso per le casse provinciali. Per arginare l'emorragia (già in corso) delle immatricolazioni verso le province delle regioni speciali, peraltro, la novità riguarderà anche queste ultime, fino all'adeguamento dei rispettivi statuti.
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Fabbisogni standard, tabella di marcia serrata.
Pur occupandosi soprattutto di tributi, il decreto correttivo si sforza di non perdere di vista l'altro caposaldo dell'architettura federalista, che mira a coniugare l'autonomia di entrata con la responsabilità nella gestione delle risorse.
Si spiega, in quest'ottica, la scelta di accelerare (intervenendo sul dlgs 216/2010) la transizione dal criterio della spesa storica a quello dei fabbisogni standard, la cui determinazione dovrà essere completata entro il prossimo anno, per consentire al nuovo criterio di finanziamento delle funzioni fondamentali di andare a regime entro il 2015. Ciò richiederà uno sforzo enorme a tutti gli attori coinvolti, a partire da Sose spa e Ifel, che coordinano le operazioni a livello centrale, per finire con i comuni, che saranno sottoposti a un «stress informativo» notevole. Per di più proprio nella fase in cui, per quelli piccoli e piccolissimi, dovrebbero scattare i nuovi e restrittivi obblighi di gestione associata delle medesime funzioni previsti dalle manovre estive. Una sovrapposizione di adempimenti che certo non faciliterà il compito degli operatori e che potrebbe accentuare molte delle difficoltà tecniche fin qui emerse.
Analoga accelerazione è prevista per la definizione del nuovo fondo perequativo, che dovrà essere operativo già nel 2013, un anno prima del previsto, con contestuale riduzione del periodo di vigenza del fondo sperimentale di riequilibrio. Ma la relativa disciplina è ancora tutta da scrivere.
Infine, il correttivo agisce sul dlgs 118/2011 in materia di armonizzazione dei bilanci di regioni ed enti locali: si tratta di modifiche tecniche, che accolgono gran parte dei rilievi formulati nei mesi scorsi dai rappresentanti delle autonomie (articolo ItaliaOggi Sette del 31.10.2011 - tratto da www.ecostampa.it).

PUBBLICO IMPIEGOPart-time, il permesso è a ore. Si considera l'intera giornata di assenza e l'indennità ridotta. Il criterio di calcolo del congedo parentale intervallato da assenze e nei rapporti a tempo parziale.
Quando ci sono assenze per ferie o malattia che inframmezzano un periodo di congedo parentale, il weekend (sabato e domenica) risulta non indennizzabile né computabile in conto del congedo; salvo che non ci sia una ripresa di attività lavorativa. Inoltre, il congedo parentale non è mai fruibile a ore se non nel caso di lavoratore titolare di due (o più) rapporti di lavoro a tempo parziale orizzontale o misto.
Le precisazioni, dell'Inps, sono contenute nel messaggio 18.10.2011 n. 19772/2011.
Il congedo parentale. Il congedo parentale (la vecchia «astensione facoltativa») spetta ai lavoratori dipendenti, in costanza di rapporto di lavoro, genitori naturali (esclusi quelli disoccupati o sospesi, i lavoratori domestici e quelli a domicilio) per un periodo complessivo tra i due (mamma e papà) non superiore a dieci mesi, aumentabili a undici, fruibili anche contemporaneamente, entro i primi otto anni di vita del bambino (fino al giorno compreso dell'ottavo compleanno).
Il congedo è coperto da un'indennità, subordinata alla vivenza del bambino e alla sussistenza di un rapporto di lavoro in atto all'inizio e durante il periodo di astensione facoltativa. Inoltre, l'indennità spetta in qualità di lavoratori dipendenti anche ai lavoratori agricoli a tempo determinato purché possano far valere 51 giornate nell'anno precedente quello di inizio del congedo oppure nello stesso anno se lavorate prima dell'inizio del congedo stesso.
Il congedo invece non spetta ai genitori disoccupati o sospesi; ai genitori lavoratori domestici; ai genitori lavoratori a domicilio; da quando cessa il rapporto di lavoro in atto all'inizio e durante il periodo di astensione.
Come detto, il congedo parentale spetta per un periodo complessivo massimo, tra mamma e papà, di dieci mesi, aumentabili a 11, fruibili anche contemporaneamente, entro i primi otto anni di vita del bambino. Nel dettaglio:
● alla madre lavoratrice dipendente spetta per un periodo continuativo o frazionato non superiore a sei mesi, trascorso quello previsto per l'astensione obbligatoria dopo il parto;
● al padre lavoratore dipendente spetta per un periodo continuativo o frazionato non superiore a sei mesi elevabile a sette se lo stesso si astiene dal lavoro per un periodo continuativo o frazionato non inferiore a tre mesi. È in questo caso il limite complessivo delle astensioni dal lavoro dei genitori sale a undici mesi. Al padre lavoratore dipendente, il congedo spetta anche durante il periodo di astensione obbligatoria della madre (a decorrere dal giorno successivo al parto), e anche se la stessa non lavora;
● al genitore single (solo), padre o madre, spetta per un periodo continuativo o frazionato non superiore a dieci mesi.
In caso di fruizione da parte di entrambi i genitori (madre autonoma e padre dipendente) il periodo massimo complessivo tra i due è pari a dieci mesi (tre mesi per la madre e sette mesi per il padre). Ai lavoratori dipendenti genitori adottivi o affidatari (esclusi quelli disoccupati o sospesi, i lavoratori domestici e quelli a domicilio), il congedo parentale spetta con le stesse modalità dei genitori naturali, fino al compimento della maggiore età del minore.
Madre e padre possono fruire di tale congedo parentale anche contemporaneamente. Infine, in caso di parto gemellare o plurigemellare e anche in caso di adozione e affidamento di più minori, ciascun genitore lavoratore dipendente ha diritto a fruire del congedo parentale, per ogni nato e per ogni adottato o affidato, per il numero di mesi previsti dalla legge, con le stesse modalità di fruizione e con gli stessi criteri di pagamento.
Come si computa il congedo parentale. Il congedo parentale può essere fruito continuativamente (tre mesi, quattro mesi) oppure anche in modo frazionato. In tale ultima ipotesi, la frazionabilità va comunque intesa nel senso che tra un periodo (anche di un solo giorno per volta) e l'altro di astensione facoltativa deve essere effettuata una ripresa «effettiva» del lavoro. Le giornate di ferie, la malattia, le festività e i sabati cadenti tra il periodo di congedo parentale e la ripresa lavoro non vanno computate in conto congedo parentale.
L'effettiva ripresa del lavoro è un requisito non rinvenibile né nel caso di domanda di fruizione del congedo dal lunedì al venerdì (settimana corta), senza ripresa del lavoro il lunedì della settimana successiva a quella di fruizione del congedo, né nella fruizione di ferie. Ciò non significa comunque che, immediatamente dopo un periodo di congedo parentale, non possano essere ammessi periodi di ferie (o di fruizione di altri congedi o permessi), cosicché sia necessario continuare nella fruizione di congedo parentale.
Significa, però, che due differenti frazioni di congedo parentale intervallate da un periodo feriale o altro tipo di congedo, debbono comprendere ai fini del calcolo del numero di giorni riconoscibili come congedo parentale anche i giorni festivi e i sabati (settimana corta) cadenti subito prima o subito dopo le ferie (o altri congedi o permessi).
Il weekend del congedo parentale. Criteri di computo particolari e di indennizzo sono previsti per i giorni di congedo parentale quando il periodo di congedo risulti inframmezzato da ferie, malattia o assenze ad altro titolo (incluse le pause di sospensione contrattuale previste nel part-time di tipo verticale o misto).
In particolare, l'Inps ha spiegato che i giorni festivi, le domeniche e anche i sabati (in caso di settimana corta) che ricadono all'interno di un periodo di ferie, malattia, o assenze ad altro titolo non sono in alcun caso indennizzabili, né computabili in conto congedo parentale. Per esempio, nel caso di un lavoratore, con orario di lavoro articolato su cinque giorni lavorativi (la cosiddetta settimana corta), che fruisca di congedo parentale nel seguente modo:
1ª settimana:
dal lunedì al venerdì = congedo parentale;
poi sabato e domenica;
2ª settimana:
dal lunedì al venerdì = ferie – malattia – assenza ad altro titolo;
poi sabato e domenica;
3ª settimana:
dal lunedì al venerdì = ferie o malattia o assenza ad altro titolo;
poi sabato e domenica;
4ª settimana:
dal lunedì al venerdì = congedo parentale
il sabato e la domenica compresi tra la seconda e la terza settimana non sono computabili, né indennizzabili a titolo di congedo parentale, in quanto tali giorni (che sono da considerarsi compresi in un periodo unico di congedo parentale posto che, dalla prima alla quarta settimana, non vi è stata ripresa dell'attività lavorativa) risultano comunque ricompresi all'interno di un periodo di assenza fruita ad altro titolo (periodo neutro).
Viceversa, il sabato e la domenica ricadenti tra la prima e la seconda settimana e tra la terza e la quarta sono computabili e indennizzabili in conto congedo parentale in quanto tali giorni cadono, rispettivamente, subito dopo e subito prima il congedo parentale richiesto.
Stesso principio è applicabile anche in una situazione «settimanale»; per esempio, nel caso in cui il lavoratore alterni congedo parentale e ferie nel seguente modo:
● dal martedì al giovedì = congedo parentale
● venerdì = ferie
● sabato e domenica
● lunedì = ferie
● dal martedì a giovedì = congedo parentale.
In altre parole, anche in quest'ultimo caso, il sabato e la domenica non si computano a titolo di congedo parentale in quanto risultano inclusi in un periodo, seppur breve, di ferie (venerdì e lunedì).
Congedo parentale a ore. In via di principio, il congedo parentale non è fruibile ad ore. Tuttavia, secondo l'Inps, il lavoratore che sia contemporaneamente titolare di due (o più) rapporti di lavoro part-time di tipo orizzontale (o misto) può astenersi a titolo di congedo parentale da uno dei rapporti di lavoro proseguendo l'attività lavorativa sull'altro rapporto (a part-time) in essere.
In tal caso, ai fini del computo dei mesi di congedo parentale, l'assenza, benché limitata ad alcune ore della giornata lavorativa, si considera per l'intera giornata. L'indennità, invece, ove spettante, dovrà essere commisurata alle ore di effettiva assenza dal lavoro (articolo ItaliaOggi Sette del 31.10.2011).

VARIAbitabilità, pass per la vendita. Senza il documento l'acquirente ha diritto al risarcimento. Sentenza della Cassazione. La prescrizione scatta dieci anni dopo la stipula del contratto.
Compravendite, certificato di abitabilità sempre necessario. Se il venditore di un appartamento che nell'atto di vendita si è obbligato a procurare il certificato non rispetta l'impegno, l'acquirente ha diritto a richiedere il risarcimento dei danni, diritto che però si prescrive decorso il termine di 10 anni dalla stipula del contratto o dalla fissazione da parte del giudice di un diverso termine per adempiere.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con la recente sentenza 21.09.2011 n. 19204.
Nella vicenda presa in esame dalla Suprema corte due coniugi acquistavano un appartamento da una società immobiliare che, al momento dell'acquisto, non disponeva ancora del certificato di abitabilità, ma che nel rogito, a sua cura e spese e nel più breve tempo possibile, si era obbligato a procurarlo, richiedendo il rilascio dello stesso alle competenti autorità. Tale impegno però non era stato rispettato. I due coniugi, pertanto, anche se dopo molti anni dalla stipula dell'atto di acquisto dell'immobile, avevano convenuto in giudizio la società venditrice per sentirla condannare al risarcimento del danno da mancato rilascio della licenza di abitabilità.
Tuttavia, secondo la società convenuta, il diritto al risarcimento del danno derivante dall'inadempimento dell'obbligazione di consegna del certificato di abitabilità era di natura contrattuale e, quindi, soggetto all'ordinaria prescrizione decennale. Pertanto, nel resistere in giudizio, la stessa aveva eccepito la prescrizione del diritto al risarcimento, essendo ormai decorsi più di 14 anni dalla conclusione del contratto di vendita e, comunque, ben più di dieci anni dal termine contrattualmente fissato per il rilascio del predetto certificato. Ma il tribunale, rigettata l'eccezione, accoglieva la domanda di risarcimento e condannava la società convenuta al pagamento in favore degli attori dei danni subiti, liquidati in via equitativa tenendo conto del valore dell'immobile al momento della causa.
La sentenza di primo grado veniva quindi confermata dal giudice di appello, il quale rilevava che il diritto a conseguire il certificato di abitabilità e, conseguentemente, quello al risarcimento del danno, doveva considerarsi indisponibile e, in quanto tale, non soggetto a prescrizione. Pertanto anche il conseguente diritto al risarcimento era da ritenersi imprescrittibile.
Tale conclusione non è stata condivisa dalla Suprema corte, la quale ha invece sottolineato come il diritto al risarcimento del danno, anche quando viene richiesto in giudizio per effetto della mancata realizzazione di un diritto indisponibile (come il diritto all'abitabilità, che costituisce requisito giuridico essenziale del bene compravenduto, assicurandone il legittimo godimento e la commerciabilità), conservando la propria autonomia rispetto al diritto originario, non ne assume il carattere della indisponibilità ed è, pertanto, soggetto alla prescrizione ordinaria decennale.
In altre parole, secondo i giudici supremi, quale che sia il fondamento dell'imprescrittibilità dei diritti indisponibili, è comunque certo che tra questi ultimi non può includersi quello al risarcimento del danno, ancorché prodotto da lesione di un diritto indisponibile, trattandosi di un credito soggetto al termine ordinario di prescrizione. Per quanto sopra è stato precisato dalla Cassazione che il diritto dell'acquirente al risarcimento del danno da mancato rilascio del certificato di abitabilità si prescrive una volta decorso il termine di dieci anni dalla stipula del contratto o dalla fissazione da parte del giudice di un diverso termine per adempiere.
Del resto, si è osservato da parte della Suprema corte, il mancato rilascio del certificato di abitabilità costituisce non già un illecito, ma un inadempimento contrattuale, ove il venditore abbia assunto, a sua cura e spese, l'obbligazione di fare ottenere all'acquirente detta condizione.
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Risparmio energetico necessario all'agibilità.
Il certificato di abitabilità è per legge condizione necessaria per adibire un edificio a civile abitazione. Il controllo comunale sui requisiti di salubrità degli edifici a destinazione residenziale risale addirittura al secolo scorso (legge n. 5849 del 1888) e ha avuto storicamente la funzione di provvedimento di autorizzazione (nel caso di edifici a uso non residenziale si parlava invece di agibilità). E questo fino al più recente dpr n. 425/1994, il quale ha introdotto la terminologia di certificato di abitabilità e ha riformato il procedimento amministrativo per il rilascio del medesimo.
Anche questa disciplina è infine venuta meno con l'entrata in vigore del c.d. Testo unico dell'edilizia, di cui al dpr n. 380/2001, con decorrenza dal 30.06.2003, il quale ha anche riunito nell'unica nozione di agibilità le certificazioni necessarie per l'utilizzo degli immobili a destinazione residenziale e non, anche se nel gergo tecnico continua a essere diffusa la vecchia distinzione terminologica.
Il nuovo concetto di agibilità concerne l'igiene e la salubrità, ma anche il risparmio energetico e la sicurezza statica e dinamica di impianti ed edifici. L'obbligo contrattuale che grava sul venditore di consegnare all'acquirente il documento in questione al momento del rogito trova fondamento nella previsione di cui all'art. 1477, comma 3, del codice civile, secondo cui il venditore deve consegnare i titoli e i documenti relativi alla proprietà e all'uso della cosa venduta.
È importante evidenziare come la falsa dichiarazione nel rogito della presenza del certificato di abitabilità, come chiarito dalla Cassazione, non configura il reato di falso ideologico in atti pubblici e rileva solo ai fini civilistici dell'eventuale risoluzione del contratto di compravendita. Infatti, in caso di assenza del certificato, non si verifica un'ipotesi di nullità della vendita per impossibilità giuridica dell'oggetto del contratto, come riteneva un'opinione rimasta minoritaria della giurisprudenza di merito, ma semplicemente un inadempimento del venditore, che autorizza il compratore a chiedere la risoluzione del contratto e il risarcimento del danno.
La Suprema corte ritiene del resto che per l'esclusione della responsabilità del venditore non sia sufficiente che il compratore conoscesse la mancanza del certificato al momento della stipula del rogito, ove non risulti anche che il medesimo abbia rinunciato espressamente al requisito dell'abitabilità. Viene poi considerato legittimo dalla giurisprudenza il patto che fa ricadere l'obbligo di richiedere il certificato sull'acquirente: in tal caso l'immobile viene venduto senza certificato, sul presupposto che il compratore abbia ugualmente interesse all'acquisto.
Il problema più rilevante che si pone in questi casi riguarda comunque l'individuazione della natura della responsabilità del venditore. L'orientamento giurisprudenziale prevalente ritiene che il venditore che abbia ceduto un immobile privo del requisito dell'abitabilità sia responsabile per la vendita di un oggetto radicalmente diverso da quello promesso. Di conseguenza per l'acquirente che intenda denunciare la mancanza del certificato non vi sono termini di decadenza e la prescrizione è decennale (articolo ItaliaOggi Sette del 31.10.2011).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGOI contratti sul territorio ignorano i limiti del fondo.
Negli enti locali che sono stati ispezionati dalla Ragioneria generale dello Stato nel 2010 si riscontra, rispetto al 2004, l'aumento del fondo per la contrattazione decentrata in misura superiore ad almeno tre volte di quanto consentito dai contratti nazionali, tendenza che si estende anche al fondo dei dirigenti: tale aumento è stato ottenuto soprattutto utilizzando illegittimamente le disposizioni per il finanziamento di nuovi servizi (articolo 15, comma 5, del contratto nazionale di comparto).
E, ancora, nella destinazione del fondo sono state rilevate forme di erogazione "a pioggia", in particolare per le progressioni orizzontali, la produttività e l'indennità di specifiche responsabilità, nonché la violazione del principio della onnicomprensività del trattamento economico accessorio, soprattutto per i dirigenti.
Varie forme di illegittimità.
Oltre alle illegittimità connesse alla contrattazione decentrata, gli ispettori della Ragioneria dello Stato hanno riscontrato in misura frequente –nei Comuni, nelle Province e nelle Camere di commercio esaminati– la effettuazione di progressioni verticali e di stabilizzazioni in numero superiore alle assunzioni dall'esterno, il superamento dei tetti posti dalla legislazione alle assunzioni di personale e la violazione dei tetti imposti al ricorso all'articolo 110 del Dlgs 267/2000 per le assunzioni a tempo determinato di dirigenti.
Sono questi i rilievi più frequenti da parte del servizio ispettivo della Ragioneria generale dello Stato in seguito alle 49 ispezioni compiute l'anno scorso nelle amministrazioni locali (tra cui 20 enti con la dirigenza). L'importanza del documento che rende conto di questa attività è data sia dal "censimento" delle illegittimità, che ci danno un quadro approfondito di conoscenza della realtà, che dalla analitica ricostruzione delle motivazioni che sono alla base delle censure mosse. Per cui la lettura del documento risulta assai utile, come annota il ragioniere generale dello Stato nella premessa, per evitare ai singoli enti di commettere errori, diventando così una sorta di "manuale d'uso".
Vincoli inapplicati.
L'incremento del fondo per la contrattazione decentrata del personale legato alla attivazione di nuovi servizi e/o all'aumento dei dipendenti (articolo 15, comma 5, del Ccnl 01.04.1999) è stato disposto dalla maggioranza degli enti ispezionati e ha determinato un aumento del fondo di oltre il 20 per cento. L'analoga possibilità di incremento prevista per il fondo dei dirigenti è stata utilizzata da circa l'88% degli enti e pesa per poco più del 45% del fondo.
Nella stragrande maggioranza dei casi non sono stati rispettati i vincoli dettati dal contratto nazionale, sia per assenza di motivazioni adeguate che per il mancato rispetto delle procedure (ad esempio la deliberazione in sanatoria) e per la quantificazione arbitraria della misura degli incrementi.
In Comune meno scostamenti.
Complessivamente, i fondi per la contrattazione decentrata sono cresciuti di circa il 27% nel periodo compreso tra il 2004 e il 2009 negli enti "ispezionati", con un aumento che nei Comuni è risultato essere più contenuto rispetto a Province e Camere di commercio. Per il contratto nazionale l'aumento di questo quinquennio doveva essere nel suo insieme (contratto nazionale e contratti decentrati) contenuto nel 16%, in gran parte riservato all'adeguamento degli stipendi. Dobbiamo inoltre aggiungere che il personale in servizio è calato del 6 per cento.
Analoga la tendenza riscontrata per i dirigenti: aumenti medi del fondo del 21%, a fronte di una diminuzione dei dirigenti del 9% e di aumenti consentiti dal contratto nazionale nella misura del 14%, peraltro anche in questo caso in gran parte destinati ai miglioramenti dello stipendio.
Progressioni.
Nella erogazione del fondo per la contrattazione decentrata la voce di gran lunga più importante (circa il 28% del fondo totale) è costituita dalle progressioni orizzontali. Tale istituto è stato quasi sempre utilizzato non come un premio selettivo al merito, ma come un aumento corrisposto in modo automatico alla gran parte dei dipendenti.
Va evidenziato che i compensi per la produttività, a cui nel 2009 è stato destinato il 15% del fondo, risultano essere in calo rispetto agli anni precedenti. Un'altra cifra che la dice lunga sull'uso del fondo in modo da erogare compensi a pioggia è quella che si riferisce a indennità per specifiche responsabilità: assorbe ben il 9% del fondo 2009. Da notare che per l'indennità di comparto nello stesso anno è stato speso poco più del 3% del fondo, il che dimostra che essa non è un fattore significativo di irrigidimento.
Più della metà delle amministrazioni esaminate hanno effettuato progressioni verticali in numero superiore alle assunzioni effettuate tramite concorsi pubblici. E non le hanno, inoltre, comprese tra le assunzioni al fine del rispetto dei vincoli dettati dal legislatore. In un numero superiore alla metà degli enti, infine, le stabilizzazioni sono state effettuate superando il tetto delle assunzioni tramite concorsi pubblici e senza svolgere prove selettive (articolo Il Sole 24 Ore del 31.10.2011 - tratto da www.ecostampa.it).

ENTI LOCALILa convenzione dribbla la scomparsa delle giunte.
I «VANTAGGI» - La scelta consentirebbe di mantenere in carica gli organi collegiali e di evitare l'assoggettamento al Patto di stabilità.

L'obbligo di Unione, con decadenza della giunta, previsto per i Comuni fino a mille abitanti dalla manovra-bis, lascia aperta la strada a una deroga (articolo 16, comma 16 del Dl 138/2011): le convenzioni per l'esercizio di funzioni amministrative e di servizi pubblici, da varare entro il 30.09.2012, permettono di fatto di annullare il percorso dell'Unione.
Se da un lato studi recenti promuovono le economie di scala effettive solo per quegli enti che, aggregandosi, danno vita a "poli" non inferiori a 15-18 mila abitanti (studio Confindustria Bergamo del 2010 e studio «Superga» redatto da Ifel, da cui si ricava che l'economia di scala può abbattere i costi nei mini-Comuni fino al 44% su alcuni servizi come l'anagrafe), trasferire tutto il sistema della gestione associata alle "convenzioni" può presentare delle criticità, al di là dell'apparente facilità del suo utilizzo.
La deroga è però molto "invitante" per i sindaci, perché consente di mantenere in carica le giunte (se non ci sarà il rinnovo dal 13.08.2012) e di avviare l'aggregazione in modo apparentemente indolore, secondo una modalità vissuta come espressione di autonomia decisionale; senza contare che la via della convenzione permette di evitare anche l'assoggettamento al Patto di stabilità.
L'apparente facilità di formazione delle convenzioni operative nasconde equivoci sulla definizione degli ambiti demografici (la stessa Anci dice che l'ambito demografico non è definito, anche se si può presumere, sulla base delle normative vigenti, che sia di 5mila abitanti) e temporali nonché sui contenuti: quali funzioni inserire nella convenzione, e con quale riferimento legislativo? Ci sono poi problemi pratici sull'impatto delle realtà delle Unioni già costituite, funzionanti ai sensi dell'articolo 32 del Tuel.
Sui contenuti va fatta chiarezza, perché le funzioni e i servizi vanno individuati e attivati secondo la catalogazione delle funzioni operate dal Dpr 194/1996, scoprendo così che il "pacchetto" delle funzioni è ben più corposo di quanto si possa immaginare. Un altro problema riguarda il modo in cui i sindaci possono relazionarsi con la Regione per strutturare la convenzione per l'attuazione dell'esercizio delle funzioni fondamentali e incidere sul percorso aggregativo che li riguarda.
Sul punto appare possibile individuare un ruolo per le Province, senza attendere l'input legislativo, in forza della loro conoscenza del territorio e dei rapporti di stretta collaborazione con i sindaci.
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La possibilità
01|LO STRUMENTO
Le convenzioni per l'esercizio di funzioni amministrative e di servizi pubblici, da varare entro il 30.09.2012, costituiscono lo strumento che consente di non rispettare l'obbligo di Unione, con decadenza della giunta, previsto dalla manovra-bis (Dl 138/2011, convertito dalla legge 148/2011) per i Comuni con popolazione fino a mille abitanti.
02|I PUNTI CRITICI
L'apparente facilità di formazione delle convenzioni operative nasconde equivoci sulla definizione degli ambiti demografici e temporali, ma anche sui contenuti: ci si domanda, tra l'altro, quali funzioni possono essere inserite nella convenzione, e con quale riferimento legislativo.
03|IL «NODO» REGIONI
Il tipo di rapporto con le Regioni per strutturare la convenzione è un nodo da sciogliere. Si può anche prevedere che, in base alla loro conoscenza del territorio e alla stretta collaborazione in essere con i sindaci, un ruolo su questa materia possa essere individuato anche per le Province, senza attendere input legislativi (articolo Il Sole 24 Ore del 31.10.2011 - tratto da www.corteconti.it).

ENTI LOCALILacune normative, soluzioni a rischio.
In materia di Unioni di Comuni con popolazione sotto i mille abitanti –e della loro alternativa, costituita dalla possibilità di attuare convenzioni (cui si riferisce anche l'articolo qui sopra)– si riscontrano lacune normative, che si possono individuare, tra l'altro, nell'assenza di una durata minima stabilita per legge, in termini di esistenza sia delle convenzioni (ex comma 16, articolo 16, della legge 148/2011) sia delle stesse Unioni.
Di fatto, si correrà il rischio di frequenti risoluzioni e scioglimenti di tali forme associative, il che risulta in palese contrasto con le esigenze di contenimento della spesa che la manovra intende realizzare.
Va poi sottolineata l'assenza di un coordinamento con le legislazioni regionali. Si può prendere come esempio la normativa della Regione Lombardia, che prevede norme organizzative e presupposti diversi per le Unioni. Questo mancato coordinamento rischia di disincentivare non solo la formazione di nuove Unioni tra piccoli Comuni, ma addirittura anche la permanenza di quelle già esistenti.
Anche per questi motivi, dunque, si rende opportuna la creazione di una disciplina organica in sede di codice delle autonomie, di concerto con le amministrazioni regionali, al fine di evitare disfunzioni nella vita amministrativa dei piccoli Comuni (articolo Il Sole 24 Ore del 31.10.2011 - tratto da www.ecostampa.it).

ENTI LOCALI - VARIFabbricati rurali, rebus retroattività.
DOPO LA MANOVRA - Nonostante due decreti ministeriali, non è chiaro se il riconoscimento decorre dalla domanda o dal quinquennio anteriore.

Il decreto Sviluppo (Dl 70/2011) interviene nuovamente sull'annoso problema dei fabbricati rurali, dando la possibilità ai contribuenti di chiedere la variazione della categoria catastale per quei fabbricati che, presentando i requisiti di ruralità in via continuativa da almeno cinque anni, non erano, alla data del 30.09.2011, accatastati in categoria rurale: A/6 se abitazione, D/10 se fabbricato strumentale.
Con Dm 14.09.2011 sono state individuate le modalità applicative e la documentazione necessaria per la presentazione della certificazione per il riconoscimento della ruralità dei fabbricati. Il Dm ha istituito la classe "R" per le abitazioni, che sono ora censite in categoria A/6 senza attribuzione di alcuna rendita. Per i fabbricati strumentali classati in categoria D/10 è previsto il mantenimento della rendita catastale precedentemente attribuita.
Nel breve termine concesso (il Dm è stato pubblicato in «Gazzetta Ufficiale» il 21 settembre) sono state numerosissime le richieste di variazione, e ognuna di queste potenzialmente può generare un nuovo contenzioso, visto che l'interpretazione della norma data dai contribuenti si pone (nuovamente) in aperto contrasto con quella data dagli enti impositori.
L'elemento che crea confusione e che legittimerebbe, secondo alcuni, l'uso retroattivo della nuova categoria attribuita dall'Agenzia del territorio è la previsione dell'attestazione del possesso «in via continuativa» a decorrere dal quinto anno antecedente a quello di presentazione della domanda di riconoscimento della categoria rurale.
Secondo i Comuni impositori, invece, la norma fa riferimento a una «variazione della categoria catastale» e non è espressamente prevista alcuna efficacia retroattiva, peraltro in linea con le indicazioni fornite con la circolare 11/T dell'Agenzia del territorio, nella quale vengono esemplificati i casi in cui le variazioni hanno effetto retroattivo. In questa situazione, il Comune deve, in base a quanto previsto dall'articolo 5 del Dlgs 504/1992, applicare l'Ici avendo riguardo esclusivamente alla rendita e categoria catastale iscritta in catasto al primo gennaio di ogni anno d'imposizione.
Nessun aiuto è arrivato poi dal Dm attuativo e dalla circolare 6/2011 dell'Agenzia del territorio, che non hanno apportato, come da molti auspicato, alcuna integrazione o chiarimento del Dl 70/2011.
L'incertezza normativa coinvolge i cinque anni d'imposta pendenti (2006-2010) e riguarda tanto i contribuenti (domande di rimborso) tanto i Comuni (atti di accertamento) e potenzialmente potrebbe determinare una perdita di gettito per i Comuni quantificabile in diverse centinaia di milioni di euro.
Mentre la Corte di cassazione continua a decidere le vecchie controversie ritenendo vincolante la categoria catastale iscritta in catasto (da ultimo si veda l'ordinanza 06.10.2011, n. 20432) le Commissioni tributarie a breve dovranno risolvere la querelle sulla portata retroattiva o meno dell'articolo 7, commi 2-bis, 2-ter e 2-quater del Dl 70/2011.
Sembra proprio che Ici e fabbricati rurali rappresentino un problema senza soluzione (articolo Il Sole 24 Ore del 31.10.2011 - tratto da www.ecostampa.it).

ATTI AMMINISTRATIVIOSSERVATORIO VIMINALE/ Albo online, niente scuse. Pubblicazione disciplinabile con regolamento. Gli enti locali hanno mani libere su accesso, atti e garanzie di riservatezza.
È in linea con gli obblighi di pubblicazione sui siti informatici introdotti dall'art. 32 della legge 28.06.2009, n. 69 -recante norme per l'«eliminazione degli sprechi relativi al mantenimento di documenti in forma cartacea»- un'amministrazione comunale che si limita a pubblicare sul proprio sito istituzionale solo il numero e l'oggetto delle delibere di giunta e di consiglio e delle determine, non rendendo disponibile il contenuto degli atti e giustificando tale forma ridotta di pubblicità in considerazione della mancata emanazione del «dpcm che dovrebbe contenere le regole tecniche per la tenuta dell'albo online», a tutela della riservatezza e dei dati personali e sensibili dei soggetti cui gli stessi si riferiscono?
L'art. 32, comma 1, della legge 28.06.2009, n. 69 dispone che «gli obblighi di pubblicazione di atti e provvedimenti amministrativi aventi effetto di pubblicità legale si intendono assolti con la pubblicazione nei propri siti informatici da parte delle amministrazioni e degli enti pubblici obbligati».
Il comma 5, del citato art. 32, come modificato dall'art. 2, comma 5 del dl 30/12/2009, n. 194, convertito nella legge 26.02.2010, n. 25, prevede che a decorrere dall'01.01.2011, e nei casi di cui al comma 2 dall'01.01.2013, «le pubblicità effettuate in forma cartacea non hanno effetto di pubblicità legale».
Il rinvio ad un dpcm, che stabilisca le modalità di pubblicazione nei siti informatici, è previsto esclusivamente nel comma 2 dello stesso art. 32, secondo cui l'adempimento dell'obbligo di provvedere alla pubblicazione nei siti informatici «secondo modalità stabilite con dpcm», riguarda solo le amministrazioni e gli enti pubblici «tenuti a pubblicare sulla stampa quotidiana atti e provvedimenti concernenti procedure ad evidenza pubblica o i propri bilanci».
Con specifico riferimento agli obblighi di pubblicazione degli atti degli enti locali, l'introduzione dello strumento informatico ha comportato l'implicita abrogazione della disciplina della «pubblicazione delle deliberazioni» contenuta nell'art. 124 del dlgs n. 267/2000, nella sola parte in cui dispone che la pubblicazione avvenga «mediante affissione all'albo pretorio nella sede dell'ente», sostituita dalla pubblicazione sul sito istituzionale dell'ente, fermo restando il termine di 15 giorni consecutivi o di altre specifiche disposizioni di legge.
Tale è il parere dell'Ufficio legislativo del ministro per la semplificazione normativa che ha anche chiarito che «ciascun ente potrà adottare una specifica regolamentazione dei termini di pubblicazione e dei tempi di permanenza di pubblicità sul sito web, anche eventualmente prevedendo la possibilità di consultazione permanente di atti o provvedimenti riconducibili nell'ambito dell'art. 26 della legge 241/1990 («obbligo di pubblicazione»), o l'accessibilità di taluni documento solo per un certo lasso temporale».
In merito ai profili di tutela della riservatezza e dei dati personali e sensibili, il garante per la protezione dei dati personali, nell'ambito delle «linee guida in materia di dati personali contenuti anche in atti e documenti amministrativi, effettuato da soggetti pubblici per finalità di pubblicazione e diffusione sul web», adottate con la deliberazione del 02.03.2011, ha dedicato un apposito paragrafo alla «pubblicità degli atti amministrativi e albo pretorio on-line» che reca indicazioni sulle modalità di pubblicazione e sugli accorgimenti volti ad «assicurare forme corrette e proporzionate di conoscibilità, impedendo la loro incondizionata reperibilità in internet», nel rispetto dei principi di qualità ed esattezza dei dati.
Tali linee guida si aggiungono a quelle, adottate con deliberazione in data 19.04.2007, «in materia di trattamento dei dati personali per finalità di pubblicazione e diffusione di atti e documenti di enti locali», che al punto 6. dedicano appositi chiarimenti sulla «pubblicità assicurata mediante pubblicazione all'albo pretorio».
Tanto premesso, nel caso di specie, l'ente locale interessato, ai fini dell'osservanza degli obblighi posti dal citato art. 32 potrà, comunque, adottare apposito regolamento per la gestione delle procedure di pubblicazione degli atti sull'albo pretorio on-line, in cui disciplinare i diversi profili di attuazione della norma, tra i quali le modalità di accesso e pubblicazione, gli atti soggetti a pubblicazione, le garanzie della riservatezza (articolo ItaliaOggi del 28.10.2011).

EDILIZIA PRIVATAEdilizia, arriva la patente a punti. La certificazione corsia preferenziale negli appalti pubblici. Un avviso comune tra imprese e sindacati dà attuazione alle previsioni del Testo unico sicurezza.
Una patente a punti obbligatoria per l'imprenditore edile, corsia preferenziale per ottenere appalti pubblici, decurtata in caso di «accertate violazioni in materia di salute e sicurezza sul lavoro». E che sarà sottoposta, ogni tre anni, ad una verifica di alcuni paletti necessari al momento del rilascio: il «requisito di onorabilità» (assenza di procedimenti in corso a carico degli operatori), la corretta designazione di un responsabile del servizio di prevenzione, di un altro a capo del servizio tecnico (personale in possesso di attestati che ne certifichino le competenze) e la sussistenza di una «capacità tecnico-finanziaria» adeguata a garantire il rispetto delle regole.
A prevederla è un avviso comune, fresco di presentazione al ministero del welfare, firmato dalle associazioni di categoria (datoriali e sindacali), che recepisce il dettato dell'art. 27 del Testo unico sulla salute e sicurezza nei luoghi di lavoro (decreto legislativo 81/2008); per far diventare operativo il documento, dovrà essere quanto prima emanato un decreto ministeriale che lo recepisca.
Potranno ricevere la patente professionale (che parte dai 25 punti per il lavoratore autonomo e cresce in relazione ai dipendenti dell'impresa, arrivando alla soglia di 120 per un organico di 200 addetti), gli operatori nel settore dell'edilizia che risponderanno ai parametri sul personale qualificato, l'onorabilità e la consistenza finanziaria: a consegnare l'attestato (che, si legge nel testo, «costituisce elemento essenziale ai fini dell'esercizio delle attività» nel settore) sarà la sezione speciale dell'edilizia, istituita presso la camera di commercio della località in cui risiede ed è domiciliato l'imprenditore.
L'organismo incaricato di concedere la speciale tessera sarà composto da un membro della camera di commercio, uno dell'Inail, uno della Asl, uno della Direzione provinciale del lavoro, un esponente di ogni organizzazione sindacale e uno di ogni organizzazione datoriale, seguendo il criterio della maggiore rappresentativa dei soggetti sul piano nazionale del comparto; la sezione si avvarrà anche del contributo di un comitato tecnico, di cui faranno parte componenti delle casse edili territorialmente competenti.
Entro 30 giorni dal ricevimento della domanda, verrà rilasciata la patente o rifiutata (adducendone il motivo) e in nessun caso di operazione societaria sarà possibile cederla o rilevarla; il sistema non è di poco conto, poiché nelle intenzioni dei promotori potrà costituire «elemento preferenziale per l'aggiudicazione delle gare relative ad appalti e subappalti pubblici, e per l'accesso ad agevolazioni, finanziamenti e contributi a carico della finanzia pubblica, sempre se correlati ai medesimi appalti o subappalti».
Mantenere il punteggio di partenza diventa, pertanto, un valore da salvaguardare: la riduzione partirà da un minimo di due punti per la mancata elaborazione del documento di valutazione dei rischi e per una serie di inadempienze sul fronte della protezione dei lavoratori (assenza del dispositivo per cautelarsi in caso di cadute dall'alto, nessuna formazione di chi per lo svolgimento delle proprie mansioni effettua accessi al cantiere ecc.), e nell'eventualità si verifichino uno o più infortuni mortali, al di là della violazione del codice penale per la quale l'imprenditore verrà perseguito, dalla patente saranno sottratti dieci punti.
Al fine di recuperare il punteggio perduto, il datore di lavoro o, per suo conto, il responsabile tecnico o il direttore tecnico designato, dovrà prendere parte a specifici corsi di formazione, allestiti da enti bilaterali del settore edile.
L'avviso comune porta in calce la firma di Ance, Ancpl Legacoop, Federlavoro-Confcooperative, Psl-Agci, Aniem Confapi, Claai, Feneal Uil, Filca Cisl e Fillea Cgil, mentre non è stata sottoscritta da Anaepa Confartigianato, Cna costruzioni e Fiae Casartigiani. Soddisfatto Domenico Pesenti, segretario generale della Filca-Cisl, convinto che «riuscire a trovare un'intesa tra le parti sociali del settore su un argomento spinoso come la patente a punti sia un segnale della maturità che il sistema dell'edilizia ha raggiunto.
Questo strumento rivitalizzerà la cultura della sicurezza, la qualità dell'impresa di costruzioni e di tutti coloro che operano nel cantiere». Ma l'aspetto più importante, ha concluso il sindacalista, «è l'essere riusciti a condividere l'idea che rappresenta lo strumento giusto per rendere il cantiere più sicuro, strutturato e regolare, privilegiando l'aspetto preventivo, e non quello repressivo» (articolo ItaliaOggi del 28.10.2011).

EDILIZIA PRIVATA: DECRETO SVILUPPO/ Le misure in materia di edilizia nel provvedimento in fase di studio. Urbanizzazioni pagate dai privati. Autocertificazioni obbligatorie. Revoca della Scia limitata.
Urbanizzazioni primarie a carico dei privati: chi costruisce deve farsi carico di strade, parcheggi, fogne, aree verdi e così via.
È quanto prevede la bozza del decreto sviluppo in materia di edilizia, che interviene anche in materia di autocertificazioni (diventano obbligatorie nei confronti delle pubbliche amministrazioni), certificati (utilizzabili solo nei confronti di privati) e di Scia (limitando la possibilità di revoca da parte degli enti pubblici preposti al controllo.
Ma vediamo punto per punto dove sta andando a parare lo schema di articolato.
Urbanizzazioni primarie
Con una modifica al Testo unico per l'edilizia (dpr 380/2001) si prevede che le opere di urbanizzazione primaria debbano essere realizzate dal titolare del permesso di costruire: questo vale per strade residenziali, spazi di sosta o di parcheggio, fognature, rete idrica, rete di distribuzione dell'energia elettrica e del gas, pubblica illuminazione, spazi di verde attrezzato. Purché gli interventi siano al di sotto della soglia comunitaria (5.278.000 euro per gli appalti di lavori pubblici e per le concessioni di lavori pubblici).
In sostanza si tratta di un affidamento diretto ex lege dei lavori relativi alle urbanizzazioni in deroga al codice dei contratti pubblici. Ma significa anche maggiori oneri per chi vuole edificare.
La bozza di relazione al decreto in esame spiega che la realizzazione di tali opere è un onere connaturato alla trasformazione urbanistica del territorio e pertanto può essere posta in essere direttamente dallo stesso soggetto che dà attuazione agli interventi di nuova edificazione. Tale previsione, spiega la relazione, appare funzionale sotto il profilo delle problematiche di interferenze con la realizzazione degli edifici previsti all'interno dell'ambito territoriale oggetto della trasformazione, per cui è preferibile non solo una progettazione unitaria delle opere di urbanizzazione primaria, ma anche una loro esecuzione contestuale e coordinata con gli interventi principali. Una disposizione analoga, già presente nel decreto-legge n. 70/2011 (già noto come «decreto sviluppo»), è stata espunta in sede di conversione.
Autocertificazione obbligatoria
Le dichiarazioni sostitutive diventano obbligatorie. Non sono più forme di semplificazione a discrezione dell'interessato, ma diventano l'unico strumento da usare nell'istruttoria dei procedimenti amministrativi. Viene, infatti, proposta la riformulazione dell'articolo 40 del Testo unico della documentazione amministrativa (dpr 445/2000) scrivendo la regola per cui nei rapporti con gli organi della pubblica amministrazione e i gestori di pubblici servizi i certificati e gli atti di notorietà sono sempre sostituiti dalle dichiarazioni sostitutive.
Quindi non ci può essere un privato che rinuncia all'autocertificazione e preferisce portare il certificato. Quindi i certificati saranno validi e utilizzabili solo nei rapporti tra privati. E anzi sulle certificazioni da produrre ai soggetti privati si dovrà apporre la dicitura «il presente certificato non può essere prodotto agli organi della pubblica amministrazione o ai privati gestori di pubblici servizi. Forse esagerando la bozza prescrive che se manca la dicitura la certificazione sarà addirittura nulla».
Viene, poi, proposto l'inserimento di una espressa disposizione sulla acquisizione d'ufficio da parte delle amministrazioni procedenti delle informazioni relative alla regolarità contributiva e della documentazione antimafia.
Insomma le p.a. devono dialogare tra loro, anziché chiedere certificazioni a cittadini e imprese. Tra l'altro viene proposta la modifica dell'articolo 72 del T.u. della Documentazione amministrativa, sanzionando la mancata risposta alle richieste di controllo delle autocertificazioni entro 30 giorni non solo a livello disciplinare, ma anche con un abbassamento della valutazione della performance individuale dei responsabili dell'omissione.
Scia
La Scia consiste nella segnalazione certificata dell'inizio di una attività, soggetta a controllo a posteriori della p.a Chi presenta una scia può immediatamente iniziare l'attività. Ma la p.a. ha 60 giorni di tempo per vietare la prosecuzione dell'attività (sono 300 per l'edilizia) o per far regolarizzare la pratica.
L'articolo 19 della legge 241/1990 (dedicato, appunto, alla Scia) fa salva la possibilità per la p.a., una volta scaduti i 60 giorni, e quindi senza limiti di tempo, di assumere determinazioni in via di autotutela, mediante revoche o annullamenti d'ufficio (articoli 21-quinquies e nonies della legge 241/1990). Ora la bozza di decreto sviluppo sopprime tale formula di salvezza del potere di autotutela della p.a..
Probabilmente l'intento del legislatore è quello di circoscrivere solo ai 60 (30 per l'edilizia) giorni il termine di intervento della p.a., decorsi i quali la situazione deve essere considerata consolidata a favore di chi ha presentato la Scia. Questo a meno di considerare che le norme sull'autotutela si applicano comunque anche in assenza della clausola di salvezza (articolo ItaliaOggi del 27.10.2011).

VARI: L'antennista può installare decoder. Chiarimento dello Sviluppo economico.
Per installare il decoder non è necessaria una particolare abilitazione, ma è sufficiente quella per l'installazione delle antenne.

È quanto ha chiarito la Divisione XXI – Registro delle imprese del Ministero dello Sviluppo Economico, con la circolare 24.10.2011 n. 3643/C.
Secondo il Dipartimento per l'impresa e l'internazionalizzazione, Direzione generale per il mercato, la concorrenza, il consumatore, la vigilanza e la normativa tecnica, in pratica, «non si ravvisa rispetto agli altri impianti televisivi via cavo una peculiarità della fattispecie tale da richiedere una più ampia abilitazione».
Il problema nasce dal fatto che il dm 22.01.2008 n. 37 che detta norme in materia di impianti tecnologici, prescrive le specifiche abilitazioni che devono essere possedute per l'installazione completa degli impianti di ricezione televisiva via satellite e, all'articolo 1, lettera b) associa alle antenne gli impianti elettronici in genere. Il dubbio posto da alcune commissioni per l'artigianato, era legato al fatto che in base all'art. 3, del dm 37/2008, l'impresa di installazione è abilitata per il tramite del responsabile tecnico «indicando specificatamente per quali lettera e quale voce, di quelle elencate nel medesimo articolo 1, comma 2, intendono esercitare l'attività».
Secondo il Mise, «sotto taluni aspetti, l'installazione del decoder, che rappresenterebbe l'upgrade rispetto ai sistemi tradizionali, non appare altro che una installazione di apparecchiatura plug and play che, per definizione dello stesso dm 37 è sottratta all'applicazione della disciplina». «D'altronde, sottolinea ancora il direttore Gianfrancesco Vecchio, se fosse diversamente non si ravviserebbe (tenuto conto dell'ormai quasi definitivo switch off del sistema Atv sul territorio nazionale) una differenza con l'installazione di antenne tradizionali e la successiva installazione del decoder Dtv. Con la conseguenza che sarebbe interdetta ogni attività alle imprese legittimamente abilitate per la sola installazione di antenne».
Peraltro, precisa anche il Mise, sulla specifica questione è stato chiesto parere tecnico anche al Dipartimento per le comunicazioni del medesimo ministero, e all'Istituto Superiore per le comunicazioni che hanno concordato con l'impostazione della Divisione XXI (articolo ItaliaOggi del 27.10.2011).

GIURISPRUDENZA

PUBBLICO IMPIEGO: Sì alle differenze retributive per mansione superiore anche senza promozione.
Al lavoratore vanno versate le differenze retributive per la mansione superiore svolta a prescindere dal suo diritto a una promozione.

La Corte di Cassazione, Sez. lavoro, con la sentenza 27.10.2011 n. 22438 accoglie il ricorso del direttore di un carcere che aveva, di fatto, svolto per oltre cinque anni un ruolo dirigenziale pur essendo inquadrato come funzionario.
Il diverso profilo professionale - Le rivendicazioni economiche del lavoratore erano state accolte dai giudici di primo grado per essere però, subito dopo, respinte dalla Corte d’Appello.
Per i giudici di seconda istanza la qualifica di dirigente non poteva in nessun modo essere considerata superiore a quella di funzionario trattandosi di status e ruoli assolutamente differenti e non inquadrabili nella stessa scala gerarchica. Decisamente più fortunato l’esito del ricorso in Cassazione, grazie agli ermellini che negano l’esistenza di un “compartimento stagno” tra i due ruoli per quanto riguarda il diritto a ottenere le differenze retributive.
Il collegio di piazza Cavour chiarisce, infatti, che il ricorrente non chiedeva la qualifica ma dei soldi che senz’altro gli spettavano. Impropriamente, infatti, la Corte d’Appello aveva basato il suo no sull’articolo 52 del Dlgs 152/2001 che, al comma 1, stabilisce che “l’esercizio di fatto di mansioni non corrispondenti alla qualifica di appartenenza non ha effetto ai fini dell’inquadramento del lavoratore o dell’assegnazione a incarichi di direzione”.
Retribuzione slegata dallo status – Se i giudici di secondo grado avessero avuto la “pazienza” di scorrere ancora la stessa norma avrebbero visto che, il comma 5, prevede da un lato la nullità delle assegnazioni a mansioni proprie di una qualifica superiore al di fuori dei casi espressamente consentiti affermando al tempo stesso il diritto del lavoratore a incassare le differenze retributive per l’attività svolta.
Una conclusione contraria –afferma la Suprema Corte– sarebbe in contraddizione con la ratio della legge che è quella di assicurare comunque, anche in assenza di una possibilità di “scalare” l’organico, la retribuzione proporzionata alla qualità e alla quantità del lavoro prestato.
La teoria dei “vasi non comunicanti” affermata dalla Corte d’Appello non può portare “all’esito abnorme” –chiudono i giudici della sezione lavoro– di considerare la garanzia applicabile a chi ha svolto mansioni anche di poco superiori nell’ambito dello stesso livello contrattuale negandola invece a chi ha avuto compiti di maggiore rilievo pur avendo un altro profilo professionale (commento tratto da e link a www.diritto24.ilsole24ore.com).

VARIVisura sbagliata, paga il notaio. L'arretrato della conservatoria non evita il risarcimento. La Cassazione su un'ipoteca fantasma, pregiudizievole per la compravendita immobiliare.
Il notaio che non fa correttamente le visure tacendo quindi un'ipoteca pregiudizievole per la compravendita immobiliare è tenuto, insieme al venditore, a risarcire il cliente compratore.
Lo ha ribadito la Corte di Cassazione che, con la sentenza 27.10.2011 n. 22398, ha respinto il ricorso di una professionista che, dato l'arretrato in cui versava all'epoca la conservatoria, non aveva eseguito la visura su un immobile risultato poi soggetto a ipoteca.
In particolare la donna si era difesa rivendicando una limitazione delle sua responsabilità professionale dovuta al grande arretrato in cui si trovavano le conservatorie e quindi l'impossibilità di fare correttamente la visura.
La professionista invocava insomma l'applicazione dell'articolo 2236 del codice civile.
Nulla da fare su entrambe i motivi di ricorso. Per la Cassazione, infatti, la norma è inapplicabile a questi casi. Infatti, «in relazione alla inosservanza dell'obbligo di espletare la visura dei registri immobiliari in occasione di una compravendita immobiliare, il notaio non può invocare la limitazione di responsabilità prevista per il professionista dall'art. 2236 cod. civ. con riferimento al caso di prestazione implicante la soluzione di problemi tecnici, di speciale difficoltà (nella specie per l'arretrato in cui versavano le Conservatorie all'epoca dalla stipula e per la necessità di esaminare le annotazioni provvisorie di cui al cd. mod. 60), in quanto tale inosservanza non è riconducibile a un'ipotesi di imperizia, cui si applica quella limitazione, ma a negligenza o imprudenza, cioè alla violazione del dovere della normale diligenza professionale media esigibile ai sensi del secondo camma dell'art. 1176 cod. civ., rispetto alla quale rileva anche la colpa lieve».
Sul fronte della limitazione di responsabilità sancita dall'articolo 2236 del codice civile, la terza sezione civile ha sottolineato che l'attenuazione delle responsabilità non riguarda la diligenza del professionista bensì la prudenza e la perizia. Insomma, perché possa entrare in gioco la norma il problema al professionista non solo deve avere tecnica ma deve, per di più, riguardare prestazioni coinvolgenti problemi tecnici nuovi, di speciale complessità, per i quali è richiesto un impegno intellettuale superiore a quello professionale medio e con conseguente presupposizione di preparazione anch'essa superiore alla media.
Ora il verdetto è diventato definitivo: il notaio di Roma dovrà risarcire un cliente per non aver fatto le dovute visure su un immobile oggetto di compravendita. Poco dopo era infatti venuta fuori un'ipoteca che il professionista non aveva accertato mentre la parte venditrice aveva taciuto. È a questo punto che il compratore si è rivolto al Tribunale della Capitale chiedendo il risarcimento dei danni (in sentenza non è specificata l'entità). I giudici di primo grado hanno accolto l'istanza. Poi la Corte d'appello ha confermato: l'arretrato della conservatoria non limita la responsabilità del professionista (articolo ItaliaOggi del 28.10.2011).

EDILIZIA PRIVATALa regola delle distanze legali tra costruzioni di cui al comma 2 dell’art. 9 DM 1444/1968 è applicabile anche alle sopraelevazioni.
In tema di distanze tra costruzioni, applicabile, come detto, anche alle sopraelevazioni, l’adozione da parte dei Comuni di strumenti urbanistici contenenti disposizioni illegittime perché contrastanti con la norma di superiore livello dell’art. 9 DM 02.04.1968 n. 1444 –che fissa in dieci metri la distanza minima assoluta tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti– comporta l’obbligo per il giudice di applicare, in sostituzione delle disposizioni illegittime, quelle dello stesso strumento urbanistico, nella formulazione derivate, però, dalla inserzione in esso della regola sulla distanza fissata nel decreto ministeriale.
La disposizione di cui all'art. 9, comma 1, n. 2, d.m. 02.04.1968 n. 1444, essendo tassativa ed inderogabile, impone al proprietario dell'area confinante col muro finestrato altrui di costruire il proprio edificio ad almeno dieci metri da quello, senza alcuna deroga, neppure per il caso in cui la nuova costruzione sia destinata ad essere mantenuta ad una quota inferiore a quella dalle finestre antistanti e a distanza dalla soglia di queste conforme alle previsioni dell'art. 907 comma 3, c.c.
Le prescrizioni di cui al d.m. 02.04.1968 n. 1444 integrano con efficacia precettiva il regime delle distanze nelle costruzioni, sicché l'inderogabile distanza di 10 m. tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti vincola anche i comuni in sede di formazione o revisione degli strumenti urbanistici. Conseguentemente, ogni previsione regolamentare in contrasto con l'anzidetto limite minimo è illegittima e va annullata ove oggetto di impugnazione, o comunque disapplicata, stante la sua automatica sostituzione con la clausola legale dettata dalla fonte sovraordinata.
L'art. 9 d.m. 02.04.1968 n. 1444, che detta disposizioni in tema di distanze tra costruzioni, stante la natura di norma primaria, sostituisce eventuali disposizioni contrarie contenute nelle norme tecniche di attuazione.
La prescrizione di cui all'art. 9 d.m. 02.04.1968 n. 1444 relativa alla distanza minima di 10 m. tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti è volta non alla tutela del diritto alla riservatezza, bensì alla salvaguardia di imprescindibili esigenze igienico-sanitarie, ed è, dunque, tassativa ed inderogabile.

E’ da rigettarsi anche l’altro motivo di appello, con il quale si deduce la inapplicabilità alla fattispecie del richiamato art. 9, comma 2 D.M. 02.04.1968 n. 1444, perché esso sarebbe applicabile alle sole nuove costruzioni e non anche alle sopraelevazioni.
Infatti, è vero il contrario, secondo consolidata giurisprudenza (si veda, tra tante, in tal senso, Cassazione civile, sezione II, 27.03.2001, n.4413) che ritiene che la regola delle distanze legali tra costruzioni di cui al comma 2 dell’art. 9 sia applicabile anche alle sopraelevazioni.
Sono infondati anche gli altri motivi, sostenuti in entrambi gli appelli, con i quali si sostiene la erroneità della sentenza impugnata perché:
a) il PRG vigente all’epoca dei fatti faceva unicamente riferimento ai limiti di altezza e non di distanze;
b) era ammessa la deroga di cui al secondo comma dell’art. 9 su menzionato;
c) la delibera comunale avrebbe natura di piano particolareggiato e non di mero studio urbanistico, travisando dalla intitolazione.
Infatti, ad opinione del Collegio nella suddetta materia deve ritenersi che in tema di distanze tra costruzioni, applicabile, come detto, anche alle sopraelevazioni, l’adozione da parte dei Comuni di strumenti urbanistici contenenti disposizioni illegittime perché contrastanti con la norma di superiore livello dell’art. 9 DM 02.04.1968 n. 1444 –che fissa in dieci metri la distanza minima assoluta tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti– comporta l’obbligo per il giudice di applicare, in sostituzione delle disposizioni illegittime, quelle dello stesso strumento urbanistico, nella formulazione derivate, però, dalla inserzione in esso della regola sulla distanza fissata nel decreto ministeriale (così Cassazione civile, II, 27.03.2001, n. 4413 su richiamata; così anche Consiglio di Stato, IV, 12.06.2007, n. 3094).
La disposizione di cui all'art. 9, comma 1, n. 2, d.m. 02.04.1968 n. 1444, essendo tassativa ed inderogabile, impone al proprietario dell'area confinante col muro finestrato altrui di costruire il proprio edificio ad almeno dieci metri da quello, senza alcuna deroga, neppure per il caso in cui la nuova costruzione sia destinata ad essere mantenuta ad una quota inferiore a quella dalle finestre antistanti e a distanza dalla soglia di queste conforme alle previsioni dell'art. 907 comma 3, c.c.
Le prescrizioni di cui al d.m. 02.04.1968 n. 1444 integrano con efficacia precettiva il regime delle distanze nelle costruzioni, sicché l'inderogabile distanza di 10 m. tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti vincola anche i comuni in sede di formazione o revisione degli strumenti urbanistici. Conseguentemente, ogni previsione regolamentare in contrasto con l'anzidetto limite minimo è illegittima e va annullata ove oggetto di impugnazione, o comunque disapplicata, stante la sua automatica sostituzione con la clausola legale dettata dalla fonte sovraordinata.
L'art. 9 d.m. 02.04.1968 n. 1444, che detta disposizioni in tema di distanze tra costruzioni, stante la natura di norma primaria, sostituisce eventuali disposizioni contrarie contenute nelle norme tecniche di attuazione.
La prescrizione di cui all'art. 9 d.m. 02.04.1968 n. 1444 relativa alla distanza minima di 10 m. tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti è volta non alla tutela del diritto alla riservatezza, bensì alla salvaguardia di imprescindibili esigenze igienico-sanitarie, ed è, dunque, tassativa ed inderogabile (per tali principi consolidati, ex plurimis, Consiglio Stato, sez. IV, 12.06.2007, n. 3094) (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 27.10.2011 n. 5759 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Sulle procedure di acquisizione di servizi in economia ex art. 125 del d.lgs. n. 163/2006, prima dell'emanazione del d.P.R. n. 207/2010.
Prima dell'avvento del d.P.R. n. 207/2010, nelle procedure di acquisizione di servizi in economia, rimetteva alla Stazione appaltante la decisione delle garanzie da richiedere ai concorrenti e gli oneri dichiarativi a pena di esclusione a carico dei concorrenti in tema di requisiti morali erano rimessi alle prescrizioni caso per caso della lex specialis, potendo imporsi, tra i contenuti dell'art. 38 del Codice del 2006, a guisa di principi inderogabili, soltanto le previsioni di esclusione dalla partecipazione alle procedure per i casi elencati nel primo comma dell'articolo (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 27.10.2011 n. 5742 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Sulla regola dell'inderogabilità del bando da parte della lettera d'invito.
La costituzione della commissione di gara deve avvenire dopo la scadenza del termine fissato per la presentazione delle offerte.

Nelle procedure ristrette vale la regola dell'inderogabilità del bando da parte della lettera d'invito, correlata sia alla funzione meramente integrativa della lettera d'invito rispetto al bando, sia alla necessità che le prescrizioni rese note alla generalità degli aspiranti a partecipare alla gara non possano essere modificate con un atto rivolto alle sole imprese che abbiano chiesto di partecipare.
L'applicazione di detta regola comporta che ove la stazione appaltante riscontri una illegittimità ovvero intenda modificare le prescrizioni del bando di gara, non può procedere ad una sua rettifica mediante la lettera d'invito, ma è tenuta ad utilizzare per la modifica lo strumento del contrarius actus. Parimenti, quando illegittimità vengano riscontrate nella lettera d'invito, né l'amministrazione né la commissione hanno il potere di emendarla dopo l'apertura delle offerte, avendo la possibilità di annullare l'intera gara.
Pertanto, nel caso di specie, il comportamento della stazione appaltante e della commissione -che prima ha applicato le regole della lettera d'invito per poi correggersi applicando i pesi indicati nel bando- avvalora lo stato di incertezza e la turbativa al corretto ed uniforme svolgimento della procedura di selezione e la violazione dei principi di correttezza, pubblicità, trasparenza e par condicio tra i concorrenti di cui agli articoli 2, 64 e 67 del codice dei contratti pubblici (d.lgs. n. 163/2006), applicabili a tutte le procedure di scelta, sia dell'appaltatore che del concessionario, anche in base all'espresso richiamo contenuto nell'art. 30 dello stesso codice.
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La costituzione della commissione di gara deve avvenire dopo la scadenza del termine fissato per la presentazione delle offerte deve trovare applicazione in concreto, secondo le circostanze del caso e, quindi, il suo rispetto va valutato tenendo conto del termine effettivo di scadenza.
La disposizione dell'art. 84, c. 10, del d.lgs. n. 163, è infatti espressione di un principio di ordine generale, rispondente ad esigenze di imparzialità della procedura di gara, allo scopo di evitare collusioni tra commissari e concorrenti, ed è applicabile ad ogni specie di competizione (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 27.10.2011 n. 5740 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: L'obbligo per le imprese riunite dell'indicazione della percentuale delle prestazioni corrispondenti alla quota di partecipazione al raggruppamento non consente distinzioni legate alla natura morfologica del RTI o alla tipologia delle prestazioni.
La chiarezza del tenore letterale dell'art. 37, co. 13, del D.Lgs n. 163/2006, impone di considerare vincolanti, per le imprese riunite, gli obblighi di specificazione delle parti delle prestazioni che saranno eseguite da ciascuna di esse e delle quote di partecipazione.
Tale obbligo è espressione di un principio generale che prescinde dall'assoggettamento della gara alla disciplina comunitaria e non consente distinzioni legate alla natura morfologica del raggruppamento (verticale o orizzontale), o alla tipologia delle prestazioni (principali o secondarie, scorporabili o unitarie) (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 27.10.2011 n. 5736 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

EDILIZIA PRIVATALa errata o insufficiente (non importa se dolosa o colposa) rappresentazione di circostanze di fatto esposte nella domanda e relativi allegati di concessione edilizia posta alla base del rilascio dell’atto della concessione edilizia che diversamente non sarebbe stata rilasciata, costituisce da sola ragione sufficiente per giustificare un provvedimento di annullamento di ufficio della concessione medesima, tanto che in tale situazione si può prescindere dal contemperamento con un interesse pubblico attuale e concreto.
In materia di autotutela riferibile ad immobili abusivi, va richiamato il principio che ritiene vincolato il potere dell’Amministrazione al ripristino dello status quo ante. In una fattispecie similare, difatti, la giurisprudenza ha sostenuto che “l’ingiunzione di demolizione è del tutto legittima atteso che in presenza di manufatti abusivi non condonati né sanati, gli interventi ulteriori (sia pure riconducibili, nella loro oggettività, alle categorie della manutenzione straordinaria, del restauro e/o risanamento conservativo, della ristrutturazione, della realizzazione di opere costituenti pertinenze urbanistiche) ripetono le caratteristiche di illegittimità dell’opera principale, alla quale ineriscono strutturalmente, sicché non può ammettersi la prosecuzione dei lavori abusivi a completamento di opere che, fino al momento di eventuali sanatorie, devono ritenersi comunque abusive, con conseguente obbligo del Comune di ordinarne la demolizione. Ciò non significa negare in assoluto la possibilità di intervenire su immobili rispetto ai quali pende istanza di condono, ma solo affermare che, a pena di assoggettamento della medesima sanzione prevista per l’immobile abusivo cui ineriscono, ciò deve avvenire nel rispetto delle procedure di legge.

Da quanto evidenziato in precedenza, appare corretto il procedimento seguito dall’Amministrazione comunale che ha posto alla base dell’atto di annullamento l’infedele o inesatta dichiarazione –il cui eventuale carattere doloso non rileva in questa sede– essendo illegittimo un condono richiesto in relazione ad interventi effettuati su un’opera già in origine (parzialmente) abusiva.
Difatti, “la errata o insufficiente (non importa se dolosa o colposa) rappresentazione di circostanze di fatto esposte nella domanda e relativi allegati di concessione edilizia posta alla base del rilascio dell’atto della concessione edilizia che diversamente non sarebbe stata rilasciata, costituisce da sola ragione sufficiente per giustificare un provvedimento di annullamento di ufficio della concessione medesima, tanto che in tale situazione si può prescindere dal contemperamento con un interesse pubblico attuale e concreto” (Consiglio di Stato, IV, 24.12.2008, n. 6554).
Del resto, in materia di autotutela riferibile ad immobili abusivi, va richiamato il principio che ritiene vincolato il potere dell’Amministrazione al ripristino dello status quo ante.
In una fattispecie similare, difatti, la giurisprudenza ha sostenuto che “l’ingiunzione di demolizione è del tutto legittima atteso che in presenza di manufatti abusivi non condonati né sanati, gli interventi ulteriori (sia pure riconducibili, nella loro oggettività, alle categorie della manutenzione straordinaria, del restauro e/o risanamento conservativo, della ristrutturazione, della realizzazione di opere costituenti pertinenze urbanistiche) ripetono le caratteristiche di illegittimità dell’opera principale, alla quale ineriscono strutturalmente, sicché non può ammettersi la prosecuzione dei lavori abusivi a completamento di opere che, fino al momento di eventuali sanatorie, devono ritenersi comunque abusive, con conseguente obbligo del Comune di ordinarne la demolizione. Ciò non significa negare in assoluto la possibilità di intervenire su immobili rispetto ai quali pende istanza di condono, ma solo affermare che, a pena di assoggettamento della medesima sanzione prevista per l’immobile abusivo cui ineriscono, ciò deve avvenire nel rispetto delle procedure di legge” (TAR Campania, Napoli, VII, 08.04.2011, n. 1999)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 27.10.2011 n. 2592 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAL’installazione di una copertura mobile scorrevole su ruote a protezione del personale addetto al carico e scarico degli automezzi non può ritenersi quale "opera precaria".
La precarietà dell’opera non può essere desunta soltanto dal non stabile collegamento al suolo, ma devono essere considerati anche il suo concreto utilizzo e la sua funzione. Difatti, secondo consolidata giurisprudenza, “non sono manufatti destinati a soddisfare esigenze meramente temporanee quelli destinati ad un’utilizzazione perdurante nel tempo, di talché l’alterazione del territorio non può essere considerata temporanea, precaria o irrilevante”, indipendentemente dalla loro struttura o dal loro posizionamento.
A tal punto va scrutinato, per la restante parte, il ricorso R.G. n. 4566 del 2000 (con cui si chiede l’annullamento dell’autorizzazione alla ditta Castelnuovo per l’installazione di una copertura mobile scorrevole su ruote a protezione del personale addetto al carico e scarico degli automezzi), con riferimento alla seconda e terza censura, da esaminare congiuntamente in quanto connesse.
Con le stesse si sostiene che non sarebbe condivisibile la ritenuta precarietà dell’opera in oggetto, attesa la sua conformazione plano-volumetrica e la sua effettiva destinazione e ciò avrebbe avuto un diretto riflesso sul rispetto degli indici di edificabilità della zona, che sarebbero stati ampiamente superati con la predetta realizzazione, e l’Amministrazione, qualificando l’opera come precaria, avrebbe omesso la doverosa verifica in ordine a tale aspetto.
La censura è fondata.
La precarietà dell’opera non può essere desunta soltanto dal non stabile collegamento al suolo, ma devono essere considerati anche il suo concreto utilizzo e la sua funzione. Difatti, secondo consolidata giurisprudenza, “non sono manufatti destinati a soddisfare esigenze meramente temporanee quelli destinati ad un’utilizzazione perdurante nel tempo, di talché l’alterazione del territorio non può essere considerata temporanea, precaria o irrilevante”, indipendentemente dalla loro struttura o dal loro posizionamento (Consiglio di Stato, VI, 16.02.2011, n. 986).
Nel caso di specie, l’Amministrazione non ha assolutamente motivato in ordine a tale aspetto, non essendo chiarito nemmeno se la copertura mobile scorrevole sia stabilmente affissa al suolo o meno (all. 5 al ricorso). Del resto, anche dalla documentazione fotografica appare possibile verificare l’imponenza della struttura e la sua non precarietà (all. 6 e 7 al ricorso).
Ciò determina l’illegittimità dell’autorizzazione rilasciata alla controinteressata
(TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 27.10.2011 n. 2592 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTINessuna norma impone che la verifica dell'offerta anomala sia effettuata dalla commissione giudicatrice, ben potendo essere a ciò delegato un terzo; la giurisprudenza ha affermato, al riguardo, che “quanto alla verifica dell'anomalia, la stessa è demandata, dall'art. 89, D.P.R. n. 554 del 1999, al responsabile del procedimento, il quale può condurla avvalendosi dell'ausilio di organismi tecnici della stazione appaltante”.
La verifica di anomalia di un'offerta richiede una motivazione analitica solamente nei casi in cui l'anomalia non sia giustificata da elementi congrui e che quindi si concluda negativamente per gli interessati; nel caso in cui la valutazione si esaurisca in un giudizio di congruità, non è necessario che il provvedimento finale sia sorretto da una motivazione articolata che dia conto delle singole giustificazioni corredandole con apprezzamenti ulteriori, essendo sufficiente anche una motivazione espressa per relationem alle giustificazioni, quando esse siano perspicue.

Con il secondo motivo è stata denunciata l’incompetenza del responsabile del procedimento nell’effettuazione della verifica di anomalia, atteso che la stessa avrebbe dovuto essere effettuata dalla commissione giudicatrice.
Il motivo deve essere respinto, atteso che nessuna norma applicabile alla fattispecie de quo imponeva che la detta verifica fosse effettuata dalla commissione giudicatrice, ben potendo essere a ciò delegato un terzo; la giurisprudenza ha affermato, al riguardo, che “quanto alla verifica dell'anomalia, la stessa è demandata, dall'art. 89, D.P.R. n. 554 del 1999, al responsabile del procedimento, il quale può condurla avvalendosi dell'ausilio di organismi tecnici della stazione appaltante” (Consiglio di Stato, Sez. VI, 22.10.2002, n. 5813).
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Con l’ultimo motivo di ricorso si lamenta la mancanza di un’adeguata istruttoria e motivazione del giudizio di congruità dell’offerta della controinteressata.
Anche tale motivo è infondato, costituendo principio giurisprudenziale consolidato quello secondo cui la verifica di anomalia di un'offerta richiede una motivazione analitica solamente nei casi in cui l'anomalia non sia giustificata da elementi congrui e che quindi si concluda negativamente per gli interessati; nel caso in cui la valutazione si esaurisca in un giudizio di congruità, non è necessario che il provvedimento finale sia sorretto da una motivazione articolata che dia conto delle singole giustificazioni corredandole con apprezzamenti ulteriori, essendo sufficiente anche una motivazione espressa per relationem alle giustificazioni, quando esse siano perspicue (TAR Liguria, sez. II, 20.04.2011, n. 645) (TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 27.10.2011 n. 2583 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVIIl potere sindacale di emanare ordinanze contingibili ed urgenti, tali da prescindere anche dalle comunicazioni preventive di avvio del procedimento ex art. 7 e seguenti della legge 241/1990, richiede l’imprescindibile sussistenza di una situazione di effettivo pericolo di danno grave ed imminente per l’incolumità pubblica non fronteggiabile con gli ordinari strumenti di amministrazione attiva, debitamente motivati a seguito di adeguata e approfondita istruttoria.
Il potere sindacale di emanare ordinanze contingibili ed urgenti, tali da prescindere anche dalle comunicazioni preventive di avvio del procedimento ex art. 7 e seguenti della legge 241/1990, richiede l’imprescindibile sussistenza di una situazione di effettivo pericolo di danno grave ed imminente per l’incolumità pubblica non fronteggiabile con gli ordinari strumenti di amministrazione attiva, debitamente motivati a seguito di adeguata e approfondita istruttoria (cfr. C.d.S. sez. 5^ n. 868/2010) (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 27.10.2011 n. 2579 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Sulla legittimazione delle associazioni di categoria ad impugnare gli atti concernenti i singoli associati.
Le associazioni di categoria sono legittimate a impugnare atti concernenti i singoli associati solo se ed in quanto gli stessi concretizzino anche una lesione dell'interesse collettivo statutariamente tutelato da dette associazioni in quanto, diversamente, l'azione si tradurrebbe in una non consentita sostituzione processuale, con possibilità di realizzare un contrasto potenziale tra i vari iscritti (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 26.10.2011 n. 5709 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

EDILIZIA PRIVATA: All'interno del centro abitato, il Comune è titolare di funzioni relative sia alla sicurezza della circolazione, in quanto titolare del potere di autorizzazione all’istallazione di impianti pubblicitari nel rispetto delle prescrizioni del Codice della Strada, sia all’uso del proprio territorio, dal momento che l’art. 3 del D.Lgs. 507/1993 affida all’Ente locale, tra l’altro, il compito di stabilire “limitazioni e divieti per particolari forme pubblicitarie in relazione ad esigenze di pubblico interesse”.
Pertanto, è legittimo l’art. 27 del regolamento comunale per l’installazione degli impianti pubblicitari e piano generale degli impianti, ove prevede che “è consentito installare mezzi pubblicitari luminosi o con display luminoso con grafica di animazione, unicamente per la divulgazione di informazioni alla cittadinanza, a cura esclusivamente dell’Amministrazione Comunale”.
L’art. 50 comma 4 del D.P.R. 16.12.1992 n. 495, attuativo dell'art. 23 del codice della strada, dettato in materia di “caratteristiche dei cartelli e dei mezzi pubblicitari luminosi”, prevede che “entro i centri abitati si applicano le disposizioni previste dai regolamenti comunali”.
A sua volta, il comma 3 del D.Lgs. 15.11.2003 n. 507 prevede che “il regolamento del comune disciplina le modalità di effettuazione della pubblicità e può stabilire limitazioni e divieti per particolari forme pubblicitarie in relazione ad esigenze di pubblico interesse”.
L’art. 27 del regolamento comunale per l’installazione degli impianti pubblicitari e piano generale degli impianti, prevede a sua volta che “è consentito installare mezzi pubblicitari luminosi o con display luminoso con grafica di animazione, unicamente per la divulgazione di informazioni alla cittadinanza, a cura esclusivamente dell’Amministrazione Comunale”.
L’area de qua rientra nel centro abitato, dovendo pertanto trovare applicazione quanto previsto dal citato art. 27, al quale la citata normativa statale espressamente rinvia.
Il Comune è infatti titolare di funzioni relative sia alla sicurezza della circolazione, in quanto titolare del potere di autorizzazione all’istallazione di impianti pubblicitari nel rispetto delle prescrizioni del Codice della Strada, sia all’uso del proprio territorio, dal momento che l’art. 3 del D.Lgs. 507/1993 affida all’Ente locale, tra l’altro, il compito di stabilire “limitazioni e divieti per particolari forme pubblicitarie in relazione ad esigenze di pubblico interesse” (TAR Lombardia, Brescia, 28.02.2008, n. 174).
In contrario non rileva la giurisprudenza citata dal ricorrente (TAR Toscana Firenze, sez. I, 19.06.1998, n. 404), la quale ha sancito l’illegittimità di un regolamento comunale che conteneva divieti assoluti sulla collocazione dei cartelli pubblicitari e non invece circoscritti, come nel caso di specie (TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 21.10.2011 n. 2521 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICA: In materia di V.A.S.:
1) In circostanze come quelle della causa principale, l’art. 6, n. 3, della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 27.06.2001, 2001/42/CE, concernente la valutazione degli effetti di determinati piani e programmi sull’ambiente, non impone che sia creata o designata un’altra autorità consultiva ai sensi di tale disposizione, purché, in seno all’autorità normalmente incaricata di procedere alla consultazione in materia ambientale e designata a tal fine, sia organizzata una separazione funzionale in modo tale che un’entità amministrativa, interna a tale autorità, disponga di un’autonomia reale, la quale implichi, segnatamente, che essa abbia a disposizione mezzi amministrativi e risorse umane propri, e sia in tal modo in grado di svolgere i compiti attribuiti alle autorità consultive ai sensi di tale art. 6, n. 3, e, in particolare, di fornire in modo oggettivo il proprio parere sul piano o programma previsto dall’autorità dalla quale essa promana.
2) L’art. 6, n. 2, della direttiva 2001/42 dev’essere interpretato nel senso che esso non impone che siano fissati in modo preciso nella normativa nazionale di recepimento di tale direttiva i termini entro i quali le autorità designate e il pubblico che ne è o probabilmente ne verrà toccato, ai sensi dei nn. 3 e 4 di tale articolo, devono poter esprimere il proprio parere su una determinata proposta di piano o di programma nonché sul rapporto ambientale e, di conseguenza, il citato n. 2 non osta a che siffatti termini siano stabiliti di volta in volta dall’autorità che elabora un piano o un programma. Tuttavia, in quest’ultimo caso, tale medesimo n. 2 prescrive che, ai fini della consultazione di tali autorità e di tale pubblico su un progetto di piano o di programma determinato, il termine effettivamente stabilito sia congruo e consenta quindi di dare loro un’effettiva opportunità di esprimere, tempestivamente, il loro parere su tale proposta di piano o di programma nonché sul rapporto ambientale che lo accompagna.

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VAS, consultazione, piani e programmi: dall'UE mano libera all'autorita' promotrice.
Secondo la Corte UE, la direttiva sulla VAS non richiede che la normativa nazionale di recepimento fissi con precisione i termini entro i quali le autorità designate e il pubblico che ne e' (o probabilmente ne verrà) toccato debbano poter esprimere il proprio parere su una determinata proposta di piano o di programma nonché sul rapporto ambientale. Pertanto, tali termini possono essere stabiliti di volta in volta dall'autorità che elabora un piano o un programma, sempre che quelli effettivamente stabiliti siano congrui.

Si tratta di uno dei principi affermati con la sentenza del 20.10.2011 n. C-474/10, “Seaport e a.”, in virtù della quale la Corte di Giustizia UE, rispondendo alla domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla Court of Appeal in Northern Ireland (Regno Unito) ha interpretato l’art. 6 della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 27.06.2001, 2001/42/CE, concernente la valutazione degli effetti di determinati piani e programmi sull’ambiente (la c.d. “direttiva sulla VAS”).
Tale pronuncia pregiudiziale è sorta nel contesto di alcune controversie che vedono il Ministero dell’Ambiente dell’Irlanda del Nord contrapposto alla Seaport (NI) Ltd, Magherafelt District Council ed altri, relativamente alla validità della procedura di consultazione che è stata condotta per la preparazione delle proposte dei piani di sviluppo regionali nell'Irlanda del Nord.
La direttiva 2001/42/CE sulla VAS.
Nel 2001, dopo molti anni di discussioni e dibattiti, venne adottata la direttiva sulla Valutazione Ambientale Strategica (2001/42/CE), la quale risponde all’esigenza di “svolgere una valutazione preventiva degli effetti che possono derivare all’ambiente non solo da scelte localizzative puntuali (come avviene per opere e progetti sottoposti a VIA), ma anche da scelte strategiche e politiche lato sensu (ovvero ad atti di pianificazione e programmazione nonché a veri e propri atti regolamentari)” [G. Galotto, M. Mazzoleni, Le valutazioni ambientali: VAS, VIA e IPPC, IPSOA, pag. 1).
La direttiva 2001/42/CE comporta “[la] obbligatorietà di una valutazione e ponderazione delle conseguenze ambientali che piani e programmi, idonei –per natura e contenuti– a produrre effetti ambientali, possono provocare”. Sotto tale profilo, la VAS di matrice comunitaria ha ad oggetto tipicamente provvedimenti di natura pubblica. In particolare, per “piani e programmi, ai sensi dell’art. 2, lett. a), della direttiva 2001/42 s’intendono “i piani e i programmi, compresi quelli cofinanziati dalla Comunità europea, nonché le loro modifiche: – che sono elaborati e/o adottati da un’autorità a livello nazionale, regionale o locale oppure predisposti da un’autorità per essere approvati, mediante una procedura legislativa, dal parlamento o dal governo e – che sono previsti da disposizioni legislative, regolamentari o amministrative”.
L'obiettivo principale della VAS è, dunque, quello di valutare gli effetti ambientali dei piani o dei programmi innanzitutto “ex-ante”, cioè prima che vengano approvati, ma anche “in itinere” ed “ex-post”, cioè durante ed alla conclusione del loro periodo di validità. Nel disegno delineato dalla direttiva 2001/42/CE un ruolo fondamentale è assegnato alla redazione di un “rapporto ambientale” (art. 2, lettera c) che deve essere elaborato in vista dell’approvazione o del piano/programma, e poi trasmesso –unitamente ad una sua sintesi non tecnica, e naturalmente, alla proposta di piano o programma sottoposto a VAS– alle autorità designate dai singoli Stati membri in quanto interessate agli effetti sull’ambiente derivanti dall’applicazione del piano/programma.
Sintetizzando la procedura prevista dalla direttiva 2001/42/CE si articola nelle seguenti fasi: la verifica che un piano/programma siano soggetti alla VAS (
screening), la definizione dell'ambito delle indagini richieste per la valutazione (scoping), la valutazione degli effetti ambientali significativi probabili, espressi anche a mezzo di indicatori ambientali, l’informazione e la consultazione del pubblico e dei vari attori del processo decisionale, anche sulla base di tutte le valutazioni ambientali svolte, la decisione, che va pur’essa resa pubblica, dando conto di come e in che misura siano stati tenuti in considerazione il rapporto ambientale, i pareri ottenuti e l’esito delle consultazioni, il monitoraggio degli effetti ambientali del piano/programma.
Come è noto, la direttiva 2001/42/CE è stata recepita nel nostro ordinamento dal D.Lgs. n. 152/2006. Per maggiori approfondimenti sulla VAS, è possibile consultare l’apposita sezione del sito istituzionale della Commissione europea, o quella analoga del sito del Ministero dell’Ambiente.
Il fatto.
All’epoca dei fatti della causa principale, il Department of the Environment –l’equivalente irlandese del nostro Ministero dell’Ambiente- comprendeva quattro Agenzie esecutive, ciascuna delle quali era soggetta al suo controllo, non aveva una propria personalità giuridica distinta ed era competente ad esercitare alcuni dei poteri regolamentari e funzioni conferiti per legge a tale Department.
Tali agenzie erano: il Planning Service (servizio di pianificazione), l’Environment and Heritage Service [servizio dell’ambiente e del patrimonio culturale; in prosieguo: l’«EHS», attualmente denominato Northern Ireland Environnement Agency (NIEA)], la Driver and Vehicle Testing Agency (agenzia di controllo di conducenti e veicoli) e la Driver and Vehicle Licensing Northern Ireland (agenzia competente per il rilascio di patenti di guida e immatricolazione dei veicoli nell’Irlanda del Nord).
In particolare, il Planning Service esercitava le funzioni relative all’elaborazione dei piani di sviluppo regionali e alle decisioni in merito alle singole domande per il rilascio di permessi di pianificazione mentre l’EHS esercitava la maggior parte dei poteri conferiti al Department, riguardanti la regolamentazione dell’ambiente, esclusa la pianificazione.
Il Planning Service ha avviato, conformemente alle procedure nazionali all’epoca in vigore, l’elaborazione dei progetti di piani di sviluppo regionali denominati “Northern Area Plan 2016” e “Magherafelt Area Plan 2015”, elaborazione che ha avuto luogo anteriormente alla data entro la quale gli Stati membri avrebbero dovuto recepire la direttiva 2001/42.
Entrambe le proposte di piano, però, sono state pubblicate dopo tale data (e cioè, il progetto relativo al Magherafelt Area Plan 2015 nel 2004, mentre quello relativo al Northern Area Plan 2016 nel 2005).
Per chi volesse approfondire, questo è il link al sito istituzionale governativo dove vengono pubblicate tutte le novità nonché la documentazione relativa a tali piani di sviluppo. Nel novembre 2005 la Seaport ha proposto un ricorso dinanzi alla High Court of Justice in Northern Ireland, Queen’s Bench Division (Regno Unito), per contestare la validità delle azioni del Department of the Environment con riferimento alla pubblicazione da parte di quest’ultimo del progetto riguardante il Northern Area Plan 2016: in buona sostanza, sosteneva che la direttiva 2001/42 non era stata adeguatamente recepita nel diritto nazionale e che la valutazione e il rapporto ambientali effettuati dal Department of the Environment non erano conformi alle prescrizioni di tale direttiva.
Successivamente anche altri, con motivazioni analoghe, hanno presentato un’istanza, dinanzi allo stesso giudice, volta a contestare la pubblicazione del progetto relativo al Magherafelt Area Plan 2015, la realizzazione della valutazione ambientale e il contenuto del rapporto ambientale.
La Seaport, però, rinunciava all’azione e la domanda di pronuncia pregiudiziale che era stata presentata dalla High Court of Justice in Northern Ireland, Queen’s Bench Division, è stata annullata con ordinanza di quest’ultimo giudice 23.04.2010 (di modo che, con ordinanza del presidente della Prima Sezione della Corte 03.06.2010, Seaport/Department of the Environment for Northern Ireland, la causa C-182/09 è stata cancellata dal ruolo della Corte).
Con una sentenza del 07.09.2007, veniva decisa la causa instaurata innanzi alla High Court: quest’ultima constatava sia che le prescrizioni di cui all’art. 6, nn. 2 e 3, della direttiva 2001/42 non erano state correttamente trasposte dagli artt. 4 e 12 del regolamento del 2004, sia che l’art. 12 non aveva trasposto adeguatamente neanche le disposizioni dell’art. 6, n. 2, di tale direttiva, non avendo stabilito un termine specifico entro il quale dovesse aver luogo la consultazione.
Il 06.11.2007, il Department of the Environment, alla luce della sentenza della High Court, riesaminava la sua decisione di effettuare una valutazione ambientale della proposta di piano relativamente alle condizioni previste dalla direttiva 2001/42 e dal regolamento del 2004 e, con una nuova decisione, dichiarava “che non era possibile effettuare una valutazione ambientale della proposta di piano per la regione Nord 2016 che sia in conformità con la direttiva [2001/42] e [con il regolamento del 2004], e informa con la presente il pubblico della sua decisione a tale proposito, conformemente all’art. 6, n. 2, [del regolamento del 2004]”.
Con decisione del 13.11.2007, la High Court of Justice in Northern Ireland si è pronunciata sulle misure da adottare per porre rimedio alle carenze constatate nella sua sentenza del 07.09.2007.
Come anticipato, la questione è finita dinanzi alla Court of Appeal in Northern Ireland –il nostro giudice a quo- alla quale ha proposto appello il Department of the Environment avverso le conclusioni della High Court of Justice in Northern Ireland secondo le quali il regolamento del 2004 non aveva adeguatamente recepito le prescrizioni dell’art. 6, nn. 2 e 3, della direttiva 2001/42.
Il giudice del rinvio, con decisione 08.09.2008 ha sottoposto alla Corte questioni pregiudiziali identiche a quelle della presente causa: con ordinanza 20.05.2009, causa C-454/08, Seaport Investments, tale domanda “è stata dichiarata manifestamente irricevibile, in quanto, segnatamente, la decisione di rinvio non conteneva nessun argomento che esplicitava il quadro regolamentare e fattuale della controversia nella causa principale e non esponeva in modo sufficientemente chiaro e preciso le ragioni che avevano condotto tale giudice ad interpellare la Corte sull’interpretazione degli artt. 3, 5 e 6 della direttiva 2001/42.”
Le questioni pregiudiziali Alla luce di quanto precede la Court of Appeal in Northern Ireland ha nuovamente deciso di sospendere il giudizio e di sottoporre alla Corte tre questioni pregiudiziali.
Con le prime due questioni –esaminate dalla Corte UE congiuntamente– il giudice del rinvio chiedeva in sostanza se, in circostanze come quelle della causa principale, laddove l’autorità che è stata designata quale organo consultivo ai sensi dell’art. 6, n. 3, della direttiva 2001/42 è essa stessa incaricata dell’elaborazione di un piano ai sensi di quest’ultima, la citata disposizione debba essere interpretata nel senso che essa impone che sia designata un’altra autorità che deve, segnatamente, essere consultata nell’ambito dell’elaborazione del rapporto sugli effetti ambientali nonché dell’adozione di tale piano.
Con la sua terza questione, invece, il giudice del rinvio chiedeva se l’art. 6, n. 2, della direttiva 2001/42 debba essere interpretato nel senso che esso prevede che siano fissati in modo preciso nella normativa nazionale di recepimento di tale direttiva i «termini congrui» entro i quali le autorità designate e il pubblico, che ne sono o probabilmente ne verranno toccati, ai sensi dei nn. 3 e 4 di tale articolo, devono poter esprimere il proprio parere su una proposta di piano o di programma nonché sul rapporto ambientale che la accompagna.
La decisione della Corte.
La Quarta Sezione della Corte Ue, con la sentenza del 20.10.2011 n. C-474/10, “Seaport e a.” ha, in primo luogo, dichiarato che in circostanze come quelle della causa principale, l’art. 6, n. 3, della direttiva 2001/42/CE sulla VAS non impone che sia creata o designata un’altra autorità consultiva ai sensi di tale disposizione, purché, in seno all’autorità normalmente incaricata di procedere alla consultazione in materia ambientale e designata a tal fine, sia organizzata un’apposita separazione funzionale.
In pratica –spiegano nel dettaglio gli eurogiudici– la separazione delle funzioni da realizzare all’interno dell’autorità designata deve prevedere che un’entità amministrativa, interna a tale autorità, disponga di un’autonomia reale, la quale implichi, segnatamente, che essa abbia a disposizione mezzi amministrativi e risorse umane propri, in modo tale da poter svolgere i compiti attribuiti alle autorità consultive ai sensi di tale art. 6, n. 3 della direttiva 2001/42/CE, e, in particolare, di poter fornire in modo oggettivo il proprio parere sul piano o programma previsto dall’autorità dalla quale essa promana.
In secondo luogo, sempre secondo i giudici della Quarta Sezione, l’art. 6, n. 2, della direttiva 2001/42 non impone che siano fissati in modo preciso nella normativa nazionale di recepimento di tale direttiva i termini entro i quali le autorità designate e il pubblico che ne è o probabilmente ne verrà toccato, ai sensi dei nn. 3 e 4 di tale articolo, devono poter esprimere il proprio parere su una determinata proposta di piano o di programma nonché sul rapporto ambientale.
Di conseguenza, il citato n. 2 non osta a che siffatti termini siano stabiliti di volta in volta dall’autorità che elabora un piano o un programma.
Tuttavia, in quest’ultimo caso –sottolinea la Corte UE– tale n. 2 prescrive che, ai fini della consultazione di tali autorità e di tale pubblico su un progetto di piano o di programma determinato, il termine effettivamente stabilito sia congruo e consenta quindi di dare loro un’effettiva opportunità di esprimere, tempestivamente, il loro parere su tale proposta di piano o di programma nonché sul rapporto ambientale che lo accompagna.
In conclusione, la sentenza della Corte Ue ci sembra in linea con quanto indicato sul tema dalle Linee Guida elaborate dalla Commissione nel 2003 (Commission’s Guidance on the implementation of directive 2001/42/EC on the assessment of the effects of certain plans and programmes on the environment), in ordine alle quali si rimanda a M. Mazzoleni, “L’attuazione della direttiva sulla Valutazione Ambientale Strategica: un’occasione persa?”, in Ambiente & Sviluppo n. 7/2006. Ulteriormente, si veda la pubblicazione della Commissione europea, Attuazione della direttiva 2001/42/CE concernente la valutazione degli effetti di determinati piani e programmi sull’ambiente, 2003, resa disponibile in formato PDF sulle pagine del sito web del Progetto ENPLAN (Evaluation environnementale des plans et programmes) (commento tratto da www.ipsoa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Manufatti precari – Presupposti – Destinazione funzionale e interesse finale.
Al fine di verificare se una determinata opera abbia o meno carattere precario, occorre verificare la destinazione funzionale e l’interesse finale al cui soddisfacimento l’opera stessa è destinata; con la conseguenza che solo le opere agevolmente rimuovibili e funzionali al soddisfacimento di una esigenza oggettivamente temporanea -destinate, cioè, ad essere rimosse dopo il tempo entro cui si realizza l’interesse finale (come, ad es., una baracca di cantiere o un manufatto per una manifestazione)- possono ritenersi prive di minima entità ovvero di carattere precario ed, in quanto tali, non richiedono per la loro edificazione la necessità di uno specifico titolo edilizio (TAR Sardegna, sez. II, 12.02.2010, n. 158, vd. anche TAR Campania Napoli, sez. VIII, 09.06.2011, n. 3029, TAR Toscana, sez. III, 14.09.2010, n. 5943, TAR Piemonte, sez. I, 07.07.2009, n. 2007, Cass. Civ., sez. II, 19.10.2009, n. 22127) (TAR Abruzzo-Pescara, Sez. I, sentenza 18.10.2011 n. 562 - link a www.ambientediritto.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Illegittimità di un’ordinanza sindacale contingibile ed urgente per ragioni di asserita tutela della pubblica e privata incolumità, correlata alla sicurezza della circolazione stradale.
Deve ritenersi illegittima una ordinanza contingibile ed urgente, ex artt. 50 e 54 D.Lgs. n. 267 del 2000 (T.U.E.L.), con la quale il Sindaco, per ragioni di asserita tutela della pubblica e privata incolumità, correlata alla sicurezza della circolazione stradale, ha ordinato, ad un privato, in ragione della relativa inclinazione verso la carreggiata stradale e della collocazione in curva di alcune delle stesse, l’immediato abbattimento di numerose querce centenarie (nella specie, si trattava di circa 70 querce centenarie), ubicate su una piccola strada interpoderale, interessata da traffico veicolare scarso e puramente locale, nel caso in cui soltanto alcune di tali querce siano idonee a determinare una situazione di potenziale pericolo per gli utenti della medesima strada; in tal caso, infatti, da un lato, la situazione di asserito pericolo per la pubblica incolumità attiene esclusivamente ad un numero di querce ben inferiore rispetto a quello oggetto dell’ordine di abbattimento, e, dall’altro, difetta il requisito dell’imminenza ed imprevedibilità del pericolo, trattandosi di querce centenarie, e, pertanto, esistenti da lunghissimo tempo (massima tratta da www.regione.piemonte.it - TAR Lazio-Roma, Sez. II-ter, sentenza 17.10.2011 n. 7991 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIl potere di rilascio dell'autorizzazione paesaggistica non può essere esercitato tenendo conto solo della documentazione progettuale acquisita, ma deve essere accompagnato da una idonea motivazione dalla quale risulti che l'autorità sia del tutto consapevole delle peculiarità dell'area e dell'incidenza che su di essa determinerebbe la realizzazione delle opere previste. Non è, quindi sufficiente il mero riferimento alla relazione del progettista occorrendo che l’Autorità di tutela del vincolo esterni le specifiche valutazioni in ordine alla condivisibilità delle affermazioni contenute nell'elaborato tecnico.
Secondo il costante orientamento del giudice amministrativo, infatti, il potere di rilascio dell'autorizzazione paesaggistica non può essere esercitato tenendo conto solo della documentazione progettuale acquisita, ma deve essere accompagnato da una idonea motivazione dalla quale risulti che l'autorità sia del tutto consapevole delle peculiarità dell'area e dell'incidenza che su di essa determinerebbe la realizzazione delle opere previste. Non è, quindi sufficiente il mero riferimento alla relazione del progettista occorrendo che l’Autorità di tutela del vincolo esterni le specifiche valutazioni in ordine alla condivisibilità delle affermazioni contenute nell'elaborato tecnico (Cons. Stato, VI, 23/02/2011 n. 1141) (TAR Lombardia-Milano, Sez. III, sentenza 13.10.2011 n. 2428 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

CONSIGLIERI COMUNALI: Peculato/ Sindaco senza i giustificativi della carta di credito? Non e' reato.
Non risponde di peculato continuato il Sindaco che non produce la documentazione giustificativa dell'utilizzo della carta di credito.
La Corte statuisce che non e' la mancata giustificazione tempestiva delle spese a costituire reato, in quanto in tal modo si introdurrebbe un elemento estraneo alla fattispecie penale previsto da norme amministrative, confondendo il reato con la prova del medesimo. La Suprema Corte annulla con rinvio la sentenza della Corte di Appello di Salerno che confermava la condanna del Sindaco per aver indebitamente utilizzato la carta di credito intestata al Comune, datagli in uso per spese connesse allo svolgimento di funzioni istituzionali.
La Corte di Appello di Salerno confermava la sentenza di condanna emessa dal Giudice per l'Udienza Preliminare presso il Tribunale di Nocera Inferiore, che riteneva responsabile il Sindaco del Comune di Pagani del delitto di peculato continuato, con specifico riferimento ad alcuni pagamenti effettuati da costui con carta di credito intestata al Comune, concessagli in uso per spese inerenti allo svolgimento di funzioni istituzionali.
Avverso tale pronuncia proponeva ricorso l'imputato, deducendo, a mezzo dei suoi difensori, la violazione dei principi di tassatività, legalità e determinatezza della norma incriminatrice.
Deduceva in particolare il ricorrente, che la Corte di Appello, subordinando la consumazione del reato all'allegazione della documentazione giustificativa delle ragioni della spesa contestata, introduceva, di tal fatta, una integrazione della norma penale attraverso il rinvio a norme costituzionali richiamate in sentenza e attinenti alla gestione e al controllo della spesa pubblica, inficiando l'elemento materiale del reato.
A tal riguardo, la prevalente dottrina, ritiene conforme al principio di tassatività il ricorso a elementi normativi giuridici, in virtù del richiamo ad una norma individuabile senza alcuna esitazione.
Invero, correlare la norma penale alla norma extrapenale contabile comporterebbe la creazione, al di fuori dei dettami del legislatore, di una norma che esulerebbe dalla ratio legis, frustrando la determinatezza della fattispecie.
In particolare, ancorando il momento consumativo del reato alla mancata tempestiva produzione di giustificazione degli esborsi, verrebbe meno la consumazione del reato nel momento in cui si verifica l'interversione del possesso.
Ciò rilevato, colui che mutando il possesso della cosa altrui, compie atti incompatibili con il titolo per cui si possiede compie una azione che si colloca in un momento precedente a quello in cui si fornisce la documentazione giustificativa delle ragioni della spesa.
Il ricorrente offriva inoltre altri motivi di impugnazione al vaglio della Suprema Corte, specificando di essersi attenuto alla prassi di liquidazione in uso e consistente nel controllo della coincidenza tra spese segnalate e documentazione fornita dal medesimo, escludendo quindi una condotta dolosa.
Riteneva inoltre non correttamente motivato il giudizio di disvalore operato dalla Corte di Appello sulla correlazione a finalità istituzionali di 25 su 39 spese sostenute.
Lamentava inoltre la violazione dell'art. 191 c.p.p. per mancata ammissione della documentazione prodotta.
In ultimo si deduceva la violazione da parte del Giudice Penale di prassi amministrative laddove si nega la finalità istituzionale delle somme dovute per esborsi, riconosciuta dagli organi preposti ai controlli.
La Corte, in riforma ai precedenti orientamenti in materia, propone una valutazione del fatto che si distanzia nettamente dal criterio della occasionalità, in base alla quale le ragioni di servizio o di ufficio venivano riscontrate anche nel caso in cui il soggetto agente possedesse il danaro soltanto in occasione dello svolgimento delle sue funzioni.
Un orientamento diverso si propone nel panorama giurisprudenziale, basato su una disamina degli elementi normativi integranti la fattispecie di reato ricorrendo alla carta costituzionale.
A ben vedere il rinvio agli artt. 3, 81, 97, 100, 103 Cost. non modifica la fattispecie penale definita nell'art. 314 c.p., ma la integra enunciando i principi fondamentali sui quali si fonda la gestione della cosa pubblica.
Il criterio quindi in base al quale stabilire la violazione della norma penale incriminatrice in questa peculiare ipotesi di peculato, non è la tardiva rendicontazione delle spese effettuate, bensì il collegamento di tali esborsi a finalità pubbliche.
Sul collegamento a queste finalità pubbliche la Corte di Appello di Salerno avrebbe dovuto esprimersi, e con ciò vagliare le giustificazioni presentate, vaglio al quale si è sottratta pronunciando un giudizio di irrilevanza delle documentazioni offerte dall'imputato e attestandosi sulla mancanza di tempestività nel fornire la documentazione predetta.
L'esborso, pertanto, senza alcun collocamento contabile, diviene irrilevante, senza la conoscenza della finalità che lo ha determinato.
Interessante è la conclusione a cui perviene la Corte, quando osserva come non sia la produzione tempestiva della giustificazione della spesa ma la realizzazione di una finalità pubblica a legittimare la condotta dell'agente, ciò in ossequio alle funzioni istituzionali di cui, tra le altre, alla delibera dell'amministrazione comunale n. 196 del 2000.
Nota la Corte che operando un inversione nel ragionamento, ponendo in relazione l'interversione del possesso alla coevità della giustificazione degli esborsi, paradossalmente si renderebbe lecito un comportamento criminoso e lecito un comportamento dovuto soltanto a trascuratezza e/o dimenticanza.
Tale schema interpretativo condurrebbe alla confusione tra il momento consumativo del reato e i comportamenti successivi allo stesso ossia tardiva o falsa o erronea giustificazione, utili invece al fine di reperire tracce del reato eventualmente commesso.
Con specifico riguardo a questioni puramente processuali, la Corte nota come il giudice di secondo grado avrebbe potuto acquisire la documentazione di cui la difesa aveva chiesto l'ammissione, senza un'apposita ordinanza che disponesse la rinnovazione parziale del dibattimento, visto che era stato richiesto il rito abbreviato.
Viene inoltre censurata la carenza di motivazione in relazione all'omesso esame del rendiconto e all'omessa elencazione delle ragioni che hanno condotto a attribuire il fine pubblico o il fine personale ad alcuni esborsi.
In estrema sintesi, la Corte statuisce che non è la mancata giustificazione tempestiva a costituire reato, in quanto in tal modo si introdurrebbe un elemento estraneo alla fattispecie penale previsto da norme amministrative, confondendo il reato con la prova del medesimo (commento tratto da www.ipsoa.it - Corte di Cassazione penale, sentenza 11.10.2011 n. 36718 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Ristrutturazione.
La ristrutturazione implica la necessità che la costruzione dell'edificio demolito venga riposizionata nella medesima area di sedime originaria, imponendosi una interpretazione rigida del significato del termine in quanto la disciplina della ristrutturazione costituisce deroga al principio generale della necessità di apposito permesso di costruire nei casi di trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio (fattispecie in cui una diversa quota dell'immobile rispetto all'originario assetto ha comportato una trasformazione edilizia del territorio non certamente circoscritta ad interventi di minima entità) (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 10.10.2011 n. 36528 - tratto da www.lexambiente.it).

URBANISTICA: Senza opere di urbanizzazione piano di lottizzazione d'ufficio.
La formazione d'ufficio del piano di lottizzazione e' sempre legittima nel caso in cui i proprietari delle aree non abbiano realizzato le opere di urbanizzazione ovvero non abbiano accettato di stipulare la convenzione. In tali ipotesi, il piano di lottizzazione d'ufficio e' preordinato a rimuovere gli ostacoli e le limitazioni alla realizzazione delle previsioni del PRG. In linea generale la formazione d'ufficio del piano di lottizzazione, ai sensi del penultimo comma dell'art. 28, L. n. 1150 del 1942, è sempre legittima nel caso in cui i proprietari delle aree non abbiano realizzato le opere di urbanizzazione ovvero non abbiano accettato di stipulare la convenzione.
In tali ipotesi, il piano di lottizzazione d'ufficio è, infatti, preordinato a rimuovere gli ostacoli e le limitazioni alla realizzazione delle previsioni del PRG che nascono dall'inerzia o dall'opposizione dei proprietari delle aree interessate, i quali, impedendo di attuare le previsioni urbanistiche del comparto, finiscono per dar luogo, di fatto, ad una sorta di arbitrario vincolo d'inedificabilità con durata indeterminata.
Per questo la lottizzazione d'ufficio ha pari dignità, partecipa della medesima natura e produce gli stessi effetti, tra i quali anche quello di conferire valore di pubblica utilità alle opere di urbanizzazione in esso previste, del piano particolareggiato ad iniziativa privata. Tale facoltà d'iniziativa di ufficio costituisce, dunque, l'esplicazione di un potere ampiamente discrezionale del Comune relativamente all'an, al quid ed al quomodo.

Nel caso in esame, ricorrendo la necessità di procedere al completamento delle infrastrutture necessarie, la decisione del Comune di procedere a lottizzazione d'ufficio per l'urbanizzazione dell'area appare del tutto legittima in presenza dell'ostruzione di alcuni proprietari alla lottizzazione convenzionale.
La circostanza che per una determinata zona di espansione lo strumento urbanistico non subordini necessariamente l'edificazione alla preventiva approvazione di un piano di lottizzazione, non preclude l'esercizio di un potere di valutazione da parte della PA in relazione agli interventi complessivi da realizzare.
Il Comune ha il potere-dovere di verificare se le costruzioni edificande siano assentibili con concessioni singole ovvero se, al contrario, lo sviluppo della previsione urbanistica non necessiti della predisposizione di un piano di lottizzazione, al fine di raccordare i nuovi fabbricati col preesistente aggregato abitativo e di completare le urbanizzazioni.
Infatti, anche quando possono essere imposte opere di urbanizzazione all'atto del rilascio del singolo provvedimento permissivo, la diversità dei presupposti di fatto e delle differenti esigenze che sorreggono, da un lato, la concessione singola e, dall'altro, la lottizzazione, comportano che l'amministrazione possa, e debba, sempre valutare i riflessi discendenti dall'aumento insediativo sui servizi essenziali viari, elettrici, igienici, idrici e fognari.
Il Comune può, dunque, sempre giudicare necessario il piano di lottizzazione per l'edificazione quando ritenga che, essendo la zona priva di sufficienti infrastrutture, non possa farsi luogo a singola concessione edilizia.
In tale scia, la disposizione dell'art. 19 NTA del PRG del Comune de quo deve essere interpretata in maniera coerente con il predetto quadro legislativo generale.
Pertanto, non possono essere condivise le affermazioni per cui nella zona in questione, ai sensi dell'art. 19, si sarebbe potuto procedere solo con concessione diretta e che tale previsione non avrebbe potuto estendersi alla lottizzazione d'ufficio, alla quale può accedersi solo se non è configurabile alcun altro modo per addivenire all'edificazione dell'area.
La prescrizione relativa alla concessione singola deve essere coordinata non solo con l'eccezione di cui citato art. 19 ma sopratutto con la disposizione generale di cui all'art. 28, L. n. 1150 del 1942, della quale costituisce un corollario specificativo e non derogatorio.
L'art. 19, proprio con riferimento all'area oggetto del piano, riserva dunque al Comune la possibilità di rilasciare concessioni edilizie, ma tale affermazione non esclude affatto la possibilità di procedere, anche in via autoritativa, alla lottizzazione convenzionata o d'ufficio.
La relativa valutazione, prima dell'adozione dell'uno o dell'altro provvedimento, deve intervenire con riferimento alla situazione di fatto preesistente e tenuto conto della distinta finalità ed ambiti che si intendono perseguire con la concessione singola e con lo strumento attuativo (commento tratto da www.ispoa.it - Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 10.10.2011 n. 5501 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAE' illegittimo il provvedimento di diniego di assenso alle istanze in materia edilizia che non sia stato preceduto dall'invio della comunicazione di cui all'art. 10-bis, l. n. 241 del 1990, così precludendo al soggetto interessato la piena partecipazione al procedimento e dunque la possibilità di un apporto collaborativo, capace di condurre ad una diversa conclusione della vicenda.
Il diniego della richiesta sanatoria edilizia deve essere preceduto dal preavviso di diniego di cui all'art. 10-bis l. n. 241 del 1990; in mancanza, tale vizio ha carattere assorbente, avendo precluso lo sviluppo dell'indispensabile contraddittorio in sede procedimentale, sede nella quale dovevano e potevano essere istruite, approfondite e dibattute -prima che la vertenza approdasse in sede giudiziaria- le questioni prospettate nel presente giudizio.

Secondo il costante orientamento della giurisprudenza amministrativa, infatti, è illegittimo il provvedimento di diniego di assenso alle istanze in materia edilizia che non sia stato preceduto dall'invio della comunicazione di cui all'art. 10 bis, l. n. 241 del 1990, così precludendo al soggetto interessato la piena partecipazione al procedimento e dunque la possibilità di un apporto collaborativo, capace di condurre ad una diversa conclusione della vicenda.
Il diniego della richiesta sanatoria edilizia deve essere preceduto dal preavviso di diniego di cui all'art. 10-bis l. n. 241 del 1990; in mancanza, tale vizio ha carattere assorbente, avendo precluso lo sviluppo dell'indispensabile contraddittorio in sede procedimentale, sede nella quale dovevano e potevano essere istruite, approfondite e dibattute -prima che la vertenza approdasse in sede giudiziaria- le questioni prospettate nel presente giudizio (cfr. TAR Lombardia, sez. II, 28.02.2007, n. 370) (TAR Lombardia, Sez. IV, sentenza 10.10.2011 n. 2413 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIn materia urbanistico-edilizia il presupposto per l'esistenza di un volume edilizio è costituito dalla costruzione di almeno un piano di base e due superfici verticali contigue, presupposto carente in una tettoia aperta sui lati, soprattutto se adibita all’esercizio dell’attività agricola o di allevamento di pollame.
Da un consistente orientamento giurisprudenziale risulta, infatti, che in materia urbanistico-edilizia il presupposto per l'esistenza di un volume edilizio sia costituito dalla costruzione di almeno un piano di base e due superfici verticali contigue, presupposto carente in una tettoia aperta sui lati, soprattutto se adibita all’esercizio dell’attività agricola o di allevamento di pollame (TAR Lombardia, Sez. IV, sentenza 10.10.2011 n. 2413 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Gare d'appalto: esclusione e criterio formalistico.
In ordine al delicato problema dell’interpretazione delle clausole del bando di gara la giurisprudenza stabilisce ancora una volta l’illegittimità dell’esclusione quando questa sia dovuta ad un formalismo esasperato.
La sentenza 07.10.2011 n. 7785 del TAR Lazio-Roma, Sez. III-ter, riferendosi al nuovo articolo 46 comma 1-bis del D.Lgs. n. 163/2006 richiama infatti il principio della tassatività delle clausole di esclusione e la ratio sottesa alla norma introdotta dal D.L. 70/2011 (c.d. decreto sviluppo).
Nel caso trattato dai giudici romani, attinente ad una gara per l’affidamento del servizio di manutenzione di alcuni impianti elevatori suddiviso per lotti, il bando di gara prevedeva la dimostrazione del requisito tecnico–professionale in modo generico ovvero, attraverso la dimostrazione di aver già compiuto tale servizio in “due città”.
La stazione appaltante aveva proceduto all’esclusione della ricorrente in quanto per uno dei lotti aveva dimostrato esclusivamente di aver svolto il servizio, seppur in termine quantitativi notevolmente superiori rispetto a quanto richiesto dalla lex specialis, per la sola città di Roma.
Il seggio di gara, nel provvedere l’esclusione aveva tuttavia omesso di considerare che “… per “città” si intende comunemente un centro abitato piuttosto esteso, con sviluppo edilizio organizzato, che sul piano amministrativo, economico, politico e culturale rappresenta il punto di riferimento del territorio circostante; il termine “comune” ha, invece, una connotazione prettamente tecnica, e rappresenta la più piccola suddivisione territoriale amministrativa dello Stato.
Tanto precisato, non vi è dubbio che non sussista una piena e sicura sovrapposizione tra i due termini, come invece il seggio di gara ha ritenuto di fare, con una operazione che ha condotto all’aberrante conseguenza di espellere dalla gara una concorrente in possesso del requisito di capacità tecnica in misura di gran lunga superiore rispetto ai limiti minimi indicati nel bando, come, peraltro, successivamente ammesso dalla stessa stazione appaltante.
Ed invero, un comune, in senso tecnico, può non essere una città nella accezione di cui sopra, e, viceversa una città, ancorché giuridicamente non possa essere qualificata quale ente locale territoriale, può avere una estensione ben più consistente del primo
.”
I giudici amministrativi si premurano dunque di censurare quelle clausole che contrastano con uno dei principi fondamentali delle procedure ad evidenza pubblica, il favor partecipationis.
Il potere discrezionale dell’amministrazione aggiudicatrice di stabilire determinati requisiti per la partecipazione alle gare pubbliche trova infatti un limite nella funzione delle singole clausole del bando.
Tale funzione consiste “...nel delineare, attraverso l'individuazione di specifici elementi indicati della capacità economica, finanziaria e tecnica, il profilo delle imprese che si presumono idonee a realizzare il programma contrattuale perseguito dall'Amministrazione ed a proseguire nel tempo l'attività espletata in modo adeguato.”
La stazione appaltante ha quindi il dovere di valutare i reali requisiti tecnici forniti in gara dal concorrente e connetterli con il principio della più ampia partecipazione degli operatori economici alla procedura.
Si deve comunque considerare che a seguito delle continue evoluzioni legislative il compito delle amministrazioni aggiudicatrici si dimostra spesso assai arduo ed al fine di non incorrere in evidenti errori procedimentali è necessaria una interpretazione normativa attenta e diligente (commento tratto da www.professioni-imprese24.ilsole24ore.com - link a www.giustizia-amministrativa.it).

LAVORI PUBBLICI: Lavori per l'alta velocità e ritrovamenti archeologici. Appalto revocato? Per licenziare occorre la prova.
La sentenza si occupa del
licenziamento di alcuni lavoratori di un'impresa appaltatrice di lavori pubblici per la costruzione dell'alta velocità sulla linea ferroviaria Roma Napoli, licenziamento motivato, a seguito del ritrovamento di reperti archeologici, in relazione alla revoca dell'appalto ed all'affidamento di esso ad altra impresa.
La Corte si occupa in particolare del problema della prova, a carico del datore di lavoro, dell’impossibilità di utilizzare i lavoratori in altre mansioni compatibili e del problema se tale prova possa essere fornita mediante fatti positivi (quali l’ammissione alla procedura dell’amministrazione controllata) e fatti negativi (quali la mancanza di nuove assunzioni in qualifiche relative alle mansioni equivalenti a quelle dei lavoratori licenziati).
La decisione esclude nella specie la rilevanza dell’amministrazione controllata (successiva di alcuni mesi ai recessi) e delle mancate assunzioni (essendo stato provato che il cantiere fosse comunque aperto con alcune maestranze), ed afferma che, in tema di licenziamento per giustificato motivo oggettivo determinato da ragioni tecniche, organizzative e produttive, compete al giudice -che non può, invece, sindacare la scelta dei criteri di gestione dell'impresa, espressione della libertà di iniziativa economica tutelata dall'art. 41 Cost.- il controllo in ordine all'effettiva sussistenza del motivo addotto dal datore di lavoro, in ordine al quale il datore di lavoro ha l'onere di provare, anche mediante elementi presuntivi ed indiziari, l'impossibilità di una differente utilizzazione del lavoratore in mansioni diverse da quelle precedentemente svolte; tale prova, tuttavia, non deve essere intesa in modo rigido, dovendosi esigere dallo stesso lavoratore che impugni il licenziamento una collaborazione nell'accertamento di un possibile "repechage", mediante l'allegazione dell'esistenza di altri posti di lavoro nei quali egli poteva essere utilmente ricollocato, e conseguendo a tale allegazione l'onere del datore di lavoro di provare la non utilizzabilità nei posti predetti.
Nel medesimo senso, Cass. Sez. L, Sentenza n. 3040 del 08/02/2011.
In precedenza, Cass. Sez. L, Sentenza n. 6559 del 18/03/2010 aveva pure affermato che il giustificato motivo oggettivo di licenziamento determinato da ragioni tecniche, organizzative produttive è rimesso alla valutazione del datore di lavoro, senza che il giudice possa sindacare la scelta dei criteri di gestione dell'impresa, espressione della libertà di iniziativa economica tutelata dall'art. 41 Cost. Pertanto, spetta al giudice il controllo in ordine all'effettiva sussistenza del motivo addotto dal datore di lavoro, e l'onere probatorio grava per intero sul datore di lavoro, che deve dare prova anche dell'impossibilità di una differente utilizzazione del lavoratore in mansioni diverse da quelle precedentemente svolte, onere che può essere assolto anche mediante il ricorso a risultanze di natura presuntiva ed indiziaria, mentre il lavoratore ha comunque un onere di deduzione e di allegazione di tale possibilità di reimpiego.
La decisione in commento è interessante anche sotto altro profilo, relativo alla illegittimità del termine apposto ai contratti di lavoro dei dipendenti in questione, atteso che la Corte ha ritenuto adeguatamente motivata la sentenza della corte territoriale che nella specie aveva escluso che l’opera di scavi archeologici propedeutici alla costruzione dell’opera pubblica (non prevista espressamente nel contratto di appalto originariamente stipulato) potesse essere configurata come avente carattere straordinario ed occasionale, idonee a legittimare la stipula di contratti a termine, essendo ritenuto per converso l’inerenza di tali lavori all’appalto originario (commento tratto da www.ipsoa.it - Corte di Cassazione civile, sentenza 30.09.2011 n. 20095).

PUBBLICO IMPIEGO: Le valutazioni dei dipendenti sono sindacabili dal Giudice.
La Corte di Cassazione, Sez. lavoro, con sentenza 27.09.2011 n. 19710, conferma il consolidato orientamento della Corte secondo il quale: "...le valutazioni del datore di lavoro in ordine al rendimento ed alla capacità professionale del lavoratore, espresse con le note di qualifica, sono sindacabili dal giudice in riferimento ai parametri oggettivi previsti dal contratto collettivo ed agli obblighi contrattuali di correttezza e buona fede di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c. e, quindi, sul datore di lavoro grava l'onere di motivare queste note, allo scopo di permettere il controllo da parte del giudice dell'osservanza di siffatti criteri.
Peraltro detto controllo non è limitato alla mera verifica della coerenza estrinseca del giudizio riassuntivo della valutazione, ma ha ad oggetto la verifica della correttezza del procedimento di formazione del medesimo, che richiede di prendere in esame i dati sia positivi che negativi rilevanti ai fini della valutazione, non potendo invece tenersi conto di quelli estranei alla prestazione lavorativa
.".
Sentenza resa in una controversa di lavoro privato, ma i cui principi espressi sono sicuramente e pienamente estensibili anche ai meccanismi valutativi del pubblico impiego (commento tratto da www.publika.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATA: Diritto al risarcimento danni estinto per intervenuta prescrizione.
Non può essere accolta una domanda di risarcimento dei danni per lesione di interessi legittimi derivante dall’illegittimo diniego di rilascio di una concessione edilizia, nel caso in cui la domanda risarcitoria sia stata avanzata dopo che sia decorso sia il termine di prescrizione di cinque anni, relativo alla responsabilità della P.A. per fatto illecito, decorrente dalla conoscenza del suddetto diniego, sia il termine di 120 giorni, ex art. 30 del codice del processo amministrativo, dal passaggio in giudicato della sentenza di annullamento del diniego; in tal caso, infatti, l’azionato diritto al risarcimento del danno deve ritenersi irrimediabilmente estinto per intervenuta prescrizione (1).
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(1) V. in argomento da ult. TAR Sicilia-Palermo, Sez. I, ordinanza 07.09.2011 (solleva q.l.c. dell’art. 30 del c.p.a. nella parte in cui prevede un termine di decadenza di 120 giorni per la proposizione dell’azione risarcitoria nei confronti della P.A. a seguito del giudicato di annullamento dell’atto amministrativo illegittimo) (massima tratta da www.regione.piemonte.it - TAR Lazio-Roma, Sez. II-bis, sentenza 14.09.2011 n. 7276 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI FORNITURE: Esclusione di una ditta da una gara d’appalto con riferimento al fatto che la ditta interessata ha presentato i campioni della merce da fornire solo per tipologia merceologica di appartenenza.
E’ legittimo il provvedimento con il quale la stazione appaltante ha escluso da una gara di appalto di forniture un ditta che, in contrasto con quanto espressamente richiesto dal bando di gara a pena di esclusione, ha prodotto, unitamente all’offerta, i campioni della merce da fornire con esclusivo riferimento alla tipologia merceologica di appartenenza, piuttosto che un campione per ogni singolo prodotto da fornire, per ogni dimensione e colorazione; infatti, negli appalti di forniture, la presentazione di una campionatura completa è funzionale al rispetto dell'obbligo contrattuale di depositare presso la stazione appaltante i campioni degli articoli da fornire, al fine di verificare, nel corso dell'esecuzione del contratto, che la qualità di ciascun bene corrisponda all'impegno assunto dall'aggiudicatario in sede di offerta (fattispecie relativa a gara per la fornitura di servizi di lavaggio e noleggio biancheria, vestiario e fornitura kit sterili della durata triennale) (massima tratta da www.regione.piemonte.it - TAR Sardegna, Sez. I, sentenza 12.09.2011 n. 924 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATACompravendita senza certificato di abitabilità? Scatta il risarcimento!
Vendere un immobile non dotato di certificato di abitabilità potrebbe comportare un risarcimento da parte del venditore nei confronti dell’acquirente.

E’ quanto previsto dalla Corte di Cassazione, Sez. II civile, nella sentenza 29.08.2011 n. 17707.
Il proprietario di un immobile destinato ad abitazione lo cedeva ad un acquirente che a sua volta aveva promesso l’appartamento in vendita a terzi.
Questi ultimi, prima della stipula del contratto definitivo, avevano evidenziato che l'appartamento era munito solo di licenza di agibilità, ma non del certificato di abitabilità, per cui le parti si erano accordate per la riduzione del prezzo di vendita, rispetto a quanto già pattuito.
In virtù di ciò, il primo acquirente citava in giudizio l’originario venditore, chiedendo il rimborso della riduzione del prezzo concordato con i terzi acquirenti.
Il tribunale di primo grado accoglieva la richiesta di risarcimento del primo acquirente, ma la Corte d’Appello di Firenze rigettava tale domanda.
Infine la Corte di Cassazione ha condiviso l’orientamento giurisprudenziale dei giudici di prime cure, secondo cui la vendita di un appartamento senza certificato di abitabilità si risolve nella mancanza di un requisito giuridico essenziale per il legittimo godimento del bene e della sua commerciabilità e quindi si configura il risarcimento del danno (link a www.acca.it).

SICUREZZA LAVORO: Infortunio sul lavoro: responsabilità penale di datore, coordinatore e committente.
Il Coordinatore per l’esecuzione dei lavori ed il committente dei lavori non sempre sono responsabili in materia di sicurezza nei luoghi di lavoro nel caso si verifichi un infortunio ad un dipendente.
Il datore di lavoro, però, è sempre responsabile ex articolo 2087 c.c. sul piano oggettivo e su quello soggettivo.
Così il TRIBUNALE di Avezzano, sentenza 23.07.2011 n. 263, a firma del giudice dr. Spaziani, in un “singolare” caso sul tema della sicurezza e tutela dei lavoratori nei luoghi di lavoro.
La vicenda concerneva l’infortunio di un operaio caduto a terra da un piano alto di un cantiere edile, in fase di costruzione, poiché ne era stato realizzato solamente lo scheletro.
Tale cantiere risultava essere “formalmente chiuso” in quanto la concessione edilizia avente ad oggetto la realizzazione del fabbricato era scaduta da tempo e non era stata formulata alcuna richiesta di proroga della stessa.
Il prestatore di lavoro si trovava in quel cantiere in quanto il datore di lavoro, nonché legale rappresentante della società appaltatrice (che si trovava sul posto all’atto dell’incidente occorso) aveva chiesto allo stesso di “ritirare dei materiali che avrebbero dovuto essere utilizzati in un altro cantiere”.
Durante tale operazione l’operaio cadeva a terra riportando gravi lesioni; in capo al datore di lavoro sussiste, come si legge nella sentenza in commento, il reato di lesioni personali colpose commesse in violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro.
Sul lato oggettivo si ritiene sussistente il nesso di causalità tra il contegno omissivo del datore e l’evento occorso al prestatore di lavoro; mentre dal lato soggettivo la colpa dello stesso emerge non solo sotto il profilo “della colpa generica (attesa la palese violazione del generale dovere di adottare le misure necessarie… art. 2087 c.c.) ma anche sotto il profilo della colpa specifica, in quanto la mancata predisposizione delle opere provvisionali e la mancata adozione delle cautele prescritte in ipotesi di uso di scale a mano concretano altrettante violazioni di specifiche disposizioni prevenzionali”.
Per quanto concerne il committente ed il coordinatore per l’esecuzione dei lavori “le cose cambiano e con esse anche i profili di responsabilità”..
Nella decisione de qua si legge, infatti, testualmente che “dal raccordo e dall’integrazione delle dichiarazioni dei vari testimoni (nonché dall’esame delle fotografie versate in atti) emerge piuttosto chiaramente, se non la certezza, quanto meno la rilevante probabilità che i lavori di costruzione del fabbricato di proprietà di ... fossero stati sospesi in epoca antecedente a quella dell’infortunio, e che, al momento in cui questo si era verificato, il cantiere fosse, quanto meno temporaneamente, chiuso”.
Da ciò ne consegue che alcun rimprovero, in base a quanto affermato dal giudice, può essere mosso nei confronti di tali soggetti, in quanto “le omissioni loro contestate nelle rispettive qualità di committente dei lavori e di coordinatore responsabile per la progettazione e l’esecuzione, presuppongono adempimenti esigibili soltanto in costanza di un cantiere effettivamente operativo e dell’effettivo svolgersi dei lavori su di esso”.
Pertanto, tali imputati devono ritenersi assolti dal delitto loro ascritto per non aver commesso il fatto, nonché dalle contravvenzioni loro ascritte in quanto i fatti non sussistono.
Rimane, dunque, solo la responsabilità penale del datore di lavoro, con conseguente condanna al risarcimento del danno in favore della parte civile costituita (link a www.altalex.com).

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