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AGGIORNAMENTO AL 30.11.2011 |
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QUESITI &
PARERI |
APPALTI SERVIZI:
Servizi di Igiene Ambientale,
l'avvicendamento di imprese nella gestione
di appalti.
Domanda.
In caso di gara per Servizi di Igiene
Ambientale l'obbligo per l'aggiudicatario di
assumere il personale della ditta uscente
previsto dal Contratto Collettivo Nazionale,
comporta anche l'obbligo di rispettare il
tipo di contratto in corso, per cui se i
lavoratori da assorbire sono assunti a tempo
pieno non è possibile proporre nel progetto
offerta la loro assunzione part-time?
Risposta.
Il tema dell'avvicendamento di imprese nella
gestione di appalti per l'espletamento dei
Servizi di Igiene Ambientale viene
compiutamente disciplinato dall'art. 6 del
C.C.N.L. di settore.
Ivi si legge testualmente come: "L'impresa
subentrante assume "ex novo", senza
effettuazione del periodo di prova, tutto il
personale in forza a tempo indeterminato
-ivi compreso quello in aspettativa ai sensi
dell'art. 31 della legge n. 300/1970 nonché
quello di cui all'art. 59, lettera c), del
vigente C.C.N.L.- addetto in via ordinaria
allo specifico appalto/affidamento che
risulti in forza presso l'azienda cessante
nel periodo dei 240 giorni precedenti
l'inizio della nuova gestione in
appalto/affidamento previsto dal bando di
gara e alla scadenza effettiva del contratto
di appalto".
La possibilità di assumere il personale in
forza alla vecchia gestione prevedendo una
diversa tipologia contrattuale, ovvero
prevedendo un mutamento delle modalità di
svolgimento dell'attività lavorativa
segnatamente all'orario di lavoro, quindi in
concreto attuando una trasformazione da
contratto di lavoro a tempo pieno a quello a
tempo parziale appare di dubbia fattibilità.
Occorre infatti verificare se il nuovo
appalto risulta sostanzialmente differente o
meno da quello precedentemente in atto in
quanto a termini, modalità e prestazioni
contrattuali.
Nella prima ipotesi, visto l'oggettivo
mutamento delle condizioni di fornitura
apparirebbe anche plausibile una
trasformazione delle modalità di svolgimento
dell'attività lavorativa, dovuta alle mutate
esigenze tecnico-organizzative di esecuzione
di un appalto sostanzialmente diverso da
quello per cui i lavoratori erano assunti
con l'azienda cessante.
Nel secondo caso, ovvero qualora ci siano le
medesime condizioni di fornitura applicate
già dalla ditta cessante, appare sicuramente
improponibile un mutamento dei contratti di
lavoro in fase di assunzione "ex novo",
in ottemperanza a quanto stabilito dall'art.
6 e dal successivo art. 10 del C.C.N.L. di
settore.
Quest'ultimo prevede infatti come: "La
trasformazione del rapporto di lavoro da
tempo pieno a tempo parziale e viceversa
deve avvenire con il consenso delle parti,
le quali possono stabilire le condizioni per
il ripristino del rapporto originario. Tale
consenso deve risultare da atto scritto,
convalidato dalla Direzione provinciale del
lavoro competente per territorio".
Pertanto una volta assunti i lavoratori a
tempo pieno, così come provenienti
dall'azienda cessante, sarà nel caso
possibile avviare tali consultazioni tese
alla modifica dell'orario di lavoro, con la
possibilità in capo agli stessi lavoratori
di opporre validamente un rifiuto
insindacabile (28.11.2011 - tratto da
www.ipsoa.it). |
DOTTRINA E
CONTRIBUTI |
ATTI AMMINISTRATIVI:
R. Mancuso,
La responsabilità della P.A. per i danni al
cittadino (link a
www.filodiritto.com). |
APPALTI SERVIZI:
C. Rapicavoli,
L’affidamento dei servizi pubblici locali -
La normativa vigente dopo la legge di
stabilità (link a
www.filodiritto.com). |
NOTE,
CIRCOLARI E COMUNICATI |
PUBBLICO IMPIEGO - VARI:
OGGETTO: Visite mediche di controllo
domiciliare – Verbale Informatico delle
visite (INPS,
circolare 28.11.2011 n. 150). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Al via il nuovo fondo pensione per i
dipendenti delle Regioni, degli Enti Locali
e della Sanità (COVIP - Commissione di
vigilanza sui fondi pensione,
comunicato stampa 24.11.2011). |
APPALTI SERVIZI:
Prima nota sulle modifiche dell’articolo
9 della legge 183/2011, c.d. legge di
stabilità 2012, apportate all’articolo 4 del
dl 138/2011, in materia di servizi pubblici
locali di rilevanza economica (ANCI,
nota 15.11.2011). |
CORTE DEI
CONTI |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO:
Spese di formazione rimborsate da
altri Enti.
La Corte dei Conti Sez. Reg.le Toscana, con
parere 23.11.2011 n. 509, su
quanto in oggetto, così conclude:
"... si ritiene che il comune possa
escludere dal calcolo del tetto di spesa ai
fini dell'applicazione dell'art. 6, comma
13, della L. 122/2011, le spese necessarie
all'organizzazione dei corsi di formazione
anche per conto di un'altra amministrazione
ed erogate da quest'ultima, sempreché
l'importo in questione sia computato
dall'ente erogante nel conteggio della
propria spesa di formazione al fine di
evitare facili elusioni della norma
limitativa (qualora quest'ultimo si compreso
nei destinatari della norma di cui all'art.
6, comma 13, della L. 122/2011)" (tratto
da www.publika.it). |
INCARICHI PROFESSIONALI:
Incarichi professionali esterni e
danno erariale.
La Corte dei Conti Sez. Giurisdizionale per
il Lazio, con
sentenza 18.11.2011 n. 1619,
decide su un contenzioso relativo a quanto
in oggetto, riconoscendo responsabilità
patrimoniale e, conseguentemente, condanna
al risarcimento del danno erariale.
Emergono, nonostante i fatti esaminati
risalgano ad anni passati, interessati
principi e spunti di riflessione, fra i
quali:
- le "notevoli difficoltà incontrate
dall'ente comunale nella gestione ed
organizzazione" è riferimento del tutto
generico e non legittimante il ricorso ad
incarico di consulenza esterna;
- le problematiche afferenti al personale
costituiscono un momento indefettibile dei
poteri di organizzazione e di ordinamento
delle risorse professionali e umane del
Comune e, quindi, costituisce un
ingiustificato pregiudizio economico, anche
per la notevole spesa sostenuta, l'incarico
al consulente estraneo all'Amministrazione a
fronte di non identificati contributi
consulenziali e legali;
- non è adeguatamente motivata la carenza di
professionalità interne adeguate a far
fronte alle esigenze dell'ente;
- la violazione delle norme è palese anche
sotto l'aspetto che la estrema genericità
dell'oggetto della consulenza e la mancata
previsione di riscontri documentali
(redazione di studi e pareri) inibisce di
verificare il rispetto della vera finalità
della norma che è quella di escludere che
ordinarie attività siano affidate
all'esterno con incarichi di consulenza
(tratto da www.publika.it). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO:
Proventi art. 208 Codice della
Strada.
La Corte dei Conti Sez. Reg.le Veneto, con
parere 17.11.2011 n. 403,
conferma gli orientamenti consolidati
secondo cui il finanziamento del trattamento
economico del personale, mediante i proventi
da sanzioni amministrative conseguenti a
violazioni del codice della strada, rientra
nelle spese di personale e,
conseguentemente, deve essere effettuato nel
rispetto dei vincoli vigenti, tra i quali
quello di cui all'art. 9, comma 2-bis, del
D.L. 78/2010 convertito in legge n. 122/2010
(tratto da www.publika.it). |
ENTI LOCALI - SEGRETARI COMUNALI:
Tagli al trattamento economico
del Segretario Comunale incaricato delle
funzioni di Direttore Generale ed altre
fattispecie.
La Corte dei Conti Sez. Reg.le Veneto, con
parere 17.11.2011 n. 400:
1) rimette alle Sezioni Riunite la seguente
questione di massima "...se la
decurtazione del dieci per cento prevista
dall'articolo 6, comma 3, del decreto legge
31.05.2010, n. 78, convertito nella legge
30.07.2010 n. 122, vada applicata
all'indennità, prevista dall'art. 44 del
C.C.N.L. dei segretari comunali e
provinciali, corrisposta al segretario
generale ....incaricato, ai sensi dell'art.
108 del d.lgs. 267/2000, delle funzioni di
direttore generale";
2) conferma l'orientamento consolidato in
base al quale i compensi del Difensore
Civico sono assoggettati alla decurtazione
(taglio lineare del 10%) di cui all'art. 6,
comma 3, del D.L. 78/2010, in quanto aventi
carattere indennitario;
3) relativamente alla nomina di membri di
CDA di società a totale partecipazione
pubblica, effettuata direttamente
dall'Assemblea societaria, in favore di
soggetti titolari di cariche elettive in
amministrazioni locali diverse, declina: "in
base ad una stretta interpretazione
letterale della disposizione in esame,
ritiene che qualora il soggetto che
conferisca l'incarico sia una società non
ricompresa nell'elenco di cui ai commi 2 e 3
della legge 196/2009 (soggetti che
compongono il settore istituzionale delle
amministrazioni pubbliche individuati
dall'ISTAT), non trovi applicazione il
ricordato art. 5, comma 5", (che
preclude ogni forma di retribuzione per lo
svolgimento di qualsiasi incarico conferito
dalle pubbliche amministrazioni, fatto salvo
il solo rimborso delle spese sostenute ed
eventuali gettoni di presenza di importo
comunque non superiore a 30 euro a seduta)
(tratto da www.publika.it). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO:
Progressioni orizzontali.
Con
parere 16.11.2011 n. 399, la
Corte dei Conti Sez. Reg.le Veneto esamina i
seguenti quesiti del Comune di Vigonza:
"1. quale sia il fondamento normativo,
nel contesto dei CCNL applicabili agli enti
locali, che consente un passaggio con
effetti meramente giuridici in relazione
alle progressioni orizzontali;
2. se, eventualmente attivate
dall'Amministrazione comunale delle
progressioni economiche nel corso degli anni
2011-2013, le risorse economiche del fondo
per la produttività utilizzate allo scopo
debbano essere vincolate (congelate) per
l'intero triennio ed essere rese disponibili
agli aventi diritto solo dal 2014;
3. se, nel caso di cui al precedente punto
2, il maturato economico dei dipendenti
interessati alle predette progressioni
orizzontali debba comunque essere garantito
a far data dal 2014."
La Corte, sinteticamente, si esprime cose
segue:
"Dalla disciplina emerge, in particolare,
come il legislatore consideri l'istituto
delle 'progressioni orizzontali' nel quadro
di una più generale cristallizzazione
stipendiale ai valori percepiti nel 2010, a
mente del disposto di cui al primo comma
dell'art. 9 della più volte richiamata legge
n. 122/2010 di conversione del D.L. n.
78/2010."
Riguardo a punti 1 e 2, richiamati i
contenuti della circolare della Ragioneria
Generale dello Stato n. 12 del 15.04.2011,
conclude:
"...l'approvazione di progressioni
orizzontali con effetti economici o il
riconoscimento di trattamenti retributivi
accessori (che determinano effetti
finanziari sul bilancio dell'ente), in
mancanza di precisi accordi (che debbono
essere stipulati in sede di contrattazione
decentrata anteriormente al periodo di
riferimento dell'accordo e non a sanatoria),
nei quali siano stati determinati ex ante le
modalità di esecuzione delle prestazioni
accessorie o i presupposti per il
conseguimento delle progressioni, potrebbe
determinare responsabilità erariale a carico
del soggetto che ha formalmente autorizzato
la liquidazione delle relative somme"
(tratto da www.publika.it). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO:
Gli incentivi ICI devono
transitare dal fondo.
La Corte dei Conti, Sez. giurisdiz. Puglia,
con
sentenza 20.09.2011 n. 1006,
ravvisa responsabilità patrimoniale in caso
di liquidazione dei compensi incentivanti il
recupero dell'evasione ICI effettuata al di
fuori del fondo per la contrattazione
decentrata.
---------------
Con atto di citazione del 29.11.2010, la
Procura regionale presso la sezione
giurisdizionale della Corte dei conti della
Puglia conveniva in giudizio il Sig. ... per
sentirlo condannare al pagamento della somma
complessiva di € 28.000,00, oltre interessi
legali e spese di giudizio, per avere lo
stesso, in qualità di dirigente del settore
economico e finanziario del Comune di
Cerignola, provveduto alla liquidazione in
proprio favore di detta somma, quale
compenso incentivante a favore del personale
addetto al potenziamento degli uffici
tributari comunali, contravvenendo così alla
normativa vigente che non consente
l’erogazione diretta di compensi in favore
della dirigenza locale.
Più precisamente, la Procura contesta che
detta percentuale del gettito ICI, che ai
sensi della l. 662/1996 (art. 3, comma 57) e
della l. 446/1997 (art. 59) può essere
destinata al personale addetto al
potenziamento degli uffici tributari, previa
adozione di specifico regolamento comunale,
sia stata liquidata dall’odierno convenuto,
per la parte di propria spettanza,
direttamente a sé stesso, senza confluire,
come dispone la normativa in materia per la
dirigenza, nell’apposito fondo istituito
presso ciascuna amministrazione ove,
necessariamente, devono convergere le
risorse destinate alla retribuzione di
posizione e di risultato dei dirigenti.
L’art. 24, comma 3, d.lgs. 165/2001,
dispone, infatti, che i compensi dovuti dai
terzi (tra i quali, ai sensi della
dichiarazione congiunta 4 del CCNL
2002–2005, anche quelli derivanti
dall’applicazione dell’art. 3, comma 57, l.
662/1996 e all’art. 59, comma 1, lett. P,
d.lgs. 446/1997), sono corrisposti
direttamente alla medesima amministrazione e
confluiscono nelle risorse destinate al
trattamento economico accessorio della
dirigenza.
Nel caso de quo, dunque, con
l’attribuzione delle risorse destinate al
fondo direttamente effettuata dall’odierno
convenuto a sé medesimo, si è sottratta alla
fonte di finanziamento della retribuzione di
posizione e di risultato dei dirigenti, la
somma di € 28.000, determinandosi, così, un
danno erariale pari alla somma allontanata
dalla sua specifica destinazione. (...
continua) (link a www.corteconti.it). |
NEWS |
ENTI LOCALI:
Le tappe del "cronoprogramma"
delle Unioni di piccoli Comuni.
Tra le novità introdotte dalla "manovra-bis"
(legge 148/201, entrata in vigore il
17.09.2011), sono di forte impatto le
numerose norme contenute nell'articolo 16 e
che mutano profondamente l'assetto
ordinamentale e quello fiscale dei piccoli
Comuni e delle Unioni da essi costituite.
... (articolo
Il Sole 24 Ore del 28.11.2011 -
tratto da www.ecostampa.it). |
CONSIGLIERI COMUNALI:
Auto propria ferma allo stop del
rimborso. Il Dm richiama un Ccnl
disapplicato.
Il 3 novembre è stato pubblicato in Gazzetta
Ufficiale il decreto del 04.08.2011 che
fissa il rimborso delle spese di viaggio e
di soggiorno per gi amministratori locali.
... (articolo
Il Sole 24 Ore del 28.11.2011 -
tratto da www.ecostampa.it). |
ENTI LOCALI:
Per le assunzioni a tempo c'è il rebus delle
quote.
Ora che la legge di stabilità è stata
approvata, per gli enti locali iniziano i
dubbi operativi in materia di assunzioni.
Secondo la legge 183/2011, gli enti soggetti
al patto di stabilità potranno assumere a
tempo indeterminato nel limite del 20% della
spesa delle cessazioni dell'anno precedente.
Sulle forme di lavoro flessibile viene,
invece, posta la percentuale del 50%
rispetto alla spesa complessiva sostenuta
per lo stesso titolo del l'anno 2009.
Ed è proprio su quest'ultimo aspetto che si
concentrano le domande. Il comma 28
dell'articolo 9 del Dl 78/2010, così come
modificato dalla legge di stabilità, prevede
due tipologie di limitazioni. Da una parte
indica che ci si può avvalere di personale
con contratto a tempo determinato, con
convenzioni e con contratti di
collaborazione continuativa nel limite del
50% della spesa sostenuta nel 2009.
Dall'altra, la stessa percentuale vale per
le assunzioni relative a contratti di
formazione lavoro, altri rapporti
informativi, alla somministrazione di lavoro
e al lavoro accessorio. Dal punto di vista
letterale, siamo in presenza di due gruppi
di fattispecie lavorative: ci si chiede,
quindi, se il calcolo debba avvenire
complessivamente sulle forme di lavoro
flessibile di cui all'articolo 36 del Dlgs
165/2001, aggiungendo le spese per le
collaborazioni coordinate e continuative, o
se sia preferibile seguire il dettato
letterale della disposizione che tiene
separate le varie attività.
Nel comparto degli enti locali vi sono,
inoltre, altre due tipologie di prestazioni
lavorative da monitorare attentamente. La
prima è quella contenuta nell'articolo 110
del Dlgs 267/2000, che disciplina gli
incarichi a contratto. In questo caso la
norma sembra completamente definita,
ancorché integrata dall'articolo 19 comma 6
del Dlgs 165/2001: sembrerebbe, quindi, che
non si possa applicare la limitazione del
50% della spesa sostenuta nel l'anno 2009.
L'altra norma è l'articolo 90 del medesimo
Tuel, che disciplina le assunzioni a tempo
determinato negli uffici in staff degli
amministratori. In questo caso, poiché non
vi è alcun vincolo di spesa su tali
prestazioni, potrebbe invece scattare il
nuovo vincolo introdotto dalla legge di
stabilità.
In base a considerazioni di logica e
razionalità si potrebbero invece escludere
dal calcolo le assunzioni di lavoro
flessibile effettuate con trasferimenti da
parte della Ue per la realizzazione di
progetti specifici.
Inoltre, è vero che la legge di stabilità ha
fatto chiarezza sulle percentuali da
applicare alle assunzioni, ma va evidenziata
la criticità gestionale per quelle
amministrazioni che nel 2009 avevano avuto
una spesa particolarmente bassa, o
addirittura pari a zero, per le tipologie
flessibili. Come comportarsi in questi casi?
La Corte dei conti della Lombardia, nella
delibera 227/2011, ha affrontato una
questione simile, relativa però agli
incarichi di studio e consulenza. I giudici
contabili hanno ritenuto che la norma in
questione, per quegli enti locali che nel
2009 non hanno sostenuto alcuna spesa a tale
titolo, va applicata individuando un diverso
parametro di riferimento: il limite diventa
quello della spesa strettamente necessaria
che l'ente locale sosterrà nel l'anno in cui
ci sarà bisogno di conferire un incarico di
consulenza o di studio.
Quest'ultimo limite di spesa, a sua volta,
diverrà il parametro finanziario per gli
anni successivi. Ci si chiede se si potrà
applicare lo stesso principio anche per le
assunzioni di lavoro flessibile (articolo Il Sole 24 Ore del 28.11.2011
- tratto da www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO:
Efficienza, il premio può avvantaggiare chi
non ha tagliato.
Si bloccano i trattamenti economici
individuali, si pongono tetti ai fondi per
le risorse decentrate, ma quali possono
essere gli effetti dei piani di
razionalizzazione sulla spesa di personale?
La domanda sorge spontanea dalla lettera
della
circolare
11.11.2011 n. 13/2011 della Funzione
pubblica, firmata in zona Cesarini dal
ministro Brunetta. Questione che, allo stato
attuale, non sembra avere risposta.
La circolare detta le istruzioni operative
che consentono alle amministrazioni di
destinare ai dipendenti una quota
significativa del cosiddetto "dividendo per
l'efficienza", introdotto dall'articolo 16,
comma 5, della prima manovra estiva (Dl
98/2011). La procedura non è semplice e
scontata ma, in sostanza, consiste nel
destinare alla contrattazione decentrata
fino al 50% dei maggiori risparmi che le
amministrazioni conseguono rispetto a quanto
già imposto dalle varie manovre finanziarie.
Chi intende imboccare questa strada, dovrà
approvare entro il 31 marzo di ogni anno un
piano di razionalizzazione che quantifichi
la spesa iniziale e le ulteriori economie
che intende conseguire.
A consuntivo, dovranno essere verificati i
risultati ottenuti, che andranno certificati
dall'organo di revisione. Gli ambiti nei
quali ci si può muovere sono molto ampi e
vanno dalla semplificazione amministrativa
ai costi della politica, dagli incarichi
alle partecipate agli oneri per consulenze.
Le cose sembrano quasi scontate e potrebbero
rappresentare un nuovo modo di procurarsi
risorse fresche, superando gli ormai troppo
rischiosi meccanismi introdotti con la
privatizzazione del rapporto di lavoro del
1999. Non a caso le organizzazioni sindacali
stanno spingendo per l'applicazione di
questo istituto. Con ogni evidenza, ci sono
ampi spazi per un uso non proprio ortodosso
del dividendo per l'efficienza.
In primo luogo si dovrebbe partire da dati
finanziari certi, che dovrebbero avere già
scontato gli sforzi imposti nel corso degli
anni precedenti dalla varie manovre
finanziarie. Poiché questi non sempre sono
stati scrupolosamente rispettati, e
soprattutto analiticamente certificati, il
punto di partenza potrebbe celare delle
criticità trasformando quello che dovrebbe
essere un dividendo dell'efficienza in un
dividendo dell'inefficienza. Il meccanismo
proposto va in modo inspiegabile a premiare
proprio i dipendenti di quelle
amministrazioni che storicamente sono state
più cicale che formiche. Chi, infatti, non
si è preoccupato di adeguarsi o di contenere
le spese, oggi avrà ampio spazio per
distribuire: un vero e proprio encomio ai
meno virtuosi.
Il premio si colloca all'interno di un
contesto normativo molto rigido che impone
il blocco dei fondi al valore del 2010. La
faticosa interpretazione della magistratura
contabile ha escluso che vi possano essere
delle deroghe se non in tema di
progettazione e avvocatura. Per altro verso
la manovra estiva non si è preoccupata di
prendere posizione su questo punto decisivo.
In caso di interpretazione restrittiva,
ancora una volta, ne avrebbero beneficio gli
enti che nel 2010 avevano spinto
sull'acceleratore delle risorse variabili
creandosi una zoccolo duro elevato che oggi
potrebbe fare da alveo al nuovo premio che
tutto sembra essere tranne che
dell'efficienza (articolo Il Sole 24 Ore del 28.11.2011
- tratto da www.ecostampa.it). |
CONDOMINIO:
Il fotovoltaico conviene a casa.
Il Quarto conto energia premia gli impianti
di piccola taglia. Guida all'installazione
dei pannelli nel proprio condominio. Serve
la delibera assembleare.
Il Quarto conto energia ha
ridotto gli incentivi per la produzione di
energia elettrica dal fotovoltaico,
premiando comunque (con una limatura dei
bonus meno pesante) gli impianti integrati e
di piccola taglia. Installare, quindi, i
pannelli fotovoltaici in condominio può
continuare a essere un'opzione interessante,
a patto di fare attenzione a tempistiche e
costi.
Vediamo come muoversi e cosa sapere se si
decide di realizzare l'impianto.
Cosa sapere se si sceglie di
installare i pannelli nel proprio
condominio.
I condomini che scelgono di installare un
impianto fotovoltaico sul proprio edificio
devono produrre una delibera assembleare,
corredata anche da un progetto tecnico e da
un'analisi di fattibilità da parte del
fornitore. La maggioranza richiesta è quella
semplice delle quote millesimali
rappresentate dagli intervenuti in
assemblea. L'impianto, quindi, può essere
usato per soddisfare il bisogno di energia
delle parti comuni, abbattendo i costi per
l'utilizzo dell'ascensore o per
l'illuminazione di scale e giardini.
Un risultato ottenibile grazie al regime di
«scambio sul posto», il più indicato
se l'impianto è dimensionato su tali consumi
annui o sottodimensionato rispetto a essi.
Da ricordare, però, che l'impianto
condominiale non può essere usato per
rifornire di energia i singoli appartamenti.
Se il condomino intende procedere in questo
senso deve farsi carico della realizzazione
dell'impianto personale e ottenere il
consenso dall'assemblea condominiale.
In caso di surplus di energia, quindi se
l'impianto risulta sovradimensionato
rispetto ai consumi annui, inoltre, il
condominio può decidere di vendere l'energia
in eccesso al Gse (Gestore dei servizi
energetici), con il servizio di «ritiro
dedicato». In entrambi i casi, al
guadagno derivante dell'autoconsumo o dalla
vendita dell'energia si aggiungono anche gli
incentivi previsti dal Quarto conto energia,
che in sostanza permettono di ripagarsi
l'impianto.
Quali autorizzazioni sono
necessarie.
Per poter portare avanti l'operazione sono
poi necessari anche dei permessi ad hoc, in
base soprattutto ai requisiti dell'impianto
da installare. Possono infatti esserci due
casi. Nel primo, gli impianti fotovoltaici
integrati nei tetti degli edifici con la
stessa inclinazione e lo stesso orientamento
della falda, la cui superficie non sia
superiore a quella del tetto stesso e i cui
componenti non modifichino la sagoma della
costruzione, sono considerati interventi di
manutenzione ordinaria e quindi non
richiedono la Denuncia di inizio attività
(Dia).
In questo caso, è, quindi, sufficiente una
comunicazione preventiva al comune. Se,
invece, la costruzione dell'impianto non
rientra in questi parametri è soggetta alla
Dia, a condizione che la superficie
complessiva dei moduli fotovoltaici
dell'impianto non sia superiore a quella del
tetto dell'edificio sul quale i moduli sono
collocati.
L'iter da seguire.
Ci sono poi dei passaggi a carico
dell'amministratore di condominio che devono
essere effettuati per portare a termine
l'operazione. In primo luogo,
l'amministratore deve richiedere uno studio
di fattibilità gratuito ad almeno tre
installatori locali; convocare l'assemblea
condominiale e, infine, dare inizio
all'esecuzione dei lavori, con l'allaccio in
rete e la richiesta degli incentivi al
Gestore dei servizi energetici. Una volta
ottenuto il finanziamento, i lavori si
aprono in 30 giorni e si concludono nel giro
di un paio di settimane.
Gli incentivi.
Per quanto riguarda gli incentivi, il Quarto
conto energia (decreto interministeriale del
5 maggio 2011) prevede che, per le
installazioni realizzate entro il 2012, le
tariffe incentivanti vanno dai 32 centesimi
di euro a Kw di novembre 2011 ai 25
centesimi del secondo semestre 2012;
inoltre, è possibile rivendere al Gse
l'energia prodotta e non autoconsumata, che
ai prezzi correnti di mercato vale circa 10
centesimi a Kw.
Fatti i dovuti calcoli si può azzerare la
bolletta elettrica e si possono conseguire
discreti guadagni, nell'arco di 20 anni di
durata dell'incentivo. E visto che gli
incentivi diminuiscono con il passare del
tempo, prima si allaccia l'impianto e più
conveniente è la tariffa. Dal 2013, infatti,
sarà onnicomprensiva e inclusiva anche del
valore dell'energia ma la quota incentivante
dovrebbe ridursi di circa 20 centesimi.
Le possibilità di finanziamento.
Calcolando che i costi di installazione
dell'impianto si aggirano in genere intorno
ai 15-20 mila euro, può essere utile
valutare la strada dei finanziamenti
bancari. Per procedere, l'amministratore
deve ottenere una delega dall'assemblea
condominiale e presentare un business plan.
La valutazione di quanto può essere
finanziato viene elaborata dalla banca
interpellata sulla base del valore catastale
dell'intero immobile. Il finanziamento viene
di solito erogato per una durata di 15-18
anni, mentre il Quarto conto energia
incentiva per 20 anni. In genere sono gli
ultimi anni ad essere fonte di forte utile
netto, mentre quelli precedenti solitamente
permettono un pareggio, oltre che
l'abbattimento della bolletta elettrica
condominiale di circa l'80%.
La banca richiede, infine, la stipula di
un'assicurazione all risks, che copre per
pochi euro a Kw da furti, atti di
vandalismo, danneggiamento da eventi
atmosferici e da mancata produzione per
qualsiasi motivo (articolo
ItaliaOggi Sette del 28.11.2011). |
GIURISPRUDENZA |
CONDOMINIO:
Condominio, la comunione è prevalente sulle
distanze.
Il condomino può installare tre pensiline su
un bene comune anche se non rispettano le
norme sui rapporti di vicinato. Le regole
sulle distanze legali, infatti, sono
applicabili anche nei rapporti tra i
condomini quando siano compatibili con
l'applicazione delle disposizioni
particolari relative alle cose comuni, ma in
caso di contrasto prevale, quale diritto
speciale, la disciplina della comunione.
L'importante, quindi, è che il condomino non
alteri la destinazione del bene e non ne
impedisca l'altrui pari uso.
Sono queste le rilevanti conclusioni
raggiunte dalla Corte di cassazione con la
sentenza n. 22092/2011 che ha respinto il
ricorso del proprietario di un appartamento
posto al primo piano di un condominio nei
confronti di quello dell'alloggio
sottostante.
Il ricorrente si è rivolto al tribunale
denunciando che il condomino del piano terra
aveva realizzato tre pensiline di materiale
plastico con intelaiatura in ferro ledendo
in tal modo l'estetica della facciata e
violando il diritto di veduta e le norme
sulle di distanze legali. Ha chiesto,
perciò, la rimozione delle opere eseguite
facendo presente che era a rischio anche la
sua sicurezza, dal momento che, attraverso
la pensilina, era possibile accedere
facilmente al suo appartamento.
I giudici hanno respinto la domanda sia in
primo che in secondo grado. In particolare
la Corte d'appello ha affermato che i
manufatti erano stati realizzati con
materiale elegante, trasparente e in armonia
con le caratteristiche strutturali e le
linee estetiche del fabbricato, svolgendo
una funzione di obiettiva utilità per il
condomino del piano terra. Inoltre il
pericolo per la sicurezza dell'appartamento
del primo piano era pressoché inesistente in
quanto la lastra in policarbonato che
avrebbe potuto fornire una base di appoggio
per salire era estremamente fragile e non
avrebbe retto il peso di una persona.
La vicenda è quindi approdata in Cassazione
dove il ricorrente ha sostenuto che i
giudici erano incorsi in un grave errore
perché avevano ritenuto che nell'ambito
condominiale le norme che regolano i
rapporti di vicinato trovano applicazione
solo in quanto compatibili con le norme
sulla comunione. In pratica, a suo dire, il
collegio avrebbe sacrificato il suo diritto
di sicurezza e di veduta per privilegiare
quello relativo alla protezione dagli agenti
atmosferici del condomino sottostante.
La Cassazione, nel respingere
definitivamente il ricorso, ha stabilito che
le norme sulle distanze legali sono
applicabili anche in ambito condominiale
purché non contrastino con le norme
particolari relative alle cose comuni,
perché in questo caso prevalgono queste
ultime. In considerazione della peculiarità
del condominio, ha spiegato la Cassazione,
la disciplina che regola il godimento dei
beni, degli impianti e dei sevizi comuni «ha
natura speciale rispetto alla normativa che,
nell'ambito dei rapporti di vicinato,
stabilisce le limitazioni legali tra
proprietà confinanti».
In definitiva, il diritto del singolo
condomino sulle cose comuni trova solo il
limite di «non sacrificare ma di
consentire il potenziale pari uso della cosa
da parte degli altri partecipanti» (articolo Il Sole 24 Ore del 28.11.2011). |
CONDOMINIO:
È contro la privacy esporre i
dati in bacheca. L'esposizione di alcuni
dati in bacheca può essere contraria al
diritto di privacy.
Secondo la recente sentenza n. 186/2011 della
Corte di Cassazione, infatti, gli spazi
condominiali aperti all'accesso a terzi
estranei al condominio non possono essere
utilizzati per la comunicazione dei dati
personali riferibili al singolo condomino.
Uno dei problemi principali degli
amministratori è in effetti di tutelare la
riservatezza dei singoli condomini e, nel
contempo, il diritto del condominio nel suo
insieme di essere a conoscenza di fatti
riguardanti il bene comune. Un esempio è
quello del condomino moroso sulle spese. I
giudici della Suprema corte hanno però
specificato che anche i dati dei condomini
raccolti per la gestione della cosa comune,
compresi gli eventuali debiti di ciascuno
nei confronti del condominio, rientrano
nell'ambito dei dati personali.
L'amministratore, pertanto, è autorizzato a
raccogliere, registrare, conservare, esibire
le informazioni necessarie per la gestione e
l'amministrazione della cosa comune e a
comunicarle anche a tutti gli altri
partecipanti, ma, allo stesso tempo, deve
adottare le opportune cautele per evitare
l'accesso a quei dati da parte di persone
estranee al condominio. Un diritto alla
riservatezza che deve, quindi, sempre
prevalere sulle esigenze di efficienza (articolo
ItaliaOggi Sette del 28.11.2011). |
ENTI LOCALI:
Va dichiarata l’illegittimità
costituzionale dei commi 2 e 4 dell’art. 49
della legge della Regione Lombardia
12.12.2003, n. 26 (Disciplina dei servizi
locali di interesse economico generale.
Norme in materia di gestione dei rifiuti, di
energia, di utilizzo del sottosuolo e di
risorse idriche), introdotti dall’art. 1,
comma 1, lettera t), della legge della
Regione Lombardia 27.12.2010, n. 21, recante
«Modifiche alla legge regionale 12.12.2003,
n. 26 (Disciplina dei servizi locali di
interesse economico generale. Norme in
materia di gestione dei rifiuti, di energia,
di utilizzo del sottosuolo e di risorse
idriche), in attuazione dell’articolo 2,
comma 186-bis, della legge 23.12.2009, n.
191».
---------------
... nel giudizio di legittimità
costituzionale dell’art. 1, comma 1, lettera
t), della legge della Regione Lombardia
27.12.2010, n. 21, recante «Modifiche
alla legge regionale 12.12.2003, n. 26
(Disciplina dei servizi locali di interesse
economico generale. Norme in materia di
gestione dei rifiuti, di energia, di
utilizzo del sottosuolo e di risorse
idriche), in attuazione dell’art. 2, comma
186-bis, della legge 23.12.2009, n. 191»,
promosso dal Presidente del Consiglio dei
ministri con ricorso notificato il 25
febbraio-02.03.2011, depositato in
cancelleria il 1° marzo 2011 ed iscritto al
n. 12 del registro ricorsi 2011.
...
2.1.
– Con riferimento alla prospettata
violazione dell’art. 117, secondo comma,
Cost., la questione è fondata nei limiti qui
di séguito precisati.
2.1.1.
– Al momento dell’emanazione della legge
regionale recante la disposizione impugnata,
era già vigente il principio generale
stabilito –per tutti i servizi pubblici
locali (SPL) di rilevanza economica (salvo
quelli afferenti ad alcuni specifici
settori, tassativamente indicati dalla legge
statale)– dalla prima parte del comma 2
dell’articolo 113 del citato TUEL, secondo
cui «Gli enti locali non possono cedere
la proprietà degli impianti, delle reti e
delle altre dotazioni destinati
all’esercizio dei servizi pubblici»,
salva la possibilità, prevista dal
successivo comma 13, di «conferire la
proprietà» dei beni medesimi «a
società a capitale interamente pubblico, che
è incedibile», purché tale conferimento
«non sia vietato dalle normative di
settore». Sempre al momento dell’emanazione
della stessa legge regionale vigeva anche il
comma 5 dell’art. 23-bis del decreto-legge
n. 112 del 2008 il quale, con riguardo in
genere ai SPL di rilevanza economica,
stabiliva –in parziale contrasto con detto
comma 13 dell’art. 113 del TUEL– che, «Ferma
restando la proprietà pubblica delle reti,
la loro gestione può essere affidata a
soggetti privati».
La disposizione regionale censurata prevede,
sia pure con riferimento alle sole
infrastrutture idriche, un caso di cessione
ad un soggetto di diritto privato –la
società patrimoniale d’àmbito a capitale
pubblico incedibile– di beni demaniali e,
perciò, incide sul regime giuridico della
proprietà pubblica. Essa va, pertanto,
ascritta alla materia ordinamento civile,
riservata alla competenza legislativa
esclusiva dello Stato, ai sensi dell’art.
117, secondo comma, lettera l), Cost. Ne
segue che la Regione resistente è
legittimata a disporre in tale materia solo
ove la legge regionale costituisca
attuazione di una specifica normativa
statale.
2.1.2.
– Nella specie, una siffatta normativa
statale manca, non potendo essa essere
individuata nel citato comma 13 dell’art.
113 del TUEL, nonostante che la stessa
disposizione regionale impugnata lo richiami
quale norma statale da attuare. Detto comma
13, infatti, non poteva costituire il
fondamento della competenza legislativa
regionale in tema di regime proprietario
delle infrastrutture idriche, perché doveva
ritenersi già tacitamente abrogato, per
incompatibilità, dal comma 5 dell’art.
23-bis del decreto-legge n. 112 del 2008, il
quale –come si è visto– aveva stabilito il
principio secondo cui le reti sono di «proprietà
pubblica»; principio evidentemente in
contrasto con il richiamato comma 13, che
consentiva, invece, il conferimento delle
reti in proprietà a società di diritto
privato a capitale interamente pubblico. Al
riguardo, va osservato che la proprietà
pubblica delle reti implica, indubbiamente,
l’assoggettamento di queste –e, dunque,
anche delle reti idriche– al regime
giuridico del demanio accidentale pubblico,
con conseguente divieto di cessione e di
mutamento della destinazione pubblica. In
particolare le reti, intese in senso ampio,
vanno ricomprese, in quanto appartenenti ad
enti pubblici territoriali, tra i beni
demaniali, ai sensi del combinato disposto
del secondo comma dell’art. 822 e del primo
comma dell’art. 824 cod. civ. Il comma 1
dell’art. 143 del d.lgs. n. 152 del 2006
(anch’esso anteriore alla disposizione
regionale impugnata) conferma la natura
demaniale delle infrastrutture idriche,
dettando una specifica normativa di settore.
Esso dispone, infatti, che: «Gli
acquedotti, le fognature, gli impianti di
depurazione e le altre infrastrutture
idriche di proprietà pubblica, fino al punto
di consegna e/o di misurazione, fanno parte
del demanio ai sensi degli articoli 822 e
seguenti del codice civile e sono
inalienabili se non nei modi e nei limiti
stabiliti dalla legge».
È, perciò, evidente l’incompatibilità del
regime demaniale stabilito dal comma 5
dell’art. 23-bis del decreto-legge n. 112
del 2008 e dal comma l dell’art. 143 del
d.lgs. n. 152 del 2006 con il conferimento
in proprietà previsto dal comma 13 dell’art.
113 del TUEL.
2.1.3.
– La difesa della Regione resistente obietta
che la disposizione impugnata, nel prevedere
espressamente l’incedibilità del capitale
della società a totale partecipazione
pubblica e nel richiamare il comma 13
dell’art. 113 del TUEL, garantisce il
mantenimento del regime giuridico proprio
dei beni demaniali conferiti in proprietà
alla società patrimoniale d’àmbito.
L’obiezione non è fondata.
È noto che il patrimonio sociale costituisce
una nozione diversa da quella di capitale
sociale: il primo è rappresentato dal
complesso dei rapporti giuridici, attivi e
passivi, che fanno capo alla società; il
secondo è l’espressione numerica del valore
in denaro di quella frazione ideale del
patrimonio sociale netto (dedotte, cioè, le
passività) che è fissata dall’atto
costitutivo e non è distribuibile tra i
soci. Ne deriva che l’incedibilità delle
quote od azioni del capitale sociale –sia
essa frutto di una pattuizione fra i soci
(art. 2341-bis cod. civ.) o, come nel caso
di specie, di una previsione legislativa–
non comporta anche l’incedibilità dei beni
che costituiscono il patrimonio della
società; beni, perciò, che possono
liberamente circolare e che integrano la
garanzia generica dei creditori (art. 2740
cod. civ.), limitabile solo nei casi
stabiliti dalla legge dello Stato
nell’esercizio della sua competenza
esclusiva in materia di ordinamento civile.
La sola partecipazione pubblica, ancorché
totalitaria, in società di capitali non
vale, dunque, a mutare la disciplina della
circolazione giuridica dei beni che formano
il patrimonio sociale e la loro
qualificazione.
A sostegno dell’incedibilità dei beni
conferiti in proprietà nella società
patrimoniale d’àmbito non può invocarsi
–come fa la difesa regionale– neppure il
disposto dell’art. 7 del decreto-legge
15.04.2002, n. 63 (Disposizioni finanziarie
e fiscali urgenti in materia di riscossione,
razionalizzazione del sistema di formazione
del costo dei prodotti farmaceutici,
adempimenti ed adeguamenti comunitari,
cartolarizzazioni, valorizzazione del
patrimonio e finanziamento delle
infrastrutture), convertito, con
modificazioni, dalla legge 15.06.2002, n.
112, secondo cui il conferimento in
proprietà di beni demaniali dello Stato alla
«Patrimonio dello Stato S.p.A.»,
anch’essa società a capitale interamente
pubblico, non comporta la modificazione del
regime giuridico di tali beni, quale
stabilito dagli articoli 823 e 829, primo
comma, cod. civ. Tale normativa statale,
infatti, non riguarda i beni demaniali degli
enti pubblici territoriali considerati dalla
disposizione impugnata, perché ha introdotto
una speciale disciplina del regime
proprietario dei soli beni demaniali dello
Stato, insuscettibile di applicazione
estensiva o analogica.
2.1.4.
– Non può opporsi all’indicata abrogazione
tacita del comma 13 dell’art. 113 del TUEL
il fatto che tale comma non è stato inserito
dall’art. 12, comma 1, lettera a), del
regolamento di delegificazione di cui al
d.P.R. 7 settembre 2010, n. 168 (Regolamento
in materia di servizi pubblici locali di
rilevanza economica, a norma dell’articolo
23-bis, comma 10, del decreto-legge
25.06.2008, n. 112, convertito, con
modificazioni, dalla legge 06.08.2008, n.
133), tra le disposizioni del medesimo art.
113 abrogate ai sensi dell’art. 23-bis del
decreto-legge n. 112 del 2008.
Va precisato in proposito che l’art. 23-bis
ha previsto due diverse modalità di
abrogazione delle norme previgenti: a) nella
lettera m) del comma 10 ha affidato al
Governo il potere di «individuare
espressamente», con regolamento, le
disposizioni abrogate ai sensi dello stesso
art. 23-bis; b) nel successivo comma 11, con
riferimento al solo art. 113 del TUEL, ne ha
disposto l’abrogazione «nelle parti
incompatibili con le disposizioni» del
medesimo art. 23-bis. Nel primo caso,
l’effetto abrogativo è stato differito
–conformemente all’art. 17, comma 2, della
legge 23.08.1988, n. 400 (Disciplina
dell’attività di Governo e ordinamento della
Presidenza del Consiglio dei Ministri)– al
momento dell’entrata in vigore del
regolamento di delegificazione; nel secondo
caso, invece, tale effetto è conseguito
immediatamente dalla vigenza dell’art.
23-bis ed è accertato direttamente
dall’interprete. La speciale disciplina
dell’abrogazione per incompatibilità
prevista per l’art. 113 del TUEL ha, dunque,
lo specifico significato di far discendere
l’effetto abrogativo di tale articolo
unicamente dal comma 11 dell’art. 23-bis e,
di conseguenza, di rendere non operante il
disposto della lettera m) del precedente
comma 10, che, perciò, si riferisce soltanto
alle norme previgenti diverse dall’art. 113
del TUEL. Ciò trova indiretta conferma
nell’alinea del comma 1 dell’art. 12 del
citato regolamento di delegificazione, il
quale –riferendosi cumulativamente alle
disposizioni abrogate sia dell’art. 113 del
TUEL (indicate nella lettera a), sia del
d.lgs. n. 152 del 2006 (indicate nelle
lettere b e c)– precisa che tali
disposizioni «sono o restano abrogate».
Con tale espressione, evidentemente, il
Governo ha inteso distinguere le
disposizioni di cui all’art. 113 del TUEL
(lettera a), che «restano» abrogate
perché l’effetto abrogativo si era già
perfezionato all’atto della entrata in
vigore dell’art. 23-bis, dalle altre
disposizioni (lettere b e c), che «sono
abrogate» a séguito dell’entrata in
vigore del regolamento e, cioè, nel momento
al quale la legge delegificante differisce
l’effetto abrogativo.
In altri termini, il fatto che il menzionato
regolamento di delegificazione non abbia
ricompreso il comma 13 dell’art. 113 del
TUEL tra le disposizioni abrogate non
esclude che l’effetto abrogativo si sia già
verificato a far data dalla promulgazione
della lex posterior (art. 23-bis del
decreto-legge n. 112 del 2008). E ciò
indipendentemente dalla circostanza che il
ricordato regolamento –adottato, come si è
visto, sulla base del comma 10, lettera m),
dell’art. 23-bis– è stato ormai privato del
suo fondamento normativo dall’art. 1, comma
1, del d.P.R. 18.07.2011, n. 113
(Abrogazione, a seguito di referendum
popolare, dell’art. 23-bis del decreto-legge
n. 112 del 2008, convertito, con
modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008,
e successive modificazioni, nel testo
risultante a seguito della sentenza della
Corte costituzionale n. 325 del 2010, in
materia di modalità di affidamento e
gestione dei servizi pubblici locali di
rilevanza economica), il quale ha dichiarato
l’intervenuta abrogazione dell’intero art.
23-bis per effetto dell’esito del referendum
popolare indetto con d.P.R. 23.03.2011.
2.1.5.
– È necessario, infine, avvertire che il piú
volte menzionato comma 13 dell’art. 113 del
TUEL non ha ripreso vigore a séguito della
dichiarazione –ad opera del citato art. 1,
comma 1, del d.P.R. n. 113 del 2011–
dell’avvenuta abrogazione dell’intero art.
23-bis del decreto-legge n. 112 del 2008 (in
questo senso, specificamente, sentenza n. 24
del 2011).
Questo quadro normativo non è stato
modificato neppure dal decreto-legge
13.08.2011, n. 138 (Ulteriori misure per la
stabilizzazione finanziaria e per lo
sviluppo), convertito, con modificazioni,
dal comma 1 dell’art. 1 della legge
14.09.2011, n. 148. Il comma 28 dell’art. 4
di tale decreto, nel riprodurre
letteralmente il contenuto del comma 5
dell’art. 23-bis del d.lgs. n. 112 del 2008
–abrogato, come si è visto, in seguito a
referendum popolare-, ha ripristinato il
principio (dettato in generale per i SPL di
rilevanza economica) secondo cui, «Ferma
restando la proprietà pubblica delle reti,
la loro gestione può essere affidata a
soggetti privati». Con riferimento al
regime della proprietà delle reti, tale
principio non solo è incompatibile –per le
ragioni già esposte al punto 2.1.2.– con il
comma 13 dell’art. 113 del TUEL, ma è
espressamente dichiarato non applicabile al
settore idrico dal comma 34 dello stesso
art. 4 del decreto-legge n. 138 del 2011 («Sono
esclusi dall’applicazione del presente
articolo il servizio idrico integrato […]»).
Ne deriva che questo settore continua ad
essere disciplinato dalla sopra evidenziata
normativa e, in particolare, dal citato art.
143 del d.lgs. n. 152 del 2006, che, come
visto, prevede la proprietà demaniale delle
infrastrutture idriche e, quindi, la loro «inalienabilità
se non nei modi e nei limiti stabiliti dalla
legge».
2.2.
– In conclusione, la rilevata abrogazione
tacita del comma 13 dell’art. 113 del TUEL,
per incompatibilità con il comma 5 dell’art.
23-bis del decreto-legge n. 112 del 2008,
preclude alla Regione resistente di
disciplinare, in attuazione del medesimo
comma 13, il regime della proprietà di beni
del demanio accidentale degli enti pubblici
territoriali, trattandosi di materia
ascrivibile all’ordinamento civile,
riservata dall’art. 117, secondo comma,
lettera l), Cost. alla competenza
legislativa esclusiva dello Stato. Da ciò
consegue la violazione, da parte della
Regione Lombardia, di tale sfera di
competenza statale e, quindi,
l’illegittimità costituzionale del comma 2
dell’art. 49 della legge reg. n. 26 del
2003, quale introdotto dalla disposizione
impugnata.
Restano assorbiti gli altri profili di
censura prospettati dal ricorrente in
relazione al medesimo comma dell’art. 49.
3.
– Con riguardo al comma 4 dell’art. 49 della
legge reg. n. 26 del 2003, il ricorrente
afferma che tale disposizione, nella parte
in cui stabilisce che «l’ente
responsabile dell’ATO può assegnare alla
società il compito di espletare le gare per
l’affidamento del servizio […]», si pone
in contrasto con la seguente normativa
emessa dallo Stato nell’esercizio della sua
competenza legislativa esclusiva, ad esso
riservata dalle lettere e), l), m) e s) del
secondo comma dell’art. 117 Cost.: a) l’art.
150, comma 2, del d.lgs. n. 152 del 2006,
come modificato dall’art. 12, comma 1,
lettera b), del d.lgs. n. 168 del 2010,
secondo cui «l’Autorità d’ambito
aggiudica la gestione del servizio idrico
integrato»; b) l’art. 2, comma 186-bis,
della legge 23.12.2009, n. 191 (Disposizioni
per la formazione del bilancio annuale e
pluriennale dello Stato – legge finanziaria
2010), il quale, prescrivendo che «le
regioni attribuiscono con legge le funzioni
già esercitate dall’Autorità […]»,
avrebbe previsto l’attribuzione di tali
funzioni «in blocco ad altro, unico
soggetto anziché […] l’enucleazione di una
singola attribuzione da devolvere a soggetto
formalmente privato isolatamente dalle
rimanenti competenze».
Questa Corte deve preliminarmente rilevare
che la disposizione denunciata, prevedendo
la possibilità di assegnare il compito di
espletare le gare per l’affidamento del
servizio idrico alla società patrimoniale d’àmbito
di cui al precedente comma 2 dello stesso
art. 49, fa riferimento ad un soggetto la
cui costituzione è prevista da una
disposizione della quale è stata accertata,
al punto 2, l’illegittimità costituzionale.
Da tale illegittimità consegue quindi,
necessariamente, anche quella del denunciato
comma 4, senza che debba procedersi allo
scrutinio di tale comma in base ai parametri
evocati.
4.
– Con riguardo al comma 6, lettera c),
dell’art. 49 della legge reg. Lombardia n.
26 del 2003, secondo cui l’ente responsabile
dell’ATO effettua «la definizione dei
criteri per il trasferimento dei beni e del
personale delle gestioni esistenti», il
ricorrente afferma che tale disposizione
víola le lettere e), l), m) e s) del secondo
comma dell’art. 117 Cost., perché sussistono
«le medesime illegittimità» già
prospettate con riferimento al «collegato»
comma 2 dello stesso articolo 49.
La questione non è fondata.
Il ricorrente, muovendo dalla premessa
interpretativa che il denunciato comma 6,
lettera c), sia «collegato» al
precedente comma 2, ripropone le medesime
censure prospettate in relazione a
quest’ultimo comma. Detta premessa è, però,
erronea, perché il comma 2 riguarda, come
visto, il conferimento in proprietà delle
infrastrutture idriche alla società
patrimoniale d’àmbito, mentre l’impugnato
comma 6, lettera c), concerne solo la
definizione dei criteri per il trasferimento
dei beni e del personale delle gestioni
esistenti al gestore unico del servizio
idrico integrato, gestore che è soggetto
diverso dalla società patrimoniale d’àmbito.
Risulta, quindi, evidente che non sussiste
il dedotto collegamento tra il comma 2 e il
comma 6, lettera c), dell’art. 49 e che, di
conseguenza, le censure prospettate dal
ricorrente nei riguardi della prima
disposizione non possono valere con
riferimento al contenuto normativo della
seconda.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara l’illegittimità
costituzionale dei commi 2 e 4 dell’art. 49
della legge della Regione Lombardia
12.12.2003, n. 26 (Disciplina dei servizi
locali di interesse economico generale.
Norme in materia di gestione dei rifiuti, di
energia, di utilizzo del sottosuolo e di
risorse idriche), introdotti dall’art. 1,
comma 1, lettera t), della legge della
Regione Lombardia 27.12.2010, n. 21, recante
«Modifiche alla legge regionale 12.12.2003,
n. 26 (Disciplina dei servizi locali di
interesse economico generale. Norme in
materia di gestione dei rifiuti, di energia,
di utilizzo del sottosuolo e di risorse
idriche), in attuazione dell’articolo 2,
comma 186-bis, della legge 23.12.2009, n.
191»;
2) dichiara non fondata la questione di
legittimità costituzionale della lettera c)
del comma 6 dell’art. 49, della legge reg.
Lombardia n. 26 del 2003, introdotta
dall’art. 1, comma 1, lettera t), della
legge reg. Lombardia n. 21 del 2010,
proposta dal Presidente del Consiglio dei
ministri in riferimento all’art. 117,
secondo comma, lettere e), l), m) e s),
della Costituzione, con il ricorso indicato
in epigrafe (Corte Costituzionale,
sentenza 25.11.2011 n. 320). |
ATTI AMMINISTRATIVI - APPALTI: L’utilizzo
del fax costituisce modalità “ordinaria” di
scambio delle comunicazione tra le stazioni
appaltante e le imprese partecipanti alle
gare.
L'invio tramite fax del provvedimento
amministrativo rappresenta uno strumento
idoneo -in assenza di espresse prescrizioni
che dispongano altrimenti- a determinare la
piena conoscenza del provvedimento stesso,
in quanto il fax costituisce un sistema
basato su linee di trasmissione di dati e su
apparecchiature che consentono di
documentare sia la partenza del messaggio
dall'apparato trasmittente sia -attraverso
il c.d rapporto di trasmissione- la
ricezione del messaggio in quello ricevente,
sicuramente atto a garantire l'effettività
della comunicazione.
Quindi, posto che gli accorgimenti tecnici
che caratterizzano il sistema garantiscono
in via generale una sufficiente certezza
circa la ricezione del messaggio, ne
consegue non solo l'idoneità del mezzo a far
decorrere termini perentori, ma anche la
presunzione circa l'avvenuta ricezione,
senza che colui che dimostra di aver inviato
il messaggio debba fornire alcuna ulteriore
prova, salva l'eventuale prova contraria
concernente la funzionalità dell'apparecchio
ricevente fornita, secondo l'ordinaria
regola processualistica, da chi afferma la
mancata ricezione del messaggio.
La presunzione di conoscenza che consegue
all’invio della comunicazione a mezzo fax
all’indirizzo corretto (accompagnata dal
rapporto di ricezione) non ha quindi natura
assoluta.
Può essere fornita la prova contraria, che
può solo concernere la funzionalità
dell'apparecchio ricevente; essa non può che
essere fornita da chi afferma la mancata
ricezione del messaggio.
Dunque, nel momento in cui il fax viene
trasmesso, e ciò risulti debitamente
documentato dal c.d. rapporto di
trasmissione, si forma una presunzione della
sua ricezione in capo al destinatario, il
quale può vincerla solo opponendo la mancata
funzionalità dell'apparecchio ricevente.
È evidente che di tale mancata funzionalità
deve essere offerta prova rigorosa non
potendo evidentemente darsi campo e
giustificazione a circostanze impeditive
opposte in modo generico e non seriamente
documentate.
Nel merito, stabilisce l’art. 77, comma 1,
d.lgs. 12.04.2006, n. 163 che tutte le
comunicazioni e tutti gli scambi di
informazioni tra stazioni appaltanti e
operatori economici possono avvenire, a
scelta delle stazioni appaltanti, mediante
posta, mediante fax, per via elettronica ai
sensi dei commi 5 e 6, per telefono nei casi
e alle condizioni di cui al comma 7, o
mediante una combinazione di tali mezzi. Il
mezzo o i mezzi di comunicazione prescelti
devono essere indicati nel bando o, ove
manchi il bando, nell'invito alla procedura.
La lettura contestuale dei commi che
compongono l’articolo consente di affermare
che l’utilizzo del fax costituisce modalità
“ordinaria” di scambio delle
comunicazione tra le stazioni appaltante e
le imprese partecipanti alle gare.
Secondo costante giurisprudenza, l'invio
tramite fax del provvedimento amministrativo
rappresenta uno strumento idoneo -in assenza
di espresse prescrizioni che dispongano
altrimenti- a determinare la piena
conoscenza del provvedimento stesso, in
quanto il fax costituisce un sistema basato
su linee di trasmissione di dati e su
apparecchiature che consentono di
documentare sia la partenza del messaggio
dall'apparato trasmittente sia -attraverso
il c.d rapporto di trasmissione- la
ricezione del messaggio in quello ricevente,
sicuramente atto a garantire l'effettività
della comunicazione.
Quindi, posto che gli accorgimenti tecnici
che caratterizzano il sistema garantiscono
in via generale una sufficiente certezza
circa la ricezione del messaggio, ne
consegue non solo l'idoneità del mezzo a far
decorrere termini perentori, ma anche la
presunzione circa l'avvenuta ricezione,
senza che colui che dimostra di aver inviato
il messaggio debba fornire alcuna ulteriore
prova, salva l'eventuale prova contraria
concernente la funzionalità dell'apparecchio
ricevente fornita, secondo l'ordinaria
regola processualistica, da chi afferma la
mancata ricezione del messaggio.
La presunzione di conoscenza che consegue
all’invio della comunicazione a mezzo fax
all’indirizzo corretto (accompagnata dal
rapporto di ricezione) non ha quindi natura
assoluta.
Può essere fornita la prova contraria, che
può solo concernere la funzionalità
dell'apparecchio ricevente; essa non può che
essere fornita da chi afferma la mancata
ricezione del messaggio (es. Cons. di Stato
VI, 04.06.2007, n. 2951, che fa riferimento
a Cons. Stato, V, 24.04.2002, n. 2202).
Dunque, nel momento in cui il fax viene
trasmesso, e ciò risulti debitamente
documentato dal c.d. rapporto di
trasmissione, si forma una presunzione della
sua ricezione in capo al destinatario, il
quale può vincerla solo opponendo la mancata
funzionalità dell'apparecchio ricevente.
È evidente che di tale mancata funzionalità
deve essere offerta prova rigorosa non
potendo evidentemente darsi campo e
giustificazione a circostanze impeditive
opposte in modo generico e non seriamente
documentate.
In applicazione di quanto precede è evidente
che il principio secondo cui la
comunicazione mediante telefax rappresenta
strumento idoneo -in carenza di espresse
previsioni che dispongano altrimenti- a
determinare la piena conoscenza di un atto o
documento (principio che trae fondamento
nell’art. articolo 48 d.lgs. 07.03.2005, n.
82 e, in tema di documentazione
amministrativa, nel d.P.R. 28.12.2000, n.
445) non può essere vanificato da semplici
dichiarazioni del soggetto destinatario che
opponga tout court di non avere
ricevuto il fax (Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 24.11.2011 n. 6208 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La realizzazione dei parcheggi
obbligatori è esonerata dall'onere di
pagamento del contributo di urbanizzazione.
Il parcheggio eseguito da privato se
collegato alle disposizioni pianificatorie
generali dettate dai comuni non è soggetto
al contributo di urbanizzazione. Il
Consiglio di Stato ha respinto il ricorso
presentato da un comune che chiedeva a una
società di costruzioni la restituzione delle
somme percepite a titolo di contributo di
concessione edilizia.
Il collegio ricorda che la realizzazione dei
parcheggi obbligatori è esonerata dall'onere
di pagamento del contributo di
urbanizzazione, mentre quelli costruiti in
aree private per libera scelta speculativa
di un imprenditore rappresentano una
modificazione edilizia del territorio
realizzata su domanda del soggetto
interessato, assimilabile a tutte le altre
forme di edificazione soggette quindi a
concessione e ai relativi oneri. In questo
caso però l’opera è stata eseguita in
attuazione di strumenti urbanistici: la
pertinenzialità con l’atto pubblico di
costituzione di vincolo a parcheggio è
quindi indiscutibile.
La disposizione che governa la fattispecie è
quella di cui all’art. 11, comma 1, della
legge 24.03.1989, n. 122 che così prevede: “Le
opere e gli interventi previsti dalla
presente legge costituiscono opere di
urbanizzazione anche ai sensi dell'articolo
9, primo comma, lettera f) , della legge
28.01.1977, n. 10”.
Il richiamo ivi contenuto a tale ultima
disposizione (“il contributo di
concessione non è dovuto: per gli impianti,
le attrezzature, le opere pubbliche o di
interesse generale realizzate dagli enti
istituzionalmente competenti nonché per le
opere di urbanizzazione, eseguite anche da
privati, in attuazione di strumenti
urbanistici”) consente di ricomprendere
i parcheggi in tale esenzione.
Tale disposizione, peraltro, non risulta
abrogata –come inesattamente sostenuto
dall’appellante amministrazione- ma è stata
riconfermata nella sua validità dal d.p.r.
06.06.2001 n. 380.
La pertinenzialità del parcheggio eseguito
(come da progetto) dall’appellata è evidente
in relazione all’atto di destinazione
contenuto nell’ atto pubblico di
costituzione di vincolo a parcheggio del
07.02.2001 né sussiste– o è stato anche
soltanto prospettato- elemento alcuno che
possa indurre a dubitare della costituzione
del vincolo mercé il soprarichiamato atto
pubblico.
Si rammenta peraltro che per pacifica e
risalente giurisprudenza di questo Consiglio
di Stato la realizzazione dei parcheggi
obbligatori è esonerata dall'onere di
pagamento del contributo di urbanizzazione
(Consiglio Stato, sez. V, 14.10.1992, n.
987) mentre di converso si è rilevato che i
parcheggi costruiti in aree private per
libera scelta speculativa di un imprenditore
rappresentano una modificazione edilizia del
territorio realizzata su domanda del
soggetto interessato, assimilabile a tutte
le altre forme di edificazione soggette a
concessione e ai relativi oneri (Consiglio
Stato, sez. V, 22.12.2005, n. 7344)
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 22.11.2011 n. 6154 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA: La
finalità perseguita dal legislatore lombardo
con la l.r. 93/1980 –confermata negli
articoli da 59 a 62 della vigente legge
regionale 12/2005– è quella di mantenere e
conservare le zone agricole o a destinazione
agricola della Regione, attraverso la
limitazione degli usi residenziali, ammessi
soltanto se a servizio dell’impresa
agricola, per impedire la definitiva ed
irrimediabile perdita delle porzioni
territoriali a vocazione rurale.
Tale scopo è reso evidente dal particolare
procedimento previsto per gli interventi
edificatori in zona agricola (ora
disciplinato dall’art. 60 della LR 12/2005),
caratterizzato dalla presentazione al Comune
di un impegno al mantenimento della
destinazione, da trascriversi nei pubblici
registri e costituente un vero e proprio
vincolo sull’immobile.
Tale vincolo non può venire meno se non in
caso di variazione urbanistica dell’area
interessata (così l’art. 60 della LR 12/2005
ma anche la pregressa LR 93/1980), essendo
pertanto indifferenti, sul regime del
vincolo, le eventuali vicende personali
dell’imprenditore agricolo o dei suoi aventi
causa.
---------------
Il vincolo di asservimento della residenza a
servizio dell’impresa agricola non è nella
disponibilità di chi pone in essere l’atto
di impegno, né sussiste decadenza del
vincolo per cessazione dell’attività
agricola o vendita dell’immobile; il vincolo
appare necessario per la piena salvaguardia
del patrimonio agricolo della Regione; gli
strumenti urbanistici possono ovviamente
disporre un motivato cambio d’uso ma la
signora ..., che ha realizzato di fatto tale
mutamento in violazione dello strumento
urbanistico, non ha alcuna pretesa tutelata
a che il Comune, attraverso il PGT, adegui
la situazione di diritto a quella di fatto
illecitamente realizzata.
---------------
Non appare né illogico né arbitrario che
l’Amministrazione, nel confermare la
vocazione agricola dell’area dell’esponente,
abbia escluso di utilizzare lo strumento
urbanistico quale improprio mezzo per
realizzare una sorta di surrettizia
sanatoria, che avrebbe finito così di fatto
per eliminare l’abuso posto in essere
dall’esponente.
E’ del resto escluso dallo stesso art. 36,
citato dalla ricorrente, che la sola
conformità dell’opera abusiva allo strumento
urbanistico sopravvenuto consenta la
sanatoria dell’abuso, essendo invece
necessaria anche la conformità allo
strumento vigente al momento di esecuzione
dell’opera (c.d. doppia conformità).
La finalità perseguita dal legislatore
lombardo con la l.r. 93/1980 –confermata
negli articoli da 59 a 62 della vigente
legge regionale 12/2005– è quella di
mantenere e conservare le zone agricole o a
destinazione agricola della Regione,
attraverso la limitazione degli usi
residenziali, ammessi soltanto se a servizio
dell’impresa agricola, per impedire la
definitiva ed irrimediabile perdita delle
porzioni territoriali a vocazione rurale (su
tale finalità, si veda TAR Lombardia,
Milano, sez. II, 07.07.2011, n. 1843, oltre
all’importante ordinanza della Corte
Costituzionale n. 167/1995, di declaratoria
della manifesta infondatezza della questione
di legittimità costituzionale degli articoli
2 e 3 della legge regionale 93/1980).
Tale scopo è reso evidente dal particolare
procedimento previsto per gli interventi
edificatori in zona agricola (ora
disciplinato dall’art. 60 della LR 12/2005),
caratterizzato dalla presentazione al Comune
di un impegno al mantenimento della
destinazione, da trascriversi nei pubblici
registri e costituente un vero e proprio
vincolo sull’immobile.
Tale vincolo non può venire meno se non in
caso di variazione urbanistica dell’area
interessata (così l’art. 60 della LR 12/2005
ma anche la pregressa LR 93/1980), essendo
pertanto indifferenti, sul regime del
vincolo, le eventuali vicende personali
dell’imprenditore agricolo o dei suoi aventi
causa.
D’altronde, se così non fosse, la disciplina
regionale sulla conservazione e sul
mantenimento delle aree agricole sarebbe
facilmente elusa, ad esempio attraverso la
cessione dell’immobile dall’imprenditore
agricolo ad un soggetto privo di tale
qualità, oppure mediante la cessazione
dell’attività di impresa agricola.
Non può pertanto configurarsi,
contrariamente a quanto sostenuto
dall’esponente, una sostanziale
assimilazione fra la ordinaria destinazione
abitativa e la residenza a servizio
dell’impresa agricola.
Sul punto preme ancora ribadire –e si
perdoni l’ovvietà– che non è certamente
vietata in senso assoluto la trasformazione
di una zona da agricola a residenziale; nel
caso di specie tuttavia, l’esponente
giustifica la propria pretesa
all’accoglimento della sua osservazione al
PGT, sulla base dell’intervenuto mutamento
di destinazione realizzato in via di fatto,
dopo l’acquisto dell’immobile.
Non pare certo al Collegio che la signora
... possa reputarsi titolata ad esigere un
simile cambio d’uso, visto anche
l’orientamento della giurisprudenza
amministrativa, che riconosce ai Comuni
ampia discrezionalità nelle scelte
urbanistiche –nel caso di specie si è
trattato di confermare la destinazione
agricola già esistente– scelte che
richiedono una specifica motivazione solo in
caso di affidamento qualificato del privato,
rientrando in tale ultima ipotesi le
situazioni di chi ha ottenuto un giudicato
di annullamento di una precedente
destinazione di zona ovvero di un diniego di
titolo edilizio oppure ancora del
silenzio-rifiuto formatosi su una domanda
edilizia (si veda, sul punto, la ancora
fondamentale decisione del Consiglio di
Stato, Adunanza Plenaria, 08.01.1986, n. 1).
Alle situazioni sopra indicate, viene
inoltre equiparata la condizione del privato
che ha stipulato accordi vincolanti con la
Pubblica Amministrazione, quale ad esempio
una convenzione di lottizzazione (cfr. sul
punto, fra le tante, TAR Lombardia, Milano,
sez. II, 24.02.2010, n. 452).
La posizione dell’esponente non rientra in
nessuna di quelle sopra indicate, sicché la
stessa non appare titolare di una
particolare o qualificata posizione di
affidamento nei confronti del Comune.
---------------
Il vincolo di
asservimento della residenza a servizio
dell’impresa agricola non è nella
disponibilità di chi pone in essere l’atto
di impegno, né sussiste decadenza del
vincolo per cessazione dell’attività
agricola o vendita dell’immobile; il vincolo
appare necessario per la piena salvaguardia
del patrimonio agricolo della Regione; gli
strumenti urbanistici possono ovviamente
disporre un motivato cambio d’uso ma la
signora ..., che ha realizzato di fatto tale
mutamento in violazione dello strumento
urbanistico, non ha alcuna pretesa tutelata
a che il Comune, attraverso il PGT, adegui
la situazione di diritto a quella di fatto
illecitamente realizzata.
---------------
Nel sesto
ed ultimo motivo del gravame principale,
viene denunciata la presunta violazione da
parte del Comune dell’art. 36 del DPR
380/2001, in quanto, a detta dell’esponente,
lo strumento urbanistico comunale potrebbe
anche sanare un abuso edilizio.
Il mezzo non può però trovare accoglimento,
in quanto –con specifico riferimento alla
presente fattispecie– non appare né illogico
né arbitrario che l’Amministrazione, nel
confermare la vocazione agricola dell’area
dell’esponente, abbia escluso di utilizzare
lo strumento urbanistico quale improprio
mezzo per realizzare una sorta di
surrettizia sanatoria, che avrebbe finito
così di fatto per eliminare l’abuso posto in
essere dall’esponente.
E’ del resto escluso dallo stesso art. 36,
citato dalla ricorrente, che la sola
conformità dell’opera abusiva allo strumento
urbanistico sopravvenuto consenta la
sanatoria dell’abuso, essendo invece
necessaria anche la conformità allo
strumento vigente al momento di esecuzione
dell’opera (c.d. doppia conformità).
Infine, in merito alla nota del legale del
Comune dell’08.08.2001 (doc. 1 della
ricorrente in data 01.09.2011), la stessa
non avalla in alcun modo il comportamento
dell’esponente, visto che il difensore
dell’Amministrazione indica chiaramente a
quest’ultima come appaia insuperabile il
vincolo pattizio gravante sulla costruzione
della ricorrente (TAR
Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 22.11.2011 n. 2823 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA:
La lottizzazione negoziale non
concretizza un abuso senza adeguata
istruttoria degli uffici comunali.
E’ stato affermato in giurisprudenza che il
bene giuridico protetto dall’art. 18 L.
47/1985, descrivente le caratteristiche
della lottizzazione abusiva, non è tanto o
solo quello del rispetto della
pianificazione urbanistica, ma soprattutto
quello relativo al controllo effettivo del
territorio da parte del soggetto
pianificatore -gli organi comunali- tenuto a
reprimere qualsiasi intervento lottizzatorio
che non sia stato previamente assentito: al
riguardo si è precisato che è ravvisabile
l’ipotesi di lottizzazione abusiva solamente
quando sussistono elementi precisi ed
univoci da cui possa ricavarsi
oggettivamente l’intento di asservire
all'edificazione un’area non urbanizzata
(Cons. Stato, IV, 11.10.2006 n. 6060; id.,
V, 13.09.1991 n. 1157).
Ne consegue che l’accertamento del
presupposto di cui all’art. 18 L. 47/1985
non può essere affidato al mero riscontro
del frazionamento di un terreno collegato a
plurime vendite di tale terreno, ma che vi è
anche la necessità di costruire un quadro
indiziario dal quale sia possibile desumere
in maniera non equivoca “la destinazione
a scopo edificatorio” degli atti posti
in essere dalle parti (Cons. Stato, V,
20.10.2004 n. 6810), giustificandosi
l’adozione del provvedimento repressivo
anche a fronte della dimostrazione della
sussistenza di almeno uno degli elementi
precisi e univoci sopraddetti (Cons. Stato,
V, 14.05.2004 n. 3136).
La cosiddetta lottizzazione negoziale, ossia
il tipo di lottizzazione corrente nel caso
di specie e derivante non tanto dalla
realizzazione di alcune opere, ma dal
frazionamento contrattuale di un vasto
terreno con la creazione di lotti
sufficienti per la costruzione di un singolo
edificio, può concretizzare in astratto già
di per sé il fenomeno della lottizzazione
abusiva, purché si possa desumere in modo
non equivoco dalle dimensioni e dal numero
dei lotti, dalla natura del terreno,
dall’eventuale revisione di opere di
urbanizzazione, la loro destinazione a scopo
edificatorio (Con. Stato, IV, 11.09.2006 n.
6060).
Nel caso di specie manca qualsiasi autonoma
valutazione svolta dagli uffici comunali, il
provvedimento nulla descrive circa la
consistenza dei lotti e lo stato dei
terreni, né riferisce alcunché circa la
creazione di opere di urbanizzazione e solo
la memoria difensiva dell’Amministrazione
depositata nell’imminenza dell’odierna
udienza di trattazione riferisce
genericamente dell’attuale esistenza di
recinzioni dei lotti, elemento
oggettivamente del tutto insufficiente, e
dell’esistenza di una strada di collegamento
tra questi, mentre non è contestato il fatto
che tuttora il terreno sia adibito a
frutteto e vigneto.
In conclusione si deve affermare che il
Comune di Napoli non ha correttamente
espresso i suoi poteri conformemente a
quanto prescritto dall’art. 18, c. 7, L.
47/1985, così come all’epoca vigente.
---------------
L’individuazione della lottizzazione abusiva
presuppone l’accertamento di una serie di
elementi, accertamento che implica indagini
complesse che impongono la necessaria
partecipazione dei soggetti interessati al
relativo procedimento, per cui deve essere
consentita la proposizione delle proprie
osservazioni e deduzioni (Cons. Stato, V,
11.05.2004 n. 2953; id., 29.01.2004 n. 296;
id., 23.02.2000 n. 948): ciò anche se il
provvedimento di cui all’art. 18 L. 47/1985
ha un’indubbia natura vincolata, visto che
lo stesso deve essere preceduto
dall’accertamento della realtà materiale ed
è destinato ad incidere, con funzioni di
qualificazione giuridica di tale realtà
materiale che potranno poi portare a
successivi provvedimenti di acquisizione
delle aree lottizzate (Consiglio di Stato,
Sez. V,
sentenza 21.11.2011 n. 6128 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
I pareri legali o le relazioni
legali riservate sono suscettibili di
accesso soltanto se posti alla base della
motivazione.
Sul punto, preme ricordare che per la
giurisprudenza amministrativa, i pareri
legali o le relazioni legali riservate sono
suscettibili di accesso soltanto se posti
alla base del provvedimento finale,
costituendone parte integrante della
motivazione; in difetto sono sottratti
all’accesso (così, Consiglio di Stato, sez.
V, 23.06.2011, n. 3812 e 15.04.2004, n.
2163, TAR Sicilia, Catania, sez. IV,
16.03.2011, n. 658 e TAR Campania, Napoli,
16.05.2007, n. 5264) (TAR Lombardia-Milano,
Sez. II,
sentenza 18.11.2011 n. 2788 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Oneri di urbanizzazione, rileva
la tipologia dell'attività che vi verrà
svolta.
Ai fini della determinazione
degli oneri di urbanizzazione rileva non già
l'immobile in sé considerato, bensì la
tipologia economica dell'attività che in
esso viene svolta in quanto quest'ultima
consente di spiegare la qualità dello
scambio di utilità e vantaggi che si
realizza tra la collettività locale e il
concessionario che realizza la
ristrutturazione edilizia dell'immobile, al
cui interno si svolgerà una determinata
attività economica. Dal punto di vista della
determinazione degli oneri di
urbanizzazione, infatti, ciò che rileva non
è l' immobile in sé considerato, ma la
tipologia economica dell'attività che in
esso viene svolta.
È la tipologia economica dell'attività
svolta che consente di spiegare la qualità
dello scambio di utilità e vantaggi che si
realizza tra la collettività locale, di cui
è espressione politico-amministrativa il
Comune, e il concessionario che realizza la
ristrutturazione edilizia dell'immobile, al
cui interno si svolgerà una determinata
attività economica.
Per determinare i parametri da applicare è
logico cercare di analizzare quale è la
caratterizzazione complessiva e prevalente
dell'attività economica che viene condotta
nell'immobile.
Ed è del tutto normale nell'assetto
organizzativo di attività di produzione
industriale che nei complessi immobiliari
con tale vocazione siano inseriti uffici,
con compiti di direzione, progettazione,
controllo contabile e finanziario, ecc., che
svolgono funzioni chiaramente strumentali e
funzionali rispetto alla produzione del bene
industriale destinato poi alla fase di
commercializzazione.
Il giudice di primo grado ha dunque
correttamente cercato di verificare, su basi
analitiche certe, quale fosse in concreto la
tipologia dell'attività economica svolta
nell'immobile in questione.
La relazione tecnica redatta dal
progettista, ha fornito sufficienti elementi
per far ritenere che nella porzione
immobiliare in questione si svolge in via
prevalente un'attività direttamente e
strumentalmente collegata al ciclo
produttivo, trattandosi di spazi destinati
ad "uffici dei responsabili di tale
attività.... strettamente connessi con
l'attività di ricerca ed integrati
all'interno del complesso produttivo"
(commento tratto da www.ispoa.it -
Consiglio
di Stato, Sez. V,
sentenza 11.11.2011 n. 5974 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Istanze di condono edilizio, per
la PA termini ''perentori''. Necessario il
rispetto dei principi di efficienza e
celerità.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la
Calabria ha stigmatizzato l'importanza e
l'essenzialità che i provvedimenti della
Pubblica Amministrazione nei confronti dei
privati istanti vengano assunti nel termine
stabilito per legge e, comunque, in tempi
ragionevoli e congrui, pena l'illegittimità
degli atti assunti. A conforto quanto
contenuto nell'art. 97 della Costituzione
Italiana in ordine a trasparenza ed
efficienza della Pubblica Amministrazione.
Nel caso di specie, l’istanza di condono
-come emerge dallo stesso provvedimento
impugnato- è stata presentata in data
28.01.1986, mentre il rigetto della stessa è
stato assunto dal Comune in data 06.04.1999
e notificato al ricorrente il 24.04.1999.
Il rigetto della domanda di condono è
fondato esclusivamente sulla presunta data
di realizzazione dell’immobile abusivo,
successiva al primo ottobre 1983.
Risulta, quindi, del tutto evidente che, ove
il ricorrente fosse stato posto nella
condizione di conoscere in tempo utile (e
ragionevole) la motivazione posta a base del
diniego dall’Amministrazione Comunale, ben
avrebbe potuto utilizzare –in presenza dei
relativi presupposti- la sopravvenuta
normativa di cui alla legge 23.12.1994, n.
724, disciplina che avrebbe permesso di
superare la questione relativa alla data di
ultimazione dell’opera abusiva, questione
che è stata indicata dal Comune quale unico
motivo posto a base del rigetto contestato.
Al contrario, il Comune intimato,
provvedendo sull’istanza di condono dopo
oltre 13 anni dalla sua presentazione, ha di
fatto precluso al ricorrente la possibilità
di valersi della ricordata sopravvenuta
disciplina.
Simili comportamenti contrastano con i
principi di efficienza e trasparenza che
devono improntare l'attività amministrativa
e che sono garantiti dall'art. 97 della
Costituzione.
Per queste ragioni e restando assorbita ogni
altra questione, il provvedimento impugnato
è illegittimo e deve essere annullato
(commento tratto da www.ipsoa.it - TAR Calabria-Catanzaro, Sez.
I,
sentenza 10.11.2011 n.
1346 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
COMPETENZE PROGETTUALI:
La direzione dei lavori delle
opere stradali è riservata alla categoria
degli ingegneri.
Gli articoli 51 e 52 del R.D. n. 2537/1925
riservano alla comune competenza di
architetti e ingegneri le sole opere di
edilizia civile, mentre rimane riservata
alla competenza generale degli ingegneri la
progettazione di costruzioni stradali, opere
igienico-sanitarie, impianti elettrici,
opere idrauliche, operazioni di estimo,
estrazione di materiali, opere industriali.
Se la progettazione dei lavori è rimessa,
secondo l’ordine delle competenze
professionali di cui si è detto, alla
categoria degli ingegneri anche la direzione
dei lavori deve essere affidata per quelle
opere alla stessa categoria.
Con il ricorso in epigrafe, l’Ordine degli
Ingegneri della Provincia di Parma si duole
dell’asserita illegittimità della
determinazione dirigenziale, con la quale la
funzione di direttore lavori, nell’ambito
delle opere di adeguamento della strada
provinciale SP12, comprendente la rettifica
del tracciato e il suo ampliamento (pari a €
2.054.638,46), è stata affidata ad un
architetto, il dirigente del settore U.T.C.
Assetto del territorio del Comune di
Fidenza, arch. Gilioli.
...
In particolare, gli articoli 51 e 52 del
R.D. n. 2537/1925, confermato nella sua
piena vigenza e nel suo contenuto dall’art.
1 comma 2 del d.lgs. 129/1992 (di
attuazione, tra l’altro, della direttiva Cee
n. 384/85), riservano alla comune competenza
di architetti e ingegneri le sole opere di
edilizia civile, mentre rimane riservata
alla competenza generale degli ingegneri la
progettazione di costruzioni stradali, opere
igienico-sanitarie, impianti elettrici,
opere idrauliche, operazioni di estimo,
estrazione di materiali, opere industriali.
Né può valere l’obiezione per cui, per la
direzione dei lavori delle opere stradali,
varrebbe una diversa regola rispetto a
quella valevole per la progettazione, in
quanto ormai la sede della disciplina della
direzione dei lavori si trova nel “Codice
dei contratti pubblici” (art. 130),
atteso che l’art. 130 del d.lgs. 163/2011
manifesta solo una opzione per quanto
concerne la direzione dei lavori, da
svolgersi preferibilmente all’interno della
stazione appaltante, ma non è norma che
riguarda il riparto di competenze tra
diverse figure professionali, che rimane
invece, regolato dal R.D. n. 2537/1925.
Inoltre, l’art. 148 del d.P.R. 207/2010
(regolamento di esecuzione del d.lgs.
163/2011), sancisce che il direttore dei
lavori cura che i lavori cui è preposto
siano eseguiti a regola d’arte e in
conformità del progetto; sembra pertanto
logico che se la progettazione dei lavori è
rimessa, secondo l’ordine delle competenze
professionali di cui si è detto, alla
categoria degli ingegneri anche la direzione
dei lavori deve essere affidata per quelle
opere alla stessa categoria.
Né può essere accolta la tesi comunale, in
base alla quale la distinzione delle
competenze tra architetti e ingegneri, in
quanto disciplinata da una norma
regolamentare (R.D. n. 2357/1925), sarebbe
modificabile da regolamenti successivi dei
singoli enti locali, e ciò per due ordini di
motivi: in primo luogo, in ragione della
circostanza per cui il citato R.D., pur non
essendo una norma di rango legislativo
primario, è fonte sovraordinata rispetto ai
regolamenti degli enti locali e, in secondo
luogo, in quanto il riparto delle competenze
tra le due figure professionali ivi fissato
è stato cristallizzato, come detto, dal
d.lgs. 129/1992, che agli articoli 1 e 2 ha
attribuito una specifica riserva a favore
degli ingegneri per quanto concerne la
progettazione di opere viarie non connesse
con opere di edilizia civile, qual è
all’evidenza l’opera pubblica in parola (TAR Emilia Romagna-Parma,
sentenza 09.11.2011 n. 389 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI:
È da escludersi la redazione del
DUVRI da parte del committente di un
servizio di trasporto scolastico.
Con il secondo motivo viene fatta rilevare
l’assenza nella lex specialis di gara
del DUVRI e la mancanza dell’indicazione dei
costi per la sicurezza ai sensi dell’art. 86
del d.lgs. 163/2006.
Il mezzo è infondato, in quanto
dall’articolo 3, comma 1, lett. a), della L.
n. 123/2007, il quale modifica l’art. 7,
comma 3, del D.Lgs. n. 16.09.1994 n. 626,
discende che il DUVRI deve essere redatto
solo nei casi in cui esistano
“interferenze”. In esso, dunque, non devono
essere riportati i rischi propri
dell’attività delle singole imprese
appaltatrici o dei singoli lavoratori
autonomi, in quanto trattasi di rischi per i
quali resta immutato l’obbligo
dell’appaltatore di redigere un apposito
documento di valutazione e di provvedere
all’attuazione delle misure necessarie per
ridurre o eliminare al minimo tali rischi.
In assenza di interferenze non occorre
redigere il DUVRI; in tal caso, tuttavia si
ritiene opportuno che nella lex specialis
di gara sia comunque indicato che l’importo
degli oneri della sicurezza è pari a zero.
Si noti, inoltre, che la circolare
interpretativa del Ministero del Lavoro e
della Previdenza sociale n. 24 del
14.11.2007 ha escluso dalla valutazione dei
rischi da interferenza le attività che, pur
essendo parte del ciclo produttivo
aziendale, si svolgano in luoghi sottratti
alla giuridica disponibilità del committente
e, quindi, alla possibilità per la stazione
appaltante di svolgere nei medesimi luoghi
gli adempimenti di legge, per cui nel caso
di specie, trattandosi di un servizio di
trasporto scolastico in cui il luogo fisico
dell’espletamento del servizio è costituito
da mezzi di trasporto messi a disposizione
dallo stesso appaltatore, la redazione del
DUVRI da parte del committente è da
escludersi.
Per quanto concerne la mancata indicazione
dei costi della sicurezza, sono
quantificabili come costi della sicurezza da
interferenze le misure, in quanto
compatibili, di cui all’art. 7 comma 1 del
d.P.R. n. 222/2003, previste nel DUVRI.
Il concetto di “costo della sicurezza”
è quindi strettamente interconnesso con il
DUVRI; per cui si ritiene che, ove non sia
obbligatorio elaborare questo documento, si
possa prescindere dalla indicazione dei
costi della sicurezza in sede di
documentazione di gara predisposta dalla
stazione appaltante (TAR Emilia Romagna-Parma,
sentenza 09.11.2011 n. 388 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il comma 6-ter dell'art. 19 della
Legge n. 241/1990 potrebbe mettere in
discussione le conclusioni dell'Adunanza
Plenaria sull’impugnazione della DIA.
Dapprima risulta necessario qualificare
correttamente l’azione proposta dal
ricorrente, che nel proprio atto
introduttivo chiede, nel merito ed in via
principale, di <<dichiarare la nullità
della D.I.A.>>, attribuendo così alla
propria impugnativa giurisdizionale la
qualificazione di azione di nullità, azione
prevista dall’art. 31, ultimo comma, del
D.Lgs. 104/2010 (“Codice del processo
amministrativo”).
Tuttavia, tenuto conto che, per generale
principio processuale, la qualificazione
dell’azione spetta al giudice, che può anche
disporne la conversione (cfr. l’espressa
previsione dell’art. 32, comma 2°, del
D.Lgs. 104/2010 ed in giurisprudenza, fra le
tante, Consiglio di Stato, sez. III,
11.03.2011, n. 1570); nel caso di specie
l’azione proposta non appare rivolta a
denunciare la presunta nullità delle DIA in
epigrafe, ma semmai la loro illegittimità,
configurandosi così come azione di
annullamento, secondo l’art. 29 del D.Lgs.
104/2010 (si prescinde, in sede di
qualificazione dell’azione, da ogni
questione sulla impugnabilità diretta della
DIA, che sarà invece affrontata in seguito).
Infatti, i presunti vizi delle DIA, che
emergono dalla lettura del ricorso, sono
senza ombra di dubbio riconducibili a vizi
di legittimità dell’atto amministrativo,
quali la violazione di legge (in specie,
dell’art. 27 della legge regionale 12/2005
in merito alla corretta qualificazione
dell’intervento edilizio, oltre che del
decreto ministeriale 02.04.1968 sulle
distanze minime ed inderogabili tra pareti
finestrate dei fabbricati), oppure l’eccesso
di potere per carenza dei presupposti o
violazione delle norme tecniche di
attuazione.
Al contrario, anche da una attenta lettura
dell’atto introduttivo del giudizio, non
emerge la denuncia di motivi di nullità
dell’atto amministrativo, come previsti
dalla legge (mancanza di elementi
essenziali, difetto assoluto di
attribuzione, violazione o elusione del
giudicato, ai sensi dell’art. 21-septies
della legge 241/1990), visto che il rilascio
di titoli edilizi in violazione dei
presupposti di legge o delle norme sulle
distanze dà luogo tutt’al più ad un’ipotesi
di cattivo esercizio del potere
amministrativo, ma non certo ad un difetto
assoluto di attribuzione del potere
medesimo.
Di conseguenza, l’azione ivi proposta deve
essere correttamente qualificata come azione
di annullamento, avente ad oggetto le due
DIA indicate in epigrafe e soggetta di
conseguenza all’ordinario termine di
decadenza di sessanta giorni di cui al già
citato art. 29 del codice del processo
amministrativo.
Una ulteriore e preliminare riflessione deve
essere dedicata, seppure per sommi capi,
alla questione del regime di impugnazione
giurisdizionale della denuncia di inizio
attività.
Sul punto, è noto il complesso dibattito
giurisprudenziale, che ha visto la
formazione di orientamenti anche
radicalmente differenti fra i giudici
amministrativi e che ha indotto il Consiglio
di Stato, sez. IV, con ordinanza 05.01.2011,
n. 14, a rimettere la questione all’esame
dell’Adunanza Plenaria.
In particolare, per la Sezione IV, si
possono individuare tre tesi sulla natura
giuridica della DIA e conseguentemente sul
suo regime di impugnazione:
a) titolo abilitativo implicito, impugnabile
entro l’ordinario termine di decadenza (cfr.
Consiglio di Stato, n. 72/2010);
b) atto del privato, suscettibile di
autonoma azione di accertamento per la
declaratoria di insussistenza dei
presupposti (cfr. Consiglio di Stato, sez.
VI, n. 717/2009);
c) atto del privato rispetto al quale il
terzo può solo attivare i poteri repressivi
e di controllo dell’Amministrazione ed
impugnare l’eventuale diniego ovvero il
silenzio rifiuto della P.A.
A tale ordinanza di remissione, ha fatto
seguito la sentenza dell’Adunanza Plenaria
29.07.2011, n. 15, la quale ha dapprima
escluso che la DIA (al pari della SCIA,
segnalazione certificata di inizio attività,
introdotta nel nostro ordinamento con legge
n. 122/2010), costituisca un provvedimento
amministrativo a formazione tacita,
configurando semmai un atto privato volto a
comunicare l’intenzione di intraprendere
un’attività.
Quanto alla tutela giurisdizionale,
l’Adunanza Plenaria ha delineato un
complesso meccanismo, che vede la
combinazione di un’azione di annullamento di
un silenzio significativo negativo con
un’azione di condanna pubblicistica (c.d.
azione di adempimento), con un’ampia
possibilità di ricorrere a misure cautelari,
anche ante causam.
Alla decisione del Supremo Consesso
Amministrativo, ha fatto però seguito un
intervento legislativo, che ha –almeno
stando ai primi commenti– messo in
discussione le conclusioni dell’Adunanza
Plenaria: infatti, con decreto legge
138/2011 convertito con legge 148/2011, è
stato aggiunto il comma 6-ter all’art. 19
della legge 241/1990, il quale, dopo aver
premesso che la DIA e la SCIA non
costituiscono provvedimenti taciti
direttamente impugnabili, prevede che gli
interessati possano sollecitare l’esercizio
delle verifiche spettanti
all’Amministrazione e, in caso di inerzia,
esperire esclusivamente l’azione di cui
all’art. 31, commi da 1 a 3, del D.Lgs.
104/2010, vale a dire l’azione contro il
silenzio della P.A.
Ciò premesso, reputa il Collegio che la
citata decisione dell’Adunanza Plenaria, al
pari del resto del successivo intervento
legislativo, non possano trovare diretta ed
immediata applicazione nella presente
controversia, introdotta con ricorso
notificato il 24.12.2010, addirittura prima
della rimessione della questione
all’Adunanza Plenaria; per cui l’azione di
impugnazione diretta delle DIA, proposta col
presente ricorso, non può essere ritenuta di
per sé inammissibile, salva la verifica
della tempestività dell’azione stessa,
verifica da condursi alla luce della
giurisprudenza da tempo formatasi e relativa
alla decorrenza del termine perentorio di
impugnazione di sessanta giorni, con
riguardo specifico ai titoli edilizi
(concessione edilizia, ora permesso di
costruire e dichiarazione o denuncia di
inizio attività).
E’ opinione comune della giurisprudenza che
il termine di decadenza per impugnare il
permesso di costruire –ma tale tesi vale
anche per la DIA, in caso di impugnazione
diretta della medesima– decorra, per il
terzo che si reputa leso dall’intervento
edilizio –perlomeno in casi come quello
attuale, dove è contestata l’inosservanza
delle distanze– dal completamento della
costruzione nel suo assetto planivolumetrico
definitivo, o come si suole dire al “rustico”,
cioè dal momento in cui l’interessato è in
grado di percepire la lesione alla propria
posizione giuridica, visto lo stato di
avanzamento e di realizzazione
dell’edificazione (cfr., fra le tante,
Consiglio di Stato, sez. IV, 05.01.2011, n.
18; sez. VI, 10.12.2010, n. 8705 e TAR
Lombardia, Milano, sez. II, 10.12.2010, n.
7511; 08.02.2011, n. 386 e 05.07.2011, n.
1762, con la giurisprudenza ivi richiamata;
si ricordi ancora che l’ordinanza sopra
citata del Consiglio di Stato n. 14/2011 di
rimessione all’Adunanza Plenaria prevede,
qualora si ammetta il carattere
provvedimentale della DIA, la necessità
della sua impugnazione nell’ordinario
termine decadenziale, mentre la citata
sentenza n. 15/2011 dell’Adunanza Plenaria,
in ordine al termine di impugnazione del
titolo edilizio, afferma anch’essa che il
termine suddetto <<inizia a decorrere
quando la costruzione realizzata rivela in
modo certo ed univoco le essenziali
caratteristiche dell'opera e l'eventuale non
conformità della stessa al titolo o alla
disciplina urbanistica>>).
Di conseguenza, nel caso di specie il
computo del termine decadenziale per
l’impugnativa diretta delle DIA in epigrafe
non può che decorrere dal momento in cui
l’esponente aveva piena conoscenza degli
abusi a suo dire commessi dai
controinteressati nel corso dell’attività
costruttiva (TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 04.11.2011 n. 2640 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
L'ordinanza sindacale contro
fenomeni di inquinamento acustico può essere
adottata anche a seguito dell'esposto di una
sola famiglia.
Col ricorso in commento una società
proprietaria di una centrale elettrica aveva
chiesto al Tribunale amministrativo di
Torino di annullare un’ordinanza
contingibile ed urgente con la quale il
Sindaco del Comune in cui questa è ubicata
le aveva ordinato di condurre le attività di
produzione elettrica in pertinenza di un
Condominio in modo da rispettare i limiti di
immissione sonora differenziali consentiti
dalla normativa vigente.
La società
contestava il provvedimento, nella parte in
cui il Sindaco avrebbe dichiarato di
provvedere in via contingibile ed urgente “a
prescindere dalla sussistenza e
dall’attribuzione di responsabilità in
merito alle violazioni di natura
amministrativa” e, soprattutto, non avrebbe
considerato la preesistenza della centrale
idroelettrica rispetto all’edificazione del
Condominio.
Ma tali argomentazioni non sono
state condivise dai giudici del capoluogo
sabaudo: da un lato, infatti, gli stessi
evidenziano che, secondo giurisprudenza “in
tema di inquinamento acustico, l'ordinanza
prevista dall'art. 9, comma 1, l. 26.10.1995 n. 447, non ha, a termini di legge,
natura sanzionatoria, ma ha il diverso e
tipizzato scopo di contenere o abbattere le
emissioni sonore, sicché non può
assoggettarsi alla diversa disciplina
regolante, in via generale, le sanzioni
amministrative" (TAR Abruzzo L'Aquila,
sez. I, 10.12.2010, n. 840), dall’altro,
proprio per la sua natura di provvedimento
volto a tutelare la salute pubblica, non può
essere influenzato nella sua validità da
fattori estranei a tale interesse primario
quali l’omesso deposito, in sede di
richiesta della concessione edilizia da
parte della società costruttrice del
Condominio della “valutazione di impatto
acustico” o la pretesa mancanza di agibilità
degli appartamenti nei quali si è
riscontrato il superamento dei limiti di
emissioni sonore – circostanze che avrebbero
potuto essere fatte valere in sede di
impugnativa del titolo edilizio per la
realizzazione dell’immobile, situato
comunque in classe acustica II e, dunque, in
un’area destinata ad uso prevalentemente
residenziale (commento tratto da
www.documentazione.ancitel.it - TAR
Piemonte, Sez. II,
sentenza
27.10.2011 n.
1127 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Risarcimento d'obbligo per i
ritardi delle Pa. Il tempo elemento
importante per chi investe.
Tutte le Pa devono risarcire i
danni che provocano ai privati per i ritardi
con cui rispondono alle loro richieste. Alla
base di questa censura c'è la considerazione
che questi comportamenti risultano lesivi
della posizione giuridica di un altro
soggetto.
Possono essere così sintetizzate le
principali indicazioni contenute nella
sentenza 24.10.2011 n.
684 del Consiglio di giustizia
amministrativa della Regione Sicilia, che ha
confermato le indicazioni dettate in primo
grado dal Tar della stessa regione, sede di
Catania. Ricordiamo che il Consiglio di
giustizia amministrativa nel l'Isola
sostituisce il Consiglio di Stato quale sede
di riesame dei pronunciamenti di primo grado
della magistratura amministrativa.
Nel caso specifico oggetto della sentenza un
piccolo comune ha ritardato la conclusione
del procedimento edilizio riguardante
un'azienda che asserisce di avere subito la
perdita del finanziamento per la mancata
conclusione dei lavori entro i termini
prefissati.
La sentenza in premessa sviluppa le seguenti
tre considerazioni: in primo luogo non si
può negare che «i tempi di approvazione
della lottizzazione di rilascio della
relativa concessione abbiano subito alcuni
ingiustificati allungamenti stimabili in un
lasso di tempo superiore all'anno». Quindi,
siamo in presenza di un dato oggettivo e che
è marcato dalla semplice analisi dei fatti.
In secondo luogo, non si può accettare «il
tentativo della difesa dell'Amministrazione
di addossare al comune la responsabilità per
il superamento del limite di tempo fissato
per la conclusione del procedimento».
Conclusione che viene supportata dalla
seguente motivazione: il privato non si è
attivato presso la Regione per la nomina di
un commissario ad acta in sostituzione del
comune inadempiente. La sentenza ricorda che
questa motivazione non è convincente e nel
caso era impossibile: abbiamo avuto infatti
la «sommatoria di singoli ritardi, inerzie e
rallentamenti, che hanno costellato nel
corso del quadriennio ogni singola fase endoprocedimentale e hanno avuto l'effetto
complessivo di allungare oltre misura i
tempi di adozione».
In terzo luogo, la sentenza chiarisce che
«anche il tempo è un bene della vita e la
giurisprudenza ha riconosciuto che il
ritardo nella conclusione di un qualunque
procedimento è sempre un costo, dal momento
che il fattore tempo costituisce una
essenziale variabile nella predisposizione e
nell'attuazione di piani finanziari relativi
a qualsiasi intervento, condizionandone la
relativa convenienza economica. In questa
prospettiva ogni incertezza sui tempi di
realizzazione di un investimento si traduce
nell'aumento del cosiddetto rischio
amministrativo e, quindi, in maggiori costi,
attesa l'immanente dimensione diacronica di
ogni operazione di investimento e di
finanziamenti».
La sentenza ci dice infine che «la
certezza che deve sussistere per rendere
risaricibile il danno futuro non è la stessa
di quella che caratterizza il danno presente».
Nella quantificazione il Consiglio di
giustizia amministrativa si limita a
riconoscere solamente i danni connessi alla
revoca del finanziamento, stabilendo
peraltro che il risarcimento potrà essere
corrisposto solo dopo la dimostrazione della
concreta restituzione della prima tranche di
contributo concesso, e ciò deve essere «rigorosamente
provato dal creditore» (articolo
Il Sole 24 Ore del 28.11.2011 -
tratto da www.corteconti.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Per gli immobili vincolati stop ai lavori
motivato.
Quando un privato avvia un intervento per il
superamento delle barriere architettoniche
in un edificio vincolato, il diniego della
Soprintendenza deve sempre essere motivato.
È quanto affermato dai giudici
amministrativi, e in particolare da due
recenti pronunce dei Tar Lazio e Campania.
In Italia gli immobili di proprietà privata
assoggettati a vincolo storico-artistico
sono molto diffusi, e un problema che si
pone frequentemente è l'eliminazione delle
barriere architettoniche, qualora edifici di
questo tipo siano occupati o anche solo
frequentati da soggetti disabili. Il tema è
affrontato con la legge 13/1989, in parte
trasfusa nel Testo unico dell'edilizia (Dpr
380/2011), e con il Dm 236/1989.
La disciplina legislativa e regolamentare
riguarda sia la costruzione di nuovi
edifici, sia l'esecuzione di opere su quelli
esistenti, e tende a garantire idonee
condizioni di accesso e di fruizione da
parte dei soggetti che versano in situazione
di minorazione fisica, anche in deroga alle
norme civilistiche sul condominio. In
particolare, l'articolo 2 del Dm qualifica
come condizione di "accessibilità"
dell'edificio «la possibilità anche per le
persone con ridotta e impedita capacità
motoria e sensoriale di raggiungere
l'edificio e le sue singole unità
immobiliari e ambientali, di entrarvi
agevolmente e di fruirne spazi e
attrezzature in condizioni di adeguata
sicurezza e autonomia».
Il diritto del portatore di handicap a
svolgere una normale vita di relazione, così
come delineato dal legislatore, deve essere
tendenzialmente garantito anche nei casi in
cui l'immobile sia stato dichiarato di
particolare interesse paesaggistico o
storico-artistico. In questi casi, ferma
restando la necessità di ottenere la
prescritta autorizzazione ai sensi degli
articoli 21 e 146 del Dlgs 42/2004 prima di
dar corso agli interventi, gli articoli 4 e
5 della legge 13/1989 contengono specifiche
previsioni agevolative.
Innanzitutto, è prevista la formazione del
silenzio-assenso nel caso in cui le
amministrazioni competenti alla tutela del
vincolo (Regioni o soprintendenze), non si
pronuncino nel termine assegnato.
In secondo luogo, il diniego all'esecuzione
dei lavori volti al superamento o
all'eliminazione delle barriere
architettoniche potrà essere opposto «solo
nei casi in cui non sia possibile realizzare
le opere senza un serio pregiudizio del bene
tutelato».
Infine, l'eventuale diniego dovrà essere
necessariamente motivato «con la
specificazione della natura e della serietà
del pregiudizio, della sua rilevanza in
rapporto al complesso in cui l'opera si
colloca e con riferimento a tutte le
alternative eventualmente prospettate
dall'interessato».
La problematica è stata affrontata dalla
giurisprudenza soprattutto con riferimento
all'installazione di rampe e ascensori e due
recenti pronunce del Tar Campania (sede
Napoli, Sezione IV,
sentenza 15.09.2011 n.
4402) e del Tar Lazio (sede Roma, Sezione II-quater,
sentenza 28.09.2011 n. 7597)
confermano un orientamento interpretativo
ormai costante del richiamato quadro
normativo, secondo cui, «sebbene dal testo e
dalla ratio della legge 13/1989 non possa
desumersi la vigenza di un principio di
superabilità e derogabilità assoluta e
automatica dei vincoli posti per finalità di
tutela storico-culturale o
paesistico-ambientale (si veda, Tar Umbria,
17.01.2000, n. 17), deve essere
nondimeno ribadito che nel provvedimento con
il quale la Soprintendenza esprima diniego
ai fini della realizzazione di un'opera
preordinata al superamento delle barriere
architettoniche debbano essere compiutamente
esternate le reali e dimostrabili ragioni di
pregiudizio che il progettato intervento è
suscettibile di arrecare all'interesse di
tutela del quale l'Amministrazione è
portatrice».
Le due pronunce evidenziano come il
legislatore abbia operato un bilanciamento
degli interessi in gioco, entrambi di
rilievo costituzionale, che riguardano, da
una parte, la tutela del patrimonio storico
e artistico nazionale (articolo 9 della
Costituzione) e, dall'altra, la salvaguardia
dei diritti alla salute e al normale
svolgimento della vita di relazione e
socializzazione dei soggetti in minorate
condizioni fisiche (articoli 3 e 32 della
Costituzione), dando prevalenza a questi
ultimi e ammettendo il diniego
dell'autorizzazione nei soli casi di
accertato e motivato "serio pregiudizio" del
bene vincolato (si veda Tar Lazio-Roma,
Sezione II, 15.02.2002 n.1061 e 13.05.2000, n. 3974). In entrambi i casi le
sentenze hanno ritenuto legittimo il diniego
di autorizzazione da parte della
soprintendenza, che risultava debitamente
motivato in ragione «della natura e della
serietà del pregiudizio, della sua rilevanza
in rapporto al complesso in cui l'opera si
colloca e con riferimento a tutte le
alternative eventualmente prospettate
dall'interessato».
---------------
L'attività è
libera se non è esterna.
La legge contiene una definizione molto
precisa di «barriere architettoniche».
L'articolo 2 del Dm 236/1989 le definisce
come: gli ostacoli fisici che sono fonte
di disagio per la mobilità di chiunque e in
particolare di coloro che, per qualsiasi
causa, hanno una capacità motoria ridotta o
impedita in forma permanente o temporanea;
gli ostacoli che limitano o impediscono a
chiunque la comoda e sicura utilizzazione di
parti, attrezzature o componenti; la
mancanza di accorgimenti e segnalazioni che
permettono l'orientamento e la
riconoscibilità dei luoghi e delle fonti di
pericolo per chiunque e in particolare per i
non vedenti, per gli ipovedenti e per i
sordi.
Quanto ai contenuti progettuali e alle
autorizzazioni necessarie per gli interventi
di superamento delle barriere
architettoniche, l'articolo 77 del testo
unico dell'edilizia prescrive che i progetti
–compresi quelli di ristrutturazione di
interi edifici– debbano essere redatti con
l'osservanza delle prescrizioni tecniche
stabilite con il Dm 236/1989, con questo
contenuto minimo:
- accorgimenti tecnici idonei alla
installazione di meccanismi per l'accesso ai
piani superiori, ivi compresi i servoscala;
- idonei accessi alle parti comuni degli
edifici e alle singole unità immobiliari;
- almeno un accesso in piano, rampe prive di
gradini o idonei mezzi di sollevamento;
- l'installazione, nel caso di immobili con
più di tre livelli fuori terra, di un
ascensore per ogni scala principale
raggiungibile mediante rampe prive di
gradini.
La stessa disposizione, con specifico
riferimento agli «immobili vincolati ai
sensi del Dlgs 490/1999», stabilisce che i
progetti debbano essere preventivamente
«approvati dalla competente autorità di
tutela, a norma degli articoli 23 e 151 del
medesimo decreto legislativo» (ora articoli
21 e 146 del Dlgs 42/2004). L'omessa
pronuncia sull'istanza nei termini previsti
dalla legge 13/1989 (90 giorni per i vincoli
paesaggistici e 120 giorni per quelli
storico-artistici) comporta la formazione
del silenzio-assenso sul progetto.
Gli interventi dovranno comunque essere
realizzati anche nel rispetto delle norme
antisismiche, antincendio e di prevenzione
degli infortuni.
In tema di titoli abilitativi, l'articolo 6,
comma 1, lettera b), del Dpr 380/2001 (nel
testo modificato dalla legge n. 73/2010) ha
ricompreso nell'ambito dell'attività
edilizia libera anche gli interventi volti
all'eliminazione di barriere
architettoniche, ma alla specifica
condizione che gli stessi non comportino la
realizzazione di rampe o di ascensori
esterni, o di manufatti che alterino la
sagoma dell'edificio. In questi casi sarà
quindi necessario il rilascio di un titolo
abilitativo. Inoltre, in base all'articolo
79, le opere possono essere realizzate in
deroga alle norme sulle distanze previste
dai regolamenti edilizi, anche per i cortili
e le chiostrine interni ai fabbricati o
comuni o di uso comune a più fabbricati.
È comunque fatto salvo l'obbligo di rispetto
delle distanze dettate dagli articoli 873 e
907 del Codice civile nell'ipotesi in cui
tra le opere da realizzare e i fabbricati
alieni non sia interposto alcuno spazio o
alcuna area di proprietà o di uso comune (articolo Il Sole 24 Ore del 28.11.2011). |
AGGIORNAMENTO AL 28.11.2011 |
ã |
UTILITA' |
EDILIZIA
PRIVATA: Lombardia,
Necessita aggiornare il costo di costruzione entro il
31.12.2011 il cui effetto sarà efficace a decorrere
dall'01.01.2012: ecco il fac-simile di determinazione (file
1 -
file 2).
ATTENZIONE:
se non si adotta la determinazione di aggiornamento entro la
suddetta scadenza per tutto il 2012 si dovrà
applicare il medesimo costo di costruzione vigente nell'anno
2011 (cfr. art. 48, comma 2, della L.R. n. 12/2005).
ALCUNE CONSIDERAZIONI:
ad oggi, il dato ufficiale ISTAT è quello relativo alla
variazione del mese di maggio 2011, mentre quello di giugno
2011 è ufficioso e, come tale, non utilizzabile (N.B.: per
controllare il dato in tempo reale
cliccare qui).
Pertanto, si consiglia di adottare la
determinazione di aggiornamento del costo di costruzione,
per l'anno 2012, verso la fine di dicembre 2011
poiché è verosimile che entro il 31.12.2011 possa essere
pubblicato dall'ISTAT il dato ufficiale relativo a giugno
2011 ed avere, così, un valore maggiore (rispetto a maggio
2011) della variazione ISTAT per il calcolo del costo di
costruzione (e, quindi, non perdere soldi per le casse
comunali ...).
28.11.2011 - LA SEGRETERIA PTPL |
AMBIENTE-ECOLOGIA -
EDILIZIA PRIVATA: Guide
“passo passo” sul sistema di
tracciabilità dei rifiuti. Vademecum per
produttori, trasportatori, smaltitori e
intermediari.
Il SISTRI (sistema di controllo della
tracciabilità dei rifiuti) ha lo scopo di
permettere l'informatizzazione dell'intera
filiera dei rifiuti speciali a livello
nazionale.
La Legge 148/2011 affida al Ministero
dell’Ambiente il compito di organizzare,
entro il 15.12.2011, in collaborazione con
le associazioni di categoria, test di
funzionamento del SISTRI, al fine di
verificare l’efficacia del funzionamento
delle tecnologie utilizzate nonché la
validità delle procedure individuate.
Il Ministero dell'Ambiente ha pubblicato una
serie di guide “passo passo” per gli
utenti, elaborate in funzione della
tipologia di utente, che rappresentano un
notevole aiuto per le aziende che devono
operare con il nuovo e controverso sistema
di tracciabilità dei rifiuti.
Le guide pubblicate sono le seguenti:
● Guida rapida produttori
● Guida rapida trasportatori
● Guida rapida recuperatori/smaltitori
● Guida rapida intermediari
(24.11.2011 - link a www.acca.it). |
dite la vostra
... RICEVIAMO E PUBBLICHIAMO |
EDILIZIA PRIVATA:
Perché le commissioni paesaggio
non funzionano.
Le commissioni paesaggio sono state
introdotte a seguito dell'evoluzione
normativa sia nazionale (codice urbani) che
regionale (legge 12/2005 e varie dgr) e
hanno sostituito quelli che erano gli
esperti ambientali della legge regionale
18/1997.
L'intento normativo a sua volta discendente
dalla convenzione europea del paesaggio è
teso alla tutela e ... (... continua
cliccando qui)
(24.11.2011 - Parenti Geom.
Christian). |
SINDACATI |
PUBBLICO IMPIEGO:
D.L. 98/2011: col taglio delle
agevolazioni verranno colpite le famiglie
più povere
(CGIL-FP di Bergamo,
nota 25.11.2011). |
GURI - GUUE -
BURL (e anteprima) |
ENTI LOCALI: B.U.R.
Lombardia, supplemento n. 47 del 25.11.2011,
"Modifiche alla legge regionale
02.02.2010, n. 6 (Testo unico delle leggi
regionali in materia di commercio e fiere)"
(L.R.
22.11.2011 n. 19). |
VARI:
B.U.R. Lombardia, supplemento n. 47 del
25.11.2011, "Esposizione del crocifisso
negli immobili regionali" (L.R.
21.11.2011 n. 18). |
ENTI LOCALI - VARI: G.U.
23.11.2011 n. 273, suppl. ord. n. 242, "Ripubblicazione
del testo della legge 12.11.2011, n. 183,
recante: «Disposizioni per la formazione del
bilancio annuale e pluriennale dello Stato
(Legge di stabilità 2012)», corredato delle
relative note". |
ATTI AMMINISTRATIVI:
G.U. 23.11.2011 n. 273 "Disposizioni
correttive ed integrative al decreto
legislativo 02.07.2010, n. 104, recante
codice del processo amministrativo a norma
dell’articolo 44, comma 4, della legge
18.06.2009, n. 69" (D.Lgs.
15.11.2011 n. 195). |
DOTTRINA E
CONTRIBUTI |
APPALTI:
F. Gavioli,
Gare nella P.A., subappalti senza
''cascata'' (link a
www.ipsoa.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
G. Miele,
Nota a sentenza del TAR Campania, Sez. V,
04.11.2011 n. 5114 - Ordinanze
comunali contingibili ed urgenti in materia
di rimozione rifiuti: Obbligo d'istruttoria,
violazione dell’art. 192 D.Lgs. 152/2006 in
relazione all’art. 3 L. 241/1990 – Necessità
di avvio del procedimento ex artt. 7 e 8 L.
241/1990 tranne che in ipotesi di urgenza
qualificata – Principio di specialità
dell'art. 14 C.d.S.: attività esigibili da
parte di ANAS ai sensi del combinato
disposto dei commi 1 e 3 dell’art. 14 del
Codice della Strada (link a
www.ambientediritto.it). |
CORTE DEI
CONTI |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO:
Limitazione delle spese di formazione.
La Corte dei Conti Sez. Reg.le Molise, con
parere 17.11.2011 n. 113,
ricostruito il quadro normativo e pattizio
in tema di formazione ed aggiornamento
professionale nel pubblico impiego, formula
osservazioni di rilevante significato;
successivamente, esamina un aspetto
particolare e, con specifico riferimento alla
limitazione posta dall'art. 6, comma 13, del
D.L. 78/2010 (conv. in L. 122/2010),
evidenzia:
"... la limitazione della spesa non può
risolversi in un impedimento alla
programmazione di fabbisogni formativi.
Affermata quindi la possibilità e la
necessità della previsione, la problematica
proposta con il primo quesito si sposta
esclusivamente sulla fissazione di un
parametro di riferimento cui rapportare la
riduzione nel caso in cui nel 2009
l'Amministrazione procedente -erroneamente- non abbia sostenuto spese di tale natura.
Al riguardo la Sezione ritiene che l'ente
possa fare riferimento all'ultimo
stanziamento utile pregresso."
La finale precisazione così recita:
"Inoltre è bene precisare che l'obbligo
di riduzione in parola non incide sulle
singole voci di spesa, ma sulle spese
riconducibili ad attività esclusivamente di
formazione che, a decorrere dal 2011 non
devono essere superiori al 50% di quelle
complessivamente sostenute nel 2009. Si
inducono in tal guisa le amministrazioni ad
individuare le attività di formazione
effettivamente vantaggiose, per destinare
esclusivamente ad esse, nei limiti di spesa
imposti, le risorse disponibili (cfr. Sez.
Reg. Contr. Piemonte n. 55/2011" (tratto da www.publika.it). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Progressioni orizzontali anno 2010.
La Corte dei Conti Sez. Reg.Le Veneto, con
parere 16.11.2011 n. 393,
conferma l'orientamento già assunto dalle
Sezioni Lombardia (69/2011) e Friuli Venezia
Giulia (28/2011) secondo il quale:
"... ai sensi delle disposizioni di cui all'art.
9, comma 21, del D.L. 31.05.2010 n. 122
(D.L. 78/2010 conv. in L. 122/2010), le
amministrazioni locali non possono dar luogo
nell'anno in corso a progressioni
orizzontali, con effetti economici, a
decorrere dall'01.01.2010, a seguito di
accordi decentrati stipulati nell'anno 2011
o in presenza di una mera preintesa a detti
accordi".
Aggiunge:
"Appare necessario evidenziare che
l'approvazione di progressioni orizzontali
con effetti economici o il riconoscimento di
trattamenti retributivi accessori, che
determinano effetti finanziari sui bilanci
degli enti, in mancanza di puntuali accordi
(da stipularsi in sede di contrattazione
decentrata in epoca anteriore al periodo di
riferimento dell'accordo e non 'in
sanatoria') con i quali siano stati
determinati ex ante le modalità di
esecuzione delle prestazioni accessorie o i
presupposti per il conseguimento delle
progressioni, potrebbero determinare
responsabilità erariale a carico del
soggetto che ha formalmente autorizzato la
liquidazione delle relative somme (per
giurisprudenza consolidata si veda, da
ultimo, Sezione Giurisdizionale Campania -
sentenza 1808/2011)" (tratto da www.publika.it). |
APPALTI SERVIZI - ENTI LOCALI:
Il termine legale per le
dismissioni delle partecipazioni contra
legem ex art. 14, c. 32, del d.l. n.
78/2010, per i comuni con una popolazione
compresa tra 30.000 e 50.000 abitanti è il
31.12.2013.
Il vigente quadro normativo ex art. 14, c.
32, del d.l. n. 78/2010 può essere
ricostruito nei seguenti termini: fermo
quanto previsto dall'articolo 3, commi 27,
28 e 29 della l. 24.12.2007, n. 244, i
comuni con popolazione inferiore a 30.000
abitanti non possono costituire società.
Entro il 31.12.2012 i comuni mettono in
liquidazione le società già costituite alla
data di entrata in vigore del decreto,
ovvero ne cedono le partecipazioni, a meno
che le società già costituite:
a) abbiano, al 31.12.2012, il bilancio in
utile negli ultimi tre esercizi;
b) non abbiano subito, nei precedenti
esercizi, riduzioni di capitale conseguenti
a perdite di bilancio;
c) non abbiano subito, nei precedenti
esercizi, perdite di bilancio in conseguenza
delle quali il comune sia stato gravato
dell'obbligo di procedere al ripiano delle
perdite medesime.
Le disposizioni di cui al comma 32 non si
applicano alle società, con partecipazione
paritaria ovvero con partecipazione
proporzionale al numero degli abitanti,
costituite da più comuni la cui popolazione
complessiva superi i 30.000 abitanti; i
comuni con popolazione compresa tra 30.000 e
50.000 abitanti possono detenere la
partecipazione di una sola società; entro il
31.12.2013 i predetti comuni mettono in
liquidazione le altre società già costituite
(Corte dei Conti, sez. regionale di
controllo per la Regione Lombardia,
pareri 15.11.2011 n.
602 e
n. 603
- massima tratta da
www.dirittodeiservizipubblici.it).
---------------
Per un approfondimento si
legga anche:
Nota sul parere della Corte e dei Conti,
sezione Lombardia n. 602/2011/PAR del
15/11/2011 relativo al termine per le
dismissioni societarie dei Comuni con
popolazione compresa fra i 30.000 ed i
50.000 abitanti (ANCI,
nota 18.11.2011). |
ENTI LOCALI:
Incarichi, è corsa contro il
tempo.
Contratti a termine e co.co.co. con meno
paletti fino al 2011. La legge di stabilità
prevede che dall'anno prossimo si applichi
il limite del 50% della spesa 2009.
Molti comuni e province stanno forzando i
tempi per effettuare assunzioni a tempo
determinato e conferire incarichi di
collaborazione coordinata e continuativa
entro la fine del 2011. In questo scorcio di
tempo, infatti, non vi sono specifici limiti
dettati nel ricorso a questi istituti,
limiti che la legge di stabilità introduce
per tutti gli enti locali dal prossimo 01.014.2012, ma valgono solamente le
limitazioni di carattere generale previste
in materia di assunzioni e di spesa del
personale.
I commi 102 e 103 dell'articolo 4 della
legge n. 183/2011, cd di stabilità 2012,
stabiliscono innanzitutto che il riferimento
al tetto del 20% della spesa del personale
cessato nell'anno precedente come soglia
massima della spesa per le assunzioni negli
enti soggetti al patto di stabilità, deve
essere riferito esclusivamente a quelle a
tempo indeterminato.
E ancora si dispone l'applicazione agli enti
locali dello stesso tetto previsto per le
assunzioni a tempo determinato, con
convenzioni e con contratti di
collaborazione coordinata e continuativa da
parte delle amministrazioni dello stato e
delle regioni dall'articolo 9, comma 28, del
dl n. 78/2010. Tale tetto è fissato nel 50%
della spesa sostenuta allo stesso titolo
nell'anno 2009. Si può aggiungere che questo
tetto sembra esteso anche alle altre
tipologie di assunzioni flessibili, quali i
contratti di somministrazione, il lavoro
accessorio e i contratti di formazione e
lavoro. Sono ovviamente comprese in tale
limite anche le assunzioni ex articoli 110 e
90 del dlgs n. 267/2000.
Per cui, con
riferimento agli enti soggetti al patto,
viene a cadere la lettura data dalla
deliberazione n. 46/2011 delle sezioni
riunite di controllo della Corte dei conti,
per la quale il tetto del 20% della spesa
del personale cessato nell'anno precedente
«deve essere riferito alle assunzioni di
personale a qualsiasi titolo e con
qualsivoglia tipologia contrattuale. Ciò
ferme restando le eccezioni espressamente
stabilite per legge, gli interventi
caratterizzati da ipotesi di somma urgenza e
lo svolgimento di servizi infungibili ed
essenziali». Negli enti non soggetti al
patto non era previsto alcun limite
specifico.
Con il
parere
15.11.2011 n. 410 la sezione regionale di controllo
della Corte dei conti della Toscana ha
chiarito che «il comma 103 dell'art. 4 della
legge n. 183/2011 è considerato dalla
sezione quale norma di carattere
interpretativo come, peraltro, evidenziato
nella relazione illustrativa al disegno di
legge di stabilità per il 2012 per cui
(rispondendo al quesito specifico)
l'assunzione o la proroga di un contratto a
tempo determinato per sostituzione maternità
non rientra nell'applicazione della norma di
cui all'art. 76, comma 7, della legge
133/2008 e ss. mm., nella parte in cui
stabilisce il vincolo di spesa (20%) alle
assunzioni di personale negli enti soggetti
al patto di stabilità interno».
Ecco quindi
le conseguenze concrete: la fissazione del
tetto di spesa per assunzioni a tempo
determinato e co.co.co. negli enti soggetti
al patto nel 20% di quella del personale
cessato nell'anno precedente deve essere
ritenuta superata. Il che vuol dire che gli
enti locali, tanto soggetti o meno al patto
di stabilità, non hanno specifici limiti
alle assunzioni flessibili nello scorcio
finale dell'anno 2011. Mentre essi avranno
il limite del 50% della spesa del personale
assunto con contratto flessibile nel 2009 a
partire dal prossimo 01.01.2012, data di
entrata in vigore della legge di stabilità.
Limite che si estende anche alle
amministrazioni non soggette al patto di
stabilità. In questo periodo è sufficiente
rispettare le tre condizioni necessarie per
l'effettuazione di assunzioni a qualunque
titolo: avere rispettato il patto di
stabilità, avere rispettato il tetto di
spesa del personale (anno precedente per le
amministrazioni soggette al patto e 2004 per
quelle non soggette) e rispettare il
rapporto massimo del 40% tra spesa del
personale e spesa corrente
(articolo ItaliaOggi del 25.11.2011 -
tratto da www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Fondi
decentrati, Corte conti divisa su compensi
Istat e risparmi.
Le sezioni regionali di controllo delle
Corti dei conti sono in contrasto sulla
possibilità che i compensi erogati
dall'Istat e quelli derivanti dai risparmi
provenienti dalla contrattazione decentrata
del 2010 possano derogare al tetto del fondo
della contrattazione decentrata. Mentre si
deve considerare preclusa la possibilità di
derogare a tale limite con le risorse
derivanti dalle sanzioni per le violazioni
al codice della strada, nonché per la
utilizzazione dei commi 2 e 5 del Ccnl 01/04/1999.
Parimenti non possono incrementare
il fondo per la contrattazione decentrata le
risorse destinate alla incentivazione del
personale degli uffici tributi con i
maggiori gettiti Ici né quelle provenienti
da sponsorizzazioni. Sicuramente le uniche
deroghe ammesse al tetto del fondo sono
quelle per la incentivazione del personale
degli uffici tecnici per la realizzazione di
opere pubbliche e per l'adozione degli
strumenti urbanistici.
Possono essere così
riassunte le indicazioni che si ricavano dai
pareri resi dalle sezioni di controllo della
Corte dei conti sull'applicazione delle
previsioni dettate dall'articolo 9, comma
2-bis, del dl n. 78/2010. Ricordiamo che,
sulla base di questa disposizione, le
amministrazioni devono garantire il
raggiungimento di due risultati per il fondo
per la contrattazione decentrata negli anni
2011/2012 e 2013 (periodo che il governo
potrà allungare di 1 anno ancora): in primo
luogo il non superamento del tetto del fondo
2010 e poi la sua decurtazione in misura
proporzionale alla riduzione del personale
in servizio a tempo indeterminato.
L'ultimo contrasto interpretativo è quello
emerso tra le sezioni regionali di controllo
della Corte dei conti della Toscana e della
Lombardia sulla inclusione dei compensi
Istat nel tetto per il fondo alla
contrattazione decentrata integrativa.
Per la sezione toscana,
parere 26.10.2011 n.
291, rientrano nel
tetto posto dal dl n. 78/2010 al fondo per
la contrattazione decentrata anche i
compensi che i comuni vanno a riconoscere ai
propri dipendenti impegnati nelle operazioni
di censimento in ragione degli specifici
trasferimenti effettuati dall'Istat.
Per la sezione regionale di controllo della
Lombardia,
parere
28.10.2011 n.
550, invece essi vanno comunque
esclusi dal tetto al fondo per la
contrattazione decentrata, qualunque ne sia
la modalità di erogazione.
Per i giudici contabili toscani si arriva a
questa conclusione sulla base delle
indicazioni dettate dalle sezioni riunite
che, con il parere n. 51/2011, hanno
stabilito che sfuggono al vincolo i compensi
destinati solamente a precisi dipendenti e
se si tratta di «prestazioni
professionali tipiche la cui provvista
all'esterno potrebbe comportare aggravi di
spesa a carico dei bilanci delle
amministrazioni pubbliche».
I giudici contabili lombardi mettono invece
in evidenza che le singole amministrazioni
non hanno alcuna possibilità di incidere su
questa scelta ed in quanto l'applicazione di
questi istituti non pone a loro carico oneri
aggiuntivi
(articolo ItaliaOggi del 25.11.2011 -
tratto da www.corteconti.it). |
NEWS |
ENTI LOCALI: I compensi alle partecipate fuori dal
computo delle spese. Una nota interpretativa
dell'Anci mette in
guardia dal rischio di duplicazione dei
costi.
I corrispettivi erogati alle società
partecipate in esecuzione dei contratti di
servizio non vanno considerati nel complesso
delle spese da sommare alle spese correnti
dell'ente locale, al fine di computare
l'incidenza della spesa di personale sul
totale della spesa, in applicazione
dell'articolo 76, comma 7, della legge
133/2008.
È uno tra i principali suggerimenti avanzati
dall'Anci nella sua nota interpretativa
dedicata al problema del computo delle spese
delle società partecipate, ai fini del
calcolo appunto dell'indice della spesa di
personale su quella corrente, che non deve
superare il 40%.
I problemi affrontati dalla nota
interpretativa trovano la loro origine nella
modifica apportata dall'articolo 76, comma
7, della legge 133/2008 dalla prima manovra
estiva 2011, che impone di computare «le
spese sostenute anche dalle società a
partecipazione pubblica locale totale o di
controllo che sono titolari di affidamento
diretto di servizi pubblici locali senza
gara, ovvero che svolgono funzioni volte a
soddisfare esigenze di interesse generale
aventi carattere non industriale, né
commerciale, ovvero che svolgono attività
nei confronti della pubblica amministrazione
a supporto di funzioni amministrative di
natura pubblicistica».
L'Anci propone alcune chiave interpretative,
mettendo contestualmente a nudo tutte le
contraddizioni della norma, che secondo
l'associazione dei comuni sarebbe comunque
necessario rivedere profondamente, se non
abolire del tutto.
No alle duplicazioni della spesa. La
necessità di depurare dalle spese delle
società i corrispettivi pagati dagli enti
partecipanti discende dall'esigenza di
evitare la duplicazione del computo di un
medesimo costo. I trasferimenti come
compenso per le attività rese dalle società
in esecuzione dei contratti di servizio sono
spesa corrente dell'ente dominus, ma anche
costo di esercizio della società.
Il pericolo di conteggiare due volte tali
partite va scongiurato eliminando dai
conteggi i costi di esercizio correlati a
ricavi delle società derivanti dai pagamenti
connessi ai contratti di servizio. L'Anci
propone anche formule di calcolo per
determinare l'incidenza complessiva delle
spese generali delle società e delle spese
correnti degli enti locali, senza
dimenticare di sottolineare come, tuttavia,
essi possano essere fortemente influenzati
dalla presenza di utili o perdite, che
possono rendere disomogenei i risultati.
Campo di applicazione. La formulazione
dell'articolo 76, comma 7, novellato non è
coerente con le definizioni normative delle
società di gestione di servizi pubblici
locali o delle società strumentali e crea
parecchie incertezze. L'Anci esclude che la
norma possa estendere la sua efficacia oltre
l'insieme delle società vere e proprie: non
sono da considerare, dunque, le spese di
soggetti, sia pure partecipati dal capitale
locale, diversi dalle società, come
associazioni, fondazioni, aziende speciali.
Se non vi sono problemi, poi, a identificare
le società a partecipazione pubblica
totalitaria, più complesso è il riferimento
al «controllo». Secondo l'associazione si
deve fare ricorso all'articolo 2359 del
codice civile.
La norma vale sostanzialmente per tutte le
società affidatarie senza gara dei servizi
sia a rilevanza sia senza rilevanza
economica; ma si estende anche alle società
cui sia stato affidato un servizio privo di
rilevanza economica, visto che la norma non
richiede necessariamente la formula dell'in
house providing, nonché a tutte le società
(totalitarie, miste o in house) strumentali,
che cioè hanno come destinatario della
propria attività l'ente locale, per conto
del quale gestiscono servizi pubblici in
forma privatistica.
Sono escluse dalla norma, oltre che le
società quotate in borsa espressamente
citate, anche le società miste costituite
per effetto della gara a doppio oggetto, con
la quale il socio viene selezionato per
partecipare ad almeno il 40% del capitale e
svolgere specifici compiti operativi.
Spesa del personale. L'Anci ricorda le
troppe contraddizioni esistenti
nell'individuazione delle spese da
considerare attinenti al personale,
derivanti dall'assenza di una norma che le
enumeri in maniera chiara e dalla diversità
di visioni tra le conclusioni contenute
nella circolare 9/2006 della Ragioneria
generale dello stato e la Corte dei conti.
In attesa di un pronunciamento più chiaro,
che l'associazione si è impegnata a
promuovere con la Rgs, la nota suggerisce di
escludere le spese per il personale
comandato rimborsate da enti terzi, gli
straordinari elettorali rimborsati dallo
stato, le spese di personale per attività
svolte in conto terzi e da essi rimborsati
(esempio, il censimento Istat), le spese
totalmente finanziate dalla Ue o da privati,
gli incentivi per progettisti e avvocati,
gli incentivi derivanti da recupero Ici e
dal condono edilizio. Queste indicazioni,
tuttavia, sono in contrasto con le
indicazioni del parere 51/2011 delle sezioni
riunite della Corte dei conti.
Disomogeneità dei bilanci. L'Anci
perora la necessità di rivedere o abolire le
norme commentate dalla nota, sottolineando
come manchi del tutto la possibilità di
conciliare con precisione le spese dell'ente
locale, con quelle delle società, vista la
assoluta difformità delle regole contabili.
Nelle società non esiste la contabilità
finanziaria, che se venisse applicata
potrebbe consentire di elevare il computo
della spesa per indebitamento (non
considerando gli ammortamenti), il che
paradossalmente aumenterebbe la voce delle
spese generali e finirebbe per consentire
assunzioni in numero maggiore di quello che
avverrebbe se non si applicasse l'articolo
76, comma 7.
Inoltre, mentre gli enti locali adottano un
bilancio di previsione, le società conoscono
l'entità delle loro spese solo a posteriori,
col bilancio consuntivo da approvare entro
quattro mesi dalla chiusura dell'esercizio:
il che non permette di capire il regime
temporale di verifica di applicazione del
divieto assoluto di assumere, nel caso di
sforamento dell'indice della spesa di
personale del 40%
(articolo ItaliaOggi del 25.11.2011 -
tratto da www.corteconti.it). |
CONSIGLIERI COMUNALI: OSSERVATORIO VIMINALE/ Incompatibilità personale.
Conflitto di interesse attenuato per le
società. In giudizio contro il
comune il rappresentante non assume la
qualifica di parte.
Sussiste la causa di incompatibilità ex art.
63, comma 1, n. 4 del Tuel nei confronti di
un consigliere comunale che, in qualità di
legale rappresentante di una società a
responsabilità limitata, ha instaurato un
contenzioso con l'Agenzia del demanio, la
regione e il comune, concluso con sentenza
del tribunale?
Secondo una giurisprudenza meno recente, la
Corte di cassazione ha più volte ribadito
che l'espressione «essere parte di un
procedimento» va intesa in senso tecnico,
per cui la pendenza di una lite va accertata
con riferimento alla qualità di parte in
senso processuale, quindi, agli effetti
della sussistenza della causa di
incompatibilità della lite pendente con il
comune, non sono sindacabili i motivi del
giudizio pendente, dovendo unicamente
rivelarsi il dato formale ed obiettivo di
tale pendenza, che esaurisce «ex se» il
presupposto dell'incompatibilità (cfr.
Cassazione civile, sezione I, 16.02.1991, n. 1666).
Secondo l'orientamento giurisprudenziale più
recente è stato ritenuto che a integrare gli
estremi della causa di incompatibilità di
cui al comma 1, n. 4) del citato articolo
63, «non basta la pura e semplice
constatazione dell'esistenza di un
procedimento civile o amministrativo nel
quale risultino coinvolti, attivamente o
passivamente, l'eletto o l'ente, ma occorre
che a tale dato formale corrisponda una
concreta contrapposizione di parti, ossia
una reale situazione di conflitto: solo in
tal caso sussiste l'esigenza di evitare che
il conflitto di interessi nella lite
medesima possa orientare le scelte
dell'eletto in pregiudizio dell'ente
amministrativo, o comunque possa ingenerare
all'esterno sospetti al riguardo» (cfr.
Cassazione civile, sezione I, 28.07.2001, n. 10335).
Nel caso in esame, non sussiste la causa di
incompatibilità di cui all'art. 63, comma 1,
n. 4 del Testo unico sugli enti locali, in
quanto l'amministratore non è parte
processuale nel giudizio con il comune, ma
lo è la società di cui il consigliere
comunale in questione è rappresentante
legale.
La stessa Corte costituzionale è stata
chiamata a pronunciarsi in via incidentale
sulla legittimità costituzionale dell'art.
63, comma 1, n. 4, in occasione di una
questione in parte analoga a quella ora in
esame, concernente un giudizio instaurato
nei confronti di un comune da un consigliere
non in proprio, ma quale amministratore di
due società di diritto privato. Il giudice
delle leggi, con sentenza del 02.07.2008,
n. 240, ha ritenuto che la questione di
legittimità costituzionale è inammissibile
quando il remittente solleciti alla Corte
stessa un intervento additivo al quale non è
costituzionalmente obbligata atteso che
spetta al legislatore, nel ragionevole
esercizio della sua discrezionalità,
stabilire il regime delle cause di
ineleggibilità e incompatibilità.
Secondo la Consulta è, quindi, inammissibile
la questione di costituzionalità sollevata,
in riferimento agli artt. 3 e 97 Cost.,
sulla disposizione di cui all'art. 63, comma
1, n. 4 del dlgs n. 267/2000, che individua
le incompatibilità per lite pendente nei
confronti degli amministratori locali,
sollevata nella parte in cui non è estesa
all'ipotesi ove l'eletto sia titolare della
rappresentanza organica di un soggetto
avente lite con l'ente locale.
Ciò premesso il comune, in conformità al
principio generale per cui ogni organo
collegiale è competente a deliberare sulla
regolarità dei titoli di appartenenza dei
propri componenti, potrà eventualmente
esaminare la questione sotto il profilo
dell'art. 63, comma 1, n. 1) o n. 2), del
dlgs 267/2000, sulla base degli atti in
possesso
(articolo ItaliaOggi del 25.11.2011). |
GIURISPRUDENZA |
APPALTI:
Sull'illegittimità
dell'esclusione di un concorrente da una
gara, sull'assunto che tutti progettisti da
esso indicati non avevano reso, per proprio
conto, la dichiarazione di assoggettamento
all'obbligo di cui alla legge n. 68/1999.
Secondo un consolidato orientamento
giurisprudenziale, è doveroso, in difetto di
esplicite previsioni escludenti in base alla
lex specialis, effettuare una
valutazione sostanzialistica circa la
sussistenza delle cause di esclusione, ciò
in considerazione del fatto che, l'art. 38,
c. 1, del d.lgs. n. 163/2006, ricollega
l'esclusione dalla gara al dato sostanziale
del mancato possesso dei requisiti indicati,
mentre il secondo comma non prevede analoga
sanzione per l'ipotesi della mancata o non
perspicua dichiarazione. Da ciò discende che
solo l'insussistenza, in concreto, delle
cause di esclusione previste dalla citata
disposizione comporta, "ope legis",
l'effetto espulsivo.
Diversamente, allorquando il partecipante
sia in possesso di tutti i requisiti
richiesti, e la "lex specialis" non
preveda espressamente la sanzione
dell'esclusione a seguito della mancata
osservanza delle puntuali prescrizioni in
ordine a modalità ed'oggetto delle
dichiarazioni da fornire, l'omissione non
produce alcun pregiudizio agli interessi
presidiati dalla norma, ricorrendo al più
un'ipotesi di "falso innocuo", come
tale non suscettibile, in carenza di una
espressa previsione legislativa o della
legge di gara, a fondare l'esclusione, le
cui ipotesi sono tassative.
Nel caso di specie, le dichiarazioni fornite
dai professionisti di cui trattasi possono
ritenersi caratterizzate da completezza e
veridicità, sufficienti a soddisfare le
esigenze che la norma che le prevede è tesa
a tutelare, atteso che con le stesse essi
avevano dichiarato di avere alle proprie
dipendenze un numero di dipendenti inferiore
a quello comportante l'obbligo di assunzione
di lavoratori diversamente abili, che
corrispondeva sostanzialmente alla
dichiarazione di non assoggettamento agli
obblighi di assunzione obbligatoria di cui
alla l. n. 68/1999, che era previsto dovesse
essere prodotta. Illegittimamente, quindi,
l'impresa concorrente è stata esclusa dalla
gara, sull'assunto che tutti progettisti
indicati dalla stessa per l'attività di
progettazione non avevano reso per proprio
conto la dichiarazione di assoggettamento
all'obbligo di cui alla legge n. 68/1999
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 24.11.2011 n. 6240 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Spetta all'amministrazione e non
all'impresa partecipante ad una gara di
appalto il giudizio sull'eventuale gravità
delle eventuali condanne riportate.
L'art. 38, c. 2, del d.lgs. n. 163/2006,
limitandosi a fare riferimento alla
necessità di produrre un'attestazione che
documenti il "possesso dei requisiti",
ricollega il contenuto della dichiarazione
relativa alle condanne subite, direttamente
al precetto di cui all'art. 1, lett. c,
della medesima disposizione.
Secondo un consolidato orientamento
giurisprudenziale, spettando
all'amministrazione il giudizio
sull'eventuale gravità delle eventuali
condanne riportate, è comunque obbligo del
concorrente dichiarare tutti i pregiudizi
penali subiti, non spettando a quest'ultimo
effettuare valutazioni in ordine alla
gravità del reato ascrittogli o del
pregiudizio penale riportato, in quanto ciò
si risolverebbe nella possibile privazione,
in capo alla stazione appaltante, delle
conoscenze indispensabili per potere
delibare in ordine all'incidenza del
precedente riportato sulla moralità
professionale e sulla gravità del medesimo.
Detto approccio interpretativo, pienamente
conciliabile con il dato testuale contenuto
nella disposizione di legge in parola, ha il
pregio di non vanificarne la portata,
demandando al concorrente una delibazione
preventiva sulla "gravità" della
condanna. Tale delibazione compete alla
discrezionalità valutativa della stazione
appaltante, previa comunicazione alla
medesima della sussistenza del precedente
penale da valutare (Consiglio di Stato, Sez.
IV,
sentenza 22.11.2011 n. 6153 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
E' obbligo del concorrente
dichiarare tutti i pregiudizi penali subiti
non pertenendo a quest'ultimo effettuare
valutazioni in ordine alla gravità del reato
ascrittogli o del pregiudizio penale
riportato.
Deve ritenersi che le valutazioni in ordine
alla gravità delle condanne riportate dai
concorrenti ed alla loro incidenza sulla
moralità professionale spettano alla
Stazione appaltante e non al concorrente
medesimo, il quale è pertanto tenuto a
indicare tutte le condanne riportate, non
potendo operare a monte alcun «filtro»,
omettendo la dichiarazione di alcune di esse
sulla base di una selezione compiuta secondo
criteri personali. (Consiglio Stato, sez. IV,
10.02.2009, n. 740).
Spettando all’amministrazione il giudizio
sulla eventuale gravità delle eventuali
condanne riportate, è comunque obbligo del
concorrente dichiarare tutti i pregiudizi
penali subiti non pertenendo a quest’ultimo
effettuare valutazioni in ordine alla
gravità del reato ascrittogli o del
pregiudizio penale riportato perché ciò si
risolverebbe nella possibile privazione in
capo alla stazione appaltante delle
conoscenze indispensabili per potere
delibare in ordine alla incidenza del
precedente riportato sulla moralità
professionale e sulla gravità del medesimo.
Ne consegue che, in ipotesi di omessa
dichiarazione di condanne riportate è
legittimo il provvedimento d’esclusione non
dovendosi configurare in capo alla stazione
appaltante l’ulteriore obbligo di vagliare
la gravità del precedente penale di cui è
stata omessa la dichiarazione e conseguendo
la statuizione espulsiva dalla omissione
della prescritta dichiarazione (Consiglio di
Stato, Sez. IV,
sentenza 22.11.2011 n. 6153 -
link a www.mediagraphic.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Abusivismo edilizio, i
provvedimenti di repressione non vanno
comunicati all’interessato.
Gli atti di repressione degli
abusi edilizi hanno natura urgente e
strettamente vincolata, essendo emanati a
motivo dell’insussistenza del titolo per
l’avvenuta trasformazione del territorio. Ne
consegue che, ai fini della loro adozione,
non sono richiesti apporti partecipativi del
soggetto destinatario. In altri termini
viene meno l’obbligo di comunicazione di cui
all’art. 7 L. 241/1990, legge generale sul
procedimento amministrativo.
La precisazione proviene dal TAR Campania-Napoli, Sez. III,
sentenza
22.11.2011 n. 5480.
Di più: nella fattispecie all’esame del
giudice di merito le doglianze attoree sono
state ritenute infondate anche in ordine
all’insufficienza della motivazione.
La comunicazione di avvio, si ricorda,
costituisce, il primo atto del complessivo
iter procedimentale e si configura quale
obbligo per l’amministrazione procedente di
notiziare dell’attivazione i soggetti che
potrebbero essere compromessi dagli effetti
del provvedimento finale.
Solo in presenza di ragioni di impedimento
derivanti da particolari esigenze di
celerità del procedimento viene meno
l’obbligo della comunicazione in parola.
L’articolo 7 succitato esprime invero un
principio generale dell’ordinamento
giuridico, per cui le limitazioni espresse
alla sua osservanza si devono intendere in
modo rigoroso e restrittivo. Al riguardo si
è anzi puntualizzato che deve trattarsi non
di un’urgenza qualsiasi, piuttosto di
un’urgenza qualificata e che la decisione
della
pubblica amministrazione di derogare
all’obbligo di comunicazione deve essere
supportata da idonea motivazione circa i
presupposti di urgenza che hanno
giustificato la stessa. (cfr. Cons. Stato,
sez. IV, sent. 5832/2006).
Nella fattispecie particolare di abuso
edilizio l'ordinanza di demolizione non
richiede, in linea generale, una specifica
motivazione; l'abusività costituisce di per
sé motivazione sufficiente per l'adozione
della misura repressiva in argomento.
Presupposto per l'emanazione dell'ordinanza
di demolizione di opere edilizie abusive è
soltanto la constatata esecuzione di queste
ultime in assenza o in totale difformità del
titolo concessorio, con la conseguenza che,
essendo l'ordinanza di demolizione atto
dovuto, essa è sufficientemente motivata con
l'accertamento dell'abuso.
È "in re ipsa" l'interesse pubblico
alla sua rimozione, mentre un eventuale
obbligo di motivazione al riguardo potrebbe
ravvisarsi solo se l'ordinanza stessa
intervenga a distanza di tempo
dall'ultimazione dell'opera avendo l'inerzia
dell'amministrazione creato un qualche
affidamento nel privato. In tal caso ad
essere minato è l’interesse superiore alla
certezza del diritto (cfr. sul punto Cons.
Stato, sez. V, sent. 3270/2006) (commento
tratto da www.diritto.it - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Concorso pubblico per dirigente.
Il Consiglio di Stato Sezione V, con
sentenza
21.11.2011 n. 6135, si occupa di
quanto in oggetto per diversi aspetti. Tra
l'altro, statuisce:
"... per quanto riguarda le selezioni per
l'accesso alla dirigenza, le
amministrazioni locali non sono tenute ad un
ineludibile rispetto ad litteram dell'elencazione
delle categorie di personale legittimate a
concorrere che si rinviene nell'art. 28 del
d.lgs. 165/2001. Tali amministrazioni
possono, invece, nell'esercizio della
propria potestà statutaria e regolamentare,
adeguare i propri ordinamenti ai principi
del relativo capo, alla luce delle loro
peculiarità, apportando alla detta
elencazione i ragionevoli adattamenti che si
reputino necessari...".
"Si deve però prendere atto che l'art. 28
d.lgs. n. 165 cit, considerato sub specie di
fonte di norme di principio vincolanti per
gli enti locali ai sensi del precedente art.
27, esprime un quid pluris rispetto al
canone della necessaria effettività dell'esperienza
professionale pregressa. Esso postula anche,
difatti, l'esigenza che tale esperienza sia
qualificata, e, soprattutto, sia stata
maturata all'interno della P.A., o
quantomeno in prevalente rapporto con
essa" (tratto da www.publika.it - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI:
Il rinnovo di una concessione può
essere legittimamente disposto bandendo una
gara. In assenza di diverse disposizioni
nell'atto concessorio, il concessionario non
può vantare alcuna aspettativa al rinnovo
del rapporto.
In applicazione del principio del "favor
partecipationis" possono essere pretesi
particolari requisiti di capacità tecnica e
finanziaria solo se necessari.
Secondo la prevalente giurisprudenza, il
rinnovo di una concessione può essere
legittimamente disposto bandendo una gara
per l'individuazione del concessionario cui
assegnare il bene, essendo le pubbliche
amministrazioni assoggettate all'obbligo di
esperire procedure ad evidenza pubblica ai
fini dell'individuazione del soggetto
contraente; inoltre che da tali acquisizioni
giurisprudenziali non può ritenersi estranea
la materia della concessione dei beni
pubblici, in applicazione dei principi
discendenti dall'art. 81 del Trattato UE e
dalle Direttive comunitarie in materia di
appalti, con attribuzione mediante procedure
concorsuali, trasparenti, non
discriminatorie, nonché tali da assicurare
la parità di trattamento ai partecipanti.
Il concessionario di un bene demaniale non
può vantare (se non diversamente disposto
nell'atto concessorio) alcuna aspettativa al
rinnovo del rapporto e che il relativo
diniego, comunque esplicitato, nei limiti
ordinari della ragionevolezza e della
logicità dell'agire amministrativo, non
necessita di ulteriore motivazione (essendo
parificabile al rigetto di un'ordinaria
istanza di concessione), né implica alcun "diritto
d'insistenza" allorché la
Amministrazione intenda procedere ad un
nuovo sistema d'affidamento mediante gara
pubblica o comunque procedura comparativa.
Pertanto, in sede di rinnovo di una
concessione, il precedente concessionario va
posto sullo stesso piano di altro soggetto
richiedente lo stesso titolo, con
possibilità di indizione di una gara al
riguardo senza necessità di particolare
motivazione con riferimento alla richiesta
di rinnovo.
In applicazione del principio del "favor
partecipationis", possono essere pretesi
particolari requisiti di capacità tecnica e
finanziaria solo se necessari. Pertanto, nel
caso di specie, legittimamente il Comune ha
affidato la gestione dell'impianto sportivo
tramite gara (che non necessita, per comune
conoscenza, di particolari capacità tecniche
o finanziarie) senza richiedere ai
partecipanti il possesso di alcun requisito
di capacità tecnica, economica e
finanziaria, utilizzando solo il criterio
del prezzo offerto (Consiglio di Stato, Sez.
V,
sentenza 21.11.2011 n. 6132 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
RIFIUTI – Abbandono in prossimità
dell’area stradale – Ordine di rimozione ex
art. 192 d.lgs. n. 152/2006 – Ente gestore –
Assenza di responsabilità per dolo o colpa –
Illegittimità.
Nell’ ipotesi in cui l'abbandono abusivo dei
rifiuti non pericolosi avvenga in prossimità
dell'area stradale, deve ritenersi
illegittimo l'ordine di rimozione intimato,
ai sensi dell’art. 192 del d.lgs. n.
152/2006, nei confronti dell'ente gestore,
quando in capo ad esso non risulti
riscontrabile un profilo soggettivo di dolo
o, quanto meno, di colpa (cfr. TAR Campania
Napoli, sez. V, 05.12.2008, n. 21013; Id.
12.03.2002, n. 1291; 04.03.2009, n. 1284)
(TAR Campania-Salerno, Sez. I,
sentenza 19.11.2011 n. 1852
- massima tratta da www.ambientediritto.it -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Sulla legittimità dell'esclusione
da una gara di un concorrente, che abbia
prodotto, in relazione al proprio atto
costitutivo, una dichiarazione sostitutiva
di atto di notorietà, in luogo di copia
autentica, come richiesto dal disciplinare
di gara.
E' legittimo il provvedimento di esclusione
da una gara, adottato da una stazione
appaltante nei confronti di un Consorzio
concorrente, che abbia omesso di produrre un
documento nelle forme richieste dalla
lettera d'invito, avendolo viceversa
presentato nelle forme dell'atto di
notorietà.
Nel caso di specie, trattasi dell'atto
costitutivo del consorzio stesso. La
dichiarazione sostitutiva assolve, infatti,
alla funzione di far constatare alla P.A.,
esclusivamente a fini amministrativi ed in
luogo di certificazioni rilasciate dalla
stessa o da essa conservate, circostanze ad
essa in propri atti.
Nel caso in esame, l'atto costitutivo non
era stato rilasciato, né conservato
dall'Amministrazione procedente, in quanto
redatto da un Notaio e da esso custodito in
originale, sicché, stante l'inderogabilità
della legge di gara, non era comunque
possibile surrogare la mancata produzione
del citato atto, prevista a pena di
esclusione, con la presentazione di
documento redatto in base all'art. 19 del
D.P.R. n. 445/2000 (Consiglio di Stato, Sez.
V,
sentenza 18.11.2011 n. 6090 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
L'impresa concorrente in una gara
d'appalto deve dichiarare la propria
posizione nei confronti degli obblighi
previdenziali, al momento dell'effettiva
presentazione dell'offerta.
Secondo un consolidato orientamento
giurisprudenziale, peraltro avallato dalla
Corte di Giustizia UE e sostenuto in sede
amministrativa dall'AVCP, l'impresa che
abbia ottenuto una rateizzazione del debito
tributario, deve essere considerata in
regola ai fini della presentazione della
domanda di partecipazione alla gara, stante
il valore novativo che tali atti assumono;
ciò, purché la sussistenza del requisito
della regolarità fiscale e contributiva sia
comunque riguardata in relazione al momento
ultimo per la presentazione delle offerte.
Infatti, condizione necessaria affinché
l'impresa possa considerarsi in regola, pur
in presenza di inadempienze fiscali in
corso, è quella secondo cui, gli eventi
sopra richiamati, che pongono nuovamente
l'impresa stessa in condizione di
regolarità, devono essersi verificati entro
la scadenza del termine di presentazione
della domanda di partecipazione alla gara.
In materia di contribuzione obbligatoria,
l'accoglimento dell'istanza di dilazione
deve in ogni caso precedere
l'autodichiarazione circa il possesso della
regolarità, in quanto non è ammissibile una
dichiarazione che attesti il possesso di un
requisito in data futura; e ciò, tanto più
nell'ipotesi in cui esso non dipenda dalla
presentazione dell'istanza, bensì
dall'accoglimento della stessa.
Pertanto, è al momento dell'effettiva
presentazione dell'offerta che l'impresa
deve dichiarare la sua effettiva posizione
nei confronti degli obblighi previdenziali,
a nulla rilevando che tale situazione possa
essere accertata e dimostrata solo in un
momento successivo alla scadenza del
termine, pur se con riferimento ad una data
anteriore a tale scadenza.
La circostanza che, in relazione ai debiti,
sia intervenuta una richiesta di
rateizzazione, conferma il carattere della
definitività del debito, in quanto la
rateizzazione implica la certezza
dell'ammontare e dell'esistenza della
pretesa erariale, la quale non può essere
più contestata in sede giudiziale, e non è
comunque certo il suo accoglimento prima
dell'adozione del relativo atto. Pertanto,
nel caso di specie, la dichiarazione
inerente all'insussistenza di infrazioni
definitivamente accertate, prima
dell'effettivo accoglimento della domanda di
rateizzazione suddetta, deve ritenersi non
proponibile (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 18.11.2011 n. 6084 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
INQUINAMENTO DEL SUOLO – Bonifica
– Artt. 240 e ss. d.lgs. n. 152/2006 –
Obbligo di bonifica o messa in sicurezza –
Responsabile dell’inquinamento –
Proprietario incolpevole.
Tanto la disciplina di cui al d.lgs. n.
22/1997 (in particolare, l’art. 17, comma
2), quanto quella introdotta dal d.lgs. n.
152/2006 (ed in particolare, gli artt. 240 e
segg.), si ispirano al principio secondo cui
l’obbligo di adottare misure, sia urgenti
che definitive, idonee a fronteggiare la
situazione di inquinamento, deve essere
posto a carico unicamente di colui che di
tale situazione sia responsabile per avervi
dato causa a titolo di dolo o colpa, con la
conseguenza che l’obbligo di bonifica o di
messa in sicurezza non può essere invece
addossato al proprietario incolpevole, ove
manchi la dimostrazione di ogni sua
responsabilità (TAR Sicilia, Ct, Sez. I,
26.07.2007, n. 1254; TAR Toscana, Sez. II,
17.04.2009, n. 665 e 06.05.2009, n. 762).
INQUINAMENTO DEL SUOLO –
Mancata esecuzione degli interventi di
bonifica da parte del soggetto responsabile
– Esecuzione da parte della P.A. competente
– Rivalsa sul soggetto responsabile.
Il “Codice dell’ambiente” (artt. 244,
250 e 253) prevede, nell’ipotesi di mancata
esecuzione degli interventi ambientali da
parte del “responsabile”
dell’inquinamento, ovvero di impossibile
individuazione dello stesso –e sempreché non
provvedano autonomamente il proprietario del
sito o altri soggetti interessati– che le
opere di recupero ambientale siano eseguite
dalla P.A. competente, che potrà rivalersi
sul soggetto “responsabile” –e non,
quindi, sul proprietario/utilizzatore- nei
limiti del valore dell’area bonificata,
anche esercitando, ove la rivalsa non vada a
buon fine, le garanzie gravanti sul terreno
oggetto dei medesimi interventi (TAR
Lombardia, Milano, Sez. II, 10.07.2007, n.
5355; TAR Toscana, Sez. II, 17.09.2009, n.
1448).
INQUINAMENTO DEL SUOLO –
Interventi di bonifica – Imposizione della
misura della barriera fisica – Presupposti –
Attività istruttoria.
L’imposizione della misura della cd. “barriera
fisica”, in quanto molto gravosa e
spesso invasiva per l’ambiente stesso, deve
essere supportata, in corso di istruttoria,
da adeguati accertamenti tecnici che la
indichino come l’unico e/o il miglior
sistema per evitare la diffusione dello
specifico inquinamento (TAR Toscana, Sez. II,
n. 225/2011). In particolare, la P.A. è
tenuta a valutare ed accertare non solo
l’inefficacia di misure meno invasive della
barriera fisica, ma anche l’effettiva
necessità, efficacia e realizzabilità del
sistema di contenimento fisico nel singolo
caso concreto.
Pertanto, l’opzione per detto sistema,
ovvero per un utilizzo combinato delle
differenti tipologie di intervento, può
legittimamente avere luogo soltanto
all’esito di un’analisi comparativa tra le
diverse alternative in discorso, in ragione
delle specifiche caratteristiche dell’area
(TAR Puglia, Le, Sez. I, 11.06.2007, n.
2247, TAR Toscana, Sez. II, 14.10.2009, n.
1540 e 18.12.2009, n. 3973) (TAR Toscana,
Sez. II,
sentenza
18.11.2011 n. 1780 - massima tratta
da www.ambientediritto.it - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
E' consentito il ricorso all'avvalimento,
da parte di un consorzio concorrente alla
gara, ai fini della dimostrazione del
possesso dei requisiti in ordine al
fatturato, all'esperienza pregressa e al
numero di dipendenti.
Il capitolato richiedeva che i concorrenti
autocertificassero il possesso di
un’esperienza documentata di almeno tre anni
nello svolgimento di servizi analoghi a
quelli oggetto di gara, nonché di un numero
annuo di dipendenti a tempo indeterminato
non inferiore a cinque negli ultimi tre anni
dalla pubblicazione del bando.
il Giudice di primo grado, sul rilievo
incontestato che il Consorzio partecipante
non avesse singolarmente il requisito della
capacità tecnica e professionale richiesta
(in specie, il fatturato specifico e
l’esperienza pregressa, nonché il numero
annuo di dipendenti a tempo indeterminato
non inferiore a cinque negli ultimi tre
anni), in quanto soggetto giuridico di
recente costituzione, ha ritenuto
illegittimo l’avvalimento intercorso tra lo
stesso Consorzio e la mandante, sul
presupposto che i requisiti dell’esperienza
triennale nel settore dei servizi sociali
per disabili e del numero annuo di
dipendenti fossero di carattere soggettivo.
Il Collegio è dell’avviso, invece, che il
ricorso all’avvalimento, avente ad oggetto
il fatturato, l’esperienza pregressa ed il
numero dei dipendenti a tempo indeterminato,
sia stato legittimo, atteso che la
disciplina dell’art. 49 del Codice dei
contratti non pone alcuna limitazione, se
non per i requisiti strettamente personali
di carattere generale, di cui agli artt. 38
e 39, il cui possesso da parte dell’odierno
appellante è nella fattispecie in esame
incontestato (Consiglio di Stato, Sez. III,
sentenza 15.11.2011 n. 6040 -
link a www.mediagraphic.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Oneri di urbanizzazione: rileva la tipologia
dell'attività che vi verrà svolta.
Ai fini della determinazione degli oneri di
urbanizzazione rileva non già l'immobile in
sé considerato, bensì la tipologia economica
dell'attività che in esso viene svolta in
quanto quest'ultima consente di spiegare la
qualità dello scambio di utilità e vantaggi
che si realizza tra la collettività locale e
il concessionario che realizza la
ristrutturazione edilizia dell'immobile, al
cui interno si svolgerà una determinata
attività economica.
Dal punto di
vista della determinazione degli oneri di
urbanizzazione, infatti, ciò che rileva non
è l’immobile in sé considerato, ma la
tipologia economica dell’attività che in
esso viene svolta.
È la tipologia economica dell’attività
svolta che consente di spiegare la qualità
dello scambio di utilità e vantaggi che si
realizza tra la collettività locale, di cui
è espressione politico–amministrativa il
Comune, e il concessionario che realizza la
ristrutturazione edilizia dell’immobile, al
cui interno si svolgerà una determinata
attività economica.
Per determinare i parametri da applicare è
logico cercare di analizzare quale è la
caratterizzazione complessiva e prevalente
dell’attività economica che viene condotta
nell’immobile. Ed è del tutto normale
nell’assetto organizzativo di attività di
produzione industriale che nei complessi
immobiliari con tale vocazione siano
inseriti uffici, con compiti di direzione,
progettazione, controllo contabile e
finanziario, ecc., che svolgono funzioni
chiaramente strumentali e funzionali
rispetto alla produzione del bene
industriale destinato poi alla fase di
commercializzazione
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 11.11.2011 n.
5974 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: In
ordine ai presupposti legittimanti la
formazione del silenzio assenso sulle
domande di condono edilizio presentate ai
sensi delle ll. nn. 47 del 1985 e 724 del
1994.
In ordine ai presupposti legittimanti la
formazione del silenzio assenso sulle
domande di condono edilizio presentate ai
sensi delle ll. nn. 47 del 1985 e 724 del
1994, il collegio non intende decampare dai
consolidati principi elaborati dalla
giurisprudenza di questo Consiglio (cfr.
sez. IV, 16.02.2011, n. 1005; sez. V,
03.11.2010, n. 7770; sez. IV, 30.06.2010, n.
4174; sez. II, 11.01.2006, n. 7892/2004;
sez. V, 14.10.1998, n. 1468), in forza dei
quali:
a) in linea generale il tacito accoglimento
della domanda di condono si differenzia
dalla decisione esplicita solo per l’aspetto
formale;
b) conseguentemente il silenzio assenso non
si perfeziona per il solo fatto dell’inutile
decorso del termine perentorio a far data
dalla presentazione della domanda di
sanatoria e del pagamento dell’oblazione, se
non sopravviene la risposta del comune,
occorrendo altresì l’acquisizione della
prova, da parte del comune medesimo, della
ricorrenza dei requisiti soggettivi ed
oggettivi stabiliti dalle specifiche
disposizioni di settore, da verificarsi
all’interno del relativo procedimento; in
quest’ottica si ritiene inammissibile la
domanda di accertamento della fondatezza
della pretesa formulata in sede di giudizio
avente ad oggetto l’inerzia del comune;
c) la domanda di condono deve, pertanto,
essere corredata dalla prescritta
documentazione indicata dalla legge essendo
la produzione di tale documentazione
indispensabile proprio al fine del riscontro
dei requisiti soggettivi ed oggettivi;
d) in particolare, sul piano oggettivo, la
formazione del silenzio-assenso richiede
quale presupposto essenziale, oltre al
completo pagamento delle somme dovute a
titolo di oblazione, che siano stati
integralmente dimostrati gli ulteriori
requisiti sostanziali relativi al tempo di
ultimazione dei lavori, all’ubicazione, alla
consistenza delle opere e ad ogni altro
elemento rilevante affinché possano essere
utilmente esercitati i poteri di verifica
dell’amministrazione comunale;
e) del pari, sotto il profilo soggettivo,
deve essere dimostrata la legittimazione
attiva del richiedente il condono (Consiglio
di Stato, Sez. V,
sentenza 08.11.2011 n. 5894 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Sul
quadro delle norme e dei principi che
presiedono al rilascio dei titoli edilizi
avuto particolare riguardo all’aspetto della
legittimazione del richiedente e degli
impedimenti di carattere negoziale.
E' possibile accogliere le istanze di
sanatoria di opere edilizie che creano
limitazioni di tipo urbanistico alle
proprietà finitime qualora le eventuali
limitazioni di tipo urbanistico o
regolamentare possano essere rimosse
attraverso la disponibilità del vicino o del
condominio a cedere in uso o in vendita
porzioni di terreno (o di parti comuni di
edificio), oppure mediante stipula da parte
degli stessi proprietari confinanti di atti
di asservimento di dette aree al lotto
contiguo, o ancora attraverso la creazione
di servitù permanente; non vi sono dubbi,
infatti, che il nostro ordinamento giuridico
riconosce un potere dispositivo alle parti
in ordine alle norme in materia di distanze
tra edificazioni e fra queste ed i confini,
potendo i privati rinunciare al diritto di
pretendere l’osservanza delle norme in
materia.
La giurisprudenza del Consiglio di Stato,
superando l’indirizzo precedente che
affermava la totale indifferenza delle
ragioni privatistiche rispetto alla
legittimità dei provvedimenti edilizi, è
oggi allineata nel senso che
l’amministrazione, quando venga a conoscenza
dell’esistenza di contestazioni sul diritto
del richiedente il titolo abilitativo, debba
compiere le indagini necessarie per
verificare la fondatezza delle
contestazioni, precisando anche che, se il
richiedente non sia in grado di fornire
elementi seri a fondamento del suo diritto,
l’amministrazione non deve rilasciare il
provvedimento abilitativo.
Conviene
delineare brevemente il quadro delle norme e
dei principi che presiedono al rilascio dei
titoli edilizi avuto particolare riguardo
all’aspetto della legittimazione del
richiedente e degli impedimenti di carattere
negoziale.
Tra le limitazioni al diritto a costruire,
da prendere in considerazione ai fini del
rilascio del relativo permesso o di un
titolo edilizio in sanatoria, la
giurisprudenza ha operato un’accurata
distinzione tra limiti legali e limiti
negoziali. I primi, pure in caso di istanza
di condono, sono destinati ad investire
anche il rapporto pubblicistico. Per gli
altri si prospetta una diversa incidenza,
considerato che il comune non è tenuto a
ricercarli.
L’art. 11, ultimo comma, t.u. edilizia
—secondo cui «il rilascio del permesso di
costruire non comporta limitazione dei
diritti dei terzi»— ha cristallizzato a
livello positivo una prassi amministrativa e
giurisprudenziale assolutamente pacifica che
aveva ricevuto un primo riconoscimento
legale nell’art. 2, comma 37, lett. c), l.
n. 662 del 1996 (che ha novellato l’art. 39
l. n. 724 del 1994, successivamente si veda
l’art. 32, comma 31, d.l. n. 269 cit. in
materia di condono straordinario).
L’ordinamento giuridico ammette, in via
generale, limitazioni di varia natura al
diritto di costruire a presidio dei diritti
dei terzi controinteressati.
Nell’ambito del diritto civile si
distinguono limiti legali dell’attività
edificatoria (sempre concernenti i rapporti
tra proprietari di fondi finitimi),
essenzialmente rivenienti nella disciplina
contenuta nel libro terzo, capo II, c.c. (si
tratta delle prescrizioni in materia di
distanze, luci e vedute); e limiti che
discendono non direttamente dalla legge ma
dall’esercizio dell’autonomia negoziale: fra
questi spiccano gli iura in re aliena
di godimento (usufrutto, servitù, ecc.) cui
corrispondono altrettante restrizioni del
diritto di proprietà riguardanti lo ius
aedificandi dei confinanti, che può
risultare semplicemente inciso o del tutto
sottratto.
I su menzionati limiti operano diversamente
sul piano dei controlli esercitabili
dall’amministrazione in sede di rilascio del
permesso di costruire.
I limiti legali, trovando applicazione
generalizzata e conservando sempre il
medesimo contenuto, concorrono a formare lo
statuto generale dell’attività edilizia e
non pongono problemi di conoscibilità
all’amministrazione che è tenuta a
considerarli sempre.
Diversamente per le limitazioni negoziali
del diritto di costruire, cui possono
ricondursi anche quelle scaturenti dall’art.
1117 c.c. (cfr. Cons. St., sez. IV,
10.12.2007, n. 6332, secondo cui è legittimo
il provvedimento con cui il comune rilascia
un condono straordinario ex art. 32 d.l.
30.09.2003 n. 269, avente ad oggetto la
costruzione di un terrazzo coperto e
disimpegno, di pertinenza di un appartamento
ubicato in uno stabile condominiale, non
potendosi accogliere le censure riguardanti
la violazione delle distanze legali minime
rispetto alla costruzione di terzi e al
difetto di autorizzazione del condominio
all’esecuzione dei lavori su parti comuni
dello stabile (nella specie, al momento del
rilascio del permesso in sanatoria, era
assolutamente controversa, fra le parti
confinanti, la questione concernente la
reintegra delle distanze violate, pendendo
la relativa controversia in sede civile, e
non constava alcuna opposizione da parte del
condominio).
Circa l’ambito di operatività di tali limiti
la giurisprudenza oscilla fra due soluzioni
che costituiscono un corollario della
clausola di salvezza dei diritti dei terzi
ed hanno in comune l’inesistenza, in capo
all’amministrazione, di un autentico obbligo
di ricerca di tali limiti, prodromico al
diniego di permesso.
La prima ne esclude ogni rilevanza nel
presupposto che all’amministrazione sia
inibito qualsiasi sindacato anche indiretto
sulla validità ed efficacia dei rapporti
giuridici dei privati (cfr. Cons. Stato,
sez. V, 20.12.1993, n. 1341); la seconda
ammette che il comune verifichi il rispetto
dei limiti privatistici, purché siano
immediatamente conoscibili, effettivamente e
legittimamente conosciuti nonché del tutto
incontestati, di guisa che il controllo si
traduca in una semplice presa d’atto (cfr.,
da ultimo, Cons. Stato, sez. IV, 12.03.2007,
n. 1206).
Coerenti, ma non recepibili nel caso di
specie, sono le conclusioni cui è giunta la
giurisprudenza più recente in ordine agli
oneri del comune di verificare la
legittimazione dei singoli condomini ad
eseguire opere su parti comuni (cfr. sez. IV
14.09.2005, n. 4744, che ritiene in
contrasto con l’art. 11 t.u. cit., il titolo
edilizio rilasciato in mancanza dell’assenso
condominiale); anche in tali casi il comune
si limita a verificare, puramente e
semplicemente, la presenza di
un’autorizzazione senza ovviamente poterne
vagliare la validità.
Le conclusioni rimangono immutate quando il
comune sia chiamato a rilasciare un titolo
edilizio in sanatoria ordinaria (ex art. 36
t.u. edilizia) o straordinaria (da ultimo,
ex art. 32 d.l. n. 269 del 2003).
Nel primo caso si richiede, specie in
presenza di contrasto conclamato fra
condomini, che l’istruttoria del comune sia
particolarmente accurata (cfr. sez. IV,
16.03.2010, n. 1537; sez. V 21.10.2003, n.
6529, fattispecie relativa all’art. 13 l. n.
47 del 1985 oggi trasfuso con modificazioni
nell’art. 36 t.u. edilizia; 20); in tal caso
doverosamente si acquisisce la delibera di
autorizzazione condominiale che esonera il
comune da ogni altro tipo di accertamento
non potendo essere disapplicata da
quest’ultimo (cfr. Cons. St., sez. IV, n.
1537 del 2010 cit.).
Nel caso di condono straordinario la
giurisprudenza registra una maggiore varietà
di posizioni.
Secondo una minoritaria tesi la concessione
del condono straordinario è impedita qualora
l’abuso consista non già nella inosservanza
di prescrizioni dirette principalmente a
soddisfare finalità di interesse pubblico,
ma nella violazione delle norme che tutelano
in modo diretto ed immediato lo specifico
interesse dei proprietari confinanti (cfr.
Cons. Stato, sez. V, 09.12.1997, n. 1487
relativa a fattispecie di condono governata
dall’art. 39 l. n. 724 del 1994).
Di contro, ed in linea con quanto illustrato
circa il controllo esigibile da parte del
comune in sede di rilascio del permesso di
costruire ex art. 11 t.u. edilizia, si
ritiene che la rilevanza giuridica del
condono straordinario si esaurisca
nell’ambito del rapporto pubblicistico,
senza estendersi ai rapporti fra privati,
essendo il condono rilasciato con salvezza
espressa dei diritti dei terzi (cfr. Cass.,
sez. un., 12.01.2007, n. 417); ne discende
che la presentazione di istanza di
sanatoria, con riguardo a costruzione
realizzata in violazione della disciplina
urbanistica, non implica la sospensione
della contesa promossa dal proprietario
confinante, per far valere, nel rapporto di
vicinato, gli effetti di detta violazione
(cfr. Cass. 07.02.1991, n. 1276).
Il compendio delle regole fin qui esaminate
consente:
a) all’autore dell’abuso di fruirne anche se
l’illecito consista nella violazione delle
distanze legali;
b) al comune di disinteressarsi delle
relative vicende, fermo restando che il
terzo leso potrà ottenere satisfattiva
tutela davanti al giudice civile non subendo
alcun pregiudizio dal rilascio del titolo
(cfr., da ultimo, Cons. Stato, sez. IV,
30.12.2006, n. 8626).
Coerentemente si ritiene possibile
accogliere le istanze di sanatoria di opere
edilizie che creano limitazioni di tipo
urbanistico alle proprietà finitime qualora
le eventuali limitazioni di tipo urbanistico
o regolamentare possano essere rimosse
attraverso la disponibilità del vicino o del
condominio a cedere in uso o in vendita
porzioni di terreno (o di parti comuni di
edificio), oppure mediante stipula da parte
degli stessi proprietari confinanti di atti
di asservimento di dette aree al lotto
contiguo, o ancora attraverso la creazione
di servitù permanente; non vi sono dubbi,
infatti, che il nostro ordinamento giuridico
riconosce un potere dispositivo alle parti
in ordine alle norme in materia di distanze
tra edificazioni e fra queste ed i confini,
potendo i privati rinunciare al diritto di
pretendere l’osservanza delle norme in
materia (cfr. Cons. giust. amm., sez. cons.,
16.07.1996, n. 467/1996).
In definitiva, la giurisprudenza del
Consiglio di Stato, superando l’indirizzo
precedente che affermava la totale
indifferenza delle ragioni privatistiche
rispetto alla legittimità dei provvedimenti
edilizi, è oggi allineata nel senso che
l’amministrazione, quando venga a conoscenza
dell’esistenza di contestazioni sul diritto
del richiedente il titolo abilitativo, debba
compiere le indagini necessarie per
verificare la fondatezza delle
contestazioni, precisando anche che, se il
richiedente non sia in grado di fornire
elementi seri a fondamento del suo diritto,
l’amministrazione non deve rilasciare il
provvedimento abilitativo (Cons. Stato, sez.
IV, 08.06.2007, n. 3027; sez. V, 07.07.2005,
n. 3730)
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 08.11.2011 n. 5894 -
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EDILIZIA PRIVATA: Alla
richiesta di sanatoria edilizia (condono) e
agli adempimenti relativi possono
provvedere, non solo «coloro che hanno
titolo, ai sensi della l. 28.01.1977 n. 10,
a richiedere la concessione edilizia o
l’autorizzazione» (oggi i soggetti indicati
dall’art. 11 t.u. edilizia), ma anche,
«salvo rivalsa nei confronti del
proprietario, ogni altro soggetto
interessato al conseguimento della sanatoria
medesima», la sanatoria, quindi, sarebbe
fungibile ratione persona rum, ma a
condizione che sia acquisito in modo univoco
il consenso comunque manifestato dal
proprietario.
La sezione deve stabilire se siano
rinvenibili regole peculiari, in punto di
legittimazione attiva, all’interno della
speciale normativa che, nel tempo, ha
disciplinato il c.d. condono edilizio
straordinario.
La norma base è quella sancita dall’art. 31,
co. 3, l. n. 47 del 1985 (sostanzialmente
richiamata dalla successiva legislazione in
materia di condoni edilizi straordinari),
secondo cui: <<Alla richiesta di
sanatoria ed agli adempimenti relativi
possono altresì provvedere coloro che hanno
titolo, ai sensi della L. 28.01.1977, n. 10,
a richiedere la concessione edilizia o
l'autorizzazione nonché, salvo rivalsa nei
confronti del proprietario, ogni altro
soggetto interessato al conseguimento della
sanatoria medesima>>.
Secondo un primo, più rigoroso indirizzo,
che svaluta la portata letterale del
riferimento normativo a <<ogni altro
soggetto interessato al conseguimento della
sanatoria medesima>>, la legittimazione
a chiedere il condono spetterebbe
esclusivamente a chi abbia diritto al
rilascio di un ordinario titolo edilizio
(cfr. da ultimo Cons. St., sez. VI,
25.03.2011, n. 1842, fattispecie relativa ad
occupante di fatto di area demaniale, privo
di qualsivoglia titolo abilitativo, che è
stato ritenuto privo della legittimazione a
chiedere il condono dell’immobile realizzato
abusivamente; sez. IV, 27.10.2009, n. 6545).
Secondo la tesi diametralmente opposta
(sostenuta da buona parte della dottrina e
dalla giurisprudenza di primo grado, cfr.
Tar Puglia, Lecce, sez. III, 09.07.2011, n.
1057), che fa leva sul tenore letterale
della norma e sulla indisponibilità degli
effetti penali favorevoli del condono da
parte del proprietario dell’immobile, <<è
possibile procedere al condono senza il
consenso ed anche contro la volontà del
proprietario del bene oggetto del
procedimento di sanatoria>>.
Una tesi intermedia, invece, ritiene
che alla richiesta di sanatoria e agli
adempimenti relativi possono provvedere, non
solo «coloro che hanno titolo, ai sensi
della l. 28.01.1977 n. 10, a richiedere la
concessione edilizia o l’autorizzazione»
(oggi i soggetti indicati dall’art. 11 t.u.
edilizia), ma anche, «salvo rivalsa nei
confronti del proprietario, ogni altro
soggetto interessato al conseguimento della
sanatoria medesima», la sanatoria,
quindi, sarebbe fungibile ratione persona
rum, ma a condizione che sia acquisito
in modo univoco il consenso comunque
manifestato dal proprietario (cfr. Cons.
St., sez. IV, 26.01.2009, n. 437; sez. IV,
22.06.2000, n. 3520, secondo la quale, però,
la riduzione della misura dell’oblazione
prevista dall’art. 34 l. n. 47 cit., essendo
calcolata in base al solo criterio
funzionale della destinazione economica
delle opere, opererebbe esclusivamente
ratione rei).
In quest’ottica:
a) è stata considerata sufficiente
l'avvenuta sottoscrizione, da parte di un
soggetto, di un atto di impegno ad
acquistare il locale interessato alla
sanatoria (cfr. Cons. St., sez. VI,
27.06.2008, n. 3282);
b) è stato ritenuto indispensabile, in caso
di dissidio fra proprietari perché le opere
di cui si chiede il condono incidono sul
diritto di alcuni di essi, che l’istruttoria
della pratica ed il provvedimento finale
diano conto della verifica della
legittimazione del soggetto richiedente
(cfr. Cons. giust. amm. 03.06.2009, n.
84/2009);
c) è stato considerato inapplicabile
l’istituto del condono, laddove l’abuso sia
realizzato dal singolo condomino su aree
comuni, in assenza di ogni elemento di prova
circa la volontà degli altri comproprietari,
atteso che, diversamente opinando,
l’amministrazione finirebbe per legittimare
una sostanziale appropriazione di spazi
condominiali da parte del singolo condomino,
in presenza di una possibile volontà
contraria degli altri, i quali potrebbero
essere interessati all’eliminazione
dell’abuso anche in via amministrativa e non
solo con azioni privatistiche (cfr. Cons.
St., sez. VI, 27.06.2008, n. 3282).
A tale tesi intermedia aderisce il collegio,
precisando che essa appare preferibile
perché:
d) non è incompatibile col dato testuale
della norma;
e) dal punto di vista sistematico appare in
maggior sintonia con il quadro generale dei
principi che governano il micro ordinamento
di settore (illustrati al precedente par.
13.3.1.);
f) la disponibilità degli effetti penali del
condono non è rimessa all’arbitrio del
proprietario in quanto, a mente dell’art.
39, l. n. 47 del 1985, l’effettuazione
dell’oblazione, qualora le opere non possano
conseguire la sanatoria, estingue comunque i
reati; invero, il perfezionamento della
fattispecie estintiva del reato non è
condizionato dagli accertamenti di merito
dell’autorità amministrativa relativi alla
sussistenza dei requisiti oggettivi e
soggettivi del condono, ma a diversi
parametri del cui vaglio è investito il
giudice penale (cfr. Cass. pen., sez. III,
08.03.2000, n. 5031)
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 08.11.2011 n. 5894 -
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AMBIENTE-ECOLOGIA:
RIFIUTI – Abbandono - Ente
proprietario o gestore della strada –
Rifiuti abbandonati sull’area di sedime
della strada – Rifiuti depositati nelle
vicinanze della strada – Differenza.
L'Ente proprietario (e, in sua vece, l’Ente
gestore) della strada ha l'obbligo di
provvedere alla pulizia della stessa in modo
da non creare danno o pericoli alla
circolazione; pertanto spetta alla detta
P.A. procedere alla raccolta dei rifiuti
abbandonati da terzi “sull'area di sedime
della strada stessa” a prescindere dalla
sussistenza dell'elemento soggettivo del
dolo o della colpa del detto proprietario
(Cfr. Cons. Stato Sez. IV 18.06.2009 n.
4005).
La soluzione è invece diversa allorché si
tratti di rifiuti solidi non pericolosi
abusivamente depositati nelle “vicinanze”
dell'area stradale e non risulti
riscontrabile né tanto meno denunciato alcun
profilo soggettivo di dolo o quanto meno di
colpa in capo all' Ente proprietario o
gestore (TAR Campania, Napoli, V,
05.12.2008, n. 21013).
RIFIUTI – Abbandono –
Art. 192 d.lgs. n. 152/2006 – Sanzione
amministrativa di tipo reintegratorio –
Adozione anche in assenza di urgenza –
Responsabilità dell’autore del fatto di
discarica o immissione abusiva –
Proprietario dell’area – Imputabilità a
titolo di dolo o colpa.
L’art. 192 d.lgs. n. 152/2006 (per la sua
esegesi, cfr. Cons. Stato, V, 25.08.2008, n.
4061) ha introdotto una sanzione
amministrativa di tipo reintegratorio,
potendo essere adottata anche in assenza di
una situazione in cui sussista l’urgente
necessità di provvedere con efficacia e
immediatezza (TAR Veneto, III, 29.09.2009,
n. 2454) e avente a contenuto l’obbligo di
rimozione, di recupero o di smaltimento e di
ripristino a carico del responsabile del
fatto di discarica o immissione abusiva, in
solido con il proprietario e con i titolari
di diritti reali o personali di godimento
sull’area ai quali tale violazione sia
imputabile a titolo di dolo o di colpa; la
norma, pertanto, ai fini dell’imputabilità
della condotta del divieto di abbandono e di
deposito incontrollato di rifiuti sul suolo,
richiede, a carico del proprietario o dei
titolari di diritti reali o personali sul
bene, un comportamento titolato di dolo o
colpa, così come richiesto per l’autore
materiale, mentre le conseguenze
sanzionatorie connesse alla violazione del
divieto di abbandono incontrollato di
rifiuti sul suolo o nel suolo sono accollate
anche al proprietario dell’area, ma ciò solo
nel caso in cui la violazione sia a lui
imputabile a titolo di dolo o di colpa (ex
multis, TAR Calabria, Catanzaro, I,
20.10.2009, n. 1118; Cons. Stato, V,
19.03.2009, n. 1612; TAR Sardegna,
18.05.2007, n. 975; 19.09.2004, n. 1076; TAR
Puglia, Bari, 27.02.2003, n. 872; TAR
Lombardia, Milano, I, 26.01.2000, n. 292).
RIFIUTI – Abbandono –
Comuni – Imposizione autoritativa al gestore
della strada di obblighi di facere a fini di
sicurezza della circolazione – Potere –
Esclusione.
Nessuna norma di legge nel settore specifico
della viabilità attribuisce ai Comuni il
potere di assicurare la pulizia delle strade
imponendo autoritativamente obblighi di
facere al gestore al fine di garantire "la
sicurezza e la fluidità della circolazione",
né un tal potere può desumersi
implicitamente dalla natura del Comune quale
ente locale a fini generali atteso che tra
gli interessi pubblici affidati alla cura
dei comuni non v'è anche quello di garantire
la sicurezza e la fluidità della
circolazione delle strade.
RIFIUTI – Abbandono –
Art. 14, cc. 1 e 3 Codice della Strada –
Attività ordinarie e straordinarie
naturalmente connesse alla gestione della
sede stradale.
E’ illegittimo l'ordine di rimozione dei
rifiuti rivolto al proprietario della strada
in assenza di adeguata istruttoria e di
idonea motivazione circa l'imputabilità
soggettiva di una qualche condotta attiva od
omissiva che abbia anche solo agevolato la
violazione del divieto di abbandono di
rifiuti, beninteso che dall'ente gestore
sono piuttosto esigibili, ai sensi del
combinato disposto dei commi 1 e 3 dell’art.
14 del Codice della strada, solo le attività
ordinarie e straordinarie naturalmente
connesse alla gestione della sede stradale
(a titolo di mero quanto non esaustivo
esempio: manutenzione dell'asfalto, della
segnaletica orizzontale e verticale, delle
eventuali infrastrutture a corredo, potatura
degli arbusti prospicienti e delle aiuole
divisorie e pulizia connessa, eliminazione
di pericoli, ect.) (TAR Campania-Napoli,
Sez. V,
sentenza 04.11.2011 n. 5114
- massima tratta da www.ambientediritto.it -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Sempre a pena di esclusione le
formalità di partecipazione che evitano
favoritismi.
E' legittima la clausola di un bando di
concorso, per titoli ed esami, per
l'assunzione a tempo indeterminato alle
dipendenze della P.A., secondo cui i
documenti rappresentativi dei titoli
posseduti dai concorrenti devono essere
prodotti, unitamente alla domanda di
partecipazione, ma in un plico chiuso e
separato.
La segnalata pronuncia affronta la tematica
della legittimità di una clausola
escludendi di un bando di concorso
relativa alle modalità di presentazione
della domanda partecipativa.
Nello specifico, il ricorrente, partecipante
a un concorso pubblico per l’assunzione a
tempo indeterminato alle dipendenze di una
P.A., ha impugnato la deliberazione con cui
la Commissione di valutazione ha provveduto
alla pubblicazione della graduatoria e alla
nomina dei vincitori della predetta
selezione.
In primis, ha assunto che uno dei vincitori,
nella busta contenente la domanda di
partecipazione, avrebbe inserito i propri
titoli in modo sciolto e libero e non, come
(implicitamente) previsto a pena di
esclusione dall’art. 8 del bando, in plico
chiuso.
Prosegue, indi, lamentando un’errata
valutazione dei propri titoli per i quali
sarebbe stato inesattamente attribuito un
punteggio inferiore rispetto a quello che,
suo dire, avrebbe dovuto vedersi assegnare
con conseguente diritto alla nomina.
Nelle more del giudizio, tuttavia, la
Commissione esaminatrice del concorso ha
proceduto a un riesame delle posizioni del
ricorrente e del controiteressato
pervenendo, in particolare, alla modifica in
melius dei punteggi attribuiti a
quest’ultimo e, comunque, confermando
l’ordine della graduatoria originariamente
approvata.
Il ricorso è stato accolto.
Il Collegio di Napoli, con riferimento
all’eccepita illegittima ammissione del
controinteressato-vincitore alla procedura
de qua, ha rilevato come il ricorrente ha
fondato l’assunto sulla violazione dell’art.
8 del bando di concorso secondo cui, nella
stessa busta contenente la domanda di
partecipazione al concorso, il candidato
avrebbe dovuto inserire in un plico chiuso
tutta la documentazione relativa ai titoli
posseduti; invero, il controinteressato
aveva racchiuso i documenti rappresentativi
dei propri titoli in modo sciolto e libero.
Orbene, l’eccepita illegittimità
dell’inclusione del controinteressato è
stata pienamente condivisa dall’adito TAR
che, sul punto, ha ritenuto di evidenziare
la ratio sottesa al menzionato art. 8
del bando.
In disparte la considerazione per cui le
clausole di dubbia significazione e portata
debbono, per il principio di conservazione
dei valori giuridici, "interpretarsi nel
senso in cui possono avere qualche effetto
anziché in quello secondo cui non ne
avrebbero alcuno" (art. 1367), il
giudicante ha osservato come il controverso
adempimento era stato posto unicamente a
presidio e garanzia dell’imparzialità
dell’azione amministrativa e valeva ad
assicurare che la Commissione esaminatrice
non debordasse, in sede di determinazione
del valore da attribuire ai singoli titoli,
dai principi di logicità e imparzialità
(art. 97 Cost.), esercitando il relativo
potere in modo distorto e deformato.
In considerazione di tanto, il G.A. campano
ha compreso la ragione per la quale
l’Amministrazione chiedeva l’inserimento
nella stessa busta contenente la domanda di
partecipazione al concorso dei titoli
posseduti, da racchiudersi, però, in plico
separato.
La separatezza nella stessa busta delle due
entità, domanda e titoli, era evidentemente
preordinata al fine di assicurare che la
Commissione giudicatrice operasse la
graduazione dei punteggi “al buio”,
senza la previa conoscenza della paternità
dei titoli prodotti dai singoli candidati,
in modo tale da escludere in radice il
sospetto che la graduazione fosse
predeterminata in favore di taluni
candidati.
Cosi ricostruita la ratio della
clausola in parola, il Collegio ha ritenuto
che l’adempimento prescritto dal precetto
dovesse intendersi intrinseco alla logica
stessa dei concorsi che si svolgono anche
per titoli e consustanziale al relativo
meccanismo selettivo: una sorta di
precondizione, pertanto, imposta dalla
funzione, propria di tale meccanismo, di
mezzo di scelta del candidato più meritevole
Trattasi, del resto, di principio generale
nel sistema, costantemente applicato, a cui
risultano informate tutte le procedure
concorsuali e selettive di soggetti in base
a determinati titoli.
Di ciò evidentemente era ben consapevole
l’Amministrazione in sede di predisposizione
del bando del concorso in questione, al
punto da far ritenere superfluo inserire la
mancata osservanza della prevista formalità
nel novero delle cause di esclusione dal
concorso; sicché, la mancata osservanza del
predetto adempimento da parte di un
candidato, costituiva un irrimediabile
attentato alla segretezza e all’imparzialità
dell’agire amministrativo, rendendo inutile
comprendere l’ipotesi della sua inosservanza
nel novero delle cause di esclusione dal
concorso.
Alla stregua delle considerazioni svolte, il
Tribunale amministrativo ha concluso che il
controinteressato, avendo violato la
disposizione dell’art. 8 bando, non poteva
essere ammesso al concorso de quo e al
contrario doveva essere escluso dalla
partecipazione allo stesso.
Tuttavia, il G.A. di Napoli si è posto il
problema se la relativa, menzionata
invalidità avrebbe investito l’intero
concorso, comportandone l’annullamento
totale con conseguente sua rinnovazione,
oppure solo parziale, limitata cioè alla
declaratoria dell’illegittima ammissione al
concorso del controinteressato.
Il Collegio ha ritenuto corretta la
soluzione dell’annullamento parziale non
solo in applicazione del principio "utile
per inutile non vitiatur", ma anche e
soprattutto per il differente punto di
incidenza dell’accertata invalidità.
Mentre infatti la violazione da parte del
candidato della mancata chiusura in plico
chiuso dei titoli da lui prodotti, ha
rilevato come circostanza astrattamente
perturbatrice della volontà della
Commissione giudicatrice, nessun effetto
invalidante può annettersi alla stessa
anomalia sulla sorte del concorso (commento
tratto da www.ipsoa.it - TAR Campania-Napoli,
Sez. IV,
sentenza 12.10.2011 n. 4675 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI:
Affidamento pubblici servizi -
Interesse al ricorso - Sussiste anche
laddove il vantaggio non sia diretto ma
eventuale.
L'interesse al ricorso avverso l'affidamento
ad altro concorrente di un servizio pubblico
sussiste non solo nel caso in cui
dall'annullamento dell'atto impugnato derivi
al ricorrente un diretto e immediato
vantaggio (quale, ad esempio, lo scorrimento
in graduatoria e l'affidamento alla
ricorrente seconda classificata), ma anche
nel caso in cui il vantaggio sia successivo
ed eventuale (caducazione dell'intera gara e
rinnovo delle procedure di selezione ad
evidenza pubblica), dovendosi dichiarare
inammissibile il gravame solo laddove
risulti che la parte ricorrente non potrebbe
in nessun caso risultare aggiudicataria in
caso di accoglimento del ricorso e di
indizione di nuova procedura selettiva (TAR
Lombardia Milano, Sez. I, 16.12.2009 n.
5357)
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza
31.08.2011 n.
2113 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
1. Onere immediata
impugnazione del bando di gara - Soltanto
ove sia impedita la possibilità di
partecipazione alla procedura selettiva;
2. Aggiudicazione basata
esclusivamente su criteri soggettivi dei
candidati e non correlati all'oggetto
dell'appalto - Illegittimità - Preferenze
per aree geografiche di operatività dei
concorrenti - illegittimità.
1. Sussiste l'onere di immediata
impugnazione del bando soltanto nelle
ipotesi in cui sia impedita la
partecipazione formale o sostanziale alla
procedura selettiva da intendersi come
obiettiva impossibilità di presentare
un'offerta competitiva alla gara (TAR
Campania Napoli, sez. I, 14.01.2005,
n. 158, C.S. Sez. IV, 26.11.2009 n.
7442).
2. E' illegittima l'aggiudicazione disposta
dalla stazione appaltante basata unicamente
su criteri soggettivi dei candidati
(controlli effettuati nel passato su una
determinata area geografica, possesso di
attestazioni, abilitazioni, certificazioni),
senza alcuna correlazione con il concreto
svolgimento dei servizi oggetto dell'appalto
(Fattispecie nella quale il TAR ha
altresì rilevato che i criteri soggettivi a
base di gara, oltreché non pertinenti con
l'oggetto dell'appalto, risultavano
palesemente discriminatori, privilegiando i
concorrenti che avevano già operato in
Regione Lombardia e, in particolare, nella
Provincia di Pavia)
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza
31.08.2011 n.
2112 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Procedura di gara -
Apertura offerte tecniche in seduta
riservata - Illegittimità - Ratio.
E' illegittimo l'operato della commissione
di gara, da cui discende l'illegittimità
dell'intero procedimento di selezione, che
procede all'apertura delle offerte tecniche
in seduta privata senza la presenza dei
rappresentanti delle imprese che hanno preso
parte alla gara.
Come sottolineato dalla
giurisprudenza amministrativa, infatti, la
ratio che sorregge il divieto di aprire la
documentazione tecnica in seduta riservata è
quella di assicurare la massima trasparenza
della procedura selettiva in quanto i
concorrenti, senza una ricognizione pubblica
del contenuto documentale delle offerte, non
sarebbero garantiti dal pericolo di
manipolazioni successive delle offerte
proprie e di quelle altrui, eventualmente
dovute ad inserimenti, sottrazioni o
alterazioni di documenti (cfr., da ultimo,
Cons. Stato, Ad. Plen., 28.07.2011 n. 13)
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza
31.08.2011 n.
2110 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Annullamento in autotutela ex art. 21-octies
l. 241/1990 - Necessaria compresenza di
tutti i presupposti di legge: pubblico
interesse e termine ragionevole.
Il potere dell'amministrazione di disporre
l'annullamento in autotutela dei
provvedimenti amministrativi illegittimi ai
sensi dell' articolo 21-octies della legge
n. 241/1990 è subordinato non soltanto
all'accertamento delle ragioni di interesse
pubblico ma anche (e soprattutto) al
presupposto temporale che l'atto di
annullamento d'ufficio intervenga "entro un
termine ragionevole e tenendo conto degli
interessi dei destinatari e dei controinteressati"
(Fattispecie nella quale il TAR ha
disposto l'annullamento del decreto
rettorale che aveva annullato una prova
d'esame, sostenuta positivamente dal
ricorrente da oltre 5 mesi, su mero rilievo
del "contrasto con l'ordine delle
propedeuticità stabilite dal D.P.R.
28.02.1980 n. 135 e dal Consiglio di
Facoltà")
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza
29.07.2011 n.
2038 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI:
Servizi pubblici locali -
Partecipazione alla gara in ATI -
Corrispondenza sostanziale tra quote di
qualificazione e quote di partecipazione al
raggruppamento - Non è prevista dalla legge.
Il canone normativo di corrispondenza
sostanziale tra quote di qualificazione e
quote di partecipazione all'ATI e tra quote
di partecipazione e quote di esecuzione,
sancito nell'art. 37, comma 6, d.lgs. n. 163
del 2006 in materia di lavori, non è
estendibile agli appalti di servizi (per i
quali il nostro ordinamento non contempla un
rigido sistema normativo di qualificazione
dei soggetti esecutori) in cui è
riconosciuta alle amministrazioni
aggiudicatrici una più ampia discrezionalità
nell'individuazione dei requisiti di
capacità tecnica e nella correlazione di
questi con l'istituto del raggruppamento
d'imprese.
Ed infatti, l'art. 37 comma 4, del d.lgs. n.
163 del 2006 si limita a stabilire che le
ATI devono specificare le parti del servizio
che saranno eseguite da ciascun singolo
operatore, mentre il successivo art. 42
nulla dispone in merito al rapporto tra
requisiti di capacità tecnica e quota di
partecipazione all'associazione temporanea
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza
29.07.2011 n.
2037 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Concorsi pubblici - Procedure di selezione -
Sindacato giurisdizionale - Verifica
dell'attendibilità delle operazioni
concorsuali - Possibilità - Limiti.
Il sindacato giurisdizionale del Giudice
amministrativo in materia di procedure di
selezione nell'ambito dei concorsi pubblici
(nella fattispecie, per la nomina di
professori universitari di prima fascia) può
svolgersi anche con la verifica
dell'attendibilità delle operazioni tecniche
compiute dalla commissione esaminatrice,
rispetto alla correttezza dei criteri
utilizzati e applicati, con la precisazione
che resta comunque fermo il limite della
relatività delle valutazioni scientifiche,
potendo il giudice amministrativo censurare
la sola valutazione che si ponga al di fuori
dell'ambito dell'opinabilità, poiché
altrimenti all'apprezzamento
dell'Amministrazione sostituirebbe quello
proprio e altrettanto opinabile (cfr. da
ultimo: Cons. Stato, sez. VI, 30.06.2011, n. 3896; Cons. Stato, Sez. VI,
06.02.2009, n. 694 e Cons. Stato, Sez. VI,
04.09.2007, n. 4635)
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza
29.07.2011 n.
2036 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Procedura di gara - Errore
materiale nell'indicazione di un dato
numerico - Soccorso istruttorio ai sensi
dell'art. 46 del d.lgs. n. 163/2006 -
Necessità - Esclusione dalla gara -
Illegittimità.
In ossequio al principio del favor partecipationis contenuto nell'art. 46 del
d.lgs. n. 163/2006 (di portata ancora
maggiore nella formulazione risultante
all'esito delle modifiche apportante dal D.L.
n. 70/2011) laddove la commissione di gara
verifichi l'esistenza di un errore materiale
o di altra irregolarità sanabile essa non
può comminare l'esclusione dalla gara ma ha
l'onere di richiedere chiarimenti in ordine
al contenuto di un documento.
Ciò al fine di evitare che il numero dei
concorrenti possa restringersi per carenze
documentali di ordine formale e di orientare
l'azione amministrativa sulla concreta
verifica del possesso dei requisiti di
partecipazione in capo ai concorrenti
(Fattispecie nella quale il ricorrente era
stato illegittimamente escluso dalla
procedura selettiva per essere incorso in un
errore materiale nell'indicazione
dell'ammontare del fatturato annuo dovuto
all'errata apposizione di una virgola)
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza
12.07.2011 n.
1878 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Centrale di committenza - Scelta
di un'Amministrazione di aderirvi -
Facoltatività - Specifica motivazione
dell'interesse pubblico - Non sussiste.
L'applicazione della fattispecie
contrattuale della "Centrale di committenza"
è giuridicamente qualificabile come
contratto normativo e non postula un obbligo
di adesione, con l'effetto che la decisione
di aderire alla convenzione, resta pur
sempre una scelta con l'unica differenza che
non richiede da parte della amministrazione
che se ne avvale una specifica motivazione
dell'interesse pubblico che la sottende, in
quanto l'individuazione del miglior
contraente è avvenuta a monte nel rispetto
dei principi comunitari (TAR Campania
Napoli, sez. I, 04.11.2010, n. 22688).
In altri termini è l'ente che, nell'ambito
della sua autonomia e nell'esercizio di
un'attività non imposta ma consentita dalla
legge, assume la decisione di avvalersi o di
non avvalersi della convenzione con altri
enti (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 01.10.2010,
n. 7261)
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza
06.07.2011 n.
1819 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Gara pubblica - Aggiudicazione tramite
procedura negoziata senza previa
pubblicazione del bando - Art. 57 del D.lgs.
163/2006 - Tassatività delle ipotesi di
applicazione della procedura - Violazione - Caducazione di tutti gli atti di gara -
Necessità di indire nuova gara ad evidenza
pubblica.
E' principio consolidato che la procedura
disciplinata dall'art. 57 del D.Lgs.
163/2006 abbia portata derogatoria rispetto
alla regola secondo cui la procedura di
evidenza pubblica costituisce un
indispensabile presidio a garanzia del
corretto dispiegarsi della libertà di
concorrenza e della trasparenza dell'operato
delle amministrazioni (ex multis: Cons.
Stato, sez. VI, 28.01.2011, n. 642).
Ne
discende che l'utilizzo di tale modulo
procedurale, al di fuori delle ipotesi ivi
tassativamente previste, vizia in radice gli
atti posti in essere dall'Amministrazione
che se ne avvalga, che vanno, pertanto,
annullati con conseguente caducazione degli
atti a valle eventualmente adottati in
spregio all'ordinanza sospensiva, con
conseguente obbligo per la stazione
appaltante di provvedere ex novo
mediante indizione di procedura ad evidenza
pubblica
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza
06.07.2011 n.
1814 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
1. Bonifica di siti inquinati - Successione
di norme nel tempo - D.lgs. 22/1997 -
Applicabilità a tutte le situazioni di
inquinamento in atto al momento dell'entrata
in vigore - Sussiste - Limiti.
2. Bonifica di siti inquinati - Direttiva CE
2004/35 - Principio del contraddittorio -
Obbligo di partecipazione (e preventiva
audizione) al procedimento dell'operatore
diverso dal soggetto sui cui terreni devono
essere svolti gli interventi di bonifica -
Sussiste quale principio comunitario di
diretta applicazione.
1. Il Consiglio di Stato ha statuito che "le
previsioni del decreto Ronchi si applicano a
qualunque sito che risulti attualmente
inquinato, indipendentemente dal momento in
cui possa essere avvenuto il fatto o i fatti
generatori dell'attuale situazione
patologica" e che "la normativa in parola,
che peraltro presenta profili di continuità
sostanziale con le disposizioni pregresse,
trova applicazione a qualunque situazione di
inquinamento in atto al momento dell'entrata
in vigore del decreto legislativo", posto
che l'inquinamento dà luogo ad una
situazione di carattere permanente che
perdura fino a che non ne vengano rimosse le
cause (C.S. Sez. VI 09.10.2007, n. 5283,
pertinente una vicenda relativa ad una
raffineria per la quale ogni attività era
cessata fin dai primi anni 80).
2. In altra occasione il Consiglio di Stato,
pur negando la continuità normativa
dell'art. 17 del D.Lgs. n. 22/1997 con gli
artt. 2043 e 2058 c.c., ha ulteriormente
precisato che un divieto di applicazione
retroattiva del predetto art. 17 deve
intendersi riferito solo "ad un soggetto
estinto prima del 1997" (C.S. Sez. V
05.12.2008 n. 6055; contra TAR Toscana
Sez. II 01.4.2011, n. 573).
La giurisprudenza
nazionale ritiene che l'attività istruttoria
del procedimento di bonifica debba prevedere
la partecipazione del soggetto interessato
(TAR Friuli Venezia Giulia, 27.07.2001, n.
488), attesa l'onerosità degli obblighi
imposti (TAR Toscana Sez. II 06.07.2010, n.
2316).
La Corte di Giustizia CE (Grande Sezione,
sentenza 09.03.2010 nei procedimenti riuniti
C-379/08 e C-380/08), ha chiarito che,
mentre l'art. 7, n. 4, della direttiva
2004/35 obbliga l'autorità competente, in
qualunque caso, ad invitare le persone sui
cui terreni devono essere eseguite misure di
riparazione a presentare le loro
osservazioni, di cui essa deve tener conto,
lo stesso art. 7, in particolare il n. 2 del
medesimo, non contiene una formula analoga
riguardo all'operatore interessato dalle
misure di riparazione che detta autorità
programmi di imporgli. Tuttavia, il
principio del contraddittorio impone
all'autorità pubblica di sentire gli
interessati prima dell'adozione di una
decisione che li riguardi (v. punto 54).
Alla luce di ciò, benché un diritto
dell'operatore interessato ad essere
ascoltato in qualsiasi caso non sia stato
espressamente citato nell'art. 7, n. 2 della
direttiva 2004/35, si deve riconoscere che
questa disposizione non può essere
interpretata nel senso che, in sede di
definizione delle misure di riparazione,
l'autorità competente non sia tenuta ad
ascoltare detto operatore
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza
06.07.2011 n.
1808 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Richiesta di accesso agli atti - Verifica
della possibilità di lesioni nella sfera dei
privati - Possibilità di un Comune di
acquisire la registrazione della seduta
consiliare di altro Comune e di una nota -
Sussiste.
Per giurisprudenza costante la disciplina
sull'accesso ai documenti amministrativi è
volta a tutelare l'interesse alla
conoscenza, allo scopo di verificare la
possibilità di eventuali, future lesioni
della sfera dei privati (cfr. ex multis
TAR Lazio Roma, sez. III, 03.05.2011, n.
3825); deve considerarsi, quindi, meritevole
di tutela l'interesse di un Amministrazione
locale ad acquisire la documentazione
richiesta (registrazione della seduta
consiliare di altro Comune e copia della
nota dell'Autorità ove effettivamente
detenuta), trattandosi di corrispondenza
privata il cui contenuto è, in astratto,
potenzialmente lesivo dell'immagine del
Comune richiedente
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza
23.06.2011 n.
1699 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Partecipazione ad una gara pubblica -
Verifica dei requisiti ex art. 38 del D.lgs.
163/2006 - Dichiarazione di pendenza di un
procedimento per l'applicazione di una delle
misure ai sensi della L. 1423/1956 e L. 575/1965
- Soggetti tenuti alla dichiarazione -
Amministratori con rappresentanza e
Direttore tecnico - Ampliamento dei soggetti
tenuti alla dichiarazione - Possibilità -
Verifica delle funzioni sostanziali di tali
soggetti.
L'art. 38, comma 1, lett. b), del D.Lgs. n.
163/2006, individua i soggetti tenuti a
rilasciare la prescritta dichiarazione
(sull'eventuale pendenza di un procedimento
per l'applicazione di una delle misure ai
sensi della L. 1423/1956 e L. 575/1965) negli
amministratori muniti di poteri di
rappresentanza o nel direttore tecnico.
Parte della giurisprudenza (Cons. Stato,
Sez. V, n. 375/2009), ispirata dalla ratio
sottesa alla norma di verificare
l'affidabilità, complessivamente
considerata, dell'operatore economico che
andrà a stipulare il contratto di appalto
con la stazione appaltante, individuando
coloro che effettivamente sono in grado di
manifestare all'esterno al volontà
dell'azienda, ha ricercato, in via
interpretativa, di ampliare l'ambito di
applicazione della disposizione includendo
nel novero dei dichiaranti anche soggetti
che, pur non ricoprendo le specifiche
cariche indicate, siano, tuttavia, titolari
di ampi poteri decisionali tali da
consentire di determinare gli indirizzi di
gestione dell'impresa.
Secondo il richiamato
orientamento occorrerebbe quindi "avere
riguardo alle funzioni sostanziali del
soggetto, più che alle qualifiche formali,
altrimenti la ratio legis potrebbe venire
agevolmente elusa e dunque vanificata"
(Cons. Stato, Sez. VI n. 523/2007)
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza
23.06.2011 n.
1687 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Accesso ai documenti amministrativi -
Istanza di accesso - Oggetto determinato o
quanto meno determinabile - Necessità - Ratio.
La domanda di accesso agli atti
amministrativi deve avere un oggetto
determinato o quanto meno determinabile e
non può essere generica, dovendo riferirsi a
specifici documenti.
L'onere di
specificazione dell'oggetto della domanda di
accesso assolve infatti una duplice
funzione: quella di rendere possibile e non
eccessivamente oneroso per l'amministrazione
procedere all'esibizione dei documenti e
quella di consentire un'attenta valutazione,
documento per documento, in ordine alla
sussistenza di eventuali motivi ostativi e
di eventuali soggetti controinteressati che
possano interloquire sulla domanda
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza
22.06.2011 n.
1621 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Modifiche impianto radioelettrico - Titolo
abilitativo -DIA prevista dal Codice delle
Comunicazioni (d.lgs. n. 259/2003) -
Sostituibilità con la SCIA di cui all'art.
49, comma 4-bis, del D.L. 31.05.2010, n.
78 - Esclusione.
Per apportare le modifiche ad un impianto
radioelettrico preesistente mediante
installazione di apparati con tecnologia
UMTS è sufficiente la presentazione della
Denuncia di Inizio Attività (DIA), così come
previsto dall'art. 87-bis del D. Lgs.
259/2003 (c.d. Codice delle comunicazioni
elettroniche), non essendo necessaria la
presentazione della Segnalazione Certificata
di Inizio Attività (SCIA) di cui all'art.
49, comma 4bis, del D.L. 31.05.2010, n.
78, (conv. L. 122/2010).
Il Ministro per la Semplificazione, con la
nota P.C.M. del 16.09.2010, ha
chiarito che la SCIA si applica al DPR n.
380/2001 (c.d. Testo Unico dell'edilizia),
mediante il meccanismo della sostituzione
automatica nelle norme in esso contenute
della parola DIA con SCIA. Ciò però non
comporta, in mancanza di un'espressa
previsione legislativa, anche l'automatica
sostituzione nelle norme contenute nel
Codice delle comunicazioni elettroniche
della parola DIA con SCIA.
Ed infatti, i
titoli abilitativi previsti dal d.lgs. n.
259/2003 (autorizzazione e denuncia di
inizio attività), malgrado l'identità del nomen
con gli istituti previsti dal T.U.
dell'edilizia, sono del tutto autonomi ed
assolvono le diverse e esigenze proprie del
settore delle telecomunicazioni rispetto a
quelle dell'edilizia territoriale (cfr.
Cons. Stato, Sez. V, 15.07.2010, n. 4557)
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza
22.06.2011 n.
1610 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
INCARICHI PROGETTUALI:
Annullamento/revoca d'ufficio di
un incarico professionale - Giurisdizione
amministrativa - Sussiste.
Rientra nella giurisdizione del giudice
amministrativo la controversia avente per
oggetto l'annullamento d'ufficio o la revoca
di un incarico professionale di
progettazione e di direzione lavori, atteso
che la controversia non riguarda la validità
ed efficacia del contratto ma il legittimo
uso del provvedimento di autotutela (Nella
sentenza il Collegio dà tuttavia atto che si
registra in giurisprudenza un orientamento
di segno opposto cui lo stesso ha ritenuto
di non aderire, cfr. da ultimo C.G.A., Sez.
giur. 31.05.2011, n. 402)
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza
22.06.2011 n.
1606 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
CONSIGLIERI COMUNALI:
Consiglio comunale - Difetto di
costituzione - Impugnazione da parte dei
Consiglieri non presenti in sede di
deliberazione - Legittimità.
Per costante giurisprudenza amministrativa,
il Consigliere comunale è legittimato ad
impugnare le delibere del Consiglio in caso
di difetto di costituzione dell'assemblea,
trattandosi di un vizio rispetto al quale
egli non è in posizione equivalente rispetto
al quisque de populo, ma in una
posizione differenziata, che viene lesa
attraverso l'imputazione al Consiglio, di
cui è parte, di un'attività deliberativa che
gli è in realtà estranea, in quanto
realizzata in difetto di quorum
(cfr., TAR Lombardia Milano, Sez. I, n. 4523
del 2009)
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza
22.06.2011 n.
1604 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Contratti della p.a. - Gara -
Esclusione illegittima - Risarcimento del
danno patrimoniale - Presupposti - Onere
della prova - An e quantum del lucro
cessante (danno subìto) - Necessità -
Sussiste - Casistica e criteri.
In presenza di una domanda di risarcimento
del danno patrimoniale, è onere della parte
che la propone provare dettagliatamente e
con rigore non il solo an del danno ma anche
il quantum dello stesso, offrendo gli idonei
mezzi di prova e riversando in causa i
documenti da cui il Giudice possa trarre
elementi: il ricorso alla CTU, ovvero
l'indicazione di criteri risarcitori, da
parte del Giudice all'Amministrazione,
presuppongono entrambi che sia stata
raggiunta la prova e che debba procedersi
esclusivamente a fini liquidatori (Nella
specie, il TAR ha rigettato la domanda di
risarcimento del danno proposta dall'impresa
ricorrente illegittimamente esclusa dalla
gara, in quanto la stessa avrebbe dovuto
allegare ogni elemento utile ai fini della
determinazione, secondo criteri di
verosimiglianza, del costo derivante
dall'assunzione della fornitura, poiché solo
in tal modo esso avrebbe potuto essere
comparato all'offerta, al fine di dedurne il
margine effettivo di profitto, e
conseguentemente il lucro cessante)
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza
20.06.2011 n.
1580 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Contratti della p.a. - Bando di
gara - Carattere immediatamente escludente
di determinate clausole - Impugnazione
immediata - Legittima - Onere per l'impresa
di proporre una previa domanda di
partecipazione alla gara - Non sussiste -
Condizioni.
L'operatore che si veda precludere la
partecipazione alla gara, in forza di
clausole del bando che ne determinerebbero
la certa esclusione, è legittimato a
proporre immediato ricorso, senza che
sussista l'onere di proporre una previa
domanda di partecipazione alla procedura.
Tale principio trova, tuttavia, applicazione
a condizione che risulti pacifica la natura
assolutamente escludente delle clausole
impugnate giacché, in caso contrario, deve
trovare applicazione la regola generale,
secondo cui la legittimazione al ricorso si
radica in forma qualificata in capo alle
sole imprese che abbiano deciso di
partecipare alla gara. (Cfr., Cons. Stato,
Ad. Plen., 07.04.2011, n. 4)
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza
09.06.2011 n.
1493 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Contratti della
p.a. - Appalti - Bando - Sub criteri -
Indicazione - Ratio - Riduzione del margine
di discrezionalità della Commissione
giudicatrice.
La ratio dell'art. 83, comma 4, D.lgs. 12.04.2006, n. 163 -nello stabilire che il
bando di gara, per ciascun criterio di
valutazione prescelto, può prevedere, ove
necessario, sub-criteri e sub-pesi o
sub-punteggi- è rinvenibile nell'esigenza
di ridurre gli apprezzamenti soggettivi
della Commissione giudicatrice, garantendo
in tale modo l'imparzialità delle
valutazioni a tutela della par condicio tra
i concorrenti, i quali sono tutti messi in
condizione di formulare consapevolmente
un'offerta sulla base di elementi che,
conosciuti per tempo, possono orientare le
loro decisioni nella presentazione delle
offerte (Cfr., Cons. Stato, sez. III,
22.03.2011, n. 1749; Cons. Stato, sez. V,
01.10.2010, n. 7256)
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza
31.05.2011 n.
1386 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Omessa acquisizione dei
pareri di regolarità tecnica e contabile -
Illegittimità della delibera - Non sussiste
- Ratio.
La mancata acquisizione del parere di
regolarità contabile, ex art. 49 T.U.E.L.,
non comporta l'illegittimità della delibera,
avendo piuttosto lo scopo di individuare il
soggetto che formalmente assume la
responsabilità sul riscontro della
regolarità contabile della proposta di
provvedimento (Cfr., TAR Piemonte, sez. II,
29.06.1995, n. 373; TAR Campania Napoli,
sez. I, 08.04.2010, n. 1830)
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza
31.05.2011 n.
1385 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
1. Giustizia amministrativa - Organismo di
diritto pubblico - Procedure di vendita di
beni patrimoniali - Disciplina di evidenza
pubblica - Applicabilità - Giurisdizione -
Spetta al Giudice amministrativo.
2. Pubblica amministrazione - Contratti
della p.a. - Dichiarazione ex art. 38 D.lgs.
163/2006 - Omesso inserimento nel plico
dell'offerta - Costituisce mera irregolarità
sanabile - Condizioni.
1. Una volta qualificato il soggetto
appaltante quale organismo di diritto
pubblico, ne consegue l'assoggettamento alla
disciplina dell'evidenza pubblica non solo
in materia di appalti, ma anche nel diverso
caso di contratti attivi volti alla vendita
di un proprio bene patrimoniale, con
conseguente attrazione delle relative
controversie alla giurisdizione
amministrativa (Cfr., Cons. Stato, sez. VI,
19.05.2008, n. 2280).
2.
L'omesso inserimento della dichiarazione ex
art. 38, D.lgs. 12.04.2006, n. 163 nel plico
dell'offerta, qualora risulti pacifica
l'inesistenza di elementi preclusivi alla
partecipazione, integra una mera
irregolarità formale, sanabile ai sensi
dell'art. 46
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza
25.05.2011 n.
1324 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
1. Contratti
della p.a. - Appalto - Offerte - Verifica di
anomalia - Discrezionalità della p.a. -
Sussiste - Giudizio - Sindacabilità -
Limiti.
2. Contratti
della p.a. - Gara - Giudizio di anomalia
dell'offerta - Giustificazioni della p.a. -
Devono essere rese nel corso del
procedimento di verifica - Giustificazioni
formulate in sede processuale -
Inammissibilità.
1. L'ampia discrezionalità delle valutazioni
compiute dalla pubblica amministrazione
nell'esercizio dei poteri di verifica di
anomalia di un'offerta, non è assoluta
potendo le stesse essere sindacate in sede
giurisdizionale laddove emergano elementi
distonici tali da indurre a ritenere che il
potere valutativo attribuito sia stato
esercitato in contrasto con i canoni di
logicità, congruità, proporzionalità e
ragionevolezza. (Cfr., Cons. Stato, sez. V,
22.09.2009, n. 5642; id., sez. IV, 11.04.2007 n. 1658; id., sez. V, 20.09.2005 n. 4856; id., sez. VI,
07.09.2006 n. 5191).
2. Le giustificazioni delle offerte anomale
devono essere proposte nell'ambito del
procedimento amministrativo di verifica e
non possono essere articolate, per la prima
volta, nel corso del giudizio di
impugnazione. (Cfr., Cons. Stato, Sez. V, 18.09.2008, n. 4494)
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza
25.05.2011 n.
1320 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Responsabilità civile (extracontrattuale)
della p.a. - Danno da attività
provvedimentale illegittima - Elemento
soggettivo - Accertamento - Onere probatorio
del privato - Ricorso a presunzioni semplici
- Ammissibile - Possibilità per la p.a. di
dimostrare l'assenza di colpa per errore
scusabile - Sussiste - Presupposti.
Il particolare modo di atteggiarsi
dell'elemento psicologico, qualora il
soggetto agente sia una pubblica
amministrazione, non richiede al privato
danneggiato l'assolvimento di particolari
oneri probatori, potendosi, in ultima
analisi, risolvere nel richiamo o
nell'applicazione di presunzioni semplici di
cui all'art. 2727 cod. civ..
Residua,
tuttavia, all'Amministrazione la possibilità
di dimostrare che si è trattato di un errore
scusabile, configurabile in caso di
contrasti giurisprudenziali
sull'interpretazione di una norma, di
formulazione incerta di norme da poco
entrate in vigore, di rilevante complessità
del fatto (Cfr., Cons. Stato, sez. VI,
09.06.2008, n. 2751)
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza
25.05.2011 n.
1319 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Giudizio di legittimità -
Principio del "tempus regit actum" -
Applicabilità - Conseguenze.
Il procedimento amministrativo è regolato
dal principio del "tempus regit actum" in
forza del quale la legittimità di un
provvedimento deve essere valutata in
relazione alle norme vigenti al tempo in cui
lo stesso è adottato (Cfr., Cons. Stato,
sez. IV, 12.03.2009, n. 1458)
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza
25.05.2011 n.
1318 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
COMPETENZE GESTIONALI:
Circolazione stradale - Limitazioni del
transito di veicoli - Competenza del
dirigente (oltre che del Sindaco) ad
emettere i provvedimenti di cui agli artt. 6
e 7 del D.lgs. 30 aprile 1992, n. 285 -
Sussiste - Ragioni.
Rientrano nelle competenze dei dirigenti
anche i provvedimenti che gli articoli 6 e 7
del D.lgs. 30.04.1992, n. 285
attribuiscono espressamente al Sindaco,
trattandosi di atti che, per un verso, non
implicano l'esercizio di funzioni di
indirizzo e controllo politico
amministrativo, ma di gestione ordinaria e,
per altro verso, non rientrano nelle deroghe
di cui agli artt. 50 e 54 del D.lgs. 18.08.2000, n. 267
(Nella specie, la parte
ricorrente aveva eccepito l'incompetenza del
Comandante della Polizia Locale ad emettere
un'ordinanza di limitazione della
circolazione e della sosta dei veicoli nel
centro abitato per ragioni di sicurezza e di
ordinato flusso del traffico)
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza
25.05.2011 n.
1317 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
AGGIORNAMENTO AL 24.11.2011 |
ã |
UTILITA' |
EDILIZIA
PRIVATA: Lombardia,
Necessita aggiornare il costo di costruzione entro il
31.12.2011 il cui effetto sarà efficace a decorrere
dall'01.01.2012: ecco il fac-simile di determinazione (file
1 -
file 2).
ATTENZIONE:
se non si adotta la determinazione di aggiornamento entro la
suddetta scadenza per tutto il 2012 si dovrà
applicare il medesimo costo di costruzione vigente nell'anno
2011 (cfr. art. 48, comma 2, della L.R. n. 12/2005).
Alcune considerazioni:
ad oggi, il dato ufficiale ISTAT è quello relativo alla
variazione del mese di maggio 2011, mentre quello di giugno
2011 è ufficioso e, come tale, non utilizzabile.
Pertanto, si consiglia di adottare la
determinazione di aggiornamento del costo di costruzione,
per l'anno 2012, verso la fine di dicembre 2011
poiché è verosimile che entro il 31.12.2011 possa essere
pubblicato dall'ISTAT il dato ufficiale relativo a giugno
2011 ed avere, così, un valore maggiore (rispetto a maggio
2011) della variazione ISTAT per il calcolo del costo di
costruzione (e, quindi, non perdere soldi per le casse
comunali ...).
24.11.2011 - LA SEGRETERIA PTPL |
SINDACATI |
PUBBLICO IMPIEGO:
Benessere organizzativo, risorsa
dimenticata
(CGIL-FP di Bergamo,
nota 23.11.2011). |
QUESITI &
PARERI |
APPALTI:
Appalti pubblici e perdita di chances.
Per illegittima mancata aggiudicazione.
Domanda.
Nell'ipotesi di illegittima mancata
aggiudicazione di un appalto pubblico, cosa
si intende per perdita di chances?
Risposta.
Nell'ipotesi di illegittima mancata
aggiudicazione di un appalto pubblico la
perdita di chances, aspetto della
responsabilità precontrattuale della P.A.
(diversamente dal danno futuro, che riguarda
un pregiudizio non attuale, ma soggetto a
ristoro purché certo e altamente probabile,
nonché ascrivibile ad una causa efficiente
già in atto) costituisce un danno attuale,
che non si identifica con la perdita di un
risultato utile, ma con quella della
concreta possibilità ovvero probabilità di
conseguirlo, e necessita, a tal fine, della
sussistenza di una situazione presupposta,
concreta ed idonea a consentire la
realizzazione del vantaggio sperato, da
valutarsi sulla base di un giudizio
prognostico e statistico, fondato sugli
elementi di fatto allegati dal danneggiato (22.11.2011
- commento tratto da www.ipsoa.it). |
DIPARTIMENTO
FUNZIONE PUBBLICA |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO:
Oggetto: art. 16, commi 9 e 10, d.l. n.
98 del 2011, convertito in l. n. 111 del
15.07.2011 - controllo sulle assenze dal
servizio per malattia dei dipendenti
pubblici (nota
21.11.2011 n. 56340 di prot.).
---------------
Malattia, controlli dopo il
permesso. La Funzione pubblica sul dl n.
98/2011.
L'obbligo di inviare il
medico fiscale per verificare lo stato di
malattia dei dipendenti pubblici scatta non
solo se questa inizia in un giorno
precedente o successivo a una giornata
festiva, ma anche in caso di malattia che è
iniziata dopo un giorno di ferie, di
permesso o di congedo.
Lo ha chiarito la Funzione pubblica, nel
testo del parere
di cui alla nota
21.11.2011 n. 56340 di prot., con il quale ha
fatto chiarezza in ordine alla portata delle
disposizioni recate dall'articolo 16, commi
9 e 10 del decreto legge n. 98/2011, in
materia di controllo delle assenze per
malattia da parte dei dipendenti pubblici.
Con le novità introdotte dalla disposizione
legislativa sopra riportata, le
amministrazioni pubbliche dispongono il
controllo delle assenze per malattie dei
dipendenti, valutando la condotta
complessiva del dipendente stesso, anche
alla luce dell'onerosità dell'invio del
medico fiscale al domicilio del dipendente
malato.
Ma la legge mette un paletto, ovvero che, in
ogni caso, allo scopo di porre un freno
all'assenteismo, il controllo del medico
fiscale va fatto se la malattia insorge in
un giorno immediatamente precedente o
successivo a una giornata non lavorativa.
Molte amministrazioni pubbliche hanno
chiesto indicazioni alla Funzione pubblica
sull'esatto significato di quest'ultimo
inciso. E Palazzo Vidoni ha precisato che la
ratio del legislatore è quella di
frenare il facile assenteismo. Quindi, la
giornata «non lavorativa», deve
intendersi non solo quella festiva o la
domenica, ma anche tutte quelle giornate in
cui, anche in relazione all'articolazione
dell'orario di lavoro del dipendente, oppure
perché lo stesso ha usufruito di ferie,
permessi o congedi, la prestazione
lavorativa non è stata fisicamente
effettuata nella sede di servizio.
Infine, aggiunge la nota, in relazione a
particolari tipologie di assenze quali
l'espletamento di esami, visite mediche o
diagnostiche, ai fini di un'eventuale
imputazione di tali assenze al regime della
malattia, sarà sufficiente l'attestazione
giustificativa rilasciata al dipendete dal
medico o dalla struttura sanitaria, anche
privata e questo «a prescindere dalla
circostanza che tali prestazioni sanitarie
siano connesse a una patologia in atto»
(articolo ItaliaOggi del 23.11.2011). |
GIURISPRUDENZA |
EDILIZIA PRIVATA: Corte
Costituzionale n. 309/2011: nessuna
demolizione e ricostruzione senza rispetto
della sagoma.
Nella seduta del 20.01.2010 della
Commissione V ^Territorio^ della Lombardia
il dott. Umberto Sala, alto funzionario
regionale, ebbe a dichiarare che "da
circa un anno sono intervenute sentenze dal
TAR di Milano e di Brescia che hanno
evidenziato un contrasto" la normativa
nazionale e quella lombarda in tema di
ristrutturazione, sull’assunto che la legge
dello Stato porrebbe -in punto ricostruzione
con vincolo di sagoma- una norma di
principio che le regioni non potrebbero
derogare. "Sarebbe auspicabile che il
TAR, pur continuando ad eccepire, rimettesse
la questione alla Corte Costituzionale",
concludeva il dirigente.
Il dott. Sala é stato accontentato. Non solo
-come noto- il TAR ha rimesso alla Corte la
questione nel settembre 2010, ma con
sentenza 23.11.2011 n. 309
questa ha dichiarato l'incostituzionalità:
1. dell’art. 27, comma
1, lettera d), ultimo periodo, della legge
della Regione Lombardia 11.03.2005, n. 12
(Legge per il governo del territorio), nella
parte in cui esclude l’applicabilità del
limite della sagoma alle ristrutturazioni
edilizie mediante demolizione e
ricostruzione;
2. dell’art. 103 della legge della Regione
Lombardia n. 12 del 2005, nella parte in cui
disapplica l’art. 3 del d.P.R. 06.06.2001,
n. 380 (Testo unico delle disposizioni
legislative e regolamentari in materia
edilizia) (testo A);
3. dell’art. 22 della legge della Regione
Lombardia 05.02.2010, n. 7 (Interventi
normativi per l’attuazione della
programmazione regionale e di modifica ed
integrazione di disposizioni legislative –
Collegato ordinamentale 2010),
confermando la fondatezza della eccezione di
illegittimità costituzionale sollevata dal
TAR Lombardia con l'ordinanza n. 5122 del
7.9.2010 (sul punto, v.
Ristrutturazione edilizia: e alla fine il
TAR ha rimesso alla Corte Costituzionale il
rito lombardo), ossia che non c'é
spazio per una definizione di
ristrutturazione edilizia diversa da quella
indicata dal legislatore nazionale
nell'articolo 3 del DPR 380/2011.
Sugli esiti della decisione della Corte sui
titoli rilasciati, v. La ristrutturazione
edilizia in Lombardia alla luce della l.r.
7/2010 di interpretazione autentica
dell'art. 27 l.r. 12/2005 pubblicato il
30.06.2010 all'indirizzo
www.studiospallino.it/interventi/ristrutturazione.htm
(link a http://studiospallino.blogspot.com).
---------------
... nel giudizio di legittimità
costituzionale degli artt. 27, comma 1,
lettera d), ultimo periodo, e 103 della
legge della Regione Lombardia 11.03.2005, n.
12 (Legge per il governo del territorio) e
dell’art. 22 della legge della Regione
Lombardia 05.02.2010, n. 7 (Interventi
normativi per l’attuazione della
programmazione regionale e di modifica ed
integrazione di disposizioni legislative –
Collegato ordinamentale 2010), promosso dal
Tribunale amministrativo regionale per la
Lombardia, Sez. II, nel procedimento
vertente tra C. B. ed altro e il Comune di
Besozzo con ordinanza del 07.09.2010,
iscritta al n. 364 del registro ordinanze
2010 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica n. 49, prima serie
speciale, dell’anno 2010.
...
2.
– La
questione è fondata.
2.1.
– Questa Corte ha già ricondotto
nell’ambito della normativa di principio in
materia di governo del territorio le
disposizioni legislative riguardanti i
titoli abilitativi per gli interventi
edilizi (sentenza n. 303 del 2003, punto
11.2 del Considerato in diritto): a fortiori
sono principi fondamentali della materia le
disposizioni che definiscono le categorie di
interventi, perché è in conformità a queste
ultime che è disciplinato il regime dei
titoli abilitativi, con riguardo al
procedimento e agli oneri, nonché agli abusi
e alle relative sanzioni, anche penali.
L’intero corpus normativo statale in ambito
edilizio è costruito sulla definizione degli
interventi, con particolare riferimento alla
distinzione tra le ipotesi di
ristrutturazione urbanistica, di nuova
costruzione e di ristrutturazione edilizia
cosiddetta pesante, da un lato, e le ipotesi
di ristrutturazione edilizia cosiddetta
leggera e degli altri interventi (restauro e
risanamento conservativo, manutenzione
straordinaria e manutenzione ordinaria),
dall’altro. La definizione delle diverse
categorie di interventi edilizi spetta,
dunque, allo Stato.
2.2.
– Tali categorie sono individuate
dall’art. 3 del d.P.R. n. 380 del 2001,
collocato nel titolo I della parte I del
testo unico, intitolato «Disposizioni
generali». In particolare, la lettera d)
del comma 1 di detto articolo include, nella
definizione di «ristrutturazione edilizia»,
gli interventi di demolizione e
ricostruzione con identità di volumetria e
di sagoma rispetto all’edificio
preesistente; la successiva lettera e)
classifica come interventi di «nuova
costruzione» quelli di «trasformazione
edilizia e urbanistica del territorio non
rientranti nelle categorie definite alle
lettere precedenti».
In base alla
normativa statale di principio, quindi, un
intervento di demolizione e ricostruzione
che non rispetti la sagoma dell’edificio
preesistente –intesa quest’ultima come la
conformazione planivolumetrica della
costruzione e il suo perimetro considerato
in senso verticale e orizzontale– configura
un intervento di nuova costruzione e non di
ristrutturazione edilizia.
A conferma di ciò non sta solo il dato
letterale dell’art. 3, comma 1, lettera d),
del d.P.R. n. 380 del 2001 –che fa
riferimento alla «stessa volumetria e
sagoma» dell’edificio preesistente e
ammette «le sole innovazioni necessarie per
l’adeguamento alla normativa antisismica –
ma vi è anche la successiva legislazione
statale in materia edilizia. L’art. 5, commi
9 e ss., del decreto-legge 13.05.2011, n. 70
(Semestre Europeo – Prime disposizioni
urgenti per l’economia), convertito, con
modificazioni, nella legge 12.07.2011, n.
106, infatti, nel regolare interventi di
demolizione e ricostruzione con ampliamenti
di volumetria e adeguamenti di sagoma, non
ha qualificato tali interventi come
ristrutturazione edilizia, né ha modificato
la disciplina dettata al riguardo dall’art.
3 del d.P.R. n. 380 del 2001.
2.3.
– La linea di distinzione tra le
ipotesi di nuova costruzione e quelle degli
altri interventi edilizi, d’altronde, non
può non essere dettata in modo uniforme
sull’intero territorio nazionale, la cui
«morfologia» identifica il paesaggio,
considerato questo come «la rappresentazione
materiale e visibile della Patria, coi suoi
caratteri fisici particolari, con le sue
montagne, le sue foreste, le sue pianure, i
suoi fiumi, le sue rive, con gli aspetti
molteplici e vari del suo suolo, quali si
sono formati e son pervenuti a noi
attraverso la lenta successione dei secoli»
(Relazione illustrativa della legge 11.06.1922, n. 778 «Per la tutela delle
bellezze naturali e degli immobili di
particolare interesse storico», Atti
parlamentari, Legislatura XXV, Senato del
Regno, Tornata del 25.09.1920).
Sul territorio, infatti, «vengono a
trovarsi di fronte» –tra gli altri– «due
tipi di interessi pubblici diversi: quello
alla conservazione del paesaggio, affidato
allo Stato, e quello alla fruizione del
territorio, affidato anche alle Regioni»
(sentenza n. 367 del 2007, punto 7.1 del
Considerato in diritto). Fermo restando che
la tutela del paesaggio e quella del
territorio sono necessariamente distinte,
rientra nella competenza legislativa statale
stabilire la linea di distinzione tra le
ipotesi di nuova costruzione e quelle degli
altri interventi edilizi.
Se il legislatore
regionale potesse definire a propria
discrezione tale linea, la conseguente
difformità normativa che si avrebbe tra le
varie Regioni produrrebbe rilevanti ricadute
sul «paesaggio […] della Nazione»
(art. 9 Cost.), inteso come «aspetto del
territorio, per i contenuti ambientali e
culturali che contiene, che è di per sé un
valore costituzionale» (sentenza n. 367
del 2007), e sulla sua tutela.
2.4.
– In conclusione, l’art. 27, comma 1,
lettera d), ultimo periodo, della legge
della Regione Lombardia n. 12 del 2005, come
interpretato dall’art. 22 della legge della
Regione Lombardia n. 7 del 2010, nel
definire come ristrutturazione edilizia
interventi di demolizione e ricostruzione
senza il vincolo della sagoma, è in
contrasto con il principio fondamentale
stabilito dall’art. 3, comma 1, lettera d),
del d.P.R. n. 380 del 2001, con conseguente
violazione dell’art. 117, terzo comma,
Cost., in materia di governo del territorio.
Parimenti lesivo dell’art. 117, terzo comma,
Cost., è l’art. 103 della legge della
Regione Lombardia n. 12 del 2005, nella
parte in cui, qualificando come «disciplina
di dettaglio» numerose disposizioni
legislative statali, prevede la
disapplicazione della legislazione di
principio in materia di governo del
territorio dettata dall’art. 3 del d.P.R. n.
380 del 2001 con riguardo alla definizione
delle categorie di interventi edilizi.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara l’illegittimità costituzionale
dell’art. 27, comma 1, lettera d), ultimo
periodo, della legge della Regione Lombardia
11.03.2005, n. 12 (Legge per il governo del
territorio), nella parte in cui esclude
l’applicabilità del limite della sagoma alle
ristrutturazioni edilizie mediante
demolizione e ricostruzione;
2) dichiara l’illegittimità costituzionale
dell’art. 103 della legge della Regione
Lombardia n. 12 del 2005, nella parte in cui
disapplica l’art. 3 del d.P.R. 06.06.2001,
n. 380 (Testo unico delle disposizioni
legislative e regolamentari in materia
edilizia) (testo A);
3) dichiara l’illegittimità costituzionale
dell’art. 22 della legge della Regione
Lombardia 05.02.2010, n. 7 (Interventi
normativi per l’attuazione della
programmazione regionale e di modifica ed
integrazione di disposizioni legislative –
Collegato ordinamentale 2010)
(Corte Costituzionale,
sentenza 23.11.2011 n. 309). |
VARI:
La lunga degenza estingue le
ferie. Sentenza della Corte di giustizia
europea.
È lecita la decadenza
dal diritto alla ferie per il lavoratore
assente per lungo tempo per malattia. La
norma o prassi nazionale (come i contratti
collettivi) che prevede tale deroga non è
contraria al diritto europeo.
Questo è quanto statuisce la Corte di
Giustizia CE con sentenza 22.11.2011 n.
C-214/10.
La vicenda riguarda la
normativa tedesca.
Prende vita dal ricorso di un lavoratore
dipendente che, assentatosi dal lavoro per
lungo tempo a causa di malattia prima di
divenire definitivamente inabile, aveva
visto negarsi il diritto all'indennità
sostitutiva delle ferie non godute nei tre
anni di assenza. Egli, in sostanza,
rivendicava il diritto all'indennità
sostitutiva delle ferie sostenendo di essere
stato privato della possibilità di
esercitare il diritto alle ferie annuali
retribuite a causa del lungo congedo di
malattia.
L'azienda presso cui lavorava invece, gli
aveva negato questo diritto dichiarando
estinto il diritto alle ferire annuali a
causa della malattia e, soprattutto, a
motivo della scadenza del periodo di
comporto di quindi mesi previsto dal
contratto collettivo.
La Corte Ue, adita dal giudice tedesco in
ordine alla compatibilità della normativa
nazionale con la direttiva
sull'organizzazione dell'orario di lavoro,
spiega che il diritto di ogni lavoratore
alle ferie annuali retribuite deve essere
considerato come un principio
particolarmente importante del diritto
sociale dell'Unione, al quale non si può
derogare e la cui attuazione da parte delle
autorità nazionali può essere effettuata
solo nei limiti esplicitamente indicati dal
medesimo diritto dell'Ue. Tuttavia, la Corte
di giustizia ha ritenuto legittima una
normativa nazionale che preveda la perdita
del diritto alle ferie annuali allo scadere
di un periodo di riferimento o di un periodo
di riporto, a condizione che il lavoratore
abbia effettivamente avuto la possibilità di
esercitare il suo diritto alle ferie.
Ciò al fine di tutelare, d'altra parte, il
datore di lavoro dal rischio di cumulo
troppo rilevante di periodi di assenza del
lavoratore e dalle difficoltà che queste
assenze potrebbero comportare per
l'organizzazione del lavoro. In conclusione,
dunque, la sentenza stabilisce che,
nell'ipotesi di un lavoratore inabile per
più periodo di riferimento consecutivi, non
è contraria al diritto Ue una norma o prassi
nazionale (i contratti collettivi) che,
prevedendo un periodo di riporto allo
scadere del quale si estingue, limitano il
cumulo dei diritti alle ferire annuali
retribuite (articolo
ItaliaOggi del 23.11.2011). |
EDILIZIA PRIVATA:
Impianti di telefonia mobile: non
occorre la concessione edilizia.
Gli impianti di
telefonia mobile non possono essere
assimilati alle normali costruzioni edilizie
in quanto normalmente non sviluppano
volumetria o cubatura, non determinano
ingombro visivo paragonabile a quello delle
costruzioni, non hanno un impatto sul
territorio paragonabile a quello degli
edifici in cemento armato o muratura.
Va rilevato
anzitutto che per l’installazione degli
impianti di telefonia mobile non occorre la
concessione edilizia e tantomeno alcuna
variante urbanistica e che la loro
collocazione deve ritenersi consentita
sull'intero territorio comunale, non
assumendo carattere ostativo le specifiche
destinazioni di zona (residenziale, verde,
agricola, etc.) rispetto appunto ad
infrastrutture di interesse generale che
presuppongono la realizzazione di una rete
capillare sul territorio, in quanto la loro
localizzazione nelle sole zone espressamente
e preventivamente individuate si porrebbe in
contrasto proprio con l'esigenza di
assicurare l’uniforme erogazione del
servizio (in tal senso, Cons. Stato, sez. VI,
10.02.2003, n. 673; C.G.A. ordinanza
28.06.2006, n. 543).
In particolare, il Collegio ritiene di
ribadire quanto affermato da questa Sezione
con la sentenza n. 1010 del 09.05.2006,
nella quale, nel riesaminare funditus
la dibattuta questione dei poteri comunali
in materia di installazione delle stazioni
radio base necessarie per fornire il sistema
di telefonia mobile nel territorio
nazionale, si è, in particolare, osservato
che, secondo un consolidato e condiviso
orientamento giurisprudenziale, gli impianti
di telefonia mobile non possono essere
assimilati alle normali costruzioni
edilizie, in quanto normalmente non
sviluppano volumetria o cubatura, non
determinano ingombro visivo paragonabile a
quello delle costruzioni, non hanno un
impatto sul territorio paragonabile a quello
degli edifici in cemento armato o muratura.
Trattasi, difatti, di strutture, che, per
esigenze di irradiamento del segnale, si
sviluppano normalmente in altezza, tramite
strutture metalliche, pali o tralicci,
talora collocate su strutture preesistenti,
su lastrici solari, su tetti, a ridosso di
pali. Tali caratteristiche peculiari
impongono, quindi, una valutazione separata
e distinta del fenomeno, che deve essere
compiuta con specifico riferimento alle
infrastrutture telefoniche, escludendosi la
legittimità di una estensione analogica di
una normativa edilizia concepita per altri
scopi e diretta a regolamentare altre forme
di utilizzazione del territorio (cfr., tra
le tante, Cons. Stato, VI, 26.08.2003, n.
4847; 24.11.2003, n. 7725, TAR Campania
Napoli, sez. I, 04.03.2005, n. 16110).
Sotto diverso profilo, va poi osservato che
la disciplina di riferimento -ratione
temporis- è contenuta nell’art. 8 della
legge 22.02.2001, n. 36, il quale recita: “1.
Sono di competenza delle regioni, nel
rispetto dei limiti dì esposizione, dei
valori di attenzione e degli obiettivi di
qualità nonché dei criteri e delle modalità
fissati dallo Stato, fatte salve le
competenze dello Stato e delle autorità
indipendenti: a) l'esercizio delle funzioni
relative all'individuazione dei siti dì
trasmissione e degli impianti per telefonia
mobile, degli impianti radioelettrici e
degli impianti per radiodiffusione, ai sensi
della legge 31.07.1997, n. 249, e nel
rispetto del decreto di cui all'articolo 4,
comma 2, lettera a), e dei principi
stabiliti dal regolamento di cui
all'articolo 5; b) … omissis; c) le modalità
per il rilascio delle autorizzazioni alla
installazione degli impianti di cui al
presente articolo, in conformità a criteri
di semplificazione amministrativa, tenendo
conto dei campi elettrici, magnetici ed
elettromagnetici preesistenti; d)… omissis.
6) i comuni possono adottare un regolamento
per assicurare il corretto insediamento
urbanistico e territoriale degli impianti e
minimizzare l'esposizione della popolazione
ai campi elettromagnetici.”
In relazione all’interpretazione di tale
norma il Consiglio di Stato, sez. VI, si è
già pronunciato più volte (cfr sentenze n.
2997 del 30.05.2003 e 03.06.2002, n. 3095)
affermando che “La fissazione di limiti
di esposizione ai campi elettromagnetici
diversi da quelli stabiliti dallo Stato (con
il d.m. 381 del 1998) non rientra
nell'ambito delle competenze attribuite ai
comuni dall'art. 8 l. 22.02.2001 n. 36. Ma
alla stregua della disposizione in esame
nemmeno è consentito che il comune,
attraverso il formale utilizzo degli
strumenti di natura edilizia-urbanistica,
adotti misure che nella sostanza
costituiscono una deroga ai predetti limiti
di esposizione fissati dallo Stato, quali ad
esempio il generalizzato divieto di
installazione delle stazioni radio-base per
la telefonia cellulare in tutte le zone
territoriali omogenee a destinazione
residenziale; ovvero di introdurre misure
che pur essendo tipicamente urbanistiche
(distanze, altezze, ecc..) non siano
funzionali al governo del territorio, quanto
piuttosto alla tutela della salute dai
rischi dell'elettromagnetismo.”
(TAR Sicilia-Palermo, Sez. II,
sentenza 11.11.2011 n. 2100 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Ordinanze contingibili e urgenti.
Le querce secolari non si toccano: neppure
dai Comuni.
Deve ritenersi illegittima un'ordinanza
contingibile e urgente con la quale il
Sindaco, per ragioni di asserita tutela
della pubblica e privata incolumità,
correlata alla sicurezza della circolazione
stradale, ha ordinato a un privato
l'immediato abbattimento di numerose querce
centenarie ubicate su una piccola strada
interpoderale, interessata da traffico
veicolare scarso e puramente locale.
Il ricorrente, deducendo la violazione degli
artt. 50 e 54, D.Lgs. n. 267/2000, ha
impugnato l’ordinanza con cui un Comune
aveva intimato di provvedere
all’abbattimento delle alberature ubicate
nel terreno in sua proprietà confinante con
una strada interpoderale con affaccio sulla
carreggiata stradale.
Accordata in sede cautelare la sospensione
dell’impugnato provvedimento, il ricorrente
con successiva memoria ha dato atto
dell’intervenuta esecuzione, nelle more,
dell’ordinanza di demolizione, rilevando
come, altresì, il legname risultante
dall’abbattimento era stato depositato su di
un terreno frontista peraltro senza
l’indicazione nemmeno delle generalità del
relativo proprietario.
Il ricorso è stato accolto in quanto
fondato.
Il TAR di Roma, in via preliminare, ha
dovuto prendere in considerazione gli
sviluppi intervenuti nelle more della
trattazione del merito, atteso che il Comune
aveva provveduto d’ufficio, in modo forzoso,
all’abbattimento di dodici delle querce
interessate dall’impugnata ordinanza.
Quest’ultima, difatti, era stata adottata
dal sindaco della civica P.A. in quanto le
querce avrebbero mostrato un’evidente
pericolosità essendo inclinate verso la
carreggiata e collocate in curva.
Tuttavia, è stato rilevato come il luogo su
cui insistevano gli alberi era una piccola
strada interpoderale, di interesse puramente
locale che, in quanto tale, era percorsa da
uno scarso traffico veicolare, fatta
eccezione per il primo tratto di cinquanta
metri, attesa la presenza di una casa di
riposo per anziani.
Il tratto interessato dall’ordinanza aveva
una lunghezza di circa 500 metri lineari e
sul relativo ciglio insistevano circa un
centinaio di querce secolari; con
l’impugnata ordinanza era stato disposto
l’abbattimento di una settantina di querce
di proprietà del ricorrente.
La pericolosità addotta da parte
dell’amministrazione comunale, infatti,
riguardava, da un lato, l’inclinazione delle
querce verso la carreggiata stradale e,
dall’altro, la collocazione in curva di
alcune delle stesse; circostanze, queste
ultime, che, a opinione del Collegio,
dovevano ritenersi sussistenti da lungo
tempo in considerazione dell’età delle
piante, nonché della conformazione del
tragitto stradale in questione.
Orbene, con riferimento all’impugnata
ordinanza sindacale, il giudicante ha
evidenziato che il richiamo all’art. 50 del
D.Lgs. n. 267/2000 avrebbe consentito
all’amministrazione (id est: Sindaco)
di emanare un’ordinanza contingibile e
urgente nel solo caso di emergenze sanitarie
e di igiene pubblica a livello locale,
ipotesi che, invero, non ricorrevano nella
specie.
Né è stato ritenuto correttamente effettuato
il richiamo alla norma di cui all’art. 29
del D.Lgs. n. 285/1992, Codice della strada,
atteso che l’invocata norma, rubricata "Piantagioni
e siepi", dispone testualmente che: “I
proprietari confinanti hanno l'obbligo di
mantenere le siepi in modo da non
restringere o danneggiare la strada o
l'autostrada e di tagliare i rami delle
piante che si protendono oltre il confine
stradale e che nascondono la segnaletica o
che ne compromettono comunque la leggibilità
dalla distanza e dalla angolazione
necessarie. Qualora per effetto di
intemperie o per qualsiasi altra causa
vengano a cadere sul piano stradale alberi
piantati in terreni laterali o ramaglie di
qualsiasi specie e dimensioni, il
proprietario di essi è tenuto a rimuoverli
nel più breve tempo possibile”.
Non è parso, dunque, che la menzionata
disposizione attribuisse al Sindaco i poteri
contingibili e urgenti dei quali, invece, lo
stesso ha fatto uso.
In secondo luogo, è stato precisato che la
norma tratta di "siepi" e di "rami
delle piante", ma non sembra
assolutamente consentire l’abbattimento
forzoso di un rilevante numero di querce
centenarie collocate lungo la carreggiata di
una stradina interpoderale nata seguendo il
percorso segnato dalla loro presenza, ma,
invece, soltanto, l’eventuale taglio, nella
ricorrenza dei relativi presupposti, dei
rami inclinati che compromettano, in qualche
modo, la sicura circolazione stradale; ma è
parso evidente che il taglio dei rami
protesi è operazione sostanzialmente diversa
dall’abbattimento in toto degli alberi
stessi.
Inoltre, è stato rilevato che, nonostante la
loro inclinazione, le querce che, nelle more
del giudizio, erano state effettivamente
abbattute in modo forzoso, non erano in
condizioni fitosanitarie tali da farne
dedurre la pericolosità ai fini della
sicurezza nella circolazione stradale.
Quanto, poi, alle motivazioni addotte da
parte dell’amministrazione concernenti
l’effettiva pericolosità derivante dalla
posizione delle querce, il TAR capitolino ha
evidenziato come di tale circostanza non vi
era traccia nella motivazione dell’impugnata
ordinanza, la quale si era limitata a
rinviare a un verbale di sopralluogo nel
quale l’amministrazione aveva esclusivamente
proceduto all’esatta individuazione e alla
segnalazione fisica delle querce delle quali
aveva ritenuto necessario disporre
l’abbattimento.
Infine, alcuna valenza è stata attribuita
all’ulteriore argomentazione
dell’amministrazione comunale, incentrata
sul disposto di cui all’art. 26 del C.d.S.,
nella parte in cui individua una distanza
minima di sei metri delle alberature dal
ciglio della strada extraurbana; infatti, in
disparte la considerazione che la menzionata
norma non era stata puntualmente richiamata
in seno all’impugnata ordinanza né
l’ordinanza era stata specificatamente
fondata sul suo contenuto dispositivo,
l’adito G.A. ha comunque ritenuto che la
norma invocata non poteva trovare
applicazione con riferimento ad alberature
secolari preesistenti all’entrata in vigore
della stessa (commento tratto da
www.ipsoa.it - TAR Lazio-Roma, Sez. II-ter,
sentenza 17.10.2011 n. 7991 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
AGGIORNAMENTO AL 23.11.2011 |
ã |
dite la vostra
... RICEVIAMO E PUBBLICHIAMO |
URBANISTICA:
Breve replica al commento di
Roberto Pagliaro del 15.11.2011.
Ho letto il commento di Roberto Pagliaro
sull'incontro del 2 novembre scorso, un
commento che merita una replica, anche
perché ruota attorno ad alcune
incomprensioni di quanto detto o, almeno,
voluto dire: non è vero che, “dal punto
di vista penale ed amministrativo, gli
avvocati ritengono -tutto sommato-
tollerabile questo modo di fare”.
Infatti: a mio giudizio, ... (... continua
cliccando qui) (22.11.2011
- Avv. Mario Viviani). |
DOTTRINA E
CONTRIBUTI |
EDILIZIA PRIVATA: L.
Spallino,
Parziali difformità ex art. 34 TUE: la
soglia del 2% secondo il DL Sviluppo
(link a http://studiospallino.blogspot.com).
---------------
Ecco un primo contributo
sul novellato
comma 2-ter dell'art. 34 del DPR n. 380/2011
che tanto sta facendo tribolare gli Uffici
Tecnici Comunali.
Prossimamente, dovrebbero seguire altri due
interventi (sempre di avvocati) che potranno
contribuire a "schiarire" le idee agli addetti
ai lavori.
23.11.2011 - LA SEGRETERIA PTPL |
AMBIENTE-ECOLOGIA -
EDILIZIA PRIVATA:
G. Forleo,
Il materiale da costruzione e demolizione e
la normativa sui rifiuti (link a
www.lexambiente.it). |
CORTE DEI
CONTI |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO:
Compensi ISTAT fuori dal blocco del fondo
risorse decentrate.
La Corte dei Conti Sez. Reg.le Lombardia,
con
parere 15.11.2011 n. 607,
conferma quanto già espresso con propria
precedente n. 550/2011 e quindi che le
risorse ISTAT, nel loro complesso, risultano
escluse dai vincoli di contenimento della
spesa di personale (tratto da www.publika.it). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO:
Unioni e assunzione a tempo determinato ex
art. 110 TUEL.
La Corte dei Conti, Sez. Reg.le Emilia
Romagna, con
parere
10.11.2011 n. 111, stabilisce
quanto segue:
"...le Unioni di Comuni, enti non
assoggettati alle regole del patto di
stabilità interno, anche a seguito dell'adozione
del predetto decreto ministeriale (si veda
art. 1 D.Lgs. 141/2011), potranno procedere
al conferimento di incarichi dirigenziali ex
articolo 110, comma 1, TUEL nei limiti della
percentuale dell'8% prevista dall'articolo
19, comma 6, d.lgs. 165/2001 (cfr. SS.RR. 12
e 13 del 2011)" (tratto da www.publika.it). |
SINDACATI |
ENTI LOCALI:
Unioni di comuni e servizi in
convenzione: ricorso alla Corte
Costituzionale della regione Lombardia
(CGIL-FP di Bergamo,
nota 21.11.2011). |
GURI - GUUE -
BURL (e anteprima) |
AMBIENTE-ECOLOGIA: B.U.R.
Lombardia, serie ordinaria n. 47 del
21.11.2011, "Modalità, contenuti e
tempistiche per la compilazione
dell’applicativo O.R.SO. (osservatorio
rifiuti sovraregionale) relativo alla
raccolta dei dati di produzione e gestione
dei rifiuti urbani e dei rifiuti gestiti
dagli impianti in Regione Lombardia – Nuove
disposizioni" (deliberazione
G.R. 16.11.2011 n. 2513). |
AMBIENTE-ECOLOGIA: B.U.R.
Lombardia, serie ordinaria n. 47 del
21.11.2011, "Atto di indirizzi, ai sensi
del comma 3 dell’articolo 19 della l.r.
12.12.2003, n. 26 in materia di
programmazione della gestione dei rifiuti"
(deliberazione
C.R. 08.11.2011 n. 280). |
AMBIENTE-ECOLOGIA: B.U.R.
Lombardia, serie ordinaria n. 47 del
21.11.2011, "Aggiornamento delle tariffe
dei diritti di escavazione - Art. 25, l.r.
n. 14/1998" (deliberazione
C.R. 08.11.2011 n. 279). |
QUESITI &
PARERI |
EDILIZIA PRIVATA: Enti
locali e vincolo paesaggistico.
Domanda.
I comuni hanno un potere pregnante in ordine
all'imposizione di vincoli paesaggistici da
parte del ministero dei beni culturali e
delle attività culturali?
Risposta.
È vero che lo stato, alla luce del principio
di leale collaborazione e cooperazione, di
cui alla riforma del titolo V della
costituzione (articoli 114 e seguenti),
prima di imporre un vincolo paesaggistico,
deve svolgere adeguate consultazioni con le
autonomie locali cointeressate. Questo
principio trova riscontro sia negli articoli
138 e 139 del decreto legislativo 22.01.2004, numero 42, concernenti il procedimento
di dichiarazione di notevole interesse
pubblico, sia nell'articolo 144 del citato
decreto legislativo 22.01.2004, numero
42, riguardo al procedimento di formazione
ed approvazione dei piani paesaggistici. In
questi casi è prevista la consultazione
degli enti locali territoriali.
Però, nel caso del procedimento speciale
previsto dall'articolo 138, comma 3, del
decreto legislativo 22.01.2004, numero
42, per l'apposizione del vincolo
paesaggistico, non è stato previsto dal
legislatore il coinvolgimento del comune o
dei comuni interessati. In questa ipotesi
la legge prevede che il ministero dei beni
culturali e delle attività culturali deve
chiedere soltanto il parere della regione o
delle regioni interessate. Detto parere deve
essere espresso entro il termine di trenta
giorni dalla richiesta.
In merito, è da sottolineare che la Corte
costituzionale con la sentenza numero 88 del
2009, ha affermato che quando il legislatore
ha previsto la partecipazione della regione,
con la previsione del «previo parere», al
procedimento, l'acquisizione di detto parere
viene a porre il provvedimento al riparo
dalle denunce di violazione della leale
collaborazione, di cui sopra.
Ora, il procedimento di cui al citato
articolo 138, comma 3, del decreto
legislativo 22.01.2004, numero 42,
caratterizzato da autonomia e specialità,
non impone al ministero dei beni culturali e
delle attività culturali di procedere
«previa intesa». Peraltro, l'articolo 133
del decreto legislativo numero 63, del 2008,
richiama il rapporto cooperativo
ministero-regioni, mentre «gli altri enti
pubblici territoriali conformano la loro
attività di pianificazione agli indirizzi di
cui ai precedenti commi» (cfr. art. 133,
citato, comma 3).
Il lettore può consultare anche la sentenza
del 10.11.2010, n. 33365, del Tar
del Lazio, sezione II-quater, nonché la
sentenza del consiglio di stato, sezione VI,
del 04.08.2008, numero 3895
(Quesitario ItaliaOggi
Sette del 21.11.2011). |
EDILIZIA PRIVATA: Vincoli
paesaggistici su aree di vasta estensione.
Domanda.
Si chiede se in tema di imposizione di
vincoli paesaggistici il ministero dei beni
culturali e delle attività culturali abbia o
meno un potere autonomo, che non preveda
limiti di intervento.
Risposta.
Il tribunale regionale amministrativo (Tar)
del Lazio, sezione II-quater, con la
sentenza del 10.11.2010, n. 33365,
ha affermato che il potere previsto
dall'articolo 138, 3° comma, del decreto
legislativo 22.01.2004, numero 42,
attribuito al ministero dei beni culturali e
delle attività culturali in ordine
all'imposizione di vincoli paesaggistici è
un potere autonomo che non prevede limiti di
intervento. Infatti, per i giudici
amministrativi, nella fattispecie, non si è
in presenza «né di potestà, né concorrente,
né sussidiaria, né suppletiva».
Si tratta di
un potere statale autonomo che si rileva né
concorrente, né sussidiario, né suppletivo e
interagisce nel caso in cui l'azione di
tutela espressa dal governo regionale sia
inadeguata ed insufficiente al fine della
salvaguardia dei valori paesaggistici.
Scrivono, al riguardo, i predetti giudici
amministrativi: «l'ordinamento giuridico ha
approntato uno speciale ed esclusivo potere
dovere discrezionale d'intervento dello
stato nei casi nei quali possa essere
concretamente a rischio l'interesse
costituzionalmente affidato allo stato della
salvaguardia del territorio: la naturale
contiguità tra forze politiche e forze
economiche (che tendono all'utile immediato)
spesso implica la prevalenza degli interessi
di pochi a danno degli interessi diffusi
della generalità dei cittadini».
Con la suddetta sentenza, il tribunale
regionale amministrativo (Tar) del Lazio
riconosce il potere del ministero dei beni
culturali e delle attività culturali di
dichiarare che gli immobili e le aree di cui
all'articolo 138, comma 3, del decreto
legislativo 22.01.2004, numero 42, hanno un
notevole interesse pubblico. Non è in gioco,
nel caso, il prevalere dei contenuti del
piano paesaggistico sulle disposizioni dei
piani urbanistici.
Aggiungono, difatti i suddetti magistrati
amministrativi che il paesaggio non deve
essere limitato al significato, meramente
estetico, di «bellezza naturale», ma
deve indicare il complesso dei valori
inerenti il territorio, vale a dire
l'ambiente nel suo complesso, considerato
come bene primario e assoluto. E la vasta
estensione delle aree oggetto del vincolo
non assume alcun rilievo, atteso che il
complesso dei beni immobili di cui
all'articolo 136, comma 1, lettera c), non
incontra limiti territoriali
(Quesitario ItaliaOggi
Sette del 21.11.2011). |
AUTORITA'
VIGILANZA CONTRATTI PUBBLICI |
INCARICHI PROGETTUALI: Gli
affidamenti diretti per tutti
Soglia a 40 mila anche per ingegneria e
architettura. L'Autorità per la vigilanza
sui contratti pubblici: prevale l'art. 125,
comma 11 del Codice.
Via libera agli affidamenti diretti fino a
40 mila euro anche per i servizi di
ingegneria e architettura; scelti senza gara
progettisti, direttore dei lavori e
collaudatori di lavori pubblici per piccoli
affidamenti.
Con il parere del 16.11.2011, deciso dall'adunanza del Consiglio del
9 e 10.11.2011, che a breve sarà
pubblicato sul sito dell'Autorità per la
vigilanza sui contratti pubblici,
l'organismo di vigilanza ha fornito alcune
importanti precisazioni rispetto alla
recente modifica del Codice dei contratti
pubblici in materia di affidamenti diretti
di appalti pubblici.
La necessità di un intervento interpretativo
dell'Autorità era nata dal fatto che la
legge 106/2011 (di conversione del decreto
legge 98/2011), nell'innalzare a 40 mila
euro la soglia (in precedenza di 20 mila
euro) per tutti gli affidamenti di lavori,
forniture e servizi, affidati sia in
economia, sia direttamente, aveva anche
modificato una norma regolamentare
(l'articolo 267, comma 10, del Dpr 207/2010),
specifica per i servizi di ingegneria,
creando un dubbio interpretativo sulla reale
portata della modifica stessa.
In sostanza la legge 106 era intervenuta
sull'articolo 125, comma 11, sia nel primo
periodo (relativo agli affidamenti in
economia), sia nel secondo periodo (relativo
agli affidamenti diretti), mentre la
modifica all'articolo 267, comma 10, del dpr
207 consisteva nell'eliminazione del secondo
periodo dell'articolo 125, comma 11, del
Codice per i servizi di ingegneria e
architettura.
L'intervento sull'articolo 267 era stato
letto da alcuni come volontà del legislatore
di non ritenere applicabile ai servizi di
ingegneria e architettura la possibilità di
affidare in via diretta incarichi (dal
momento che era stato eliminato il richiamo
al secondo periodo della disposizione del
Codice), rimanendo invece operativa soltanto
la strada degli affidamenti in economia,
peraltro con il limite dei 20 mila euro
(visto che il primo periodo dell'articolo
267 reca ancora la soglia dei 20 mila euro).
L'Autorità, rispondendo ai quesiti giunti
sia dalle stazioni appaltanti, sia dai
rappresentanti delle professioni e delle
associazioni di categoria, ha viceversa
affermato la piena applicabilità
dell'articolo 125, comma 11, anche ai servizi
di ingegneria e architettura nel presupposto
che il legislatore «ha inteso modificare un
aspetto di una normativa di rango primario
omettendo di porre mano ad una modifica che
in un'ottica di carattere sistematico appare
tanto logica quanto necessaria».
Per l'Autorità, quindi, le «correlate
disposizioni di carattere disposizioni di
carattere regolamentare aventi carattere
esecutivi ed attuativo e non anche
delegificante non potranno che doversi
interpretare in senso conforme a quanto
previsto dalla normativa di rango primario
non potendosi in alcun modo porsi in
contrasto con la disciplina stessa». La
lettura della modifica all'articolo 267,
comma 10, che l'Autorità dà nel parere è
anche quella per cui l'eliminazione del
secondo periodo non varrebbe tanto a rendere
inapplicabili gli affidamenti diretti per
gli incarichi di servizi di ingegneria,
bensì, al contrario, a riportare nell'alveo
della disciplina primaria dell'articolo 125,
comma 11, l'ambito di applicazione dei
servizi di ingegneria e architettura, quindi
con un rinvio più ampio di quello previsto
dalla precedente versione della norma
regolamentare.
A questa conclusione l'Autorità giunge anche
richiamando gli atti parlamentari dai quali
si desume che la modifica regolamentare
aveva la funzione di rendere compatibile la
norma regolamentare con la disciplina
primaria (eliminando un riferimento
specifico per i servizi di ingegneria e
architettura). Pertanto per i servizi di
ingegneria e architettura fino a 20 mila
euro sarebbe possibile l'affidamento in
economia ai sensi dell'articolo 267, comma
10, del dpr 207, mentre l'affidamento
diretto fino a 40 mila euro è ammesso in
base alla norma del Codice modificata con la
legge 106/2011
(articolo ItaliaOggi
del 22.11.2011 - tratto da www.corteconti.it). |
NEWS |
SICUREZZA LAVORO: SICUREZZA/ Pulizia di silos, serve esperienza.
Stop ai lavori in ambienti a rischio senza
giusta formazione. Entra
in vigore il dpr n. 177/2011 che approva il
regolamento per la qualificazione delle
imprese.
Stop ai lavori di pulitura di silos e
cisterne senza adeguata formazione dei
lavoratori e dispositivi di sicurezza. Il 23
novembre entra in vigore il dpr n. 177/2011
che approva il regolamento per la
qualificazione di imprese e lavoratori
autonomi che operano in ambienti sospetti di
inquinamento o confinati.
Le disposizioni, che resteranno valide in
attesa della definizione del complessivo
sistema di qualificazione delle imprese
previsto dal T.u. sicurezza (dlgs n.
81/2008), stabiliscono tra l'altro che per
svolgere attività lavorativa in ambienti
confinati l'azienda deve avere in forza
personale con esperienza almeno triennale
(in misura non inferiore al 30% della forza
lavoro), munito di specifici dispositivi di
protezione individuale (maschere protettive
ecc.), di attrezzature e di strumentazioni
(come rilevatori di gas, respiratori ecc.)
idonei a prevenire i rischi.
Finalità e ambito di applicazione. Il
regolamento disciplina il sistema di
qualificazione di imprese e lavoratori
autonomi destinati a operare nel settore
degli ambienti sospetti di inquinamento o
confinati, quali individuati ai sensi degli
articoli 66 e 121 del T.u. sicurezza (si
veda tabella). Restano comunque disposizioni
di carattere temporaneo, in attesa della
definizione del complessivo sistema previsto
dal T.u. sicurezza.
Le nuove regole. Il regolamento stabilisce
che qualsiasi attività lavorativa nel
settore degli ambienti sospetti di
inquinamento o confinati può essere svolta
unicamente da imprese o lavoratori autonomi
qualificati in ragione del possesso dei
seguenti requisiti:
a) integrale applicazione delle disposizioni
in materia di valutazione dei rischi,
sorveglianza sanitaria e misure di gestione
delle emergenze;
b) integrale e vincolante applicazione delle
norme relative alle imprese familiari e
lavoratori autonomi;
c) presenza di personale, in percentuale non
inferiore al 30% della forza lavoro, con
esperienza almeno triennale relativa a
lavori in ambienti sospetti di inquinamento
o confinati, assunta con contratto di lavoro
subordinato a tempo indeterminato ovvero
anche con altre tipologie contrattuali o di
appalto, a condizione, in questa seconda
ipotesi, che i relativi contratti siano
stati preventivamente certificati. Tale
esperienza deve essere necessariamente in
possesso dei lavoratori che svolgono le
funzioni di preposto;
d) avvenuta effettuazione di attività di
informazione e formazione di tutto il
personale, ivi compreso il datore di lavoro
ove impiegato per attività lavorative in
ambienti sospetti di inquinamento o
confinati, specificamente mirato alla
conoscenza dei fattori di rischio propri di
tali attività, oggetto di verifica di
apprendimento e aggiornamento (contenuti e
modalità della formazione verranno
individuati entro 90 giorni con accordo in
Conferenza permanente per i rapporti tra lo
stato, le regioni e le province autonome di
Trento e di Bolzano, sentite le parti
sociali);
e) possesso di dispositivi di protezione
individuale, strumentazione e attrezzature
di lavoro idonei alla prevenzione dei rischi
propri delle attività lavorative in ambienti
sospetti di inquinamento o confinati e
avvenuta effettuazione di attività di
addestramento all'uso corretto di tali
dispositivi, strumentazione e attrezzature;
f) avvenuta effettuazione di attività di
addestramento di tutto il personale
impiegato per le attività lavorative in
ambienti sospetti di inquinamento o
confinati, ivi compreso il datore di lavoro,
relativamente alla applicazione di procedure
di sicurezza;
g) rispetto delle vigenti previsioni, ove
applicabili, in materia di Documento unico
di regolarità contributiva (Durc);
h) integrale applicazione della parte
economica e normativa della contrattazione
collettiva di settore, compreso il
versamento della contribuzione all'eventuale
ente bilaterale di riferimento, ove la
prestazione sia di tipo retributivo, con
riferimento ai contratti e accordi
collettivi di settore sottoscritti da
organizzazioni dei datori di lavoro e dei
lavoratori comparativamente più
rappresentative sul piano nazionale
(articolo ItaliaOggi
Sette del 21.11.2011). |
EDILIZIA PRIVATA: Ace,
l'obbligatorietà è a due vie.
Da valutare ogni volta se vale la legge
statale o regionale. I chiarimenti del
Notariato sugli attestati di certificazione
energetica degli immobili.
Attestati di certificazione energetica degli
immobili: obbligatorietà a due vie. Ai fini
della corretta applicazione della recente
modifica normativa che ha interessato il
dlgs n. 192/2005 sul rendimento energetico
degli edifici è infatti necessario valutare
caso per caso se sia applicabile la
disciplina statale piuttosto che quella
regionale e, in quest'ultimo caso, che cosa
la stessa abbia previsto.
Questo uno dei tanti utili chiarimenti
contenuti nello
studio
03.11.2011 n. 342/2011-C
preparato dalla commissione studi
civilistici del Consiglio nazionale del
notariato.
Le ragioni del nuovo comma 2-ter dell'art. 6
del dlgs n. 192/2005. Come è stato ricordato
nello studio del notariato, il dlgs n.
192/2005 di attuazione della direttiva
comunitaria n. 2002/91/Ce relativa al
rendimento energetico nell'edilizia
disponeva che l'Attestato di certificazione
energetica (il c.d. Ace, ovvero lo strumento
di informazione a disposizione del
proprietario e/o dell'acquirente per
attestare la prestazione energetica e il
grado di efficienza degli edifici da
acquistare o locare) dovesse essere allegato
in originale o in copia autentica all'atto
di trasferimento dell'immobile e che la
mancata allegazione determinasse la nullità
del contratto.
Tuttavia le relative
disposizioni di legge erano state abrogate
dal successivo dl n. 112/2008, convertito
nella legge n. 133/2008 e tale abrogazione
aveva determinato l'apertura di una
procedura di infrazione a carico dell'Italia
per la non puntuale attuazione dell'art. 7
della predetta direttiva n. 2002/91/Ce, il
quale prevedeva che in fase di costruzione,
compravendita o locazione di un edificio
l'attestato di certificazione energetica
dovesse essere messo a disposizione del
proprietario o dell'acquirente o del
locatario.
Da ultimo, l'art. 13 del dlgs n.
28/2011 ha aggiunto il comma 2-ter all'art.
6 del predetto dlgs n. 192/2005, stabilendo
che nei contratti di compravendita e
locazione di edifici e singole unità
immobiliari debba essere inserita «apposita
clausola con la quale l'acquirente o il
conduttore danno atto di aver ricevuto le
informazioni e la documentazione in ordine
alla certificazione energetica degli
edifici».
Il coordinamento tra la normativa statale e
le normative regionali. Lo studio del
notariato ricorda come alle regioni (in base
all'art. 117, commi 3 e 5, della
Costituzione) competa non solo stabilire
quando e quale tipo di edifici debba essere
dotato di certificazione energetica,
determinare quali siano i requisiti di forma
e di contenuto dell'Ace e quali siano i
soggetti abilitati alla redazione del
documento, ma anche dare attuazione alla
direttiva n. 2002/91/Ce sul rendimento
energetico nell'edilizia.
Tuttavia, in
quelle regioni e/o province autonome che non
abbiano ancora adottato specifiche
disposizioni normative nelle materie di
competenza trova integrale applicazione la
disciplina statale dettata dal dlgs n.
192/2005 e dalle relative disposizioni
statali di attuazione. Resta in ogni caso
riservato alla competenza esclusiva dello
stato il potere di dettare le regole di
forma e contenuto dei contratti (ordinamento
civile), nel cui ambito rientra la nuova
disciplina contenuta nel comma 2-ter
dell'art. 6 del dlgs n. 192/2005, che trova
quindi applicazione uniforme sull'intero
territorio nazionale.
Il notariato
sottolinea però che l'obbligo di fornire
informazioni e di consegnare la
documentazione in ordine alla certificazione
energetica, di cui al predetto comma 2-ter,
può trovare applicazione solo quando le
norme statali (cioè il dlgs n. 192/2005 e le
relative disposizioni statali di attuazione
per le sole regioni che non abbiano dato
autonoma attuazione alla direttiva
comunitaria) o regionali vigenti prevedano
l'obbligo di dotare l'edificio di
certificazione energetica: in tali caso nei
relativi contratti deve essere inserita
l'apposita clausola.
I contratti compresi nel comma 2-ter
dell'art. 6 del dlgs n. 192/2005. Lo studio
del notariato chiarisce che il comma 2-ter
dell'art. 6 del dlgs n. 192/2005 trova
applicazione non solo in caso di
compravendita o locazione (o permuta) ma in
tutte le ipotesi di trasferimento a titolo
oneroso (quindi anche i decreti di
trasferimento da parte dell'autorità
giudiziaria a seguito di procedura esecutiva
e i conferimenti societari), che è la
tipologia cui sia la norma statale (6, comma
1-bis, del dlgs 192/2005) sia la maggior
parte delle norme regionali fanno
riferimento ai fini del sorgere dell'obbligo
di dotazione della certificazione energetica
(solo le normative del Piemonte e della
Liguria fanno riferimento alla sola figura
specifica della compravendita). In ogni caso
il comma 2-ter dell'art. 6 non si applica a
quelle specifiche ipotesi di compravendita
che alcune normative regionali escludono
dall'obbligo di dotazione della
certificazione energetica.
Al contrario
troverà applicazione quando una norma
regionale assoggetti all'obbligo di
dotazione una fattispecie che secondo la
normativa statale è esclusa da tale obbligo.
Infine il comma 2-ter dell'art. 6 non si
applica ai contratti relativi a tipologie di
edificio che per norma statale o regionale
sono escluse dall'obbligo di dotazione (per
es. box, cantine, autorimesse, depositi
ecc.).
La violazione del comma 2-ter dell'art. 6
del dlgs n. 192/2005. Come precisato dal
notariato, il mancato inserimento nel
contratto della clausola in questione non
rende l'atto irricevibile dal pubblico
ufficiale rogante, né determina la nullità
del rapporto contrattuale, ma sarà fonte di
responsabilità a carico del
venditore/locatore inadempiente (per il
risarcimento del danno, la riduzione del
prezzo o la risoluzione del contratto).
E
questo perché il legislatore non ha previsto
sanzione espressa in caso di violazione
della norma in questione. Inoltre il comma
2-ter dell'art. 6, si legge nello studio,
impone ai privati obblighi che riguardano
uno specifico comportamento e che non
entrano a far parte della struttura
negoziale dell'atto.
L'inderogabilità del disposto normativo.
Infine lo studio del notariato scaccia ogni
dubbio sul carattere inderogabile
dell'obbligo di inserimento nel contratto
della clausola in questione, poiché se
l'informazione e la consegna della
certificazione sono avvenuti, non sussiste
alcun motivo perché le parti non ne debbano
dare atto nel contratto. In ogni caso dalla
nuova disposizione normativa emerge
chiaramente che al momento della
stipulazione dell'atto l'acquirente e il
locatario devono avere già ricevuto le
informazioni e la documentazione in ordine
alla certificazione energetica.
Del resto,
come emerge dai principi generali della
normativa comunitaria e statale e dalla
funzione che la consegna della
certificazione energetica mira ad assolvere,
è di tutta evidenza che gli obblighi di
informazione e consegna della certificazione
non possano affatto essere derogati dalle
parti, pena le conseguenze su piano della
responsabilità contrattuale alle quali si
accennava in precedenza.
---------------
Compresi anche i contratti di locazione.
Gli obblighi di consegna e informazione in
tema di certificazione energetica degli
edifici si applicano ai contratti di
locazione solo se il relativo edificio sia
già dotato dell'attestato.
Prima della
recente introduzione del nuovo comma 2-ter
dell'art. 6 del dlgs n. 192/2005 si dubitava
se l'obbligo dell'Ace valesse anche per le
locazioni o andasse applicato solo in caso
di compravendita.
La nuova normativa, in aderenza a quanto
previsto dalla direttiva comunitaria del
2002, ha sciolto ogni dubbio, anche se ha
parzialmente ristretto l'ambito applicativo
della certificazione a quegli immobili che
siano già dotati del relativo attestato.
La disposizione di legge, secondo lo studio
del notariato, deve essere interpretata nel
senso che l'obbligo di fornire informazioni
e di consegna esiste non solo allorquando
l'edificio sia già dotato di Ace, ma anche
quando avrebbe dovuto esserne dotato.
Diversamente, dovrebbe sostenersi che la
violazione dell'obbligo di dotazione della
certificazione in occasione di una
compravendita o della costruzione di un
nuovo edificio legittimerebbe renderebbe
legittimo che il proprietario possa non
consegnare la certificazione energetica al
locatore. La limitazione dell'obbligo alle
sole ipotesi di edifici già dotati di Ace
sembra porsi comunque in contrasto con il
contenuto della direttiva comunitaria del
2002.
Secondo la sintesi elaborata dallo studio
del notariato, attualmente nei territori
soggetti alla normativa statale il locatore
sarebbe quindi tenuto a fornire informazioni
e a consegnare all'inquilino la
documentazione in ordine alla certificazione
energetica nel caso in cui l'edificio debba
essere dotato di Ace in quanto:
1) sia di nuova costruzione, intendendosi
per tale l'edificio costruito o
ristrutturato in forza di un permesso di
costruire successivo al 09.10.2005;
2) sia stato oggetto di precedente atto di
trasferimento a titolo oneroso;
3) abbia avuto accesso a incentivi e
agevolazioni fiscali finalizzati al
miglioramento delle prestazioni energetiche;
4) sia interessato da contratto, nuovo o
rinnovato, relativo alla gestione
dell'impianto termico o di climatizzazione,
se di proprietà pubblica, ovvero anche se di
proprietà privata, ma in tal caso solo
qualora figuri come committente un soggetto
pubblico.
Diversamente, per gli edifici siti nei
territori delle regioni che hanno dato
autonoma attuazione alla direttiva n.
2002/91/Ce, la preesistenza dell'obbligo di
dotazione dell'Ace dovrà essere valutata con
riferimento alle rispettive normative.
Pertanto, in presenza di norme regionali (si
pensi all'Emilia Romagna, alla Lombardia, al
Piemonte, alla Toscana, alla Liguria) che in
maniera più rigorosa hanno stabilito che in
occasione di ogni contratto di locazione
l'immobile debba sempre essere dotato
dell'attestato di certificazione energetica,
la limitazione introdotta dalla normativa
statale non potrà essere applicata
(articolo ItaliaOggi
Sette del 21.11.2011). |
AMBIENTE-ECOLOGIA -
EDILIZIA PRIVATA:
Rifiuti, esonerate le terre da
scavo. Nel regolamento in arrivo le
condizioni per semplificare lo smaltimento.
È attualmente all’esame del Consiglio di
Stato e poi andrà alla Corte dei conti il
regolamento di attuazione dell’articolo 186
del Dlgs 152/2006 (codice ambientale).
Quello cioè che aveva sollevato le terre e
rocce da scavo dalla pesante classificazione
dei rifiuti accordandogli la qualifica di
sottoprodotto.
Il regolamento, firmato dall’ex ministro
Stefania Prestigiacomo pochi giorni prima di
lasciare l’Ambiente, si incarica di spiegare
alle imprese e alla pubblica amministrazione
cosa si intende per sottoprodotto e a quali
condizioni il materiale da scavo può essere
trattato come tale.
Il testo introduce poi per la prima volta il
piano di utilizzo, contenente le coordinate
del materiale e la loro destinazione. Il
piano deve essere inviato all’autorità
competente entro 90 giorni dall’inizio dei
lavori. Previste semplificazioni ... (Edilizia
e Territorio n. 44/2011 - tratto
da www.corteconti.it). |
GIURISPRUDENZA |
LAVORI PUBBLICI: Straripa il canale e paga il comune.
La sentenza sui danni al cantiere allagato.
Il risarcimento dei danni al cantiere
allagato dal canale che straripa è a carico
del comune.
È quanto emerge dalla
sentenza
21.11.2011 n. 24406 depositata
dalle Sezioni unite civili della Corte di
cassazione.
Tale canale risulta infatti
di proprietà dell'ente, che era l'unico
soggetto titolato a intervenire. Impossibile
dunque imputare all'azienda danneggiata un
concorso di colpa per scarsa diligenza,
laddove un intervento «manu militari»
dell'impresa edile l'avrebbe esposta al
rischio di un illecito di natura civile, per
la violazione della proprietà pubblica, e di
natura penale, in quanto foriero della
realizzazione di un manufatto abusivo.
Il Collegio esteso, componendo il contrasto
di giurisprudenza, ha precisato che
l'obbligo giuridico di impedire l'evento può
derivare anche da una specifica situazione
che esige una determinata attività a tutela
di un diritto altrui. E, in particolare, la
colpa del creditore-danneggiato si configura
nel caso di violazione, oltre che di un
obbligo giuridico, di norme comportamentali
di diligenza. Troppo rigida, spiegano le
Sezioni unite, l'interpretazione di un certo
indirizzo giurisprudenziale secondo cui il
diritto al risarcimento risulta limitato
oppure escluso quando il danneggiato nulla
ha fatto per rimuovere subito una situazione
pericolosa, per quanto creata dallo stesso
danneggiante.
Insomma, non si configura il comportamento
colposo per l'azienda edile che, nonostante
le piogge minacciose, non poteva intervenire
ad alzare l'argine del canale di proprietà
del comune. Che paga le spese di giudizio
alla controparte.
Dopo la lunga causa, la Cassazione ha dato
torto al comune di Ancona che era stato
citato in giudizio da una grande società
che, mentre eseguiva lavori su un complesso
immobiliare, li dovette sospendere a causa
di un allagamento del cantiere perché era
straripato un canale di scolo. A questo
punto l'ente locale chiamò in causa il suo
assicuratore ma il Tribunale dichiarò la
nullità della chiamata.
Contestualmente accolse il ricorso della
società sul fronte risarcimento. La
decisione è stata confermata in appello e
ora resa definitiva in Cassazione
(articolo ItaliaOggi
del 22.11.2011 - tratto da www.ecostampa.it). |
APPALTI:
Esclusione dalla gara, gravità del reato
senza codice penale. La valutazione dipende
dalle modalità di
esecuzione del contratto.
Nelle gare d'appalto il
Codice dei contratti pubblici è volto ad
evitare che i questi possano essere affidati
a coloro che abbiano commesso reati lesivi
degli interessi collettivi che, nella veste
di aggiudicatari, sarebbero chiamati a
tutelare. L’art. 38 del D.Lgs. 133 del 2006 è
volto ad evitare che i contratti pubblici
possano essere affidati a coloro che abbiano
commesso reati lesivi degli interessi
collettivi che, nella veste di
aggiudicatari, sarebbero chiamati a
tutelare.
Il requisito della gravità dei reati
commessi dal rappresentante legale
dell’impresa concorrente deve essere,
pertanto, apprezzato non tanto in termini
penalistici (tenendo conto del massimo o del
minimo edittale o della pena in concreto
irrogata) ma alla stregua del contenuto del
contratto oggetto della gara.
Muovendo da tali premesse la giurisprudenza
amministrativa ha più volte affermato che,
nelle gare volte alla aggiudicazione di
appalti di lavori, il requisito della
gravità può essere riconosciuto tutte le
volte in cui la fattispecie delittuosa sia
consistita nella lesione della salute dei
dipendenti da parte dell’impresa edile che
non abbia apprestato tutti i mezzi e gli
strumenti imposti dalla normativa volta a
prevenire gli infortuni suoi luoghi di
lavoro.
E ciò tenuto anche conto del fatto che è lo
stesso legislatore a considerare la
commissione di gravi infrazioni debitamente
accertate alle norme in materia di sicurezza
e a ogni altro obbligo derivante dai
rapporti di lavoro come causa ostativa alla
partecipazione alle gare pubbliche.
Nel caso di specie, peraltro, alla condanna
per lesioni colpose si aggiungeva anche
quella per evasione fiscale che, ancorché di
per sé non decisiva ai fini dell’esclusione,
valeva comunque ad appannare ulteriormente
l’immagine morale e commerciale
dell’impresa.
Privo di pregio è anche il rilievo secondo
cui la stazione appaltante non avrebbe
tenuto in considerazione il lungo tempo
trascorso fra la commissione dei reati e la
presentazione della domanda di
partecipazione alla gara.
Invero, il lasso temporale che,
eventualmente, deve essere valutato ai fini
del giudizio sulla moralità dell’impresa
partecipante alla gara è quello intercorso
dalla condanna, che, nel caso di specie, non
appare particolarmente lungo visto che
entrambe le condanne prese in esame dalla
Commissione di gara sono state pronunciate
nel 2008.
Nessun rilievo, ai fini della decisione del
presente ricorso, può, inoltre, avere il
fatto che la società abbia partecipato e
vinto altre gare di appalto successivamente
alle condanne sopra menzionate.
Infatti, la valutazione in ordine alla
moralità professionale ha natura
discrezionale e comporta apprezzamenti
legati all’oggetto di ciascun appalto che
possono variare da caso a caso.
Senza contare, poi, che i giudizi espressi
in proposito da altre stazioni appaltanti
non potevano certo ritenersi condizionanti o
decisivi nel caso di specie (commento tratto da www.ipsoa.it -
TAR
Lombardia-Milano, Sez. III,
sentenza 10.11.2011 n. 2715 -
link a www.giustizia-amministrativa.it |
EDILIZIA PRIVATA:
Pertinenze.
Le caratteristiche peculiari della
pertinenza urbanistica possono essere così
sintetizzate: deve trattarsi di un'opera che
abbia comunque una propria individualità
fisica ed una propria conformazione
strutturale e non sia parte integrante o
costitutiva di altro fabbricato; deve essere
preordinata ad un'oggettiva esigenza
dell'edificio principale, funzionalmente ed
oggettivamente inserita al servizio dello
stesso; deve essere sfornita di un autonomo
valore di mercato; non deve essere
valutabile in termini di cubatura o comunque
dotata di un volume minimo (non superiore,
in ogni caso, al 20% di quello dell'edificio
principale) tale da non consentire, in
relazione anche alle caratteristiche
dell'edificio principale, una sua
destinazione autonoma e diversa da quella a
servizio dell'immobile cui accede; la
relazione con la costruzione preesistente
deve essere, in ogni caso, non di
integrazione ma "di servizio", allo
scopo di renderne più agevole e funzionale
l'uso (carattere di strumentalità
funzionale) (Corte di Cassazione, Sez. III
penale,
sentenza 04.11.2011 n. 40031 -
link a www.lexambiente.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA: Alzare
l'inquinamento è danno ambientale.
È responsabile di «danno ambientale», con lo
scattare dei conseguenti obblighi di
bonifica del sito o risarcimento per
equivalente patrimoniale, anche il gestore
della discarica che accetta in deposito
rifiuti con potenziale inquinante maggiore
di quello che è autorizzato a ricevere.
E ciò in base al fatto che per configurare,
dal punto di vista oggettivo, un danno
ambientale è sufficiente anche il solo
incremento illegittimo del livello di
inquinamento già insistente su un terreno.
A
pronunciarsi sulla portata dell'istituto
previsto dal dlgs 152/2006 (cd. «Codice
ambientale») è la Corte di cassazione, che
con sentenza 12.10.2011 n. 36818 ha
confermato la responsabilità riconosciuta
dal giudice di appello in appello in capo al
gestore di una discarica per inerti non
pericolosi che aveva accettato, ai fini
dello smaltimento, rifiuti speciali (invece)
pericolosi.
Il «danno ambientale». Con la pronuncia in
parola, la Suprema Corte ha effettuato una
ricognizione della definizione di danno
ambientale recata dall'articolo 300 del dlgs
152/2006 quale «deterioramento, in confronto
alle condizioni originarie, provocato (_) al
terreno, mediante qualsiasi contaminazione
che crei un rischio significativo di effetti
nocivi, anche indiretti, sulla salute umana
a seguito dell'introduzione nel suolo, sul
suolo o nel sottosuolo di sostanze,
preparati, organismi o microrganismi nocivi
per l'ambiente». E, per la Cassazione, la
presenza in discarica di rifiuti
maggiormente inquinanti rispetto a quelli
che il medesimo sito è, in base alle proprie
caratteristiche costruttive (e alla
speculare autorizzazione rilasciata al
gestore), in grado di recepire sicuramente
costituisce deterioramento rispetto alle
condizioni originarie del terreno.
La
disciplina del danno ambientale, attualmente
disciplinata dalla Parte Sesta del dlgs
152/2006 (insieme ad alcune residue
disposizioni della storica legge 349/1986),
prevede il sorgere della responsabilità in
capo all'autore dello stesso sussistendo,
oltre al degrado dell'ecosistema, gli
ulteriori requisiti del nesso causale tra
condotta ed evento e l'elemento psicologico
consistente nell'aver agito «realizzando un
fatto illecito, o omettendo attività o
comportamenti doverosi, con violazione di
legge, di regolamento, o di provvedimento
amministrativo, con negligenza, imperizia,
imprudenza o violazione di norme tecniche».
Il tutto facendo sorgere l'obbligo al
ripristino ambientale oppure, ove
impossibile o eccessivamente oneroso, al
risarcimento patrimoniale per equivalente a
favore della pubblica amministrazione.
Il controllo dei rifiuti in discarica. Con
la medesima sentenza la Corte si è altresì
soffermata sugli obblighi gravanti sul
gestore della discarica in relazione al
controllo in entrata dei rifiuti,
sottolineando come la «verifica» della
corrispondenza tra i beni a fine vita
effettivamente conferiti e la tipologia
risultante dal formulario di trasporto degli
stessi (obbligo all'epoca dei fatti previsto
dal dm Ambiente 11.03.1998 n. 141,
attualmente dal dlgs 13.01.2003, n. 36) non
possa ritenersi soddisfatta mediante il
semplice controllo visivo del carico in
entrata, ma necessiti dell'adozione di tutti
i mezzi idonei a provare realmente tale
conformità.
Ciò, assume la Corte, sulla base che
principio generale informatore della
disciplina sulla gestione dei rifiuti sia la
protezione dell'ambiente e dell'uomo,
principio la cui attuazione impone quindi
una interpretazione non restrittiva delle
disposizioni a carico dei soggetti gestori
delle discariche
(articolo ItaliaOggi
Sette del 21.11.2011). |
ATTI AMMINISTRATIVI - AMBIENTE-ECOLOGIA: Bonifica
siti contaminati - Ordinanze contingibili e
urgenti - Comunicazione di avvio del
procedimento - Non è dovuta.
L'istituto della comunicazione di avvio del
procedimento ex art. 7 della L. n. 241/1990
non risulta applicabile alla categoria delle
ordinanze contingibili ed urgenti (Nella
fattispecie, il provvedimento oggetto di
impugnativa era costituito da un'ordinanza
con la quale era stata disposta, in via
d'urgenza, la bonifica ed il recupero
ambientale dell'area interessata allo
smaltimento e scarico rifiuti e il
risanamento della falda acquifera
sottostante)
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza
25.05.2011 n.
1315 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI: Contratti
della p.a. - Appalto di servizi -
Utilizzabilità da parte dell'aggiudicatario
di personale costituito in via esclusiva da
prestatori d'opera professionale -
Limitazioni.
Deve escludersi la possibilità che
l'affidatario di un appalto pubblico di
servizi si avvalga, in via pressoché
esclusiva, di personale rappresentato da
prestatori d'opera professionale, laddove si
tratti di eseguire prestazioni continuative,
predeterminate e ripetitive: attività che,
nella sostanza, rappresentano un aspetto
dell'inserimento del lavoratore
nell'organizzazione aziendale, destinataria
delle sue energie lavorative (Cfr., TAR
Lazio Roma, sez. III, 01.07.2010, n. 22058)
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza
25.05.2011 n.
1314 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI: Motivazione
- Pluralità di motivi - Eventuale
infondatezza di uno dei motivi - Inidoneità
a condurre all'annullamento del
provvedimento plurimotivato - Condizioni.
Laddove una determinazione amministrativa
tragga forza da una pluralità di ragioni,
ciascuna delle quali sia, di per sé, idonea
a supportarla in modo autonomo, è
sufficiente che anche una sola di esse passi
indenne alle censure mosse in sede
giurisdizionale, perché il provvedimento nel
suo complesso resti esente
dall'annullamento. (Cfr., TAR Puglia Bari,
sez. III, 10.02.2011, n. 240; TAR Campania
Napoli, sez. III, 13.07.2010, n. 16686)
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza
25.05.2011 n.
1313 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: 1.
Contratti della p.a. - Appalto - "Taglio
delle ali" - Art. 86, comma 1, D.lgs.
163/2006 - Individuazione della soglia di
anomalia - Esclusione automatica delle
offerte oltre soglia - Inammissibilità -
Vaglio di congruità ai fini
dell'aggiudicazione - Necessità.
2. Contratti della p.a. - Bando di gara -
Clausola comminante l'esclusione in ragione
della mancata presentazione delle
giustificazione preventive dell'anomalia
dell'offerta - Illegittimità - Ragioni.
1.
Salva diversa previsione contenuta nel bando
di gara, il c.d. "taglio delle ali",
previsto dall'art. 86, comma 1, D.lgs.
12.04.2006, n. 163 ha la finalità,
unitamente ad altri elementi, di individuare
esclusivamente la soglia di anomalia delle
offerte e non di escludere automaticamente
dalla gara le imprese che abbiano presentato
offerte ricadenti nel c.d. "taglio";
ne consegue che le offerte che si situano
oltre la fissata soglia di anomalia devono
essere assoggettate al vaglio di congruità
ai fini dell'aggiudicazione (Cfr., TAR Lazio
Latina, sez. I, 10.11.2010, n. 1872; TAR
Puglia Lecce, sez. III, 10.06.2009, n.
1460).
2.
Deve ritenersi illegittima, in quanto
vessatoria, la clausola di un bando di gara
che imponga a pena di esclusione la
presentazione in via preventiva delle
giustificazioni dell'eventuale anomalia
dell'offerta presentata, in quanto tali
giustificazioni, ove non ritenute
sufficienti ad escludere l'incongruità
dell'offerta, debbono necessariamente essere
integrate su richiesta della stazione
appaltante.
In altri termini, le giustificazioni
preventive non possono assurgere a requisito
di partecipazione alla gara a pena di
esclusione (Cfr., TAR Abruzzo Pescara, sez.
I, 11.05.2009, n. 332)
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza
25.05.2011 n.
1312 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI: Atto amministrativo - Atti presupposti -
Vizi - Invalidità ad effetto caducante ed
invalidità ad effetto viziante - Differenze
- Presupposti e condizioni.
Nell'ambito del fenomeno dell'invalidità
derivata deve tracciarsi una distinzione tra
la figura della c.d. invalidità ad "effetto caducante" e quella ad "effetto viziante":
la prima può essere ravvisata solo quando
tra due provvedimenti sussista uno stretto
rapporto di presupposizione (intesa come
consequenzialità immediata, diretta e
necessaria), nel senso che l'atto successivo
si ponga come inevitabile conseguenza di
quello precedente, perché non vi sono nuove
ed ulteriori valutazioni di interessi, né
del destinatario dell'atto presupposto, né
di altri soggetti; la seconda ricorre quando
l'atto successivo, pur facendo parte della
stessa sequenza procedimentale in cui si
colloca l'atto precedente, non ne
costituisca conseguenza inevitabile, perché
la sua adozione implichi nuove e ulteriori
valutazioni di interessi, sicché
l'impugnazione dell'atto presupponente non
fa venire meno la necessità di impugnare
quello successivo, a pena di improcedibilità
del primo ricorso (Cfr., TAR Campania
Napoli, sez. VII, 25.03.2008, n. 1526)
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza
25.05.2011 n.
1308 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA: Atto amministrativo - Piano regolatore
generale - Ius variandi - Obbligo di
motivazione - Sussistenza - Soltanto in caso
di incidenza su aspettative qualificate dei
privati - Casistica.
L'obbligo di motivazione in sede di adozione
del piano regolatore sussiste, al fine del
legittimo uso del ius variandi da parte
della p.a., quando le nuove scelte
urbanistiche incidano su aspettative
qualificate del privato quali, ad esempio,
quelle derivanti dalla stipulazione di una
convenzione di lottizzazione, da una
sentenza dichiarativa dell'obbligo di
disporre la convenzione urbanistica, da un
giudicato di annullamento di un diniego di
concessione edilizia o dalla decadenza di un
vincolo preordinato all'espropriazione;
viceversa, l'affidamento relativo alla non
reformatio in peius di previsioni
urbanistiche non comporta la necessità di
una motivazione specifica rispetto a quella
che può agevolmente evincersi dai criteri di
ordine tecnico-urbanistico seguiti per la
redazione dello strumento urbanistico
generale (Cfr., Cons. Stato, sez. IV
26.05.2003, n. 2827)
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza
25.05.2011 n.
1307 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI:
Contratti della p.a - Procedura di affidamento del servizio
di prelievo, trasporto, trattamento e/o
smaltimento dei rifiuti - Non costituisce
servizio pubblico locale - Conseguenze -
Art. 23-bis D.L. 112/2008 - Inapplicabilità.
Il servizio di prelievo, trasporto,
trattamento e/o smaltimento dei rifiuti
prodotti dall'impianto di depurazione delle
acque reflue, non è qualificabile quale
servizio pubblico locale, e
conseguentemente, non è soggetto alla
disciplina dettata dall'art. 23-bis, del
D.L. n. 112/2008 costituendo, invece,
attività rimessa alle libere dinamiche di
mercato.
L'ambito di operatività del citato
art. 23-bis riguarda, infatti, l'affidamento
e la gestione dei servizi pubblici locali di
rilevanza economica, nell'intento di
garantire, da una parte, la più ampia
diffusione dei principi di concorrenza e,
dall'altra, un'adeguata tutela degli utenti,
sicché non trova applicazione laddove il
servizio dedotto in contratto non sia
qualificabile come servizio pubblico locale
(Fattispecie relativa ad una procedura
aperta per l'affidamento del servizio di
prelievo, trasporto e smaltimento finale con
recupero in agricoltura dei fanghi derivanti
dal trattamento di acque reflue urbane)
(Cfr., Cons. Stato, sez. V, 01.04.2011,
n. 6033 che riforma TAR Lombardia Milano,
16.06.2010, n. 1845)
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza
25.05.2011 n.
1306 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI: 1. Risarcimento del danno da ritardo -
Ammissibile - Condizioni - Sussistenza
elemento soggettivo (dolo o colpa della
p.a.) e prova dell'effettivo danno patito
dal privato.
2. Risarcimento del danno - Onere della
prova dell'ammontare - Ineludibile -
Necessaria allegazioni di puntuali
circostanze di fatto ai fini della
valutazione equitativa del danno ex art.
1226 c.c.
1. Ai sensi dell'art. 2-bis, comma 1, della
legge n. 241/1990, introdotto dalla legge n.
69/2009, che ha confermato la tutela del
privato nei confronti dei ritardi delle
pubbliche amministrazioni, deve ritenersi
risarcibile il c.d. danno da ritardo
dell'azione amministrativa a condizione che
sia fornita la prova dell'elemento
soggettivo (in termini di dolo o colpa) e di
un danno effettivo e apprezzabile (cfr.
Cons. Stato Sez. V 28.02.2011, n.
1271) (Nella fattispecie il Collegio ha
ravvisato l'esistenza dell'elemento
soggettivo a titolo di colpa nel
comportamento dell'amministrazione comunale
che ha operato il trasferimento di due aree
oggetto di una gara a tre anni di distanza
dall'aggiudicazione della stessa in quanto
la gara era stata indetta senza la previa
verifica della sussistenza dell'effettiva
proprietà delle aree).
2. Ai fini dell'assolvimento dell'onere
della prova dell'ammontare del danno, se
anche può ammettersi il ricorso alle
presunzioni semplici ex art. 2729 c.c., è
comunque ineludibile l'onere di allegare
puntuali circostanze di fatto in difetto
delle quali non può darsi ingresso alla
valutazione equitativa del danno ex art.
1226 c.c. (cfr. Cass. Sez. III 12.12.2008,
n. 29202)
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 02.05.2011 n.
1111 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: 1. Bando di gara -
Clausole ambigue - Deve essere privilegiata
l'interpretazione di buona fede che assicuri
la massima partecipazione alla gara.
2. Risarcimento del danno
- Criteri di riconoscimento e
quantificazione.
3. Danno curriculare -
Risarcibile in quanto ha valenza autonoma.
1. Secondo giurisprudenza ormai consolidata,
nell'ipotesi di clausole ambigue del bando
di gara deve essere accolta
l'interpretazione che tuteli la buona fede
dei partecipanti, sì da soddisfare il
concorrente interesse pubblico al più ampio
confronto tra le offerte (cfr., ex multis,
Cons. Stato Sez. V 08.03.2006, n. 1224).
2. In sede di risarcimento dei danni
derivanti dalla mancata illegittima
aggiudicazione di una gara di appalto, il
mancato utile nella misura integrale, pari
al 10% del prezzo offerto, spetta nel caso
di annullamento dell'aggiudicazione e di
certezza dell'aggiudicazione in favore del
ricorrente, solo se il ricorrente dimostri
di non aver potuto altrimenti utilizzare
maestranze e mezzi, tenuti a disposizione in
vista dell'aggiudicazione.
In difetto di
tale dimostrazione, è da ritenere che
l'impresa possa aver ragionevolmente
riutilizzato mezzi e manodopera per altri
lavori o servizi e, pertanto, in tale
ipotesi deve operarsi una decurtazione del
risarcimento. Di qui la ragionevolezza della
detrazione, affermata dalla giurisprudenza,
dal risarcimento del mancato utile, nella
misura del 50%, rispetto al 10% del prezzo
offerto (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 21.09.2010 n. 7004 e Cons. Stato Sez. V
24.02.2011 n. 1193).
3.
In materia di risarcimento del danno patito
a seguito di illegittima aggiudicazione a
terzi di un appalto pubblico, il danno da
mancate referenze assume una valenza
autonoma ed ulteriore rispetto al danno da
mancato utile e da mancato assorbimento
delle spese generali e la liquidazione di
tale danno soggiace al generale criterio
equitativo di cui all'art. 1226, c.c. (cfr.
TAR Veneto Sez. I 20.03.2007 n. 798)
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 02.05.2011 n.
1110 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
AGGIORNAMENTO AL 21.11.2011 |
ã |
SINDACATI |
PUBBLICO IMPIEGO:
L'ultimo regalo di Brunetta:
mobilità e collocamento in disponibilità dei
dipendenti pubblici
(CGIL-FP di Bergamo,
nota 17.11.2011). |
GURI - GUUE -
BURL (e anteprima) |
VARI:
B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 46 del
18.11.2011, "Disposizioni per l’utilizzo
del marchio dei parchi e delle riserve da
parte delle aziende agricole presenti nelle
aree protette lombarde" (decreto
D.S. 11.11.2011 n. 10531). |
ENTI LOCALI: B.U.R.
Lombardia, serie ordinaria n. 46 del
18.11.2011, "Iniziative per la diffusione
della semplificazione nel sistema pubblico
lombardo" (deliberazione
G.R. 16.11.2011 n. 2499). |
EDILIZIA PRIVATA: G.U.
16.11.2011 n. 267 "Misure per
l’attuazione dello sportello unico per le
attività produttive di cui all’articolo 38,
comma 3-bis del decreto-legge 25.06.2008, n.
112, convertito con modificazioni, dalla
legge 06.08.2008, n. 133" (D.M.
10.11.2011). |
AUTORITA'
VIGILANZA CONTRATTI PUBBLICI |
APPALTI:
Tracciabilità - On-line le nuove FAQ sulla
Tracciabilità dei flussi finanziari.
Sono state elaborate dall’Avcp le nuove
risposte alle domande frequenti sulla
tracciabilità dei flussi finanziari che
sostituiscono completamente quelle
precedenti. Le nuove Faq sono state
realizzate anche in base alle Linee guida
pubblicate in materia con la Determinazione
n. 4 del 7 luglio scorso.
Le FAQ sono state suddivise in cinque
sezioni. Oltre a delineare il quadro
normativo e fornire informazioni di
carattere generale, le nuove Faq esaminano
sia le casistiche contrattuali che rientrano
nella tracciabilità, sia le particolari
fattispecie che esulano dalla normativa,
nonché gli aspetti sulla disciplina del
periodo transitorio (18.11.2011 -
link a www.autoritalavoripubblici.it). |
QUESITI &
PARERI |
PUBBLICO IMPIEGO:
Protezione dei dati personali. Installazione
di un firewall su rete aziendale: come viene
tutelata la privacy dei lavoratori?
Domanda.
Se il sistema informatico aziendale
comprende l'installazione di un firewall
che controlla il traffico di rete, come ci
si deve comportare rispetto alla privacy
degli impiegati che utilizzano i computer
dell'azienda?
Risposta.
La recente diffusione delle nuove tecnologie
ha contribuito a un assottigliamento della
barriera della privacy, basti pensare, ad
esempio, alla tracciabilità dei cellulari o
alla relativa facilità di reperire gli
indirizzi di posta elettronica delle
persone. Anche il firewall può rivelarsi uno
strumento "pericoloso" per la
privacy.
In termini generali, un firewall di rete è
un sistema o un gruppo di sistemi che impone
una politica di controllo dell'accesso tra
due reti. Generalmente le due reti sono
Internet e la propria rete LAN e, a volte,
con l'installazione di un firewall si è più
interessati a regolamentare l'accessibilità
delle proprie risorse da Internet, mentre
altre volte si vuole regolamentare l'accesso
a Internet da parte degli utenti locali.
Le funzionalità di un firewall sono diverse:
a) la "packet inspection" permette di
analizzare il contenuto di ogni pacchetto
che passa attraverso esso e può bloccare il
traffico indesiderato o gli attacchi di
hacker informatici;
b) il "content filtering" consente di
filtrare il traffico di rete in base al tipo
di protocollo, all'indirizzo e alla porta
sorgente e all'indirizzo e alla porta di
destinazione, ma può anche filtrare il
traffico Web degli utenti interni (cioè il
traffico dalla rete LAN verso Internet) in
base al contenuto dei siti Web o in base ad
altre policy;
c) può essere usato come gateway
verso Internet e, in questo caso, il
firewall viene visto dalla rete locale come
un router (anche se generalmente sarà
un altro router a realizzare la connessione
fisica verso Internet) e lo strumento può
gestire una rete sicura riservata ai propri
server Internet e isolare la rete locale.
Ora, è evidente che la funzione di "content
filtering" può servire anche ad evitare
un uso improprio di Internet con conseguente
perdita di tempo e di produttività dei
dipendenti, ma questo può contrastare con il
loro diritto alla privacy, diritto
che il D.Lgs. 196/2003 tutela anche
nell'ambito del rapporto di lavoro.
Perciò l'azienda deve informare tutti i
dipendenti della presenza del firewall
precisando le sue funzionalità (ad esempio
la possibilità di creare log sul traffico
e/o di filtrare lo stesso) e deve comunque
fare in modo che l'accesso allo strumento
sia consentito solo per attività di
manutenzione. In nessun caso e per nessun
motivo deve essere resa possibile l'analisi
sistematica del traffico degli utenti,
soprattutto con l'individuazione puntuale
degli stessi.
Per l'eventuale controllo sull'utilizzo di
Internet da parte dei dipendenti devono
comunque essere sempre rispettate le regole
e le garanzie stabilite dal Garante nel
provvedimento generale dell'01.03.2007 (17.11.2011
- tratto da www.ipsoa.it). |
UTILITA' |
EDILIZIA PRIVATA: Lavori
in copertura e valutazione del rischio di
caduta dall’alto. La documentazione di INAIL
ex-Ispesl.
I lavori in copertura sono particolarmente
delicati, in quanto espongono i lavoratori a
rischi elevati per la loro salute e
sicurezza. Certamente il rischio più grave,
da non sottovalutare, è quello di caduta
dall’alto, che deve essere valutato in
maniera molto attenta da chi redige i piani
di sicurezza.
L’INAIL ex-Ispesl ha pubblicato gli atti del
convegno tenutosi ad ottobre 2011 a Bologna
La documentazione tratta diversi aspetti
legati alle operazioni in copertura, in
particolare:
►
Classificazione delle coperture;
►
Valutazione del rischio per i lavori su
coperture;
►
Aspetti relativi ai materiali costituenti le
strutture di copertura;
►
Ispezione e mantenimento in efficienza dei
sistemi di ancoraggio su coperture;
►
Requisiti dei sistemi di ancoraggio su
coperture.
Gli
argomenti trattati costituiscono un utile
supporto ai progettisti, ai coordinatori e
alle imprese impegnati nella progettazione e
nella esecuzione di interventi di
manutenzione delle coperture
(17.11.2011 - link a www.acca.it). |
EDILIZIA PRIVATA - VARI: IVA
e imposte su vendita, locazione e
ristrutturazione dei fabbricati. Ecco la
tabella riepilogativa.
Le imposte sulla vendita, locazione e
manutenzione dei fabbricati variano in
funzione della tipologia di immobile, di chi
cede l’immobile e di chi lo acquista.
Ad esempio, la cessione di un immobile non
di lusso, destinato a prima casa
dell’acquirente, sarà soggetta ad IVA pari
al 4% e imposta di Registro pari a 168 euro,
se il venditore è un’impresa costruttrice
che ha terminato i lavori nei 5 anni
antecedenti la vendita. Se i lavori sono
terminati da oltre 5 anni o il venditore non
è l’impresa costruttrice, l’IVA è esente e
l’imposta di registro è pari al 3%
dell’importo di vendita.
Questo è solo uno dei tanti casi che
potrebbero presentarsi per la cessione o
locazione di un immobile.
L’ANCE ha pubblicato una utile Tavola
Sinottica contenente il regime di imposte
relativo alla vendita, locazione,
manutenzione e ristrutturazione di
abitazioni e immobili strumentali.
In particolare vengono definiti:
Þ
IVA
Þ
Registro
Þ
Ipotecaria
Þ
Catastale
in funzione della tipologia di immobile, di
chi cede l’immobile, di chi acquista e delle
condizioni al contorno.
E’ presente anche una tabella che riporta
l’IVA per le diverse operazioni di
manutenzione e ristrutturazione edilizia
(17.11.2011 - link a www.acca.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Quali
sono le agevolazioni fiscali per
ristrutturazioni edilizie e nuove
costruzioni? Arriva la guida aggiornata
dell’Agenzia delle Entrate.
Nelle opere di riqualificazione edilizia è
possibile usufruire di una serie di
agevolazioni, quali:
● IVA agevolata al 10% per interventi di
recupero degli immobili;
● detrazione IRPEF del 19% sugli interessi
passivi pagati per mutui stipulati per la
costruzione e la ristrutturazione
dell’abitazione principale;
● IVA agevolata al 4% sui beni finiti
acquistati per la costruzione di abitazioni
non di lusso.
Ma chi può fruire di queste detrazioni? A
quali tipologie di lavori spettano queste
agevolazioni? Cosa occorre fare per ottenere
queste detrazioni?
A tutte queste domande vengono fornite
risposte chiare e precise dall’Agenzia delle
Entrate, con la nuova versione, aggiornata a
novembre 2011, della guida “Ristrutturazioni
Edilizie: le agevolazioni fiscali”.
Il documento contiene in dettaglio le
istruzioni operative per utilizzare al
meglio le principali agevolazioni fiscali ed
è corredato da una serie di esempi pratici
(17.11.2011 - link a www.acca.it). |
CORTE DEI
CONTI |
ENTI LOCALI: PARTECIPATE/ Dismissioni lente.
Due le finestre: a fine 2012 e 2013. Parere
della Corte conti Lombardia.
Più tempo per le dismissioni societarie dei
comuni medio-grandi. Gli enti con
popolazione compresa tra 30 mila e 50 mila
abitanti non dovranno affrettarsi entro fine
2011 a ridurre a una sola le partecipazioni
societarie detenute, ma potranno farlo con
calma entro il 31.12.2013. Per i
comuni sotto i 30 mila abitanti le
dismissioni dovranno essere portate a
termine entro il 31.12.2012 a meno che
le partecipate abbiano avuto il bilancio in
utile negli ultimi tre esercizi, non abbiano
subìto riduzioni di capitale sociale e
perdite da ripianare.
L'importante chiarimento arriva dalla Corte
conti Lombardia che nel
parere 15.11.2011 n. 602 ha preso in esame la scansione
temporale contenuta nell'art. 14, comma 32
del dl 78/2010 e rimaneggiata più volte dal
legislatore tanto da indurre gli enti in più
di un equivoco.
Lo stesso in cui stava per cadere il comune
di Seregno (Mb) che con 43 mila abitanti e
tre partecipazioni societarie, temeva di
doverne dismettere due entro il 31.12.2011.
Questa almeno sembrava essere la dead line
risultante dall'applicazione delle norme,
modificate prima dal decreto milleproroghe
di fine 2010 (dl n. 225 convertito nella
legge n. 10/2011) e poi da ultimo dalla
manovra di Ferragosto (dl 138/2011).
Si trattava però di una lettura
«eccessivamente restrittiva e non coerente»
(come ha commentato l'Anci in una nota in
cui ha espresso apprezzamento per il
chiarimento) perché avrebbe stabilito per i
comuni più grandi una scadenza anticipata
rispetto agli obblighi dei comuni sotto i 30
mila abitanti. I giudici contabili lombardi
hanno ricordato come il dl 225/2010 abbia
prima fatto slittare dal 31/12/2011 al
31/12/2013 il termine per tutti i comuni
(sia quelli inferiori a 30 mila abitanti sia
quelli compresi tra 30 mila e 50 mila
abitanti). Ma poi è intervenuto il dl
138/2011 che ha anticipato di un anno (31.12.2012) la
dead line solo per i
comuni inferiori a 30 mila abitanti.
La diversa scansione temporale, secondo la
Corte conti, ha una giustificazione: «Una
diversa esigenza di snellimento degli
apparati, coerente con l'impianto generale
dell'art. 14, comma 32, del dl 78».
Infatti entro la fine del 2012 i comuni
sotto i 30 mila abitanti dovranno mettere in
liquidazione le società già costituite
(oppure cederne le partecipazioni) a meno
che non ricorrano le tre condizioni sopra
menzionate (bilanci in utile negli ultimi
tre esercizi, nessuna riduzione di capitale
conseguente a perdite di bilancio, nessuna
perdita che abbia costretto il comune a
un'operazione di salvataggio).
Tale disciplina non si applica alle società
(con partecipazione paritaria ovvero
proporzionale al numero degli abitanti)
costituite da comuni di popolazione
complessiva superiore a 30 mila abitanti.
Entro il 31.12.2013, invece, i comuni tra 30
mila e 50 mila abitanti potranno mantenere
la partecipazione in una sola società e
dovranno mettere in liquidazione tutte le
altre
(articolo ItaliaOggi del 19.11.2011 -
tratto da www.ecostampa.it). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Incremento
del fondo per recupero evasione TARSU.
La Corte dei Conti Sez. Reg.le Lombardia,
con il
parere 10.11.2011 n. 577, al
quesito se la potestà regolamentare dei
Comuni consenta una integrazione del fondo
per la produttività, ai sensi dell'art. 15,
comma 1, lettera k), CCNL 01.04.1999, con
risorse derivanti dal recupero dell'evasione
TARSU e di altre entrate dell'ente (o se,
invece, la possibilità sia limitata alla
sola ipotesi dell' ICI), evidenzia:
- "Diversamente (rispetto all'ICI), per
la TARSU e per le entrate non sussistono
specifiche disposizioni di legge che
consentono all'ente locale di destinare nel
fondo risorse c.d. incentivanti";
- "...nell'attuale sistema normativo, il
tetto di spesa cui fa riferimento il citato
art. 9, comma 2-bis, preclude all'ente
locale di valutare a priori la possibilità o
meno di stabilire se destinare al
trattamento accessorio del personale risorse
derivanti dal recupero della Tarsu o di
altre entrate" (tratto da www.publika.it). |
ENTI LOCALI: Piccoli
Comuni: gestioni associate ex art. 16 D.L.
138/2011.
La Corte dei Conti Sez. Reg.le Lombardia,
con il
parere 08.11.2011 n. 571 risponde
a due quesiti del Comune di Semiana e così
conclude:
- "...dalla richiamata normativa si
desume che nessun limite di soglia
demografica minima sussiste per i Comuni con
popolazione fino a 1.000 abitanti, che
optino per l'esercizio di tutte le funzioni
amministrative ed i servizi pubblici in
convenzione entro il 30.09.2012.
Al contrario, un limite si pone per i Comuni
di entità demografica superiore ma contenuta
entro i 5.000 abitanti, costituito dalla
soglia minima di 10.000 abitanti (salva
diversa previsione regionale) per le
convenzioni finalizzate all'esercizio delle
funzioni fondamentali." (tratto da www.publika.it). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO:
Emolumenti incentivanti la
produttività previsti da legge regionale.
La Corte dei Conti Sezioni Riunite di
Controllo, con
deliberazione 02.11.2011 n. 56, si
pronuncia su questione di massima deferita
dalla Sezione Regionale Marche. Queste le
conclusioni:
- "Ai fini del rispetto dell'art. 9,
comma 1, del decreto legge 31.05.2010, n.
78, convertito, con modificazioni, dalla
legge 30.07.2010, n. 122, la parte variabile
del trattamento accessorio è esclusa dall'aggregato
di riferimento. Pertanto, gli emolumenti
indicati dall'art. 15 LR 22/2009, che
prevede la maggiorazione dei diritti di
segreteria e la destinazione di queste
ulteriori risorse a progetti di
produttività, non vanno computati nella
quantificazione del 'trattamento economico
ordinariamente spettante', quale parametro
del limite ai trattamenti retributivi
individuali, afferendo gli stessi alle voci
retributive dell'accessorio e privi del
carattere fisso e continuativo";
- "Le componenti variabili del
trattamento accessorio, escluse dai limiti
del comma 1 per il loro carattere non fisso
e continuativo, hanno il loro vincolo di
incremento nella disciplina del comma 2-bis
del medesimo articolo, che va ad incidere
sui fondi unici di amministrazione.
La fattispecie di cui alla presente delibera
non appare riconducibile alle ipotesi in
deroga, indicate nella richiamata delibera
delle Sezioni riunite n. 51/CONTR/1, ed
essendo potenzialmente destinabili alla
generalità dei dipendenti dell'ente
attraverso lo svolgimento della
contrattazione integrativa, rientra quindi
nell'aggregato da considerare ai fini del
rispetto nel limite imposto dal legislatore
nel triennio 2011/2013" (tratto da
www.publika.it). |
NEWS |
EDILIZIA PRIVATA: Suap operativi e
informatizzati.
Predisposti appositi collegamenti per gli
sportelli unici. In G.U. il decreto dei
ministeri dello sviluppo economico e della
semplificazione amministrativa.
Facilitazioni per la presentazione
dell'istanza o della Scia; pubblicazione sui
siti internet degli enti e nei portali degli
Suap, tramite appositi collegamenti
informatici, dell'elenco dei pagamenti da
effettuarsi per ciascun procedimento
autorizzatorio, le causali, le modalità di
calcolo degli importi e gli estremi dei
propri conti correnti bancari e postali.
Sono alcune delle novità contenute nel
decreto 10.11.2011 «Misure per
l'attuazione dello Sportello unico per le
attività produttive di cui all'articolo 38,
comma 3-bis del decreto-legge 25.06.2008, n. 112, convertito con modificazioni,
dalla legge 06.08.2008, n. 133»
pubblicato in G.U. del 16 novembre scorso e
che in parte erano state anticipate dalla
circolare interministeriale del 28 settembre
a firma dei responsabili degli uffici
legislativo rispettivamente del ministero
dello sviluppo economico e del ministero
della semplificazione normativa.
Il decreto ha come obiettivo quello di
rendere operativi gli Sportelli unici per le
attività produttive, in attesa della
completa informatizzazione degli uffici
coinvolti nei relativi procedimenti.
Cosa non è funzionato. Il dpr 160/2010
prevedeva due distinti step che sono stati
già superati. Il primo è scaduto lo scorso
29.03.2011 e rendeva obbligatorio l'invio
della Scia esclusivamente con modalità
telematica, ovvero via web se il comune
competente si era organizzato in tal senso
o, in alternativa, mediante pec, la posta
elettronica certificata.
Lo step successivo
era previsto a fine settembre e avrebbe
imposto l'uso esclusivo della telematica
anche per i procedimenti soggetti a domanda.
Peraltro, entro tale data, Anci e
Unioncamere avrebbero dovuto predisporre,
regione per regione, una modulistica
univoca. L'ambizioso progetto non è riuscito
a rispettare la tempistica programmata ed
ecco che, con il decreto pubblicato
mercoledì scorso, sono state stabilite le
norme transitorie.
La soluzione proposta. Innanzitutto è stato
previsto che, in mancanza della modulistica
predisposta dallo Sportello unico per le
attività produttive, si utilizzino gli
strumenti messi a disposizione dal portale
www.impresainungiorno.gov.it per il
territorio di competenza regionale, previa
validazione adottata con provvedimento del
ministero dello sviluppo economico e sentite
le amministrazioni statali e regionali per i
procedimenti di rispettiva competenza.
Pagamenti e agevolazioni. Per quanto
riguarda i pagamenti dei diritti relativi ai
procedimenti, nell'ipotesi in cui il Suap
non disponga dell'autorizzazione che
consente il pagamento dell'imposta di bollo
in modo virtuale, il soggetto interessato
potrà provvedere ad inserire nella domanda i
numeri identificativi delle marche da bollo
utilizzate, nonché ad annullare le stesse,
conservandone gli originali.
Il dpr
attuativo dello Sportello unico, infine,
prevede particolari agevolazioni per i
soggetti che non sono in possesso della pec
e della firma digitale. Questi possono
avvalersi di soggetti terzi, ricorrendo al
potere di rappresentanza previsto dall'art.
38 del dpr 445/2000
(articolo ItaliaOggi del 19.11.2011). |
VARI: Case
fantasma, vendite bloccate.
Senza regolarizzazione catastale nessun atto
di trasferimento. Circolare del Territorio
esclude il rilascio della dichiarazione di
conformità oggettiva.
Stop alle compravendite per gli immobili
fantasma. Per i fabbricati cosiddetti
«fantasma», intercettati dal Territorio, è
esclusa, infatti, la possibilità di rilascio
della dichiarazione di conformità
«oggettiva» in atto prima della definitiva
regolarizzazione catastale. La conseguenza è
il blocco di qualsiasi tipo di trasferimento
(successione, donazione o compravendita).
Il
chiarimento arriva dalla
circolare
18.11.2011 n. 7/2011 dell'Agenzia del
territorio, sull'attribuzione della rendita
presunta e le modalità di gestione della
regolarizzazione catastale.
Il legislatore
ha disposto l'obbligo di procedere
all'aggiornamento (iscrizione) in catasto
dei fabbricati non censiti, intercettati
mediante le foto aree digitali (ortofoto)
sulle varie particelle, a cura dei titolari
dei diritti reali, entro il 31/12/2010;
termine poi spostato al 30/04/2011. Decorso
il termine di regolarizzazione spontanea è
il Territorio che si è surrogato al
proprietario procedendo d'ufficio nella
regolarizzazione con attribuzione
all'immobile di una rendita «presunta» da
iscrivere in catasto.
Con il documento in commento, il Territorio
ha indicato le regole di individuazione del
numero di unità immobiliari urbane da
iscrivere in catasto e le modalità di
registrazione nelle banche dati catastali;
detta registrazione è stata eseguita con
procedure automatizzate, utilizzando lo
specifico software, con l'obbligo di
presentazione delle dichiarazioni di
aggiornamento a cura dei legittimi
proprietari e/o professionisti delegati.
La circolare evidenzia che, al fine di
rendere riconoscibile l'immobile dotato di
rendita presunta, lo stesso viene iscritto
con l'inserimento, nella relativa banca
dati, di taluni simboli nella cartografia,
nel campo annotazione, nel data base
censuario (Ceu) e nel data base
planimetrico.
Sulla nullità degli atti per mancanza
dell'identificazione catastale e
dell'attestazione di conformità delle
planimetrie depositate in catasto con lo
stato di fatto dell'immobile il documento di
prassi avverte che nell'ipotesi di
trasferimento il proprietario deve aver
concluso l'intero iter di regolarizzazione,
stante l'impossibilità di rendere, nella
fase intermedia, «(_) la dichiarazione di
conformità oggettiva prevista, a pena di
nullità dell'atto, dalla prima parte del
comma 1-bis, dell'art. 29 della legge n. 52
del 1985 (_)».
Per le dichiarazioni di successione, qualora
nel coacervo dei beni ereditari siano
collocati immobili mai dichiarati, iscritti
in catasto ma dotati di rendita presunta, il
Territorio invita i titolari di diritti
reali a definire completamente la
regolarizzazione catastale, in data
anteriore alla presentazione della
dichiarazione di successione.
Con riferimento alle procedure di notifica,
la circolare ricorda che la stessa avviene
mediante affissione all'albo pretorio in
ogni comune ove gli immobili risultano
ubicati e della detta affissione viene data
notizia con comunicato collocato sul sito
web del Territorio e con la pubblicazione
nella Gazzetta Ufficiale. Infine, il
documento ricorda l'applicazione delle
sanzioni prescritte dal provvedimento
direttoriale del 19/4/2011
(articolo ItaliaOggi del 19.11.2011). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Buoni ai pensionati.
Ex dipendenti richiamabili in comune.
Interpello sul ricorso al lavoro accessorio
negli enti locali.
Il pensionato di anzianità può svolgere
attività di lavoro accessorio (voucher) con
l'ex ente locale da cui dipendeva. In tal
caso infatti, non opera il divieto imposto
alle pubbliche amministrazioni dal Tu sul
pubblico impiego (dlgs n. 165/2001) di
conferire incarichi a chi abbia cessato
volontariamente il servizio con una p.a.
Lo
precisa il ministero del lavoro
nell'interpello
11.11.2011 n. 44/2011, in risposta all'Anci
(associazione nazionale comuni italiani) che
ha chiesto chiarimenti sull'interpretazione
dell'articolo 70 del dlgs n. 276/2003,
relativamente allo svolgimento da parte di
pensionati delle attività di natura
occasionale nei confronti di enti locali. L'Anci,
in particolare, ha sollevato la problematica
afferente alla possibilità, da parte degli
enti locali, di utilizzare lavoratori ex
dipendenti di enti locali, che siano stati
collocati a riposo con pensione di anzianità
da meno di cinque anni, per l'espletamento
di attività a carattere accessorio.
In via preliminare, il ministero ricorda
che, per quanto riguarda le prestazioni di
lavoro accessorio, gli enti locali (da
intendersi comuni, province, città
metropolitane, comunità montane, comunità
isolane, unioni di comuni, nonché consorzi
cui partecipano enti locali, in base alla
circolare Inps n. 17/2010), possono
utilizzare prestazioni di natura accessoria
per peculiari tipologie di attività, quali
pulizia e manutenzione di edifici, strade,
parchi e monumenti, giardinaggio.
Per quanto
riguarda i pensionati, il ministero ricorda
che loro possono svolgere attività
occasionali «in qualsiasi settore
produttivo, compresi gli enti locali».
Infine, il ministero ricorda che «il ricorso
a prestazioni di lavoro accessorio da parte
(_) degli enti locali è consentito nel
rispetto dei vincoli previsti dalla vigente
disciplina in materia di contenimento delle
spese di personale (...)». Tale disposto,
spiega sempre il ministero, va coordinato
con le norme del T.u. sul pubblico impiego
che impongono limitazioni lavorative.
In
particolare, è precluso il conferimento di
incarichi di consulenza, collaborazione,
studio e ricerca da parte
dell'amministrazione di provenienza o di
altre amministrazioni al dipendente «che
cessa volontariamente dal servizio pur non
avendo il requisito previsto per il
pensionamento di vecchiaia ma che abbia
tuttavia il requisito per l'ottenimento
della pensione anticipata di anzianità da
parte dell'amministrazione di provenienza o
di amministrazioni con le quali ha avuto
rapporti di impiego nei cinque anni
precedenti a quello della cessazione».
Il
vincolo, spiega il ministero, non trova
applicazione con riferimento al lavoro
accessorio che si connota per l'occasionalità
della prestazione la quale, in ogni caso,
non può superare dei limiti di compenso ben
definiti dal legislatore. Detti limiti,
infatti, consentono di scongiurare quei
possibili fenomeni elusivi che lo stesso
legislatore ha voluto contrastare
introducendo particolari vincoli circa la
possibilità, da parte delle pubbliche
amministrazioni, di avvalersi di soggetti
cessati dal servizio anticipatamente
(articolo
ItaliaOggi del 19.11.2011 -
tratto da www.ecostampa.it). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Statali
e P.A.: cosa cambia con la legge di
stabilità.
Procedura veloce per
individuare i posti in eccesso. Se fallisce
la ricollocazione il personale viene messo
in mobilità.
LE NOVITÀ - Ai dipendenti in disponibilità
stipendio all'80% per 2 anni Vietato il
reclutamento senza verifica sul
sovrannumero.
È la novità che più di tutte promette di
avere impatto sulle dinamiche del pubblico
impiego. La legge di stabilità interviene
drasticamente sulla mobilità dei dipendenti
delle amministrazioni prevedendo
caratteristiche e procedure innovative
rispetto al passato. La modifica
all'articolo 33 del decreto legislativo
165/2001 vuole sottolineare ulteriormente la
maggior autonomia datoriale rispetto alle
scelte gestionali, dribblando, ancora una
volta, le relazioni sindacali.
Di cosa si tratta.
L'articolo in esame era destinato a
disciplinare le eccedenze di personale degli
enti pubblici.
La Riforma Brunetta (Dlgs 150/2009) aveva
previsto un vero e proprio obbligo in capo
al dirigente per individuare questo
personale, precisando che un comportamento
diverso avrebbe potuto essere oggetto di
valutazione al fine della responsabilità per
danno erariale.
Dopo una precisa procedura i soggetti in
eccedenza venivano collocati in
disponibilità con ogni sospensione delle
obbligazioni del rapporto di lavoro e il
diritto, per ventiquattro mesi, ad una
retribuzione pari all'80% dello stipendio in
godimento.
La novità.
Dall'entrata in vigore della legge di
stabilità, l'articolo 33 non disciplina però
solamente le eccedenze di personale, ma
anche le situazioni di soprannumero in
relazione alle esigenze funzionali o alla «situazione
finanziaria».
È proprio quest'ultimo aspetto a destare
qualche preoccupazione in più. Manca infatti
qualsiasi ulteriore indicazione su quali
circostanze un'amministrazione potrebbe far
leva.
La «situazione finanziaria» è una
definizione talmente vaga che potrebbe
essere utilizzata ad ampio raggio per
motivare scelte di rilevante impatto.
Il contesto.
La verifica va effettuata ogni anno con
l'obiettivo principale di favorire la
coordinata attuazione dei processi di
mobilità e di reclutamento di personale.
Pertanto le amministrazioni dovranno
procedere annualmente a questa ricognizione,
senza peraltro dimenticare che il Dlgs
165/2001 chiede anche ai dirigenti di
contribuire all'individuazione delle risorse
e dei profili professionali necessari allo
svolgimento dei compiti dell'ufficio cui
sono preposti.
La sanzione.
La norma prevede due sanzioni. Innanzitutto,
in base all'articolo 6 del Testo unico del
pubblico impiego, l'amministrazione che non
provvede alla ricognizione annuale dei posti
in eccedenza o in soprannumero non può
procedere ad assunzione di nuovo personale,
compreso quello appartenente alle categorie
protette.
Su questo l'articolo 33 rincara la dose
indicando che il divieto si estende ai
rapporti di lavoro con qualunque tipologia
di contratto, pena la nullità degli atti
posti in essere.
In secondo luogo viene confermata
l'eventuale responsabilità in capo al
dirigente.
La procedura.
L'azione prende il via con una semplice
informazione preventiva alle rappresentanze
unitarie del personale e alle organizzazioni
sindacali firmatarie del contratto nazionale
di lavoro.
Questo è l'unico coinvolgimento dei
sindacati che, rispetto al passato, vengono
di fatto relegati, almeno dal punto di vista
procedurale, a meri spettatori nella
procedura.
Trascorsi dieci giorni da tale comunicazione
l'amministrazione tenta di ricollocare
totalmente o parzialmente il personale in
soprannumero o in eccedenza nell'ambito
della stessa amministrazione, utilizzando
anche forme flessibili di gestione del
rapporto di lavoro (si pensi a una riduzione
del tempo del lavoro).
Con accordi preventivi è possibile collocare
il personale anche in altre amministrazioni
nel medesimo ambito regionale. I contratti
nazionali potranno prevedere forme di
trasferimento anche presso enti di altre
regioni.
Trascorsi novanta giorni dall'informazione
sindacale preventiva e qualora le operazioni
di ricollocamento di cui sopra non siano
andate a buon fine, il personale viene
inserito nelle liste di disponibilità.
Il trattamento economico.
Al personale viene corrisposto un
trattamento pari al l'80% dello stipendio,
con esclusione di ogni altro emolumento, per
la durata di ventiquattro mesi. È garantito
l'assegno famigliare, nei casi in cui sia
spettante, ed il periodo è utile ai fini
pensionistici.
L'entrata in vigore.
Le novità entrano in vigore dal 2012, in
quanto contenute nella legge di stabilità
per il prossimo anno, e non si applicano ai
concorsi già banditi e alle assunzioni già
autorizzate (articolo
Il Sole 24 Ore del 19.11.2011 -
tratto da www.ecostampa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Se lo sportello unico
tarda ecco l'ufficio del governo. Le
disposizioni dello Statuto imprese e della
legge di Stabilità.
Se lo Sportello unico non conclude il
procedimento nei termini prescritti, perché
non è riuscito ad acquisire in tempo i
pareri necessari, subentra l'ufficio locale
del Governo. E per le imprese, d'ora
innanzi, saranno le Camere di commercio a
fornire agli imprenditori le informazioni di
base necessarie ad iniziare una nuova
attività.
Sono queste due delle rilevanti
novità contenute rispettivamente nell'art.
14 della legge di stabilità 2012 (l.
183/2011) e nella legge 180/2011 «Norme per
la tutela della libertà d'impresa. Statuto
delle imprese».
Pubblicate entrambe sulla
G.U. del 14 novembre scorso, la prima
entrerà in vigore l'1 gennaio del prossimo
anno, mentre lo statuto delle imprese è in
vigore dal giorno successivo della sua
pubblicazione. Più in particolare,
l'articolo 14 della legge di stabilità
183/2011, prevede la riduzione degli oneri
amministrativi per imprese e cittadini
disponendo che, «In via sperimentale, fino
al 31.12.2013, sull'intero territorio
nazionale si applica la disciplina delle
zone a burocrazia zero prevista
dall'articolo 43 del decreto legge 31.05.2010, n. 78 (conv. legge 122/2010)».
Il
citato dl aveva previsto un anno fa le zone
a burocrazia zero per le regioni del
Meridione. Con la legge di stabilità si è
previsto ora di estendere a tutto il Paese i
benefici che tale innovazione comporta per
le imprese. Con riferimento agli sportelli
unici per le attività produttive,
comunemente noti ormai come Suap, il comma 5
dell'art. 14, prevede espressamente che «nel
caso di mancato rispetto dei termini dei
procedimenti, di cui all'articolo 7 del
decreto, (ovvero per le attività soggette ad
autorizzazione) da parte degli enti
interessati, l'adozione del provvedimento
conclusivo è rimessa all'ufficio locale del
Governo».
E, quindi, sembrerebbe anche in
carenza dei prescritti pareri. Per quanto
riguarda, invece, lo Statuto delle imprese,
la rilevante novità è collegata al fatto che
alle Camere di commercio viene ora affidato
uno dei compiti che in base all'articolo 4
del dpr 160/2010 di disciplina dello
Sportello unico, era affidato proprio agli Suap. Il comma 3 del suddetto art. 4,
infatti, prevede che Il Suap [_] cura
l'informazione attraverso il portale in
relazione agli adempimenti necessari per lo
svolgimento delle attività per tutti i
procedimenti che abbiano ad oggetto
l'esercizio di attività produttive e di
prestazione di servizi, indicando altresì
quelle per le quali è consentito l'immediato
avvio dell'intervento.
Con lo Statuto delle imprese, e precisamente
con l'art. 9, comma 2, invece, le pubbliche
amministrazioni dovranno garantire
attraverso le camere di commercio, la
pubblicazione e l'aggiornamento delle norme
e dei requisiti minimi per l'esercizio di
ciascuna tipologia di attività d'impresa. A
tal fine, le medesime amministrazioni
dovranno comunicare alle camere di
commercio, entro il 31 dicembre di ogni
anno, l'elenco delle norme e dei requisiti
minimi per l'esercizio di ciascuna tipologia
di attività d'impresa
(articolo ItaliaOggi del 18.11.2011 -
tratto da www.ecostampa.it). |
ENTI LOCALI: Federalismo
fiscale, lunedì si chiude. E le regioni
autonome sono al palo.
Non c'è più spazio per le leggi attuative
del federalismo fiscale. Scade, infatti,
lunedì prossimo (21 novembre) il termine di
trenta mesi stabilito dall'art. 2, comma 1,
della legge 05.05.2009, n. 42, che
consente al governo di adottare, uno o più
decreti legislativi per attuare la delega
sul federalismo.
Tale termine era stato
inizialmente fissato in 24 mesi e portato a
30 dalla legge 08.06.2011, n. 85, che ha
modificato in più punti la legge n. 42 del
2009, proprio per consentire una più
tranquilla definizione delle varie attività
richieste per il completamento del disegno
federalista.
Il termine di 30 mesi dalla data di entrata
in vigore della presente legge, scade,
quindi, il 21.11.2011, dal momento che
la legge n. 42, pubblicata in Gazzetta
ufficiale il 06.05.2009, è entrata in
vigore il 21.05.2009.
Stop dunque all'approvazione di nuove
disposizioni sul federalismo fiscale che
rientrino nello schema applicativo della
legge n. 42 del 2009, mentre nessuno
impedisce l'approvazione di norme che
possano in qualche modo impattare sul
sistema, magari anche migliorandolo. La data
del 21 novembre segna anche la fine dei
tavoli di confronto con le autonomie
speciali che sono previsti nell'art. 27
della legge 42, vale a dire in uno dei pochi
articoli della delega che risultano
applicabili anche a questi enti
territoriali.
Si ricorda, infatti, che il
legislatore ha tenuto inspiegabilmente fuori
dalla riforma federale del sistema
tributario le regioni a statuto speciale e
le province autonome stabilendo all'art. 1,
comma 2 della legge n. 42 che nei confronti
delle autonomie speciali le uniche norme
applicabili sono gli articoli 15, 22, e 27.
Come se non bastasse c'è stato già un
intervento della Corte Costituzionale,
sollecitata dalla regione Sicilia, che ha
giustamente confermato la chiara lettera
della norma nella sentenza n. 201 del 10.06.2010.
Ebbene l'art. 27 della legge n.
42 prevede anch'esso che «entro il termine
di 30 mesi stabilito per l'emanazione dei
decreti legislativi» si sarebbe dovuto
definire, con le norme di attuazione dei
singoli statuti, le modalità ed i criteri
con cui le regioni autonome «concorrono al
conseguimento degli obiettivi di
perequazione e di solidarietà ed
all'esercizio dei diritti e doveri da essi
derivanti, nonché al patto di stabilità
interno e all'assolvimento degli obblighi
posti dall'ordinamento comunitario».
Un aspetto molto particolare si rinviene nel
comma 7 dove viene prevista la creazione di
un tavolo di confronto tra il governo e
ciascuna regione a statuto speciale (o
provincia autonoma) finalizzato ad:
- assicurare il rispetto delle norme
fondamentali della legge e dei princìpi che
da essa derivano, nel rispetto delle
peculiarità di ciascuna regione a statuto
speciale o provincia autonoma;
- individuare linee guida, indirizzi e
strumenti per assicurare il concorso delle
regioni a statuto speciale e delle province
autonome agli obiettivi di perequazione e di
solidarietà e per valutare la congruità
delle attribuzioni finanziarie ulteriori
intervenute successivamente all'entrata in
vigore degli statuti, verificandone la
coerenza con i princìpi di cui alla presente
legge e con i nuovi assetti della finanza
pubblica.
Il tavolo rappresenta, dunque, il luogo in
cui si realizza il confronto tra lo stato e
le autonomie speciali per quanto attiene ai
profili perequativi e finanziari del
federalismo fiscale delineati dalla legge
delega, secondo il principio di leale
collaborazione. Sebbene detti tavoli siano
stati istituiti con dpcm 06.08.2009 non
risulta che abbiano concretamente operato, e
dal punto di vista operativo si devono fare
i conti con norme tributarie mal coordinate
che non definiscono linee di azione ben
precise. Manca, infatti, molta chiarezza
sull'applicabilità delle norme in questione
agli enti locali che si trovano nel
territorio delle autonomie speciali.
Infatti, mentre il dlgs n.68/2011, sul
federalismo regionale e provinciale, pur
prevedendo un'eccezione per l'imposta
provinciale di trascrizione (Ipt) e per
l'imposta sulle assicurazioni Rc-Auto,
stabilisce a chiare lettere che le
disposizioni in esso contenute si applicano
solo alle regioni a statuto ordinario ed
alle province ubicate nei loro territori,
nessuna dichiarazione di questo tipo esiste
nel dlgs n. 23/2011, in materia di
federalismo fiscale municipale, dove le
uniche norme utili alla comprensione del
sistema sono gli art. 14, commi 2 e 3.
Queste fanno una differenza tra autonomie
che esercitano la finanza locale e altre
autonomie. Per le regioni e province
autonome che rientrano nel primo gruppo la
disciplina è contenuta nel comma 3 dell'art.
14, in base al quale le modalità di
applicazione delle disposizioni relative
alle imposte comunali istituite con il dlgs
23 sono stabilite dalle autonomie speciali
in conformità con i rispettivi statuti e le
relative norme di attuazione. Invece, per la
Sicilia e la Sardegna, che non svolgono
funzioni in materia di finanza locale, trova
applicazione il comma 2, in base al quale
«il presente decreto si applica nel rispetto
dei rispettivi statuti e in conformità con
le procedure previste dall'art. 27 della
citata legge n. 42 del 2009».
Non sembra che allo stato attuale siano
state avviate dette procedure e la scadenza
del termine fissato dalla legge delega crea
sicuramente un problema che forse è sfuggito
all'attenzione di molti
(articolo ItaliaOggi del 18.11.2011 -
tratto da www.corteconti.it). |
APPALTI SERVIZI: Servizi locali, Antitrust
rafforzata.
L'Authority potrà entrare nel merito delle
decisioni degli enti. Le novità della legge
di stabilità. Il format per le delibere
arriverà entro fine gennaio con decreto.
La delibera-quadro sull'assetto
concorrenziale dei servizi pubblici locali
che gli enti dovranno adottare entro il 12.08.2012 e in ogni caso prima di
procedere al conferimento e al rinnovo della
gestione, avrà uno specifico format entro il
31 gennaio del prossimo anno, grazie a un
decreto interministeriale.
A specificarlo è l'art. 9, co. 2, lett. m),
della recente legge di stabilità (legge
n. 183/2011).
Inoltre, se con il dl 138/2011 la stessa
delibera sembrava dovesse assumere un ruolo
marginale e di «presa d'atto» da parte
dell'Autorità garante della concorrenza e
del mercato ai fini della relazione al
parlamento ai sensi della legge 287/1990, con
l'aggiunta dell'inciso «anche» disposta
dalla lett. b) del medesimo comma e
articolo, la funzione dell'Authority
potrebbe essere più incisiva con la
possibilità di entrare nel merito di quanto
deliberato dagli enti locali; non più un
ruolo «passivo» di quest'ultima, ma
tutt'altro, di regolatore e garante di una
maggiore concorrenza dei servizi pubblici a
svantaggio dei monopoli molto spesso
antieconomici e svantaggiosi per gli utenti.
La previsione di tale decreto recepisce di
fatto quanto rilevato da tempo dal Consiglio
di stato che aveva, già con parere, sez.
consultiva per gli atti normativi 24.05.2010
n. 2415, auspicato in merito la definizione
di criteri puntuali e definiti.
Intanto, sono molte le perplessità che
assillano gli enti in questo periodo: se la
previsione di un prossimo decreto aiuterà a
capire quali elementi inserire nella
delibera-quadro (tra i quali troviamo i
criteri per la verifica della concorrenza e
l'idoneità o meno della libera iniziativa
economica privata, le modalità per la
comparazione delle diverse gestioni), resta
da capire cosa fare ora in una fase delicata
caratterizzata da scadenze contrattuali e
normative che può portare a cessazioni prima
della scadenza del prossimo 31 marzo o del
30 giugno –rispettivamente– delle in-house
laddove siano riferite a servizi con valore
superiore a 900 mila (senza frazionamenti
artificiosi) ovvero non conformi alle
prescrizioni della giurisprudenza europea e
delle società miste laddove non vi sia stata
contestuale gara per la scelta del socio e
dell'attribuzione dei compiti operativi.
Medesime problematicità per i rinnovi e le
aggiudicazioni a mezzo gara che dovranno
essere effettuate prima dell'emanando
decreto interministeriale.
Se da un lato ci si augura che detto decreto
possa essere emanato anche molto prima della
scadenza del 31 gennaio, dall'altro ciò non
può costituire un esimente per non adottare
la delibera laddove necessaria nel
frattempo.
La previsione del decreto da parte della
legge di stabilità non sembra pregiudicare
l'immediata operatività dell'art. 4 del dl
138/2011; solo la decisione di liberalizzare
uno o più servizi pubblici locali potrebbe
non richiedere l'adozione preventiva della
delibera-quadro che, viceversa, serve a
giustificare l'eventuale decisione dell'ente
di riservarsi i diritti di esclusiva,
quest'ultimi da attribuire mediante gara
ovvero nella forma dell'in-house providing.
La scelta migliore per gli enti locali
rimane quella di approcciarsi quanto prima
alla definizione della delibera-quadro (a
prescindere dalle imminenti e prossime
scadenze) suscettibile anche di
miglioramenti ed integrazioni sulla base del
futuro decreto, con cui, secondo una visione
unitaria tra ente e partecipate, procedere
immediatamente alla verifica delle attuali
condizioni economiche, finanziarie e
qualitative dei diversi servizi,
distinguendo quelli a rilevanza economica e
quelli privi di tale rilevanza, rispetto ai
servizi strumentali. Per i primi soprattutto
sarà necessario valutare se liberalizzare o
meno sulla base di apposite indagini di
mercato con l'ausilio di esperti esterni,
augurandosi che anche l'Autorità garante per
il mercato e la concorrenza possa essere
quanto prima di supporto agli enti nel
fornire assistenza e elementi utili, quali
banche dati per settore e attività.
I tempi sono ormai maturi per trasformare il
settore dei servizi pubblici locali in
volano per lo sviluppo economico
territoriale. Agli amministratori locali uno
sforzo per garantire competitività
eliminando monopoli non più giustificabili
anche in relazione alla attuale grave crisi
economica
(articolo ItaliaOggi del 18.11.2011 -
tratto da www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI: OSSERVATORIO VIMINALE/
Consorzi senza conflitti. Non si applica il
regime delle incompatibilità. Le norme che
limitano i diritti di status sono di stretta
interpretazione.
Sussiste un'ipotesi di incompatibilità per
un imprenditore, designato tra i componenti
dell'assemblea consortile, il quale,
titolare di più imprese operanti in un
agglomerato di competenza del consorzio, da
un lato fornisce, in maniera continuativa e
in regime di monopolio, utilities al
consorzio e dall'altro usufruisce dei
servizi forniti dall'ente stesso?
Fatte salve eventuali specifiche
disposizioni regionali in materia, non
sussistono le cause di incompatibilità
previste dall'art. 63, comma 1, nn. 2 e 6
del dlgs 267/2000, in quanto tra i
destinatari di tali norme non figurano i
componenti degli organi dei consorzi tra
enti locali.
Né, peraltro, è possibile estendere l'ambito
applicativo delle disposizione in questione,
in quanto le norme che restringono
eccezionalmente diritti di status come, nel
caso di specie, il diritto di elettorato
passivo riconosciuto dall'articolo 51 della
Costituzione – sono norme di stretta
interpretazione, le cui previsioni non
possono essere estese in via analogica al di
fuori dei casi ivi espressamente indicati
(cfr., ex multis, Consiglio di stato,
I sezione, 22.10.2008, n. 3376)
(articolo ItaliaOggi del 18.11.2011). |
CONSIGLIERI COMUNALI: OSSERVATORIO
VIMINALE/ Decadenza per assenza.
È applicabile anche alla carica di assessore
comunale la disciplina relativa all'istituto
della decadenza per ingiustificata assenza a
più sedute dell'organo collegiale?
Il legislatore statale contempla l'ipotesi
della decadenza per mancata partecipazione
alle sedute con esclusivo riferimento alla
carica di consigliere (v. art. 43, ultimo
comma, del Tuel n. 267/2000; tale norma va
letta in combinato disposto con l'art. 273,
co. 6, del medesimo Tuel n. 267 in base al
quale, nelle more dell'adozione della
prescritta disciplina statutaria, trova
applicazione, per il profilo considerato, il
disposto dell'art. 289 del Tulcp n.
148/1915).
Nulla di analogo si prevede, alla stregua
del vigente ordinamento, per la carica di
assessore, a differenza dal pregresso
ordinamento (v. art. 289, co. 2 del citato
Tulcp n. 148/1915).
Tale circostanza è da imputarsi alla
configurazione della giunta quale organo
fiduciario, di diretta collaborazione con il
sindaco che dispone, fra l'altro, del potere
di revoca dell'assessore allorché venga meno
il rapporto di fiducia alla base
dell'investitura a tale carica per le più
svariate cause, ivi compresa la protratta e
ingiustificata assenza alle sedute, quale
esternazione di un atteggiamento di
indisponibilità alla prosecuzione del
rapporto instaurato con l'accettazione della
nomina; appare evidente come, in un'ipotesi
di tal tipo, debba desumersi l'inevitabilità
di una nuova valutazione da parte del
sindaco in ordine alla permanenza dei
presupposti che avevano condotto
all'individuazione di quel soggetto quale
suo stretto collaboratore per l'attuazione
del programma di governo.
Pertanto, la norma dello statuto comunale
che disciplina l'ipotesi della decadenza
dell'assessore per assenze ingiustificate
alle sedute della giunta appare di dubbia
applicabilità, sia perché, secondo i comuni
canoni ermeneutici, le previsioni statutarie
conformate a un regime giuridico
successivamente riformato possono continuare
a trovare applicazione solo nella misura in
cui non confliggono con il nuovo sistema;
sia per la difficoltà d'individuare,
nell'ambito dell'organo collegiale di cui
l'amministratore locale fa parte, l'organo
deputato alla valutazione della posizione
dell'assessore stesso.
Infatti, se per il consiglio vale il
principio, proprio degli organi collegiali
elettivi, per cui la valutazione circa la
posizione dei singoli componenti il consesso
(cioè la legittimazione a farne parte)
costituisce materia di esclusiva competenza
del collegio medesimo, per la giunta non
sembrerebbe possibile l'applicazione di
analogo principio, trattandosi di un organo
collegiale che non è elettivo, bensì
nominato fiduciariamente dal sindaco che
appare, pertanto, come l'unico soggetto
legittimato a pronunciarsi sulla legittimità
della partecipazione del singolo assessore
alla compagine della giunta
(articolo ItaliaOggi del 18.11.2011). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
PROCESSO AMMINISTRATIVO/ Ecco la
multa per lite temeraria. Fino a 20 mila
euro per un contenzioso sugli appalti. Cosa
prevede il decreto correttivo approvato dal
governo.
Scatta la multa per le liti temerarie
davanti a Tar e Consiglio di stato. Fino al
quintuplo del contributo unificato (e
quindi, ad esempio, fino 20 mila euro per un
processo sugli appalti).
Passa la linea dura
nel
decreto correttivo del codice del
processo amministrativo, approvato
definitivamente venerdì scorso dal consiglio
dei ministri.
Anche se viene escluso l'automatismo della
multa quando si propone un ricorso
sostenendo una tesi contraria a quella della
giurisprudenza consolidata. Il decreto
correttivo del decreto legislativo n. 104
del 2010 (codice del processo
amministrativo) interviene con alcune
rettifiche formali e di coordinamento e
chiarisce alcuni dubbi sorti nella pratica
forense. Alcune correzioni sono, invece,
delle innovazioni. Vediamo, in particolare
quelle in materia di spese di giudizio e di
domiciliazione della parte.
SPESE DI GIUDIZIO
Scatta una multa da pagare allo stato per le
liti temerarie. anche se rispetto a una
versione iniziale la regola viene cambiata
in corsa, con un minore rigore, poiché viene
meno l'automatismo previsto nella
formulazione preliminare delle modifiche
all'articolo 26 del codice del processo
amministrativo.
L'attuale articolo 26 prescrive un
risarcimento all'altra parte a carico della
parte soccombente quando la decisione è
fondata su ragioni manifeste o orientamenti
giurisprudenziali consolidati: insomma chi
perde può trovarsi a dover pagare al suo
avversario, anche su provvedimento di
ufficio del giudice, una somma da
determinarsi a discrezione del Tar o del
Consiglio di Stato. Il presupposto del
risarcimento del danno è avere iniziato una
causa o avere resistito in una causa pur
avendo palesemente torto o in contrasto con
le tesi accreditate unanimemente dal
consiglio di stato e dai Tar.
Le cose cambiano e di molto con il
correttivo.
Innanzi tutto il beneficiario del versamento
non è chi vince la causa, ma è lo stato.
Inoltre viene fissato un minimo e massimo:
la multa nel minimo non può essere inferiore
al doppio del contributo unificato dovuto
per il ricorso introduttivo del giudizio, e
nel massimo non deve essere superiore al
quintuplo.
Quindi la multa sarà molto elevata per i
processi in materia di appalti, per i quali
si rischia una multa da 8 a 20 mila euro;
per la generalità dei processi la sanzione
va da 1.200 euro a 3 mila euro.
Rimane il potere di condanna d'ufficio da
parte del giudice e, quindi, non c'è bisogno
di una richiesta di parte.
Cambia, soprattutto, invece, il presupposto
per l'applicazione della sanzione, che è
così descritto dalla nuova disposizione:
quando la parte soccombente ha agito o
resistito temerariamente in giudizio.
Sarà il giudice a dovere valutare di volta
in volta se vi è stata colpevole o dolosa
avventatezza. Nella versione attuale basta
la contrarietà alla giurisprudenza
consolidata. Si tratta di un concetto non
sempre ben definibile: ad esempio ci si può
chiedere se basta una sentenza difforme a
eliminare il presupposto richiesto. Inoltre
una regola di questo tipo tende a impedire
qualsiasi mutamento di giurisprudenza e le
parti sarebbero fortemente vincolati e
disincentivati a proporre ricorsi sostenendo
tesi in contrasto con quelle precedenti, ma
maturate a seguito di novità legislative o
comunque di una evoluzione interpretativa.
Con la novità del correttivo parti e
avvocati saranno meno timorose di proporre
tesi nuove, anche se rimane il limite
generale della temerarietà.
La regola in commento vale sia per il
privato sia per l'amministrazione
resistente.
DOMICILIO
Per ricevere le comunicazioni delle
segreterie di Tar e Consiglio di Stato
l'avvocato può indicare il proprio indirizzo
di posta elettronica certificata e il
proprio fax, anche se si elegge domicilio
presso un altro studio legale.
Spieghiamo la novità. Le parti, nel primo
atto difensivo, devono eleggere domicilio
presso il comune dove ha sede il Tar (per il
primo grado) e a Roma (per i procedimenti
del consiglio di stato); se non lo fanno
sono domiciliate d'ufficio presso la
segreteria dell'ufficio giudiziario, con
qualche problema per la conoscibilità delle
comunicazione e degli avvisi (per averli
bisogna andare al Tar o al Consiglio di
stato).
Per questa ragione le parti eleggono
domicilio presso uno studio legale che ha
sede dove ha sede il Tar o a Roma. Quindi,
ad esempio, se un avvocato di Milano difende
un suo cliente in appello al Consiglio di
stato la parte, di solito, elegge domicilio
presso uno studio legale romano e per le
comunicazioni si indica il fax e la posta
elettronica dello studio legale di Roma.
Con la modifica l'avvocato di Milano potrà
continuare a far eleggere domicilio presso
il corrispondente (domiciliatario) di Roma,
ma potrà inserire negli atti il proprio
indirizzo di pec e il proprio fax, così da
ricevere direttamente avvisi e
comunicazioni.
Il correttivo consente, infatti, di ricevere
comunicazioni all'indirizzo di posta
elettronica certificata e un recapito di
fax, che possono essere anche diversi dagli
indirizzi del domiciliatario (nuovo articolo
136). Questo anche se la parte non ha eletto
domicilio nel comune sede del tribunale
amministrativo regionale o della sezione
staccata o a Roma.
PROCEDIMENTI IN CAMERA DI CONSIGLIO
Viene modificato l'articolo 87 (procedimenti
in camera di consiglio) disponendo che il
dimezzamento dei termini previsti per questi
riti si applica a tutti i termini, tranne
nei giudizi di primo grado, quelli del
ricorso introduttivo, del ricorso
incidentale e dei motivi aggiunti. La
modifica sta nella specificazione della
esclusione del dimezzamento dei termini per
ricorsi e motivi aggiunti solo in primo
grado.
SOSPENSIONE DELLA SENTENZA
Per chiedere al consiglio di stato la
sospensione della sentenza, in via di
urgenza, bisognerà comunque prima notificare
la relativa istanza alle altre parti. Così
viene modificato L'articolo 111, comma 1,
del codice.
OTTEMPERANZA
Il correttivo introduce la disciplina
specifica delle impugnazione degli atti del
commissario ad acta (di regola un
funzionario pubblico nominato per dare
esecuzione alle sentenze non eseguite
spontaneamente dall'amministrazione).
La
novità prevede che contro gli atti del
commissario ad acta le stesse parti possono
proporre, dinanzi al giudice
dell'ottemperanza, reclamo; il reclamo va
depositato, previa notifica ai
controinteressati, nel termine di 60 giorni (articolo ItaliaOggi del 17.11.2011 -
tratto da
www.corteconti.it). |
VARI:
Contanti? Sì, ma sotto la soglia.
Attenzione ai pagamenti ai fornitori, tra
società o tra i soci. Le novità sui
trasferimenti di importi pari o superiori a
2.500 euro. No ai frazionamenti artificiosi.
La manovra-bis 2011 ha nuovamente abbassato
il limite all'utilizzo del denaro contante e
dei titoli al portatore: per effetto del
contenuto disposto dall'articolo 2, comma 4,
del dl n. 138/2011, a partire dallo scorso
13.08.2011 sono vietati i trasferimenti
di denaro contante, di libretti di deposito
bancari o postali al portatore o di altri
titoli al portatore in euro o in valuta
estera, effettuati a qualsiasi titolo tra
soggetti diversi, per un importo riferito a
ciascun trasferimento, anche frazionato
artificiosamente, pari o superiore a 2.500
euro.
È utile ricordare che precedentemente
l'articolo 49, del dlgs n. 231/2007, recante
«limitazioni all'uso del contante e dei
titoli al portatore», nella versione
previgente alle modifiche apportate dalla
manovra-bis 2011, disponeva fra l'altro:
a) il divieto di trasferimento di denaro
contante o di libretti di deposito bancari o
postali al portatore o di titoli al
portatore in euro o in valuta estera,
effettuato a qualsiasi titolo tra soggetti
diversi, quando il valore oggetto di
trasferimento, è complessivamente pari o
superiore a 5 mila euro. Il trasferimento è
vietato anche quando è effettuato con più
pagamenti inferiori alla soglia che appaiono
artificiosamente frazionati. Il
trasferimento può tuttavia essere eseguito
per il tramite di banche, istituti di moneta
elettronica e Poste italiane spa;
b) il divieto di detenere libretti di
deposito bancari o postali al portatore con
saldo pari o superiore a 5 mila euro.
Tale limite di 5 mila euro era stato elevato
a 12.500 euro dall'articolo 32 del decreto
legge n. 112 del 2009 e successivamente
riportato a 5 mila euro dall'articolo 20 del
dl 78 del 2010.
La novità sostanziale è che ora la norma
riduce ulteriormente il limite: in pratica
non è più possibile effettuare pagamenti in
contanti di importi pari o superiori a 2.500
euro, l'importo massimo consentito per il
pagamento in contanti è di 2.499. Nella
pratica commerciale occorrerà, pertanto,
fare attenzione ai pagamenti a fornitori, ai
pagamenti tra società appartenenti allo
stesso gruppo, ai rapporti tra socio e
società (prestiti, finanziamenti, prelievi)
che avvengono in contanti; tali pagamenti
dovranno essere eseguiti entro l'importo
massimo consentito di 2.499.
Si evidenzia che non sono consentiti i
pagamenti inferiori alla soglia quando sono
artificiosamente frazionati allo scopo di
eludere la legge.
L'ulteriore riduzione della soglia agevolerà
il compito dell'amministrazione finanziaria
sia nell'ipotesi di controllo fiscale in via
amministrativa, sia nell'ipotesi di utilizzo
ai fini fiscali dei dati, informazioni ed
elementi acquisiti dalla Polizia giudiziaria
nell'ambito delle indagini di carattere
penale.
Anche il saldo dei libretti di deposito al
portatore non può superare i 2.499 euro;
conseguentemente per i libretti di deposito
di importo pari o superiore a 2.500 euro,
entro il 30 settembre scorso, occorreva
operare la scelta di: estinguere i libretti;
ridurre il saldo dei libretti a 2.499 euro,
prelevando la somma in eccedenza;
estinguerli e trasformarli in libretti al
portatore nominativi.
Nessuna innovazione è stata apportata,
invece, per quanto concerne l'emissione
degli assegni bancari e postali da parte
delle banche e di Poste italiane spa, i
quali devono essere sempre muniti della
clausola di «non trasferibilità» con
l'evidente intento di ridurre la
circolazione degli assegni liberi per
limitarli, comunque, a pagamenti inferiori a
2.500 euro.
Resta fermo il diritto del cliente di
richiedere, per iscritto, il rilascio di
moduli di assegni bancari e postali in forma
libera tenuto conto, però, che l'Agenzia
delle entrate e la Guardia di finanza
possono chiedere ai soggetti emittenti
(banche e Poste) i dati identificativi e il
codice fiscale dei richiedenti ovvero dei
soggetti che li hanno presentati
all'incasso.
In ogni caso, gli assegni recanti la
clausola di non trasferibilità non hanno
limite di importo (articolo ItaliaOggi del 17.11.2011). |
INCARICHI PROGETTUALI: A discrezione sempre più incarichi.
Per effetto dell'innalzamento della soglia
per gli affidamenti. Le conseguenze per i
progettisti dell'entrata in vigore da ieri
del cosiddetto Statuto
delle imprese.
Sempre più discrezionali gli incarichi di
progettazione e servizi di ingegneria e
architettura della pubblica amministrazione.
Per incarichi fino a 193 mila euro la scelta
dei progettisti avverrà tramite elenchi o
avvisi di gara, ricorrendo anche al
sorteggio e con criteri di rotazione;
prevista la suddivisione in lotti degli
appalti; velocizzato l'iter di recepimento
della direttive europea per i ritardi nei
pagamenti delle pubbliche amministrazioni,
previste sanzioni dell'Antirust per le
grandi imprese.
Sono queste alcune delle
norme di maggiore rilievo contenute nella
legge dell'11.11.2011 il cosiddetto
Statuto delle imprese, in vigore da ieri.
Di
particolare impatto sul mercato delle
progettazioni è la modifica all'articolo 91,
comma 1 del Codice perché porta a 125.000
euro (per le amministrazioni centrali dello
Stato) e a 193 mila euro per tutte le altre
stazioni appaltanti, la soglia (in
precedenza pari a 100.000 euro) entro la
quale è ammesso scegliere progettisti,
direttori dei lavori, coordinatori per la
sicurezza e collaudatori con procedura
negoziata previo invito di almeno cinque
soggetti ai sensi di quanto disposto
dall'articolo 57, comma 6 del Codice. La
norma del Codice prescrive che la scelta dei
soggetti da invitare a presentare offerta
(almeno cinque) debba fare seguito ad
informazioni desunte da una indagine di
mercato.
In concreto, per quel che riguarda
le modalità di selezione del mercato ai fini
dell'individuazione degli invitati a
presentare offerta per incarichi fino alla
soglia comunitaria, l'articolo 267 del Dpr
207/2010, il regolamento del Codice, entra
nel dettaglio applicativo della disposizione
di rango primario che la legge sullo statuto
delle imprese ha modificato, prevedendo due
modalità propedeutiche all'individuazione
dei soggetti da invitare: l'istituzione di
elenchi di operatori economici, o
l'effettuazione di indagini di mercato
finalizzate al singolo affidamento che si
concretizzano nella pubblicazione di un
avviso di gara, in ogni caso rispettando il
criterio di rotazione degli incarichi.
In
entrambi i casi le amministrazioni dovranno
rispettare i principi di non
discriminazione, parità di trattamento,
proporzionalità e trasparenza, correttamente
e esaustivamente interpretati dall'Autorità
per la vigilanza sui contratti pubblici che
ha anche specificato come le stazioni
appaltanti debbano evitare di inserire nei
bandi di gara (e ciò rileva anche per gli
affidamenti di maggiore importo) preferenze
territoriali o locali.
In ogni caso, per
effetto della modifica apportata
all'articolo 91 del Codice, le stazioni
appaltanti: - da 0 a 193.000 euro, potranno
optare per la procedura negoziata con invito
di almeno cinque soggetti; - oltre i 193 mila
euro saranno utilizzabili le procedure
(aperte, negoziate, ristrette) con
pubblicità europea, applicando gli articoli
da 263 a 266 del Regolamento.
La legge sullo
statuto delle imprese prevede anche il
recepimento della direttiva ritardati
pagamenti (da effettuare entro 12 mesi,
quindi con cinque mesi di anticipo rispetto
alla scadenza del marzo 2013): in questo
caso le norme europee, quando entreranno in
vigore, consentiranno pagamenti da parte
delle amministrazioni e dei privati entro un
massimo di 60 giorni. Previste anche
sanzioni e diffide per le grandi imprese
relativamente a comportamenti illeciti messi
in atto nei confronti delle piccole e medie
imprese.
In via generale vengono poi
introdotte norme che tutelano le piccole e
medie imprese che partecipano agli appalti:
la prova dei requisiti dovrà essere
effettuata solo dall'aggiudicatario
dell'appalto; sarà possibile una più ampia
autocertificazione dei requisiti con il
divieto di chiedere documenti già in
possesso dell'Amministrazione; sarà vietato
chiedere requisiti sproporzionati rispetto
all'oggetto dell'appalto
(articolo ItaliaOggi del 16.11.2011). |
APPALTI: Appalti, corsia di favore per le pmi.
Multe Antitrust per tardivo pagamento.
Sanzioni ridotte in Cdc. In vigore la legge
sullo Statuto delle imprese. Accesso
privilegiato alle infrastrutture per le pmi locali.
Sanzioni dell'Antitrust in caso di ritardi
nei pagamenti a danno delle pmi da parte
delle grandi imprese; codice etico
«antimafia» obbligatorio per le associazioni
di categoria; incentivi alla partecipazione
delle piccole e medie imprese agli appalti
pubblici; un garante tutto nuovo per le
piccole e medie imprese.
Eppoi, procedure più flessibili per
l'affidamento di incarichi di progettazione
(e altri servizi tecnici) fino alla soglia
comunitaria dei 193 mila euro. E ancora
sanzioni dimezzate per l'omessa esecuzione
di denunce, comunicazioni e depositi al
registro imprese; con tanto di ravvedimento
operoso a breve termine.
Sono queste solo
alcune delle novità della legge 180/2011,
contenente lo Statuto delle imprese,
pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 265
del 14.11.2011. ItaliaOggi ne aveva
anticipato i contenuti il 4 e 5 novembre
scorso. Ora, con la pubblicazione in
Gazzetta il provvedimento è entrato in
vigore, ieri 15.11.2011. Ma andiamo
con ordine.
Accesso al mercato delle pmi. Il testo
interviene sugli appalti pubblici, invitando
le stazioni appaltanti a procedere alla
suddivisione degli appalti in più lotti o
lavorazioni, ammettendo il subappalto e
garantendo la corresponsione diretta dei
pagamenti da effettuare tramite bonifico
bancario. Prevista, inoltre, una
disposizione a favore delle aggregazioni
(raggruppamenti temporanei, consorzi e reti
di impresa) per partecipare alle gare. Per i
contratti stipulati dai piccoli comuni
(sotto i 5 mila abitanti), invece, la legge
disegna una corsia di favore per le aziende
che hanno sede nelle aree in cui vanno
realizzate opere compensative per grandi
infrastrutture. Garantendo in primis un
accesso privilegiato alle pmi del posto.
Non
solo. Per i servizi pubblici degli stessi
comuni, la normativa dispone
l'individuazione di lotti adeguati
all'entità del servizio da erogare. E ambiti
di servizio compatibili con le
caratteristiche tipiche della stessa
comunità locale. Più in generale, negli
appalti relativi alle pmi, la prova dei
requisiti dovrà essere sostenuta solo
dall'aggiudicatario dell'appalto. Mentre,
verrà fatto divieto di chiedere requisiti
sproporzionati rispetto all'oggetto
dell'appalto. Quindi, sul fronte della
tutela dei rapporti commerciali delle
imprese, la legge prevede la possibilità che
l'Antitrust intervenga, con tanto di diffide
e sanzioni, per comportamenti illeciti messi
in atto da grandi imprese nei confronti
delle pmi.
Infine, lo statuto delle imprese
introduce anche un nuovo strumento: la legge
annuale per le pmi. Che stabilirà, anno per
anno, le norme da introdurre
(articolo ItaliaOggi del 16.11.2011
- tratto da www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI: Unioni,
regioni salva comuni. La Lombardia ricorre
alla Consulta. Boom in Emilia e Veneto. Le
scelte dei governatori a un giorno dalla
scadenza del termine per definire gli ambiti
territoriali.
Sull'associazionismo comunale le regioni si
alleano con i comuni. A un giorno dalla
scadenza del 17 novembre entro cui i
governatori avrebbero potuto (si tratta
infatti di una facoltà e non di un obbligo)
individuare soglie demografiche diverse da
quelle minime (5.000 abitanti o 3.000 per i
territori montani) stabilite dalla manovra
di Ferragosto per dare vita alle unioni, le
regioni hanno evitato fughe in avanti non
condivise dai sindaci. Anzi, fioccano i
ricorsi alla Corte costituzionale contro
l'art. 16 del dl 138/2011.
Dopo la regione Toscana, l'Anci nazionale,
le Anci locali (Puglia e Abruzzo), ieri è
stata la volta della regione Lombardia.
L'annuncio di impugnare dinanzi alla
Consulta la norma, che impone ai comuni
sotto i 1.000 abitanti di esercitare tutte
le funzioni amministrative e tutti i servizi
pubblici in forma associata attraverso
unione o convenzione, è arrivato ieri
dall'assessore lombardo alla
semplificazione, Carlo Maccari. Che non ha
escluso la presentazione di uno specifico
emendamento al collegato alle leggi di
bilancio per abbassare il limite minimo di
abitanti richiesto per dare vita alle
unioni. Ma vediamo come si sono regolate le
regioni fino a questo momento.
Lombardia.
In Lombardia la via dell'unione o della
convenzione sarà obbligatoria anche per gli
enti sopra i 1.000 abitanti. Tutti i comuni
tra 1.000 e 3.000 abitanti (se montani) e
quelli di pianura tra i 1.000 e i 5.000
abitanti dovranno associare i 27 servizi
racchiusi nelle 6 funzioni fondamentali
(organizzazione, gestione e controllo;
viabilità e trasporti; servizi sociali;
istruzione pubblica; polizia locale;
territorio e urbanistica). Due di queste
dovranno essere obbligatoriamente associate
entro il 31 dicembre di quest'anno, le altre
quattro entro il 31.12.2012.
Piemonte.
In Piemonte il presidente dell'Anci locale,
Amalia Neirotti, ha chiesto ieri una
moratoria di 6 mesi per discutere le norme
sull'associazionismo. Ma intanto la regione
guidata da Roberto Cota si è portata avanti.
E già da settembre ha costituito un gruppo
di lavoro tecnico, coordinato dall'assessore
regionale agli enti locali Elena Maccanti,
che ha proposto di suddividere il territorio
regionale in aree omogenee (pianura, collina
e montagna) per ciascuna delle quali sono
stati individuati limiti demografici minimi
(5000 abitanti per la prima, 3000 per le
altre due).
Emilia-Romagna.
Sull'associazionismo l'Emilia-Romagna batte
tutti. Su 348 comuni 270 fanno già parte di
Unioni e comunità montane, 45 di forme
associate. Le unioni esistenti vanno da un
minimo di circa 3.000 abitanti ad un massimo
di oltre 120.000 abitanti. Le norme del dl
138 interessano dunque solo tre comuni sotto
i mille abitanti, per i quali, assicurano
alla regione, si porterà avanti un percorso
di associazionismo condiviso.
Basilicata.
Ieri la giunta guidata da Vito De Filippo ha
approvato una delibera che mantiene a quota
5000 abitanti il limite demografico minimo
che l'insieme dei comuni tenuti ad
esercitare le funzioni fondamentali in forma
associata deve raggiungere. Tutto questo in
deroga alla normativa nazionale (art. 14 del
dl 78/2010 come modificato dalla manovra di
Ferragosto) che invece prevede un limite di
10.000 abitanti.
Veneto.
In Veneto la giunta presieduta da Luca Zaia
ha messo a punto un ddl su cui il consiglio
si pronuncerà il 22 novembre. L'obiettivo è
estendere l'obbligo dell'esercizio associato
di funzioni e servizi a tutti i comuni sotto
i 5.000 abitanti. A seguito di questo
provvedimento su 581 comuni (tanti ne conta
il Veneto), saranno tenuti a riorganizzarsi
313 enti di cui 8 nella provincia di
Venezia, 50 in quella di Padova, 32 a
Treviso, 40 a Rovigo, 70 a Vicenza, 52 a
Verona.
In provincia di Belluno dovranno
riorganizzarsi ben 61 comuni sul totale di
69. Ma l'assessore regionale, Roberto
Ciambetti, che ha proposto la legge, è
convinto che questa sia la strada giusta. «Ci
saranno risparmi in termini di spesa e un
guadagno nell'efficienza dei servizi»,
ha dichiarato a ItaliaOggi, «e lo
dimostra l'esperienza maturata in particolar
modo nell'area padovana dove in passato si
sono sperimentate forme di aggregazione».
Liguria.
Ma c'è anche chi come la Liguria, deciderà
d'accordo con i comuni quale sia la
popolazione minima per costituire le unioni.
L'emergenza alluvione ha consigliato di
rimandare la scelta, ma intanto la regione
ha stanziato contributi da 40 a 80 mila euro
per favorire l'associazionismo.
«Vogliamo che questo provvedimento non
sia il frutto di un'imposizione dall'alto ma
nasca da un processo di partecipazione e
condivisione», ha commentato l'assessore
regionale alle infrastrutture Raffaella
Paita. «È giusto che i comuni si uniscano
e migliorino organizzativamente ma ciò deve
avvenire avendo presente che la Liguria è un
territorio complesso e che deve essere
rafforzato il rapporto tra entroterra e
costa»
(articolo ItaliaOggi del 16.11.2011 -
tratto da www.corteconti.it). |
GIURISPRUDENZA |
EDILIZIA PRIVATA: La
riduzione in pristino può essere posta in
carico anche al proprietario incolpevole,
atteso il carattere reale della sanzione
edilizia.
Il potere repressivo in materia edilizia –di
cui all’art. 27 del DPR 380/2001– non è
soggetto a termine o prescrizione e non può
pertanto trovare ostacoli per effetto del
tempo trascorso dall’effettuazione
dell’illecito edilizio.
E' pacifico in giurisprudenza che la
riduzione in pristino può essere posta in
carico anche al proprietario incolpevole,
atteso il carattere reale della sanzione
edilizia (cfr. fra le tante TAR Lombardia,
sez. II, 29.07.2010, n. 3278).
In merito al lungo tempo che sarebbe
trascorso dalla realizzazione dell’abuso, il
Collegio non può che richiamare il
prevalente indirizzo giurisprudenziale, in
forza del quale il potere repressivo in
materia edilizia –di cui all’art. 27 del DPR
380/2001– non è soggetto a termine o
prescrizione e non può pertanto trovare
ostacoli per effetto del tempo trascorso
dall’effettuazione dell’illecito edilizio
(cfr. da ultimo, TAR Campania, Napoli, sez.
III, 17.09.2010, n. 17441)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 18.11.2011 n. 2786 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
carattere “precario” di un’opera non dipende
dalla relativa facilità della sua rimozione
dal terreno, quanto dalla sua concreta
destinazione ed utilizzazione, escludendosi
di conseguenza tale carattere in caso di
prolungata utilizzazione nel tempo.
La giurisprudenza amministrativa ha da tempo
chiarito che il carattere “precario”
di un’opera non dipende dalla relativa
facilità della sua rimozione dal terreno,
quanto dalla sua concreta destinazione ed
utilizzazione, escludendosi di conseguenza
tale carattere in caso di prolungata
utilizzazione nel tempo (cfr., fra le tante,
TAR Lombardia, Milano, sez. II, 27.06.2011,
n. 1720)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 18.11.2011 n. 2785 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Irrilevante
è che l’ingiunzione sia stata rivolta al
proprietario del terreno e non al
responsabile dell’abuso, visto che l’ordine
di demolizione è una sanzione che assume
carattere reale, inscindibilmente legata
alla proprietà del fondo, sicché può essere
rivolta anche al proprietario incolpevole
dell’abuso.
---------------
La giurisprudenza, a partire dalla nota
sentenza della Corte Costituzionale
345/1991, esclude che l’acquisizione
gratuita delle opere abusive e delle aree
connesse possa operare a danno del
proprietario incolpevole, non autore
dell’abuso.
Parimenti irrilevante è che l’ingiunzione
sia stata rivolta al proprietario del
terreno e non al responsabile dell’abuso,
visto che l’ordine di demolizione è una
sanzione che assume carattere reale,
inscindibilmente legata alla proprietà del
fondo, sicché può essere rivolta anche al
proprietario incolpevole dell’abuso (cfr.
TAR Lombardia, Milano, sez. II, 29.07.2010,
n. 3278).
---------------
Il gravame merita invece accoglimento,
laddove dispone a carico della proprietaria,
in caso di inottemperanza dell’ordine di
demolizione, l’acquisizione gratuita al
patrimonio comunale dei manufatti abusivi e
delle relative aree, in asserita
applicazione dell’art. 31 del DPR 380/2001.
La giurisprudenza, infatti, a partire dalla
nota sentenza della Corte Costituzionale
345/1991, esclude che l’acquisizione
gratuita delle opere abusive e delle aree
connesse possa operare a danno del
proprietario incolpevole, non autore
dell’abuso (cfr. TAR Lombardia, Milano, sez.
II, 17.01.2011, n. 77)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 18.11.2011 n. 2785 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
INCARICHI PROGETTUALI:
E' illegittimo l’affidamento
dell’incarico (sotto soglia comunitaria) ad
un professionista esterno avvenuto in
assenza di qualsiasi valutazione. Invero,
l'art. 130 del codice dei contratti pubblici
dispone in capo alla p.a. un ordine di
priorità nell'affidamento dell'incarico di
direzione dei lavori: in primo luogo ai
propri dipendenti o di altra amministrazione
convenzionata, poi al progettista incaricato
e, soltanto in via residuale, a soggetti
esterni, comunque scelti nel rispetto delle
norme comunitarie.
L’impugnato provvedimento (ndr: determina n.
54 del 04.06.2011 del Responsabile del
Servizio tecnico comunale tecnico con la
quale è stato designato il tecnico, esterno
all’amministrazione, cui è stato affidato
l’incarico di direttore dei lavori relativi
all’adeguamento strutturale ed antisismico
della scuola di Gerre de’ Caprioli) risulta,
quindi, essere privo della necessaria
motivazione, la cui assenza potrebbe avere
notevole rilevanza in termini di
configurabilità di una fattispecie di
responsabilità erariale, per la verifica
della sussistenza della quale si ravvisa
l’opportunità della trasmissione della
presente sentenza alla competente Procura
Regionale della Corte dei Conti.
Come chiarito dalla giurisprudenza, per
l’affidamento di un incarico di
progettazione che non superi la soglia
comunitaria, trova applicazione l'art. 130
del codice dei contratti pubblici, che
dispone in capo alla p.a. un ordine di
priorità nell'affidamento dell'incarico di
direzione dei lavori: in primo luogo ai
propri dipendenti o di altra amministrazione
convenzionata, poi al progettista incaricato
e, soltanto in via residuale, a soggetti
esterni, comunque scelti nel rispetto delle
norme comunitarie (tra le tante TAR
Lazio-Roma, sez. II, 10.09.2010, n. 32214).
Ne discende che laddove, come nel caso di
specie, l’affidamento dell’incarico ad un
professionista esterno sia avvenuta in
assenza di qualsiasi valutazione alla luce
della sopra richiamata disposizione, il
provvedimento non può che essere considerato
illegittimo.
Né può condurre a diverse conclusioni il
fatto che il Comune, nella propria memoria
di costituzione, abbia evidenziato come la
scelta del conferimento dell’incarico sia
caduta su di un architetto (e, quindi, su di
una figura professionale diversa dagli
ingegneri che hanno redatto il progetto e
dall’ingegnere odierno ricorrente), a causa
della natura vincolata del bene e del
disposto di cui all’art. 52 comma 2 del
Regio Decreto 23.10.1925 n. 2537.
Premesso che, se così fosse, non è dato
comprendere come il fatto che la direzione
lavori sia affidata ad un architetto (figura
professionale individuata come competente
rispetto ad opere di edilizia civile che
presentano rilevante carattere artistico ed
il restauro e il ripristino degli edifici
contemplati dalla legge 20.06.1909, n. 364
per l’antichità e le belle arti) potesse
garantire il rispetto della norma laddove la
progettazione sia stata elaborata da
ingegneri, ciò che appare dirimente è che di
tale preteso obbligo di legge non è dato
alcun conto in sede di conferimento
dell’incarico.
L’impugnato provvedimento risulta, quindi,
essere privo della necessaria motivazione,
la cui assenza potrebbe avere notevole
rilevanza in termini di configurabilità di
una fattispecie di responsabilità erariale,
per la verifica della sussistenza della
quale si ravvisa l’opportunità della
trasmissione della presente sentenza alla
competente Procura Regionale della Corte dei
Conti (TAR Lombardia-Brescia, Sez. II,
sentenza 17.11.2011 n. 1587 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA: In
presenza di un fenomeno d'inquinamento
acustico, anche se non coinvolgente l'intera
collettività, ma solo alcuni cittadini, e in
assenza di una norma di legge che preveda un
potere di intervento amministrativo
ordinario, che consenta di ottenere il
risultato dell'immediato abbattimento delle
emissioni sonore inquinanti, legittimamente
il Comune interviene a tutela della salute
pubblica mediante l'adozione di un'ordinanza
contingibile e urgente, configurandosi la
medesima come strumento costituente
espressione della potestà regolatoria,
spettante ai Comuni, di conformare
l'attività privata al rispetto dei limiti di
emissione/immissione acustica nell'ambito
del territorio comunale.
Per affrontare correttamente il merito della
questione che ha ad oggetto tale
provvedimento, peraltro, appare opportuno
ricordare l’orientamento della
giurisprudenza secondo cui: “In presenza
di un fenomeno d'inquinamento acustico,
anche se non coinvolgente l'intera
collettività, ma solo alcuni cittadini, e in
assenza di una norma di legge che preveda un
potere di intervento amministrativo
ordinario, che consenta di ottenere il
risultato dell'immediato abbattimento delle
emissioni sonore inquinanti, legittimamente
il Comune interviene a tutela della salute
pubblica mediante l'adozione di un'ordinanza
contingibile e urgente, configurandosi la
medesima come strumento costituente
espressione della potestà regolatoria,
spettante ai Comuni, di conformare
l'attività privata al rispetto dei limiti di
emissione/immissione acustica nell'ambito
del territorio comunale” (così TAR
Umbria Perugia, sez. I, 22.10.2010, n. 492 e
nel medesimo senso anche TAR Toscana, II,
16.06.2010, n. 1930; TAR Lombardia, Brescia,
02.11.2009, n. 1814; Milano, IV, 02.04.2008,
n. 715; TAR Piemonte, I, 02.03.2009, n. 199;
TAR Lazio, II, 26.06.2002, n. 5904).
Accertato il superamento dei limiti fissati
per le immissioni acustiche, quindi, il
Sindaco ben può, in linea di principio, fare
ricorso allo strumento straordinario
dell’ordinanza contingibile ed urgente,
perseguendo l’obiettivo del contemperamento
dei contrapposti interessi in gioco (TAR
Lombardia-Brescia, Sez. II,
sentenza 17.11.2011 n. 1585 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
provvedimento che ingiunge la demolizione e
i successivi provvedimenti connessi sono
atti vincolati e, quindi, non richiedono una
specifica valutazione delle ragioni di
interesse pubblico né una comparazione di
quest'ultimo con gli interessi privati
coinvolti e sacrificati: presupposto per la
loro adozione è, infatti, soltanto la
constatata esecuzione dell'opera in assenza
della concessione, con la conseguenza che i
provvedimenti, ove ricorra il predetto
requisito, sono sufficientemente motivati
con l'affermazione dell'accertata abusività
dell'opera, essendo in re ipsa l'interesse
pubblico alla sua rimozione, né, trattandosi
di atti del tutto vincolati, è necessaria
una comparazione di interessi e una
motivazione sulla sussistenza di un
interesse pubblico concreto ed attuale alla
demolizione.
La sanabilità delle opere abusivamente
realizzate può e deve essere verificata
dall'amministrazione solo su istanza
dell'interessato e non d'ufficio (sicché la
presentazione di un'istanza di sanatoria
successivamente alla notifica dell'ordine di
demolizione non incide sulla legittimità di
questo, atteso che l'amministrazione non
deve procedere ad alcuna verifica circa la
conformità agli strumenti urbanistici degli
abusi realizzati prima della presentazione
dell'apposita istanza).
Il provvedimento che ingiunge la demolizione
e i successivi provvedimenti connessi sono
atti vincolati e, quindi, non richiedono una
specifica valutazione delle ragioni di
interesse pubblico né una comparazione di
quest'ultimo con gli interessi privati
coinvolti e sacrificati: presupposto per la
loro adozione è, infatti, soltanto la
constatata esecuzione dell'opera in assenza
della concessione, con la conseguenza che i
provvedimenti, ove ricorra il predetto
requisito, sono sufficientemente motivati
con l'affermazione dell'accertata abusività
dell'opera, essendo in re ipsa
l'interesse pubblico alla sua rimozione, né,
trattandosi di atti del tutto vincolati, è
necessaria una comparazione di interessi e
una motivazione sulla sussistenza di un
interesse pubblico concreto ed attuale alla
demolizione (così, per tutte, TAR Lazio, I,
06.04.2011, n. 3057).
Quanto alla sostanziale conformità
dell’opera rispetto alla disciplina
urbanistica di zona, si osserva che, per
costante giurisprudenza, la sanabilità delle
opere abusivamente realizzate può e deve
essere verificata dall'amministrazione solo
su istanza dell'interessato e non d'ufficio
(sicché la presentazione di un'istanza di
sanatoria successivamente alla notifica
dell'ordine di demolizione non incide sulla
legittimità di questo, atteso che
l'amministrazione non deve procedere ad
alcuna verifica circa la conformità agli
strumenti urbanistici degli abusi realizzati
prima della presentazione dell'apposita
istanza – TAR Campania-Napoli, III,
27.09.2006, n. 8331)
(TAR Liguria, Sez. I,
sentenza 17.11.2011 n. 1585 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il criterio della vicinitas,
intesa come situazione di stabile
collegamento con la zona interessata
dall’intervento edilizio, non postula
necessariamente l'adiacenza fra gli
immobili, essendo sufficiente la semplice
prossimità.
Il proprietario o il possessore
dell'immobile o il semplice residente o
domiciliato nella zona interessata è
legittimato a ricorrere in ragione di tale
stabile collegamento, idoneo a radicare una
posizione d'interesse, differenziata
rispetto a quella posseduta dal "quisque de
populo", all'impugnazione di una concessione
edilizia, a prescindere da ogni indagine
sulla sussistenza di un ulteriore, specifico
interesse.
Premesso che il criterio della vicinitas,
intesa come situazione di stabile
collegamento con la zona interessata
dall’intervento edilizio, non postula
necessariamente l'adiacenza fra gli
immobili, essendo sufficiente la semplice
prossimità (nel caso di specie pacificamente
sussistente), si osserva come, secondo la
prevalente giurisprudenza –anche della
Sezione- il proprietario o il possessore
dell'immobile o il semplice residente o
domiciliato nella zona interessata è
legittimato a ricorrere in ragione di tale
stabile collegamento, idoneo a radicare una
posizione d'interesse, differenziata
rispetto a quella posseduta dal "quisque
de populo", all'impugnazione di una
concessione edilizia, a prescindere da ogni
indagine sulla sussistenza di un ulteriore,
specifico interesse (cfr. Cons. Stato, sez.
IV, 30.11.2009, n. 7491; nello stesso senso
cfr. id., V, 07.05.2008, n. 2086; TAR
Liguria, I, 18.11.2010, n. 10389) (TAR
Liguria, Sez. I,
sentenza 17.11.2011 n. 1583 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Il voto numerico attribuito dalle
competenti Commissioni alle prove o ai
titoli nell’ambito di un concorso pubblico o
di un esame esprime e sintetizza il giudizio
tecnico-discrezionale della Commissione
stessa –contenendo in sé la sua stessa
motivazione, senza bisogno di ulteriori
spiegazioni e chiarimenti– atteso che il
punteggio, oltre a rispondere al principio
di economicità e proporzionalità dell’azione
amministrativa, assicura la necessaria
graduazione della valutazione di merito
compiuta dalla Commissione e consente il
sindacato sul potere esercitato.
Il principio sopra espresso incontra il
limite della contraddizione manifesta tra
specifici elementi di fatto obiettivi, i
criteri di massima prestabiliti e la
conseguente attribuzione del voto: ove
manchino criteri di massima cui raccordare
il punteggio assegnato, si può ritenere
illegittima la valutazione in forma
numerica.
Un giudizio formulato in una procedura
selettiva concorsuale –in assenza di
commenti specifici ed analitici sui singoli
elaborati– non può prescindere dalla
preventiva predisposizione di criteri
dettagliati, in modo che l’attribuzione del
punteggio numerico consenta di evincere gli
elementi utili a suffragare la coerenza e
l’attendibilità delle conclusioni raggiunte
dalla Commissione. L’indicazione numerica,
in altri termini, deve essere associata ad
un ben individuato sub-criterio, in modo da
renderlo oggettivamente percepibile e
significativo.
E’ noto l’orientamento del Consiglio di
Stato sul voto numerico attribuito dalle
competenti Commissioni alle prove o ai
titoli nell’ambito di un concorso pubblico o
di un esame: esso esprime e sintetizza il
giudizio tecnico-discrezionale della
Commissione stessa –contenendo in sé la sua
stessa motivazione, senza bisogno di
ulteriori spiegazioni e chiarimenti– atteso
che il punteggio, oltre a rispondere al
principio di economicità e proporzionalità
dell’azione amministrativa, assicura la
necessaria graduazione della valutazione di
merito compiuta dalla Commissione e consente
il sindacato sul potere esercitato (cfr. per
tutte Consiglio di Stato, sez. V –
13/07/2010 n. 4528).
Tuttavia il giudice d’appello ha anche
chiarito che il principio sopra espresso
incontra il limite della contraddizione
manifesta tra specifici elementi di fatto
obiettivi, i criteri di massima prestabiliti
e la conseguente attribuzione del voto
(Consiglio di Stato, sez. VI – 11/02/2011 n.
913), ed ha in particolare sostenuto che
–ove manchino criteri di massima cui
raccordare il punteggio assegnato– si può
ritenere illegittima la valutazione in forma
numerica (Consiglio di Stato, sez. VI –
10/09/2009 n. 5447, la quale ha statuito che
proprio la mancanza di precisi parametri di
riferimento cui correlare il punteggio
assegnato impone la necessità di dare
motivazione degli elementi ritenuti
rilevanti ai fini della sua
quantificazione).
Il Collegio
rileva che la giurisprudenza –nel dare atto
dell'orientamento tradizionale mantenuto dal
giudice d'appello in materia di valutazioni
degli esami di avvocato (secondo il quale
l’onere della motivazione è sufficientemente
adempiuto con l'attribuzione di un punteggio
numerico)– ha altresì dato conto degli
indirizzi del Consiglio di Stato riguardo a
procedure concorsuali di diverso tipo (ed in
particolare, alle c.d. procedure a numero
chiuso), nel senso della possibilità di
verificare in concreto e con specifico
riferimento alle ulteriori indicazioni
rinvenibili nel procedimento, la sufficienza
motivazionale del voto numerico (cfr. TAR
Umbria – 01/02/2011 n. 41 che richiama, tra le
tante, Consiglio di Stato, sez. VI –
08/05/2008 n. 2128; 12/11/2008 n. 5638): si è
in particolare affermato che l’esternazione
di un voto numerico può essere sufficiente
ad adempiere l’onere di motivazione soltanto
laddove la Commissione abbia precostituito
criteri di valutazione atti a rendere
pregnante un giudizio che, altrimenti (cioè,
qualora inteso autonomamente, al di fuori di
un sistema di riferimento precostituito)
risulta apodittico e privo di alcun
significato condivisibile al di fuori della
percezione del soggetto che lo ha formulato,
e quindi di alcun significato oggettivo e
sindacabile. E’ stato quindi sottolineato
che, in sede di valutazione delle prove
scritte nei concorsi a posti di pubblico
impiego, la questione del punteggio numerico
a fungere da motivazione va risolta non in
astratto, ma in concreto, con riguardo ad
una serie di aspetti, tra cui la tipologia
dei criteri di massima fissati dalla
commissione, potendosi ritenere sufficiente
il punteggio nel caso in cui siano
rigidamente predeterminati e insufficiente
nel caso in cui essi si risolvono in
espressioni generiche (TAR Liguria, sez. II – 21/04/2011 n. 662).
Ad avviso del Collegio, nell’ottica della
trasparenza dell’attività amministrativa, un
giudizio formulato in una procedura
selettiva concorsuale –in assenza di
commenti specifici ed analitici sui singoli
elaborati– non può prescindere dalla
preventiva predisposizione di criteri
dettagliati, in modo che l’attribuzione del
punteggio numerico consenta di evincere gli
elementi utili a suffragare la coerenza e
l’attendibilità delle conclusioni raggiunte
dalla Commissione. L’indicazione numerica, in
altri termini, deve essere associata ad un
ben individuato sub-criterio, in modo da
renderlo oggettivamente percepibile e
significativo.
Nella prova pratica della selezione in
commento l’impostazione delineata è stata
disattesa, per l’enucleazione di una
pluralità di parametri (ciascuno dei quali
privo di un proprio autonomo valore
numerico) e per la contestuale formulazione
dei punteggi in assenza di spiegazioni o
commenti. In aggiunta la valutazione (con
riguardo alla tempistica e al numero di
errori) è illogica, contrastando con le
regole matematiche comunemente utilizzabili
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. II,
sentenza 17.11.2011 n. 1582 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA:
Sono conformativi i vincoli che
hanno la funzione di definire per zone, in
via astratta e generale, le possibilità
edificatorie connesse al diritto dominicale,
mentre sono espropriativi i vincoli
incidenti su beni determinati in funzione
della localizzazione puntuale di un'opera
pubblica e che hanno portata e contenuto
direttamente ablatori.
Il vincolo conformativo si distingue da
quello espropriativo sulla base delle
seguenti caratteristiche, non
necessariamente cumulative: a) investe una
generalità di beni e di soggetti
indipendentemente dal successivo instaurarsi
di procedure espropriative; b) destina parti
del territorio comunale ad usi pubblici
operando nell'ambito della mera
zonizzazione; c) consente la realizzazione
dell'intervento di interesse pubblico a cura
dei privati senza necessità di previa
espropriazione; pertanto, si potrebbero
qualificare come soltanto conformative tutte
le zonizzazioni relative a servizi che
costituiscono standard urbanistico quando
manchi la contestuale localizzazione di
un'opera pubblica specifica o quando sia
attribuita ai privati la possibilità di
realizzare l'intervento in alternativa
all'ente pubblico.
Gli arresti più recenti della Giurisprudenza
civile ed amministrativa hanno infatti
affermato che “Sono conformativi i
vincoli che hanno la funzione di definire
per zone, in via astratta e generale, le
possibilità edificatorie connesse al diritto
dominicale, mentre sono espropriativi i
vincoli incidenti su beni determinati in
funzione della localizzazione puntuale di
un'opera pubblica e che hanno portata e
contenuto direttamente ablatori"
(Cassazione civile, sez. un., 25.11.2008, n.
28051).
E’ pur vero che una giurisprudenza
amministrativa più risalente aveva ritenuto
al contrario che “La destinazione di
un'area a "standard per urbanizzazione
secondaria F2", vale a dire a zona destinata
in via preminente alla realizzazione di
opere di urbanizzazione secondaria,
necessarie all'adeguamento degli standard
riferiti al tessuto edilizio esistente
(asili nido, scuole, mercati di quartiere,
chiese, impianti sportivi, attrezzature
culturali e sanitarie, aree verdi di
quartiere), implica la sottostante
imposizione di un vincolo preordinato alla
espropriazione e comportante inedificabilità,
con conseguente applicabilità del principio
della decadenza quinquennale degli effetti
del vincolo medesimo ai sensi dell'art. 2 l.
19.11.1968 n. 1187" (TAR Veneto Venezia,
sez. I, 16.04.2003, n. 2405).
Tuttavia, la giurisprudenza più recente, che
questo tribunale condivide afferma che “Il
vincolo conformativo si distingue da quello
espropriativo sulla base delle seguenti
caratteristiche, non necessariamente
cumulative: a) investe una generalità di
beni e di soggetti indipendentemente dal
successivo instaurarsi di procedure
espropriative; b) destina parti del
territorio comunale ad usi pubblici operando
nell'ambito della mera zonizzazione; c)
consente la realizzazione dell'intervento di
interesse pubblico a cura dei privati senza
necessità di previa espropriazione;
pertanto, si potrebbero qualificare come
soltanto conformative tutte le zonizzazioni
relative a servizi che costituiscono
standard urbanistico quando manchi la
contestuale localizzazione di un'opera
pubblica specifica o quando sia attribuita
ai privati la possibilità di realizzare
l'intervento in alternativa all'ente
pubblico" (TAR Lombardia Brescia, sez.
I, 08.07.2009, n. 1460; Cassazione civile,
sez. I, 28.07.2010, n. 17677) (TAR Liguria,
Sez. I,
sentenza 17.11.2011 n. 1579 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
L'interpretazione dell'atto
amministrativo è rimessa alla valutazione
del giudice, senza che possano ritenersi
vincolanti per quest'ultimo le eventuali
indicazioni ermeneutiche provenienti dalla
stessa amministrazione, alla quale anzi è
precluso, dopo l'adozione di un determinato
atto, dare allo stesso una interpretazione
autentica, giacché la medesima non può
condizionare in ogni caso l'interpretazione
del giudice.
L’interpretazione autentica dell'atto
amministrativo, intesa quale identificazione
del suo contenuto a opera della stessa
autorità che lo ha posto in essere,
costituisce operazione di per sé non
univoca, con due possibilità alternative nel
rispetto della regola generale
dell'irretroattività degli atti
amministrativi: o l'interpretazione è
realmente fedele all'atto interpretato, e
allora opererà fin dal momento del venir in
essere di questo, ovvero se ne discosta e,
in tal caso, non potrà operare che per
l'avvenire, sempre che l'autorità abbia, nel
momento in cui “interpreta”, potestà
modificativa.
In linea di principio, va rammentato come
l'interpretazione dell'atto amministrativo
sia rimessa alla valutazione del giudice,
senza che possano ritenersi vincolanti per
quest'ultimo le eventuali indicazioni
ermeneutiche provenienti dalla stessa
amministrazione, alla quale anzi è precluso,
dopo l'adozione di un determinato atto, dare
allo stesso una interpretazione autentica,
giacché la medesima non può condizionare in
ogni caso l'interpretazione del giudice (TAR
Lombardia, Milano, sez. IV, 20.10.2008, n.
5165; Cons. Stato, Ad. plen., 27.02.2003, n.
3; Cass. civ., sez. II, 15.02.1999, n.
1271).
La giurisprudenza ha anche precisato che
l’interpretazione autentica dell'atto
amministrativo, intesa quale identificazione
del suo contenuto a opera della stessa
autorità che lo ha posto in essere,
costituisce operazione di per sé non
univoca, con due possibilità alternative nel
rispetto della regola generale
dell'irretroattività degli atti
amministrativi: o l'interpretazione è
realmente fedele all'atto interpretato, e
allora opererà fin dal momento del venir in
essere di questo, ovvero se ne discosta e,
in tal caso, non potrà operare che per
l'avvenire, sempre che l'autorità abbia, nel
momento in cui “interpreta”, potestà
modificativa (cfr., ex multis, TAR
Lombardia, Brescia, 15.03.2007, n. 263) (TAR
Piemonte, Sez. I,
sentenza 17.11.2011 n. 1197 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Sul
destinatario dell'ordinanza di demolizione
opera abusiva.
L’art. 31, comma 2, del d.p.r. 06.06.2001,
n.380, prevede che il “Il dirigente o il
responsabile del competente ufficio
comunale, accertata l'esecuzione di
interventi in assenza di permesso, in totale
difformità dal medesimo…ingiunge al
proprietario e al responsabile dell'abuso la
rimozione o la demolizione…”.
La disposizione citata, dunque, non prevede
che anche il titolare del diritto di reale
di usufrutto debba essere destinatario
dell’ordinanza di demolizione, ma prevede
che l’ordine debba essere comunicato sia al
proprietario sia al responsabile dell’abuso.
Orbene, poiché nella fattispecie non risulta
che l’abuso sia stato commesso dal titolare
del diritto di usufrutto, ne consegue la
correttezza dell’operato dell’ente intimato
che ha provveduto alla notifica
dell’ordinanza di demolizione e rimessione
in pristino nei confronti del sig. ..., che
si identificava contemporaneamente quale
soggetto titolare del diritto di proprietà e
responsabile dell’abuso, non essendo
contestata la circostanza che lo stesso sia
stato l’autore materiale delle opere
(TAR
Basilicata,
sentenza 17.11.2011 n. 557 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
realizzazione di una vasca interrata è
soggetta a permesso di costruire (già
concessione edilizia), in quanto comporta
una modificazione in modo apprezzabile del
precedente assetto territoriale, tale da
avere un significativo rilievo ambientale.
La circostanza che una c.d. vasca serbatoio
sia interrata non riduce sostanzialmente la
portata dell'incidenza urbanistica per la
alterazione del suolo arrecata dagli scavi,
dai blocchi di mattoni, dai rivestimenti e
dagli eventuali impianti di cui deve essere
fornita; tutti, infatti, nel loro complesso
assemblaggio, costituiscono vera e propria
costruzione per la quale l'assenza di
concessione non consente alcuna graduazione
della sanzione, essendo applicabile la sola
demolizione.
Con specifico
riferimento alla realizzazione di una vasca
interrata la giurisprudenza ha da tempo
chiarito che la stessa è soggetta a permesso
di costruire (già concessione edilizia), in
quanto comporta una modificazione in modo
apprezzabile del precedente assetto
territoriale, tale da avere un significativo
rilievo ambientale (Consiglio Stato, sez. V,
06.09.1999, n. 1015).
La circostanza che una c.d. vasca serbatoio
sia interrata non riduce sostanzialmente la
portata dell'incidenza urbanistica per la
alterazione del suolo arrecata dagli scavi,
dai blocchi di mattoni, dai rivestimenti e
dagli eventuali impianti di cui deve essere
fornita; tutti, infatti, nel loro complesso
assemblaggio, costituiscono vera e propria
costruzione per la quale l'assenza di
concessione non consente alcuna graduazione
della sanzione, essendo applicabile la sola
demolizione (TAR Campania Salerno,
30.01.1992, n. 7).
Nella specie, trattandosi di una vasca
interrata di rilevanti dimensioni, con
un'altezza utile di 3 mt., realizzata con
mattoni e blocchi di calcestruzzo, questa
era tale da modificare lo stato materiale
del suolo con alterazione avente rilievo
funzionale.
Ne consegue la corretta applicazione della
sanzione prevista dall’art. 31 del d.p.r. n.
380 del 2001 (TAR
Basilicata,
sentenza 17.11.2011 n. 557 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI - APPALTI: Il
rimedio della regolarizzazione postuma è
attivabile solo nelle ipotesi di
dichiarazioni, documenti e certificati non
chiari o di dubbio contenuto, ma che siano
pur sempre stati presentati, e non anche
laddove si sia in presenza di documentazione
del tutto mancante o fisicamente incompleta,
risolvendosi in caso contrario in una palese
violazione della par condicio rispetto alle
imprese concorrenti che abbiano rispettato
la disciplina prevista dalla lex specialis.
Come osservato in giurisprudenza (cfr. TAR
Campania Napoli, sez. I, 24.02.2011, n.
1094; TAR Lombardia Milano, sez. I,
11.02.2011, n. 449) il rimedio della
regolarizzazione postuma è attivabile solo
nelle ipotesi di dichiarazioni, documenti e
certificati non chiari o di dubbio
contenuto, ma che siano pur sempre stati
presentati, e non anche laddove si sia in
presenza di documentazione del tutto
mancante o fisicamente incompleta (come nel
caso di specie), risolvendosi in caso
contrario in una palese violazione della par
condicio rispetto alle imprese concorrenti
che abbiano rispettato la disciplina
prevista dalla lex specialis
(orientamento consolidato: cfr. Consiglio di
Stato, Sez. V, 02.08.2010 n. 5084; Consiglio
di Stato, Sez. VI, 18.12.2009 n. 8386; TAR
Campania Napoli, Sez. I, 27.05.2010 n. 9649;
TAR Trentino Alto Adige Trento, 04.12.2006
n. 390) (TAR Basilicata,
sentenza 17.11.2011 n. 549 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
I lavori eseguiti abusivamente
sono “lo spianamento, inghiaiamento e
rullatura del terreno” con correzione della
pendenza del piazzale e l’utilizzo dell’area
per il parcheggio di camion. Si tratta
quindi di interventi di carattere definitivo
comportanti una irreversibile mutazione
dello stato dei luoghi con modificazione
ontologica della sua destinazione, che
richiedono il rilascio della concessione
edilizia.
Infatti il bene così trasformato si presta
ad un uso non precario e temporaneo, secondo
la nozione funzionale di precarietà accolta
dalla legge e dalla giurisprudenza edilizio.
--------------
Non solo ogni cambiamento della situazione
edilizia preesistente (creazione di nuove
costruzioni, ampliamento, modifiche,
ristrutturazioni, opere di urbanizzazione,
mutamento di destinazione degli edifici,
ecc.) ma anche del suolo inteso in tutti i
suoi possibili significati costituisce opera
soggetta al rilascio di titolo edilizio.
La giurisprudenza ha chiarito che dopo
l’art. 1 della legge n. 10/77, che impone di
munirsi di concessione edilizia per tutte
quelle attività consistenti in una
modificazione dello stato materiale e della
conformazione del suolo per adattarlo ad un
impiego diverso da quello che gli è proprio
in relazione alla sua condizione naturale ed
alla sua qualificazione giuridica, occorre
il rilascio del titolo concessorio allorché
lo spargimento di ghiaia su un’area che ne
era priva appaia preordinato alla
trasformazione permanente del suolo
inedificato (cfr., da ultimo, CdS, V,
22.12.2005 n. 7324).
Dagli atti del ricorso RG 125/1998 risulta
il verbale di sopralluogo del tecnico
comunale in data 22.02.1995 dal quale si
desume che i lavori eseguiti sono “lo
spianamento, inghiaiamento e rullatura del
terreno” con correzione della pendenza
del piazzale e l’utilizzo dell’area per il
parcheggio di camion. Si tratta quindi di
interventi di carattere definitivo
comportanti una irreversibile mutazione
dello stato dei luoghi con modificazione
ontologica della sua destinazione, che
richiedono il rilascio della concessione
edilizia.
Infatti il bene così trasformato si presta
ad un uso non precario e temporaneo, secondo
la nozione funzionale di precarietà accolta
dalla legge e dalla giurisprudenza edilizio
(cfr. Tar Lazio Roma sez. II 03/02/2006 n.
780; Tar Sardegna Sez. II 27/09/2006 n.
2013; Tar Campania Napoli Sez. IV 28/02/2006
n. 2451), ed è incompatibile con gli usi
previsti dalla pianificazione dell’area.
In particolare deve escludersi che le
suddette opere rientrino nella previsione
del DL 27/03/1995 n. 88, art. 8, secondo il
quale sono soggette a d.i.a. le occupazioni
di suolo mediante deposito di materiali ed
esposizioni di merci a cielo libero, come
invece affermato dal ricorrente.
Infatti non si tratta di una mera
occupazione di suolo bensì una vera e
propria trasformazione dello stesso di
carattere stabile.
Ne consegue che lo spargimento di ghiaia in
questione non poteva essere realizzato senza
titolo edilizio e richiedeva in particolare
il rilascio di concessione edilizia con la
conseguenza che la sanzione demolitoria è
legittima.
---------------
Sebbene la realizzazione di un parcheggio
non costituisca propriamente una
costruzione, l’estensione del controllo
edilizio dagli edifici veri e propri,
menzionati nel primo comma dell'art. 31
della legge urbanistica n. 1150/1942 come
sostituito dall'art. 10 della legge
06.08.1967, n. 765, ad "ogni attività
comportante trasformazione urbanistica ed
edilizia" fu opera della L. 10/1977, che
introdusse una nozione allargata di edilizia
comprendente ogni attività che comporti la
trasformazione del territorio attraverso la
esecuzione di opere comunque attinenti agli
aspetti urbanistici ed edilizi, ove il
mutamento o l'alterazione abbiano un qualche
rilievo ambientale, estetico o anche
funzionale. Quindi, non solo ogni
cambiamento della situazione edilizia
preesistente (creazione di nuove
costruzioni, ampliamento, modifiche,
ristrutturazioni, opere di urbanizzazione,
mutamento di destinazione degli edifici,
ecc.) ma anche del suolo inteso in tutti i
suoi possibili significati costituisce opera
soggetta al rilascio di titolo edilizio.
In secondo luogo le opere realizzate non
rientrano nell'attività di straordinaria
manutenzione, risanamento, restauro
conservativo per la quale era sufficiente,
ai sensi dell'art. 48 l. 05.08.1978 n. 457,
la semplice autorizzazione del sindaco
(TAR Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza 16.11.2011 n. 2757 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
COMPETENZE GESTIONALI:
La competenza del legale
rappresentante dell'organismo di gestione
dell'area naturale protetta a disporre la
riduzione in pristino dei luoghi in caso di
attività, inclusa quella edilizia, non
conforme al regolamento del Parco, al piano
per il Parco, o al nulla osta preventivo,
trova fondamento nell'art. 29, l. 06.12.1991
n. 394
La competenza
del legale rappresentante dell'organismo di
gestione dell'area naturale protetta a
disporre la riduzione in pristino dei luoghi
in caso di attività, inclusa quella
edilizia, non conforme al regolamento del
Parco, al piano per il Parco, o al nulla
osta preventivo, trova fondamento nell'art.
29, l. 06.12.1991 n. 394 ("legge quadro
sulle aree protette") (TAR Campania
Salerno, sez. II, 22.04.2003, n. 329)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza 16.11.2011 n. 2757 -
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EDILIZIA PRIVATA:
I lavori edilizi che riguardano
manufatti abusivi che non siano sanati né
condonati non sono assoggettabili al regime
nella DIA (anche se astrattamente
riconducibili, nella loro oggettività a tale
regime), o dell’autorizzazione edilizia, in
quanto gli interventi ulteriori ripetono le
caratteristiche di illegittimità dell'opera
principale alla quale ineriscono.
I lavori edilizi che riguardano manufatti
abusivi che non siano sanati, come nel caso
in questione, né condonati non sono
assoggettabili al regime nella DIA (anche se
astrattamente riconducibili, nella loro
oggettività a tale regime), o
dell’autorizzazione edilizia, in quanto gli
interventi ulteriori ripetono le
caratteristiche di illegittimità dell'opera
principale alla quale ineriscono (Cass. Sez.
III n. 34764 del 26.09.2011; TAR Abruzzo
Pescara, 19.02.2007, n. 167)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza 16.11.2011 n. 2757 -
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EDILIZIA PRIVATA:
La costruzione abusiva di un
manufatto di non trascurabili dimensioni (m.
5.20 x 7.80 e di altezza pari a mt. 3)
rientra a pieno titolo tra quelle
trasformazioni fisiche del territorio a
carattere permanente che l’art. 1 della L.
n. 10 del 1977 (all’epoca vigente)
assoggettava a previo rilascio della
concessione edilizia (ora permesso di
costruire).
---------------
La precarietà individuata dalla legge non è
determinata dalla caratteristica di
costruzione, bensì dall'uso realmente
precario e temporaneo del manufatto
destinato a fini specifici e limitati nel
tempo. Si tratta quindi di un concetto di
precarietà funzionale, che si desume dalla
funzione, temporanea o stabile, che il
manufatto riveste. E’ quindi precario e non
richiede titolo edilizio il manufatto che è
diretto a soddisfare esigenze specifiche e
cronologicamente delimitate.
Solo se l’opera è destinata a dare al
costruttore una utilità prolungata, e quindi
è di fatto destinata a durare nel tempo,
tale manufatto è riconducibile alla nozione
di “costruzioni” e, come tali, necessita di
un titolo edilizio.
Ne consegue che a nulla rileva, pertanto,
che i manufatti non siano stabilmente
collegati al suolo e siano facilmente
amovibili, dal momento che gli stessi
manufatti sono stati destinati ad uso
continuativo e durevole nel tempo.
Ugualmente sono irrilevanti le
caratteristiche costruttive e al tipo di
materiale utilizzato, come, nel caso in
giudizio, una struttura metallica e
copertura in legno.
La costruzione abusiva di un manufatto di
non trascurabili dimensioni (m. 5.20 x 7.80
e di altezza pari a mt. 3) rientra a pieno
titolo tra quelle trasformazioni fisiche del
territorio a carattere permanente che l’art.
1 della L. n. 10 del 1977 (all’epoca
vigente) assoggettava a previo rilascio
della concessione edilizia (ora permesso di
costruire) (TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez.
II, sentenza 28.05.2010 n. 5157).
---------------
La precarietà individuata dalla legge non è
determinata dalla caratteristica di
costruzione, bensì dall'uso realmente
precario e temporaneo del manufatto
destinato a fini specifici e limitati nel
tempo. Si tratta quindi di un concetto di
precarietà funzionale, che si desume dalla
funzione, temporanea o stabile, che il
manufatto riveste. E’ quindi precario e non
richiede titolo edilizio il manufatto che è
diretto a soddisfare esigenze specifiche e
cronologicamente delimitate.
Solo se l’opera è destinata a dare al
costruttore una utilità prolungata, e quindi
è di fatto destinata a durare nel tempo,
tale manufatto è riconducibile alla nozione
di “costruzioni” e, come tali,
necessita di un titolo edilizio (cfr. Tar
Lazio Roma sez. II 03/02/2006 n. 780; Tar
Sardegna Sez. II 27/09/2006 n. 2013; Tar
Campania Napoli Sez. IV 28/02/2006 n. 2451).
Ne consegue che a nulla rileva, pertanto,
che i manufatti non siano stabilmente
collegati al suolo e siano facilmente
amovibili, dal momento che gli stessi
manufatti sono stati destinati ad uso
continuativo e durevole nel tempo.
Ugualmente sono irrilevanti le
caratteristiche costruttive e al tipo di
materiale utilizzato, come, nel caso in
giudizio, una struttura metallica e
copertura in legno
(TAR Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza 16.11.2011 n. 2756 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Non è necessaria l'acquisizione
di alcun parere (della commissione edilizia
o della sezione urbanistica regionale),
nell'ipotesi in cui si debba procedere alla
repressione di un abuso edilizio (non
dovendosi procedere a valutazioni tecniche,
ma fare applicazione di valutazioni di
natura giuridica).
---------------
L'acquisizione da parte del Comune
dell'immobile abusivo e dell'area di sedime
avviene ipso iure, a seguito dell'emissione
dell'ordinanza sindacale di demolizione e
dello spirare del novantesimo giorno dalla
notifica della stessa all'intimato, ove
questi non vi abbia prestato ottemperanza,
con la conseguenza che non si tratta di
effettuare una scelta discrezionale in
merito all’acquisto di un bene al patrimonio
comunale, competenza che spetterebbe agli
organi politici.
-------------
L'ordine di demolizione di opere edilizie
abusive non deve essere preceduto
dall'avviso ex art. 7 della L. n. 241/1990,
trattandosi di un atto dovuto, che viene
emesso quale sanzione per l’accertamento
della inosservanza di disposizioni
urbanistiche secondo un procedimento di
natura vincolata precisamente tipizzato dal
legislatore e conseguente disciplinato
rigidamente dalla legge.
L’amministrazione non ha l’onere di motivare
l’ingiunzione di demolizione comparando
l’interesse pubblico a quello privato in
quanto non esiste, in caso di abuso, un
affidamento del privato degno di tutela da
parte dell’ordinamento
La giurisprudenza ha chiarito che non è
necessaria l'acquisizione di alcun parere
(della commissione edilizia o della sezione
urbanistica regionale), nell'ipotesi in cui
si debba procedere alla repressione di un
abuso edilizio (non dovendosi procedere a
valutazioni tecniche, ma fare applicazione
di valutazioni di natura giuridica) (cfr.
sul punto TAR Campania, Napoli, sez. VI,
27.10.2008, n. 18243; 27.03.2007, n. 2885;
23.06.2005, n. 8579; TAR Campania, Napoli,
sez. IV, 26.06.2009, n. 3530; 15.07.2003, n.
8246; TAR Campania, Napoli, sez. IV,
20.04.2010 n. 2057) con conseguente
spettanza al Dirigente dei relativi poteri
sanzionatori.
---------------
La
giurisprudenza ha chiarito che l'ingiunzione
di demolizione, prevista dall'art. 7, comma
2, l. n 47 del 1985, deve contenere
l'accertamento dell'esecuzione delle opere
abusive e il conseguente ordine di
demolizione; non è necessario, invece, che
precisi quali siano le conseguenze per il
caso della sua inosservanza, né tanto meno
che identifichi l'area destinata, in tale
caso, ad acquisizione gratuita (Consiglio di
Stato, sez. V 26.01.2000, n. 341).
L’inserimento della previsione
dell’indicazione dell’area da acquisire
nell’ordine di demolizione è avvenuta con
l’art. 31, c. 2, del DPR 380/2001 secondo il
quale “Il dirigente o il responsabile del
competente ufficio comunale, accertata
l'esecuzione di interventi in assenza di
permesso, in totale difformità dal medesimo,
ovvero con variazioni essenziali,
determinate ai sensi dell’articolo 32,
ingiunge al proprietario e al responsabile
dell’abuso la rimozione o la demolizione,
indicando nel provvedimento l’area che viene
acquisita di diritto, ai sensi del comma 3”.
Tuttavia deve escludersi che l’inserimento
di tale previsione renda illegittimo
l’ordine di demolizione impartito prima
dell’entrata in vigore del T.U. Edilizia in
quanto si tratta di un elemento aggiuntivo
che svolge la funzione di rafforzare le
garanzie del cittadino che viene così a
sapere delle conseguenze dell’omissione
della demolizione.
Ne consegue che l’anticipazione
dell’individuazione dell’area da acquisire
in caso di inottemperanza non incide sulla
legittimità dell’ordine di demolizione, che
possiede tutti i requisiti suoi tipici, e
non lede la posizione del privato
destinatario dell’ordine di demolizione.
---------------
Ai sensi dell'art. 51, comma 3, lett. f), l.
08.06.1990, n. 142, nel testo novellato
dall'art. 6, comma 2, l. 15.05.1997, n. 127,
rientra nella competenza esclusiva dei
dirigenti e non in quella degli organi
politici, l’emanazione di atti vincolati e
sanzionatori, tra i quali rientra anche
l’acquisizione al patrimonio dell’area in
caso di omessa demolizione, trattandosi di
un accertamento vincolato e di un atto
sanzionatorio dell’inottemperanza all’ordine
di demolizione (Corte Costituzionale,
15.07.1991, n. 345)
D’altro canto l'acquisizione da parte del
Comune dell'immobile abusivo e dell'area di
sedime avviene ipso iure, a seguito
dell'emissione dell'ordinanza sindacale di
demolizione e dello spirare del novantesimo
giorno dalla notifica della stessa
all'intimato, ove questi non vi abbia
prestato ottemperanza (Corte di Cassazione
penale, Sez. III, 08.01.2009 (Ud.
19.11.2008), Sent. n. 143), con la
conseguenza che non si tratta di effettuare
una scelta discrezionale in merito
all’acquisto di un bene al patrimonio
comunale, competenza che spetterebbe agli
organi politici.
---------------
L'ordine di demolizione di opere edilizie
abusive non deve essere preceduto
dall'avviso ex art. 7 della L. n. 241/1990,
trattandosi di un atto dovuto, che viene
emesso quale sanzione per l’accertamento
della inosservanza di disposizioni
urbanistiche secondo un procedimento di
natura vincolata precisamente tipizzato dal
legislatore e conseguente disciplinato
rigidamente dalla legge (Tar Campania,
Napoli, sez. IV, 10.12.2007, n. 15871).
A tale conclusione deve giungersi a maggior
ragione in un caso come questo, nel quale
l’atto è meramente confermativo di altro già
emesso e conosciuto dalle ricorrenti.
L’amministrazione non ha l’onere di motivare
l’ingiunzione di demolizione comparando
l’interesse pubblico a quello privato in
quanto non esiste, in caso di abuso, un
affidamento del privato degno di tutela da
parte dell’ordinamento (v. TAR Campania,
Napoli, sez. VI, 30.07.2007 n. 7130)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza 16.11.2011 n. 2756 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA: L'art.
9, comma 1, l. n. 447/1995, nel prevedere la
possibilità di emettere ordinanze
contingibili ed urgenti in materia di
inquinamento acustico, contiene due elementi
di specialità che differenziano le ordinanze
stesse rispetto alla disciplina delle
ordinanze contingibili ed urgenti
genericamente intese: a) il riferimento al
carattere "eccezionale" della situazione; b)
il riferimento alla "temporaneità" delle
misure ordinate;
Pertanto, è illegittima un'ordinanza ex art.
9, comma 1, l. n. 447/1995, nel caso in cui:
- la situazione non venga descritta nel
provvedimento come "eccezionale"; - non sia
dato ravvisare elementi che la connotino
come tale; - e le misure ordinate non si
connotino come temporanee.
La giurisprudenza, condivisa dal Collegio,
ha spiegato che “l'art. 9, comma 1, l. n.
447/1995, nel prevedere la possibilità di
emettere ordinanze contingibili ed urgenti
in materia di inquinamento acustico,
contiene due elementi di specialità che
differenziano le ordinanze stesse rispetto
alla disciplina delle ordinanze contingibili
ed urgenti genericamente intese: a) il
riferimento al carattere "eccezionale" della
situazione; b) il riferimento alla
"temporaneità" delle misure ordinate;
pertanto, è illegittima un'ordinanza ex art.
9, comma 1, l. n. 447/1995, nel caso in cui:
- la situazione non venga descritta nel
provvedimento come "eccezionale"; - non sia
dato ravvisare elementi che la connotino
come tale; - e le misure ordinate non si
connotino come temporanee” (TAR Umbria
Perugia, sez. I, 11.11.2008, n. 722)
(TAR Lazio-Latina,
sentenza 16.11.2011 n. 916 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
VARI:
Autovelox vietato nelle strade
secondarie.
La Cassazione torna a bacchettare l’uso
indiscriminato degli autovelox sulle strade
“minori”, nelle quali invece vige
l’obbligo della contestazione immediata. Una
prassi alimentata dalla crisi finanziaria
dei piccoli comuni che in tal modo provano a
riequilibrare i bilanci.
L’infrazione del limite di velocità, questa
volta, era avvenuta nel territorio del
comune di Frascineto, in Calabria, e già il
giudice di Pace di Castrovillari, in primo
grado, aveva bocciato il verbale per eccesso
di velocità, per le modalità di rilevamento
utilizzate. Sentenza poi confermata in
appello dal tribunale di Castrovillari che
aveva ribadito il concetto per cui “non
possono essere installati gli apparecchi
elettronici di rilevazione su una strada
extraurbana secondaria”, quale era
quella percorsa dall’automobilista.
Ragionamento sposato anche dalla Suprema
Corte, sentenza n. 23882/2011, secondo cui
la legge demanda “al prefetto
l’individuazione delle strade, o di singoli
tratti di esse, diverse dalla autostrade o
dalle strade extraurbane principali, nelle
quali non è possibile il fermo di un
veicolo, ai fini della contestazione
immediata delle infrazioni”. La ratio
della norma infatti è quella di ammettere il
controllo elettronico solo nei casi in cui
risulti difficoltoso fermare il veicolo.
In quanto il Dl 121/2002 prevede che sulle
autostrade e sulle strade extraurbane
principali, gli organi di polizia stradale
seguendo le direttive fornite dal ministero
dell'Interno possono installare dispositivi
o mezzi tecnici di controllo del traffico
-di cui deve sempre essere data informazione
agli automobilisti finalizzati al
rilevamento a distanza delle violazioni del
codice della strada. Mentre l’installazione
sulle strade extraurbane secondarie e sulle
strade urbane di scorrimento è possibile
unicamente quando siano individuate con
apposito decreto del prefetto (Corte di
Cassazione, Sez. II civile,
sentenza 15.11.2011 n. 23882 -
link a www.diritto24.ilsole24ore.com). |
ATTI AMMINISTRATIVI - URBANISTICA:
La vicinitas non è condizione
sufficiente per agire in giudizio quando non
è inciso il valore di mercato dell’area
viciniore.
È acquisizione pacifica
che la legittimazione ad agire, nel sistema
giurisdizionale amministrativo, può essere
riconosciuta solo se alla base sussista un
titolo legittimante rappresentato da un
interesse peculiare e qualificato.
Sulla base di questo principio cardine, la
IV Sez. del Consiglio di Stato,
sentenza 15.11.2011 n. 6016, ha
ritenuto inammissibile, sotto il profilo
della legittimazione ad agire, l’impugnativa
dei titoli all’edificazione proposta da un
gruppo di soggetti e diretta ad ottenere
l’annullamento di una delibera comunale di
approvazione di un Programma integrato di
intervento edilizio nell’ambito di un’area
industriale dimessa.
Sebbene i soggetti abitassero in area vicina
(ma estranea) a quella deputata ad ospitare
l’intervento edilizio (nella specie di
realizzazione di un complesso di edifici a
destinazione per la gran parte residenziale
e per altra parte terziaria/commerciale), i
giudici di palazzo Spada hanno ritenuto non
sufficiente il criterio della vicinitas
a fondare la richiesta della pronuncia
costitutiva di annullamento.
Come già approfondito dal medesimo collegio
in altra sede (sent. 8364/2010) in base ai
principi generali in materia di condizioni
dell’azione, desumibili dall’art. 24, co. 1,
Cost. (tutti possono agire in giudizio per
la tutela dei propri diritti ed interessi
legittimi) e dall’art. 100 c.p.c. (per
proporre una domanda o per resistere alla
stessa occorre avere un interesse), l’azione
di annullamento è sottoposta a due
fondamentali condizioni:
a) l’interesse processuale che presuppone,
nella prospettazione della parte, una
lesione dell’interesse sostanziale dedotto
in giudizio (cfr. sul punto Cons. Stato,
sez. VI, n. 51921/2009);
b) la legittimatio ad causam,
costituita dall’essere titolare di un
rapporto controverso in relazione
all’esercizio del potere pubblico, in virtù
del quale viene conferito al soggetto
interessato alla contestazione giudiziale
una posizione qualificata e differenziata.
In mancanza dell’uno o dell’altro requisito,
l’azione è inammissibile, dovendo esservi
piena corrispondenza tra titolo (o
possibilità giuridica dell’azione) ed
interesse sostanziale ad agire.
Nel caso di specie si è riscontrata la
carenza di interesse in capo ai cittadini
proprietari (e abitanti) di fabbricati siti
in area vicina a quella destinata ad
ospitare l’insediamento immobiliare di cui
al contestato intervento edilizio, in quanto
è richiesto quale condizione ulteriore al
criterio della vicinitas (ai fini
dell’azionabilità in giudizio) che la nuova
destinazione urbanistica concernente un’area
non appartenente al ricorrente incida
direttamente sul godimento o sul valore di
mercato dell’area viciniore o comunque su
interessi propri e specifici del medesimo
esponente. E di tanto l’interessato deve
fornire se non una rigorosa dimostrazione,
almeno idonei principi di prova.
Nei fatti invece non è stato minimamente
dimostrato un eventuale deprezzamento delle
proprietà dei ricorrenti (situate, come
detto, al di fuori delle aree del PII). Di
conseguenza non si è rinvenuta una lesione
effettiva e documentata delle facoltà
dominicali dei medesimi idonea a sorreggere
la predetta impugnativa (commento tratto da
www.diritto.it - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
termine previsto dall'art. 159 D.Lgs.
42/2004, pur essendo perentorio e decorrente
dalla ricezione da parte della
Sovrintendenza dell’autorizzazione
rilasciata e della documentazione
tecnico-amministrativa sulla cui base
l’autorizzazione è stata adottata, non
decorre quando la Soprintendenza ritenga
necessario richiedere atti mancanti.
Solo dal momento in cui la Soprintendenza
riceva la documentazione completa può quindi
computarsi la decorrenza del termine;
ulteriori integrazioni istruttorie, purché
non si tratti di ingiustificati aggravamenti
del procedimento attraverso domande
pretestuose, dilatorie o tardive, possono
essere richieste dalla Sovrintendenza, e in
questo caso l’originario termine di sessanta
giorni si prolunga di ulteriori trenta
giorni, con la conseguenza che il tempo
decorrente dall’originario ricevimento degli
atti fino alla richiesta istruttoria sommato
a quello successivo che va dal ricevimento
della documentazione integrativa richiesta
fino all’adozione del provvedimento di
annullamento non deve complessivamente
essere superiore a novanta giorni.
--------------
L’art. 2 dell’allegato al D.P.C.M. del
12.12.2005, ha indicato i “Criteri per la
redazione della relazione paesaggistica”,
prevedendo che “la relazione paesaggistica,
mediante opportuna documentazione, dovrà dar
conto sia dello stato dei luoghi (contesto
paesaggistico e area di intervento) prima
dell'esecuzione delle opere previste, sia
delle caratteristiche progettuali
dell'intervento, nonché rappresentare nel
modo più chiaro ed esaustivo possibile lo
stato dei luoghi dopo l'intervento”.
Il medesimo art. 2 non ha necessariamente
richiesto l’inoltro di una documentazione
fotografica dello stato dei luoghi, con
sovrapposizione delle opere da realizzare,
ma ha disposto la trasmissione che consenta
l’immediata percepibilità dell’impatto delle
opere, con riferimento alla loro specifica
localizzazione, alla altezza e alle relative
caratteristiche costruttive, rispetto
all’ambiente circostante.
Costituisce infatti principio consolidato e
condiviso dal Collegio che il termine
previsto dall'art. 159 D.Lgs. 42/2004, pur
essendo perentorio e decorrente dalla
ricezione da parte della Sovrintendenza
dell’autorizzazione rilasciata e della
documentazione tecnico-amministrativa sulla
cui base l’autorizzazione è stata adottata,
non decorre quando la Soprintendenza ritenga
necessario richiedere atti mancanti.
Solo dal momento in cui la Soprintendenza
riceva la documentazione completa può quindi
computarsi la decorrenza del termine (per
tutte, Cons. Stato, sez. VI, 10.01.2011, n.
43); ulteriori integrazioni istruttorie,
purché non si tratti di ingiustificati
aggravamenti del procedimento attraverso
domande pretestuose, dilatorie o tardive,
possono essere richieste dalla
Sovrintendenza, e in questo caso –in base
alla incontestata normativa di settore,
vigente ratione temporis-
l’originario termine di sessanta giorni si
prolunga di ulteriori trenta giorni, con la
conseguenza che il tempo decorrente
dall’originario ricevimento degli atti fino
alla richiesta istruttoria sommato a quello
successivo che va dal ricevimento della
documentazione integrativa richiesta fino
all’adozione del provvedimento di
annullamento non deve complessivamente
essere superiore a novanta giorni.
---------------
L’art. 2
dell’allegato al D.P.C.M. del 12.12.2005, ha
indicato i “Criteri per la redazione
della relazione paesaggistica”,
prevedendo che “la relazione
paesaggistica, mediante opportuna
documentazione, dovrà dar conto sia dello
stato dei luoghi (contesto paesaggistico e
area di intervento) prima dell'esecuzione
delle opere previste, sia delle
caratteristiche progettuali dell'intervento,
nonché rappresentare nel modo più chiaro ed
esaustivo possibile lo stato dei luoghi dopo
l'intervento”.
Il medesimo art. 2 non ha necessariamente
richiesto l’inoltro di una documentazione
fotografica dello stato dei luoghi, con
sovrapposizione delle opere da realizzare,
ma ha disposto la trasmissione che consenta
l’immediata percepibilità dell’impatto delle
opere, con riferimento alla loro specifica
localizzazione, alla altezza e alle relative
caratteristiche costruttive, rispetto
all’ambiente circostante (Consiglio
di Stato, Sez. V,
sentenza 15.11.2011 n. 6032 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Nell'ipotesi di gara con il
criterio dell'offerta economicamente più
vantaggiosa, è illegittima la clausola di un
bando di gara, che svilisca l'elemento
economico dell'offerta, attribuendo ad esso
un ruolo secondario, se non addirittura
irrilevante.
Ferma restando, nel caso di adozione del
criterio dell'offerta economicamente più
vantaggiosa, la discrezionalità
dell'amministrazione di decidere il peso da
attribuire all'elemento economico
dell'offerta, nonché di stabilire la formula
matematica da utilizzare per la sua concreta
determinazione, è evidente che deve esistere
coerenza logica rispetto al criterio di gara
utilizzato oltre che tra le varie
disposizioni che regolano la gara.
Nell'indicazione delle condizioni minime che
devono connotare le offerte, per essere
ammissibili, l'amministrazione è libera di
indicare tutti i requisiti che ritiene
necessari, a garanzia di un elevato standard
qualitativo delle offerte che partecipano
alla gara; offerte che comunque, superato il
vaglio di ammissibilità, saranno valutate da
un punto di vista qualitativo per
l'attribuzione del punteggio all'uopo
previsto.
Ma una volta compiutamente valutati tutti
gli aspetti concernenti il livello
qualitativo dell'offerta, e determinate le
implicazioni che da tale valutazione
discendono, il peso che deve essere
attribuito all'elemento prezzo non può
ulteriormente essere condizionato da una
supposta volontà di privilegiare la qualità
delle offerte, e deve autonomamente essere
valutato e ponderato secondo il peso ad esso
assegnato negli atti di gara.
Pertanto, è illegittima l'impugnata
previsione del bando di gara, nel caso di
specie, che finisce per svilire l'elemento
economico dell'offerta attribuendo ad esso
un ruolo assolutamente secondario, se non
addirittura irrilevante (Consiglio di Stato,
Sez. VI,
sentenza 15.11.2011 n. 6023 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
La motivazione del provvedimento
amministrativo non può essere integrata nel
corso del giudizio con la specificazione di
elementi di fatto, dovendo la motivazione
precedere e non seguire ogni provvedimento
amministrativo individuando con ciò il
fondamento della illegittimità della
motivazione postuma nella tutela del buon
andamento amministrativo e nella esigenza di
delimitazione del controllo giudiziario.
La motivazione del provvedimento
amministrativo non può essere integrata nel
corso del giudizio con la specificazione di
elementi di fatto, dovendo la motivazione
precedere e non seguire ogni provvedimento
amministrativo individuando con ciò il
fondamento della illegittimità della
motivazione postuma nella tutela del buon
andamento amministrativo e nella esigenza di
delimitazione del controllo giudiziario
(Consiglio di Stato, V, 15.11.2010, n. 8040;
TAR Lombardia, Milano, IV, 17.10.2011, n.
2450) (TAR Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza 15.11.2011 n. 2749 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La misura dell'area da acquisire,
contenuta nell'ordine di demolizione, deve
reputarsi meramente indicativa, in quanto la
corretta determinazione potrà avvenire
soltanto dopo il rituale accertamento, da
parte del Comune, dell'inottemperanza
all'ingiunzione.
Preme al Collegio richiamare l’orientamento
della giurisprudenza, cui la Sezione
aderisce, incline a ritenere che la misura
dell'area da acquisire, contenuta
nell'ordine di demolizione, deve reputarsi
meramente indicativa, in quanto la corretta
determinazione potrà avvenire soltanto dopo
il rituale accertamento, da parte del
Comune, dell'inottemperanza all'ingiunzione
(allorché sarà avviato, nell'ambito del
procedimento sanzionatorio di cui all'art.
31 cit., un sub-procedimento specificamente
finalizzato alla precisa individuazione
delle aree da acquisire gratuitamente, ai
sensi del comma 3 del cit. art. Sul punto,
cfr., da ultimo, TAR Lombardia Milano, sez.
II, 26.01.2010, n. 175, secondo cui: <<L'indicazione,
nel provvedimento di demolizione delle aree
che saranno acquisite, ai sensi del comma 2
dell'art. 31, equivale ad una sorta di avvio
del procedimento finalizzato
all'acquisizione gratuita delle aree (cfr.
sul punto TAR Veneto, sez. II, 10.06.2009,
n. 1725), per cui l'eventuale riferimento
erroneo alle aree da acquisire, contenuto
nell'ordine di demolizione, appare
irrilevante ai fini della legittimità di
quest'ultimo (TAR Lombardia, Milano, sez. II,
20.02.2008, n. 377)>> (TAR
Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 14.11.2011 n. 2734 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Nel caso di partecipazione ad una
gara di appalto di un raggruppamento
temporaneo di imprese la polizza
fideiussoria deve essere intestata a tutte
le imprese componenti il costituendo RTI.
Nel caso di partecipazione alla gara di
appalto di un raggruppamento temporaneo di
imprese, la polizza fideiussoria deve essere
intestata a tutte le imprese componenti il
costituendo RTI, al fine di costituire la
cauzione provvisoria richiesta per la
partecipazione alla gara; infatti, stante il
carattere accessorio della garanzia, il
fideiussore, nel manifestare in modo
espresso la volontà di prestarla, deve anche
indicare l'obbligazione principale
garantita, il soggetto garantito, nonché le
eventuali condizioni e limitazioni
soggettive ed oggettive della garanzia
rispetto all'obbligazione principale, e
tanto in omaggio al principio generale,
desumibile dagli artt. 1346 e 1348 c.c.,
secondo cui, l'oggetto del contratto deve
essere determinato o almeno determinabile a
pena di nullità. In presenza di un'ATI
costituenda, il soggetto garantito non è
l'ATI nel suo complesso, non essendo ancora
costituita, e neanche la sola capogruppo
designata, in quanto la garanzia riguarda
tutte le imprese associande che, durante la
gara, operano individualmente e
responsabilmente nell'assolvimento degli
impegni connessi alla partecipazione alla
gara, ivi compreso, in caso di
aggiudicazione, quello di conferire il
mandato collettivo alla impresa designata
capogruppo, che stipulerà il contratto con
l'Amministrazione.
Pertanto, nel caso di specie, è inidonea la
costituzione della cauzione provvisoria
mediante polizza intestata alla sola
mandataria e non corredata da altra
indicazione volta ad identificare l'altra
impresa costituente il raggruppamento di
imprese e ad estendere il perimetro
dell'obbligazione di garanzia anche con
riguardo alle condotte della mandante
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 11.11.2011 n. 5959 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
EDILIZIA PRIVATA: In
tema di rispetto delle distanze legali tra
costruzioni, la sopraelevazione di un
edificio preesistente, determinando un
incremento della volumetria del fabbricato,
è qualificabile come nuova costruzione.
Deriva da quanto precede, pertanto,
l'applicazione della normativa urbanistica
vigente al momento della modifica e
l'inoperatività del criterio della
prevenzione se riferito alle costruzioni
originarie, in quanto sostituito dal
principio della priorità temporale correlata
al momento della sopraelevazione.
L’istituto della prevenzione, secondo
l'interpretazione consolidata del combinato
disposto di cui agli art. 873, 875 e 877
c.c., muove dalla circostanza di fatto che,
a partire dalla linea di confine, non siano
intervenute costruzioni nelle due proprietà
sicché, il soggetto che costruisce per
primo, potendo scegliere se edificare sul
confine o a distanza da esso, condiziona il
proprietario del fondo limitrofo che, a
propria volta, può scegliere di costruire in
aderenza ovvero mantenendo la distanza
legale minima prescritta: detta figura non
può, quindi, trovare applicazione laddove
sui due fondi finitimi, esistano già
edifici, come è nel caso sottoposto
all’esame del Collegio).
Ne discende, quindi, che il principio della
prevenzione non è applicabile quando
l'obbligo di osservare un determinato
distacco dal confine sia dettato da
regolamenti comunali in tema di edilizia e
di urbanistica, avuto riguardo al carattere
indiscutibilmente cogente di tali fonti
normative, da intendersi preordinate alla
tutela, oltre che di privati diritti
soggettivi, di interessi generali. Proprio
in quest'ottica la giurisprudenza ha
sottolineato che nel caso in cui i
regolamenti edilizi stabiliscano
espressamente la necessità di rispettare
determinate distanze dal confine non può
ritenersi consentita la costruzione in
aderenza o in appoggio a meno che tale
facoltà non sia consentita come alternativa
all'obbligo di rispettare le suddette.
Secondo la giurisprudenza della Corte di
Cassazione, condivisa dal Collegio, in tema
di rispetto delle distanze legali tra
costruzioni, la sopraelevazione di un
edificio preesistente, determinando un
incremento della volumetria del fabbricato,
è qualificabile come nuova costruzione.
Deriva da quanto precede, pertanto,
l'applicazione della normativa urbanistica
vigente al momento della modifica e
l'inoperatività del criterio della
prevenzione se riferito alle costruzioni
originarie, in quanto sostituito dal
principio della priorità temporale correlata
al momento della sopraelevazione (In
applicazione del riferito principio la
Suprema Corte ha accertato che la parte, nel
trasformare in vano chiuso e coperto il
terrazzo a livello posto al primo piano del
suo fabbricato, a confine con il fondo della
controparte, avrebbe dovuto comunque
rispettare la distanza prescritta dallo
strumento urbanistico vigente, anche se il
nuovo manufatto era contenuto entro
l'ingombro orizzontale del piano inferiore)
(cfr. Cassazione civile, sez. II,
03.01.2011, n. 74).
E, infatti, l’istituto della prevenzione,
secondo l'interpretazione consolidata del
combinato disposto di cui agli art. 873, 875
e 877 c.c., muove dalla circostanza di fatto
che, a partire dalla linea di confine, non
siano intervenute costruzioni nelle due
proprietà sicché, il soggetto che costruisce
per primo, potendo scegliere se edificare
sul confine o a distanza da esso, condiziona
il proprietario del fondo limitrofo che, a
propria volta, può scegliere di costruire in
aderenza ovvero mantenendo la distanza
legale minima prescritta: detta figura non
può, quindi, trovare applicazione laddove
sui due fondi finitimi, esistano già
edifici, come è nel caso sottoposto
all’esame del Collegio (cfr. Consiglio
Stato, sez. V, 24.12.2001, n. 6374).
Ne discende, quindi, che il principio della
prevenzione non è applicabile quando
l'obbligo di osservare un determinato
distacco dal confine sia dettato da
regolamenti comunali in tema di edilizia e
di urbanistica, avuto riguardo al carattere
indiscutibilmente cogente di tali fonti
normative, da intendersi preordinate alla
tutela, oltre che di privati diritti
soggettivi, di interessi generali. Proprio
in quest'ottica la giurisprudenza ha
sottolineato che nel caso in cui i
regolamenti edilizi stabiliscano
espressamente la necessità di rispettare
determinate distanze dal confine non può
ritenersi consentita la costruzione in
aderenza o in appoggio a meno che tale
facoltà non sia consentita come alternativa
all'obbligo di rispettare le suddette
distanze (cfr. Consiglio di Stato, sez. V,
13.01.2004, n. 46) (TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 11.11.2011 n. 1683 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: L'annullamento
in sede giurisdizionale del diniego di
concessione edilizia comporta l'obbligo per
il Comune di riesaminare l'originaria
domanda applicando la disciplina urbanistica
vigente al momento in cui la sentenza è
stata notificata o comunicata in via
amministrativa, con la conseguenza che se,
da un lato, occorre tenere conto
dell'eventuale disciplina pianificatoria
sopravvenuta in corso di giudizio,
dall'altro, sono inopponibili
all'interessato le variazioni dello
strumento urbanistico sopravvenute alla
notificazione o alla comunicazione in via
amministrativa della sentenza di
annullamento.
E' stato costantemente affermato il
principio per cui l'annullamento in sede
giurisdizionale del diniego di concessione
edilizia comporta l'obbligo per il Comune di
riesaminare l'originaria domanda applicando
la disciplina urbanistica vigente al momento
in cui la sentenza è stata notificata o
comunicata in via amministrativa, con la
conseguenza che se, da un lato, occorre
tenere conto dell'eventuale disciplina
pianificatoria sopravvenuta in corso di
giudizio, dall'altro, sono inopponibili
all'interessato le variazioni dello
strumento urbanistico sopravvenute alla
notificazione o alla comunicazione in via
amministrativa della sentenza di
annullamento (cfr. Ad. Plenaria 8.1. n. 1;
Cons. Stato, sez. IV, 14.01.1997, n. 5;
Cons. Stato, sez. V, 13.11.1995, n. 1551;
Cons. Stato, sez. IV, 10.11.1998, n. 1471;
Cons. Stato, sez. V, 22.02.2002 n. 1079; TAR
Campania, Napoli, sez. II, 17.05.2004, n.
8803)
(TAR Veneto, Sez., II,
sentenza 11.11.2011 n. 1681 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
L'ordine di demolizione di opera
edilizia abusiva è sufficientemente motivato
con l'affermazione dell'accertata abusività
dell'opera, richiedendosi una motivazione
specifica solo nel caso in cui, per il
protrarsi e il lungo lasso di tempo
trascorso dalla commissione dell'abuso e il
protrarsi della inerzia dell'Amministrazione
preposta alla vigilanza, si sia ingenerata
una posizione di affidamento nel privato,
ipotesi questa in cui è ravvisabile un onere
di congrua motivazione che, avuto riguardo
anche alla entità e alla tipologia
dell'abuso, indichi il pubblico interesse,
diverso da quello al ripristino della
legalità, idoneo a giustificare il
sacrificio del contrapposto interesse
privato.
Secondo l’orientamento giurisprudenziale
condiviso dal Collegio, “l'ordine di
demolizione di opera edilizia abusiva è
sufficientemente motivato con l'affermazione
dell'accertata abusività dell'opera,
richiedendosi una motivazione specifica solo
nel caso in cui, per il protrarsi e il lungo
lasso di tempo trascorso dalla commissione
dell'abuso e il protrarsi della inerzia
dell'Amministrazione preposta alla
vigilanza, si sia ingenerata una posizione
di affidamento nel privato, ipotesi questa
in cui è ravvisabile un onere di congrua
motivazione che, avuto riguardo anche alla
entità e alla tipologia dell'abuso, indichi
il pubblico interesse, diverso da quello al
ripristino della legalità, idoneo a
giustificare il sacrificio del contrapposto
interesse privato” (così, da ultimo,
C.d.S. IV, 12.04.2011, n. 2266)
(TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 11.11.2011 n. 1680 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI: Il
potere di cui all'art. 54 del D.lgs. n.
267/2000, in base al quale il Sindaco, nella
sua qualità di ufficiale di Governo,
"adotta, con atto motivato e nel rispetto
dei principi generali dell'ordinamento
giuridico, provvedimenti contingibili ed
urgenti" è esercitabile solo quando si
tratti di affrontare situazioni eccezionali
ed imprevedibili, costituenti concreta
minaccia per la pubblica incolumità.
È ius receptum che l'ordinanza contingibile
e urgente debba contenere una specifica e
puntuale motivazione circa la sussistenza in
concreto degli elementi giustificativi
dell'esercizio del potere, con indicazione
dell'istruttoria compiuta e dei presupposti
di fatto considerati, posto che il potere di
emanare tale tipologia di atti presuppone la
necessità di provvedere, con immediatezza,
in relazione a situazioni di natura
eccezionale ed imprevedibile, cui sia
impossibile far fronte con gli strumenti
ordinari apprestati dall'ordinamento.
Il ricorso al potere di ordinanza
contingibile ed urgente non può assumere, in
relazione al suo scopo, carattere di
continuità e stabilità di effetti divenendo
suscettibile di stabile regolazione delle
situazioni cui si riferisce.
Secondo il costante e consolidato
orientamento della giurisprudenza, condiviso
dal Collegio, il potere di cui all'art. 54
del D.lgs. n. 267/2000, in base al quale il
Sindaco, nella sua qualità di ufficiale di
Governo, "adotta, con atto motivato e nel
rispetto dei principi generali
dell'ordinamento giuridico, provvedimenti
contingibili ed urgenti" è esercitabile
solo quando si tratti di affrontare
situazioni eccezionali ed imprevedibili,
costituenti concreta minaccia per la
pubblica incolumità (cfr. da ultimo TAR
Abruzzo, L’Aquila, 15.03.2011, n. 134).
È, inoltre, ius receptum che
l'ordinanza contingibile e urgente debba
contenere una specifica e puntuale
motivazione circa la sussistenza in concreto
degli elementi giustificativi dell'esercizio
del potere, con indicazione dell'istruttoria
compiuta e dei presupposti di fatto
considerati, posto che il potere di emanare
tale tipologia di atti presuppone la
necessità di provvedere, con immediatezza,
in relazione a situazioni di natura
eccezionale ed imprevedibile, cui sia
impossibile far fronte con gli strumenti
ordinari apprestati dall'ordinamento.
Va, inoltre, evidenziato che il ricorso al
potere di ordinanza contingibile ed urgente
non può assumere, in relazione al suo scopo,
carattere di continuità e stabilità di
effetti divenendo suscettibile di stabile
regolazione delle situazioni cui si
riferisce (cfr. TAR Veneto, sez. III,
23.03.2011, n. 487; TAR Toscana, sez. II,
24.08.2010, n. 4876).
Merita, da ultimo, di essere rammentato che
l’orientamento giurisprudenziale condiviso
dal Collegio ha trovato conferma anche nella
recente sentenza della Corte Costituzionale
n. 115 del 07.04.2011 che ha dichiarato
l’illegittimità costituzionale dell’art. 54,
comma 4, del decreto legislativo 18.08.2000,
n. 267 (Testo unico delle leggi
sull’ordinamento degli enti locali), come
sostituito dall’art. 6 del decreto-legge
23.05.2008, n. 92 (Misure urgenti in materia
di sicurezza pubblica), convertito, con
modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della
legge 24.07.2008, n. 125, nella parte in cui
comprende la locuzione «anche» prima
delle parole «contingibili e urgenti»,
così consentendo che il Sindaco, quale
ufficiale del Governo, adotti provvedimenti
a «contenuto normativo ed efficacia a
tempo indeterminato», al fine di
prevenire e di eliminare gravi pericoli che
minaccino la sicurezza urbana, anche fuori
dai casi di contingibilità e urgenza.
Il Giudice delle leggi ha affermato che “contingibilità
e urgenza, infatti, dovrebbero rappresentare
«presupposto, condizione e limite» per una
disciplina che consenta il superamento, sia
pure nell’ambito dei principi generali
dell’ordinamento, delle disposizioni vigenti
in rapporto ad una determinata materia, e
che attribuisca un potere siffatto «in capo
ad un organo monocratico, in luogo di quello
ordinariamente deputato». Per tale ragione,
le norme in materia di ordinanze dovrebbero
assicurare indefettibilmente il contenuto
provvedimentale delle medesime, in rapporto
all’obbligo di motivazione e all’efficacia
nel tempo” (cfr. Corte Cost. 07.04.2011,
n. 115)
(TAR Veneto, Sez., II,
sentenza 11.11.2011 n. 1673 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Sul silenzio-rifiuto che si forma
a fronte dell'inerzia della P.A. su di
un'istanza presentata.
Per costante giurisprudenza, il particolare
meccanismo del silenzio-rifiuto è diretto ad
accertare se l’inerzia serbata
dall’Amministrazione sull’istanza del
privato si ponga in violazione dell’obbligo
di adottare un provvedimento esplicito
–richiesto con l’istanza stessa–, derivando
l’obbligo di provvedere, di regola, da una
norma di legge o di regolamento, ma
potendosi talora desumere anche da
prescrizioni di carattere generale o dai
principi dell’ordinamento che regolano
l’azione amministrativa, sicché può
originare dal rispetto del principio di
imparzialità o trovare fondamento nel
principio di buon andamento dell’azione
amministrativa o nel principio di legalità
della stessa azione amministrativa, tanto da
apparire suscettibile di configurazione in
tutte quelle fattispecie particolari nelle
quali ragioni di giustizia ed equità
impongano l’adozione di un provvedimento,
cioè in tutte quelle ipotesi in cui, in
relazione al dovere di correttezza e di
buona amministrazione della parte pubblica,
sorga per il privato una legittima
aspettativa a conoscere il contenuto e le
ragioni delle determinazioni, qualunque esse
siano, dell’organo interpellato (v., ex
multis, TAR Puglia, Lecce, Sez. I,
12.05.2011 n. 830) (TAR Emilia Romagna-Parma,
sentenza 10.11.2011 n. 399 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVA:
L'attività amministrativa, alla
quale gli artt. 22 e 23 della legge n. 241
del 1990 correlano il diritto d'accesso,
ricomprende, non solo, quella di diritto
amministrativo, ma, anche quella di diritto
privato posta in essere dai soggetti gestori
di pubblici servizi che, pur non costituendo
direttamente gestione del servizio stesso,
sia collegata a quest'ultima da un nesso di
strumentalità derivante anche, sul versante
soggettivo, dalla intensa conformazione
pubblicistica.
La Sezione ritiene di non doversi discostare
dal prevalente orientamento della
giurisprudenza amministrativa secondo cui
l'attività amministrativa, alla quale gli
artt. 22 e 23 della legge n. 241 del 1990
correlano il diritto d'accesso, ricomprende,
non solo, quella di diritto amministrativo,
ma, anche quella di diritto privato posta in
essere dai soggetti gestori di pubblici
servizi che, pur non costituendo
direttamente gestione del servizio stesso,
sia collegata a quest'ultima da un nesso di
strumentalità derivante anche, sul versante
soggettivo, dalla intensa conformazione
pubblicistica (cfr. Consiglio di Stato, sez.
VI, 26.01.2006, n. 229; idem, n. 4152/2002;
n. 2855/2002; n. 67/2002; n. 654/2001; TAR
Lombardia Brescia, 14.03.2005, n. 159; TAR
Lombardia Milano, Sez. I, 05.08.2004, n.
3292, TAR Lombardia Milano 21.11.2007 n.
6406; TAR Piemonte Torino, sez. II,
06.03.2009, n. 655; TAR Marche Ancona, sez.
I, 12.11.2008, n. 1880) (TAR
Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza 09.11.2011 n. 2702 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: L’art.
46, comma 1-bis, del D.L.vo 12.04.2006, n.
163 ha introdotto il principio della
tassatività delle cause di esclusione dei
soggetti partecipanti agli esperimenti
indetti dalla P.A, prevedendo la possibilità
di comminare l’esclusione solo “nei casi di
incertezza assoluta sul contenuto o sulla
provenienza dell’offerta, per difetto di
sottoscrizione o di altri elementi
essenziali ovvero in caso di non integrità
del plico contenente l'offerta o la domanda
di partecipazione o altre irregolarità
relative alla chiusura dei plichi, tali da
far ritenere, secondo le circostanze
concrete, che sia stato violato il principio
di segretezza delle offerte” e che “i bandi
e le lettere di invito non possono contenere
ulteriori prescrizioni a pena di esclusione”
e “dette prescrizioni sono comunque nulle”.
In base a tale norma, è oggi possibile
comminare l’esclusione da una gara solo ove
vi sia incertezza in ordine alla provenienza
della domanda, al suo contenuto o alla
sigillazione dei plichi e che ogni altra
ragione di non partecipazione agli incanti
non può essere prevista, a pena di nullità
della disposizione del bando o della lettera
d’invito.
L’art. 46, comma 1-bis, del D.L.vo
12.04.2006, n. 163, aggiunto dall’art. 4, 2
comma, n. 2, lett. d) del D.L. n. 70 del
2011, convertito con modificazioni nella L.
12.07.2011, n. 106, ha introdotto il
principio della tassatività delle cause di
esclusione dei soggetti partecipanti agli
esperimenti indetti dalla P.A, prevedendo la
possibilità di comminare l’esclusione solo “nei
casi di incertezza assoluta sul contenuto o
sulla provenienza dell’offerta, per difetto
di sottoscrizione o di altri elementi
essenziali ovvero in caso di non integrità
del plico contenente l'offerta o la domanda
di partecipazione o altre irregolarità
relative alla chiusura dei plichi, tali da
far ritenere, secondo le circostanze
concrete, che sia stato violato il principio
di segretezza delle offerte” e che “i
bandi e le lettere di invito non possono
contenere ulteriori prescrizioni a pena di
esclusione” e “dette prescrizioni
sono comunque nulle”.
In base a tale norma, in definitiva, è oggi
possibile comminare l’esclusione da una gara
solo ove vi sia incertezza in ordine alla
provenienza della domanda, al suo contenuto
o alla sigillazione dei plichi e che ogni
altra ragione di non partecipazione agli
incanti non può essere prevista, a pena di
nullità della disposizione del bando o della
lettera d’invito (cfr. in tal senso e da
ultimo TAR Liguria, sez. II, 22.09.2011, n.
1396, e TAR Veneto, sez. I, 13.09.2011, n.
1376)
(TAR Abruzzo-Pescara,
sentenza 09.11.2011 n. 632 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA:
Le scelte effettuate
dall’Amministrazione all’atto dell’adozione
del P.R.G. costituiscono apprezzamento di
merito sottratte al sindacato di legittimità
di questo Giudice, salvo che siano inficiate
da errori di fatto o da grave illogicità o
contraddittorietà; tali scelte, non
necessitano, inoltre, di apposita
motivazione, oltre quella che si può
evincere dai criteri generali -di ordine
tecnico discrezionale- seguiti per
l’impostazione del piano stesso, essendo
sufficiente l’espresso riferimento alla
relazione di accompagnamento al progetto di
modificazione al p.r.g., salvo che
particolari situazioni non abbiano creato
aspettative o affidamenti in favore di
soggetti le cui posizioni appaiono
meritevoli di specifiche considerazioni.
Cioè nell’emanare nuove previsioni
urbanistiche, l’Amministrazione ha l’onere
di fornire una specifica motivazione sulla
destinazione di singole zone solo quando
tale destinazione incida, in senso
peggiorativo, su situazioni meritevoli di
particolari considerazioni o per la
singolarità del sacrificio imposto al
privato o per la preesistenza di legittime
aspettative in quest’ultimo ingenerate;
mentre tale motivazione non è necessaria ove
si tratti semplicemente di modificare la
precedente destinazione urbanistica,
trattandosi in tal caso di generica
aspettativa alla precedente utilizzazione
più proficua dell’immobile.
Né ugualmente una specifica motivazione deve
giustificare il rigetto delle osservazioni
proposte dai privati in sede di formazione
del piano regolatore, in quanto le
osservazioni formulate dai proprietari
interessati costituisconono un mero apporto
collaborativo alla formazione degli
strumenti urbanistici e non danno luogo a
peculiari aspettative, essendo al riguardo
sufficiente che esse siano state esaminate e
ragionevolmente ritenute in contrasto con
gli interessi e le considerazioni generali
poste a base della formazione del piano
regolatore o della sua variante.
In sede di sindacato di legittimità delle
scelte di piano la giurisprudenza ha
costantemente affermato che tali scelte
effettuate dall’Amministrazione all’atto
dell’approvazione del piano regolatore
generale costituiscono apprezzamento di
merito sottratto in via generale al
sindacato di legittimità del Giudice
amministrativo a meno che non siano
inficiate da errori di fatto o da abnormi
illogicità. Poiché, infatti,
l’Amministrazione comunale ha un’ampia
discrezionalità nel definire la tipologia
delle utilizzazioni delle singole parti del
territorio, le scelte effettuate non sono
sindacabili da questo Giudice, salvo che
risultino incoerenti con l’impostazione di
fondo dell’intervento pianificatorio o siano
manifestamente incompatibili con le
caratteristiche oggettive del territorio.
In particolare, è stato anche precisato che
in sede di previsione di zona di piano
regolatore, la valutazione dell’idoneità di
un immobile a soddisfare determinati
interessi pubblici piuttosto che altri, non
può essere censurata neanche per disparità
di trattamento basato sulla sola
comparazione con la destinazione impressa
agli immobili adiacenti; per cui
nell’impugnazione di un piano regolatore
generale non è configurabile il vizio di
eccesso di potere per disparità di
trattamento, non essendo possibile
individuare in via generale situazioni
identiche sia sul piano soggettivo, che sul
piano oggettivo.
Secondo il costante orientamento della
giurisprudenza, le scelte effettuate
dall’Amministrazione all’atto dell’adozione
del P.R.G. costituiscono apprezzamento di
merito sottratte al sindacato di legittimità
di questo Giudice, salvo che siano inficiate
da errori di fatto o da grave illogicità o
contraddittorietà (così, per tutti e da
ultimo, Cons. St., sez. IV, 12.01.2011, n.
133); tali scelte, non necessitano, inoltre,
di apposita motivazione, oltre quella che si
può evincere dai criteri generali -di ordine
tecnico discrezionale- seguiti per
l’impostazione del piano stesso, essendo
sufficiente l’espresso riferimento alla
relazione di accompagnamento al progetto di
modificazione al p.r.g., salvo che
particolari situazioni non abbiano creato
aspettative o affidamenti in favore di
soggetti le cui posizioni appaiono
meritevoli di specifiche considerazioni.
Cioè nell’emanare nuove previsioni
urbanistiche, l’Amministrazione ha l’onere
di fornire una specifica motivazione sulla
destinazione di singole zone solo quando
tale destinazione incida, in senso
peggiorativo, su situazioni meritevoli di
particolari considerazioni o per la
singolarità del sacrificio imposto al
privato o per la preesistenza di legittime
aspettative in quest’ultimo ingenerate;
mentre tale motivazione non è necessaria ove
si tratti semplicemente di modificare la
precedente destinazione urbanistica,
trattandosi in tal caso di generica
aspettativa alla precedente utilizzazione
più proficua dell’immobile.
Né ugualmente una specifica motivazione deve
giustificare il rigetto delle osservazioni
proposte dai privati in sede di formazione
del piano regolatore, in quanto le
osservazioni formulate dai proprietari
interessati costituisconono un mero apporto
collaborativo alla formazione degli
strumenti urbanistici e non danno luogo a
peculiari aspettative, essendo al riguardo
sufficiente che esse siano state esaminate e
ragionevolmente ritenute in contrasto con
gli interessi e le considerazioni generali
poste a base della formazione del piano
regolatore o della sua variante (Cons. St.,
sez. III, 26.08.2010, n. 3146, sez. IV,
15.09.2010, n. 6911, e TAR Lazio, sede Roma
sez. II, 02.03.2011, n. 1950).
Con riferimento a quanto sopra esposto,
deve, in definitiva, evidenziarsi che in
sede di sindacato di legittimità delle
scelte di piano la giurisprudenza ha
costantemente affermato che tali scelte
effettuate dall’Amministrazione all’atto
dell’approvazione del piano regolatore
generale costituiscono apprezzamento di
merito sottratto in via generale al
sindacato di legittimità del Giudice
amministrativo a meno che non siano
inficiate da errori di fatto o da abnormi
illogicità. Poiché, infatti,
l’Amministrazione comunale ha un’ampia
discrezionalità nel definire la tipologia
delle utilizzazioni delle singole parti del
territorio, le scelte effettuate non sono
sindacabili da questo Giudice, salvo che
risultino incoerenti con l’impostazione di
fondo dell’intervento pianificatorio o siano
manifestamente incompatibili con le
caratteristiche oggettive del territorio.
In particolare, è stato anche precisato che
in sede di previsione di zona di piano
regolatore, la valutazione dell’idoneità di
un immobile a soddisfare determinati
interessi pubblici piuttosto che altri, non
può essere censurata neanche per disparità
di trattamento basato sulla sola
comparazione con la destinazione impressa
agli immobili adiacenti (Cons. St., sez. IV,
21.04.2010, n. 2264, e 18.06.2009 n. 4024);
per cui nell’impugnazione di un piano
regolatore generale non è configurabile il
vizio di eccesso di potere per disparità di
trattamento, non essendo possibile
individuare in via generale situazioni
identiche sia sul piano soggettivo, che sul
piano oggettivo (TAR Abruzzo-Pescara,
sentenza 09.11.2011 n. 628 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA:
La variante di un piano
regolatore che conferisce nuova destinazione
ad aree che risultino già urbanisticamente
classificate necessita di apposita
motivazione solo quando le classificazioni
preesistenti siano assistite da specifiche
aspettative, in capo ai rispettivi titolari,
fondate su atti di contenuto concreto, nel
senso che deve trattarsi di scelte che
incidano su particolari situazioni di
affidamento, come quelle derivanti da un
piano di lottizzazione approvato, da un
giudicato di annullamento di un diniego di
concessione edilizia o dalla reiterazione di
un vincolo scaduto.
Le osservazioni formulate dai proprietari
interessati costituiscono un mero apporto
collaborativo alla formazione degli
strumenti urbanistici e non danno luogo a
peculiari aspettative, con la conseguenza
che il loro rigetto non richiede una
dettagliata motivazione, essendo sufficiente
che siano state esaminate e ragionevolmente
ritenute in contrasto con gli interessi e le
considerazioni generali poste a base della
formazione del piano regolatore o della sua
variante, e che il merito della scelta
relativa alla localizzazione di un’opera
pubblica è sottratto al sindacato del
giudice amministrativo, salvo profili di
illogicità, travisamento e
contraddittorietà, onde nella localizzazione
dell’intervento l’Amministrazione non è
tenuta a fornire le specifiche ragioni della
scelta di un luogo piuttosto di un altro,
rimanendo inibita al sindacato
giurisdizionale sull’eccesso di potere ogni
possibilità di sovrapporre una nuova
graduazione di interessi in conflitto alla
valutazione che di essi sia stata già
compiuta dall’organo competente, in quanto
profilo attinente alla discrezionalità
tecnica e, quindi, al merito dell’azione
amministrativa, salvo che la scelta risulti
manifestamente illogica o abnorme e tale
vizio sia rilevabile prima facie.
Come è noto, la variante di un piano
regolatore che conferisce nuova destinazione
ad aree che risultino già urbanisticamente
classificate necessita di apposita
motivazione solo quando le classificazioni
preesistenti siano assistite da specifiche
aspettative, in capo ai rispettivi titolari,
fondate su atti di contenuto concreto, nel
senso che deve trattarsi di scelte che
incidano su particolari situazioni di
affidamento, come quelle derivanti da un
piano di lottizzazione approvato, da un
giudicato di annullamento di un diniego di
concessione edilizia o dalla reiterazione di
un vincolo scaduto (v., ex multis,
Cons. Stato, Sez. IV, 04.05.2010 n. 2545);
dal che, nella circostanza, la sufficienza
di indicazioni generali circa le ragioni di
pubblico interesse addotte a giustificazione
del mutamento della qualificazione
urbanistica della zona interessata dalla
localizzazione dell’opera pubblica.
Va premesso
che, per costante giurisprudenza, le
osservazioni formulate dai proprietari
interessati costituiscono un mero apporto
collaborativo alla formazione degli
strumenti urbanistici e non danno luogo a
peculiari aspettative, con la conseguenza
che il loro rigetto non richiede una
dettagliata motivazione, essendo sufficiente
che siano state esaminate e ragionevolmente
ritenute in contrasto con gli interessi e le
considerazioni generali poste a base della
formazione del piano regolatore o della sua
variante (v., ex multis, TAR
Lombardia, Milano, Sez. III, 21.12.2010 n.
7636), e che il merito della scelta relativa
alla localizzazione di un’opera pubblica è
sottratto al sindacato del giudice
amministrativo, salvo profili di illogicità,
travisamento e contraddittorietà, onde nella
localizzazione dell’intervento
l’Amministrazione non è tenuta a fornire le
specifiche ragioni della scelta di un luogo
piuttosto di un altro, rimanendo inibita al
sindacato giurisdizionale sull’eccesso di
potere ogni possibilità di sovrapporre una
nuova graduazione di interessi in conflitto
alla valutazione che di essi sia stata già
compiuta dall’organo competente, in quanto
profilo attinente alla discrezionalità
tecnica e, quindi, al merito dell’azione
amministrativa, salvo che la scelta risulti
manifestamente illogica o abnorme e tale
vizio sia rilevabile prima facie (v.,
tra le altre, TRGA Trentino Alto Adige,
Trento, 07.04.2010 n. 104)
(TAR Emilia Romagna-Parma,
sentenza 08.11.2011 n. 381 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il rilascio del permesso di
costruire obbliga alla corresponsione di un
contributo commisurato in parte
all’incidenza degli oneri di urbanizzazione
e in parte al costo di costruzione, avendo
gli oneri di urbanizzazione lo scopo di
ridistribuire i costi sociali delle opere
rese necessarie dall’aggravamento del carico
urbanistico che il nuovo intervento
determina e atteggiandosi il costo di
costruzione come l’espressione
dell’incremento di valore della proprietà
immobiliare privata per effetto
dell’utilizzazione edificatoria del
territorio; ove, però, il titolare del
permesso di costruire si impegni a
realizzare in tutto o in parte le opere di
urbanizzazione, i relativi oneri vengono
proporzionalmente scomputati dal contributo
dovuto, tenendosi a tale fine conto delle
percentuali di incidenza fissate a livello
comunale sulla base delle apposite tabelle
regionali.
Al diverso aspetto del reperimento delle
aree necessarie alla realizzazione delle
opere di urbanizzazione –ove imposto al
privato– attiene poi la c.d.
“monetizzazione” sostitutiva
dell’obbligatoria cessione degli standard,
che è dunque cosa diversa dallo “scomputo”
spettante sugli oneri di urbanizzazione in
conseguenza della realizzazione diretta
delle relative opere.
A norma dell’art. 16 del d.P.R. n. 380 del
2001 (e del pregresso art. 3 della legge n.
10 del 1977), il rilascio del permesso di
costruire (in precedenza, concessione
edilizia) obbliga alla corresponsione di un
contributo commisurato in parte
all’incidenza degli oneri di urbanizzazione
e in parte al costo di costruzione, avendo
gli oneri di urbanizzazione –la cui
incidenza è stabilita in sede locale sulla
base di tabelle parametriche regionali– lo
scopo di ridistribuire i costi sociali delle
opere rese necessarie dall’aggravamento del
carico urbanistico che il nuovo intervento
determina e atteggiandosi il costo di
costruzione come l’espressione
dell’incremento di valore della proprietà
immobiliare privata per effetto
dell’utilizzazione edificatoria del
territorio; ove, però, il titolare del
permesso di costruire si impegni a
realizzare in tutto o in parte le opere di
urbanizzazione, i relativi oneri vengono
proporzionalmente scomputati dal contributo
dovuto, tenendosi a tale fine conto delle
percentuali di incidenza fissate a livello
comunale sulla base delle apposite tabelle
regionali.
Al diverso aspetto del reperimento delle
aree necessarie alla realizzazione delle
opere di urbanizzazione –ove imposto al
privato– attiene poi la c.d. “monetizzazione”
sostitutiva dell’obbligatoria cessione degli
standard, che è dunque cosa diversa dallo “scomputo”
spettante sugli oneri di urbanizzazione in
conseguenza della realizzazione diretta
delle relative opere (v., tra le altre,
Cons. Stato, Sez. IV, 16.02.2011 n. 1013)
(TAR Emilia Romagna-Parma,
sentenza 08.11.2011 n. 380 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI:
Appalti di servizi, per
prestazioni specifiche ok a bandi più
rigidi. Ragionevole l'esclusione per mancata
allegazione dei requisiti di affidabilità.
E' legittima, non contrastando con i canoni
di ragionevolezza, proporzionalità e massima
partecipazione alle procedure di evidenza
pubblica, la clausola del bando di gara per
l'affidamento dell'appalto del servizio di
trasporto scolastico che prevede, a pena di
esclusione, la produzione di un titolo
idoneo allo svolgimento di un'attività
intimamente connessa all'oggetto
dell'appalto.
La ricorrente ha impugnato, oltre al resto,
il provvedimento con cui la stazione
appaltante aveva disposto la sua esclusione
da una gara di appalto per l’affidamento del
servizio di trasporto scolastico.
Nello specifico, ha eccepito l’illegittimità
della clausola del bando di gara con cui era
stata prevista, a pena di esclusione, la
produzione di un titolo idoneo per lo
svolgimento dell’attività dell’oggetto
dell’appalto.
In particolare, di un contratto di locazione
o di un certificato di proprietà attestante
la disponibilità di un deposito a uso
rimessa, ubicato a una certa distanza dalla
sede di espletamento del servizio di
trasporto scolastico.
Depositate le memorie dalle parti in causa
in vista della Camera di consiglio, il
Collegio lombardo, con sentenza in forma
semplificata, ha, in punto di rito, rilevato
di non poter ammettere la memoria e i
documenti depositati dalla controinteressata,
aggiudicatrice dell’appalto, in quanto
tardive rispetto al termine dimidiato di 1
giorno libero (da calcolare a ritroso dalla
data della Camera di consiglio), ai sensi
dell’art. 55, comma 5, 119 e 120 del Codice
del processo amministrativo (allo stesso
modo, TAR Lombardia, Brescia, Sez. II,
13.05.2011 n. 693).
Ha precisato, infatti, che nel calcolo "a
ritroso" dei termini, l’assegnazione di
un intervallo minimo prima del quale deve
essere compiuta un’attività processuale
comporta l’impossibilità di prorogare al
primo giorno seguente non festivo il termine
che scada in giorno festivo (poiché
diversamente opinando si produrrebbe
l’effetto di un’abbreviazione
dell’intervallo): detta proroga "in
avanti" opera dunque con esclusivo
riguardo ai termini cd. a decorrenza
successiva (cfr. Cass. Civ., Sez. II,
04.01.2011, n. 182).
Nel merito, ha ritenuto il ricorso
infondato.
Invero, non ha mancato di rilevare che la
ricorrente era stata esclusa, tra l’altro,
per non avere allegato copia di un contratto
di locazione o di un certificato di
proprietà attestante la disponibilità di un
deposito a uso rimessa, ubicato a una
distanza non superiore a 15 Km. dal luogo in
cui svolgere l’attività di trasporto
scolastico.
Detto requisito doveva essere comprovato con
apposita produzione documentale, giusta
quanto imposto dall’art. 8, lett. m), del
bando di gara che, al riguardo, precisava
pure che il mancato possesso anche di uno
solo dei requisiti richiesti avrebbe
comportato l’esclusione dalla procedura
selettiva.
La ricorrente, tuttavia, aveva esibito in
sede di gara la dichiarazione di un’agenzia
di intermediazione immobiliare attestante la
disponibilità di un capannone di 420 mq.
ubicato in comune affatto differente da
quello in cui si sarebbe dovuto svolgere il
servizio oggetto d’appalto.
Orbene, il TAR lombardo, precisando il
principio in massima, ha proseguito che la
prescrizione contenuta nel bando di gara
rispondeva all’interesse pubblico della
stazione appaltante di affidare il servizio
–rivolto ai minori frequentanti la scuola
dell’obbligo e per sua natura essenziale– a
un operatore economico che disponesse delle
condizioni minime indispensabili a
garantirlo con continuità ed efficienza.
Pertanto, il G.A. bresciano ha rilevato come
la semplice dichiarazione di un’agenzia
immobiliare non dava conto di alcun impegno
giuridicamente coercibile a carico del terzo
proprietario dell’immobile, il quale avrebbe
ben potuto decidere di non concludere il
contratto di compravendita (o di locazione)
dopo l’eventuale aggiudicazione.
Per siffatta ragione, i concorrenti –per
evitare di assumere il vincolo definitivo
prima di conoscere l’esito della gara–
avrebbero al più potuto stipulare un
contratto preliminare recante una clausola
condizionale di validità e efficacia
all'aggiudicazione dell’appalto.
Alla stregua di tanto, considerato che il
bando non consentiva la tardiva
presentazione del titolo attestante la
disponibilità del locale, pena la violazione
della fondamentale regola della par condicio
dei concorrenti, e che l’art. 46 del Codice
dei contratti pubblici prevede
effettivamente il potere-dovere di soccorso
della stazione appaltante nei confronti dei
concorrenti mediante la richiesta di
chiarimenti in ordine al contenuto dei
documenti presentati, ha precisato il
giudicante che nella vicenda non poteva
essere esercitato da parte
dell’amministrazione un potere di soccorso
per permettere all’offerente di sanare
l’irregolarità originaria della propria
domanda.
Non a caso, il titolo di disponibilità del
deposito a uso rimessa degli autobus
costituiva un elemento essenziale
dell’offerta, diretto come già sottolineato
ad avallarne la credibilità e
l’affidabilità.
A siffatta conclusione, del resto, si è
pervenuti anche con riferimento alla novella
di cui all’art. 46, comma 1-bis, D.Lgs. n.
163/2006; infatti la nuova normativa
contempla la fattispecie dell’esclusione dei
concorrenti per difetto di "elementi
essenziali" dell’offerta, come l’impegno
di cui si discorre nella fattispecie.
Ragion per cui il Collegio, reputando che la
domanda della ricorrente fosse priva di tale
elemento essenziale, ha rilevato la
legittimità dell’operato della stazione
appaltante, contestualmente rigettando il
gravame (tratto da www.ipsoa.it - TAR
Lombardia-Brescia, Sez. II,
sentenza 04.11.2011 n.
1510 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Nei casi in cui la
discrezionalità tecnico/amministrativa abbia
un ruolo considerevole, un diniego di
nulla-osta paesaggistico deve essere
assistito da una motivazione concreta sulla
realtà dei fatti e sulle ragioni ambientali
ed estetiche che sconsigliano alla P.A. di
non ammettere un determinato intervento:
affermare che un determinato intervento
compromette gli equilibri ambientali della
zona interessata per le incongruenze fra
tipologia e materiali scelti e contesto
paesaggistico senza nulla aggiungere, non
spiega alcunché sul futuro danno alle
bellezze ambientali che ne deriverebbe ed è
un mero postulato apodittico.
Per quanto concerne la motivazione idonea a
sorreggere un provvedimento di diniego del
richiesto nulla-osta per la costruzione in
area soggetta a vincolo paesaggistico, deve
chiarirsi che l'Amministrazione non può
limitare la sua valutazione al mero
riferimento ad un pregiudizio ambientale,
utilizzando espressioni vaghe o formule
stereotipate, ma tale motivazione deve
contenere una sufficiente esternazione delle
specifiche ragioni per le quali si ritiene
che un'opera non sia idonea ad inserirsi
nell'ambiente, attraverso l'individuazione
degli elementi di contrasto; pertanto,
occorre un concreto ed analitico
accertamento del disvalore delle valenze
paesaggistiche
In fattispecie affini alla presente, la
giurisprudenza amministrativa ha avuto modo
di precisare che “nei casi in cui -come
quello in esame- la discrezionalità
tecnico/amministrativa abbia un ruolo
considerevole, un diniego di nulla osta deve
essere assistito da una motivazione concreta
sulla realtà dei fatti e sulle ragioni
ambientali ed estetiche che sconsigliano
alla P.A. di non ammettere un determinato
intervento: affermare che un determinato
intervento compromette gli equilibri
ambientali della zona interessata per le
incongruenze fra tipologia e materiali
scelti e contesto paesaggistico senza nulla
aggiungere, non spiega alcunché sul futuro
danno alle bellezze ambientali che ne
deriverebbe ed è un mero postulato
apodittico” (TAR Liguria, sez. I,
22.12.2008, n. 2187).
Ed ancora: “Per quanto concerne la
motivazione idonea a sorreggere un
provvedimento di diniego del richiesto nulla
osta per la costruzione in area soggetta a
vincolo paesaggistico, deve chiarirsi che
l'Amministrazione non può limitare la sua
valutazione al mero riferimento ad un
pregiudizio ambientale, utilizzando
espressioni vaghe o formule stereotipate, ma
tale motivazione deve contenere una
sufficiente esternazione delle specifiche
ragioni per le quali si ritiene che un'opera
non sia idonea ad inserirsi nell'ambiente,
attraverso l'individuazione degli elementi
di contrasto; pertanto, occorre un concreto
ed analitico accertamento del disvalore
delle valenze paesaggistiche” (TAR
Campania, Napoli, sez. VIII, 10.11.2010, n.
23751) (TAR Piemonte, Sez. I,
sentenza 04.11.2011 n. 1153 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: La
segnalazione all'Autorità va fatta non solo
nel caso di riscontrato difetto dei
requisiti di ordine speciale in sede di
controllo a campione, ma anche in caso di
riscontrato difetto dei requisiti di ordine
generale, trattandosi di esclusione idonea a
segnalare una circostanza di estrema
rilevanza per la corretta conduzione delle
procedure di affidamento dei lavori
pubblici.
Sostiene l’esponente che la segnalazione
all’Autorità sarebbe stata effettuata in
aperta violazione della normativa di
riferimento, applicabile ratione temporis,
poiché la sanzione della segnalazione
all’Autorità era prevista nel solo caso di
irregolarità accertate con riferimento ai
requisiti di ordine speciale di cui all’art.
48 del d.lgs. n. 163/2006 e non anche a
quelle relative ai requisiti di ordine
generale di cui all’art. 38, essendo queste
ultime sanzionabili, in conseguenza, solo
con l’esclusione dalla gara.
L’assunto in questione trova riscontro nel
precedente orientamento ermeneutico della
Sezione, consolidatosi a partire dalla
sentenza n. 3699 del 21.12.2009.
Con tale pronuncia, il Collegio aveva
rilevato che “l'ipotesi di carenza dei
requisiti di carattere generale, regolata
dall'art. 38 del citato d.lgs., che prevede
in tal caso solo l'esclusione del
concorrente dalla gara, è cosa assai diversa
da quella relativa al mancato possesso dei
requisiti di capacità economico-finanziaria
e tecnico-organizzativa, disciplinata
dall'art. 48 del d.lgs. n. 163 del 2006, che
riconnette a tale circostanza non solo
l'esclusione del concorrente dalla gara, ma
anche l'escussione della relativa cauzione
provvisoria e la segnalazione del fatto
all'Autorità per la vigilanza sui contratti
pubblici”.
Ne consegue, secondo la pronuncia
richiamata, che “l'art. 48 del d.lgs
163/2006, dedicato ai procedimento e
sanzioni, si applica limitatamente ai soli
requisiti economico-finanziari e
tecnico-organizzativi; pertanto, il
procedimento e le sanzioni ex art. 48 non si
applicano alla verifica delle dichiarazioni
sostitutive circa il possesso dei requisiti
di carattere generale; trattandosi, infatti,
di norme sanzionatorie e quindi di stretta
interpretazione, l'esplicito riferimento ai
requisiti economico-finanziari e
tecnico-organizzativi esclude che gli
effetti previsti all'art. 48 possano
estendersi anche al controllo disposto dalla
stazione appaltante delle dichiarazioni
sostitutive relative ai requisiti di ordine
generale di cui all'art. 38 d.lgs. 163/2006.
Pertanto, l'eventuale falsità delle stesse
dichiarazioni sostitutive sui requisiti di
ordine generale non trova disciplina, quanto
alle sanzioni, nell'art. 48”.
Tale orientamento, aderente
all’interpretazione offerta dalla prevalente
giurisprudenza di prime cure nonché da
talune pronunce del giudice d’appello (cfr.,
ad es., Cons. Stato, sez. VI, 28.08.2006, n.
5009), è stato più volte ribadito dalla
Sezione (v., fra le altre, le sentenze n.
3699 del 21.12.2009, n. 957 del 15.02.2010,
n. 3129 del 16.07.2010 e n. 3738 del
22.10.2010).
Esso necessita, però, di essere radicalmente
riconsiderato, alla luce del recente arresto
del giudice amministrativo d’appello (Cons.
Stato, sez. VI, 13.06.2011, n. 3567) che,
accogliendo il gravame proposto
dall’Autorità avverso una delle citate
sentenze di questo Tribunale (la n. 957 del
2010), ha affermato l’opposto principio
secondo cui “la segnalazione all'Autorità
va fatta non solo nel caso di riscontrato
difetto dei requisiti di ordine speciale in
sede di controllo a campione, ma anche in
caso di riscontrato difetto dei requisiti di
ordine generale, trattandosi di esclusione
idonea a segnalare una circostanza di
estrema rilevanza per la corretta conduzione
delle procedure di affidamento dei lavori
pubblici”.
Trattasi, ad avviso del Collegio, di
argomentazione dirimente, sia in ragione
della sua intrinseca logicità e rilevanza
sia perché rappresenta un elemento di
saldatura rispetto alla posizione
prevalentemente assunta dal giudice
d’appello in merito alla questione
controversa (cfr., ad es., Cons. Stato, sez.
IV, 07.09.2004, n. 5792; sez. V, 12.02.2007
n. 554; sez. VI, 04.08.2009, n. 4905 e, più
recentemente, sez. VI, 03.02.2011, n. 782)
(TAR Piemonte, Sez. I,
sentenza 04.11.2011 n. 1152 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Il diritto di accesso ai
documenti amministrativi a favore di
“chiunque vi abbia interesse per la tutela
di situazioni giuridicamente rilevanti” è
ammissibile solo con riferimento a singole
situazioni o a singoli rapporti, perché in
caso contrario si consentirebbe una sorta di
ispezione popolare volta alla verifica della
legittimità e dell’efficienza dell’azione
amministrativa non consentita.
Come è noto l’art 22 della L. 07.08.2000, n.
241, ha riconosciuto il diritto di accesso
ai documenti amministrativi a favore di “chiunque
vi abbia interesse per la tutela di
situazioni giuridicamente rilevanti”.
Ora, interpretando tale normativa, il
giudice amministrativo ha costantemente
chiarito che tale diritto di accesso è
ammissibile solo con riferimento a singole
situazioni o a singoli rapporti, perché in
caso contrario si consentirebbe una sorta di
ispezione popolare volta alla verifica della
legittimità e dell’efficienza dell’azione
amministrativa non consentita (cfr., da
ultimo, Cons. St., sez. V, 08.06.2011, n.
3457) (TAR Abruzzo-Pescara,
sentenza 04.11.2011 n. 603 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
SICUREZZA LAVORO: Assenza
di sicurezza sui luoghi di lavoro? Nessuno
sgravio fiscale!
Nessuno sgravio fiscale se nei luoghi di
lavoro non sono rispettate le norme di
igiene e sicurezza.
Lo stabilisce la Corte di Cassazione con l'ordinanza
03.11.2011 n. 22860, precisando
che, in presenza di violazioni in materia di
sicurezza sul lavoro da parte delle Imprese,
non è dovuta alcuna agevolazione fiscale per
il Datore di Lavoro che le richiede.
Il rispetto delle Norme in materia di tutela
del lavoratore rappresenta, quindi, un
elemento necessario e fondamentale per le
Imprese che richiedano sgravi fiscali e/o
contributivi quando assumono nuovi
dipendenti.
In particolare, la Cassazione ha bocciato il
ricorso di un datore di lavoro che si era
visto negare il diritto ad un credito di
imposta, a causa delle sanzioni subite per
violazioni delle norme di prevenzione e
protezione dai rischi dei propri lavoratori
(link a www.acca.it). |
APPALTI:
Le clausole di esclusione poste
dalla legge o dal bando sono di stretta
interpretazione, dovendosi dare esclusiva
prevalenza alle espressioni letterali in
esse contenute e restando preclusa ogni
forma di estensione analogica diretta ad
evidenziare significati impliciti, che
rischierebbe di vulnerare l'affidamento dei
partecipanti, la par condicio dei
concorrenti e l'esigenza della più ampia
partecipazione.
Ne consegue che le norme di legge e di bando
che disciplinano i requisiti soggettivi e
oggettivi di partecipazione alle gare
pubbliche devono essere interpretate nel
rispetto del principio di tipicità e
tassatività delle ipotesi di esclusione, che
di per sé costituiscono fattispecie di
restrizione della libertà di iniziativa
economica tutelata dall'art. 41 della
Costituzione, oltre che dal Trattato
comunitario.
Le clausole di esclusione poste dalla legge
o dal bando sono di stretta interpretazione,
dovendosi dare esclusiva prevalenza alle
espressioni letterali in esse contenute e
restando preclusa ogni forma di estensione
analogica diretta ad evidenziare significati
impliciti, che rischierebbe di vulnerare
l'affidamento dei partecipanti, la par
condicio dei concorrenti e l'esigenza della
più ampia partecipazione.
Ne consegue che le norme di legge e di bando
che disciplinano i requisiti soggettivi e
oggettivi di partecipazione alle gare
pubbliche devono essere interpretate nel
rispetto del principio di tipicità e
tassatività delle ipotesi di esclusione, che
di per sé costituiscono fattispecie di
restrizione della libertà di iniziativa
economica tutelata dall'art. 41 della
Costituzione, oltre che dal Trattato
comunitario (tra le tante, TAR Trentino Alto
Adige Trento, sez. I, 23.02.2011, n. 50; TAR
Campania Napoli, sez. I, 18.03.2011, n.
1498) (TAR Abruzzo-Pescara,
sentenza 03.11.2011 n. 594 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Se è pur vero che i Comuni non
possono introdurre un divieto generalizzato
di istallazione delle stazioni radio base
per telefonia cellulare in tutte o in intere
zone territoriali omogenee, va ritenuta
legittima la previsione, contenuta in
apposito regolamento comunale, della
prescrizione di distanze minime da strutture
sanitarie e scolastiche, da ritenersi quali
siti particolarmente sensibili, perché ciò
risponde a un principio di precauzione con
riferimento a un criterio di localizzazione
che tiene conto della realtà secondo dati di
comune esperienza, che consigliano e
giustificano una particolare disciplina
relativamente a quei siti, senza, però, che
questo impedisca una ragionevole
dislocazione degli impianti nel territorio
comunale in modo da assicurare la fruizione
del servizio pubblico delle
telecomunicazioni.
Se è pur vero che -come pacificamente
affermato dalla giurisprudenza
amministrativa ed anche, più volte, da
questa stessa Sezione- i Comuni non possono
introdurre un divieto generalizzato di
istallazione delle stazioni radio base per
telefonia cellulare in tutte o in intere
zone territoriali omogenee, va ritenuta
legittima la previsione, contenuta in
apposito regolamento comunale, della
prescrizione di distanze minime da strutture
sanitarie e scolastiche, da ritenersi quali
siti particolarmente sensibili, perché ciò
risponde a un principio di precauzione con
riferimento a un criterio di localizzazione
che tiene conto della realtà secondo dati di
comune esperienza, che consigliano e
giustificano una particolare disciplina
relativamente a quei siti, senza, però, che
questo impedisca una ragionevole
dislocazione degli impianti nel territorio
comunale in modo da assicurare la fruizione
del servizio pubblico delle
telecomunicazioni (Cons. St., sez. VI,
12.11.2009, n. 7023, 08.09.2009, n. 5258, e
19.06.2009, n. 4056) (TAR Abruzzo-Pescara,
sentenza 03.11.2011 n. 588 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: La
regolarità contributiva costituisce
requisito sostanziale di partecipazione alla
gara, avendo il legislatore ritenuto tale
regolarità indice dell’affidabilità,
diligenza e serietà dell’impresa e della sua
correttezza nei rapporti con le maestranze.
La regolarità contributiva e fiscale deve
essere presente al momento dell’offerta e
deve essere assicurata pure in momenti
successivi alla presentazione della domanda
e dell’offerta e quindi certamente fino al
momento dell’aggiudicazione, essendo palese
l’esigenza per la stazione appaltante di
verificare l’affidabilità del soggetto
partecipante alla gara fino alla conclusione
della stessa.
Punto di riferimento ineludibile, in
quest’ottica, sono dunque le risultanze del
documento unico di regolarità contributiva
che, come da costante giurisprudenza,
vincola la p.a. in ragione della sua natura
di dichiarazione di scienza da collocarsi
fra gli atti di certificazione o di
attestazione redatti da un pubblico
ufficiale e aventi carattere meramente
dichiarativo di dati in possesso
dell’amministrazione e assistiti da pubblica
fede ex art. 2700 c.c., facente pertanto
prova fino a querela di falso essendo la
formale regolarità contributiva rimessa al
potere di accertamento e di valutazione
dell’istituto previdenziale.
L'art. 38, comma 1, lett. i), del Codice dei
contratti pubblici (d.lgs. n. 163 del 2006)
va interpretato nel senso che il principio
dell'autonomia del procedimento di rilascio
del DURC (documento unico regolarità
contributiva) impone che la stazione
appaltante debba basarsi sulle
certificazioni risultanti da quest'ultimo
documento, prendendole come un dato di fatto
inoppugnabile dovendo residuare tuttavia in
capo alla stazione appaltante, oltre alla
valutazione sulla sussistenza di
procedimenti diretti a contestare gli
accertamenti degli enti previdenziali
riportati nel DURC, o condoni, anche quella
afferente il se la violazione riportata nel
DURC, risulti o no "grave”.
La dichiarazione di irregolarità espressa
dagli enti previdenziali interessati implica
anche l’avvenuta verifica della gravità dei
relativi scostamenti, in quanto il citato
decreto ministeriale ha attribuito al
D.U.R.C. l’idoneità ad attestare anche
l’entità dell’inadempimento degli obblighi
contributivi, dando conto delle sole
irregolarità tali da superare la delineata
soglia di gravità.
Il collegio deve anzitutto ricordare che la
regolarità contributiva costituisce
requisito sostanziale di partecipazione alla
gara, avendo il legislatore ritenuto tale
regolarità indice dell’affidabilità,
diligenza e serietà dell’impresa e della sua
correttezza nei rapporti con le maestranze
(cfr. Cons. St., IV, 15/09/2010 n. 6907). La
regolarità contributiva e fiscale deve
essere presente al momento dell’offerta e
deve essere assicurata pure in momenti
successivi alla presentazione della domanda
e dell’offerta e quindi certamente fino al
momento dell’aggiudicazione, essendo palese
l’esigenza per la stazione appaltante di
verificare l’affidabilità del soggetto
partecipante alla gara fino alla conclusione
della stessa (cfr. Cons. St., IV, 12/03/2009
n. 1548; Cons. St., IV, 31/05/2007 n. 2876).
Punto di riferimento ineludibile, in
quest’ottica, sono dunque le risultanze del
documento unico di regolarità contributiva
che, come da costante giurisprudenza,
vincola la p.a. in ragione della sua natura
di dichiarazione di scienza da collocarsi
fra gli atti di certificazione o di
attestazione redatti da un pubblico
ufficiale e aventi carattere meramente
dichiarativo di dati in possesso
dell’amministrazione e assistiti da pubblica
fede ex art. 2700 c.c., facente pertanto
prova fino a querela di falso essendo la
formale regolarità contributiva rimessa al
potere di accertamento e di valutazione
dell’istituto previdenziale (cfr. Cons. St.,
V, 03/02/2011 n. 789).
E’ cioè giurisprudenza consolidata -in
materia di esclusione dalla partecipazione
alle procedure di gara e dalla stipula dei
relativi contratti dei soggetti che "hanno
commesso violazioni gravi, definitivamente
accertate, alle norme in materia di
contributi previdenziali e assistenziali,
secondo la legislazione italiana e dello
Stato in cui sono stabiliti"- che l'art.
38, comma 1, lett. i), del Codice dei
contratti pubblici (d.lgs. n. 163 del 2006)
vada interpretato nel senso che il principio
dell'autonomia del procedimento di rilascio
del DURC (documento unico regolarità
contributiva) impone che la stazione
appaltante debba basarsi sulle
certificazioni risultanti da quest'ultimo
documento, prendendole come un dato di fatto
inoppugnabile (cfr. TAR Campania, Salerno,
sez. I, 04.04.2011, n. 617) dovendo
residuare tuttavia in capo alla stazione
appaltante, oltre alla valutazione sulla
sussistenza di procedimenti diretti a
contestare gli accertamenti degli enti
previdenziali riportati nel DURC, o condoni,
anche quella afferente il se la violazione
riportata nel DURC, risulti o no "grave”.
Sennonché, sotto quest’ultimo profilo,
questo Tribunale condivide la giurisprudenza
(cfr. Cons. St., V, 16/09/2011 n. 5194; TAR
Basilicata 24/12/2008 n. 1026) che ritiene
che la stazione appaltante debba effettuare
detta valutazione sulla base del DM
24/10/2007 n. 28578, di disciplina del
documento unico di regolarità contributiva,
il cui articolo 8 (cause non ostative al
rilascio del DURC) co. 3 fornisce un
criterio uniforme e a carattere vincolato
per l’individuazione della linea di
demarcazione fra scostamento grave e non
grave nel rapporto fra somme dovute e somme
versate. La disposizione infatti recita:
“Ai soli fini della partecipazione a gare
di appalto non osta al rilascio del DURC uno
scostamento non grave tra le somme dovute e
quelle versate, con riferimento a ciascun
Istituto previdenziale ed a ciascuna Cassa
edile. Non si considera grave lo scostamento
inferiore o pari al 5% tra le somme dovute e
quelle versate con riferimento a ciascun
periodo di paga o di contribuzione o,
comunque, uno scostamento inferiore ad Euro
100,00, fermo restando l'obbligo di
versamento del predetto importo entro i
trenta giorni successivi al rilascio del
DURC.”.
Il d.m. 24.10.2007, nel disciplinare le
modalità di rilascio del D.U.R.C. e
definendo in tal modo la soglia di gravità
dell’inadempimento, limita sul punto la
discrezionalità delle stazioni appaltanti
(vedi Circolare del Ministero del Lavoro e
della Previdenza Sociale del 30/01/2008 n.
5), che al riguardo possono quindi solo
prendere atto della certificazione di cui al
D.U.R.C.
Infatti, come di recente rilevato (cfr.
Cons. St., V, n. 5194/2011 cit.), la
dichiarazione di irregolarità espressa dagli
enti previdenziali interessati implica anche
l’avvenuta verifica della gravità dei
relativi scostamenti, in quanto il citato
decreto ministeriale ha attribuito al
D.U.R.C. l’idoneità ad attestare anche
l’entità dell’inadempimento degli obblighi
contributivi, dando conto delle sole
irregolarità tali da superare la delineata
soglia di gravità
(TAR Basilicata,
sentenza 03.11.2011 n. 542 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATA:
In sede di adozione di un atto in
autotutela la comparazione tra interesse
pubblico e quello privato è necessaria nel
caso in cui l'esercizio dell'autotutela
discenda da errori di valutazione dovuti
all'amministrazione pubblica, non già quando
lo stesso è dovuto a comportamenti del
soggetto privato che hanno indotto in errore
l'autorità amministrativa.
Dunque, la falsa rappresentazione di una
scala esterna nello stato di fatto della
D.I.A. presentata rende l’affidamento del
privato circa il mantenimento del manufatto
non meritevole di tutela, e sicuramente
recessivo di fronte all’interesse pubblico
al ripristino della situazione edilizia
regolarmente assentita.
E ciò, particolarmente, trattandosi di un
edificio sito nel centro storico (zona A),
dove più intenso è l’interesse pubblico al
mantenimento delle caratteristiche
architettoniche originarie degli edifici
(trattasi di profilo specificamente
evidenziato nel corpo della motivazione
dell’atto).
Quanto alla denunciata carenza di un
interesse pubblico concreto ed attuale alla
rimozione del precedente atto, si osserva
che, secondo una costante giurisprudenza, in
sede di adozione di un atto in autotutela la
comparazione tra interesse pubblico e quello
privato è necessaria nel caso in cui
l'esercizio dell'autotutela discenda da
errori di valutazione dovuti
all'amministrazione pubblica, non già quando
lo stesso è dovuto a comportamenti del
soggetto privato che hanno indotto in errore
l'autorità amministrativa (Cons. di St., IV,
12.03.2007, n. 1189).
Dunque, la falsa rappresentazione della
scala in questione nello stato di fatto
della D.I.A. 09.10.2003 rende l’affidamento
del privato circa il mantenimento del
manufatto non meritevole di tutela, e
sicuramente recessivo di fronte
all’interesse pubblico al ripristino della
situazione edilizia regolarmente assentita.
E ciò, particolarmente, trattandosi di un
edificio sito nel centro storico (zona A),
dove più intenso è l’interesse pubblico al
mantenimento delle caratteristiche
architettoniche originarie degli edifici
(trattasi di profilo specificamente
evidenziato nel corpo della motivazione
dell’atto)
(TAR Liguria, Sez. I,
sentenza
02.11.2011 n. 1509 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La
realizzazione di una scala esterna ex novo
non può in nessun caso rientrare tra gli
interventi di manutenzione, restauro e
risanamento conservativo, interventi che
postulano indefettibilmente il rispetto
degli elementi tipologici, formali e
strutturali dell’edificio.
La realizzazione in facciata di una nuova
scala di accesso al lastrico solare,
incidendo sulle caratteristiche formali e
strutturali dell’edificio integra più
propriamente un intervento di
ristrutturazione.
La
realizzazione di una scala esterna ex
novo non può in nessun caso rientrare
tra gli interventi di manutenzione, restauro
e risanamento conservativo, interventi che
postulano indefettibilmente il rispetto
degli elementi tipologici, formali e
strutturali dell’edificio.
La realizzazione in facciata di una nuova
scala di accesso al lastrico solare,
incidendo sulle caratteristiche formali e
strutturali dell’edificio (da intendersi, ex
art. 83 L.R. n. 16/2008, come i caratteri
architettonici che determinano l’immagine
esterna dell’edificio) integra più
propriamente un intervento di
ristrutturazione (che ammette infatti, ex
art. 3, comma 1, lett. d, D.P.R. n.
380/2001, l’inserimento di nuovi elementi
costitutivi dell’edificio), espressamente
vietato in zona A dall’art. 19 delle N.T.A.
del P.R.G., ove interessante –come nel caso
di specie– opere esterne (TAR Liguria, Sez. I,
sentenza
02.11.2011 n. 1509 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il diniego di concessione in
sanatoria basato sull'inadempimento di una
convenzione di lottizzazione e/o di un atto
unilaterale aggiuntivo è illegittimo,
dovendo l'amministrazione (avendo omesso di
esercitare i diritti nascenti da tali
previsioni), verificare che gli abusi
realizzati rientrino nelle previsioni del
condono edilizio di cui alla legge n. 724
del 1994.
Secondo una costante giurisprudenza, il
diniego di concessione in sanatoria basato
sull'inadempimento di una convenzione di
lottizzazione e/o di un atto unilaterale
aggiuntivo è illegittimo, dovendo
l'amministrazione (avendo omesso di
esercitare i diritti nascenti da tali
previsioni), verificare che gli abusi
realizzati rientrino nelle previsioni del
condono edilizio di cui alla legge n. 724
del 1994 (Cons. di St., IV, 16.01.2008, n.
74; TAR Liguria, I, 02.07.2009, n. 1639) (TAR Liguria, Sez. I,
sentenza
02.11.2011 n. 1508 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La presentazione dell’istanza di
sanatoria influisce soltanto sulla
efficacia, non già sulla validità
dell’ordinanza di demolizione di opere
abusive, sicché, in assenza dell’avvenuta
sanatoria, essa non determina
l’improcedibilità del ricorso.
Tale principio trova un’esplicita conferma
nella normativa sul condono edilizio, posto
che, una volta presentata nei termini la
domanda di condono, quel che resta sospesa è
soltanto la fase del procedimento
amministrativo concernente l’esecuzione o
l’applicazione delle sanzioni, in quanto
destinate a venire definitivamente meno in
caso di concessione della sanatoria (art.
38, commi 1 e 4, L. n. 47/1985).
La presentazione dell’istanza di sanatoria
influisce soltanto sulla efficacia, non già
sulla validità dell’ordinanza di demolizione
di opere abusive (TAR Liguria, I,
28.01.2011, n. 169; TAR Campania-Napoli, II,
02.03.2010, n. 1259), sicché, in assenza
dell’avvenuta sanatoria, essa non determina
l’improcedibilità del ricorso.
Tale principio trova un’esplicita conferma
nella normativa sul condono edilizio, posto
che, una volta presentata nei termini la
domanda di condono, quel che resta sospesa è
soltanto la fase del procedimento
amministrativo concernente l’esecuzione o
l’applicazione delle sanzioni, in quanto
destinate a venire definitivamente meno in
caso di concessione della sanatoria (art.
38, commi 1 e 4, L. n. 47/1985) (TAR Liguria, Sez. I,
sentenza
02.11.2011 n. 1507 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
L'art. 7 della L. 07.08.1990 n.
241, nella parte in cui impone
all'Amministrazione di dare previa
comunicazione all'interessato dell'avvio del
procedimento che lo riguarda, non va
interpretato in modo formalistico, ma con
riferimento alla sua ratio concreta, che è
quella di assicurare la partecipazione del
privato interessato al procedimento
amministrativo, con la conseguenza che
l'eventuale omissione dell'adempimento non
determina l’illegittimità dell'azione
amministrativa, laddove sia provato che il
destinatario abbia avuto comunque e aliunde
conoscenza del procedimento in corso,
potendo quindi parteciparvi.
Secondo una costante giurisprudenza -anche
della Sezione- l'art. 7 della L. 07.08.1990
n. 241, nella parte in cui impone
all'Amministrazione di dare previa
comunicazione all'interessato dell'avvio del
procedimento che lo riguarda, non va
interpretato in modo formalistico, ma con
riferimento alla sua ratio concreta,
che è quella di assicurare la partecipazione
del privato interessato al procedimento
amministrativo, con la conseguenza che
l'eventuale omissione dell'adempimento non
determina l’illegittimità dell'azione
amministrativa, laddove sia provato che il
destinatario abbia avuto comunque e
aliunde conoscenza del procedimento in
corso, potendo quindi parteciparvi (Cons. di
St., VI, 20.05.2009, n. 3086; id., IV,
03.03.2009, n. 1207; TAR Lombardia-Milano,
III, 01.03.2011, n. 595; TAR Liguria, I,
05.07.2010, n. 5564) (TAR Liguria, Sez. I,
sentenza
02.11.2011 n. 1506 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Il comma 1 dell’art. 38 D.Lgs.
163/2006 ricollega l’esclusione dalla gara
al dato sostanziale del mancato possesso dei
requisiti indicati, mentre il comma 2 non
prevede analoga sanzione per l’ipotesi della
mancata o non perspicua dichiarazione: da
ciò discende che solo l’insussistenza, in
concreto, delle cause di esclusione previste
dall’art. 38 comporta, "ope legis",
l’effetto espulsivo.
Quando, al contrario, il partecipante sia in
possesso di tutti i requisiti richiesti e la
"lex specialis" non preveda espressamente la
pena dell’esclusione in relazione alla
mancata osservanza delle puntuali
prescrizioni sulle modalità e sull’oggetto
delle dichiarazioni da fornire, facendo
generico richiamo all’assenza delle cause
impeditive di cui alla normativa in esame,
l’omissione o l’incompletezza in ordine a
tali elementi non produce alcun pregiudizio
agli interessi presidiati dalla norma,
ricorrendo un’ipotesi di mero formalismo
come tale insuscettibile, in carenza di una
espressa previsione legislativa o -si
ripete- della legge di gara, a fondare
l’esclusione, le cui ipotesi sono tassative.
Va ricordata la prevalente opinione
giurisprudenziale (cfr. ad es. Consiglio di
Stato Sez. VI 04.08.2009, n. 4906,
22.02.2010, n. 1017) da tempo in via
consolidamento, che si muove nella medesima
ottica sopra evidenziata, a tenore della
quale il comma 1 dell’art. 38 cit. ricollega
l’esclusione dalla gara al dato sostanziale
del mancato possesso dei requisiti indicati,
mentre il comma 2 non prevede analoga
sanzione per l’ipotesi della mancata o non
perspicua dichiarazione: da ciò discende che
solo l’insussistenza, in concreto, delle
cause di esclusione previste dall’art. 38
comporta, "ope legis", l’effetto
espulsivo.
Quando, al contrario, il partecipante sia in
possesso di tutti i requisiti richiesti e la
"lex specialis" non preveda
espressamente la pena dell’esclusione in
relazione alla mancata osservanza delle
puntuali prescrizioni sulle modalità e
sull’oggetto delle dichiarazioni da fornire,
facendo generico richiamo all’assenza delle
cause impeditive di cui alla normativa in
esame, l’omissione o l’incompletezza in
ordine a tali elementi non produce alcun
pregiudizio agli interessi presidiati dalla
norma, ricorrendo un’ipotesi di mero
formalismo come tale insuscettibile, in
carenza di una espressa previsione
legislativa o -si ripete- della legge di
gara, a fondare l’esclusione, le cui ipotesi
sono tassative (cfr. Consiglio Stato, sez.
V, 09.11.2010, n. 7967).
In senso conforme alla prospettata soluzione
depone anche l'art. 45 della direttiva
2004/18/CE che ricollega l'esclusione alle
sole ipotesi di grave colpevolezza di false
dichiarazioni nel fornire informazioni, non
rinvenibile nel caso in cui il concorrente
non consegua alcun vantaggio in termini
competitivi , essendo in possesso di tutti i
requisiti previsti (cfr. Cons. St. n.
1017/2010 cit.) (TAR Liguria, Sez. II,
sentenza 02.11.2011 n. 1497 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA: In
occasione dell’indirizzo di politica
urbanistica espresso negli strumenti
generali di pianificazione, le scelte
ampiamente discrezionali
dell’Amministrazione in ordine ai tempi ed
alle modalità di intervento sul proprio
territorio circa la destinazione di singole
aree, in funzione delle concrete possibilità
operative che essa soltanto è in grado di
accertare, nonché la stessa natura di atto a
contenuto generale, valgono ad escludere
l’obbligo di un’apposita motivazione, oltre
quella che si può evincere dai criteri
generali seguiti nell’impostazione del piano
stesso, essendo sindacabili in sede
giurisdizionale solo laddove emergano errori
di fatto, abnormi illogicità o profili di
eccesso di potere per palese travisamento
dei fatti o manifesta irrazionalità. La
motivazione in ordine alle scelte generali
compiute dall’Amministrazione in sede di
P.R.G. non deve essere necessariamente
contenuta nel solo atto che conclude il
procedimento, ma può essere ricavata anche
dagli elaborati tecnici che lo accompagnano,
che il provvedimento conclusivo richiami e a
condizione che in essi siano chiaramente
illustrate le esigenze che hanno indotto
l’Amministrazione ad adottare la nuova
disciplina.
---------------
Non esiste una preclusione assoluta a nuovi
interventi di pianificazione urbanistica,
che vanifichino in tutto o in parte le
aspettative edilizie dei privati, atteso che
lo ius variandi, relativo alle prescrizioni
di Piano Regolatore Generale, include
-eventualmente- anche uno ius poenitendi,
relativo ai successivi vincoli assunti dal
Comune mediante convenzioni di
lottizzazione, salva la necessità di
motivazione, intesa pure come giusta
considerazione di quelle aspettative. Nelle
delibere di adozione di un Piano Regolatore
o di una sua variante, la motivazione può
desumersi per relationem dal contenuto
dell'atto deliberato, cioè dall'insieme di
esso e particolarmente dalla relazione
illustrativa, che ne forma parte integrante
e le cui considerazioni s'intendano
accettate e fatte proprie dal Consiglio
comunale.
Gli apprezzamenti di merito del Comune in
ordine alle scelte urbanistiche non sono
sindacabili in sede di giudizio di
legittimità, a meno che non risultino
inficiati da errori di fatto o da vizi di
grave illogicità.
---------------
Una motivazione specifica si impone solo in
presenza di situazioni idonee a creare
aspettative e affidamenti nei privati, quali
l’esistenza un piano di lottizzazione
debitamente approvato e convenzionato ovvero
un giudicato di annullamento del diniego di
concessione edilizia. Le evenienze che in
particolare giustificano una più incisiva e
singolare motivazione nelle scelte
pianificatorie degli strumenti urbanistici
generali sono state ravvisate:
1) nel superamento degli standards minimi di
cui al DM 02.04.1968, con l’avvertenza che
la motivazione ulteriore va riferita
esclusivamente alle previsioni urbanistiche
complessive di sovradimensionamento,
indipendentemente dal riferimento alla
destinazione di zona di determinate aree;
2) nella lesione dell’affidamento
qualificato del privato derivante
dall’avvenuta stipula di convenzioni di
lottizzazione, accordi di diritto privato
intercorsi tra il Comune e i proprietari
delle aree, aspettative legittime nascenti
da sentenze passate in giudicato di
annullamento di dinieghi di concessione
edilizia o di silenzio - rifiuto su una
domanda di concessione;
3) nella modificazione in zona agricola
della destinazione di un’area limitata,
interclusa da fondi edificati in modo non
abusivo.
---------------
Le Amministrazioni comunali possono e devono
costruire gli strumenti urbanistici intorno
a linee guida che esaltino il momento del
recupero e della razionalizzazione del
patrimonio edilizio esistente, atteso che lo
strumento urbanistico generale non
presuppone inderogabilmente tendenze
espansive edilizie e demografiche, ma, al
contrario, una moderna e realistica
concezione dell’urbanistica appare
incentrata sulla necessità di tener conto
della fortissima antropizzazione del
territorio nazionale concentrata in
specifiche aree, del calo demografico
generale, dell’ineludibile bisogno di tutela
delle ormai rare zone non edificate.
---------------
Le scelte effettuate dalla Amministrazione
in sede di pianificazione urbanistica non
necessitano invero di dettagliata
motivazione oltre quella che si evince dai
criteri generali, di ordine
tecnico-discrezionale, seguiti nella
predisposizione del piano stesso.
In proposito, è sufficiente l'espresso
riferimento alla relazione di
accompagnamento al progetto di modifica del
piano, salvo i casi particolari innanzi
evidenziati- individuati dalla
giurisprudenza per il caso di affidamenti
particolarmente qualificati e qui non
ricorrenti - in cui si configuri uno
specifico obbligo motivazionale a carico
dell'Amministrazione.
I provvedimenti comunali di pianificazione
urbanistica e le varianti hanno infatti
natura discrezionale e possono, in sede di
variante, incidere su precedenti, difformi,
destinazioni di zona, comportare modifiche
radicali al piano vigente e rettificare
direttive urbanistiche pregresse al fine di
realizzare un processo di adeguamento e
modernizzazione delle strutture al servizio
del territorio.
In sede di pianificazione generale o di
variante generale, e salvi i casi
individuati dalla giurisprudenza in cui sono
riscontrabili posizioni di aspettativa
qualificata da particolari situazioni
verificatesi in sede amministrativa o
giurisdizionale, il Comune ha in definitiva
la facoltà ampiamente discrezionale di
modificare le precedenti previsioni e non è
tenuto a dettare una motivazione specifica
per le singole zone o aree a destinazione
innovata.
---------------
Le osservazioni proposte dai cittadini nei
confronti degli atti di pianificazione
urbanistica non costituiscono veri e propri
rimedi giuridici, ma semplici apporti
collaborativi e, pertanto non danno luogo a
peculiari aspettative; conseguentemente il
loro rigetto o il loro accoglimento non
richiede una motivazione analitica, essendo
sufficiente che esse siano state esaminate e
confrontate con gli interessi generali dello
strumento pianificatorio.
---------------
La classificazione a zona agricola possiede
anche una valenza conservativa dei valori
naturalistici, venendo a costituire il
polmone dell’insediamento urbano ed
assumendo, per tale via, la funzione
decongestionante e di contenimento
dell’espansione dell’aggregato urbano.
---------------
L’art. 2, 1° comma, della L. 19.11.1968 n.
1187 e l’analogo art. 9 del T.U. sulle
espropriazioni n. 327 del 2001 hanno fissato
entro il limite temporale del quinquennio
l'efficacia delle prescrizioni dei piani
regolatori generali «nella parte in cui
incidono su beni determinati ed assoggettano
i beni stessi a vincoli preordinati
all'espropriazione od a vincoli che
comportino l'inedificabilità». Tale disposto
per la giurisprudenza è applicabile “non
solo con riferimento ai vincoli preordinati
all’esproprio o a quei vincoli che svuotano
il contenuto del diritto di proprietà,
rendendolo inutilizzabile rispetto alla sua
destinazione naturale, ma anche ai vincoli
c.d. "strumentali", a quei vincoli cioè che
subordinano l’edificabilità di un’area
all’inserimento della stessa in un programma
pluriennale, oppure alla formazione di uno
strumento esecutivo”.
In considerazione della limitata efficacia
temporale del vincolo preordinato
all’esproprio, l’obbligo di corresponsione
dell’indennizzo sorge solo nell’ipotesi di
reiterazione del vincolo medesimo.
Prima della reiterazione oltre del suddetto
limite temporale del vincolo preordinato
all’esproprio o dell’avvio della procedura
espropriativa alcun pretesa indennitaria può
vantare parte ricorrente. Infatti, come
chiarito dalla giurisprudenza, “il fatto
costitutivo del diritto all'indennizzo non è
individuabile nell'imposizione originaria di
un vincolo di inedificabilità, e neppure
nella protrazione di fatto del medesimo dopo
la sua decadenza -giacché in tal caso ben
può il proprietario sollecitare l'esercizio
del potere pianificatorio attraverso la
procedura di messa in mora, e far accertare,
di risulta, l'illegittimità del silenzio-,
bensì nell'atto che esplicitamente lo
reitera".
In relazione alla materia della
pianificazione urbanistica il Collegio
condivide quella giurisprudenza
assolutamente prevalente (ex multis,
Consiglio di stato, sez. IV, 15.09.2010, n.
6911; Consiglio Stato, sez. IV, 18.06.2009,
n. 4024; Consiglio Stato, IV, 26.04.2009, n.
2293; TAR Campania, Napoli, IV, 31.12.2007,
n. 16679; I, 16.11.2007, n. 13722;
09.07.2007, n. 6605; Cons. Stato, IV,
19.02.2007, n. 861; 13.04.2005, n. 1743;
22.02.2000, n. 2934; 19.01.2000, n. 245;
24.12.1999, n. 1943; Ad. Plen., 22.12.1999,
n. 24; IV, 02.11.1995, n. 887; 25.02.1988,
n. 99) orientata nel senso che, in occasione
dell’indirizzo di politica urbanistica
espresso negli strumenti generali di
pianificazione, le scelte ampiamente
discrezionali dell’Amministrazione in ordine
ai tempi ed alle modalità di intervento sul
proprio territorio circa la destinazione di
singole aree, in funzione delle concrete
possibilità operative che essa soltanto è in
grado di accertare, nonché la stessa natura
di atto a contenuto generale, valgono ad
escludere l’obbligo di un’apposita
motivazione, oltre quella che si può
evincere dai criteri generali seguiti
nell’impostazione del piano stesso, essendo
sindacabili in sede giurisdizionale solo
laddove emergano errori di fatto, abnormi
illogicità o profili di eccesso di potere
per palese travisamento dei fatti o
manifesta irrazionalità (Consiglio Stato,
sez. IV, 18.06.2009, n. 4024; TAR Calabria,
Reggio Calabria, 11.05.2006, n. 786; Cons.
Stato, IV, 06.10.2003, n. 5869; 08.02.1999,
n. 121). La motivazione in ordine alle
scelte generali compiute
dall’Amministrazione in sede di P.R.G. non
deve essere necessariamente contenuta nel
solo atto che conclude il procedimento, ma
può essere ricavata anche dagli elaborati
tecnici che lo accompagnano, che il
provvedimento conclusivo richiami e a
condizione che in essi siano chiaramente
illustrate le esigenze che hanno indotto
l’Amministrazione ad adottare la nuova
disciplina (Cons. Stato, IV, 03.10.2001, n.
5207).
---------------
La giurisprudenza ha inoltre precisato che
non esiste una preclusione assoluta a nuovi
interventi di pianificazione urbanistica,
che vanifichino in tutto o in parte le
aspettative edilizie dei privati, atteso che
lo ius variandi, relativo alle
prescrizioni di Piano Regolatore Generale,
include -eventualmente- anche uno ius
poenitendi, relativo ai successivi
vincoli assunti dal Comune mediante
convenzioni di lottizzazione, salva la
necessità di motivazione, intesa pure come
giusta considerazione di quelle aspettative
(Cons. Stato, IV, 01.07.1992, n. 653). La
stessa giurisprudenza ha poi chiarito che,
nelle delibere di adozione di un Piano
Regolatore o di una sua variante, la
motivazione può desumersi per relationem
dal contenuto dell'atto deliberato, cioè
dall'insieme di esso e particolarmente dalla
relazione illustrativa, che ne forma parte
integrante e le cui considerazioni
s'intendano accettate e fatte proprie dal
Consiglio comunale (Cons. Stato, IV,
03.06.1987, n. 326).
Naturalmente, poi, occorre tener presente
che gli apprezzamenti di merito del Comune
in ordine alle scelte urbanistiche non sono
sindacabili in sede di giudizio di
legittimità, a meno che non risultino
inficiati da errori di fatto o da vizi di
grave illogicità (Cons. Stato, IV,
17.01.1989, n. 5; 15.07.1986, n. 522).
---------------
Ora, contrariamente a quanto dedotto in
ricorso circa l’eccesso di potere per
insufficienza e carenza della motivazione,
questo Tribunale è dell’avviso che una
motivazione specifica si impone solo in
presenza di situazioni idonee a creare
aspettative e affidamenti nei privati, quali
l’esistenza un piano di lottizzazione
debitamente approvato e convenzionato ovvero
un giudicato di annullamento del diniego di
concessione edilizia (Cons. Stato, IV,
22.02.1999, n. 209). Le evenienze che in
particolare giustificano una più incisiva e
singolare motivazione nelle scelte
pianificatorie degli strumenti urbanistici
generali sono state ravvisate (TAR Umbria,
02.10.2006, n. 497; Cons. Stato, Ad. plen.,
22.12.1999, n. 24):
1) nel superamento degli standards minimi di
cui al DM 02/04/1968, con l’avvertenza che
la motivazione ulteriore va riferita
esclusivamente alle previsioni urbanistiche
complessive di sovradimensionamento,
indipendentemente dal riferimento alla
destinazione di zona di determinate aree;
2) nella lesione dell’affidamento
qualificato del privato derivante
dall’avvenuta stipula di convenzioni di
lottizzazione, accordi di diritto privato
intercorsi tra il Comune e i proprietari
delle aree, aspettative legittime nascenti
da sentenze passate in giudicato di
annullamento di dinieghi di concessione
edilizia o di silenzio - rifiuto su una
domanda di concessione;
3) nella modificazione in zona agricola
della destinazione di un’area limitata,
interclusa da fondi edificati in modo non
abusivo.
---------------
In sintesi non è comunque configurabile
un'aspettativa qualificata ad una
destinazione edificatoria in relazione ad
una precedente determinazione
dell'Amministrazione, ma soltanto
un'aspettativa generica ad una reformatio
in melius, analoga a quella di ogni
altro proprietario di aree che aspira ad una
utilizzazione più proficua dell'immobile. Le
Amministrazioni comunali possono e devono
costruire gli strumenti urbanistici intorno
a linee guida che esaltino il momento del
recupero e della razionalizzazione del
patrimonio edilizio esistente, atteso che lo
strumento urbanistico generale non
presuppone inderogabilmente tendenze
espansive edilizie e demografiche, ma, al
contrario, una moderna e realistica
concezione dell’urbanistica appare
incentrata sulla necessità di tener conto
della fortissima antropizzazione del
territorio nazionale concentrata in
specifiche aree, del calo demografico
generale, dell’ineludibile bisogno di tutela
delle ormai rare zone non edificate (Cons.
Stato, IV, 08.05.2000, n. 2639).
---------------
Con riguardo all'alto livello di
discrezionalità nelle scelte di piano, che
determina il conseguente dovere
motivazionale, le scelte effettuate dalla
Amministrazione in sede di pianificazione
urbanistica non necessitano invero di
dettagliata motivazione oltre quella che si
evince dai criteri generali, di ordine
tecnico-discrezionale, seguiti nella
predisposizione del piano stesso.
In proposito, è sufficiente l'espresso
riferimento alla relazione di
accompagnamento al progetto di modifica del
piano, salvo i casi particolari innanzi
evidenziati- individuati dalla
giurisprudenza per il caso di affidamenti
particolarmente qualificati e qui non
ricorrenti - in cui si configuri uno
specifico obbligo motivazionale a carico
dell'Amministrazione (in tal senso,
Consiglio Stato, IV, 26.04.2009, n. 2293;
Consiglio di stato, sez. IV, 15.09.2010, n.
6911).
I provvedimenti comunali di pianificazione
urbanistica e le varianti hanno infatti
natura discrezionale e possono, in sede di
variante, incidere su precedenti, difformi,
destinazioni di zona, comportare modifiche
radicali al piano vigente e rettificare
direttive urbanistiche pregresse al fine di
realizzare un processo di adeguamento e
modernizzazione delle strutture al servizio
del territorio (Consiglio Stato, IV,
25.11.2003, n. 7782).
In sede di pianificazione generale o di
variante generale, e salvi i casi
individuati dalla giurisprudenza in cui sono
riscontrabili posizioni di aspettativa
qualificata da particolari situazioni
verificatesi in sede amministrativa o
giurisdizionale, il Comune ha in definitiva
la facoltà ampiamente discrezionale di
modificare le precedenti previsioni e non è
tenuto a dettare una motivazione specifica
per le singole zone o aree a destinazione
innovata (Consiglio Stato, IV, 13.05.1992,
n. 511).
---------------
Le osservazioni proposte dai cittadini nei
confronti degli atti di pianificazione
urbanistica non costituiscono veri e propri
rimedi giuridici, ma semplici apporti
collaborativi e, pertanto non danno luogo a
peculiari aspettative; conseguentemente il
loro rigetto o il loro accoglimento non
richiede una motivazione analitica (peraltro
presente nell’ipotesi di specie), essendo
sufficiente che esse siano state esaminate e
confrontate con gli interessi generali dello
strumento pianificatorio (Consiglio Stato,
IV, 19.03.2009, n. 1652; Consiglio Stato,
sez. IV, 18.06.2009, n. 4024; Cons. St., IV,
01.03.2010, n. 1182; Consiglio Stato, sez.
IV, 15.09.2010, n. 6911).
---------------
Non si può
ignorare che la classificazione a zona
agricola possiede anche una valenza
conservativa dei valori naturalistici,
venendo a costituire il polmone
dell’insediamento urbano ed assumendo, per
tale via, la funzione decongestionante e di
contenimento dell’espansione dell’aggregato
urbano (TAR Lombardia, Milano, II,
24.11.2006, n. 2847; Cons. Stato, IV,
20.09.2005, n. 4828).
---------------
E’ infatti noto che l’art. 2, 1° comma,
della L. 19.11.1968 n. 1187 e l’analogo art.
9 del T.U. sulle espropriazioni n. 327 del
2001 hanno fissato entro il limite temporale
del quinquennio l'efficacia delle
prescrizioni dei piani regolatori generali «nella
parte in cui incidono su beni determinati ed
assoggettano i beni stessi a vincoli
preordinati all'espropriazione od a vincoli
che comportino l'inedificabilità». Tale
disposto per la giurisprudenza è applicabile
“non solo con riferimento ai vincoli
preordinati all’esproprio o a quei vincoli
che svuotano il contenuto del diritto di
proprietà, rendendolo inutilizzabile
rispetto alla sua destinazione naturale, ma
anche ai vincoli c.d. "strumentali", a quei
vincoli cioè che subordinano l’edificabilità
di un’area all’inserimento della stessa in
un programma pluriennale, oppure alla
formazione di uno strumento esecutivo”
(cfr Consiglio di Stato Sez. IV - sentenza
24.03.2009, n. 1765).
Peraltro, in considerazione della limitata
efficacia temporale del vincolo preordinato
all’esproprio, l’obbligo di corresponsione
dell’indennizzo sorge solo nell’ipotesi di
reiterazione del vincolo medesimo.
Infatti l’art. 39 del T.U. sulle
espropriazioni n. 327 del 2001 (“Indennità
dovuta in caso di incidenza di previsioni
urbanistiche su particolari aree comprese in
zone edificabili”) al comma 1 prevede “In
attesa di una organica risistemazione della
materia, nel caso di reiterazione di un
vincolo preordinato all'esproprio o di un
vincolo sostanzialmente espropriativo è
dovuta al proprietario una indennità,
commisurata all'entità del danno
effettivamente prodotto”.
Pertanto prima della reiterazione oltre del
suddetto limite temporale del vincolo
preordinato all’esproprio o dell’avvio della
procedura espropriativa alcun pretesa
indennitaria può vantare parte ricorrente.
Infatti, come chiarito dalla giurisprudenza,
“il fatto costitutivo del diritto
all'indennizzo non è individuabile
nell'imposizione originaria di un vincolo di
inedificabilità, e neppure nella protrazione
di fatto del medesimo dopo la sua decadenza
-giacché in tal caso ben può il proprietario
sollecitare l'esercizio del potere
pianificatorio attraverso la procedura di
messa in mora, e far accertare, di risulta,
l'illegittimità del silenzio-, bensì
nell'atto che esplicitamente lo reitera"
(Cass., Sez. I, sent. n. 1754 del
26.01.2007) (TAR
Valle d'Aosta,
sentenza
02.11.2011 n. 73 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATA: La
disciplina relativa alla comunicazione di
avvio del procedimento non va interpretata
in modo formalistico, ma con riferimento
alla sua ratio concreta, che è quella di
assicurare la partecipazione del privato
interessato al procedimento amministrativo,
con la conseguenza che l'eventuale omissione
dell'adempimento non determina illegittimità
dell'azione amministrativa, laddove sia
provato che il destinatario abbia avuto
comunque ed aliunde conoscenza del
procedimento in corso, potendo quindi
parteciparvi.
Gli atti di repressione degli abusi edilizi
(nel caso di specie una diffida a demolire)
non devono necessariamente essere preceduti
da una comunicazione di avvio del relativo
procedimento, che é oggetto di una specifica
ed esaustiva disciplina normativa, specie
allorquando lo scopo partecipativo sia stato
raggiunto in altro modo (es. notifica
provvedimenti di sequestro e dissequestro,
notifica ordinanza di sospensione lavori
ecc.)”.
---------------
In caso di diffida a demolire non è dovuto
alcun avviso di avvio del procedimento,
potendo gli interessati far valere le
proprie ragioni prima dell'emissione della
vera e propria ordinanza di demolizione.
In materia di procedimenti sanzionatori per
abusi edilizi gli atti di diffida, -quali
l'ingiunzione a demolire o l'ordine di
sospensione dei lavori e simili- tengono
luogo della comunicazione di avvio del
procedimento.
---------------
L'omessa comunicazione del responsabile del
procedimento e dell'ufficio presso cui poter
prendere visione degli atti non determina
l'illegittimità del provvedimento finale,
dovendosi considerare responsabile del
procedimento il dirigente e/o responsabile
della struttura amministrativa, da cui
promana l'atto.
---------------
La repressione dell'abuso edilizio, disposta
a distanza di tempo ragguardevole, richiede
una puntuale motivazione sull'interesse
pubblico al ripristino dei luoghi. In tali
casi, infatti, per il lungo lasso di tempo
trascorso dalla commissione dell'abuso ed il
protrarsi dell'inerzia dell'amministrazione
preposta alla vigilanza, si ritiene che si
sia ingenerata una posizione di affidamento
nel privato, in relazione alla quale
l'esercizio del potere repressivo è
subordinato ad un onere di congrua
motivazione che, avuto riguardo anche
all'entità e alla tipologia dell'abuso,
indichi il pubblico interesse, evidentemente
diverso da quello ripristino della legalità,
idoneo a giustificare il sacrificio del
contrapposto interesse privato.
--------------
In relazione appunto ai vincoli
paesaggistici, non possono trovare spazio
applicativo i peculiari principi in base ai
quali la giurisprudenza amministrativa ha
individuato una posizione di affidamento
tutelabile (quanto meno con il richiedersi
nel provvedimento sanzionatorio una
motivazione specifica, ulteriore rispetto a
quella fondata sul mero perseguimento di un
ripristino della legalità, in ordine alla
necessità della demolizione dei manufatti e
al connesso sacrificio dell'interesse
privato) per colui che, pur avendo posto in
essere abusi edilizi, abbia visto
trascorrere un lungo lasso di tempo dalla
loro commissione con inerzia
dell'Amministrazione preposta alla
vigilanza.
Come infatti ritenuto dalla prevalente
giurisprudenza, in relazione all’analogo
disposto della l. 241/1990, la disciplina
relativa alla comunicazione di avvio del
procedimento non va interpretata in modo
formalistico, ma con riferimento alla sua
ratio concreta, che è quella di
assicurare la partecipazione del privato
interessato al procedimento amministrativo,
con la conseguenza che l'eventuale omissione
dell'adempimento non determina illegittimità
dell'azione amministrativa, laddove sia
provato che il destinatario abbia avuto
comunque ed aliunde conoscenza del
procedimento in corso, potendo quindi
parteciparvi (ex plurimis Cons.
Stato, Sez. V, 07.12.2005 n. 6990; Sez. IV,
03.03.2009 n. 1207; TAR Calabria Catanzaro,
sez. I, 14.12.2010, n. 2908; in senso
analogo TAR Emilia Romagna Bologna, sez. II,
14.01.2009, n. 19 secondo cui “Gli atti
di repressione degli abusi edilizi (nel caso
di specie una diffida a demolire) non devono
necessariamente essere preceduti da una
comunicazione di avvio del relativo
procedimento, che é oggetto di una specifica
ed esaustiva disciplina normativa, specie
allorquando lo scopo partecipativo sia stato
raggiunto in altro modo (es. notifica
provvedimenti di sequestro e dissequestro,
notifica ordinanza di sospensione lavori
ecc.)”.
---------------
Il Collegio
aderisce a quell’orientamento
giurisprudenziale secondo il quale in caso
di diffida a demolire non è dovuto alcun
avviso di avvio del procedimento, potendo
gli interessati far valere le proprie
ragioni prima dell'emissione della vera e
propria ordinanza di demolizione (TAR
Trentino Alto Adige Bolzano, 08.02.2007, n.
52; TAR Friuli Venezia Giulia Trieste,
08.09.2004, n. 556 secondo cui “in
materia di procedimenti sanzionatori per
abusi edilizi gli atti di diffida, -quali
l'ingiunzione a demolire o l'ordine di
sospensione dei lavori e simili- tengono
luogo della comunicazione di avvio del
procedimento”).
---------------
Del tutto irrilevante è poi l’omessa
indicazione del responsabile procedimento in
quanto per la giurisprudenza, formatasi
sull’analogo disposto della l. 241/1990
(art. 8), l'omessa comunicazione del
responsabile del procedimento e dell'ufficio
presso cui poter prendere visione degli atti
non determina l'illegittimità del
provvedimento finale, dovendosi considerare
responsabile del procedimento il dirigente
e/o responsabile della struttura
amministrativa, da cui promana l'atto (ex
multis TAR Campania Napoli, sez. VII,
03.11.2010, n. 22302; TAR Campania Napoli,
sez. VII, 15.12.2010, n. 27393).
---------------
Vi è un orientamento giurisprudenziale
secondo il quale “la repressione
dell'abuso edilizio, disposta a distanza di
tempo ragguardevole, richiede una puntuale
motivazione sull'interesse pubblico al
ripristino dei luoghi. In tali casi,
infatti, per il lungo lasso di tempo
trascorso dalla commissione dell'abuso ed il
protrarsi dell'inerzia dell'amministrazione
preposta alla vigilanza, si ritiene che si
sia ingenerata una posizione di affidamento
nel privato, in relazione alla quale
l'esercizio del potere repressivo è
subordinato ad un onere di congrua
motivazione che, avuto riguardo anche
all'entità e alla tipologia dell'abuso,
indichi il pubblico interesse, evidentemente
diverso da quello ripristino della legalità,
idoneo a giustificare il sacrificio del
contrapposto interesse privato” (C.d.S.,
Sez.V, 04/03/2008, n. 883; Tar Campania,
Napoli, Sez. IV - 05.05.2009, n. 2357).
---------------
Un consolidato orientamento
giurisprudenziale ritiene che “in
relazione appunto ai vincoli paesaggistici,
non possono trovare spazio applicativo i
peculiari principi in base ai quali la
giurisprudenza amministrativa (cfr. Cons. di
Stato sez. IV, n° 2705 del 06.06.2008; Cons.
di Stato sez. V, n° 883 del 04.03.2008;
Cons. di Stato sez. IV, n° 2441 del
14.5.2007; Cons. di Stato sez. V, n° 247 del
12.03.1996; TAR Liguria n° 4127 del
31.12.2009; TAR Calabria Catanzaro n° 1026
del 06.10.2009; TAR Piemonte n° 2247 del
04.09.2009; TAR Campania Napoli n° 504 del
29.01.2009) ha individuato una posizione di
affidamento tutelabile (quanto meno con il
richiedersi nel provvedimento sanzionatorio
una motivazione specifica, ulteriore
rispetto a quella fondata sul mero
perseguimento di un ripristino della
legalità, in ordine alla necessità della
demolizione dei manufatti e al connesso
sacrificio dell'interesse privato) per colui
che, pur avendo posto in essere abusi
edilizi, abbia visto trascorrere un lungo
lasso di tempo dalla loro commissione con
inerzia dell'Amministrazione preposta alla
vigilanza” (TAR Campania Napoli Sez. VII,
Sent., 14-06-2010, n. 14156, cui si rinvia)
(TAR Valle d'Aosta,
sentenza
02.11.2011 n. 72 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: L’accertamento
di conformità è strumento di conservazione
di opere già realizzate e provviste della
doppia conformità, senza che possono venire
in rilievo le opere da eseguirsi per rendere
le opere già eseguite conformi alla
normativa urbanistica e vincolistica.
L'istituto dell'accertamento di conformità,
già previsto dall'art. 13, l. 28.02.1985 n.
47 ed ora regolato dall'art. 36, d.lgs. n.
380 del 2001 è infatti, come noto, diretto a
sanare le opere solo formalmente abusive, in
quanto eseguite senza concessione o
autorizzazione, ma conformi nella sostanza
alla disciplina urbanistica applicabile per
l'area su cui sorgono (vigente sia al
momento della loro realizzazione che al
momento della presentazione dell'istanza di
sanatoria: c.d. doppia conformità). Nel
caso, l'Amministrazione è chiamata a
svolgere una valutazione eminentemente
doverosa e vincolata, priva di contenuti
discrezionali e relativa alla realizzazione
di un assetto di interessi già prefigurato
dalla disciplina urbanistica applicabile, di
tal che il provvedimento di accertamento di
conformità assume una connotazione
eminentemente oggettiva e vincolata, priva
di apprezzamenti discrezionali.
Pertanto, alcuna pretesa può avere la parte
istante ad ottenere la concessione edilizia
in sanatoria in forza dell’esecuzione di
ulteriori lavori, volti a rendere le opere
difformi alla normativa urbanistica e
vincolistica, ad essa conformi.
L’accertamento di conformità è strumento di
conservazione di opere già realizzate e
provviste della doppia conformità (TAR
Trentino Alto Adige Trento, 20.03.2003, n.
117), senza che possono venire in rilievo le
opere da eseguirsi per rendere le opere già
eseguite conformi alla normativa urbanistica
e vincolistica.
L'istituto dell'accertamento di conformità,
già previsto dall'art. 13, l. 28.02.1985 n.
47 ed ora regolato dall'art. 36, d.lgs. n.
380 del 2001 è infatti, come noto, diretto a
sanare le opere solo formalmente abusive, in
quanto eseguite senza concessione o
autorizzazione, ma conformi nella sostanza
alla disciplina urbanistica applicabile per
l'area su cui sorgono (vigente sia al
momento della loro realizzazione che al
momento della presentazione dell'istanza di
sanatoria: c.d. doppia conformità). Nel
caso, l'Amministrazione è chiamata a
svolgere una valutazione eminentemente
doverosa e vincolata, priva di contenuti
discrezionali e relativa alla realizzazione
di un assetto di interessi già prefigurato
dalla disciplina urbanistica applicabile, di
tal che il provvedimento di accertamento di
conformità assume una connotazione
eminentemente oggettiva e vincolata, priva
di apprezzamenti discrezionali (TAR Campania
Napoli, sez. III, 05.10.2009, n. 5149; TAR
Campania Napoli, sez. VI, 11.03.2009, n.
1393; TAR Campania Napoli, sez. VI,
17.12.2008, n. 21345).
Pertanto alcuna pretesa può avere la parte
istante ad ottenere la concessione edilizia
in sanatoria in forza dell’esecuzione di
ulteriori lavori, volti a rendere le opere
difformi alla normativa urbanistica e
vincolistica, ad essa conformi (TAR Valle
d'Aosta,
sentenza
02.11.2011 n. 71 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Le
norme sul versamento degli oneri concessori
non prevedono, a carico del Comune, l'onere
di escutere previamente il garante prima di
applicare le sanzioni per il ritardato
pagamento del contributo.
L'obbligo di collaborazione ex art. 1227 cc.
è estraneo all'ambito sanzionatorio e dunque
non vincolante per l'amministrazione. In
questa diversa prospettiva la diligenza è
richiesta al privato, il quale è tenuto a
estinguere spontaneamente le obbligazioni
assunte senza potersi giovare dell'inerzia
dell'amministrazione. L'affidamento del
privato non potrebbe d'altra parte derivare
dalla mera inerzia dell'ente pubblico ma
solo da un eventuale comportamento positivo
di quest'ultimo tale da configurare una
qualche responsabilità da contatto.
Il dovere di diligenza a carico del privato
non è attenuato dalla presenza della
fideiussione, la quale non ha la finalità di
agevolare l'adempimento ma costituisce una
garanzia personale prestata unicamente
nell'interesse dell'amministrazione.
La natura sanzionatoria delle misure ex art.
3 della legge 47/1985 impone che l'ente
pubblico stabilisca in modo chiaro le
obbligazioni del privato e che quest'ultimo
sia messo in condizione di adempiere. Non è
necessario invece che il privato sia
sollecitato ad adempiere o agevolato in
altro modo. Pertanto se il rapporto con
l'amministrazione è trasparente e il privato
è puntualmente informato delle scadenze
delle rate degli oneri concessori non
servono ulteriori atti di impulso diretti a
provocare l'adempimento. Parimenti non è
necessaria la preventiva escussione del
fideiussore, a meno che un obbligo in questo
senso non sia stato espressamente assunto
dall'amministrazione.
L'Amministrazione non ha l'obbligo, a fronte
del ritardato pagamento degli oneri
concessori, di escutere la fideiussione,
evitando in tal modo di applicare la
sanzione. Infatti la fideiussione che
accompagna la rateizzazione del pagamento
degli oneri di urbanizzazione non ha la
finalità di agevolare l'adempimento del
soggetto obbligato al pagamento, bensì
costituisce una garanzia personale prestata
unicamente nell'interesse
dell'amministrazione, sulla quale non
incombe alcun obbligo di preventiva
escussione del fideiussore; invero, la
garanzia sussidiaria serve a scongiurare che
il Comune possa irrimediabilmente perdere
una entrata di diritto pubblico, ma non
alleggerisce affatto la posizione del
soggetto tenuto al pagamento, né attenua i
doveri di diligenza sullo stesso incombenti,
né estingue di per sé l'obbligazione
principale.
Con il quarto
motivo di ricorso parte ricorrente contesta
la debenza delle sanzioni applicate per il
ritardato pagamento degli oneri concessori,
assumendo che il Comune ben avrebbe potuto
escutere la garanzia fideiussoria, in
relazione alla quale non era contemplato il
beneficium excussionis, prima di far
maturare i termini previsti per
l’irrogazione delle sanzioni nella misura
massima; pertanto il comportamento del
Comune, oltre ad essere viziato per eccesso
di potere si rileverebbe, nella prospettiva
di parte ricorrente, anche irrispettoso del
principio di buona fede di cui all’art. 1175
c.c., al quale deve essere improntato
l’operato dell’Amministrazione nei rapporti
con il cittadino.
Il Collegio non ignora che in ordine a tale
problematica sussistano diversi orientamenti
giurisprudenziali; sulla specifica questione
sia l'orientamento del Consiglio di Stato
che dei TAR non può dirsi univoco, essendosi
talvolta affermato in materia il dovere
dell'Amministrazione di non aggravare la
posizione del debitore ai sensi dell'art.
1227 c.c. (V. la decisione del Consiglio di
Stato Sezione V. n. 1001 del 03.07.1995 e
TAR Veneto n. 342 del 09.02.2000), mentre in
altre occasioni si è ritenuto che specifiche
clausole in tema di fideiussione (quali
l'obbligo del garante di pagare a seguito di
semplice richiesta scritta del creditore e
con rinuncia alla preventiva escussione)
possono valere solo a rendere il rapporto
fideiussorio autonomo rispetto al rapporto
obbligatorio principale, senza comportare il
dovere dell'Amministrazione di chiedere
prima l'adempimento per poter poi applicare
le relative sanzioni pecuniarie (V. la
decisione del Consiglio di Stato Sezione V.
2072 del 10.12.1999, TAR Lombardia, Milano,
sez. 2°, n. 1192 del 17.04.1999, TAR Puglia
Lecce, sez. I, 06.11.2000, n. 3494, secondo
cui “In materia edilizia ed urbanistica,
le norme sul versamento degli oneri
concessori non prevedono a carico del comune
l'onere di escutere previamente l'istituto
garante prima di applicare le sanzioni per
il ritardato pagamento del contributo. La
prestazione di garanzie reali o personali,
infatti, in caso di rateizzazione del
contributo di concessione, è
obbligatoriamente richiesta dalla legge
(art. 47 l. n. 457 del 1978) e si colloca
nell'interesse esclusivo
dell'amministrazione. Trovano, perciò, piena
applicazione i principi civilistici in
materia di fidejussione e cioè solidarietà
ai sensi dell'art. 1944 c.c., autonomia
delle azioni verso i vari coobbligati e
responsabilità principale del soggetto
garantito rispetto a quella accessoria del
garante (c.d. solidarietà diseguale)”
TAR Veneto Venezia, sez. II, 21.10.2005, n.
3727 ).
Peraltro più di recente il Consiglio di
Stato Sezione V, con le decisioni n. 1250
del 24.03.2005 e n. 6345 dell'11.11.2005 e
n. 4025 del 16.07.2007, ha precisato che, in
assenza di inadempimenti imputabili
all'Amministrazione idonei a configurare a
suo carico una responsabilità "da
contatto" oppure di natura
precontrattuale, il richiamo all'art. 1227
c.c. è del tutto inconferente, essendo tale
disposizione riferibile solo alle
obbligazioni di carattere risarcitorio e non
a quelle (anche di contenuto pecuniario) di
natura sanzionatoria, come nel caso in
esame.
"Invero, pur in presenza di un contratto
di garanzia cosiddetta autonoma, con il
quale il garante si obbliga ad eseguire la
prestazione oggetto della garanzia "a
semplice richiesta" del creditore garantito,
senza opporre eccezioni attinenti alla
validità, all'efficacia ed alla vicenda del
rapporto principale, anche in questa ipotesi
il meccanismo dell'adempimento del garante
"a prima richiesta" scatta a seguito
dell'inadempimento dell'obbligazione
principale, ancorché resti vietato al
garante di chiedere la preventiva escussione
del debitore principale (Cass. 18.11.1992 n.
12341, 03.11.1993 n. 10850, 17.05.2001 n.
6757) .
D'altronde, neppure con riguardo al regime
ordinario delle obbligazioni tra privati
sarebbe pertinente il richiamo all'art. 1227
cod. civ. Infatti, l'onere di diligenza che
questa norma fa gravare sul creditore non si
estende alla sollecitudine nell'agire a
tutela del proprio credito onde evitare
maggiori danni, i quali viceversa sono da
imputare esclusivamente alla condotta del
debitore, tenuto al tempestivo adempimento
della sua obbligazione (V. Corte cost. n.
308 del 14.07.1999).
Inoltre, non è dato ravvisare nel sistema di
cui agli artt. 1936 ss. cod. civ. alcun
principio di preventiva doverosa escussione
del fideiussore alla scadenza del termine
fissato per l'adempimento dell'obbligazione
garantita, che peraltro colliderebbe con le
finalità dell'istituto, inteso a rafforzare
la garanzia del credito in funzione di un
interesse proprio e specifico del creditore.
In altri termini, ed in materia di
obbligazioni "portable" quali quelle
pecuniarie, e con termine di adempimento che
esonera dalla costituzione in mora del
debitore, il creditore è soltanto facultato
ad attivare la solidale responsabilità del
fideiussore, senza che possa invece
ritenersi tenuto ad escutere il coobbligato
piuttosto che attendere il pagamento,
ancorché tardivo, salva l'esistenza di
apposita clausola in tal senso (che dovrebbe
essere accettata dall'Amministrazione),
nella specie non prevista” (Consiglio di
stato, sez. V, 16.07.2007, n. 4025).
A tale orientamento ha aderito anche la IV
sezione del Consiglio di Stato con la
sentenza n. 4419 del 10.08.2007, secondo cui
“Le norme sul versamento degli oneri
concessori non prevedono, a carico del
Comune, l'onere di escutere previamente il
garante prima di applicare le sanzioni per
il ritardato pagamento del contributo”.
Il Collegio aderisce a tale ultimo
orientamento, atteso che l'obbligo di
collaborazione ex art. 1227 cc. è estraneo
all'ambito sanzionatorio e dunque non
vincolante per l'amministrazione. In questa
diversa prospettiva la diligenza è richiesta
al privato, il quale è tenuto a estinguere
spontaneamente le obbligazioni assunte senza
potersi giovare dell'inerzia
dell'amministrazione. L'affidamento del
privato non potrebbe d'altra parte derivare
dalla mera inerzia dell'ente pubblico ma
solo da un eventuale comportamento positivo
di quest'ultimo tale da configurare una
qualche responsabilità da contatto.
Il dovere di diligenza a carico del privato
non è attenuato dalla presenza della
fideiussione, la quale non ha la finalità di
agevolare l'adempimento ma costituisce una
garanzia personale prestata unicamente
nell'interesse dell'amministrazione (in
questo senso cfr. di recente TAR Lombardia
Brescia Sez. I, Sent., 11.09.2009, n. 1688
secondo cui “la natura sanzionatoria
delle misure ex art. 3 della legge 47/1985
impone che l'ente pubblico stabilisca in
modo chiaro le obbligazioni del privato e
che quest'ultimo sia messo in condizione di
adempiere. Non è necessario invece che il
privato sia sollecitato ad adempiere o
agevolato in altro modo. Pertanto se il
rapporto con l'amministrazione è trasparente
e il privato è puntualmente informato delle
scadenze delle rate degli oneri concessori
non servono ulteriori atti di impulso
diretti a provocare l'adempimento. Parimenti
non è necessaria la preventiva escussione
del fideiussore, a meno che un obbligo in
questo senso non sia stato espressamente
assunto dall'amministrazione”; TAR
Lombardia Milano, sez. II, 21.07.2009, n.
4405 “L'Amministrazione non ha l'obbligo,
a fronte del ritardato pagamento degli oneri
concessori, di escutere la fideiussione,
evitando in tal modo di applicare la
sanzione. Infatti la fideiussione che
accompagna la rateizzazione del pagamento
degli oneri di urbanizzazione non ha la
finalità di agevolare l'adempimento del
soggetto obbligato al pagamento, bensì
costituisce una garanzia personale prestata
unicamente nell'interesse
dell'amministrazione, sulla quale non
incombe alcun obbligo di preventiva
escussione del fideiussore; invero, la
garanzia sussidiaria serve a scongiurare che
il Comune possa irrimediabilmente perdere
una entrata di diritto pubblico, ma non
alleggerisce affatto la posizione del
soggetto tenuto al pagamento, né attenua i
doveri di diligenza sullo stesso incombenti,
né estingue di per sé l'obbligazione
principale”)
(TAR Valle d'Aosta,
sentenza
02.11.2011 n. 71 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Nell'esaminare
un'istanza di compatibilità paesaggistica
appare necessario privilegiare
un’interpretazione finalistica del dato
normativo (art. 167, comma 4, del D.Lgs.
22.01.2004, n. 42), che sia, al contempo,
“aderente alla ragione d’essere e alla
funzione essenziale della tutela
paesaggistica e coerente con le sempre più
avvertite esigenze di semplificazione e di
proporzionalità nel commisurare la risposta
sanzionatoria dell’ordinamento all’effettiva
portata lesiva del bene protetto propria
dell’abuso commesso” (cfr. parere in data
13.09.2010 dell’Ufficio legislativo del
Ministero per i Beni e le Attività
Culturali).
La funzione essenziale della tutela
paesaggistica è da sempre da ricondursi
all’aspetto visibile del territorio,
conseguendone che, costituendo la
percepibilità della modificazione
dell’aspetto esteriore del bene protetto un
prerequisito di rilevanza paesaggistica del
fatto, la sua insussistenza è da ritenersi
idonea ad elidere, alla radice, la
sussistenza stessa dell’illecito contestato,
senza che possa darsi corso a valutazioni o
apprezzamenti di sorta sull’esistenza di
superfici utili o di volumi.
Con riferimento al diniego di accertamento
di compatibilità paesaggistica, sono
condivisibili gli assunti di parte
ricorrente, atteso che appare necessario
privilegiare un’interpretazione finalistica
del dato normativo (art. 167, comma 4, del
D.Lgs. 22.01.2004, n. 42), che sia, al
contempo, “aderente alla ragione d’essere
e alla funzione essenziale della tutela
paesaggistica e coerente con le sempre più
avvertite esigenze di semplificazione e di
proporzionalità nel commisurare la risposta
sanzionatoria dell’ordinamento all’effettiva
portata lesiva del bene protetto propria
dell’abuso commesso” (cfr. parere in
data 13.09.2010 dell’Ufficio legislativo del
Ministero per i Beni e le Attività
Culturali).
La funzione essenziale della tutela
paesaggistica è da sempre (ed ora ritraibile
dall’art. 1 della Convenzione europea sul
paesaggio, ratificata con legge 09.01.2006,
n. 14, e dagli artt. 131, 146, comma 1, e
149 del D.Lgs. 22.01.2004, n. 42) da
ricondursi all’aspetto visibile del
territorio, conseguendone che, costituendo
la percepibilità della modificazione
dell’aspetto esteriore del bene protetto un
prerequisito di rilevanza paesaggistica del
fatto, la sua insussistenza è da ritenersi
idonea ad elidere, alla radice, la
sussistenza stessa dell’illecito contestato,
senza che possa darsi corso a valutazioni o
apprezzamenti di sorta sull’esistenza di
superfici utili o di volumi
(TAR Pimonte, Sez. II,
sentenza 27.10.2011 n. 1135 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
lungo lasso di tempo trascorso dalla
commissione dell’abuso edilizio ed il
protrarsi dell’inerzia dell’amministrazione
preposta alla vigilanza, comporta la nascita
di una posizione di affidamento nel privato
cittadino, in relazione alla quale il potere
repressivo è subordinato ad un onere di
congrua motivazione che, avuto riguardo
anche all’entità e alla tipologia
dell’abuso, indichi il pubblico interesse,
evidentemente diverso da quello di
ripristino della legalità, idoneo a
giustificare il sacrificio del contrapposto
interesse privato.
Il lungo lasso
di tempo trascorso dalla commissione
dell’abuso edilizio ed il protrarsi
dell’inerzia dell’amministrazione preposta
alla vigilanza, comporta la nascita di una
posizione di affidamento nel privato
cittadino, in relazione alla quale il potere
repressivo è subordinato ad un onere di
congrua motivazione che, avuto riguardo
anche all’entità e alla tipologia
dell’abuso, indichi il pubblico interesse,
evidentemente diverso da quello di
ripristino della legalità, idoneo a
giustificare il sacrificio del contrapposto
interesse privato (C.d.S., V, 04.03.2008, n.
883; C.d.S., V, 29.05.2006, n. 3270; in
termini: TAR Lazio, Roma, I-quater,
22.06.2010, n. 19923; TAR Umbria, I,
18.06.2010, n. 382; TAR Campania, Napoli, IV,
24.05.2010, n. 8343)
(TAR Pimonte, Sez. II,
sentenza 27.10.2011 n. 1135 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA: L'accertata
presenza di un fenomeno di inquinamento
acustico -pur se non coinvolgente l'intera
collettività- deve ritenersi sufficiente a
concretare l'eccezionale ed urgente
necessità di intervenire a tutela della
salute pubblica, con la conseguenza che
l'ordinanza sindacale ben può essere
adottata anche a seguito dell'esposto di una
sola famiglia, non constando nella norma
alcun parametro numerico o dimensionale.
Come riconosciuto anche dal Consiglio di
Stato nell’ordinanza n. 4254/2008, “l'accertata
presenza di un fenomeno di inquinamento
acustico -pur se non coinvolgente l'intera
collettività- deve ritenersi sufficiente a
concretare l'eccezionale ed urgente
necessità di intervenire a tutela della
salute pubblica, con la conseguenza che
l'ordinanza sindacale ben può essere
adottata anche a seguito dell'esposto di una
sola famiglia, non constando nella norma
alcun parametro numerico o dimensionale”
(TAR Lombardia Brescia, sez. II, 02.11.2009
, n. 1814, cfr. anche TAR Piemonte, Sez. I,
02.03.2009 n. 199, TAR Lombardia, Milano,
Sez. IV, 27.12.2007 n. 6819)
(TAR Piemonte, Sez. II,
sentenza 27.10.2011 n. 1127 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
VARI:
Attenti alle
parole con la stradale.
Dire alla polizia: vi do quello che volete
se mi lasciate andare costituisce reato.
Lo
ha ribadito la Corte di cassazione, Sez. VI
penale, con la sentenza 17.10.2011 n. 37402.
Un giovane automobilista è
stato fermato dalla polizia stradale che gli
ha immediatamente contestato la falsità
dell'attestazione di avvenuta revisione del
proprio veicolo.
Durante il controllo l'autista ha quindi
proposto agli agenti di chiudere un occhio
specificando «vi do quello che volete se
mi lasciate andare». Per queste semplici
affermazioni molto dirette il tribunale di
Arezzo ha condannato il giovane
automobilista per il reato di istigazione
alla corruzione.
Successivamente la Corte d'appello e la
Cassazione hanno confermato il giudicato.
Anche se l'offerta è generica e
indeterminata nel contenuto resta molto
pericoloso pronunciare certe frasi agli
organi di vigilanza stradale.
La proposta del giovane infatti «è
concretamente diretta a spingere il
destinatario a qualificare lui stesso la
somma che intende ricevere quale
corrispettivo del mancato compimento
dell'atto del proprio ufficio, avviando così
la contrattazione illecita tipica della
fattispecie corruttiva» (articolo ItaliaOggi del 17.11.2011). |
EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI: Appalto
di manodopera, la Cassazione chiarisce.
L'argomento relativo all'appalto illegale di
manodopera nell'ambito della contrattazione
privata è sempre di attualità.
Interessante si presenta sul tema la lettura
della sentenza 15.07.2011 n. 15615
della Cassazione.
In tema di interposizione nelle prestazioni
di lavoro l'esercizio di un potere di
controllo da parte del committente è
compatibile con un regolare contratto di
appalto e, sotto questo profilo, può
ritenersi legittima la predeterminazione da
parte del committente anche delle modalità
temporali e tecniche di esecuzione del
servizio o dell'opera oggetto dell'appalto
che dovranno essere rispettate
dall'appaltatore, con la conseguenza che non
può ritenersi sufficiente ai fini della
configurabilità di un appalto fraudolento la
circostanza che il personale dell'appaltante
impartisca disposizioni agli ausiliari
dell'appaltatore, occorrendo verificare se
le disposizioni impartite siano
riconducibili al potere direttivo del datore
di lavoro, in quanto inerenti a concrete
modalità di svolgimento delle prestazioni
lavorative, oppure al solo risultato di tali
prestazioni, il quale può formare oggetto di
un genuino contratto di appalto.
Tanto richiamato, ferma la ratio legis che
sottende la disciplina di cui al dlgs n.
276/2003 e l'autonomia e la specificità
degli istituti ivi previsti rispetto alle
disposizioni previgenti abrogate dal
medesimo dlgs e alle disposizioni del codice
civile, l'interprete può, tutt'ora,
rinvenire nei principi sopra richiamati
alcuni parametri significativi al fine della
verifica della ricorrenza o meno di un
contratto di appalto attraverso il quale si
intenda eludere le disposizioni che
disciplinano il mercato del lavoro.
Nella fattispecie in esame, la Corte di
appello di Torino aveva accolto il ricorso
in appello proposto da un lavoratore che
aveva domandato l'accertamento della
sussistenza di un rapporto di lavoro in capo
alla committente ai sensi dell'art. 29,
comma 3-bis, del dlgs n. 276/2003,
nell'ambito di un contratto di appalto,
avente ad oggetto servizi informatici, che
prevedeva lo svolgimento dell'attività
lavorativa dei dipendenti della società
appaltatrice presso la struttura della
committente, con mezzi materiali propri
della committente e in gruppi di lavoro
formati anche dai dipendenti della società
committente.
La sentenza della Corte ha poi confermato la
sentenza d'appello
(articolo ItaliaOggi del 18.11.2011). |
AGGIORNAMENTO AL 17.11.2011 |
ã |
A V V I S O |
Come saprete, il novellato comma 2-ter
dell'art. 34 del DPR n. 380/2011 così
recita:
"Art.
34 (L) - Interventi eseguiti in parziale
difformità dal permesso di costruire.
1. Gli interventi e le opere realizzati in
parziale difformità dal permesso di
costruire sono rimossi o demoliti a cura e
spese dei responsabili dell'abuso entro il
termine congruo fissato dalla relativa
ordinanza del dirigente o del responsabile
dell’ufficio. Decorso tale termine sono
rimossi o demoliti a cura del comune e a
spese dei medesimi responsabili dell'abuso.
2. Quando la demolizione non può avvenire
senza pregiudizio della parte eseguita in
conformità, il dirigente o il responsabile
dell’ufficio applica una sanzione pari al
doppio del costo di produzione, stabilito in
base alla legge 27.07.1978, n. 392, della
parte dell'opera realizzata in difformità
dal permesso di costruire, se ad uso
residenziale, e pari al doppio del valore
venale, determinato a cura della agenzia del
territorio, per le opere adibite ad usi
diversi da quello residenziale.
2-bis. Le disposizioni del presente articolo
si applicano anche agli interventi edilizi
di cui all'articolo 22, comma 3, eseguiti in
parziale difformità dalla denuncia di inizio
attività.
(comma
aggiunto dal d.lgs. n. 301 del 2002)
2-ter. Ai fini dell’applicazione del
presente articolo, non si ha parziale
difformità del titolo abilitativo in
presenza di violazioni di altezza,
distacchi, cubatura o superficie coperta che
non eccedano per singola unità immobiliare
il 2 per cento delle misure progettuali.
(comma
introdotto dall'articolo 5, comma 2, lettera
a), legge n. 106 del 2011).".
Orbene, l'interpretazione e l'applicazione di questo "benedetto"
2 per cento sta creando non pochi problemi
agli addetti ai lavori. Invero, abbiamo già
ricevuto alcune richieste di delucidazioni
in merito ...
E allora, abbiamo investito della questione il nostro
legale di fiducia il quale, però, essendo
già al lavoro da alcuni giorni per dirimere
alcune controversie gradirebbe conoscere, al
fine di poter redigere il proprio pensiero
in maniera esaustiva (che sarà pubblicato su
questo Portale), gli elementi di criticità
applicativa.
In altre parole, se avete da porre quesiti specifici
sull'interpretazione ed applicazione del
comma 2-ter di cui sopra lo potete fare
inviandoci una mail
cliccando qui
entro e non oltre lunedì 21.11.2011.
Grazie per la collaborazione.
17.11.2011 - LA SEGRETERIA PTPL |
GURI - GUUE -
BURL (e anteprima) |
AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA:
B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 46 del
16.11.2011, "Pubblicazione ai sensi
dell’art. 5 del regolamento regionale
21.01.2000, n. 1 dell’elenco dei “Tecnici
competenti” in acustica ambientale
riconosciuti dalla Regione Lombardia alla
data del 27 ottobre 2011, in attuazione
dell’art. 2, commi 6 e 7 della legge
26.10.1995, n. 447, della deliberazione
17.05.2006, n. 8/2561 e del decreto
30.05.2006, n. 5985" (comunicato
regionale 09.11.2011 n. 126). |
ATTI AMMINISTRATIVI - ENTI LOCALI:
G.U. 16.11.2011 n. 267 "Comunicazioni con
strumenti informatici tra imprese e
amministrazioni pubbliche, ai sensi
dell’articolo 5-bis del Codice
dell’amministrazione digitale, di cui al
decreto legislativo 07.03.2005, n. 82 e
successive modificazioni" (D.P.C.M.
22.07.2011). |
QUESITI &
PARERI |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Dove sono stabiliti modalità e importi delle
garanzie finanziarie che devono essere
prestate a favore dello Stato dai
commercianti e intermediari dei rifiuti
senza detenzione dei rifiuti stessi?
(16.11.2011 - link a
www.ambientelegale.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Quali sono le modalità di rinnovo per le
imprese iscritte alle cat. 2 e 3 dell’Albo,
abrogate in seguito all’entrata in vigore
del D.Lgs. n. 205/2010? (16.11.2011
- link a www.ambientelegale.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Quali sono i tempi e modalità per
l’aggiornamento delle iscrizioni al
trasporto in conto proprio dei rifiuti?
(16.11.2011 - link a
www.ambientelegale.it). |
APPALTI:
Criterio dell'offerta economicamente più
vantaggiosa. Stazione appaltante, no
all'elezione diretta di un professionista.
Domanda.
Questo Comune ha indetto una procedura per
l'affidamento di un appalto di lavori da
assegnare con il criterio dell'offerta
economicamente più vantaggiosa. Dovendosi
nominare la Commissione giudicatrice, ci
siamo posti il problema se, per velocizzare
il sub-procedimento di nomina, e' possibile
interpellare un professionista -esperto
nella materia oggetto dell'appalto- con il
quale l'Amministrazione ha avuto e ha in
corso proficui rapporti di consulenza.
Risposta.
Come si sa, l'art. 84, comma 8, D.Lgs.
12-04-2006, n. 163 e s.m.i. prevede che: "8.
I commissari diversi dal presidente sono
selezionati tra i funzionari della stazione
appaltante. In caso di accertata carenza in
organico di adeguate professionalità, nonché
negli altri casi previsti dal regolamento in
cui ricorrono esigenze oggettive e
comprovate, i commissari diversi dal
presidente sono scelti tra funzionari di
amministrazioni aggiudicatrici di cui
all'art. 3, comma 25, ovvero con un criterio
di rotazione tra gli appartenenti alle
seguenti categorie:
a) professionisti, con almeno dieci anni di
iscrizione nei rispettivi albi
professionali, nell'ambito di un elenco,
formato sulla base di rose di candidati
fornite dagli ordini professionali;
b) professori universitari di ruolo,
nell'ambito di un elenco, formato sulla base
di rose di candidati fornite dalle facoltà
di appartenenza.
9. Gli elenchi di cui al comma 8 sono
soggetti ad aggiornamento almeno biennale."
Secondo l'orientamento giurisprudenziale più
recente, la corretta applicazione di questa
norma esclude che la stazione appaltante
possa fare luogo a elezione diretta di un
professionista, sia pure in possesso dei
requisiti e delle capacità professionali
richiesti dall'art. 84, comma 2, D.Lgs. cit.
(in questo senso, da ultimo, TAR Lazio-Roma
Sez. II-ter, 27.05.2011, n. 4810, che ha
giudicato illegittima la scelta come
professionista esterno in Commissione di un
avvocato, nella qualità di esperto in
appalti, effettuata senza la preventiva
richiesta all'Ordine degli avvocati di una
rosa di candidati e la conseguente
formazione di un apposito elenco dal quale
attingere).
La risposta al quesito, pertanto, deve
ritenersi negativa, in ossequio
all'orientamento giurisprudenziale più
recente (15.11.2011 - tratto da
www.ipsoa.it). |
AGGIORNAMENTO AL 16.11.2011 |
ã |
dite la vostra
... RICEVIAMO E PUBBLICHIAMO |
URBANISTICA:
E' lecito offrire al comune somme
di denaro e/o opere di interesse pubblico in
cambio della destinazione fabbricabile di
alcuni terreni?
Spettabile Redazione sito PTPL,
ho partecipato in data 02.11.2011 al vostro
convegno i cui relatori erano l’Avv. Mario
VIVIANI (Avvocato amministrativista in
Milano) e l’Avv. Attilio Antonio CILLARIO
(Avvocato penalista in Milano).
Tra gli altri, uno degli argomenti trattati
dal convegno è stato quello sintetizzabile
nella domanda “è lecito offrire al comune
somme di denaro e/o opere di interesse
pubblico in cambio della destinazione
fabbricabile di alcuni terreni?”
Devo subito dire che -secondo me- la
risposta è ...
(...
continua
cliccando qui)
(15.11.2011
- roberto pagliaro - responsabile UT comune
del bergamasco). |
DOTTRINA E
CONTRIBUTI |
URBANISTICA: L.
Spallino,
Lombardia, Esiti della mancata approvazione
dei PGT al 31.12.2012
(link a www.studiospallino.it). |
PUBBLICO IMPIEGO:
M. Catellani,
I
COMPENSI ISTAT PER IL CENSIMENTO: ATTENZIONE
AI RICORDI DEL PASSATO
(tratto
dalla newsletter di www.publika.it n. 45 -
novembre 2011). |
AMBIENTE-ECOLOGIA -
EDILIZIA PRIVATA:
G. Forleo,
La disciplina delle terre e rocce da scavo
alla luce del D.L.vo n. 205/2010
(link a www.lexambiente.it). |
SINDACATI |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO:
EE.LL.: Costituzione del fondo
per le risorse decentrate - I residui
dell'anno precedente
(CGIL-FP di Bergamo,
nota 14.11.2011). |
NOTE,
CIRCOLARI E COMUNICATI |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO:
Oggetto: art. 9, D.Lgs. n. 124/2004 –
utilizzo lavoro accessorio ex art. 70,
D.Lgs. n. 276/2003 (... problematica
afferente alla possibilità da parte degli
Enti medesimi di utilizzare lavoratori, ex
dipendenti di Enti locali, collocati a
riposo con pensione di anzianità da meno di
5 anni, per l’espletamento di attività a
carattere “accessorio”).
---------------
Lavoro accessorio.
Il Ministero del Lavoro e delle Politiche
Sociali, con
nota
11.11.2011 n. 37/0005092 di prot., risponde alla richiesta di
interpello (n. 44/2011) dell'ANCI in merito
all'utilizzo del lavoro accessorio (ex art.
70 D.Lgs. 276/2003) da parte delle Pubbliche
Amministrazioni. |
GURI - GUUE -
BURL (e anteprima) |
URBANISTICA:
B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 46 del
15.11.2011, "Modalità per
l’individuazione di esperienze positive in
tema di uso razionale del suolo e recupero
del patrimonio edilizio esistente" (deliberazione
G.R. 09.11.2011 n. 2477). |
ENTI LOCALI - VARI: G.U.
14.11.2011 n. 265, suppl. ord. n. 234/L, "Disposizioni
per la formazione del bilancio annuale e
pluriennale dello Stato (Legge di stabilità
2012)"
(Legge
12.11.2011 n. 183). |
APPALTI - VARI: G.U.
14.11.2011 n. 265 "Norme per la tutela
della libertà d’impresa. Statuto delle
imprese" (Legge
11.11.2011 n. 180).
---------------
L'ENNESIMA MODIFICA AL CODICE DEI
CONTRATTI (D.Lgs. 163/2006): si legga, al
riguardo, l'art. 12 ed anche l'interessante
art. 13. |
DIPARTIMENTO
FUNZIONE PUBBLICA |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: P.a.,
premi ai bravi.
Vanno certificati gli obiettivi raggiunti.
Circolare di Brunetta sul dividendo di efficienza.
Prendono corpo le risorse da destinare alla
contrattazione integrativa degli statali,
tra cui quelle destinate a premiare la
qualità della performance individuale,
prevista dalla riforma Brunetta del pubblico
impiego. Ma affinché si possano utilizzare a
tal fine i risparmi conseguiti, le
amministrazioni dovranno accertare, a
consuntivo, il raggiungimento dell'obiettivo
fissato nel piano triennale di
razionalizzazione della spesa, per ciascuna
delle singole voci di spesa ivi previste.
E'
quanto rende noto la
circolare
11.11.2011 n. 13 della
funzione pubblica, resa nota sabato scorso
sul sito dello stesso dipartimento di
Palazzo Vidoni, con cui si disciplina il
cosiddetto «dividendo dell'efficienza».
La
normativa vigente, infatti, ovvero
l'articolo 61, comma 17, del dl n. 112/2008 e
l'articolo 16, commi 4 e 5, del dl n.
98/2011, offrono delle «opportunità» alle
amministrazioni statali, per ottenere
risorse concrete da destinare ai propri
dipendenti dalla razionalizzazione e dal
contenimento della spesa. In linea generale,
c'è un ampio ventaglio che le stesse p.a.
possono sfruttare, al fine di incrementare
le risorse dedicate alla contrattazione
integrativa, così da «compensare» il
perdurante blocco delle risorse destinate al
pubblico impiego.
Da questi presupposti, la circolare precisa
che la base di fondo è quanto sancito al
predetto articolo 61 dl n. 12/2008, ovvero
l'istituzione di un fondo cui affluiscono le
risorse scaturenti dalle riduzioni di spesa
per gli apparati amministrativi e le
maggiori entrate previste tra le pieghe del
citato dl, una cui parte deve alimentare la
contrattazione integrativa.
Inoltre, ad
incrementare parte di detto fondo,
intervengono, grazie alla manovra correttiva
del 2010, le risorse provenienti dalla
riduzione di alcuni costi sostenuti dalle
p.a., ovvero la partecipazione agli organi
collegiali, le indennità ed i gettoni di
presenza, nonché le riduzioni in materia di
spesa annua per studi e consulenze. Ma le
stesse amministrazioni possono conseguire
ulteriori risparmi che «non andranno
perduti». Infatti, per effetto dell'articolo
16 della prima manovra correttiva di
quest'anno, questi possono essere destinati
al finanziamento della contrattazione
integrativa.
Su questo punto, le maggiori
economie possono ricavarsi dai piani
triennali di razionalizzazione e
riqualificazione della spesa, dalle misure
in materia di semplificazione e
digitalizzazione, dai risparmi derivati dal
blocco delle assunzioni, dalle riduzioni in
materia di utilizzo della auto blu, nonché
dalla riduzione dei costi della politica. Se
la p.a. raggiunge ulteriori economie di
spesa, allora, in sede di rendicontazione
annuale ne destina, al massimo, il 50% alla
contrattazione integrativa, ma di questo
importo, la metà deve andare all'erogazione
dei premi per la qualità della prestazione
individuale previsti dalla riforma Brunetta
(il dlgs n. 150/2009), la restante somma
deve essere riversata all'erario, ai fini
del miglioramento dei saldi di finanza
pubblica.
C'è una precisazione, però, che il documento
di Renato Brunetta sottolinea espressamente.
Ovvero, che le economie conseguite sono
utilizzabili solo se le amministrazioni
interessate, a consuntivo e per ogni
esercizio finanziario, accertano che gli
obiettivi fissati (e i relativi risparmi)
sono stati raggiunti «per ciascuna delle
singole voci di spesa previste nei piani
triennali di razionalizzazione della spesa»
(articolo ItaliaOggi del 15.11.2011 - tratto da
www.corteconti.it). |
NEWS |
ATTI AMMINISTRATIVI - ENTI LOCALI - PUBBLICO
IMPIEGO: Il ritardo della p.a. va
risarcito.
Non un semplice indennizzo per il mancato
rispetto dei termini. Brunetta lascia in
dote il codice della pubblica
amministrazione. Concorsi senza firme autenticate.
Non sarà un indennizzo, ma un vero e proprio
risarcimento del danno quello che la
pubblica amministrazione dovrà pagare ai
cittadini quando non osserverà il termine di
conclusione del procedimento, fissato al
massimo in 90 giorni. E il diritto a
ricevere il pagamento scatterà non solo in
presenza di dolo, ma anche in caso di
inosservanza colposa del termine.
Il principio, sancito nella legge di
semplificazione n. 69/2009, entra di diritto
nel
nuovo codice della pubblica
amministrazione, l'opera omnia che il
ministro della funzione pubblica, Renato
Brunetta, ha lasciato come ultimo atto della
proprio dicastero. In 163 pagine e 262
articoli il provvedimento racchiude in
un'unica codificazione tutta la
legislazione, spesso alluvionale,
accumulatasi negli anni in materia di p.a.
Con evidenti risparmi di tempo per cittadini
e imprese.
Il codice è suddiviso in quattro
libri: principi fondamentali, attività
amministrativa, lavoro alle dipendenze delle
p.a., disposizioni finali e abrogazioni.
Toccherà al prossimo inquilino di palazzo Vidoni portare il decreto legislativo
all'approvazione definitiva, visto che il
testo licenziato venerdì scorso dal
penultimo consiglio dei ministri del governo
Berlusconi è solo uno schema di dlgs che
dovrà ancora ricevere i pareri previsti.
Il provvedimento lega a doppio filo la
tutela dei diritti lesi dal silenzio delle
pubbliche amministrazioni con il codice del
processo amministrativo, anch'esso approvato
dal consiglio dei ministri di venerdì scorso
(si veda ItaliaOggi del 12/11/2011).
Oltre a legittimare il diritto al
risarcimento del danno nei confronti del
cittadino, la mancata adozione del
provvedimento nei termini previsti sarà
oggetto di valutazione disciplinare per il
dirigente. Che dunque risponderà in prima
persona per i ritardi degli uffici di sua
competenza.
Revoca del provvedimento. Le pubbliche
amministrazioni dovranno mettere mano al
portafoglio non solo in caso di inosservanza
dei termini, ma anche in caso di revoca di
un atto. In questo caso però il codice della
p.a. non parla di risarcimento ma di
«indennizzo» che dovrà essere corrisposto ai
destinatari del provvedimento originario.
L'indennizzo sarà parametrato al solo danno
emergente (non dunque al lucro cessante,
ossia il mancato guadagno).
Scia. Il codice recepisce anche le ultime
novità in materia di segnalazione
certificata di inizio attività introdotta
dalla manovra correttiva 2010 (dl 78/2010).
Sarà sostituito da una semplice segnalazione
dell'interessato ogni provvedimento di
autorizzazione, licenza, permesso o nulla
osta (comprese le domande per le iscrizioni
in albi o ruoli per l'esercizio di attività
imprenditoriale, commerciale, professionale
o artigianale) il cui rilascio dipenda
esclusivamente dall'accertamento di
requisiti e presupposti stabiliti dalla
legge e non sia soggetto ad alcun
contingente complessivo.
Concorsi senza autentica di firma. Un'altra
semplificazione non da poco sarà l'esonero
dall'autentica della firma per le domande di
partecipazione ai concorsi pubblici. Niente
autentica anche per gli esami di
abilitazione o diploma.
Acquisizione d'ufficio di informazioni.
Infine, il dlgs recepisce le ultime novità
in materia di autocertificazione introdotte
dalla legge di stabilità (n. 183/2011,
pubblicata ieri in Gazzetta Ufficiale). Le
amministrazioni pubbliche non potranno
richiedere atti o certificati quando le
informazioni sono già in loro possesso.
Saranno obbligate ad acquisirle d'ufficio,
ma il cittadino dovrà indicare chiaramente
dove reperirle. In alternativa, le p.a.
saranno sempre tenute ad accettare le
autocertificazioni
(articolo ItaliaOggi del 15.11.2011 - tratto da
www.corteconti.it). |
PUBBLICO IMPIEGO - VARI: Ricetta
cartacea, l'addio nel 2012. In Gazzetta le
linee guida del Mef.
Entro settembre 2012 diremo addio alla
tradizionale ricetta medica cartacea e un
benvenuto a quella in formato elettronico.
Sono state infatti definite dal decreto
02.11.2011 del Mineconomia (sulla G.U. di
sabato 12 novembre), le linee guida per la
dematerializzazione della ricetta medica
cartacea, così come prevede l'articolo 11,
comma 16, del dl n. 78/2010.
La parola
d'ordine, pertanto, è l'accelerazione del
conseguimento dei risparmi che si otterranno
grazie alla trasmissione telematica delle
ricette mediche. E su questo punto, il dm in
esame già mette nero su bianco le modalità
operative che interesseranno i medici prescrittori e le strutture di erogazione
dei servizi sanitari, secondo un corposo
protocollo allegato al dm stesso. In tutto
questo, il Mineconomia renderà a breve
disponibile, per le regioni e le Asl, nonché
ai medici convenzionati con il servizio
sanitario nazionale, la piattaforma dei
servizi telematici necessaria per l'invio
online.
Seguiamo l'iter di generazione di
una ricetta medica telematica. Il medico
proscrittore, al momento della generazione
della ricetta elettronica, invia al Sistema
di accoglienza centrale (Sac) del
Mineconomia i dati della stessa, comprensivi
del Numero di ricetta elettronica (Nre), del
codice fiscale dell'assistito titolare della
prescrizione e del codice di eventuale
esenzione dalla compartecipazione dalla
spesa sanitaria. Se il sistema risponde con
esito positivo, il medico proscrittore
rilascia al soggetto assistito un promemoria
cartaceo. Se, invece, il sistema non
accoglie la richiesta, il medico segnala
tale anomalia al Sistema tessera sanitaria,
provvedendo a compilare tradizionalmente la
ricetta medica, utilizzando il bollettario
standard. Il passo successivo si manifesta
all'atto dell'utilizzazione, da parte
dell'assistito, della ricetta elettronica.
Qui, la struttura di erogazione dei servizi
sanitari «preleva» (sempre in ambito
telematico) dal sistema di accoglienza
centrale, la ricetta elettronica nonché il
promemoria che l'assistito stesso ha
presentato alla struttura. Una volta
completata la prestazione, la stessa
struttura invia le informazioni
sull'erogazione della prestazione,
provvedendo, altresì, alla sua
rendicontazione in apposito archivio
informatico
(articolo ItaliaOggi del 15.11.2011 - tratto da
www.ecostampa.it). |
INCARICHI PROFESSIONALI: LA
LEGGE DI STABILITÀ/ La tariffa ora è un affare privato.
Gli ordini non potranno più vigilare sui
professionisti. I compensi saranno
determinati seguendo solo la legge del mercato.
Addio istruttorie, richiami, sanzioni
disciplinari. Le tariffe diventano un affare
privato tra professionista e cliente, con
buona pace degli ordini.
La nuova
rivoluzione, per il comparto, è contenuta in
due righe al comma 12 dell'art. 4-septies
del maxiemendamento alla legge di stabilità,
dove si prevede la soppressione [dall'art.
3, comma 5, lettera d), della legge n.
148/2011] delle parole: «prendendo come
riferimento le tariffe professionali. È
ammessa la pattuizione dei compensi anche in
deroga alle tariffe». E quindi di qualsiasi
riferimento a vincoli o riferimenti degli
ordini professionali. D'altra parte, il
cambiamento, per i professionisti, era già
in atto da tempo: dal decreto Bersani del
2006 che aveva sdoganato i minimi tariffari.
E da cinque anni sta andando avanti la lotta
degli ordini nei confronti di quelle
iniziative che, a loro dire, non rispettano
il livello di decoro minimo della
prestazione professionale.
L'ultima
frontiera è stata raggiunta proprio nei
giorni scorsi con il «caso Groupon» (si veda
ItaliaOggi dell'8 novembre scorso), con da
una parte il moltiplicarsi di medici,
architetti e ingegneri che propongono visite
specialistiche e certificazioni a prezzi
stracciati, dall'alt tra gli ordini di
riferimento che hanno intrapreso iniziative
di contrasto e denunce all'Antitrust.
Ebbene, da oggi presumibilmente le categorie
dovranno deporre le armi e i professionisti
sottostare alla sola legge del mercato. Ma
vediamo nel dettaglio tutte le novità e cosa
cambia nel rapporto professionista-cliente.
Il conferimento dell'incarico.
Professionista e cliente contratteranno il
compenso della prestazione in maniera
totalmente libera. Il tariffario, approvato
dal ministero della giustizia, non avrà
valore nemmeno come punto di riferimento.
Tranne in caso di mancata determinazione
consensuale del compenso, quando il
committente è un ente pubblico, in caso di
liquidazione giudiziale dei compensi, ovvero
nei casi in cui la prestazione è resa
nell'interesse dei terzi. Altrimenti, gli
obblighi del professionista, nei confronti
del cliente, contenuti nella legge di
stabilità consistono nel comunicare: il
livello di complessità dell'incarico, tutte
le informazioni utili riguardo gli oneri
ipotizzabili dal momento del conferimento
alla conclusione dell'incarico, gli estremi
della polizza stipulata per la
responsabilità professionale e il relativo
massimale.
Già, perché con la legge di
stabilità il professionista è tenuto a
stipulare idonea assicurazione per i rischi
derivanti dall'esercizio dell'attività
professionale. Le condizioni generali delle
polizza possono essere negoziate, in
convenzione con i propri iscritti, dai
Consigli nazionali e dagli enti
previdenziali dei professionisti.
Società fra professionisti. L'altra novità
prevista dal maxiemendamento (ma in linea
con le altre bozze circolate nei giorni
scorsi) riguarda le società tra
professionisti. L'esercizio delle attività
intellettuali potrà avvenire tramite società
partecipate non solo da professionisti
iscritti a ordini, albi e collegi (purché in
possesso del titolo di studio abilitante) ma
anche da soggetti non professionisti
soltanto per prestazioni tecniche o con una
partecipazione minoritaria, o per finalità
di investimento. Viene fissato poi in sei
mesi il tempo in cui il ministro dello
sviluppo economico dovrà adottare un
regolamento per disciplinare la materia.
Riforma delle professioni. Entro 12 mesi,
infine, verrà approvato il restyling del
comparto professionale. Restano invariati i
principi da seguire e già indicati nella
manovra di fine agosto: difesa dell'esame di
stato, libertà di accesso agli ordini,
istituzione di un equo compenso per i
tirocinanti ecc.
(articolo ItaliaOggi
Sette del 14.11.2011). |
ATTI AMMINISTRATIVI: LA
LEGGE DI STABILITÀ/ Fondo spese ad hoc per il caro-liti. Aumento generalizzato per
le controversie, a prescindere dal valore.
La causa civile è un investimento.
L'incremento del contributo unificato e cioè
della somma che bisogna versare allo stato
per iniziare una causa fa lievitare il fondo
spese che bisogna preventivare per fruire
del sistema giustizia. Peraltro il costo
della singola controversia non contempla
solo la voce del contributo unificato,
dovendosi aggiungere una serie di altre
poste: spese per la notificazione degli
atti, diritti di copia degli atti, imposta
di registro sulle sentenze. Anche il costo
della mediazione, se non ha successo,
diventa un costo aggiuntivo. Così come lo
sono eventuali sanzioni per scelte
processuali che si rivelano poco favorevoli
(chiedere la sospensione di una sentenza di
primo grado) o sanzioni per omissioni negli
atti difensivi (mancata indicazione di pec e
fax dell'avvocato).
Il cumulo degli oneri raggiunge cifre
considerevoli e non solo per i processi di
valore alto. Questo l'effetto combinato
delle modifiche al testo unico delle spese
di giustizia (dlgs 115/2002) apportate da
vari decreti legge (decreto 78/2010 e
98/2011) e dalla legge di stabilità.
Proporre una domanda contro chi ci ha citati
in giudizio costa, dunque, molto più di
prima. E grazie al pacchetto giustizia
contenuto nella legge di stabilità costerà
molto di più proporre una domanda
riconvenzionale. Per avanzare la quale si
dovrà pagare il contributo unificato pieno,
mentre fino a oggi versava solo una
integrazione rispetto a quanto già versato
dal suo avversario.
A bene vedere lo stato per una causa nella
quale si propone una domanda riconvenzionale
incassa due volte il contributo per la quota
di valore comune alle due domande e in più
incassa il contributo unificato per la parte
eccedente.
Appello e Cassazione. Il contributo
unificato per i giudizi di impugnazione è
aumentato del 50% e quello per i giudizi in
cassazione è aumentato del 100%. Questo per
effetto dell'inserimento del comma 1 bis
all'articolo 13 del Testo unico delle spese
di giustizia (dpr 115/2002). Tra l'altro
questi ulteriori aumenti si applicano su
importi già aumentati. L'effetto combinato
di questi aumenti porta a risultati
eccezionali: se fino ad agosto 2010 per un
appello su una causa di valore di 50 mila
euro si pagavano 310 euro, dopo la legge di
stabilità se ne devono pagare 675 e per la
cassazione addirittura 900. Un innalzamento
esponenziale che non pare giustificato dal
fatto che ci si trova in differenti gradi di
giudizio. Così come non appare ragionevole
ritenere conforma alla costituzione
disincentivare dal proporre impugnazioni. Se
ci sono tre gradi di giudizi non è
ragionevole tenere lontano con disincentivi
economici i cittadini dal secondo e dal
terzo grado.
Il risultato della legge di stabilità è che
più si va avanti nei gradi di giudizio più
si paga. Certo avere meno appelli avrà il
significato di ridurre il carico e
l'arretrato, ma si dubita che ciò sia
compatibile con l'articolo 24 della
costituzione. La novità dell'aumento del
contributo unificato per secondo e terzo
grado di giudizio ha efficacia anche alle
controversie pendenti nelle quali il
provvedimento impugnato sarà pubblicato o
depositato successivamente alla entrata in
vigore della legge di stabilità.
Domande riconvenzionali.
Nel corso del processo civile in alcuni casi
è ammesso che le parti modifichino la
propria domanda o replichino alla domanda
formulate contro di loro proponendo una
domanda contro l'avversario (domanda
riconvenzionale).
La modifica della domanda e la domanda
riconvenzionale possono aumentare il valore
della causa, nel senso che si chiede, ad
esempio, la condanna a pagare un importo
maggiore di quello originario o maggiore di
quello che reciprocamente ha chiesto il
proprio avversario. Il valore della
controversia è ovviamente la base di calcolo
per determinare contributo unificato da
versare. Per esempio la società X fa causa
alla società Y chiedendo al giudice la
condanna a pagare 100 mila euro, ma la
società Y si difende, negando di dover
pagare e anzi contrattacca e chiede un
risarcimento del danno di 300 mila euro.
La legge di stabilità aumenta il contributo
dovuto per domande modificate e
riconvenzionali. Nell'impianto originario
del Testo Unico delle spese di giustizia,
sviluppando l'esempio, la società X pagava
il contributo dovuto per il valore di 100
mila euro (e quindi 660 euro) e che la
società Y, a fronte della domanda
riconvenzionale, dovesse integrare il
contributo per la parte eccedente il valore
di 100 mila euro (fino a coprire il
contributo dovuto per il valore di 300 mila
euro), pagando 396 euro (così da arrivare a
1056 euro, importo del contributo per le
controversie di valore da 260 mila a 520
mila euro. Quindi in ogni caso la se la
domanda riconvenzionale o modificata
comportava un aumento del valore della
causa, era dovuta solo un'integrazione per
l'eccedenza.
La legge di stabilità mantiene questa regola
solo in un caso e cioè per la parte che per
prima si costituisce in giudizio, che
deposita il ricorso introduttivo, o che, nei
processi esecutivi di espropriazione
forzata, fa istanza per l'assegnazione o la
vendita dei beni pignorati; fissa, invece,
per le altre parti una regola più onerosa:
le altre parti, quando modificano la domanda
o propongono domanda riconvenzionale o
formulano chiamata in causa o svolgono
intervento autonomo, sono tenute a farne
espressa dichiarazione e a procedere al
contestuale pagamento di un autonomo
contributo unificato, determinato in base al
valore della domanda proposta. Nell'esempio
la società Y deve pagare un contributo
unificato di euro 1.056 per il valore di 300
mila euro (e non solo un'integrazione per la
quota eccedente i 100 mila euro).
In sostanza per quella causa il contributo
per il valore di 100 mila euro è pagato due
volte e in più si paga il differenziale per
le cause di valore pari a 300 mila euro. Nel
vecchio sistema lo stato incassava 1.056
euro, versati in parte dalla società X e in
parte dalla società Y. Con il nuovo sistema
lo stato incassa 1.716 euro (articolo ItaliaOggi
Sette del 14.11.2011). |
ENTI LOCALI: LA
LEGGE DI STABILITÀ/ Vendonsi immobili per ripianare i
conti. Si è messa in moto
l'operazione di cessione dei fabbricati pubblici.
Mattone pubblico in vendita per risanare i
conti. E anche i terreni agricoli di
proprietà statale, con prelazione ai giovani
imprenditori.
I tempi sono piuttosto
serrati: pochi mesi per individuare i
cespiti da dismettere, qualcuno in più per
individuare e/o costituire le società alle
quali trasferire gli immobili. La macchina
disciplinata dagli articoli 4-ter e 4-quater
della legge di stabilità è già partita.
Immobili pubblici. La cessione di immobili
dello stato non residenziali, carceri
inutilizzate e caserme prevede l'emanazione
del primo dpcm di individuazione entro
aprile 2012. Una volta che i fabbricati
saranno stati inglobati dal patrimonio dei
fondi immobiliari e delle società
individuate dal Mef, sarà effettuata la
vendita delle quote/azioni. In prima
battuta, il collocamento dei titoli avverrà
tramite offerta pubblica. Gli investitori
potranno corrispondere il prezzo anche
pagando in titoli di stato.
Destinazione introiti. Il ricavato delle
dismissioni sarà indirizzato alla riduzione
del debito pubblico. In particolare, qualora
le cessioni abbiano interessato soltanto
immobili liberi, i relativi proventi saranno
versati al Fondo per l'ammortamento dei
titoli di stato. Negli altri casi, invece, i
predetti dm prevedranno l'attribuzione dei
proventi all'Agenzia del demanio, che dovrà
investirli sul mercato in titoli di stato da
detenere fino a scadenza.
Regime fiscale. La legge di stabilità
disciplina anche il trattamento tributario
applicabile ai fondi o alle società che
prenderanno parte alla dismissione. Si
tratta del regime fiscale previsto per le
società di investimento immobiliare quotate
(Siiq), recato dall'articolo 1, comma 134
della legge n. 296/2006. La valutazione dei
beni conferiti o trasferiti sarà effettuata
gratuitamente dall'Agenzia del territorio.
Immobili all'estero. La politica di
dismissione non lascia fuori neppure i
fabbricati statali oltreconfine, per i quali
è prevista una procedura semplificata:
trattativa privata e eventualmente anche in
deroga al parere della Commissione immobili
della Farnesina. La stima del valore di
mercato potrà essere effettuata avvalendosi
di soggetti abilitati del luogo. I contratti
di vendita, però, saranno assoggettati al
controllo preventivo di legittimità della
Corte dei conti.
Terreni agricoli. Una delle novità previste
dalla legge di stabilità riguarda la
dismissione in favore dei privati dei
terreni statali a vocazione agricola non
utilizzabili per altre finalità
istituzionali (si vedano altri servizi a
pagina7). Il ministero delle politiche
agricole dovrà individuare quelli vendibili
entro la fine di marzo 2012. Restano esclusi
anche in questo caso i terreni ricompresi
negli elenchi predisposti ai sensi del dlgs
n. 85/2010 e quelli di proprietà di enti
pubblici nazionali.
Imprenditoria giovanile. Nella procedura di
alienazione dei terreni viene previsto un
diritto di prelazione in favore dei giovani
imprenditori agricoli (18-35 anni). Laddove
entro cinque anni si registri un cambio di
destinazione urbanistica e un conseguente
aumento del valore del terreno, allo stato
andrà il 75% dell'incremento rispetto al
prezzo di vendita. Previsto un decreto
attuativo del Mipaaf
(articolo ItaliaOggi
Sette del 14.11.2011 - tratto da
www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI: LA
LEGGE DI STABILITÀ/ Dismissione terreni con condizione. Il cessionario deve allo
Stato il 75% del maggior valore se cambia qualifica.
Il cessionario retrocede allo Stato il 75%
del maggior valore rilevato del terreno di
proprietà pubblica dismesso se, nel
quinquennio successivo alla prima
alienazione, risulta variata la destinazione
urbanistica del fondo ceduto.
Questa la condizione inserita all'interno
del comma 2, dell'art. 4-quater del
maxiemendamento al disegno di legge di
stabilità, avente a oggetto le disposizioni
in materia di dimissioni di terreni «a
vocazione» agricola.
La norma è finalizzata alla più generale
fase di dismissione dei beni pubblici,
destinata alla riduzione del debito
pubblico, come indicato al comma 5
dell'articolo in commento.
In sostanza, il ministero delle politiche
agricole, alimentari e forestali, di
concerto con quello dell'economia e delle
finanze, con appositi decreti di natura non
regolamentare, procederà a identificare i
terreni a destinazione agricola (si parla
semplicemente di «vocazione» agricola) di
proprietà dello Stato e che lo stesso non
utilizza in proprio per finalità
istituzionali, purché non ricompresi negli
elenchi di cui al dlgs n. 85/2000 (beni
statali attribuiti a titolo non oneroso a
città metropolitane, comuni, province e
regioni), da destinare alla dismissione.
L'alienazione avverrà a trattativa privata
se di valore inferiore a 400 mila euro o con
asta pubblica per quelli di valore pari o
superiore a detto importo, mentre
l'individuazione del fondo, che dovrà
avvenire nelle modalità indicate dai commi
3, 4 e 5, dell'art. 1, dl n. 351/2001
(disposizioni in materia di privatizzazione
e valorizzazione del patrimonio immobiliare
pubblico), produrrà l'effetto immediato di
trasferimento della proprietà in capo allo
Stato.
Peraltro, non risultando limitato né
l'ambito soggettivo né quello oggettivo,
qualsiasi interessato può tentare l'acquisto
e qualsiasi fondo può essere suscettibile di
cessione, con la necessità, prescritta dal
comma 3, dell'articolo in commento, che se
il terreno ricade in aree protette, di cui
alla legge 394/1991 (parchi e riserve
naturali), la cessione è condizionata al via
libera (assenso) del gestore della medesima
area.
Possono, inoltre, attuare la dismissione
nelle modalità in commento anche gli enti
locali (regioni, province e comuni) con
conferimento di un mandato irrevocabile
all'Agenzia del demanio, con riversamento
nelle casse statali degli introiti derivanti
dalla cessione, nettizzati dai costi e dagli
oneri sostenuti per la stessa vendita.
Una parte veramente interessante è da
ritenere quella inserita all'interno delle
disposizioni destinate a favorire
l'imprenditoria giovanile operante nel
comparto primario (agricoltura), cui viene
riconosciuto il diritto di prelazione, se
acquirenti in possesso di un'età compresa
tra i 18 e i 35 anni; detta agevolazione si
aggiunge alla possibilità, già esistente, di
concedere in godimento (affitto) i terreni
agricoli di proprietà pubblica, non
utilizzati per fini istituzionali.
Nel medesimo comma 2, il legislatore ha
inserito una clausola di salvaguardia a
favore dello Stato prevedendo che una volta
effettuata la dismissione dei terreni
agricoli e sopravvenuto un mutamento di
destinazione urbanistica dell'area (per
esempio, da agricola a edificabile) entro il
quinquennio dalla data di alienazione, il
cessionario, a prescindere da una possibile
vendita successiva, deve retrocedere una
quota pari al 75% del maggior valore
acquisito dal terreno rispetto al prezzo di
vendita; se, per esempio, il fondo viene
ceduto a 100 mila euro dall'ente ed entro i
cinque anni lo stesso terreno da agricolo
diventa edificabile e il valore, a
prescindere dalla ulteriore e possibile
vendita a cura del cessionario, viene
fissato a 200 mila euro, quest'ultimo deve
restituire 75 mila euro allo Stato
(200.000–100.000 = 100.000 x 75% = 75 mila).
Sul punto è opportuno evidenziare che,
stante la complessità dell'argomento e le
problematiche emergenti nella fase pratica
della dismissione, il legislatore ha già
previsto l'emanazione di un decreto di
attuazione, sia per disciplinare il rispetto
del diritto di prelazione a favore dei
giovani agricoltori che delle modalità di
ristorno del prezzo (e si auspica anche di
valorizzazione successiva) in presenza di
una variazione della destinazione
urbanistica del fondo che, di fatto, assume
una natura «virtualmente»
speculativa, ancorché limitatamente ai fini
temporali, in assimilazione a quanto
prescritto da talune disposizioni di natura
tributaria (lettera b, comma 1, art. 67, dpr
n. 917/1986) e ancorché, come più volte
indicato, il cessionario non proceda nella
rivendita; si tratta, di fatto, di un
aggiornamento (e recupero coatto statale)
dell'incremento del valore di cessione, per
effetto del maggior valore attribuito a un
terreno che potrà essere suscettibile,
soprattutto, di utilizzazione edificatoria
(articolo ItaliaOggi
Sette del 14.11.2011). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: LA
LEGGE DI STABILITÀ/ Dipendenti
pubblici sotto osservazione. Più fluido e veloce il
procedimento per dichiarare l'esubero.
Stop agli equivoci sul licenziamento nella
p.a. Il maxiemendamento alla legge di
stabilità ha modificato proprio la
disciplina del licenziamento dei dipendenti
pubblici, ma non si tratta né
dell'introduzione di «licenziamenti facili»
nella pubblica amministrazione, né, tanto
meno, di estendere ai dipendenti pubblici la
cassa integrazione.
L'equivoco interpretativo è sorto dalla
famosa lettera presentata dal governo lo
scorso ottobre a Cannes, ove si leggeva:
«Per rendere più efficiente, trasparente,
flessibile e meno costosa la pubblica
amministrazione tanto a livello centrale
quanto a livello degli enti territoriali
(oltre al vigente blocco del turnover del
personale) renderemo effettivi con
meccanismi cogenti/sanzionatori: a) la
mobilità obbligatoria del personale; b) la
messa a disposizione (Cassa integrazione
guadagni) con conseguente riduzione
salariale e del personale; c) il superamento
delle dotazioni organiche». Il
maxiemendamento alla legge di stabilità ha,
in effetti, attuato l'intenzione, ma senza
introdurre gli istituti della mobilità e
della Cig, propri del settore privato, al
sistema del lavoro pubblico.
La legge di stabilità è intervenuta
riformando l'articolo 33 del dlgs 165/2001,
che regola il collocamento dei dipendenti
pubblici in esubero nella condizione di
«disponibilità».
Molti hanno ritenuto che l'intervento
normativo abbia introdotto per la prima
volta nella pubblica amministrazione la
mobilità obbligatoria e la cassa
integrazione per i dipendenti in esubero,
cui spetta per la durata di 24 mesi lo
stipendio base, ridotto del 20%. Si tratta
di un equivoco. La legge di stabilità ha
inteso rendere più fluido e veloce il
procedimento per dichiarare l'esubero dei
dipendenti pubblici rafforzando l'obbligo
delle p.a. di verificare l'adeguatezza del
numero dei propri dipendenti in relazione
alle attività svolte e obbligando i
lavoratori interessati ad accettare anche
trasferimenti verso altre amministrazioni
per scongiurare l'eventuale licenziamento.
Ma, si tratta come detto del rafforzamento
di misure già esistenti nel testo previgente
dell'articolo 33 del dlgs 165/2001. Rispetto
al quale il nuovo testo disposto dalla legge
di stabilità rileva tre differenze.
In primo luogo, la novella normativa impone
alle amministrazioni l'obbligo di procedere
necessariamente ogni anno alla rilevazione
del personale in servizio, per rilevare se
emergano casi di lavoratori in eccedenza
rispetto ai fabbisogni. Per effetto della
riforma, qualora le amministrazioni non
rispettassero l'obbligo di effettuare la
rilevazione andrebbero incontro a una
rilevante sanzione: il divieto assoluto di
effettuare assunzioni a qualsiasi titolo, la
cui violazione a sua volta implica la
nullità assoluta dei contratti di lavoro
eventualmente stipulati. A tale sanzione si
aggiunge, poi, la responsabilità dei
dirigenti che non attivino le procedure per
la mobilità o la messa in disponibilità del
personale in esubero, o, ancora, effettuino
le assunzioni nulle.
Una seconda differenza riguarda il
procedimento da seguire. Il nuovo testo
dell'articolo 33 del dlgs 165/2001 comprime
estremamente le relazioni sindacali,
limitandole a una mera informazione. Il
testo precedente, invece, richiedeva una
vera e propria concertazione, nel caso di
esuberi relativi ad almeno 10 dipendenti.
L'iter novellato si deve concludere entro 90
giorni, nel corso dei quali
l'amministrazione deve sondare la
possibilità di ricollocare i dipendenti in
esubero all'interno delle sue strutture,
anche modificando il contratto di lavoro,
prevedendo forme flessibili di impegno
orario.
Ultima rilevante differenza è la decisa
spinta all'utilizzo della mobilità, intesa
come trasferimento di un dipendente da un
ente all'altro, ai sensi dell'articolo 30
del dlgs 165/2001.
Per effetto della legge di stabilità la
mobilità «volontaria», nei riguardi dei
dipendenti in esubero, diviene, in effetti,
«obbligatoria». Infatti, l'amministrazione
procedente, deve accertare che il dipendente
in eccedenza possa essere utilmente
ricollocato presso un'altra amministrazione,
appunto mediante la mobilità. In questo
caso, può stipulare un accordo con l'altra
amministrazione, per definire le modalità e
i tempi del trasferimento.
La novella normativa intende così perseguire
l'obiettivo di razionalizzare la
distribuzione dei dipendenti presso le p.a.,
consentendo a quelle sovradimensionate di
dimagrire in favore di quelle con vacanze in
organico.
Se l'amministrazione che abbia accertato la
condizione di esubero abbia stipulato con
un'altra amministrazione un accordo per
disciplinare la mobilità e i dipendenti
eccedenti non accettino il trasferimento
loro proposto, per detti dipendenti scatta
la tagliola della messa «in disponibilità».
Si tratta, cioè, di quella condizione che
apre le porte ad un potenziale
licenziamento, nella quale il dipendente non
presta alcuna attività lavorativa e
percepisce, a titolo di indennità e non di
retribuzione, una somma pari all'80% dello
stipendio e dell'indennità integrativa
speciale, escluso qualsiasi altro onere
retributivo, per un periodo non superiore ai
24 mesi.
La collocazione in disponibilità deriva,
comunque, dall'impossibilità di ricollocare
utilmente i lavoratori in mobilità sia
presso l'ente che dichiara l'eccedenza, sia
verso altre amministrazioni.
Durante il periodo di disponibilità, per
effetto degli articoli 34 e 34-bis del dlgs
165/2001, le amministrazioni legittimate ad
assumere, debbono verificare la presenza di
dipendenti inseriti nelle liste di
disponibilità con le province e il
dipartimento della funzione pubblica, perché
in caso positivo sono obbligate a proporre a
detti dipendenti l'assunzione, prima di fare
i concorsi.
---------------
Il glossario della p.a..
Un breve glossario è necessario per
comprendere quali siano i contenuti della
norma introdotta dalla legge di stabilità.
Mobilità. Con tale denominazione vengono
identificati due istituti completamente
diversi tra loro. Nel settore privato, la
mobilità null'altro è se non il
licenziamento dei dipendenti conseguente a
crisi aziendali, spesso successive a fasi di
cassa integrazione straordinaria. La
mobilità è regolata dalla legge 223/1991,
nel caso di licenziamenti collettivi
conseguenti a riduzioni di personale o
trasformazione di attività o di lavoro e a
cessazione dell'attività dell'azienda.
Vi è
anche la mobilità di cui alla l. 236/1993
per licenziamenti individuali anche di
imprese con meno di 15 dipendenti per
giustificato motivo oggettivo connesso a
riduzione, trasformazione o cessazione di
attività. La mobilità di cui si occupa la
legge di stabilità, modificando l'articolo
33 del dlgs 165/2001, altro non è, invece,
se non l'istituto regolato dall'articolo 30
del dlgs 165/2001: si tratta del
trasferimento di un dipendente pubblico da
un'amministrazione all'altra, oppure il
cambio di sede nell'ambito della medesima
amministrazione.
Disponibilità. L'istituto che nel lavoro
pubblico è un ibrido tra cassa integrazione
e mobilità del settore privato, è la «messa
in disponibilità». Verificato
l'irrimediabile situazione di esubero del
personale, le amministrazioni collocano in
disponibilità i lavoratori che non sia
possibile impiegare diversamente sia
nell'ambito della medesima amministrazione,
sia presso altre amministrazioni, oppure i
lavoratori che non abbiano preso servizio
presso la diversa amministrazione che,
secondo gli accordi intervenuti ai sensi dei
commi precedenti, ne avrebbe consentito la
ricollocazione.
Analogamente a quanto
avviene nel caso di collocazione in cassa
integrazione nel settore privato, dalla data
di collocamento in disponibilità il
lavoratore pubblico ed ha diritto solo ad
un'indennità pari all'80% dello stipendio e
dell'indennità integrativa speciale, con
esclusione di qualsiasi altro emolumento
retributivo comunque denominato, per la
durata massima di ventiquattro mesi
(articolo ItaliaOggi
Sette del 14.11.2011 - tratto da
www.corteconti.it). |
APPALTI SERVIZI: Stop
alle elusioni «salva in-house». Vietato
frazionare il servizio per non superare la
soglia che vieta l'affidamento.
Gli enti locali non
possono frazionare un servizio pubblico per
farlo rientrare nel limite di valore che
consente di affidarlo in-house a una società
partecipata.
La legge di stabilità interviene con
un'importante integrazione della disciplina
degli affidamenti diretti di servizi
pubblici locali con rilevanza economica,
recependo le osservazioni dell'Autorità
garante per la concorrenza ed il mercato (Agcm).
La nuova disposizione è inserita nel comma
13 dell'articolo 4 della legge 148/2011 e
stabilisce che, per garantire l'unitarietà
del servizio, è vietato procedere al
frazionamento del medesimo servizio e del
relativo affidamento. Il dato normativo fa
fronte a una delle principali criticità
delle nuove regole per l'in-house,
evidenziate dall'Agcm nell'atto di
segnalazione al parlamento AS 864 del
26.08.2011, con cui si rilevava che il
sistema di esenzioni dall'obbligo di gara
configurato dalla nuova disciplina si
prestava facilmente a comportamenti elusivi
da parte delle amministrazioni.
Per aggirare i limiti normativi sarebbe
stato infatti sufficiente frazionare gli
affidamenti in tante "tranche",
ciascuna non oltre i 900mila euro annui, per
poterle poi attribuire tutte direttamente a
controllate in-house.
Business plan.
Gli enti locali non potranno distinguere
artificiosamente le attività rientranti in
un unico processo produttivo, come, per
esempio, quelle del ciclo integrato dei
rifiuti. In secondo luogo, sono obbligati a
definire un business plan complessivo
e ad affidare in un unico momento tutte le
attività riferibili alla tipologia di
servizio, non potendo effettuare
integrazioni successive: per esempio, un
servizio di gestione parcheggi da 850mila
euro annui dovrà essere affidato tutto
insieme con riferimento al piano sosta, e
una eventuale successiva integrazione del
valore di 100mila euro andrà affidata con
gara.
L'affidamento in-house resta comunque
configurato come procedura derogatoria
rispetto a quella principale (la gara) e
all'opzione alternativa (la società mista
con socio privato operativo), che può essere
esperita solo se ricorrono i presupposti
richiesti dall'ordinamento comunitario
(controllo analogo e prevalenza
dell'attività a favore dei soci) e per
servizi di valore annuo non superiore ai
900mila euro.
La deliberazione.
Le modifiche apportate dalla legge di
stabilità rafforzano l'importanza della
deliberazione (prevista dal comma 1
dell'articolo 4 della legge 148/2011) con la
quale dev'essere verificata la
realizzabilità di una gestione
concorrenziale dei servizi stessi (a fini di
liberalizzazione massima delle attività
economiche) oppure, in base ad un'analisi di
mercato, viene prevista l'attribuzione di
diritti di esclusiva al gestore quando
l'iniziativa economica privata non risulti
idonea a garantire un servizio rispondente
ai bisogni della comunità. La rilevanza di
questo passaggio è stata evidenziata
dall'integrazione al comma 4, in base alla
quale, quando la deliberazione non è
adottata, l'ente locale non può procedere
all'attribuzione di diritti di esclusiva e,
conseguentemente, la gestione dei servizi
dev'essere rimessa a una pluralità di
gestori.
La formalizzazione della verifica è quindi
necessaria per sviluppare l'affidamento con
gara, come previsto nel primo periodo del
comma 8 dell'articolo 4, ma anche per
l'eventuale opzione della società mista e,
soprattutto, per l'affidamento in-house.
In questa ipotesi, infatti, l'attribuzione
del diritto di esclusiva è una condizione
necessaria perché si concretizzi
l'affidamento diretto, il quale, per sua
natura, esclude comunque gestioni
contestuali o concorrenti.
Dalla combinazione delle disposizioni deriva
pertanto un effetto interdittivo: se l'ente
non adotta la deliberazione con cui
definisce i diritti di esclusiva, non può
esserci affidamento in house, in quanto
ammetterebbe implicitamente il possibile
intervento di operatori privati. Per poter
adottare la deliberazione, le
amministrazioni devono attendere un decreto
ministeriale (da emanare entro il
31.01.2012), con cui si definiranno i
contenuti essenziali dell'atto-quadro (in
base al nuovo comma 33-ter).
---------------
Nell'ultimo anno si
rientra in gara.
Le società attualmente
affidatarie dirette di servizi pubblici
locali possono concorrere a gare per i
servizi da esse gestiti, ma entro limiti più
precisi.
La legge di stabilità ridisegna la
disposizione derogatoria contenuta
nell'ultimo periodo del comma 33
dell'articolo 4 della legge 148/2011,
traducendo le indicazioni fornite dall'Agcm
per limitare i potenziali effetti distorsivi
della particolare disciplina.
Le condizioni.
Il nuovo dato normativo stabilisce che i
soggetti affidatari diretti di servizi
pubblici locali possono comunque concorrere
su tutto il territorio nazionale a gare
indette nell'ultimo anno di affidamento dei
servizi da essi gestiti, se sussistono
determinati presupposti.
Rispetto alla formulazione originaria (che
replicava quella del comma 9 dell'articolo
23-bis della legge 133/2008 e sulla quale si
era sviluppata una consistente
giurisprudenza) la nuova disposizione
modifica le condizioni che consentono agli
affidatari diretti di partecipare ad altre
gare. A essi è consentito concorrere alle
procedure per il conferimento di servizi nel
caso in cui siano nella fase finale
(inferiore a un anno) del proprio
affidamento e sia già stata bandita la gara
per il riaffidamento del servizio o, almeno,
sia stata adottata la decisione di procedere
al nuovo affidamento attraverso procedure a
evidenza pubblica oppure anche mediante
in-house, ma a soggetto diverso
dall'affidatario diretto uscente.
I paletti.
Il dato normativo consente quindi alle
società in house di partecipare a gare per
servizi pubblici indette da altre
amministrazioni solo se sono nella fase
conclusiva della propria gestione.
Una società che abbia mantenuto
l'affidamento diretto, perché compatibile
con i limiti previsti dal comma 13, o che lo
abbia ottenuto ex novo, non potrà
invece partecipare alle procedure che
vengano indette in altri contesti.
L'affidatario in-house potrà prendere
parte alla gara per il servizio da esso
gestito, a condizione che sia formalizzata
la fase finale della gestione esistente o la
stessa ricada nelle scadenze previste per il
periodo transitorio (31.03.2012).
---------------
Mancano le regole per la
delibera quadro.
Il quadro delle regole
per lanciare lo sviluppo del sistema dei
servizi pubblici locali è quasi completo.
Manca un ultimo tassello, che potrebbe dare
l'input determinante per segnare il momento
decisivo di una riforma attesa da anni e
destinata a trasformare molti settori.
La legge di stabilità (con il comma 33-ter
appena introdotto nell'articolo 4 della
legge 148/2011) prevede che con un decreto
interministeriale –adottato dal ministro
degli Affari regionali d'intesa con i
ministri dell'Economia e dell'Interno– sia
definito il format della
deliberazione-quadro che gli enti dovranno
adottare per la definizione dei diritti di
esclusiva e siano precisati alcuni profili
relativi agli standard qualitativi per gli
utenti.
Tuttavia il decreto è previsto anche come
strumento di attuazione dell'intera
disciplina dei servizi pubblici locali e
proprio questa sua finalizzazione dovrebbe
permettere all'esecutivo di definire tutte
le norme di chiarimento per gli affidamenti.
Molti elementi critici sono già stati
risolti proprio dalle disposizioni della
legge di stabilità, a partire dalle
importanti precisazioni introdotte nel comma
32, che fanno decadere al 31.03.2012 gli
affidamenti diretti non conformi ai
parametri comunitari per l'in-house.
Tutte le scadenze delle gestioni esistenti
permangono nei termini originariamente
previsti dall'articolo 4 della legge
148/2011 e questo dato, unito alla scadenza
per l'adozione del Dm attuativo (fissata al
31.01.2012) non sembra offrire margine
alcuno per dilazioni ulteriori: la
combinazione tra le norme e i vari passaggi
delineati obbligano gli enti locali a
compiere un percorso a tappe forzate, che
dovrà essere avviato necessariamente tra
marzo e giugno del prossimo anno.
Alla fine del primo trimestre e del primo
semestre del 2012, infatti, scadono
rispettivamente le gestioni esistenti
affidate direttamente a società in house e a
società miste che siano state costituite in
modo non conforme ai principi comunitari del
partenariato pubblico-privato.
Possono proseguire solo i rapporti derivanti
da affidamenti diretti per servizi di valore
fino al limite (900mila euro annui)
stabilito dalla disposizione derogatoria,
anch'esso, peraltro, oggetto di chiarimenti
decisivi nella legge di stabilità
(articolo Il
Sole 24 Ore del 14.11.2011 - tratto da
www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI: Certificazioni,
scatta l'obbligo.
La legge di stabilità 2012 introduce
importanti novità in materia di
certificazione dei debiti di Regioni ed Enti
locali relativi a somministrazioni,
forniture e appalti, al fine di porre
parziale rimedio ai ritardi nei pagamenti
delle Pa. Ritardi, che, per le imprese
fornitrici (spesso Pmi), sono fonte di
grandi difficoltà finanziarie, peraltro
acuite dalle parallele difficoltà di accesso
al credito bancario.
L'articolo 9 comma 3-bis del Dl 185/2008,
convertito nella legge legge 2/2009, viene
integralmente sostituito.
La nuova formulazione prevede che siano
soggette alla certificazione soltanto le
somme dovute per somministrazioni, forniture
e appalti da Regioni ed enti locali. Non si
fa più riferimento, invece, agli enti del
Servizio sanitario nazionale. Non sono
certificabili, inoltre, i crediti degli enti
commissariati per infiltrazioni mafiose ex
articolo 143 del Tuel delle Regioni
sottoposte ai piani di rientro in materia di
sanità. Cessato il commissariamento, la
certificazione non può comunque essere
rilasciata per i crediti sorti prima del
commissariamento stesso né, in caso di
gestione commissariale, può essere accordata
per i crediti rientranti nella gestione
commissariale stessa.
Viene ritoccato anche il termine per la
certificazione, che passa da 20 a 60 giorni
dalla ricezione dell'istanza.
La modifica più rilevante comunque consiste
nell'introduzione dell'obbligatorietà della
certificazione. Si passa dal "possono
certificare" del vecchio comma 3-bis al
"certificano" del nuovo testo.
Inoltre, in caso d'inadempienza dell'ente,
si prevede l'intervento della Ragioneria
territoriale dello Stato che, su istanza del
creditore, può anche nominare un commissario
ad Acta.
I profili della certificazione rimangono gli
stessi, vale a dire, certezza, liquidità ed
esigibilità del credito.
Non si prevede più che la cessione produca
effetti nei confronti del debitore ceduto
anche qualora il contratto escluda la
cedibilità del credito. Adesso, invece, si
fa riferimento all'articolo 117 del Dlgs
163/2006, che autorizza le stazioni
appaltanti pubbliche a rifiutare la
cessione, a meno che non vi sia una
precedente clausola di cedibilità. Ai sensi
dell'articolo 117, la Pa può opporre al
cessionario le eccezioni opponibili al
cedente in base contratto. Ferma restando
l'efficacia liberatoria dei pagamenti
eseguiti dal debitore ceduto, si applicano
gli articoli 5 comma 1 e 7 comma 1 della
legge 52/1991 di disciplina della cessione
dei crediti di impresa (factoring).
Le certificazioni, che devono sempre
avvenire nel rispetto delle regole del patto
di stabilità interno, ovviamente sono
finalizzate soprattutto alla cessione del
credito pro soluto a banche o intermediari
finanziari. Ed a questo fine, si prevede
un'integrazione all'articolo 210 del Tuel
che regola l'affidamento del servizio di
tesoreria. Il nuovo comma 2-bis
dell'articolo 210 stabilisce che la
convenzione di tesoreria può prevedere
l'obbligo per il tesoriere di accettare, su
istanza del creditore, i crediti pro soluto
certificati dall'ente ai sensi dell'articolo
9 comma 3-bis. L'obbligo vale soltanto per
le convenzioni stipulate dopo l'entrata in
vigore della legge di stabilità. Le modalità
di accettazione dei crediti da parte del
tesoriere dovranno essere inserite nel bando
di gara per l'affidamento del servizio.
Infine, l'attuazione del nuovo articolo 9,
comma 3-bis, sarà disciplinata, entro 90
giorni dall'entrata in vigore della legge di
stabilità, da un decreto del ministero delle
Finanze. Fino all'emanazione del decreto,
resteranno valide le certificazioni prodotte
ai sensi del Dm 19.05.2009
(articolo Il
Sole 24 Ore del 14.11.2011 - tratto da
www.ecostampa.it). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Una
nuova occasione per i contratti decentrati.
I toni del dibattito scaturito all'indomani
dell'entrata in vigore dell'articolo 8 della
manovra-bis sulla derogabilità di contratti
nazionali e legislazione nazionale nel
contratto di secondo livello, non hanno
consentito di esaminare le esigenze
organizzative che possono spingere datore di
lavoro e sindacati a sfruttare le nuove
regole.
Partendo da questa chiave di analisi,
sarebbe utile verificare le potenzialità di
applicazione della norma alle Pa, in questa
fase storica di riduzione significativa
della spesa pubblica, che impone di superare
i tagli lineari per arrivare a una
riorganizzazione della struttura.
Il settore pubblico ha visto, in questi
ultimi anni, fortemente limitato il secondo
livello di contrattazione, in particolare
per contenere la spesa del personale
cresciuta a livello decentrato.
L'applicabilità di un meccanismo come quello
dell'articolo 8 dovrebbe quindi riguardare
gli aspetti ordinamentali, e accrescere la
flessibilità nelle prestazioni, nel rispetto
dei limiti di spesa previsti dalle norme di
finanza pubblica. Un ottimo strumento di
volano, ma anche di corretta e finalizzata
applicazione della deroga, potrebbe essere
costituito dai piani di razionalizzazione
dell'articolo 16 del DL 98/2011, che ora
andrebbero resi obbligatori. Gli stessi
riferimenti contenuti nella lettera alla Ue
su mobilità, utilizzo della cassa
integrazione e superamento della dotazione
organica rischiano di rivelarsi vuoti e
ridondanti, rispetto a quanto già è previsto
e non si fa, senza un'idea di
pianificazione.
Serve uno strumentario complessivo, in grado
di accompagnare questa fase di
ristrutturazione del settore pubblico, che
consenta agevolmente di spostare,
riqualificare e riconvertire il personale.
In alcuni casi occorrerà favorire l'esodo
anticipato con 35 anni di contributi,
superando però la contraddizione fra le
norme sulla risoluzione anticipata e la
finestra mobile di 15 mesi, in altri si
dovrà consentire l'applicazione accompagnata
della legge 223/1991, in presenza di piani
industriali o nei casi di soppressione o
crisi finanziaria dell'ente.
La gestione del personale nel settore
pubblico richiede una serie di flessibilità,
essenziali per salvare posti di lavoro e
riconvertire il personale in servizio. Un
vincolo presente oggi riguarda la dotazione
organica e il profilo acquisito dal
dipendente, che spesso si troverebbe in
eccedenza rispetto a una dotazione di
dettaglio ed aggiornata o, realisticamente,
rispetto ai reali carichi di lavoro e
fabbisogni di competenze. Ragionando sulle
competenze, si scopre infatti che il settore
pubblico soffre di eccedenze in alcuni
campi, ma anche di vacanze in altri settori.
Molte progressioni hanno creato eccedenze di
personale in alto, mentre le
esternalizzazioni di funzioni e servizi
hanno in alcuni casi creato eccedenze di
personale nelle aree o categorie più basse.
Si tratta di eccedenze percepite dal
dirigente, ma non facilmente formalizzabili,
soprattutto in presenza di dotazioni
organiche generiche e per nulla
rappresentative dei reali fabbisogni delle
pubbliche amministrazioni.
Un primo elenco di strumenti utili è presto
fatto: un accordo quadro sulle equiparazioni
o un decreto per consentire la mobilità
intercompartimentale; la possibilità di
derogare con il contratto integrativo alla
normativa sulle mansioni, sull'utilizzo
delle ferie e sui limiti all'orario di
lavoro; infine una deroga sul requisito
minimo di 40 di contributi per la
risoluzione unilaterale, con la possibilità
di adottare la risoluzione con 35 anni di
contributi, in presenza di piani di
riduzione.
Uno strumentario da arricchire, ma che
comunque richiede a monte di politiche e
piani di razionalizzazione che da anni la
politica promette senza essere in grado però
di proporli e soprattutto di realizzarli
(articolo Il
Sole 24 Ore del 14.11.2011 - tratto da
www.ecostampa.it). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Mobilità
anche negli enti in crisi. La procedura
potrà scattare per «difficoltà finanziarie»
- Nodi sull'applicazione.
La legge di stabilità mette l'acceleratore
alle procedure di mobilità e al collocamento
in disponibilità dei dipendenti pubblici.
Viene consegnata al datore di lavoro
pubblico una regola che sembra perseguire
due obiettivi: specificare e ampliare le
casistiche che consentono di utilizzare
questo istituto e ridurre al minimo le
relazioni sindacali.
La mobilità è stata estesa, oltre alle
eccedenze di personale, anche ai casi di
soprannumero. La procedura scatta per
esigenze funzionali o per situazioni
finanziarie che possano dimostrare
dipendenti in esubero. Si tratta di
un'applicazione di largo raggio proprio
perché la locuzione «situazione
finanziaria» è decisamente più ampia
rispetto alle più "tradizionali"
esigenze funzionali. Con la nuova
formulazione, un ente in difficoltà
finanziarie (mancato rispetto del patto di
stabilità, situazioni prossime al dissesto,
non rispetto dei parametri di spesa del
personale, eccetera) potrebbe decidere di
ridurre il proprio personale anche senza
dover dimostrare le mutate esigenze
funzionali o organizzative. Certo, non c'è
un automatismo di legge fra le difficoltà
finanziare e la riduzione del personale, ma
la novità è importante. Per dare maggior
forza a questo istituto è stato introdotto
un nuovo obbligo di "ricognizione annuale"
del personale in eccesso prevedendo il
divieto di assunzione in caso di
inadempimento con relativa nullità degli
atti eventualmente posti in essere.
Pur trattandosi di una materia di impatto
rilevante sul personale, le relazioni
sindacali sono ormai ridotte all'obbligo di
informazione preventiva alle Rsu e ai
sindacati firmatari del contratto nazionale.
Nel settore pubblico, insomma, la procedura
sarà più libera che nel privato perché la
legge 223/1991 non è più richiamata
dall'articolo 33 del Dlgs 165/2001. Quindi
non ci saranno più tavoli per discutere i
motivi delle eccedenze e per trovare
eventuali soluzioni, e non è più previsto un
contenuto obbligatorio della comunicazione
da inviare ai sindacati. Abrogate anche le
garanzie in merito ai criteri di scelta dei
dipendenti da considerare in esubero. Con
ogni probabilità inizierà un ennesimo
contenzioso, visto che in molti casi nei
contratti collettivi queste materie sono
oggetto di contrattazione.
Il tentativo di ricollocare il personale al
proprio interno o presso altre Pa, anche
attraverso con contratti flessibili di
gestione del tempo di lavoro o con contratti
di solidarietà, resta di competenza della
parte datoriale. Decorsi 10 giorni
dall'informativa, devono essere collocati a
riposo d'ufficio i dipendenti che abbiano
maturato 40 anni di contributi; quella che
in termini generali rappresenta una facoltà
diviene nel caso di specie un obbligo.
Decorsi 90 giorni, il dipendente è collocato
in disponibilità all'80% dello stipendio
base, senza accessorio, per 24 mesi decorsi
i quali il rapporto di lavoro si risolve di
diritto.
Lo strumento normativo in mano al datore di
lavoro è potente, ma ci si chiede se, in
pratica, troverà applicazione. Si tratta,
infatti, di una possibilità e non di un
obbligo di ridurre il personale e in periodi
nei quali vige il diktat del blocco delle
assunzioni, con uffici strutturalmente sotto
organico, chi avrà voglia di intraprendere
una strada politicamente costosa e
funzionalmente penalizzante?
(articolo Il
Sole 24 Ore del 14.11.2011 - tratto da
www.corteconti.it). |
GIURISPRUDENZA |
URBANISTICA:
E' illegittimo il silenzio
serbato dall'Amministrazione sulla diffida
volta ad ottenere una nuova destinazione
urbanistica a seguito della decadenza dei
vincoli preordinati all'espropriazione.
E' illegittimo il silenzio serbato
dall'Amministrazione rispetto alla diffida
volta ad ottenere l'emanazione degli atti
necessari a conferire una nuova destinazione
urbanistica ad aree divenute prive di
disciplina a causa della decadenza di
vincoli urbanistici preordinati
all'espropriazione, o che comportino l'inedificabilità
del suolo, o che comunque privino il diritto
di proprietà del suo sostanziale valore
economico, determinata dall'inutile decorso
del termine quinquennale di cui all'art. 2,
comma 1, L. n. 1187 del 1968, decorrente
dall'approvazione del Piano Regolatore
Generale (tratto da
www.dirittodegliappaltipubblici.it
-
TAR Sicilia-Palermo, Sez. II,
sentenza
11.11.2011 n. 2118 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
E' inammissibile per carenza di
interesse il ricorso dal cui accoglimento
non possa derivare alcun vantaggio
sostanziale.
Secondo un consolidato indirizzo
giurisprudenziale, nel processo
amministrativo l'interesse a ricorrere è
caratterizzato dalla presenza degli stessi
requisiti, che qualificano l'interesse ad
agire di cui all'art. 100 c.p.c., vale a
dire dalla prospettazione di una lesione
concreta ed attuale della sfera giuridica
del ricorrente e dall'effettiva utilità, che
potrebbe derivare a quest'ultimo
dall'eventuale annullamento dell'atto
impugnato.
È stato, pertanto, affermato che il ricorso
deve essere considerato inammissibile per
carenza di interesse in tutte le ipotesi in
cui l'annullamento giurisdizionale di un
atto amministrativo non sia in grado di
arrecare alcun vantaggio sostanziale al
ricorrente, neppure di carattere
strumentale, precisando che quest'ultimo
sussiste allorquando le censure dedotte
siano tali da determinare, in caso di
accoglimento, la rinnovazione dell'intera
procedura (per tutte Consiglio di Stato, V,
04.03.2011, n. 1398) (tratto da
www.dirittodegliappaltipubblici.it
-
TAR Sicilia-Palermo, Sez. I,
sentenza
10.11.2011 n. 2053 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Il vigile che minaccia multe al
commerciante per costringerlo a pagare
mazzette è colpevole di concussione.
A deciderlo è stata un recente sentenza
10.11.2011 n. 40898 della Corte di
cassazione con cui è stata confermata la
condanna per il reato ex art. 317 del codice
penale nei confronti di tre istruttori della
Polizia Municipale di Roma cha avevano
minacciato alcuni negozianti di elevare
contravvenzione per violazione delle
normative antinfortunistiche e
igienico-sanitarie qualora costoro non gli
avessero corrisposto una «mazzetta».
Il reato di concussione presuppone un abuso
dei poteri da parte del pubblico ufficiale
per ottenere un vantaggio indebito, e un
conseguente stato di soggezione della
vittima, che, per questa pressione
psicologica, sia indotta a corrispondere
quanto richiesto.
L’elemento saliente del reato di cui
all’art. 317 c.p., che lo caratterizza
rispetto alla corruzione, è appunto il
metus pubblicae potestatis, ossia la
soggezione della vittima, collegata spesso
al ruolo rivestito dal pubblico ufficiale;
la corruzione invece, presuppone una
convergenza di interessi tra pubblico
ufficiale e privato, per il quale i due si
mettano d’accordo, il primo, per compiere un
atto contrario ai doveri d’ufficio (o per
non compiere un atto d’ufficio) e il secondo
per corrispondergli un certo vantaggio
economico.
Quindi il privato nella corruzione
sostanzialmente «compra» un atto del
pubblico ufficiale corrotto.
Ma la fattispecie posta all’attenzione della
Corte esula dall’ambito della corruzione,
presentando invece tutti gli elementi della
più grave ipotesi incriminatrice della
concussione, e contrassegnandosi per una
volontà prevaricatrice e aggressiva dei
pubblici ufficiali in danno delle vittime
designate (tratto da www.diritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il paesaggio è un valore
costituzionale primario la cui tutela
costituisce un finalità fondamentale
dell’ordinamento sia al fine di
salvaguardare un bene insostituibile per la
qualità della vita, sia anche al fine di
proteggere la zona boscata quale componente
del paesaggio inteso come bellezza naturale
d'insieme.
In assenza dei presupposti richiesti dalla
legge n. 47/1985 non esiste alcun principio
di preferenza per il mantenimento dell’abuso
del privato, in quanto -al contrario- l’art.
9 Cost. considera la “tutela del paesaggio
della Repubblica” come un valore
fondamentale della nazione ed un bene
“primario” ed “assoluto” .
Il paesaggio è un valore costituzionale
primario la cui tutela costituisce un
finalità fondamentale dell’ordinamento sia
al fine di salvaguardare un bene
insostituibile per la qualità della vita
(cfr. Consiglio Stato, sez. VI, 15.03.2007,
n. 1255), sia anche al fine di proteggere la
zona boscata quale componente del paesaggio
inteso come bellezza naturale d'insieme
(cfr. Consiglio Stato, sez. IV, 09.07.2010,
n. 4457).
In assenza dei presupposti richiesti dalla
legge n. 47/1985 non esiste alcun principio
di preferenza per il mantenimento dell’abuso
del privato, in quanto -al contrario- l’art.
9 Cost. considera la “tutela del
paesaggio della Repubblica” come un
valore fondamentale della nazione (cfr.
Corte Cost., 07.11.1994, n. 379) ed un bene
“primario” ed “assoluto”
(Corte Cost., 05.05.2006, nn. 182, 183)
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 10.10.2011 n. 5500 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Sull'illegittimità della modifica
dell'originaria composizione di una
commissione giudicatrice, avvenuta
successivamente all'apertura delle buste
contenenti le offerte tecniche.
E' illegittima la modifica della struttura
della commissione giudicatrice, avvenuta in
un momento successivo all'apertura delle
buste contenenti le offerte tecniche e
concretizzatasi nell'aggiunta di due
commissari esterni rispetto ai tre
componenti originari.
La variazione della consistenza numerica
dell'organo, intervenuta in un momento in
cui i membri originari avevano già potuto
prendere conoscenza dei contenuti delle
offerte tecniche presentate dai concorrenti,
si pone, infatti, in contrasto con
l'esigenza di trasparenza e la garanzia di
continuità delle operazioni valutative che
impongono di individuare in detto discrimine
temporale il limite invalicabile oltre il
quale non può essere variata la consistenza
numerica della Commissione.
L'alterazione della composizione numerica
dell'organo collegiale, nella specie
disposta nel corso della procedura per
effetto di un'iniziativa assunta dal
Presidente della Commissione in contrasto
gli altri componenti, si presta al rischio
di alterazione del giudizio in corso di
formazione e di formazione di maggioranze
precostituite, in guisa da cagionare un
vulnus ai principi di trasparenza,
imparzialità e continuità dell'azione
amministrativa (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 09.11.2011 n. 5906 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Sull'obbligo in capo ad un'ATI di
indicare sia le quote di ciascun componente,
sia le quote di esecuzione dell'appalto.
Secondo il più recente indirizzo
giurisprudenziale, quale che sia il settore
dell'appalto lavori, servizi, forniture, l'a.t.i.
offerente deve indicare sia le quote di
partecipazione all'a.t.i. di ciascun
componente, sia le quote di esecuzione
dell'appalto, e vi deve essere
corrispondenza tra quota di partecipazione e
quota di esecuzione.
Tale obbligo di duplice indicazione è
espressione di un principio generale che
prescinde dall'assoggettamento della gara
alla disciplina comunitaria e non consente
distinzioni legate alla morfologia del
raggruppamento verticale ovvero orizzontale,
o ancora alla tipologia delle prestazioni,
principali o secondarie, scorporabili o
unitarie (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 08.11.2011 n. 5892 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Non sussiste l'obbligo, anche in
capo ad un'ATI orizzontale, di indicare le
parti del servizio che saranno assunte da
ciascuna impresa.
Ai sensi dell'art. 37, c. 4, del d.lgs. n.
163/2006, nelle gare pubbliche indette per
l'affidamento di servizi, l'offerta di
un'ATI concorrente deve indicare le parti
del servizio che saranno assunte da ciascuna
impresa, solo nell'ipotesi in cui il
raggruppamento sia di tipo verticale, vale a
dire con scorporo di singole parti, mentre
nel caso di RTI orizzontale, non è
necessario indicare le parti da eseguire da
ciascuna impresa, ma soltanto le
percentuali, e ciò in quanto, nel
raggruppamento orizzontale gli operatori
economici eseguono il medesimo tipo di
prestazione e tutte le imprese sono
responsabili in solido dell'intero (TAR
Veneto, Sez. I,
sentenza 08.11.2011 n. 1658 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Cauzione provvisoria: è superflua
ai fini dell'operatività della garanzia la
sottoscrizione del contratto da parte del
soggetto garantito.
Nel negozio di fideiussione le parti
contraenti sono il garante e il soggetto a
favore del quale opera la garanzia, mentre
non è parte del contratto di fideiussione il
soggetto garantito (cioè il debitore), la
cui sottoscrizione risulta, pertanto,
superflua ai fini della operatività della
garanzia.
La normativa applicabile nella Regione
Siciliana sancisce chiaramente che la
cauzione definitiva deve essere valida ed
operante sino alla data di collaudo
provvisorio a prescindere dal fatto che
quest’ultimo intervenga o meno entro il
termine stabilito in astratto per il suo
espletamento.
Ne consegue che la
dichiarazione preventiva di impegno del
garante deve necessariamente conformarsi
alla concreta realizzazione del suddetto
evento, non potendosi ritenere idonea
l’indicazione di un termine prefissato di
durata, seppur in via astratta superiore al
termine entro il quale, di norma, l’evento
(collaudo) dovrebbe realizzarsi (tratto da
www.dirittodegliappaltipubblici.it
-
C.G.A.R.A.,
sentenza
07.11.2011 n. 786 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Risarcimento del danno per
equivalente: non sono mai rimborsabili le
spese sostenute per la partecipazione ad una
gara.
L'amministrazione, di conseguenza, è
legittimata a revocare la procedura solo se
fornisce una adeguata motivazione in ordine
alla natura e alla gravità delle anomalie
contenute nel bando o verificatesi nel corso
delle operazioni di gara o comunque negli
atti della fase procedimentale che, alla
luce della comparazione dell'interesse
pubblico con le contrapposte posizioni dei
partecipanti alla gara, giustificano il
provvedimento di autotutela.
Per quanto specificamente riguarda le spese
di partecipazione, secondo l’indirizzo
giurisprudenziale prevalente, in assenza di
una specifica previsione di legge le spese
sostenute per la partecipazione ad una gara
pubblica non sono mai rimborsabili, a nulla
rilevando se l'impresa che ne pretenda la
restituzione sia risultata o meno
aggiudicataria, trattandosi di un onere
ordinariamente affrontato da ogni impresa
interessata a procacciarsi un affare e,
quindi, a carico dei concorrenti in
conseguenza della sola partecipazione a una
procedura di evidenza pubblica e del tutto
indipendentemente dal relativo esito (V Sez.
n. 808 del 2010) (tratto da
www.dirittodegliappaltipubblici.it
-
C.G.A.R.S.,
sentenza 07.11.2011 n. 785 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Sull'illegittimità della clausola
del bando di gara che preveda, per la fase
di apertura delle buste contenenti le
offerte tecniche, una apposita seduta
riservata.
Sulla legittimità dell'esclusione da una
gara di quei concorrenti che, secondo
motivata valutazione della stazione
appaltante, abbiano commesso grave
negligenza o malafede nell'esecuzione delle
prestazioni affidate dall'amministrazione
che bandisce la gara.
Alla luce di una recente sentenza
dell'Adunanza Plenaria del C.d.S., negli
appalti pubblici da aggiudicare con il
criterio dell'offerta economicamente più
vantaggiosa, il principio della pubblicità
delle operazioni da svolgere in seduta
pubblica, trova applicazione con specifico
riferimento anche all'apertura della busta
contenente l'offerta tecnica.
Infatti, la pubblicità delle sedute di gara
risponde all'esigenza di tutela non solo
della parità di trattamento dei concorrenti,
cui deve essere consentito di effettuare gli
opportuni riscontri sulla regolarità formale
degli atti prodotti e di avere, in tal modo,
la garanzia che non siano successivamente
intervenute indebite alterazioni, ma anche
dell'interesse pubblico alla trasparenza ed
imparzialità dell'azione amministrativa, le
cui conseguenze negative sono difficilmente
apprezzabili ex post, una volta rotti
i sigilli ed aperti i plichi, in mancanza di
un riscontro immediato.
Pertanto, è illegittima la clausola del
bando che prevede, per la fase di apertura
delle buste contenenti le offerte tecniche,
una seduta riservata, atteso che
all'apertura delle buste delle offerte
tecniche deve procedersi in seduta pubblica,
trattandosi di un passaggio essenziale e
determinante dell'esito della procedura
concorsuale, che deve essere presidiata
dalle medesime garanzie previste per
l'aperture delle buste contenenti la
documentazione amministrativa e l'offerta
economica, a tutela degli interessi privati
e pubblici coinvolti dal procedimento.
---------------
Ai sensi dell'articolo 38, c. 1, lett. f),
del d.lgs. n. 163/2006, sono esclusi dalla
partecipazione alle gare d'appalto i
soggetti che, secondo motivata valutazione
della stazione appaltante, abbiano commesso
grave negligenza o malafede nell'esecuzione
delle prestazioni affidate dalla stazione
appaltante che bandisce la gara; ovvero che
siano incorsi in un errore grave
nell'esercizio della loro attività
professionale.
Tale disposizione prevede quindi la
possibile esclusione di quelle imprese che
si siano rese responsabili di gravi
inadempienze nell'esecuzione di precedenti
rapporti contrattuali, pertanto non ritenute
affidabili dalla stazione appaltante. La
giurisprudenza ha peraltro chiarito che,
l'esclusione dalla gara, non ha carattere
sanzionatorio, e per procedere alla stessa è
necessario che l'amministrazione, con atto
motivato, dia conto della gravità della
negligenza o dell'errore professionale
commesso e del rilievo che tali elementi
hanno sull'affidabilità dell'impresa e
sull'interesse pubblico a stipulare un nuovo
contratto con la stessa.
La valutazione sulla rilevanza, ai fini
dell'affidamento di un nuovo appalto, della
negligenza o dell'errore professionale e,
quindi, sulla sussistenza o meno del
requisito di affidabilità, ha quindi
carattere discrezionale; pertanto, occorre
che il provvedimento di esclusione sia
adeguatamente motivato con l'indicazione
delle ragioni del convincimento circa la
mancanza del requisito di affidabilità
dell'impresa partecipante alla gara.
Nel caso di specie, la mancata esclusione
del concorrente è stata determinata da una
valutazione discrezionale della P.A., la
quale ha ritenuto che l'errore professionale
commesso non fosse talmente grave da far
venir meno il requisito di affidabilità
della stessa impresa nella partecipazione ad
una nuova gara (Consiglio di Stato, Sez. III,
sentenza 04.11.2011 n. 5866 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI SERVIZI:
Sulla legittimità dell'esclusione
di un concorrente da una gara per il
servizio di trasporto scolastico, per omessa
attestazione della disponibilità di un
deposito-rimessa, sito ad una determinata
distanza dalla sede di espletamento del
servizio.
E' legittimo il provvedimento di esclusione
da una gara per l'affidamento del servizio
di trasporto scolastico, adottato da una
stazione appaltante nei confronti di un
concorrente che abbia omesso di attestare la
disponibilità di un deposito ad uso rimessa,
ubicato ad una determinata distanza dalla
sede di espletamento del servizio, qualora
il bando richieda la dimostrazione del
predetto requisito, come nel caso di specie,
mediante apposita produzione documentale,
pena l'esclusione dalla procedura.
Non confligge con i canoni di
ragionevolezza, proporzionalità e massima
partecipazione alle procedure selettive, la
previsione espressa, nella lex specialis,
della produzione di un titolo idoneo allo
svolgimento di un'attività intimamente
connessa all'oggetto dell'appalto; nella
fattispecie in esame, trattasi di apposito
luogo di ricovero dei mezzi a distanza non
eccessiva dal territorio ove il servizio
deve essere espletato; infatti, tale
prescrizione risponde all'interesse pubblico
della stazione appaltante, di affidare il
servizio ad un operatore economico che
disponga delle condizioni minime
indispensabili a garantirlo con continuità
ed efficienza (TAR Lombardia-Brescia, Sez.
II,
sentenza 04.11.2011 n. 1510 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Sulla legittimità
dell'aggiudicazione di una gara ad un
concorrente che abbia indicato, nella
propria offerta, voci relative al costo del
lavoro, ridimensionate rispetto alle tabelle
ministeriali.
L'art. 86, c. 3-bis, del d.lgs. n. 163/2006,
in relazione al giudizio di anomalia delle
offerte presentate dai concorrenti in sede
di gara, prescrive una rigorosa verifica del
rispetto del costo del lavoro, alla luce
delle indicazioni "tendenziali"
evincibili dalla tabelle ministeriali.
Per pacifica giurisprudenza, congruente
anche con le più recenti indicazioni
normative, tra cui il nuovo art. 81, c.
3-bis, del medesimo decreto, sono
inderogabili solo i minimi salariali di
costo del lavoro dettati dalla
contrattazione collettiva i quali, in sede
di valutazione di congruità di un'offerta,
non possono che essere ritenuti come tali
inderogabili. In realtà, l'unico parametro
di computo dettato dalle tabelle
ministeriali, effettivamente inderogabile, è
la retribuzione minima oraria dettata dalla
contrattazione collettiva; invece i restanti
maggiori costi, se pure esistenti, possono
essere concretamente giustificati in termini
anche minori rispetto a quanto astrattamente
ed omogeneamente previsto dalla tabelle
ministeriali.
Pertanto, nel caso di specie, è legittimo il
provvedimento di aggiudicazione di una gara
adottato da una stazione appaltante nei
confronti di un concorrente che abbia
indicato nella propria offerta, voci
relative al costo del lavoro, ridimensionate
rispetto alle tabelle ministeriali (TAR
Piemonte, Sez. I,
sentenza 04.11.2011 n. 1173 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Sull'illegittimità della
composizione di una commissione di gara, nel
caso in cui alcuni membri della stessa siano
privi di adeguata competenza tecnica, in
relazione allo specifico settore oggetto
dell'appalto da affidare.
In materia di gare d'appalto, è illegittima
la composizione di una commissione
giudicatrice, nel caso in cui alcuni membri
effettivi della stessa siano privi di
adeguata competenza tecnica, in relazione
allo specifico settore oggetto dell'appalto
da affidare.
La regola fissata dall'art. 84 del d.lgs. n.
163/2006, secondo cui i componenti della
Commissione di gara vanno scelti fra
soggetti dotati di competenza tecnica
adeguata alle peculiarità dello specifico
settore interessato dall'appalto da
assegnare, costituisce espressione di
principi generali, costituzionali e
comunitari, volti ad assicurare il buon
andamento e l'imparzialità dell'azione
amministrativa, ed in quanto tale, non è
suscettibile di essere derogata; la
mancanza, all'interno della stazione
appaltante, di funzionari competenti in
relazione all'appalto oggetto di gara, non
costituisce ostacolo alla corretta
applicazione delle disposizioni codicistiche
atteso che, ai sensi del combinato disposto
dei commi 2 e 8 dell'art. 84 citato, in caso
di assenza, nell'organico
dell'amministrazione che ha bandito la gara,
delle specifiche professionalità, i
componenti della Commissione in possesso
delle capacità tecniche e professionali
adeguate all'importanza dell'appalto, devono
essere scelti tra funzionari di altre
amministrazioni, ovvero tra professionisti e
professori universitari di ruolo (TAR
Lazio-Roma, Sez. III,
sentenza 03.11.2011 n. 8414 -
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APPALTI:
Sui casi in cui la Commissione di
gara giudica in composizione plenaria.
Sui casi in cui le valutazioni effettuate
dalla Commissione di gara siano sindacabili
dal G.A..
La regola secondo cui la Commissione
giudicatrice ha natura di collegio perfetto,
e deve quindi operare con il plenum e non
con la semplice maggioranza dei suoi
componenti, è applicabile allorché la
Commissione sia chiamata a compiere scelte
decisorie e discrezionali, rispetto alle
quali determinante appare il contributo di
tutti i componenti del collegio ai fini di
una corretta formazione della volontà
collegiale; non è invece applicabile
allorché la Commissione è chiamata a
svolgere compiti a carattere non valutativo,
che si sostanziano in un'attività puramente
preparatoria ovvero del tutto vincolata.
---------------
Secondo un costante indirizzo
giurisprudenziale, in materia di gare
d'appalto, le valutazioni effettuate dalla
Commissione costituiscono espressione di
ampia discrezionalità, finalizzate a
stabilire in concreto l'idoneità tecnica
delle offerte. Ne consegue che le
valutazioni stesse non sono sindacabili dal
giudice amministrativo, se non nei casi in
cui sussistano elementi idonei ad
evidenziare uno sviamento logico od un
errore di fatto o, ancora, una
contraddittorietà ictu oculi
rilevabile.
Peraltro, laddove la lex specialis
articoli analiticamente i parametri per
l'assegnazione dei punteggi, risultano
palesi anche le motivazioni del punteggio
dato in relazione alle caratteristiche
tecniche. Nel caso di specie, il Capitolato
speciale di gara prefissava dettagliatamente
il punteggio attribuibile alle singole voci
e sottovoci, indicatori della valenza
tecnica dell'offerta, sicché il giudizio
della Commissione si estrinsecava nel
punteggio assegnato per ciascuna voce (TAR
Lazio-Roma, Sez. III-quater,
sentenza 02.11.2011 n. 8355 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
costruzione di una tettoia, per i materiali
utilizzati, le caratteristiche strutturali e
le dimensioni (copre una superficie di mq.
19,35), configura una nuova costruzione,
integrando un organismo edilizio
suscettibile di autonomo utilizzo,
preordinato a soddisfare esigenze non
precarie sotto il profilo funzionale, in
quanto tale idoneo ad alterare lo stato dei
luoghi ed a comportare una significativa
trasformazione del territorio.
Non appare condivisibile neanche la
riduttiva definizione dell’intervento sopra
descritto come mera pertinenza, atteso che
la nozione urbanistica di pertinenza non
coincide con quella più ampia fornita
dall’art. 817 del cod. civ., dovendo essere
perimetrata in modo compatibile con i
principi della materia e riferita, quindi,
alle sole opere edilizie minori, che abbiano
scarso o nullo peso dal punto di vista del
carico edilizio ed urbanistico.
Nella nozione di “volume
tecnico” sono da comprendere esclusivamente
le porzioni di fabbricato destinate ad
ospitare impianti, legati da un rapporto di
strumentalità necessaria con l’utilizzazione
dello stesso. Invero, ai fini della
qualificazione di una costruzione, rilevano
le caratteristiche oggettive della stessa,
prescindendosi dall’intento dichiarato dal
privato di voler destinare l’opera ad
utilizzazioni più ristrette di quelle alle
quali il manufatto potenzialmente si presta.
... i ricorrenti contestano la legittimità
del parere contrario al rilascio del
permesso di costruire in sanatoria,
richiesto ex art. 36 del D.P.R. n.380 del
2001, espresso dalla commissione edilizia
del Comune di San Paolo Bel Sito e
comunicato agli interessati con l’atto
individuato in epigrafe, per una tettoia
realizzata sul terrazzo al secondo piano.
...
Anzitutto, i lavori eseguiti non appaiono
inquadrabili nell’attività di manutenzione
straordinaria –che, ai sensi dell’art. 2,
lettera b), del T.U. sull’edilizia, è
qualificata dal duplice aspetto della
finalità dei lavori, diretti alla mera
sostituzione o al puro rinnovo di un
preesistente manufatto, e dal divieto di
alterarne i volumi e le superfici (cfr., tra
le tante, con riferimento anche all’analoga
nozione già prevista dall’art. 31 della
legge n.457 del 1978, Consiglio di Stato,
Sezione V, 22.07.1992 n. 336; Sezione VI,
30.09.2008 n. 4694; TAR Campania, Sezione II,
17.04.2009 n. 1994; Sezione IV, 04.07.2001
n. 3072)– in quanto i ricorrenti non hanno
fornito neanche un principio di prova in
ordine ad un’eventuale preesistenza sicché
la struttura si configura indubbiamente come
un quid novi.
Nel caso di specie, il manufatto realizzato,
per i materiali utilizzati, le
caratteristiche strutturali e le dimensioni
(copre una superficie di mq. 19,35),
configura, piuttosto, una nuova costruzione,
integrando un organismo edilizio
suscettibile di autonomo utilizzo,
preordinato a soddisfare esigenze non
precarie sotto il profilo funzionale, in
quanto tale idoneo ad alterare lo stato dei
luoghi ed a comportare una significativa
trasformazione del territorio (cfr., ex
multis, Consiglio di Stato, Sezione V,
13.06.2006 n. 3490; TAR Lazio, Roma, Sezione
I, 18.06.2008 n. 5965; Sez. I-quater,
23.11.2007 n. 11679).
Non appare condivisibile neanche la
riduttiva definizione dell’intervento sopra
descritto come mera pertinenza, atteso che,
come chiarito dalla giurisprudenza (cfr.,
Consiglio di Stato, Sezione V, 23.03.2000 n.
1600; Sezione IV, 07.07.2008 n. 3379; TAR
Lazio, Sezione II-ter, 06.09.2000 n. 6900;
TAR Campania, Sezione II, 24.01.2008 n. 402
e Sezione IV, 03.01.2002 n. 50; TAR Lazio,
Latina, 04.07.2006 n. 428), la nozione
urbanistica di pertinenza non coincide con
quella più ampia fornita dall’art. 817 del
cod. civ., dovendo essere perimetrata in
modo compatibile con i principi della
materia e riferita, quindi, alle sole opere
edilizie minori, che abbiano scarso o nullo
peso dal punto di vista del carico edilizio
ed urbanistico.
Né può farsi utilmente ricorso alla nozione
di “volume tecnico”. Tale categoria,
infatti, comprende esclusivamente le
porzioni di fabbricato destinate ad ospitare
impianti, legati da un rapporto di
strumentalità necessaria con l’utilizzazione
dello stesso. Invero, ai fini della
qualificazione di una costruzione, rilevano
le caratteristiche oggettive della stessa,
prescindendosi dall’intento dichiarato dal
privato di voler destinare l’opera ad
utilizzazioni più ristrette di quelle alle
quali il manufatto potenzialmente si presta
(cfr. Consiglio di Stato, V Sezione,
21.10.1992 n. 1025 e 13.05.1997 n. 483; TAR
Campania, IV Sezione, 12.01.2000 n. 30; II
Sezione, 03.02.2006 n. 1506)
(TAR Campania-Napoli, Sez. II,
sentenza 31.10.2011 n. 5093 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: In
relazione al rapporto tra il provvedimento
di acquisizione gratuita al patrimonio
comunale dell’immobile abusivo e la domanda
di condono edilizio successivamente
presentata per la sanatoria dell’immobile
stesso, l’acquisizione gratuita determina
una situazione inconciliabile con la
sanatoria soltanto quando all’immissione nel
possesso, da parte dell’Amministrazione
comunale, abbia fatto seguito la demolizione
dell’immobile abusivo ovvero la sua
effettiva destinazione a fini pubblici;
pertanto, qualora non si siano verificati
mutamenti della situazione di fatto che
rendano impossibile il rilascio della
richiesta sanatoria, a seguito della
presentazione dell’istanza di condono
edilizio il ricorso proposto avverso il
provvedimento di acquisizione gratuita
diviene improcedibile, perché
l’Amministrazione comunale è tenuta a
pronunciarsi sulla domanda di sanatoria e
l’interesse del responsabile dell’abuso si
sposta, dall’annullamento del provvedimento
sanzionatorio già adottato e divenuto
inefficace, all’annullamento dell’eventuale
provvedimento di rigetto della domanda di
condono e degli eventuali ulteriori
provvedimenti sanzionatori.
---------------
La mera pendenza di un’istanza di condono
non autorizza la realizzazione di ulteriori
lavori, né può precludere l’esercizio dei
poteri repressivi diretti a sanzionare abusi
commessi in epoca successiva.
Infatti, la regola secondo cui la
presentazione della domanda di condono
preclude all’amministrazione di ordinare la
demolizione dell’opera abusiva prima di
avere definito il procedimento di sanatoria
vale limitatamente alle opere abusive
esistenti al momento della istanza ed in
essa indicate, non potendosi estendere ad
abusi realizzati in epoca successiva.
---------------
L’abusivo intervento di completamento (del
manufatto abusivo) deve essere sanzionato
sempre e comunque con l’ordine di ripristino
dello stato dei luoghi, perché in tal caso
vale il principio in forza del quale è il
completamento in sé ad essere precluso,
senza che sia possibile distinguere tra
opere soggette al rilascio del permesso di
costruire ed opere realizzabili in base ad
una semplice DIA o SCIA.
Invero, dal testo dell’art. 35, comma 13,
della legge n. 47/1985 si evince chiaramente
che il responsabile dell’abuso si assume la
responsabilità di completare un manufatto
abusivo che potrebbe non conseguire la
sanatoria (laddove l’Amministrazione accerti
l’insussistenza dei presupposti per
l’accoglimento della domanda di condono) e
che l’intervento di completamento è
subordinato ad una speciale procedura
finalizzata innanzi tutto a “cristallizzare”
(per evidenti ragioni istruttorie) lo stato
di fatto antecedente l’esecuzione di tale
intervento, attraverso l’allegazione di una
perizia giurata ovvero di altra
documentazione avente data certa in ordine
allo stato dei lavori abusivi.
---------------
La natura interamente vincolata dell’ordine
di demolizione esclude la necessaria
ponderazione di interessi diversi da quelli
pubblici tutelati e non richiede ulteriore
motivazione rispetto alla dichiarata
abusività dell’intervento. Inoltre, i
provvedimenti repressivi degli abusi edilizi
non devono essere preceduti dalla
comunicazione dell’avvio del procedimento
perché trattasi di provvedimenti tipizzati e
vincolati, che presuppongono un mero
accertamento tecnico sulla consistenza delle
opere realizzate e sul carattere abusivo
delle medesime.
Secondo l’art. 43, comma 1, della legge n.
47/1985 “l’esistenza di provvedimenti
sanzionatori non ancora eseguiti, ovvero
ancora impugnabili o nei cui confronti pende
l’impugnazione, non impedisce il
conseguimento della sanatoria”.
Secondo la giurisprudenza formatasi in
relazione al rapporto tra il provvedimento
di acquisizione gratuita al patrimonio
comunale dell’immobile abusivo e la domanda
di condono edilizio successivamente
presentata per la sanatoria dell’immobile
stesso (ex multis, TAR Lazio Roma,
Sez. II, 02.04.2010, n. 5614),
l’acquisizione gratuita determina una
situazione inconciliabile con la sanatoria
soltanto quando all’immissione nel possesso,
da parte dell’Amministrazione comunale,
abbia fatto seguito la demolizione
dell’immobile abusivo ovvero la sua
effettiva destinazione a fini pubblici;
pertanto, qualora non si siano verificati
mutamenti della situazione di fatto che
rendano impossibile il rilascio della
richiesta sanatoria, a seguito della
presentazione dell’istanza di condono
edilizio il ricorso proposto avverso il
provvedimento di acquisizione gratuita
diviene improcedibile, perché
l’Amministrazione comunale è tenuta a
pronunciarsi sulla domanda di sanatoria e
l’interesse del responsabile dell’abuso si
sposta, dall’annullamento del provvedimento
sanzionatorio già adottato e divenuto
inefficace, all’annullamento dell’eventuale
provvedimento di rigetto della domanda di
condono e degli eventuali ulteriori
provvedimenti sanzionatori.
---------------
Una consolidata
giurisprudenza (da ultimo, TAR Campania
Salerno, Sez. II, 01.03.2011, n. 379)
afferma che la mera pendenza di un’istanza
di condono non autorizza la realizzazione di
ulteriori lavori, né può precludere
l’esercizio dei poteri repressivi diretti a
sanzionare abusi commessi in epoca
successiva.
Infatti, la regola (espressione del
principio di ragionevolezza dell’azione
amministrativa) secondo cui la presentazione
della domanda di condono preclude
all’amministrazione di ordinare la
demolizione dell’opera abusiva prima di
avere definito il procedimento di sanatoria
vale limitatamente alle opere abusive
esistenti al momento della istanza ed in
essa indicate, non potendosi estendere ad
abusi realizzati in epoca successiva.
Talune oscillazioni si registrano, invece,
in ordine al tipo di sanzione che
l’Amministrazione deve adottare laddove il
completamento del manufatto abusivo sia
realizzato senza aver preventivamente
attivato lo speciale procedimento di cui
all’art. 35, comma 13, della legge n.
47/1985.
Infatti -a fronte del prevalente
orientamento giurisprudenziale (ex multis,
TAR Campania Salerno, Sez. II, 01.03.2011,
n. 379; TAR Campania Napoli, Sez. VII,
14.01.2011, n. 160; Sez. IV, 02.12.2008, n.
20793; Sez. VI, 09.03.2006, n. 2834),
secondo il quale l’abusivo intervento di
completamento deve essere sanzionato sempre
e comunque con l’ordine di ripristino dello
stato dei luoghi, perché in tal caso vale il
principio in forza del quale è il
completamento in sé ad essere precluso,
senza che sia possibile distinguere tra
opere soggette al rilascio del permesso di
costruire ed opere realizzabili in base ad
una semplice DIA o SCIA (si veda al riguardo
l’art. 5, comma 2, lett. c), del decreto
legge n. 70/2011, convertito dalla legge n.
106/2010)- una giurisprudenza minoritaria
(TAR Campania Napoli, Sez. VI, 10.01.2011,
n. 36) ritiene che, in assenza di nuove
superfici e/o nuovi volumi e/o ulteriori
trasformazioni del territorio, ferma
restando la violazione dell’art. 35, comma
13, della legge n. 47/1985, la sanzione
demolitoria non possa essere irrogata e che
l’Amministrazione sarebbe, quindi, comunque
tenuta, ai fini sanzionatori, ad individuare
esattamente gli ulteriori lavori abusivi
eseguiti e ad operare una preventiva
qualificazione degli stessi.
Il Collegio ritiene di dover aderire al
richiamato orientamento maggioritario,
perché dal testo dell’art. 35, comma 13,
della legge n. 47/1985 si evince chiaramente
che il responsabile dell’abuso si assume la
responsabilità di completare un manufatto
abusivo che potrebbe non conseguire la
sanatoria (laddove l’Amministrazione accerti
l’insussistenza dei presupposti per
l’accoglimento della domanda di condono) e
che l’intervento di completamento è
subordinato ad una speciale procedura
finalizzata innanzi tutto a “cristallizzare”
(per evidenti ragioni istruttorie) lo stato
di fatto antecedente l’esecuzione di tale
intervento, attraverso l’allegazione di una
perizia giurata ovvero di altra
documentazione avente data certa in ordine
allo stato dei lavori abusivi.
Risulta quindi evidente che, in assenza di
tale documentazione, è preclusa in radice la
possibilità di operare una qualificazione
giuridica dell’intervento di completamento
perché non vi è certezza sullo stato di
fatto antecedente l’esecuzione
dell’intervento stesso. Inoltre, qualora si
tratti di un intervento di completamento da
realizzare su immobile che ricade in zona
vincolata, la speciale procedura prevista
dall’art. 35, comma 13, della legge n.
47/1985 risulta chiaramente finalizzata ad
acquisire, in via preventiva, la valutazione
della compatibilità dell’intervento stesso
con gli interessi tutelati attraverso
l’apposizione del vincolo.
Del resto non si spiega altrimenti la
disposizione secondo la quale “i lavori
per il completamento delle opere di cui
all’articolo 32 possono essere eseguiti solo
dopo che siano stati espressi i pareri delle
competenti amministrazioni”. Coglie,
quindi, nel segno la giurisprudenza (TAR
Campania Napoli, Sez. IV, 02.12.2008, n.
20793) che pone in rilievo come, nel caso di
manufatti abusivi realizzati in zona
sottoposta a vincolo paesaggistico, non può
essere realizzato nessun tipo di intervento
di completamento funzionale in assenza della
preventiva valutazione di compatibilità
paesaggistica da parte dell’autorità
preposta alla gestione del vincolo.
---------------
Secondo una consolidata giurisprudenza (ex
multis, TAR Campania Napoli, Sez. VII,
14.01.2011, n. 160), la natura interamente
vincolata dell’ordine di demolizione esclude
la necessaria ponderazione di interessi
diversi da quelli pubblici tutelati e non
richiede ulteriore motivazione rispetto alla
dichiarata abusività dell’intervento.
Inoltre, i provvedimenti repressivi degli
abusi edilizi non devono essere preceduti
dalla comunicazione dell’avvio del
procedimento (ex multis, TAR Campania
Napoli, Sez. IV, 12.04.2005, n. 3780;
13.01.2006, n. 651) perché trattasi di
provvedimenti tipizzati e vincolati, che
presuppongono un mero accertamento tecnico
sulla consistenza delle opere realizzate e
sul carattere abusivo delle medesime.
Peraltro, seppure si aderisse
all’orientamento che ritiene necessaria tale
comunicazione anche per gli ordini di
demolizione, troverebbe comunque
applicazione nel caso in esame l’art.
21-octies, comma 2, della legge n. 241/1990,
nella parte in cui dispone che “non è
annullabile il provvedimento adottato in
violazione di norme sul procedimento …
qualora, per la natura vincolata del
provvedimento, sia palese che il suo
contenuto dispositivo non avrebbe potuto
essere diverso da quello in concreto
adottato”.
Infatti, considerato che l’ordine di
demolizione è atto dovuto in presenza di
opere realizzate in assenza del prescritto
titolo abilitativo e che, nel caso in esame,
trattasi di un intervento di completamento
realizzato su immobile che ricade in zona
vincolata, senza l’attivazione della
speciale procedura prevista dall’art. 35,
comma 13, della legge n. 47/1985, risulta
palese che il contenuto dispositivo
dell’impugnata ordinanza di demolizione non
avrebbe potuto essere diverso se alla parte
ricorrente fosse stata data comunicazione
dell’avvio del procedimento (TAR
Campania-Napoli, Sez. VII,
sentenza 28.10.2011 n. 5031 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
presentazione dell’istanza di accertamento
di conformità ai sensi dell’art. 36 del
D.P.R. n. 380/2001, successivamente
all’impugnazione dell’ordine di demolizione,
produce l’effetto di rendere improcedibile
l’impugnazione stessa per carenza di
interesse.
Infatti, il riesame dell’abusività
dell’opera provocato dall’istanza di
sanatoria determina la necessaria formazione
di un nuovo provvedimento, di accoglimento o
di rigetto (espresso o tacito), che vale
comunque a rendere inefficace il
provvedimento sanzionatorio oggetto
dell’originario ricorso, che deve
conseguentemente essere dichiarato
improcedibile per carenza di interesse,
perché l’interesse del responsabile
dell’abuso edilizio si sposta,
dall’annullamento del provvedimento
sanzionatorio già adottato e divenuto
inefficace, all’annullamento dell’eventuale
provvedimento di rigetto della domanda di
sanatoria e degli eventuali ulteriori
provvedimenti sanzionatori.
---------------
Per i lavori realizzati in assenza o
difformità dall’autorizzazione paesaggistica
che hanno determinato la creazione di
superfici utili o volumi ovvero un aumento
di quelli legittimamente realizzati, deve
affermarsi l’inidoneità della presentazione
dell’istanza di accertamento di conformità a
determinare l’inefficacia dell’ordine di
demolizione relativo a tali lavori.
Infatti -a fronte del divieto assoluto di
rilasciare l’autorizzazione paesaggistica in
sanatoria per i lavori che prima facie hanno
determinato la creazione di superfici utili
o volumi ovvero un aumento di quelli
legittimamente realizzati- un’eventuale
istanza di accertamento di conformità
avrebbe un intento meramente dilatorio e,
quindi, il giudice amministrativo -che nei
casi di attività vincolata deve oramai
essere considerato giudice del rapporto- può
senz’altro escluderne ogni rilevanza, perché
in tal caso è palese che il contenuto
dispositivo del provvedimento impugnato
(ossia l’ordine di demolizione) non potrà
essere diverso a seguito della pronuncia
dell’Amministrazione sulla richiesta di
sanatoria
Secondo la prevalente giurisprudenza (ex
multis, TAR Campania Napoli, Sez. VII,
20.11.2007, n. 14442; Sez. IV 02.10.2006, n.
8424) la presentazione dell’istanza di
accertamento di conformità ai sensi
dell’art. 36 del D.P.R. n. 380/2001,
successivamente all’impugnazione dell’ordine
di demolizione, produce l’effetto di rendere
improcedibile l’impugnazione stessa per
carenza di interesse.
Infatti, il riesame dell’abusività
dell’opera provocato dall’istanza di
sanatoria determina la necessaria formazione
di un nuovo provvedimento, di accoglimento o
di rigetto (espresso o tacito), che vale
comunque a rendere inefficace il
provvedimento sanzionatorio oggetto
dell’originario ricorso, che deve
conseguentemente essere dichiarato
improcedibile per carenza di interesse,
perché l’interesse del responsabile
dell’abuso edilizio si sposta,
dall’annullamento del provvedimento
sanzionatorio già adottato e divenuto
inefficace, all’annullamento dell’eventuale
provvedimento di rigetto della domanda di
sanatoria e degli eventuali ulteriori
provvedimenti sanzionatori.
---------------
Secondo la giurisprudenza di questa Sezione
(TAR Campania Napoli, Sez. VII, 28.12.2007,
n. 16539) tali conclusioni devono mantenersi
ferme anche per il caso in cui la domanda di
sanatoria riguardi opere abusive realizzate
su un’area oggetto di un vincolo
paesaggistico-ambientale, a condizione che
si tratti di opere che, prima facie,
non hanno determinato la creazione di
superfici utili o volumi ovvero un aumento
di quelli legittimamente realizzati.
Infatti, l’articolo 146, comma 4, del
decreto legislativo n. 42/2004 -applicabile
anche procedimento autorizzatorio previsto
per la fase transitoria in base al
successivo articolo 159, comma 5- esclude
dal divieto di rilasciare l’autorizzazione
paesaggistica, in sanatoria (ossia
successivamente alla realizzazione, anche
parziale, degli interventi) i casi previsti
dall’articolo 167, comma 4, del medesimo
decreto legislativo, costituiti -oltre che
dall’impiego di materiali in difformità
dall’autorizzazione paesaggistica e dai
lavori comunque configurabili quali
interventi di manutenzione ordinaria o
straordinaria- proprio dai “lavori,
realizzati in assenza o difformità
dall’autorizzazione paesaggistica, che non
abbiano determinato creazione di superfici
utili o volumi ovvero aumento di quelli
legittimamente realizzati”.
---------------
Per i lavori realizzati in assenza o
difformità dall’autorizzazione paesaggistica
che hanno determinato la creazione di
superfici utili o volumi ovvero un aumento
di quelli legittimamente realizzati, deve
affermarsi l’inidoneità della presentazione
dell’istanza di accertamento di conformità a
determinare l’inefficacia dell’ordine di
demolizione relativo a tali lavori.
Infatti -a fronte del divieto assoluto di
rilasciare l’autorizzazione paesaggistica in
sanatoria per i lavori che prima facie
hanno determinato la creazione di superfici
utili o volumi ovvero un aumento di quelli
legittimamente realizzati- un’eventuale
istanza di accertamento di conformità
avrebbe un intento meramente dilatorio e,
quindi, il giudice amministrativo -che nei
casi di attività vincolata deve oramai
essere considerato giudice del rapporto (ex
multis, TAR Campania Napoli, Sez. IV,
27.03.2006, n. 3200; 20.11.2006, n. 9983;
TAR Campania Napoli, Sez. VII, n. 14442/2007
cit.)- può senz’altro escluderne ogni
rilevanza, perché in tal caso è palese che
il contenuto dispositivo del provvedimento
impugnato (ossia l’ordine di demolizione)
non potrà essere diverso a seguito della
pronuncia dell’Amministrazione sulla
richiesta di sanatoria
(TAR Campania-Napoli, Sez. VII,
sentenza 28.10.2011 n. 5023 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
provvedimento di annullamento di ufficio di
una concessione edilizia, quale atto
discrezionale, deve essere adeguatamente
motivato in ordine all’esistenza
dell’interesse pubblico, specifico e
concreto, che giustifica il ricorso
all’autotutela anche in ordine alla
prevalenza del predetto interesse pubblico
su quello antagonista del privato.
in determinate ipotesi, l’interesse pubblico
all’eliminazione dell’atto illegittimo è da
considerarsi in re ipsa. Tra queste è
annoverabile l’ipotesi di annullamento
d’ufficio di titolo edilizio illegittimo:
a) a fronte dell’esigenza di garantire e
tutelare l’equilibrato sviluppo del
territorio e l’osservanza della vigente
disciplina urbanistica, rispetto alla quale
l’opera da realizzare si ponga in aperto e
permanente contrasto;
b) a fronte di falsa, infedele, erronea o
inesatta rappresentazione, dolosa o colposa,
della realtà da parte dell’interessato,
risultata rilevante o decisiva ai fini del
provvedimento autorizzativo, non potendo
l’interessato vantare il proprio legittimo
affidamento nella persistenza di un titolo
ottenuto attraverso l’induzione in errore
dell’amministrazione procedente;
c) a fronte dell’esigenza di salvaguardare i
caratteri e i pregi ambientali e
paesaggistici dei luoghi attinti dagli
interventi assentiti.
Non è sufficiente a giustificare l'esercizio
del potere di autotutela la pura e semplice
finalità di ripristinare la legalità
violata, occorrendo dar conto della
sussistenza di un interesse pubblico attuale
e concreto alla rimozione del titolo
edilizio e della comparazione tra tale
interesse e l'entità del sacrificio imposto
all'interesse privato, tanto più quando il
beneficiario dell’atto autorizzativo, in
ragione del tempo decorso, abbia maturato un
legittimo affidamento in merito alla
realizzazione delle opere, ovvero quando sia
riscontrabile la realizzazione di una
significativa parte delle opere assentite.
Il Collegio non ignora il costante
orientamento giurisprudenziale (Cons. Stato,
sez. V, 12.11.2003, n. 7218; sez. IV,
31.10.2006, n. 6465; TAR Campania, Napoli,
sez. VII, 22.06.2007, n. 6238; sez. III,
11.09.2007, n. 7483; sez. VIII, 30.07.2008,
n. 9586; 01.10.2008, n. 12321; TAR Sicilia,
Palermo, sez. III, 19.01.2007, n. 170; sez.
II, 08.06.2007, n. 1652; TAR Liguria, sez.
I, 11.12.2007, n. 2050; TAR Basilicata, sez.
I, 19.01.2008, n. 15), secondo cui “il
provvedimento di annullamento di ufficio di
una concessione edilizia, quale atto
discrezionale, deve essere adeguatamente
motivato in ordine all’esistenza
dell’interesse pubblico, specifico e
concreto, che giustifica il ricorso
all’autotutela anche in ordine alla
prevalenza del predetto interesse pubblico
su quello antagonista del privato”.
Anche nell’ipotesi di annullamento di un
permesso di costruire va, cioè, riconosciuta
piena operatività ai principi generali che
condizionano il legittimo esercizio del
potere di autotutela. Potere che è
espressione della discrezionalità
dell’amministrazione e che, nell’adozione di
un provvedimento espresso, postula la
valutazione di elementi ulteriori rispetto
alla mero ripristino della legalità violata.
In omaggio all’orientamento tradizionale che
trova il suo fondamento nei valori di rango
costituzionale di buon andamento e
dell’imparzialità dell’azione
amministrativa, è, infatti, doveroso
rimettere la verifica di legittimità
dell’atto di autotutela ad un apprezzamento
concreto, condotto sulla base dell’effettiva
e specifica situazione creatasi a seguito
del rilascio dell’atto autorizzativo.
Ciò premesso in via di principio, il
Collegio nemmeno ignora l’indirizzo,
altrettanto consolidato, in base al quale,
in determinate ipotesi, l’interesse pubblico
all’eliminazione dell’atto illegittimo è da
considerarsi in re ipsa.
Tra queste è annoverabile l’ipotesi di
annullamento d’ufficio di titolo edilizio
illegittimo:
a) a fronte dell’esigenza di garantire e
tutelare l’equilibrato sviluppo del
territorio e l’osservanza della vigente
disciplina urbanistica, rispetto alla quale
l’opera da realizzare si ponga in aperto e
permanente contrasto (Cons. Stato, sez. V,
28.11.2005, n. 6630; sez. IV, 26.10.2007, n.
5601; TAR Calabria, Catanzaro, sez. II,
15.06.2005, n. 1110);
b) a fronte di falsa, infedele, erronea o
inesatta rappresentazione, dolosa o colposa,
della realtà da parte dell’interessato,
risultata rilevante o decisiva ai fini del
provvedimento autorizzativo, non potendo
l’interessato vantare il proprio legittimo
affidamento nella persistenza di un titolo
ottenuto attraverso l’induzione in errore
dell’amministrazione procedente (Cons.
Stato, sez. V, 12.10.2004, n. 6554; sez. IV,
24.12.2008, n. 6554; TAR Sicilia, Palermo,
sez. II, 03.11.2003, n. 2366; TAR Puglia,
Lecce, sez. III, 21.02.2005, n. 686; TAR
Liguria. Genova, sez. I, 07.07.2005, n.
1027; 17.11.2006, n. 1550; TAR Campania,
Napoli, sez. IV, 13.02.2006, n. 2026; TAR
Calabria, Catanzaro, sez. I, 05.02.2008, n.
129; TAR Basilicata, Potenza, sez. I,
04.03.2004, n. 115; 10.05.2005, n. 299;
10.04.2006, n. 238; 18.10.2008, n. 643);
c) a fronte dell’esigenza di salvaguardare i
caratteri e i pregi ambientali e
paesaggistici dei luoghi attinti dagli
interventi assentiti.
a) Sotto il primo profilo, rileva la
circostanza oggettiva e dirimente
dell’accertata violazione delle distanze
legali, ossia di una violazione di norme
inderogabili, che, in quanto tale, implicava
una iniziativa in autotutela sostanzialmente
vincolata dell’amministrazione comunale, e
non imponeva, quindi, una specifica
motivazione né una espressa comparazione tra
l'interesse pubblico alla rimozione e quello
del privato alla conservazione dell'atto
illegittimo (cfr. Cons. Stato, sez. IV,
12.07.2002, n. 3929; 26.05.2006, n. 3201).
b) Sotto il secondo profilo, occorre
rimarcare che il progetto assentito col
permesso di costruire n. 10 del 23.07.2004
non ha correttamente riportato le distanze
del manufatto previsto dai fondi e dai
fabbricati confinanti, così inducendo in
errore l’amministrazione resistente circa
l’osservanza dell’art. 23 delle n.a. del
p.r.g. di Ailano.
c) Sotto il terzo profilo, giova
rammentare che l’annullamento d’ufficio di
un permesso di costruire in contrasto con i
vincoli paesaggistici gravanti sulla zona
non presuppone una peculiare comparazione
tra l’interesse pubblico all’eliminazione
degli atti viziati e il confliggente
interesse privato alla conservazione degli
stessi, stante l’evidente sussistenza
dell’interesse di rango costituzionale (art.
9 Cost.) alla tutela dell’ambiente e la sua
preminenza su qualunque altro interesse
pubblico o privato (cfr. Cons. stato, sez.
VI, 20.01.2000, n. 278; TAR Lazio, Roma,
sez. II, 04.01.2005, n. 48; TAR Campania,
Napoli, sez. III, 10.04.2007, n. 3193).
Ebbene, nel caso in esame, l’annullato
permesso di costruire n. 10 del 23.07.2004,
ancorché non in immediato contrasto con
norme di tutela paesaggistica (sul punto,
cfr. retro, sub n. 4), ha, comunque,
illegittimamente assentito opere ricadenti
in area assoggettata a vincolo paesaggistico
ed è risultato, così, suscettibile di
inficiare, sia pure indirettamente, i valori
da quest’ultimo tutelati.
La motivazione dianzi riportata risulta,
peraltro, proporzionata al tempo decorso tra
il momento di emissione del titolo
abilitativo e quello del suo successivo
annullamento, che si appalesa non
irragionevole.
Al riguardo, il Collegio ha presente
l’incontrastato indirizzo giurisprudenziale,
accreditato dall’art. 21-nonies, comma 1,
della l. n. 241/1990, secondo cui non è
sufficiente a giustificare l'esercizio del
potere di autotutela la pura e semplice
finalità di ripristinare la legalità
violata, occorrendo dar conto della
sussistenza di un interesse pubblico attuale
e concreto alla rimozione del titolo
edilizio e della comparazione tra tale
interesse e l'entità del sacrificio imposto
all'interesse privato (cfr. Cons. Stato,
sez. V, 01.03.2003, n. 1150), tanto più
quando il beneficiario dell’atto
autorizzativo, in ragione del tempo decorso,
abbia maturato un legittimo affidamento in
merito alla realizzazione delle opere (cfr.
Cons. Stato, sez. V, 19.01.2003, n. 899),
ovvero quando sia riscontrabile la
realizzazione di una significativa parte
delle opere assentite (cfr. Cons. Stato,
sez. V, 12.11.2003, n. 7218) (TAR
Campania-Napoli, Sez. VIII,
sentenza 26.10.2011 n. 4945 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Estensione ordine di demolizione.
L'ordine demolitorio impartito dal giudice
penale riguarda l'edificio nel suo
complesso, comprensivo di eventuali aggiunte
o modifiche successive all'esercizio
dell'azione penale e alla condanna, sia
perché si configura un dovere di
restitutio in integrum sia perché ogni
intervento additivo su una costruzione
abusiva si qualifica anch'esso come abusivo
ed è destinato a subire la stessa sorte
dell'opera cui accede (Corte di Cassazione,
Sez. III penale,
sentenza 17.10.2011 n. 37499 -
tratto da www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Natura giuridica ed esigibilità dei
contributi per il rilascio del permesso di
costruire ex art. 16 T.U. dell’edilizia.
La voltura del titolo edilizio implica la
liberazione del cedente dall’obbligo di
corrispondere gli oneri di urbanizzazione e
il contributo di costruzione, laddove il
cedente medesimo non abbia realizzato,
neppure in minima parte, la costruzione
degli edifici assentiti.
E’ questo il principio espresso dal
C.G.A.R.S. con
sentenza
13.10.2011 n. 666.
Il ricorrente aveva ottenuto, nel 1985, una
concessione edilizia per la costruzione di 4
palazzine, senza dare inizio ad alcuna
edificazione.
In seguito, aveva ceduto il terreno e
l’annessa facoltà di edificare ad una
società, la quale aveva costruito 3 delle 4
palazzine originariamente previste.
Pertanto, il comune chiedeva all’originario
ricorrente-cedente il pagamento degli oneri
di costruzione e di urbanizzazione,
ritenendo che la cessione della concessione
edilizia comportasse un vincolo di
solidarietà delle parti della cessione.
Il TAR Catania adito, accoglieva il
ricorso sottolineando come la voltura del
titolo edilizio aveva determinato la
liberazione del cedente dall’obbligo di
corrispondere gli oneri di concessione ed il
contributo di costruzione poiché
quest’ultimo non aveva realizzato, neppure
in minima parte, la costruzione degli
edifici. Ed infatti ad avviso del T.A.R. di
Catania, il presupposto di esigibilità di
questi oneri doveva essere individuato nella
materiale trasformazione urbanistica del
territorio.
Avverso la sentenza proponeva appello il
Comune.
Il C.G.A. adito, preliminarmente precisava
come per gli oneri concessori in oggetto,
trovava applicazione il termine di
prescrizione decennale, e non quello
quinquennale indicato dai giudici del primo
grado.
Nel merito del ricorso, condivideva le
motivazioni espresse dal TAR Catania,
sottolineando come “L’esercizio del potere
di edificare costituirebbe, dunque, il
necessario presupposto di esigibilità del
credito, non potendosi rimettere il sorgere
dell’obbligazione al solo possesso del
titolo edilizio”.
Inoltre, il Collegio effettuava una
particolare analisi sulla natura
pubblicistica dei contributi previsti
dall’articolo 16 del T.U. dell’edilizia
precisando che “La natura giuridica di
corrispettivo di diritto pubblico di
entrambi i contributi in questione comporta
l’applicabilità del tutto recessiva dei
principi civilistici dell’accollo, mancando
tra l’altro un vincolo pattizio alla base,
necessario ai sensi dell’art. 1273 c.c.
I contributi in questione vanno, dunque, più
correttamente inquadrati nell’ambito delle
prestazioni patrimoniali imposte, con la
conseguenza che non può prescindersi da
un’espressa previsione di legge.
In altri termini, pur non caratterizzandosi
per la causa impositionis tipica dei
tributi, bensì per la presenza dell’elemento
formale dell’imposizione, trattandosi di
prestazioni patrimoniali all'Ente
autoritativamente determinate, va
salvaguardata, nell’individuazione di tali
corrispettivi di diritto pubblico,
l’esigenza di rispettare l’art. 23 Cost.,
secondo il quale nessuna prestazione
patrimoniale può essere imposta se non in
base alla legge.[…]
Ne consegue, in definitiva, che, non
offrendo la legge, che ne disciplina il
regime, alcun indicatore normativo speciale
che faccia ritenere comunque applicabile la
disciplina civilistica della solidarietà
derivante dalla fattispecie dell’accollo, la
parte cedente che non ha iniziato
l’edificazione e quindi non abbia
realizzato, neppure in minima parte, la
costruzione degli edifici, viene a trovarsi
liberata, in virtù della voltura del titolo
edilizio, dall’obbligo di corrispondere gli
oneri di concessione ed il contributo di
costruzione di cui alla l. n. 10 del 1977,
non essendosi verificato il presupposto di
esigibilità del credito pubblico, ovvero la
materiale trasformazione urbanistica del
territorio”.
In conclusione, secondo i giudici siciliani,
il vincolo di solidarietà sussiste nella
sola ipotesi in cui l’edificazione abbia
avuto consistenza in capo al dante causa e
al cessionario, in quanto in tal caso il
presupposto di esigibilità degli oneri, e
cioè la materiale trasformazione urbanistica
del territorio, si realizza in capo ai due
autori (commento tratto da
www.professioni-imprese24.ilsole24ore.com -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Beni Ambientali. Nozione di
bosco.
La nozione di “bosco”
deve essere riferita non soltanto ai terreni
completamente coperti da boschi o foreste di
alto fusto, ma anche (per identità di ratio)
a tutte le aree parzialmente boscate, a
condizione che siano concretamente inserite
in un contesto con la preponderanza di
vegetazione, anche di tipo arbustivo.
Pertanto, a prescindere dalla presenza o
meno di alberi di alto fusto, non vi sono
dubbi della sussistenza di un vincolo
boschivo anche qualora l’area sia coperta
solo da vegetazione qualificabile come
"macchia".
La
qualificazione di un’area come “boscata”
o meno, attiene alla sfera della
discrezionalità amministrativa, per cui, una
volta intervenuto l'accertamento da parte
della Commissione, della ricorrenza del
vincolo in ragione della presenza di flora
arborea (art. 1, lett. g, l. n. 431/1985), è
irrilevante disquisire se tale tipologia
vegetativa sia costituita, prevalentemente
od esclusivamente, da alberi di alto fusto o
piuttosto da macchia tipica quale quella
carsica (cfr. Sez. IV 14.04.2010 n. 2105,
concernente proprio il Comune di Sgonico
nella stessa zona).
In ogni caso, l'art. 72 della legge
regionale F.V.G. n. 34/1997, definisce il “bosco”
come la “formazione vegetale in cui la
componente arborea copre il suolo in misura
superiore al 20%”.
Tale definizione del resto è in linea con
quanto anche disposto dall' art. 2, comma 3,
lett. b), d.lgs. 08.06.2001 n. 327, per cui
la nozione di “bosco” deve essere
riferita non soltanto ai terreni
completamente coperti da boschi o foreste di
alto fusto, ma anche (per identità di
ratio) a tutte le aree parzialmente
boscate, a condizione che siano
concretamente inserite in un contesto con la
preponderanza di vegetazione, anche di tipo
arbustivo.
Pertanto, a prescindere dalla presenza o
meno di alberi di alto fusto, non vi sono
dubbi della sussistenza di un vincolo
boschivo anche qualora l’area fosse coperta
solo da vegetazione qualificabile come "macchia"
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 10.10.2011 n. 5500 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il paesaggio è un valore
costituzionale primario la cui tutela
costituisce un finalità fondamentale
dell’ordinamento sia al fine di
salvaguardare un bene insostituibile per la
qualità della vita, sia anche al fine di
proteggere la zona boscata quale componente
del paesaggio inteso come bellezza naturale
d'insieme.
In assenza dei presupposti richiesti dalla
legge n. 47/1985 non esiste alcun principio
di preferenza per il mantenimento dell’abuso
del privato, in quanto -al contrario- l’art.
9 Cost. considera la “tutela del paesaggio
della Repubblica” come un valore
fondamentale della nazione ed un bene
“primario” ed “assoluto” .
Il paesaggio è un valore costituzionale
primario la cui tutela costituisce un
finalità fondamentale dell’ordinamento sia
al fine di salvaguardare un bene
insostituibile per la qualità della vita
(cfr. Consiglio Stato, sez. VI, 15.03.2007,
n. 1255), sia anche al fine di proteggere la
zona boscata quale componente del paesaggio
inteso come bellezza naturale d'insieme
(cfr. Consiglio Stato, sez. IV, 09.07.2010,
n. 4457).
In assenza dei presupposti richiesti dalla
legge n. 47/1985 non esiste alcun principio
di preferenza per il mantenimento dell’abuso
del privato, in quanto -al contrario- l’art.
9 Cost. considera la “tutela del
paesaggio della Repubblica” come un
valore fondamentale della nazione (cfr.
Corte Cost., 07.11.1994, n. 379) ed un bene
“primario” ed “assoluto”
(Corte Cost., 05.05.2006, nn. 182, 183)
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 10.10.2011 n. 5500 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
AGGIORNAMENTO AL 14.11.2011 |
ã |
GURI - GUUE -
BURL (e anteprima) |
ENTI LOCALI - VARI:
Disposizioni per la formazione del bilancio
annuale e pluriennale dello Stato (legge di
stabilità 2012) (approvata
definitivamente dalla Camera dei Deputati il
12.11.2011 ed in attesa di pubblicazione
sulla Gazzetta Ufficiale). |
DOTTRINA E
CONTRIBUTI |
EDILIZIA PRIVATA:
N. Durante,
La non idoneità delle aree e dei siti
all'installazione di impianti di produzione
di energia alternativa (link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
CORTE DEI
CONTI |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO:
Assunzioni in deroga in base a legge
regionale.
La Corte dei Conti Sez. Reg.le Sardegna, con
parere 10.11.2011 n. 78 ritiene
quanto segue:
"In ordine, quindi, ai limiti di spesa assunzionali per il personale degli enti
locali, va richiamata la normativa regionale
secondo la quale si ammette la possibilità
in favore degli enti superiori ai 5000
abitanti -purché in regola con i vincoli del
patto di stabilità interno per il precedente
esercizio e per quello in corso- di
derogare ai limiti previsti dal sistema
statale (contemplati nel d.l. 78 del 2010,
convertito in legge 122 del 2010, art. 14
commi 7 e 9).
Tale deroga, però, trova
ingresso esclusivamente con riguardo alla
spesa discendente da nuovi rapporti di
lavoro a diverso titolo quando derivino da
comprovati reali processi di decentramento o
riorganizzazione di funzioni e il cui onere
sia finanziato con risorse regionali e/o del
fondo unico. In tal senso dispone, infatti,
in ultimo la legge regionale n. 10 del 18.03.2011, art. 2, comma 7, la quale,
peraltro, ripropone modalità di deroga sulla
materia cui si è fatto sistematicamente
ricorso negli ultimi esercizi finanziari
(sul presupposto della mancata conclusione
del processo di decentramento di cui sopra e dell'indifferibilità o obbligatorietà dello
svolgimento delle funzioni amministrative
interessate).
Si deve ulteriormente precisare, rispondendo
al quesito della provincia di Sassari, che
detta deroga si estende anche al limite del
40% dell'incidenza della intera spesa del
personale sulla spesa corrente, attesa
l'espressa previsione di deroga consentita
dal Legislatore regionale ai vincoli posti dall'art. 14, comma 9, del cit. d.l. 78
(convertito nella legge n. 122 del 2010).
Quindi l'eventuale superamento della
percentuale di incidenza della spesa del
personale sulla spesa corrente (in via
ordinaria pari o superiore al 40%) non
rileva né al momento dell'assunzione del
personale in questione, né successivamente
alla medesima assunzione. La spesa per il
personale in questione può, quindi, essere
correttamente sostenuta, pur determinandosi
il superamento del 40% della spesa del
personale sulla spesa corrente a condizione
che sia stato rispettato il patto di
stabilità nell'esercizio precedente e in
quello in corso ed esclusivamente per le
finalità sopra delineate. Infatti, il d.l.
112/2008, convertito in legge 06.08.2008
n. 133, art. 76, comma 4, fa divieto agli enti
di assunzioni a qualsiasi titolo in caso di
mancato rispetto del patto di stabilità
interno nell'esercizio precedente e tale
disposizione non è stata abrogata dalla
normativa regionale in esame.
Il presente orientamento era già stato
affermato da questa Sezione (cfr.
deliberazione n. 26/2011/PAR)" (tratto da www.publika.it). |
NOTE,
CIRCOLARI E COMUNICATI |
EDILIZIA PRIVATA:
Lombardia,
Casa, nuove regole per rilanciare l'edilizia.
Via libera dalla Giunta regionale al
nuovo Progetto di legge per la
valorizzazione, il recupero e la
ristrutturazione del patrimonio edilizio
(ndr: il cosiddetto "piano casa-bis).
Il nuovo provvedimento, approvato su
proposta del presidente Roberto Formigoni,
di concerto con gli assessori al Territorio
e Urbanistica Daniele Belotti, alla Casa
Domenico Zambetti e all'Ambiente, Energia e
Reti Marcello Raimondi, è in linea con gli
indirizzi di contenimento del consumo di
suolo e di promozione del recupero
dell'esistente (indirizzi ulteriormente
declinati nel Piano territoriale regionale),
punta alla riqualificazione delle aree
degradate e dismesse (così come già previsto
dalla legge 12 del 2005) ed è coerente con
gli obiettivi di miglioramento
dell'efficienza energetica delle abitazioni
e della sempre maggior diffusione delle
fonti di energia rinnovabili.
La Proposta di legge, che dovrà ora essere
approvata dal Consiglio regionale, detta le
norme per la riqualificazione urbana e del
patrimonio edilizio esistente, per contenere
il consumo di nuovo suolo e l'utilizzo di
energia da fonti fossili, riaffermando
esplicitamente il ruolo delle
Amministrazioni comunali nell'ambito del
governo del territorio e delle scelte
effettuate negli strumenti di pianificazione
urbanistica (in sintonia con le disposizioni
della legge regionale n. 12 del 2005).
AIUTO ALLA CRESCITA
- "Risparmio del suolo ed efficienza
energetica -spiega il presidente
Formigoni- sono capisaldi di questo
progetto, che semplifica le norme per
recuperi e ampliamenti, a vantaggio dei
cittadini e delle imprese del settore e con
lo scopo di rilanciare la riqualificazione
urbanistica ed edilizia".
RUOLO DEI COMUNI
- "Con questo piano -dichiara Belotti-
vogliamo favorire un effettivo rilancio del
settore edilizio, semplificando e
incentivando alcuni interventi particolari
come quelli riguardanti i sottotetti e le
autorimesse interrate, il miglioramento
dell'efficienza energetica degli edifici e
il recupero delle aree dismesse". "Sottolineo
-aggiunge l'assessore al Territorio-
che, nonostante un terzo dei Comuni lombardi
abbia limitato la portata applicativa del
precedente Piano casa, abbiamo ritenuto di
mantenere la potestà di attuazione delle
disposizioni di questo piano in capo ai
Comuni, in coerenza con i principi
ispiratori della legge di Governo del
territorio lombardo". Il Progetto di
legge introduce alcune disposizioni di
rinnovo, parziale e a tempo, della
disciplina per il recupero e la sostituzione
del patrimonio edilizio esistente, a suo
tempo dettata dalla legge regionale n. 13
del 2009.
RECUPERO DELL'ESISTENTE
- In particolare, il Pdl prevede la
possibilità, in deroga allo strumento
urbanistico, di recuperare volumi del
patrimonio edilizio esistente, con un nuovo
termine fissato al 31.12.2013 (art. 3) per
destinazioni residenziali o destinazioni
ammesse dagli strumenti urbanistici, anche
nel caso in cui i volumi siano seminterrati.
SOSTITUZIONE
- E' contemplata anche la sostituzione
edilizia -a esclusione dei centri storici e
dei nuclei di antica formazione- con proroga
dei termini al 31.12.2013 (art. 4). In
pratica la ricostruzione di un edificio
demolito può avvalersi di un incremento di
volumetria fino al 35 per cento (come
previsto dalla legge 13 del 2009), sempre in
deroga allo strumento urbanistico.
EDILIZIA SOCIALE
- Il Pdl intende anche estendere
l'applicazione delle normative già previste
per l'Edilizia residenziale pubblica (Erp)
all'edilizia sociale, con proroga dei
termini al 31.12.2014 (art. 5). Tre gli
interventi previsti: incremento volumetrico
fino al 40 per cento degli attuali alloggi
sociali; trasformazione di edifici pubblici
esistenti e/o dismessi, anche non pubblici,
in residenza sociale; possibilità di
realizzare edilizia sociale sulle aree
standard (destinate a servizi, parcheggi,
verde). Un pacchetto di norme cui Zambetti
tiene particolarmente, perché "l'housing
sociale è la strada giusta delle moderne
politiche per la casa".
EFFICIENZA ENERGETICA
- Da registrare una prima attuazione del
Decreto legislativo n. 28/2011 per
incrementare l'efficienza energetica e l'uso
delle fonti rinnovabili nell'edilizia sia
privata che pubblica, mediante
riconoscimento di premialità volumetriche
aggiuntive a quelle già previste dal piano
casa. "Si tratta di un punto molto
qualificante -nota Raimondi- che ci
pone all'avanguardia nel panorama nazionale.
E' d'altra parte in linea con le politiche
complessive per l'energia e il rispetto
dell'ambiente che la Regione persegue".
ALTRE NORME
- Vengono introdotte inoltre ulteriori
disposizioni di incentivazione di interventi
immediati sul tessuto edilizio, quali: -
modifiche alla normativa per incentivare il
recupero aree industriali dismesse (art. 6);
- modifiche alla disciplina in materia di
sottotetti per favorire il loro recupero a
fini abitativi (art. 8); - norme per
l'incentivazione alla realizzazione di
autorimesse pertinenziali a edifici
residenziali (art. 9); - norme per favorire
la conversione di coperture in cemento
amianto in coperture di tipo tradizionale
(art. 10); - norme che favoriscano la
realizzazione degli ascensori esterni, per
l'abbattimento di barriere architettoniche
(art. 11).
SILENZIO-ASSENSO
- Tra le novità da segnalare: il recepimento
della modalità silenzio-assenso per il
rilascio del permesso di costruire, come già
previsto dalla normativa statale (art. 14).
La legge, come noto, detta una procedura con
tempistica precisa per il rilascio del
permesso di costruire. Con la legge 12 del
2005, allo scadere del termine, l'effetto
era di "silenzio-rifiuto". Ora il
meccanismo si capovolge e, se il Comune non
si pronuncia entro il termine prestabilito,
scatta il "silenzio-assenso".
VAS E PGT
- Il Pdl conferma, infine, la competenza del
Consiglio comunale ad approvare i piani
attuativi conformi agli strumenti
urbanistici vigenti (art. 15) e aggiorna le
procedure in materia di Vas dei PGT (art.
12) (09.11.2011 - link a
www.territorio.regione.lombardia.it). |
UTILITA' |
SICUREZZA LAVORO: Testo
Unico sulla Sicurezza e verifica periodica
delle attrezzature: domande, risposte e
chiarimenti.
Gli obblighi del datore di lavoro sono
disciplinati dall’articolo 71 del Decreto
Legislativo 81/2008; tra questi vi è la
verifica periodica delle attrezzature di
lavoro.
Le attrezzature sono definite come qualsiasi
macchina, apparecchio, utensile o impianto
necessari all’attuazione di un processo
produttivo; le attrezzature da sottoporre a
verifica periodica sono specificate
nell’Allegato VII del D.Lgs. 81/2008.
Le modalità attuative sono state stabilite
dal D.M. 11.04.2011 che entrerà in vigore il
24.01.2012. In particolare il Decreto
definisce:
►
le modalità di effettuazione delle verifiche
periodiche cui sono sottoposte le
attrezzature di lavoro;
►
i criteri per l'abilitazione dei soggetti
pubblici o privati;
►
le modalità con cui l'INAIL e le ASL possono
avvalersi del supporto di soggetti pubblici
o privati per l'effettuazione delle
verifiche periodiche di cui all'articolo 71,
comma 11.
La Regione Piemonte e la ASL di Alessandria
hanno reso disponibile una pubblicazione
completa sulla verifica periodica delle
attrezzature.
Il documento fornisce utili chiarimenti e
delucidazioni, fornendo risposta a tante
domande frequenti, tipo cosa accade se non
vengono effettuate le verifiche nei termini
previsti, oppure quali sono i costi da
sostenere.
Gli argomenti trattati sono:
● Analisi del DM 11 aprile 2011;
● Denuncia dei dispositivi di messa a terra
e obblighi di verifica;
● Infortuni connessi all'uso di macchine,
attrezzature e impianti
(10.11.2011 - link a www.acca.it). |
SICUREZZA LAVORO:
Guida illustrata sulla sicurezza nei
cantieri: disegni, schemi e didascalie su
cosa fare e cosa non fare.
Durante le attività di cantiere i lavoratori
devono prestare particolare attenzione alle
operazioni svolte, anche quelle
apparentemente più semplici.
Al riguardo è necessaria un'opportuna
attività di formazione e informazione da
parte dei datori di lavoro.
In questo articolo proponiamo ai lettori di
BibLus-net una guida realizzata da ANFOS
(Associazione Nazionale Formatori della
Sicurezza sul Lavoro) in collaborazione con
E.Bi.N.Fo.S. (Ente Paritetico Bilaterale
Nazionale Formazione della Sicurezza) che ha
lo scopo di richiamare l’attenzione sugli
aspetti principali della sicurezza e
dell’igiene del lavoro nei cantieri edili.
La guida è costituita da illustrazioni e
didascalie riportanti i comportamenti
corretti e quelli da evitare in diverse fasi
da affrontare in un cantiere edile ed è
facilmente comprensibile anche dagli
operatori extracomunitari.
In particolare, i temi trattati sono:
● Dispositivi di protezione individuale
nelle varie lavorazioni;
● Lavori in quota;
● Movimentazione dei carichi;
● Operazioni di scavo;
● Operazioni di demolizione
(10.11.2011 - link a www.acca.it). |
NEWS |
ENTI LOCALI - VARI: I
PROVVEDIMENTI PER LO SVILUPPO/ In porto la
legge di stabilità 2012. Pensioni,
professioni, semplificazione: ecco cosa
cambia. Ok dal senato, oggi il via alla
Camera, lunedì in G.U..
Via libera dell'aula del Senato alla Legge
di Stabilità, la ex finanziaria. Il
provvedimento e' stato approvato con 156
voti a favore, 12 contrari e un astenuto.
Non hanno partecipato al voto Pd e Terzo
Polo e l'Idv ha votato contro. Ora il testo
passa all'esame della Camera dove, dopo un
rapido passaggio in commissione, il voto per
il via libera definitivo da parte dell'aula
di Montecitorio e' previsto per oggi. Per la
pubblicazione se ne parlerà lunedì: la legge
sarà in Gazzetta Ufficiale, probabilmente
con il numero 180.
Dalle pensioni alla mobilità per gli statali in esubero, dalle
dismissioni all'aumento delle accise sulla
benzina, dal rifinanziamento della Legge
Mancia alla deroga del patto di stabilità
interno del comune di Barletta per le spese
sostenute per il crollo della palazzina che
causò la morte di cinque donne: queste
alcune delle novità contenute nella Legge
di Stabilità.
Non ci sono le ventilate
norme sui cosiddetti licenziamenti facili,
né la patrimoniale o la reintroduzione
dell'Ici, interventi che erano stati
ipotizzati nei giorni scorsi per rispondere
alle richieste della Ue. Nel pacchetto non
rientrano nemmeno misure a favore delle zone
alluvionate di Liguria e Toscana perché
bisognerà aspettare la quantificazione dei
danni. Con 153 sì, 11 no e 3 astenuti il
Senato ha approvato anche il ddl Bilancio e
la Nota di variazione. Anche questi
provvedimenti passano, quindi, alla Camera
per la seconda e ultima lettura (oggi senza
modifiche).
Intanto Ivan Malavasi,
presidente di Rete Imprese Italia afferma
che «sarebbe un errore gravissimo non
confermare le detrazioni fiscali per
l`efficienza energetica (55%) in scadenza a
fine anno. Ben consapevoli delle difficoltà
connesse al delicatissimo equilibrio del
bilancio pubblico rileviamo con grande
disappunto la mancata riconferma, nel ddl di
stabilità, degli incentivi per la
riqualificazione energetica degli edifici.
Evidenziamo il ruolo fondamentale delle
detrazioni che, dal 2007, hanno contribuito
alla riduzione dei consumi e delle emissioni climalteranti hanno prodotto circa 11 mld
di euro di investimenti e creato nuova
occupazione, generando ritorni positivi sui
conti pubblici»
(articolo ItaliaOggi del 12.11.2011 -
tratto da www.ecostampa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI: I
PROVVEDIMENTI PER LO SVILUPPO/
Certificati scaduti. Proroga fai-da-te.
Autocertificazione ampia con la p.a..
Autocertificazione a tutto campo con la
pubblica amministrazione. In caso di
certificati anagrafici, certificazione di
stato civile e copie di atti dello stato
civile che siano scaduti, cioè oltre i
termini di validità, l'interessato potrà con
l'autocertificazione scrivere in fondo al
documento che le informazioni non hanno
subito variazioni dalla data del rilascio.
La semplificazione arriva con il
maxiemendamento al disegno di legge della
stabilità approvato ieri dal senato e che
oggi sarà approvato dalla camera. Il
prolungamento di validità però avrà effetto
nei rapporti con pubbliche amministrazione e
gestori o esercenti di pubblici servizi.
La novità del maxiemendamento va nella
direzione di sopprimere la precedente
disposizione che stabiliva anche che il
procedimento per il quale gli atti
certificativi sono richiesti dovesse avere
comunque corso una volta acquisita la
dichiarazione dell'interessato.
La legge di stabilità punta dunque ad
allargare l'uso dell'autocertificazione nei
rapporti con la pubblica amministrazione;
tanto che si dispone che le certificazioni
rilasciate dalla pubblica amministrazione
relativamente a stati, qualità personali e
fatti, siano valide e utilizzabili solo nei
rapporti con i privati mentre nei rapporti
con la p.a., e con i gestori dei servizi
pubblici, i certificati e gli atti di
notorietà devono essere sostituiti dalle
relative dichiarazioni sostitutive. Allo
stesso tempo è previsto che sui documenti
rilasciati per i privati sia apposta una
dicitura che ne escluda l'utilizzo nei
rapporti con gli organi della p.a. o con i
privati gestori di pubblici servizi.
Alla pubblica amministrazione è poi
riconosciuto l'onere di acquisire d'ufficio
le informazioni oggetto delle dichiarazioni
sostitutive dei certificati e degli atti di
notorietà. L'interessato dovrà però indicare
gli elementi indispensabili per il
reperimento di informazioni o dei dati
richiesti.
Per le imprese arriva poi la semplificazione
del Durc. La legge stabilità sposta
l'obbligo di acquisire e controllare le
informazioni relative alla regolarità
contributiva dall'impresa alla pubblica
amministrazione
(articolo ItaliaOggi del 12.11.2011 -
tratto da www.ecostampa.it). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO:
I PROVVEDIMENTI PER LO SVILUPPO/ Personale, rilevazioni d'obbligo.
Sanzionata la p.a. che non mette nero su
bianco gli esuberi. Al
dipendente collocato in disponibilità va
l'80% dello stipendio a titolo di
indennità.
Rafforzati i poteri delle pubbliche
amministrazioni per trasferire i dipendenti
che risultino in esubero, ma senza le norme
sulla mobilità o sulla cassa integrazione
proprie dell'ordinamento privato.
È ancora molta la confusione a cui si
assiste nei dibattiti rispetto alla portata
della modifica all'articolo 33 del dlgs
165/2001.
Molti commentatori e osservatori
sintetizzano l'emendamento al ddl stabilità,
presentandolo come se esso introducesse
nella pubblica amministrazione la mobilità
obbligatoria e la cassa integrazione per i
dipendenti in esubero, cui spetta per la
durata di 24 mesi lo stipendio base, ridotto
del 20%.
Le cose non stanno così. In effetti il testo
ancora oggi vigente dell'articolo 33 del
dlgs 165/2001 prevede esattamente gli stessi
strumenti: e cioè che nel caso in cui uno o
più dipendenti siano dichiarati in esubero,
in quanto non più utilmente impiegabili
nell'ambito dell'organizzazione, né li si
possa trasferire in altre amministrazioni,
vengono messi «in disponibilità», cioè sulle
soglie del licenziamento, per 24 mesi, nel
corso dei quali percepiscono uno stipendio
pari all'80% di quello precedente e sono
vincolati ad accettare eventuali proposte di
altre amministrazioni che intendano
assumerli.
Tra il nuovo testo proposto dal
maxiemendamento e il testo attualmente
vigente dell'articolo 33 del dlgs 165/2001,
allora, intercorrono sostanzialmente solo
tre rilevanti differenze.
La prima discende dall'imposizione, in capo
alle amministrazioni, dell'obbligo di
procedere necessariamente ogni anno alla
rilevazione del personale in servizio, per
comprendere se emergano casi di lavoratori
in eccedenza. Dunque, mentre nel testo
attualmente vigente la situazione di esubero
può essere evidenziata in modo episodico e
contingente, in quanto discendente da
particolari situazioni (ad esempio,
l'esternalizzazione di funzioni), per
effetto del maxiemendamento ogni datore di
lavoro pubblico deve in modo continuativo,
almeno ogni anno, controllare che la
quantità dei dipendenti sia adeguata
all'organizzazione e non vi siano eccedenze
di personale. Tanto è vero, che il
maxiemendamento sanziona l'inadempimento a
effettuare la ricognizione annuale
sull'eventuale soprannumero dei dipendenti
col divieto assoluto di effettuare
assunzioni a qualsiasi titolo. A tale
sanzione si aggiunge, poi, la responsabilità
dei dirigenti che non attivino le procedure
per la mobilità o la messa in disponibilità
del personale in esubero.
La seconda differenza concerne procedimento
da seguire. Il maxiemendamento riduce al
minimo le relazioni sindacali, limitandole
ad una mera informazione. L'iter si deve
concludere entro il breve volgere di 90
giorni, nel corso dei quali
l'amministrazione deve sondare la
possibilità di ricollocare i dipendenti in
esubero all'interno delle sue strutture,
anche modificando il contratto di lavoro.
La terza differenza consiste nella decisa
spinta all'utilizzo della mobilità. Non si
tratta, però, dell'istituto vigente nel
settore privato: nell'ambito del lavoro
pubblico per “mobilità” si intende il
trasferimento di un dipendente da un ente
all'altro. La regolamentazione della
mobilità è contenuta nell'articolo 30 del dlgs 165/2001, che la qualifica come
mobilità «volontaria», in quanto
l'iniziativa per i trasferimenti è nei fatti
rimessa alla volontà di ciascun dipendente
di trasferirsi, anche se allo scopo occorre
l'espressione di un consenso da parte
dell'ente di appartenenza, trattandosi di
cessione di contratto.
Per effetto del maxiemendamento la mobilità
«volontaria», nei riguardi dei dipendenti in
esubero, diviene, in effetti,
«obbligatoria». Infatti, l'amministrazione
procedente, può accertare che il dipendente
in eccedenza possa essere utilmente
ricollocato presso un'altra amministrazione,
appunto mediante la mobilità. In questo
caso, può stipulare un accordo con l'altra
amministrazione, per definire le modalità ed
i tempi del trasferimento.
La spinta verso l'utilizzo della mobilità è
forte, perché in questo modo si garantisce
l'obiettivo di razionalizzare la
distribuzione dei dipendenti presso le p.a.:
quelle, infatti, che si ritrovino con un
plafond ridondante di dipendenti, possono
spingere i dipendenti in esubero a
trasferirsi verso enti il cui organico
risulti, invece, deficitario.
Laddove l'amministrazione che abbia
accertato la condizione di esubero abbia
stipulato con un'altra amministrazione un
accordo per disciplinare la mobilità e i
dipendenti eccedenti non accettino il
trasferimento loro proposto, per detti
dipendenti scatta la tagliola della messa
«in disponibilità». Si tratta, cioè, di
quella condizione che apre le porte a un
potenziale licenziamento, nella quale il
dipendente non presta alcuna attività
lavorativa e percepisce, a titolo di
indennità e non di retribuzione, una somma
pari all'80% dello stipendio e
dell'indennità integrativa speciale, escluso
qualsiasi altro onere retributivo, per un
periodo non superiore ai 24 mesi.
Durante questo lasso di tempo, per effetto
degli articoli 34 e 34-bis del dlgs
165/2001, le amministrazioni legittimate ad
assumere, debbono verificare la presenza di
dipendenti inseriti nelle liste di
disponibilità con le province e il
Dipartimento della funzione pubblica, perché
in caso positivo sono obbligate a proporre a
detti dipendenti l'assunzione, prima di fare
i concorsi.
Dunque, il maxiemendamento non ha nulla a
che vedere con la cassa integrazione e con
la disciplina privatistica di tutela dei
dipendenti licenziati, ma punta a rafforzare
l'obbligo delle amministrazioni di
razionalizzare la distribuzione quantitativa
dei propri dipendenti, puntellando norme e
regole già esistenti
(articolo ItaliaOggi
dell'11.11.2011 - tratto da
www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: I PROVVEDIMENTI PER LO SVILUPPO/ Mobilità, i sindacati restano fuori
dai giochi.
Resta solo l'informazione preventiva. La
competenza esclusiva spetta alla dirigenza.
Si
compie il percorso avviato dalla riforma
brunetta.
Sindacati out dalle procedure per la
dichiarazione di esubero e messa in
disponibilità dei dipendenti pubblici.
La modifica all'articolo 33 del dlgs
165/2001 prevista dagli emendamenti alla
legge di stabilità produrrà l'effetto di
conclamare la netta riduzione della sfera di
intervento delle organizzazioni sindacali
nelle vicende organizzative delle pubbliche
amministrazioni, compiendo definitivamente
il percorso avviato dalla riforma-Brunetta.
In effetti, ai sensi dell'articolo 5, comma
2, del Testo unico sul pubblico impiego
stabilisce che «le determinazioni per
l'organizzazione degli uffici e le misure
inerenti alla gestione dei rapporti di
lavoro sono assunte in via esclusiva dagli
organi preposti alla gestione con la
capacità e i poteri del privato datore di
lavoro, fatta salva la sola informazione ai
sindacati».
L'individuazione dei casi di esubero dei
dipendenti delle pubbliche amministrazioni
rientra indubbiamente nell'ambito delle
determinazioni per l'organizzazione degli
uffici; così come le conseguenti decisioni
da adottare, come il tentativo di
ricollocare i dipendenti in esubero
all'interno dell'ente, oppure di avviarli in
mobilità verso altri enti e, infine, di
metterli in disponibilità, sono misure
inerenti alla gestione dello specifico
rapporto di lavoro.
Insomma, l'iter finalizzato agli esuberi,
alla luce del dlgs 150/2009, rientra nella
competenza esclusiva della dirigenza, sicché
per le organizzazioni sindacali resta solo
l'informazione preventiva.
Non è un caso, allora, che il
maxiemendamento riduca le relazioni
sindacali finalizzate alla gestione della
procedura appunto alla sola informazione,
modificando radicalmente la sequenza
procedimentale del testo dell'articolo 33
attuale.
Oggi la norma stabilisce che laddove gli
esuberi riguardino almeno dieci dipendenti
occorre rivolgere alle rappresentanze
unitarie del personale e alle organizzazioni
sindacali firmatarie del contratto
collettivo nazionale del comparto o area la
comunicazione preventiva prevista
dall'articolo 4 della legge 223/1991,
indicando i motivi che determinano la
situazione di eccedenza, i motivi tecnici e
organizzativi che non consentono di
riassorbire le eccedenze all'interno della
medesima amministrazione, il numero, la
collocazione, le qualifiche del personale in
esubero, nonché eventuali proposte per
risolvere la situazione di eccedenza e i
relativi tempi di attuazione.
L'attuale
testo consente alle organizzazioni sindacali
di chiedere un esame congiunto delle cause
di esubero, per verificare la possibilità di
diversa utilizzazione e di pervenire ad un
accordo sulla ricollocazione totale o
parziale del personale eccedente, o
nell'ambito della stessa amministrazione,
anche mediante il ricorso a forme flessibili
di gestione del tempo di lavoro o a
contratti di solidarietà, ovvero presso
altre amministrazioni comprese nell'ambito
della Provincia o della regione. In ogni
caso, la procedura deve concludersi con un
accordo o un verbale nel quale sono
riportate le diverse posizioni.
Il maxiemendamento elimina radicalmente tale
iter e rimette tutto alle decisioni
unilaterali del datore di lavoro,
coerentemente, del resto, con le
disposizioni contenute nell'articolo 1,
comma 29, del dl 138/2011, convertito in
legge 148/2011
(articolo ItaliaOggi
dell'11.11.2011). |
VARI:
I PROVVEDIMENTI PER LO SVILUPPO/ Società tra
professionisti a 360°.
Snc, sas, srl, spa e cooperative: possibili
tutte le opzioni. Porte aperte ai soci
maggioritari di capitale, che potranno anche
essere nominati nel board.
Ai professionisti iscritti in ordini
professionali sarà consentito costituirsi
oltre che in società semplici, anche
attraverso la forma di società di persone
(snc e sas), società di capitali (srl, spa e
sapa) e società cooperative. È ammesso che
alle stesse possano partecipare soci tecnici
e di capitali per i quali, da un lato sarà
ammissibile detenere anche quote
maggioritarie del capitale e, dall'altro,
essere nominati nei board delle società.
È
quanto contempla l'art. 4-septies
dell'emendamento al disegno di legge per la
stabilità 2012, che prevede peraltro, entro
12 mesi, l'abrogazione delle attuali norme
sugli ordinamenti professionali i quali
dovranno essere emendati per tener conto
dell'art. 3, comma 5, del dl 138/2008.
Via libera alle società personali fra
professionisti. A seguito dell'abrogazione
dell'art. 2 della legge 1815/1939 a seguito
della legge 266/1997, manca una disciplina di
riferimento per la costituzione di società
fra professionisti. In concreto, dunque, ad
oggi la costituzione di società personali
fra professionisti è ammessa (seppur con
qualche incertezza giurisprudenziale) solo
nella forma di società semplice.
La formula della società personale è,
inoltre, consentita per la costituzione di
società di revisione (art. 2, comma 4, dlgs
39) o di società fra avvocati (dlgs
2001/1996). Con le nuove disposizioni, di
contro, che fanno riferimento a tutte le
tipologie societarie di cui al titolo V,
libro V del codice civile, professionisti e
non professionisti (tecnici o soci
investitori) potranno costituire sia società
semplici, sia società in nome collettivo,
che società in accomandita semplice. In
presenza di soci di capitali, peraltro, la
formula più adatta potrebbe rivelarsi
proprio quest'ultima con i professionisti
soci accomandatari e i soci di capitale
quali accomandanti.
Società di capitali. Le società fra
professionisti potranno essere costituite
anche nella forma di società a
responsabilità limitata, o società per
azioni o in accomandita per azioni. Di
fatto, in queste forme societarie (come
peraltro nelle società personali) i soci
potranno essere, non solo professionisti, ma
anche tecnici (probabilmente inseribili
soprattutto in compagini attinenti
l'esercizio di professioni mediche) e meri
investitori.
Due elementi di assoluto interesse emergono
nell'ultima bozza di provvedimento (a
riguardo modificata rispetto al primo
testo):
1) che i tecnici e i soci investitori
possano detenere anche la maggioranza del
capitale;
2) che i soci non professionisti possano
essere eletti nel consiglio di
amministrazione.
Tali possibilità, ovviamente, potrebbero
ridurre a un ruolo marginale i
professionisti nell'ambito della società
professionale avvicinandoli a una posizione
molto vicina a quella dei «dipendenti».
Si pensi a una srl, in cui sia previsto che
i soci di capitale sottoscrivano oltre il
50% del capitale sociale. In questi casi
essi avrebbero:
1) la possibilità di nominare (salvo
ovviamente diversi accordi sociali o
parasociali) gli amministratori, che
potrebbero addirittura essere scelti anche
totalmente nell'ambito dei soci capitalisti
o perfino fra soggetti estranei alla
società;
2) stabilire le strategie della società
professionale attribuendo gli incarichi a
professionisti scelti dal cda (quando gli
stessi non vengano nominati dai clienti) e
il loro «modus operandi»;
3) stabilire il compenso del cda, che se
costituito da soggetti non professionisti,
potrebbe ridurre gli utili della società e
quindi i dividendi degli stessi
professionisti «soci».
Professionisti anche in società cooperative.
Da evidenziare, da ultimo, che fra le
società di cui al titolo VI del libro V del
codice civile (richiamato dal
maxiemendamento) rientrino anche le società
cooperative. Ne deriva che anche queste
forme societarie dovrebbero ritenersi
ammissibili per la costituzione e l'utilizzo
delle future società fra professionisti e
soci non professionisti
(articolo ItaliaOggi
dell'11.11.2011 - tratto da
www.corteconti.it). |
PUBBLICO IMPIEGO - VARI:
I PROVVEDIMENTI PER LO SVILUPPO/ In pensione a 67 anni dal 2016.
Per gli autonomi è l'effetto di finestre e
speranza di vita. Dai
conteggi della relazione tecnica al
maxiemendamento emerge l'anticipo rispetto
al 2026.
Per pensionarsi all'età di 67 anni non
bisognerà aspettare il 2026. Già nel 2016,
infatti, i lavoratori autonomi dovranno
attendere quest'età per incassare il primo
assegno di pensione: dieci anni prima del
traguardo (il 2026) garantito all'Ue. Poi
sarà la volta dei dipendenti privati e delle
lavoratrici del pubblico impiego, nel 2022;
quindi delle lavoratrici autonome nel 2024,
e infine delle lavoratrici dipendenti nel
2025.
È quanto evidenzia la relazione
tecnica al maxiemendamento del governo al
ddl di stabilità 2012.
Finestre e speranza di vita. I requisiti per
la pensione sono influenzati da due
elementi: speranza di vita e finestra di
pensionamento. La prima, che entrerà in
vigore il 2013, è un meccanismo di
aggiornamento automatico del requisito di
età; in pratica, ogni tre anni l'Istat
misurerà la probabilità di vita che resta a
chi ha 65 anni e, se questa aumenta,
l'incremento eleverà il requisito d'età per
la pensione.
La relazione al maxiemendamento
dà una stima di questa speranza di vita: nel
2013 dovrebbe produrre un incremento di tre
mesi del requisito d'età per la pensione,
nel 2016 di altri quattro mesi, e così nel
2019, 2022, 2025, 2028 e 2031 per poi
riscendere a tre mesi nei trienni
successivi. Quanto al secondo elemento, la
finestra determina la data di effettiva
decorrenza della pensione, una volta
maturato il diritto; ha misura fissa di 12
mesi (dipendenti) e 18 mesi (autonomi).
Pensione di vecchiaia. È la pensione
ordinaria. Il diritto si matura con 20 anni
di contributi (sistema retributivo), ovvero
cinque anni per chi ha cominciato a lavorare
dal 1996 (sistema contributivo), e un'età di
65 anni per gli uomini, 61 anni per le donne
del pubblico (65 anni dal 2012) e di 60 anni
per le donne del privato (crescerà dal 2014
per arrivare a 65 anni nel 2024).
Dal 2013
il requisito d'età sarà soggetto alla
speranza di vita; la relazione al
maxiemendamento dà una stima dell'evolversi,
tenendo conto anche delle finestre. In
pratica, se oggi un dipendente incassa la
pensione a 66 anni (a 65 matura il diritto,
poi attende un anno per la finestra), nel
2021 la incasserà a 66 anni e 11 mesi e nel
2022 a 67 anni e tre mesi. Va molto peggio
agli autonomi; oggi, infatti, incassano la
pensione a 66 anni e 6 mesi (a 65 anni il
diritto, poi attendono un anno e mezzo per
la finestra), nel 2015 la incasseranno a 66
anni e 9 mesi e nel 2016 a 67 anni e un
mese.
Va meglio alle lavoratrici, dipendenti
e autonome, del privato; le prime, che oggi
vanno in pensione a 61 anni, dovranno
aspettare il 2024 per vedersi elevare l'età
a 67 anni e 4 mesi; le autonome, che oggi
vanno in pensione a 61 anni e sei mesi, nel
2024 andranno in pensione a 67 anni. Le
stime del governo arrivano fino al 2050,
quando tutti i dipendenti, pubblici e
privati, donne e uomini, andranno in
pensione a 69 anni e 10 mesi, mentre gli
autonomi, uomini e donne, a 70 anni e 4
mesi.
Pensione di anzianità.
È la pensione anticipata, per evitare le età
per la vecchiaia. Si ha diritto in questi
casi: con un'anzianità contributiva di
almeno 40 anni (a qualunque età), oppure in
presenza di almeno 35 anni di contributi e
un'età che dai 60 anni del 2010 salirà a 62
anni dal 2013 per i dipendenti e da 61 anni
del 2010 a 63 anni dal 2013 per gli autonomi
(è possibile abbassare l'età di un anno, ma
il minimo di contributi passa a 36 anni).
In base alla stima della relazione al
maxiemendamento, se oggi un dipendente,
pubblico e privato, incassa la pensione di
anzianità a 61/62 anni (con 35/36 anni di
contributi), nel 2021 la incasserà a 62/63
anni e 11 mesi e nel 2050 a 65/66 anni e 10
mesi. Vanno peggio gli autonomi, con un anno
in più di attesa
(articolo ItaliaOggi
dell'11.11.2011 - tratto da
www.corteconti.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
I PROVVEDIMENTI PER LO SVILUPPO/ Procedere in
giudizio costa caro.
Contributo unificato pieno per le domande
riconvenzionali. Sulle cause civili un
incasso più che doppio per la giustizia e un
disincentivo all'impugnazione.
Salasso per chi vuole contrattaccare in
giudizio, proponendo la domanda
riconvenzionale: dovrà pagare il contributo
unificato pieno. Mentre fino ad oggi versava
solo un'integrazione rispetto a quanto già
versato dal suo avversario. Con il risultato
che la giustizia, per il valore della causa
comune ai due contendenti, incassa due volte
il contributo unificato e in più incassa uno
spread per il valore eccedente conseguente
alla domanda riconvenzionale.
Un emendamento al ddl stabilità aggrava
ancora il costo delle cause civili. Oltre al
pagamento integrale del contributo unificato
per le domande riconvenzionali, l'aumento
del contributo unificato per appello e
cassazione e le sanzioni per le istanze
temerarie di sospensione delle sentenze
esecutive di primo grado sono i punti di un
nuovo rincaro, che va ad aggiungersi a
quelli decisi con le manovre del 2010 e del
2011 (decreti legge 78/2010, 98/2011 e
138/2011).
L'onere da sostenere per un contenzioso è
aumentato, dunque, in maniera rapida. Nel
conto non va considerato solo il contributo
unificato, ma anche la spesa per la
mediazione e le eventuali maggiorazioni per
violazioni formali degli atti giudiziari
(omessa indicazione di fax e pec
dell'avvocato). Vediamo di analizzare quanto
prescritto dall'emendamento.
Contributo unificato per appello e
cassazione. Come spiegato nella relazione
all'emendamento, il contributo unificato per
i giudizi di impugnazione è aumentato del
50% e quello per i giudizi in cassazione è
aumentato del 100%. Questo per effetto
dell'inserimento del comma 1-bis
all'articolo 13 del Testo unico delle spese
di giustizia (dpr 115/2002). Si noti che la
base di calcolo degli aumenti è quella
risultante dagli aumenti disposti già con i
decreti 78 del 2010 e 98 del 2011.
Per fare un esempio per le cause di valore
di 25 mila euro in origine si pagavano 155
euro di contribuito, aumentati a 187 euro
grazie al decreto 78/2010 e passati a 206
euro con il decreto 98/2011. Si tratta di un
aumento di un terzo nel giro di un anno. Per
impugnare ora, invece, l'emendamento
pretende il pagamento di 309 euro per
l'appello e di 412 euro per la Cassazione. E
più si avanza nei gradi di giudizio, più si
paga. Si tratta di una decisione che avrà
anche prevedibili effetti disincentivanti
dal proporre impugnazioni e, quindi,
deflativi, con conseguente concorso
all'abbattimento dell'arretrato civile
pendente.
La novità avrà effetto immediato, in quanto
le nuove cifre del contributo dovuto per le
impugnazioni si applicano anche alle
controversie pendenti nelle quali il
provvedimento impugnato sarà pubblicato o
depositato successivamente alla entrata in
vigore della legge di stabilità.
Contributo per le domande riconvenzionali.
Nel corso del processo civile può capitare
che le parti modifichino la propria domanda
o replichino alla domanda formulata contro
di loro proponendo una domanda contro
l'avversario (domanda riconvenzionale).
La modifica della domanda e la domanda
riconvenzionale possono aumentare il valore
della causa, che è la base per il calcolo
del contributo da versare. Ad esempio Tizio
fa causa a Caio chiedendo la condanna a
pagare 100, ma Caio si difende
contrattaccando e chiedendo che Tizio sia
condannato a pagare 150. Il maxiemendamento
aumenta il contributo dovuto per domande
modificate e riconvenzionali.
Nell'impianto originario del Testo Unico
delle spese di giustizia, sviluppando
l'esempio, la regola era che Tizio pagasse
il contributo dovuto per il valore di 100 e
che Caio, a fronte della domanda
riconvenzionale, dovesse integrare il
contributo per la parte eccedente il valore
di 100 (fino a coprire il contributo dovuto
per il valore di 150). Quindi in ogni caso
se la domanda riconvenzionale o modificata
comportava un aumento del valore della
causa, era dovuta solo un'integrazione per
l'eccedenza.
L'emendamento al ddl stabilità mantiene
questa regola solo per la parte che per
prima si costituisce in giudizio, che
deposita il ricorso introduttivo, o che, nei
processi esecutivi di espropriazione
forzata, fa istanza per l'assegnazione o la
vendita dei beni pignorati; fissa, invece,
per le altre parti una regola più onerosa:
le altre parti, quando modificano la domanda
o propongono domanda riconvenzionale o
formulano chiamata in causa o svolgono
intervento autonomo, sono tenute a farne
espressa dichiarazione e a procedere al
contestuale pagamento di un autonomo
contributo unificato, determinato in base al
valore della domanda proposta.
Nell'esempio Caio deve pagare un contributo
unificato per il valore di 150 (e non solo
un'integrazione per 50). In sostanza per
quella causa il contributo per il valore di
100 è pagato due volte e in più si paga il
differenziale per le cause di valore pari a
150.
Multa per pretestuose istanze di sospensione
delle sentenze. L'emendamento sbarra la
strada alle istanze di sospensione delle
sentenze, quando sono inammissibili o
manifestamente infondate.
Le sentenze di primo grado sono, infatti,
esecutive e il solo modo di bloccarle, nelle
more dell'appello, è chiedere al giudice di
appello la sospensione.
L'emendamento prescrive (sia per il rito
ordinario sia per il rito del lavoro) che se
la richiesta di sospensione è inammissibile
o manifestamente infondata il giudice, con
ordinanza non impugnabile, può condannare la
parte che l'ha proposta a una pena
pecuniaria non inferiore ad euro 250 e non
superiore ad euro 10.000. L'ordinanza,
peraltro, è revocabile con la sentenza che
definisce il giudizio.
La novità scatterà decorsi trenta giorni
dalla data di entrata in vigore della legge
di stabilità. La ricaduta pratica sarà un
disincentivo a proporre la sospensione delle
sentenze, con il risultato di ulteriormente
blindare la sentenza di primo grado. La
norma è fortemente criticata dal Consiglio
nazionale forense, che la descrive come una
«mina anti civiltà».
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I PROVVEDIMENTI PER LO SVILUPPO/
Costi cause in aumento.
Oggi, una causa che percorra tutti i gradi
del processo, dalla mediazione obbligatoria
fino alla Cassazione, può costare anche più
di 13 mila euro. Per una durata media di
circa otto anni. Ciò significa un aumento
dei costi del 1000% rispetto a prima del
2009.
Lo denuncia il Consiglio nazionale
forense che, in una nota, ha riassunto i
costi di una causa di valore medio (50 mila
euro) prima e dopo il 2009.
Nel caso, per
esempio, di una causa per risarcimento danni
nei confronti di una compagnia
assicuratrice, la mediazione obbligatoria
costa 1.056,40 euro. E una multa per mancata
partecipazione senza giustificato motivo
comporta una spesa aggiuntiva di 450 euro.
Nel procedimento di primo grado, invece, se
prima del 2009 era previsto il pagamento di
un contributo unificato pari a 374 euro,
oggi ammonta a 450. In caso di richiesta di
motivazione lunga (pagamento del contributo
unificato secondo i nuovi importi) l'importo
da versare è di 675 euro. La durata della
mediazione può raggiungere i 120 giorni. Il
primo grado può durare fino a 845 giorni.
Per i gradi successivi del procedimento
(Appello e Cassazione), prima del 2009 era
previsto il versamento di un contributo
unificato pari, in entrambi i casi, a 374
euro. Ora, invece, per l'Appello si devono
versare 900 euro in caso di richiesta di
motivazione lunga (pagamento del contributo
unificato secondo i nuovi importi). E può
raggiungere i 10 mila euro la spesa per il
rigetto di istanza di inibitoria sospensione
della sentenza di primo grado. La durata del
processo d'Appello è di 981 giorni. In
Cassazione di 1.050 giorni. In totale,
mentre prima del 2009 il costo della causa
ammontava a 1.122 euro, oggi si può pagare
fino a 13.531,40 euro. Per una durata del
processo di 2.996 giorni (8 anni), secondo i
dati tratti dalla Relazione
sull'amministrazione della giustizia
nell'anno 2010 della Corte di cassazione
(articolo ItaliaOggi
dell'11.11.2011). |
ENTI LOCALI:
Le convenzioni salvano i
mini-enti. Iniziativa Anpci.
È la convenzione la migliore soluzione per i
piccoli comuni per adempiere alle
prescrizioni dell'art. 16 della manovra di
Ferragosto (dl 138/2011) salvaguardando
l'autonomia degli enti.
Ne è convinta l'Anpci,
l'Associazione dei piccoli comuni italiani,
che presenterà oggi a Roma una bozza di
convenzione tipo. Il modello contempla tutti
i requisiti prescritti dall'art. 31 del Tuel
e prevede il ruolo centrale della
«Conferenza dei sindaci». Ogni comune
aderente resta libero di scegliere i
protocolli cui aderire ed i comuni con cui associarsi, senza in alcun caso limitare la
propria autonomia. Unica condizione da
seguire: il rispetto della normativa sui
costi standard.
L'Anpci promuoverà una serie di incontri sul
territorio per illustrare la proposta e
seguirla nella fase di attuazione
(articolo ItaliaOggi
dell'11.11.2011). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO:
I PROVVEDIMENTI PER LO SVILUPPO/ Licenziare resterà una chimera.
Senza parametri oggettivi impossibile
determinare gli esuberi. I fabbisogni non
sono noti e le dotazioni insufficienti.
Licenziamenti per esuberi difficili da
attuare, in assenza di parametri oggettivi
sulla base dei quali determinare la giusta
provvista di personale nelle amministrazioni
pubbliche.
Il potenziamento dei poteri dei datori di
lavoro pubblici di licenziare i dipendenti,
previsto dal maxiemendamento alla legge di
stabilità, rischia di restare una norma di
bandiera, la cui concreta attuazione
potrebbe non portare a risultati molto
diversi da quelli scaturiti dalla previgente
stesura dell'articolo 33 del dlgs 165/2001,
che il maxiemendamento intende modificare.
In termini astratti, non c'è alcun dubbio:
nel caso in cui l'ente rilevi un'eccedenza
di dipendenti pubblici, deve adottare
accorgimenti per ridurre il carico che ne
deriva, come farebbe un'impresa privata.
Ma, nel caso delle aziende private, a
guidare la scelta di licenziamenti per
esuberi sono fondamentalmente ragioni
economiche e finanziarie: una situazione di
crisi che non consenta di sostenere la
spesa, in quanto i fattori di produzione
costano di più di quanto l'impresa riesca a
guadagnare sul mercato.
Le amministrazioni pubbliche, però, non
operano sul mercato. Il finanziamento delle
loro attività è frutto dell'imposizione
fiscale e, per altro, alcune funzioni
debbono essere gestite obbligatoriamente,
come quelle connesse alla sanità,
all'anagrafe, all'assistenza sociale, alla
sicurezza. Finché sia garantito il pareggio
di bilancio e il rispetto del patto di
stabilità mancano, allora, oggettivi
parametri finanziari per stabilire una
situazione di esubero.
Essa potrebbe derivare da una revisione
delle dotazioni organiche. Ma, perché si
creino le condizioni di esuberi oggettivi,
sarebbe necessario individuare fabbisogni
standard di personale o di spesa di
personale, da qualificare come necessari e
sufficienti allo svolgimento di una certa
funzione. Come è noto, però, i fabbisogni
standard non sono noti: nel 2010 è partita
l'opera finalizzata alla loro costruzione,
adempiendo alle previsioni della legge
42/2009 sul federalismo fiscale. Gli enti,
allora, potrebbero essere indotti a
verificare eventuali eccedenze di personale
alla luce della loro dotazione organica,
parametrando gli utenti in servizio con
quelli astrattamente previsti dalla
dotazione di diritto. È noto, però, che le
dotazioni di fatto siano nella quasi
totalità dei casi largamente inferiori alle
dotazioni di diritto. Sicché, ben
difficilmente gli enti in questo modo
potrebbero evidenziare situazioni di
esubero.
Situazioni di eccedenza di personale
potrebbero derivare da processi di
esternalizzazione di servizi, come si evince
dal combinato disposto degli articoli 6-bis
e 31, sempre del dlgs 165/2001. Infatti, una
volta trasferita la competenza a gestire una
funzione o un servizio a un soggetto terzo,
occorrerebbe trasferire tutte le dotazioni,
economiche, finanziarie, strumentali e di
personale, per evitare una duplicazione di
tale ultima voce di spesa. Il
maxiemendamento, però, manca di una chiara
correlazione tra esuberi ed
esternalizzazioni: sarebbe la sede per
rendere più evidente tale connessione,
spesso ignorata dagli enti, tanto che spesso
processi di esternalizzazione conducono ad
incrementi della spesa, senza nessuna
razionalizzazione delle dotazioni.
Anche il fine del maxiemendamento di
obbligare alla mobilità, cioè ai
trasferimenti, di dipendenti di enti
sovradimensionati verso enti sotto organico,
richiederebbe, a monte, uno standard per
stabilire effettivamente in base a quali
indicatori un ente presenti eccedenze ed un
altro, invece, sia in stato di richiedere
maggiori dotazioni. Potrebbero essere
qualificati come indicatori le regole sul
contenimento della spesa: una situazione di
esubero oggettivo potrebbe derivare dal
superamento della soglia del 40% nel
rapporto tra spese di personale e totale
delle spese correnti. Ma, nessuna norma
fornisce indicazioni precise in merito.
Questa laconicità e insufficienza della
normativa ed anche del maxiemendamento
finisce per lasciare all'autonomia di
ciascun singolo ente la valutazione della
sufficienza o esuberanza della propria
dotazione di personale, il che di per sé non
assicura alcun risultato di riduzione della
spesa di personale o di redistribuzione tra
enti
(articolo ItaliaOggi
dell'11.11.2011 - tratto da
www.corteconti.it). |
CONSIGLIERI COMUNALI:
OSSERVATORIO VIMINALE/ Terzo mandato senza tabù.
Ok al sindaco durato meno di 2 anni e 6 mesi.
Per il
Consiglio di stato la sospensione non incide
sulla durata minima.
Può configurarsi l'ipotesi di
ineleggibilità, di cui all'art. 51 del
decreto legislativo n. 267/2000, nei
confronti di un sindaco che nel corso del
primo dei suoi due mandati è stato sospeso
dalla carica per 30 mesi, esercitando di
fatto il mandato stesso per un periodo pari
alla metà di quello previsto dalla legge?
L'art. 51 prevede, al comma 3, che è
consentito un terzo mandato consecutivo se
uno dei due mandati precedenti ha avuto
durata inferiore a due anni, sei mesi e un
giorno, per causa diversa dalle dimissioni
volontarie.
Inoltre il Consiglio di stato, con il parere
n. 1137/2005, ha espresso l'avviso che un
eventuale periodo di sospensione dalla
carica, durante il quale il sindaco perde
l'effettivo esercizio delle funzioni, non
concorre a concretare la durata del mandato
ostativa, secondo il disposto dell'art. 51,
comma 3, del decreto legislativo n.
267/2000, della rieleggibilità.
Pertanto, nella fattispecie, non sussiste,
per il predetto aspirante alla carica
sindacale, l'ipotesi ostativa
(articolo ItaliaOggi
dell'11.11.2011). |
CONSIGLIERI COMUNALI:
OSSERVATORIO VIMINALE/ Accesso agli atti.
Qual è la disciplina relativa all'accesso
all'archivio informatizzato, in particolare
per quanto riguarda la visione, da parte dei
consiglieri, dell'oggetto delle determine
dirigenziali adottate, per le finalità
connesse al loro mandato?
L'esercizio del diritto di accesso è
previsto dal secondo comma dell'articolo 43
del dlgs 267/2000, definito dal Consiglio di
stato (sent. n. 4471/2005) «diritto
soggettivo pubblico funzionalizzato»,
finalizzato al controllo
politico-amministrativo sull'ente
nell'interesse della collettività e, come
tale, diverso dal diritto di accesso, di cui
agli artt. 22 e ss. della legge n. 241/1990,
riconosciuto ai soggetti interessati allo
scopo di predisporre la tutela di posizioni
soggettive lese.
In linea generale «le norme disciplinanti
l'accesso dei consiglieri comunali non
pongono limiti quantitativi agli atti cui si
chieda di accedere, né presuppongono che, di
tali atti, i richiedenti conoscano già il
contenuto, sia pure approssimativamente, ben
potendo l'intervento connesso al mandato
ravvisarsi opportuno anche a seguito
dell'acquisita conoscenza di atti
precedentemente del tutto ignorati» (Tar
Lombardia, Brescia, n. 362/2005).
I giudici del Tar Sardegna, con la sentenza
n. 29/2007, hanno affermato, tra l'altro,
che è consentito prendere visione del
protocollo generale senza alcuna esclusione
di oggetti e notizie riservate e di materie
coperte da segreto, posto che i consiglieri
comunali sono comunque tenuti al segreto ai
sensi dell'art. 43 del dlgs n. 267/2000.
La Commissione per l'accesso ai documenti
amministrativi ha richiamato il consolidato
principio giurisprudenziale (ex multis
Consiglio di stato, sez. V. n. 929/2007)
secondo cui il diritto del consigliere di
accesso agli atti «non può subire
compressioni per pretese esigenze di natura
burocratica dell'ente con l'unico limite di
poter esaudire la richiesta, qualora sia di
una certa gravosità, secondo i tempi
necessari per non determinare interruzione
delle altre attività di tipo corrente»
(limite della proporzionalità e
ragionevolezza delle richieste). Sotto tale
profilo il consigliere deve quindi
contemperare il diritto di accesso con
l'esigenza di non intralciare lo svolgimento
dell'attività amministrativa e il regolare
funzionamento degli uffici comunali,
comportando ad essi il minor aggravio
possibile, sia dal punto di vista
organizzativo che economico (Corte dei
conti, sez. Liguria n. 1/2004).
Per quanto riguarda la specifica richiesta
di accesso all'archivio informatizzato del
comune, la stessa Commissione, sulla base
principio di economicità che incombe sia
sugli uffici tenuti a provvedere, sia sui
soggetti che chiedono prestazioni
amministrative (parere del 12.12.2002)
ha riconosciuto «la possibilità per il
consigliere di avere accesso diretto al
sistema informatico interno, anche
contabile, dell'ente attraverso l'uso della
password di servizio proprio al fine di
evitare che le continue richieste di accesso
si trasformino in un aggravio dell'ordinaria
attività amministrativa dell'ente locale»
(cfr. parere 29.11.2009) e nel parere
espresso nella seduta del 3 febbraio 2009,
ha precisato che «il ricorso a supporti
magnetici o l'accesso diretto al sistema
informatico interno dell'ente, ove operante,
sono strumenti di accesso certamente
consentiti al consigliere comunale che
favorirebbero la tempestiva acquisizione
delle informazioni richieste senza aggravare
l'ordinaria attività amministrativa»
(articolo ItaliaOggi
dell'11.11.2011). |
LAVORI PUBBLICI:
Incentivi energetici al click day.
Anche gli enti locali tra i beneficiari dei
contributi fino al 90%. L'ora X scatta alle
ore 9 del 17 novembre. Le amministrazioni
avranno 36 mesi di tempo.
Contributo del 90% a fondo perduto solo per
i comuni che saranno pronti ad inviare la
domanda alle ore 9 del 17 novembre. Si
estende ai comuni il click day, o meglio il
click second. Sarà il decimo di secondo di
invio che determinerà chi potrà ottenere il
ricco premio a carico dello stato per
promuovere l'impiego delle tecnologie per
l'efficienza energetica e delle fonti
rinnovabili nelle strutture edilizie di
piena proprietà pubblica e destinate
esclusivamente ad uso pubblico. Possono
presentare istanza di cofinanziamento
diverse amministrazioni, tra cui gli enti
locali.
Il ministero dell'ambiente ha pubblicato lo
scorso 2 novembre un bando rivolto agli enti
locali che prevede contributi a fondo
perduto a copertura del 90% delle spese da
sostenere. Le domande potranno essere
presentate a partire dal 17.11.2011
con modalità a sportello in cui l'unico
criterio per la concessione dei contributi è
rappresentato dall'ordine di presentazione
dell'istanza. Il bando sarà riproposto anche
nelle annualità 2012 e 2013.
Finanziabili fonti rinnovabili,
trigenerazione e geotermia. Sono
finanziabili progetti per l'impiego di fonti
rinnovabili integrate nelle strutture
edilizie, in combinazione con tecnologie per
l'efficienza energetica degli edifici,
nonché progetti per la promozione di
impianti di trigenerazione ad alta
efficienza (85% almeno) per la generazione
di elettricità, calore e freddo. Inoltre,
sono finanziabili investimenti per
l'utilizzo del calore derivante da impianti
geotermici a bassa entalpia incluse le pompe
di calore. I progetti devono prevedere
interventi nell'ambito di nuove edificazioni
di proprietà pubblica, riqualificazione
energetica di edifici pubblici esistenti
ovvero riqualificazione eco efficiente di
edifici di interesse storico-architettonico.
Gli interventi dovranno avere una dimensione
economica minima, su base annua, di un
milione e massima di cinque milioni di euro.
Possibile presentare domanda anche su
progetti in corso. Le spese ammissibili a
cofinanziamento sono quelle relative a
progettazione, direzione lavori, studi di
fattibilità per un massimo pari all'8% del
totale generale delle spese ammissibili.
Inoltre, il contributo copre le spese per
fornitura dei materiali e dei componenti
necessari alla realizzazione degli impianti,
installazione e posa in opera degli impianti
(compresi avviamento e collaudo). Infine,
sono ammissibili spese per eventuali opere
edili strettamente necessarie e connesse
all'installazione degli impianti, nonché
dispositivi per il monitoraggio delle
prestazioni del sistema. Possono essere
ammessi a cofinanziamento nuovi progetti
oppure progetti in corso di realizzazione
alla data del 2 novembre scorso. In tale
ultimo caso saranno ritenute ammissibili le
sole spese sostenute successivamente alla
presentazione delle istanze.
Contributo fino al 90% della spesa
ammissibile. La percentuale massima di
cofinanziamento concedibile è pari al 90%
del costo totale ammissibile per la
realizzazione dell'intervento e comunque non
potrà superare il valore di 1 milione di
euro su base annua.
Domande via Pec. Le istanze dovranno essere
trasmesse al ministero a partire dalle ore
9,00 del 17.11.2011. Le domande, con
firma digitale, dovranno essere trasmesse,
pena la non ricevibilità e conseguente non
ammissione ad istruttoria, via Posta
elettronica certificata (Pec).
Trentasei mesi per il progetto. Gli enti
finanziati avranno 36 mesi di tempo dalla
notifica del decreto di ammissione a
finanziamento per realizzazione e
completamento degli interventi, sia dal
punto di vista tecnico-economico che in
termini di rendicontazione secondo la
normativa comunitaria vigente in materia. I
soggetti beneficiari dovranno quindi
impegnarsi a completare le opere. È fatto
espresso divieto al soggetto beneficiario di
alienare e/o dismettere l'impianto, per un
periodo non inferiore a dieci anni a far
data dal collaudo dell'impianto stesso.
Sarà possibile avere un anticipo del 25%. I
soggetti beneficiari, una volta concesso il
contributo, potranno richiedere una prima
quota, di importo pari al 25% dell'importo
ammesso a cofinanziamento, contro
presentazione della documentazione di inizio
lavori
(articolo ItaliaOggi
dell'11.11.2011). |
GIURISPRUDENZA |
EDILIZIA PRIVATA: Nell'ambito
degli interventi edilizi di cui alla l.r.
13/2009 (piano casa regionale) le distanze minime previste
da disposizioni di legge, tra cui quelle di
cui al Codice civile (Artt. dal 873 al 907)
o al Codice della strada (D.Lgs. n.
285/1992, Artt. dal 13 al 34) devono essere
sempre rispettate.
E’ possibile derogare
alle disposizioni previste all’interno degli
strumenti urbanistici comunali, che
stabiliscono distanze diverse, salvo che le
stesse non configurino norme integrative
della disciplina di cui all’art. 873 del
Codice civile in materia di distanze tra
fabbricati. In ogni caso, non può essere
derogata la distanza minima di mt. 10 tra
fabbricati di cui al D.M. 02.04.1968.
...
per l’annullamento, previo provvedimento
cautelare, del provvedimento 29.06.2011 prot. n° 11-542, comunicato il 29.07.2011, con il quale il Responsabile del
settore sportello unico dell’edilizia del
Comune di Brescia ha in via di riesame
respinto l’istanza di rilascio di permesso
di costruire presentata da ...
per lavori di ampliamento residenziale ai
sensi della l.r. Lombardia 16.07.2009
n. 3 da eseguire sull’immobile sito in
Brescia, via Caboto 10.
...
Il Sig. ... nella presente sede
impugna il provvedimento meglio indicato in
epigrafe, con il quale si è visto denegare
il rilascio di un permesso di costruire,
richiesto ai sensi della normativa sul cd.
“piano casa” per ampliare
l’abitazione propria e dei familiari, sita
in Brescia, alla via Caboto 10 (doc. 1
ricorrente, copia provvedimento impugnato).
...
Il ricorso è fondato e va accolto.
L’interpretazione sostenuta dalla parte
ricorrente è infatti corretta anzitutto alla
luce di due argomenti logici.
In primo
luogo, l’art. 3, comma 1, della l. 13/2009,
con formula ripetuta negli altri articoli
della legge, fa riferimento ad una duplice
deroga, sia “alle previsioni quantitative
degli strumenti [urbanistici] medesimi,
vigenti o adottati” sia ai “regolamenti
edilizi”, il che mal si comprenderebbe se,
come vorrebbe il Comune, la deroga fosse una
sola, ai limiti volumetrici.
In secondo
luogo, l’art. 5 della stessa legge, nel
dettare “disposizioni generali” per gli
interventi da essa previsti, consente senza
restrizioni una deroga alle “previsioni dei
piani territoriali di coordinamento dei
parchi regionali, escluse le aree naturali
protette”, a significare che una deroga a
limiti non volumetrici è nello spirito della
legge.
Inoltre, vi è un importante indizio
in tal senso tratto dalla prassi, dato che
le risposte alle “domande frequenti”
sull’argomento nel sito web ufficiale della
Regione, alla domanda “Le distanze minime
previste dal Codice civile e dagli strumenti
urbanistici comunali devono essere
rispettate dagli interventi di cui alla
legge 13/2009?” rispondono affermativamente
nel senso che “Le distanze minime previste
da disposizioni di legge, tra cui quelle di
cui al Codice civile (Artt. dal 873 al 907)
o al Codice della strada (D.Lgs. n.
285/1992, Artt. dal 13 al 34) devono essere
sempre rispettate. E’ possibile derogare
alle disposizioni previste all’interno degli
strumenti urbanistici comunali, che
stabiliscono distanze diverse, salvo che le
stesse non configurino norme integrative
della disciplina di cui all’art. 873 del
Codice civile in materia di distanze tra
fabbricati. In ogni caso, non può essere
derogata la distanza minima di mt. 10 tra
fabbricati di cui al D.M. 02.04.1968”.
Le
distanze di zona di cui nella specie si
ragiona sono quindi fra quelle derogabili
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 11.11.2011 n. 1561 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI: La
mera indicazione nel preambolo e nello
stesso corpo del provvedimento
amministrativo di una serie di disposizioni
di legge senza la specificazione delle norme
di riferimento, non implica la illegittimità
dell’atto qualora la formulazione letterale
delle ragioni, l’esposizione del fatto e il
contenuto del dispositivo siano
sufficientemente chiari ad individuare in
concreto il potere esercitato.
Secondo un consolidato filone
giurisprudenziale, condiviso dal Collegio, “la
mera indicazione nel preambolo e nello
stesso corpo del provvedimento
amministrativo di una serie di disposizioni
di legge senza la specificazione delle norme
di riferimento, non implica la illegittimità
dell’atto qualora la formulazione letterale
delle ragioni, l’esposizione del fatto e il
contenuto del dispositivo siano
sufficientemente chiari ad individuare in
concreto il potere esercitato” (TAR
Campania, Napoli, VII, 05.02.2008, n. 554)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza 10.11.2011 n. 2725 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
COMPETENZE GESTIONALI: Il
Direttore generale è un dirigente a tutti
gli effetti, anzi è il vertice della
struttura dirigenziale comunale e quindi è
in grado di adottare tutti gli atti (di
gestione) che competono all’apparato
burocratico dell’Ente.
La disciplina legislativa configura
certamente il direttore generale come
funzionario di vertice destinato a fare da
tramite tra organi di governo (competenti
alla determinazione degli indirizzi ed
obiettivi) e organi burocratici dell’ente,
(competenti per la gestione); nondimeno,
deve sicuramente escludersi che il direttore
generale possa ascriversi alla prima delle
categorie di organi, siccome, nei comuni,
gli organi politici di governo sono
tassativamente elencati dall’art. 36 del
citato Decreto [n. 267 del 2000, già art. 30
della legge n. 142 del 1990] (il consiglio,
la giunta e il sindaco), tutti strettamente
legati da rapporto politico-rappresentativo
alla collettività di cui l’ente è
esponenziale e titolari delle funzioni di
indirizzo politico- amministrativo (…).
Pertanto, il direttore generale, pur essendo
investito di compiti e funzioni che valgono
a conferirgli una posizione differenziata
rispetto a quella degli altri dirigenti, è
esso stesso un dirigente.
Il Direttore generale è un dirigente a tutti
gli effetti, anzi è il vertice della
struttura dirigenziale comunale e quindi è
in grado di adottare tutti gli atti (di
gestione) che competono all’apparato
burocratico dell’Ente, come sembrerebbe
ricavarsi anche dall’art. 26-bis dello
Statuto del Comune di Fagnano Olona (all. 6
del Comune). Difatti, il potere di controllo
e di vigilanza sulla struttura organica
dell’Amministrazione implicano anche la
possibilità di intervenire per sostituire o
modificare le determinazioni assunte da
soggetti allo stesso Direttore generale
gerarchicamente subordinati.
In tal senso sembra essere orientata la
stessa giurisprudenza della Suprema Corte di
Cassazione, allorquando ha affermato che “la
disciplina legislativa configura certamente
il direttore generale come funzionario di
vertice destinato a fare da tramite tra
organi di governo (competenti alla
determinazione degli indirizzi ed obiettivi)
e organi burocratici dell’ente, (competenti
per la gestione); nondimeno, deve
sicuramente escludersi che il direttore
generale possa ascriversi alla prima delle
categorie di organi, siccome, nei comuni,
gli organi politici di governo sono
tassativamente elencati dall’art. 36 del
citato Decreto [n. 267 del 2000, già art. 30
della legge n. 142 del 1990] (il consiglio,
la giunta e il sindaco), tutti strettamente
legati da rapporto politico-rappresentativo
alla collettività di cui l’ente è
esponenziale e titolari delle funzioni di
indirizzo politico- amministrativo (…).
Pertanto, il direttore generale, pur essendo
investito di compiti e funzioni che valgono
a conferirgli una posizione differenziata
rispetto a quella degli altri dirigenti, è
esso stesso un dirigente” (Cassazione
civile, sez. un., ord. 12.06.2006, n. 13538)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza 10.11.2011 n. 2725 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
PUBBLICO IMPIEGO: Il
giudizio della commissione di concorso
comporta una valutazione essenzialmente
qualitativa della preparazione scientifica
dei candidati ed attiene così alla sfera
della discrezionalità tecnica, censurabile
unicamente, sul piano della legittimità, per
evidente superficialità, incompletezza,
incongruenza, manifesta disparità, emergenti
dalla stessa documentazione, tali da
configurare un palese eccesso di potere,
senza che con ciò il giudice possa o debba
entrare nel merito della valutazione.
Secondo la pacifica giurisprudenza, “il
giudizio della commissione comporta una
valutazione essenzialmente qualitativa della
preparazione scientifica dei candidati ed
attiene così alla sfera della
discrezionalità tecnica, censurabile
unicamente, sul piano della legittimità, per
evidente superficialità, incompletezza,
incongruenza, manifesta disparità, emergenti
dalla stessa documentazione, tali da
configurare un palese eccesso di potere,
senza che con ciò il giudice possa o debba
entrare nel merito della valutazione”
(Consiglio di Stato, IV, 03.08.2010, n.
5165)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza 10.11.2011 n. 2724 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: L'art.
38 del D.Lgs. 133 del 2006 è volto ad
evitare che i contratti pubblici possano
essere affidati a coloro che abbiano
commesso reati lesivi degli interessi
collettivi che, nella veste di
aggiudicatari, sarebbero chiamati a
tutelare. Il requisito della gravità dei
reati commessi dal rappresentante legale
dell’impresa concorrente deve essere,
pertanto, apprezzato non tanto in termini
penalistici (tenendo conto del massimo o del
minimo edittale o della pena in concreto
irrogata) ma alla stregua del contenuto del
contratto oggetto della gara.
Nelle gare volte alla aggiudicazione di
appalti di lavori, il requisito della
gravità può essere riconosciuto tutte le
volte in cui la fattispecie delittuosa sia
consistita nella lesione della salute dei
dipendenti da parte dell’impresa edile che
non abbia apprestato tutti i mezzi e gli
strumenti imposti dalla normativa volta a
prevenire gli infortuni suoi luoghi di
lavoro. E ciò tenuto anche conto del fatto
che è lo stesso legislatore a considerare la
commissione di gravi infrazioni debitamente
accertate alle norme in materia di sicurezza
e a ogni altro obbligo derivante dai
rapporti di lavoro come causa ostativa alla
partecipazione alle gare pubbliche (art. 39,
comma 1, lett. e), del D.Lgs. 163 del 2006).
Occorre ricordare che l’art. 38 del D.Lgs.
133 del 2006 è volto ad evitare che i
contratti pubblici possano essere affidati a
coloro che abbiano commesso reati lesivi
degli interessi collettivi che, nella veste
di aggiudicatari, sarebbero chiamati a
tutelare. Il requisito della gravità dei
reati commessi dal rappresentante legale
dell’impresa concorrente deve essere,
pertanto, apprezzato non tanto in termini
penalistici (tenendo conto del massimo o del
minimo edittale o della pena in concreto
irrogata) ma alla stregua del contenuto del
contratto oggetto della gara (Consiglio
Stato sez. VI,, 04.06.2010 n. 3560; TAR
Toscana, Sez. II, 31.08.2011 n. 1351).
Muovendo da tali premesse la giurisprudenza
amministrativa (anche di questo Tribunale)
ha più volte affermato che, nelle gare volte
alla aggiudicazione di appalti di lavori, il
requisito della gravità può essere
riconosciuto tutte le volte in cui la
fattispecie delittuosa sia consistita nella
lesione della salute dei dipendenti da parte
dell’impresa edile che non abbia apprestato
tutti i mezzi e gli strumenti imposti dalla
normativa volta a prevenire gli infortuni
suoi luoghi di lavoro (Consiglio di Stato,
sez. V, 12.04.2007 n. 1723; TAR Campania,
Salerno, sez. I, 09.03.2011 n. 436; TAR
Milano, sez. I, 17.12.2009 n. 5594). E ciò
tenuto anche conto del fatto che è lo stesso
legislatore a considerare la commissione di
gravi infrazioni debitamente accertate alle
norme in materia di sicurezza e a ogni altro
obbligo derivante dai rapporti di lavoro
come causa ostativa alla partecipazione alle
gare pubbliche (art. 39, comma 1, lett. e),
del D.Lgs. 163 del 2006)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. III,
sentenza 10.11.2011 n. 2715 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Riguardo
alle opere realizzate in zone soggette a
vincolo non trova applicazione l'ipotesi del
silenzio-assenso sulla domanda di condono,
la quale è suscettibile di perfezionarsi
solo ove le opere abusive oggetto di condono
non insistano su aree vincolate.
Ove l'abuso per il quale è chiesto il
condono edilizio insista in area soggetta a
vincolo idrogeologico, i termini per la
formazione del silenzio assenso e per la
prescrizione del conguaglio dell'oblazione
non decorrono dalla domanda di condono, ma
solo dal successivo momento in cui si forma
l'eventuale nulla osta in ordine al vincolo
idrogeologico.
---------------
Quando una costruzione abusiva lede i
diritti di terzi, la concessione
autorizzativa in sanatoria non pregiudica
questi diritti, ma estingue egualmente
l'illecito amministrativo e quello penale.
Il condono edilizio è volto a regolare i
rapporti fra privato e p.a., ma fa sempre
salvi i diritti dei terzi; pertanto, i
provvedimenti di concessione in sanatoria
non privano i proprietari di fondi contigui
del potere di far valere la violazione delle
norme sulle distanze tra costruzioni,
chiedendo, a seconda dei casi, la
demolizione delle opere abusive o il
risarcimento dei danni.
Il condono edilizio ha efficacia limitata ai
rapporti tra p.a. e costruttore,
regolarizzando, da un punto di vista
esclusivamente penale, amministrativo e
fiscale, la posizione di chi abbia costruito
abusivamente. Nessuna efficacia lesiva può
esercitare a danno dei terzi confinanti, i
quali, in presenza di violazione delle
distanze, ben possono pretendere egualmente
l'abbattimento della costruzione. In altri
termini, l'art. 39, l. n. 724 del 1994, come
vigente per effetto delle modifiche di cui
alla l. n. 662 del 1996, impone il rilascio
della concessione in sanatoria al ricorrere
dei presupposti ivi previsti, ma per i
privati lesi rimane la possibilità di
invocare l'AGO a tutela dell'aspetto
civilistico della proprietà.
----------------
Il "dies a quo" del termine prescrizionale
previsto dall'art. 35, comma 18, L.
28.02.1985 n. 47, per l'esercizio del
diritto al conguaglio degli oneri concessori
decorre dalla presentazione della domanda di
concessione in sanatoria, e non dal
provvedimento comunale che conclude il
procedimento di condono edilizio, ovvero
dalla maturazione del silenzio assenso.
Peraltro, la consolidata giurisprudenza ha
rilevato che riguardo alle opere realizzate
in zone soggette a vincolo non trova
applicazione l'ipotesi del silenzio-assenso
sulla domanda di condono, la quale è
suscettibile di perfezionarsi solo ove le
opere abusive oggetto di condono non
insistano su aree vincolate (cfr. ex
multis, TAR Puglia Bari, sez. II,
22.03.2011 n. 448; Consiglio Stato, Sez. IV,
22.07.2010 n. 4823).
In particolare, per quanto specificatamente
il vincolo idrogeologico, la giurisprudenza
ha avuto modo di rilevare che ove l'abuso
per il quale è chiesto il condono edilizio
insista in area soggetta a vincolo
idrogeologico, i termini per la formazione
del silenzio assenso e per la prescrizione
del conguaglio dell'oblazione non decorrono
dalla domanda di condono, ma solo dal
successivo momento in cui si forma
l'eventuale nulla osta in ordine al vincolo
idrogeologico (cfr. TAR Emilia Romagna, Sez.
II, 21.11.2007 n. 3247; TAR Toscana, Sez.
III 07.11.1998 n. 355, TAR Bologna
05.05.2003 n. 504; TAR Veneto 25.10.1999 n.
1750, TAR Marche 07.10.1999 n. 1119).
---------------
In tema di c.d.
condono edilizio, il legislatore del 1994
escludeva, per le opere edilizie che creano
limitazioni di tipo urbanistico alle
proprietà finitime, non solo sanatorie
civilistiche, ma anche sanatorie
urbanistiche e penali. Con la L. 23.12.1996
n. 662 la normativa è cambiata poiché, con
l'art. 2, comma 37, lett. c), di questa legge,
il comma 2 dell'art. 39 L. 2312.1994 n. 724
è sostituito dal seguente: "il rilascio
della concessione o autorizzazione in
sanatoria non comporta limitazioni al
diritto dei terzi". Con tutta evidenza
il legislatore del 1996 ha voluto
ripristinare il sistema (di cui alla l.
28.02.1985 n. 47) precedente alla L. n. 724
del 1994, che distingueva il profilo
amministrativo e penale da quello
civilistico: alla stregua di tale sistema ha
stabilito espressamente che gli effetti di
sanatoria urbanistica e di estinzione penale
della procedura di condono edilizio non si
estendono ai rapporti civili (restano quindi
salvi i diritti dei terzi e, in particolare,
quelli dei proprietari confinanti con la
costruzione abusiva), sicché, quando una
costruzione abusiva lede i diritti di terzi,
la concessione autorizzativa in sanatoria
non pregiudica questi diritti, ma estingue
egualmente l'illecito amministrativo e
quello penale (cfr. Cassazione penale, sez.
III, 09.04.1997 n. 6209).
Il condono edilizio è volto a regolare i
rapporti fra privato e p.a., ma fa sempre
salvi i diritti dei terzi; pertanto, i
provvedimenti di concessione in sanatoria
non privano i proprietari di fondi contigui
del potere di far valere la violazione delle
norme sulle distanze tra costruzioni,
chiedendo, a seconda dei casi, la
demolizione delle opere abusive o il
risarcimento dei danni (cfr. Cons. St., Sez. IV, 16.10.1998 n. 1306).
Pertanto, va affermato che, a seguito delle
disposizioni espressamente introdotte in
occasione della sanatoria edilizia di cui
alla L. n. 724 del 1994, come modificate
dalla L. 662 del 1996, il condono edilizio
ha efficacia limitata ai rapporti tra p.a. e
costruttore, regolarizzando, da un punto di
vista esclusivamente penale, amministrativo
e fiscale, la posizione di chi abbia
costruito abusivamente. Nessuna efficacia
lesiva può esercitare a danno dei terzi
confinanti, i quali, in presenza di
violazione delle distanze, ben possono
pretendere egualmente l'abbattimento della
costruzione. In altri termini, l'art. 39, l.
n. 724 del 1994, come vigente per effetto
delle modifiche di cui alla l. n. 662 del
1996, impone il rilascio della concessione
in sanatoria al ricorrere dei presupposti
ivi previsti, ma per i privati lesi rimane
la possibilità di invocare l'AGO a tutela
dell'aspetto civilistico della proprietà
(cfr. TAR Sicilia Catania, sez. I,
13.03.2008 n. 476; Cassazione civile, sez. II, 26.09.2005 n. 18728)
---------------
Va rilevato che
la richiesta di pagamento del conguaglio
degli oneri concessori, quand’anche dovesse
ritenersi ammissibile in assenza di una
specifica determinazione delle relative
modalità da parte dell’amministrazione
comunale) risulta comunque prescritta.
Infatti, il "dies a quo" del termine
prescrizionale previsto dall'art. 35, comma
18, L. 28.02.1985 n. 47, per l'esercizio del
diritto al conguaglio decorre dalla
presentazione della domanda di concessione
in sanatoria, e non dal provvedimento
comunale che conclude il procedimento di
condono edilizio, ovvero dalla maturazione
del silenzio assenso (cfr. Cons. St., Sez.
V, 28.04.1999 n. 495; Sez. V, 22.11.1996 n.
1388; Sez. V, 04.05.1992, n. 360; 11.12.1991
n. 1364) (TAR
Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 08.11.2011 n. 1532 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: E'
inammissibile il ricorso avverso il verbale
di accertamento di inottemperanza
all'ordinanza di demolizione, di natura non
provvedimentale. Tale atto, infatti, non ha
alcun contenuto dispositivo nuovo,
limitandosi a constatare l'inadempimento
all'ordine di demolizione contenuto nel
provvedimento impugnato.
Come già
osservato dalla Sezione (cfr. TAR Brescia,
sez. I, 14.05.2010, n. 1730), la questione
oggetto di questo giudizio è stata, infatti,
affrontata più volte in giurisprudenza ed è
stata risolta sempre nel senso che "è
inammissibile il ricorso avverso il verbale
di accertamento di inottemperanza
all'ordinanza di demolizione, di natura non
provvedimentale. Tale atto, infatti, non ha
alcun contenuto dispositivo nuovo,
limitandosi a constatare l'inadempimento
all'ordine di demolizione contenuto nel
provvedimento impugnato" (cfr. TAR
Napoli, Sez. III, n. 195/2010).
Il mero accertamento dell'inottemperanza non
produce alcun effetto lesivo né per le
ricostruzioni giurisprudenziali che
aderiscono alla tesi che il procedimento di
acquisizione gratuita al patrimonio comunale
dell'area su cui è stato realizzato il
manufatto abusivo e del manufatto stesso
consegue direttamente alla norma di legge
che la prevede (TAR Palermo, Sez. II,
4652/2002: l'atto con il quale il comune
accerta l'inottemperanza ad ordine di
demolizione di un'opera edilizia abusiva ha
efficacia meramente dichiarativa,
limitandosi ad esternare e formalizzare
effetti già verificatisi in base allo stesso
ordine, ai sensi dell'art. 7, comma 3, l.
28.02.1985 n. 47, essendo a quest'ultimo ed
al decorso del termine ivi fissato che vanno
ricondotti effetti costitutivi; pertanto, è
questo l'atto che va ritenuto immediatamente
lesivo e con la cui impugnazione
l'interessato deve tutelare le proprie
ragioni, mentre il verbale con cui viene
accertata la mancata ottemperanza
all'ordinanza di demolizione rappresenta un
mero atto procedimentale avente contenuto
conoscitivo e di accertamento di un fatto
storico, inidoneo, di per sé, a ledere
situazioni giuridiche) né per le pronunce
che ritengono che lo stesso abbisogni di un
provvedimento finale che costituisce
l'effetto dell'immissione in possesso
previsto dalla norma (Tar Napoli, VII,
8816/2009: è inammissibile il ricorso
proposto avverso il verbale di accertamento
dell'inottemperanza alla precedente
ingiunzione di demolizione di opere edilizie
abusive, redatto dal personale della Polizia
Municipale, in quanto il suddetto atto ha
chiaramente valore endoprocedimentale ed
efficacia meramente dichiarativa delle
operazioni effettuate dai vigili urbani, ai
quali non è attribuita la competenza
all'adozione di atti di amministrazione
attiva, a tal uopo occorrendo che la
competente autorità amministrativa ne faccia
proprio l'esito attraverso un formale atto
di accertamento) (TAR
Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 08.11.2011 n. 1532 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI:
In sede di verifica del rispetto
del costo del lavoro, l'unico parametro di
computo dettato dalla tabelle ministeriali
effettivamente inderogabile è la
retribuzione minimia inderogabile oraria
dettata dalla contrattazione collettiva.
L’art. 86, comma 3-bis, prescrive una
rigorosa verifica del rispetto del costo del
lavoro alla luce delle indicazioni “tendenziali”
evincibili dalla tabelle ministeriali. E’
sul punto pacifica e univoca giurisprudenza,
congruente anche con le più recenti
indicazioni normative (si veda il nuovo art.
81, comma 3-bis) che inderogabili siano solo
i minimi salariali di costo del lavoro
dettati dalla contrattazione collettiva i
quali, in sede di valutazione di congruità
di una offerta, non possono che essere
ritenuti come tali inderogabili. Altra e ben
diversa problematica attiene alla verifica
del rispetto tendenziale dal maggior costo “del
servizio” che tiene complessivamente
conto, oltre che del costo orario
inderogabile del singolo lavoratore, dei
maggiori costi effettivi del servizio che
possono essere indotti dalla circostanza che
non tutte le ore teoriche retribuite sono
effettivamente lavorate (si pensi alle
assenze per malattia, ferie ecc.).
L’unico parametro di computo dettato dalla
tabelle ministeriali effettivamente
inderogabile è la retribuzione minimia
inderogabile oraria dettata dalla
contrattazione collettiva, mentre i restanti
maggiori costi, se pure esistenti, possono
essere concretamente giustificati in termini
anche minori rispetto a quanto astrattamente
e omogeneamente previsto dalla tabelle
ministeriali (TAR Piemonte, Sez. I,
sentenza 04.11.2011 n. 1173 -
tratto da www.mediagraphic.it - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
OPERE PUBBLICHE.
Sussiste violazione dell'art. 84, Codice dei
Contratti Pubblici per illegittima
composizione della Commissione di gara,
nell'ipotesi in cui due dei soggetti diversi
dal Presidente, con qualifica di membro
effettivo, risultino privi della necessaria
esperienza nello specifico settore oggetto
dell'accordo quadro. In merito deve
rilevarsi che la regola fissata dal
menzionato disposto normativo costituisce
espressione di principi generali,
costituzionali e comunitari, volti ad
assicurare il buon andamento e
l'imparzialità dell'azione amministrativa,
ed, in quanto tale, non è suscettibile di
deroga.
Il ristoro del danno conseguente a lesione
di interesse legittimo pretensivo è
subordinato, pur in presenza di tutti i
requisiti dell'illecito -e dunque della
condotta, della colpa, del nesso di
causalità e dell'evento dannoso- secondo un
giudizio di prognosi formulato ex ante,
alla dimostrazione, ancorché fondata con il
ricorso a presunzioni, della spettanza
definitiva del bene collegato a tale
interesse. Tale giudizio prognostico
favorevole non può in alcun modo essere
formulato nelle ipotesi in cui (come nella
specie) l'annullamento dell'aggiudicazione
consegua unicamente alla riscontrata
illegittima composizione della Commissione
di gara
(TAR
Lazio-Roma, Sez. III,
sentenza 03.11.2011 n. 8414 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
E' irrilevante il possesso del
titolo di studio di un determinato livello
da parte di un commissario di gara, essendo
rilevante, invece, che quest'ultimo sia
esperto nel settore oggetto d'appalto.
Il requisito generale dell’esperienza “nello
specifico settore cui si riferisce l’oggetto
del contratto”, prescritto dall’art. 84,
comma 2, del codice dei contratti pubblici,
deve essere inteso gradatamente ed in modo
coerente con la poliedricità delle
competenze di volta in volta richieste in
relazione alla complessiva prestazione da
affidare; non è necessario, pertanto, che
l’esperienza professionale di ciascun
componente della commissione copra tutti i
possibili ambiti oggetto di gara, in quanto
è la commissione, unitariamente considerata,
che deve garantire quel grado di conoscenze
tecniche richiesto nella specifica
fattispecie, in ossequio al principio di
buon andamento della pubblica
amministrazione (cfr. TAR Sardegna, Sez. I,
04.06.2008 n. 1126; TAR Piemonte, Sez. II,
22.05.2007 n. 2223).
Il pacifico assunto che, ad onta di quanto
indicato nella determinazione di nomina
della commissione, nel caso di specie, un
componente non possegga il diploma di laurea
in ingegneria, non induce a ritenere lo
stesso sprovvisto di competenza in materia,
essendo descritta nel curriculum una
vasta esperienza in ambito informatico,
corroborata da titolo di studio specifico
(perito elettrotecnico) nonché da vari corsi
di formazione e docenze. Invero, l’art. 84,
comma 2, cit. non richiede che i membri
della commissione giudicatrice debbano
essere tutti laureati, ma semplicemente
pretende che chi è nominato commissario
debba essere esperto nel settore oggetto
d’appalto, con conseguente irrilevanza del
possesso del titolo di studio di un
determinato livello, purché, beninteso, il
titolo di studio vantato sia adeguato alla
prestazione oggetto della gara (come è
puntualmente avvenuto nella presente
fattispecie) (TAR Campania-Napoli, Sez. I,
sentenza 26.10.2011 n. 4975 -
tratto da www.mediagraphic.it - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Anche
nel vigore del D.P.R. 380/2001, la
valutazione sulla possibilità di demolire,
ai sensi dell’art. 34, le difformità
parziali deve precedere soltanto l’ordine di
esecuzione d’ufficio in caso di
inottemperanza da parte dell’ingiunto, ma
non è necessaria ai fini della prima
adozione dell’ingiunzione al responsabile
dell’abuso.
La prevalente e più recente giurisprudenza,
da cui il Collegio non ha ragione di
discostarsi, ha chiarito, anche nel vigore
del D.P.R. 380/2001, che la valutazione
sulla possibilità di demolire, ai sensi
dell’art. 34, le difformità parziali deve
precedere soltanto l’ordine di esecuzione
d’ufficio in caso di inottemperanza da parte
dell’ingiunto, ma non è necessaria ai fini
della prima adozione dell’ingiunzione al
responsabile dell’abuso (così TAR Sicilia,
Catania, I, 14.01.2011, n. 44; TAR
Basilicata, 921/2008, 340/2008 e 779/2005;
TAR Napoli, IV, 4703/2001; TAR Marche,
259/2002).
In nessun caso, poi, la definitività
dell’ingiunzione a demolire potrebbe
precludere all’interessato di attivare a
domanda la valutazione sul pregiudizio alla
parte conforme, e sulla sostituibilità della
sanzione reale con quella pecuniaria di cui
all’art. 34/2° comma D.P.R. 380/2001
(TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez. II,
sentenza 26.10.2011 n. 734 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
COMPETENZE GESTIONALI: Sulla
facoltà del dirigente di assegnare la
responsabilità del procedimento ad altro
dipendente addetto all’unità responsabile
dell’istruttoria, comprendendo nell’incarico
ogni adempimento inerente il procedimento
stesso, inclusa l’adozione del provvedimento
finale.
Il ricorrente impugna l’ingiunzione
(05.06.2009. n. 142207/2009, del Comune di
Bologna) a demolire opere edilizie eseguite
in parziale difformità dal titolo, in
quanto: .. 3) sottoscritta dal funzionario
delegato, per il competente Direttore del
Settore Urbanistica e Territorio, sulla base
di delega (P.G. 103597/2007) illegittima
poiché non sufficientemente circoscritta
nell’oggetto, nella durata e nei motivi, in
violazione dell’art. 17 del D.Lgs. 165/2001.
...
Contrariamente a quanto dedotto dal
ricorrente, l’applicazione dell’invocato
art. 17 D.lgs. n. 165/2001 agli enti locali
non è diretta, ma mediata dalle disposizioni
dello Statuto e del Regolamento del
personale. L’art. 27 del D.lgs. n. 165/2001
prevede, infatti, che gli ordinamenti locali
si adeguino con i propri statuti e
regolamenti, nel rispetto delle proprie
peculiarità ed autonomia, al principio di
separazione delle funzioni di indirizzo da
quelle gestionali e amministrative
attribuite ai dirigenti.
L’art. 111 del D.lgs. 267/2000 dispone che “gli
enti locali, tenendo conto delle proprie
peculiarità, nell’esercizio della propria
potestà statutaria e regolamentare, adeguano
lo statuto e il regolamento ai principi del
capo II del D.lgs. N. 29/1993 e successive
modificazioni" (oggi D.lgs. 165/2001).
Lo statuto del Comune di Bologna
specificamente prevede, all’8° comma
dell’art. 44 (titolato “Funzione
dirigenziale”), che “i dirigenti
hanno facoltà di delegare l’esercizio delle
funzioni loro spettanti ai responsabili
delle strutture in cui si articolano i
settori cui sono preposti” e, in tal
senso, dispone anche l’art. 13, 5° comma,
del “Regolamento sull’ordinamento
generale degli uffici e dei servizi”,
reiterando, con identica formulazione,
quanto già previsto dall’art. 13, 5° comma,
del previgente Regolamento approvato il
07/06/2005. Anche gli articoli 5 e 6 della
legge 241/1990 legittimano disposizioni
statutarie e regolamentari che distinguano
le funzioni dirigenziali –di amministrazione
finalizzata al conseguimento degli
obiettivi– da quelle propriamente
amministrative, tecniche e di dettaglio,
quindi delegabili, necessarie per la minuta
attuazione dei programmi.
Infatti l’art. 5 prevede la facoltà del
dirigente di assegnare la responsabilità del
procedimento ad altro dipendente addetto
all’unità responsabile dell’istruttoria,
comprendendo nell’incarico ogni adempimento
inerente il procedimento stesso, inclusa
l’adozione del provvedimento finale. L’art.
6, alla lettera f), prevede espressamente
che tra le competenze del responsabile del
procedimento vi è quella di adottare il
provvedimento finale
(TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez. II,
sentenza 26.10.2011 n. 734 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
ARIA – INQUINAMENTO ATMOSFERICO -
Getto pericoloso di cose - Emissione -
Configurazione del reato - Presunzione di
legittimità delle emissioni – Nei casi non
consentiti dalla legge - Art. 674 cod. pen..
L'espressione "nei casi non consentiti
dalla legge" contenuta nell’art. 674
cod. pen., costituisce una precisa
indicazione della necessità, ai fini della
configurazione del reato, che, qualora si
tratti di attività considerata dal
legislatore socialmente utile e che per tale
motivo sia prevista e disciplinata,
l'emissione avvenga in violazione delle
norme o prescrizioni di settore che regolano
la specifica attività.
Deve ritenersi, infatti, che la legge
contenga una sorta di presunzione di
legittimità delle emissioni che non superino
la soglia fissata dalle nonne speciali in
materia. In altri termini, all'inciso "nei
casi non consentiti dalla legge" deve
riconoscersi un valore rigido e decisivo,
tale da costituire una sorta di spartiacque
tra il versante dell'illecito penale da un
lato e quello dell'illecito civile
dall'altro [Cass. sez. I, 16/06/2000, Meo;
Cass. sez. I, 24/10/2001, Tulipano; Cass.
sez. III, 23/01/2004, Pannone; Cass. sez.
III, 19/03/2004, n. 16728, Parodi; Cass.
sez. I, 20/05/2004, Invernizzi; sez. III,
18/06/2004, Previdenti; sez. III, 10/2/2005,
Montinaro; sez. III, 21/06/2006, Bortolato;
sez. III, 26/10/2006, Gigante; sez. III,
11/05/2007, Pierangeli; sez. III,
09.10.2007, n. 41582, Saetti].
In conclusione, il reato di cui all'art. 674
cod. pen. non è configurabile nel caso in
cui le emissioni provengano da una attività
regolarmente autorizzata o da una attività
prevista e disciplinata da atti normativi
speciali e siano contenute nei limiti
previsti dalle leggi di settore o dagli
specifici provvedimenti amministrativi che
le riguardano, il cui rispetto implica una
presunzione di legittimità del comportamento
[Cass., sez. III, 21/10/2010, n. 40849,
Rocchi; 09/01/2009, n. 15707, Abbaneo;
13/05/2008, n. 36845, Tucci; 27/02/2008, n.
15653, Colombo].
ARIA – INQUINAMENTO
ATMOSFERICO - Emissioni ex art. 674 cod. pen.
due distinte ed autonome ipotesi di reato –
Esclusione.
La fattispecie contravvenzionale descritta
dall'art. 674 cod. pen. non prevede due
distinte ed autonome ipotesi di reato ma un
reato unico, in quanto la condotta
consistente nel provocare emissioni di gas,
vapori o fumo rappresenta una species
del più ampio genus costituito dal
gettare o versare cose atte ad offendere,
imbrattare o molestare persone.
Le emissioni di cui alla seconda ipotesi
(riferita a gas, vapori o fumo) rientrano
già nell'ampio significato dell'espressione
"gettare cose", di cui in realtà
costituiscono una specie, e sono state
espressamente previste dalla norma
unicamente per specificare che quando si
tratta di attività disciplinata per legge -e
per tale motivo ritenuta dal legislatore di
un qualche interesse pubblico e generale- la
loro rilevanza penale nasce soltanto con il
superamento dei limiti e delle prescrizioni
di settore [Cass., sez. III, 21/10/2010, n.
40849, Rocchi; 09/01/2009, n. 15707, Abbaneo].
L'elemento che caratterizza e giustifica la
previsione speciale di cui alla seconda
ipotesi dell'art. 674 cod. pen. è costituito
dal riferirsi ad una attività socialmente
utile e quindi disciplinata e non già dalla
natura dell'oggetto dell'emissione (Corte di
cassazione, Sez. III penale,
sentenza 17.10.2011 n. 37495 -
link a www.ambientediritto.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
RIFIUTI - Abbandono di rifiuti
"alla rinfusa" - Deposito temporaneo o
regolare - Configurabilità – Esclusione -
Art. 183, c.1, lett. m), D.Lgs. n. 152/2006.
L'abbandono di rifiuti "alla rinfusa"
e non per categorie omogenee, come invece
previsto dall'art. 183, comma primo, lett.
m), D.Lgs. 03.04.2006, n. 152 (e, in
precedenza, dall'abrogato art. 6, comma
primo, lett. m), D.Lgs. 05.02.1997, n. 22),
esclude la configurabilità del cosiddetto
deposito temporaneo o regolare, quali che
siano i limiti dell'accumulo (Cass. Sez. 3,
n. 11258 del 11/02/2010) (Corte di
Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 13.10.2011 n. 36979 -
link a www.ambientediritto.it). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Incentivi alla produttività, responsabile il
dirigente.
LA SENTENZA - L'utilizzo dei fondi di un
progetto obiettivo illegittimo determina un
pregiudizio patrimoniale al comune.
L'erogazione di compensi incentivanti la
produttività per attività svolte al di fuori
del lavoro ordinario determina il maturare
di responsabilità amministrativa in capo al
dirigente per tutto l'importo eccedente il
compenso per il lavoro straordinario.
È questo il principio dettato dalla
Corte dei
conti Campania, nel testo della
sentenza 13.10.2011 n. 1808.
La sentenza condanna a oltre 100mila euro di
sanzione un dirigente del comune di Salerno
per avere corrisposto al personale impegnato
nella raccolta e smaltimento dei rifiuti
risorse aggiuntive derivanti da un progetto
obiettivo illegittimo. La vicenda deriva
dalle risultanze di un'ispezione della
Ragioneria dello Stato, che vede quindi
confermata la bontà della sua attività e che
anzi dalla sentenza riceve un'ulteriore
legittimazione. Infatti viene riconosciuto
che il «contenuto della relazione ispettiva
rappresenta, a pieno titolo, una specifica e
concreta notizia di danno in ragione della
quale la Procura era pienamente legittimata
–se non obbligata– a porre in essere ogni
iniziativa istruttoria ritenuta necessaria
ai fini di individuare le responsabilità
amministrativo-contabili connesse al
prodursi di un ingente nocumento alle
finanze pubbliche e, successivamente, a
esercitare l'azione di competenza,
sussistendone le condizioni».
La sentenza chiarisce che l'illegittimità
della condotta del dirigente deriva dal
fatto che «per i progetti obiettivo non
risultano essere state rispettate le
condizioni normativamente previste per il
loro finanziamento, determinando l'utilizzo
dei fondi, nella circostanza, un pregiudizio
patrimoniale al comune per la loro
distribuzione a pioggia». Le indicazioni
sulla corretta utilizzazione dello strumento
sono state dettate dall'Aran. La circostanza
della presenza di una condizione di
emergenza dei rifiuti non è stata intesa
come una circostanza esimente del maturare
di responsabilità, ma ha determinato
unicamente la riduzione della misura della
sanzione del 50 per cento.
E ancora l'invocata «impossibilità di
coprire i servizi resi con il ricorso ai
pressoché inesistenti fondi per il lavoro
straordinario» non è neppure un'esimente:
«Oggetto di contestazione non è l'utilizzo
ex se dei progetti obiettivo, bensì
l'inappropriata procedura seguita a tal
fine, violativa della disciplina
normativamente prevista». E inoltre,
entrando nel merito delle scelte, la
sentenza evidenzia che si è determinato un
danno nella quantificazione del compenso
erogato: se «le prestazioni rese dal
personale fossero state retribuite come
lavoro straordinario avrebbero comportato un
costo equivalente a circa 1/3 della spesa
sostenuta per i progetti obiettivo». Da qui
la conclusione che il danno erariale deve
essere quantificato in tale differenza. «Non
vi è luogo, invece, alla valutazione dei
vantaggi comunque conseguiti
dall'amministrazione perché dall'eventuale
corresponsione della retribuzione per lavoro
straordinario sarebbero derivati gli stessi
benefici».
Il dirigente condannato era quello preposto
al servizio di raccolta dei rifiuti; la
sentenza stabilisce che la sua condotta può
essere qualificata come colpa grave, anche
se egli non è un esperto di gestione delle
risorse umane. Ciò dipende dalla «palese
violazione delle disposizioni disciplinanti
il finanziamento dei progetti obiettivo» e
perché ciò è avvenuto dopo una nota del
segretario «con la quale si censuravano i
criteri procedurali seguiti dai dirigenti ai
fini dell'utilizzazione dei fondi»
(articolo Il Sole 24
Ore
del'11.11.2011 - tratto da
www.corteconti.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
RIFIUTI - Liquami zootecnici -
Deiezioni animali provenienti da allevamento
- Tracimazione della vasca di raccolta -
Riversamento in un corso d'acqua
superficiale - Art. 256, c. 1, lett. a),
D.Lgs. 152/2006 – Configurabilità –
Fattispecie: immissione di rifiuti liquidi
in acque superficiali.
Il riversare in un corso d’acqua
superficiale rifiuti liquidi consistenti in
liquami zootecnici provenienti da una vasca
di raccolta ubicata all’interno dell’azienda
di loro pertinenza configura la violazione
contenuta nell’articolo 256, comma primo
lettera a) del Decreto Legislativo n.
152/2006.
Infatti, i liquami costituiti dalle
deiezioni animali provenienti da un
allevamento zootecnico rappresentano, per
qualità e quantità, un dato significativo
della pericolosità per l'ambiente e la
salute delle persone che può derivare dallo
svolgimento di tale attività e richiede
pertanto, da parte dei soggetti preposti, la
predisposizione di ogni necessario
accorgimento atto ad evitare sversamenti,
anche accidentali, dei liquami prodotti.
La necessità di adottare tutte le misure
preventive, tecniche ed organizzative, atte
ad evitare simili eventi esclude, inoltre,
che la accidentale rottura di una conduttura
possa costituire un evento imprevedibile
ascrivibile ad ipotesi di caso fortuito (
Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 12.10.2011 n. 36830 -
link a www.ambientediritto.it). |
AGGIORNAMENTO ALL'11.11.2011 |
ã |
DOTTRINA E
CONTRIBUTI |
COMPETENZE GESTIONALI - URBANISTICA: A.
Galbiati,
La competenza all’approvazione dei piani
attuativi conformi dopo il D.L. Sviluppo
(link a www.studiospallino.it). |
APPALTI: G.
P. Cirillo,
Requisiti generali di qualificazione:
garanzie per l’amministrazione o occasione
di contenzioso? (link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
UTILITA' |
ENTI LOCALI - VARI:
Legge di stabilità: il testo integrale del
maxiemendamento governativo.
Dopo tante versioni più o meno attendibili,
è ora disponibile sul sito del Senato il
testo ufficiale degli emendamenti presentati
dal Governo alla legge di stabilità in
discussione presso la Commissione Bilancio.
Il primo (emendamento 4.2000) è
sicuramente quello di maggiore interesse in
quanto riporta le modifiche più rilevanti al
disegno di legge in discussione e incorpora
le misure concordate con l'Unione europea.
Gli altri testi presentati dall'Esecutivo (emendamenti
5.2000 e 5.0.1000) contengono
disposizioni a favore dei terremotati
dell'Abruzzo e per gli esercenti impianti di
distribuzione di carburanti.
Agli emendamenti governativa vanno aggiunti
quelli presentati dal relatore del
provvedimento (emendamenti 3.1000,
4.0.1000 e 5.1000) contenenti
disposizioni in materia di rispetto del
Patto di stabilità interno (commento tratto
da www.leggioggi.it).
---------------
La Commissione Bilancio del Senato ha
reso disponibile il
testo della legge di stabilità per il 2012
coordinato con le modifiche introdotte dal
maxiemendamento governativo presentato
nella serata di mercoledì. Quasi sicuramente
sarà la versione che verrà approvata in via
definitiva, visto il calendario concordato
nei giorni scorsi tra le forze politiche e
le massime cariche istituzionali.
Il provvedimento è stato licenziato oggi
dall'Aula del Senato. Il varo definitivo si
avrà entro sabato sera quando passerà anche
l'esame della Camera. Seguirà una
pubblicazione in Gazzetta rapidissima, forse
nella stessa giornata di sabato.
AGGIORNAMENTO DELL'11.11.2011 ORE 14,45
(tratto da www.diritto.it). |
NOTE,
CIRCOLARI E COMUNICATI |
PUBBLICO IMPIEGO: Buonuscita,
differimento per tutti. Il rinvio della
liquidazione per ogni cessazione dal
servizio. Una circolare dell'Inpdap illustra
le novità per i dipendenti pubblici della
legge 148/2011.
L'allungamento dei tempi
di riscossione della buonuscita comprende
tutte le cessazioni dal servizio e tutti i
trattamenti di fine rapporto comunque
erogati dall'Inpdap, inclusi i dipendenti di
enti che, pur avendo perso la natura di
pubblica amministrazione, hanno invece
conservato la disciplina del trattamento di
fine servizio.
Lo precisa l'Inpdap nella
circolare 09.11.2011
n. 16, emanata con l'assenso del
ministero del lavoro, illustrando alcune
delle novità del dl n. 138/2011 convertito
dalla legge n. 148/2011.
La finestra nella scuola.
La circolare interviene sulle nuove norme in
tema di decorrenza della pensione per il
personale della scuola. Dal prossimo anno,
chi matura i requisiti in un anno solare,
andrà in pensione dall'anno scolastico o
accademico dell'anno solare seguente, e non
più dall'anno scolastico o accademico dello
stesso anno solare di maturazione dei
requisiti (come accade oggi), cosa che resta
possibile soltanto per chi maturerà i
requisiti entro il prossimo 31.12.2011.
L'Inpdap spiega che nel comparto scuola
rientra anche il personale dipendente da
istituzioni scolastiche pubbliche non
statali (per esempio scuole comunali),
nonché il personale appartenente al comparto
dell'alta formazione e specializzazione
artistica e musicale, Afam (conservatori,
accademie belle arti ecc.). Pertanto, per
coloro che maturano i requisiti per il
diritto a partire dall'01.01.2012, l'accesso
alla pensione avverrà dal 1° settembre o 1°
novembre dell'anno successivo.
La buonuscita può
attendere.
Per quanto riguarda i nuovi termini di
pagamento delle buonuscite, poiché la novità
è introdotta con una modifica della
disciplina vigente dal 1997 (legge n.
140/1997), l'ambito di applicazione, spiega
l'Inpdap, comprende tutte le cessazioni dal
servizio e tutti i trattamenti di fine
rapporto, comunque denominati, erogati
dall'istituto, con le sole eccezioni
stabilite dalla medesima norma di riforma.
Vale a dire: lavoratori che hanno maturato i
requisiti contributivi e anagrafici per il
pensionamento, sia di anzianità che di
vecchiaia prima del 13 agosto (data di
entrata in vigore del dl di riforma);
personale del comparto scuola e delle
istituzioni di alta formazione artistica e
specializzazione musicale, Afam.
In tabella le singole ipotesi aggiornate;
alla scadenza dei singoli termini previsti,
l'Inpdap è tenuta a erogare gli interessi.
In sostanza, la novità è il periodo di
attesa più lungo da sei a 24 mesi nei casi
di prepensionamento e di cessazioni per
altri motivi, nonché l'introduzione di un
termine di sei mesi (prima inesistente) per
i pensionamenti ordinari. Dal 13 agosto il
pagamento avviene:
● entro 105 giorni dalla cessazione dal
servizio per inabilità o decesso del
dipendente;
● non prima di 180 e non oltre 270 giorni
dal collocamento a riposo per limiti d'età o
di servizio e per collocamento a riposo
d'ufficio per anzianità massima di servizio,
maturati dal 13 agosto (se maturati entro il
12.08.2011, il termine è di 105 giorni);
● non prima di 24 mesi e un giorno e non
oltre 24 mesi e 90 giorni dalla cessazione
dal servizio in ogni altra ipotesi
(dimissioni, licenziamento ecc.)
verificatasi dal 13 agosto (se verificatasi
entro il 12.08.2011, il termine è tra 181 e
270 giorni).
Per il personale interessato dalla deroga,
la buonuscita è erogata tra 181 e 270 giorni
se relativa a una qualsiasi causa di
cessazione; nel termine di 105 giorni se
relativa al collocamento a riposo per limiti
d'età o di servizio oppure per collocamento
a riposo d'ufficio per anzianità massima di
servizio.
L'Inpdap, infine, precisa che l'introduzione
dei nuovi termini di pagamento non modifica
le regole sulle modalità di erogazione
rateale; pertanto, se la buonuscita supera i
90 mila euro, il pagamento della seconda ed
eventuale terza rata avverrà dopo,
rispettivamente, un anno e due anni dai
nuovi termini
(articolo ItaliaOggi
del 10.11.2011 - link a www.corteconti.it). |
SINDACATI |
PUBBLICO IMPIEGO:
DDL STABILITA’ – MAXIEMENDAMENTO
MOLTO INSTABILE
(CSA di Roma,
nota 10.11.2011). |
GURI - GUUE -
BURL (e anteprima) |
SICUREZZA LAVORO:
G.U. 08.11.2011 n. 260 "Regolamento
recante norme per la qualificazione delle
imprese e dei lavoratori autonomi operanti
in ambienti sospetti di inquinamento o
confinanti, a norma dell’articolo 6, comma
8, lettera g), del decreto legislativo
09.04.2008, n. 81" (D.P.R.
14.09.2011 n. 177).
---------------
Più
sicurezza in silos e cisterne. In G.U. il
dpr sugli ambienti confinati.
Per svolgere attività lavorativa in ambienti
confinati l'azienda deve avere personale con
esperienza almeno triennale (in misura non
inferiore al 30% della forza lavoro), munito
di specifici dispositivi di protezione
individuale (maschere protettive ecc.), di
attrezzature e di strumentazioni (rilevatori
di gas, respiratori ecc.) idonei a prevenire
i rischi di tali attività e provvedere
all'addestramento all'uso corretto degli
stessi.
Lo stabilisce, tra l'altro, il dpr
n. 177/2011 pubblicato sulla Gazzetta
Ufficiale n. 260/2011 che entrerà in vigore
dal 23.11.2011.
Il provvedimento approva il regolamento per
la qualificazione di imprese e lavoratori
autonomi che operano in ambienti sospetti di
inquinamento o confinati; sono disposizioni
che restano valide in attesa della
definizione del complessivo sistema di
qualificazione delle imprese previsto dal
T.u. sicurezza (dlgs n. 81/2008).
Tra le
novità principali, il provvedimento
introduce le condizioni per lo svolgimento
delle attività nel settore degli ambienti
sospetti di inquinamento o confinati.
Infatti, possono svolgere tali attività
unicamente le imprese e i lavoratori
autonomi qualificati in ragione del
possesso, tra l'altro, dei seguenti
requisiti: integrale applicazione delle
disposizioni in materia di valutazione dei
rischi, sorveglianza sanitaria e misure di
gestione delle emergenze; presenza di
personale, in percentuale non inferiore al
30% della forza lavoro, con esperienza
almeno triennale relativa a lavori in
ambienti sospetti di inquinamento o
confinati, assunta con contratto di lavoro
subordinato a tempo indeterminato ovvero
anche con altre tipologie contrattuali o di
appalto, a condizione, in questa seconda
ipotesi, che i relativi contratti siano
stati preventivamente certificati; avvenuta
effettuazione di attività di informazione e
formazione di tutto il personale, ivi
compreso il datore di lavoro se impiegato
per attività lavorative in ambienti sospetti
di inquinamento o confinati, mirato
specificamente alla conoscenza dei fattori
di rischio propri di tali attività; ancora
possesso di dispositivi di protezione
individuale, strumentazione e attrezzature
di lavoro idonei alla prevenzione dei rischi
propri delle attività lavorative in ambienti
sospetti di inquinamento o confinati e
avvenuta effettuazione di attività di
addestramento al loro corretto uso; infine
rispetto delle norme, se applicabili, in
materia di Durc
(articolo ItaliaOggi
del 10.11.2011). |
NEWS |
VARI: Autovelox,
avvisi ad almeno un chilometro.
Fuori dal centro abitato la distanza minima
di un chilometro dal segnale di velocità
deve essere assicurata a tutti gli utenti
che si approssimano al controllo autovelox a
prescindere dal tratto di strada percorso.
Inoltre non trova applicazione fuori città
la disciplina semplificata dei segnali a
validità zonale che permetterebbero di
limitare l'uso della segnaletica verticale.
Lo ha chiarito il Ministero dei trasporti
con il parere 24.10.2011 n. 5234.
Con l'entrata in vigore della legge 120/2010
i controlli della velocità effettuati in
sede automatica, fuori centro abitato,
devono essere segnalati e ben visibili ma
anche distanti almeno 1 km dall'inizio del
limite di velocità.
Questa previsione è contenuta nell'art. 25
della legge di riforma del codice stradale
laddove la stessa specifica che con apposito
decreto saranno definite, altresì, «le
modalità di collocazione e uso dei
dispositivi o mezzi tecnici di controllo,
finalizzati al rilevamento a distanza delle
violazioni delle norme di comportamento di
cui all'articolo 142 del decreto legislativo
n. 285 del 1992, che fuori dei centri
abitati non possono comunque essere
utilizzati o installati ad una distanza
inferiore a un chilometro dal segnale che
impone il limite di velocità».
Per tentare di semplificare l'apposizione
della necessaria segnaletica stradale di
limite di velocità anche su tutte le strade
laterali di avvicinamento al controllo
autovelox fisso il comune di Prato ha
richiesto chiarimenti al ministero,
proponendo l'istituzione, fuori centro
abitato, di un limite zonale senza cartelli
ripetuti.
Il Dipartimento per i trasporti terrestri ha
bocciato questa proposta evidenziando che i
segnali a validità zonale sono previsti
dalla normativa solo in relazione al limite
di velocità urbano e per le zone a traffico
limitato. Peraltro, prosegue l'interessante
parere centrale, «se la richiesta si
riferisce alla possibilità di utilizzo dei
dispositivi finalizzati al rilevamento a
distanza delle violazioni, si precisa che
l'obbligo della distanza di almeno un
chilometro dal segnale posto dopo
l'intersezione non sussiste qualora la
velocità massima consentita sia la stessa su
tutti i rami dell'intersezione».
In buona sostanza tutti gli utenti in arrivo
devono poter beneficiare della regola del
chilometro prima di incappare in un
controllo autovelox automatico, fuori città
(articolo ItaliaOggi
del 10.11.2011). |
CORTE DEI
CONTI |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Mobilità
per interscambio.
In conclusione, la Sezione non ritiene
possibile lo scambio di dipendenti in
mobilità che comporti un incremento di spesa
per l'ente che abbia violato il limite
massimo di incidenza della spesa di
personale sulla spesa corrente dettato dall'art.
76, comma 7, della L. 133/2008 come
sostituito dall'articolo 14, comma 9, della
legge n. 122 del 2010, e successivamente
modificato dall'art. 1, comma 118, della
legge n. 220 del 2010 (Corte dei Conti, Sez.
controllo Toscana,
parere 08.11.2011 n. 294 - tratto da www.publika.it). |
SEGRETARI COMUNALI: Decurtazione
compensi del Segretario Comunale incaricato
delle funzioni di Direttore Generale.
In merito a quanto in oggetto, la Corte dei
Conti Sez. Reg.Le Lombardia, con
il
parere 03.11.2011 n. 554, ritiene
che:
"Il compenso connesso all'attribuzione dell'incarico di direttore generale dell'ente
locale è quindi assoggettato alla previsione
di cui all'art. 6, comma 3, del D.L.
78/2010...Tale ultima norma è più specifica
(e deteriore) rispetto alla disciplina
dettata dall'art. 9, comma 2, del D.L.
78/2010 e dunque trova applicazione
esclusiva per il principio di specialità
rispetto ad altre disposizioni
apparentemente applicabili alla fattispecie.
Peraltro il taglio del 10 per cento sui
compensi percepiti ai sensi dell'art. 6,
comma 3, del D.L. 78/2010 si applica sull'intero
importo della somma erogata e pertanto ha
un'incidenza molto più penalizzante
rispetto alla decurtazione operata dall'art.
9, comma 2, del medesimo decreto."
"Al dualismo della posizione giuridica
corrisponde il dualismo sia della posizione
economica sia, in conseguenza, dei tagli che
non possono essere cumulati, stante la
concorrenza di due disposizioni di legge di
cui una generale (art. 9, commi 1 e 2) ed
un'altra speciale (art. 6, comma 3), con
applicazione di quest'ultima al caso in
esame"
(tratto da www.publika.it). |
ENTI LOCALI: Piccoli
Comuni: obbligo gestione associata delle
funzioni.
La Corte dei Conti Sez. Reg.le Lombardia,
con il
parere 03.11.2011 n. 553,
risponde al quesito:
se " ...il Comune istante, avente 2.250
abitanti, ove costituisca con un comune
avente popolazione inferiore a 1.000 abitanti
una o più convenzioni relative a tutti i
servizi e funzioni pubbliche, come previsto dall'art. 16, comma 16, del D.L. 13.08.2011, n. 138 convertito in L. 14.09.2011, n. 148 sia o meno tenuto a costituire
ulteriori convenzioni con altri comuni per
raggiungere la quota minima di 10.000
abitanti prevista dal successivo comma 24"
come segue:
"... si ritiene che tale ente, in mancanza
di espressa previsione legale e fermo il
divieto di svolgere la medesima funzione con
più di una forma associativa, per procedere
alla stipulazione di convenzioni nei termini
illustrati nel quesito, sia soggetto al
rispetto della quota minima di 10.000
abitanti prevista dall'art. 16, comma 24,
D.L. 138/2011, conv. in L. 148/2011"
(tratto da www.publika.it). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: La
trasformazione da full-time a part-time non
è cessazione.
La Corte dei Conti Sez. Reg.le Lombardia,
con il
parere 28.10.2011 n. 551, in
riferimento ad ente non soggetto a patto di
stabilità, ritiene: "I Comuni che hanno una popolazione
inferiore ai 5000 abitanti, a partire dall'01.01.2011 possono effettuare nuove
assunzioni solamente per sostituire il
personale cessato nell'anno precedente, sempreché la loro spesa complessiva di
personale incida in misura inferiore al 40
per cento sulla spesa corrente e sia
inferiore a quella sostenuta nel 2004.
... non può considerarsi cessazione la
riduzione definitiva da tempo pieno a tempo
parziale del dipendente, poiché una tale
trasformazione del rapporto di lavoro a
tempo indeterminato realizzerebbe, semmai,
una semplice novazione oggettiva dell'obbligazione
contrattuale originariamente assunta con il
dipendente in servizio, il quale continuerà
ad occupare il posto in ruolo, seppure a
tempo ridotto ed in altro ufficio." (tratto da www.publika.it). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Compensi
ISTAT e art. 9, comma 2-bis, D.L. 78/2010.
Secondo la Corte dei Conti Sez. Reg.le
Lombardia, come da
parere 28.10.2011 n. 550:
"Le risorse per le rilevazioni censuari
sono, dunque, trasferimenti statali vincolati all'espletamento di una funzione
amministrativa inderogabile, resa dall'ente
locale al servizio d'interessi di portata
generale.
Il contributo forfettario statale per le
rilevazioni ISTAT è specificamente vincolato
alle operazioni di censimento che si
manifestano ciclicamente secondo la cadenza
prevista dalla legge. Esso costituisce la
risorsa necessaria per assicurare la
puntuale esecuzione di un'attività
amministrativa obbligatoria."
"Le valutazioni circa la compatibilità
delle risorse impiegate con i vincoli di
finanza pubblica, sono state già effettuate 'a monte', nella determinazione compiuta a
livello centrale di destinare il quantum di
risorse disponibili da distribuire in ambito
locale. Con riferimento a tali
trasferimenti, non residua alcuna verifica
di compatibilità con la disciplina
vincolistica imposta agli enti locali che
partecipano alle rilevazioni censuarie.
Delineato il quadro di riferimento, appare
coerente con la ricostruzione giuridica
prospettata, argomentare che a prescindere
dalle concrete modalità di erogazione,
trattandosi di finanziamenti statali a
destinazione vincolata, le risorse ISTAT nel
loro complesso, risultano escluse tout court
dai vincoli di contenimento della spesa di
personale imposti dall'art. 9, comma 2-bis,
del D.L. 31.05.2010, n. 78 convertito
nella legge 30.07.2010, n. 122"
(tratto da www.publika.it). |
GIURISPRUDENZA |
PUBBLICO IMPIEGO: Sanzione
disciplinare e valutazione della prestazione.
Il Consiglio di Stato, Sez. VI, con
sentenza
09.11.2011 n. 5914, stabilisce
che sono legittime sia la sanzione
disciplinare che la valutazione negativa
della prestazione quando, sostanzialmente,
ricorrono le condizioni di "grave
negligenza in servizio" e "inosservanza
dei doveri d'ufficio" per scarso numero di
pratiche espletato e mancata vigilanza sull'emissione
di determinati provvedimenti in tempo utile
per la loro efficacia.
L'irrilevanza della condotta nel sindacato
di responsabilità patrimoniale non risulta
rilevante
(tratto da www.publika.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Le ordinanze sindacali non possono
introdurre sanzioni definitive per
l’inosservanza delle prescrizioni sullo
smaltimento dei rifiuti urbani.
L’art. 54, comma 4, del D.Lgs. n. 267/2000,
nel testo risultante a seguito della
modifica introdotta dall’art. 6 del D.L.
23/5/2008, n. 92, conv. in L. 24/07/2008, n.
125, prevedeva che: “Il sindaco, quale
ufficiale del Governo, adotta con atto
motivato provvedimenti, anche contingibili e
urgenti nel rispetto dei princìpi generali
dell’ordinamento, al fine di prevenire e di
eliminare gravi pericoli che minacciano
l'incolumità pubblica e la sicurezza urbana
…”.
Come emerge dalla presenza nel testo
riportato della locuzione “anche”, la
norma attribuiva al sindaco, “al fine di
prevenire e di eliminare gravi pericoli che
minacciano l'incolumità pubblica e la
sicurezza urbana”, due distinti poteri:
quello di emanare ordinanze “contingibili ed
urgenti” e quello di adottare ordinanze di
ordinaria amministrazione.
Sennonché la menzionata disposizione, con
sentenza della Corte Costituzionale
07/04/2011 n. 115, è stata dichiarata
incostituzionale <<nella parte in cui
comprende la locuzione “anche” prima delle
parole “contingibili e urgenti”>>, con
l’effetto di far venire meno il potere del
sindaco di adottare ordinanze di ordinaria
amministrazione. Ciò in quanto queste
ultime, “pur non potendo derogare a norme
legislative o regolamentari vigenti, si
presentano come esercizio di una
discrezionalità praticamente senza alcun
limite, se non quello finalistico,
genericamente identificato dal legislatore
nell'esigenza «di prevenire e di eliminare
gravi pericoli che minacciano l'incolumità
pubblica e la sicurezza urbana”.
La Corte ha, infatti, “affermato in più
occasioni l'imprescindibile necessità che in
ogni conferimento di poteri amministrativi
venga osservato il principio di legalità
sostanziale, posto a base dello Stato di
diritto. Tale principio non consente
«l'assoluta indeterminatezza» del potere
conferito dalla legge ad una autorità
amministrativa, che produce l'effetto di
attribuire, in pratica, una «totale libertà»
al soggetto od organo investito della
funzione (sentenza n. 307 del 2003; in senso
conforme, ex plurimis, sentenze n. 32 del
2009 e n. 150 del 1982). Non è sufficiente
che il potere sia finalizzato dalla legge
alla tutela di un bene o di un valore, ma è
indispensabile che il suo esercizio sia
determinato nel contenuto e nelle modalità,
in modo da mantenere costantemente una, pur
elastica, copertura legislativa dell'azione
amministrativa” (citata sent. 115/2011).
La declaratoria di illegittimità
costituzionale di una norma ha, com’è noto,
efficacia retroattiva nei confronti dei
rapporti giuridici pendenti, con l’unico
limite –che qui non rileva- dei c.d. diritti
quesiti e dei c.d. rapporti esauriti (cfr.
TAR Sardegna, I Sez., 25/11/2009 n. 1954;
Cons. Stato, IV Sez., 11/09/2009 n. 5479).
Alla luce della citata pronuncia del giudice
delle leggi, l’art. 54, comma 4, del D.Lgs.
n. 267/2000, autorizzava il sindaco ad
emanare esclusivamente ordinanze
contingibili e urgenti, le quali però, per
pacifica giurisprudenza, non possono avere
contenuti normativi.
Queste ultime, infatti, oltre al carattere
della contingibilità, intesa come urgente
necessità di provvedere con efficacia ed
immediatezza nei casi di pericolo attuale od
imminente, presentano quello della
provvisorietà, intesa nel duplice senso di
imposizione di misure non definitive e a
efficacia temporalmente limitata. Sicché non
si ammette che i provvedimenti in oggetto
vengano emanati per fronteggiare esigenze
prevedibili e permanenti, ovvero per
regolare stabilmente una situazione od
assetto di interessi permanenti (TAR
Campania-Napoli, V Sez., 29/12/2010, n.
28169).
Così come correttamente dedotto dalla
ricorrente il Sindaco di Alghero non poteva,
dunque, nell’esercizio del potere di cui al
menzionato art. 54, comma 4, introdurre
stabilmente una norma sanzionatoria per
l’inosservanza delle prescrizioni relative
alle modalità di smaltimento dei rifiuti
urbani.
Da ciò l’illegittimità dell’impugnata
ordinanza n. 24/2010, che a sua volta si
riflette sulla successiva ordinanza
dirigenziale n. 229/2010 (TAR Sardegna, Sez.
I,
sentenza 03.11.2011 n. 1049 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
La titolarità di precedenti concessioni non
cancella l’obbligo dell’Amministrazione
concedente di assoggettare a procedura
comparativa le offerte presentate.
La pregressa esperienza nel noleggio di
articoli da mare, ovvero la titolarità di
precedenti concessioni, non può oscurare
l’obbligo dell’Amministrazione concedente di
assoggettare a procedura comparativa le
offerte presentate, risultando solo in tal
modo soddisfatto il prevalente interesse
all’individuazione dell’affidatario che
offra migliori garanzie di proficua
utilizzazione del bene per finalità di
pubblico interesse, secondo quanto prevede
l’art. 37 del codice della navigazione, il
quale impone l’abbandono dell’originaria
valorizzazione del diritto di insistenza o
di posizioni assimilabili al medesimo, a
vantaggio del confronto concorrenziale tra i
contenuti di più offerte, in modo da
assicurare la migliore gestione possibile
del bene (Cons. Stato, VI, 25/09/2009, n.
5765), in coerenza con il principio
comunitario di non discriminazione. Tale
principio si applica anche a materie diverse
dagli appalti, essendo sufficiente che si
tratti di attività suscettibile di
apprezzamento in termini economici (Cons.
Stato, VI, n. 3642/2008; TAR Piemonte, II,
29/11/2010, n. 4239) (TAR Toscana, Sez. III,
sentenza 25.10.2011 n. 1557 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: L’ordine
di demolizione non presuppone
necessariamente la comunicazione di avvio
del procedimento.
L’ordine di demolizione non presuppone
necessariamente la comunicazione di avvio
del procedimento, stante il suo carattere di
atto dovuto e vincolato, basato su meri
accertamenti tecnici e privo di
apprezzamenti discrezionali.
Invero la giurisprudenza amministrativa ha
ripetutamente precisato che gli atti
repressivi di abusi edilizi hanno natura
urgente e strettamente vincolata, con la
conseguenza che, ai fini della loro
adozione, non sono richiesti apporti
partecipativi del destinatario e quindi non
devono necessariamente essere preceduti
dalla comunicazione di avvio del
procedimento (ex multis: Cons. Stato,
VI, 24/09/2010, n. 7129; TAR Puglia, Lecce,
III, 09/02/2011, n. 240; TAR Campania,
Napoli, IV, 13/01/2011, n. 84) (TAR Toscana,
Sez. III,
sentenza 25.10.2011 n.
1556 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Ai fini dell’applicazione delle sanzioni
previste in materia di abusi edilizi rileva
il momento in cui il Comune adotta il
provvedimento sanzionatorio.
Qualora, dopo la presentazione della domanda
di sanatoria edilizia, sopravvengano
previsioni dello strumento urbanistico o
delle relative N.T.A. che non ammettono
l’intervento realizzato, quest’ultimo non
può ottenere il titolo richiesto, sia perché
la legittimità del provvedimento abilitativo
assume necessariamente a riferimento la
normativa vigente al momento della sua
adozione, sia perché la finalità dell’art.
13 della legge n. 47/1985 è consentire la
regolarizzazione degli abusi edilizi
meramente formali, i quali cioè siano
conformi alle norme urbanistiche ed edilizie
e difettino del rilascio del titolo edilizio
pur sussistendone i requisiti normativi,
rilevando una situazione sostanziale
legittimante analoga a quella del titolare
della concessione edilizia.
Secondo il prevalente orientamento
giurisprudenziale, al quale il Collegio
ritiene di aderire, ai fini
dell’applicazione delle sanzioni previste in
materia di abusi edilizi rileva il momento
in cui il Comune adotta il provvedimento
sanzionatorio, in ossequio al principio
generale tempus regit actum (TAR
Piemonte, I, 05/05/2004, n. 762).
Ciò in quanto l’illecito edilizio ha natura
permanente, ovvero si pone in contrasto
perdurante con l’interesse al regolare
assetto del territorio tutelato dal
legislatore ed è connotato dall’omissione
dell’obbligo, protratta nel tempo, di
ripristinare lo stato dei luoghi (Cons.
Stato, V, 09/02/1996, n. 152; idem,
29/04/2000, n. 2544; TAR Emilia Romagna,
Bologna, II, 14/11/2005, n. 1636).
---------------
Qualora, dopo la presentazione della domanda
di sanatoria edilizia, sopravvengano
previsioni dello strumento urbanistico o
delle relative N.T.A. che non ammettono
l’intervento realizzato, quest’ultimo non
può ottenere il titolo richiesto, sia perché
la legittimità del provvedimento abilitativo
assume necessariamente a riferimento la
normativa vigente al momento della sua
adozione, sia perché la finalità dell’art.
13 della legge n. 47/1985 è consentire la
regolarizzazione degli abusi edilizi
meramente formali, i quali cioè siano
conformi alle norme urbanistiche ed edilizie
e difettino del rilascio del titolo edilizio
pur sussistendone i requisiti normativi,
rilevando una situazione sostanziale
legittimante analoga a quella del titolare
della concessione edilizia (Cons. Stato, V,
15/11/1999, n. 1914; idem, 29/05/2006, n.
3236; TAR Campania, Napoli, VI, 06/06/2007,
n. 5966)
(TAR
Toscana, Sez. III,
sentenza 25.10.2011 n. 1550 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA: CASSAZIONE/ Eco-danni
estesi.
Conta l'incremento marginale. Sentenza sulla configurabilità.
Ai fini della configurabilità oggettiva del
danno ambientale ciò che rileva non è tanto
il livello di inquinamento in senso
assoluto, quanto il suo incremento rispetto
alle condizioni originarie: è questo il
principio di diritto che emerge dalla
sentenza
12.10.2011 n. 36818 della Suprema corte.
Nel caso sottoposto all'attenzione degli
ermellini, i responsabili civile e legale di
una società autorizzata all'esercizio della
discarica di rifiuti speciali inerti non
pericolosi venivano condannati al pagamento
di una provvisionale di 200.000,00 –oltre
alle spese processuali e di rappresentanza e
assistenza per la parte civile– per aver
«violato le prescrizioni impartite nel
provvedimento autorizzatorio», accettando
che venissero recapitati rifiuti speciali
tossici e nocivi, «non rispondenti alla
definizione di rifiuto inerte indicata nel
provvedimento autorizzatorio» stesso e per
non aver provveduto a delimitare la zona
adibita allo stoccaggio dei rifiuti
contenenti amianto.
Ricorsi per cassazione, entrambi gli
imputati lamentano –tra gli «analoghi
motivi di doglianza»– l'insussistenza del
danno ambientale (dal momento che la
discarica è ex se un luogo inquinato) e
l'erronea applicazione dell'art. 1, comma 3,
del dm n. 141/2998, sulle norme per lo
smaltimento in discarica dei rifiuti e per
la catalogazione di quelli pericolosi:
«L'accertata presenza in discarica di
rifiuti di tipologia diversa e maggiormente
inquinante rispetto a quella per la quale la
discarica stessa era stata autorizzata»,
chiarisce Piazza Cavour, «è di per sé
sufficiente a configurare un danno
ambientale»: in una simile fattispecie
trova, infatti, applicazione l'art. 300,
comma 2, lett. d), del dlgs 152/2006, ai
sensi del quale il danno in oggetto
consisterebbe nel deterioramento, rispetto
alle condizioni originarie, del terreno «mediante
qualsiasi contaminazione che crei un rischio
significativo di effetti nocivi sulla salute
umana» a seguito dell'introduzione nel
suolo o nel sottosuolo di sostanze,
preparati, organismi o microrganismi nocivi
per l'ambiente.
Quanto alla responsabilità del gestore, i
giudici precisano che nella formulazione del
testo normativo è intrinseco «un generale
obbligo di controllo da assolversi con tutti
i mezzi idonei»: non può considerarsi
sufficiente, quindi, il mero controllo
visivo
(articolo ItaliaOggi
del 10.11.2011). |
APPALTI:
Rifiuto da parte della ditta
interessata di stipulare il contratto di
appalto al fine di ottenere condizioni
contrattuali più convenienti rispetto a
quelle del bando. Provvedimenti che può
adottare la P.A. appaltante.
E’ legittima la determinazione con la quale
la stazione appaltante:
a) ha preso atto della rinuncia
all'aggiudicazione effettuata dalla ditta
vincitrice di una gara di appalto;
b) ha dichiarato la sua decadenza
dall'aggiudicazione;
c) ha disposto l'escussione della polizza
fideiussoria e la segnalazione telematica
all'Autorità di Vigilanza contratti pubblici
delle generalità della ditta stessa ai fini
dell'assunzione dei conseguenti
provvedimenti amministrativi sanzionatori,
nel caso in cui la medesima ditta,
nonostante la conoscenza di tutte le
circostanze e le condizioni incidenti
sull'esecuzione della prestazione in gara,
la consapevole e volontaria presentazione
della propria domanda di partecipazione con
la relativa offerta, e la prestazione della
cauzione provvisoria, si sia più volte
sostanzialmente rifiutata di stipulare il
contratto di appalto, condizionando la
stipula alla preventiva modifica delle
condizioni contrattuali in senso
economicamente ad essa più conveniente e/o
favorevole, rispetto a quelle
originariamente fissate nel bando, accettate
con la domanda di partecipazione
(massima
tratta da www.regione.piemonte.it - TAR
Puglia-Bari, Sez. I,
sentenza 22.09.2011 n. 1373 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Stipendi, assegni ed indennità
per lo svolgimento in via di fatto di
mansioni di pubblico impiego.
Nel caso di svolgimento in via di fatto di
mansioni di pubblico impiego, il pagamento
delle differenze retributive e previdenziali
spettanti va determinato alla luce dell'art.
2126 c.c.; in tal caso le prestazioni
lavorative rese non possono essere
retribuite mediante l'attribuzione di una
paga oraria, ma mediante uno stipendio
tabellare mensile lordo iniziale rapportato
alle funzioni svolte, comprensivo della
indennità integrativa speciale e della
tredicesima mensilità, nonché degli altri
elementi accessori e continuativi della
retribuzione (nella specie, contributo
posto, premio di produzione, ecc.), ed
infine mediante erogazione della indennità
di fine rapporto (Cfr. Cons. Stato, Sez. V,
n. 3464/2011) (massima tratta da
www.regione.piemonte.it - Consiglio di
Stato, Sez. V,
sentenza 21.09.2011 n. 5338 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Requisito della moralità
professionale dell’impresa. Esclusione da
una gara d’appalto per mancata dichiarazione
delle sentenze penali di condanna riportate.
La mancata dichiarazione nelle gare di
appalto delle sentenze penali di condanna
riportate costituisce una causa autonoma di
esclusione dalla gara, a prescindere dal
tipo di prescrizioni contenute nel bando di
gara. Tale principio va confermato anche
dopo l’entrata in vigore dell’art. 46, comma
1-bis D.L.vo n. 163/2006 (entrato in vigore
soltanto con riferimento ai bandi pubblicati
dal 14.05.2011), introdotto dall’art. 4,
comma 2, lett. d), D.L. n. 70/2011 conv.
nella L. n. 106/2011, in quanto anche
quest’ultima norma prevede la sanzione
dell’esclusione dalla gara nel "caso di
mancato adempimento alle prescrizioni
previste dal presente Codice" dei
contrati pubblici di cui al D.L.vo n.
163/2006 (1).
Ai fini della dichiarazione nelle gare di
appalto circa il possesso del requisito
della moralità professionale dell’impresa,
va considerato che, per evitare la
dichiarazione di una condanna perché estinta
ex art. 445, comma 2, C.P.P (richiamato
dallo stesso art. 38, comma 1, lett. c,
D.L.vo n. 163/2006, come circostanza che
esime dal dichiarare la condanna definitiva
estinta ai sensi di tale art. 445, comma 2,
C.P.P), risulta necessaria l’adozione di un
apposito provvedimento dichiarativo del
Giudice dell’esecuzione penale ex art. 676
C.P.P., in assenza del quale l’estinzione ex
art. 445, comma 2, C.P.P non opera ipso
jure e/o automaticamente (2).
A seguito della sentenza Corte
Costituzionale 08.10.2010, n. 287, che ha
dichiarato illegittimo l’art. 5, comma 2,
lett. d), DPR n. 313/2002, limitatamente
all’inciso "salvo che non sia stato
concesso alcuno dei benefici di cui agli
artt. 163 e 175 C.P.", deve ritenersi
che non sussista alcun obbligo nelle gare di
appalto di dichiarare quelle condanne
relative "ai provvedimenti giudiziari di
condanna per contravvenzioni, per le quali"
era "stata inflitta" soltanto "la
pena dell’ammenda" "trascorsi 10 anni
dal giorno in cui la pena è stata eseguita
ovvero si è in altro modo estinta",
indipendentemente dal fatto che le condanne
siano state accompagnate dalla concessione
dei "benefici di cui agli artt. 163 e 175
C.P.", cioè rispettivamente dei benefici
della sospensione condizionale della pena e
della non menzione della condanna nel
certificato del Casellario giudiziale.
Conseguentemente, non possono essere escluse
dalle gare di appalti pubblici le imprese,
le cui persone indicate dall’art. 38, comma
1, lett. c), D.L.vo n. 163/2006, non hanno
dichiarato le sentenze penali di condanna
definitiva per contravvenzioni, punite solo
con la pena pecuniaria dell’ammenda, se
entro 10 anni dall’estinzione della pena
dell’ammenda non hanno compiuto altri reati
(3).
---------------
(1) Cfr. TAR Basilicata 13.06.2011, n.
360; 01.03.2011, n. 106; 20.06.2009, n. 387.
Nella sentenza in rassegna si dà atto
lealmente del fatto che esiste un diverso
orientamento giurisprudenziale (Cons. Stato,
Sez. VI sentenze 01.04.2011, n. 2018 e
04.08.2009, n. 4905), che applica ai
procedimenti di evidenza pubblica, dove vige
il fondamentale principio della par condicio
tra i concorrenti, la teoria penalistica del
cd. "falso innocuo", considerando lecite le
clausole dei bandi che impongono ai
concorrenti di dichiarare tutte le condanne
penali definitive e, conseguentemente, ha
ritenuto legittimi i relativi provvedimenti
di esclusione.
Al riguardo è stato evidenziato che l’art.
4, comma 2, lett. b, n. 4, D.L. n. 70/2011
conv. nella L. n. 106/2011 statuisce
espressamente l’obbligo dei concorrenti di
indicare "tutte le condanne riportate",
specificando che i concorrenti non sono
tenuti ad indicare soltanto "le condanne per
reati depenalizzati ovvero dichiarati
estinti dopo la condanna stessa, né le
condanne revocate, né quelle per le quali è
intervenuta la riabilitazione".
(2) Giurisprudenza costante: cfr. Cass. Pen.
Sez. I Sent. n. 49987 del 24.11.2009; Cass.
Pen. Sez. IV Sent. n. 11560 del 27.02.2002;
C.d.S. Sez. V Sent. n. 1331 del 20.03.2007;
TAR Piemonte Sez. I Sent. n. 401
dell’11.02.2009; TAR Piemonte Sez. I Sent.
n. 2568 del 10.10.2008; TAR Milano Sez. I
Sent. n. 4062 del 15.09.2008; TAR Brescia
Sent. n. 406 del 20.04.2006; TAR Toscana
Sez. Sent. n. 2552 del 25.05.2005; TAR
Veneto Sez. III Sent. n. 2009 del
16.05.2005.
(3) Ha precisato la sentenza in rassegnata
che, dopo la citata pronuncia della Corte
costituzionale, i partecipanti ad una gara
di appalto pubblico non sono tenuti a
dichiarare, oltre le sentenze patteggiate ex
artt. 444 C.P.P., per le quali è stato
ottenuto il provvedimento formale di
estinzione ex art. 445, comma 2, C.P.P. da
parte del Giudice Penale dell’Esecuzione, ed
i provvedimenti giurisdizionali di
riabilitazione ex art. 178 C.P., anche i
provvedimenti giudiziari di condanna, che ai
sensi dell’art. 5 DPR n. 313/2002 non devono
essere iscritti nel Casellario Giudiziale e
perciò anche le sentenze penali di condanna
definitiva per contravvenzioni, punite solo
con la pena pecuniaria dell’ammenda, se "se
durante i 10 anni dall’estinzione della pena
dell’ammenda il condannato non ha compiuto
altri reati" (massima tratta da
www.regione.piemonte.it - TAR Basilicata,
sentenza 15.09.2011 n. 472 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La nozione di nuova costruzione
di cui all’art. 3 del D.P.R. n. 380/2001
(rilevante ai fini della sussistenza
dell’obbligo di richiedere il permesso di
costruire e l’autorizzazione paesaggistica)
implica una trasformazione
urbanistico-edilizia del territorio, con
perdurante modifica dello stato dei luoghi,
sicché si configura una nuova costruzione
non solo nel caso di opere realizzate in
muratura, ma anche nel caso di opere
realizzate in metallo, in laminati di
plastica, in legno o altro materiale,
sempreché le stesse risultino preordinate a
soddisfare esigenze non precarie del
costruttore ed a recare un’utilità
perdurante nel tempo.
Secondo una consolidata giurisprudenza (ex
multis, TAR Lombardia Brescia, sez. I,
25.05.2010, n. 2143; TAR Campania Napoli,
Sez. VIII, 24.04.2009, n. 2163), la nozione
di nuova costruzione di cui all’art. 3 del
D.P.R. n. 380/2001 (rilevante ai fini della
sussistenza dell’obbligo di richiedere il
permesso di costruire e l’autorizzazione
paesaggistica) implica una trasformazione
urbanistico-edilizia del territorio, con
perdurante modifica dello stato dei luoghi,
sicché si configura una nuova costruzione
non solo nel caso di opere realizzate in
muratura, ma anche nel caso di opere
realizzate in metallo, in laminati di
plastica, in legno o altro materiale,
sempreché le stesse risultino preordinate a
soddisfare esigenze non precarie del
costruttore ed a recare un’utilità
perdurante nel tempo
(TAR Campania-Napoli, Sez. VII,
sentenza 01.09.2011 n. 4260 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La realizzazione di un muro di
contenimento lungo circa mt. 16,00 ed alto
circa mt. 1,30, con relativa scala di
collegamento con il terrazzamento
sovrastante rientra tra gli interventi per i
quali la disposizione dell’art. 167, comma
4, del decreto legislativo n. 42/2004
preclude radicalmente il rilascio
dell’autorizzazione paesaggistica in
sanatoria.
Contrariamente
a quanto affermato dalla ricorrente, la
realizzazione del muro di contenimento di
cui trattasi (ndr: nello specifico, muro
di contenimento lungo circa mt. 16,00 ed
alto circa mt. 1,30, con relativa scala di
collegamento con il terrazzamento
sovrastante) rientra tra gli interventi
per i quali la disposizione dell’art. 167,
comma 4, del decreto legislativo n. 42/2004
preclude radicalmente il rilascio
dell’autorizzazione paesaggistica in
sanatoria. In particolare:
A) l’art. 146, comma 4, del decreto
legislativo n. 42/2004 esclude dal divieto
di rilasciare ex post
l’autorizzazione paesaggistica i casi
previsti dal predetto articolo 167, comma 4,
costituiti -oltre che dall’impiego di
materiali in difformità dall’autorizzazione
paesaggistica e dai lavori comunque
configurabili quali interventi di
manutenzione ordinaria o straordinaria- dai
“lavori, realizzati in assenza o
difformità dall’autorizzazione
paesaggistica, che non abbiano determinato
creazione di superfici utili o volumi ovvero
aumento di quelli legittimamente realizzati”,
fermo restando che l’interpretazione
teleologica di tale disposizione induce a
ritenere che, nonostante l’utilizzo della
particella disgiuntiva “o” nella frase “che
non abbiano determinato creazione di
superfici utili o volumi”, il duplice
riferimento alle nuove superfici utili e ai
nuovi volumi costituisca un’endiadi, ossia
una modalità di esprimere un concetto
unitario con due termini coordinati (TAR
Campania Napoli, Sez. VII, 15.12.2010, n.
27380; 03.04.2009, n. 1748).
In altri termini, la necessità di
interpretare le eccezioni al divieto di
rilasciare l’autorizzazione paesistica in
sanatoria in coerenza con la ratio
dell’introduzione di tale divieto induce a
ritenere che esulino dall’eccezione prevista
dall’articolo 167, comma 4, gli interventi
che abbiano contestualmente determinato la
realizzazione di nuove superfici utili e di
nuovi volumi;
B) ciò posto in termini generali, il
Collegio osserva, da un lato, che nel caso
in esame la ricorrente non contesta la
situazione di fatto descritta nella
motivazione del provvedimento impugnato
-ossia la circostanza che il muro di
contenimento sia stato realizzato al fine di
creare ex novo (in luogo di una
preesistente scarpata) un terrazzamento,
mediante il riporto di terreno- e,
dall’altro, che un intervento di tal genere
non può non essere incluso tra quelli per i
quali è radicalmente precluso il rilascio
dell’autorizzazione paesaggistica in
sanatoria, perché la costruzione del
terrazzamento ha determinato,
contestualmente, la realizzazione di una
nuova superficie utile, in quanto destinata
alla coltivazione (come implicitamente
ammette la stessa ricorrente quando
riconduce l’intervento di cui trattasi tra
quelli di “riordino colturale”), e di
nuovo volume, costituito dal terrapieno
ottenuto mediante il riporto di terreno
(TAR Campania-Napoli, Sez. VII,
sentenza 01.09.2011 n. 4260 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
L’Amministrazione comunale non è tenuta
ad individuare l’effettivo proprietario
dell’area sulla quale viene realizzato
l’abuso edilizio perché, qualora tale
soggetto non corrisponda con l’autore
materiale dell’abuso, l’ordine di
demolizione può essere notificato anche
esclusivamente all’autore materiale
dell’abuso, fermo restando che l’estraneità
del proprietario dell’area alla
realizzazione dell’abuso comporta che
l’ordine di demolizione non può costituire
titolo per l’acquisizione gratuita al
patrimonio comunale dell’area di sedime
sulla quale insistono le opere abusive.
Da un confronto tra le due disposizioni
dell’art. 31 del D.P.R. n. 380/2001 in
precedenza richiamate emerge che, mentre il
comma 2 indica come destinatari dell’ordine
di demolizione il proprietario e il
responsabile dell’abuso, il successivo comma
3 si rivolge soltanto al responsabile
dell’abuso sul presupposto che questi abbia
la disponibilità dell’area ove insistono le
opere abusive e, quindi, sia in condizione
di eseguire spontaneamente la demolizione.
Pertanto, qualora il proprietario del fondo
sia un soggetto diverso dal responsabile
dell’abuso, l’acquisizione gratuita (essendo
una sanzione prevista per il caso
dell’inottemperanza all’ingiunzione di
demolire) si verifica senz’altro nei
confronti del responsabile dell’abuso che
non esegua spontaneamente la demolizione nel
termine assegnatogli, mentre il proprietario
dell’area (che non può eseguire
spontaneamente la demolizione perché non ha
la disponibilità dell’area) può evitare che
l’effetto acquisitivo operi anche nei suoi
confronti dimostrando, in modo
inequivocabile, la sua completa estraneità
al compimento dell’opera abusiva o che,
essendone egli venuto a conoscenza (ad
esempio attraverso la notifica dell’ordine
di demolizione), si sia adoperato per
impedirlo con gli strumenti previsti
dall’ordinamento.
---------------
La mancata notifica dell’ordine di
demolizione al proprietario del fondo,
laddove questi sia un soggetto diverso dal
responsabile dell’abuso, non incide né sulla
legittimità dell’ordine di demolizione
(posto che la notifica di un provvedimento
al suo destinatario attiene alla cosiddetta
fase integrativa dell’efficacia), né sulla
idoneità dell’ordine di demolizione (se
ritualmente notificato al responsabile
dell’abuso) a costituire il presupposto per
il verificarsi dell’effetto acquisitivo
anche nei confronti del proprietario del
fondo, laddove questi non abbia dimostrato
la sua completa estraneità alla
realizzazione dell’opera abusiva o che,
essendone egli venuto a conoscenza aliunde,
si sia adoperato per impedirla con gli
strumenti previsti dall’ordinamento.
Infatti ciò che determina l’inefficacia
relativa (nei confronti del proprietario del
fondo) del provvedimento di acquisizione
gratuita non è la mancata notifica
dell’ordine di demolizione al proprietario
del fondo, bensì la dimostrazione della sua
completa estraneità alla realizzazione
dell’opera abusiva o della sua attivazione
per impedirla con gli strumenti offertigli
dall’ordinamento.
L’art.
31 del D.P.R. n. 380/2001 prevede (al
secondo comma) che “il dirigente o il
responsabile del competente ufficio
comunale, accertata l’esecuzione di
interventi in assenza di permesso, in totale
difformità dal medesimo, ovvero con
variazioni essenziali, determinate ai sensi
dell’articolo 32, ingiunge al proprietario e
al responsabile dell’abuso la rimozione o la
demolizione, indicando nel provvedimento
l’area che viene acquisita di diritto, ai
sensi del comma 3” e (al successivo comma 3)
che “se il responsabile dell’abuso non
provvede alla demolizione e al ripristino
dello stato dei luoghi nel termine di
novanta giorni dall’ingiunzione, il bene e
l’area di sedime, nonché quella necessaria,
secondo le vigenti prescrizioni
urbanistiche, alla realizzazione di opere
analoghe a quelle abusive sono acquisiti di
diritto gratuitamente al patrimonio del
comune. L’area acquisita non può comunque
essere superiore a dieci volte la
complessiva superficie utile abusivamente
costruita”.
In ragione di tale disciplina, secondo una
consolidata giurisprudenza (ex multis,
TAR Lazio Roma, Sez. I-quater, 07.03.2011, n. 2031; TAR Lazio Roma, Sez. II-ter,
03.07.2007, n. 5968),
l’Amministrazione comunale non è tenuta ad
individuare l’effettivo proprietario
dell’area sulla quale viene realizzato
l’abuso edilizio perché, qualora tale
soggetto non corrisponda con l’autore
materiale dell’abuso, l’ordine di
demolizione può essere notificato anche
esclusivamente all’autore materiale
dell’abuso, fermo restando che l’estraneità
del proprietario dell’area alla
realizzazione dell’abuso comporta che
l’ordine di demolizione non può costituire
titolo per l’acquisizione gratuita al
patrimonio comunale dell’area di sedime
sulla quale insistono le opere abusive.
Tale
orientamento discende dalla pronuncia con
cui la Corte costituzionale (sentenza n. 345
del 15.07.1991) ha dichiarato non
fondata la questione di legittimità
costituzionale relativa alla disposizione
dell’art. 7, comma 3, della legge n. 47/1985
(oggi integralmente riprodotta nell’art. 31,
comma 3, del D.P.R. n. 380/2001),
evidenziando che «l’acquisizione gratuita
dell’area non è … una misura strumentale,
per consentire al Comune di eseguire la
demolizione, né una sanzione accessoria di
questa, ma costituisce una sanzione autonoma
che consegue all’inottemperanza
all’ingiunzione, abilitando poi il sindaco
ad una scelta fra la demolizione di ufficio
e la conservazione del bene, definitivamente
già acquisito, in presenza di “prevalenti
interessi pubblici”, il che significa per la
destinazione a fini pubblici, sempre che
l’opera non contrasti con rilevanti
interessi urbanistici o ambientali.
Da
quanto precede deve dedursi che, essendo
l’acquisizione gratuita una sanzione
prevista per il caso dell’inottemperanza
all’ingiunzione di demolire, essa, come
risulta dalla stessa formulazione del terzo
comma dell’art. 7 della legge in questione,
si riferisce esclusivamente al responsabile
dell’abuso, non potendo di certo operare
(come avviene talvolta per la confisca,
quando questa costituisce misura accessoria
di altra sanzione o misura strumentale
diretta ad impedire l’ulteriore produzione
dell’illecito o l’utilizzazione dei proventi
di questo) nella sfera di altri soggetti e,
in particolare, nei confronti del
proprietario dell’area quando risulti, in
modo inequivocabile, la sua completa
estraneità al compimento dell’opera abusiva
o che, essendone egli venuto a conoscenza,
si sia adoperato per impedirlo con gli
strumenti offertigli dall’ordinamento.
L’essere la sanzione dell’acquisizione
dell’area ispirata dall’intento di
costringere il responsabile dell’abuso ad
eseguire egli stesso la demolizione nel
termine stabilito dall’ingiunzione, esclude,
anche sotto altro profilo, che essa possa
colpire il proprietario estraneo
all’esecuzione dell’opera, perché se fosse
vero il contrario si sarebbe in presenza di
una sanzione inidonea ad assolvere alla
funzione di prevenzione speciale in vista
della quale è comminata, in quanto tale
comminatoria non potrebbe esercitare alcuna
coazione sul responsabile dell’abuso per
costringerlo ad eseguire la demolizione»;
Oltre a quanto precede, il Collegio osserva
che da un confronto tra le due disposizioni
dell’art. 31 del D.P.R. n. 380/2001 in
precedenza richiamate emerge che, mentre il
comma 2 indica come destinatari dell’ordine
di demolizione il proprietario e il
responsabile dell’abuso, il successivo comma
3 si rivolge soltanto al responsabile
dell’abuso sul presupposto che questi abbia
la disponibilità dell’area ove insistono le
opere abusive e, quindi, sia in condizione
di eseguire spontaneamente la demolizione.
Pertanto, qualora il proprietario del fondo
sia un soggetto diverso dal responsabile
dell’abuso, l’acquisizione gratuita (essendo
una sanzione prevista per il caso
dell’inottemperanza all’ingiunzione di
demolire) si verifica senz’altro nei
confronti del responsabile dell’abuso che
non esegua spontaneamente la demolizione nel
termine assegnatogli, mentre il proprietario
dell’area (che non può eseguire
spontaneamente la demolizione perché non ha
la disponibilità dell’area) può evitare che
l’effetto acquisitivo operi anche nei suoi
confronti dimostrando, in modo
inequivocabile, la sua completa estraneità
al compimento dell’opera abusiva o che,
essendone egli venuto a conoscenza (ad
esempio attraverso la notifica dell’ordine
di demolizione), si sia adoperato per
impedirlo con gli strumenti previsti
dall’ordinamento.
---------------
Quanto
al secondo motivo -incentrato sulla
violazione l’art. 31, comma 4, del D.P.R. n.
380/2001 e volto a censurare la circostanza
che il provvedimento di acquisizione
gratuita al patrimonio comunale non sia
stato notificato al proprietario del fondo-
il Collegio osserva che la mancata notifica
dell’ordine di demolizione al proprietario
del fondo, laddove questi sia un soggetto
diverso dal responsabile dell’abuso, non
incide né sulla legittimità dell’ordine di
demolizione (posto che la notifica di un
provvedimento al suo destinatario attiene
alla cosiddetta fase integrativa
dell’efficacia), né sulla idoneità
dell’ordine di demolizione (se ritualmente
notificato al responsabile dell’abuso) a
costituire il presupposto per il verificarsi
dell’effetto acquisitivo anche nei confronti
del proprietario del fondo, laddove questi
non abbia dimostrato la sua completa
estraneità alla realizzazione dell’opera
abusiva o che, essendone egli venuto a
conoscenza aliunde, si sia adoperato
per impedirla con gli strumenti previsti
dall’ordinamento.
Infatti ciò che determina l’inefficacia
relativa (nei confronti del proprietario del
fondo) del provvedimento di acquisizione
gratuita non è (come invece sostenuto dalla
società ricorrente) la mancata notifica
dell’ordine di demolizione al proprietario
del fondo, bensì la dimostrazione della sua
completa estraneità alla realizzazione
dell’opera abusiva o della sua attivazione
per impedirla con gli strumenti offertigli
dall’ordinamento.
Ne consegue che la ricorrente
(indipendentemente dal rilievo della sua
qualità di procuratrice generale del marito)
non ha alcun motivo di dolersi del fatto che
il provvedimento di cui trattasi non sia
stato notificato a questi, in quanto
effettivo proprietario dl fondo
(TAR Campania-Napoli, Sez. VII,
sentenza 01.09.2011 n. 4260 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: CONTRIBUTO
DI GARA.
"L'unica prescrizione imposta dalla
legge, ai fini dell'ammissibilità
dell'offerta, è l'effettivo versamento del
contributo, restando del tutto irrilevante
le modalità, attraverso le quali tale
versamento viene di fatto eseguito. Deve,
conseguentemente, ritenersi illegittima la
clausola del disciplinare di gara che
impone, a pena di esclusione, l'osservanza
di specifiche modalità del versamento
anzidetto, così attribuendo rilievo a
condotte non espressamente previste dalla
legge e oltretutto violando il generale
principio del favor partecipationis"
(TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez. I,
sentenza 08.07.2011 n. 591).
In relazione alle concrete modalità di
versamento dell'illustrato contributo di
gara, è intervenuta, alla fine dello scorso
anno, un'interessante pronuncia (TAR
Toscana, Sez. I,
sentenza 16.12.2010 n. 6770). I
giudici amministrativi toscani, in tale
occasione, hanno posto in collegamento le
modalità di corresponsione con il ben noto
principio di proporzionalità ed hanno,
significativamente, affermato che non appare
conforme al medesimo "la clausola del
bando di gara, prescrivente l'esclusione
dell'impresa, che non osservi le previste
modalità di corresponsione del contributo di
gara. Infatti, la sanzione dell'espulsione
dalla gara appare eccessiva e non
proporzionata rispetto all'obiettivo di
garantire il pagamento del dovuto
contributo, dal momento che il pagamento
medesimo è stato effettuato con
tempestività, seppur con mezzo irregolare in
quanto diverso da quelli contemplati".
In altri termini, è stato ben chiarito che
le modalità di pagamento non possono che
afferire ad elementi del tutto formali ed
estranei alla finalità dell'istituto del
contributo di gara.
Di conseguenza, tali concrete modalità
devono essere attentamente verificate, ai
fini della loro congruità e ragionevolezza,
attraverso il filtro del principio di
proporzionalità, il quale impone di tener
conto dei seguenti due elementi di
valutazione:
a) adeguamento del potere al fine da
raggiungere;
b) realizzazione del fine con il minor
pregiudizio degli interessi coinvolti.
In altri termini, occorre verificare se:
- la decisione amministrativa risulta
funzionale rispetto alle finalità perseguite
dalla Pubblica amministrazione e, quindi,
adeguata rispetto alla funzione;
- se la medesima non risulti, ad ogni modo,
eccessiva nella misura, cioè spropositata
rispetto al perseguimento dell'interesse
pubblico primario e tale da sacrificare "troppo"
ed in modo ingiustificato gli altri
interessi coinvolti nella procedura
amministrativa.
La pronuncia in esame perviene ai medesimi
approdi ermeneutici, raggiunti dal Tar
Toscana, attraverso una diversa
impostazione, che trae forza e linfa
argomentativa dal primato dell'effettività.
Il Tar Bologna, primariamente, evidenzia che
anche il Codice dei contratti pubblici (D.Lgs.
n. 163/2006), al comma 12°, dell'articolo 8,
conferma, seppur indirettamente, che il
contributo di gara costituisce l'esclusivo
strumento di finanziamento, per garantire
l'attuazione dei suoi compiti istituzionali,
stante l'espresso divieto di porre nuovi o
maggiori oneri a carico del bilancio dello
Stato.
Chiarita l'assoluta importanza, anche in
sede meta-giuridica, del contributo, il Tar
Bologna riconsidera il già illustrato
articolo 1, comma 67, della legge n.
266/2005, ove, in modo inequivoco, si
stabilisce che il contributo medesimo
costituisce una condizione di ammissibilità
dell'offerta, nell'ambito delle procedure di
gara.
Ma, è ciò rappresenta la fondamentale
domanda, cos'è che realmente costituisce "condizione
di ammissibilità"? L'intervenuto
pagamento, comunque e tempestivamente
effettuato od il pagamento effettuato
mediante determinate modalità?
E' questo il "cuore" centrale del
problema, che, da qualche anno, la
giurisprudenza sta affrontando. Si è detto
prima che il Tar Toscana ha affrontato e
risolta le indicate questioni, facendo un
corretto e condivisibile utilizzo del
principio di proporzionalità.
Il Tar Bologna, nella sentenza in esame, si
dimostra "maggiormente diretto", nel
senso che perviene ai punti nodali della
questione, senza alcuna intermediazione. Ad
avviso dei giudici amministrativi bolognesi,
"l'unica prescrizione imposta dalla legge
ai fini dell'ammissibilità dell'offerta, è
l'effettivo versamento del contributo,
restando del tutto irrilevante le modalità
attraverso le quali tale versamento viene di
fatto eseguito".
Gli importanti esiti ermeneutici, ricompresi
in tale statuizione, possono essere così
riassunti:
a) la normativa di settore impone solo
l'effettivo versamento del contributo di
gara;
b) le concrete modalità di corresponsione
sono irrilevanti.
La conseguenza logica di tale impostazione è
ovvia: ciò che è importante è che il
contributo sia stato effettivamente
corrisposto ed in modo tempestivo, cioè
entro il termine di presentazione delle
offerte. Se l'operatore economico comprova
tale effettivo e tempestivo pagamento, non
può, in alcun modo, procedersi
all'esclusione, in quanto sono irrilevanti
le modalità di pagamento, seppur previste
(in modo irragionevolmente sbagliato) come "esclusive"
in sede di disciplinare di gara.
Sulla base di tali condivisibili
argomentazioni, il Tar Bologna qualifica
come illegittima la clausola del
disciplinare di gara, che impone, a pena di
esclusione, l'osservanza di specifiche
modalità del versamento anzidetto, in quanto
attribuisce "rilievo a condotte non
espressamente previste dalla legge e
oltretutto violando il generale principio
del favor partecipationis"
(tratto dalla newsletter di
www.centrostudimarangoni.it - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: REGOLARIZZAZIONE
DOCUMENTALE.
"L'articolo 46 del Codice dei contratti
pubblici (D.Lgs. n. 163/2006) ed il relativo
dovere di soccorso alle imprese non è
invocabile, quando la procedura di gara è
prevenuta alla fase di valutazione
dell'offerta. Invero, il perimetro
applicativo del citato articolo resta
circoscritto e contenuto alla fase della
prequalificazione, atteso che la norma
dispone che la stazione appaltante invita i
concorrenti a chiarire il contenuto di
dichiarazioni o documenti presentati in sede
di offerta ed è doverosamente delimitato
temporalmente e confinato alla fase nella
quale l'Amministrazione deve ammettere alla
gare le imprese. Viceversa, la norma non può
trovare applicazione per interpretare,
chiarire, completare dati afferenti alla
successiva fase dell'offerta in senso
proprio, pena la violazione della par
condicio" (TAR Piemonte, Sez. I,
sentenza 06.07.2011 n. 739).
Quando il Tar parla della "prequalificazione"
intende riferirsi alla fase, preliminare
all'apertura del plico contenente l'offerta,
in cui si effettua l'esame della completezza
e della validità delle previste
autodichiarazioni e presentazioni di
documenti. Allora, solo in tale fase, ad
avviso dei giudici piemontesi, è possibile "completare
o fornire chiarimenti in ordine al contenuto
dei certificati, documenti e dichiarazioni
presentati".
Nella successiva fase, cioè quella
dell'apertura e della valutazione
dell'offerta, la regolarizzazione non è più
possibile. Orbene, anche alla luce delle
precedenti sentenze riportate, occorre
prendere atto che si è in presenza di un
orientamento, confermato anche dalla
pronuncia in esame, diretto ad operare una
diversa restrizione del potere di
regolarizzazione. Non più solo
chiarificazione di documenti già presentati
e divieto di integrazione, ma limitazione
della portata prescrittiva dell'intera
disposizione normativa alla sola fase della
"prequalificazione", cioè quella
antecedente all'apertura del plico
contenente l'offerta.
Invero, deve osservarsi che il 1° comma
dell'articolo 46 del Codice fa riferimento
al "contenuto dei certificati, documenti
e dichiarazioni presentati". Ora, dal
momento che anche l'offerta sembra
costituire una "dichiarazione", per
cui potrebbe agevolmente rientrare
nell'alveo precettivo della norma in esame,
l'orientamento giurisprudenziale indicato
opera una significativa esegesi della
disposizione, che sembra travalicare
l'elemento puramente letterale
(tratto dalla newsletter di
www.centrostudimarangoni.it - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: SUBAPPALTO.
Nelle gare per l'aggiudicazione di appalti
pubblici, la dichiarazione resa dalla ditta
appaltante all'atto della presentazione
dell'offerta, secondo cui la stessa si
riserva di subappaltare alcuni lavori in
caso di aggiudicazione, costituisce un
presupposto essenziale, non ai fini della
partecipazione alla gara, ma in vista della
successiva autorizzazione della stazione
appaltante.
In ogni caso, l'indicazione delle imprese
subappaltatrici deve essere effettuata in
sede di deposito del contratto presso la
stazione appaltante, e non in corso di
esecuzione del contratto (TAR Lazio-Roma,
Sez. III,
sentenza 01.07.2011 n. 5806 -
tratto dalla newsletter di
www.centrostudimarangoni.it - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: INTERPRETAZIONE
CLAUSOLE BANDO DI GARA.
In tema di interpretazione delle clausole di
un bando di gara, è evidente che un corretto
rapporto tra amministrazione e privato,
rispettoso dei principi generali di buon
andamento dell'azione amministrativa, di
imparzialità e di correttezza, impone che il
bando contenga regole chiare, in modo da
evitare equivoci ed ambigue interpretazioni.
Tuttavia, a chi partecipa ad una gara, in
quanto operatore del settore e, quindi,
soggetto qualificato, si richiede una
lettura complessiva e globale delle regole
della medesima, in modo da poter pervenire
ad una interpretazione sistematica di tutte
le clausole (TAR Campania-Napoli, Sez. VII,
sentenza 24.06.2011 n. 3387 -
tratto dalla newsletter di
www.centrostudimarangoni.it - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
AGGIORNAMENTO AL 10.11.2011 |
ã |
DOTTRINA E
CONTRIBUTI |
APPALTI:
C. Contessa,
L’abuso delle clausole escludenti nelle
pubbliche gare e i suoi possibili rimedi: un
ritorno alla disapplicazione?
(link a www.giustizia-amministrativa.it). |
CORTE DEI
CONTI |
INCARICHI PROFESSIONALI - PUBBLICO IMPIEGO: P.a., la
negligenza costa.
Incarichi al buio, si paga il doppio dei
compensi. La Corte conti della Sicilia
richiama le amministrazioni alla trasparenza.
Se un ente pubblico conferisce
legittimamente un incarico a un dipendente
statale, è tenuto a comunicare
all'amministrazione di appartenenza del
citato dipendente, ai sensi dell'art. 53,
comma 11, del dlgs n. 165/2001, anche
l'ammontare dei compensi erogati. In caso di
omissione, infatti, scatta la sanzione pari
al doppio degli emolumenti percepiti e
questo costituisce danno erariale a carico
dei vertici dell'ente inadempiente, in
quanto indice della negligenza a percepire
la sussistenza di un obbligo di legge,
previsto in una disposizione di agevolissima
interpretazione.
È quanto ha messo nero su bianco la sezione
giurisdizionale della Corte dei conti
siciliana, nel testo della
sentenza
26.10.2011 n.
3488, con cui ha condannato presidente
e direttore generale di un'autorità d'ambito
ottimale a rifondere le stesse casse
dell'ente, del danno pari alla sanzione
pagata per la violazione relativa all'omessa
comunicazione dei compensi percepiti da un
dipendente pubblico cui era stato conferito
un incarico di esperto amministrativo.
La norma sopra richiamata, infatti, prevede
che «entro il 30 aprile di ciascun anno, i
soggetti pubblici o privati che erogano
compensi a dipendenti pubblici per
incarichi, sono tenuti a dare comunicazione
all'amministrazione di appartenenza dei
dipendenti stessi dei compensi erogati
nell'anno precedente».
Norma, questa, di strettissima e rigorosa
interpretazione che prevede un altrettanto
rigoroso sistema sanzionatorio in caso di
inosservanza. Ne è prova l'articolo 6, comma
1, del dl n. /97 ove si prevede che «nei
confronti dei soggetti pubblici che non
comunicano l'ammontare degli emolumenti o
che si avvalgano di prestazioni di lavoro
autonomo o subordinato rese dai dipendenti
pubblici senza autorizzazione
dell'amministrazione di appartenenza, oltre
alle sanzioni per le eventuali violazioni
tributarie o contributive, si applica una
sanzione pecuniaria pari al doppio degli
emolumenti corrisposti sotto qualsiasi forma
a dipendenti pubblici».
È questo ciò che è avvenuto nella vicenda
sottoposta al giudizio della Corte
siciliana. Che non ha avuto dubbi nel
decidere per la condanna dell'ex presidente
e del direttore generale dell'autorità
d'ambito. Secondo la Corte, infatti, nel
caso di enti collettivi, in mancanza della
formalizzazione sulla ripartizione delle
competenze, l'obbligo di effettuare una
comunicazione è riferibile a quei soggetti
che, per l'ufficio ricoperto, hanno il
potere di amministrare e rappresentare
l'ente. Soggetti che hanno messo in pratica
una condotta negligente (quindi con colpa
grave, tale da generare l'inutile esborso)
in quanto l'adempimento, consistente in
un'azione di agevolissima realizzazione, era
(ed è) imposto da una norma chiara, inidonea
a dar luogo a dubbi interpretativi. Nella
norma di legge non è alcun margine di
discrezione e la semplicità dell'adempimento
richiesto ha indotto la Corte a ritenere che
l'omissione della comunicazione «integra un
negligente esercizio di compiti
istituzionali la cui gravità configura la
responsabilità amministrativa».
Ad avviso della Corte, si legge nella
sentenza, non può essere ignorato che del
danno sono stati chiamati a rispondere due
soggetti, professionalmente molto
qualificati, che ricoprivano posizioni
apicali nell'organigramma aziendale.
L'assunzione di tali uffici, nell'ambito di
una società di significativa consistenza, è
«indice inequivocabile della capacità dei
soggetti chiamati a ricoprirli, di percepire
la sussistenza di un obbligo di legge,
previsto in una disposizione di agevolissima
interpretazione e di assumere le conseguenti
iniziative per assicurare il rispetto di
tale obbligo»
(articolo ItaliaOggi dell'08.11.2011 - link
a www.corteconti.it). |
QUESITI &
PARERI |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
I produttori di rifiuti speciali pericolosi
devono iscriversi al SISTRI
indipendentemente dal numero di dipendenti
impiegati? (09.11.2011 -
link a www.ambientelegale.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Come è regolata la movimentazione di rifiuti
da attività di manutenzione riguardo al
SISTRI? (09.11.2011 - link
a www.ambientelegale.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Come si configura il divieto di miscelazione
di rifiuti? (09.11.2011 -
link a www.ambientelegale.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Chi è obbligato alla messa in sicurezza e
ripristino ambientale dei siti inquinati?
(09.11.2011 - link a
www.ambientelegale.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Il deposito temporaneo di rifiuti che superi
le quantità consentite configura abbandono
di rifiuti? (09.11.2011 -
link a www.ambientelegale.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Albo Pretorio online.
E' obbligatorio pubblicare sul sito le
determinazioni dei Responsabili di servizio?
Domanda.
Come è noto, dall'01.01.2011, in forza
dell'art. 32 della L. 18-06-2009, n. 69 -legge recante "Disposizioni per lo sviluppo
economico, la semplificazione, la
competitività nonché in materia di processo
civile" e che ha tra le sue finalità
l'eliminazione degli sprechi- è entrato in
vigore l'Albo Pretorio online, ovvero
l'obbligo per le P.A. di pubblicare sul
proprio sito Internet (o su quello di altre
Amministrazioni affini o associazioni) tutte
le notizie e gli atti amministrativi che
necessitano di pubblicità legale.
In virtù di
tale obbligo, dall'inizio del 2011 le
pubblicazioni effettuate su carta non hanno
più valore legale, mentre solo per gare
(procedure ad evidenza pubblica) e Bilanci
l'obbligo scatta dall'01.01.2013 (per
quanto riguarda quest'ultimo punto, la
relativa regolamentazione è fissata dal D.P.C.M. 26-04-2011).
Risposta.
Tradizionalmente l'Albo Pretorio è il luogo
nel quale vengono affissi tutti gli atti per
i quali la legge impone la pubblicazione in
quanto debbono essere portati a conoscenza
del pubblico, come condizione necessaria per
acquisire efficacia e quindi produrre gli
effetti previsti. L'art. 32 della L.
18-06-2009, n. 69, dunque, sancisce il
passaggio da un regime di pubblicità legale
realizzata mediante l'affissione degli atti
in un luogo fisico (ad es. l'Albo Pretorio)
ad un regime che all'uopo prevede un luogo
virtuale (il sito istituzionale).
In linea
di massima, pertanto, le regole del
funzionamento dell'Albo sono rimaste
invariate, in quanto ciò che è cambiato è
solo lo strumento impiegato: semplificando,
in luogo del documento stampato e affisso
nello spazio dedicato all'Albo Pretorio c'è
ora un sito web. La pubblicazione di un
documento online è un atto indipendente
dalla produzione del documento stesso - come
si legge dal "Vademecum 2011 - Modalità di
pubblicazione dei documenti nell'Albo
online", reso disponibile dal Ministero per
l'Innovazione della P.A. al seguente
indirizzo Internet:
http://www.innovazionepa.gov.it.
Infatti:
- la responsabilità della formazione
dell'atto soggetto a pubblicità legale è del
Responsabile del procedimento che ha
generato l'atto, cioè la persona a capo
dell'Ufficio o del Servizio che ha le
competenze per materia;
- la responsabilità della pubblicazione
online, invece, è del Responsabile del
procedimento di pubblicazione come
individuato dalla Direttiva n. 8/2009 del
Ministro per la Pubblica Amministrazione e
l'Innovazione.
Oggetto della pubblicazione sono, dunque,
tutti gli atti amministrativi a cui deve
essere data pubblicità legale:
deliberazioni, ordinanze, determinazioni,
avvisi, manifesti, gare, concorsi e altri
atti del Comune e di altri Enti Pubblici.
Venendo più nello specifico a quanto chiesto
nel quesito, pertanto, a parere della
scrivente, anche le determinazioni dei
Responsabili di servizio devono essere
pubblicate sul sito dell'Ente. Come si
evince, infatti, anche dalla passata
Giurisprudenza la pubblicazione all'Albo
Pretorio del Comune (disciplinata in
precedenza dall'art. 124, D.Lgs. 18-08-2000,
n. 267) è prevista "per tutte le
deliberazioni del Comune e della Provincia
ed essa riguarda non solo le deliberazioni
degli organi di governo (Consiglio e Giunta
municipali) ma anche le determinazioni
dirigenziali, esprimendo la parola
"deliberazione" "ab antiquo" sia risoluzioni
adottate da organi collegiali che da organi
monocratici ed essendo l'intento quello di
rendere pubblici tutti gli atti degli Enti
Locali di esercizio del potere deliberativo,
indipendentemente dalla natura collegiale o
meno dell'organo emanante (V. Corte cost., 01.06.1979, n. 38 e n. 39 e Cons. Stato
Sez. IV, 06.12.1977, n. 1129)" [Cons.
Stato Sez. V, 15.03.2006, n. 1370].
Le determinazioni sono atti a struttura
bivalente, nel senso che sono atti
amministrativi -che seguono un certo iter
istruttorio- e atti di gestione -rispondenti a degli obiettivi che l'apparato
amministrativo deve raggiungere.
La determina ha valenza giuridica nel
momento della sottoscrizione da parte del
Responsabile del servizio -pertanto, la
pubblicazione nell'Albo ha fini di
pubblicità e trasparenza dell'atto- a
differenza delle deliberazioni le quali
assumono valenza giuridica a seguito della
pubblicazione, in difetto della quale l'atto
non è esecutivo.
La pubblicazione, dunque, per gli atti
amministrativi per la quale è necessaria,
segna il normale termine decadenziale per
ricorrere. Infatti, secondo l'art. 21, comma
1, della L. 06-12-1971, n. 1034, nel testo
novellato dalla L. 21-07-2000, n. 205, in
tutti i casi in cui non sia necessaria la
notificazione individuale del provvedimento
e sia al contempo prescritta da una norma di
legge o di regolamento la pubblicazione
dell'atto in un apposito albo, il termine
per proporre l'impugnazione decorre dal
giorno in cui sia scaduto il periodo della
pubblicazione.
Concludendo si ritiene che la pubblicazione
all'Albo Pretorio online del Comune sia
prevista per tutte le deliberazioni
dell'Ente, non solo quelle degli organi di
governo (Consiglio e Giunta municipali) ma
anche le determinazioni dirigenziali, in
quanto la finalità legislativa è quella di
rendere pubblici tutti gli atti degli Enti
Locali di esercizio del potere deliberativo,
indipendentemente dalla natura collegiale o
meno dell'organo emanante. Alla stregua di
ciò, peraltro, si ritiene che tale obbligo
debba essere assolto pubblicando
integralmente l'atto e non come accaduto in
alcuni casi limitandosi a pubblicarne i soli
estremi.
Una serie di utili indicazioni in tema di
Albo pretorio online può essere reperita sul
sito dell'iniziativa governativa "URP degli
URP" al seguente indirizzo:
http://www.urp.gov.it (08.11.2011
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA: Gestione
dei rottami metallici.
Quali sono le corrette modalità di gestione
dei rottami metallici?
Il 09.10.2011 è entrato in vigore il
Regolamento (Ue) 333/2011, che stabilisce i
criteri che determinano quale e quando il
rottame metallico, sia esso di ferro, di
acciaio o di alluminio (incluse le leghe di
quest'ultimo), cessa di essere considerato e
classificato come rifiuto (si veda anche
Direttiva 2008/98/Ce) e se sia definibile
come «materia prima seconda» e, come tale,
possa essere inserito nuovamente nei cicli
produttivi.
Questo può avvenire solamente
quando l'organizzazione garantisce che il
rottame metallico in oggetto, ottenuto da
un'operazione di recupero, soddisfi i
requisiti tecnici dell'industria
metallurgica, sia conforme alla legislazione
e alle norme vigenti applicabili al
prodotto, non comporti ripercussioni
generali negative sull'ambiente e sulla
salute umana. La normativa in oggetto
riguarda sia le imprese che si occupano di
recupero di rottami, sia quelle che generano
scarti metallici.
Tra gli elementi
essenziali per comprendere l'applicabilità
della normativa in oggetto, si citano a
titolo esemplificativo e non esaustivo:
- le
definizioni di «detentore» (persona fisica o
giuridica che è in possesso dei rottami
metallici), «produttore» (detentore che cede
a un altro detentore i rottami metallici che
per la prima volta hanno cessato di essere
considerati rifiuti), «partita» (lotto di
rottami metallici destinato a essere spedito
da un produttore a un altro detentore e che
può essere contenuto in una o più unità di
trasporto);
- i criteri di analisi e di
classificazione dei rottami metallici sono
definiti e devono essere applicati
coerentemente agli allegati I e II della
normativa in oggetto;
- la dichiarazione di
conformità: il detentore deve redigere una
dichiarazione di conformità conforme al
modello contenuto nell'allegato III della
normativa in oggetto e deve, coerentemente
al ruolo, fornirla alle parti interessate,
conservarla, ecc.;
- il sistema di gestione qualità: il
produttore, che aderisce alla normativa in
oggetto, deve progettare, applicare,
mantenere e migliorare un sistema di
gestione qualità, del tutto simile (o
integrabile) al modello Uni En Iso 9001:2008
(anche se la norma non è richiamata
espressamente), caratterizzato, a titolo di
esempio, da:
● definizioni, adozione dei criteri,
gestione della dichiarazione di conformità
ecc., conformi/e ai suddetti requisiti,
disposizioni verso i fornitori per i
processi, prodotti e servizi affidati (§
4.1, 7.4.1, 7.4.2),
● controllo in accettazione dei rifiuti
utilizzati come materia da recupero (§
7.4.2, 7.4.3, 8.2.4),
● monitoraggio dei processi e delle tecniche
di trattamento (§ 7.5.1, 7.5.2, 8.2.4),
● monitoraggio delle caratteristiche
qualitative del rottame metallico ottenuto
dall'operazione di recupero (§ 7.6, 8.2.4),
● efficacia del monitoraggio delle
radiazioni (§ 7.6, 8.2.4, 8.2.3, 8.4),
● gestione delle osservazioni dei clienti
sulla qualità del rottame metallico (§
7.2.3, 8.5.2),
● gestione dell'identificazione e della
rintracciabilità del rottame metallico (§
7.5.3),
● formazione al personale (§ 6.2.2),
● revisione e miglioramento del sistema di
gestione (§ 5.6, 8.2.2, 8.4 e 8.5),
● registrazioni del sistema di gestione (§
4.2.4, 8.2.4);
● il produttore può richiedere il
riconoscimento del proprio sistema di
gestione da parte di un organismo preposto
alla valutazione della conformità, conforme
alla normativa indicata nel Regolamento in
oggetto.
Quanto riportato non è da considerarsi come
esaustivo di tutti i requisiti del
Regolamento (Ue) 333/2011, a cui si rimanda
per approfondimenti
(articolo ItaliaOggi
Sette del 07.11.2011). |
NEWS |
ENTI LOCALI - VARI: I
PROVVEDIMENTI PER LO SVILUPPO/ I
terreni agricoli venduti a tutti.
Stop al vincolo di età. Vendibile anche
terra di parco protetto. Lo stato potrà
trattare direttamente con l'acquirente.
Anche lo stato, attraverso l'Agenzia del
demanio, potrà vendere i terreni agricoli in
suo possesso mediante trattativa privata. E
potrà farlo a tutti, indistintamente. Non
solo ai giovani, come inizialmente previsto.
L'accordo diretto tra le parti potrà
avvenire per i campi agricoli di valore
inferiore a 400 mila euro.
Invece, per quelli di valore pari o
superiore, la vendita avverrà attraverso
aste pubbliche. In vendita, potranno anche
finire i terreni agricoli in area protetta,
cioè quelli dei parchi nazionali, regionali
e delle oasi protette.
L'ampliamento dell'operazione di dismissione
dei terreni agricoli è contenuta nell'ultima
versione del
maxiemendamento
alla legge di stabilità, per come già vagliato dalla
Ragioneria dello stato. La compravendita
sarà resa possibile dall'Agenzia del
demanio, entro tre mesi dalla data di
entrata in vigore del ddl stabilità.
La norma è stata quasi interamente riscritta
rispetto alla precedente versione,
anticipata venerdì scorso da ItaliaOggi. La
nuova bozza estende anche ai beni demaniali
di proprietà dello stato centrale, la
libertà di dismissione mediante trattativa
privata, prevista nella prima versione per i
soli terreni in portafoglio delle
amministrazioni periferiche dello stato:
regioni, province, comuni e enti pubblici. E
il nuovo articolato, si diceva, non limita
più l'acquisto dei terreni ai soli under 40
(come previsto nel primo schema di
maxiemendamento), ma estende a tutti la
possibilità di shopping. Riservando però,
nelle procedure di alienazione, un diritto
di prelazione ai giovani imprenditori
agricoli (così come definiti ai sensi del
decreto legislativo 21.04.2000, n. 185,
e successive modificazioni).
Anche qui, la novità non è da poco. La
precedente versione del maxiemendamento
riconosceva solamente ai giovani
imprenditori agricoli professionali (Iap) e
ai giovani coltivatori diretti il diritto
all'acquisto dei terreni agricoli pubblici.
E indicava come prova del loro status
l'iscrizione di costoro, già avvenuta o da
realizzare a medio termine (entro 36 mesi),
nelle rispettive gestioni previdenziali.
Quindi, la norma prevedeva la possibilità di
shopping anche per i giovani che subentrano
alla guida dell'azienda agricola di
famiglia.
Col nuovo testo, invece, tutto cambia: la
bussola per riconoscere chi ha diritto alla
prelazione è il dlgs 185/2000, che
disciplina gli incentivi all'autoimprenditorialità
in agricoltura. In sostanza, la corsia
preferenziale nell'acquisto sarà
percorribile solamente dagli agricoltori di
età compresa tra i 18 e i 35 anni, che
subentrino a un familiare nella conduzione
dell'azienda agricola. Quindi, né la
qualifica Iap né lo status di coltivatore
diretto daranno vantaggi nell'acquisto.
Parchi e aree protette. C'è poi il nodo dei
terreni che ricadono nelle aree nazionali e
regionali, protette dalla legge quadro
394/1991. E cioè i parchi nazionali, i
parchi naturali e le riserve naturali. Bene,
anche questi terreni, secondo l'ultima
versione del maxiemendamento, potranno
essere oggetto di compravendita diretta. Ma
per la messa in vendita, l'Agenzia del
demanio dovrà prima incassare il via libera
dei rispettivi enti gestori del parco.
La corsia privilegiata Ismea per gli enti
locali. Il maxiemendamento riscrive anche la
disposizione relativa alla dismissione dei
terreni a vocazione agricola in possesso di
regioni, province, comuni e, testualmente,
di «tutte le altre amministrazioni ricadenti
nell'ambito di applicazione del dl
165/2001». Nel caso l'acquirente sia Ismea
(Istituto di servizi per il mercato agricolo
alimentare), nella sua veste di ente
fondiario nazionale, un nuovo codicillo
dispone che le vendite potranno avvenire
mediante trattativa privata, anche per i
terreni che hanno un valore superiore ai 400
mila euro. In sostanza, se Ismea diventa
protagonista della cessione dei campi
agricoli, cessa l'obbligo di ricorrere alle
aste pubbliche.
Infine, una norma che può apparire scontata,
ma scontata non è: tutti i soldi ricavati
dalle operazioni di dismissione dei terreni
agricoli del Demanio finiranno nel bilancio
dello stato. Quindi, nulla rimarrà nelle
casse dell'ente locale sul cui territorio
quel terreno insiste
(articolo ItaliaOggi del 09.11.2011). |
ATTI AMMINISTRATIVI: Burocrazia zero ovunque.
Il maxiemendamento estende l'agevolazione a
tutta Italia.
Estese a tutto il territorio nazionale le
zone a burocrazia zero. Le nuove imprese
potranno godere di una notevole
semplificazione amministrativa in via
sperimentale fino a tutto il 2013.
Lo
prevede una delle misure contenute nel
maxiemendamento
alla legge di stabilità.
L'istituzione delle zone a burocrazia zero
era stata inizialmente prevista dal decreto
legge 31.05.2010 n. 78 nelle sole
regioni meridionali, ma non aveva comunque
mai visto la luce fino ad oggi.
Per l'attuazione di questa misura sarà
comunque necessaria l'istituzione
dell'Ufficio locale dei governi in ciascun
capoluogo di provincia.
Agevolazioni amministrative per le nuove
imprese. Le zone a burocrazia zero nascono
come aree in cui il procedimento per la
nascita di una nuova imprese è notevolmente
semplificato rispetto al percorso standard.
In particolare, la legge si concentra sui
provvedimenti conclusivi dei procedimenti
amministrativi di qualsiasi natura e oggetto
avviati su istanza di parte, nei riguardi
delle nuove imprese. La legge stabilisce che
tali provvedimenti siano adottati da
un'unica struttura locale accentrata entro
un massimo di 30 giorni dall'avvio del
procedimento, con validità del principio del
silenzio-assenso. Sono esclusi dalla
semplificazione i procedimenti di natura
tributaria, di pubblica sicurezza e di
incolumità pubblica e i procedimenti
connessi alle nuove iniziative produttive
avviate su aree soggette a vincolo.
Necessaria la creazione dell'Ufficio locale
dei governi. I provvedimenti amministrativi
saranno accentrati presso l'Ufficio locale
dei governi per ciascuna provincia. La
creazione di queste strutture sarà disposta
con decreto del presidente del consiglio dei
ministri, su richiesta della regione,
d'intesa con gli enti interessati e su
proposta del ministro dell'interno.
L'Ufficio locale dei governi dovrà essere
presieduto dal prefetto e composto da un
rappresentante della regione, da un
rappresentante della provincia, da un
rappresentante della città metropolitana,
ove esistente, e da un rappresentante del
comune interessato.
Procedimenti ancora più snelli con il
silenzio-assenso. L'Ufficio locale dei
governi sarà chiamato a esprimersi sui
procedimenti amministrativi e prenderà
decisioni in via esclusiva e all'unanimità.
Se uno dei componenti l'Ufficio sarà in
dissenso dovrà comunque motivare
adeguatamente la propria posizione e fissare
già le integrazioni richieste per il
proseguimento dell'iter. Si considera poi
acquisito l'assenso dell'amministrazione il
cui rappresentante non partecipa alla
riunione medesima, ovvero non esprime
definitivamente la volontà
dell'amministrazione rappresentata.
Nessun compenso per i componenti
dell'Ufficio. La partecipazione all'Ufficio
locale dei governi non sarà retribuita né
tramite compensi né tramite rimborsi di
alcun tipo. L'estensione delle zone a
burocrazia zero a tutto il territorio
nazionale non dovrà comportare nuovi o
maggiori oneri a carico della finanza
pubblica.
Zone a burocrazia zero ferme da oltre un
anno. Lo strumento delle zone a burocrazia
zero aveva visto la luce a fine maggio 2010
con il decreto legge che prevedeva «Misure
urgenti in materia di stabilizzazione
finanziaria e di competitività economica» ed
era stato confermato in sede di conversione
in legge. Il dl prevedeva però che le zone
fossero istituite con decreto del presidente
del Consiglio dei ministri, su proposta dei
ministro dell'economia e delle finanze, di
concerto con il ministro dell'interno. Di
fatto, questo decreto istitutivo delle aree
non è mai stato emanato e l'agevolazione è
rimasta congelata da allora. Adesso,
l'applicazione dell'agevolazione sarà legata
all'istituzione degli Uffici locali dei
governi
(articolo ItaliaOggi del 09.11.2011 - link
a www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: I
PROVVEDIMENTI PER LO SVILUPPO/ P.a.,
o mobilità o licenziamento.
Il trasferimento ad altro ente evita la
risoluzione del rapporto. Il
maxiemendamento delinea la riforma che il
governo ha in mente sul lavoro pubblico.
Mobilità obbligatoria per scongiurare i
licenziamenti. La nuova versione del
maxiemendamento
alla legge di stabilità
delinea la riforma che il governo vuole
apportare alla disciplina del lavoro
pubblico, per rafforzare il potere datoriale
di licenziare i dipendenti pubblici, per
ragioni di natura organizzativa e
finanziaria.
Come già rilevato (ItaliaOggi del 28 ottobre
scorso), le misure riguardanti la
risoluzione dei rapporti di lavoro pubblici
non hanno nulla a che vedere con gli
istituti della mobilità e della cassa
integrazione, valevoli nel sistema privato.
Il maxiemendamento, infatti, non estende al
settore pubblico la normativa privatistica,
ma modifica la regolamentazione già
esistente, cioè l'articolo 33 del dlgs
165/2001, rendendola più cogente ed efficace
Obbligo di rilevare le eccedenze di
personale. Il nuovo testo dell'articolo 33,
come delineato dal maxiemendamento,
chiarisce definitivamente l'obbligo in capo
a ogni amministrazione pubblica di rilevare
annualmente, anche in sede di ricognizione
delle dotazioni organiche ai sensi
dell'articolo 6, comma 1, del dlgs 165/2001,
eventuali eccedenze di personale, cioè
esuberi di dipendenti, rispetto alle
attività da svolgere.
Laddove le eccedenze siano riscontrate,
scattano una serie di adempimenti
vincolanti, tra i quali l'osservanza delle
procedure per ricollocare i dipendenti in
esubero e l'immediata comunicazione della
situazione di esubero e dei dipendenti
interessati al Dipartimento della funzione
pubblica.
Omettere la rilevazione annuale (da
realizzare, dunque, in via formale e per
iscritto) costerà caro: le amministrazioni
inadempienti non potranno instaurare
rapporti di lavoro con qualunque tipologia
di contratto e l'eventuale violazione del
divieto sarà sanzionata con la nullità degli
atti posti in essere. In ogni caso la
mancata attivazione delle procedure di
rilevazione delle eccedenze e finalizzate
alla ricollocazione o al licenziamento dei
dipendenti sarà valutabile ai fini della
responsabilità per danno erariale, visto che
tali inadempienze possono far insorgere una
spesa senza titolo.
Procedura per gli esuberi. È evidente, anche
se il testo dell'articolo 33 che si intende
novellare non lo afferma esplicitamente, che
la rilevazione andrà effettuata da ciascun
dirigente per la propria struttura, in modo
che sia sintetizzata, poi dal dirigente del
personale e dagli organi di vertice. Una
volta accertata la situazione di personale
in esubero, sarà il dirigente preposto alla
direzione delle risorse umane obbligato a
trasmettere un'informativa preventiva alle
rappresentanze unitarie del personale e alle
organizzazioni sindacali firmatarie del
contratto collettivo nazionale del comparto
o area.
Decorsi 10 giorni da tale comunicazione,
l'ente ha due possibilità. Applicare
l'articolo 72, comma 1, del dl 112/2008,
convertito in legge 133/2008: dunque,
risolvere unilateralmente il rapporto di
lavoro dei dipendenti con 40 anni di
anzianità contributiva (non si capisce, dal
testo della novella, se questa facoltà sia
ristretta ai soli dipendenti in esubero, sia
da estendere a tutti i dipendenti dell'ente,
per garantire risparmi sulle spese di
personale in generale).
In alternativa, l'amministrazione, in via
subordinata, verifica la possibilità di
ricollocare tutti o parte dei dipendenti in
soprannumero nell'ambito della stessa
amministrazione. A tale scopo, potrà anche
essere posta in essere una novazione
oggettiva del rapporto di lavoro, visto che
la norma ammette il ricorso a forme
flessibili di gestione del tempo di lavoro o
a contratti di solidarietà. Laddove non
fosse possibile la ricollocazione
all'interno dell'ente stesso, il nuovo testo
dell'articolo 33 del dlgs 165/2001 consente
di attivare trasferimenti forzati (cioè la
mobilità di cui all'articolo 30 del dlgs
165/2001) ovvero presso altre
amministrazioni comprese nell'ambito della
regione di appartenenza.
A tale scopo, sarà
necessario che le due amministrazioni
stipulino un accordo tra loro. La novella
all'articolo 33 chiarisce quello che era
sfuggito ad alcuni interpreti: essa richiama
espressamente l'articolo 1, comma 29, del dl
138/2011, convertito in legge 148/2011 che
consente di obbligare i dipendenti alla
mobilità territoriale all'interno della
regione. Secondo alcuni, tale norma si
sarebbe dovuta intendere come riferita solo
alla mobilità territoriale nell'ambito di un
medesimo ente. Il maxiemendamento spiega che
non è così.
Ruolo della contrattazione. La novella
demanda alla contrattazione nazionale la
fissazione di criteri generali e procedure
per consentire la gestione delle eccedenze
di personale attraverso il passaggio diretto
ad altre amministrazioni anche al di fuori
del territorio regionale.
Risoluzione del rapporto di lavoro.
Trascorsi 90 giorni dalla comunicazione ai
sindacati dello stato di esubero dei
dipendenti, qualora tutti o parte di essi
non siano stati ricollocati nella stessa o
in altre amministrazione, saranno messi in
disponibilità: dunque il lavoratore non
presterà più le proprie funzioni e avrà
diritto a un'indennità pari all'80% dello
stipendio e dell'indennità integrativa
speciale, con esclusione di qualsiasi altro
emolumento retributivo comunque denominato,
per la durata massima di 24 mesi, trascorsi
i quali scatterà il licenziamento.
Borsa nazionale del lavoro. Allo scopo di
agevolare la ricollocazione dei dipendenti
pubblici in esubero, le pubbliche
amministrazioni dovranno comunicare le
eccedenze di personale alla «Borsa nazionale
sulla mobilità del personale delle pubbliche
amministrazioni», visualizzabile sul portale Cliclavoro
(articolo ItaliaOggi del 09.11.2011 - link
a www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: I
PROVVEDIMENTI PER LO SVILUPPO/ Meno concorsi
e più graduatorie. Dipendenti da reclutare
chiamando i vincitori in attesa.
Meno concorsi, largo all'utilizzo delle
graduatorie. Il
maxiemendamento
alla legge di stabilità per il quadriennio 2012-2015
obbliga le amministrazioni pubbliche di cui
all'articolo 1, comma 2, del dlgs 165/2001 a
reclutare i dipendenti da assumere a tempo
indeterminato (nel rispetto delle
restrizioni previste a vario titolo dalla
normativa vigente) in via principale e
prevalente chiamando i vincitori inseriti
all'interno delle graduatorie vigenti.
L'obbligo di non effettuare i concorsi e
scorrere le graduatorie scatterà in
particolare quando occorrerà assumere figure
professionali previste dai bandi dei
concorsi ai quali si riferiscono le
graduatorie medesime; nel caso delle
amministrazioni dello stato, anche a
ordinamento autonomo, degli enti pubblici
non economici statali e delle Agenzie la
necessità di utilizzare le graduatorie si
verifica anche per l'assunzione di figure
professionali solo equipollenti a quelle
indicate nei bandi di concorso.
Per effetto di questa spinta all'impiego
delle graduatorie, le amministrazioni
statali, gli enti pubblici non economici
statali e le Agenzie, qualora non dispongono
di proprie graduatorie utili, dovranno
avvalersi per il quadriennio 2012-2015,
della possibilità di utilizzare le
graduatorie di pubblici concorsi approvate
da altre amministrazioni, sulla base di un
preventivo accordo
Regioni ed enti locali, una volta che
abbiano esaurito le graduatorie dei
vincitori dei concorsi da essi banditi,
potranno a loro volta convenzionarsi con
altri enti per attingere alle graduatorie di
questi
Il maxiemendamento, allo scopo di dare piena
applicazione alla norma, proroga l'efficacia
delle graduatorie dei concorsi pubblici per
assunzioni a tempo indeterminato fino al 31.12.2015 e chiarisce che fino
all'esaurimento degli elenchi dei vincitori
risultanti dall'esito dei concorsi, le
amministrazioni pubbliche non potranno
indire nuovi concorsi per assumere
qualifiche e alle mansioni di concorsi già
indetti
A partire dall'01.01.2014, qualora siano
state completate le assunzioni mediante lo
scorrimento delle graduatorie anche in
convenzione, o anche prima di tale data se
risulteranno esauriti gli elenchi dei
vincitori, le amministrazioni potranno
reclutare il personale attingendo alle
graduatorie degli idonei per un 50%; il
restante 50 per cento potrà essere coperto
bandendo nuovi concorsi
(articolo ItaliaOggi del 09.11.2011 - link
a www.corteconti.it). |
APPALTI SERVIZI: I
PROVVEDIMENTI PER LO SVILUPPO/ Niente
affidamenti in house sopra i 500 mila.
Circoscritto l'ambito dell'in house nei
servizi pubblici locali.
Il
maxiemendamento
del governo alla legge di stabilità, allo
scopo di aprire maggiormente i mercati alla
concorrenza, restringe ulteriormente la
possibilità di affidare la gestione delle
utility senza passare dalla gara.
La soglia di valore del servizio, al di
sopra della quale non saranno più ammessi
affidamenti in house nei confronti di
società a capitale interamente pubblico,
scende infatti, per effetto delle modifiche
proposte dal governo, da 900 a 500 mila
euro. Inoltre, per garantire l'unitarietà
del servizio, sarà vietato frazionarlo in
vari tronconi da affidare ciascuno
autonomamente.
Nel maxiemendamento hanno
trovato posto, inoltre, le misure per
facilitare la cessione alle banche dei
crediti vantati dalle imprese verso la p.a.
(anticipate su ItaliaOggi del 4/10/2011).
Per gli enti locali e le regioni diventerà
un obbligo (e non più solo una facoltà come
accade oggi) certificare i crediti certi,
liquidi ed esigibili vantati dalle aziende
affinché queste possano cederli a banche o
altri intermediari finanziari.
Su istanza
delle imprese, gli enti dovranno rilasciare
la certificazione entro 60 giorni. In caso
contrario, toccherà alla Ragioneria dello
stato competente per territorio che potrà
arrivare a nominare un commissario ad acta
pagato dalle amministrazioni locali. Per
realizzare queste modifiche il
maxiemendamento corregge l'art. 9, comma
3-bis, del decreto anticrisi del 2008 (dl
185/2008) che per primo ha previsto la
chance della cessione alle banche dei
crediti delle imprese verso regioni, enti
locali ed enti del Ssn. Anche se si è
trattato di una disposizione pressoché
inattuata. Il punto debole della norma,
secondo i tecnici del ministero della
semplificazione, è stato rappresentato dal
fatto che la certificazione dei crediti era
prevista come eventuale e non obbligatoria.
E questo ne ha radicalmente depotenziato
l'effetto.
Ora invece gli istituti di credito non
potranno ostacolare la cessione dei crediti.
Perché in futuro nei bandi di gara per la
gestione dei servizi di tesoreria degli enti
sarà previsto come requisito essenziale
l'impegno da parte del tesoriere comunale a
non opporsi alla cessione pro soluto delle
somme dovute per somministrazioni, forniture
e appalti. A questo proposito il
maxiemendamento del governo inserisce una
modifica ad hoc all'interno dell'art.210 del
Testo unico sugli enti locali (dlgs
n.267/2000).
Affitti trasparenti.
Tra le altre novità del maxiemendamento di
interesse per gli enti locali se ne segnala
una (sempre partorita dai tecnici di Roberto
Calderoli) che impone di far luce sui costi
sostenuti per la locazione di beni immobili.
Le amministrazioni saranno obbligate a
pubblicare sul proprio sito internet tutte
le informazioni su spese di affitto,
finalità di utilizzo, dimensioni e
ubicazione
(articolo ItaliaOggi dell'08.11.2011 - link
a www.corteconti.it). |
APPALTI: I
PROVVEDIMENTI PER LO SVILUPPO/ Anche il Durc passa da internet.
Richiesta e invio online. E la p.a. non lo
richiederà più. La semplificazione nel
maxiemendamento. Gli sgravi per gli
apprendisti dal 2012 al 2016.
Stop al Durc cartaceo. Imprese e
amministrazioni, infatti, devono richiedere,
inviare e archiviare il certificato di
regolarità contributiva esclusivamente per
via telematica sia per i lavori privati che
per quelli pubblici. In quest'ultimo caso,
inoltre, le imprese non devono più
presentare il documento, in quanto il Durc è
richiesto direttamente dall'amministrazione
interessata nei cinque giorni successivi al
ricevimento dell'atto che rende necessaria
la verifica della regolarità contributiva.
A
prevedere la semplificazione del Durc è il
maxiemendamento del governo con le misure
per lo sviluppo al ddl di stabilità,
presentato ieri alla Camera.
La semplificazione del Durc. Il Durc è un
certificato che attesta contestualmente la
regolarità di un'impresa nei pagamenti e
negli adempimenti previdenziali,
assistenziali e assicurativi, nonché in
tutti gli altri obblighi previsti dalla
normativa vigente nei confronti di Inps,
Inail e casse edili. La regolarità
contributiva (attestata dal Durc) serve, tra
l'altro, per tutti i contratti pubblici
(appalti e subappalti, sia di lavori che di
servizi e forniture) e per i lavori privati
in edilizia soggetti al rilascio di permesso
di costruire o a denuncia inizio attività.
Due le semplificazioni previste dal
maxiemendamento: la prima è relativa alla
procedura; la seconda è la
smaterializzazione del certificato.
Oggi il Durc è previsto tra la
documentazione obbligatoria da consegnare
per la partecipazione e/o aggiudicazione di
lavori; il maxiemendamento semplifica la
procedura, esonerando le imprese dal dover
presentare il certificato. Che non significa
il venir meno del requisito della regolarità
contributiva, in quanto a ciò provvederanno
direttamente le amministrazioni interessate,
tenute a formulare «le richieste di rilascio
del Durc entro il termine di cinque giorni
dal ricevimento dell'atto che ne rende
necessaria l'acquisizione e informando
contestualmente l'interessato delle
richiesta».
La seconda semplificazione è la
smaterializzazione del Durc. Infatti, il
maxiemendamento stabilisce che, nell'ambito
dei lavori pubblici e privati dell'edilizia,
imprese e amministrazioni competenti
richiedono, inviano e archiviano il Durc per
via telematica.
Sconto apprendisti dal 2012 al 2016. Il
maxiemendamento, tra l'altro, incentiva
l'apprendistato per promuovere l'occupazione
giovanile nelle piccole aziende (quelle con
un numero di addetti fino a nove). Infatti,
per i primi tre anni i datori di lavoro sono
esonerati dal pagamento di contributi,
fruendo così dello sconto dell'1,5% il primo
anno, del 3% il secondo e del 10% il terzo
anno. La versione finale del maxiemendamento
prevede l'applicazione dell'incentivo
esclusivamente ai contratti stipulati dall'01.01.2012 fino al 31.12.2016 (e non
dall'entrata in vigore della legge di
stabilità).
Rincaro contributi dal 2012. Il
maxiemendamento dispone l'aumento di un
punto percentuale dell'aliquota
contributiva, e della relativa aliquota di
computo delle prestazioni pensionistiche,
per gli iscritti alla gestione separata
Inps. Oggi l'aliquota è al 26,72% per la
generalità dei lavoratori, salirà al 27,72%
(il 27% utile ai fini pensionistici); per
gli iscritti ad altre forme di previdenza
obbligatoria e per i titolari di pensione
l'aliquota oggi è al 17%, salirà al 18%. La
versione finale del maxiemendamento
stabilisce che gli aumenti hanno effetto a
decorrere dall'01.01.2012 (e non
dall'entrata in vigore della legge di
stabilità).
Niente Irap per la produttività aziendale.
Dal 2012 le regioni potranno disporre la
deduzione dalla base imponibile Irap
(imposta regionale sulle attività
produttive) delle somme erogate ai
lavoratori in attuazione dei contratti
collettivi per la produttività (un ulteriore
sconto de 4-6%, dunque, che si aggiunge a
detassazione e decontribuzione già
previste). La versione finale del
maxiemendamento precisa che gli effetti
finanziaria, in tal caso, «sono
esclusivamente a carico del bilancio della
regione»
(articolo ItaliaOggi dell'08.11.2011 - link
a www.corteconti.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA: Alberi
rimuovibili se creano pericoli. Un parere
del ministero dei trasporti.
Possono essere rimossi gli alberi piantati
troppo vicino alla carreggiata prima
dell'entrata in vigore del nuovo codice
della strada. Ma solo se rappresentano un
evidente pericolo per la circolazione e non
sono possibili misure alternative di
protezione per gli utenti.
Lo ha chiarito il
Ministero dei trasporti con il parere n.
3224/2011.
La sicurezza delle strade è
spesso compromessa da manufatti,
installazioni e piantumazioni poste troppo a
ridosso della carreggiata. Per quanto
riguarda il posizionamento degli alberi la
provincia di Terni ha richiesto istruzioni
in relazione all'art. 26 del regolamento
stradale il quale letteralmente dispone al
comma 6 che «la distanza dal confine
stradale, fuori dai centri abitati, da
rispettare per impiantare alberi
lateralmente alla strada, non può essere
inferiore alla massima altezza raggiungibile
per ciascun tipo di essenza a completamento
del ciclo vegetativo e comunque non
inferiore a 6 metri».
A parere del
dipartimento per i trasporti terrestri la
questione delle fasce di rispetto interessa
innanzitutto sia i soggetti pubblici che
privati. Ma la severa regola sulle distanze
minime trova applicazione espressa solo per
le nuove piantumazioni.
In pratica, prosegue
la nota, «gli alberi già impiantati, prima
dell'entrata in vigore del codice della
strada, lateralmente alla carreggiata nella
fascia di pertinenza a una distanza
inferiore di quella prevista dall'art. 26 c.
6 del regolamento possono non essere
rimossi. Ciò non toglie che gli alberi
debbano essere adeguatamente protetti, così
come tutti gli altri elementi, quali
costruzioni, muri, pali e sostegni,
potenzialmente pericolosi per gli utenti
della strada, presenti sia nella fascia di
pertinenza che in quella di rispetto».
In
buona sostanza l'ente proprietario della
strada deve comunque assicurarsi di limitare
i rischi per la circolazione stradale anche
in relazione alle strutture vegetative
secolari presenti per esempio a lato della
carreggiata. Se le necessarie misure
preventive come l'installazione di barriere
protettive o altri sistemi di ritenuta non
sono sufficienti per garantire gli utenti
stradali l'ente proprietario può quindi
disporre l'abbattimento degli alberi
pericolosi anche se impiantati prima
dell'entrata in vigore del codice stradale,
ovvero il decreto legislativo n. 285/1992
(articolo ItaliaOggi dell'08.11.2011 - link
a www.ecostampa.it). |
ENTI LOCALI - VARI: Senza la Pec
scatta la sanzione.
Lo stesso account potrà essere usato da più
imprese. Circolare del Minsviluppo ricorda gli obblighi della
scadenza del 29.11.2011.
Sarà sanzionata la mancata comunicazione
della Pec societaria.
La
circolare
03.11.2011 n. 3645/C del Ministero dello sviluppo economico
conferma che il mancato rispetto del termine
del 29.11.2011 configurerà l'illecito
previsto dall'art. 2630 c.c. In capo al
rappresentante legale della società, quindi,
sarà comminata la sanzione amministrativa
pecuniaria da un minimo di 103 euro a un
massimo di 1.032 euro. Tali importi,
indicati come aggiornati dallo Statuto
dell'impresa in corso di pubblicazione in
Gazzetta Ufficiale, potranno essere ridotti
a un terzo qualora la società si ravveda nei
successivi 30 gg.
La circolare conferma, inoltre,
l'interpretazione diffusa sulla non
univocità della Pec: uno stesso account
potrà essere usato per più imprese. Viene
infatti esplicitamente prevista la
possibilità di comunicare, chiaramente
previa consenso del legittimo titolare,
l'indirizzo di posta elettronica di un
professionista (per esempio, il
commercialista) o di altra società
giuridicamente o economicamente collegata
(per esempio, la capogruppo o una
controllata). Soluzioni certo pratiche ma, a
nostro avviso, sconsigliabili visti gli
adempimenti e le potenziali responsabilità
che ne conseguirebbero.
Il ministero dello
sviluppo economico individua come obbligati
alla comunicazione le società di persone
(anche semplici), le società di capitali, le
società cooperative, le società estere con
sedi secondarie in Italia nonché le società
in liquidazione. Nulla viene detto in merito
alle società soggette a procedure
concorsuali: varie Cciaa ritengono che anche
le fallite, per fare l'esempio più
ricorrente, debbano adempiere; altra tesi,
invece, propende per un adempimento
facoltativo.
È comunque consigliabile, vista
la sua semplicità, procedere con la
comunicazione: il curatore, anche per non
gravare con oneri aggiuntivi la procedura,
potrebbe allora indicare la propria Pec
professionale (in linea con l'art. 48 della
legge fallimentare secondo cui «la
corrispondenza diretta al fallito [anche
quella elettronica, nda] che non sia persona
fisica è consegnata al curatore»).
Sempre la
circolare ricorda come la comunicazione, non
soggetta all'imposta di bollo e ai diritti
di segreteria (salvo la pratica richieda
l'iscrizione di ulteriori atti o fatti come,
per esempio, il trasferimento di sede o la
nomina di amministratori), possa essere
eseguita con la procedura web semplificata
predisposta da Infocamere oppure, magari con
affidamento ad un professionista incaricato
ex art. 31, comma 2-quinquies, della legge
340/2000, mediante la canonica Comunicazione
unica (modello S2, riquadro 5, campi «nome»
e «dominio» della casella, compilato grazie
a ComunicaFedra o ComunicaStarweb).
L'indirizzo fornito al Registro delle
imprese deve risultare valido e operativo e
non possono essere impiegate, infine, le
cosiddette «Pec del cittadino» poiché
riservate esclusivamente all'interazione fra
i primi e la pubblica amministrazione
(articolo ItaliaOggi dell'08.11.2011 - link
a www.ecostampa.it). |
ENTI LOCALI - VARI: Rifiuti,
Iva al 10% sui costi del personale.
Scontano l'aliquota Iva agevolata del 10% i
servizi accessori a quello di raccolta e
smaltimento dei rifiuti solidi urbani e fra
questi vanno compresi anche quelli di puro
ribaltamento degli oneri del personale.
A
stabilirlo è stata la sentenza n. 172/24/11
della Ctr Puglia, sezione staccata di Lecce.
I giudici tributari di secondo grado hanno
rigettato l'appello promosso
dall'amministrazione finanziaria che,
invece, aveva rettificato le operazioni di
una società esercente l'attività di
smaltimento e stoccaggio rifiuti, applicando
l'aliquota ordinaria (all'epoca dei fatti
era al 20%, mentre ora la legge di
conversione della manovra di Ferragosto l'ha
portata al 21% a partire dal 17.09.2011) alle fatture emesse che consistevano
nel ribaltare alla società appaltante i
costi vivi del personale sostenuti
dall'appaltata.
La disciplina.
La disciplina oggetto di contenzioso è il
numero 127-sexiesdecies della tabella A,
parte III, allegata al Dpr n. 633/1972 (il
decreto Iva), secondo cui le prestazioni di
smaltimento (gestione, stoccaggio e deposito
temporaneo) di rifiuti urbani all'articolo
7, comma 2, del Dlgs n. 22/1997 («Attuazione
della direttiva 91/156/Cee sui rifiuti,
della direttiva 91/689/Cee sui rifiuti
pericolosi e della direttiva 94/62/Ce sugli
imballaggi e sui rifiuti di imballaggio»), e
dei soli rifiuti speciali all'articolo 7,
comma 3, lettera g), dello stesso decreto
legislativo sono soggette all'aliquota Iva
del 10 per cento.
Ebbene, secondo il fisco, per individuare le
attività assoggettabili all'aliquota ridotta
del 10%, il numero 127-sexiesdecies fa
riferimento alle prestazioni,
rispettivamente individuate dalle lettere
d), l) ed m) del comma 1 dell'articolo 6 del
Dlgs n. 22/1997.
Nel proprio atto di contestazione,
l'amministrazione finanziaria ribadiva che –stando alla norma citata– le attività
trattabili con aliquota ridotta sono
espressamente circostanziate dal
legislatore. La disposizione ha, infatti,
voluto comprendere fra le attività a cui
applicare l'Iva al 10% anche quelle
accessorie al servizio di smaltimento e
stoccaggio dei rifiuti. Tuttavia, ad avviso
del fisco, non si può affermare che il
ribaltamento dei costi del personale integri
tale fattispecie, dato che si sostanzia più
una prestazione collaterale di servizio
autonoma, di per sé non assoggettabile ad
aliquota ridotta.
La valutazione.
Di diverso avviso è stato il collegio
giudicante. Secondo la Commissione
tributaria regionale, infatti, il costo del
personale impiegato è certamente
«prestazione accessoria» al servizio
principale di smaltimento dei rifiuti. Ciò
in quanto è evidente il rapporto di
complementarietà esistente con la
prestazione principale, atteso che senza la
mano d'opera non potrebbe essere espletato
il servizio principale di raccolta e
trasporto dei rifiuti solidi urbani e
assimilati.
---------------
In sintesi
01|IL CASO
Il fisco aveva aveva rettificato le
operazioni di una società di smaltimento e
stoccaggio rifiuti, applicando l'aliquota
ordinaria invece di quella del 10% alle
fatture emesse
02|LA DECISIONE
Per la Ctr, il costo del personale impiegato
è qualificabile come «prestazione
accessoria» al servizio principale di
smaltimento dei rifiuti e sconta quindi
l'aliquota Iva ridotta al 10%
(articolo
Il Sole 24 Ore del 07.11.2011 - link
a www.ecostampa.it). |
ENTI LOCALI: Al
via la rivoluzione dei bilanci locali.
Fondo pluriennale vincolato per fare fronte
al principio della competenza finanziaria.
Con l'approvazione in Conferenza unificata
dei decreti attuativi della riforma della
contabilità inserita nel Dlgs 118/2011,
entra nel vivo la rivoluzione dei bilanci
locali. Per oltre 70 enti tra Comuni,
Province e Regioni, il Dpcm che dà
attuazione alla fase sperimentale (e i suoi
allegati) sarà un vero banco di prova per
testare, nei prossimi due anni, la bontà
delle riforme previste nel settimo decreto
attuativo del federalismo fiscale. Ciò
nondimeno, la riforma dovrà essere studiata
e applicata fin dal 2012 dalla generalità
degli enti territoriali per avere, dal 2014,
i conti in grado di assorbire le
innumerevoli novità previste dal decreto
legislativo e dai decreti attuativi.
Nuovo principio.
Di tutte le novità, il maggiore e immediato
impatto sui prossimi bilanci locali è dovuto
alla riscrittura del nuovo principio della
competenza finanziaria e del relativo
principio gestionale applicato, allegato al
Dpcm in via di emanazione.
La diversa modalità di contabilizzazione,
infatti, avrà effetti per tutti già a
partire dal rendiconto 2011, oltre che in
sede di predisposizione dei preventivi 2012.
In sede di rendiconto dovrà essere
attentamente valutato ogni singolo residuo
attivo e passivo alla luce del nuovo
principio; dai bilanci 2012, poi, non sarà
più possibile ignorare la programmazione di
opere e lavori pubblici che,
inevitabilmente, saranno conclusi dopo la
fine del periodo di sperimentazione, con la
conseguenza che quanto oggi programmato e
finanziato dovrà, almeno in parte, essere
reinserito nei bilanci 2014 e successivi.
Il nuovo principio della competenza
finanziaria impone l'impegno delle spese di
investimento negli esercizi finanziari in
cui scadono le singole obbligazioni passive.
Il "timing" dei prossimi bilanci, quindi,
deriva dalla programmazione temporale di
realizzazione dei singoli interventi. Le
nuove opere programmate a decorrere dal
2012, nei fatti, ipotecano gli esercizi
futuri sia in termini di compatibilità con
le attuali regole di finanza pubblica (si
veda l'articolo sotto) sia in termini di
costruzione dei futuri preventivi che, prima
di accogliere la nuova programmazione,
devono assicurare gli stanziamenti di
competenza di tutte le opere già programmate
e finanziate e la cui obbligazione giuridica
non è ancora scaduta.
Più trasparenza.
Il nuovo modello di contabilizzazione
ipotizzato dal Dpcm attuativo del decreto
sull'armonizzazione, con un indubbio
contributo alla trasparenza dei bilanci
pubblici, imporrà alle amministrazioni di
fare propri le opere e gli interventi
programmati nel passato e di consentire
nuovi interventi solo una volta conclusi
quelli in essere, garantendo una più lineare
programmazione degli investimenti sul
territorio.
L'opera pubblica, una volta finanziata, non
sarà più, come accade ora, gestita solo a
residui, ma sarà riproposta nei preventivi
degli anni successivi sino alla sua
conclusione, dando la possibilità all'organo
decisionale di esercitare effettivamente il
ruolo di controllo sull'attività dell'ente.
Equilibri finanziari nel tempo.
L'impegno di spesa da imputare negli
esercizi in cui lo stesso scade e l'obbligo
di avere attivato il finanziamento per
l'intero importo dell'investimento
programmato hanno costretto il legislatore
delegato a introdurre un meccanismo tale da
permettere, in sede di previsione e di
rendicontazione, l'equilibrio finanziario
nel tempo.
Tale meccanismo è stato individuato nel
fondo pluriennale vincolato, costituito da
un saldo pari alla differenza tra le risorse
già accertate e l'esigibilità differita
della spesa in esercizi successivi a quello
in cui è accertata l'entrata. Il fondo
consente di dare copertura, negli esercizi
successivi a quello in cui è finanziato
l'investimento, e di applicare il nuovo
principio di competenza finanziaria rendendo
esplicita la distanza tra il finanziamento
di un'opera e la sua effettiva realizzazione
attraverso l'impiego nel tempo delle risorse
già accantonate.
Il fondo può essere costituito solamente a
seguito dell'accertamento delle entrate che
finanziano la spesa, la quale, come accade
oggi, può essere impegnata solo a copertura
finanziaria avvenuta.
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Sotto la lente
01|IL PRINCIPIO
Il nuovo principio della competenza
finanziaria impone l'impegno delle spese di
investimento negli esercizi finanziari in
cui vanno a scadenza le singole obbligazioni
passive.
02|OPERE PUBBLICHE
L'opera pubblica, una volta finanziata, non
sarà più gestita solo a residui, ma sarà
riproposta nei preventivi degli anni
successivi sino alla sua effettiva
conclusione, consentendo all'organo
decisionale di esercitare effettivamente il
ruolo di controllo sull'attività dell'ente.
03|IL FONDO
Lo strumento in grado di permettere, in sede
di previsione e di rendicontazione,
l'equilibrio finanziario nel tempo è stato
individuato nel fondo pluriennale vincolato,
costituito da un saldo pari alla differenza
tra le risorse già accertate e l'esigibilità
differita della spesa in esercizi successivi
a quello
in cui è accertata l'entrata.
04|LA COPERTURA
Gli enti devono farsi trovare pronti alla
stesura dei nuovi documenti di
programmazione. Per le entrate, particolare
attenzione andrà riservata a tutte le
obbligazioni giuridicamente valide, ma la
cui scadenza è fissata oltre l'esercizio
2013
(articolo
Il Sole 24 Ore del 07.11.2011 - link
a www.ecostampa.it). |
ENTI LOCALI: Occhio
all'anzianità dei residui attivi.
STRALCI IN VISTA - Le obbligazioni con
scadenza oltre il 2013 non continueranno a
formare l'avanzo di amministrazione.
Il principio della competenza finanziaria
metterà a dura prova i documenti contabili
degli enti, non solo per le modalità di
contabilizzazione delle entrate e delle
spese di competenza (parte corrente o
relative al conto capitale) ma, soprattutto
in fase di avvio, per la gestione dei
residui attivi e passivi degli esercizi
precedenti.
Gli enti devono farsi trovare pronti alla
stesura dei nuovi documenti di
programmazione. Per le entrate, particolare
attenzione va riservata a tutte le
obbligazioni giuridicamente valide, ma la
cui scadenza è oltre l'esercizio 2013.
Secondo il nuovo principio, infatti, tali
somme non possono formare l'avanzo di
amministrazione e devono essere stralciate e
riproposte negli esercizi in cui tali
obbligazioni scadono. È il caso dei ruoli
coattivi iscritti negli esercizi precedenti
e non ancora riscossi, o dei contributi
statali e regionali accertati ma non ancora
incassati. In queste situazioni, la nuova
contabilità impone lo stralcio dalla
gestione dei residui e la contestuale
riproposizione sugli stanziamenti di
competenza.
Operare tali stralci solo nell'esercizio
2013, che precede l'avvio
dell'armonizzazione, può determinare un
disavanzo di amministrazione dovuto al
passaggio da un sistema contabile a un
altro, evidenziando avanzi di
amministrazione precedentemente determinati
e applicati in assenza di una reale certezza
di solvibilità dei crediti iscritti nei
rendiconti degli esercizi passati. Già dal
prossimo rendiconto, quindi, è bene prestare
attenzione all'anzianità dei residui attivi,
anche per prevenire possibili squilibri
della gestione finanziaria e la copertura
non certa della spesa in conto capitale.
Quest'ultima ipotesi può verificarsi quando
un ente locale dà atto della copertura di
un'opera in base a un contributo regionale
per cui la Regione non ha imputato la
relativa spesa nello stesso esercizio nel
quale l'ente ha accertato l'entrata. Dal
2014 (ma la revisione va operata anche per
gli accertamenti già registrati nel passato
e per quelli che lo saranno nel futuro) non
si potrà più accertare l'intero contributo
concesso, ma solo la parte imputata
dall'altro ente pubblico nell'anno di
competenza. Ne consegue che, in caso di
contributo riconosciuto in più annualità,
l'opera deve essere autofinanziata per la
parte non "coperta" nell'anno. L'ente
destinatario del contributo è così costretto
a prefinanziare l'opera distraendo risorse
fino ad oggi destinate ad altre finalità.
Per la parte spesa, i residui devono, fin da
subito, essere reiscritti nel rendiconto
solo a fronte di un'obbligazione giuridica
perfezionata, rilevando la minore spesa in
tutti gli altri casi. In fase di prima
applicazione, tutti i residui passivi
sorretti da idonea obbligazione giuridica
andranno stralciati dal rendiconto e
inseriti nelle previsioni di competenza in
relazione alla scadenza delle obbligazioni
stesse, avvicinando di molto la fase
dell'impegno a quella del pagamento
(articolo
Il Sole 24 Ore del 07.11.2011 - link
a www.ecostampa.it). |
ENTI LOCALI: La
programmazione diventa strategica.
IL LIMITE - Gli stanziamenti della spesa per
investimenti non potranno superare i
pagamenti ammessi dai vincoli del «patto».
La competenza "breve", la revisione dei
residui e il continuo innalzamento
dell'asticella sul patto di stabilità
interno impongono oggi più che mai una
costruzione e una gestione molto attenta dei
bilanci locali. La programmazione del
prossimo bilancio diventa strategica per
tutte le amministrazioni locali e regionali,
per consentire, nei pochi mesi ancora a
disposizione, di rendere agevole il percorso
che porta all'adozione della nuova
contabilità.
Se oggi il bilancio di previsione non riesce
a dare immediatamente conto dell'influenza
che la programmazione subisce dai vincoli di
finanza pubblica, da domani non sarà più
così. Con il nuovo principio di competenza
finanziaria, gli stanziamenti in bilancio
della spesa in conto capitale
rappresenteranno il valore delle
obbligazioni giuridiche che scadono e, in
ultima istanza, dei pagamenti autorizzati
per l'esercizio. La parte significativa di
tali stanziamenti sarà finanziata con il
fondo pluriennale vincolato (si veda
l'articolo sopra) derivante dalle opere già
finanziate e i cui impegni non sono ancora
giunti a scadenza. Tale fondo agisce come
l'avanzo di amministrazione: è un aggregato
non rilevante ai fini della determinazione
del saldo utile per il rispetto del patto di
stabilità interno e finanzia una spesa che,
al contrario, risulta rilevante.
Gli stanziamenti della spesa per
investimenti, infatti, non potranno superare
i pagamenti ammessi dai vincoli del patto,
poiché, oltre e prima delle nuove spese,
devono dare conto dalle somme accertate
negli esercizi precedenti e che scadranno
nell'anno di competenza.
Oggi il legislatore, per evidenziare la
coerenza del bilancio di previsione e i
vincoli di finanza pubblica, costringe gli
enti ad allegare al bilancio stesso un
prospetto con le previsioni di competenza e
di cassa degli aggregati rilevanti ai fini
del patto. Con la nuova contabilità tale
dimostrazione non sarà più necessaria,
rappresentando lo stanziamento di competenza
stesso la stima dei pagamenti che l'ente è
obbligato a sostenere in relazione alle
obbligazioni giuridiche assunte in passato e
che ritiene dovranno essere pagate per le
obbligazioni giuridiche autorizzate dal
bilancio.
La nuova contabilità costringerà gli enti a
rappresentare già in sede di bilancio di
previsione la concreta realizzabilità delle
opere previste, indicando fin da subito
quali spazi saranno concessi dai vincoli di
finanza pubblica. La prossima programmazione
triennale e l'annesso elenco annuale 2012,
ancor più che in passato, devono tenere
conto di un cronoprogramma compatibile con
gli obiettivi strutturali del patto di
stabilità interno, pena il rischio di
trovarsi impossibilitati a costruire un
previsionale 2014 con le regole dettate
dall'armonizzazione.
Assume più che mai rilevanza l'articolo 9,
comma 1, lettera a), punto 2, del Dl 78/2009,
da alcuni amministratori sottovalutato,
secondo cui prima di assumere nuovi impegni
di spesa va accertato che il programma dei
conseguenti pagamenti sia compatibile con le
regole di finanza pubblica
(articolo
Il Sole 24 Ore del 07.11.2011 - link
a www.ecostampa.it). |
ENTI LOCALI: Le
«soglie minime» per le gestioni associate.
IL TERMINE - Attese entro il 16 novembre le
eventuali modifiche al numero di abitanti
che deve essere raggiunto dalle Unioni.
Le Regioni hanno tempo fino a mercoledì 16
novembre per modificare la soglia minima di
popolazione da raggiungere nella gestione
associata tra i piccoli Comuni. In molte di
esse non vi sono state finora decisioni
formali. Occorre comunque ricordare che tale
termine non ha carattere perentorio già con
le disposizioni ora in vigore, che peraltro
potrebbero perdere il carattere vincolante
se tra Governo, Regioni e associazioni degli
enti locali si arriverà a una intesa per
cambiare il contenuto delle due manovre
estive e, tanto più, se la Corte
costituzionale accoglierà i ricorsi che
piccoli Comuni e Anci, tramite i consigli
regionali delle autonomie locali e le
Regioni, stanno presentando.
L'articolo 16 del Dl 138/2011 detta un
cronoprogramma a tappe forzate per dare il
via alla gestione associata delle funzioni e
dei servizi tra i piccoli Comuni. La prima
scadenza è fissata entro il 16 novembre, a
due mesi dall'entrata in vigore della legge
di conversione. Le Regioni possono
modificare la soglia minima di popolazione
che va raggiunta dalle Unioni tra i Comuni
con popolazione inferiore a mille abitanti.
Tale soglia è fissata dal provvedimento
nazionale in 5mila abitanti e per i Comuni
montani scende a 3mila. Non è stabilita,
invece, alcuna soglia minima se questi
piccolissimi Comuni danno vita a una
convenzione. Entro la stessa data le Regioni
possono variare la soglia minima di 10mila
abitanti fissata per i Comuni con
popolazione oltre i 5mila che danno corso
alla gestione associata scegliendo l'Unione
o le convenzioni.
Tali termini non sono perentori, a
differenza, per esempio, di quello del 31
dicembre 2012 entro cui le Regioni devono
istituire le Unioni tra i piccolissimi
Comuni. Per cui questa scelta può essere
effettuata anche successivamente, ma il
ritardo rischia di determinare condizioni di
incertezza per i Comuni con popolazione
superiore a 5mila abitanti, che devono,
entro il 2011, dare corso alla gestione
associata di almeno due funzioni
fondamentali. La legge di conversione non
definisce lo strumento con cui le Regioni
effettuano questa scelta; ma, mancando una
precisa indicazione, si ritiene che sia
sufficiente anche una semplice
deliberazione. Non è imposto che le Regioni
consultino preventivamente i Comuni
interessati e/o il consiglio delle autonomie
locali.
Nelle Regioni a statuto speciale e nelle due
Province autonome, poi, l'applicazione delle
disposizioni sulla gestione associata è
spostata al momento in cui in queste realtà
entrerà in vigore il federalismo fiscale. Il
che si realizzerà entro maggio 2014 (vale a
dire entro i 30 mesi successivi alla
scadenza del termine, fissata entro questo
mese di novembre, per l'emanazione dei
decreti attuativi della legge 42/2009).
In molte Regioni si attendono le conclusioni
del gruppo di lavoro Governo-amministrazioni
regionali-enti locali, che sta cercando di
ricucire lo strappo sul Dl 138. Su richiesta
dell'Anci uno dei temi è proprio
l'allentamento del carattere vincolante
delle disposizioni sulla gestione associata,
che dovrebbero essere cambiate per rientrare
tra le scelte di carattere volontario dei
singoli Comuni. Intanto la stessa Anci
sostiene l'iniziativa dei piccoli Comuni e
dei consigli regionali delle autonomie per
depositare ricorsi alla Consulta contro
questa parte della manovra di Ferragosto.
Già presentati i ricorsi di Piemonte e
Toscana
(articolo
Il Sole 24 Ore del 07.11.2011 - link
a www.ecostampa.it). |
APPALTI SERVIZI: Partecipate
«blindate» sui servizi.
La società non può gestire insieme funzioni
pubbliche e strumentali.
Una società partecipata non può gestire
contestualmente servizi pubblici e servizi
strumentali, quindi gli enti locali soci
devono definire adeguate soluzioni.
La Corte dei conti, sezione regionale di
controllo per la Lombardia, con il
parere 17.10.2011 n.
517 ha spiegato
come l'articolo 13 della legge n. 248/2006
vieti a una società partecipata di gestire
allo stesso tempo servizi pubblici locali e
servizi strumentali.
La disposizione non ammette deroghe e rende
necessario il superamento di quelle
situazioni nelle quali le amministrazioni
abbiano utilizzato lo strumento societario
per svolgere funzioni e attività di loro
competenza in modo eterogeneo, senza
distinguere fra la gestione di servizi
pubblici locali –a rilevanza economica o
privi di rilevanza economica– e servizi
strumentali.
La Corte dei conti lombarda rileva come la
commistione tra attività, resa possibile in
passato da una normativa molto permissiva,
oggi non sia più possibile, a fronte di
regole precise e rigorose, differenziate per
la gestione delle varie funzioni e attività.
In particolare, dice la Corte, l'articolo 13
del decreto Bersani stabilisce specifiche
incompatibilità fra la gestione di attività
strumentali, che vedono come interlocutore
l'ente locale e le attività a rilevanza
economica, che hanno un'incidenza sul
mercato. L'analisi dà per acquisito il
principio per cui il requisito della
strumentalità sussiste quando l'attività che
le società svolgono sia rivolta agli stessi
enti promotori o comunque azionisti della
società per svolgere le funzioni di supporto
delle amministrazioni pubbliche.
Il parere dunque mette in evidenza come le
società che gestiscono servizi strumentali
non possano svolgere, in relazione alla loro
posizione privilegiata, altre attività a
favore di altri soggetti pubblici o privati,
poiché in caso contrario si verificherebbe
un'alterazione o comunque una distorsione
della concorrenza all'interno del mercato
locale di riferimento.
È in quest'ottica che si giustifica, del
resto, la previsione contenuta nel secondo
comma dello stesso articolo 13 della legge
n. 248/2006, in base al quale gli enti
locali devono prevedere per le società
strumentali un oggetto sociale esclusivo.
Non è possibile pertanto che la stessa
società che opera in house svolga per conto
di uno o più enti attività strumentali e
gestisca servizi pubblici locali.
Il divieto imponeva agli enti locali di
intervenire entro il 04.01.2010 per
adottare soluzioni organizzative che
comportassero la reinternalizzazione dei
servizi strumentali, ovvero l'affidamento a
terzi con gara dei servizi pubblici locali a
rilevanza economica o, ancora, la creazione
di distinti organismi societari per la
gestione in modo separato delle attività
strumentali e dei servizi pubblici locali. A
fronte anche del caso analizzato, la Corte
dei conti lombarda rileva come vi siano
ancora commistioni gestionali in molte
società, per le quali gli enti soci, se non
hanno ancora provveduto a eliminare
l'anomalia, devono provvedere, anche per
evitare di incorrere nelle specifiche
violazioni di legge e nella nullità dei
contratti in essere.
---------------
Incompatibilità
01 | LA LEGGE
In base alla legge 248 del
2006 gli enti locali prevedono per le
società strumentali un oggetto sociale
esclusivo: la stessa società che opera in
house non può svolgere per uno o più enti
attività strumentali e gestire servizi
pubblici.
02 | LA CORTE DEI CONTI
La sezione di controllo della Lombardia ha
ribadito che una partecipata non deve
gestire contestualmente servizi pubblici e
strumentali
(articolo
Il Sole 24 Ore del 07.11.2011 - link
a www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Istat
fuori dal blocco ma i dubbi restano.
DISCORDANTI - I magistrati contabili in
Lombardia ammettono l'eccezione, ma la
sezione della Toscana non è d'accordo.
I compensi corrisposti ai dipendenti degli
enti locali per le attività di censimento
sono all'esame della Corte dei conti.
L'obiettivo è stabilire se questi incentivi
sono o non sono fuori dal campo di
applicazione dell'art. 9, comma 2-bis, del Dl
n. 78/2010. La questione, molto attesa, ha
avuto conclusioni differenti nelle Sezioni
della Lombardia e della Toscana.
La manovra estiva dello scorso anno ha posto
un tetto insormontabile all'ammontare
complessivo delle risorse destinate al
trattamento accessorio del personale
dipendente: per gli anni 2011-2013 non potrà
superare il relativo importo dell'anno 2010.
Agli operatori erano rimasti diversi dubbi
fin dall'entrata in vigore della
disposizione. La Corte dei conti ha espresso
la propria opinione nell'ambito delle
Sezioni riunite con la recente deliberazione
n. 51/2011. Nel documento si afferma che la
norma non ammette eccezioni ricomprendendo
ogni fonte di finanziamento del salario
accessorio dei lavoratori degli enti locali.
Due sole, per la Corte, le eccezioni: nel
caso delle progettazioni interne e in quello
delle attività di avvocatura interna (si
veda Il Sole 24 Ore dell'11 ottobre scorso).
La partita sembrava chiusa. Rimaneva però in
sospeso una questione di grande attualità: i
compensi relativi al censimento. L'Istat
infatti trasferisce a ciascuna
amministrazione locale risorse economiche da
destinare alle attività di direzione,
coordinamento e rilevamento delle
informazioni statistiche. Alcune di queste
somme possono essere destinate al personale
dipendente. Per la Corte dei conti della
Lombardia si è sempre trattato di attività
di natura istituzionale, sulla quale si è
persino posto il dubbio di legittimità in
merito all'erogazione di specifici incentivi
(si veda la Deliberazione n. 14/2009).
La stessa Sezione è tornata però sulla
questione per esaminare gli effetti di
questi emolumenti sul fondo. Coerentemente
con quanto affermato in precedenza la
recente deliberazione n. 550/2011 sottolinea
innanzitutto che non è ancora dimostrato che
il contributo forfettario per le rilevazioni
Istat sia destinato a comporre il fondo
incentivante della contrattazione
decentrata.
Il documento si occupa però soprattutto
degli effetti di natura finanziaria. Poiché
la rilevazione è obbligatoria per ciascun
comune, le risorse sono di fatto dei
trasferimenti statali per l'espletamento di
una funzione amministrativa inderogabile e
sono specificatamente vincolate alle
operazioni di censimento.
Il passaggio chiave risiede nella
considerazione che queste erogazioni sono
già state definite "a monte" e che quindi il
legislatore, al momento della stesura delle
manovre, ha già provveduto a valutare la
compatibilità delle risorse impiegate con i
vincoli di finanza pubblica. Pertanto a
ciascun ente non può spettare alcuna
ulteriore verifica di congruità. Un blocco
su questi compensi costituirebbe quindi un
doppio vincolo.
In conclusione, quindi, le risorse Istat nel
loro complesso sono escluse tout court dai
vincoli di contenimento di cui all'art. 9,
comma 2-bis, del Dl n. 78/2010.
Diversamente, la Corte dei conti della
Toscana nella Deliberazione n. 291/2011
ritiene che nel blocco rientrino anche i
compensi relativi al censimento, perché si
tratta di risorse della contrattazione
integrativa potenzialmente destinate a tutti
i dipendenti
(articolo
Il Sole 24 Ore del 07.11.2011 - link
a www.corteconti.it). |
VARI: Internet conviene solo illimitato.
Addio alle offerte a consumo. Per navigare
meglio i pacchetti. Una guida alla scelta
dell'operatore giusto a seconda di prezzi,
esigenze e velocità di connessione.
Adsl, pacchetti «tuttocompreso» o
abbonamenti solo navigazione.
Gli italiani
hanno detto addio all'internet a consumo e
si sono posizionati solo sugli abbonamenti a
navigazione illimitata. E gli operatori si
sono adeguati. Il mercato della connessione
con l'Adsl è diviso in offerte per navigare
fino a 7/8 mega e quelle per connessioni
veloci fino a 20 mega.
Il prezzo è uniforme
per tutti gli operatori nazionali o locali,
che ricorrano alla pubblicità o meno: 20
euro al mese per la linea più limitata e 25
per quella veloce. Quindi la scelta degli
operatori può basarsi soltanto sulle
promozioni del momento e sulla banda che si
vuole utilizzare.
Perciò le offerte si
caratterizzano per gli sconti sul costo di
attivazione della linea, mesi gratuiti o a
prezzo ridotto, l'utilizzo del conto
corrente per il pagamento al posto del
bollettino postale, i servizi aggiuntivi
come noleggio modem e pc o la sicurezza del
sistema da attacchi di virus e cancellazione
dati. ...
(articolo ItaliaOggi
Sette del 07.11.2011). |
GIURISPRUDENZA |
ATTI AMMINISTRATIVI:
La motivazione del provvedimento
amministrativo non può essere integrata nel
corso del giudizio.
E' inammissibile l'integrazione postuma
della motivazione di un atto amministrativo,
realizzata mediante gli atti difensivi
predisposti dall’Amministrazione resistente,
e ciò anche dopo le modifiche apportate alla
l. n. 241/1990 dalla l. 15/2005, rimanendo
sempre valido il principio secondo cui la
motivazione del provvedimento non può essere
integrata nel corso del giudizio con la
specificazione di elementi di fatto, dovendo
la motivazione precedere e non seguire ogni
provvedimento amministrativo, a tutela del
buon andamento amministrativo e
dell’esigenza di delimitazione del controllo
giudiziario (vedi, ex multis, Cons. St.,
sez. VI, 29.05.2008 n. 2555, e la
motivazione ivi contenuta) (tratto da
www.dirittodegliappaltipubblici.it -
TAR Sicilia-Catania, Sez. IV,
sentenza
07.11.2011 n. 2647 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Consorzio stabile: sulla
qualificazione minima della consorziata
indicata per l'esecuzione dei lavori.
Poiché l’art. 97, comma 4, nella seconda
parte prevede espressamente che “alle
singole imprese consorziate si applicano le
disposizioni previste per le imprese
mandanti dei raggruppamenti temporanei di
imprese”, va quindi richiamato l’art. 95,
comma 2, del medesimo DPR, il quale dispone
che tali imprese devono possedere i
requisiti economico-finanziari e
tecnico-organizzativi ciascuna nella misura
minima del 10% di quanto richiesto
all'intero raggruppamento.
Come ancora questa Sezione ha già avuto modo
di precisare (cfr. sentenza 08.02.2007
n. 223), tale soluzione interpretativa
consente di salvaguardare la fondamentale
esigenza di far eseguire i lavori ad imprese
consorziate adeguatamente qualificate, e
quindi in grado di operare con la necessaria
competenza tecnica, fornendo idonee garanzie
di buona esecuzione all’Ente committente.
E tale esigenza non può essere confusa, da
una parte, con la possibilità che ha il
Consorzio, come soggetto distinto, di
cumulare le qualificazioni delle consorziate
al fine di partecipare alla gara, con la
diversa esigenza che chi si occuperà in
concreto, anche in parte, della esecuzione
dell’appalto, sia comunque qualificato a tal
fine; e, dall’altra, con l’espressa
previsione dell’art. 97, comma 1, del citato
D.P.R. 554/1999 secondo cui la facoltà, che i
consorzi stabili di imprese hanno, di far
eseguire i lavori dai consorziati, lascia
“ferma la responsabilità sussidiaria e
solidale degli stessi nei confronti della
stazione appaltante”.
Perché anche tale
previsione ha una distinta ratio, che non
incide in alcun modo sulla necessità, già
precisata, che anche i consorziati siano
adeguatamente qualificati per le opere che
dovranno eseguire (nello stesso senso cfr.
anche Cons. St., sez. IV, 21.04.2008 n.
1778, secondo cui, a prescindere dal fatto
che si tratti di consorzio stabile o
ordinario, “è fuori discussione che esso
debba dare la dimostrazione, nei modi
previsti, del possesso dei requisiti di
tutti i consorziati che vengano individuati
come esecutori delle prestazioni scaturenti
dal contratto”; nonché Id., sez. VI,
22.10.2010 n. 7609) (tratto da www.dirittodegliappaltipubblici.it -
TAR Sicilia-Catania, Sez. IV,
sentenza
07.11.2011 n. 2645 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Pubblico impiego, il
provvedimento di inquadramento è soggetto a
termine decadenziale di impugnazione.
Questo, in estrema sintesi, il principio
affermato dal Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 02.11.2011 n. 5845.
In tale sede l’organo collegiale
ha avuto modo di ricordare che il
provvedimento di inquadramento di pubblici
dipendenti è atto autoritativo e, in quanto
tale, soggetto a termine decadenziale di
impugnazione, con la conseguenza che non è
ammissibile un'azione volta all'ottenimento
di un diverso inquadramento, se non
tempestivamente proposta avverso il
provvedimento di attribuzione della
qualifica. Allo stesso tempo i giudici
escludono la possibilità di un autonomo
giudizio di accertamento in funzione di
disapplicazione dei provvedimenti
dell'Amministrazione, atteso che l'azione di
accertamento è esperibile a tutela di un
diritto soggettivo, laddove il pubblico
dipendente a fronte dell’esercizio della
potestà organizzatoria della Pubblica
amministrazione risulta invece essere di
titolare di un mero interesse legittimo
(cfr. sul punto anche Cons. Stato, sez. V,
sentt. 1251/2011 e 7104/2010).
In materia di inquadramento di pubblici
dipendenti, il Collegio ancora ribadisce,
non sono proponibili azioni di accertamento,
ma solo domande di impugnazione degli atti
autoritativi di assegnazione della qualifica
funzionale e del corrispondente livello
retributivo, in quanto essendo la posizione
giuridica del dipendente qualificabile in
termini di interesse legittimo, egli è
legittimato a far valere
lo stesso insorgendo tempestivamente, nel
rispetto dei termini decadenziali, contro
l'atto autoritativo che gli attribuisca una
posizione di status e retributiva inferiore
a quella che ritiene spettargli (commento
tratto da www.diritto.it - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ESPROPRIAZIONE: L'esproprio
non è in regola? Scatta anche il danno
morale.
Scatta anche il danno morale, oltre che
quello patrimoniale, in favore del
proprietario del terreno quando l'esproprio
non è in regola. E ciò grazie alla manovra
economica 2011 che ha reintrodotto
l'istituto dell'acquisizione sanante.
Lo
chiarisce la
sentenza
02.11.2011 n. 5844 della V Sez. del
Consiglio di Stato.
Il decreto legge
98/2011, che contiene la cosiddetta «manovra
di luglio», all'articolo 34 aggiunge una
nuova disposizione al Testo unico
dell'espropriazione di cui al dpr 327/01
(introducendo l'articolo 42-bis). La novella
prevede che al proprietario sia corrisposto
un indennizzo per il pregiudizio
patrimoniale e non patrimoniale patito
dall'illegittima attività posta in essere
dalla pubblica amministrazione, anche con
riferimento ai fatti antecedenti (comma 8
della norma). Il riferimento al pregiudizio
non patrimoniale contenuto nella
disposizione, osservano i giudici di Palazzo
Spada, costituisce una disposizione
innovativa, che impone la necessità di
opportuna considerazione anche in sede di
risarcimento del danno per illecita
occupazione.
La controversia, nella specie,
nasce per l'illecita occupazione (temporanea
e definitiva) delle aree impiegate nella
realizzazione delle opere di urbanizzazione
del rione di un comune sardo. E su questo
punto, spiega il collegio, ci troviamo di
fronte a un'obbligazione che deriva da un
illecito extracontrattuale: si tratta,
quindi, di un debito di valore e le relative
somme, determinate con riferimento alla data
della trasformazione irreversibile del bene,
devono essere rivalutate secondo equità
all'attualità sulla base degli indici Istat
(nel caso concreto questa voce di danno è
stimata in 50 mila euro, tenuto conto del
valore complessivo del risarcimento che non
è esiguo).
Risulta poi necessario il
riconoscimento del danno da lucro cessante,
costituito dalla perdita della possibilità
di far fruttare la somma in questione: il
danno, considerato il tempo trascorso e il
graduale mutamento del potere di acquisto
della moneta, è liquidato in via equitativa
nella misura degli interessi legali sulle
somme rivalutate anno per anno a decorrere
dalla data dell'illecito, salvo detrarre
quanto già eventualmente versato dal comune
ai singoli proprietari interessati dalla
procedura ablativa.
Per dirimere la
controversia, infine, è rilevante anche la
giurisprudenza costituzionale: dopo la
sentenza 349/07 della Consulta, infatti, il
meccanismo indennitario risulta
inapplicabile anche per le occupazioni
illegittime anteriori al 30.09.2006 e al
proprietario deve essere corrisposto il
risarcimento del danno, rapportato al
pregiudizio arrecato per la perdita di
proprietà del bene
(articolo ItaliaOggi dell'08.11.2011 - link
a www.ecostampa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATA:
A differenza dei casi nei quali il
silenzio serbato dall'amministrazione
concerne una richiesta di intervenire su
presunti abusi edilizi nel caso
di richiesta di definire il procedimento, la
natura propria del giudizio di accertamento,
fa sì che il ricorso possa dirsi
regolarmente instaurato con la notifica al controinteressato principale.
Lo scopo del ricorso avverso il silenzio
rifiuto, o inadempimento, infatti è di
ottenere un provvedimento espresso
dell'Amministrazione, che elimini lo stato
di inerzia sulla sua istanza.
Di norma la qualifica di controinteressato
in senso stretto infatti spetta solo ai
soggetti che abbiano una posizione
giuridicamente contrapposta a quella della
parte ricorrente.
Nell'ipotesi in cui un terzo ricorra per
accertare l'illegittimità di un
silenzio-rifiuto dell'amministrazione a
provvedere sulla domanda di un altro
privato, quest’ultimo non può essere un
controinteressato.
Il titolare dell’interesse principale è
infatti un cointeressato all’ottenimento di
un provvedimento esplicito sulla sua
domanda. Volendo ritenere il contrario,
dovrebbe ammettersi che chi ha azionato il
procedimento amministrativo in realtà voglia
indebitamente approfittare, in via di fatto,
degli effetti perversi conseguenti
all’inerzia dell’amministrazione.
In conseguenza, i proprietari del fondo che
avevano presentato l’istanza di condono non
sono parti necessarie, alle quali il ricorso
avrebbe dovuto essere notificato a pena di
inammissibilità del primo giudizio, perché
non sono titolari di una situazione
soggettiva di segno opposto a quello fatto
valere con il ricorso in I grado.
---------------
Alla concessione edilizia in sanatoria di
cui all'art. 31, l. 28.02.1985, n. 47 sono
applicabili i principi in materia di
legittimazione all'impugnazione da parte dei
proprietari dei fondi confinanti incisi
dalla sanatoria dell'illecito non conforme a
legge.
Tale legittimazione sussiste per il fatto
stesso che il terzo si trovi nella zona
interessata dalla costruzione oggetto di
sanatoria, a prescindere da ogni indagine
sulla sussistenza di un ulteriore specifico
interesse.
In tali casi deve riconoscersi una posizione
di interesse qualificato all'impugnativa a
chi si trovi in una situazione di stabile
collegamento con la zona, senza che sia
richiesta la prova di un danno specifico:è
insito nella violazione edilizia stessa, il
danno a tutti i membri di quella
collettività derivante dalla presenza di
immobili od abitazioni ubicate su un terreno
comunque in prossimità delle loro aree.
A differenza dei casi nei quali il
silenzio serbato dall'amministrazione
concerne una richiesta di intervenire su
presunti abusi edilizi (cfr. Consiglio
Stato, sez. V, 06.12.1999, n. 2045) nel caso
di richiesta di definire il procedimento, la
natura propria del giudizio di accertamento,
fa sì che il ricorso possa dirsi
regolarmente instaurato con la notifica al controinteressato principale.
Lo scopo del ricorso avverso il silenzio
rifiuto, o inadempimento, infatti è di
ottenere un provvedimento espresso
dell'Amministrazione, che elimini lo stato
di inerzia sulla sua istanza (cfr. Consiglio
Stato, sez. IV, 15.09.2010, n. 6892).
Di norma la qualifica di controinteressato
in senso stretto infatti spetta solo ai
soggetti che abbiano una posizione
giuridicamente contrapposta a quella della
parte ricorrente.
Nell'ipotesi in cui un terzo ricorra per
accertare l'illegittimità di un
silenzio-rifiuto dell'amministrazione a
provvedere sulla domanda di un altro
privato, quest’ultimo non può essere un
controinteressato.
Il titolare dell’interesse principale è
infatti un cointeressato all’ottenimento di
un provvedimento esplicito sulla sua
domanda. Volendo ritenere il contrario,
dovrebbe ammettersi che chi ha azionato il
procedimento amministrativo in realtà voglia
indebitamente approfittare, in via di fatto,
degli effetti perversi conseguenti
all’inerzia dell’amministrazione.
In conseguenza i proprietari del fondo che
avevano presentato l’istanza di condono non
sono parti necessarie, alle quali il ricorso
avrebbe dovuto essere notificato a pena di
inammissibilità del primo giudizio, perché
non sono titolari di una situazione
soggettiva di segno opposto a quello fatto
valere con il ricorso in I grado.
Di qui la piena ammissibilità del gravame in
primo grado.
---------------
In linea
di principio, alla concessione edilizia in
sanatoria di cui all'art. 31, l. 28.02.1985,
n. 47 sono applicabili i principi in materia
di legittimazione all'impugnazione da parte
dei proprietari dei fondi confinanti incisi
dalla sanatoria dell'illecito non conforme a
legge.
Come la Sezione ha già avuto modo di
chiarire, tale legittimazione sussiste per
il fatto stesso che il terzo si trovi nella
zona interessata dalla costruzione oggetto
di sanatoria, a prescindere da ogni indagine
sulla sussistenza di un ulteriore specifico
interesse (cfr. Consiglio Stato, sez. IV,
30.11.2009, n. 7491).
In tali casi deve riconoscersi una posizione
di interesse qualificato all'impugnativa a
chi si trovi in una situazione di stabile
collegamento con la zona, senza che sia
richiesta la prova di un danno specifico:è
insito nella violazione edilizia stessa, il
danno a tutti i membri di quella
collettività derivante dalla presenza di
immobili od abitazioni ubicate su un terreno
comunque in prossimità delle loro aree
(Consiglio Stato, sez. VI, 01.02.2010, n.
400; idem 16.03.2010 n. 1535)
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 27.10.2011 n. 5775 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Al
di là della individuazione delle aree
golenali, la particolarità del lotto, che
non è inserito nell’ambito di un’area
totalmente edificata, esclude la qualità
della stessa di lotto intercluso, essendo
evidente che una tale qualità, in tanto
sussiste in quanto lo stesso si trovi
circondato da altri lotti edificati in
un’area totalmente urbanizzata, mentre è
fuori discussione che qualsiasi intervento
edificatorio nella zona, per le norme di
salvaguardia, andava preceduto da uno
specifico piano attuativo, che non c’è
stato.
In linea di principio, l’esonero dalla
previa formazione dello strumento di
pianificazione attuativa pur contemplato dal
piano regolatore generale comunale può
avvenire riguardo nell’ipotesi del c.d.
“lotto intercluso”, nel quale –per
l’appunto- nessuno spazio si rinviene per
un’ulteriore pianificazione e che va
conseguentemente identificato quale lotto
residuale ubicato in area completamente
urbanizzata, fermo restando che può essere
al caso considerato intercluso anche il
lotto affacciante sulla pubblica via e
compreso tra edifici che sorgono su almeno
due lati.
A’ sensi dell’art. 9 del T.U. approvato con
D.P.R. 08.06.2001 n. 380, nella aree per le
quali non sono stati approvati gli strumenti
urbanistici attuativi di quello generale è
inibita qualsiasi attività edilizia, a meno
che questa non debba essere svolta
all’interno di un lotto intercluso; con la
precisazione che la relativa fattispecie
costituisce una deroga eccezionale al
divieto per le amministrazioni comunali di
rilasciare un permesso di costruire in
assenza della preventiva approvazione dei
piani attuativi previsti dallo strumento
urbanistico generale.
In conseguenza di ciò, non è comunque
sufficiente un qualunque stadio
d’urbanizzazione di fatto per eludere
l’obbligatorietà della pianificazione
attuativa, essendo -semmai– doveroso il
ricorso a quest’ultima fino a quando essa
conservi una qualche utile funzione anche in
aree compromesse o urbanizzate, e fermo
altresì restando che l’Amministrazione
Comunale, prima di assentire l’edificazione
diretta nel presupposto della sussistenza
del lotto intercluso, deve accertare,
motivando adeguatamente sul punto, che la
pianificazione esecutiva non conservi
un’utile funzione e non sia in grado di
esprimere scelte programmatorie distinte
rispetto a quelle contenute nel piano
regolatore generale.
La Sezione, a tale riguardo, si è
esplicitamente pronunciata confermando sul
punto quanto già affermato dal TAR, ossia
rilevando che “al di là della
individuazione delle aree golenali, la
particolarità del lotto, che non è inserito
nell’ambito di un’area totalmente edificata,
esclude la qualità della stessa di lotto
intercluso, essendo evidente che una tale
qualità, in tanto sussiste in quanto lo
stesso si trovi circondato da altri lotti
edificati in un’area totalmente urbanizzata,
mentre è fuori discussione che qualsiasi
intervento edificatorio nella zona, per le
norme di salvaguardia, andava preceduto da
uno specifico piano attuativo, che non c’è
stato” (cfr. pag. 7 della decisione qui
impugnata); e, come è ben noto, al fine
della stessa ammissibilità dell’istanza
revocatoria, la stessa non deve riguardare
un punto controverso sul quale il giudice si
sia espressamente pronunciato (cfr. al
riguardo, ex plurimis, Cons. Stato,
Sez. VI, 23.02.2011 n. 1145, secondo cui
l’errore di fatto idoneo a costituire il
vizio revocatorio previsto dall'art. 395 n.
4, c.p.c. deve consistere in un travisamento
di fatto costitutivo di quell’“abbaglio
dei sensi” che cade –per l’appunto- su
un punto decisivo ma non espressamente
controverso della causa.: la ratio di
tale condivisibile orientamento si fonda
sulla necessità di evitare che tale mezzo
straordinario di impugnazione si trasformi
in un gravame, teoricamente reiterabile più
volte e idoneo a condizionare sine die
il passaggio in giudicato di una pronuncia
giurisdizionale).
Comunque sia, è ben noto che –in linea di
principio– l’esonero dalla previa formazione
dello strumento di pianificazione attuativa
pur contemplato dal piano regolatore
generale comunale può avvenire riguardo
nell’ipotesi del c.d. “lotto intercluso”,
nel quale –per l’appunto- nessuno spazio si
rinviene per un’ulteriore pianificazione
(cfr. sul punto, ex plurimis, Cons.
Stato, Sez. V, 01.12.2003 n. 7799) e che va
conseguentemente identificato quale lotto
residuale ubicato in area completamente
urbanizzata (così, ex multis, Cons.
Stato, Sez. IV, 25.05.2002 n. 2592), fermo
restando che può essere al caso
considerato intercluso anche il lotto
affacciante sulla pubblica via e compreso
tra edifici che sorgono su almeno due lati
(cfr., ad es., Cons. Stato , Sez. V,
21.10.1985 n. 339).
La giurisprudenza, pertanto, con riguardo
alla disciplina legislativa edilizia
attualmente in vigore, correntemente afferma
che a’ sensi dell’art. 9 del T.U. approvato
con D.P.R. 08.06.2001 n. 380, nella aree per
le quali non sono stati approvati gli
strumenti urbanistici attuativi di quello
generale è inibita qualsiasi attività
edilizia, a meno che questa non debba essere
svolta all’interno di un lotto intercluso
(così, ex plurimis, Cons. Stato, Sez.
IV, 21.12.2009 n. 8531), precisando
peraltro, allo stesso tempo, che la relativa
fattispecie costituisce una deroga
eccezionale al divieto per le
amministrazioni comunali di rilasciare un
permesso di costruire in assenza della
preventiva approvazione dei piani attuativi
previsti dallo strumento urbanistico
generale (così, ad es., Cons. Stato, Sez. IV,
10.06.2010 n. 3699).
In conseguenza di ciò, non è comunque
sufficiente un qualunque stadio
d’urbanizzazione di fatto per eludere
l’obbligatorietà della pianificazione
attuativa, essendo -semmai– doveroso il
ricorso a quest’ultima fino a quando essa
conservi una qualche utile funzione anche in
aree compromesse o urbanizzate (cfr. al
riguardo Cons. Stato, Sez. V, 06.10.2000 n.
5326), e fermo altresì restando che
l’Amministrazione Comunale, prima di
assentire l’edificazione diretta nel
presupposto della sussistenza del lotto
intercluso, deve accertare, motivando
adeguatamente sul punto, che la
pianificazione esecutiva non conservi
un’utile funzione e non sia in grado di
esprimere scelte programmatorie distinte
rispetto a quelle contenute nel piano
regolatore generale (Cons. Stato, Sez. IV,
10.06.2010 n. 3699)
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 27.10.2011 n. 5764 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
COMPETENZE GESTIONALI: L'ordine
di demolizione d'un edificio abusivo,
essendo un atto sanzionatorio a carattere
vincolato, è di competenza del dirigente del
settore a seguito della
devoluzione, in via generale, delle
competenze gestionali del sindaco ai
dirigenti del comune operata dagli art. 4 e
51, della riforma della autonomie locali di
cui alla L. 08.06.1990 n. 142. Tel principio
è stato poi ulteriormente chiarito dalle
disposizioni di carattere interpretativo,
rispettivamente dell’art. 6, comma 2, l. n.
127 del 1997, e dell’art. 2, l. n. 191 del
1998 con cui il legislatore ha espressamente
ricompreso, tra gli atti di gestione,
proprio i provvedimenti repressivi degli
abusi edilizi.
La giurisprudenza ha affermato che l'ordine
di demolizione d'un edificio abusivo,
essendo un atto sanzionatorio a carattere
vincolato, è di competenza del dirigente del
settore (cfr. Consiglio Stato, sez. V,
06.03.2000, n. 1149; Consiglio Stato, sez.
IV, 24.12.2008, n. 6550) a seguito della
devoluzione, in via generale, delle
competenze gestionali del sindaco ai
dirigenti del comune operata dagli art. 4 e
51, della riforma della autonomie locali di
cui alla L. 08.06.1990 n. 142. Tel principio
è stato poi ulteriormente chiarito dalle
disposizioni di carattere interpretativo,
rispettivamente dell’art. 6, comma 2, l. n.
127 del 1997, e dell’art. 2, l. n. 191 del
1998 con cui il legislatore ha espressamente
ricompreso, tra gli atti di gestione,
proprio i provvedimenti repressivi degli
abusi edilizi
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 27.10.2011 n. 5758 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Le
sanzioni edilizie hanno natura “reale” nel
senso che colpiscono il bene.
In materia di abusi edilizi, è destinatario
dell’ordine di demolizione il soggetto che
ha la disponibilità dell’opera,
indipendentemente dal fatto che l’abbia
concretamente realizzata o meno.
Al fine della legittimità dell’applicazione
delle sanzioni demolitorie,
l’Amministrazione non ha alcun obbligo di
compiere accertamenti giuridici circa
l’esistenza di particolari rapporti
interprivati, ma solo l’onere di individuare
il proprietario catastale.
In conclusione, l’ordine di demolizione di
opere abusive è legittimamente notificato al
proprietario dell’area, che ne è anche il
materiale legittimo detentore, a prescindere
dalla sua corresponsabilità o meno
dell’abuso (profilo che rileva solo ai fini
della responsabilità penale).
---------------
La “variazione essenziale” ricorre sempre
quando viene mutata la localizzazione
dell'edificio sull'area di pertinenza
rispetto al titolo edilizio: in tali casi la
costruzione è sempre abusiva quando
l’edificio è "traslato" in maniera
significativa rispetto alla localizzazione
autorizzata nelle tavole progettuali.
L’abusività della medesima è dalla legge
collegata al fatto che la traslazione
avrebbe dovuto comportare una nuova
valutazione del progetto da parte
dell'amministrazione, sotto il profilo della
sua compatibilità con i parametri
urbanistici e, come nel caso in esame con le
caratteristiche, le connotazioni e le
limitazioni dell'area. Al riguardo, in caso
di difformità tra fabbricato realizzato e
progetto, quello che ha rilievo ai fini
giuridici è sempre quest’ultimo.
-------------
Gli abusi edilizi sono essere considerati
illeciti di carattere permanente, costituiti
dall'omissione della spontanea demolizione
da effettuare per adeguare lo stato di fatto
a quello di diritto.
Di conseguenza, l'obbligo di disporre la
demolizione nasce nel momento della
realizzazione del manufatto, ed esclude che
sia configurabile la violazione del
principio di irretroattività della legge per
fatti commessi prima della sua entrata in
vigore, poiché il fatto che consente la
demolizione è caratterizzato proprio
dall'omessa demolizione di quanto è stato
insanabilmente realizzato e dalla sua
incidenza sugli interessi urbanistici.
---------------
L'ordine di demolizione di un’opera edilizia
abusiva è, quindi, sufficientemente motivato
con la sola affermazione della accertata
abusività dell'opera stessa.
Il provvedimento di demolizione, al pari di
tutti i provvedimenti sanzionatori in
materia edilizia, è atto vincolato che non
richiede una specifica valutazione delle
ragioni di interesse pubblico, né una
comparazione di quest'ultimo con gli
interessi privati coinvolti e sacrificati,
né una motivazione sulla sussistenza di un
interesse pubblico concreto ed attuale alla
demolizione, non potendo neppure ammettersi
l'esistenza di alcun affidamento tutelabile
alla conservazione di una situazione di
fatto abusiva, che il tempo non può giammai
legittimare.
Le sanzioni
edilizie hanno natura “reale” nel
senso che colpiscono il bene.
In materia di abusi edilizi, è destinatario
dell’ordine di demolizione il soggetto che
ha la disponibilità dell’opera,
indipendentemente dal fatto che l’abbia
concretamente realizzata o meno (cfr.
Consiglio Stato, sez. IV, 12.04.2011, n.
2266).
Al fine della legittimità dell’applicazione
delle sanzioni demolitorie,
l’Amministrazione non ha alcun obbligo di
compiere accertamenti giuridici circa
l’esistenza di particolari rapporti
interprivati, ma solo l’onere di individuare
il proprietario catastale (cfr. Consiglio
Stato, sez. V, 31.03.2010, n. 1878).
In conclusione, l’ordine di demolizione di
opere abusive è legittimamente notificato al
proprietario dell’area, che ne è anche il
materiale legittimo detentore, a prescindere
dalla sua corresponsabilità o meno
dell’abuso (profilo che rileva solo ai fini
della responsabilità penale).
---------------
Secondo il principio generale posto
dall’art. 8 della L. n. 47/1985 (che
peraltro oggi risulta definitivamente
trasposto nell'art. 32, lett. c), d.P.R.
06.06.2001 n. 380), la “variazione
essenziale” ricorre sempre quando viene
mutata la localizzazione dell'edificio
sull'area di pertinenza rispetto al titolo
edilizio: in tali casi la costruzione è
sempre abusiva quando l’edificio è "traslato"
in maniera significativa rispetto alla
localizzazione autorizzata nelle tavole
progettuali.
L’abusività della medesima è dalla legge
collegata al fatto che la traslazione
avrebbe dovuto comportare una nuova
valutazione del progetto da parte
dell'amministrazione, sotto il profilo della
sua compatibilità con i parametri
urbanistici e, come nel caso in esame con le
caratteristiche, le connotazioni e le
limitazioni dell'area. Al riguardo, in caso
di difformità tra fabbricato realizzato e
progetto, quello che ha rilievo ai fini
giuridici è sempre quest’ultimo.
---------------
Gli abusi
edilizi sono essere considerati illeciti di
carattere permanente, costituiti
dall'omissione della spontanea demolizione
da effettuare per adeguare lo stato di fatto
a quello di diritto.
Di conseguenza, l'obbligo di disporre la
demolizione nasce nel momento della
realizzazione del manufatto, ed esclude che
sia configurabile la violazione del
principio di irretroattività della legge per
fatti commessi prima della sua entrata in
vigore, poiché il fatto che consente la
demolizione è caratterizzato proprio
dall'omessa demolizione di quanto è stato
insanabilmente realizzato e dalla sua
incidenza sugli interessi urbanistici (cfr.
Consiglio Stato, sez. V, 12.10.2010 , n.
7392).
---------------
L'ordine di demolizione di un’opera edilizia
abusiva è, quindi, sufficientemente motivato
con la sola affermazione della accertata
abusività dell'opera stessa (cfr. Consiglio
Stato, sez. IV, 12.04.2011, n. 2266).
Esattamente il TAR ha
rilevato che il provvedimento di
demolizione, al pari di tutti i
provvedimenti sanzionatori in materia
edilizia, è atto vincolato che non richiede
una specifica valutazione delle ragioni di
interesse pubblico, né una comparazione di
quest'ultimo con gli interessi privati
coinvolti e sacrificati, né una motivazione
sulla sussistenza di un interesse pubblico
concreto ed attuale alla demolizione, non
potendo neppure ammettersi l'esistenza di
alcun affidamento tutelabile alla
conservazione di una situazione di fatto
abusiva, che il tempo non può giammai
legittimare (cfr. Consiglio Stato , sez. V,
27.04.2011, n. 2497; Consiglio Stato, sez.
V, 11.01.2011, n. 79)
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 27.10.2011 n. 5758 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI: Il
conseguimento -a seguito del
silenzio-accoglimento- del provvedimento
favorevole non esclude che l'amministrazione
possa esercitare, in via di autotutela,
ulteriori controlli di legittimità e di
merito in ordine all'autorizzazione
assentita ed eventualmente pronunciarne
l'annullamento, senza dover motivare circa
le ragioni di interesse pubblico attuale.
In linea
generale, deve rilevarsi che il
conseguimento -a seguito del silenzio-accoglimento- del provvedimento favorevole
non esclude che l'amministrazione possa
esercitare, in via di autotutela, ulteriori
controlli di legittimità e di merito in
ordine all'autorizzazione assentita ed
eventualmente pronunciarne l'annullamento,
senza dover motivare circa le ragioni di
interesse pubblico attuale (cfr. Consiglio
Stato, sez. VI, 25.07.2006, n. 4620)
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 27.10.2011 n. 5758 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La nozione di “area di sedime” si
riferisce ex se non all’interrato ma alla
sola edificazione “fuori terra”, in quanto
indica la superficie coperta di un edificio
risultante dalla proiezione sul piano
orizzontale delle parti edificate fuori
terra e delimitate dalle superfici esterne
delle murature perimetrali.
La nozione di “area di sedime” si
riferisce ex se non all’interrato, ma
alla sola edificazione “fuori terra”,
in quanto indica la superficie coperta di un
edificio risultante dalla proiezione sul
piano orizzontale delle parti edificate
fuori terra e delimitate dalle superfici
esterne delle murature perimetrali (così, ad
es., Cons. Stato, Sez. V, 08.01.1998 n. 55)
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 27.10.2011 n. 5756 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: La
difformità tra bando e lettera d’invito può
produrre una lesione della par condicio dei
partecipanti alla gara.
Nelle procedure ristrette, infatti, vale la
regola dell’inderogabilità del bando da
parte della lettera d’invito, collegata sia
alla funzione meramente integrativa della
lettera d’invito rispetto al bando, sia alla
necessità che le prescrizioni rese note alla
generalità degli aspiranti a partecipare
alla gara non possano essere modificate con
un atto rivolto alle sole imprese che
abbiano chiesto di partecipare.
L’applicazione di questa regola implica che
ove la stazione appaltante riscontri una
illegittimità ovvero intenda modificare le
prescrizioni del bando di gara, non può
procedere ad una sua rettifica mediante la
lettera d’invito, ma è tenuta ad utilizzare
per la modifica lo strumento del contrarius
actus. Parimenti, quando illegittimità
vengano riscontrate nella lettera d’invito,
né l’amministrazione né la Commissione hanno
il potere di emendarla dopo l’apertura delle
offerte, avendo la possibilità di annullare
l’intera gara.
Secondo i giudici del
Consiglio di Stato, pertanto, nonostante
sotto il profilo interpretativo, il
contrasto tra bando e lettera d’invito vada
risolto in base alla prevalenza del primo,
quale lex specialis della selezione
concorsuale (Cons. St. Sez. V, 29.03.2004, n.
1660, che richiama il parere della Sez. II,
n. 149 del 07.03.2001), ciò non toglie che
la difformità tra i due atti
–indipendentemente dai motivi che abbiano,
consapevolmente o per mero errore materiale,
indotto l’amministrazione alla modifica
delle prescrizioni nella lettera d’invito-
sia idonea, in concreto, a pregiudicare
l’imparzialità e l’applicazione uniforme
delle regole nei confronti di tutti i
partecipanti.
Nella pronuncia in commento, la società
ricorrente, al pari degli altri concorrenti,
al momento di presentare l’offerta, ha
dovuto tener conto della contraddittoria
modifica delle prescrizioni sulle cauzioni
ed ha presentato un’offerta confidando (o,
comunque, potendo confidare, non prevedendo
il successivo comportamento della
Commissione di valutazione)
nell’attribuzione di pesi ponderali
contenuti nella lettera d’invito difformi da
quelli indicati nel bando.
Il comportamento della stazione appaltante e
della Commissione, a parere dei giudici di
Palazzo Spada –che prima ha applicato le
regole della lettera d’invito per poi
correggersi applicando i pesi indicati nel
bando- avvalora lo stato di incertezza e la
turbativa al corretto ed uniforme
svolgimento della procedura di selezione
denunciato dalla ricorrente e la violazione
dei principi di correttezza, pubblicità,
trasparenza e par condicio tra i concorrenti
di cui agli articoli 2, 64 e 67 del codice
dei contratti pubblici, applicabili a tutte
le procedure di scelta, sia dell’appaltatore
che del concessionario, anche in base
all’espresso richiamo contenuto nell’art. 30
dello stesso codice
(commento tratto da
www.documentazione.ancitel.it - Consiglio di Stato,
Sez. V,
sentenza 27.10.2011 n. 5740 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Mansioni superiori di fatto e diritto alle
differenze retributive.
La Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, ha
stabilito che il diritto del pubblico
dipendente a percepire le differenze del
trattamento economico rispetto alla
qualifica superiore, in caso di esercizio di
fatto di mansioni superiori (senza effetto
ai fini dell'inquadramento), sussiste
sempre, anche quando si sia in presenza di
esercizio (di fatto) di funzioni
dirigenziali da parte di un funzionario.
Infatti, la ratio dell'art. 52 del D.Lgs.
165/2001 è quella di assicurare, in ogni
caso, al lavoratore, pur in assenza di un
diritto alla promozione, la retribuzione
proporzionata alla qualità del lavoro
prestato (tratto da www.publika.it -
Corte di Cassazione, Sez. lavoro,
sentenza 27.10.2011 n.
2243). |
APPALTI:
Partecipazione alle gare,
cauzione anche con assegno (circolare).
Poiché l'assegno circolare, a differenza
dell'assegno bancario, costituisce un
ordinario strumento di pagamento delle
obbligazioni pecuniarie, in tutto e per
tutto equivalente al versamento in contanti
delle somme dovute, ne consegue che in sede
di gara per l'aggiudicazione di lavori
pubblici la presentazione delle cauzioni
mediante assegno circolare deve ritenersi
ritualmente effettuata rispetto alla
previsione del bando che faccia riferimento
al versamento per numerario o in titoli di
Stato o garantiti dallo Stato. In sede di
gara di appalto la cauzione costituisce
parte integrante dell’offerta e non un
elemento di corredo della stessa ed ha, come
ragione di essere, la finalità di garantire
la serietà della partecipazione alla gara e
l'adempimento dell'impegno a contrattare in
caso di aggiudicazione.
Tale funzione è ugualmente assicurata, oltre
che dalla quietanza rilasciata da una
Tesoreria Provinciale dello Stato ovvero da
una polizza assicurativa o da una
fideiussione bancaria, anche dalla
presentazione di un assegno circolare che, a
differenza dell'assegno bancario,
costituisce un ordinario strumento di
pagamento delle obbligazioni pecuniarie, in
tutto e per tutto equivalente al versamento
in contanti delle somme dovute.
D'altra parte, secondo un orientamento della
Suprema Corte di Cassazione la consegna di
assegni circolari, pur non equivalendo
direttamente al pagamento a mezzo di somme
di danaro, estingue l'obbligazione quando il
rifiuto del creditore appare contrario alle
regole di correttezza che gli impongono
l'obbligo di prestare la sua collaborazione
all'adempimento dell'obbligazione a norma
dell'art. 1175 C.C.; la stessa natura
dell'assegno circolare assicura al legittimo
portatore la sicurezza di conseguire la
somma di danaro in esso indicata, così che,
salvo che non vi siano dubbi sulla sua
regolarità o autenticità ovvero salvo che
non vi sia un apprezzabile interesse a
ricevere il danaro in contanti, anziché in
titoli, l'assegno circolare estingue
l'obbligazione.
Con parere 29.03.2007 anche l’Autorità di
Vigilanza sui contratti pubblici ha ritenuto
che Ai fini della cauzione provvisoria, la
presentazione dell’assegno circolare è stata
ritenuta ammissibile dalla giurisprudenza
amministrativa: "atteso che l'assegno
circolare, a differenza dell'assegno
bancario, costituisce un ordinario strumento
di pagamento delle obbligazioni pecuniarie,
in tutto e per tutto equivalente al
versamento in contanti delle somme dovute,
in sede di gara per l'aggiudicazione di
lavori pubblici la presentazione delle
cauzioni mediante assegno circolare deve
ritenersi ritualmente effettuata rispetto
alla previsione del bando che faccia
riferimento al versamento per numerario o in
titoli di Stato o garantiti dallo Stato”.
Ciò premesso, si tratta di verificare se
l’assegno circolare tratto da una sola delle
imprese (la mandataria) del costituendo
raggruppamento possa garantire in tutto e
per tutto la stazione appaltante anche nel
caso in cui l’eventuale inadempimento sia
ascrivibile ad altra impresa associanda
(mandante).
Ritiene il Collegio che la garanzia offerta
nella specie soddisfi alla disciplina di
gara, in conformità con quanto previsto dal
codice dei contratti pubblici; la cauzione
può essere, infatti, a scelta
dell’offerente, costituita, tra l’altro, in
contanti o in titoli del debito pubblico a
titolo di pegno a favore
dell’amministrazione aggiudicatrice; nel
caso in esame la stessa è stata costituita
con assegno circolare, nel rispetto, per
quanto sopra rilevato, della disciplina di
settore; solo che, nell’allegare detti
assegni all’offerta, non è stato fatto
esplicito riferimento all’ATI costituenda,
né alla mandante.
È non di meno da ritenere che, essendovi
sostanziale coincidenza tra la garanzia in
numerario e l’assegno circolare (che è
coperto dalla banca emittente, che ne
garantisce la copertura per l’intero importo
pari al prescritto 2% dell’importo posto a
base di gara), l’assegno stesso costituisca
una sorta di garanzia reale, in virtù della
quale l’eventuale inadempimento da parte
dell’ATI, indipendentemente dall’impresa
associanda alla quale è dovuto, viene
garantito dalla possibilità stessa, per la
stazione appaltante, di riscuotere l’assegno
stesso presso la banca emittente, senza che
questa possa eccepire alcunché o opporre
ostacoli alla corresponsione del dovuto,
mentre eventuali divergenze interpretative
per ciò che attiene all’impresa
oggettivamente responsabile
dell’inadempimento dovranno essere risolte
tra le imprese associande, senza che nelle
eventuali controversie tra di esse possa
essere coinvolta la stazione appaltante.
Come ritenuto dalla stazione appaltante,
quindi, si è trattato della presentazione di
una garanzia immediata, potendo essa stessa
escutere direttamente la cauzione
presentando in banca il titolo in suo
possesso, senza correre il rischio connesso
ad eventuali eccezioni del terzo in ordine
all’estensione soggettiva della garanzia
(laddove, invece, nell’ipotesi di garanzia
offerta mediante polizza fideiussoria da un
soggetto terzo in base ad un rapporto di
natura obbligatoria, le imprese debbono
essere intestatarie tutte della cauzione
stessa, onde garantire la stazione
appaltante da eventuali eccezioni del
fideiussore in ordine ad inadempimenti
imputabili ai soggetti che non risultano
intestatari della polizza medesima).
Donde, in definitiva, la piena tutela
assicurata da detto strumento finanziario
alla stazione appaltante; strumento che, in
quanto allegato dall’ATI concorrente
all’offerta quale garanzia della stessa e
per il prescritto importo percentuale, non
poteva che essere riferita a quest’ultima ed
agli eventuali inadempimenti di entrambe le
associande (commento tratto da www.ipsoa.it
- TAR Toscana, Sez. I,
sentenza 27.10.2011 n.
1584 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA: L'escussione,
da parte del Comune, di una polizza
fideiussoria concessa a garanzia di somme
pattuite in una convenzione di
lottizzazione, rientra nella giurisdizione
del G.O..
La controversia da cui è tratto questo
principio si incentrava sull'annullamento di
una sentenza del TAR che aveva
considerato inammissibile il ricorso
proposto per l’annullamento delle
deliberazioni con le quali un Comune aveva
accertato l’inadempimento degli obblighi
assunti dal ricorrente con convenzione,
decidendo di ottenere il pagamento della
penale prevista.
Secondo il ricorrente la
convenzione stipulata tra il Comune ed un
costruttore privato, con la quale questi,
per ottenere una licenza di costruzione, si
obblighi a determinati adempimenti nei
confronti del Comune, non costituisce atto
di diritto privato e rappresenta invece un
atto intermedio del procedimento
amministrativo diretto al conseguimento del
provvedimento finale; dalla convenzione,
pertanto, derivano poteri autoritativi e le
relative controversie appartengono al
provvedimento concessorio, con giurisdizione
del G.A..
I giudici del Consiglio di Stato
hanno, al contrario, riconosciuto la natura
di attività privatistica alla possibilità
prevista nella convenzione a favore del
Comune di chiedere il pagamento di una
penale ex art. 1382 del c.c. (che stabilisce
che la clausola, con cui si conviene che, in
caso d'inadempimento o di ritardo
nell'adempimento, uno dei contraenti è
tenuto a una determinata prestazione, ha
l'effetto di limitare il risarcimento alla
prestazione promessa, se non è stata
convenuta la risarcibilità del danno
ulteriore), sia perché nel prevedere essa
penale l’Amministrazione è ricorsa ad un
contratto e non ha al riguardo emanato un
provvedimento autoritativo e sia perché per
ottenere quella prestazione non può agire in
autotutela.
Osservano in proposito gli
stessi giudici che in linea generale
sussiste la giurisdizione del G.A. in ordine
alle controversie inerenti a convenzioni
urbanistiche, ex art. 11, comma 5, della l.
n. 241/1990, che devolve al G.A. la
giurisdizione esclusiva sulle controversie
relative alla formazione, conclusione ed
esecuzione degli accordi sostitutivi del
provvedimento conclusi dalla p.a. con gli
interessati, ed è applicabile, quale norma
sulla giurisdizione, anche agli accordi
stipulati, come nel caso in rassegna,
anteriormente alla sua entrata in vigore.
Essi non possono però ritenersi dotati della
specifica autonomia, fonte negoziale di
regolamento dei contrapposti interessi delle
parti stipulanti, che ha invece
caratterizzato l’apposizione della clausola
di cui trattasi alla convenzione intercorsa
tra le parti, in deroga alla normativa
urbanistica comunale all’epoca vigente e non
esplicitamente prevista ed individuata dalla
l.r. n. 1/1982 in base alla quale è stata
stipulata, che fa riferimento genericamente
alla necessarietà di garanzie per gli
impegni assunti.
Non può quindi riconoscersi natura di
accordo procedimentale previsto da detto
art. 11, comma 5, della l. n. 241/1990 alla
convenzione stipulata nel caso per cui è
causa, che riguarda invece un rapporto
privatistico qualificabile come garanzia a
prima richiesta e che configura un contratto
autonomo di garanzia, espressione
dell'autonomia negoziale ex art. 1322 c.c.,
che ha la funzione di tenere indenne il
creditore dalle conseguenze del mancato
adempimento della prestazione gravante sul
debitore principale e che può riguardare
anche un fare infungibile; come tale esso è
volto a trasferire da un soggetto ad un
altro il rischio economico connesso alla
mancata esecuzione di una prestazione
contrattuale, che può dipendere o meno
dall'inadempimento del debitore e non è
quindi condizionato necessariamente
all'esatto adempimento della medesima
prestazione principale, come nel caso della
fideiussione
(commento tratto da
www.documentazione.ancitel.it - Consiglio di Stato,
Sez. V,
sentenza 26.10.2011 n. 5711 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
divieto di costruire nuovi edifici o di
ampliare quelli esistenti, sancito dall’art.
338 del R.D. n. 1265/1934 integra, in via
ordinaria, un vincolo di inedificabilità
assoluta.
Ne deriva che non trova applicazione, in
relazione ad abusi edilizi realizzati
all’interno dell’area di rispetto
cimiteriale, l’istituto del
silenzio-assenso, stante il disposto
dell’art. 35, comma 12, della legge n.
47/1985.
La deroga alla distanza minima di duecento
metri dai cimiteri può riguardare soltanto
l’ampliamento degli stessi, e non anche
l’attività edificatoria dei privati;
infatti, con l’entrata in vigore dell’art.
57, comma 4, del D.P.R. n. 285/1990, si
registrano due distinti regimi di
inedificabilità per quanto concerne la
fascia di rispetto cimiteriale: per gli
ampliamenti dei cimiteri esistenti tale
fascia è ridotta a 100 o 50 metri, con
possibilità per i comuni di estenderne
l’ampiezza ma non di ridurla ulteriormente,
mentre per le restanti edificazioni la
misura della zona di rispetto è stabilita in
200 metri dal perimetro dei cimiteri.
Il vincolo così regolamentato, costituendo
vincolo assoluto di inedificabilità ex lege,
è tale da prevalere anche su eventuali
disposizioni contrarie del PRG: trattasi di
vincolo operante ex se, indipendentemente
dagli strumenti urbanistici vigenti ed
eventualmente anche in contrasto con i
medesimi.
---------------
Il vincolo cimiteriale riguarda anche gli
edifici sparsi utilizzati per il ricovero di
attrezzi agricoli o aventi destinazione
diversa da quella abitativa, ponendosi anche
rispetto ad essi l’esigenza, perseguita
dall’art. 338, comma 1, del R.D. n.
1265/1934, di salvaguardare la salubrità
pubblica e di consentire futuri ampliamenti
del cimitero.
---------------
La riduzione della fascia di rispetto
cimiteriale è possibile, a seguito
dell’entrata in vigore del D.P.R. n.
285/1990, solo a beneficio di ampliamenti
del cimitero, e non per incrementare l’area
di edificabilità privata. Il vincolo de quo,
come risulta da consolidato orientamento
giurisprudenziale puntualmente richiamato
nella trattazione della prima censura,
comporta l’inedificabilità assoluta nella
fascia dei 200 metri e trova applicazione
diretta, indipendentemente dalle previsioni
dello strumento urbanistico, con la
conseguenza che appare corretto il
riferimento, espresso nell’atto impugnato,
all’art. 33 della legge n. 47/1985.
Invero la presenza del manufatto all’interno
della predetta fascia rappresenta, per
applicazione diretta dell’art. 338 del R.D.
n. 1265/1934, ragione di per sé ostativa
alla regolarizzazione dell’abuso.
Il divieto di costruire nuovi edifici o di
ampliare quelli esistenti, sancito dall’art.
338 del R.D. n. 1265/1934 integra, in via
ordinaria, un vincolo di inedificabilità
assoluta (Cons. Stato, V, 23/08/2000, n.
4574; TAR Campania, Napoli, II, 13/02/2009,
n. 802; idem, 25/01/2007, n. 711; TAR
Toscana, III, 02/07/2008, n. 1712).
Ne deriva che non trova applicazione, in
relazione ad abusi edilizi realizzati
all’interno dell’area di rispetto
cimiteriale, l’istituto del
silenzio-assenso, stante il disposto
dell’art. 35, comma 12, della legge n.
47/1985.
La deroga alla distanza minima di duecento
metri dai cimiteri può riguardare soltanto
l’ampliamento degli stessi, e non anche
l’attività edificatoria dei privati;
infatti, con l’entrata in vigore dell’art.
57, comma 4, del D.P.R. n. 285/1990, si
registrano due distinti regimi di
inedificabilità per quanto concerne la
fascia di rispetto cimiteriale: per gli
ampliamenti dei cimiteri esistenti tale
fascia è ridotta a 100 o 50 metri, con
possibilità per i comuni di estenderne
l’ampiezza ma non di ridurla ulteriormente,
mentre per le restanti edificazioni la
misura della zona di rispetto è stabilita in
200 metri dal perimetro dei cimiteri (Cons.
Stato, V, 23/08/2000, n. 4574; TAR Sicilia,
Catania, I, 19/05/2003, n. 791).
Il vincolo così regolamentato, costituendo
vincolo assoluto di inedificabilità ex
lege, è tale da prevalere anche su
eventuali disposizioni contrarie del PRG:
trattasi di vincolo operante ex se,
indipendentemente dagli strumenti
urbanistici vigenti ed eventualmente anche
in contrasto con i medesimi (Cons. Stato, V,
27/08/1999, n. 1006; idem, IV, 27/10/2009,
n. 6547).
---------------
Il vincolo cimiteriale riguarda anche gli
edifici sparsi (Cons. Stato, V, 14/09/2010,
n. 6671; idem, 03/05/2007, n. 1933; TAR
Campania, Napoli, II, 13/02/2009, n. 802;
idem, 25/01/2007, n. 711) utilizzati per il
ricovero di attrezzi agricoli o aventi
destinazione diversa da quella abitativa
(Cons. Stato, V, 23/08/2000, n. 4574),
ponendosi anche rispetto ad essi l’esigenza,
perseguita dall’art. 338, comma 1, del R.D.
n. 1265/1934, di salvaguardare la salubrità
pubblica e di consentire futuri ampliamenti
del cimitero (TAR Abruzzo, L’Aquila, I,
14/10/2008, n. 1141).
---------------
La riduzione della fascia di rispetto
cimiteriale è possibile, a seguito
dell’entrata in vigore del D.P.R. n.
285/1990, solo a beneficio di ampliamenti
del cimitero, e non per incrementare l’area
di edificabilità privata (Cons. Stato, V,
23/08/2000, n. 4574; TAR Puglia, Bari, II,
07/06/1999, n. 392). Il vincolo de quo,
come risulta da consolidato orientamento
giurisprudenziale puntualmente richiamato
nella trattazione della prima censura,
comporta l’inedificabilità assoluta nella
fascia dei 200 metri e trova applicazione
diretta, indipendentemente dalle previsioni
dello strumento urbanistico, con la
conseguenza che appare corretto il
riferimento, espresso nell’atto impugnato,
all’art. 33 della legge n. 47/1985.
Invero la presenza del manufatto all’interno
della predetta fascia rappresenta, per
applicazione diretta dell’art. 338 del R.D.
n. 1265/1934, ragione di per sé ostativa
alla regolarizzazione dell’abuso
(TAR Toscana, Sez. III,
sentenza 25.10.2011 n. 1542 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Ai
fini della presentazione della domanda di
sanatoria edilizia è sufficiente l’esistenza
di un contratto preliminare relativo
all’acquisto dell’immobile, avuto riguardo
all’esperibilità della tutela in forma
specifica, ex art. 2932 c.c., in caso di
inadempimento della controparte.
Alla luce di un significativo orientamento
giurisprudenziale al quale il Collegio
ritiene di aderire, ai fini della
presentazione della domanda di sanatoria
edilizia è sufficiente l’esistenza di un
contratto preliminare relativo all’acquisto
dell’immobile, avuto riguardo all’esperibilità
della tutela in forma specifica, ex art.
2932 c.c., in caso di inadempimento della
controparte (Cons. Stato, IV, 27/10/2009, n.
6545; TAR Puglia, Lecce, III, 07/04/2011, n.
612) (TAR
Toscana, Sez. III,
sentenza 25.10.2011 n. 1541 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: L’art. 873 c.c. non
contiene una definizione di costruzione,
rilevante ai fini del calcolo delle distanze
tra edifici; tale definizione è data
dall’interpretazione giurisprudenziale,
secondo cui vi rientra qualsiasi opera non
totalmente interrata avente i caratteri
della solidità e immobilizzazione rispetto
al suolo, compresi i balconi e le scale
esterne in muratura.
---------------
La concessione edilizia in sanatoria può
introdurre o recepire prescrizioni tese ad
imporre correttivi sull’esistente, qualora
si tratti, come nel caso di specie, di
integrazioni minime, di esigua entità, che
consentano il ripristino della salvaguardia
di diritti dei terzi.
L’art. 17 delle
N.T.A. del piano regolatore approvato con
deliberazione regionale n. 11302 del
12/12/1988 (richiamato da Grilli s.a.s.
nella memoria difensiva; documento n. 4
depositato in giudizio dalla stessa) prevede
che non vadano considerate, ai fini del
calcolo delle distanze tra edifici e dai
confini, “le sporgenze dei balconi che
abbiano uno sbalzo inferiore a 2 metri e,
sempre nel limite di 2 metri dal corpo di
fabbrica principale, tutte le scale esterne
sia principali che di servizio insieme agli
aggetti delle coperture”. Analoga
esclusione dal computo delle distanze è
prevista dall’art. 7 delle N.T.A. del
regolamento urbanistico, nel testo vigente
al momento dell’emissione del gravato
provvedimento.
La disposizione di cui al citato art. 17,
tuttavia, è intitolata “distanze tra gli
edifici”, assume a presupposto la
distanza, maggiore di quella prevista
dall’art. 873 c.c., dettata dalla normativa
comunale, sviluppa la disciplina dell’art.
16 dedicata alla distanza degli edifici dai
confini (disciplina che completa quanto
statuito dall’art. 873 c.c., facente
riferimento non alla distanza dal confine ma
alla distanza tra costruzioni), e fa
espressamente salve le disposizioni del
codice civile, con la conseguenza che il
criterio di esclusione da essa introdotto
riguarda il computo delle distanze da
rispettare nella costruzione degli edifici,
e non l’apertura di vedute e balconi, la cui
dislocazione è disciplinata dall’art. 905
c.c., ispirato a finalità del tutto diverse
da quelle perseguite dall’art. 873 c.c. ed
applicabile alle scale esterne o ai
pianerottoli in cui sia possibile l’affaccio
verso il fondo altrui (ex multis:
Cons. Stato, IV, 21/02/2011, n. 1086; Cass.,
II, 15/10/2008, n. 25188).
Invero l’art. 873 c.c. non contiene una
definizione di costruzione, rilevante ai
fini del calcolo delle distanze tra edifici;
tale definizione è data dall’interpretazione
giurisprudenziale, secondo cui vi rientra
qualsiasi opera non totalmente interrata
avente i caratteri della solidità e
immobilizzazione rispetto al suolo (Cass.,
II, 19/10/2009, n. 22127), compresi i
balconi (Cass., II, 25/03/2004, n. 5963) e
le scale esterne in muratura (Cass., II,
30/01/2007, n. 1966).
In tale contesto l’art. 17 delle N.T.A. si
limita a precisare la nozione di costruzione
rilevante ai fini del computo delle distanze
dell’edificio dal confine o tra edifici,
escludendo da essa, con statuizione
chiarificatrice, i balconi e le scale
esterne, integrando così quanto sancito
dall’art. 873 c.c. e facendo salva per il
resto la normativa codicistica (compreso
l’art. 905 c.c.).
Di ciò è apparsa consapevole la stessa parte
controinteressata, in quanto, nella
relazione annessa alla domanda di
concessione in sanatoria, il tecnico
incaricato ha precisato che “in
corrispondenza del confine dovrà essere
installato un parapetto frangisole di
altezza tale da non consentire la vista
diretta o laterale verso la proprietà
confinante” (documento n. 3 depositato
in giudizio da Grilli s.a.s.).
Il Comune di Monsummano, nel rilasciare il
titolo richiesto, non ha espressamente
recepito la prescrizione indicata nella
relazione tecnica; tuttavia il gravato
provvedimento, richiamando indistintamente
la relazione tecnica medesima e tutti gli
elaborati e documenti annessi all’istanza,
non prescinde dalla dichiarazione scritta
del tecnico incaricato in punto di necessità
di installare un adeguato parapetto
frangisole a tutela del diritto del
confinante, dichiarazione che vale come
persistente impegno del richiedente ad
integrare l’opera in tal senso.
Invero la concessione edilizia in sanatoria
può introdurre o recepire prescrizioni tese
ad imporre correttivi sull’esistente,
qualora si tratti, come nel caso di specie,
di integrazioni minime, di esigua entità
(TAR Liguria, I, 04/11/2004, n. 1515; idem,
11/07/2007, n. 1380; TAR Campania, Napoli,
VIII, 30/10/2006, n. 9249), che consentano
il ripristino della salvaguardia di diritti
dei terzi (TAR
Toscana, Sez. III,
sentenza 25.10.2011 n. 1541 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Diritto di accesso agli atti da parte delle
organizzazioni sindacali.
Il TAR Lazio (Roma) ha sancito il diritto
delle organizzazioni sindacali all'accesso
agli atti anche relativi a singole posizioni
lavorative dei pubblici dipendenti.
Gli atti
debbono essere esibiti, con consentita
facoltà di estrazione di copia e, in
presenza di dati sensibili e/o altrimenti
preclusivi alla divulgabilità, si dovrà fare
ricorso ad idonee forme di "opacizzazione"
ovvero di "oscuramento" di
elementi comunque suscettibili di consentire
una identificazione soggettiva (tratto da www.publika.it -
TAR Lazio-Roma, Sez. I,
sentenza 18.10.2011 n.
8014 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
PUBBLICO IMPIEGO: Attenti alle liti, l'ingiuria è
dietro l'angolo.
Il preside aveva attaccato un prof in
riunione. Leso l'onore e il decoro. La
cassazione detta il galateo dei rapporti.
É penalmente rilevante, ai fini del reato di
ingiuria, il comportamento del preside che,
durante una riunione del consiglio di
istituto, si rivolge a un docente
dicendogli: «Lei dice stronzate».
Lo ha
stabilito la V Sez. penale della Corte di
Cassazione con la sentenza 17.10.2011 n. 37380, una sentenza di
grande interesse visto anche l'esplodere di
comportamenti conflittuali nella scuola.
Il caso riguardava un docente, che era stato
fatto oggetto di un'aspra critica da parte
del preside, durante i lavori del consiglio
di istituto di cui facevano entrambi parte.
Secondo la versione del giudice di I grado,
peraltro, la frase esatta profferita dal
dirigente sarebbe la seguente: «Lei dice
solo stronzate». Ma l'avverbio non risultava
nel verbale di seduta. E quindi, dopo avere
subito una condanna in primo grado, il
preside era riuscito ad ottenere
l'assoluzione in appello. Secondo i giudici
di II grado, infatti, l'omessa comparizione
dell'avverbio «solo», anteposto alla parola
volgare, aveva inciso sul significato
dell'espressione profferita dal preside.
Perché la frase ne risultava indirizzata non
al modo di essere della persona offesa ma a
quanto la stessa aveva argomentato nella
specifica circostanza.
Giova ricordare che il reato di ingiuria si
configura allorquando l'apprezzamento lesivo
cade direttamente sul soggetto che lo riceve
e non sul comportamento del medesimo. Per
esempio, dire a qualcuno che è stupido è
reato. Se invece si dice alla stessa persona
che l'affermazione appena pronunciata dal
medesimo è una stupidaggine, non è reato. Il
docente, però, non si era rassegnato, ed
aveva presentato ricorso in Cassazione. E i
giudici di legittimità gli hanno dato
ragione. La sezione ha spiegato che, a
prescindere dalla presenza dell'avverbio
«solo», il comportamento del preside risulta
lesivo dell'onore e del decoro del docente.
Secondo la Corte, infatti, la collocazione
dell'episodio in una riunione di docenti di
un istituto scolastico, lo svolgimento dello
stesso in presenza di colleghi
quotidianamente impegnati in un'attività
professionale comune a quella del soggetto
passivo e la provenienza dell'espressione
contestata da un immediato superiore di
quest'ultimo sono elementi sicuramente
rilevanti nel definire l'incidenza lesiva
della condotta. E quindi il giudice di
merito avrebbe dovuto esaminarne la portata
ai fini di un compiuto giudizio
sull'esistenza o meno di un pregiudizio per
l'onore e il decoro della parte offesa nel
proprio ambiente lavorativo ed umano. Di qui
la cassazione della sentenza con rinvio ad
altra sezione della Corte d'appello
(articolo ItaliaOggi dell'08.11.2011). |
CONDOMINIO: La
delibera assembleare va sempre rispettata.
La delibera assembleare va rispettata anche
se illegittima e i condomini che intendono
far valere le loro ragioni devono impugnarla
nei modi e nei termini di legge. Ma fino
alla sua eventuale dichiarazione
d'invalidità, salvo ottenimento d'un
provvedimento di sospensione, tutti gli
interessati devono comunque rispettarla.
È
quanto affermato dalla Corte di cassazione
con la sentenza 06.10.2011 n. 20492.
La Suprema corte ha anche specificato che la
citazione deve essere notificata
all'amministratore del condominio in quanto
legale rappresentante dei comproprietari in
relazione alla gestione e conservazione
delle parti comuni dell'edificio. Una
specifica che non vale soltanto per il
giudizio di primo grado ma anche per i
successivi procedimenti d'appello e di
legittimità.
In sostanza, il condomino, che nel caso di
giudizio incentrato sull'impugnazione di una
deliberazione assembleare intende proporre
appello contro la sentenza di primo grado o
ricorso per cassazione contro quella
d'appello, deve sempre far notificare l'atto
introduttivo del giudizio all'amministratore
del condominio
(articolo ItaliaOggi
Sette del 07.11.2011). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Accesso agli atti, limiti anche per le
associazioni di consumatori. Negato a Codacons l'accesso ad atti di
Bankitalia.
Le associazioni di consumatori non
godono di un generalizzato e indifferenziato
titolo per il diritto d'accesso a tutela
degli interessi diffusi degli utenti di un
servizio. Occorre piuttosto che perché il
principio di trasparenza operi verso
l'esterno, anche per tali figure sia
sostenuto da un effettivo, attuale e
concreto interesse alla conoscenza di atti
che incidono in via diretta e immediata (in
quanto collegati alla prestazione o alla
funzione svolta), e non già in via
meramente ipotetica e riflessa, sugli
interessi collettivi degli associati.
Un’associazione
di consumatori, che rappresenta gli
interessi diffusi degli utenti di un
servizio o dei destinatari di atti
autoritativi, ha astrattamente un titolo a
richiedere l’accesso agli atti relativi
all’esercizio di una determinata attività
avente rilievo, ma deve rappresentare
l’interesse differenziato, concreto e
attuale, all’accesso ai documenti.
Secondo la giurisprudenza, tale limite è
imposto dal generale principio del
necessario interesse alla domanda
giudiziale, espresso dall’art. 100 Cod.
proc. civ., e di cui l’art. 22, comma 1,
lett. b), legge 06.08.1990, n. 241 come
sostituito dall'art. 15, l. 11.02.2005, n. 15.
Legittimati all’accesso in qualità di
interessati sono infatti “tutti i soggetti
privati, compresi quelli portatori di
interessi pubblici o diffusi, che abbiano un
interesse diretto, concreto e attuale,
corrispondente ad una situazione
giuridicamente tutelata e collegata al
documento al quale è chiesto l'accesso”.
Il diritto di accesso non corrisponde ad
un’azione popolare neanche se esercitato da
un’associazione di consumatori
rappresentativa di interessi diffusi, né può
essere utilizzato come forma di controllo
generalizzato ed indiscriminato sull’azione
amministrativa, pertanto il suo esercizio
non può che essere collegato alla
sussistenza di un interesse differenziato,
concreto e attuale, all’accesso ai
documenti.
La sentenza in esame evidenzia in
particolare come la rappresentatività di
interessi collettivi o diffusi non è
sufficiente a legittimare un generalizzato
interesse alla conoscenza di qualsivoglia
documento riferito all’attività di un
gestore di un servizio pubblico o
dell’esercente una pubblica potestà.
Occorre piuttosto che perché il principio di
trasparenza operi verso l’esterno, anche per
tali figure sia sostenuto da un effettivo,
attuale e concreto interesse alla conoscenza
di atti che incidono in via diretta e
immediata (in quanto collegati alla
prestazione o alla funzione svolta), e non
già in via meramente ipotetica e riflessa,
sugli interessi collettivi degli associati (commento tratto da www.ipsoa.it - Consiglio
di Stato, Sez. VI,
sentenza 06.10.2011 n. 5481 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Telefonia mobile. Il TAR detta
l'indirizzo interpretativo della normativa
statale.
Il TAR di Bologna ha
affermato che e' illegittimo il no
dell'amministrazione comunale
all'installazione di un impianto di
telefonia mobile, quando il rifiuto viene
motivato con l'incompatibilità tra
l'impianto e la destinazione urbanistica
della zona, qualificata come zona in
espansione da attuarsi mediante un piano
urbanistico.
Il caso.
Il caso riguarda una società gestrice di
rete ed impianti di telefonia mobile che
aveva chiesto al Comune l’installazione di
una stazione radio base. L’amministrazione
comunale ha respinto l’istanza di
autorizzazione all’installazione di una
stazione radio base.
Il Comune avena negato l’autorizzazione in
quanto sosteneva che vi era incompatibilità
tra l’impianto progettato e la disciplina
urbanistica della zona in cui esso sarebbe
stato installato.
La società gestrice di rete ed impianti di
telefonia mobile ha impugnato il diniego
davanti al Tar che ha accolto il ricorso.
La posizione del Tar
dell’Emilia Romagna.
Il Collegio giudicante nell’accogliere il
ricorso presentato dalla società gestrice di
rete ed impianti di telefonia mobile ha
affermato i seguenti principi:
1) l’art. 86, comma 3, del D.Lgs. n. 259 del
2003 ha ricondotto gli impianti di telefonia
mobile alle opere di urbanizzazione
primarie;
2) conseguentemente gli impianti di
telefonia mobile (qualificati come opere
aventi carattere di pubblica utilità) sono
ora ricondotti alle opere di urbanizzazione
e sono stati svincolati dalla destinazione
urbanistica di zona;
3) da questo deriva la conseguente
illegittimità del provvedimento comunale che
–come è avvenuto nel caso di specie– sulla
base della disciplina di zona che prevede
l’approvazione di uno strumento urbanistico
attuativo, nega al gestore di impianti di
telefonia mobile la richiesta autorizzazione
proprio in ragione della mancata
pianificazione dell’area mediante detto
strumento urbanistico attuativo.
I giudici del Tar dell’Emilia Romagna con la
sentenza in commento hanno interpretato la
normativa statale sulla telefonia mobile e
hanno tracciato le linee di comportamento
dei Comuni su questi problemi.
Ora ogni Amministrazione comunale potrebbe
per assicurare il corretto insediamento
urbanistico e territoriale degli impianti e
minimizzare l’esposizione della popolazione
ai campi elettromagnetici adottare il
regolamento previsto dall’articolo 8 della
legge 36/2001 (commento tratto da
www.ipsoa.it -
TAR Emilia
Romagna-Bologna, Sez. II,
sentenza 04.10.2011 n. 691 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
CONDOMINIO: Il
danno al decoro deve tenere il passo coi
tempi.
Ciò che è stato considerato lesivo ieri del
decoro architettonico dell'edificio può non
esserlo oggi, visto che nel tempo cambiano i
gusti e, con essi, il senso estetico comune.
A stabilirlo è la sentenza 19.08.2011 n. 1038 da parte del giudice di pace di
Grosseto.
Nello specifico, in riferimento al
caso di affissione di un condizionatore
sulla facciata di un condominio, il
magistrato toscano ha affermato che «le
nuove invenzioni, quali la televisione e il
telefono, ormai di uso comune, hanno
modificato il comune senso dell'estetica e
del decoro: le antenne televisive installate
sui tetti, le parabole satellitari,
sporgenti dai muri, gli stessi impianti di
climatizzazione, sempre più numerosi, non
vengono più percepiti come causa di
deturpazione dell'estetica delle abitazioni
e, più in generale, dell'ambiente».
Per
questo, nel caso preso in esame non
sussiste, quindi, un danno al decoro
dell'immobile condominiale, non più di
quanto possa arrecare fastidio la vista di
panni stesi alle finestre delle singole
abitazioni o ai muri condominiali
(articolo ItaliaOggi
Sette del 07.11.2011). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Immissioni che superano la normale
tollerabilità.
Odori maleodoranti, conta la capacità
inquinante del singolo.
Risponde del fatto chi autonomamente,
contribuisce a provocare esalazioni
inquinanti oltre la normale tollerabilità,
a prescindere dalla circostanza che vi siano
state cause ulteriori e diverse (come per
esempio riversamenti illeciti altrui) ad
aver incrementato gli odori maleodoranti. In
un centro destinato ad edilizia abitativa,
anche una percepibile, seppur minima,
immissione di aria fognaria, deve reputarsi
inaccettabile. Quando non vi sia una norma
di legge a fissare il limite di
tollerabilità delle immissioni, questo
viene rimesso di volta in volta alla
valutazione discrezionale del giudice.
La
fattispecie oggetto di riflessione del
Giudice è molto semplice.
La rottura dello scarico fognario di un
condominio provoca la fuoriuscita di
sostanze tossiche, che spargendosi nel fiume
vicino giungono nei pressi dell’abitazione
dell’attore rendendogli, attraverso il
promanare di esalazioni maleodoranti, l’aria
irrespirabile.
Sulla base della consulenza tecnica il
Giudice riscontra che il carattere inquinato
dell’aria deriva solo parzialmente dai
miasmi emessi dai liquami fuoriuscenti dalla
fogna dei convenuti.
Gli altri fattori sono da riscontrarsi
principalmente nel degrado dell’alveo del
fiume, in quanto utilizzato in parte come
discarica, e nella stagnazione in esso delle
acque.
In più, l’irregolarità degli allacci fognari
di molti condomini della zona crea il
sospetto, secondo i resistenti, della
presenza nello stesso rio di scarichi
illeciti.
Tenuto conto di queste rilevazioni il
giudice enuncia il principio fondamentale
secondo cui risponde del fatto chi
autonomamente, contribuisce a provocare
esalazioni inquinanti oltre la normale
tollerabilità, a prescindere dalla
circostanza che vi siano state cause
ulteriori e diverse (come per esempio
riversamenti illeciti altrui) ad aver
incrementato gli odori maleodoranti.
Nel caso di specie ciò significa che la
provenienza delle esalazioni da fonti non
rientranti nella disponibilità dei convenuti
non elimina la loro “capacità inquinante” né
quindi li solleva da responsabilità.
Il secondo aspetto interessante riguarda il
ragionamento seguito nella sentenza per
qualificare gli odori in questione
intollerabili, presupposto indispensabile
per l’accoglimento dell’azione interdittiva
ex art. 844 c.c.
Il giudice ritiene che in un centro
destinato ad edilizia abitativa, anche una
percepibile, seppur minima, immissione di
aria fognaria, deve reputarsi inaccettabile.
Trattandosi di zona densamente abitata viene
tutelata, nel caso di specie, l’esigenza
personale di vita connessa all’abitazione
rispetto all’utilizzo, tra l’altro illecito,
di condotti fognari che riversano sostanze
tossiche nelle acque fluviali.
Al contrario, nel caso in cui il
l’abitazione attorea si fosse trovata nelle
immediate vicinanze di aziende,
probabilmente si sarebbe data prevalenza
alle ragioni della produzione e le
esalazioni in questione sarebbero state
considerate accettabili.
Da queste considerazioni si ricava che
quando non vi sia una norma di legge a
fissare il limite di tollerabilità delle
immissioni, questo viene rimesso di volta in
volta alla valutazione discrezionale del
giudice, il quale nel determinarlo deve
tener conto di una serie di circostanze, tra
cui, le attività normalmente svolte in
determinato contesto produttivo, il sistema
di vita, le correnti abitudini della
popolazione in un preciso momento storico e
le condizioni dei luoghi.
Infine, il giudicante si pronuncia in merito
alla domanda di risarcimento proposta
dall’attore: quest’ultimo sostiene infatti
di aver subito, in virtù della risalenza del
fenomeno molesto, un danno derivante dalla
diminuzione del valore dell’appartamento.
Perché i condomini possano ritenersi
responsabili di tale pregiudizio, si afferma
però che si sarebbe dovuta dimostrare la
sussistenza di una serie di circostanze, tra
cui
1) la risalenza della rottura del condotto
fognario convenuto (e quindi l’esistenza
pregressa degli odori provenienti dal
liquame fuoriuscente dallo stesso);
2) la riduzione effettiva del canone di
locazione quale indice di decadimento del
valore locativo dell’immobile (commento tratto da ww.ispoa.it - TRIBUNALE
di Genova, sentenza 17.07.2011). |
AGGIORNAMENTO AL 07.11.2011 |
ã |
Sigg. Deputati e Senatori della Repubblica
Italiana:
è
ora di finirla di
prendere per i fondelli gli Italiani !! |
Lo scorso 16.08.2011 dicevamo la nostra
sulla cosiddetta "MANOVRA-BIS"
di ferragosto (economico-finanziaria di cui al D.L. 13.08.2011 n.
138) definendola semplicemente
scandalosa, laddove si colpivano tutti (o quasi) ma
che, in realtà, chi ci rimettevano veramente erano
milioni di Italiani che alla fine del mese non ci
arrivano e si indebitano sempre più nell'arrangiarsi
a campare quotidianamente.
Ci chiedevamo:
E la casta dei
politicanti?? Cosa ci mette di suo in questo momento
di duri e pesanti sacrifici??
Ricordavamo come il
Governo
-poco tempo prima- avesse licenziato il ddl
costituzionale (ad oggi, chi l'ha visto??) per la
riforma del bicameralismo perfetto con la riduzione
dei parlamentari e, conseguentemente, con la
riduzione dei costi della politica. Ma alcuni
osservatori di quotidiani nazionali hanno fatto
notare che, di fatto, è una presa in giro poiché non
vi sono i tempi tecnici, in questa legislatura, per
portare ad approvazione il ddl costituzionale de
quo dato il necessario doppio passaggio alle
Camere.
E allora?? Non si
poteva prendere al volo il treno di questa "MANOVRA-BIS"
per inserire anche il taglio di quei privilegi della
"casta dei politicanti" che tanto fanno
odiare la Politica (quella con la P maiuscola) ed
accrescono il malcontento popolare e la disaffezione
alle Istituzioni??
Ancòra lo scorso
16.08.2011, abbiamo puntualmente esplicitato l'elenco delle
varie voci che compongono lo stipendio, con annessi
e connessi, dei parlamentari italiani (fonte sito
web CAMERA DEI DEPUTATI e SENATO DELLA REPUBBLICA)
pervenendo alla constatazione come la fonte primaria
di statuizione sia da ricercarsi nella "Legge
31.10.1965, n. 1261 - Determinazione dell'indennità
spettante ai membri del Parlamento" ove,
di fatto, l'entità delle varie voci spettanti è
rimandata all'ampia discrezionalità degli Uffici di
Presidenza delle due Camere.
Cerchiamo di capire esattamente cosa dispone la
suddetta legge:
1.
L'indennità spettante ai membri del Parlamento a
norma dell'art. 69 della Costituzione per garantire
il libero svolgimento del mandato è regolata dalla
presente legge ed è costituita da quote mensili
comprensive anche del rimborso di spese di
segreteria e di rappresentanza.
Gli Uffici
di Presidenza delle due Camere determinano
l'ammontare di dette quote
in misura tale che non superino il dodicesimo del
trattamento complessivo massimo annuo lordo dei
magistrati con funzioni di presidente di Sezione
della Corte di cassazione ed equiparate (3).
--------------
(3) Vedi, anche, il comma 52 dell'art. 1, L. 23.12.2005, n. 266.
* * *
L. 23-12-2005 n. 266
Disposizioni per la formazione del bilancio annuale
e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2006).
Pubblicata nella Gazz. Uff. 29.12.2005, n.
302, S.O.
1. 52. Le indennità mensili spettanti ai membri
del Parlamento nazionale sono rideterminate in
riduzione nel senso che il loro ammontare massimo,
ai sensi dell'articolo 1, secondo comma, della legge
31 ottobre 1965, n. 1261, è diminuito del 10 per
cento. Tale rideterminazione si applica anche alle
indennità mensili spettanti ai membri del Parlamento
europeo eletti in Italia ai sensi dell'articolo 1
della legge 13 agosto 1979, n. 384.
---------------
2.
Ai membri del Parlamento è corrisposta inoltre una
diaria a titolo di rimborso delle spese di soggiorno
a Roma.
Gli Uffici di Presidenza delle due Camere ne
determinano l'ammontare
sulla base di 15 giorni di presenza per ogni mese ed
in misura non superiore all'indennità di missione
giornaliera prevista per i magistrati con funzioni
di presidente di Sezione della Corte di cassazione
ed equiparate; possono altresì stabilire le modalità
per le ritenute da effettuarsi per ogni assenza
dalle sedute dell'Assemblea e delle Commissioni.
3.
Con l'indennità parlamentare non possono cumularsi
assegni o indennità medaglie o gettoni di presenza
comunque derivanti da incarichi di carattere
amministrativo, conferiti dallo Stato, da Enti
pubblici, da banche di diritto pubblico, da enti
privati concessionari di pubblici servizi, da enti
privati con azionariato statale e da enti privati
aventi rapporti di affari con lo Stato, le Regioni,
le Province ed i Comuni.
L'indennità di cui all'art. 1, fino alla concorrenza
dei quattro decimi del suo ammontare, detratti i
contributi per la Cassa di previdenza dei
parlamentari della Repubblica, non è cumulabile con
stipendi, assegni o indennità derivanti da rapporti
di pubblico impiego, secondo quanto disposto dal
successivo art. 4.
Le disposizioni di cui al comma precedente si
applicano anche alle indennità e agli assegni
derivanti da incarichi accademici, quando i
rispettivi titolari siano stati posti in
aspettativa.
Restano in ogni caso escluse dal divieto di cumulo
le indennità per partecipazione a Commissioni
giudicatrici di concorso, a missioni a Commissioni
di studio e a Commissioni d'inchiesta.
4.
... (4).
--------------
(4) Ha sostituito i commi primo e secondo dell'art.
88 del testo unico delle leggi per l'elezione della
Camera dei deputati, approvato con D.P.R. 30.03.1957, n. 361.
---------------
5.
L'indennità mensile prevista dall'art. 1 della
presente legge, limitatamente ai quattro decimi del
suo ammontare e detratti i contributi per la Cassa
di previdenza dei parlamentari della Repubblica, è
soggetta ad una imposta unica, sostitutiva di quelle
di ricchezza mobile, complementare e relative
addizionali, con aliquota globale pari al 16 per
cento alla cui riscossione si provvede mediante
ritenuta diretta.
L'indennità mensile è altresì assoggettata, nei
limiti e con le detrazioni di cui al comma
precedente, ad una imposta sostitutiva dell'imposta
di famiglia per la quota di reddito imponibile
corrispondente al suo ammontare netto, alla cui
riscossione si provvede mediante ritenuta diretta,
con aliquota forfettaria pari all'8 per cento;
l'importo corrispondente è devoluto ai Comuni presso
i quali ciascun membro del Parlamento ha la
residenza.
L'indennità mensile e la diaria per il rimborso
delle spese di soggiorno prevista dall'art. 2 sono
esenti da ogni tributo e non possono comunque essere
computate agli effetti dell'accertamento del reddito
imponibile e della determinazione dell'aliquota per
qualsiasi imposta o tributo dovuti sia allo Stato
che ad altri Enti, o a qualsiasi altro effetto.
L'indennità mensile e la diaria non possono essere
sequestrate o pignorate.
(omissis).
Avete letto bene??
Sono gli Uffici di Presidenza delle due
Camere del Parlamento che hanno il "pallino"
in mano ovverosia hanno il potere, se sussiste la
volontà politica, di diminuire drasticamente i loro
privilegi danarosi !!
Infatti, sia l'Ufficio
di Presidenza della Camera dei Deputati
che l'Ufficio
di Presidenza del Senato della Repubblica
sono composti (in forma ristretta) da rappresentanti
di tutte le forze politiche che siedono in
Parlamento. Ma, allora,
perché
in TV ci propinano continuamente l'idea che sia il
Parlamento a dover legiferare per eventualmente
ridurre drasticamente quegli odiosi privilegi (in
primis il c.d. vitalizio) della "casta di
politicanti" che ci governa??
Quando, nella realtà, basterebbe una semplice e
veloce deliberazione dell'Ufficio di Presidenza di
ogni ramo del Parlamento??
La risposta è semplice: così facendo è assai più
difficile mettere d'accordo circa 950 parlamentari
e, soprattutto, raggiungere la maggioranza per la
votazione favorevole ... e tutto rimane nel limbo.
Poi, ovviamente, necessita una rivisitazione più
complessiva dell'architettura costituzionale per un
miglior funzionamento del Parlamento ... (questo il
solito refrain che sentiamo ogni sera al TG
per bocca dei soliti parlamentari avvezzi alle
frequentazioni in TV). |
Semplicemente:
KAZZATE PER NON FARE NULLA !!! |
La tanto sbandierata promessa di riduzione dello
stipendio dei parlamentari con la MANOVRA-BIS
di ferragosto, del 5 o 10 percento a seconda della
fascia di reddito, di fatto è rimasta nella penna
del legislatore e poca eco ha avuto la notizia da
parte dei mass media. Certamente, non con
quell'enfasi ripetitiva ed ossessiva ad ogni TG che,
quando fa comodo per altri argomenti, sono gran
bravi (alcuni giornalisti) nel mettere in atto.
Insomma, non è possibile qui dilungarsi oltre e tiriamo
le fila del ragionamento:
come può questo Parlamento,
composto da persone che NON hanno a cuore
l'interesse del bene comune, essere serio e
credibile??
Come si può chiedere agli Italiani di tirare ulteriormente la cinghia
(in questo momento internazionale di crisi
economico-finanziaria ove l'Italia si trova
sull'orlo del baratro) quando la maggioranza degli
stessi ha già il cappio al collo non sapendo come
tirare a campare sino alla fine del mese??
Come fanno questi circa 950 parlamentari ad essere
seri e credibili, e chiedere riforme draconiane agli
Italiani, quando loro stessi non eliminano i loro ODIOSI privileghi di casta dando
(per primi !!)
l'esempio di sacrificio che è richiesto a tutti
quanti??
Allora,
chiediamo
ai Presidenti ed ai componenti degli Uffici di
Presidenza delle due Camere
di
recuperare
quanto meno
il senso
dell'etica
e
di
provvedere immediatamente, subito, ora (!!) a
deliberare la drastica riduzione dei propri
privilegi monetari riconducibili alla carica di ogni
parlamentare: primo fra tutti, l'abolizione del
vitalizio, ma da questa legislatura e non dalla
prossima !!
E, per cortesia,
non
adducete motivazioni di sorta che impediscono di
deliberare quanto richiesto perché dalle nostre
parti si dice che "volere è potere" e,
sinceramente, di altre "balle" ne abbiamo
abbastanza !!
Un'ultima richiesta: ci è dato sapere che questo
Portale è assiduamente letto (non sappiamo nelle
persone di chi ...) anche da parte della Presidenza
del Consiglio dei Ministri, dal Ministero
dell'Interno, dal Ministero dell'Istruzione, dalla
Camera dei Deputati, ed altri ancora ... ebbene, se
questi lettori possono informare i Presidenti ed i
componenti degli Uffici di Presidenza delle due
Camere di questo nostro appello gliene saremo
grati.
Infine,
tutti
coloro che non siano ancora sufficientemente inkazzati, indignati, disgustati, nauseati, skifati
pròvino a guardare questo video.
07.11.2011 - LA SEGRETERIA PTPL |
DOTTRINA E
CONTRIBUTI |
EDILIZIA PRIVATA:
M. Viviani,
Interventi
di ristrutturazione edilizia e reperimento
di spazi per parcheggi privati.
---------------
Ringraziamo l'amico Mario Viviani per il
contributo reso. Tuttavia, ci sembrava che
la questione fosse talmente chiara da non
abbisognare di approfondimenti ...
evidentemente, non è così !!
Ed il fatto che ci siano ancora oggi Uffici
Tecnici comunali che richiedono in sede
progettuale la verifica della Tognoli (1 mq.
di parcheggio per ogni 10 mc. di volume)
nell'ambito di interventi edilizi quali la "ristrutturazione
edilizia" nella vecchia accezione della
L. 457/1978 non fa altro che rafforzare la
convinzione che "Il mondo è bello perché
vario".
07.11.2011 - LA SEGRETERIA PTPL |
ATTI AMMINISTRATIVI:
M. Lipari,
La nuova sanzione per “lite temeraria” nel
decreto sviluppo e nel correttivo al codice
del processo amministrativo: un istituto di
dubbia utilità (link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
INCARICHI PROGETTUALI:
L’offerta
economicamente più vantaggiosa quale unico
criterio per l’aggiudicazione dei servizi
attinenti all’architettura e all’ingegneria
(art. 266, comma 4, DPR 207/2010)
(ottobre
2011 - tratto da www.centrostudicni.it). |
APPALTI SERVIZI:
A. Barbiero,
Le società partecipate non possono gestire
contestualmente servizi pubblici locali e
servizi strumentali (28.10.2011
- tratto da www.albertobarbiero.net). |
APPALTI:
A. Barbiero,
La tracciabilità dei flussi finanziari negli
appalti pubblici - Analisi dei principali
adempienti per le imprese appaltatrici
previsti dall'art. 3 della legge n. 136/2010
(28.10.2011 - tratto da
www.albertobarbiero.net). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
M. Benozzo,
La responsabilità oggettiva del danno
ambientale nel Codice dell'ambiente
(link a www.lexambiente.it). |
NOTE,
CIRCOLARI E COMUNICATI |
EDILIZIA PRIVATA: Rogito
senza certificato energetico. Atti in salvo
anche se non viene consegnata la
certificazione. Il Notariato: chi vende
l'immobile senza l'attestato può essere
chiamato a rispondere dei danni.
Rogiti salvi anche se
non viene consegnata la certificazione
energetica. Ma chi vende può essere chiamato
a rispondere dei danni.
Questa la conclusione cui giunge il
Consiglio nazionale del notariato nello
Studio 03.11.2011 n.
342-2011/C, dedicato appunto alla
certificazione energetica degli edifici
(articolo 6, comma 2-ter, dlgs 19.08.2005 n.
1).
Insomma la violazione degli obblighi sulla
certificazione non porta all'invalidità del
contratto, anche se non rimane senza
conseguenze, che possono arrivare fino alla
risoluzione del contratto. Ma vediamo di
illustrare le soluzioni interpretative
fornite dai notai.
La norma di riferimento.
L'articolo 6, comma 2-ter, citato, prevede
che nei contratti di compravendita o di
locazione di edifici o di singole unità
immobiliari deve essere inserita una
apposita clausola con la quale l'acquirente
o il conduttore danno atto di aver ricevuto
le informazioni e la documentazione in
ordine alla certificazione energetica degli
edifici. Nel caso di locazione, la
disposizione si applica solo agli edifici e
alle unità immobiliari già dotate di
attestato di certificazione energetica.
Tra l'altro, nel caso di offerta di
trasferimento a titolo oneroso di edifici o
di singole unità immobiliari, a decorrere
dall'01.01.2012 gli annunci commerciali di
vendita dovranno riportano l'indice di
prestazione energetica contenuto
nell'attestato di certificazione energetica
Competenza regionale.
In base alla ricostruzione dei rapporti
stato-regione, nello studio in esame si
giunge alla conclusione che dalla data di
entrata in vigore delle leggi regionali e/o
delle norme regolamentari regionali
attuative della Direttiva 2002/91/CE, non
troveranno più applicazione, nei rispettivi
territori di competenza, le relative
disposizioni statali. Questo perché, se la
materia «ordinamento civile» (e
quindi il dettare regole di forma e
contenuto dei contratti) è riservata alla
competenza esclusiva dello Stato, tuttavia
la materia «rendimento energetico
nell'edilizia» è riservata alla
competenza regionale («legislazione
concorrente»), nel rispetto dei principi
fondamentali riservati alla legislazione
dello Stato, e ciò per effetto della
connessione delle materie «governo del
territorio» (e quindi edilizia e
urbanistica) e «produzione, trasporto e
distribuzione dell'energia».
Vale quindi la regola per cui nell'ambito
delle materie di competenza regionale è
riservata alle regioni, salvo l'esercizio
del potere sostitutivo da parte dello stato
in caso di inerzia regionale. Peraltro la
consegna della certificazione energetica
dovrà aver luogo, evidentemente, solo
qualora vi sia obbligo di dotazione della
certificazione energetica, mentre il comma
2-ter non troverà applicazione, pertanto,
ogni qualvolta le norme (statali o
regionali) vigenti in base al territorio in
cui è ubicato l'edificio escludano l'obbligo
di dotazione.
Atti coinvolti.
Il comma 2-ter dell'articolo 6 citato si
riferisce esclusivamente alle compravendite
e quindi l'applicazione potrebbe essere
limitata solo appunto alle compravendite e
fattispecie analoghe. I notai, però,
consigliano una interpretazione più
sistematica, applicando la disposizione a
tutti gli atti di trasferimento a titolo
oneroso, per i quali è vigente l'obbligo di
dotazione della certificazione energetica.
In base a questa interpretazione l'obbligo
in questione si applica anche a:
assegnazioni, cessioni di azienda, vendite
di eredità, trasferimenti fra coniugi in
sede di separazione personale o scioglimento
degli effetti civili del matrimonio, ma
anche ad altri trasferimenti a titolo
oneroso (decreti di trasferimento da parte
dell'autorità giudiziaria ed i conferimenti
societari).
Violazione degli obblighi.
Secondo lo studio la violazione degli
obblighi inderogabili di dotazione,
informazione e consegna non potrà avere
riflessi sul piano della validità ed
efficacia dei contratti. Il contratto rimane
in piedi. Ma la violazione non sarà priva di
effetti: in particolare sarà fonte di
responsabilità a carico
dell'alienante/locatore inadempiente, con le
conseguenze dell'obbligo di risarcimento
danni oppure di subire una riduzione del
prezzo o addirittura la risoluzione del
contratto. Si tratterebbe quindi di un
inadempimento, ma non di una condizione di
validità della compravendita.
Inoltre è da escludere per il notaio la
possibilità di ricevere dichiarazioni in cui
la parte acquirente dà atto di non aver
ricevuto le informazioni e la documentazione
in ordine alla certificazione energetica o
la parte acquirente rinuncia a ricevere le
informazioni e la documentazione in ordine
alla certificazione energetica o, infine, la
parte alienante è esonerata dal fornire
informazioni in ordine alla certificazione
energetica ed alla consegna di tale
documentazione
(articolo ItaliaOggi del 03.11.2011). |
EDILIZIA PRIVATA:
Documentazione da conservare ed esibire a
richiesta degli Uffici dell’Agenzia delle
Entrate, ai sensi dell’art. 1, comma 1,
lett. a), del Decreto Interministeriale
18.02.1998, n. 41 come sostituito dall’art.
7 , comma 2, lett. q) del Decreto Legge
13.05.2011, n. 70 (Agenzia delle
Entrate,
provvedimento
02.11.2011 n. 2011/149646 di prot.).
---------------
Il
36% ora snellisce le procedure.
Niente comunicazione preventiva, ma carte da
conservare. Provvedimento dell'Agenzia delle
entrate sulle detrazioni per il recupero del
patrimonio edilizio.
Soppresso l'obbligo d'invio della
comunicazione preventiva d'inizio lavori
posta a carico del contribuente che desidera
usufruire della detrazione del 36%, ma resta
in piedi l'ulteriore obbligo di indicare
determinati dati in dichiarazione dei
redditi e di conservare ed esibire
determinati documenti.
Questo il contenuto del
provvedimento
02.11.2011 n. 2011/149646 di prot. del
direttore dell'Agenzia delle entrate, avente
a oggetto la semplificazione intervenuta, a
cura del decreto legge 13.05.2011 n. 70,
pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 110
del 13.05.2011, sul tema della
detrazione sulle spese sostenute per il
recupero del patrimonio edilizio.
Il provvedimento in commento, però, non
conferma alcuna decorrenza e, stante il
fatto che l'obbligo è stato cancellato con
l'entrata in vigore del decreto sviluppo
(14/05/2011) è opportuno evidenziare che la
semplificazione intervenuta resta valida, ma
solo ed esclusivamente per i lavori iniziati
da quella data in avanti.
Il provvedimento, inoltre, invalida la reale
semplificazione in quanto, a mente delle
disposizioni richiamate, conferma l'obbligo
di conservare (ed esibire) determinati
documenti indicati nel medesimo documento e
di indicare taluni dati all'interno delle
dichiarazioni dei redditi, ai sensi del
decreto interministeriale 18/02/1998 n. 41
(lett. a) e, non ultimo, conferma l'obbligo
d'invio della comunicazione preventiva
d'inizio lavori all'Azienda sanitaria locale
(Asl), nei casi prescritti dai dlgs n.
626/1994 e 494/1996 (Agenzia delle entrate,
circ. n. 121/E/1998 e ris. n. 76229/1999).
Come indicato dal provvedimento, il
contribuente deve tenere a disposizione
dell'Amministrazione finanziaria le
abilitazioni amministrative richieste in
base alle tipologie dei lavori, la domanda
di accatastamento degli immobili (se ancora
da censire), la ricevuta di pagamento (se
dovuta), la delibera assembleare in presenza
di lavori condominiali e la dichiarazione di
consenso del possessore dell'immobile
all'esecuzione dei lavori, quando gli stessi
non sono stati effettuati dal proprietario
ma dal mero detentore (se diverso dai
familiari residenti), nonché la
comunicazione alla Asl competente, le
fatture e le ricevute fiscali comprovanti le
spese e le ricevute dei bonifici di
pagamento.
Pertanto, a pena di decadenza
dell'agevolazione, il contribuente deve
inserire (obbligo e non facoltà) nella
dichiarazione dei redditi i dati indicati
dal citato decreto interministeriale (n.
41/1998) e deve conservare ed esibire, a
richiesta degli uffici preposti ai
controlli, i documenti appena indicati,
compresa la comunicazione all'azienda
sanitaria competente, se obbligatoria, in
quanto indicata dalla lett. b), del comma 1,
dell'art. 1 del richiamato decreto
interministeriale.
Si ricorda che, prima dell'entrata in vigore
del decreto sviluppo, si rendeva necessario
trasmettere al Centro operativo di Pescara (Cop),
mediante raccomandata senza ricevuta di
ritorno, la comunicazione relativa
all'inizio dei lavori, redatta su moduli ad
hoc, con l'indicazione dei dati catastali (o
della richiesta di accatastamento), con
allegata precisa documentazione che, guarda
caso, risulta speculare a quella da
conservare ed esibire; detta comunicazione,
tassativamente, doveva essere inviata, a
pena di decadenza del bonus, prima di
iniziare i lavori con l'eccezione delle
ipotesi di costruzione o acquisto di
autorimesse pertinenziali di unità abitative
(articolo ItaliaOggi del 04.11.2011). |
GURI - GUUE -
BURL (e anteprima) |
CONSIGLIERI COMUNALI: G.U.
03.11.2011 n. 256 "Intesa con la
Conferenza Stato-Città ed autonomie locali,
concernente la fissazione della misura del
rimborso delle spese di viaggio e di
soggiorno sostenute dagli amministratori
locali in occasione delle missioni
istituzionali"
(D.M.
04.08.2011). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: G.U.
02.11.2011 n. 255 "Disposizioni per la
codificazione in materia di pubblica
amministrazione" (Legge
03.10.2011 n. 174). |
SINDACATI |
PUBBLICO IMPIEGO:
EE.LL.: ancora sulle risorse del
censimento destinate ai dipendenti
(CGIL-FP di Bergamo,
nota 31.10.2011). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO:
La lettera del Governo alla Ue:
bentornati a Cisl e Uil
(CGIL-FP di Bergamo,
nota 31.10.2011). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Il foglio dei lavoratori della
Funzione Pubblica
(CGIL-FP di Bergamo,
settembre-ottobre 2011). |
QUESITI &
PARERI |
APPALTI:
Requisiti per l'affidamento di contratti
pubblici.
Appalti pubblici, ha valore la dichiarazione
resa dal legale rappresentante dell'impresa?
Domanda.
La dichiarazione relativa all'art. 38, comma
1, lettere b) e c), del D.Lgs. 12-04-2006,
n. 163, può essere resa dal legale
rappresentante anche in relazione agli altri
Amministratori o al Direttore tecnico in
carica, atteso che il comma 2 dell'art. 38,
parla di autocertificazione resa dal
concorrente o candidato senza individuare il
soggetto tenuto a renderla?
Risposta.
La prescritta dichiarazione di cui all'art.
38 del Codice dei Contratti Pubblici
consente alle Amministrazioni di individuare
tutti i soggetti obbligati a dimostrare il
possesso dei requisiti necessari per poter
contrarre con la P.A. e conseguentemente,
gli eventuali reati che tali soggetti hanno
commesso e per i quali sono stati
condannati. L'omissione di siffatta
dichiarazione è causa di esclusione dalle
procedure di gara. Lo stesso art. 38, D.Lgs.
12-04-2006, n. 163 chiarisce che le
dichiarazioni, attestanti il possesso dei
requisiti generali, devono essere rese in
conformità alle disposizioni del D.P.R.
28-12-2000, n. 445, ovvero, rispondere ai
principi generali in tema di dichiarazioni
sostitutive rese alla Pubblica
Amministrazione ed essere connesse alla
responsabilità penale per le false
dichiarazioni.
Proprio in ragione di siffatto richiamo al
D.P.R. 28-12-2000, n. 445, la Giurisprudenza
sembra ormai orientata nel ritenere che
l'obbligo per il "concorrente o candidato"
di dichiarare il possesso dei requisiti può
ritenersi assolto dal legale rappresentante
dell'impresa anche avuto riguardo ai terzi
(Direttori tecnici o altri soggetti comunque
muniti di poteri di rappresentanza anche se
cessati dalla carica nel triennio
antecedente) e ciò in considerazione del
fatto che anche in questo caso sono operanti
le previsioni di responsabilità penale ed il
potere di verifica da parte della stazione
appaltante.
Diversamente opinando, la disposizione
apparirebbe illogica e contraria al buon
senso comune in quanto finirebbe con il
subordinare la possibilità di partecipazione
a gare pubbliche di un soggetto economico,
alla dichiarazione di un soggetto estraneo e
privo di responsabilità sul punto, cessato
già da tempo dalla carica e magari animato
da spirito di rivalsa nei confronti del
richiedente proprio a causa dell'intervenuta
risoluzione del rapporto di lavoro ovvero
perché deceduto o più semplicemente in
quanto irreperibile, tanto è vero che per
superare tale ostacolo è ammessa la prova
della difficoltà di ritrovamento del
soggetto che dovrebbe rendere la
dichiarazione in questione (02.11.2011
- tratto da www.ispoa.it). |
CORTE DEI
CONTI |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: I risparmi gonfiano i
fondi decentrati. Corte conti Piemonte: ma il tetto del 2010 va
comunque rispettato.
Enti locali liberi di alimentare i fondi per
la contrattazione decentrata mediante
risparmi provenienti da progetti di
miglioramento della produttività o con fondi
che si autoalimentano, come il recupero
dall'evasione Ici, ma tenuti comunque a
rispettare il tetto del 2010. Pertanto, tali
somme potranno solo giustificare la
destinazione alla produttività, ma non
sforare il tetto complessivo.
La Corte dei conti, sezione regionale di
controllo per il Piemonte, con il
parere 21.10.2011 n. 127, prende una posizione
intermedia nel contrasto di interpretazioni
relativo alla possibilità di incrementare o
meno le risorse decentrate con fondi che
trovano finanziamenti esterni, come
sponsorizzazioni o recuperi dell'evasione.
Come è noto, alcune sezioni della
magistratura contabile si sono espresse in
senso favorevole, altre in modo
diametralmente opposti, mentre la recente
deliberazione 51/2011 delle sezioni riunite
ha sostenuto che solo gli incentivi per
progettisti ed avvocati possono comportare
un incremento del fondo, perché non
destinabili nemmeno potenzialmente alla
generalità dei dipendenti.
La sezione Piemonte, discostandosi in parte
anche dalle indicazioni delle sezioni
Riunite, afferma che nuove voci retributive
possono essere introdotte nel fondo per la
contrattazione decentrata, ricorrendone i
presupposti, ma «l'ammontare complessivo del
trattamento accessorio non potrà
incrementarsi rispetto al parametro
individuato, e pertanto ciò sarà possibile
solo a condizione di riduzioni, di pari
importo, di altre voci».
Il parere fornisce un'indicazione operativa.
Si supponga che il fondo per la
contrattazione sia, tra risorse stabili e
risorse variabili, nel 2010 ammontasse a 100
mila euro, e che le risorse variabili
fossero 30 mila euro. Le risorse variabili a
loro volta poniamo siano scomposte, per
semplicità, in 1.500 per incentivi da
sponsorizzazioni, 3 mila in incentivi per
progettazioni, 1.500 in incentivi per
avvocatura, 3 mila in incentivi per recupero
Ici e 21 mila per progetti di incremento di
produttività (che trovino il finanziamento
nell'articolo 15, commi 2 e 4, del Ccnl 01/04/1999).
Secondo quanto indica la sezione Piemonte,
nulla impedisce che di anno in anno possano
aumentare le risorse da destinare alle
macrovoci delle risorse variabili.
Dunque, l'anno successivo, un ente potrebbe
destinare all'incentivazione delle
sponsorizzazioni 3 mila euro, invece di
1.500, ovviamente sul presupposto di aver
stipulato contratti che assicurino quella
cifra. Ciò significa che la maggiore
destinazione di 1500 euro sulle
sponsorizzazioni deve ridurre
necessariamente di pari importo una delle
altre destinazioni, così da assicurare che,
comunque, il fondo nel suo complesso non
superi mai i 100 mila euro del 2010 e, anzi,
si riduca.
In sostanza, la sezione Piemonte chiarisce
indirettamente agli enti locali che essi
possono «manovrare» le destinazioni
all'interno del fondo, a seconda dei
progetti e delle attività che di anno in
anno si svolgono. Stando a quanto hanno
indicato le sezioni riunite, invece, solo
nel caso di incentivi per progettazione ed
avvocatura possono esservi incrementi da un
anno all'altro, tali addirittura da sforare
la base di partenza del 2010
(articolo ItaliaOggi del 04.11.2011 - link
a www.corteconti.it). |
INCENTIVO PROGETTAZIONE:
Comune di Carmignano - Richiesta di
parere formulata dal Sindaco relativa ad un
quesito vertente sull’applicabilità della
disposizione recata dall’art. 92, comma 6,
del Codice dei contratti pubblici afferente
il compenso incentivante da corrispondersi
per la progettazione c.d. interna, ad un
atto di regolazione, trasmesso in copia a
questa Sezione unitamente alla richiesta,
redatto da personale dell’Ente in materia di
aree naturali protette di interesse locale,
ai sensi dell’art. 19, lett. b, della legge
regionale 11.04.1995, n. 49.
---------------
Il compenso incentivante
per la progettazione interna.
Il compenso incentivante per la
progettazione interna, ex art. 92, comma 6,
D.Lgs. n. 163 del 2006, non spetta in
relazione ad un atto di regolazione, redatto
da personale dell'Ente, in materia di aree
naturali protette d'interesse locale, ai
sensi dell'art. 19, lett. b), L.R.
11.04.1995, n. 49 Toscana.
Il quesito, come anticipato in parte
fattuale, è stato posto con riferimento
all’applicabilità nei confronti dell’atto
regolamentare delle aree protette di
interesse locale, della disposizione recata
dall’art. 92, comma 6, del Codice dei
contratti pubblici di cui al D.lgs. n.163
del 2006 e s.m.i., che testualmente prevede
che “Il trenta per cento della tariffa
professionale relativa alla redazione di un
atto di pianificazione comunque denominato è
ripartito, con le modalità e i criteri
previsti nel regolamento di cui al comma 5,
tra i dipendenti dell’amministrazione
aggiudicatrice che lo abbiano redatto”.
Tale norma, collocata nella sistematica del
codice dei contratti pubblici nel Capo IV
rubricato “Servizi attinenti
all’architettura e all’ingegneria”,
consente, -in deroga al principio di
onnicomprensività della retribuzione sancito
dall’art.45 del D.lgs. n. 165 del 2001, ed
in ossequio al manifestato favor
legislatoris per il ricorso da parte
delle stazioni appaltanti alla progettazione
c.d. interna avvalendosi, così,
prioritariamente del personale tecnico
dipendente delle stesse(art. 90, c.6, D.lgs.
n. 163/2006),- la corresponsione di un
compenso incentivante da ripartirsi tra i
dipendenti che hanno preso parte alla
redazione esclusivamente di un piano o
progetto preliminare, definitivo ed
esecutivo di lavori pubblici (leggasi, in
terminis, anche Sez. Contr. Campania n.
14/2008 e Veneto n. 337/2011).
Infatti, l’art. 90 del D.lgs. n. 163/2006
sia alla rubrica che al c.1, fa riferimento
esclusivamente ai lavori pubblici, e l’art.
92, c.1, presuppone l’attività di
progettazione nelle varie fasi, expressis
verbis come finalizzata alla costruzione
dell’opera pubblica progettata. A fortiori,
lo stesso comma 6 dell’art. 92 prevede che
l’incentivo alla progettazione venga
ripartito “tra i dipendenti
dell’amministrazione aggiudicatrice che lo
abbiano redatto” e, dunque, è di palmare
evidenza come il riferimento normativo e la
conseguente voluntas legis sia
ascrivibile solo alla materia dei lavori
pubblici, presupponendosi una procedura ad
evidenza pubblica finalizzata alla
realizzazione di un’opera di pubblico
interesse.
Di talché, con riferimento al caso de quo,
il regolamento dell’Ente redatto dal
personale interno, come esplicitato dal
richiedente, oltre a costituire un’attività
vincolata espressamente prevista dalla
menzionata normativa regionale di settore,
ed a sostanziarsi in un atto amministrativo
disciplinante gli assetti territoriali
ambientali delle aree protette, assunto
dall’ente locale nell’esercizio delle
proprie prerogative regolamentari, non può
essere assimilato, per il suo contenuto
intrinseco, ad un progetto di lavori
comunque denominato, anche alla luce del
fatto che detto atto regolamentare allegato
alla richiesta di parere, non è nemmeno
mediatamente riconducibile alla materia dei
lavori pubblici.
Se,
pertanto, per
l’amministrazione pubblica si è in presenza,
nella fattispecie oggetto del presente
parere, di una funzione
istituzionale, il dipendente/i che abbia
redatto materialmente l’atto regolamentare,
svolge un’attività lavorativa ordinaria che
è da ricomprendersi nei compiti e doveri
d'ufficio (art. 53 D.lgs. n. 165/2001), non
suscettibile della liquidazione
dell’incentivo di cui all’art. 92, c. 6,
D.lgs. n. 163/2006
( Corte dei Conti, Sez. controllo Toscana,
parere 18.10.2011 n.
213). |
CONSIGLIERI COMUNALI: Le
riprese tv del consiglio non subiscono
tagli.
La diffusione televisiva
delle sedute del consiglio comunale, lungi
dal costituire una mera attività di
pubbliche relazioni, rappresenta una delle
forme con cui l'amministrazione locale attua
i principi di informazione e comunicazione
istituzionale previsti dalla legge n.
150/2000. Per tale motivo, alle spese
connesse alla predetta telediffusione non si
applica il taglio previsto dall'articolo 6,
comma 8 della manovra correttiva del 2010.
Lo ha messo nero su bianco la sezione
regionale di controllo della Corte dei Conti
per la Liguria, nel testo del
parere 22.09.2011 n.
66, reso nei confronti del
Comune di Imperia, facendo chiarezza
sull'ambito applicativo delle disposizioni
richiamate, contenute nel dl n. 78/2010.
Come noto, dal corrente anno, le pubbliche
amministrazioni non possono effettuare spese
per relazioni pubbliche che superino il
venti per cento della spesa sostenuta nel
2009 per le stesse finalità. Sulla scorta di
ciò, il comune di Imperia ha richiesto se
entro tale limite debba rientrare anche
l'onere economico derivante
dall'affidamento, ad emittente locale scelta
a conclusione di una regolare gara, del
servizio di trasmissione in diretta delle
sedute del consiglio comunale, ovvero se ne
possa essere escluso, in quanto tale
servizio rientri nel concetto di
comunicazione istituzionale resa al
cittadino.
Per la Corte ligure, la diffusione via etere
delle sedute consiliari può essere
configurata quale strumento di comunicazione
istituzionale. Il collegio ha infatti
sottolineato che le attività di informazione
e comunicazione istituzionale, in cui
rientrano le dirette televisive delle sedute
di consiglio comunale, si differenziano da
quelle di pubbliche relazioni. Ne è prova
l'assunto dell'articolo 1 della legge n.
150/2000, ove si ricomprendono
espressamente, nell'ambito della
comunicazione istituzionale, le attività di
informazione ai mezzi di comunicazione di
massa, attraverso organi di stampa,
audiovisivi e strumenti telematici. Altresì
vi si ricomprende la comunicazione esterna
rivolta ai cittadini, alle collettività e ad
altri enti «attraverso ogni modalità
tecnica ed organizzativa».
Da ciò, conclude la Corte, la diffusione
televisiva delle sedute consiliari «costituisce
attuazione dei principi generali di
trasparenza e di pubblicità dell'azione
amministrativa, in quanto consente di
rafforzare le modalità e le forme di
comunicazione, ai fini del controllo
politico, del corretto ed efficiente
comportamento dei rappresentanti scelti dai
cittadini, in ossequio al principio del buon
andamento dell'azione amministrativa»
(articolo ItaliaOggi del 03.11.2011 - link
a www.corteconti.it). |
INCARICHI PROFESSIONALI: Collaborazioni
e consulenze, l'oggetto deve essere chiaro.
Il conferimento di incarichi di
collaborazione e consulenza di carattere
generale, cioè senza una delimitazione
precisa dell'oggetto, determina l'insorgere
di responsabilità amministrativa in capo al
dirigente responsabile.
E' questa la
principale indicazione che si può trarre
dalla
sentenza
21.09.2011 n. 167 della Corte dei
Conti del Friuli-Venezia Giulia. Con questa pronuncia il dirigente
di una pubblica amministrazione è stato
condannato a rifondere l'80% dei compensi
erogati dall'ente a un ex sindacalista di
cui ci si era avvalsi per varie attività
relative alla gestione del personale.
La
sentenza evidenzia che per il conferimento
di questi incarichi occorre scegliere dei
soggetti che sono in possesso di una
adeguata professionalità: il titolo di
studio ne costituisce una sorta di
precondizione.
Il primo elemento contestato è il seguente:
«L'oggetto della consulenza erano questioni
tutte relative all'attività, propria
dell'ente, di gestione delle risorse umane.
Non si tratta pertanto della soluzione di
problematiche complesse e specifiche, ma di
questioni comportanti l'esercizio delle
funzioni amministrative di carattere organizzatorio. Nonostante la lunga
elencazione, non è stata operata alcuna
delimitazione di una particolare e specifica
questione da risolvere, per la quale fosse
apparso necessario acquisire l'apporto di un
soggetto esperto, ma è piuttosto stata
trasferita una rilevante parte della
attività ordinaria dell'ente, relativa ai
rapporti di lavoro con il personale; nella
fase genetica e in quella attuativa e
funzionale sussistono gli elementi per
configurare l'incarico quale ipotesi di non
consentita consulenza globale, per avere a
oggetto una generalizzata gamma di attività
dell'ente».
Ed ancora, il conferimento
dell'incarico non è stato preceduto da
alcuna analisi tesa a verificare se
nell'ente quella professionalità esisteva ed
era utilizzabile. Indagine resa ancora più
necessaria nel caso specifico dalla
circostanza che la dotazione organica
risultava essere adeguata ed in linea con le
previsioni.
E ancora, «il Collegio non può esimersi dal
rilevare, quale altro profilo di illiceità,
che non risulta sia stato rispettato il
principio amministrativistico di
concorsualità, che ispira in generale la
scelta del contraente e in base al quale
l'affidamento dell'incarico avrebbe dovuto
essere preceduto da gare informali, volte a
consultare una pluralità di soggetti»
(articolo ItaliaOggi del 04.11.2011 - link
a www.corteconti.it). |
NEWS |
PUBBLICO IMPIEGO - VARI: I
PROVVEDIMENTI PER LO SVILUPPO/ Busta paga
per tutti. E via e-mail. Il cedolino diventa
una copia del Libro unico del lavoro. La
semplificazione nel maxiemendamento al ddl
di stabilità. Raddoppiate le sanzioni.
Addio cara e vecchia
busta-paga. Il
cedolino, infatti, diventa una copia del
libro unico del lavoro, da consegnarsi con
più calma (entro tre giorni dall'erogazione
delle paghe non più contestualmente) e non
necessariamente in formato cartaceo
(possibile la consegna telematica, per
esempio con email in formato pdf).
Inoltre, l'obbligo di consegna allarga i
confini interessando non solo i dipendenti
(e peraltro «tutti», non solo operai e
impiegati come previsto oggi), ma pure
collaboratori coordinati e continuativi e
associati in partecipazione con apporto
lavorativo. Infine le sanzioni: mancare
all'adempimento costerà la multa da 125 a
1.500 euro (oggi da 125 a 770 euro), in base
al numero di violazioni e/o di lavoratori
interessati.
A prevederlo è il maxiemendamento al ddl di
stabilità.
Lul e busta paga.
Si tratta, dunque, di una completa
riedizione della disciplina del cedolino
paga, da consegnare a tutti i lavoratori per
rendicontare le spettanze liquidate in virtù
di un rapporto di lavoro, con indicazione
delle ritenute operate (tasse e contributi).
In pratica, viene abrogata la vigente
disciplina (la legge n. 4/1953) e
contestualmente modificata la normativa
relativa al libro unico del lavoro, il Lul
(dl n. 112/2008).
La novità è introdotta al fine di
semplificare la gestione del rapporto di
lavoro; in effetti, con le nuove norme il
cedolino non costituisce più adempimento a
parte (ossia una comunicazione delle
registrazioni eseguite su vecchi libri paga,
oggi Lul), ma un sunto, anzi una copia del
libro unico del lavoro.
Le nuove regole.
Il nuovo cedolino è «una copia del libro
unico del lavoro contenente il prospetto
delle retribuzioni, con esclusione del
calendario delle presenze». L'obbligo
interessa i datori di lavoro e i
committenti, in quanto il nuovo cedolino va
consegnato ai lavoratori subordinati, ai
collaboratori coordinati e continuativi e
agli associati in partecipazione con apporto
lavorativo.
Per quanto concerne la scadenza per la
consegna (oggi contestuale al pagamento
delle retribuzioni), viene fissato un
termine di «tre giorni dal momento in cui
viene corrisposta al lavoratore la relativa
somma o, in alternativa, entro tre giorni
dal termine ultimo per l'elaborazione del
libro unico»; quest'ultima norma,
dunque, fissa automaticamente il termine
massimo, ossia il giorno 19 del mese
successivo a quello di riferimento.
Per quanto riguarda infine il formato, il
prospetto potrà essere anche di tipo
informatico, perché la consegna potrà aver
luogo in modalità telematica.
Le sanzioni.
La violazione dell'obbligo di consegna del
nuovo prospetto è punita con la sanzione
amministrativa da 125 a 770 euro. Se la
violazione si riferisce a più di cinque
lavoratori ovvero si è verificata in almeno
cinque mensilità la sanzione passa
all'importo da 200 a 1.000 euro; se si
riferisce a più di dieci lavoratori ovvero
si è verificata in almeno dieci mensilità,
la sanzione è da 500 a 1.500 euro.
Conservazione Lul e
sanzione.
Il maxiemendamento riscrive anche la
disposizione con le sanzioni in materia di
Lul (articolo 39, comma 7, del dl n.
112/2008), inserendo quale novità la
previsione di una sanzione da 100 a 600 euro
in caso di mancata conservazione del Lul per
la durata di cinque anni dalla data
dell'ultima registrazione
(articolo ItaliaOggi del 05.11.2011). |
ENTI LOCALI: Al via l'imposta di soggiorno.
Regolamenti comunali da approvare entro il
varo dei bilanci. Il cdm ha licenziato il dpr con la disciplina
del tributo. Si pagherà fino a 5 euro a
notte.
Al via l'imposta di soggiorno nei comuni. La
pagheranno, fino a un massimo di 5 euro a
notte, gli ospiti degli alberghi e delle
strutture ricettive dei capoluoghi di
provincia, dei comuni turistici, delle città
d'arte e delle unioni di comuni (se ci sarà
accordo tra tutti gli enti componenti).
Ma il balzello potrebbe essere applicato da
tutti i sindaci d'Italia se dovesse essere
confermata la novità, inserita nel decreto
correttivo al fisco comunale (si veda
ItaliaOggi del 27/10/2011), che estende la
chance a tutti i municipi.
A mettere nero su bianco la disciplina
dell'imposta di soggiorno (peraltro già
applicata a Venezia e a Roma dove può
arrivare fino a 10 euro a notte) c'ha
pensato uno
schema di dpr varato mercoledì
sera dal consiglio dei ministri riunito per
definire gli ulteriori interventi a sostegno
dello sviluppo chiesti a gran voce dai
mercati finanziari europei.
L'approvazione del dpr arriva con cinque
mesi di ritardo rispetto alla tabella di
marcia. Avrebbe dovuto infatti vedere la
luce entro 60 giorni dall'entrata in vigore
del decreto sul federalismo fiscale
municipale (dlgs. n. 23/2011) e dunque entro
il 07.06.2011.
I comuni che vorranno far pagare il tributo
già dal 2012 dovranno istituirlo con
regolamento entro il termine di approvazione
dei preventivi. Ossia sulla carta entro il
31 dicembre di quest'anno. Anche se, si sa,
la proroga della scadenza per il varo dei
bilanci di previsione è una certezza a cui
gli enti locali sono ormai da anni abituati.
I regolamenti comunali saranno efficaci 15
giorni dopo la pubblicazione nell'albo
pretorio. E non bisognerà rinnovare le
misure di anno in anno perché queste si
intenderanno tacitamente prorogate salvo
espressa variazione.
I regolamenti comunali varati dai sindaci
che, nell'inerzia del governo, hanno voluto
portarsi avanti, saranno pienamente
legittimi. Ma dovranno essere adeguati alle
disposizioni del dpr entro il termine per
l'approvazione dei bilanci.
L'imposta servirà a finanziare interventi in
materia di turismo, oltre alla manutenzione
e al recupero di beni culturali,
paesaggistici e ambientali. Ma andrà anche a
beneficio delle strutture ricettive.
Il regolamento messo a punto dai tecnici del
ministero di Roberto Calderoli spiega cosa
debba intendersi per interventi in materia
di turismo. Per poter istituire l'imposta i
sindaci dovranno metterne in atto almeno
uno. L'elenco è lungo: itinerari tematici,
innovazione tecnologica, manutenzione dei
beni culturali, sviluppo dei punti di
accoglienza, incentivi per il soggiorno di
giovani e anziani, incentivi all'accesso
degli animali nelle strutture alberghiere,
sviluppo dell'occupazione giovanile,
finanziamento delle maggiori spese connesse
ai flussi turistici.
Cosa mettere nel regolamento comunale. La
disciplina del tributo è chiaramente già
delineata dal dlgs n. 23/2011 e i comuni non
potranno discostarsene. Dunque, soggetti
passivi saranno coloro che alloggiano nelle
strutture ricettive e non risultano essere
residenti nel comune. L'imposta sarà
incassata dai gestori delle strutture che
saranno tenuti a compilare ogni anno una
dichiarazione indicando il numero dei
soggiornanti, il periodo di permanenza e
quanti di loro hanno diritto a esenzioni o
riduzioni (che potranno essere previste
tenendo conto della tipologia della
struttura, dell'età dei soggetti passivi,
della consistenza del nucleo familiare,
della durata del soggiorno e della stagione
turistica).
I gestori dovranno versare al comune quanto
incassato. Ma saranno i sindaci a fissare le
scadenze per i versamenti e i rimborsi. Nel
regolamento i comuni dovranno anche indicare
le modalità di riscossione coattiva del
tributo e prevedere una relazione al
consiglio su come sono stati spesi i soldi
incassati dall'imposta.
Attività di controllo. In materia di
controlli lo schema di dpr chiarisce che gli
avvisi di accertamento per omessa o infedele
dichiarazione o per omesso, ritardato o
parziale versamento dell'imposta dovranno
essere notificati al gestore delle strutture
ricettive entro cinque anni dal momento in
cui la dichiarazione o il versamento
avrebbero dovuto essere effettuati.
Regioni a statuto speciale. Come chiarito
nella relazione d'accompagnamento allo
schema di dpr, le norme sull'imposta di
soggiorno si applicano anche alle regioni
autonome in conformità ai rispettivi
statuti.
Sanzioni. Il mancato pagamento dell'imposta
di soggiorno, in quanto istituita e
disciplinata con regolamento comunale, sarà
sanzionabile, ai sensi del Tuel (dlgs n.
267/2000) con una multa da 25 a 500 euro
(articolo ItaliaOggi del 04.11.2011 - link
a www.ecostampa.it). |
ENTI LOCALI: Pioggia di aumenti nei comuni.
In 5 anni il trattamento accessorio è
cresciuto del 24%. I servizi ispettivi della
Ragioneria mettono ai raggi X la spesa degli
enti locali nel 2004-2009.
Aumento del trattamento economico accessorio
dei dipendenti dei comuni di quasi il 24%
nel quinquennio 2004/2009 e, nello stesso
periodo, aumento dei compensi per i
dirigenti di quasi il 38%. Risorse erogate
in modo illegittimo; in particolare per
l'utilizzazione distorta della produttività,
per le progressioni orizzontali concesse
senza valorizzare il merito e per le
indennità di specifiche responsabilità
corrisposte in modo molto ampio.
Sono queste alcune delle principali
indicazioni che si ricavano dalle
«Risultanze delle indagini svolte dai
servizi ispettivi di finanza pubblica in
materia di spesa del personale del comparto
regioni ed enti locali, con particolare
riferimento agli oneri della contrattazione
decentrata». Il volume della Ragioneria
dello stato riferisce sugli esiti delle
ispezioni effettuate nell'anno 2010 in 49
amministrazioni, cifra a cui si arriva
sommando 6 camere di commercio, 4 province e
39 comuni.
Nella gran parte delle amministrazioni sono
state contestate illegittimità: ricordiamo
che le relazioni conclusive delle ispezioni
sono trasmesse, oltre che agli enti perché
provvedano a sanare le illegittimità e ai
recuperi necessari, anche alla procura
regionale della Corte dei conti. Da
sottolineare che la stragrande maggioranza
dei procedimenti aperti dinanzi alla
magistratura contabile ha determinato la
condanna di dirigenti, segretari, direttori
generali e amministratori.
Sicuramente la voce che più concorre
all'aumento illegittimo del fondo per la
contrattazione decentrata è costituita dalla
utilizzazione distorta dell'articolo 15,
comma 5, Ccnl 01/04/1999, in particolare per
gli aumenti disposti sulla parte variabile
per l'attivazione di nuovi servizi e il
miglioramento di quelli esistenti. Ma non si
devono neppure dimenticare le illegittime
riproposizioni nel corso degli anni degli
aumenti una tantum previsti dai Ccnl 2006,
2008 e 2009 sulla parte variabile del fondo.
E ancora, la mancata decurtazione dei
compensi in godimento da parte del personale
Ata trasferito allo stato e dei dipendenti
trasferiti a seguito di esternalizzazioni;
nonché il mancato taglio per il
finanziamento dei reinquadramenti disposti
dal Ccnl 31/03/1999 (nuovo ordinamento
professionale). Il trattamento economico
accessorio dei dipendenti nei comuni
ispezionati è passato da 3.377 euro del 2004
a 4.185 del 2009 (aumento del 23,02%);
quello dei dirigenti è cresciuto da 33.618
del 2004 a 46.137 del 2009, cioè
l'incremento è stato pari al 37,24%. Tali
valori sono ancora più elevati nelle
province e nelle camere di commercio: è del
tutto evidente che gli aumenti consentiti
dai contratti nazionali sono entro volumi
ben minori.
Le risorse destinate alla produttività
continuano a essere una parte ridotta del
fondo per la contrattazione decentrata, la
cui quota prevalente è assorbita dalle
progressioni orizzontali. Nonostante la
carenza di risorse, esse sono spesso erogate
in modo illegittimo. In primo luogo, perché
non vengono assegnati preventivamente
obiettivi e poi perché non sono attestati i
risultati effettivamente raggiunti e le
valutazioni dei dirigenti non sono
effettuate in modo selettivo. La relazione
mette in evidenza che «un'altra criticità
rappresentata dalla tendenza a utilizzare le
risorse della produttività per retribuire
prestazioni ordinarie svolte al di fuori
dell'orario di lavoro. Anche in questo caso
ci si trova di fronte a una prassi
distorsiva della disciplina contrattuale
concernente la produttività».
Le progressioni economiche sono state
effettuate in numero assai elevato nel
comparto regioni ed enti locali. Non sempre
le risorse destinate al suo finanziamento
sono state prelevate dal fondo. La relazione
ispettiva della Ragioneria dello stato
inoltre segnala che in molte amministrazioni
esse sono state concesse a tutto o quasi il
personale e non si sono in alcun modo, o in
modo molto limitato, utilizzati criteri
selettivi o meritocratici. Ci viene
ricordato che tali comportamenti determinano
il maturare di responsabilità
amministrativa. Un'altra frequente
illegittimità, spesso spiegata dal ritardo
con cui in molti enti vengono stipulati i
contratti decentrati, è costituita dalla
retroattività con cui esse vengono concesse
(articolo ItaliaOggi del 04.11.2011 - link
a www.ecostampa.it). |
CONSIGLIERI COMUNALI: OSSERVATORIO
VIMINALE/ Stop alle giunte fai-da-te.
No ad assessori in più rispetto ai limiti di
legge. Gli enti entro 120 giorni devono
adeguare gli statuti alle modifiche legislative.
Il sindaco di un comune (che ha nominato la
giunta in conformità con le disposizioni
recate dall'art. 2, comma 185, della legge
finanziaria 2010, come integrato dall'art.
1, comma 2 della legge 26.03.2010, n. 42,
di conversione del decreto legge 25.01.2010, n. 2, che hanno modificato l'art. 47
del dlgs n. 267/2000, riducendo il numero
degli assessori) può nominare due assessori
con funzioni consultive in più, rispetto al
numero massimo previsto dalla vigente
normativa, in base ad un'intervenuta
modifica statutaria adottata dal consiglio
comunale?
La disciplina relativa agli organi di
governo dell'ente locale, come noto
riservata dalla Costituzione al legislatore
statale, è contenuta, per quanto riguarda la
composizione delle giunte comunali,
nell'art. 47 del dlgs n. 267/2000 che, al
primo comma, per l'individuazione del numero
massimo degli assessori, stabilisce un
criterio proporzionale rispetto al numero
dei consiglieri, e un limite massimo di 12
assessori che, all'esito del calcolo
proporzionale, non può essere superato.
Sulla base di quanto dispone il comma 2 del
citato articolo 47 «gli statuti, nel
rispetto di quanto stabilito dal comma 1,
possono fissare il numero degli assessori
ovvero il numero massimo degli stessi». Nel
caso di specie, la disposizione statutaria
dell'ente risulta incompatibile con le
disposizioni normative statali e, quindi,
non può trovare applicazione, anche in
relazione a quanto disposto dall'art. 1,
comma 3, del dlgs n. 267, per il quale
«l'entrata in vigore di nuove leggi che
enunciano espressamente i principi che
costituiscono limite inderogabile per
l'autonomia normativa dei comuni e delle
province abroga le norme statutarie con essi
incompatibili. I consigli comunali e
provinciali adeguano gli statuti entro
centoventi giorni dalla data di entrata in
vigore delle leggi suddette».
Non è, pertanto, possibile la nomina di
ulteriori assessori, sia pure con funzioni
consultive
(articolo ItaliaOggi del 04.11.2011). |
CONSIGLIERI COMUNALI: OSSERVATORIO
VIMINALE/
Accesso agli atti dei
consiglieri.
Come deve essere disciplinato l'accesso agli
atti da parte dei consiglieri comunali,
secondo la Commissione per l'accesso ai
documenti amministrativi? Può essere
prolungato il termine per evadere le
richieste d'accesso?
La Commissione ha precisato che non può
negarsi «al singolo consigliere comunale
di ottenere informazioni o atti detenuti
dall'amministrazione comunale, anche quando
la richiesta di accesso sia analoga a quella
presentata da altri consiglieri comunali del
gruppo, in quanto la prerogativa è
riconosciuta al singolo rappresentante
politico in funzione del proprio mandato».
Tuttavia, ha altresì evidenziato che «la
reiterazione di istanze di accesso da parte
dei medesimi consiglieri, in assenza di
elementi di novità, potrebbe costituire un
abuso del diritto di informazione» in quanto
resta comunque ferma l'esigenza che le
istanze di accesso non abbiano carattere
emulativo e non aggravino la funzionalità
dell'amministrazione comunale, superando i
limiti della proporzionalità e della
ragionevolezza.
In ordine al prolungamento del termine per
evadere la richiesta di accesso, la
Commissione ritiene che il protrarsi di
quest'ultimo potrebbe determinare il rischio
di concreta soppressione delle prerogative
del consigliere nei casi di procedimenti
urgenti o che richiedano l'espletamento
delle funzioni politiche in un termine più
breve. In ogni caso, è necessario che l'ente
garantisca l'accesso al consigliere comunale
nell'immediatezza e nei tempi più celeri e
ragionevoli possibili. Eventualmente,
qualora l'accesso, per l'eccessiva gravosità
delle richieste, non potesse essere
garantito subito, potrà essere dilazionato
opportunamente il rilascio di copie degli
atti, ferma restando, nel frattempo, la
facoltà del consigliere di prendere visione
della documentazione richiesta negli orari
stabiliti, anche con mezzi informatici.
In tal caso il Consiglio di stato ha
condiviso l'avviso espresso dal ministero
dell'interno circa la possibile riproduzione
di planimetrie su cd-rom, nel caso in cui
l'accesso del consigliere mediante
l'estrazione di copie di atti, comportasse
la fotoriproduzione a costi elevati. Anche
il Tar Puglia, Bari, 21.01.2011, n. 115, ha
affermato che «gli unici limiti
all'esercizio del diritto di accesso dei
consiglieri comunali si rivengono, per un
verso, nel fatto che esso debba avvenire in
modo da comportare il minor aggravio
possibile per gli uffici comunali e, per
altro verso, che non debba sostanziarsi in
richieste assolutamente generiche, fermo
restando che la sussistenza di tali
caratteri debba essere attentamente vagliata
in concreto al fine di non introdurre
surrettiziamente inammissibili limitazioni
al diritto stesso».
La Commissione ha precisato, infine, che
l'individuazione di spazi presso la
segreteria dell'ente, da destinare alla
visione e al rilascio di atti, appare misura
organizzativa, possibile in astratto,
pienamente compatibile con il regime di
accesso dei consiglieri comunali
(articolo ItaliaOggi del 04.11.2011). |
ATTI AMMINISTRATIVI: Viminale/
Albo ko? Al bando la carta.
In tema di pubblicazioni
sull'albo pretorio online, se il sistema
informatico del comune dovesse subire un
blocco informatico, il predetto servizio non
potrà essere erogato, in nessun modo, in
modalità cartacea. Piuttosto, gli enti
locali, in casi di malfunzionamento del
proprio sito web, si attivino per utilizzare
a tal fine siti internet alternativi.
È quanto mette nero su bianco la
circolare 28.10.2011 n. 26, emanata
dalla direzione centrale per i servizi
demografici del mininterno che indica la
corretta procedura da seguire in caso di
ipotesi di blocco del sistema informatico
dell'ente locale, dopo che, sul punto, è
stato investito l'ente nazionale per la
digitalizzazione della pubblica
amministrazione (DigitP.a.).
Una circolare che si è resa dovuta a seguito
di apposite richieste pervenute da enti
locali, nei quali si è verificato il blocco
del proprio sistema informatico con la
conseguente sospensione forzata delle
pubblicazioni online. In merito, riporta il
Viminale nel documento in esame, la
DigitP.a. ha specificato che in nessun caso,
anche se i server dei comuni dovessero
andare in tilt, «potrà essere
ripristinata l'erogazione del servizio in
modalità cartacea». È un'evenienza
tutt'altro che remota, per cui, la stessa
DigitP.a. raccomanda che i comuni «nel
progettare e realizzare tale servizio,
dispongano le misure cautelative previste
dall'articolo 50 del dlgs n. 82/2005, in
materia di continuità operativa, la cui
adozione è obbligatoria entro il 25.06.2012».
In pratica, si consiglia di prevedere che,
in caso di malfunzionamento che causi il
blocco del sito web presso il quale viene
esposto l'albo pretorio, «si utilizzino,
a tal fine, siti web alternativi», senza
però specificare quali siano tali siti.
Misure di estrema prudenza, pertanto,
consigliano di procedere alla verifica della
struttura informatica attualmente
utilizzata, in termini di procedure di
salvataggio dei dati, nonché in termini di
formazione del personale adibito per far
fronte agli eventi tali da produrre il
blocco della funzionalità.
Nei casi in cui il server informatico sia
localizzato presso una struttura esterna
sarebbe opportuno mettere nero su bianco nel
contratto, apposite clausole a garanzia
della continuità del servizio
(articolo ItaliaOggi del 03.11.2011). |
ENTI LOCALI:
P.a. pigra sul web?
L'attività parte.
L'assenza di documenti online non blocca
l'avvio dell'impresa. La legge 106/2011
aggira l'inerzia delle amministrazioni sui
documenti per Scia e autorizzazioni.
Da lunedì 31.10.2011, il diniego al
rilascio dell'autorizzazione per l'esercizio
di un'attività, a causa di incompletezza
della domanda, è nullo qualora il Comune non
abbia pubblicato sul proprio sito internet
l'elenco dei documenti da presentare a
corredo della domanda.
È questo uno degli
effetti di quanto espressamente previsto nel
primo decreto sviluppo del luglio scorso che
ha imposto alle pubbliche amministrazioni
diversi obblighi al fine di ridurre gli
oneri derivanti dalla normativa vigente e
gravanti in particolare sulle piccole e
medie imprese.
Più in particolare, l'art. 6, comma 2 del dl
decreto-legge 13.05.2011, n. 70
«Semestre europeo - Prime disposizioni
urgenti per l'economia» (G.U. n.110 del 13.05.2011), così come convertito dalla
legge 12 luglio 2011, n. 106 ha imposto
l'obbligo per le pubbliche amministrazioni
di pubblicare sui propri siti istituzionali,
per ciascun procedimento amministrativo ad
istanza di parte e rientrante nelle proprie
competenze, l'elenco degli atti e documenti
che l'istante ha l'onere di produrre.
Perché
nel caso di mancato adempimento degli
obblighi prescritti, la pubblica
amministrazione non può respingere l'istanza
adducendo la mancata produzione di un atto o
documento, ma può soltanto invitare
l'istante a regolarizzare la documentazione
in un congruo termine. Ciò in quanto, in
caso contrario, il provvedimento di diniego
non preceduto dall'invito alla
regolarizzazione è da considerarsi nullo,
con le conseguenze giuridiche che ne
derivano. Peraltro, il mancato adempimento
dell'obbligo di pubblicizzazione, determina
ripercussioni nei confronti dei dirigenti
responsabili, perché viene considerato ai
fini dell'attribuzione della retribuzione di
risultato.
Più complessa la questione nei
procedimenti previsti dall'articolo 19 della
legge 241/1990, perché in questi casi, la
segnalazione certificata d'inizio attività,
seppur incompleta, legittima comunque
l'istante a iniziare l'attività dalla data
di presentazione della Scia e, in tal caso,
l'amministrazione non può adottare i
provvedimenti previsti dal comma 3 del
medesimo art. 19 l. 241/1990, ovvero
emettere un provvedimento di divieto di
prosecuzione dell'attività, prima di aver
concesso un congruo termine per la
regolarizzazione. Rimangono esclusi
dall'obbligo di pubblicità sul sito
dell'Ente soltanto i procedimenti i cui
documenti da presentare siano espressamente
previsti da norme di legge, regolamento o da
atti pubblicati sulla G.U.
Tale
disposizione, peraltro, va coordinata con
quanto dispone il dpr 160/2010, ovvero il
regolamento relativo all'istituzione dello
Sportello unico per le attività produttive,
che impone ai comuni di prevedere nei propri
siti istituzionali una specifica sezione
riservata al Suap telematico, dove vanno
inseriti tutti i procedimenti e i relativi
allegati di competenza del Suap stesso. In
caso di mancato adempimento, comunque, in
base a un'ulteriore disposizione contenuta
nel medesimo articolo 3 del dl 70/2011, il
prefetto nomina un commissario ad acta (articolo ItaliaOggi del
02.11.2011 - link a
www.corteconti.it). |
CONSIGLIERI COMUNALI:
Mini-enti, tagli alle giunte senza
scappatoie.
Comuni con meno di 1.000 abitanti, niente
assessori e niente giunte. La non felice
formulazione dell'articolo 16 del dl
138/2011, convertito in legge 148/2011, che
riguarda la ridefinizione della struttura
ordinamentale dei piccolissimi comuni sta
destando alcuni problemi interpretativi. La
norma è chiaramente rivolta a dire addio ai
comuni «polvere» per risparmiare risorse ed
assicurare la presenza di enti locali solo
entro bacini di popolazione tendenzialmente
di almeno 5.000 abitanti.
Il problema è dato dalla circostanza che il
legislatore non se l'è sentita di adottare
la decisione più chiara e semplice: disporre
l'obbligatoria fusione dei piccoli comuni
con quelli confinanti, entro un determinato
lasso di tempo. Al contrario, ha introdotto
una forma speciale di unione di comuni, che
deroga in parte alle disposizioni
dell'articolo 32 del dlgs 267/2000,
prevedendo connotati ordinamentali a dir
poco confusi. Gli equivoci derivano dalla
lettura combinata dei commi 1 e 16
dell'articolo 16 della manovra estiva bis.
Il comma 1 dispone che, allo scopo di
contribuire agli obiettivi di finanza
pubblica e per razionalizzare gli assetti
ordinamentali, i «comuni con popolazione
fino a 1.000 abitanti esercitano
obbligatoriamente in forma associata tutte
le funzioni amministrative e tutti i servizi
pubblici loro spettanti sulla base della
legislazione vigente mediante un'unione di
comuni».
A completamento di tale
disposizione, il successivo comma 9 tenta di
chiarire che l'obbligo scatta «a decorrere
dal giorno della proclamazione degli eletti
negli organi di governo del comune che,
successivamente al 13.08.2012, sia per
primo interessato al rinnovo». In questo
caso «nei comuni con popolazione fino a
1.000 abitanti che siano parti della stessa
unione, nonché in quelli con popolazione
superiore che esercitino mediante tale
unione tutte le proprie funzioni, gli organi
di governo sono il sindaco e il consiglio
comunale, e le giunte in carica decadono di
diritto».
Il comma 16, tuttavia, prevede che
se alla data del 13.08.2012 i comuni con
meno di 1.000 abitanti gestiscano tutte le
funzioni e servizi non mediante un'unione,
bensì attraverso convenzioni con altri
comuni, «l'obbligo di cui al comma 1 non
trova applicazione», cioè non occorre
entrare a far parte dell'unione. Si può,
dunque, immaginare che i comuni con meno di
1.000 abitanti che non entrino nell'unione
conservino, in conseguenza di ciò, la giunta
comunale e gli assessori. A smentire,
tuttavia, la fattibilità di questa
«scappatoia» per mantenere in piedi le
giunte anche nei mini enti è il comma 17,
sempre dell'articolo 16 della manovra estiva-bis,
il quale stabilisce quanti siano i
componenti degli organi collegiali di
governo dei comuni fino a 10.000 abitanti.
Ebbene, tale norma indica espressamente il
numero degli assessori per i comuni con
popolazione compresa nelle fasce da 1.000 a
3.000 abitanti (6 consiglieri più il sindaco
e massimo due assessori); da 3.000 a 5.000
abitanti (7 consiglieri più il sindaco e 3
assessori); da 5.000 a 10.000 abitanti (10
consiglieri più il sindaco e 4 assessori).
Ma, per i comuni fino a 1.000 abitanti il
comma 17 si limita a stabilire che «il
consiglio comunale è composto, oltre che dal
sindaco, da sei consiglieri», senza fare
lontanamente cenno al numero massimo di
assessori. Essendo il comma 17 la
disposizione deputata a fissare i componenti
degli organi di governo a decorrere dal
primo rinnovo di ciascun consiglio comunale
successivo alla data di entrata in vigore
della legge 148/2011, si deve concludere che
i comuni con popolazione fino a 1.000
abitanti non potranno più avere la giunta
comunale, anche laddove non aderissero alle
unioni di comuni.
La previsione del comma 9, secondo cui
decadono di diritto le giunte in carica dei
comuni che aderiscono alle unioni non ha lo
scopo di assicurare simmetricamente che
qualora gli enti «sfuggano» alle
unioni, per loro le giunte restino operanti.
Semplicemente, se ancora in carica, non
decadono di diritto, visto che non si
costituisce l'unione. Tuttavia, una volta
che il comune con meno di 1.000 abitanti va
ad elezioni, in applicazione del comma 17
non potrà più disporre di assessori e giunta (articolo ItaliaOggi del
02.11.2011 - link a
www.corteconti.it). |
GIURISPRUDENZA |
EDILIZIA PRIVATA: La
lombricoltura in sé non può qualificarsi
come attività a carattere industriale,
essendo legata ad un uso agricolo del suolo,
e non al trattamento dei rifiuti in senso
industriale.
Conseguentemente, è illegittimo il diniego
comunale sulla istanza per il rilascio di
concessione edilizia per la realizzazione di
un impianto di lombricoltura motivato con
riferimento ad una pretesa incompatibilità
dell’intervento con la destinazione agricola
del suolo in oggetto: l’ufficio ha invero
qualificato l’intervento tra quelli a
carattere industriale, non localizzabile in
zona agricola.
Il presente ricorso verte sulla legittimità
del diniego di concessione edilizia per la
realizzazione di un impianto di
lombricoltura in località agricola del
Comune di Nola, motivato dalla
amministrazione con riferimento ad una
pretesa incompatibilità dell’intervento con
la destinazione agricola del suolo in
oggetto: l’ufficio ha invero qualificato
l’intervento tra quelli a carattere
industriale, non localizzabile in zona
agricola.
...
Va premesso che la lombricoltura in sé non
può qualificarsi come attività a carattere
industriale, essendo legata ad un uso
agricolo del suolo, e non al trattamento dei
rifiuti in senso industriale.
Ed infatti, la stessa amministrazione ha
dedotto elementi ostativi che attengono più
alla fase posteriore di concreto
funzionamento dell’impianto, che non alla
valutazione ex ante degli elementi
del proposto progetto, in riferimento alla
compatibilità urbanistica dell’intervento
con la destinazione di zona.
Gli elementi ritenuti ostativi, in quanto
presumono una lavorazione di rifiuti in
situ, ovvero l’esercizio di un’attività
insalubre, non costituiscono un adeguato
substrato motivazionale del gravato diniego,
come autorevolmente ritenuto in fattispecie
analoga dal Consiglio di Stato.
Il giudice di appello ha affermato (CdS sez.
IV 07.10.2009 n. 6117, peraltro con
riferimento ad un impianto più complesso in
quanto destinato alla produzione di energia
elettrica con il biogas) che non si tratta
affatto di impianti che smaltiscano o
trattino in qualche modo rifiuti: “…… si
tratta, invece, di impianti che producono
energia, mediante quel particolare
procedimento che si concreta nel cosiddetto
biogas, per cui vengono inizialmente
introdotti elementi organici che procedono
ad un’attività riproduttiva rispetto alle
sostanze immesse, donde la caratteristica
relativamente alla quale i residui in parola
non sono utilizzati per essere smaltiti o in
qualche modo trattati, ma servono solo per
iniziare l’attività di decomposizione delle
sostanze immesse, ai fini della produzione
energetica.
Il fatto che inizialmente, all’atto
dell’avvio dell’impianto, vi fosse
l’immissione di sostanze organiche, rifiuti
animali in senso lato, non determina solo
per questo la classificazione dell’impianto
fra quelli afferenti il trattamento dei
rifiuti, in quanto le sostanze organiche
suddette, lungi dall’essere l’oggetto del
trattamento, ne sono invece uno strumento
operativo, con il quale l’impianto funziona,
alla stregua di un meccanismo di messa in
moto.
Né rientrano gli impianti medesimi
nell’ambito delle industrie insalubri, non
essendo i medesimi menzionati fra quelli e
non potendo peraltro operare l’analogia
nella materia della elencazione degli
impianti che rientrano nella insalubrità,
nelle varie classi di cui essa consiste.”
Dette argomentazioni (riferibili
specularmente all’impianto di lombricoltura
in cui i lombrichi trasformano i rifiuti
organici in fertilizzante attraverso la
naturale attività di decomposizione, come
documentato da parte ricorrente nelle note
tecniche del prof. D’Errico prodotte nella
istruttoria procedimentale), che il Collegio
condivide pienamente, comportano la
illegittimità del gravato diniego per
difetto di motivazione (TAR Campania-Napoli,
Sez. II,
sentenza 04.11.2011 n. 5135 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Sono
soggetti alla disciplina delle distanze
tutti gli interventi edilizi, ancorché
definiti come “ristrutturazione”, che
comportino l'ampliamento di edifici
«all'esterno della sagoma esistente» [cfr.
le «definizioni» di cui all'art. 27, comma
1, lett. e), n. 1), l.rg. n. 12 del 2005,
che testualmente annovera tale fattispecie
tra gli «interventi di nuova costruzione»].
Infatti la disposizione di cui all’art. 9,
d.m. 02.04.1968 n. 1444, pur riferendosi
(comma 1 n. 2) alla realizzazione di "nuovi
edifici", è applicabile anche agli
interventi di sopraelevazione e dunque anche
alle ristrutturazioni, quando comportano un
incremento dell'altezza del fabbricato.
Con il ricorso principale viene impugnata la
delibera di approvazione del piano di
recupero, interessante un immobile limitrofo
alla proprietà di parte ricorrente.
...
Nel merito il ricorso merita accoglimento,
essendo prima facie fondato il motivo
n. 4 (indicato nel ricorso al punto 9),
relativo alla violazione delle distanze.
Dalla ricostruzione dei fatti è evidente che
la torretta è stata ampliata e sostituita
con un nuovo piano, violando la distanza dai
confini e dagli edifici.
...
Questa Sezione ha recentemente affermato che
sono soggetti alla disciplina delle distanze
tutti gli interventi edilizi, ancorché
definiti come “ristrutturazione”, che
comportino l'ampliamento di edifici «all'esterno
della sagoma esistente» [cfr. le «definizioni»
di cui all'art. 27, comma 1, lett. e), n.
1), l.rg. n. 12 del 2005, che testualmente
annovera tale fattispecie tra gli «interventi
di nuova costruzione»] (TAR Lombardia
Milano, sez. II, 10.12.2010, n. 7505).
Infatti la disposizione di cui all’art. 9,
d.m. 02.04.1968 n. 1444, pur riferendosi
(comma 1, n. 2) alla realizzazione di "nuovi
edifici", è applicabile anche agli
interventi di sopraelevazione e dunque anche
alle ristrutturazioni, quando comportano un
incremento dell'altezza del fabbricato
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 04.11.2011 n. 2654 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI: L’avviso
di avvio di cui all’art. 7 della legge
241/1990 è un atto meramente
endoprocedimentale, privo di lesività e non
impugnabile.
L’impugnazione contro la comunicazione di
avvio del procedimento del 02.09.2011 deve
reputarsi invece inammissibile per difetto
di interesse, visto che, per pacifica
giurisprudenza, l’avviso di avvio di cui
all’art. 7 della legge 241/1990 è un atto
meramente endoprocedimentale, privo di
lesività e non impugnabile (cfr., fra le più
recenti, TAR Campania, Napoli, sez. III,
01.03.2011, n. 1249)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 04.11.2011 n. 2644 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: La
regola fissata dall’art. 84 del codice dei
contratti pubblici, per la quale i
componenti della Commissione di gara vanno
scelti fra soggetti dotati di competenza
tecnica adeguata alle peculiarità dello
specifico settore interessato dall’appalto
da assegnare, costituisce espressione di
principi generali, costituzionali e
comunitari, volti ad assicurare il buon
andamento e l’imparzialità dell’azione
amministrativa e, in quanto tale, non è
suscettibile di essere derogata.
La mancanza, all’interno della stazione
appaltante, di funzionari competenti in
relazione all’appalto oggetto di gara non
costituisce ostacolo alla corretta
applicazione delle disposizioni codicistiche
atteso che, ai sensi del combinato disposto
dei commi 2 e 8 dell’art. 84, d.lgs.
12.04.2006, n. 163, in caso di assenza,
nell’organico dell’amministrazione che ha
bandito la gara, delle specifiche
professionalità, i componenti della
Commissione di gara, in possesso delle
capacità tecniche e professionali adeguate
all'importanza dell'appalto, devono essere
scelti o tra funzionari di altre
amministrazioni ovvero tra professionisti e
professori universitari di ruolo.
Il Collegio intende confermarsi a quanto già
affermato nella propria ordinanza n.
2958/2011, la quale, nell'accogliere
l'istanza cautelare proposta dalla società
ricorrente, ha ritenuto fondato il motivo di
doglianza in esame, considerato che:
a) la regola fissata dall’art. 84 del codice
dei contratti pubblici, per la quale i
componenti della Commissione di gara vanno
scelti fra soggetti dotati di competenza
tecnica adeguata alle peculiarità dello
specifico settore interessato dall’appalto
da assegnare, costituisce espressione di
principi generali, costituzionali e
comunitari, volti ad assicurare il buon
andamento e l’imparzialità dell’azione
amministrativa (Cons. St., sez. V,
04.03.2011, n. 1386) e, in quanto tale, non
è suscettibile di essere derogata;
b) la mancanza, all’interno della stazione
appaltante, di funzionari competenti in
relazione all’appalto oggetto di gara non
costituisce ostacolo alla corretta
applicazione delle disposizioni codicistiche
atteso che, ai sensi del combinato disposto
dei commi 2 e 8 dell’art. 84, d.lgs.
12.04.2006, n. 163, in caso di assenza,
nell’organico dell’amministrazione che ha
bandito la gara, delle specifiche
professionalità, i componenti della
Commissione di gara, in possesso delle
capacità tecniche e professionali adeguate
all'importanza dell'appalto, devono essere
scelti o tra funzionari di altre
amministrazioni ovvero tra professionisti e
professori universitari di ruolo (Cons. St.,
sez. V, 24.11.2009 n. 7353; Tar Veneto, sez.
I, 08.10.2009, n. 2575)
(TAR Lazio-Roma, Sez. III,
sentenza 03.11.2011 n. 8414 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: L'art.
15 della legge nr. 1497 del 1939 (divenuto
poi art. 164 del d.lgs. nr. 490 del 1999, ed
oggi l'art. 167 del d.lgs. n. 42 del 2004)
va interpretato nel senso che l'indennità
prevista per abusi in zone soggette a
vincoli paesaggistici costituisce vera e
propria sanzione amministrativa e non una
forma di risarcimento del danno.
In secondo luogo tale sanzione ha natura
affittiva, cioè di punire l’autore
dell’abuso e non quella ripristinatoria (o
reale), che colpisce l’oggetto
dell’illecito, riportando la situazione allo
stato quo ante. Ne consegue che la sanzione
pecuniaria paesistica, a differenza di
quella urbanistica, ha natura personale ed è
quindi soggetta alle regole previste dalla
l. 24.11.1981 n. 689. Non può perciò essere
notificata al proprietario del bene in
mancanza dell’accertamento di una
responsabilità a suo carico nella condotta
illecita, eventualmente in solido (art. 6 L.
689/1981).
La giurisprudenza prevalente ha ormai
chiarito che l'art. 15 della legge nr. 1497
del 1939 (divenuto poi art. 164 del d.lgs.
nr. 490 del 1999, ed oggi l'art. 167 del
d.lgs. n. 42 del 2004) va interpretato nel
senso che l'indennità prevista per abusi in
zone soggette a vincoli paesaggistici
costituisce vera e propria sanzione
amministrativa e non una forma di
risarcimento del danno (cfr. Consiglio di
stato, sez. IV, 12.03.2009, n. 1464; Cons.
Stato, sez. VI, 28.07.2006, nr. 4690; Cons.
Stato, sez. IV, 15.11.2004, nr. 7405; id.
03.11.2003, nr. 7047; Cons. Stato, sez. VI,
03.04.2003, nr. 1729; Cons. Stato, sez. IV,
12.11.2002, nr. 6279; Cons. Stato, sez. VI,
08.11.2000, nr. 6007; id. 06.06.2000, nr.
3185), con la conseguenza che si applica
anche in mancanza di un danno ambientale.
In secondo luogo tale sanzione per la
giurisprudenza prevalente (cfr. Tar Sicilia
Catania, I, 25.03.2010; Cons. Stato, Ad.
Gen. 11.04.2002 n. 4) ha natura affittiva,
cioè di punire l’autore dell’abuso e non
quella ripristinatoria (o reale), che
colpisce l’oggetto dell’illecito, riportando
la situazione allo stato quo ante. Ne
consegue che la sanzione pecuniaria
paesistica, a differenza di quella
urbanistica, ha natura personale ed è quindi
soggetta alle regole previste dalla l.
24.11.1981 n. 689. Non può perciò essere
notificata al proprietario del bene in
mancanza dell’accertamento di una
responsabilità a suo carico nella condotta
illecita, eventualmente in solido (art. 6 L.
689/1981).
In terzo luogo la condotta illecita può
consistere sia in una condotta commissiva,
consistente nella compromissione
dell’integrità paesaggistica (illecito
sostanziale), sia in una condotta omissiva,
consistente nella violazione dell’obbligo di
conseguire preventivamente l’atto di assenso
necessario per la realizzazione
dell’intervento (illecito formale) (In
questo senso v. Cons. Stato, VI, 21.02.2001
n. 912; Cons. Stato, sez. IV, 02.06.2000, nr.
3184). Nel caso in giudizio
l’amministrazione ha contestato alla
ricorrente ed alla società Oasi srl la
violazione formale (v. lettera del Consorzio
31.01.2005 doc. n. 12 del ricorrente).
Occorre quindi confermare quanto affermato
nel parere del Consiglio di Stato reso sul
ricorso straordinario, nella parte in cui
afferma che la responsabilità graverebbe
sull’autore del disboscamento non
autorizzato, in quanto ha compiuto le opere
senza autorizzazione preventiva
(TAR Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza 03.11.2011 n. 2637 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Solo il Consiglio comunale può
ratificare il provvedimento della Giunta
verificandone anche il merito.
Nel novero dei provvedimenti di
convalescenza, volti ad eliminare il vizio
che rende l’atto illegittimo, l'istituto
della ratifica ricorre allorché sussista una
legittimazione straordinaria di un organo ad
emanare a titolo provvisorio e in una
situazione d'urgenza un provvedimento che
rientra nella competenza di un altro organo
il quale, ratificando, lo fa proprio.
In particolare, per quel che concerne la
ratifica dei provvedimenti adottati dalla
Giunta in via di urgenza, il Consiglio
comunale non deve limitare la propria
indagine al solo accertamento delle
condizioni previste dalla legge, ma può
spingersi a verificare il contenuto stesso
del provvedimento, con conseguente
possibilità di modificarlo. Ancora, gli è
consentito altresì di escludere la ratifica
per ragioni diverse da quelle relative alla
sussistenza del presupposto dell'urgenza. La
quinta sezione del Consiglio di Stato
ammette, infatti, che l’organo consiliare
del Comune possa operare una diversa
valutazione dell'opportunità dell'atto.
Di più: il presupposto dell'urgenza, in base
al quale la Giunta esercita i poteri
ordinariamente spettanti al Consiglio
comunale, può essere sindacato in esclusiva
da quest'ultimo, in sede di ratifica, in
quanto la sua rilevanza costituisce
valutazione di merito, non altrettanto
sindacabile dal giudice amministrativo in
sede di giudizio di legittimità (cfr. sul
punto anche Consiglio di Stato, sez. IV, n.
6366/2004) (commento tratto da
www.diritto.it).
---------------
L'istituto della ratifica ricorre allorché
sussista una legittimazione straordinaria di
un organo ad emanare a titolo provvisorio e
in una situazione d'urgenza un provvedimento
che rientra nella competenza di un altro
organo il quale, ratificando, lo fa proprio,
come nella specie.
In sede di ratifica dei provvedimenti
adottati dalla Giunta municipale in via di
urgenza, il Consiglio Comunale non deve
limitare la propria indagine al solo
accertamento delle condizioni previste dalla
legge, affinché la Giunta possa provvedere
in sua vece, ma può verificare anche il
contenuto del provvedimento, con conseguente
possibilità di modificarlo, nonché di
escludere la ratifica anche per ragioni
diverse da quelle attinenti alla sussistenza
del presupposto dell'urgenza, compresa una
diversa valutazione dell'opportunità
dell'atto.
In particolare, il presupposto dell'urgenza,
in base al quale la Giunta esercita i poteri
ordinariamente spettanti al Consiglio
Comunale, può essere sindacato solo da
quest'ultimo, in sede di ratifica, in quanto
la sua rilevanza costituisce valutazione di
merito, non sindacabile dal giudice
amministrativo in sede di giudizio di
legittimità (cfr. Consiglio di Stato , sez.
IV, 01.10.2004, n. 6366).
Pertanto, alla luce di tale pacifico
orientamento, la prima censura d’appello
relativa all’asserita mancanza del requisito
dell’urgenza è infondata (Consiglio di
Stato, Sez. V,
sentenza 02.11.2011 n. 5849 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Sull'obbligo di prestare la
cauzione provvisoria per tutti i soggetti
partecipanti ad una gara di appalto,
compresi mandanti e mandatari, nel caso di
RTI non costituito.
La cauzione provvisoria deve essere prestata
da tutti i soggetti partecipanti, compresi
mandanti e mandatari nel caso di RTI non
costituito, di modo che, ove la cauzione,
come nel caso di specie, sia prestata a
mezzo polizza fideiussoria, quest'ultima
deve essere intestata a tutti i soggetti del
raggruppamento, e non solo alla mandataria.
In materia di cauzione provvisoria vanno
considerati, infatti, obbligati a prestare
la cauzione provvisoria tutti i soggetti che
intendono partecipare alla gara, senza
esclusione alcuna, perché individualmente
responsabili delle dichiarazioni rese.
Diversamente opinando, qualora
l'inadempimento non dipenda dalla capogruppo
designata, bensì dalle mandanti, verrebbe a
configurarsi una carenza di garanzia per la
stazione appaltante.
Pertanto, è illegittimo il provvedimento di
aggiudicazione di una gara, adottato da una
stazione appaltante nei confronti di un RTI
concorrente, che abbia prodotto una cauzione
provvisoria, la cui fideiussione, a garanzia
della stessa, sia stata rilasciata alla sola
impresa mandataria, in violazione di quanto
disposto dall'art. 75 del d.lgs. n. 163/2006
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 02.11.2011 n. 5841 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA: Uno
degli strumenti messi a disposizione per la
bonifica e il ripristino di siti contaminati
è quello dell’ordinanza da emanare ai sensi
dell’art 244 del d.lgs. 152/2006.
Occorre ricordare che l’asse portante del
sistema normativo degli interventi in
questione è costituito dal principio di
matrice comunitaria “chi inquina paga”,
richiamato dalla norma che apre il titolo
dedicato alla bonifica dei siti contaminati
nel contesto del cd codice dell’ambiente.
Il principio "chi inquina paga" deve essere
posto a base, in particolare, di interventi
come quello divisato dall’amministrazione
provinciale di Brindisi perché non può
ammettersi un sistema sanzionatorio o anche
di tipo preventivo il quale si apra ad
ipotesi di responsabilità oggettiva o per
fatto altrui.
E’ questo il senso della norma in forza
della quale la provincia può emanare
l’ordinanza ex art 244 d.lgs. 152/2006 “dopo
aver svolto opportune indagini volte ad
identificare il responsabile dell’evento di
superamento".
Il potere di ordinanza affidato all’ente
provinciale poggia dunque sulla compiuta
verifica delle responsabilità relative alla
contaminazione di un sito, in linea con un
sistema che annovera tra le sue funzioni
anche quella sanzionatoria.
Esso non può dirigersi verso il proprietario
incolpevole del sito perché ciò vuol dire
aprire uno spiraglio ad un regime di
autentica responsabilità oggettiva.
E’ dunque necessario che il proprietario del
sito sia chiamato in causa solo quando
emergono profili quantomeno di
compartecipazione colposa alla condotta
inquinante.
Il Collegio ha già avuto occasione di porre
in evidenza, ai fini della tutela cautelare
concessa in favore della società ricorrente,
che “non sembra potersi desumere una
situazione di sicura imputabilità
dell’inquinamento alla società Transeco in
quanto:
- il sito che si ritiene sorgente inquinante
risulta dismesso da tempo;
- non è possibile, allo stato degli atti,
escludere che la fonte dell’inquinamento sia
riconducibile ad altra attività produttiva
in esercizio, essendo stata acclarata la
prossimità al sito in discorso di una
discarica comunale di rifiuti;
- e, conclusivamente, non sussistono i
presupposti per emanare un provvedimento con
le caratteristiche delineate dall’art 244
del d.lgs. 152/2006, il quale presuppone la
identificazione del responsabile della
potenziale contaminazione”.
Queste argomentazioni debbono oggi essere
ulteriormente corroborate da una disamina
più dettagliata del quadro di interventi e
misure che l’amministrazione competente può
adottare in caso di potenziale
contaminazione di un sito con pericolo di
inquinamento ambientale .
Uno degli strumenti messi a disposizione per
la bonifica e il ripristino di siti
contaminati è quello dell’ordinanza da
emanare ai sensi dell’art 244 del d.lgs.
152/2006, la quale è stata appunto impiegata
dalla amministrazione intimata .
Occorre ricordare che l’asse portante del
sistema normativo degli interventi in
questione è costituito dal principio di
matrice comunitaria “chi inquina paga”,
richiamato dalla norma che apre il titolo
dedicato alla bonifica dei siti contaminati
nel contesto del cd codice dell’ambiente.
Il principio "chi inquina paga" deve
essere posto a base, in particolare, di
interventi come quello divisato
dall’amministrazione provinciale di Brindisi
perché non può ammettersi un sistema
sanzionatorio o anche di tipo preventivo il
quale si apra ad ipotesi di responsabilità
oggettiva o per fatto altrui.
E’ questo il senso della norma in forza
della quale la provincia può emanare
l’ordinanza ex art 244 d.lgs. 152/2006 “dopo
aver svolto opportune indagini volte ad
identificare il responsabile dell’evento di
superamento".
Il potere di ordinanza affidato all’ente
provinciale poggia dunque sulla compiuta
verifica delle responsabilità relative alla
contaminazione di un sito, in linea con un
sistema che annovera tra le sue funzioni
anche quella sanzionatoria.
Esso non può dirigersi verso il proprietario
incolpevole del sito perché ciò vuol dire
aprire uno spiraglio ad un regime di
autentica responsabilità oggettiva.
E’ dunque necessario che il proprietario del
sito sia chiamato in causa solo quando
emergono profili quantomeno di
compartecipazione colposa alla condotta
inquinante
(TAR Puglia-Lecce, Sez. I,
sentenza 02.11.2011 n. 1901 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
La revoca del provvedimento di
aggiudicazione di una gara non può essere
impedita dalla cessione di un ramo
d'azienda.
Se da una parte il divieto di cessione del
contratto, nel settore dei pubblici appalti,
risulta temperato nei casi di cessione di
azienda, ovvero di trasformazione, fusione o
scissione societaria, purché permangano i
requisiti soggettivi ed oggettivi richiesti,
al fine di non penalizzare i processi di
ristrutturazione delle società, è comunque
imposta la possibilità di verifica dei
predetti requisiti da parte
dell'Amministrazione: in tale ottica, ai
sensi dell'art. 35, c. 1, della l. n.
109/1994, gli atti gli atti sopra indicati
non producono effetti nei confronti delle
Amministrazioni aggiudicatrici, fino a che
non siano intervenute le comunicazioni, di
cui all'art. 1 del D.P.C.M. n. 187/1991,
circa il nuovo reale assetto societario.
Ne consegue la perdurante inefficacia dei
medesimi atti in relazione al subentro in
rapporti contrattuali, che alla data della
cessione siano già stati revocati
dall'Amministrazione, non solo non
sussistendo, in tale ipotesi, l'esigenza di
non penalizzare i processi di trasformazione
societaria, ma potendo configurarsi la
cessione quale strumento elusivo
dell'inidoneità alla stipula dell'originale
soggetto aggiudicatario (Consiglio di Stato,
Sez. VI,
sentenza 31.10.2011 n. 5809 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
In sede di rilascio del titolo
abilitativo edilizio sussiste l'obbligo per
il Comune di verificare il rispetto da parte
dell'istante dei limiti privatistici, a
condizione che tali limiti siano
effettivamente conosciuti o immediatamente
conoscibili e/o non contestati, di modo che
il controllo da parte dell'ente locale si
traduca in una semplice presa d'atto dei
limiti medesimi senza necessità di procedere
ad un'accurata ed approfondita disamina dei
rapporti tra i condomini.
E' stato condivisibilmente affermato che, in
sede di rilascio del titolo abilitativo
edilizio sussiste l'obbligo per il Comune di
verificare il rispetto da parte dell'istante
dei limiti privatistici, a condizione che
tali limiti siano effettivamente conosciuti
o immediatamente conoscibili e/o non
contestati, di modo che il controllo da
parte dell'ente locale si traduca in una
semplice presa d'atto dei limiti medesimi
senza necessità di procedere ad un'accurata
ed approfondita disamina dei rapporti tra i
condomini (così, Cons. Stato, IV,
04.05.2010, n. 2546).
E' è tra le ipotesi di questo tipo che
sembra doversi ricomprendere la d.i.a. in
esame, a causa della preventiva
comunicazione al Comune di un esposto del
comproprietario, cioè di un atto che il
Comune non poteva che considerare come
sostanziale opposizione all’intervento, e
che quindi, oggettivamente, metteva in seria
discussione la autonoma disponibilità della
copertura dell’edificio da parte della
ricorrente ai sensi dell’articolo 1102 c.c..
Infatti, non è detto che l’installazione di
pannelli solari sul tetto dell’edificio
(intervento certamente agevolato ed
incentivato dalla normativa, per la sua
valenza sotto il profilo ambientale) non
possa pregiudicare l’uso o il godimento
della cosa comune da parte degli altri
partecipanti alla comunione - condizione
affinché, ai sensi dell’articolo 1102 c.c.,
l’intervento modificativo possa essere
liberamente realizzato da ciascuno di essi;
basti pensare, ad esempio, che ciascun
comproprietario potrebbe avere interesse ad
installare pannelli per produrre energia, ma
potrebbe non essere sufficiente per tutti la
superficie a disposizione, o sopportabile
dalla struttura il peso di più impianti,
etc.; dette eventualità, fanno sì che la
disponibilità dell’installazione ai sensi
dell’articolo 1102 c.c. non sia affatto
scontata, ma debba essere valutata caso per
caso, considerando la volontà e gli
interessi di tutti i comproprietari
(TAR Umbria,
sentenza 28.10.2011 n. 333 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ENTI LOCALI: Case
vip da non svendere. Niente accordo con
l'ente per immobili di pregio. Il Consiglio
di stato mette un freno alle cessioni a
prezzi stracciati.
Non è possibile alcuna
definizione bonaria della controversia fra
l'ente pubblico che dismette l'immobile e il
conduttore che intende aggiudicarsela se
l'aspirante acquirente non si rassegna ad
accettare che la casa in cui abita va
classificato come «di prestigio»: le stime
dell'Agenzia del territorio parlano chiaro e
il susseguente provvedimento dell'ente
chiamato alla cessione risulta ben motivato.
È quanto emerge dalla
sentenza 27.10.2011 n. 5786 della
VI
Sez. del Consiglio di stato.
Dovranno pagarla al prezzo di mercato, la
casa a Roma nel cuore del quartiere-bene dei
Parioli, gli attuali conduttori che
aderiscono al procedimento di
cartolarizzazione.
Altro che storie: in zona, siamo a due passi
da piazza Euclide, le quotazioni immobiliari
oscillano fra 5.700 e 8.000 euro in base
alla stima effettuata dall'Osservatorio del
mercato immobiliare costituito presso l'ex
Demanio.
Palazzo Spada rovescia la sentenza del Tar
rigettando i ricorsi introduttivi dei
conduttori degli immobili: è stato dunque
inutile, per loro, impugnare i decreti
dichiarativi gli immobili in questione «di
pregio», sia la stima del Territorio.
È vero: l'ente pubblico che dismette le sue
proprietà deve preferire in ogni modo il
risultato economico immediato evitando di
accollarsi il rischio di cause-lumaca che
rendono sempre più improbabile la
riscossione dei crediti. Ma la scelta se
addivenire o meno a una composizione delle
vertenze è affidata al prudente
apprezzamento dell'ente. E l'Inps, nella
specie, adotta una decisione ineccepibile
dichiarando l'impossibilità di addivenire a
una soluzione transattiva. Non bisogna
dimenticare che uno dei comandamenti della
seconda operazione di cartolarizzazione Scip
resta sempre «massimizzare gli incassi in
relazione alla situazione del mercato
immobiliare». La procedura di
dismissione degli immobili è la seguente.
I soggetti originariamente proprietari degli
immobili assolvono la vendita di tutti i
beni ad essi trasferiti nel rispetto delle
procedure che regolano l'alienazione dei
cespiti da parte della Scip per la seconda
operazione di cartolarizzazione, per quanto
compatibili.
E le procedure si possono modificare per
rendere più efficiente il processo di
vendita. Se gli immobili trasferiti
risultino non cedibili ai sensi del dl
351/2001 (convertito con modificazioni dalla
legge 410/2001), gli enti provvedono
all'individuazione di unità immobiliari che
hanno le caratteristiche dal decreto e
analogo valore. Una volta entrato in vigore
il decreto, i soggetti originariamente
proprietari degli immobili si sostituiscono
alla Scip in tutti i rapporti, anche
processuali e attinenti alle procedure di
vendita in corso, relativi agli immobili
trasferiti, con liberazione della società.
Intanto i conduttori delle case in zona Vip
pagano le spese di giudizio, in solido fra
loro, all'ente pubblico
(articolo ItaliaOggi del 03.11.2011 - link
a www.corteconti.it). |
EDILIZIA PRIVATA: EDIFICI
DI CULTO – SEDI DI ASSOCIAZIONI CULTURALI
ISLAMICHE – PREVALENZA DELL’ATTIVITA’ DI
PREGHIERA – DETERMINA MUTAMENTO DELLA
DESTINAZIONE D’USO – NECESSITA’ DI PERMESSO
DI COSTRUIRE - SUSSISTE.
In tema di edilizia cultuale, qualora un
immobile non risulti utilizzato in via
esclusiva quale luogo di culto, ma come sede
di un’Associazione culturale islamica (nella
specie ubicata in un negozio), in linea di
principio non sarebbe possibile affermare la
sussistenza di un’incompatibilità
edilizio-urbanistica della destinazione
d’uso dell’immobile medesimo, salvo che le
circostanze di fatto non inducano a ritenere
che l’attività ivi prevalentemente svolta
sia quella della preghiera congregazionale,
espressamente prevista dallo Statuto
dell’Associazione culturale, e quest’ultima
non sia in grado di provare il prevalente
svolgimento di attività diverse da quelle
proprie della preghiera.
LEGGE URBANISTICA DELLA LOMBARDIA – EDIFICI
DI CULTO – NECESSITA’ DI PERMESSO DI
COSTRUIRE ANCHE PER MUTAMENTI DI
DESTINAZIONE D’USO SENZA OPERE –
INCOSTITUZIONALITA’ PER DISCRIMINAZIONE –
NON SUSSISTE.
L’art. 52, comma 3-bis della L.R. della
Lombardia 11.03.2005 n. 12, che dispone la
necessità del rilascio del permesso di
costruire per i “mutamenti di destinazione
d’uso di immobili, anche non comportanti la
realizzazione di opere edilizie, finalizzati
alla creazione di luoghi di culto e luoghi
destinati a centri sociali”, non si presta a
dubbi di costituzionalità o di
discriminazione, poiché esso, trovando
applicazione in relazione all’intera
categoria delle “attrezzature di interesse
comune per servizi religiosi … gli immobili
(comunque) destinati a sedi di associazioni,
società o comunità di persone in qualsiasi
forma costituite, le cui finalità statutarie
o aggregative siano da ricondurre alla
religione, all’esercizio del culto o alla
professione religiosa quali sale di
preghiera, scuole di religione o centri
culturali”, si propone di controllare i
mutamenti di destinazione d’uso
suscettibili, per l’afflusso di persone o di
utenti, di creare centri di aggregazione con
riflessi di rilevante impatto urbanistico.
---------------
La sentenza resa in primo grado va riformata
e –per l’effetto– il ricorso ivi proposto va
respinto.
Il Collegio ribadisce in tal senso che, come
evidenziato anche nella recente ordinanza
cautelare n. 2008 dd. 10.05.2011, se un
immobile non risulta sia utilizzato in via
esclusiva quale luogo di culto (diritto,
questo, il cui esercizio è comunque
garantito anche ai non cittadini a’ sensi e
nei limiti dell’art. 19 Cost.), in linea di
principio non è possibile affermare la
sussistenza di un’incompatibilità
edilizio-urbanistica della destinazione
d’uso dell’immobile medesimo, il quale
peraltro consterebbe sia a tutt’oggi nella
specie adibito a “negozio”, anche se
poi divenuto sede dell’Associazione
Culturale Da’awa.
L’esame dello statuto di tale Associazione e
delle circostanze di fatto documentate sino
alla predetta data del 23.07.2011 convincono
tuttavia il Collegio della circostanza che,
a differenza del caso definito in sede
cautelare da questa stessa Sezione mediante
l’anzidetta ordinanza n. 2008 del 2001,
nella fattispecie non risulta materialmente
comprovato lo svolgimento da parte della
Associazione medesima di attività diverse da
quelle proprie della preghiera, nondimeno
reputata in via del tutto apodittica dal TAR
come accessoria e marginale nel contesto
degli scopi statutari perseguiti da Da’awa.
In effetti, nell’estrema genericità dei pur
commendevoli scopi di carattere generale
enunciati dallo statuto di Da’awa (“rafforzare
il legame di fratellanza umana tra comunità
e i cittadini locali attraverso lo scambio
culturale, la collaborazione sociale, la
vicinanza civile all’interno di un quadro di
rispetto e di integrazione”; “essere
un elemento di una area di convivenza e di
pace, promuovendo una condotta morale che
porti alla pratica del bene”; “far
rivivere gli insegnamenti del Profeta -
Sunna e la rivelazione Divina - Corano”),
la specifica attività di “organizzare
preghiere individuali e collettive”
assume all’evidenza un carattere non
occasionale ma del tutto preminente: e ciò
inderogabilmente impone, pertanto,
l’applicazione nella specie dell’art. 52,
comma 3-bis della L.R. 11.03.2005 n. 12 come
introdotto dall’art. 1 della L.R. 14.07.2006
n. 12, laddove si dispone la necessità del
rilascio del permesso di costruire per i “mutamenti
di destinazione d’uso di immobili, anche non
comportanti la realizzazione di opere
edilizie, finalizzati alla creazione di
luoghi di culto e luoghi destinati a centri
sociali”.
Né va sottaciuto che l’art. 70 e ss. della
medesima L.R. 12 del 2005 reca una specifica
disciplina urbanistica per i luoghi di culto
e che, medio tempore, lo ius superveniens
contenuto nell’art. 71, comma 1, lett.
c–bis, della L.R. 11.03.2005 n. 12, così
come inserito dall’art. 12 della L.R.
21.02.2011 n. 3, ha comunque ricondotto
nella categoria delle “attrezzature di
interesse comune per servizi religiosi … gli
immobili (comunque) destinati a sedi di
associazioni, società o comunità di persone
in qualsiasi forma costituite, le cui
finalità statutarie o aggregative siano da
ricondurre alla religione, all’esercizio del
culto o alla professione religiosa quali
sale di preghiera, scuole di religione o
centri culturali”.
In tale contesto, pertanto, la
trasformazione –inoppugnabilmente avvenuta
nella specie– del preesistente “negozio”
in luogo preminentemente adibito a culto non
poteva che richiedere, anche a prescindere
dalla concomitantemente contestata
realizzazione al piano seminterrato di un
tavolato interno, il rilascio del titolo
edilizio abilitante al mutamento della
destinazione d’uso dei relativi locali.
Né la disciplina contenuta nel testé citato
art. 52, comma 3-bis, della L.R. 12 del 2005
come introdotto dall’art. 1 della L.R. 12
del 2006 può reputarsi incostituzionale
secondo la prospettazione svolta in tal
senso dagli appellati.
Secondo questi ultimi, infatti, tale
disciplina violerebbe:
- l’art. 2 Cost. (riconoscimento
costituzionale dei diritti inviolabili
dell’uomo sia come singolo sia nelle
formazioni sociali; tra i diritti
inviolabili dell’uomo vi è il diritto alla
preghiera religiosa ed al culto);
- l’art. 3 Cost. (violazione del principio
d’eguaglianza e ragionevolezza in quanto
sarebbe chiara la discriminazione che la
Regione Lombardia pone a coloro che vogliano
destinare i locali, anche senza opere, a
luogo di culto -necessità di operare con
permesso di costruire- rispetto a tutti gli
altri cittadini che vogliano effettuare un
mutamento di destinazione d'uso d’altro
genere -il permesso di costruire non
necessita- è sufficiente la denuncia
d’inizio attività, o la semplice
comunicazione);
- l’art. 8 Cost. (libertà di tutte le
confessioni religiose davanti alla legge);
- l’art. 9 Cost. (promozione dello sviluppo
della cultura);
- gli artt. 18 e 19 Cost. (a mezzo della
contestata disciplina regionale si
inciderebbe e si annullerebbe il diritto di
associarsi liberamente ed il diritto di
professare liberamente la propria fede
religiosa al fine di farne propaganda -anche
a mezzo di associazioni culturali- ed anche
per esercitare in pubblico ed in privato il
proprio culto);
- l’art. 20 Cost. (si violerebbe il divieto
costituzionale di non porre speciali
limitazioni legislative per ogni forma
d’attività dell’associazione con fine di
culto);
- e, da ultimo, l’art. 21 Cost. (si
inciderebbe e si annullerebbe il diritto di
manifestare liberamente il proprio pensiero
costituito anche dall’esercizio del culto.
Il Collegio a tale ultimo riguardo evidenzia
che lo stesso giudice di primo grado ha
convenuto che l’art. 52, comma 3-bis della
L.R. 12 del 2005 per la sua collocazione e
la sua ratio è palesemente volto al
controllo di mutamenti di destinazione d’uso
suscettibili, per l’afflusso di persone o di
utenti, di creare centri di aggregazione
(chiese, moschee, centri sociali, ecc.)
aventi come destinazione principale o
esclusiva l’esercizio del culto religioso o
altre attività con riflessi di rilevante
impatto urbanistico, le quali richiedono la
verifica delle dotazioni di attrezzature
pubbliche rapportate a dette destinazioni:
se non altro agli effetti dell’altrettanto
necessario e conseguente rilascio del
certificato di agibilità (cfr. art. 23 e ss.
del T.U. approvato con D.P.R. 06.06.2001 n.
380) dell’immobile destinato al nuovo uso,
nonché della parimenti necessaria e
conseguente pratica di prevenzione incensi
di cui al D.P.R. 12.01.1998 n. 37 di
competenza dei Vigili del Fuoco.
Pertanto non sussiste, nel contesto del
medesimo comma 3-bis, alcuna discriminazione
di carattere politico-culturale e religioso,
anche per il fatto che la disciplina
sopradescritta è uniformemente applicata ad
ogni luogo di culto, anche cattolico, nonché
ad ogni centro sociale, di qualsivoglia
tendenza socio-politica, al fine di
salvaguardare l’incolumità di tutti coloro
che frequentano tali luoghi di riunione (Consiglio di Stato,
Sez. IV,
sentenza 27.10.2011 n. 5778 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
E' illegittima la correzione di
voci di costo, da parte di un'impresa
chiamata a giustificare l'anomalia di un
offerta, conferendo valori diversi rispetto
a quelli indicati nella documentazione
presentata al momento della partecipazione
alla gara.
Nelle procedure di gara, il sub procedimento
di giustificazione dell'offerta anomala non
è volto a consentire aggiustamenti
dell'offerta "in itinere" ma mira, al
contrario, a verificare la serietà di
un'offerta consapevolmente già formulata ed
immutabile.
È illegittima, pertanto, per violazione
della par condicio, la correzione di voci di
costo, da parte di un'impresa chiamata a
giustificare l'anomalia di un offerta,
conferendo valori diversi rispetto a quelli
indicati nella documentazione presentata al
momento della gara. Un siffatto modo di
concepire il procedimento di verifica
dell'anomalia, che realizza la formulazione
di una nuova offerta, si risolve nella
radicale vanificazione delle regole in
materia di gare pubbliche.
Da ciò discende l'inaccettabilità delle
giustificazioni che, nel tentativo di far
apparire seria un'offerta non adeguatamente
meditata, risultino tardivamente dirette ad
un'allocazione dei costi diversa rispetto a
quella originariamente enunciata. La
possibilità di rimodulare i costi in sede di
giustificazioni, infatti, può indurre i
partecipanti a presentare offerte a basso
costo per poi successivamente effettuare le
necessarie correzioni per evitare l'anomalia
(TAR Puglia-Lecce, Sez. III,
sentenza 27.10.2011 n. 1859 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
In materia di appalti pubblici il
principio della unicità dell'offerta
risponde non solo alla necessità di
garantire l'effettiva "par condicio" dei
concorrenti, ma soprattutto a quella di far
emergere la migliore offerta nella gara.
In materia di appalti pubblici il principio
della unicità dell'offerta -che impone ai
partecipanti alle gare di presentare
un'unica proposta tecnica ed economica quale
contenuto della propria offerta-, risponde
non solo alla necessità di garantire
l'effettiva "par condicio" dei
concorrenti, ma soprattutto a quella di far
emergere la migliore offerta nella gara.
In particolare, la necessità di presentare,
in sede di pubbliche gare, una sola offerta
con un'unica soluzione tecnica ed un unico
prezzo ed il fatto che l'Amministrazione sia
tenuta a valutare solo proposte così
formulate risponde, da un lato, al principio
di buon andamento ed imparzialità
dell'azione amministrativa e, dall'altro,
all'esigenza di rispettare il principio di
imparzialità, poiché la presentazione di più
di un'offerta da parte di uno dei
concorrenti, attribuendo allo stesso
maggiori possibilità di conseguire
l'aggiudicazione dell'appalto attraverso la
presentazione di diverse proposte, finirebbe
per ledere la par condicio fra i
concorrenti.
La violazione del principio par condicio
fra i concorrenti non può ritenersi sanata
dalla circostanza che, in presenza di due
diverse proposte contenute nella medesima
offerta, la stessa sia stata ricondotta ad
unicità dalla commissione disponendo
l'esclusione di una delle soluzioni
proposte, risolvendosi in tale ipotesi il
rispetto della "par condicio" a
circostanza meramente eventuale discendente
dall'operato della commissione, laddove la "par
condicio" va assicurata a monte
attraverso l'esclusione della stessa
possibilità di presentazione di duplici
offerte o di plurime proposte nell'ambito
della medesima offerta, la cui
inammissibilità non può che condurre alla
esclusione del concorrente che le ha
formulate dalla gara (TAR Puglia-Lecce, Sez.
III,
sentenza 27.10.2011 n. 1857 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Sulla validità della consegna,
alla stazione appaltante, di un assegno
circolare quale garanzia presentata da
un'ATI concorrente in una gara d'appalto.
In sede di gara d'appalto, la cauzione
costituisce parte integrante dell'offerta e
non, invece, un elemento di corredo della
stessa, ed ha lo scopo di garantire la
serietà della partecipazione alla gara,
nonché l'adempimento dell'impegno a
contrattare, in caso di aggiudicazione. Tale
funzione è ugualmente assicurata, oltre che
dalla quietanza rilasciata da una Tesoreria
Provinciale dello Stato ovvero da una
polizza assicurativa o da una fideiussione
bancaria, anche dalla presentazione di un
assegno circolare che, a differenza di
quello bancario, costituisce un ordinario
strumento di pagamento delle obbligazioni
pecuniarie, equivalente al versamento in
contanti delle somme dovute.
D'altra parte, secondo un orientamento della
Suprema Corte di Cassazione, la consegna di
assegni circolari, pur non equivalendo
direttamente al pagamento a mezzo di somme
di danaro, estingue l'obbligazione qualora
il rifiuto del creditore appaia contrario
alle regole di correttezza, che gli
impongono l'obbligo di prestare la sua
collaborazione all'adempimento
dell'obbligazione, a norma dell'art. 1175
c.c.; la stessa natura dell'assegno
circolare assicura, al legittimo portatore,
la sicurezza di conseguire l'importo di
danaro in esso indicata, così che, salvo
dubbi sulla sua regolarità od autenticità,
ovvero salvo che non vi sia un apprezzabile
interesse a ricevere il danaro in contanti,
l'assegno circolare estingue l'obbligazione
(TAR Toscana, Sez. I,
sentenza 27.10.2011 n. 1584 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
PUBBLICO IMPIEGO: Ai
sensi dell’art. 33, comma 5, della legge n.
104 del 1992 (nel testo ora vigente, dopo le
modifiche apportate prima dall'art. 19 della
legge n. 53 dell’08.03.2000, e poi dall’art.
24, comma 1, lettera b), della legge n. 183
del 04.11.2010), il lavoratore dipendente
pubblico o privato “che assiste persona con
handicap in situazione di gravità, coniuge,
parente o affine entro il secondo grado,
ovvero entro il terzo grado qualora i
genitori o il coniuge della persona con
handicap in situazione di gravità abbiano
compiuto i sessantacinque anni di età oppure
siano anche essi affetti da patologie
invalidanti o siano deceduti o mancanti”,
che non sia ricoverata a tempo pieno, ha
diritto di scegliere, ove possibile, la sede
di lavoro più vicina al domicilio della
persona da assistere e non può essere
trasferito senza il suo consenso ad altra
sede.
Per effetto di tale disposizione il
lavoratore dipendente pubblico o privato ha
quindi, qualora ne sussistano i presupposti,
il diritto di chiedere (ed ottenere) il
trasferimento nella sede di lavoro più
vicina al domicilio della persona da
assistere (o di non essere allontanato da
tale domicilio).
Per poter ottenere la concessione del
beneficio, il richiedente deve dimostrare,
con dati o riferimenti oggettivi, la
necessità di dover assistere un familiare in
condizione di handicap grave e che altri
parenti e affini non sono in grado o
comunque non sono disponibili ad occuparsi
dell'assistenza del disabile.
Tale diritto, come previsto dalla stessa
norma, non è tuttavia incondizionato ma deve
essere necessariamente confrontato con le
irrinunciabili esigenze organizzative
dell'Amministrazione.
Si è quindi affermato che la pretesa del
lavoratore, che effettivamente assiste con
continuità un parente portatore di handicap,
alla scelta della sede di lavoro può trovare
accoglimento solo “ove possibile” e quindi
quando la richiesta di trasferimento possa
essere soddisfatta senza porsi in contrasto
con specifiche esigenze funzionali
dell'Amministrazione di appartenenza,
dovendo assumere rilievo, con riferimento
alle Forze Armate ed ai corpi di Polizia,
possibili situazioni di deficit di organico
di particolari sedi o reparti ovvero le
necessità operative che impongono un
obbligato utilizzo in alcune sedi di
personale in possesso di particolari
specializzazioni.
In conseguenza, l’amministrazione deve
considerare i bisogni, personali e
familiari, dei suoi dipendenti, ma non può
subordinare ad essi la realizzazione dei
propri compiti istituzionali, ai quali nel
bilanciamento degli interessi, deve
riconoscersi priorità.
Si deve peraltro precisare che le cause di
servizio ostative al trasferimento non
possono essere enunciate in modo generico o
apodittico ma devono essere indicate in
concreto perché solo concrete (e prevalenti)
esigenze di servizio possono giustificare il
diniego di accoglimento di una richiesta che
trova fondamento in esigenze di natura
personale e sociale alle quali il
legislatore ha voluto dare particolare
tutela.
Senza contare che, per principio più
generale, la motivazione costituisce un
elemento fondamentale del provvedimento
amministrativo e consente il possibile
sindacato giurisdizionale sulla correttezza
delle valutazioni compiute.
Anche se la normativa in questione deve
essere applicata con il giusto rigore, in
modo da evitare possibili abusi, e con la
dovuta comparazione dei contrapposti
interessi pubblici e privati, occorre
peraltro che l’amministrazione valuti in
concreto la rilevanza delle esigenze
assistenziali esposte dal lavoratore e le
modalità con le quali tale assistenza è
stata (e sarà) fornita.
Si deve ricordare che, ai sensi dell’art.
33, comma 5, della legge n. 104 del 1992
(nel testo ora vigente, dopo le modifiche
apportate prima dall'art. 19 della legge n.
53 dell’08.03.2000, e poi dall’art. 24,
comma 1, lettera b), della legge n. 183 del
04.11.2010), il lavoratore dipendente
pubblico o privato “che assiste persona
con handicap in situazione di gravità,
coniuge, parente o affine entro il secondo
grado, ovvero entro il terzo grado qualora i
genitori o il coniuge della persona con
handicap in situazione di gravità abbiano
compiuto i sessantacinque anni di età oppure
siano anche essi affetti da patologie
invalidanti o siano deceduti o mancanti”,
che non sia ricoverata a tempo pieno, ha
diritto di scegliere, ove possibile, la sede
di lavoro più vicina al domicilio della
persona da assistere e non può essere
trasferito senza il suo consenso ad altra
sede.
Per effetto di tale disposizione il
lavoratore dipendente pubblico o privato ha
quindi, qualora ne sussistano i presupposti,
il diritto di chiedere (ed ottenere) il
trasferimento nella sede di lavoro più
vicina al domicilio della persona da
assistere (o di non essere allontanato da
tale domicilio).
Per poter ottenere la concessione del
beneficio, il richiedente deve dimostrare,
con dati o riferimenti oggettivi, la
necessità di dover assistere un familiare in
condizione di handicap grave e che altri
parenti e affini non sono in grado o
comunque non sono disponibili ad occuparsi
dell'assistenza del disabile.
Tale diritto, come previsto dalla stessa
norma, non è tuttavia incondizionato ma deve
essere necessariamente confrontato con le
irrinunciabili esigenze organizzative
dell'Amministrazione.
Si è quindi affermato che la pretesa del
lavoratore, che effettivamente assiste con
continuità un parente portatore di handicap,
alla scelta della sede di lavoro può trovare
accoglimento solo “ove possibile” e
quindi quando la richiesta di trasferimento
possa essere soddisfatta senza porsi in
contrasto con specifiche esigenze funzionali
dell'Amministrazione di appartenenza,
dovendo assumere rilievo, con riferimento
alle Forze Armate ed ai corpi di Polizia,
possibili situazioni di deficit di organico
di particolari sedi o reparti ovvero le
necessità operative che impongono un
obbligato utilizzo in alcune sedi di
personale in possesso di particolari
specializzazioni (Consiglio di Stato, sez.
IV, n. 923 dell’11.02.2011).
In conseguenza, l’amministrazione deve
considerare i bisogni, personali e
familiari, dei suoi dipendenti, ma non può
subordinare ad essi la realizzazione dei
propri compiti istituzionali, ai quali nel
bilanciamento degli interessi, deve
riconoscersi priorità (Consiglio di Stato,
sez. IV, n. 923 dell’11.02.2011 cit.).
Si deve peraltro precisare che le cause di
servizio ostative al trasferimento non
possono essere enunciate in modo generico o
apodittico ma devono essere indicate in
concreto perché solo concrete (e prevalenti)
esigenze di servizio possono giustificare il
diniego di accoglimento di una richiesta che
trova fondamento in esigenze di natura
personale e sociale alle quali il
legislatore ha voluto dare particolare
tutela.
Senza contare che, per principio più
generale, la motivazione costituisce un
elemento fondamentale del provvedimento
amministrativo e consente il possibile
sindacato giurisdizionale sulla correttezza
delle valutazioni compiute.
Ciò premesso, in relazione a tale profilo,
il diniego dell’amministrazione di concedere
al sig. ... il trasferimento da lui
richiesto (sia in applicazione della legge
n. 104 del 1992, che regola in via ordinaria
la concessione dei benefici per i lavoratori
che prestano assistenza ai familiari
portatori di handicap, sia in applicazione
dell’art. 55 del D.P.R. n. 335, che consente
all’Amministrazione di disporre il
trasferimento anche in soprannumero per
gravissime ed eccezionali situazioni
personali ed eventualmente anche in deroga
alla graduatoria dei trasferimenti), risulta
affetto, come sostenuto dall’appellante, da
evidente illegittimità per difetto di
motivazione (e di istruttoria).
Nel diniego impugnato in primo grado non
sono state infatti indicate le concrete (e
prevalenti) ragioni di servizio che hanno
impedito l’accoglimento della richiesta di
trasferimento dell’interessato mentre sono
state enunciate, come ostative, solo
generiche ragioni di interesse pubblico,
connesse alla peculiarità dei doveri cui è
tenuto un appartenente alla Polizia di
Stato, e all’esistenza di numerose analoghe
domande avanzate da altri aspiranti con pari
qualifica alla stessa sede.
Ma tali (generiche) ragioni non possono
ritenersi sufficienti. Tanto più perché non
sono state smentite dall’amministrazione
(neanche in giudizio) le affermazioni, fatte
dall’appellante, secondo cui: i posti nella
città di Isernia per i quali era stato
chiesto il trasferimento erano liberi
nell’organico; vi erano stati medio tempore
altri trasferimenti presso la Questura di
Isernia; risultava soddisfatta la condizione
apposta dal Questore di Reggio Emilia
all’accoglimento della richiesta di
trasferimento, con l’assegnazione alla
Questura di Reggio di altro dipendente nel
posto da lui ricoperto.
Il Ministero dell’Interno ha peraltro negato
il trasferimento del signor ... (con
riferimento alla richiesta applicazione
della legge n. 104 del 1992) anche per la
carenza del requisito della continuità
dell’assistenza al familiare portatore di
handicap, a causa della notevole distanza
intercorrente fra la residenza della persona
disabile e il luogo di lavoro.
Ma la conclusione alla quale è giunta sul
punto l’amministrazione (e che il TAR ha
ritenuto esente da censure) non può essere
condivisa.
Infatti nella fattispecie non poteva
ricavarsi automaticamente l’insussistenza di
una continuità assistenziale (richiesta
dalla norma all’epoca vigente) solo a causa
della distanza fra il luogo di lavoro e la
residenza della persona disabile.
Anche se la normativa in questione deve
essere applicata con il giusto rigore, in
modo da evitare possibili abusi, e con la
dovuta comparazione dei contrapposti
interessi pubblici e privati (Consiglio di
Stato, sez. IV, n. 8527 del 03.12.2010),
occorre peraltro che l’amministrazione
valuti in concreto la rilevanza delle
esigenze assistenziali esposte dal
lavoratore e le modalità con le quali tale
assistenza è stata (e sarà) fornita.
Deve allora osservarsi che, nella
fattispecie, come evidenziato con il primo
motivo di appello, il sig. ... aveva
dichiarato di prestare fin dal 2000
assistenza alla madre handicappata, che il
padre era deceduto, che gli unici due
fratelli più piccoli lavoravano e
risiedevano in Lombardia, che aveva
continuato a prestare assistenza alla madre
anche quando, nel 2007, era stato assunto ed
assegnato alla Questura di Reggio Emilia da
dove si recava, anche organizzando i turni
di servizio “in quinta”, per metà del
suo tempo presso la madre.
Sulla base di tali elementi
l’amministrazione avrebbe potuto
eventualmente negare il trasferimento
richiesto (oltre che, come si è visto, per
eventuali concrete ragioni di servizio
anche) qualora avesse accertato
l’insussistenza di alcuni presupposti o la
non veridicità delle ragioni indicate, ma
non poteva limitarsi a negare il
trasferimento per la carenza del requisito
dell’assistenza solo a causa della distanza
dalla sede di lavoro tenuto conto delle
modalità con le quali l’assistenza veniva
comunque (asseritamente) prestata
dall’interessato con carattere di
continuità.
Del resto proprio la distanza dalla persona
handicappata che occorreva assistere aveva
determinato la richiesta di trasferimento in
sede a lei più vicina
(Consiglio di Stato, Sez. III,
sentenza 26.10.2011 n. 5725 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Sequestro immobile abusivo.
L’esigenza
di impedire la prosecuzione di lavori di
edificazione di un immobile abusivo ancora
in atto è condizione di per sé sufficiente
per disporre e mantenere il sequestro
preventivo del manufatto e dell’area ove lo
stesso insiste, indipendentemente dalla
natura ed entità degli interventi ancora da
eseguire per completare l’immobile in ogni
sua parte e ritenere così perfezionato il
reato (Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 24.10.2011 n. 38216 -
tratto da www.lexambiente.it). |
URBANISTICA: Illegittima
la variante al Prg se il sindaco è in
commissione.
La variante al piano
regolatore è illegittima quando il sindaco
presiede la commissione edilizia. Così
facendo il primo cittadino finisce per
inficiare l'atto poi adottato creando
un'indebita commistione fra la politica e un
organo di natura squisitamente tecnica.
Lo chiarisce la
sentenza
24.10.2011 n.
5695 della IV Sez. del Consiglio
di stato.
I giudici hanno bocciato il ricorso della
giunta municipale confermando la sentenza
del Tar. Lo statuto del comune non può
derogare a un principio fondamentale
nell'ordinamento degli enti locali come
quello della distinzione fra atti
d'indirizzo, affidati alla politica, e atti
di gestione, di competenza
dell'amministrazione. Alcuni cittadini
ottengono lo stop alle ruspe, laddove i
parcheggi e il percorso fitness
relativi all'area verde da creare in origine
risultano già realizzati.
La giunta, infatti, è troppo frettolosa nel
dare il via alla variante urbanistica che
doveva consentire la lottizzazione: la
presenza del sindaco nell'organo consultivo
dell'ente configura un conflitto d'interessi
vero e proprio. L'entrata in vigore del
nuovo Testo unico in materia urbanistica,
ricordano i giudici di palazzo Spada, ha
reso facoltativa l'istituzione della
commissione edilizia da parte
dell'amministrazione locale. Nessun dubbio
resta sulla vera natura dell'organo: si
tratta di un pool di tecnici che ha il
compito di esprimere pareri in materia
amministrativa, edilizia, sanitaria,
ambientale, senza l'adozione di alcuna
scelta di indole politica.
Inutile, per l'amministrazione, eccepire che
nella fattispecie l'organo consultivo
dell'amministrazione non si sarebbe espressa
nell'ambito di un procedimento autorizzativo
edilizio –nel quale, sempre secondo la
difesa comunale, sarebbe pacificamente
esclusa qualsiasi competenza politica– ma
nell'ambito di un procedimento di
pianificazione urbanistica, caratterizzato
per contro da ampi profili di
discrezionalità politica e nel quale non
sarebbe pertanto ravvisabile alcun conflitto
di interessi. Confermate le valutazioni
secondo cui il dlgs 267/2000 ha individuato
in modo netto gli organi competenti ad
emanare gli atti di indirizzo (consiglio
comunale, giunta comunale e sindaco) e
quelli competenti all'emanazione degli atti
di gestione (dirigenti comunali).
Poi, con più specifico riferimento alla
Commissione edilizia comunale, la
giurisprudenza ha chiarito che, anche a
seguito dell'entrata in vigore del nuovo
T.u. in materia urbanistica, non può più far
parte della stessa il sindaco in quanto
organo politico (articolo ItaliaOggi del 03.11.2011 - link
a www.corteconti.it).
---------------
A ragione il giudice di primo grado ha
affermato che “è fin troppo noto (che)
nel nostro ordinamento vige la distinzione
fra atti di indirizzo
politico-amministrativo (spettanti agli
organi politici) e atti di gestione
(spettanti agli organi burocratici)” e
che, “in applicazione di tale
distinzione, a livello locale, come
riconosciuto dalla stessa difesa del Comune,
il D.L.vo 267 del 2000 ha individuato in
modo netto gli organi competenti ad emanare
gli atti di indirizzo (Consiglio Comunale,
Giunta Comunale e Sindaco) e quelli
competenti all’emanazione degli atti di
gestione (dirigenti comunali). Ciò si evince
in modo inequivoco dal combinato disposto
degli artt. 50 e 107 del D.L.vo 267 del
2000. Poi, con più specifico riferimento
alla Commissione edilizia comunale, la
giurisprudenza ha chiarito che, anche a
seguito dell’entrata in vigore del nuovo
Testo Unico in materia urbanistica (che ha
reso facoltativa la Commissione Edilizia
Comunale) non può più far parte della stessa
il Sindaco in quanto organo politico. Parte
ricorrente osserva però che la Corte di
Cassazione con sentenza n. 12658 del 2005 (recte,
Cass., SS.UU. civili, 12.06.2005 n. 12868)
avrebbe precisato che, alla luce della nuova
formulazione dell’art. 117 della
Costituzione, gli statuti comunali
potrebbero derogare alle disposizioni di
legge che non contengono principi generali
(e quindi nella specie il procedimento
sarebbe legittimo in quanto lo Statuto
comunale di Zanè ha previsto che il Sindaco
faccia parte della Commissione). Ora a
prescindere dai dubbi che si nutrono in
ordine a tale affermazione
giurisprudenziale, deve comunque ritenersi
assorbente nella specie il fatto che la
distinzione tra atti di indirizzo e atti di
gestione (con relativa distinzione di
competenza) costituisce proprio un principio
generale dell’ordinamento giuridico e di
conseguenza non potrebbe mai essere
disatteso dagli Statuti comunali (quindi non
poteva essere disatteso neppure dallo
Statuto del Comune di Zanè). In forza delle
svolte considerazioni il ricorso va pertanto
accolto e, per l’effetto, va disposto
l’annullamento in parte qua dei
provvedimenti impugnati”.
L’appellante Comune ha contestato tali
assunti della sentenza impugnata,
affermando, a sua volta, che il principio di
distinzione tra competenze di natura
politica e di natura gestionale non
opererebbe nella specie in quanto la
Commissione edilizia comunale, presieduta
dal Sindaco, non si sarebbe espressa
nell'ambito di un procedimento autorizzativo
edilizio (nel quale, sempre a detta della
difesa comunale, sarebbe pacificamente
esclusa qualsiasi competenza politica), ma
nell’ambito di un procedimento di
pianificazione urbanistica, caratterizzato
-per contro- da ampi profili di
discrezionalità politica e nel quale non
sarebbe pertanto ravvisabile quell’ “indebita
commistione dell’organo politico in una
attività provvedimentale attratta alla
competenza dirigenziale” (così a pag. 6
dell’atto introduttivo del giudizio di primo
grado) affermata dagli attuali appellati.
Ma, come -per l’appunto– correttamente
evidenziato da questi ultimi, il punto
cruciale della causa non riguarda il tipo di
procedura (“politica”, o meno)
all’interno della quale la Commissione
edilizia è chiamata ad esprimersi, ma la
natura “politica” -o meno-
intrinsecamente assunta sia dalla
Commissione medesima quale organo
dell’Amministrazione Comunale, sia dai
pareri da essa espressi.
In tal senso va quindi evidenziato che
l’art. 4 del T.U. dell’edilizia, approvato
con D.P.R. 06.06.2001 n. 380, lascia ai
singoli Comuni la discrezionalità in ordine
all’istituzione, o meno, della Commissione
medesima, qualificandola come “organo
consultivo” dell’Amministrazione
Comunale.
In questo modo il legislatore ha dunque
integralmente devoluto alla fonte
regolamentare comunale la disciplina
dell’organo medesimo, come del resto era
anche avvenuto per effetto dell’art. 1 della
L. 17.08.1942 n. 1150; e, del resto, con
parere 492/1999 dd. 21.05.1999 la
Commissione Speciale di questo stesso
Consiglio ha affermato che “in assenza di
precetti in contrario nel testo unico
sull’ordinamento degli Enti Locali di cui al
D.L.vo 18.08.2000, n. 267, spetta al
regolamento edilizio del Comune di
disciplinare la formazione, le attribuzioni
e il funzionamento della Commissione in
questione”.
Ciò posto, l’art. 13 del Regolamento
edilizio del Comune di Zanè, vigente
all’epoca dei fatti di causa (cfr. doc. 12
del fascicolo di primo grado) configura
all’evidenza il parere Commissione come
un’espressione di tipo tecnico, legata “all’osservanza
delle norme urbanistiche, edilizie, tecniche
ed igieniche vigenti e sull'adeguatezza dei
singoli progetti, sotto i profili estetico e
ambientale”; e, del resto, tale
connotazione “tecnica” e non già “politica”
dell’organo medesimi risulta puntualmente
confermata anche dalla disciplina ad oggi
vigente, posto che l’attuale art. 14 del
Regolamento medesimo dispone nel senso che “la
Commissione Edilizia Comunale è l’organo
consultivo del Comune”, i cui membri
sono eletti dal Consiglio Comunale tra
candidati “di competenza tecnica, estetica e
amministrativa in materia di edilizia
urbanistica” e laddove uno di essi “deve
essere laureato in architettura od
ingegneria” (cfr. ivi, in
www.comune.zane.vi.it).
Né va sottaciuto che il parere reso dalla
Commissione è obbligatorio ma non vincolante
per il Responsabile dell’Ufficio Tecnico
Comunale, il quale può quindi discostarsene
soltanto con congrua e puntuale motivazione
(cfr. art. 15 del Regolamento attuale).
Deve dunque da tutto ciò concludersi nel
senso che la Commissione edilizia comunale
di Zanè ha essenzialmente il compito di
esprimere pareri tecnico-amministrativi,
tecnico-edilizi, tecnico-sanitari, e
tecnico-ambientali, nel mentre non assume
alcuna scelta di indole politica.
In ragione di ciò, quindi, l’organo
consultivo dell’Amministrazione Comunale in
materia edilizio-urbanistica doveva essere
composto soltanto da tecnici, senza la
presenza di esponenti politici, con la
conseguenza che presenza in esso del Sindaco
è stata in effetti tale da creare quella “commistione”
-a ragione censurata dagli attuali
appellati- tra istanze politiche e
competenze tecniche all’interno di un organo
viceversa esclusivamente deputato allo
svolgimento di una funzione tecnica
(Consiglio di Stato, Sez. IV
sentenza
24.10.2011 n.
5695 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI - URBANISTICA: La
giurisprudenza è pacifica nell’ammettere il
risarcimento del danno da ritardo (a
condizione ovviamente che tale danno
sussista e venga provato) e l’intervenuto
art. 2-bis, comma 1, della legge n.
241/1990, introdotto dalla legge n. 69/2009,
conferma e rafforza la tutela risarcitoria
del privato nei confronti dei ritardi della
p.a., stabilendo che le pubbliche
amministrazioni e i soggetti equiparati
siano tenuti al risarcimento del danno
ingiusto cagionato in conseguenza
dell’inosservanza dolosa e colposa del
termine di conclusione del procedimento.
La norma presuppone che anche il tempo è un
bene della vita per il cittadino e la
giurisprudenza ha riconosciuto che il
ritardo nella conclusione di un qualunque
procedimento è sempre un costo, dal momento
che il fattore tempo costituisce una
essenziale variabile nella predisposizione e
nell’attuazione di piani finanziari relativi
a qualsiasi intervento, condizionandone la
relativa convenienza economica. In questa
prospettiva ogni incertezza sui tempi di
realizzazione di un investimento si traduce
nell’aumento del c.d. “rischio
amministrativo” e, quindi, in maggiori
costi, attesa l’immanente dimensione
diacronica di ogni operazione di
investimento e di finanziamento.
Come è stato recentemente osservato dal
Consiglio di Stato (cfr. sez. V, 28.02.2011,
n. 1271), la giurisprudenza è pacifica
nell’ammettere il risarcimento del danno da
ritardo (a condizione ovviamente che tale
danno sussista e venga provato) e
l’intervenuto art. 2-bis, comma 1, della
legge n. 241/1990, introdotto dalla legge n.
69/2009, conferma e rafforza la tutela
risarcitoria del privato nei confronti dei
ritardi della p.a., stabilendo che le
pubbliche amministrazioni e i soggetti
equiparati siano tenuti al risarcimento del
danno ingiusto cagionato in conseguenza
dell’inosservanza dolosa e colposa del
termine di conclusione del procedimento.
La norma presuppone che anche il tempo è un
bene della vita per il cittadino e la
giurisprudenza ha riconosciuto che il
ritardo nella conclusione di un qualunque
procedimento è sempre un costo, dal momento
che il fattore tempo costituisce una
essenziale variabile nella predisposizione e
nell’attuazione di piani finanziari relativi
a qualsiasi intervento, condizionandone la
relativa convenienza economica. In questa
prospettiva ogni incertezza sui tempi di
realizzazione di un investimento si traduce
nell’aumento del c.d. “rischio
amministrativo” e, quindi, in maggiori
costi, attesa l’immanente dimensione
diacronica di ogni operazione di
investimento e di finanziamento (cfr. questo
C.G.A., 04.11.2010, n. 1368).
Nel caso di specie va escluso che vi sia
stato il concorso del fatto colposo del
creditore ex art. 1227 c.c. in relazione
alla mancata richiesta dell’intervento
sostitutivo regionale, previsto dall’art. 27
della legge regionale n. 71 del 1978.
A prescindere dal rilievo, che pure potrebbe
farsi, in ordine all’irrilevanza del
summenzionato intervento sostitutivo ai fini
della dimostrazione della colpa del
creditore, non prescrivendo la norma un
obbligo comportamentale a carico del
creditore stesso, è, in ogni caso,
risolutiva di qualsiasi dubbio la
constatazione del giudice di prime cure, che
“il danno subito dalla ricorrente non
avrebbe potuto essere eliminato attraverso
la richiesta di intervento sostitutivo,
tendente a ottenere una rapida conclusione
del procedimento avviato a domanda, atteso
che il pregiudizio denunciato si è
manifestato non in unica soluzione, ma è
frutto della sommatoria di singoli ritardi,
inerzie e rallentamenti, che hanno
costellato nel corso del quadriennio ogni
singola fase endoprocedimentale e hanno
avuto l’effetto complessivo di allungare
oltre misura i tempi di adozione del
provvedimento”.
Per ragioni analoghe va escluso che il
prolungamento dei tempi sia dipeso da un
comportamento acquiescente della società
alle richieste istruttorie
dell’Amministrazione, senza contare che v’è
stato da parte della società medesima un
ricorso al TAR ai sensi dell’art. 21-bis L.
n. 1034/1971 avverso una delle denunciate
inerzie.
Per altro verso, va evidenziato che il TAR
ha minuziosamente elencate le inerzie
dell’Amministrazione ritenute ingiustificate
in relazione alle quali non è stata
sollevata in questa sede alcuna deduzione
difensiva.
Infine, va respinta la doglianza secondo cui
la domanda risarcitoria avrebbe dovuto
essere integralmente rigettata in relazione
alla circostanza che non era stata data
dimostrazione dell’avvenuta restituzione
della prima rata del finanziamento a fondo
perduto né della definitiva revoca del
beneficio a suo tempo erogato.
Avendo il giudice di prime cure circoscritto
il danno risarcibile a una somma
corrispondente all’importo della prima rata
erogata alla società appellata, è solo su
questo aspetto della questione che occorre
soffermarsi.
Come è stato osservato dalla giurisprudenza
(cfr., di recente, Cass. Civ., sez. III,
27.04.2010, n. 10072), in ambito
risarcitorio, il danno futuro rispetto al
momento della decisione, sia esso emergente
(quali le spese non ancora affrontate) o da
lucro cessante, in realtà non può mai essere
declinato in termini di assoluta certezza,
che esclusivamente si attaglia al
pregiudizio già completamente verificatosi
al momento del giudizio. Come è stato
efficacemente osservato in dottrina, “la
certezza che deve sussistere per rendere
risarcibile il danno futuro non è la stessa
di quella che caratterizza il danno presente”.
E la giurisprudenza ha da tempo chiarito che
se non basta la mera eventualità di un
pregiudizio futuro per giustificare la
condanna al risarcimento, per dirlo
immediatamente risarcibile è invece
sufficiente la fondata attendibilità che
esso si verifichi secondo la normalità e la
regolarità dello sviluppo causale (ex
multis, Cass., nn. 1637/2000, 1336/1999,
495/1987, 2302/1965).
Dovendo, quindi affermarsi che la rilevante
probabilità di conseguenze pregiudizievoli è
configurabile come danno futuro
immediatamente risarcibile quante volte
l’effettiva diminuzione patrimoniale appaia
come il naturale sviluppo di fatti
concretamente accertati e inequivocamente
sintomatici di quella probabilità, secondo
un criterio di normalità fondato sulle
circostanze del caso concreto, non sembra
dubbio che il pregiudizio lamentato dalla
società appellata abbia siffatte
caratteristiche
(CGARS,
sentenza 24.10.2011 n. 684 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI - URBANISTICA:
Danno per mancata conclusione di
un procedimento amministrativo.
Il Consiglio di Giustizia amministrativa
della Regione Sicilia ricorda che risulta
ammissibile il risarcimento del danno
causato dalla mancata o ritardata
conclusione di un procedimento
amministrativo, in quanto ogni incertezza
sui tempi di realizzazione di un
investimento si traduce nell’aumento del
c.d. "rischio amministrativo" e, quindi, in
maggiori costi.
Il C.G.A.R.S., con la
sentenza 24.10.2011 n. 684,
confermando la precedente sentenza del TAR,
verificato che i tempi di approvazione di
una lottizzazione per insediamenti
produttivi e di rilascio delle relative
autorizzazioni edilizie abbiano subito
alcuni ingiustificati allungamenti
(stimabili in un lasso di tempo superiore
all’anno), ha dichiarato legittimo il
risarcimento del danno accertato;
richiamando la recentemente pronuncia del
Consiglio di Stato (sezione V, sentenza n.
1271 del 28.02.2011,), che ricorda come la
giurisprudenza sia pacifica nell’ammettere
il risarcimento del danno da ritardo (a
condizione ovviamente che tale danno
sussista e venga provato).
Nel merito viene fatto riferimento a quanto
previsto dall’articolo 2-bis, comma 1, della
legge 241/1990, introdotto dalla legge
69/2009; che, in merito alla tutela
risarcitoria del privato nei confronti dei
ritardi della P.A., stabilisce che le
pubbliche amministrazioni e i soggetti
equiparati sono tenuti al risarcimento del
danno ingiusto cagionato in conseguenza
dell’inosservanza dolosa e colposa del
termine di conclusione di un procedimento.
La norma richiamata presuppone, ad avviso
della CGA, che anche il tempo costituisca un
bene della vita per il cittadino, per cui la
giurisprudenza ha riconosciuto che ogni
incertezza sui tempi di realizzazione di un
investimento si traduca nell’aumento del
c.d. "rischio amministrativo" e,
quindi, il ritardo nella conclusione di un
qualunque procedimento rappresenti sempre un
costo, dal momento che il fattore tempo
costituisce una variabile essenziale nella
predisposizione e nell’attuazione dei piani
finanziari (di investimento e di
finanziamento) relativi a qualsiasi
intervento, condizionandone la relativa
convenienza economica (commento tratto da
www.legislazionetecnica.it - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Gare d'appalto, sì alla
partecipazione con requisiti ''indiziari''.
Nelle gare d'appalto l'Amministrazione deve
disporre la regolarizzazione della
documentazione comprovante il possesso dei
requisiti dei partecipanti quando gli atti,
tempestivamente depositati, contengano
elementi che possano costituire un indizio e
rendano ragionevole ritenere sussistenti i
requisiti di partecipazione.
La "ratio" dell'art. 46 del d.lgs. n.
163/2006 è ravvisabile nell'esigenza di
assicurare la massima partecipazione alle
gare di appalto (al fine di evitare che
l'esito delle stesse possa essere alterato
da carenze di ordine meramente formale nella
documentazione comprovante il possesso dei
requisiti dei partecipanti), in un'ottica
intesa al contemperamento di principi
talvolta in antitesi, come quello del "favor
partecipationis" e quello della "par
condicio" tra i concorrenti.
Detta disposizione va, quindi, intesa nel
senso che l'Amministrazione deve disporre la
regolarizzazione quando gli atti,
tempestivamente depositati, contengano
elementi che possano costituire un indizio e
rendano ragionevole ritenere sussistenti i
requisiti di partecipazione: in sostanza,
quando il documento è già stato presentato
in sede di gara, anche se parzialmente, è
consentita la sua regolarizzazione se la
violazione è squisitamente formale ed il
rimedio, in concreto, non altera la "par
condicio" tra i concorrenti, secondo i
principi di proporzionalità e del dovere
dell'Amministrazione di ascoltare i privati
prima di assumere decisioni.
Differente da detta attività amministrativa
volta alla regolarizzazione degli atti è
quella giurisdizionale volta, tramite
istruttoria o acquisizione di atti, a
verificare la fondatezza o meno delle
censure mosse all'operato della
Amministrazione, esperibile quando il
giudicante ritenga di dover attivare i suoi
poteri d'ufficio al superiore fine di
decidere, solo dopo però che le parti
abbiano delineato il tema del contendere.
Il Giudice può, dunque, approfondire aspetti
che non appaiano convincenti o che siano
controversi, ma la cui emersione sia
avvenuta già nel procedimento, mentre egli
non deve finire per integrare la mancante
istruttoria.
Nel caso che occupa l'istruttoria svolta dal
Giudice di primo grado e la accettata
produzione documentale non appare, in base
all'esame degli atti, volta ad operare una
non consentita regolarizzazione degli atti
che avrebbero dovuto essere prodotti in sede
di gara, ma solo ad attivare i suoi poteri
istruttori in ordine a aspetti processuali
controversi, già emersi nel corso del
procedimento, ed in riferimento a requisiti
già auto dichiarati in sede di presentazione
delle offerte (commento tratto da
www.ipsoa.it - Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 21.10.2011
n. 5639 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
posizionamento dei condizionatori climatici
all’esterno dell’edificio, pur potendo
comportare, in ipotesi, alterazione della
sagoma e dell’aspetto esteriore (art. 10,
comma 1, lett. c), t.u. edilizia e art. 146
d.lgs. n. 42/2004) può dirsi opera del tutto
minore e sostanzialmente libera non idonea a
ledere in modo apprezzabile né l’interesse
paesaggistico né tantomeno quello
urbanistico, in disparte ogni questione
sulla perdurante efficacia o meno del
vincolo “provvisorio” apposto ai sensi
dell’art. 2 l. n. 1497/1939.
... per l'annullamento, previa sospensione
dell'efficacia:
a) dell’ordinanza 2011/00643 - 2011/130/0116
del 22.06.2011 (notificata l’01.07.2011),
con la quale il Dirigente della Ripartizione
Urbanistica ed Edilizia Privata del Comune
di Bari ha ingiunto al ricorrente di
provvedere, entro 30 giorni dalla notifica,
alla demolizione delle opere abusive
realizzate ed al ripristino del precedente
stato dei luoghi nonché di provvedere, entro
il medesimo termine, al pagamento della
somma di Euro 516,00 quale sanzione
amministrativa, il tutto ai sensi e per gli
effetti dell’art. 37 del DPR n. 380/2011;
...
Il posizionamento dei condizionatori
climatici all’esterno dell’edificio, pur
potendo comportare, in ipotesi, alterazione
della sagoma e dell’aspetto esteriore (art.
10, comma 1, lett. c), t.u. edilizia e art.
146 d.lgs. n. 42/2004) può dirsi opera del
tutto minore e sostanzialmente libera
(Consiglio di Stato, parere 16.03.2005 n.
2602/2003) non idonea a ledere in modo
apprezzabile né l’interesse paesaggistico né
tantomeno quello urbanistico, in disparte
ogni questione sulla perdurante efficacia o
meno del vincolo “provvisorio”
apposto ai sensi dell’art. 2 l. n.
1497/1939.
Nel bilanciamento dei contrapposti interessi
appare pertanto prevalente quello privato,
in considerazione dello scarso impatto
dell’intervento sul corretto assetto del
territorio, con conseguente sussistenza dei
presupposti per la concessione dell’invocata
tutela cautelare (TAR Puglia-Bari, Sez. III,
ordinanza 20.10.2011 n. 847 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
COMPETENZE GESTIONALI -
EDILIZIA PRIVATA: Variazione
di destinazione d'uso dell'immobile -
Istanza - Diniego - Adozione - Sindaco -
Vizio di incompetenza - Competenza del
Dirigente - Ipotesi di ordinaria attività
gestionale. (D.Lgs. 18.08.2000, n. 267, art.
107).
L'istanza di variazione di destinazione
d'uso dell'immobile, non rientrando
nell'ambito della definizione di obiettivi e
programmi o della verifica della rispondenza
dei risultati dell'attività amministrativa,
integra una ipotesi di ordinaria attività
gestionale, come tale affidata, in virtù del
principio della separazione fra livello di
indirizzo politico e gestionale, alla
generale competenza del Dirigente in quanto
apice della struttura burocratica.
Qualora, dunque, il provvedimento di diniego
sull'istanza suddetta sia stato adottato dal
Sindaco ha luogo una ipotesi di vizio di
incompetenza per violazione dell'art. 107
del D.Lgs. n. 267 del 2000, nella parte in
cui contempla una previsione generale che
attribuisce ai dirigenti tutti i compiti non
ricompresi espressamente dalla legge o dallo
statuto tra le funzioni di indirizzo e
controllo politico-amministrativo, ivi
compresa l'adozione degli atti e
provvedimenti amministrativi che impegnano
l'Amministrazione verso l'esterno (TAR Valle
d'Aosta,
sentenza 20.10.2011 n. 68 -
tratto da www.diritto24.ilsole24ore.com -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Sulla legittimità dell'esclusione
di un partecipante da una gara per non avere
rispettato la clausola del disciplinare
secondo cui l'offerta tecnica, a pena
d'esclusione, doveva essere firmata o
siglata in ogni sua pagina.
E' legittima l'esclusione di un partecipante
dalla gara per l'affidamento del servizio di
igiene ambientale per la raccolta e
trasporto dei rifiuti per non avere
rispettato la disposizione del disciplinare
secondo cui l'offerta tecnica, a pena
d'esclusione, doveva essere firmata o
siglata in ogni sua pagina dal legale
rappresentante dell'impresa.
La clausola di esclusione corrisponde,
infatti, ad un interesse sostanziale
apprezzabile dell'amministrazione, che è
quello alla autenticità ed alla certezza del
contenuto integrale dell'offerta, assolvendo
la sigla di ogni pagina la funzione di
assicurare provenienza, serietà,
affidabilità e insostituibilità
dell'offerta, in tutti i suoi elementi,
vincolando l'autore al contenuto di tutte le
parti, nella specie separate in singole
schede.
Inoltre, i pur ammissibili temperamenti al
formalismo delle procedure di gara, nei casi
in cui questo sia in grado di compromettere
l'interesse pubblico -ipotesi da escludere
nel caso di specie, in cui tutte le imprese
partecipanti sono state escluse in
applicazione della medesima clausola- non
possono operare fino a spingersi a
configurare l'esistenza, in capo
all'amministrazione, di un potere
discrezionale volto a porre rimedio ad
eventuali insufficienze o inadempienze della
impresa partecipante, soprattutto qualora
queste appaiano imputabili esclusivamente
alla impresa, dovendosi rispettare le regole
di gara al fine di assicurare la par
condicio tra i concorrenti (Consiglio di
Stato, Sez. V,
sentenza 19.10.2011 n. 5619 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Sussiste la responsabilità
precontrattuale di un Comune che abbia
proceduto alla revoca di una procedura di
gara a distanza di lungo tempo dalla
pubblicazione del bando, e successivamente
alla fase di valutazione delle offerte
tecniche.
Sussiste la responsabilità precontrattuale
in capo ad un Comune appaltante, che abbia
proceduto alla revoca di una procedura di
gara a distanza di lungo tempo dalla
pubblicazione del bando, e successivamente
alla fase di valutazione delle offerte
tecniche. Costituisce ius receptum il
principio secondo cui, la legittimità
dell'atto di revoca dell'aggiudicazione di
una gara di appalto, non elimina il profilo
relativo alla valutazione del comportamento
della P.A., con riguardo al rispetto dei
canoni di buona fede e correttezza in senso
oggettivo.
La previsione dell'obbligo di indennizzare
il privato, per eventuali pregiudizi subiti
in conseguenza della revoca, di cui all'art.
21-quinquies della legge n. 241/1990, non fa
venir meno la possibile responsabilità della
stazione appaltante per violazione
dell'obbligo di buona fede, nelle trattative
che conducono alla conclusione del contratto
di appalto. Non costituisce ostacolo al
riconoscimento della responsabilità
precontrattuale dell'ente, la mancata
impugnazione del provvedimento di revoca,
purché sia provato che l'elusione delle
aspettative del concorrente, seppure non
intenzionale, è colposa e contraria ai
canoni di correttezza e buona fede nella
formazione del contratto.
La responsabilità precontrattuale per la
revoca della gara è infatti sempre
configurabile, qualora il fine pubblico
venga attuato attraverso un comportamento
obbiettivamente lesivo dei doveri di lealtà,
sicché, anche dalla revoca legittima degli
atti di gara, può scaturire l'obbligo di
risarcire il danno, nel caso di affidamento
suscitato nell'impresa. Nelle ordinarie
ipotesi di danni conseguenti alla violazione
di interessi legittimi, ai fini del
risarcimento, non vi è una violazione
diretta della disciplina sulle procedure di
aggiudicazione degli appalti pubblici;
l'illegittimità è piuttosto riferibile al
comportamento complessivo della stazione
appaltante, la quale assume, con
ingiustificato ritardo, una legittima
determinazione di revoca della gara,
violando il legittimo affidamento dei
concorrenti.
Nel caso di specie, la delibera comunale
relativa alla revoca è giunta a distanza di
nove mesi dalla pubblicazione del bando di
gara; il decorso di un tempo così lungo
costituisce, di per sé, sintomo di
negligenza e cattiva amministrazione,
giacché le gare per l'affidamento dei
servizi pubblici debbono svolgersi nel
rispetto dei principi di concentrazione e
speditezza delle procedure di evidenza
pubblica, anche al fine di scongiurare le
sopravvenienze legate al passare del tempo,
le quali fanno sì che le condizioni
tecnico-economiche fissate nei bandi di gara
non rispondano più alle effettive esigenze
della P.A. aggiudicatrice (TAR Puglia-Bari,
Sez. I,
sentenza 19.10.2011 n. 1552 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Rifiuti. Abbandono e deposito.
L'abbandono di rifiuti "alla rinfusa"
e non per categorie omogenee, come invece
previsto dall'art. 183, comma primo, lett.
m), D.Lgs. 03.04.2006, n. 152 (e, in
precedenza, dall'abrogato art. 6, comma
primo, lett. m), D.Lgs. 05.02.1997, n. 22),
esclude la configurabilità del cosiddetto
deposito temporaneo regolare (Corte di
Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 13.10.2011 n. 36979 -
tratto da www.lexambiente.it). |
APPALTI:
La mancata allegazione del
documento d'identità è causa di esclusione?
I giudici del Tar Lazio hanno ritenuta
legittima l'esclusione da una gara di
appalto di un concorrente che abbia omesso
di allegare il documento di identità alla
busta contenente l'offerta economica.
Il caso.
I giudici del Tar Lazio sono chiamati a
pronunciarsi sulla legittimità
dell'esclusione da una gara di un
concorrente che abbia omesso di allegare il
documento di identità alla busta contenente
l'offerta economica .
La posizione del Tar Lazio.
I giudici del Tar Lazio affermano che è
legittimo il provvedimento di esclusione da
una gara, adottato da una stazione
appaltante nei confronti di un concorrente
che, in violazione di una clausola contenuta
nel bando di gara, abbia omesso di allegare
copia del documento di identità all'offerta
economica presentata, e ciò anche
nell'ipotesi in cui tale copia sia stata
prodotta all'interno della busta contenente
la documentazione amministrativa, in quanto
a fronte del chiaro ed inequivoco disposto
letterale del disciplinare di gara,
l'amministrazione è tenuta ad applicare in
modo rigoroso ed incondizionato le clausole
inserite nella lex specialis, senza
alcuna possibilità di valutazione
discrezionale in ordine alla rilevanza
dell'adempimento, non risolvendosi la
richiesta di allegare il documento di
identità in un mero formalismo, in quanto
detta prescrizione è diretta a comprovare,
oltre alle generalità del dichiarante, il
nesso di imputabilità soggettiva della
dichiarazione ad un determinato concorrente.
Peraltro, detta clausola da un lato trova la
sua ragion d'essere nell'esigenza di
soddisfare un interesse apprezzabile
dell'amministrazione procedente, dando
certezza in ordine alla provenienza della
dichiarazione e, d'altra parte, si limita ad
imporre ai partecipanti uno sforzo minimo e
proporzionato rispetto all'interesse
pubblico perseguito.
In materia di gare relative a contratti
pubblici deve ritenersi indefettibile la
produzione della copia fotostatica del
documento d'identità nel caso in cui si
tratti di supportare la più importante delle
dichiarazioni di volontà che intervengono
nella procedura concorsuale, cioè l'offerta
economica, stante che la prescritta
formalità assolve all'essenziale funzione di
ricondurre incontrovertibilmente al suo
autore l'autenticità dell'apposta
sottoscrizione (commento tratto da
www.ispa.it - TAR Lazio-Roma, Sez.
III-quater,
sentenza 13.10.2011 n. 7931 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Ordine di demolizione e
sospensione.
In tema di esecuzione dell'ordine di
demolizione di un manufatto abusivo, anche
nel caso in cui sia intervenuta sospensione
-da parte dell'autorità giudiziaria
amministrativa- dell'ordinanza sindacale di
demolizione del manufatto, il giudice deve
verificare la compatibilità dell'ordine di
demolizione con la predetta sospensione in
base ad una disamina della motivazione posta
a sostegno del provvedimento cautelare: solo
l'intervenuta sospensiva concessa con
riferimento al “fumus boni iuris' di
possibili vizi relativi a violazioni
sostanziali della normativa urbanistica, non
riparabili in sede di autotutela
dall'autorità amministrativa, è da ritenersi
influente: mentre se il provvedimento
cautelare trova la sua giustificazione in
vizi meramente formali, esso non è
incompatibile con l'ordine di demolizione
(Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 12.10.2011 n. 36843 -
tratto da www.lexambiente.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Rifiuti. Liquami costituiti da
deiezioni animali provenienti da allevamento
zootecnico.
I liquami
costituiti dalle deiezioni animali
provenienti da un allevamento zootecnico
rappresentano, per qualità e quantità, un
dato significativo della pericolosità per
l’ambiente e la salute delle persone che può
derivare dallo svolgimento di tale attività
e richiede pertanto, da parte dei soggetti
preposti, la predisposizione di ogni
necessario accorgimento atto ad evitare
sversamenti, anche accidentali, dei liquami
prodotti (Corte di Cassazione, Sez. III
penale,
sentenza 12.10.2011 n. 36830 -
tratto da www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA: L’omessa
notifica della ingiunzione di demolizione ad
uno dei comproprietari dell'area sulla quale
insiste il manufatto abusivo comporta la
illegittimità del successivo provvedimento
di acquisizione gratuita che si fondi sulla
inottemperanza di uno e non di tutti i
comproprietari.
I provvedimenti repressivi di abusi
edilizi non devono essere preceduti
dall'avviso di avvio del relativo
procedimento, trattandosi di atti tipici e
vincolati emessi ad esito di un mero
accertamento tecnico della consistenza delle
opere realizzate e del loro carattere
abusivo.
---------------
E' applicabile l'ordinanza di demolizione
anche alle cd. case mobili, in quanto la
precarietà di un manufatto la cui
realizzazione non necessita di concessione
edilizia, non dipende dai materiali
utilizzati o dal suo sistema di ancoraggio
al suolo, bensì dall'uso al quale il
manufatto stesso è destinato; pertanto,
essa, va esclusa quando trattasi di
struttura destinata a dare un'utilità
prolungata nel tempo, a nulla rilevando la
temporaneità della destinazione data
all'opera dai proprietari, in quanto occorre
valutare la stessa alla luce della sua
obiettiva ed intrinseca destinazione
naturale.
Osserva, al riguardo, il collegio che alla
stregua della giurisprudenza del Giudice
amministrativo: …”l’omessa notifica della
ingiunzione di demolizione ad uno dei
comproprietari dell'area sulla quale insiste
il manufatto abusivo comporta la
illegittimità del successivo provvedimento
di acquisizione gratuita che si fondi sulla
inottemperanza di uno e non di tutti i
comproprietari” (TAR Sicilia-Catania,
sez. III, 20.06.1991, n. 229).
I provvedimenti repressivi di abusi edilizi
non devono essere preceduti dall'avviso di
avvio del relativo procedimento, trattandosi
di atti tipici e vincolati emessi ad esito
di un mero accertamento tecnico della
consistenza delle opere realizzate e del
loro carattere abusivo (TAR Toscana Firenze,
sez. III, 18.01.2010, n. 42).
--------------
Viene ritenuta l'applicabilità
dell'ordinanza di demolizione anche alle cd.
case mobili, in quanto la precarietà di un
manufatto la cui realizzazione non necessita
di concessione edilizia, non dipende dai
materiali utilizzati o dal suo sistema di
ancoraggio al suolo, bensì dall'uso al quale
il manufatto stesso è destinato; pertanto,
essa, va esclusa quando, come nella
fattispecie, trattasi di struttura destinata
a dare un'utilità prolungata nel tempo, a
nulla rilevando la temporaneità della
destinazione data all'opera dai proprietari,
in quanto occorre valutare la stessa alla
luce della sua obiettiva ed intrinseca
destinazione naturale (Cons. Stato, V Sez.,
n. 3321/2000) (TAR Lazio-Latina,
sentenza 12.10.2011 n. 799 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
L'obbligo di osservare nelle
costruzioni determinate distanze sussiste
solo in relazione alle vedute, e non anche
con riferimento alle luci; ne deriva che la
dizione "pareti finestrate", che si ispiri
all'art. 9 d.m. 02.04.1968 n. 1444 riguardo
la distanza minima nelle sopraelevazioni di
dieci metri tra pareti finestrate e pareti
di edifici antistanti, va riferita
esclusivamente alle pareti munite di
finestre qualificabili come "vedute", senza
ricomprendere quelle sulle quali si aprono
finestre cosiddette "lucifere".
In tema di limitazioni legali della
proprietà, l'art. 873 cod. civ., per evitare
intercapedini dannose, prevede che le norme
sulle distanze tra fabbricati non si
misurano in modo radiale, come invece
avviene per le distanze rispetto alle
vedute, ma in modo lineare. Questo modo di
misurazione comporta anche che, in ragione
della ratio che governa la specifica
disciplina in esame, le norme sulle distanze
legali si applicano soltanto agli edifici
che si fronteggiano, mentre non hanno
rilievo le distanze calcolate fra gli
spigoli delle costruzioni prese in esame.
Osserva il Collegio che, in linea generale
non ha motivo di discostarsi
dall’orientamento della giurisprudenza
riguardo la materia delle distanze nelle
costruzioni e nel richiamare la disciplina
legale dei "rapporti di vicinato"
rileva che l'obbligo di osservare nelle
costruzioni determinate distanze sussiste
solo in relazione alle vedute, e non anche
con riferimento alle luci; ne deriva che la
dizione "pareti finestrate", che si
ispiri all'art. 9 d.m. 02.04.1968 n. 1444
riguardo la distanza minima nelle
sopraelevazioni di dieci metri tra pareti
finestrate e pareti di edifici antistanti,
va riferita esclusivamente alle pareti
munite di finestre qualificabili come "vedute",
senza ricomprendere quelle sulle quali si
aprono finestre cosiddette "lucifere"
(cfr. Cass. civile, sez. II, 04.02.1999, n.
982).
In tema di limitazioni legali della
proprietà, l'art. 873 cod. civ., per evitare
intercapedini dannose, prevede che le norme
sulle distanze tra fabbricati non si
misurano in modo radiale, come invece
avviene per le distanze rispetto alle
vedute, ma in modo lineare. Questo modo di
misurazione comporta anche che, in ragione
della ratio che governa la specifica
disciplina in esame, le norme sulle distanze
legali si applicano soltanto agli edifici
che si fronteggiano, mentre non hanno
rilievo le distanze calcolate fra gli
spigoli delle costruzioni prese in esame
(cfr. Cass. civile, sez. II, 07.04.2005, n.
7285; Corte Appello Salerno, 29.01.2007, n.
66) (TAR Lazio-Roma, Sez. II-bis,
sentenza 11.10.2011 n. 7896 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
conformità urbanistico-edilizia
dell’immobile è una condizione necessaria
per richiedere e ottenere il certificato di
agibilità.
Appare preliminare l’esame dei profili di
illegittimità, sollevati con le prime tre
censure del ricorso principale, dell’art. 83
del RUEC di Serrara Fontana, laddove prevede
che: «… per gli edifici oggetto di
istanze di condono edilizio la sospensione
dei procedimenti amministrativi e
giurisdizionali, anche penali, comporta che
i titolari hanno facoltà di continuare ad
utilizzare gli immobili per le destinazioni
d’uso consolidate ed in atto alla data di
presentazione delle istanze, pur in assenza
di un formale certificato di abitabilità,
qualora il titolare formuli richiesta di
certificato di abitabilità questa può essere
rilasciata a titolo provvisorio, nel
rispetto delle condizioni dettate dall’art.
4 D.P.R. 425/1994, con la precisazione nella
dichiarazione del direttore dei lavori, o
altro tecnico incaricato, deve essere
certificato che le opere sono conformi a
quelle oggetto della istanza di condono».
La norma riportata, in sostanza, consente di
certificare provvisoriamente l’abitabilità
di immobili, pur non in regola con le
disposizioni urbanistico-edilizie, qualora
sia stata presentata un’istanza condonistica,
non ancora definita, e nel rispetto delle
altre condizioni di legge.
In proposito, va osservato che la normativa
primaria di riferimento non consente il
rilascio del certificato di agibilità o di
abitabilità con riferimento a immobili non
conformi alla normativa urbanistico
edilizia.
La lettura dell’art. 24 del D.P.R. 380/2001,
del resto, chiaramente evidenzia come la
conformità edilizia dell’opera sia un
presupposto per il rilascio del certificato
di abitabilità; questo, infatti, è regolato
nel senso di imporre l’obbligo di
richiederlo esclusivamente al soggetto (o ai
suoi aventi causa) che abbia ottenuto il
titolo edilizio per realizzare: a) nuove
costruzioni; b) ricostruzioni o
sopraelevazioni, totali o parziali; c)
interventi sugli edifici esistenti che
possano influire sulle condizioni di
sicurezza, igiene, salubrità, risparmio
energetico degli edifici e degli impianti
negli stessi installati. In mancanza di
permesso di costruire o di altro atto
autorizzativo (e, quindi, del suo titolare),
non appare neppure possibile richiedere il
certificato di abitabilità, non essendovi, a
norma di legge, soggetti legittimati a
farlo.
In tal senso, va letta anche la successiva
disposizione dell’art. 25 del D.P.R.
380/2001 (di natura regolamentare) laddove,
al co. 1, lett. b), prevede che il
certificato possa essere rilasciato solo
dopo la presentazione, fra l’altro, di una «dichiarazione,
sottoscritta dallo stesso richiedente il
certificato di agibilità, di conformità
dell'opera rispetto al progetto approvato
(…)».
Inoltre, l’art. 35, co. 20, L. 47/1985,
espressamente richiamato dall’art. 39 L.
724/1994 ai sensi del quale si è chiesta la
sanatoria dell’ampliamento di cui si
discute, prevede che solo «a seguito
della concessione o autorizzazione in
sanatoria» possa essere «rilasciato
il certificato di abitabilità o agibilità
anche in deroga ai requisiti fissati da
norme regolamentari» (sempre che le «opere
sanate non contrastino con le disposizioni
vigenti in materia di sicurezza statica,
attestata dal certificato di idoneità di cui
alla lettera b) del terzo comma e di
prevenzione degli incendi e degli infortuni»).
La giurisprudenza assolutamente
maggioritaria, del resto, sulla scorta delle
argomentazioni appena esposte, ritiene che
la conformità urbanistico-edilizia
dell’immobile sia una condizione necessaria
per richiedere e ottenere il certificato di
agibilità (cfr., ex multis, Consiglio
di stato, sez. V, 30.04.2009, n. 2760, TAR
Lombardia Milano, sez. II, 17.09.2009, n.
4672)
(TAR Campania-Napoli, Sez. VI,
sentenza 11.10.2011 n. 4648 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA:
Legittimati ad impugnare gli atti
di pianificazione urbanistica sono, di
regola, soltanto i proprietari delle aree
alle quali le varianti stesse si riferiscono
ovvero i soggetti, anche diversi dai
proprietari, allorché la nuova destinazione
urbanistica incida sul godimento o sul
valore di mercato dell'area, sempre che
dimostrino l’esistenza di uno specifico loro
pregiudizio.
Come affermato dalla consolidata
giurisprudenza anche del giudice d’appello,
infatti, legittimati ad impugnare gli atti
di pianificazione urbanistica sono, di
regola, soltanto i proprietari delle aree
alle quali le varianti stesse si riferiscono
ovvero i soggetti, anche diversi dai
proprietari, allorché la nuova destinazione
urbanistica incida sul godimento o sul
valore di mercato dell'area, sempre che
dimostrino l’esistenza di uno specifico loro
pregiudizio (cfr., ex multis, Cons.
St., sez. IV, 23.07.2009, n. 4605)
(TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 11.10.2011 n. 1541 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La ristrutturazione edilizia, per
essere tale e non finire per coincidere con
la nuova costruzione, debba conservare le
caratteristiche fondamentali dell'edificio
preesistente e la successiva ricostruzione
dell'edificio debba riprodurre le precedenti
linee fondamentali quanto a sagoma,
superfici e volumi.
Il concetto di ristrutturazione edilizia,
quale enunciato dall'art. 31, lett. d), l.
05.08.1978, n. 431 ("interventi rivolti a
trasformare gli organismi edilizi mediante
un insieme sistematico di opere che possono
anche portare ad un organismo edilizio in
tutto o in parte diverso dal precedente"),
ha subito nel tempo diversificate
interpretazioni e diffuse incertezze
soprattutto riguardo alla ristrutturazione
per demolizione e ricostruzione, nella
ricerca degli elementi che distinguessero la
fattispecie dalla ristrutturazione.
Ad un primo orientamento che escludeva la
demolizione e ricostruzione dalla
fattispecie di ristrutturazione (Cons. St.,
sez. V, 09.02.1996, n. 144), è seguito
l'orientamento trasfuso nel Testo Unico
dell'edilizia che ha compreso la fattispecie
nella categoria della "ristrutturazione"
purché "fedele" in quanto modalità
estrema di conservazione dell'edificio
preesistente nella sua consistenza
strutturale, essendosi ritenuto che "la
ricostruzione di un preesistente fabbricato
senza variazione o alterazione della
superficie, volumetria e destinazione d'uso,
non incide sul carico urbanistico già
esistente e non è, pertanto, assoggettato ad
oneri né al rispetto degli indici
sopravvenuti" (Cons. St., sez. V,
10.08.2000, n. 4397).
In recepimento degli indirizzi
giurisprudenziali formatisi in materia, il
T.U. dell'edilizia ha ricompreso tra gli
interventi di ristrutturazione edilizia "quelli
consistenti nella demolizione e successiva
fedele ricostruzione di un fabbricato
identico quanto a sagoma, volumi, area di
sedime e caratteristiche dei materiali,
fatte salve le sole innovazioni necessarie
per l'adeguamento alla normativa antisismica".
L'art. 1 del decreto legislativo 27.12.2002,
n. 301 ha modificato l'art. 3, in parte
qua, eliminando la locuzione "fedele
ricostruzione di un fabbricato identico,
quanto a sagoma, volumi, area di sedime e
caratteristiche di materiali a quello
preesistente" e l'ha sostituita con
l'espressione "ricostruzione con la
stessa volumetria e sagoma di quello
preesistente" (art. 1, lett. a).
Anche escludendo il superato criterio della
fedele ricostruzione, esigenze di
interpretazione logico-sistematica della
nuova normativa inducono tuttavia la
giurisprudenza a ritenere che la
ristrutturazione edilizia, per essere tale e
non finire per coincidere con la nuova
costruzione, debba conservare le
caratteristiche fondamentali dell'edificio
preesistente e la successiva ricostruzione
dell'edificio debba riprodurre le precedenti
linee fondamentali quanto a sagoma,
superfici e volumi (fra le tante Cons.
Stato, sez. IV, 18.03.2008, n. 1177)
(TAR Veneto, Sez. I,
sentenza 11.10.2011 n. 1539 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Approvazione tecnica di progetto
in sanatoria.
La mera
approvazione “tecnica” di un progetto
in sanatoria se certamente vale quale
preliminare presupposto per farsi luogo al
rilascio del provvedimento formale di
concessione, non equivale a rilascio della
concessione, subordinata, invece, ad una
serie di adempimenti (Corte di Cassazione,
Sez. III penale,
sentenza 10.10.2011 n. 36531 -
tratto da www.lexambiente.it). |
APPALTI SERVIZI:
Sul divieto di cui all'art.
23-bis c. 9, del d.l. n. 112/2008.
L'art. 23-bis, c. 9, del DL n. 112/2008,
vieta l'acquisizione della gestione di
servizi ulteriori, in concessione o in
appalto, alle società che già gestiscono
servizi pubblici locali ad esse affidati
senza il rispetto dei principi dell'evidenza
pubblica, anche per il tramite di società
controllanti o da essa controllate. La
ratio della predetta disposizione va
ravvisata nell'esigenza di impedire
alterazioni del mercato concorrenziale che
deriverebbero dalla partecipazione alle gare
per l'affidamento di ulteriori servizi
pubblici locali a quei soggetti che, in
quanto già affidatari diretti di tali
servizi, si trovano in una posizione di
privilegio acquisita al di fuori dei
meccanismi dell'evidenza pubblica; in tale
contesto, è affatto irrilevante la modalità
di affidamento prescelta dalla stazione
appaltante (appalto o concessione), atteso
che il divieto posto dal legislatore
riguarda genericamente "l'acquisizione
della gestione di servizi ulteriori".
Inoltre, non v'è motivo per ritenere che le
modalità di remunerazione delle attività, la
bilateralità del rapporto e la mancanza
dell'alea, pur idonee a far ascrivere la
gara nella categoria dell'appalto anziché in
quella della concessione, possano influire
sulla natura delle prestazioni da svolgere:
è evidente che anche in tal caso le attività
affidate continuano a configurarsi quale
servizio pubblico locale, essendo del tutto
irragionevole ritenere che esse possano, al
contrario, perdere detta qualità in
dipendenza della tipologia dell'affidamento
(concessione o appalto) (TAR Veneto, Sez. I,
sentenza 10.10.2011 n. 1509 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
EDILIZIA PRIVATA: I
provvedimenti repressivi di abusi edilizi
non devono essere preceduti dall'avviso
dell'inizio del procedimento, trattandosi di
procedimenti tipizzati e vincolati,
considerato, altresì, che i provvedimenti
sanzionatori presuppongono un mero
accertamento tecnico sulla consistenza delle
opere realizzate e sul carattere abusivo
delle medesime.
La concessione edilizia in sanatoria
presuppone la conformità del manufatto
abusivo agli strumenti urbanistici vigenti
sia al tempo della sua realizzazione, sia al
momento in cui si chiede il rilascio del
provvedimento di condono.
L'accertamento di conformità previsto
dall'art. 13 della l. 28.02.1985, n. 47, poi
confluito nel citato art. 36 del D.P.R.
06.06.2001, n. 380, infatti, è diretto a
sanare le opere solo formalmente abusive, in
quanto eseguite senza il previo rilascio del
titolo, ma conformi nella sostanza alla
disciplina urbanistica applicabile per
l'area su cui sorgono, vigente sia al
momento della loro realizzazione che al
momento della presentazione dell'istanza di
sanatoria.
Il provvedimento di accertamento di
conformità assume, pertanto, una
connotazione eminentemente oggettiva e
vincolata, priva di apprezzamenti
discrezionali, dovendo l'autorità procedente
valutare l'assentibilità dell'opera eseguita
senza titolo, sulla base della normativa
urbanistica e edilizia vigente, in relazione
ad entrambi i momenti considerati dalla
norma.
Il Collegio non ravvisa, nel caso di specie,
alcuna ragione peculiare per discostarsi dal
consolidato orientamento giurisprudenziale
secondo il quale, i provvedimenti repressivi
di abusi edilizi non devono essere preceduti
dall'avviso dell'inizio del procedimento,
trattandosi di procedimenti tipizzati e
vincolati, considerato, altresì, che i
provvedimenti sanzionatori presuppongono un
mero accertamento tecnico sulla consistenza
delle opere realizzate e sul carattere
abusivo delle medesime (ex plurimis:
Cons. Stato, IV, 30.03.2000, n. 1814; TAR
Sicilia, Palermo, II, 06.06.2007, n. 1617;
27.03.2007, n. 979; III, 20.03.2006, n. 608;
20.04.2005, n. 577; TAR Sicilia, Catania,
III, 03.03.2003, n. 374; TAR Campania,
Napoli, IV, 12.02.2003, n. 797; 14.06.2002,
n. 3499; 28.03.2001, n. 1404).
Secondo
l’orientamento assolutamente prevalente
della giurisprudenza, condiviso dal
Collegio, che non rinviene nel caso in esame
ragioni peculiari per discostarsene
–peraltro confermato dalla recente
legislazione (art. 36 d.P.R. 06.06.2001, n.
380) che esplicitamente richiede la cd. “doppia
conformità”-, la concessione edilizia in
sanatoria presuppone la conformità del
manufatto abusivo agli strumenti urbanistici
vigenti sia al tempo della sua
realizzazione, sia al momento in cui si
chiede il rilascio del provvedimento di
condono (cfr. TAR Toscana, Firenze, III,
13.05.2011, n. 837; TAR Lombardia, Brescia,
I, 27.05.2011, n. 785; TAR Sicilia, Palermo,
III, 09.11.2009, n. 1743; II, 11.02.2003, n.
805; TAR Sicilia, Catania, I, 09.01.2009, n.
5).
L'accertamento di conformità previsto
dall'art. 13 della l. 28.02.1985, n. 47, poi
confluito nel citato art. 36 del D.P.R.
06.06.2001, n. 380, infatti, è diretto a
sanare le opere solo formalmente abusive, in
quanto eseguite senza il previo rilascio del
titolo, ma conformi nella sostanza alla
disciplina urbanistica applicabile per
l'area su cui sorgono, vigente sia al
momento della loro realizzazione che al
momento della presentazione dell'istanza di
sanatoria.
Il provvedimento di accertamento di
conformità assume, pertanto, una
connotazione eminentemente oggettiva e
vincolata, priva di apprezzamenti
discrezionali, dovendo l'autorità procedente
valutare l'assentibilità dell'opera eseguita
senza titolo, sulla base della normativa
urbanistica e edilizia vigente, in relazione
ad entrambi i momenti considerati dalla
norma (TAR
Sicilia-Palermo, Sez. III,
sentenza 06.10.2011 n. 1737 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Illegittimità dell'atto a fini
risarcitori, per il G.A. criteri
restrittivi.
Per il C.P.A. quando,
nel corso del giudizio, l'annullamento del
provvedimento impugnato non risulta più
utile per il ricorrente, il giudice accerta
l'illegittimità dell'atto se sussiste
l'interesse ai fini risarcitori. Il
principio deve applicarsi in via restrittiva
e soltanto allorquando la domanda
risarcitoria sia stata proposta nello stesso
giudizio, oppure quando la parte ricorrente
dimostri che ha già incardinato un separato
giudizio di risarcimento o che è in procinto
di farlo.
Con
sentenza
05.10.2011 n. 2352, la IV Sez. del
TAR Lombardia-Milano ha affermato che dal
condono edilizio derivano effetti tipici,
prodotti direttamente dalla legge, senza che
sugli stessi possa influire la volontà del
soggetto al quale è contestato l'abuso e che
ritiene di avvalersi dell'istituto (non
potendo modificare i caratteri e gli effetti
di un istituto regolato dalla legge) sicché
nessuna condizione è apponibile alla domanda
di sanatoria, e se questa risulta apposta è
tamquam non esset.
Ciò posto, deve ritenersi che l'art. 34
comma 3 c.p.a., ai sensi del quale quando,
nel corso del giudizio, l'annullamento del
provvedimento impugnato non risulta più
utile per il ricorrente, il giudice accerta
l'illegittimità dell'atto se sussiste
l'interesse ai fini risarcitori, non può
essere interpretata nel senso che, in
seguito ad una semplice segnalazione della
parte o, addirittura d'ufficio, lo stesso
giudice debba verificare la sussistenza di
un interesse ai fini risarcitori, tenendo
presente che vi è un ristretto numero di
controversie in cui non si potrebbe, in
astratto, individuare un interesse di natura
risarcitoria, e che è stato positivizzato il
principio dell'autonomia dell'azione
risarcitoria (art. 30 stesso codice)
(commento tratto da www.ipsoa.it - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
VARI: Autovelox,
valide le multe in presenza di tecnici
privati.
Sono valide le multe
scattate dall'autovelox alla presenza di un
tecnico privato purché l'agente municipale
sia sempre presente e abbia la disponibilità
dell'attrezzatura affittata dal comune.
Lo ha evidenziato la Corte di Cassazione,
Sez. II civ., con la sentenza 28.09.2011
n. 19816.
Un automobilista dal piede pesante ha
proposto ricorso contro una multa accertata
dai vigili con l'autovelox preso a noleggio
dal comando evidenziando l'ingerenza
eccessiva del privato fornitore del servizio
nella gestione del procedimento
sanzionatorio.
Il giudice di pace ha accolto le censure
mettendo in risalto che il controllo
stradale è stato affidato ad una ditta
privata senza le adeguate garanzie previste
dalla legge per la gestione dei sistemi
autovelox da parte degli organi di polizia
stradale. La Cassazione è di contrario
avviso. L'assistenza tecnica dell'operatore
privato, specifica la sentenza, «limitata
all'installazione ed all'impostazione
dell'apparecchiatura secondo le indicazioni
del pubblico ufficiale, non interferisce
sull'attività di accertamento poi
direttamente svolta da quest'ultimo ed,
anzi, offre agli utenti della strada nei
confronti dei quali è effettuato il
controllo una più sicura garanzia di
precisione nel funzionamento degli strumenti
di rilevazione ove tenuti sotto sorveglianza
da parte di personale tecnico specializzato».
Nel caso in esame, prosegue il collegio, per
espressa previsione contrattuale tutte le
attività tecniche inerenti all'utilizzo
dell'autovelox si svolgono alla presenza
costante del pubblico ufficiale.
L'allontanamento anche occasionale
dell'operatore di polizia secondo la
convenzione, comporta per contratto
l'immediata disattivazione dello strumento
di controllo. Ad ogni modo, proseguono gli
ermellini, è evidente che il magistrato
onorario ha esorbitato dai propri poteri
occupandosi delle modalità di organizzazione
del servizio di controllo stradale.
Erroneamente inoltre il giudice di pace ha
ritenuto che il verbale dovesse contenere
l'attestazione della sperimentata
funzionalità dell'apparecchiatura e che tale
funzionalità dovesse essere dimostrata in
giudizio dall'amministrazione
(articolo ItaliaOggi del 03.11.2011). |
ATTI AMMINISTRATIVI - URBANISTICA:
Provvedimenti di revoca della PA
senza ''proprieta' transitiva''.
Il Consiglio di Stato ha precisato che un
provvedimento di revoca deve provenire dallo
stesso organo che ha assunto l'atto che
s'intende revocare e seguire il medesimo
iter procedurale del primo atto. La
questione verte in merito alla revoca di una
convenzione per concessione diritto di
superficie in area per edilizia economica
popolare.
E' il Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 27.09.2011 n.
5382, che definisce la competenza del
Consiglio Comunale in ordine
all'approvazione dei Piani di Edilizia
Economica Popolare e delle relative
convenzioni, nonché e, questa è la novità
importante, anche per la revoca delle
convenzioni.
Il Giudice di Appello ha rovesciato la
sentenza del Giudice di prime cure che non
aveva accolto il ricorso.
Sinteticamente questo l'evento oggetto della
vicenda processuale: una società a r.l.
ottiene dal Comune il diritto di superficie
per area residenziale, compresa nel Piano di
Edilizia Economica Popolare e
contestualmente veniva prevista apposita
convenzione da stipularsi per la
costituzione del diritto di superficie
sull'area, destinata ad edilizia
residenziale pubblica, ai sensi dell'art.
35, L. n. 865 del 1971. Il tutto con
deliberazione di Consiglio Comunale.
Avviene stipula della convenzione.
Successivamente, lo steso Comune ha
provveduto a revocare l'assegnazione dei
suoli, motivando ciò con la mancata
realizzazione dell'opera ed altro.
Il tutto con deliberazione di Giunta
Comunale.
Il Consiglio di Stato ha riconosciuto
fondato il ricorso sulla constatazione
dell'avvenuta revoca con atto deliberativo
di Giunta Comunale, nel mentre il
provvedimento concessorio, oggetto di
revoca, era avvenuto, come sopra detto, con
deliberazione di Consiglio Comunale.
Interessante rilevare che la deliberazione
di Giunta Comunale aveva quale motivazione
la volontà di eliminare l'ulteriore
produzione di effetti giuridici provenienti
dall'atto revocato, ciò in ragione ed in
considerazione del mutato apprezzamento
dell'interesse pubblico e della situazione
di fatto.
Il Comune resistente ha giustificato e
difeso la deliberazione di Giunta Comunale
sostenendo che la stessa era provvedimento
esecutorio e di dettaglio.
Il Consiglio di Stato non ha accolto tale
tesi ed ha riconosciuto valide le
argomentazioni delle censure esposte dagli
appellanti.
Tale decisione è stata sostenuta dal
Consiglio di Stato con le seguenti
motivazioni:
- La revoca è atto di pari valenza giuridica
rispetto all'atto revocato e, pertanto, deve
essere assunta dallo stesso organo e con le
medesime modalità procedimentali che hanno
visto sorgere il primo atto.
Ciò perché nel mondo giuridico, è di
fondamentale importanza il principio della
competenza, intesa come entità di poteri di
quell'organo.
Ha disatteso il Giudice di Appello le
argomentazioni dell'appellato anche
allorquando quest'ultimo ha sostenuto essere
la revoca un atto di verifica e controllo
dell'attuazione concreta dell'attività di
governo sull'indirizzo del Consiglio
sostenendo che la deroga era intervento in
autotutela.
Le argomentazioni del Consiglio di Stato che
hanno permesso di accogliere il ricorso in
appello sono state ancorate all'applicazione
di due norme giuridiche:
- Art. 35, L. n. 865 del 1971 che
espressamente attribuisce al Consiglio
Comunale la competenza ad approvare la
convenzione per l'assegnazione del diritto
di superficie sui suoli destinati ad
edilizia residenziale pubblica e, quindi,
necessariamente anche eventuali successivi
atti di integrazione, modifica e/o revoca.
- L'art. 42, D.Lgs. n. 267 del 2000 che
elenca tassativamente le competenze del
Consiglio Comunale e tra queste...piani
territoriali ed urbanistici, programmi
annuali e pluriennali per la loro
attuazione...
E' evidente che la specificità della norma
non lascia spazi a libertà interpretative
che possano spostare la competenza degli
atti consiliari a quella della Giunta
Comunale.
Per quanto avanti esposto il ricorso in
appello è stato accolto avendo il Consiglio
di Stato provveduto all'annullamento della
deliberazione di Giunta Comunale con la
quale si era provveduto a revocare la
precedente deliberazione di Consiglio
Comunale.
A margine è doveroso annotare che il ricorso
chiedeva anche il risarcimento dei danni
patiti dalla Società p, prima ricorrente e
poi appellante, per l'avvenuta revoca.
A tal proposito il Consiglio di Stato non ha
ritenuto procedibile la domanda poiché con
l'avvenuto annullamento della deliberazione
di Giunta Comunale che aveva disposto per la
revoca, il Comune è nelle condizioni di
nuovamente operare e determinarsi, pertanto,
non vi sono danni risarcibili che, comunque,
potrebbero sorgere a seguito delle nuove
determinazioni del Comune (commento tratto
da www.ipsoa.it - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Destinazione
d'uso; mutamento; assenza di lavori edili;
concessione edilizia; non necessarietà;
modifiche prospettiche; ampliamento
dell'immobile; titolo abilitativo.
Il mutamento di destinazione d'uso degli
immobili in assenza di lavori edili, purché
compatibile con la destinazione di zona, non
è assoggettato a concessione edilizia, in
quanto costituisce espressione non già dello
ius aedificandi, bensì dello ius
utendi.
La circostanza di cui innanzi, e la
conseguente non necessità del titolo
abilitativo, deve, tuttavia, escludersi ogni
qualvolta il richiedente, formulando istanza
di condono ai sensi della L. n. 47 del 1985,
indichi nel medesimo modello il cambio di
destinazione d'uso e le modifiche
prospettiche, le quali non solo implicano
necessariamente delle opere, in quanto
incidenti sulla forometria esterna del
fabbricato, ma per di più appaiono
strutturalmente finalizzate proprio alla
diversa utilizzazione dell'immobile medesimo
(nella specie come albergo e non più come
abitazione), nonché, in altro modello, la
necessità di un ampliamento (TAR Veneto,
Sez. II,
sentenza
15.02.2011 n. 236 - tratto da
www.diritto24.ilsole24ore.com - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Mutamento
di destinazione d'uso - Finalità - Mutamento
d'uso funzionale - Variazione su immobile
senza opere - Assenza del titolo -
Illegittimità dell'ordine di demolizione -
Variazioni con opere - Necessità del titolo
- Legittimità dell'ordine di demolizione -
Impugnativa - Infondatezza.
Il mutamento di destinazione d'uso consiste
nel variare la destinazione cui l'immobile è
urbanisticamente destinato. Esso può essere
realizzato con opere, ed in tal caso è
soggetto a licenza o concessione ovvero a
semplice autorizzazione, a seconda del tipo
di intervento, o senza opere ed in tal caso
è soggetto a semplice autorizzazione. Ai
fini del legittimo mutamento d'uso "funzionale"
di un locale, inteso quale variazione di
destinazione dell'immobile non implicante la
realizzazione di opere edilizie, non essendo
richiesta concessione edilizia, è
illegittimo l'ordine sindacale di
demolizione, motivato con l'assenza o la
difformità di idoneo titolo concessorio.
Viceversa, l'ipotesi di un mutamento di
destinazione d'uso non già funzionale, bensì
strutturale, ovvero connesso e conseguente
all'esecuzione di opere, necessita di
apposita concessione il cui difetto
legittima la demolizione delle opere stesse.
Orbene, nel caso in esame, risulta infondato
il gravame promosso dalla ricorrente per
l'annullamento del provvedimento con cui il
Comune resistente le ordinava la demolizione
di tre manufatti, perché realizzati in
assenza sia del titolo edilizio che del
titolo paesistico -quest'ultimo necessario
essendo il predetto Comune sottoposto alle
norme del Piano Territoriale Paesistico
approvato con D.M. del 04.07.2002,
pubblicato in G.U. serie generale n. 219 del
19.09.2002-, giacché risultava che i
predetti manufatti, diversamente da quanto
asseriva la ricorrente, presentavano
caratteristiche difficilmente riconducibili
a quelle precedenti, con la conseguenza che
vi era stata un'attività edilizia
manipolativa che doveva necessariamente
qualificarsi come illecita e, quindi,
abusiva in quanto posta in essere senza i
succitati titoli (TAR Campania-Napoli, Sez.
III,
sentenza
07.02.2011 n. 735 - tratto da
www.diritto24.ilsole24ore.com - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Concessione
edilizia e licenza di abitabilità -
Destinazione d'uso - Mutamento senza opere
edili - Non occorre - Condizione.
Il cambio di destinazione d'uso di un
immobile senza opere edilizie non
costituisce immutazione urbanistica ai sensi
dell'art. 1,1. 28.01.1977 n. 10 ed è,
pertanto, soggetto ad autorizzazione, non
già a concessione, ma esclusivamente a
condizione che non implichi situazioni di
incompatibilità con le previsioni funzionali
di zona ed il piano regolatore non
diversifichi gli indici di edificazione a
seconda delle destinazioni (Consiglio di
Stato, Sez. V,
sentenza 07.12.2010 n. 8620 - tratto
da www.diritto24.ilsole24ore.com - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Polizia Giudiziaria. Agenti di
polizia municipale.
È legittimo
il sequestro preventivo del manufatto
abusivo eseguito dagli agenti di polizia
municipale addetti al controllo del settore
edilizio, essendo gli stessi, ai sensi
dell'art. 5 L. n. 65 del 1986, ufficiali di
polizia giudiziaria, indipendentemente dalla
documentazione di tale qualifica comunque
loro derivante dallo svolgimento effettivo
della funzione di controllo (Corte di
Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 06.07.2010 n. 25606 -
tratto da www.lexambiente.it). |
AGGIORNAMENTO AL 02.11.2011 |
ã |
GURI - GUUE -
BURL (e anteprima) |
AMBIENTE-ECOLOGIA: B.U.R.
Lombardia, serie ordinaria n. 44 del
31.10.2011, "Comunicato congiunto delle
Direzioni generali Agricoltura - Ambiente,
energia e reti - Territorio e urbanistica -
Utilizzo dei fanghi in agricoltura" (comunicato
regionale 26.10.2011 n. 120). |
NOTE,
CIRCOLARI E COMUNICATI |
PUBBLICO IMPIEGO:
Oggetto: Decreto legislativo
n. 119 del 18.07.2011, artt. 2 e 8 -
Modifica degli artt. 16 e 45 del Testo Unico
delle disposizioni normative a tutela e
sostegno della maternità e della paternità
(decreto legislativo n. 151/2001) (INPS,
circolare 27.10.2011 n. 139). |
EDILIZIA PRIVATA: Oggetto:
Lettera circolare prot. n. 13061 del
06.10.2011 - Precisazioni
(Ministero dell'Interno,
lettera-circolare
21.10.2011 n. 13722 di prot.).
---------------
Prevenzione
incendi e nuovo regolamento: ulteriori
Indirizzi applicativi e correzione di alcuni
modelli.
Il Dipartimento dei Vigili del Fuoco ha
emanato la
lettera-circolare 21.10.2011 n. 13722 di
prot. contenente alcune correzioni
relative alla precedente
lettera-circolare 06.10.2011 n. 13061 di
prot..
Ricordiamo che la circolare 06.01.2011
fornisce chiarimenti circa le nuove
procedure di prevenzione incendi e la
documentazione e modulistica da adottare (V.
art. “Regolamento Antincendio: nuova
modulistica e chiarimenti”).
Con la nuova Lettera Circolare 13722, i
Vigili del Fuoco apportano alcune correzioni
ai precedenti criteri interpretativi e
definiscono il corretto metodo per il
calcolo delle tariffe di alcuni servizi
previsti dal nuovo regolamento, in attesa
dell’emanazione del Decreto (previsto nel
DPR 151) che allinea le tariffe al nuovo
regolamento.
Vengono anche aggiornati alcuni modelli:
1-
gpl - SEGNALAZIONE
CERTIFICATA DI INIZIO ATTIVITA' AI FINI
DELLA SICUREZZA ANTINCENDIO (ai sensi
dell’art. 4 del D.P.R n. 151/2011);
2-
gpl - DICHIARAZIONE DI
CONFORMITÀ AI FINI DELLA SICUREZZA
ANTINCENDIO;
3-
gpl - ATTESTAZIONE DI
RINNOVO PERIODICO DI CONFORMITA’ ANTINCENDIO
(ai sensi dell’art. 5 del D.P.R. 01/08/2011
n. 151);
4-
gpl - DICHIARAZIONE DI
EFFETTUATA MANUTENZIONE PER DEPOSITI DI
G.P.L. IN SERBATOI FISSI DI CAPACITÀ NON
SUPERIORE A 5 M3, AI SENSI DELL’ART. 11
D.P.R. 151/2011;
--------------
5-
allegato 1 - ELENCO
DELLE ATTIVITA' SOGGETTE AI CONTROLLI DI
PREVENZIONE INCENDI;
--------------
6-
ASSEVERAZIONE AI FINI
DELLA SICUREZZA ANTINCENDIO
(N.B.: sostituisce il precedente modulo
pubblicato con la lettera-circolare
06.10.2011 n. 13061 di prot.)
(27.10.2011 - link a www.acca.it). |
APPALTI:
Oggetto: novità in tema di acquisizione
del documento unico di regolarità
contributiva negli appalti di lavori,
servizi e forniture
(Consorzio dei Comuni Trentini,
circolare 21.10.2011
n. 43/2011). |
UTILITA' |
APPALTI:
TRACCIABILITÀ DEI FLUSSI FINANZIARI RELATIVI
A CONTRATTI PUBBLICI DI LAVORI, SERVIZI,
FORNITURE - INQUADRAMENTO GENERALE DELLA
MATERIA E INDICAZIONI OPERATIVE (ANCE,
Direzione Legislazione Opere Pubbliche -
testo e
schema operativo - link a
www.osservatorioappalti.unitn.it). |
SICUREZZA LAVORO: Progettazione,
installazione e valutazione dei rischi dei
sistemi di ancoraggio. Ecco le pubblicazioni
INAIL.
Gli ancoraggi nelle costruzioni sono sempre
stati fonte di dibattito. Risulta difficile,
infatti, affrontare in maniera organica ed
esauriente le questioni relative
all’identificazione, qualificazione,
progettazione e installazione dei sistemi di
ancoraggio.
Le principali confusioni scaturiscono dal
fatto che gli ancoraggi possono essere
classificati secondo diverse normative, in
particolare:
►
Direttiva prodotti da costruzione 89/106/CEE
►
Direttiva DPI 89/686/CEE
►
Norme Tecniche (UNI EN 795)
►
Circolari del Ministero del Lavoro e della
Previdenza Sociale (è il caso degli
ancoraggi dei ponteggi)
►
L’INAIL (ex Ispesl) ha reso disponibili gli
atti del Convegno tenutosi a Bologna il
07.10.2011.
Le pubblicazioni sono le seguenti:
● Classificazione degli ancoraggi
● Valutazione del rischio relativa alla
scelta degli ancoraggi
● Aspetti relativi ai materiali costituenti
le strutture di copertura
● Ancoranti ed ETAG 001
● Dispositivi di ancoraggio e punti di
ancoraggio
● Ancoraggio per Ponteggi
(27.10.2011 - link a www.acca.it). |
SICUREZZA LAVORO: Rischio
elettrico e individuazione e gestione dei
rischi. Ecco il quaderno tecnico.
I rischi di natura elettrica assumono
particolare rilevanza nei cantieri edili a
causa delle condizioni ambientali in cui si
trovano a dover operare gli impianti e le
apparecchiature elettriche.
Basti pensare agli effetti delle escursioni
termiche e della luce diretta, alle
vibrazioni prodotte dai macchinari,
all’esposizione alle intemperie e alla
presenza di polveri o liquidi.
La ASL di Milano ha pubblicato un Quaderno
Tecnico sui controlli fondamentali in
cantiere per ridurre il rischio elettrico.
La pubblicazione è rivolta a tutti coloro
che si occupano di valutazione e gestione
dei rischi (datori di lavoro, coordinatori
per la sicurezza, RSPP, consulenti per la
sicurezza) e costituisce una guida per
l’individuazione dei principali rischi
elettrici e le misure di prevenzione più
comuni.
Gli argomenti trattati sono:
● Integrità del materiale elettrico;
● Modifiche non autorizzate delle
apparecchiature;
● Idoneità del materiale elettrico in
cantiere;
● Installazione dell’impianto a regola
d’arte;
● Protezione contro i fulmini;
● Organizzazione e gestione dei rischi
(27.10.2011 - link a www.acca.it). |
QUESITI &
PARERI |
LAVORI PUBBLICI - PUBBLICO IMPIEGO:
Le risposte dell'ANCI.
Il responsabile del
procedimento.
Si chiede di sapere se come responsabile del
procedimento di lavori, alla luce del nuovo
regolamento attuativo di cui al Dpr n.
207/2010 che nell’art. 9, co. 4, fa
riferimento alla figura del funzionario,
possa essere nominato sia il dipendente di
cat. D1 che cat. C, essendo entrambe queste
figure presenti nel comune.
Per individuare con esattezza la figura di
cui si discute occorre fare riferimento al
co. 5 dell’art. 10 del Codice degli appalti,
Dlgs n. 163/2006, ed in particolare al
successivo co. 6 per il quale spetta al
regolamento la determinazione dei requisiti
di professionalità richiesti al Rup.
Ai sensi del co. 4 dell’art. 9 del nuovo
regolamento (citato dal quesito) “il
responsabile del procedimento è un tecnico,
abilitato all’esercizio della professione o,
quando l’abilitazione non sia prevista dalle
norme vigenti, è un funzionario tecnico,
anche di qualifica non dirigenziale, con
anzianità di servizio non inferiore a cinque
anni”.
In sintesi la lettura dell’articolato ci
dice che il Rup deve essere un tecnico con:
● titolo di studio adeguato all’intervento
da realizzare;
● abilitazione all’esercizio dell’attività
professionale.
Soltanto nel caso in cui l’abilitazione non
sia prevista, le funzioni di Rup possono
essere attribuite a un funzionario tecnico,
anche di qualifica non dirigenziale, con
anzianità di servizio di almeno 5 anni.
Appare interessante notare come il
dispositivo del nuovo regolamento, rispetto
al corrispondente art. 7 del vecchio
regolamento Merloni (Dpr n. 554/1999)
elimini l’ulteriore puntualizzazione secondo
cui si dovrebbe comunque trattare di un
funzionario tecnico “con idonea
professionalità” e specifichi, in
aggiunta rispetto allo stesso art. 7, che
potrebbe trattarsi di un funzionario tecnico
“anche di qualifica non dirigenziale”.
Inoltre, l’Autorità per la vigilanza sui
contratti pubblici ha più volte chiarito che
la capacità richiesta al soggetto è più
organizzativa e propositiva che meramente
tecnica. Resta ovvio che di fronte alla
realizzazione di opere particolarmente
complesse, è chiaramente opportuno affidare
l’incarico a soggetti in possesso di titolo
di studio più elevato e commisurato alla
tipologia degli interventi da realizzare.
Così, discutendo della figura professionale
del geometra, risulta ormai consolidato che
essendo questi un tecnico e soddisfacendo,
quindi, la prima condizione posta, nel caso
in cui siano soddisfatte anche le ulteriori
condizioni, e cioè l’adeguata
professionalità (non espressamente
contemplata dal nuovo regolamento) e
anzianità di ruolo non inferiore a 5 anni,
questi può essere tranquillamente nominato
Rup.
Il soggetto va prescelto tra i dipendenti di
ruolo dell’ente e la formale nomina
(provvedimento “ad hoc” con data
certa) compete al dirigente o al
responsabile dell’unità organizzativa che
gestisce l’intervento (competenza ad “assegnare
a sé o ad altro dipendente addetto alla
unità la responsabilità della istruttoria e
di ogni altro adempimento inerente il
singolo procedimento”, ai sensi
dell’art. 5 della L. n. 241/1990).
Si terrà altresì presente che secondo quanto
disposto dall’art. 10 del Codice degli
appalti già citato, tale responsabile deve
essere “unico per le fasi della
progettazione, dell’affidamento e
dell’esecuzione”.
Alla luce di quanto chiarito, l’appartenenza
alla categoria C o D, fermo restando le
declaratorie professionali contrattualmente
definite e fatto salvo quanto disciplinato
dal regolamento locale dei servizi e degli
uffici, assume un rilievo poco rilevante nel
contesto di precipuo interesse.
Risulta per contro pregnante la qualifica di
tecnico e la sussistenza degli ulteriori
requisiti sopra citati (tratto da Guida
al Pubblico Impiego n. 10/2011). |
INCENTIVO PROGETTAZIONE:
Le risposte dell'ANCI.
L’incentivo per la
progettazione.
Si chiede un parere in merito
all’applicabilità dell’art. 92, co. 5, del
Dlgs n. 163/2006 nel seguente caso:
● all’interno del programma triennale
2010/2012 è stato inserito un progetto di
“manutenzione straordinaria verde pubblico”
per un importo complessivo di 300mila euro,
ripartito in più lotti;
● nel quadro economico dell’opera è stato
previsto l’importo da destinarsi
all’incentivo per la progettazione redatta
dal personale tecnico interno all’ente;
● i primi due lotti di lavori sono stati
appaltati mediante procedura negoziata;
● il terzo lotto, di importo pari a 82.400
euro, è stato affidato, ai sensi della legge
n. 381/1991, ad una cooperativa come
servizio di sfalcio erba, potatura siepi e
messa a dimora di fiori e piante.
È corretto erogare per intero l’incentivo
accantonato per la progettazione o se si
deve decurtare la parte inerente il lotto
appaltato come servizio?
Trattandosi di interventi i quali, al di là
della ripartizione in lotti, sono stati
previsti ed inseriti nell’ambito della
programmazione comunale di cui all’art. 128
del Codice dei contratti pubblici (che
riguarda soltanto le opere pubbliche e non i
servizi), si ritiene che tale circostanza
induca a ritenere che essi debbano
considerarsi (e siano stati considerati)
unitariamente dal punto di vista tecnico e
funzionale in conformità ai principi
generali in tale disposizione.
In sostanza dovrebbe presumersi che
l’amministrazione abbia considerato la
manutenzione straordinaria del verde
(applicando, in presenza di prestazioni di
tipo “misto”, i criteri di cui
all’art. 14 del codice) come intervento
edilizio richiedendo agli affidatari la
relativa e necessaria qualificazione (cfr.
OS24).
Ai fini del calcolo del compenso
incentivante la progettazione, che spetta ex
art. 92, co. 5, soltanto in relazione ad
appalti di opere e non di servizi,
sembrerebbe quindi anomalo o comunque
distonico, per quanto anzidetto, che esso
sia effettuato solo in relazione all’importo
dei primi due lotti e non del terzo che si
vorrebbe ora considerare come mero ed
autonomo appalto di servizi nonostante che
le opere siano state configurate come unico
intervento edilizio ai fini della
programmazione.
La diversa eventuale conclusione di limitare
tale compenso riferendolo solo ai primi due
lotti di lavori avrebbe peraltro senso, pur
nella distonia rilevata, se il terzo lotto
comprenda effettivamente solo meri “servizi”
(ad es., mero sfalcio dell’erba) e nessun
intervento che possa considerarsi di natura
“edilizia” (come ad esempio rifacimento di
manti erbosi ecc.), avendo riguardo
essenzialmente al fatto che l’ambito di
applicazione dell’art. 92 cit. risulta
circoscritto ai fini del compenso
incentivante a determinati ben precisi
presupposti (tra cui in particolare che si
tratti di progettazione di opere e non di
servizi) (tratto da Guida al Pubblico
Impiego n. 10/2011). |
LAVORI PUBBLICI:
Le risposte dell'ANCI.
I livelli di
progettazione.
Per piccoli lavori un ente approva prima la
progettazione preliminare e poi anche quella
definitiva/esecutiva.
La legge è chiara livelli di progettazione
devono essere tre. Però nel caso che
un’opera non abbia procedure espropriative
(il cui avvio parte dalla progettazione
preliminare), né vi è bisogno di Conferenze
di servizi, depositi ecc. (dove serve quella
definitiva) si potrebbe optare per un’unica
progettazione, magari chiamandola
“progettazione completa preliminare,
definitiva ed esecutiva”? E sempre
rispettando i documenti di legge di cui gli
artt. 17 e seguenti del nuovo regolamento?
La possibilità, ipotizzata nel quesito di
accorpare in un’unica progettazione da
definire come progettazione “completa”
e cioè che pur comprenda tutti gli elementi
previsti per ciascuna fase (preliminare,
definitiva ed esecutiva) si ritiene di non
certa ammissibilità.
Ed infatti, se da una parte l’Avcp con la
determinazione n. 9/2005 si è espressa in
senso favorevole all’accorpamento, purché la
fase esecutiva sia sempre presente ed i
lavori non rivestano una particolare
complessità e rilevanza economica, la
giurisprudenza (anche se formatasi in
relazione alla previgente legge n. 109/1994,
tuttavia sostanzialmente omologa sul punto)
tende a ritenere che il triplice livello
previsto “ex lege” preclude impropri
accorpamenti o contrazioni, evidenziando
come le tre fasi debbano rimanere distinte e
separate in quanto ciascuna deve essere
elaborata sulla base del livello precedente
di cui costituisce uno sviluppo
in termini di complessità e rilevanza con la
finalità di garantire la qualità finale
dell’opera (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV,
19.03.2003 n. 1467; 10.01.2002 n. 112 e
11.05.2004 n. 2930).
È stato anche precisato peraltro che tale
facoltà di accorpamento non può trovare
fondamento nell’ambito del potere del Rup di
cui all’art. 16 della L. n. 109/1994 (ora si
veda analogamente l’art. 93 del Codice dei
contratti pubblici. E anche l’art. 10 del
Dpr n. 207/2010), il quale consente di dare
una diversa composizione allo studio di
fattibilità o una diversa articolazione agli
elaborati progettuali tenendo conto della
tipologia e rilevanza delle opere da
eseguire, poiché tale facoltà non si può mai
risolvere in quella di eliminare alcuno dei
citati livelli ma solo di adattare, con
idonea motivazione, l’elenco dei vari
elaborati progettuali in concreto ritenuti
necessari (cfr. Cons. Stato, n. 112/2002
citata) (tratto da Guida al Pubblico
Impiego n. 10/2011). |
EDILIZIA PRIVATA - PUBBLICO IMPIEGO:
Le risposte dell'ANCI.
La polizza assicurativa.
Per la locazione e la vendita dei propri
immobili, l’amministrazione comunale deve
predisporre gli attestati di certificazione
energetica (Ace) previsti dalla legge.
Nel proprio organico, l’amministrazione
possiede dipendenti che sono abilitati
presso il Cened (Certificazione energetica
degli edifici) alla redazione della suddetta
certificazione.
In base della direttiva 2010/31/Ue del
19.05.2010 sulla prestazione energetica
nell’edilizia, i soggetti certificatori,
l’alienante e il locatore sono soggetti ad
accertamenti a campione; inoltre, la Regione
Lombardia, con Lr n. 24/2006, ha previsto
sanzioni pesanti in termini economici per i
certificatori.
Ciò premesso, si chiede
se l’amministrazione comunale possa
stipulare una polizza assicurativa, con
oneri a proprio carico, a copertura dei
rischi nei quali incorre il dipendente
pubblico nell’esercizio dell’attività di
certificatore energetico effettuata a favore
dell’ente, per la vendita e la locazione
degli immobili comunali.
Il comune, datore di lavoro di cui trattasi,
sulla base delle informazioni fornite può
legittimamente richiedere le speciali
prestazioni (attestazione di certificazione
energetica, Ace).
In ordine alla seconda domanda va
inizialmente evidenziato che la materia
delle responsabilità in capo a chi svolge le
proprie attività lavorative nel sistema
pubblico trova trattazione in numerose
norme, a partire dall’art. 28 della
Costituzione fino al Dlgs n. 267/2000.
In ogni caso, per i generali principi
normativi contenuti nelle accennate
legislazioni ed il consolidato orientamento
della giurisprudenza contabile i dipendenti
delle amministrazioni pubbliche non possono
essere assicurati con polizze a carico dalla
propria amministrazione di appartenenza, per
i casi di colpa grave.
Tali principi non possono ritenersi derogati
neppure da quelle disposizioni legislative
che prevedono in forma generale la copertura
assicurativa a carico dell’amministrazione
dei rischi connessi ad alcune attività
professionali (progettazione, Rup ecc.)
Anche in questi casi, infatti, le
amministrazioni pubbliche non possono farsi
legittimamente carico delle spese per i
rischi connessi alle responsabilità
derivanti da colpa grave, che rimangono
onere dell’assicurato.
Alcune legislazioni regionali, per alcune
attività professionali (progettazione,
responsabilità Rup ecc.) hanno sancito
l’obbligo di stipulare apposite polizze,
fermo restando che , come si diceva, i
rischi connessi alla responsabilità per
colpa grave non possono essere posti a
carico dell’amministrazione.
Ancora oggi mancando una obbligatorietà
temporale per il committente ente pubblico
di assicurare i propri dipendenti,
utilizzati nelle diverse figure che
concorrono alla realizzazione di lavori
pubblici, si verificano le più diverse
situazioni di fatto.
L’ente però potrebbe procedere nel caso di
specie, in un contesto più ampio di
assicurabilità delle responsabilità civili e
amministrative dei dipendenti delle
amministrazioni pubbliche, ad assicurare i
soggetti interessati in maniera indiretta,
mediante una polizza che assicuri l’ente per
danni a terzi nell’espletamento
dell’attività istituzionale con colpa lieve
senza dolo o colpa grave (tratto da Guida
al Pubblico Impiego n. 10/2011). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO:
Le risposte dell'ANCI.
Il servizio in
convenzione.
Questo comune ha una organizzazione basata
su 5 servizi di cui 2 servizi tecnici:
1) servizio tecnico manutentivo con
responsabile di cat. D);
2) servizio tecnico-progettuale Ll.Pp
urbanistica.
Dal 30 giugno risulta scoperto il posto di
responsabile del servizio
tecnico-progettuale Ll.Pp urbanistica, per
scadenza di un incarico conferito ex art.
110 del Dlgs n. 267/2000. Nel suddetto
servizio non risultano categorie D) ma solo
2 categorie C).
Si precisa che l’ente, soggetto a patto di
stabilità per l’anno 2011, non rientra nei
parametri di cui all’art. 14, co. 9, del Dl
n. 78/2010, convertito dalla L. n. 122/2010,
per cui risulta impossibile procedere a
qualsiasi tipologia di assunzione.
L’amministrazione comunale intende anche per
una maggiore funzionalità dei servizi ed in
linea con gli stessi principi sanciti dal Dl
n. 78/2010, di procedere ad una convenzione
per la gestione associata del predetto
servizio istituendo un unico ufficio con
personale messo a disposizione dagli enti
partecipanti, che comunque non dovrà
comportare maggiori oneri a carico di questo
ente.
In via d’urgenza e temporanea
l’amministrazione comunale intende, inoltre,
attribuire la responsabilità del servizio ad
un dipendente di cat. C) (geometra)
assegnato al predetto servizio tecnico
progettuale Ll.Pp urbanistica.
Si chiede un parere in ordine alla
possibilità di attuare le proposte avanzate
dall’amministrazione comunale.
In caso di esito positivo al primo quesito
si chiede inoltre un suggerimento in ordine
alla possibile organizzazione del servizio
tecnico in forma associata così come
prospettato.
A parere di chi scrive, la forma più
corretta potrebbe essere quella di affidare
in attesa della convenzione di cui al
quesito la responsabilità del servizio o
all’altra P.O. del servizio tecnico o al
segretario comunale.
L’organizzazione del servizio in forma
associata, attraverso apposita convenzione
con altro comune, pare una soluzione
corretta nella fattispecie (tratto da
Guida al Pubblico Impiego n. 10/2011). |
INCARICHI PROGETTUALI:
Le risposte dell'ANCI.
Il direttore dei lavori.
Dovendo procedere all’affidamento di un
incarico di direzione dei lavori relativi al
risanamento conservativo di un immobile
scolastico, tutelato dalla Soprintendenza, i
cui lavori richiedono qualificate e
specifiche competenze tecniche si chiede:
1) se è possibile procedere all’affidamento
di che trattasi individuando, mediante
procedura prevista dalla normativa vigente,
un direttore lavori per le opere
architettoniche a cui affidare anche la
contabilità; un direttore lavori per le
strutture in cemento armato; un direttore
lavori per gli impianti meccanici.
2) se è possibile procedere, trattandosi di
un incarico di sola direzione lavori,
all’affidamento secondo il criterio del
prezzo più basso.
L’affidamento dell’incarico di cui al
quesito in esame appare soggetto alle
disposizioni del Dpr n. 207/2010, entrato in
vigore in data 08.06.2011, come si ricava
dall’art. 357, co. 9. L’art. 130 del codice
impone alle amministrazioni aggiudicatrici
di istituire, per l’esecuzione dei lavori
pubblici, un ufficio di direzione lavori
costituito da un direttore dei lavori ed
eventualmente da assistenti.
Il regolamento di esecuzione, in presenza
delle condizioni che non consentono lo
svolgimento delle attività tecniche connesse
alla progettazione ed all’esecuzione da
parte delle amministrazioni aggiudicatrici,
detta le modalità di affidamento dei servizi
attinenti all’architettura ed all’ingegneria
nella parte terza, artt. 252 e seguenti.
Inoltre, lo stesso regolamento conferma il
disposto del codice riguardo alla
costituzione di un ufficio di direzione dei
lavori (art. 147) che può essere formato dal
direttore, ed eventualmente, secondo le
dimensioni, tipologia e categoria
dell’intervento, da uno o più assistenti le
cui funzioni sono riportate nell’art. 149.
Secondo quanto dispongono sia il codice che
il regolamento non appare quindi possibile
costituire più uffici di direzione dei
lavori, ma occorre concentrare tutta
l’attività in un unico ufficio.
Il suddetto regolamento, alla parte terza,
dispone anche in merito alle procedure di
aggiudicazione dei servizi in esame di
importo sia inferiore che superiore a
100mila euro.
All’art. 266 sono dettate le modalità di
svolgimento della gara che avviene con il
criterio dell’offerta economicamente più
vantaggiosa e con attribuzione di fattori
ponderali stabiliti dall’amministrazione
entro i valori fissati dalla citata norma
(tratto da Guida al Pubblico Impiego n.
10/2011). |
DOTTRINA E
CONTRIBUTI |
PUBBLICO IMPIEGO:
A. Trovato,
Onnicomprensività e prestazioni aggiuntive.
Il principio di onnicomprensività della
retribuzione dei dipendenti delle pubbliche
amministrazioni nel nostro ordinamento deve
essere correlato, da una parte, ai principi
di privatizzazione e contrattualizzazione
del rapporto di pubblico impiego, dall’altra
all’obbligo di fedeltà ed imparzialità
imposto ai dipendenti pubblici dagli artt.
98, co. 1 (“i pubblici impiegati sono al
servizio esclusivo della Nazione”) e 54,
co. 2 (“i cittadini cui sono affidate
funzioni pubbliche hanno il dovere di
adempierle con disciplina ed onore”)
della nostra Costituzione.
Preliminarmente, va precisato che nel
diritto del lavoro per onnicomprensività si
intende l’unitarietà della retribuzione, la
quale include tutti indistintamente i
compensi recanti i caratteri di continuità,
obbligatorietà, corrispettività,
determinatezza e/o determinabilità.
Invero, con la privatizzazione del pubblico
impiego la fonte del rapporto è costituita
dal contratto collettivo e la disciplina del
trattamento economico spettante al
dipendente della pubblica amministrazione è
contenuta esclusivamente in tale atto.
Pertanto, il riconoscimento del diritto a
percepire una voce stipendiale e/o
indennitaria deve necessariamente trovare
fondamento nel documento delle parti
sociali, come espressamente disposto
dall’art. 45 del Dlgs n. 165/2001, nel quale
si dispone che “il trattamento economico
fondamentale ed accessorio è definito dai
contratti collettivi”. (... continua) (Guida
al Pubblico Impiego n. 10/2011). |
APPALTI SERVIZI:
DOSSIER - La nuova disciplina dei servizi
pubblici locali alla luce del decreto-legge
n. 138 del 13.08.2011 convertito, con
modifiche, dalla legge n. 148 del 14.09.2011
(ANCI, XXVIII Assemblea Anci - Brindisi,
05-08.10.2011). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
R. Camisa e A. Valentino,
L’organizzazione di un deposito temporaneo
dei rifiuti (link a
www.lexambiente.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
G. Aiello,
Lo scippo ai Comuni dei proventi delle
sanzioni degli abbandoni dei rifiuti:
L’errore del testo Unico Ambientale che
costa caro alle casse comunali e ciò che
nessuno a mai detto in merito proposte e
soluzioni (link a
www.lexambiente.it). |
URBANISTICA: L.
Spallino,
Nuovo Piano Casa Lombardia: la pubblicazione
on-line degli atti di PGT (link a
http://studiospallino.blogspot.com). |
APPALTI: P.
Leozappa,
IL DIVIETO DI RIBASSO D’ASTA SUL COSTO DEL
LAVORO - Intervento al Convegno:
Il decreto sviluppo è legge. Con modifiche,
e quindi con problemi applicativi -
organizzato da IGI in Roma il 20.09.2011 (link a
www.osservatorioappalti.unitn.it). |
APPALTI: G.
Guidarelli,
IL REGIME DI AGGIUDICAZIONE DEGLI APPALTI DI
IMPORTO INFERIORE ALLA SOGLIA COMUNITARIA
NEL SETTORE DELLA GESTIONE DELLE
INFRASTRUTTURE AEROPORTUALI, TRA CODICE DEI
CONTRATTI E REGOLAMENTAZIONE INTERNA ALLA
STAZIONE APPALTANTE - articolo
estratto e aggiornato dalla Rivista
Trimestrale degli Appalti, n. 4/2010,
1181-1223 (link a
www.osservatorioappalti.unitn.it). |
APPALTI: G.
Marchianò,
L’ANALISI ECONOMICA DEL DIRITTO E LA FINANZA
DI PROGETTO: UN METODO ALTERNATIVO DI
ANALISI
(link a www.osservatorioappalti.unitn.it). |
APPALTI: G.
M. Di Paolo,
L’AVVALIMENTO NEL REGOLAMENTO ATTUATIVO DEL
CODICE DEI CONTRATTI PUBBLICI -
Intervento al Convegno di aggiornamento
organizzato a Milano per Convenia,
22.02.2011 (link a
www.osservatorioappalti.unitn.it). |
APPALTI: A.
Bonanni,
FLUSSI E TEMPI DI PAGAMENTO DELLA PUBBLICA
AMMINISTRAZIONE: IL RECEPIMENTO DELLA NUOVA
DIRETTIVA CONTRO I RITARDATI PAGAMENTI
- Intervento al Convegno organizzato dal
Comune di Pisa, 24.02.2011 (link a
www.osservatorioappalti.unitn.it). |
APPALTI: R.
De Nictolis,
LA QUALIFICAZIONE NEL NUOVO REGOLAMENTO DI
ATTUAZIONE DEL CODICE DEGLI APPALTI PUBBLICI
- Intervento al Convegno: Un regolamento per
ogni decennio? Il DPR 207/2010: prime
riflessioni - organizzato da IGI in Roma,
27.01.2011 (link a
www.osservatorioappalti.unitn.it). |
APPALTI: B.
Veca,
RIFLESSIONI A MARGINE DEL NUOVO REGOLAMENTO
DI ATTUAZIONE DEL CODICE DEGLI APPALTI
PUBBLICI - Intervento al
Convegno: Un regolamento per ogni decennio?
Il DPR 207/2010: prime riflessioni -
organizzato da IGI in Roma, 27.01.2011 (link a www.osservatorioappalti.unitn.it). |
APPALTI: A.
Bonanni,
LA PRIMA APPLICAZIONE DELLA CAUSA DI
ESCLUSIONE DI CUI ALLA LETTERA M-TER)
DELL’ART. 38 DEL CODICE DEI CONTRATTI
PUBBLICI
(link a www.osservatorioappalti.unitn.it). |
APPALTI: M.
Cozzio,
AGGIUDICAZIONE ILLEGITTIMA E RISARCIMENTO
DEL DANNO: QUALCOSA STA CAMBIANDO?
Prime osservazioni a Corte di giustizia,
C-314/09, del 30.09.2010, Stadt Graz
(link a www.osservatorioappalti.unitn.it). |
APPALTI SERVIZI: C.
Tosolini,
SULL’OBBLIGO DI SPECIFICARE LE “PARTI DEL
SERVIZIO” CHE SARANNO ESEGUITE DAI SINGOLI
OPERATORI ECONOMICI RIUNITI IN R.T.I.
- Note a sentenza del TRGA di Trento,
25.02.2009 n. 59 e del Cons. Stato, Sez. IV,
02.11.2009 n. 6787
(link a www.osservatorioappalti.unitn.it). |
APPALTI: M.
Cozzio,
CAMBIA LA NOZIONE DI OPERATORE ECONOMICO: LA
CORTE DI GIUSTIZIA CONFERMA LA
PARTECIPAZIONE ALLE GARE PUBBLICHE DI
UNIVERSITÀ, ENTI NO PROFIT, IMPRESE SOCIALI,
FONDAZIONI ED ALTRE ORGANIZZAZIONI
- Nota alle sentenze della Corte di
giustizia C-305/08 del 23.12.2009 e C-357/06
del 18.12.2007
(link a www.osservatorioappalti.unitn.it). |
APPALTI SERVIZI: A.
Santuari,
LE COOPERATIVE SOCIALI E I SERVIZI PUBBLICI
LOCALI: BREVI CONSIDERAZIONI
SULL’AFFIDAMENTO DEI SECONDI ALLE PRIME
- da Giustamm, 05.2010 (link a www.osservatorioappalti.unitn.it). |
APPALTI SERVIZI: C.
Tosolini,
QUALCHE CONSIDERAZIONE SULL’ART. 13 DEL D.L.
223/2006 (DECRETO BERSANI) - Note
alla sentenza del TRGA di Trento, 14.09.2009
n. 239
(link a www.osservatorioappalti.unitn.it). |
APPALTI: A.
Borroni,
IL DANNO DA INADEMPIMENTO DEL COMMITTENTE:
PER UNA RICOSTRUZIONE EVOLUTIVA
DELL’INADEMPIMENTO DELL’OBBLIGAZIONE
PECUNIARIA. SPUNTI DI DIRITTO COMUNITARIO E
COMPARATO
(link a www.osservatorioappalti.unitn.it). |
APPALTI: M.
Cozzio e L. Ghezzo,
LA TUTELA CAUTELARE ANTE CAUSAM NEL CODICE
DEGLI APPALTI PUBBLICI: ORIGINI COMUNITARIE
ALLA BASE DI UNO STRUMENTO ANCORA POCO
UTILIZZATO - estratto da
Informator, 3, 2009
(link a www.osservatorioappalti.unitn.it). |
APPALTI: L.
V. Moscarini,
RIFLESSIONI SUL NUOVO DIRITTO DEI CONTRATTI
PUBBLICI (A MARGINE DI UNA RACCOLTA DI
SCRITTI IN MEMORIA DI MICHELE PALLOTTINO)
- Intervento al Convegno organizzato da IGI
in Roma, 22.10.2009 (link a
www.osservatorioappalti.unitn.it). |
APPALTI SERVIZI: V.
M. Leone,
IN HOUSE: OSSIA DELL’AUTONOMIA DECISIONALE
DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE -
estratto da Franchini C., Tedeschini F. (a
cura di), Una nuova pubblica
amministrazione: aspetti problematici e
prospettive di riforma dell'attività
contrattuale, 2009
(link a www.osservatorioappalti.unitn.it). |
APPALTI: R.
De Nictolis,
LE NOVITÀ DELL’ESTATE IN MATERIA DI OFFERTE
ANOMALE - Intervento al
Convegno organizzato da IGI in Roma,
23.09.2009
(link a www.osservatorioappalti.unitn.it). |
APPALTI: F.
A. Caputo,
MANCATA SPECIFICAZIONE DEI SUB-CRITERI:
IMPUGNABILITÀ IMMEDIATA? -
Intervento al Convegno organizzato da IGI in
Roma, 23.09.2009
(link a www.osservatorioappalti.unitn.it). |
APPALTI: M.
De Vita,
LA CESSIONE DEL CREDITO ED I RIMEDI PER I
RITARDI NEI PAGAMENTI DELLA PA. ELEMENTI
NORMATIVI GIURISPRUDENZIALI E DI PRASSI
- Intervento al Convegno organizzato da IGI
in Roma, 23.09.2009
(link a www.osservatorioappalti.unitn.it). |
APPALTI: S.
Cacace,
L’ART. 38 DEL CODICE 163: DUBBI DI
COSTITUZIONALITÀ E DI CONFORMITÀ
COMUNITARIA. FALSI CERTIFICATI E FALSE
DICHIARAZIONI: FATTISPECIE E SANZIONI -
Intervento al Convegno organizzato da IGI in
Roma, 28.05.2009
(link a www.osservatorioappalti.unitn.it). |
CORTE DEI
CONTI |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO:
Progressioni economiche
orizzontali.
La Corte dei Conti Sez. Reg.le Campania, col
parere 24.10.2011 n.
482, dopo aver esposto le proprie
tesi (particolarmente argomentate in
diritto) e di contrario avviso rispetto a
quelle di altre sezioni regionali (in
particolare Lombardia) propone il
deferimento alle SS.RR. delle seguenti
questioni di massima:
- "se le progressioni economiche
orizzontali previste dall'art. 23 del d.lgs.
27.10.2009 n. 150 ricadano o meno nell'accezione
'progressioni di carriera comunque
denominate', e, dunque nel regime giuridico
ed economico di contenimento delle spese in
materia di pubblico impiego previsto dall'art.
9, comma 21, del decreto legge 31.05.2010 n.
78, convertito, con modificazioni, nella
legge 30.07.2010 n. 122";
- "se, nell'ipotesi in cui le
progressioni economiche orizzontali non
dovessero essere ricomprese nel novero delle
'progressioni di carriera comunque
denominate' ai sensi dell'art. 9, comma 21,
del decreto legge 31.05.2010 n. 78,
convertito, con modificazioni, nella legge
30.07.2010 n. 122, dette progressioni
economiche orizzontali debbano o meno essere
considerate -ai fini dell'esclusione dal
tetto economico di cui al comma 1 dell'art.
9 del decreto legge n. 78 del 2010- 'eventi
straordinari della dinamica retributiva',
con ogni conseguenza anche in ordine all'efficacia
e alla retroattività dei relativi
provvedimenti, anche qualora questi ultimi
fossero adottati ex novo nell'arco del
triennio 2011-2013" (commento tratto da
www.publika.it). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO:
Trasformazione part-time in
full-time e vincoli in materia di personale.
La Corte dei Conti, Sez. Reg.le Piemonte,
con
parere
21.10.2011 n. 124, considera tutti
gli aspetti legati alla trasformazione a
tempo pieno di un rapporto di lavoro a tempo
parziale in ente non soggetto alle regole
del patto di stabilità interno (commento
tratto da www.publika.it). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: L'ente
anticipa le spese legali. Un parere della
Corte conti Lombardia.
In caso di procedimento
penale a carico di dipendente di un ente
locale per fatti attinenti l'attività di
servizio, nulla vieta alla stessa
amministrazione locale di poter anticipare i
costi relativi alle spese legali. Infatti,
come precisa l'articolo 67 del dpr n.
268/1987, tale scelta non appare
incompatibile con la previsione secondo cui
la pubblica amministrazione «assumerà a
proprio carico ogni onere di difesa sin
dall'apertura del procedimento». Tuttavia,
regole di prudenza impongono che l'ente
dovrà cautelarsi prevedendo la ripetizione
di tali spese in funzione dell'esito del
giudizio penale.
È quanto ha chiarito la sezione regionale di
controllo della Corte dei conti per la
Lombardia, nel testo del
parere 18.10.2011 n.
528, rispondendo in tal senso ad
un'istanza pervenuta dal comune di Robecco
sul Naviglio (Mi).
La decisione da parte dell'amministrazione
comunale di provvedere o meno al pagamento
delle spese di lite in favore di un proprio
dipendente, «deve essere frutto di una
valutazione propria, nel rispetto delle
previsioni legali e contrattuali, che
rientrano nelle prerogative esclusive dei
relativi organi decisionali». Ora,
l'articolo 28 del Ccnl 14.09.2000 del
comparto regioni ed autonomie locali,
richiamando l'articolo 67 del citato dpr n.
268/1987, prevede che, in caso di apertura
di procedimento penale a carico di
dipendenti per fatti o atti connessi
all'adempimento di compiti d'ufficio,
l'ente, a tutela dei propri diritti ed
interessi, può assumere a proprio carico
ogni onere di difesa sin dall'apertura del
procedimento. Ovviamente, in caso di
sentenza esecutiva di condanna, l'ente dovrà
ottenere dal dipendente tutti gli oneri
sostenuti per la sua difesa.
Pertanto, in riferimento all'oggetto del
parere, ovvero alla possibilità di
anticipare le spese legali al dipendente
sottoposto a procedimento penale, il
collegio della magistratura contabile
lombarda ha sostenuto che, sempre nel
rispetto del requisito del «comune
gradimento» dell'avvocato difensore e al
verificarsi dei presupposti previsti dalla
normativa, tale possibilità non appare
incompatibile con l'ampia previsione
contrattuale secondo cui la pubblica
amministrazione «assumerà a proprio
carico ogni onere di difesa sin
dall'apertura del procedimento»
(articolo ItaliaOggi dell'01.11.2011 -
tratto da www.ecostampa.it). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Enti,
progetti doc. Chiarezza su obiettivi, tempi,
risorse. Corte conti Campania: in caso
contrario è danno erariale.
Negli enti locali,
l'avvio di un progetto obiettivo che
coinvolga i dipendenti in attività che
esulano dai normali compiti d'istituto e
caratterizzati da una situazione di
eccezionalità, deve possedere tutti i
requisiti previsti dalle normative vigenti e
dai contratti collettivi di settore. In
particolare, devono essere presenti
documenti che attestino la loro corretta
elaborazione, che deve dar conto del
personale coinvolto, dei tempi di
attuazione, del responsabile, della verifica
dei risultati e della successiva
corresponsione dei benefici economici. In
mancanza di ciò e sostanziandosi in una mera
elargizione a pioggia ai dipendenti
coinvolti, la condotta del dirigente
responsabile di tale «progetto obiettivo»
causa danno erariale.
È quanto ha deciso la Corte dei conti
Campania, nel testo della
sentenza 13.10.2011 n. 1808, che
ha condannato un dirigente comunale per una
serie di irregolarità commesse in sede di
determinazione e applicazione del fondo per
il trattamento accessorio previsto dall'art.
15 del Ccnl dell'01/04/1999 per il personale
non dirigenziale degli enti locali.
In particolare, si è contestato al convenuto
di aver liquidato compensi relativi a due
progetti obiettivo, riferiti all'intervento
straordinario di rimozione Rsu da parte dei
dipendenti del servizio igiene urbana, senza
che siano state rispettate le condizioni
normativamente previste per il loro
finanziamento (art. 45, comma 3, del dlgs n.
156 del 2001; artt. 17 e 18 del Ccnl per il
personale del comparto delle regioni-enti
locali; all'art. 30 del contratto collettivo
decentrato per il periodo 1998-2001).
L'accusa è quella che alla base di tali
progetti non vi sia stata alcuna evidenza
documentale sulla loro corretta
elaborazione, intesa come personale da
coinvolgere, verifica dei risultati e della
corresponsione dei benefici solo dopo la
citata verifica.
In breve, i progetti non sono stati redatti
preventivamente, risolvendosi in una mera
distribuzione di somme a consuntivo, né
risultava una certificazione da parte del
nucleo di valutazione interno, nonostante la
previsione dell'art. 6 del Ccnl del
31/03/1999.
Secondo il collegio giudicante i rilievi
mossi dalla procura appaiono condivisibili.
È stato evidenziato, pertanto, come per i
progetti obiettivo in esame non risultano
essere state rispettate le condizioni
normativamente previste per il loro
finanziamento, cosicché, l'utilizzo dei
fondi ha determinato, in tale circostanza,
un pregiudizio patrimoniale alle casse
comunali per la loro distribuzione a
pioggia.
Passando al quantum del danno, il collegio
ha ritenuto sussistente, in questo caso,
l'esercizio del cosiddetto potere riduttivo
(ex art. 52, comma 2, rd 1214/1934),
specificando che «il particolare contesto
in cui i fatti si sono verificati (periodo
di emergenza rifiuti per la cittadinanza) e
l'intento verosimile del convenuto di
incrementarne la raccolta», può
determinare una riduzione del 50% del danno
erariale addebitatogli
(articolo ItaliaOggi del 29.10.2011 -
tratto da www.ecostampa.it). |
CONSIGLIERI COMUNALI: La
partecipata aggira il patto? Il sindaco
«paga».
Con le società partecipate non si può più
scherzare: la gestione dissennata
dell'azienda, che si concretizzi in
comportamenti volti ad aggirare i vincoli
imposti all'ente locale in ordine alla spesa
di personale e al patto di stabilità,
comporta danno erariale, per il quale
rispondono sia gli amministratori del
Comune, sia quelli della società
partecipata.
Questo, in sintesi, il
contenuto della
sentenza
21.09.2011 n. 402 della Corte dei
Conti,
Sez. I giurisdizionale centrale.
Il casus belli è rappresentato da una
società mista, di proprietà per i due terzi
dal Comune. Scopo della società, risultante
nello statuto e nell'atto costitutivo,
doveva identificarsi nel conseguimento di
una maggior efficienza ed economicità dei
servizi pubblici alla stessa affidati. In
realtà, era servita per perseguire scopi di
tipo occupazionale, volti a stabilizzare una
serie di lavoratori socialmente utili. Scopi
estranei alle regole di buona
amministrazione, non sostenibili dal punto
di vista economico e che hanno comportato,
nella società, il susseguirsi di risultati deficitari. Queste perdite sociali,
riservate nella contabilità del comune, ne
hanno determinato il dissesto.
Innanzitutto la Corte dei conti ha
riconosciuto la propria giurisdizione in
materia. Infatti la gestione non oculata
della società non ha prodotto effetti
negativi limitati al patrimonio del stessa
società, fattispecie per la quale la
giurisprudenza consolidata della Corte di
cassazione ha escluso la competenza dei
magistrati contabili. Le perdite sociali
hanno comportato danno al Comune e, di
conseguenza, al patrimonio pubblico, sul
quale vigila la Corte dei conti. Ad
avvalorare la tesi, vi è la sussistenza del
rapporto di servizio e le finalità pubbliche
che la società perseguiva.
La Corte delinea con precisione il confine
oltre il quale non possono spingersi le
scelte discrezionali indiscutibilmente in
mano agli amministratori, sia dell'ente
locale che delle sue società partecipate. Il
confine trova fondamento nel dettato
costituzionale della buona amministrazione,
che si concretizza nel rispetto delle regole
di sana ed economica gestione. E sicuramente
non può rinvenirsi quando, a fronte di uno
strumento di per sé legittimo e idoneo a
perseguire il fine dichiarato (la
costituzione della società), viene messo in
atto un comportamento attraverso il quale si
tenta di raggiungere scopi diversi da quelli
esplicitati (stabilizzazioni), adottando
atti che, naturalmente, risultano
illegittimi per sviamento di potere. Ne
discende la conferma della competenza della
Corte dei conti, la quale potrà sindacare in
merito alla malagestione, in ipotesi di
danno erariale.
Il principio può essere esteso anche ad
altre scelte effettuate dalle società
partecipate, tipicamente in merito ad azioni
volte ad aggirare i vincoli in tema di patto
di stabilità. I magistrati contabili
condannano in primo luogo il sindaco e
l'assessore del comune, attribuendo loro la
metà del danno riconosciuto (oltre 200mila
euro ciascuno), e, in secondo luogo, il
presidente e l'amministratore della società,
che partecipano per il 30% al risarcimento
(oltre 120mila euro a testa). In via
residuale sono coinvolti i componenti della
giunta; esclusi anche i revisori dei conti,
i quali hanno collaborato con il consiglio
comunale per la verifica sulla società
(articolo
Il Sole 24 Ore del 31.10.2011 -
tratto da www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO:
Divieto di incremento del valore
dei buoni pasto.
La Corte dei Conti, Sez. Reg.le Puglia, con
parere
14.09.2011 n. 63, si pronuncia sulla
possibilità di incremento del valore dei
buoni pasto, in relazione al disposto dell'art.
9, comma 1, del D.L. 78/2010 (conv. in L.
122/2010). Le conclusioni (conformi a
precedente pronuncia della Corte Conti
Toscana e alla circolare RGS n. 12/2011):
- la disciplina dell'art. 9 del D.L. 78/2010
"prevede misure di contenimento
finalizzate a garantire l'invarianza dei
trattamenti retributivi nel triennio di
riferimento e che tale invarianza deve
riguardare anche il valore dei buoni pasto
la cui misura non può essere incrementata
nel medesimo triennio in considerazione del
fatto che, ai sensi dell'art. 51 comma 2,
lett. c), del T.U.I.R., i buoni pasto
costituiscono redditi da lavoro dipendente
per importi superiori a euro 5,29.".
- "Ne consegue, ad avviso del Collegio,
che qualora il valore del buono pasto non
sia superiore a euro 5,29 non costituisce
reddito da lavoro dipendente e pertanto non
soggiace ai vincoli imposti dall'art. 9 del
citato D.L. 78/2010." (commento tratto
da www.publika.it). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO:
Mobilità, valore della posizione
economica, fondo per le risorse decentrate.
La Corte dei Conti, Sez. Reg.le Friuli
Venezia Giulia, con
parere 07.09.2011 n. 75,
affronta -alla luce della normativa generale
e di quella specifica regionale- i temi
legati all'espletamento di procedure di
mobilità che si concludano con
l'acquisizione di personale inquadrato in
categoria economica superiore rispetto a
quella della posizione dotazionale resasi
vacante (commento tratto da www.publika.it). |
EDILIZIA PRIVATA -
PUBBLICO IMPIEGO:
In tema di responsabilità di un
dipendente comunale, geometra responsabile
del procedimento, per danno erariale
derivante dall’esborso sostenuto dall’Ente
locale quale sanzione amministrativa per
lavori di costruzione di un impianto di
depurazione ed ampliamento della rete
fognante in assenza di preventivo nulla osta
paesaggistico.
Il danno erariale del quale si discute ha ad
oggetto la somma versata dal Comune di
Altomonte quale sanzione per le opere di
ristrutturazione e potenziamento di un
impianto di depurazione già esistente
–ubicato all’interno di una zona boschiva–
senza la previa richiesta del nulla osta
paesaggistico in violazione del D.Lgs. n.
490/1999, art. 151, norma vigente all’epoca
dei fatti.
Da tale violazione sarebbe infatti dipesa la
sanzione a carico del Comune di appartenenza
del geom. ... da parte della regione
Calabria per euro 3.450,50, al fine di
ottenere la relativa sanatoria, con
conseguente procedimento di danno erariale a
carico del dipendente comunale geom.
... in qualità di responsabile del
relativo procedimento.
Assume parte appellata che il suddetto nulla
osta paesaggistico non è stato richiesto in
quanto non necessario, e che, per tale
ragione, se il Comune ha inteso pagare la
sanzione irrogata dalla Regione anziché
contestarne la fondatezza, imputet sibi.
Osserva il Collegio che la normativa vigente
all’epoca dei fatti –art. 151, I e II
comma, D.Lgs. n. 490/1999, abrogato con
decorrenza dall'01.05.2004 ad opera
dell’art. 184 del D.Lgs. n. 42 del 22.01.2004– così testualmente dispone: “I
proprietari, i possessori o detentori a
qualsiasi titolo di beni ambientali inclusi
negli elenchi pubblicati a norma
dell’articolo 140 o dell’articolo 144 o
nelle categorie elencate all’articolo 146
non possono distruggerli né introdurvi
modificazioni, che rechino pregiudizio a
quel loro esteriore aspetto che è oggetto di
protezione.
I proprietari, possessori o detentori a
qualsiasi titolo dei beni indicati al comma
1, hanno l’obbligo di sottoporre alla
Regione i progetti delle opere di qualunque
genere che intendano eseguire, al fine di
ottenerne la preventiva autorizzazione”.
Con la ulteriore rilevante precisazione –art. 152, lettera a), D.Lgs. n. 490/1999–
che la predetta autorizzazione non è
comunque necessaria relativamente alla
realizzazione di opere e attività di
manutenzione straordinaria.
Nel caso di specie, come acclarato anche in
primo grado, si trattava di un lavoro di
ampliamento di un impianto già esistente
mediante l’interramento di una vasca settica
a cielo aperto (cfr. pag. 10 sentenza n.
280/2009).
In altre parole, il Comune ha provveduto a
sostituire un canale di scolo di acque nere
che confluivano in un’unica vasca di
raccolta a cielo aperto, priva dei più
basilari requisiti igienico-sanitari, con un
depuratore –suddiviso in più vasche–
completamente interrato.
Il tutto con un intervento che il Comune
medesimo ha definito come “opera pubblica di
necessità ed urgenza” (cfr. lettera Comune
del 28.02.2005).
Siffatta qualificazione delle opere eseguite
quali attività di manutenzione straordinaria
che non necessitavano di alcuna
autorizzazione paesaggistica (art. 152,
lett. a), D.Lgs. n. 490/1999) è resa evidente
dalla circostanza che nella fattispecie
all’esame non si discute affatto della
realizzazione ex novo di una rete fognaria,
bensì dell’ammodernamento (rectius: messa a
norma) di un inadeguato impianto
preesistente mediante realizzazione di
vasche di depurazione.
Per tale ragione –attesa, altresì, la
pacifica necessità ed urgenza dell’opera–
il geom. ..., in qualità di
responsabile del procedimento, non ha
reputato necessaria l’autorizzazione
paesaggistica, ai sensi e per gli effetti di
cui alla normativa summenzionata (art. 152
cit.) in quanto gli interventi realizzati
sono stati considerati come di straordinaria
manutenzione e non come realizzazione di
nuova opera.
Ed inoltre, sotto il profilo oggettivo, la
correttezza della condotta tenuta da parte
appellata si evincerebbe anche nel caso in
cui le opere realizzate non fossero
qualificabili quale intervento di
manutenzione straordinaria bensì quale
realizzazione di nuova opera.
In tal caso essa deriverebbe direttamente
dall’art. 151 D.Lgs. n. 490/1999, anziché
dal successivo art. 152 (relativo, per
l’appunto, alle sole opere di manutenzione
straordinaria).
In merito, osserva il Collegio che è quanto
mai significativo che le opere realizzate
non hanno determinato alcun pregiudizio di
tipo esteriore/estetico, in quanto del tutto
interrate.
La stessa relazione tecnica allegata al
progetto, a firma dell’ing. ... e dell’ing.
..., precisa
che “La tipologia costruttiva di tipo
interrato e coperto non reca danno al
paesaggio di primo piano. In conclusione
l’intervento non apporta una modifica
irreversibile del paesaggio e delle
caratteristiche naturali ed ambientali
dell’area e del territorio circostante”.
E’ pur vero che il capoverso del citato art.
151 richiede l’autorizzazione preventiva per
il compimento di “opere di qualunque
genere”, ma il primo comma della medesima
norma si occupa di prevenire e reprimere
eventuali pregiudizi all’aspetto
esteriore/estetico dei beni tutelati:
pregiudizio che nella fattispecie non è
neppure ipotizzabile, attesa la peculiare
tipologia di intervento (interrato) attuato.
Si deve pertanto convenire che una lettura
sistematica dei due commi in parola impone
di ritenere che il nulla osta paesaggistico
deve essere richiesto per la realizzazione
di opere di qualsiasi genere ma sempre che
le stesse possano incidere –per le loro
caratteristiche e modalità organizzative–
sul bene tutelato, il paesaggio, in caso
contrario non essendo necessario acquisire
alcun preventivo nulla-osta paesaggistico.
Nella fattispecie, pertanto, difetta il
presupposto necessario di applicazione del
citato art. 151 capoverso: non ha alcun
senso parlare di tutela paesaggistica
esteriore a fronte di un’opera interrata.
Stante tale situazione oggettiva, corrette
appaiono le motivazioni della sentenza
appellata, che ha ritenuto di escludere, in
capo al geom. ..., il requisito
soggettivo della colpa grave.
La Corte regionale ha rilevato come la
corretta esegesi della normativa di settore
non fosse di immediata individuazione in
considerazione:
a) della oggettiva
complessità della normativa in materia
paesaggistica anche alla luce della
necessità di operare un coordinamento tra le
norme medesime (artt. 151 e 152 del D.Lgs.
n. 490/1999);
b) delle concrete modalità di
realizzazione delle opere (interrate e
comunque di intervento su manufatti
preesistenti);
c) della specifica formazione
culturale del convenuto (geometra) che,
seppure dotato di padronanza delle regole
tecniche, non sempre è in grado di valutare
con dimestichezza l’esegesi giuridica.
La scusabilità dell’eventuale errore,
pertanto, appare idoneo a ritenere corretto
escludere ogni addebito di colpa grave in
capo alla parte appellante per la buona fede
con cui agito.
Per le considerazioni che precedono,
l'appello della parte pubblica si appalesa
infondato e deve essere respinto, con
conseguente conferma dell'impugnata sentenza
di prime cure
(Corte dei Conti, Sez. I centrale d'appello,
sentenza 31.08.2011 n. 356). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO:
Rimborso spese di missione al
personale in convenzione: ancora consentito.
La Corte dei Conti, Sez. Reg. Calabria, con
parere
30.06.2011 n. 356, in parziale
difformità con gli orientamenti consolidati
(ivi comprese SS.RR. 8 e 9/2011), su quanto
in oggetto, così conclude: "Ciò non di
meno, il Comune di Canna, ai sensi dell'art.
9 della legge n. 417/1978, è tuttora
legittimato ad autorizzare il personale
dipendente all'uso del proprio mezzo di
trasporto, se più conveniente economicamente
per l'Amministrazione comunale, allo scopo
di far fronte a particolari esigenze di
servizio, che il medesimo Ente avrà cura di
individuare con provvedimento motivato e
responsabile, nel rispetto del limite
quantitativo di spesa fissato dall'art. 6,
comma 12, del D.L. 78/2010, convertito in
legge n. 122/2010 (50% della spesa per
missioni sostenute nell'anno 2009)"
(commento tratto da www.publika.it). |
NEWS |
ENTI LOCALI: Videosorveglianza
doc. Sistemi autorizzati dal Garante
privacy. I comuni sorvegliati speciali.
I sistemi pubblici di
videosorveglianza intelligente devono essere
preventivamente autorizzati dal garante.
Lo ha chiarito l'Autorità per la protezione
dei dati personali con la nota 13.09.2011
n. 18197.
Il comune di Grugliasco ha richiesto
chiarimenti circa l'implementazione del
proprio sistema di videosorveglianza con
tecnologie evolute, in grado di focalizzare
l'attenzione del grande fratello su ambiti
specifici, in concomitanza con eventi che
attivano il sistema elettronico.
La legge 38/2009 di conversione del dl
11/2009, ha modificato sensibilmente il
panorama normativo in materia di
videosorveglianza. Le immagini raccolte
dagli impianti comunali possono ora essere
utilizzate anche per la tutela della
sicurezza urbana e conservate fino ai sette
giorni. L'utilizzo delle tecniche di
videosorveglianza locale è sempre stato
collegato alle finalità tradizionali dei
comuni ovvero il controllo del traffico e la
tutela delle proprietà comunali.
Ma non certo per vigilanza di polizia urbana
in senso stretto. Questa attività, infatti,
è di recente istituzione e deriva dal
pacchetto sicurezza che ha riformulato
l'art. 54 del testo unico enti locali. In
pratica ai sensi del dl 92/2008, il
legislatore ha ammesso la partecipazione
diretta dei comuni a questioni prima
riservate a polizia e carabinieri. Ora
riconoscere ai comuni la possibilità di
utilizzare la videosorveglianza per la
tutela della sicurezza urbana equivale
ammettere l'uso di questi impianti per
l'esercizio di una nuova attività di
polizia.
Il primo risultato apprezzabile è stato
innanzitutto quello di non dover più
utilizzare immagini a bassa definizione. Ma
anche di poter conservare i dati per un
lasso di tempo ragionevole, senza
informativa nelle zone a rischio, previa
opportuna valutazione del comitato
provinciale per l'ordine e la sicurezza.
Attenzione però agli impianti più
sofisticati.
In questo caso prima dell'attivazione
servirà l'esame preventivo del Garante.
Specifica infatti il parere del 13 settembre
scorso che «con specifico riferimento ai
sistemi di videosorveglianza intelligenti il
garante ha disposto, in particolare, che
devono essere sottoposti alla verifica
preliminare dell'autorità i sistemi che non
si limitano a riprendere e registrare le
immagini, ma sono in grado di rilevare
automaticamente comportamenti o eventi
anomali, segnalarli ed eventualmente
registrarli»
(articolo ItaliaOggi dell'01.11.2011 -
tratto da www.ecostampa.it). |
ENTI LOCALI: Fisco federale, riparte il cantiere.
Tagli agli enti locali compensati da
maggiori poteri fiscali. Primo via libera
del governo al decreto correttivo: dall'Imu alla Res, ecco le nuove
misure.
Riapre il cantiere del federalismo fiscale.
A poco più di un mese dalla pubblicazione
del decreto «premi e sanzioni», che ha
chiuso la prima fase di attuazione della
legge 42/2009 (si veda ItaliaOggi Sette del
15.08.2011), il consiglio dei ministri
ha approvato in via preliminare il
primo
decreto correttivo, destinato a modificare
ben quattro degli otto precedenti decreti
attuativi finora approdati in Gazzetta
Ufficiale.
Nel frattempo, il percorso della riforma è
divenuto via via sempre più accidentato, a
causa dell'incrocio pericoloso con le
recenti manovre finanziarie, che hanno
pesantemente colpito i bilanci di regioni ed
enti locali, inducendo molti a decretare la
«morte clinica» del sogno federale.
Non sorprende, pertanto, che gli interventi
più significativi puntino a restituire un
po' di ossigeno a sindaci e presidenti di
provincia, agendo, peraltro, soprattutto sul
lato delle entrate, secondo una logica che
dalla fiscalizzazione dei trasferimenti si
sta spostando sempre di più verso una sorta
di «fiscalizzazione dei tagli».
La strada, insomma, pare essere quella di
compensare (almeno in parte) questi ultimi
mediante il rafforzamento dei poteri di
manovra della leva fiscale a livello locale.
Possono leggersi in questa prospettiva, per
quanto riguarda i comuni, l'introduzione del
nuovo tributo comunale Rifiuti e servizi (Res).
l'anticipazione dell'entrata in vigore dell'Imu
(anche se probabilmente con un'aliquota più
bassa di quella al momento prevista) e
l'estensione a tutti dell'imposta di
soggiorno (anche se le potenzialità di tale
misura paiono decisamente modeste).
Rispetto alla province, invece, spicca
soprattutto il via libera immediato alla
maggiorazione dell'Ipt, che va ad
aggiungersi, nell'arsenale a disposizione
degli enti di area vasta (in attesa della
loro promessa abolizione), al prelievo sulla
Rc auto, sbloccato fin da subito.
Basterà a placare la sete di risorse (e le
vibranti proteste) degli amministratori
locali? Al momento non è dato saperlo.
Nel mirino case e automobili. Stavolta
colpiti anche i residenti. Nuova, piccola
rivoluzione per la fiscalità locale: Imu al
via dal 2013, insieme al nuovo tributo
comunale Rifiuti e servizi (Res). Decollo
immediato per l'Ipt maggiorata.
Sono i contenuti più importanti del primo
decreto correttivo del federalismo fiscale,
che interviene chirurgicamente su alcuni
passaggi chiave dei dlgs. 23/2011 (fisco
municipale) e 68/2011 (fisco provinciale e
regionale).
Per quanto concerne la nuova imposta
comunale sugli immobili, il governo, dopo
non pochi tentennamenti, ha finalmente
deciso di accelerare i tempi, accogliendo le
richieste dei sindaci, anche se solo in
parte dato che molti primi cittadini
puntavano a incassarne i proventi già dal
prossimo anno. L'anticipo scatterà invece
nel 2013 e riguarderà sia l'imposta
municipale propria che l'imposta municipale
secondaria.
Mentre quest'ultima prenderà il posto di una
serie di balzelli minori (tassa per
l'occupazione di spazi e aree pubbliche,
canone di occupazione di spazi e aree
pubbliche, imposta comunale sulla pubblicità
e diritti sulle pubbliche affissioni, canone
per l'autorizzazione all'installazione dei
mezzi pubblicitari, oltre all'addizionale ex
Eca), la prima, come noto, sostituirà l'Ici,
nonché l'Irpef e le relative addizionali
dovute in relazione ai redditi fondiari per
beni non locati, a eccezione, ovviamente,
delle prime case. La relativa aliquota,
però, potrebbe essere abbassata (forse dal
7,6 al 6,6 per mille), per fare spazio alla
new entry, il Res, che scatterà anch'esso
nel 2013 (previa adozione, entro il 31.10.2012, di un regolamento governativo
per la determinazione della tariffa relativa
alla parte ambientale).
Tale tributo, in effetti, sarà strutturato
in due componenti: la prima sarà istituita a
fronte del servizio di gestione dei rifiuti
soldi urbani e dei rifiuti assimilati
avviati allo smaltimento svolto dai comuni
in regime di privativa, la seconda a fronte
dei servizi indivisibili erogati dai
medesimi comuni, quali, per esempio,
illuminazione, pulizia, polizia locale e
così via.
Il Res sui rifiuti sarà dovuto da chiunque
possieda, occupi o detenga a qualsiasi
titolo locali o aree scoperte, a qualsiasi
uso adibiti, suscettibili di produrre
rifiuti, inglobando le forme di prelievo
attualmente esistenti (Tarsu, Tia1 e Tia2).
A prima lettura, peraltro, la nuova
disciplina lascia intatti i dubbi sulla sua
natura tariffaria o tributaria: il Res
rifiuti, infatti, dovrà bensì essere pagato
in base ad una tariffa commisurata alla
quantità e qualità medie ordinarie dei
rifiuti prodotti per unità di superficie. La
tariffa, tuttavia, sarà composta da una
quota determinata in relazione alle
componenti essenziali del costo del
servizio, riferite in particolare agli
investimenti per le opere ed i relativi
ammortamenti, e da una quota rapportata alla
quantità dei rifiuti conferiti, al servizio
fornito ed all'entità dei costi di gestione.
La seconda componente del Res, invece, sarà
dovuta dalle persone fisiche anagraficamente
residenti nel territorio del comune che
occupino a qualsiasi titolo fabbricati
destinati ad uso abitativo, ovvero di
categoria catastale da A1 ad A9 (o non
ancora iscritti a catasto). La relativa
aliquota sarà fissata dallo stesso comune in
misura non superiore a un massimo e si
applicherà al valore dei predetti fabbricati
quale risulta applicando all'ammontare delle
rendite risultanti in catasto, vigenti al 1°
gennaio dell'anno di imposizione, un
moltiplicatore pari a 100 aggiornato con i
coefficienti stabiliti per le imposte sui
redditi. È di tutta evidenza, quindi, che il
nuovo decreto disciplina una forma di
prelievo anche sulle prime case, come
opportuno nell'ottica dell'attuazione del
principio pago-vedo-voto (ed in tal senso
auspicato da molti esperti, oltre che, di
recente, dalla stessa Banca d'Italia), ma
come forse non del tutto consentito dalla
legge 42/2009 (e in tal senso potrebbe
profilarsi il rischio di un eccesso di
delega).
A partire dal 2015, ciascun comune potrà
deliberare il progressivo incremento
dell'aliquota del Res con contestuale
riduzione, anche fino all'azzeramento,
dell'addizionale Irpef.
Le altre novità per le entrate dei comuni
riguardano:
●
l'estensione dell'imposta di soggiorno anche
ai comuni non turistici (che, peraltro, per
evidenti ragioni, difficilmente potranno
sfruttare questa leva);
●
l'anticipo al 2013 della compartecipazione
(al 30%) al gettito dei tributi erariali
immobiliari;
●
il ritorno alla compartecipazione (al 2%)
all'Irpef, al posto di quella all'Iva.
Riguardo a quest'ultimo punto, il governo
recupera l'idea originaria del ministro
Calderoli, forse spinto dalla difficoltà di
determinare il gettito Iva a livello locale.
I proventi dell'imposta sui redditi, invece,
potranno essere agevolmente attribuiti al
comune nel quale il contribuente ha
domicilio fiscale al 1° gennaio dell'anno di
riferimento. I conti complessivi non
cambieranno (dal momento che la
compartecipazione Iva era stata quantificata
in misura tale da risultare equivalente ad
una compartecipazione Irpef al 2%), ma
modifiche anche significative potranno
osservarsi in ordine al riparto fra i
diversi enti delle risorse, che non
transiteranno dal fondo sperimentale di
riequilibrio.
Per le province, come detto,
il dato più interessante riguarda l'Ipt, con
la precisazione che la soppressione della
misura forfetaria della tariffa per gli atti
soggetti a Iva potrà scattare anche senza il
previsto decreto di Mef. A tutti i passaggi
di proprietà, quindi, si applicherà il
regime finora previsto per gli atti fra
privati, decisamente più oneroso per i
contribuenti, con conseguente maggior
incasso per le casse provinciali. Per
arginare l'emorragia (già in corso) delle
immatricolazioni verso le province delle
regioni speciali, peraltro, la novità
riguarderà anche queste ultime, fino
all'adeguamento dei rispettivi statuti.
---------------
Fabbisogni standard, tabella di marcia
serrata.
Pur occupandosi soprattutto di tributi, il
decreto correttivo si sforza di non perdere
di vista l'altro caposaldo dell'architettura
federalista, che mira a coniugare
l'autonomia di entrata con la responsabilità
nella gestione delle risorse.
Si spiega, in quest'ottica, la scelta di
accelerare (intervenendo sul dlgs 216/2010)
la transizione dal criterio della spesa
storica a quello dei fabbisogni standard, la
cui determinazione dovrà essere completata
entro il prossimo anno, per consentire al
nuovo criterio di finanziamento delle
funzioni fondamentali di andare a regime
entro il 2015. Ciò richiederà uno sforzo
enorme a tutti gli attori coinvolti, a
partire da Sose spa e Ifel, che coordinano
le operazioni a livello centrale, per finire
con i comuni, che saranno sottoposti a un
«stress informativo» notevole. Per di più
proprio nella fase in cui, per quelli
piccoli e piccolissimi, dovrebbero scattare
i nuovi e restrittivi obblighi di gestione
associata delle medesime funzioni previsti
dalle manovre estive. Una sovrapposizione di
adempimenti che certo non faciliterà il
compito degli operatori e che potrebbe
accentuare molte delle difficoltà tecniche
fin qui emerse.
Analoga accelerazione è prevista per la
definizione del nuovo fondo perequativo, che
dovrà essere operativo già nel 2013, un anno
prima del previsto, con contestuale
riduzione del periodo di vigenza del fondo
sperimentale di riequilibrio. Ma la relativa
disciplina è ancora tutta da scrivere.
Infine, il correttivo agisce sul dlgs
118/2011 in materia di armonizzazione dei
bilanci di regioni ed enti locali: si tratta
di modifiche tecniche, che accolgono gran
parte dei rilievi formulati nei mesi scorsi
dai rappresentanti delle autonomie
(articolo ItaliaOggi
Sette del 31.10.2011 -
tratto da www.ecostampa.it). |
PUBBLICO IMPIEGO: Part-time, il permesso è a ore.
Si considera l'intera giornata di assenza e
l'indennità ridotta. Il criterio di calcolo del congedo parentale
intervallato da assenze e nei rapporti a
tempo parziale.
Quando ci sono assenze per ferie o malattia
che inframmezzano un periodo di congedo
parentale, il weekend (sabato e domenica)
risulta non indennizzabile né computabile in
conto del congedo; salvo che non ci sia una
ripresa di attività lavorativa. Inoltre, il
congedo parentale non è mai fruibile a ore
se non nel caso di lavoratore titolare di
due (o più) rapporti di lavoro a tempo
parziale orizzontale o misto.
Le precisazioni, dell'Inps, sono contenute
nel messaggio
18.10.2011 n. 19772/2011.
Il congedo parentale. Il congedo parentale
(la vecchia «astensione facoltativa») spetta
ai lavoratori dipendenti, in costanza di
rapporto di lavoro, genitori naturali
(esclusi quelli disoccupati o sospesi, i
lavoratori domestici e quelli a domicilio)
per un periodo complessivo tra i due (mamma
e papà) non superiore a dieci mesi,
aumentabili a undici, fruibili anche
contemporaneamente, entro i primi otto anni
di vita del bambino (fino al giorno compreso
dell'ottavo compleanno).
Il congedo è
coperto da un'indennità, subordinata alla
vivenza del bambino e alla sussistenza di un
rapporto di lavoro in atto all'inizio e
durante il periodo di astensione
facoltativa. Inoltre, l'indennità spetta in
qualità di lavoratori dipendenti anche ai
lavoratori agricoli a tempo determinato
purché possano far valere 51 giornate
nell'anno precedente quello di inizio del
congedo oppure nello stesso anno se lavorate
prima dell'inizio del congedo stesso.
Il congedo invece non spetta ai genitori
disoccupati o sospesi; ai genitori
lavoratori domestici; ai genitori lavoratori
a domicilio; da quando cessa il rapporto di
lavoro in atto all'inizio e durante il
periodo di astensione.
Come detto, il congedo parentale spetta per
un periodo complessivo massimo, tra mamma e
papà, di dieci mesi, aumentabili a 11,
fruibili anche contemporaneamente, entro i
primi otto anni di vita del bambino. Nel
dettaglio:
●
alla madre lavoratrice dipendente spetta per
un periodo continuativo o frazionato non
superiore a sei mesi, trascorso quello
previsto per l'astensione obbligatoria dopo
il parto;
●
al padre lavoratore dipendente spetta per un
periodo continuativo o frazionato non
superiore a sei mesi elevabile a sette se lo
stesso si astiene dal lavoro per un periodo
continuativo o frazionato non inferiore a
tre mesi. È in questo caso il limite
complessivo delle astensioni dal lavoro dei
genitori sale a undici mesi. Al padre
lavoratore dipendente, il congedo spetta
anche durante il periodo di astensione
obbligatoria della madre (a decorrere dal
giorno successivo al parto), e anche se la
stessa non lavora;
●
al genitore single (solo), padre o madre,
spetta per un periodo continuativo o
frazionato non superiore a dieci mesi.
In caso di fruizione da parte di entrambi i
genitori (madre autonoma e padre dipendente)
il periodo massimo complessivo tra i due è
pari a dieci mesi (tre mesi per la madre e
sette mesi per il padre). Ai lavoratori
dipendenti genitori adottivi o affidatari
(esclusi quelli disoccupati o sospesi, i
lavoratori domestici e quelli a domicilio),
il congedo parentale spetta con le stesse
modalità dei genitori naturali, fino al
compimento della maggiore età del minore.
Madre e padre possono fruire di tale congedo
parentale anche contemporaneamente. Infine,
in caso di parto gemellare o plurigemellare
e anche in caso di adozione e affidamento di
più minori, ciascun genitore lavoratore
dipendente ha diritto a fruire del congedo
parentale, per ogni nato e per ogni adottato
o affidato, per il numero di mesi previsti
dalla legge, con le stesse modalità di
fruizione e con gli stessi criteri di
pagamento.
Come si computa il congedo parentale. Il
congedo parentale può essere fruito
continuativamente (tre mesi, quattro mesi)
oppure anche in modo frazionato. In tale
ultima ipotesi, la frazionabilità va
comunque intesa nel senso che tra un periodo
(anche di un solo giorno per volta) e
l'altro di astensione facoltativa deve
essere effettuata una ripresa «effettiva»
del lavoro. Le giornate di ferie, la
malattia, le festività e i sabati cadenti
tra il periodo di congedo parentale e la
ripresa lavoro non vanno computate in conto
congedo parentale.
L'effettiva ripresa del lavoro è un
requisito non rinvenibile né nel caso di
domanda di fruizione del congedo dal lunedì
al venerdì (settimana corta), senza ripresa
del lavoro il lunedì della settimana
successiva a quella di fruizione del
congedo, né nella fruizione di ferie. Ciò
non significa comunque che, immediatamente
dopo un periodo di congedo parentale, non
possano essere ammessi periodi di ferie (o
di fruizione di altri congedi o permessi),
cosicché sia necessario continuare nella
fruizione di congedo parentale.
Significa,
però, che due differenti frazioni di congedo
parentale intervallate da un periodo feriale
o altro tipo di congedo, debbono comprendere
ai fini del calcolo del numero di giorni
riconoscibili come congedo parentale anche i
giorni festivi e i sabati (settimana corta)
cadenti subito prima o subito dopo le ferie
(o altri congedi o permessi).
Il weekend del congedo parentale. Criteri di
computo particolari e di indennizzo sono
previsti per i giorni di congedo parentale
quando il periodo di congedo risulti
inframmezzato da ferie, malattia o assenze
ad altro titolo (incluse le pause di
sospensione contrattuale previste nel
part-time di tipo verticale o misto).
In
particolare, l'Inps ha spiegato che i giorni
festivi, le domeniche e anche i sabati (in
caso di settimana corta) che ricadono
all'interno di un periodo di ferie,
malattia, o assenze ad altro titolo non sono
in alcun caso indennizzabili, né computabili
in conto congedo parentale. Per esempio, nel
caso di un lavoratore, con orario di lavoro
articolato su cinque giorni lavorativi (la
cosiddetta settimana corta), che fruisca di
congedo parentale nel seguente modo:
► 1ª settimana:
dal lunedì al venerdì = congedo parentale;
poi sabato e domenica;
► 2ª settimana:
dal lunedì al venerdì = ferie – malattia –
assenza ad altro titolo;
poi sabato e domenica;
► 3ª settimana:
dal lunedì al venerdì = ferie o malattia o
assenza ad altro titolo;
poi sabato e domenica;
► 4ª settimana:
dal lunedì al venerdì = congedo parentale
il sabato e la domenica compresi tra la
seconda e la terza settimana non sono
computabili, né indennizzabili a titolo di
congedo parentale, in quanto tali giorni
(che sono da considerarsi compresi in un
periodo unico di congedo parentale posto
che, dalla prima alla quarta settimana, non
vi è stata ripresa dell'attività lavorativa)
risultano comunque ricompresi all'interno di
un periodo di assenza fruita ad altro titolo
(periodo neutro).
Viceversa, il sabato e la
domenica ricadenti tra la prima e la seconda
settimana e tra la terza e la quarta sono
computabili e indennizzabili in conto
congedo parentale in quanto tali giorni
cadono, rispettivamente, subito dopo e
subito prima il congedo parentale richiesto.
Stesso principio è applicabile anche in una
situazione «settimanale»; per esempio, nel
caso in cui il lavoratore alterni congedo
parentale e ferie nel seguente modo:
●
dal martedì al giovedì = congedo parentale
●
venerdì = ferie
●
sabato e domenica
●
lunedì = ferie
●
dal martedì a giovedì = congedo parentale.
In altre parole, anche in quest'ultimo caso,
il sabato e la domenica non si computano a
titolo di congedo parentale in quanto
risultano inclusi in un periodo, seppur
breve, di ferie (venerdì e lunedì).
Congedo parentale a ore. In via di
principio, il congedo parentale non è
fruibile ad ore. Tuttavia, secondo l'Inps,
il lavoratore che sia contemporaneamente
titolare di due (o più) rapporti di lavoro
part-time di tipo orizzontale (o misto) può
astenersi a titolo di congedo parentale da
uno dei rapporti di lavoro proseguendo
l'attività lavorativa sull'altro rapporto (a
part-time) in essere.
In tal caso, ai fini del computo dei mesi di
congedo parentale, l'assenza, benché
limitata ad alcune ore della giornata
lavorativa, si considera per l'intera
giornata. L'indennità, invece, ove
spettante, dovrà essere commisurata alle ore
di effettiva assenza dal lavoro
(articolo ItaliaOggi
Sette del 31.10.2011). |
VARI: Abitabilità, pass per la vendita.
Senza il documento l'acquirente ha diritto
al risarcimento. Sentenza della Cassazione.
La prescrizione scatta dieci anni dopo la
stipula del contratto.
Compravendite, certificato di abitabilità
sempre necessario. Se il venditore di un
appartamento che nell'atto di vendita si è
obbligato a procurare il certificato non
rispetta l'impegno, l'acquirente ha diritto
a richiedere il risarcimento dei danni,
diritto che però si prescrive decorso il
termine di 10 anni dalla stipula del
contratto o dalla fissazione da parte del
giudice di un diverso termine per adempiere.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con
la recente sentenza 21.09.2011 n. 19204.
Nella vicenda presa in esame dalla Suprema
corte due coniugi acquistavano un
appartamento da una società immobiliare che,
al momento dell'acquisto, non disponeva
ancora del certificato di abitabilità, ma
che nel rogito, a sua cura e spese e nel più
breve tempo possibile, si era obbligato a
procurarlo, richiedendo il rilascio dello
stesso alle competenti autorità. Tale
impegno però non era stato rispettato. I due
coniugi, pertanto, anche se dopo molti anni
dalla stipula dell'atto di acquisto
dell'immobile, avevano convenuto in giudizio
la società venditrice per sentirla
condannare al risarcimento del danno da
mancato rilascio della licenza di
abitabilità.
Tuttavia, secondo la società
convenuta, il diritto al risarcimento del
danno derivante dall'inadempimento
dell'obbligazione di consegna del
certificato di abitabilità era di natura
contrattuale e, quindi, soggetto
all'ordinaria prescrizione decennale.
Pertanto, nel resistere in giudizio, la
stessa aveva eccepito la prescrizione del
diritto al risarcimento, essendo ormai
decorsi più di 14 anni dalla conclusione del
contratto di vendita e, comunque, ben più di
dieci anni dal termine contrattualmente
fissato per il rilascio del predetto
certificato. Ma il tribunale, rigettata
l'eccezione, accoglieva la domanda di
risarcimento e condannava la società
convenuta al pagamento in favore degli
attori dei danni subiti, liquidati in via
equitativa tenendo conto del valore
dell'immobile al momento della causa.
La
sentenza di primo grado veniva quindi
confermata dal giudice di appello, il quale
rilevava che il diritto a conseguire il
certificato di abitabilità e,
conseguentemente, quello al risarcimento del
danno, doveva considerarsi indisponibile e,
in quanto tale, non soggetto a prescrizione.
Pertanto anche il conseguente diritto al
risarcimento era da ritenersi
imprescrittibile.
Tale conclusione non è stata condivisa dalla
Suprema corte, la quale ha invece
sottolineato come il diritto al risarcimento
del danno, anche quando viene richiesto in
giudizio per effetto della mancata
realizzazione di un diritto indisponibile
(come il diritto all'abitabilità, che
costituisce requisito giuridico essenziale
del bene compravenduto, assicurandone il
legittimo godimento e la commerciabilità),
conservando la propria autonomia rispetto al
diritto originario, non ne assume il
carattere della indisponibilità ed è,
pertanto, soggetto alla prescrizione
ordinaria decennale.
In altre parole,
secondo i giudici supremi, quale che sia il
fondamento dell'imprescrittibilità dei
diritti indisponibili, è comunque certo che
tra questi ultimi non può includersi quello
al risarcimento del danno, ancorché prodotto
da lesione di un diritto indisponibile,
trattandosi di un credito soggetto al
termine ordinario di prescrizione. Per
quanto sopra è stato precisato dalla
Cassazione che il diritto dell'acquirente al
risarcimento del danno da mancato rilascio
del certificato di abitabilità si prescrive
una volta decorso il termine di dieci anni
dalla stipula del contratto o dalla
fissazione da parte del giudice di un
diverso termine per adempiere.
Del resto, si
è osservato da parte della Suprema corte, il
mancato rilascio del certificato di
abitabilità costituisce non già un illecito,
ma un inadempimento contrattuale, ove il
venditore abbia assunto, a sua cura e spese,
l'obbligazione di fare ottenere
all'acquirente detta condizione.
---------------
Risparmio energetico necessario
all'agibilità.
Il certificato di abitabilità è per legge
condizione necessaria per adibire un
edificio a civile abitazione. Il controllo
comunale sui requisiti di salubrità degli
edifici a destinazione residenziale risale
addirittura al secolo scorso (legge n. 5849
del 1888) e ha avuto storicamente la
funzione di provvedimento di autorizzazione
(nel caso di edifici a uso non residenziale
si parlava invece di agibilità). E questo
fino al più recente dpr n. 425/1994, il
quale ha introdotto la terminologia di
certificato di abitabilità e ha riformato il
procedimento amministrativo per il rilascio
del medesimo.
Anche questa disciplina è infine venuta meno
con l'entrata in vigore del c.d. Testo unico
dell'edilizia, di cui al dpr n. 380/2001,
con decorrenza dal 30.06.2003, il quale ha
anche riunito nell'unica nozione di
agibilità le certificazioni necessarie per
l'utilizzo degli immobili a destinazione
residenziale e non, anche se nel gergo
tecnico continua a essere diffusa la vecchia
distinzione terminologica.
Il nuovo concetto di agibilità concerne
l'igiene e la salubrità, ma anche il
risparmio energetico e la sicurezza statica
e dinamica di impianti ed edifici. L'obbligo
contrattuale che grava sul venditore di
consegnare all'acquirente il documento in
questione al momento del rogito trova
fondamento nella previsione di cui all'art.
1477, comma 3, del codice civile, secondo
cui il venditore deve consegnare i titoli e
i documenti relativi alla proprietà e
all'uso della cosa venduta.
È importante evidenziare come la falsa
dichiarazione nel rogito della presenza del
certificato di abitabilità, come chiarito
dalla Cassazione, non configura il reato di
falso ideologico in atti pubblici e rileva
solo ai fini civilistici dell'eventuale
risoluzione del contratto di compravendita.
Infatti, in caso di assenza del certificato,
non si verifica un'ipotesi di nullità della
vendita per impossibilità giuridica
dell'oggetto del contratto, come riteneva
un'opinione rimasta minoritaria della
giurisprudenza di merito, ma semplicemente
un inadempimento del venditore, che
autorizza il compratore a chiedere la
risoluzione del contratto e il risarcimento
del danno.
La Suprema corte ritiene del resto che per
l'esclusione della responsabilità del
venditore non sia sufficiente che il
compratore conoscesse la mancanza del
certificato al momento della stipula del
rogito, ove non risulti anche che il
medesimo abbia rinunciato espressamente al
requisito dell'abitabilità. Viene poi
considerato legittimo dalla giurisprudenza
il patto che fa ricadere l'obbligo di
richiedere il certificato sull'acquirente:
in tal caso l'immobile viene venduto senza
certificato, sul presupposto che il
compratore abbia ugualmente interesse
all'acquisto.
Il problema più rilevante che si pone in
questi casi riguarda comunque
l'individuazione della natura della
responsabilità del venditore. L'orientamento
giurisprudenziale prevalente ritiene che il
venditore che abbia ceduto un immobile privo
del requisito dell'abitabilità sia
responsabile per la vendita di un oggetto
radicalmente diverso da quello promesso. Di
conseguenza per l'acquirente che intenda
denunciare la mancanza del certificato non
vi sono termini di decadenza e la
prescrizione è decennale
(articolo ItaliaOggi
Sette del 31.10.2011). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: I
contratti sul territorio ignorano i limiti
del fondo.
Negli enti locali che sono stati ispezionati
dalla Ragioneria generale dello Stato nel
2010 si riscontra, rispetto al 2004,
l'aumento del fondo per la contrattazione
decentrata in misura superiore ad almeno tre
volte di quanto consentito dai contratti
nazionali, tendenza che si estende anche al
fondo dei dirigenti: tale aumento è stato
ottenuto soprattutto utilizzando
illegittimamente le disposizioni per il
finanziamento di nuovi servizi (articolo 15,
comma 5, del contratto nazionale di
comparto).
E, ancora, nella destinazione del
fondo sono state rilevate forme di
erogazione "a pioggia", in particolare per
le progressioni orizzontali, la produttività
e l'indennità di specifiche responsabilità,
nonché la violazione del principio della
onnicomprensività del trattamento economico
accessorio, soprattutto per i dirigenti.
Varie forme di illegittimità.
Oltre alle illegittimità connesse alla
contrattazione decentrata, gli ispettori
della Ragioneria dello Stato hanno
riscontrato in misura frequente –nei
Comuni, nelle Province e nelle Camere di
commercio esaminati– la effettuazione di
progressioni verticali e di stabilizzazioni
in numero superiore alle assunzioni
dall'esterno, il superamento dei tetti posti
dalla legislazione alle assunzioni di
personale e la violazione dei tetti imposti
al ricorso all'articolo 110 del Dlgs
267/2000 per le assunzioni a tempo
determinato di dirigenti.
Sono questi i rilievi più frequenti da parte
del servizio ispettivo della Ragioneria
generale dello Stato in seguito alle 49
ispezioni compiute l'anno scorso nelle
amministrazioni locali (tra cui 20 enti con
la dirigenza). L'importanza del documento
che rende conto di questa attività è data
sia dal "censimento" delle illegittimità,
che ci danno un quadro approfondito di
conoscenza della realtà, che dalla analitica
ricostruzione delle motivazioni che sono
alla base delle censure mosse. Per cui la
lettura del documento risulta assai utile,
come annota il ragioniere generale dello
Stato nella premessa, per evitare ai singoli
enti di commettere errori, diventando così
una sorta di "manuale d'uso".
Vincoli inapplicati.
L'incremento del fondo per la contrattazione
decentrata del personale legato alla
attivazione di nuovi servizi e/o all'aumento
dei dipendenti (articolo 15, comma 5, del
Ccnl 01.04.1999) è stato disposto dalla
maggioranza degli enti ispezionati e ha
determinato un aumento del fondo di oltre il
20 per cento. L'analoga possibilità di
incremento prevista per il fondo dei
dirigenti è stata utilizzata da circa l'88%
degli enti e pesa per poco più del 45% del
fondo.
Nella stragrande maggioranza dei casi
non sono stati rispettati i vincoli dettati
dal contratto nazionale, sia per assenza di
motivazioni adeguate che per il mancato
rispetto delle procedure (ad esempio la
deliberazione in sanatoria) e per la
quantificazione arbitraria della misura
degli incrementi.
In Comune meno scostamenti.
Complessivamente, i fondi per la
contrattazione decentrata sono cresciuti di
circa il 27% nel periodo compreso tra il
2004 e il 2009 negli enti "ispezionati", con
un aumento che nei Comuni è risultato essere
più contenuto rispetto a Province e Camere
di commercio. Per il contratto nazionale
l'aumento di questo quinquennio doveva
essere nel suo insieme (contratto nazionale
e contratti decentrati) contenuto nel 16%,
in gran parte riservato all'adeguamento
degli stipendi. Dobbiamo inoltre aggiungere
che il personale in servizio è calato del 6
per cento.
Analoga la tendenza riscontrata per i
dirigenti: aumenti medi del fondo del 21%, a
fronte di una diminuzione dei dirigenti del
9% e di aumenti consentiti dal contratto
nazionale nella misura del 14%, peraltro
anche in questo caso in gran parte destinati
ai miglioramenti dello stipendio.
Progressioni.
Nella erogazione del fondo per la
contrattazione decentrata la voce di gran
lunga più importante (circa il 28% del fondo
totale) è costituita dalle progressioni
orizzontali. Tale istituto è stato quasi
sempre utilizzato non come un premio
selettivo al merito, ma come un aumento
corrisposto in modo automatico alla gran
parte dei dipendenti.
Va evidenziato che i
compensi per la produttività, a cui nel 2009
è stato destinato il 15% del fondo,
risultano essere in calo rispetto agli anni
precedenti. Un'altra cifra che la dice lunga
sull'uso del fondo in modo da erogare
compensi a pioggia è quella che si riferisce
a indennità per specifiche responsabilità:
assorbe ben il 9% del fondo 2009. Da notare
che per l'indennità di comparto nello stesso
anno è stato speso poco più del 3% del
fondo, il che dimostra che essa non è un
fattore significativo di irrigidimento.
Più della metà delle amministrazioni
esaminate hanno effettuato progressioni
verticali in numero superiore alle
assunzioni effettuate tramite concorsi
pubblici. E non le hanno, inoltre, comprese
tra le assunzioni al fine del rispetto dei
vincoli dettati dal legislatore. In un
numero superiore alla metà degli enti,
infine, le stabilizzazioni sono state
effettuate superando il tetto delle
assunzioni tramite concorsi pubblici e senza
svolgere prove selettive
(articolo
Il Sole 24 Ore del 31.10.2011 -
tratto da www.ecostampa.it). |
ENTI LOCALI: La
convenzione dribbla la scomparsa delle
giunte.
I «VANTAGGI» - La scelta consentirebbe di
mantenere in carica gli organi collegiali e
di evitare l'assoggettamento al Patto di
stabilità.
L'obbligo di Unione, con decadenza della
giunta, previsto per i Comuni fino a mille
abitanti dalla manovra-bis, lascia aperta la
strada a una deroga (articolo 16, comma 16
del Dl 138/2011): le convenzioni per
l'esercizio di funzioni amministrative e di
servizi pubblici, da varare entro il 30.09.2012, permettono di fatto di
annullare il percorso dell'Unione.
Se da un lato studi recenti promuovono le
economie di scala effettive solo per quegli
enti che, aggregandosi, danno vita a "poli"
non inferiori a 15-18 mila abitanti (studio
Confindustria Bergamo del 2010 e studio
«Superga» redatto da Ifel, da cui si ricava
che l'economia di scala può abbattere i
costi nei mini-Comuni fino al 44% su alcuni
servizi come l'anagrafe), trasferire tutto
il sistema della gestione associata alle
"convenzioni" può presentare delle
criticità, al di là dell'apparente facilità
del suo utilizzo.
La deroga è però molto "invitante" per i
sindaci, perché consente di mantenere in
carica le giunte (se non ci sarà il rinnovo
dal 13.08.2012) e di avviare
l'aggregazione in modo apparentemente
indolore, secondo una modalità vissuta come
espressione di autonomia decisionale; senza
contare che la via della convenzione
permette di evitare anche l'assoggettamento
al Patto di stabilità.
L'apparente facilità di formazione delle
convenzioni operative nasconde equivoci
sulla definizione degli ambiti demografici
(la stessa Anci dice che l'ambito
demografico non è definito, anche se si può
presumere, sulla base delle normative
vigenti, che sia di 5mila abitanti) e
temporali nonché sui contenuti: quali
funzioni inserire nella convenzione, e con
quale riferimento legislativo? Ci sono poi
problemi pratici sull'impatto delle realtà
delle Unioni già costituite, funzionanti ai
sensi dell'articolo 32 del Tuel.
Sui contenuti va fatta chiarezza, perché le
funzioni e i servizi vanno individuati e
attivati secondo la catalogazione delle
funzioni operate dal Dpr 194/1996, scoprendo
così che il "pacchetto" delle funzioni è ben
più corposo di quanto si possa immaginare.
Un altro problema riguarda il modo in cui i
sindaci possono relazionarsi con la Regione
per strutturare la convenzione per
l'attuazione dell'esercizio delle funzioni
fondamentali e incidere sul percorso
aggregativo che li riguarda.
Sul punto appare possibile individuare un
ruolo per le Province, senza attendere
l'input legislativo, in forza della loro
conoscenza del territorio e dei rapporti di
stretta collaborazione con i sindaci.
---------------
La possibilità
01|LO STRUMENTO
Le convenzioni per l'esercizio di funzioni
amministrative e di servizi pubblici, da
varare entro
il 30.09.2012, costituiscono lo
strumento che consente di non rispettare
l'obbligo di Unione, con decadenza della
giunta, previsto dalla manovra-bis (Dl
138/2011, convertito dalla legge 148/2011)
per i Comuni
con popolazione fino
a mille abitanti.
02|I PUNTI CRITICI
L'apparente facilità di formazione delle
convenzioni operative nasconde equivoci
sulla definizione degli ambiti demografici e
temporali, ma anche sui contenuti:
ci si domanda, tra l'altro, quali funzioni
possono essere inserite nella convenzione, e
con quale riferimento legislativo.
03|IL «NODO» REGIONI
Il tipo di rapporto con le Regioni per
strutturare la convenzione è un nodo da
sciogliere. Si può anche prevedere che, in
base alla loro conoscenza del territorio e
alla stretta collaborazione in essere con i
sindaci, un ruolo su questa materia possa
essere individuato anche per le Province,
senza attendere input legislativi (articolo
Il Sole 24 Ore del 31.10.2011 -
tratto da www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI: Lacune
normative, soluzioni a rischio.
In materia di Unioni di Comuni con
popolazione sotto i mille abitanti –e della
loro alternativa, costituita dalla
possibilità di attuare convenzioni (cui si
riferisce anche l'articolo qui sopra)– si
riscontrano lacune normative, che si possono
individuare, tra l'altro, nell'assenza di
una durata minima stabilita per legge, in
termini di esistenza sia delle convenzioni
(ex comma 16, articolo 16, della legge
148/2011) sia delle stesse Unioni.
Di fatto, si correrà il rischio di frequenti
risoluzioni e scioglimenti di tali forme
associative, il che risulta in palese
contrasto con le esigenze di contenimento
della spesa che la manovra intende
realizzare.
Va poi sottolineata l'assenza di un
coordinamento con le legislazioni regionali.
Si può prendere come esempio la normativa
della Regione Lombardia, che prevede norme
organizzative e presupposti diversi per le
Unioni. Questo mancato coordinamento rischia
di disincentivare non solo la formazione di
nuove Unioni tra piccoli Comuni, ma
addirittura anche la permanenza di quelle
già esistenti.
Anche per questi motivi, dunque, si rende
opportuna la creazione di una disciplina
organica in sede di codice delle autonomie,
di concerto con le amministrazioni
regionali, al fine di evitare disfunzioni
nella vita amministrativa dei piccoli Comuni
(articolo
Il Sole 24 Ore del 31.10.2011 -
tratto da www.ecostampa.it). |
ENTI LOCALI - VARI: Fabbricati
rurali, rebus retroattività.
DOPO LA MANOVRA - Nonostante due decreti
ministeriali, non è chiaro se il
riconoscimento decorre dalla domanda o dal
quinquennio anteriore.
Il decreto Sviluppo (Dl 70/2011) interviene
nuovamente sull'annoso problema dei
fabbricati rurali, dando la possibilità ai
contribuenti di chiedere la variazione della
categoria catastale per quei fabbricati che,
presentando i requisiti di ruralità in via
continuativa da almeno cinque anni, non
erano, alla data del 30.09.2011,
accatastati in categoria rurale: A/6 se
abitazione, D/10 se fabbricato strumentale.
Con Dm 14.09.2011 sono state
individuate le modalità applicative e la
documentazione necessaria per la
presentazione della certificazione per il
riconoscimento della ruralità dei
fabbricati. Il Dm ha istituito la classe "R"
per le abitazioni, che sono ora censite in
categoria A/6 senza attribuzione di alcuna
rendita. Per i fabbricati strumentali
classati in categoria D/10 è previsto il
mantenimento della rendita catastale
precedentemente attribuita.
Nel breve termine concesso (il Dm è stato
pubblicato in «Gazzetta Ufficiale» il 21
settembre) sono state numerosissime le
richieste di variazione, e ognuna di queste
potenzialmente può generare un nuovo
contenzioso, visto che l'interpretazione
della norma data dai contribuenti si pone
(nuovamente) in aperto contrasto con quella
data dagli enti impositori.
L'elemento che crea confusione e che
legittimerebbe, secondo alcuni, l'uso
retroattivo della nuova categoria attribuita
dall'Agenzia del territorio è la previsione
dell'attestazione del possesso «in via
continuativa» a decorrere dal quinto anno
antecedente a quello di presentazione della
domanda di riconoscimento della categoria
rurale.
Secondo i Comuni impositori, invece, la
norma fa riferimento a una «variazione della
categoria catastale» e non è espressamente
prevista alcuna efficacia retroattiva,
peraltro in linea con le indicazioni fornite
con la circolare 11/T dell'Agenzia del
territorio, nella quale vengono
esemplificati i casi in cui le variazioni
hanno effetto retroattivo. In questa
situazione, il Comune deve, in base a quanto
previsto dall'articolo 5 del Dlgs 504/1992,
applicare l'Ici avendo riguardo
esclusivamente alla rendita e categoria
catastale iscritta in catasto al primo
gennaio di ogni anno d'imposizione.
Nessun aiuto è arrivato poi dal Dm attuativo
e dalla circolare 6/2011 dell'Agenzia del
territorio, che non hanno apportato, come da
molti auspicato, alcuna integrazione o
chiarimento del Dl 70/2011.
L'incertezza normativa coinvolge i cinque
anni d'imposta pendenti (2006-2010) e
riguarda tanto i contribuenti (domande di
rimborso) tanto i Comuni (atti di
accertamento) e potenzialmente potrebbe
determinare una perdita di gettito per i
Comuni quantificabile in diverse centinaia
di milioni di euro.
Mentre la Corte di cassazione continua a
decidere le vecchie controversie ritenendo
vincolante la categoria catastale iscritta
in catasto (da ultimo si veda l'ordinanza 06.10.2011, n. 20432) le Commissioni
tributarie a breve dovranno risolvere la
querelle sulla portata retroattiva o meno
dell'articolo 7, commi 2-bis, 2-ter e
2-quater del Dl 70/2011.
Sembra proprio che Ici e fabbricati rurali
rappresentino un problema senza soluzione
(articolo
Il Sole 24 Ore del 31.10.2011 -
tratto da www.ecostampa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI: OSSERVATORIO VIMINALE/
Albo online, niente scuse.
Pubblicazione disciplinabile con regolamento.
Gli enti locali hanno mani
libere su accesso, atti e garanzie di
riservatezza.
È in linea con gli obblighi di pubblicazione
sui siti informatici introdotti dall'art. 32
della legge 28.06.2009, n. 69 -recante
norme per l'«eliminazione degli sprechi
relativi al mantenimento di documenti in
forma cartacea»- un'amministrazione
comunale che si limita a pubblicare sul
proprio sito istituzionale solo il numero e
l'oggetto delle delibere di giunta e di
consiglio e delle determine, non rendendo
disponibile il contenuto degli atti e
giustificando tale forma ridotta di
pubblicità in considerazione della mancata
emanazione del «dpcm che dovrebbe contenere
le regole tecniche per la tenuta dell'albo
online», a tutela della riservatezza e dei
dati personali e sensibili dei soggetti cui
gli stessi si riferiscono?
L'art. 32, comma 1, della legge 28.06.2009, n. 69 dispone che «gli obblighi di
pubblicazione di atti e provvedimenti
amministrativi aventi effetto di pubblicità
legale si intendono assolti con la
pubblicazione nei propri siti informatici da
parte delle amministrazioni e degli enti
pubblici obbligati».
Il comma 5, del citato art. 32, come
modificato dall'art. 2, comma 5 del dl
30/12/2009, n. 194, convertito nella legge
26.02.2010, n. 25, prevede che a
decorrere dall'01.01.2011, e nei casi di
cui al comma 2 dall'01.01.2013, «le
pubblicità effettuate in forma cartacea non
hanno effetto di pubblicità legale».
Il rinvio ad un dpcm, che stabilisca le
modalità di pubblicazione nei siti
informatici, è previsto esclusivamente nel
comma 2 dello stesso art. 32, secondo cui
l'adempimento dell'obbligo di provvedere
alla pubblicazione nei siti informatici
«secondo modalità stabilite con dpcm»,
riguarda solo le amministrazioni e gli enti
pubblici «tenuti a pubblicare sulla stampa
quotidiana atti e provvedimenti concernenti
procedure ad evidenza pubblica o i propri
bilanci».
Con specifico riferimento agli obblighi di
pubblicazione degli atti degli enti locali,
l'introduzione dello strumento informatico
ha comportato l'implicita abrogazione della
disciplina della «pubblicazione delle
deliberazioni» contenuta nell'art. 124 del dlgs n. 267/2000, nella sola parte in cui
dispone che la pubblicazione avvenga
«mediante affissione all'albo pretorio nella
sede dell'ente», sostituita dalla
pubblicazione sul sito istituzionale
dell'ente, fermo restando il termine di 15
giorni consecutivi o di altre specifiche
disposizioni di legge.
Tale è il parere dell'Ufficio legislativo
del ministro per la semplificazione
normativa che ha anche chiarito che «ciascun
ente potrà adottare una specifica
regolamentazione dei termini di
pubblicazione e dei tempi di permanenza di
pubblicità sul sito web, anche eventualmente
prevedendo la possibilità di consultazione
permanente di atti o provvedimenti
riconducibili nell'ambito dell'art. 26 della
legge 241/1990 («obbligo di pubblicazione»), o
l'accessibilità di taluni documento solo per
un certo lasso temporale».
In merito ai profili di tutela della
riservatezza e dei dati personali e
sensibili, il garante per la protezione dei
dati personali, nell'ambito delle «linee
guida in materia di dati personali contenuti
anche in atti e documenti amministrativi,
effettuato da soggetti pubblici per finalità
di pubblicazione e diffusione sul web»,
adottate con la deliberazione del 02.03.2011, ha dedicato un apposito paragrafo alla
«pubblicità degli atti amministrativi e albo
pretorio on-line» che reca indicazioni sulle
modalità di pubblicazione e sugli
accorgimenti volti ad «assicurare forme
corrette e proporzionate di conoscibilità,
impedendo la loro incondizionata
reperibilità in internet», nel rispetto dei
principi di qualità ed esattezza dei dati.
Tali linee guida si aggiungono a quelle,
adottate con deliberazione in data 19.04.2007, «in materia di trattamento dei dati
personali per finalità di pubblicazione e
diffusione di atti e documenti di enti
locali», che al punto 6. dedicano appositi
chiarimenti sulla «pubblicità assicurata
mediante pubblicazione all'albo pretorio».
Tanto premesso, nel caso di specie, l'ente
locale interessato, ai fini dell'osservanza
degli obblighi posti dal citato art. 32
potrà, comunque, adottare apposito
regolamento per la gestione delle procedure
di pubblicazione degli atti sull'albo
pretorio on-line, in cui disciplinare i
diversi profili di attuazione della norma,
tra i quali le modalità di accesso e
pubblicazione, gli atti soggetti a
pubblicazione, le garanzie della
riservatezza
(articolo ItaliaOggi del 28.10.2011). |
EDILIZIA PRIVATA: Edilizia, arriva la patente a punti.
La certificazione corsia preferenziale negli
appalti pubblici. Un avviso comune tra
imprese e sindacati dà attuazione alle
previsioni del Testo unico sicurezza.
Una patente a punti obbligatoria per
l'imprenditore edile, corsia preferenziale
per ottenere appalti pubblici, decurtata in
caso di «accertate violazioni in materia di
salute e sicurezza sul lavoro». E che sarà
sottoposta, ogni tre anni, ad una verifica
di alcuni paletti necessari al momento del
rilascio: il «requisito di onorabilità»
(assenza di procedimenti in corso a carico
degli operatori), la corretta designazione
di un responsabile del servizio di
prevenzione, di un altro a capo del servizio
tecnico (personale in possesso di attestati
che ne certifichino le competenze) e la
sussistenza di una «capacità
tecnico-finanziaria» adeguata a garantire il
rispetto delle regole.
A prevederla è un avviso comune, fresco di
presentazione al ministero del welfare,
firmato dalle associazioni di categoria
(datoriali e sindacali), che recepisce il
dettato dell'art. 27 del Testo unico sulla
salute e sicurezza nei luoghi di lavoro
(decreto legislativo 81/2008); per far
diventare operativo il documento, dovrà
essere quanto prima emanato un decreto
ministeriale che lo recepisca.
Potranno ricevere la patente professionale
(che parte dai 25 punti per il lavoratore
autonomo e cresce in relazione ai dipendenti
dell'impresa, arrivando alla soglia di 120
per un organico di 200 addetti), gli
operatori nel settore dell'edilizia che
risponderanno ai parametri sul personale
qualificato, l'onorabilità e la consistenza
finanziaria: a consegnare l'attestato (che,
si legge nel testo, «costituisce elemento
essenziale ai fini dell'esercizio delle
attività» nel settore) sarà la sezione
speciale dell'edilizia, istituita presso la
camera di commercio della località in cui
risiede ed è domiciliato l'imprenditore.
L'organismo incaricato di concedere la
speciale tessera sarà composto da un membro
della camera di commercio, uno dell'Inail,
uno della Asl, uno della Direzione
provinciale del lavoro, un esponente di ogni
organizzazione sindacale e uno di ogni
organizzazione datoriale, seguendo il
criterio della maggiore rappresentativa dei
soggetti sul piano nazionale del comparto;
la sezione si avvarrà anche del contributo
di un comitato tecnico, di cui faranno parte
componenti delle casse edili
territorialmente competenti.
Entro 30 giorni dal ricevimento della
domanda, verrà rilasciata la patente o
rifiutata (adducendone il motivo) e in
nessun caso di operazione societaria sarà
possibile cederla o rilevarla; il sistema
non è di poco conto, poiché nelle intenzioni
dei promotori potrà costituire «elemento
preferenziale per l'aggiudicazione delle
gare relative ad appalti e subappalti
pubblici, e per l'accesso ad agevolazioni,
finanziamenti e contributi a carico della
finanzia pubblica, sempre se correlati ai
medesimi appalti o subappalti».
Mantenere il punteggio di partenza diventa,
pertanto, un valore da salvaguardare: la
riduzione partirà da un minimo di due punti
per la mancata elaborazione del documento di
valutazione dei rischi e per una serie di
inadempienze sul fronte della protezione dei
lavoratori (assenza del dispositivo per
cautelarsi in caso di cadute dall'alto,
nessuna formazione di chi per lo svolgimento
delle proprie mansioni effettua accessi al
cantiere ecc.), e nell'eventualità si
verifichino uno o più infortuni mortali, al
di là della violazione del codice penale per
la quale l'imprenditore verrà perseguito,
dalla patente saranno sottratti dieci punti.
Al fine di recuperare il punteggio perduto,
il datore di lavoro o, per suo conto, il
responsabile tecnico o il direttore tecnico
designato, dovrà prendere parte a specifici
corsi di formazione, allestiti da enti
bilaterali del settore edile.
L'avviso comune porta in calce la firma di
Ance, Ancpl Legacoop,
Federlavoro-Confcooperative, Psl-Agci, Aniem
Confapi, Claai, Feneal Uil, Filca Cisl e
Fillea Cgil, mentre non è stata sottoscritta
da Anaepa Confartigianato, Cna costruzioni e
Fiae Casartigiani. Soddisfatto Domenico
Pesenti, segretario generale della
Filca-Cisl, convinto che «riuscire a trovare
un'intesa tra le parti sociali del settore
su un argomento spinoso come la patente a
punti sia un segnale della maturità che il
sistema dell'edilizia ha raggiunto.
Questo strumento rivitalizzerà la cultura
della sicurezza, la qualità dell'impresa di
costruzioni e di tutti coloro che operano
nel cantiere». Ma l'aspetto più importante,
ha concluso il sindacalista, «è l'essere
riusciti a condividere l'idea che
rappresenta lo strumento giusto per rendere
il cantiere più sicuro, strutturato e
regolare, privilegiando l'aspetto
preventivo, e non quello repressivo»
(articolo ItaliaOggi del 28.10.2011). |
EDILIZIA PRIVATA:
DECRETO SVILUPPO/ Le misure in
materia di edilizia nel provvedimento in
fase di studio. Urbanizzazioni pagate dai
privati. Autocertificazioni obbligatorie.
Revoca della Scia limitata.
Urbanizzazioni primarie a carico
dei privati: chi costruisce deve farsi
carico di strade, parcheggi, fogne, aree
verdi e così via.
È quanto prevede la bozza del decreto
sviluppo in materia di edilizia, che
interviene anche in materia di
autocertificazioni (diventano obbligatorie
nei confronti delle pubbliche
amministrazioni), certificati (utilizzabili
solo nei confronti di privati) e di Scia
(limitando la possibilità di revoca da parte
degli enti pubblici preposti al controllo.
Ma vediamo punto per punto dove sta andando
a parare lo schema di articolato.
Urbanizzazioni primarie
Con una modifica al Testo unico per
l'edilizia (dpr 380/2001) si prevede che le
opere di urbanizzazione primaria debbano
essere realizzate dal titolare del permesso
di costruire: questo vale per strade
residenziali, spazi di sosta o di
parcheggio, fognature, rete idrica, rete di
distribuzione dell'energia elettrica e del
gas, pubblica illuminazione, spazi di verde
attrezzato. Purché gli interventi siano al
di sotto della soglia comunitaria (5.278.000
euro per gli appalti di lavori pubblici e
per le concessioni di lavori pubblici).
In sostanza si tratta di un affidamento
diretto ex lege dei lavori relativi
alle urbanizzazioni in deroga al codice dei
contratti pubblici. Ma significa anche
maggiori oneri per chi vuole edificare.
La bozza di relazione al decreto in esame
spiega che la realizzazione di tali opere è
un onere connaturato alla trasformazione
urbanistica del territorio e pertanto può
essere posta in essere direttamente dallo
stesso soggetto che dà attuazione agli
interventi di nuova edificazione. Tale
previsione, spiega la relazione, appare
funzionale sotto il profilo delle
problematiche di interferenze con la
realizzazione degli edifici previsti
all'interno dell'ambito territoriale oggetto
della trasformazione, per cui è preferibile
non solo una progettazione unitaria delle
opere di urbanizzazione primaria, ma anche
una loro esecuzione contestuale e coordinata
con gli interventi principali. Una
disposizione analoga, già presente nel
decreto-legge n. 70/2011 (già noto come «decreto
sviluppo»), è stata espunta in sede di
conversione.
Autocertificazione obbligatoria
Le dichiarazioni sostitutive diventano
obbligatorie. Non sono più forme di
semplificazione a discrezione
dell'interessato, ma diventano l'unico
strumento da usare nell'istruttoria dei
procedimenti amministrativi. Viene, infatti,
proposta la riformulazione dell'articolo 40
del Testo unico della documentazione
amministrativa (dpr 445/2000) scrivendo la
regola per cui nei rapporti con gli organi
della pubblica amministrazione e i gestori
di pubblici servizi i certificati e gli atti
di notorietà sono sempre sostituiti dalle
dichiarazioni sostitutive.
Quindi non ci può essere un privato che
rinuncia all'autocertificazione e preferisce
portare il certificato. Quindi i certificati
saranno validi e utilizzabili solo nei
rapporti tra privati. E anzi sulle
certificazioni da produrre ai soggetti
privati si dovrà apporre la dicitura «il
presente certificato non può essere prodotto
agli organi della pubblica amministrazione o
ai privati gestori di pubblici servizi.
Forse esagerando la bozza prescrive che se
manca la dicitura la certificazione sarà
addirittura nulla».
Viene, poi, proposto l'inserimento di una
espressa disposizione sulla acquisizione
d'ufficio da parte delle amministrazioni
procedenti delle informazioni relative alla
regolarità contributiva e della
documentazione antimafia.
Insomma le p.a. devono dialogare tra loro,
anziché chiedere certificazioni a cittadini
e imprese. Tra l'altro viene proposta la
modifica dell'articolo 72 del T.u. della
Documentazione amministrativa, sanzionando
la mancata risposta alle richieste di
controllo delle autocertificazioni entro 30
giorni non solo a livello disciplinare, ma
anche con un abbassamento della valutazione
della performance individuale dei
responsabili dell'omissione.
Scia
La Scia consiste nella segnalazione
certificata dell'inizio di una attività,
soggetta a controllo a posteriori della p.a
Chi presenta una scia può immediatamente
iniziare l'attività. Ma la p.a. ha 60 giorni
di tempo per vietare la prosecuzione
dell'attività (sono 300 per l'edilizia) o
per far regolarizzare la pratica.
L'articolo 19 della legge 241/1990
(dedicato, appunto, alla Scia) fa salva la
possibilità per la p.a., una volta scaduti i
60 giorni, e quindi senza limiti di tempo,
di assumere determinazioni in via di
autotutela, mediante revoche o annullamenti
d'ufficio (articoli 21-quinquies e nonies
della legge 241/1990). Ora la bozza di
decreto sviluppo sopprime tale formula di
salvezza del potere di autotutela della p.a..
Probabilmente l'intento del legislatore è
quello di circoscrivere solo ai 60 (30 per
l'edilizia) giorni il termine di intervento
della p.a., decorsi i quali la situazione
deve essere considerata consolidata a favore
di chi ha presentato la Scia. Questo a meno
di considerare che le norme sull'autotutela
si applicano comunque anche in assenza della
clausola di salvezza (articolo
ItaliaOggi del 27.10.2011). |
VARI:
L'antennista può installare
decoder. Chiarimento dello Sviluppo
economico.
Per installare il decoder non è necessaria
una particolare abilitazione, ma è
sufficiente quella per l'installazione delle
antenne.
È quanto ha chiarito la Divisione XXI –
Registro delle imprese del Ministero dello
Sviluppo Economico, con la circolare
24.10.2011 n. 3643/C.
Secondo il Dipartimento per l'impresa e
l'internazionalizzazione, Direzione generale
per il mercato, la concorrenza, il
consumatore, la vigilanza e la normativa
tecnica, in pratica, «non si ravvisa
rispetto agli altri impianti televisivi via
cavo una peculiarità della fattispecie tale
da richiedere una più ampia abilitazione».
Il problema nasce dal fatto che il dm
22.01.2008 n. 37 che detta norme in materia
di impianti tecnologici, prescrive le
specifiche abilitazioni che devono essere
possedute per l'installazione completa degli
impianti di ricezione televisiva via
satellite e, all'articolo 1, lettera b)
associa alle antenne gli impianti
elettronici in genere. Il dubbio posto da
alcune commissioni per l'artigianato, era
legato al fatto che in base all'art. 3, del
dm 37/2008, l'impresa di installazione è
abilitata per il tramite del responsabile
tecnico «indicando specificatamente per
quali lettera e quale voce, di quelle
elencate nel medesimo articolo 1, comma 2,
intendono esercitare l'attività».
Secondo il Mise, «sotto taluni aspetti,
l'installazione del decoder, che
rappresenterebbe l'upgrade rispetto ai
sistemi tradizionali, non appare altro che
una installazione di apparecchiatura plug
and play che, per definizione dello stesso
dm 37 è sottratta all'applicazione della
disciplina». «D'altronde,
sottolinea ancora il direttore Gianfrancesco
Vecchio, se fosse diversamente non si
ravviserebbe (tenuto conto dell'ormai quasi
definitivo switch off del sistema Atv sul
territorio nazionale) una differenza con
l'installazione di antenne tradizionali e la
successiva installazione del decoder Dtv.
Con la conseguenza che sarebbe interdetta
ogni attività alle imprese legittimamente
abilitate per la sola installazione di
antenne».
Peraltro, precisa anche il Mise, sulla
specifica questione è stato chiesto parere
tecnico anche al Dipartimento per le
comunicazioni del medesimo ministero, e
all'Istituto Superiore per le comunicazioni
che hanno concordato con l'impostazione
della Divisione XXI (articolo
ItaliaOggi del 27.10.2011). |
GIURISPRUDENZA |
PUBBLICO IMPIEGO:
Sì alle differenze retributive
per mansione superiore anche senza
promozione.
Al lavoratore vanno versate le differenze
retributive per la mansione superiore svolta
a prescindere dal suo diritto a una
promozione.
La Corte di Cassazione, Sez. lavoro, con la
sentenza 27.10.2011 n. 22438
accoglie il ricorso del direttore di un
carcere che aveva, di fatto, svolto per
oltre cinque anni un ruolo dirigenziale pur
essendo inquadrato come funzionario.
Il diverso profilo
professionale
- Le rivendicazioni economiche del
lavoratore erano state accolte dai giudici
di primo grado per essere però, subito dopo,
respinte dalla Corte d’Appello.
Per i giudici di seconda istanza la
qualifica di dirigente non poteva in nessun
modo essere considerata superiore a quella
di funzionario trattandosi di status e ruoli
assolutamente differenti e non inquadrabili
nella stessa scala gerarchica. Decisamente
più fortunato l’esito del ricorso in
Cassazione, grazie agli ermellini che negano
l’esistenza di un “compartimento stagno”
tra i due ruoli per quanto riguarda il
diritto a ottenere le differenze
retributive.
Il collegio di piazza Cavour chiarisce,
infatti, che il ricorrente non chiedeva la
qualifica ma dei soldi che senz’altro gli
spettavano. Impropriamente, infatti, la
Corte d’Appello aveva basato il suo no
sull’articolo 52 del Dlgs 152/2001 che, al
comma 1, stabilisce che “l’esercizio di
fatto di mansioni non corrispondenti alla
qualifica di appartenenza non ha effetto ai
fini dell’inquadramento del lavoratore o
dell’assegnazione a incarichi di direzione”.
Retribuzione slegata dallo
status
– Se i giudici di secondo grado avessero
avuto la “pazienza” di scorrere
ancora la stessa norma avrebbero visto che,
il comma 5, prevede da un lato la nullità
delle assegnazioni a mansioni proprie di una
qualifica superiore al di fuori dei casi
espressamente consentiti affermando al tempo
stesso il diritto del lavoratore a incassare
le differenze retributive per l’attività
svolta.
Una conclusione contraria –afferma la
Suprema Corte– sarebbe in contraddizione con
la ratio della legge che è quella di
assicurare comunque, anche in assenza di una
possibilità di “scalare” l’organico,
la retribuzione proporzionata alla qualità e
alla quantità del lavoro prestato.
La teoria dei “vasi non comunicanti”
affermata dalla Corte d’Appello non può
portare “all’esito abnorme” –chiudono
i giudici della sezione lavoro– di
considerare la garanzia applicabile a chi ha
svolto mansioni anche di poco superiori
nell’ambito dello stesso livello
contrattuale negandola invece a chi ha avuto
compiti di maggiore rilievo pur avendo un
altro profilo professionale (commento tratto
da e link a www.diritto24.ilsole24ore.com). |
VARI: Visura sbagliata, paga il notaio.
L'arretrato della conservatoria non evita il
risarcimento. La Cassazione su un'ipoteca
fantasma, pregiudizievole per la
compravendita immobiliare.
Il notaio che non fa correttamente le visure
tacendo quindi un'ipoteca pregiudizievole
per la compravendita immobiliare è tenuto,
insieme al venditore, a risarcire il cliente
compratore.
Lo ha ribadito la Corte di Cassazione che,
con la
sentenza
27.10.2011 n. 22398, ha respinto il ricorso di una
professionista che, dato l'arretrato in cui
versava all'epoca la conservatoria, non
aveva eseguito la visura su un immobile
risultato poi soggetto a ipoteca.
In particolare la donna si era difesa
rivendicando una limitazione delle sua
responsabilità professionale dovuta al
grande arretrato in cui si trovavano le
conservatorie e quindi l'impossibilità di
fare correttamente la visura.
La professionista invocava insomma
l'applicazione dell'articolo 2236 del codice
civile.
Nulla da fare su entrambe i motivi di
ricorso. Per la Cassazione, infatti, la
norma è inapplicabile a questi casi.
Infatti, «in relazione alla inosservanza
dell'obbligo di espletare la visura dei
registri immobiliari in occasione di una
compravendita immobiliare, il notaio non può
invocare la limitazione di responsabilità
prevista per il professionista dall'art.
2236 cod. civ. con riferimento al caso di
prestazione implicante la soluzione di
problemi tecnici, di speciale difficoltà
(nella specie per l'arretrato in cui
versavano le Conservatorie all'epoca dalla
stipula e per la necessità di esaminare le
annotazioni provvisorie di cui al cd. mod.
60), in quanto tale inosservanza non è
riconducibile a un'ipotesi di imperizia, cui
si applica quella limitazione, ma a
negligenza o imprudenza, cioè alla
violazione del dovere della normale
diligenza professionale media esigibile ai
sensi del secondo camma dell'art. 1176 cod.
civ., rispetto alla quale rileva anche la
colpa lieve».
Sul fronte della limitazione di
responsabilità sancita dall'articolo 2236
del codice civile, la terza sezione civile
ha sottolineato che l'attenuazione delle
responsabilità non riguarda la diligenza del
professionista bensì la prudenza e la
perizia. Insomma, perché possa entrare in
gioco la norma il problema al professionista
non solo deve avere tecnica ma deve, per di
più, riguardare prestazioni coinvolgenti
problemi tecnici nuovi, di speciale
complessità, per i quali è richiesto un
impegno intellettuale superiore a quello
professionale medio e con conseguente
presupposizione di preparazione anch'essa
superiore alla media.
Ora il verdetto è diventato definitivo: il
notaio di Roma dovrà risarcire un cliente
per non aver fatto le dovute visure su un
immobile oggetto di compravendita. Poco dopo
era infatti venuta fuori un'ipoteca che il
professionista non aveva accertato mentre la
parte venditrice aveva taciuto. È a questo
punto che il compratore si è rivolto al
Tribunale della Capitale chiedendo il
risarcimento dei danni (in sentenza non è
specificata l'entità). I giudici di primo
grado hanno accolto l'istanza. Poi la Corte
d'appello ha confermato: l'arretrato della
conservatoria non limita la responsabilità
del professionista
(articolo ItaliaOggi del 28.10.2011). |
EDILIZIA PRIVATA: La
regola delle distanze legali tra costruzioni
di cui al comma 2 dell’art. 9 DM 1444/1968 è
applicabile anche alle sopraelevazioni.
In tema di distanze tra costruzioni,
applicabile, come detto, anche alle
sopraelevazioni, l’adozione da parte dei
Comuni di strumenti urbanistici contenenti
disposizioni illegittime perché contrastanti
con la norma di superiore livello dell’art.
9 DM 02.04.1968 n. 1444 –che fissa in dieci
metri la distanza minima assoluta tra pareti
finestrate e pareti di edifici antistanti–
comporta l’obbligo per il giudice di
applicare, in sostituzione delle
disposizioni illegittime, quelle dello
stesso strumento urbanistico, nella
formulazione derivate, però, dalla
inserzione in esso della regola sulla
distanza fissata nel decreto ministeriale.
La disposizione di cui all'art. 9, comma 1,
n. 2, d.m. 02.04.1968 n. 1444, essendo
tassativa ed inderogabile, impone al
proprietario dell'area confinante col muro
finestrato altrui di costruire il proprio
edificio ad almeno dieci metri da quello,
senza alcuna deroga, neppure per il caso in
cui la nuova costruzione sia destinata ad
essere mantenuta ad una quota inferiore a
quella dalle finestre antistanti e a
distanza dalla soglia di queste conforme
alle previsioni dell'art. 907 comma 3, c.c.
Le prescrizioni di cui al d.m. 02.04.1968 n.
1444 integrano con efficacia precettiva il
regime delle distanze nelle costruzioni,
sicché l'inderogabile distanza di 10 m. tra
pareti finestrate e pareti di edifici
antistanti vincola anche i comuni in sede di
formazione o revisione degli strumenti
urbanistici. Conseguentemente, ogni
previsione regolamentare in contrasto con
l'anzidetto limite minimo è illegittima e va
annullata ove oggetto di impugnazione, o
comunque disapplicata, stante la sua
automatica sostituzione con la clausola
legale dettata dalla fonte sovraordinata.
L'art. 9 d.m. 02.04.1968 n. 1444, che detta
disposizioni in tema di distanze tra
costruzioni, stante la natura di norma
primaria, sostituisce eventuali disposizioni
contrarie contenute nelle norme tecniche di
attuazione.
La prescrizione di cui all'art. 9 d.m.
02.04.1968 n. 1444 relativa alla distanza
minima di 10 m. tra pareti finestrate e
pareti di edifici antistanti è volta non
alla tutela del diritto alla riservatezza,
bensì alla salvaguardia di imprescindibili
esigenze igienico-sanitarie, ed è, dunque,
tassativa ed inderogabile.
E’ da rigettarsi anche l’altro motivo di
appello, con il quale si deduce la
inapplicabilità alla fattispecie del
richiamato art. 9, comma 2 D.M. 02.04.1968
n. 1444, perché esso sarebbe applicabile
alle sole nuove costruzioni e non anche alle
sopraelevazioni.
Infatti, è vero il contrario, secondo
consolidata giurisprudenza (si veda, tra
tante, in tal senso, Cassazione civile,
sezione II, 27.03.2001, n.4413) che ritiene
che la regola delle distanze legali tra
costruzioni di cui al comma 2 dell’art. 9
sia applicabile anche alle sopraelevazioni.
Sono infondati anche gli altri motivi,
sostenuti in entrambi gli appelli, con i
quali si sostiene la erroneità della
sentenza impugnata perché:
a) il PRG vigente
all’epoca dei fatti faceva unicamente
riferimento ai limiti di altezza e non di
distanze;
b) era ammessa la deroga di cui al
secondo comma dell’art. 9 su menzionato;
c)
la delibera comunale avrebbe natura di piano
particolareggiato e non di mero studio
urbanistico, travisando dalla intitolazione.
Infatti, ad opinione del Collegio nella
suddetta materia deve ritenersi che in tema
di distanze tra costruzioni, applicabile,
come detto, anche alle sopraelevazioni,
l’adozione da parte dei Comuni di strumenti
urbanistici contenenti disposizioni
illegittime perché contrastanti con la norma
di superiore livello dell’art. 9 DM
02.04.1968 n. 1444 –che fissa in dieci metri
la distanza minima assoluta tra pareti
finestrate e pareti di edifici antistanti–
comporta l’obbligo per il giudice di
applicare, in sostituzione delle
disposizioni illegittime, quelle dello
stesso strumento urbanistico, nella
formulazione derivate, però, dalla
inserzione in esso della regola sulla
distanza fissata nel decreto ministeriale
(così Cassazione civile, II, 27.03.2001, n.
4413 su richiamata; così anche Consiglio di
Stato, IV, 12.06.2007, n. 3094).
La disposizione di cui all'art. 9, comma 1,
n. 2, d.m. 02.04.1968 n. 1444, essendo
tassativa ed inderogabile, impone al
proprietario dell'area confinante col muro
finestrato altrui di costruire il proprio
edificio ad almeno dieci metri da quello,
senza alcuna deroga, neppure per il caso in
cui la nuova costruzione sia destinata ad
essere mantenuta ad una quota inferiore a
quella dalle finestre antistanti e a
distanza dalla soglia di queste conforme
alle previsioni dell'art. 907 comma 3, c.c.
Le prescrizioni di cui al d.m. 02.04.1968 n.
1444 integrano con efficacia precettiva il
regime delle distanze nelle costruzioni,
sicché l'inderogabile distanza di 10 m. tra
pareti finestrate e pareti di edifici
antistanti vincola anche i comuni in sede di
formazione o revisione degli strumenti
urbanistici. Conseguentemente, ogni
previsione regolamentare in contrasto con
l'anzidetto limite minimo è illegittima e va
annullata ove oggetto di impugnazione, o
comunque disapplicata, stante la sua
automatica sostituzione con la clausola
legale dettata dalla fonte sovraordinata.
L'art. 9 d.m. 02.04.1968 n. 1444, che detta
disposizioni in tema di distanze tra
costruzioni, stante la natura di norma
primaria, sostituisce eventuali disposizioni
contrarie contenute nelle norme tecniche di
attuazione.
La prescrizione di cui all'art. 9 d.m.
02.04.1968 n. 1444 relativa alla distanza
minima di 10 m. tra pareti finestrate e
pareti di edifici antistanti è volta non
alla tutela del diritto alla riservatezza,
bensì alla salvaguardia di imprescindibili
esigenze igienico-sanitarie, ed è, dunque,
tassativa ed inderogabile (per tali principi
consolidati, ex plurimis, Consiglio
Stato, sez. IV, 12.06.2007, n. 3094)
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 27.10.2011 n. 5759 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Sulle procedure di acquisizione
di servizi in economia ex art. 125 del
d.lgs. n. 163/2006, prima dell'emanazione
del d.P.R. n. 207/2010.
Prima dell'avvento del d.P.R. n. 207/2010,
nelle procedure di acquisizione di servizi
in economia, rimetteva alla Stazione
appaltante la decisione delle garanzie da
richiedere ai concorrenti e gli oneri
dichiarativi a pena di esclusione a carico
dei concorrenti in tema di requisiti morali
erano rimessi alle prescrizioni caso per
caso della lex specialis, potendo
imporsi, tra i contenuti dell'art. 38 del
Codice del 2006, a guisa di principi
inderogabili, soltanto le previsioni di
esclusione dalla partecipazione alle
procedure per i casi elencati nel primo
comma dell'articolo (Consiglio di Stato,
Sez. V,
sentenza 27.10.2011 n. 5742 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Sulla regola dell'inderogabilità
del bando da parte della lettera d'invito.
La costituzione della commissione di gara
deve avvenire dopo la scadenza del termine
fissato per la presentazione delle offerte.
Nelle procedure ristrette vale la regola
dell'inderogabilità del bando da parte della
lettera d'invito, correlata sia alla
funzione meramente integrativa della lettera
d'invito rispetto al bando, sia alla
necessità che le prescrizioni rese note alla
generalità degli aspiranti a partecipare
alla gara non possano essere modificate con
un atto rivolto alle sole imprese che
abbiano chiesto di partecipare.
L'applicazione di detta regola comporta che
ove la stazione appaltante riscontri una
illegittimità ovvero intenda modificare le
prescrizioni del bando di gara, non può
procedere ad una sua rettifica mediante la
lettera d'invito, ma è tenuta ad utilizzare
per la modifica lo strumento del
contrarius actus. Parimenti, quando
illegittimità vengano riscontrate nella
lettera d'invito, né l'amministrazione né la
commissione hanno il potere di emendarla
dopo l'apertura delle offerte, avendo la
possibilità di annullare l'intera gara.
Pertanto, nel caso di specie, il
comportamento della stazione appaltante e
della commissione -che prima ha applicato le
regole della lettera d'invito per poi
correggersi applicando i pesi indicati nel
bando- avvalora lo stato di incertezza e la
turbativa al corretto ed uniforme
svolgimento della procedura di selezione e
la violazione dei principi di correttezza,
pubblicità, trasparenza e par condicio tra i
concorrenti di cui agli articoli 2, 64 e 67
del codice dei contratti pubblici (d.lgs. n.
163/2006), applicabili a tutte le procedure
di scelta, sia dell'appaltatore che del
concessionario, anche in base all'espresso
richiamo contenuto nell'art. 30 dello stesso
codice.
---------------
La costituzione della commissione di gara
deve avvenire dopo la scadenza del termine
fissato per la presentazione delle offerte
deve trovare applicazione in concreto,
secondo le circostanze del caso e, quindi,
il suo rispetto va valutato tenendo conto
del termine effettivo di scadenza.
La disposizione dell'art. 84, c. 10, del
d.lgs. n. 163, è infatti espressione di un
principio di ordine generale, rispondente ad
esigenze di imparzialità della procedura di
gara, allo scopo di evitare collusioni tra
commissari e concorrenti, ed è applicabile
ad ogni specie di competizione (Consiglio di
Stato, Sez. V,
sentenza 27.10.2011 n. 5740 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
L'obbligo per le imprese riunite
dell'indicazione della percentuale delle
prestazioni corrispondenti alla quota di
partecipazione al raggruppamento non
consente distinzioni legate alla natura
morfologica del RTI o alla tipologia delle
prestazioni.
La chiarezza del tenore letterale dell'art.
37, co. 13, del D.Lgs n. 163/2006, impone di
considerare vincolanti, per le imprese
riunite, gli obblighi di specificazione
delle parti delle prestazioni che saranno
eseguite da ciascuna di esse e delle quote
di partecipazione.
Tale obbligo è espressione di un principio
generale che prescinde dall'assoggettamento
della gara alla disciplina comunitaria e non
consente distinzioni legate alla natura
morfologica del raggruppamento (verticale o
orizzontale), o alla tipologia delle
prestazioni (principali o secondarie,
scorporabili o unitarie) (Consiglio di
Stato, Sez. V,
sentenza 27.10.2011 n. 5736 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
errata o insufficiente (non importa se
dolosa o colposa) rappresentazione di
circostanze di fatto esposte nella domanda e
relativi allegati di concessione edilizia
posta alla base del rilascio dell’atto della
concessione edilizia che diversamente non
sarebbe stata rilasciata, costituisce da
sola ragione sufficiente per giustificare un
provvedimento di annullamento di ufficio
della concessione medesima, tanto che in
tale situazione si può prescindere dal
contemperamento con un interesse pubblico
attuale e concreto.
In materia di autotutela riferibile ad
immobili abusivi, va richiamato il principio
che ritiene vincolato il potere
dell’Amministrazione al ripristino dello
status quo ante. In una fattispecie
similare, difatti, la giurisprudenza ha
sostenuto che “l’ingiunzione di demolizione
è del tutto legittima atteso che in presenza
di manufatti abusivi non condonati né
sanati, gli interventi ulteriori (sia pure
riconducibili, nella loro oggettività, alle
categorie della manutenzione straordinaria,
del restauro e/o risanamento conservativo,
della ristrutturazione, della realizzazione
di opere costituenti pertinenze
urbanistiche) ripetono le caratteristiche di
illegittimità dell’opera principale, alla
quale ineriscono strutturalmente, sicché non
può ammettersi la prosecuzione dei lavori
abusivi a completamento di opere che, fino
al momento di eventuali sanatorie, devono
ritenersi comunque abusive, con conseguente
obbligo del Comune di ordinarne la
demolizione. Ciò non significa negare in
assoluto la possibilità di intervenire su
immobili rispetto ai quali pende istanza di
condono, ma solo affermare che, a pena di
assoggettamento della medesima sanzione
prevista per l’immobile abusivo cui
ineriscono, ciò deve avvenire nel rispetto
delle procedure di legge.
Da quanto evidenziato in precedenza, appare
corretto il procedimento seguito
dall’Amministrazione comunale che ha posto
alla base dell’atto di annullamento
l’infedele o inesatta dichiarazione –il cui
eventuale carattere doloso non rileva in
questa sede– essendo illegittimo un condono
richiesto in relazione ad interventi
effettuati su un’opera già in origine
(parzialmente) abusiva.
Difatti, “la errata o insufficiente (non
importa se dolosa o colposa)
rappresentazione di circostanze di fatto
esposte nella domanda e relativi allegati di
concessione edilizia posta alla base del
rilascio dell’atto della concessione
edilizia che diversamente non sarebbe stata
rilasciata, costituisce da sola ragione
sufficiente per giustificare un
provvedimento di annullamento di ufficio
della concessione medesima, tanto che in
tale situazione si può prescindere dal
contemperamento con un interesse pubblico
attuale e concreto” (Consiglio di Stato,
IV, 24.12.2008, n. 6554).
Del resto, in materia di autotutela
riferibile ad immobili abusivi, va
richiamato il principio che ritiene
vincolato il potere dell’Amministrazione al
ripristino dello status quo ante.
In una fattispecie similare, difatti, la
giurisprudenza ha sostenuto che “l’ingiunzione
di demolizione è del tutto legittima atteso
che in presenza di manufatti abusivi non
condonati né sanati, gli interventi
ulteriori (sia pure riconducibili, nella
loro oggettività, alle categorie della
manutenzione straordinaria, del restauro e/o
risanamento conservativo, della
ristrutturazione, della realizzazione di
opere costituenti pertinenze urbanistiche)
ripetono le caratteristiche di illegittimità
dell’opera principale, alla quale ineriscono
strutturalmente, sicché non può ammettersi
la prosecuzione dei lavori abusivi a
completamento di opere che, fino al momento
di eventuali sanatorie, devono ritenersi
comunque abusive, con conseguente obbligo
del Comune di ordinarne la demolizione. Ciò
non significa negare in assoluto la
possibilità di intervenire su immobili
rispetto ai quali pende istanza di condono,
ma solo affermare che, a pena di
assoggettamento della medesima sanzione
prevista per l’immobile abusivo cui
ineriscono, ciò deve avvenire nel rispetto
delle procedure di legge” (TAR Campania,
Napoli, VII, 08.04.2011, n. 1999)
(TAR
Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza 27.10.2011 n. 2592 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: L’installazione
di una copertura mobile scorrevole su ruote
a protezione del personale addetto al carico
e scarico degli automezzi non può ritenersi
quale "opera precaria".
La precarietà dell’opera non può essere
desunta soltanto dal non stabile
collegamento al suolo, ma devono essere
considerati anche il suo concreto utilizzo e
la sua funzione. Difatti, secondo
consolidata giurisprudenza, “non sono
manufatti destinati a soddisfare esigenze
meramente temporanee quelli destinati ad
un’utilizzazione perdurante nel tempo, di
talché l’alterazione del territorio non può
essere considerata temporanea, precaria o
irrilevante”, indipendentemente dalla loro
struttura o dal loro posizionamento.
A tal punto va
scrutinato, per la restante parte, il
ricorso R.G. n. 4566 del 2000 (con cui si
chiede l’annullamento dell’autorizzazione
alla ditta Castelnuovo per l’installazione
di una copertura mobile scorrevole su ruote
a protezione del personale addetto al carico
e scarico degli automezzi), con riferimento
alla seconda e terza censura, da esaminare
congiuntamente in quanto connesse.
Con le stesse si sostiene che non sarebbe
condivisibile la ritenuta precarietà
dell’opera in oggetto, attesa la sua
conformazione plano-volumetrica e la sua
effettiva destinazione e ciò avrebbe avuto
un diretto riflesso sul rispetto degli
indici di edificabilità della zona, che
sarebbero stati ampiamente superati con la
predetta realizzazione, e l’Amministrazione,
qualificando l’opera come precaria, avrebbe
omesso la doverosa verifica in ordine a tale
aspetto.
La censura è fondata.
La precarietà dell’opera non può essere
desunta soltanto dal non stabile
collegamento al suolo, ma devono essere
considerati anche il suo concreto utilizzo e
la sua funzione. Difatti, secondo
consolidata giurisprudenza, “non sono
manufatti destinati a soddisfare esigenze
meramente temporanee quelli destinati ad
un’utilizzazione perdurante nel tempo, di
talché l’alterazione del territorio non può
essere considerata temporanea, precaria o
irrilevante”, indipendentemente dalla
loro struttura o dal loro posizionamento
(Consiglio di Stato, VI, 16.02.2011, n.
986).
Nel caso di specie, l’Amministrazione non ha
assolutamente motivato in ordine a tale
aspetto, non essendo chiarito nemmeno se la
copertura mobile scorrevole sia stabilmente
affissa al suolo o meno (all. 5 al ricorso).
Del resto, anche dalla documentazione
fotografica appare possibile verificare
l’imponenza della struttura e la sua non
precarietà (all. 6 e 7 al ricorso).
Ciò determina l’illegittimità
dell’autorizzazione rilasciata alla
controinteressata (TAR
Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza 27.10.2011 n. 2592 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Nessuna
norma impone che la verifica dell'offerta
anomala sia effettuata dalla commissione
giudicatrice, ben potendo essere a ciò
delegato un terzo; la giurisprudenza ha
affermato, al riguardo, che “quanto alla
verifica dell'anomalia, la stessa è
demandata, dall'art. 89, D.P.R. n. 554 del
1999, al responsabile del procedimento, il
quale può condurla avvalendosi dell'ausilio
di organismi tecnici della stazione
appaltante”.
La verifica di anomalia di un'offerta
richiede una motivazione analitica solamente
nei casi in cui l'anomalia non sia
giustificata da elementi congrui e che
quindi si concluda negativamente per gli
interessati; nel caso in cui la valutazione
si esaurisca in un giudizio di congruità,
non è necessario che il provvedimento finale
sia sorretto da una motivazione articolata
che dia conto delle singole giustificazioni
corredandole con apprezzamenti ulteriori,
essendo sufficiente anche una motivazione
espressa per relationem alle
giustificazioni, quando esse siano
perspicue.
Con il secondo motivo è stata denunciata
l’incompetenza del responsabile del
procedimento nell’effettuazione della
verifica di anomalia, atteso che la stessa
avrebbe dovuto essere effettuata dalla
commissione giudicatrice.
Il motivo deve essere respinto, atteso che
nessuna norma applicabile alla fattispecie
de quo imponeva che la detta verifica fosse
effettuata dalla commissione giudicatrice,
ben potendo essere a ciò delegato un terzo;
la giurisprudenza ha affermato, al riguardo,
che “quanto alla verifica dell'anomalia,
la stessa è demandata, dall'art. 89, D.P.R.
n. 554 del 1999, al responsabile del
procedimento, il quale può condurla
avvalendosi dell'ausilio di organismi
tecnici della stazione appaltante”
(Consiglio di Stato, Sez. VI, 22.10.2002, n.
5813).
---------------
Con l’ultimo motivo di ricorso si lamenta la
mancanza di un’adeguata istruttoria e
motivazione del giudizio di congruità
dell’offerta della controinteressata.
Anche tale motivo è infondato, costituendo
principio giurisprudenziale consolidato
quello secondo cui la verifica di anomalia
di un'offerta richiede una motivazione
analitica solamente nei casi in cui
l'anomalia non sia giustificata da elementi
congrui e che quindi si concluda
negativamente per gli interessati; nel caso
in cui la valutazione si esaurisca in un
giudizio di congruità, non è necessario che
il provvedimento finale sia sorretto da una
motivazione articolata che dia conto delle
singole giustificazioni corredandole con
apprezzamenti ulteriori, essendo sufficiente
anche una motivazione espressa per
relationem alle giustificazioni, quando
esse siano perspicue (TAR Liguria, sez. II,
20.04.2011, n. 645)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 27.10.2011 n. 2583 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI: Il
potere sindacale di emanare ordinanze
contingibili ed urgenti, tali da prescindere
anche dalle comunicazioni preventive di
avvio del procedimento ex art. 7 e seguenti
della legge 241/1990, richiede
l’imprescindibile sussistenza di una
situazione di effettivo pericolo di danno
grave ed imminente per l’incolumità pubblica
non fronteggiabile con gli ordinari
strumenti di amministrazione attiva,
debitamente motivati a seguito di adeguata e
approfondita istruttoria.
Il potere sindacale di emanare ordinanze
contingibili ed urgenti, tali da prescindere
anche dalle comunicazioni preventive di
avvio del procedimento ex art. 7 e seguenti
della legge 241/1990, richiede
l’imprescindibile sussistenza di una
situazione di effettivo pericolo di danno
grave ed imminente per l’incolumità pubblica
non fronteggiabile con gli ordinari
strumenti di amministrazione attiva,
debitamente motivati a seguito di adeguata e
approfondita istruttoria (cfr. C.d.S. sez.
5^ n. 868/2010)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 27.10.2011 n. 2579 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Sulla legittimazione delle
associazioni di categoria ad impugnare gli
atti concernenti i singoli associati.
Le associazioni di categoria sono
legittimate a impugnare atti concernenti i
singoli associati solo se ed in quanto gli
stessi concretizzino anche una lesione
dell'interesse collettivo statutariamente
tutelato da dette associazioni in quanto,
diversamente, l'azione si tradurrebbe in una
non consentita sostituzione processuale, con
possibilità di realizzare un contrasto
potenziale tra i vari iscritti (Consiglio di
Stato, Sez. V,
sentenza 26.10.2011 n. 5709 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
All'interno del centro abitato,
il Comune è titolare di funzioni relative
sia alla sicurezza della circolazione, in
quanto titolare del potere di autorizzazione
all’istallazione di impianti pubblicitari
nel rispetto delle prescrizioni del Codice
della Strada, sia all’uso del proprio
territorio, dal momento che l’art. 3 del
D.Lgs. 507/1993 affida all’Ente locale, tra
l’altro, il compito di stabilire
“limitazioni e divieti per particolari forme
pubblicitarie in relazione ad esigenze di
pubblico interesse”.
Pertanto, è legittimo l’art. 27 del
regolamento comunale per l’installazione
degli impianti pubblicitari e piano generale
degli impianti, ove prevede che “è
consentito installare mezzi pubblicitari
luminosi o con display luminoso con grafica
di animazione, unicamente per la
divulgazione di informazioni alla
cittadinanza, a cura esclusivamente
dell’Amministrazione Comunale”.
L’art. 50 comma 4 del D.P.R. 16.12.1992 n.
495, attuativo dell'art. 23 del codice della
strada, dettato in materia di “caratteristiche
dei cartelli e dei mezzi pubblicitari
luminosi”, prevede che “entro i
centri abitati si applicano le disposizioni
previste dai regolamenti comunali”.
A sua volta, il comma 3 del D.Lgs.
15.11.2003 n. 507 prevede che “il
regolamento del comune disciplina le
modalità di effettuazione della pubblicità e
può stabilire limitazioni e divieti per
particolari forme pubblicitarie in relazione
ad esigenze di pubblico interesse”.
L’art. 27 del regolamento comunale per
l’installazione degli impianti pubblicitari
e piano generale degli impianti, prevede a
sua volta che “è consentito installare
mezzi pubblicitari luminosi o con display
luminoso con grafica di animazione,
unicamente per la divulgazione di
informazioni alla cittadinanza, a cura
esclusivamente dell’Amministrazione Comunale”.
L’area de qua rientra nel centro
abitato, dovendo pertanto trovare
applicazione quanto previsto dal citato art.
27, al quale la citata normativa statale
espressamente rinvia.
Il Comune è infatti titolare di funzioni
relative sia alla sicurezza della
circolazione, in quanto titolare del potere
di autorizzazione all’istallazione di
impianti pubblicitari nel rispetto delle
prescrizioni del Codice della Strada, sia
all’uso del proprio territorio, dal momento
che l’art. 3 del D.Lgs. 507/1993 affida
all’Ente locale, tra l’altro, il compito di
stabilire “limitazioni e divieti per
particolari forme pubblicitarie in relazione
ad esigenze di pubblico interesse” (TAR
Lombardia, Brescia, 28.02.2008, n. 174).
In contrario non rileva la giurisprudenza
citata dal ricorrente (TAR Toscana Firenze,
sez. I, 19.06.1998, n. 404), la quale ha
sancito l’illegittimità di un regolamento
comunale che conteneva divieti assoluti
sulla collocazione dei cartelli pubblicitari
e non invece circoscritti, come nel caso di
specie (TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 21.10.2011 n. 2521 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA:
In materia di V.A.S.:
1) In circostanze come
quelle della causa principale, l’art. 6, n.
3, della direttiva del Parlamento europeo e
del Consiglio 27.06.2001, 2001/42/CE,
concernente la valutazione degli effetti di
determinati piani e programmi sull’ambiente,
non impone che sia creata o designata
un’altra autorità consultiva ai sensi di
tale disposizione, purché, in seno
all’autorità normalmente incaricata di
procedere alla consultazione in materia
ambientale e designata a tal fine, sia
organizzata una separazione funzionale in
modo tale che un’entità amministrativa,
interna a tale autorità, disponga di
un’autonomia reale, la quale implichi,
segnatamente, che essa abbia a disposizione
mezzi amministrativi e risorse umane propri,
e sia in tal modo in grado di svolgere i
compiti attribuiti alle autorità consultive
ai sensi di tale art. 6, n. 3, e, in
particolare, di fornire in modo oggettivo il
proprio parere sul piano o programma
previsto dall’autorità dalla quale essa
promana.
2) L’art. 6, n. 2, della direttiva 2001/42
dev’essere interpretato nel senso che esso
non impone che siano fissati in modo preciso
nella normativa nazionale di recepimento di
tale direttiva i termini entro i quali le
autorità designate e il pubblico che ne è o
probabilmente ne verrà toccato, ai sensi dei
nn. 3 e 4 di tale articolo, devono poter
esprimere il proprio parere su una
determinata proposta di piano o di programma
nonché sul rapporto ambientale e, di
conseguenza, il citato n. 2 non osta a che
siffatti termini siano stabiliti di volta in
volta dall’autorità che elabora un piano o
un programma. Tuttavia, in quest’ultimo
caso, tale medesimo n. 2 prescrive che, ai
fini della consultazione di tali autorità e
di tale pubblico su un progetto di piano o
di programma determinato, il termine
effettivamente stabilito sia congruo e
consenta quindi di dare loro un’effettiva
opportunità di esprimere, tempestivamente,
il loro parere su tale proposta di piano o
di programma nonché sul rapporto ambientale
che lo accompagna.
---------------
VAS, consultazione,
piani e programmi: dall'UE mano libera all'autorita'
promotrice.
Secondo la Corte UE, la direttiva sulla VAS
non richiede che la normativa nazionale di
recepimento fissi con precisione i termini
entro i quali le autorità designate e il
pubblico che ne e' (o probabilmente ne
verrà) toccato debbano poter esprimere il
proprio parere su una determinata proposta
di piano o di programma nonché sul rapporto
ambientale. Pertanto, tali termini possono
essere stabiliti di volta in volta
dall'autorità che elabora un piano o un
programma, sempre che quelli effettivamente
stabiliti siano congrui.
Si tratta di uno dei principi affermati con
la
sentenza del 20.10.2011 n. C-474/10,
“Seaport e a.”, in virtù della quale la
Corte di Giustizia UE, rispondendo alla
domanda di pronuncia pregiudiziale proposta
dalla Court of Appeal in Northern Ireland
(Regno Unito) ha interpretato l’art. 6 della
direttiva del Parlamento europeo e del
Consiglio 27.06.2001, 2001/42/CE,
concernente la valutazione degli effetti di
determinati piani e programmi sull’ambiente
(la c.d. “direttiva sulla VAS”).
Tale pronuncia pregiudiziale è sorta nel
contesto di alcune controversie che vedono
il Ministero dell’Ambiente dell’Irlanda del
Nord contrapposto alla Seaport (NI) Ltd,
Magherafelt District Council ed altri,
relativamente alla validità della procedura
di consultazione che è stata condotta per la
preparazione delle proposte dei piani di
sviluppo regionali nell'Irlanda del Nord.
La direttiva 2001/42/CE
sulla VAS.
Nel 2001, dopo molti anni di discussioni e
dibattiti, venne adottata la direttiva sulla
Valutazione Ambientale Strategica
(2001/42/CE), la quale risponde all’esigenza
di “svolgere una valutazione preventiva
degli effetti che possono derivare
all’ambiente non solo da scelte
localizzative puntuali (come avviene per
opere e progetti sottoposti a VIA), ma anche
da scelte strategiche e politiche lato sensu
(ovvero ad atti di pianificazione e
programmazione nonché a veri e propri atti
regolamentari)” [G. Galotto, M.
Mazzoleni, Le valutazioni ambientali: VAS,
VIA e IPPC, IPSOA, pag. 1).
La direttiva 2001/42/CE comporta “[la]
obbligatorietà di una valutazione e
ponderazione delle conseguenze ambientali
che piani e programmi, idonei –per natura e
contenuti– a produrre effetti ambientali,
possono provocare”. Sotto tale profilo,
la VAS di matrice comunitaria ha ad oggetto
tipicamente provvedimenti di natura
pubblica. In particolare, per “piani e
programmi, ai sensi dell’art. 2, lett. a),
della direttiva 2001/42 s’intendono “i piani
e i programmi, compresi quelli cofinanziati
dalla Comunità europea, nonché le loro
modifiche: – che sono elaborati e/o adottati
da un’autorità a livello nazionale,
regionale o locale oppure predisposti da
un’autorità per essere approvati, mediante
una procedura legislativa, dal parlamento o
dal governo e – che sono previsti da
disposizioni legislative, regolamentari o
amministrative”.
L'obiettivo principale della VAS è, dunque,
quello di valutare gli effetti ambientali
dei piani o dei programmi innanzitutto “ex-ante”,
cioè prima che vengano approvati, ma anche “in
itinere” ed “ex-post”, cioè
durante ed alla conclusione del loro periodo
di validità. Nel disegno delineato dalla
direttiva 2001/42/CE un ruolo fondamentale è
assegnato alla redazione di un “rapporto
ambientale” (art. 2, lettera c) che deve
essere elaborato in vista dell’approvazione
o del piano/programma, e poi trasmesso
–unitamente ad una sua sintesi non tecnica,
e naturalmente, alla proposta di piano o
programma sottoposto a VAS– alle autorità
designate dai singoli Stati membri in quanto
interessate agli effetti sull’ambiente
derivanti dall’applicazione del
piano/programma.
Sintetizzando la procedura prevista dalla
direttiva 2001/42/CE si articola nelle
seguenti fasi: la verifica che un
piano/programma siano soggetti alla VAS (screening),
la definizione dell'ambito delle indagini
richieste per la valutazione (scoping),
la valutazione degli effetti ambientali
significativi probabili, espressi anche a
mezzo di indicatori ambientali,
l’informazione e la consultazione del
pubblico e dei vari attori del processo
decisionale, anche sulla base di tutte le
valutazioni ambientali svolte, la decisione,
che va pur’essa resa pubblica, dando conto
di come e in che misura siano stati tenuti
in considerazione il rapporto ambientale, i
pareri ottenuti e l’esito delle
consultazioni, il monitoraggio degli effetti
ambientali del piano/programma.
Come è noto, la direttiva 2001/42/CE è stata
recepita nel nostro ordinamento dal D.Lgs.
n. 152/2006. Per maggiori approfondimenti
sulla VAS, è possibile consultare l’apposita
sezione del sito istituzionale della
Commissione europea, o quella analoga del
sito del Ministero dell’Ambiente.
Il fatto.
All’epoca dei fatti della causa principale,
il Department of the Environment
–l’equivalente irlandese del nostro
Ministero dell’Ambiente- comprendeva quattro
Agenzie esecutive, ciascuna delle quali era
soggetta al suo controllo, non aveva una
propria personalità giuridica distinta ed
era competente ad esercitare alcuni dei
poteri regolamentari e funzioni conferiti
per legge a tale Department.
Tali agenzie erano: il Planning Service
(servizio di pianificazione), l’Environment
and Heritage Service [servizio
dell’ambiente e del patrimonio culturale; in
prosieguo: l’«EHS», attualmente denominato
Northern Ireland Environnement Agency (NIEA)],
la Driver and Vehicle Testing Agency
(agenzia di controllo di conducenti e
veicoli) e la Driver and Vehicle
Licensing Northern Ireland (agenzia
competente per il rilascio di patenti di
guida e immatricolazione dei veicoli
nell’Irlanda del Nord).
In particolare, il Planning Service
esercitava le funzioni relative
all’elaborazione dei piani di sviluppo
regionali e alle decisioni in merito alle
singole domande per il rilascio di permessi
di pianificazione mentre l’EHS esercitava la
maggior parte dei poteri conferiti al
Department, riguardanti la regolamentazione
dell’ambiente, esclusa la pianificazione.
Il Planning Service ha avviato,
conformemente alle procedure nazionali
all’epoca in vigore, l’elaborazione dei
progetti di piani di sviluppo regionali
denominati “Northern Area Plan 2016”
e “Magherafelt Area Plan 2015”,
elaborazione che ha avuto luogo
anteriormente alla data entro la quale gli
Stati membri avrebbero dovuto recepire la
direttiva 2001/42.
Entrambe le proposte di piano, però, sono
state pubblicate dopo tale data (e cioè, il
progetto relativo al Magherafelt Area
Plan 2015 nel 2004, mentre quello
relativo al Northern Area Plan 2016
nel 2005).
Per chi volesse approfondire, questo è il
link al sito istituzionale governativo dove
vengono pubblicate tutte le novità nonché la
documentazione relativa a tali piani di
sviluppo. Nel novembre 2005 la Seaport ha
proposto un ricorso dinanzi alla High
Court of Justice in Northern Ireland,
Queen’s Bench Division (Regno Unito),
per contestare la validità delle azioni del
Department of the Environment con
riferimento alla pubblicazione da parte di
quest’ultimo del progetto riguardante il
Northern Area Plan 2016: in buona
sostanza, sosteneva che la direttiva 2001/42
non era stata adeguatamente recepita nel
diritto nazionale e che la valutazione e il
rapporto ambientali effettuati dal
Department of the Environment non erano
conformi alle prescrizioni di tale
direttiva.
Successivamente anche altri, con motivazioni
analoghe, hanno presentato un’istanza,
dinanzi allo stesso giudice, volta a
contestare la pubblicazione del progetto
relativo al Magherafelt Area Plan 2015,
la realizzazione della valutazione
ambientale e il contenuto del rapporto
ambientale.
La Seaport, però, rinunciava all’azione e la
domanda di pronuncia pregiudiziale che era
stata presentata dalla High Court of
Justice in Northern Ireland, Queen’s Bench
Division, è stata annullata con
ordinanza di quest’ultimo giudice 23.04.2010
(di modo che, con ordinanza del presidente
della Prima Sezione della Corte 03.06.2010,
Seaport/Department of the Environment for
Northern Ireland, la causa C-182/09 è
stata cancellata dal ruolo della Corte).
Con una sentenza del 07.09.2007, veniva
decisa la causa instaurata innanzi alla
High Court: quest’ultima constatava sia
che le prescrizioni di cui all’art. 6, nn. 2
e 3, della direttiva 2001/42 non erano state
correttamente trasposte dagli artt. 4 e 12
del regolamento del 2004, sia che l’art. 12
non aveva trasposto adeguatamente neanche le
disposizioni dell’art. 6, n. 2, di tale
direttiva, non avendo stabilito un termine
specifico entro il quale dovesse aver luogo
la consultazione.
Il 06.11.2007, il Department of the
Environment, alla luce della sentenza
della High Court, riesaminava la sua
decisione di effettuare una valutazione
ambientale della proposta di piano
relativamente alle condizioni previste dalla
direttiva 2001/42 e dal regolamento del 2004
e, con una nuova decisione, dichiarava “che
non era possibile effettuare una valutazione
ambientale della proposta di piano per la
regione Nord 2016 che sia in conformità con
la direttiva [2001/42] e [con il regolamento
del 2004], e informa con la presente il
pubblico della sua decisione a tale
proposito, conformemente all’art. 6, n. 2,
[del regolamento del 2004]”.
Con decisione del 13.11.2007, la High
Court of Justice in Northern Ireland si
è pronunciata sulle misure da adottare per
porre rimedio alle carenze constatate nella
sua sentenza del 07.09.2007.
Come anticipato, la questione è finita
dinanzi alla Court of Appeal in Northern
Ireland –il nostro giudice a quo- alla
quale ha proposto appello il Department
of the Environment avverso le
conclusioni della High Court of Justice
in Northern Ireland secondo le quali il
regolamento del 2004 non aveva adeguatamente
recepito le prescrizioni dell’art. 6, nn. 2
e 3, della direttiva 2001/42.
Il giudice del rinvio, con decisione
08.09.2008 ha sottoposto alla Corte
questioni pregiudiziali identiche a quelle
della presente causa: con ordinanza
20.05.2009, causa C-454/08, Seaport
Investments, tale domanda “è stata
dichiarata manifestamente irricevibile, in
quanto, segnatamente, la decisione di rinvio
non conteneva nessun argomento che
esplicitava il quadro regolamentare e
fattuale della controversia nella causa
principale e non esponeva in modo
sufficientemente chiaro e preciso le ragioni
che avevano condotto tale giudice ad
interpellare la Corte sull’interpretazione
degli artt. 3, 5 e 6 della direttiva 2001/42.”
Le questioni pregiudiziali Alla luce di
quanto precede la Court of Appeal in
Northern Ireland ha nuovamente deciso di
sospendere il giudizio e di sottoporre alla
Corte tre questioni pregiudiziali.
Con le prime due questioni –esaminate dalla
Corte UE congiuntamente– il giudice del
rinvio chiedeva in sostanza se, in
circostanze come quelle della causa
principale, laddove l’autorità che è stata
designata quale organo consultivo ai sensi
dell’art. 6, n. 3, della direttiva 2001/42 è
essa stessa incaricata dell’elaborazione di
un piano ai sensi di quest’ultima, la citata
disposizione debba essere interpretata nel
senso che essa impone che sia designata
un’altra autorità che deve, segnatamente,
essere consultata nell’ambito
dell’elaborazione del rapporto sugli effetti
ambientali nonché dell’adozione di tale
piano.
Con la sua terza questione, invece, il
giudice del rinvio chiedeva se l’art. 6, n.
2, della direttiva 2001/42 debba essere
interpretato nel senso che esso prevede che
siano fissati in modo preciso nella
normativa nazionale di recepimento di tale
direttiva i «termini congrui» entro i
quali le autorità designate e il pubblico,
che ne sono o probabilmente ne verranno
toccati, ai sensi dei nn. 3 e 4 di tale
articolo, devono poter esprimere il proprio
parere su una proposta di piano o di
programma nonché sul rapporto ambientale che
la accompagna.
La decisione della Corte.
La Quarta Sezione della Corte Ue, con la
sentenza del 20.10.2011 n. C-474/10,
“Seaport e a.” ha, in primo luogo,
dichiarato che in circostanze come quelle
della causa principale, l’art. 6, n. 3,
della direttiva 2001/42/CE sulla VAS non
impone che sia creata o designata un’altra
autorità consultiva ai sensi di tale
disposizione, purché, in seno all’autorità
normalmente incaricata di procedere alla
consultazione in materia ambientale e
designata a tal fine, sia organizzata
un’apposita separazione funzionale.
In pratica –spiegano nel dettaglio gli
eurogiudici– la separazione delle funzioni
da realizzare all’interno dell’autorità
designata deve prevedere che un’entità
amministrativa, interna a tale autorità,
disponga di un’autonomia reale, la quale
implichi, segnatamente, che essa abbia a
disposizione mezzi amministrativi e risorse
umane propri, in modo tale da poter svolgere
i compiti attribuiti alle autorità
consultive ai sensi di tale art. 6, n. 3
della direttiva 2001/42/CE, e, in
particolare, di poter fornire in modo
oggettivo il proprio parere sul piano o
programma previsto dall’autorità dalla quale
essa promana.
In secondo luogo, sempre secondo i giudici
della Quarta Sezione, l’art. 6, n. 2, della
direttiva 2001/42 non impone che siano
fissati in modo preciso nella normativa
nazionale di recepimento di tale direttiva i
termini entro i quali le autorità designate
e il pubblico che ne è o probabilmente ne
verrà toccato, ai sensi dei nn. 3 e 4 di
tale articolo, devono poter esprimere il
proprio parere su una determinata proposta
di piano o di programma nonché sul rapporto
ambientale.
Di conseguenza, il citato n. 2 non osta a
che siffatti termini siano stabiliti di
volta in volta dall’autorità che elabora un
piano o un programma.
Tuttavia, in quest’ultimo caso –sottolinea
la Corte UE– tale n. 2 prescrive che, ai
fini della consultazione di tali autorità e
di tale pubblico su un progetto di piano o
di programma determinato, il termine
effettivamente stabilito sia congruo e
consenta quindi di dare loro un’effettiva
opportunità di esprimere, tempestivamente,
il loro parere su tale proposta di piano o
di programma nonché sul rapporto ambientale
che lo accompagna.
In conclusione, la sentenza della Corte Ue
ci sembra in linea con quanto indicato sul
tema dalle Linee Guida elaborate dalla
Commissione nel 2003 (Commission’s
Guidance on the implementation of directive
2001/42/EC on the assessment of the effects
of certain plans and programmes on the
environment), in ordine alle quali si
rimanda a M. Mazzoleni, “L’attuazione
della direttiva sulla Valutazione Ambientale
Strategica: un’occasione persa?”, in
Ambiente & Sviluppo n. 7/2006.
Ulteriormente, si veda la pubblicazione
della Commissione europea, Attuazione della
direttiva 2001/42/CE concernente la
valutazione degli effetti di determinati
piani e programmi sull’ambiente, 2003, resa
disponibile in formato PDF sulle pagine del
sito web del Progetto ENPLAN (Evaluation
environnementale des plans et programmes)
(commento tratto da www.ipsoa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Manufatti precari – Presupposti –
Destinazione funzionale e interesse finale.
Al fine di verificare se una determinata
opera abbia o meno carattere precario,
occorre verificare la destinazione
funzionale e l’interesse finale al cui
soddisfacimento l’opera stessa è destinata;
con la conseguenza che solo le opere
agevolmente rimuovibili e funzionali al
soddisfacimento di una esigenza
oggettivamente temporanea -destinate, cioè,
ad essere rimosse dopo il tempo entro cui si
realizza l’interesse finale (come, ad es.,
una baracca di cantiere o un manufatto per
una manifestazione)- possono ritenersi prive
di minima entità ovvero di carattere
precario ed, in quanto tali, non richiedono
per la loro edificazione la necessità di uno
specifico titolo edilizio (TAR Sardegna,
sez. II, 12.02.2010, n. 158, vd. anche TAR
Campania Napoli, sez. VIII, 09.06.2011, n.
3029, TAR Toscana, sez. III, 14.09.2010, n.
5943, TAR Piemonte, sez. I, 07.07.2009, n.
2007, Cass. Civ., sez. II, 19.10.2009, n.
22127) (TAR Abruzzo-Pescara, Sez. I,
sentenza 18.10.2011 n. 562 - link
a www.ambientediritto.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Illegittimità di un’ordinanza
sindacale contingibile ed urgente per
ragioni di asserita tutela della pubblica e
privata incolumità, correlata alla sicurezza
della circolazione stradale.
Deve ritenersi illegittima una ordinanza
contingibile ed urgente, ex artt. 50 e 54
D.Lgs. n. 267 del 2000 (T.U.E.L.), con la
quale il Sindaco, per ragioni di asserita
tutela della pubblica e privata incolumità,
correlata alla sicurezza della circolazione
stradale, ha ordinato, ad un privato, in
ragione della relativa inclinazione verso la
carreggiata stradale e della collocazione in
curva di alcune delle stesse, l’immediato
abbattimento di numerose querce centenarie
(nella specie, si trattava di circa 70
querce centenarie), ubicate su una piccola
strada interpoderale, interessata da
traffico veicolare scarso e puramente
locale, nel caso in cui soltanto alcune di
tali querce siano idonee a determinare una
situazione di potenziale pericolo per gli
utenti della medesima strada; in tal caso,
infatti, da un lato, la situazione di
asserito pericolo per la pubblica incolumità
attiene esclusivamente ad un numero di
querce ben inferiore rispetto a quello
oggetto dell’ordine di abbattimento, e,
dall’altro, difetta il requisito
dell’imminenza ed imprevedibilità del
pericolo, trattandosi di querce centenarie,
e, pertanto, esistenti da lunghissimo tempo
(massima tratta da www.regione.piemonte.it -
TAR Lazio-Roma, Sez. II-ter,
sentenza 17.10.2011 n.
7991 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
potere di rilascio dell'autorizzazione
paesaggistica non può essere esercitato
tenendo conto solo della documentazione
progettuale acquisita, ma deve essere
accompagnato da una idonea motivazione dalla
quale risulti che l'autorità sia del tutto
consapevole delle peculiarità dell'area e
dell'incidenza che su di essa determinerebbe
la realizzazione delle opere previste. Non
è, quindi sufficiente il mero riferimento
alla relazione del progettista occorrendo
che l’Autorità di tutela del vincolo esterni
le specifiche valutazioni in ordine alla
condivisibilità delle affermazioni contenute
nell'elaborato tecnico.
Secondo il costante orientamento del giudice
amministrativo, infatti, il potere di
rilascio dell'autorizzazione paesaggistica
non può essere esercitato tenendo conto solo
della documentazione progettuale acquisita,
ma deve essere accompagnato da una idonea
motivazione dalla quale risulti che
l'autorità sia del tutto consapevole delle
peculiarità dell'area e dell'incidenza che
su di essa determinerebbe la realizzazione
delle opere previste. Non è, quindi
sufficiente il mero riferimento alla
relazione del progettista occorrendo che
l’Autorità di tutela del vincolo esterni le
specifiche valutazioni in ordine alla
condivisibilità delle affermazioni contenute
nell'elaborato tecnico (Cons. Stato, VI,
23/02/2011 n. 1141)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. III,
sentenza 13.10.2011 n. 2428 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
CONSIGLIERI COMUNALI:
Peculato/ Sindaco senza i
giustificativi della carta di credito? Non
e' reato.
Non risponde di peculato
continuato il Sindaco che non produce la
documentazione giustificativa dell'utilizzo
della carta di credito.
La Corte statuisce che non e' la mancata
giustificazione tempestiva delle spese a
costituire reato, in quanto in tal modo si
introdurrebbe un elemento estraneo alla
fattispecie penale previsto da norme
amministrative, confondendo il reato con la
prova del medesimo. La Suprema Corte annulla
con rinvio la sentenza della Corte di
Appello di Salerno che confermava la
condanna del Sindaco per aver indebitamente
utilizzato la carta di credito intestata al
Comune, datagli in uso per spese connesse
allo svolgimento di funzioni istituzionali.
La Corte di Appello di Salerno confermava la
sentenza di condanna emessa dal Giudice per
l'Udienza Preliminare presso il Tribunale di
Nocera Inferiore, che riteneva responsabile
il Sindaco del Comune di Pagani del delitto
di peculato continuato, con specifico
riferimento ad alcuni pagamenti effettuati
da costui con carta di credito intestata al
Comune, concessagli in uso per spese
inerenti allo svolgimento di funzioni
istituzionali.
Avverso tale pronuncia proponeva ricorso
l'imputato, deducendo, a mezzo dei suoi
difensori, la violazione dei principi di
tassatività, legalità e determinatezza della
norma incriminatrice.
Deduceva in particolare il ricorrente, che
la Corte di Appello, subordinando la
consumazione del reato all'allegazione della
documentazione giustificativa delle ragioni
della spesa contestata, introduceva, di tal
fatta, una integrazione della norma penale
attraverso il rinvio a norme costituzionali
richiamate in sentenza e attinenti alla
gestione e al controllo della spesa
pubblica, inficiando l'elemento materiale
del reato.
A tal riguardo, la prevalente dottrina,
ritiene conforme al principio di tassatività
il ricorso a elementi normativi giuridici,
in virtù del richiamo ad una norma
individuabile senza alcuna esitazione.
Invero, correlare la norma penale alla norma
extrapenale contabile comporterebbe la
creazione, al di fuori dei dettami del
legislatore, di una norma che esulerebbe
dalla ratio legis, frustrando la
determinatezza della fattispecie.
In particolare, ancorando il momento
consumativo del reato alla mancata
tempestiva produzione di giustificazione
degli esborsi, verrebbe meno la consumazione
del reato nel momento in cui si verifica
l'interversione del possesso.
Ciò rilevato, colui che mutando il possesso
della cosa altrui, compie atti incompatibili
con il titolo per cui si possiede compie una
azione che si colloca in un momento
precedente a quello in cui si fornisce la
documentazione giustificativa delle ragioni
della spesa.
Il ricorrente offriva inoltre altri motivi
di impugnazione al vaglio della Suprema
Corte, specificando di essersi attenuto alla
prassi di liquidazione in uso e consistente
nel controllo della coincidenza tra spese
segnalate e documentazione fornita dal
medesimo, escludendo quindi una condotta
dolosa.
Riteneva inoltre non correttamente motivato
il giudizio di disvalore operato dalla Corte
di Appello sulla correlazione a finalità
istituzionali di 25 su 39 spese sostenute.
Lamentava inoltre la violazione dell'art.
191 c.p.p. per mancata ammissione della
documentazione prodotta.
In ultimo si deduceva la violazione da parte
del Giudice Penale di prassi amministrative
laddove si nega la finalità istituzionale
delle somme dovute per esborsi, riconosciuta
dagli organi preposti ai controlli.
La Corte, in riforma ai precedenti
orientamenti in materia, propone una
valutazione del fatto che si distanzia
nettamente dal criterio della occasionalità,
in base alla quale le ragioni di servizio o
di ufficio venivano riscontrate anche nel
caso in cui il soggetto agente possedesse il
danaro soltanto in occasione dello
svolgimento delle sue funzioni.
Un orientamento diverso si propone nel
panorama giurisprudenziale, basato su una
disamina degli elementi normativi integranti
la fattispecie di reato ricorrendo alla
carta costituzionale.
A ben vedere il rinvio agli artt. 3, 81, 97,
100, 103 Cost. non modifica la fattispecie
penale definita nell'art. 314 c.p., ma la
integra enunciando i principi fondamentali
sui quali si fonda la gestione della cosa
pubblica.
Il criterio quindi in base al quale
stabilire la violazione della norma penale
incriminatrice in questa peculiare ipotesi
di peculato, non è la tardiva
rendicontazione delle spese effettuate,
bensì il collegamento di tali esborsi a
finalità pubbliche.
Sul collegamento a queste finalità pubbliche
la Corte di Appello di Salerno avrebbe
dovuto esprimersi, e con ciò vagliare le
giustificazioni presentate, vaglio al quale
si è sottratta pronunciando un giudizio di
irrilevanza delle documentazioni offerte
dall'imputato e attestandosi sulla mancanza
di tempestività nel fornire la
documentazione predetta.
L'esborso, pertanto, senza alcun
collocamento contabile, diviene irrilevante,
senza la conoscenza della finalità che lo ha
determinato.
Interessante è la conclusione a cui perviene
la Corte, quando osserva come non sia la
produzione tempestiva della giustificazione
della spesa ma la realizzazione di una
finalità pubblica a legittimare la condotta
dell'agente, ciò in ossequio alle funzioni
istituzionali di cui, tra le altre, alla
delibera dell'amministrazione comunale n.
196 del 2000.
Nota la Corte che operando un inversione nel
ragionamento, ponendo in relazione
l'interversione del possesso alla coevità
della giustificazione degli esborsi,
paradossalmente si renderebbe lecito un
comportamento criminoso e lecito un
comportamento dovuto soltanto a
trascuratezza e/o dimenticanza.
Tale schema interpretativo condurrebbe alla
confusione tra il momento consumativo del
reato e i comportamenti successivi allo
stesso ossia tardiva o falsa o erronea
giustificazione, utili invece al fine di
reperire tracce del reato eventualmente
commesso.
Con specifico riguardo a questioni puramente
processuali, la Corte nota come il giudice
di secondo grado avrebbe potuto acquisire la
documentazione di cui la difesa aveva
chiesto l'ammissione, senza un'apposita
ordinanza che disponesse la rinnovazione
parziale del dibattimento, visto che era
stato richiesto il rito abbreviato.
Viene inoltre censurata la carenza di
motivazione in relazione all'omesso esame
del rendiconto e all'omessa elencazione
delle ragioni che hanno condotto a
attribuire il fine pubblico o il fine
personale ad alcuni esborsi.
In estrema sintesi, la Corte statuisce che
non è la mancata giustificazione tempestiva
a costituire reato, in quanto in tal modo si
introdurrebbe un elemento estraneo alla
fattispecie penale previsto da norme
amministrative, confondendo il reato con la
prova del medesimo (commento tratto da
www.ipsoa.it - Corte di Cassazione penale,
sentenza 11.10.2011 n. 36718 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Ristrutturazione.
La ristrutturazione implica la necessità che
la costruzione dell'edificio demolito venga
riposizionata nella medesima area di sedime
originaria, imponendosi una interpretazione
rigida del significato del termine in quanto
la disciplina della ristrutturazione
costituisce deroga al principio generale
della necessità di apposito permesso di
costruire nei casi di trasformazione
urbanistica ed edilizia del territorio
(fattispecie in cui una diversa quota
dell'immobile rispetto all'originario
assetto ha comportato una trasformazione
edilizia del territorio non certamente
circoscritta ad interventi di minima entità)
(Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 10.10.2011 n. 36528 -
tratto da www.lexambiente.it). |
URBANISTICA:
Senza opere di urbanizzazione
piano di lottizzazione d'ufficio.
La formazione d'ufficio
del piano di lottizzazione e' sempre
legittima nel caso in cui i proprietari
delle aree non abbiano realizzato le opere
di urbanizzazione ovvero non abbiano
accettato di stipulare la convenzione. In
tali ipotesi, il piano di lottizzazione
d'ufficio e' preordinato a rimuovere gli
ostacoli e le limitazioni alla realizzazione
delle previsioni del PRG. In linea generale
la formazione d'ufficio del piano di
lottizzazione, ai sensi del penultimo comma
dell'art. 28, L. n. 1150 del 1942, è sempre
legittima nel caso in cui i proprietari
delle aree non abbiano realizzato le opere
di urbanizzazione ovvero non abbiano
accettato di stipulare la convenzione.
In tali ipotesi, il piano di lottizzazione
d'ufficio è, infatti, preordinato a
rimuovere gli ostacoli e le limitazioni alla
realizzazione delle previsioni del PRG che
nascono dall'inerzia o dall'opposizione dei
proprietari delle aree interessate, i quali,
impedendo di attuare le previsioni
urbanistiche del comparto, finiscono per dar
luogo, di fatto, ad una sorta di arbitrario
vincolo d'inedificabilità con durata
indeterminata.
Per questo la lottizzazione d'ufficio ha
pari dignità, partecipa della medesima
natura e produce gli stessi effetti, tra i
quali anche quello di conferire valore di
pubblica utilità alle opere di
urbanizzazione in esso previste, del piano
particolareggiato ad iniziativa privata.
Tale facoltà d'iniziativa di ufficio
costituisce, dunque, l'esplicazione di un
potere ampiamente discrezionale del Comune
relativamente all'an, al quid ed al quomodo.
Nel caso in esame, ricorrendo la necessità
di procedere al completamento delle
infrastrutture necessarie, la decisione del
Comune di procedere a lottizzazione
d'ufficio per l'urbanizzazione dell'area
appare del tutto legittima in presenza
dell'ostruzione di alcuni proprietari alla
lottizzazione convenzionale.
La circostanza che per una determinata zona
di espansione lo strumento urbanistico non
subordini necessariamente l'edificazione
alla preventiva approvazione di un piano di
lottizzazione, non preclude l'esercizio di
un potere di valutazione da parte della PA
in relazione agli interventi complessivi da
realizzare.
Il Comune ha il potere-dovere di verificare
se le costruzioni edificande siano
assentibili con concessioni singole ovvero
se, al contrario, lo sviluppo della
previsione urbanistica non necessiti della
predisposizione di un piano di
lottizzazione, al fine di raccordare i nuovi
fabbricati col preesistente aggregato
abitativo e di completare le urbanizzazioni.
Infatti, anche quando possono essere imposte
opere di urbanizzazione all'atto del
rilascio del singolo provvedimento
permissivo, la diversità dei presupposti di
fatto e delle differenti esigenze che
sorreggono, da un lato, la concessione
singola e, dall'altro, la lottizzazione,
comportano che l'amministrazione possa, e
debba, sempre valutare i riflessi
discendenti dall'aumento insediativo sui
servizi essenziali viari, elettrici,
igienici, idrici e fognari.
Il Comune può, dunque, sempre giudicare
necessario il piano di lottizzazione per
l'edificazione quando ritenga che, essendo
la zona priva di sufficienti infrastrutture,
non possa farsi luogo a singola concessione
edilizia.
In tale scia, la disposizione dell'art. 19
NTA del PRG del Comune de quo deve essere
interpretata in maniera coerente con il
predetto quadro legislativo generale.
Pertanto, non possono essere condivise le
affermazioni per cui nella zona in
questione, ai sensi dell'art. 19, si sarebbe
potuto procedere solo con concessione
diretta e che tale previsione non avrebbe
potuto estendersi alla lottizzazione
d'ufficio, alla quale può accedersi solo se
non è configurabile alcun altro modo per
addivenire all'edificazione dell'area.
La prescrizione relativa alla concessione
singola deve essere coordinata non solo con
l'eccezione di cui citato art. 19 ma
sopratutto con la disposizione generale di
cui all'art. 28, L. n. 1150 del 1942, della
quale costituisce un corollario
specificativo e non derogatorio.
L'art. 19, proprio con riferimento all'area
oggetto del piano, riserva dunque al Comune
la possibilità di rilasciare concessioni
edilizie, ma tale affermazione non esclude
affatto la possibilità di procedere, anche
in via autoritativa, alla lottizzazione
convenzionata o d'ufficio.
La relativa valutazione, prima dell'adozione
dell'uno o dell'altro provvedimento, deve
intervenire con riferimento alla situazione
di fatto preesistente e tenuto conto della
distinta finalità ed ambiti che si intendono
perseguire con la concessione singola e con
lo strumento attuativo (commento tratto da
www.ispoa.it - Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 10.10.2011
n. 5501 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: E'
illegittimo il provvedimento di diniego di
assenso alle istanze in materia edilizia che
non sia stato preceduto dall'invio della
comunicazione di cui all'art. 10-bis, l. n.
241 del 1990, così precludendo al soggetto
interessato la piena partecipazione al
procedimento e dunque la possibilità di un
apporto collaborativo, capace di condurre ad
una diversa conclusione della vicenda.
Il diniego della richiesta sanatoria
edilizia deve essere preceduto dal preavviso
di diniego di cui all'art. 10-bis l. n. 241
del 1990; in mancanza, tale vizio ha
carattere assorbente, avendo precluso lo
sviluppo dell'indispensabile contraddittorio
in sede procedimentale, sede nella quale
dovevano e potevano essere istruite,
approfondite e dibattute -prima che la
vertenza approdasse in sede giudiziaria- le
questioni prospettate nel presente giudizio.
Secondo il costante orientamento della
giurisprudenza amministrativa, infatti, è
illegittimo il provvedimento di diniego di
assenso alle istanze in materia edilizia che
non sia stato preceduto dall'invio della
comunicazione di cui all'art. 10 bis, l. n.
241 del 1990, così precludendo al soggetto
interessato la piena partecipazione al
procedimento e dunque la possibilità di un
apporto collaborativo, capace di condurre ad
una diversa conclusione della vicenda.
Il diniego della richiesta sanatoria
edilizia deve essere preceduto dal preavviso
di diniego di cui all'art. 10-bis l. n. 241
del 1990; in mancanza, tale vizio ha
carattere assorbente, avendo precluso lo
sviluppo dell'indispensabile contraddittorio
in sede procedimentale, sede nella quale
dovevano e potevano essere istruite,
approfondite e dibattute -prima che la
vertenza approdasse in sede giudiziaria- le
questioni prospettate nel presente giudizio
(cfr. TAR Lombardia, sez. II, 28.02.2007, n.
370)
(TAR Lombardia, Sez. IV,
sentenza 10.10.2011 n. 2413 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: In
materia urbanistico-edilizia il presupposto
per l'esistenza di un volume edilizio è
costituito dalla costruzione di almeno un
piano di base e due superfici verticali
contigue, presupposto carente in una tettoia
aperta sui lati, soprattutto se adibita
all’esercizio dell’attività agricola o di
allevamento di pollame.
Da un consistente orientamento
giurisprudenziale risulta, infatti, che in
materia urbanistico-edilizia il presupposto
per l'esistenza di un volume edilizio sia
costituito dalla costruzione di almeno un
piano di base e due superfici verticali
contigue, presupposto carente in una tettoia
aperta sui lati, soprattutto se adibita
all’esercizio dell’attività agricola o di
allevamento di pollame
(TAR Lombardia, Sez. IV,
sentenza 10.10.2011 n. 2413 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Gare d'appalto: esclusione e
criterio formalistico.
In ordine al delicato
problema dell’interpretazione delle clausole
del bando di gara la giurisprudenza
stabilisce ancora una volta l’illegittimità
dell’esclusione quando questa sia dovuta ad
un formalismo esasperato.
La
sentenza 07.10.2011 n. 7785 del
TAR Lazio-Roma, Sez. III-ter, riferendosi al
nuovo articolo 46 comma 1-bis del D.Lgs. n.
163/2006 richiama infatti il principio della
tassatività delle clausole di esclusione e
la ratio sottesa alla norma
introdotta dal D.L. 70/2011 (c.d. decreto
sviluppo).
Nel caso trattato dai giudici romani,
attinente ad una gara per l’affidamento del
servizio di manutenzione di alcuni impianti
elevatori suddiviso per lotti, il bando di
gara prevedeva la dimostrazione del
requisito tecnico–professionale in modo
generico ovvero, attraverso la dimostrazione
di aver già compiuto tale servizio in “due
città”.
La stazione appaltante aveva proceduto
all’esclusione della ricorrente in quanto
per uno dei lotti aveva dimostrato
esclusivamente di aver svolto il servizio,
seppur in termine quantitativi notevolmente
superiori rispetto a quanto richiesto dalla
lex specialis, per la sola città di
Roma.
Il seggio di gara, nel provvedere
l’esclusione aveva tuttavia omesso di
considerare che “… per “città” si intende
comunemente un centro abitato piuttosto
esteso, con sviluppo edilizio organizzato,
che sul piano amministrativo, economico,
politico e culturale rappresenta il punto di
riferimento del territorio circostante; il
termine “comune” ha, invece, una
connotazione prettamente tecnica, e
rappresenta la più piccola suddivisione
territoriale amministrativa dello Stato.
Tanto precisato, non vi è dubbio che non
sussista una piena e sicura sovrapposizione
tra i due termini, come invece il seggio di
gara ha ritenuto di fare, con una operazione
che ha condotto all’aberrante conseguenza di
espellere dalla gara una concorrente in
possesso del requisito di capacità tecnica
in misura di gran lunga superiore rispetto
ai limiti minimi indicati nel bando, come,
peraltro, successivamente ammesso dalla
stessa stazione appaltante.
Ed invero, un comune, in senso tecnico, può
non essere una città nella accezione di cui
sopra, e, viceversa una città, ancorché
giuridicamente non possa essere qualificata
quale ente locale territoriale, può avere
una estensione ben più consistente del primo.”
I giudici amministrativi si premurano dunque
di censurare quelle clausole che contrastano
con uno dei principi fondamentali delle
procedure ad evidenza pubblica, il favor
partecipationis.
Il potere discrezionale dell’amministrazione
aggiudicatrice di stabilire determinati
requisiti per la partecipazione alle gare
pubbliche trova infatti un limite nella
funzione delle singole clausole del bando.
Tale funzione consiste “...nel delineare,
attraverso l'individuazione di specifici
elementi indicati della capacità economica,
finanziaria e tecnica, il profilo delle
imprese che si presumono idonee a realizzare
il programma contrattuale perseguito
dall'Amministrazione ed a proseguire nel
tempo l'attività espletata in modo adeguato.”
La stazione appaltante ha quindi il dovere
di valutare i reali requisiti tecnici
forniti in gara dal concorrente e
connetterli con il principio della più ampia
partecipazione degli operatori economici
alla procedura.
Si deve comunque considerare che a seguito
delle continue evoluzioni legislative il
compito delle amministrazioni aggiudicatrici
si dimostra spesso assai arduo ed al fine di
non incorrere in evidenti errori
procedimentali è necessaria una
interpretazione normativa attenta e
diligente (commento tratto da
www.professioni-imprese24.ilsole24ore.com -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
LAVORI PUBBLICI:
Lavori per l'alta velocità e
ritrovamenti archeologici. Appalto revocato?
Per licenziare occorre la prova.
La sentenza si occupa del
licenziamento di alcuni lavoratori di
un'impresa appaltatrice di lavori pubblici
per la costruzione dell'alta velocità sulla
linea ferroviaria Roma Napoli, licenziamento
motivato, a seguito del ritrovamento di
reperti archeologici, in relazione alla
revoca dell'appalto ed all'affidamento di
esso ad altra impresa.
La Corte si occupa in particolare del
problema della prova, a carico del datore di
lavoro, dell’impossibilità di utilizzare i
lavoratori in altre mansioni compatibili e
del problema se tale prova possa essere
fornita mediante fatti positivi (quali
l’ammissione alla procedura
dell’amministrazione controllata) e fatti
negativi (quali la mancanza di nuove
assunzioni in qualifiche relative alle
mansioni equivalenti a quelle dei lavoratori
licenziati).
La decisione esclude nella specie la
rilevanza dell’amministrazione controllata
(successiva di alcuni mesi ai recessi) e
delle mancate assunzioni (essendo stato
provato che il cantiere fosse comunque
aperto con alcune maestranze), ed afferma
che, in tema di licenziamento per
giustificato motivo oggettivo determinato da
ragioni tecniche, organizzative e
produttive, compete al giudice -che non può,
invece, sindacare la scelta dei criteri di
gestione dell'impresa, espressione della
libertà di iniziativa economica tutelata
dall'art. 41 Cost.- il controllo in ordine
all'effettiva sussistenza del motivo addotto
dal datore di lavoro, in ordine al quale il
datore di lavoro ha l'onere di provare,
anche mediante elementi presuntivi ed
indiziari, l'impossibilità di una differente
utilizzazione del lavoratore in mansioni
diverse da quelle precedentemente svolte;
tale prova, tuttavia, non deve essere intesa
in modo rigido, dovendosi esigere dallo
stesso lavoratore che impugni il
licenziamento una collaborazione
nell'accertamento di un possibile "repechage",
mediante l'allegazione dell'esistenza di
altri posti di lavoro nei quali egli poteva
essere utilmente ricollocato, e conseguendo
a tale allegazione l'onere del datore di
lavoro di provare la non utilizzabilità nei
posti predetti.
Nel medesimo senso, Cass. Sez. L, Sentenza
n. 3040 del 08/02/2011.
In precedenza, Cass. Sez. L, Sentenza n.
6559 del 18/03/2010 aveva pure affermato che
il giustificato motivo oggettivo di
licenziamento determinato da ragioni
tecniche, organizzative produttive è rimesso
alla valutazione del datore di lavoro, senza
che il giudice possa sindacare la scelta dei
criteri di gestione dell'impresa,
espressione della libertà di iniziativa
economica tutelata dall'art. 41 Cost.
Pertanto, spetta al giudice il controllo in
ordine all'effettiva sussistenza del motivo
addotto dal datore di lavoro, e l'onere
probatorio grava per intero sul datore di
lavoro, che deve dare prova anche
dell'impossibilità di una differente
utilizzazione del lavoratore in mansioni
diverse da quelle precedentemente svolte,
onere che può essere assolto anche mediante
il ricorso a risultanze di natura presuntiva
ed indiziaria, mentre il lavoratore ha
comunque un onere di deduzione e di
allegazione di tale possibilità di
reimpiego.
La decisione in commento è interessante
anche sotto altro profilo, relativo alla
illegittimità del termine apposto ai
contratti di lavoro dei dipendenti in
questione, atteso che la Corte ha ritenuto
adeguatamente motivata la sentenza della
corte territoriale che nella specie aveva
escluso che l’opera di scavi archeologici
propedeutici alla costruzione dell’opera
pubblica (non prevista espressamente nel
contratto di appalto originariamente
stipulato) potesse essere configurata come
avente carattere straordinario ed
occasionale, idonee a legittimare la stipula
di contratti a termine, essendo ritenuto per
converso l’inerenza di tali lavori
all’appalto originario (commento tratto da
www.ipsoa.it - Corte di Cassazione civile,
sentenza 30.09.2011 n. 20095). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Le valutazioni dei dipendenti
sono sindacabili dal Giudice.
La Corte di Cassazione, Sez. lavoro, con
sentenza 27.09.2011 n.
19710, conferma il consolidato
orientamento della Corte secondo il quale: "...le
valutazioni del datore di lavoro in ordine
al rendimento ed alla capacità professionale
del lavoratore, espresse con le note di
qualifica, sono sindacabili dal giudice in
riferimento ai parametri oggettivi previsti
dal contratto collettivo ed agli obblighi
contrattuali di correttezza e buona fede di
cui agli artt. 1175 e 1375 c.c. e, quindi,
sul datore di lavoro grava l'onere di
motivare queste note, allo scopo di
permettere il controllo da parte del giudice
dell'osservanza di siffatti criteri.
Peraltro detto controllo non è limitato alla
mera verifica della coerenza estrinseca del
giudizio riassuntivo della valutazione, ma
ha ad oggetto la verifica della correttezza
del procedimento di formazione del medesimo,
che richiede di prendere in esame i dati sia
positivi che negativi rilevanti ai fini
della valutazione, non potendo invece
tenersi conto di quelli estranei alla
prestazione lavorativa.".
Sentenza resa in una controversa di lavoro
privato, ma i cui principi espressi sono
sicuramente e pienamente estensibili anche
ai meccanismi valutativi del pubblico
impiego (commento tratto da www.publika.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI -
EDILIZIA PRIVATA:
Diritto al risarcimento danni
estinto per intervenuta prescrizione.
Non può essere accolta una domanda di
risarcimento dei danni per lesione di
interessi legittimi derivante
dall’illegittimo diniego di rilascio di una
concessione edilizia, nel caso in cui la
domanda risarcitoria sia stata avanzata dopo
che sia decorso sia il termine di
prescrizione di cinque anni, relativo alla
responsabilità della P.A. per fatto
illecito, decorrente dalla conoscenza del
suddetto diniego, sia il termine di 120
giorni, ex art. 30 del codice del processo
amministrativo, dal passaggio in giudicato
della sentenza di annullamento del diniego;
in tal caso, infatti, l’azionato diritto al
risarcimento del danno deve ritenersi
irrimediabilmente estinto per intervenuta
prescrizione (1).
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(1) V. in argomento da ult. TAR Sicilia-Palermo, Sez. I, ordinanza 07.09.2011
(solleva q.l.c. dell’art. 30 del c.p.a.
nella parte in cui prevede un termine di
decadenza di 120 giorni per la proposizione
dell’azione risarcitoria nei confronti della
P.A. a seguito del giudicato di annullamento
dell’atto amministrativo illegittimo)
(massima tratta da www.regione.piemonte.it -
TAR Lazio-Roma, Sez. II-bis,
sentenza 14.09.2011 n.
7276 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI FORNITURE:
Esclusione di una ditta da una
gara d’appalto con riferimento al fatto che
la ditta interessata ha presentato i
campioni della merce da fornire solo per
tipologia merceologica di appartenenza.
E’ legittimo il provvedimento con il quale
la stazione appaltante ha escluso da una
gara di appalto di forniture un ditta che,
in contrasto con quanto espressamente
richiesto dal bando di gara a pena di
esclusione, ha prodotto, unitamente
all’offerta, i campioni della merce da
fornire con esclusivo riferimento alla
tipologia merceologica di appartenenza,
piuttosto che un campione per ogni singolo
prodotto da fornire, per ogni dimensione e
colorazione; infatti, negli appalti di
forniture, la presentazione di una
campionatura completa è funzionale al
rispetto dell'obbligo contrattuale di
depositare presso la stazione appaltante i
campioni degli articoli da fornire, al fine
di verificare, nel corso dell'esecuzione del
contratto, che la qualità di ciascun bene
corrisponda all'impegno assunto
dall'aggiudicatario in sede di offerta
(fattispecie relativa a gara per la
fornitura di servizi di lavaggio e noleggio
biancheria, vestiario e fornitura kit
sterili della durata triennale) (massima
tratta da www.regione.piemonte.it - TAR
Sardegna, Sez. I,
sentenza 12.09.2011 n. 924 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Compravendita
senza certificato di abitabilità? Scatta il
risarcimento!
Vendere un immobile non dotato di
certificato di abitabilità potrebbe
comportare un risarcimento da parte del
venditore nei confronti dell’acquirente.
E’ quanto previsto dalla Corte di
Cassazione, Sez. II civile, nella
sentenza 29.08.2011 n. 17707.
Il proprietario di un immobile destinato ad
abitazione lo cedeva ad un acquirente che a
sua volta aveva promesso l’appartamento in
vendita a terzi.
Questi ultimi, prima della stipula del
contratto definitivo, avevano evidenziato
che l'appartamento era munito solo di
licenza di agibilità, ma non del certificato
di abitabilità, per cui le parti si erano
accordate per la riduzione del prezzo di
vendita, rispetto a quanto già pattuito.
In virtù di ciò, il primo acquirente citava
in giudizio l’originario venditore,
chiedendo il rimborso della riduzione del
prezzo concordato con i terzi acquirenti.
Il tribunale di primo grado accoglieva la
richiesta di risarcimento del primo
acquirente, ma la Corte d’Appello di Firenze
rigettava tale domanda.
Infine la Corte di Cassazione ha condiviso
l’orientamento giurisprudenziale dei giudici
di prime cure, secondo cui la vendita di un
appartamento senza certificato di
abitabilità si risolve nella mancanza di un
requisito giuridico essenziale per il
legittimo godimento del bene e della sua
commerciabilità e quindi si configura il
risarcimento del danno
(link a www.acca.it). |
SICUREZZA LAVORO:
Infortunio sul lavoro:
responsabilità penale di datore,
coordinatore e committente.
Il Coordinatore per
l’esecuzione dei lavori ed il committente
dei lavori non sempre sono responsabili in
materia di sicurezza nei luoghi di lavoro
nel caso si verifichi un infortunio ad un
dipendente.
Il datore di lavoro,
però, è sempre responsabile ex articolo 2087
c.c. sul piano oggettivo e su quello
soggettivo.
Così il TRIBUNALE di Avezzano,
sentenza 23.07.2011 n. 263, a
firma del giudice dr. Spaziani, in un “singolare”
caso sul tema della sicurezza e tutela dei
lavoratori nei luoghi di lavoro.
La vicenda concerneva l’infortunio di un
operaio caduto a terra da un piano alto di
un cantiere edile, in fase di costruzione,
poiché ne era stato realizzato solamente lo
scheletro.
Tale cantiere risultava essere “formalmente
chiuso” in quanto la concessione
edilizia avente ad oggetto la realizzazione
del fabbricato era scaduta da tempo e non
era stata formulata alcuna richiesta di
proroga della stessa.
Il prestatore di lavoro si trovava in quel
cantiere in quanto il datore di lavoro,
nonché legale rappresentante della società
appaltatrice (che si trovava sul posto
all’atto dell’incidente occorso) aveva
chiesto allo stesso di “ritirare dei
materiali che avrebbero dovuto essere
utilizzati in un altro cantiere”.
Durante tale operazione l’operaio cadeva a
terra riportando gravi lesioni; in capo al
datore di lavoro sussiste, come si legge
nella sentenza in commento, il reato di
lesioni personali colpose commesse in
violazione delle norme per la prevenzione
degli infortuni sul lavoro.
Sul lato oggettivo si ritiene sussistente il
nesso di causalità tra il contegno omissivo
del datore e l’evento occorso al prestatore
di lavoro; mentre dal lato soggettivo la
colpa dello stesso emerge non solo sotto il
profilo “della colpa generica (attesa la
palese violazione del generale dovere di
adottare le misure necessarie… art. 2087
c.c.) ma anche sotto il profilo della colpa
specifica, in quanto la mancata
predisposizione delle opere provvisionali e
la mancata adozione delle cautele prescritte
in ipotesi di uso di scale a mano concretano
altrettante violazioni di specifiche
disposizioni prevenzionali”.
Per quanto concerne il committente ed il
coordinatore per l’esecuzione dei lavori “le
cose cambiano e con esse anche i profili di
responsabilità”..
Nella decisione de qua si legge, infatti,
testualmente che “dal raccordo e
dall’integrazione delle dichiarazioni dei
vari testimoni (nonché dall’esame delle
fotografie versate in atti) emerge piuttosto
chiaramente, se non la certezza, quanto meno
la rilevante probabilità che i lavori di
costruzione del fabbricato di proprietà di
... fossero stati sospesi in epoca
antecedente a quella dell’infortunio, e che,
al momento in cui questo si era verificato,
il cantiere fosse, quanto meno
temporaneamente, chiuso”.
Da ciò ne consegue che alcun rimprovero, in
base a quanto affermato dal giudice, può
essere mosso nei confronti di tali soggetti,
in quanto “le omissioni loro contestate
nelle rispettive qualità di committente dei
lavori e di coordinatore responsabile per la
progettazione e l’esecuzione, presuppongono
adempimenti esigibili soltanto in costanza
di un cantiere effettivamente operativo e
dell’effettivo svolgersi dei lavori su di
esso”.
Pertanto, tali imputati devono ritenersi
assolti dal delitto loro ascritto per non
aver commesso il fatto, nonché dalle
contravvenzioni loro ascritte in quanto i
fatti non sussistono.
Rimane, dunque, solo la responsabilità
penale del datore di lavoro, con conseguente
condanna al risarcimento del danno in favore
della parte civile costituita (link a
www.altalex.com). |
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