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AGGIORNAMENTO AL 26.04.2011 |
ã |
SINDACATI |
PUBBLICO IMPIEGO:
Oggetto: Pubblici dipendenti:
precisazioni in merito alla trasmissione
telematica della certificazione di malattia
nel caso di esenzioni dalla decurtazione
stipendiale (circolare n. 2/2010
Dipartimento Funzione Pubblica)
(Patronato INCA-CGIL,
nota 20.04.2011 n. 55/2011 di prot.). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Festività del 17.03.2011: ecco la
legge di conversione
(CGIL-FP di Bergamo,
nota 20.04.2011). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Il Tribunale di Grosseto condanna
per comportamento antisindacale il Comune di
Castiglione della Pescaia
(CGIL-FP di Bergamo,
nota 18.04.2011). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Il foglio dei lavoratori della
Funzione Pubblica
(CGIL-FP di Bergamo,
aprile 2011). |
UTILITA' |
EDILIZIA PRIVATA - VARI: Quarto
Conto Energia. Ecco la bozza in attesa della
Conferenza Stato-Regioni.
È stata diffusa dal Ministero dello Sviluppo
Economico la bozza del Decreto attuativo
sugli incentivi per il fotovoltaico, in
attesa della Conferenza Unificata tra Stato
e Regioni.
Vediamo i punti salienti della bozza:
Campo di applicazione:
il Decreto si applica agli impianti
fotovoltaici che entrano in esercizio dall'01.06.2011 fino al 31.12.2016.
Potenza installabile:
è previsto l'obiettivo di circa 23 mila MW
che dovrebbero comportare un onere per gli
incentivi pari a 6 e 7 miliardi di euro.
Grandi impianti:
fino al 31.12.2012 è previsto un
regime transitorio per i grandi impianti; in
particolare sono ammessi al regime di
sostegno nei seguenti limiti di costo:
- 447 milioni di euro con obiettivo di
potenza pari a 1350 MW per gli impianti che
entrano in esercizio dall'01.06.2011 al
31.12.2011;
- 373 milioni di euro con obiettivo di
potenza pari a 1350 MW per gli impianti che
entrano in esercizio nell'anno 2012.
Piccoli impianti (fino a
200 kW):
non è previsto nessun limite di costo annuo
per gli incentivi, fatte salve le riduzioni
di incentivi a scalare da giugno a dicembre
2011 e diminuzioni anche per il primo e per
il secondo semestre 2012.
Certificazione Energetica:
bisognerà dotare l'edificio su cui è
installato l'impianto di Attestato di
Certificazione Energetica per godere del
premio maggiorativo per la riduzione del
fabbisogno termico. Il premio consiste in
una maggiorazione massima del 30% ed è
riconosciuto a decorrere dall'anno solare
successivo all'istanza.
Smaltimento dei moduli:
viene attribuita al produttore la
responsabilità dello smaltimento dei moduli
una volta che questi siano giunti a fine
vita.
Premi:
sono previsti premi (5%) per impianti
fotovoltaici installati in zone industriali,
cave esaurite, discariche esaurite, aree di
pertinenza di discariche o di siti
contaminati e per piccoli impianti in comuni
con meno di cinquemila abitanti. Il premio è
del 10% per impianti in sostituzione di
coperture in eternit o amianto.
Tariffe:
le tariffe in generale subiranno un graduale
decremento; si va, ad esempio, per i piccoli
impianti dai 38,7 centesimi al kWh di giugno
2011 ai 29,8 centesimi a dicembre 2011
(impianti con potenza da uno a tre kW).
In allegato a questo articolo proponiamo un
documento contenete le Tabelle con le
Tariffe incentivanti in funzione del tipo di
impianto e dell'entrata in esercizio
(link a www.acca.it). |
EDILIZIA PRIVATA - VARI: Immobili
fantasma: come si calcola la rendita
presunta.
L'Agenzia del Territorio ha definito i
criteri per l'attribuzione della rendita
presunta dei cosiddetti “fabbricati
fantasma” da iscrivere in Catasto entro
il 30 aprile prossimo.
In particolare, se i titolari di diritti
reali sugli immobili non provvedono a
presentare le dichiarazioni di aggiornamento
catastale entro il termine del 30.04.2011
(come previsto dal Milleproroghe), la
rendita presunta, da iscrivere
transitoriamente in catasto, viene
determinata secondo le seguenti modalità:
- per le categorie a destinazione ordinaria
(Gruppi A, B e C), la rendita presunta è
individuata moltiplicando la consistenza per
la tariffa propria della classe;
- per le categorie a destinazione speciale
(Gruppo D) o particolare (Gruppo E), la
rendita presunta è determinata, con
procedimento semplificato, applicando al
valore della unità immobiliare il saggio di
redditività pari:
--- al 2% per le unità immobiliari
appartenenti al Gruppo D;
--- al 3% per quelle riferibili al Gruppo E.
Il valore della unità immobiliare è
determinato moltiplicando la consistenza per
i corrispondenti valori venali unitari
desunti sulla base degli elementi
conoscitivi ed informativi a disposizione
dell’Agenzia.
Il provvedimento riporta, infine, la
determinazione degli oneri per le attività
svolte dall’ufficio in caso di mancato o
tardivo adempimento
(link a www.acca.it). |
SICUREZZA LAVORO: Le
responsabilità del committente nella
sicurezza del cantiere: guida per conoscere
i propri doveri.
Il Collegio dei Geometri e Periti
Industriali di Udine ha pubblicato una guida
chiara e semplice sulle responsabilità,
anche penali, del committente relative alla
sicurezza in cantiere.
Il committente viene definito dal Decreto
Legislativo 81/2008 come il “soggetto per
conto del quale l’intera opera viene
realizzata, indipendentemente da eventuali
frazionamenti della sua realizzazione …”.
Assume automaticamente la funzione di
committente chi, ad esempio:
- in qualità di proprietario di una
villetta, affida i lavori di tinteggiatura
interna od esterna;
- in qualità di locatario di un
appartamento, affida i lavori di rifacimento
del bagno;
- in qualità di amministratore di
condominio, affida i lavori di rifacimento
del manto di copertura o di isolamento a
cappotto dei muri;
- in qualità di titolare d’impresa, affida i
lavori di sistemazione degli uffici o di
ampliamento della zona produttiva del suo
capannone aziendale;
- in qualità di proprietario di un lotto
edificabile, affida i lavori di costruzione
della sua nuova casa.
Egli ha precise responsabilità penali ed
amministrative attribuitegli dalla
legislazione vigente, come ad esempio:
- designare il coordinatore per la sicurezza
se necessario (pena l'arresto da 3 a sei
mesi o l'ammenda da € 2.500 a € 6.400);
- accertare i requisiti del coordinatore;
- trasmettere il P.S.C. (Piano di Sicurezza
e di Coordinamento) a tutte le imprese
invitate a presentare l’offerta (pena la
sanzione amministrativa pecuniaria da € 500
a € 1.800);
- comunicare alle imprese esecutrici e ai
lavoratori autonomi il nominativo del
coordinatore, in modo che venga anche
riportato sul cartello di cantiere (sanzione
amministrativa pecuniaria da € 500 a €
1.800);
- vigilare sull'operato del coordinatore
(pena l'arresto da due a quattro mesi o
ammenda da € 1.000 a € 4.800);
- verificare l'idoneità tecnico
professionale delle imprese e dei lavoratori
autonomi (pena l'arresto da due a quattro
mesi o l'ammenda da € 1.000 a € 4.800);
- trasmettere all'Amministrazione del titolo
abilitativo (pena la sanzione amministrativa
pecuniaria da € 500 a € 1.800)
(link a www.acca.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Catasto,
vademecum per le denunce DOCFA.
La Direzione Regionale dell'Agenzia del
Territorio Regione Emilia Romagna ha
pubblicato un utile vademecum sulle
procedure Docfa, al fine di dare una
risposta alle problematiche più frequenti
che i tecnici incontrano nella redazione
delle denunce catastali.
La guida è stata realizzata attraverso un
confronto tra i tecnici degli Uffici
Provinciali dell’Agenzia del Territorio e i
professionisti, al fine di rendere più
trasparenti le modalità operative degli
Uffici.
Il documento illustra diversi argomenti:
opzioni di accatastamento, denuncia di nuova
costruzione (dichiarazione ordinaria,
fabbricati rurali, fabbricati mai
dichiarati), denuncia di variazione, dati
del tipo mappale, identificativi catastali,
toponomastica, etc.
È così strutturato:
- Denunce Docfa;
- Causali;
- Planimetrie;
- Elaborato planimetrico ed elenco
subalterni;
- Appendice
(link a www.acca.it). |
VARI: Scambio
sul posto: dal GSE le Nuove Regole Tecniche.
Il Gestore dei Servizi Energetici (GSE) ha
reso noto che l’Autorità per l'Energia ha
approvato l’aggiornamento delle Regole
Tecniche relative ai criteri di calcolo per
il contributo in conto scambio, predisposte
dal GSE ai sensi dell’articolo 10 del Testo
Integrato dello Scambio sul Posto.
Le nuove Regole Tecniche sono state redatte
con l’obiettivo di introdurre un maggior
livello di comprensibilità per l’utente
circa le modalità di calcolo dei
corrispettivi.
Le novità introdotte riguardano
principalmente: ...
(link a www.acca.it). |
GURI - GUUE -
BURL (e anteprima) |
PUBBLICO IMPIEGO:
G.U. 21.04.2011 n. 92 "Testo
del decreto-legge 22.02.2011, n. 5,
coordinato con la legge di conversione
21.04.2011, n. 47, recante:
«Disposizioni per la festa nazionale del
17.03.2011»". |
LAVORI PUBBLICI:
G.U. 18.04.2011 n. 89 "Rilevazione dei
prezzi medi per l’anno 2009 e delle
variazioni percentuali annuali, superiori al
dieci per cento, relative all’anno 2010, ai
fini della determinazione delle
compensazioni dei singoli prezzi dei
materiali da costruzione più significativi"
(Ministero delle Infrastrutture e dei
Trasporti,
decreto
31.03.2011).
---------------
Codice Appalti: per l'anno 2009-2010 il
prezzo dei materiali da costruzione non
subisce variazioni.
Pubblicato in Gazzetta il Decreto del
Ministero delle Infrastrutture e dei
Trasporti del 31.03.2011 contenente la
rilevazione dei prezzi medi per l'anno 2009
e delle variazioni percentuali relative
all'anno 2010 dei prezzi dei materiali da
costruzione più significativi, in attuazione
a quanto previsto dal Codice degli Appalti (D.Lgs.
163/2006).
Si rileva che il prezzo dei materiali da
costruzione più significativi nell'anno
2010, rispetto all'anno 2009, non ha subito
variazioni percentuali superiori al 10%.
Ricordiamo che l'art. 133 del Decreto
163/2006 prevede che entro il 30 giugno di
ogni anno il Ministero rilevi con proprio
Decreto le variazioni percentuali dei
singoli prezzi dei materiali da costruzione
più significativi.
Qualora il prezzo dei singoli materiali da
costruzione, a causa di circostanze
eccezionali, subisca variazioni superiori al
10 % rispetto al prezzo rilevato dal
Ministero nell'anno di presentazione
dell'offerta, si applicano compensazioni per
la percentuale eccedente il 10 % e nel
limite delle risorse previste tra imprevisti
e le somme relative al ribasso d'asta.
Al fine di determinare le compensazioni
relative ai materiali da costruzione
impiegati nelle lavorazioni contabilizzate
nell'anno 2010, si fa riferimento agli
Allegati e alle Tabelle sotto riportate in
funzione dell'anno di presentazione
dell'offerta ...
(link a www.acca.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA: G.U.U.E.
08.04.2011 n. L 94/2 "REGOLAMENTO
(UE) N. 333/2011 DEL CONSIGLIO del
31.03.2011 recante i criteri che
determinano quando alcuni tipi di rottami
metallici cessano di essere considerati
rifiuti ai sensi della direttiva 2008/98/CE
del Parlamento europeo e del Consiglio" (link
a http://eur-lex.europa.eu).
---------------
Criteri di qualità per
il recupero di rottami metallici e leghe.
Il 28 aprile p.v. entreranno in vigore (ma
si applicheranno a partire dal 09.10.2011
per consentire alle imprese di
familiarizzare con il nuovo sistema), i
criteri europei che determinano quando
alcuni tipi di rottami metallici cessano di
essere considerati rifiuti e diventano
risorse.
I criteri fissati dal regolamento Ce
333/2011 del 31.03.2011 (direttamente
applicabile in tutti gli Stati membri)
rappresentano la prima attuazione della
disciplina relativa al cd. “end of waste
- cessazione della qualifica di rifiuto",
introdotta dall’articolo 6 della direttiva
quadro sui rifiuti 2008/98 e codificata
nell’ordinamento nazionale dall’articolo
184-ter del Dlgs 152/2006 al fine di
conseguire livelli più elevati di
riciclaggio e limitare l’estrazione di
risorse naturali.
Il regolamento prevede, in particolare, che
i rottami di metallo non siano più
classificati come rifiuti, a condizione che
i produttori applichino un sistema di
gestione della qualità (fondato su una serie
di procedimenti documentali come il
controllo di accettazione dei rifiuti ed il
monitoraggio delle tecniche di trattamento)
e dichiarino la conformità ai nuovi criteri
per ciascuna partita di rottami trattata.
Prima che i rottami possano perdere la
qualifica di rifiuti, occorre, inoltre,
terminare qualsiasi trattamento (taglio,
frantumazione) necessario per preparare i
rottami all’utilizzo finale in impianti di
lavorazione dell’acciaio o dell’alluminio
(commento tratto da
www.professioni-imprese24.ilsole24ore.com). |
NOTE,
CIRCOLARI E COMUNICATI |
AMBIENTE-ECOLOGIA: SISTRI:
Guida all’utilizzo del dispositivo USB
(versione 20.04.2011). |
AMBIENTE-ECOLOGIA: SISTRI:
manuale operativo
(versione 19.04.2011). |
SICUREZZA LAVORO: Oggetto:
Salute e sicurezza nei luoghi di lavoro;
lavori in ambienti sospetti di inquinamento.
Iniziative relative agli appalti aventi ad
oggetto attività manutentive e di pulizia
che espongono i lavoratori al rischio di
asfissia o di intossicazione dovuta ad
esalazione di sostanze tossiche o nocive
(Ministero del Lavoro e delle Politiche
Sociali,
circolare 19.04.2011
n. 13/2011). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
SFALCI E POTATURE: RIFIUTI O NON
RIFIUTI?
Con la
nota 18.03.2011
prot. n. 8890, il Ministero
dell'Ambiente tenta di risolvere l'enigma
interpretativo della disposizione,
introdotta con il IV correttivo, di cui
all'art. 185, co. 2, D.Lgs. 152/2006, norma
dedicata alle esclusioni dall'ambito di
applicazione della Parte IV del TUA.
Il punto controverso e sul quale interviene
il Ministero è costituito dalla (infelice)
formulazione contenuta nella lettera f)
dell'articolo predetto, secondo cui sono
esclusi: "le materie fecali, se non
contemplate dal paragrafo 2, lettera b),
paglia, sfalci e potature, nonché altro
materiale agricolo o forestale naturale non
pericoloso utilizzati."
Il Ministero, riportando la norma sulla
classificazione dei rifiuti (art. 184, co.
2, lett. e) ricorda come i rifiuti vegetali
provenienti da aree verdi quali giardini,
parchi e aree cimiteriali, sono (per
l'appunto) rifiuti urbani. Così che, al
contrario, sfalci e potature per poter
essere escluse dalla normativa sui rifiuti
devono necessariamente provenire da attività
agricola o forestale.
Tertium non datur.
Provando a leggere la norma e analizzandola
da un punto di vista meramente sintattico,
sembrerebbe che la congiunzione "nonché"
metta sì in correlazione, quasi come fosse
un'elencazione, "paglia, sfalci e
potature" con "altro materiale
agricolo o forestale naturale", ma non
anche qualifichi la prima parte (paglia,
sfalci e potature) come materiale agricolo o
forestale naturale o, secondo le parole
utilizzate dal Ministero, come "materiali
che provengono da attività agricola o
forestale". Sembrerebbe quasi, dunque,
quella fornita dal Ministero,
un'interpretazione che si discosta dal dato
letterale della norma e che probabilmente
tiene conto della ratio sottesa alla
stessa. A ben guardare gli "sfalci e le
potature" non sono contemplate dalla
Direttiva 2008/98/Ce nell'articolo 2. Esso
parla di: "paglia e altro materiale
agricolo o forestale naturale non pericoloso
utilizzati".
É stato il Legislatore nazionale a trasporre
la vecchia disposizione di cui all'art. 185,
co. 2 ("possono essere sottoprodotti
materie fecali e vegetali provenienti da
attività agricole") nel nuovo testo,
utilizzando tuttavia una formula che certo
non può dirsi spiccare per chiarezza. Ora,
la nota ministeriale in oggetto,
nell'intento di fornire un'interpretazione
che tolga qualche ombra, sembrerebbe restare
intrappolata nella stessa ratio che
ha portato a quella formulazione, con un
evidente risultato difforme dal testo
normativo e che comunque non ha carattere
vincolante, trattandosi di una nota
ministeriale.
Si segnala inoltre che "gli sfalci e le
potature provenienti dal verde pubblico e
privato" ritornano in altro testo
normativo, il D.Lgs. 03.03.2011, n. 28 sulla
promozione dell'uso dell'energia da fonti
rinnovabili, dove, nuovamente discostandosi
dalla corrispondente Direttiva che si
recepiva, entrano a far parte della
definizione di biomasse, accanto "alla
parte biodegradabile dei rifiuti industriali
e urbani" (quest'ultima contenuta anche
nel testo della Direttiva 2009/28/Ce). (M.A.L.)
(commento tratto dalla newsletter di
www.tuttoambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
LA CERTIFICAZIONE ENERGETICA NEGLI
EDIFICI - Il nuovo comma 2‐ter dell’art. 6
d.lgs. 192/2005: prime note (Consiglio
Nazionale del Notariato,
nota 11.03.2011). |
DOTTRINA E
CONTRIBUTI |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
C. Silvestri,
Mestiere rumoroso: illecito penale o
amministrativo? Nota a Corte di Cassazione,
Sez. I penale, sentenza 09.06.2009 n. 23866
(link a www.filodiritto.com). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
G. Penzo Doria e B. Montini,
Albo on-line e privacy: commento alla
Deliberazione del Garante 02.03.2011 n. 88
(link a www.filodiritto.com). |
EDILIZIA PRIVATA:
M. Maesano, I
beni culturali
(link a www.diritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
A. Ferruti e R. Allegrini,
La certificazione energetica secondo il
d.lgs. n. 28/2011 e l’energia da fonti
rinnovabili per edifici nuovi o da
ristrutturare (link a
www.lexitalia.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
A. Liberati,
La ricorribilità delle sentenze del
Consiglio di Stato innanzi alla Corte
Europea dei Diritti dell’Uomo: l’inizio
della fine di palazzo Spada (link
a www.lexitalia.it). |
APPALTI:
S. Usai,
Inefficacia del contratto e buona fede del
terzo contraente
(link a www.lexitalia.it). |
CORTE DEI
CONTI |
ENTI LOCALI: Dalla
corte conti veneto una doccia fredda per gli
enti. La falcidia non risparmia neppure i
gemellaggi.
Le spese per l'organizzazione di eventi
legati ai gemellaggi sono soggette al taglio
imposto dall'articolo 6, comma 8, del dl
78/2010, convertito in legge 122/2010.
È una doccia fredda per i comuni il
parere 23.03.2011 n.
265 della Corte dei conti, sezione
regionale di controllo per il Veneto, perché
inquadra integralmente le spese per
gemellaggi entro la tipologia di spese da
tagliare dell'80% rispetto al 2009: una
falcidia, che rende oggettivamente
difficoltosa l'organizzazione di tali
iniziative.
Sono tantissimi i comuni italiani gemellati
con altrettante municipalità all'estero,
anche perché i gemellaggi sono una
tradizione inveterata e la stessa Unione
Europea li favorisce, spesso con sia pur
contenuti finanziamenti appositamente
dedicati.
L'articolo 6, comma 8, della manovra estiva
2010 coinvolge nel pesantissimo taglio cui
obbliga gli enti locali una tipologia di
spese estremamente ampia, ma non ben
definita: «Relazioni pubbliche, convegni,
mostre, pubblicità e di rappresentanza».
Inquadrare, dunque, le iniziative connesse
ai gemellaggi non è impresa facile ed
immediata.
Il comune che si è rivolto alla sezione
veneta ha provato ad evidenziare i risvolti
sociali e culturali che stanno dietro agli
eventi connessi al gemellaggio, puntando
sull'interpretazione molto estensiva data
dalle sezioni Lombardia e, soprattutto,
Liguria del taglio imposto dall'articolo 6,
comma 8.
Dette sezioni, infatti, hanno ritenuto di
poter sottrarre dalla riduzione drastica
della tipologia di spese prevista dalla
manovra estiva le iniziative e
manifestazioni di carattere sociale e
culturale realizzate da privati, in
attuazione del principio di sussidiarietà.
Si tratta, ovviamente, di verificare fino a
che limite è possibile estendere
l'interpretazione favorevole proposta dalle
sezioni lombarda e ligure, visto che non è
difficile evidenziare ricadute sociali ed
economiche, dialetticamente.
La sezione Veneto, osservando che nel caso
di specie le iniziative oggetto del parere
erano specificate in modo piuttosto generico
(confronto sociale e culturale) in modo
tranciante conclude per la loro
ricomprensione nelle voci di spesa da
tagliare, considerando le iniziative per i
gemellaggi come un genere della specie «spese
per rappresentanza» o di «relazioni
pubbliche».
Non è, in effetti, dubitabile che la
funzione prevalente dei gemellaggi è proprio
quella dell'incentivazione di relazioni
amichevoli tra realtà diverse, anche se le
iniziative con le quale coltivare tali
relazioni possono essere le più disparate.
La sezione non manca di rilevare che ciascun
ente può, nella sua autonomia, classificare
in modo diverso le iniziative dei
gemellaggi, assumendone la relativa
responsabilità. Potendo anche scegliere se
apportare un taglio secco dell'80% delle
spese connesse a gemellaggi nel 2009, oppure
riferirsi al complesso delle voci di spesa
considerate dall'articolo 6, comma 8, e
all'interno di tale complesso, per esempio,
non tagliare le specifiche voci connesse al
gemellaggio, sulla base di valutazioni di
priorità di scelta della spesa da ridurre,
diminuendo di conseguenza le uscite per
altre voci (ad esempio, pubblicità o mostre)
(articolo ItaliaOggi
del 22.04.2011 - tratto da www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI: Rispetto
ad altre sezioni regionali la Corte conti
Lombardia si mostra più guardinga. Feste, i
comuni tirano la cinghia.
Spese da ridurre dell'80%. O del tutto se
sponsorizzazioni. Feste, tornei e sagre sono
da tagliare dell'80% rispetto al 2009. O,
addirittura, da considerare vietate in
quanto sponsorizzazioni.
La Corte dei conti, sezione regionale di
controllo per la Lombardia col
parere 16.03.2011 n.
137, stringe le maglie
sull'interpretazione dell'articolo 6, commi
8 e 9, del dl 78/2010, convertito in legge
122/2010, che la stessa sezione e, più
ancora, quella della Liguria avevano aperto,
con precedenti interpretazioni.
La questione su cui la sezione è stata
chiamata a pronunciarsi è quella che da mesi
ormai attanaglia l'attività dei comuni: la
portata del divieto di effettuare
sponsorizzazioni disposto dall'articolo 6,
comma 9, della manovra estiva 2010.
Il comune richiedente nel quesito è stato
molto chiaro, chiedendo se potessero
considerarsi come sponsorizzazioni vietate
contributi finalizzati all'organizzazione
episodica di eventi come «feste, tornei,
camminate».
In effetti lo spettro delle attività di
associazioni di ogni natura e tipo che
richiedono ai comuni e alle province
contributi è amplissimo: si va dal Palio di
Siena alla sagra, dalla festa della pizza al
concerto della filarmonica, dal saggio alla
festa di quartiere.
È piuttosto chiaro l'intento del legislatore
di contenere le spese destinate in generale
ad attività di questo genere: lo si rileva
dal divieto di sponsorizzazioni e dal taglio
drastico, l'80% rispetto al 2009, alle spese
per relazioni pubbliche, pubblicità e
rappresentanza. Tra le quali è difficile non
far ricadere molte delle iniziative
esemplificate proprio dal quesito rivolto
alla sezione Lombardia.
La sezione Liguria ha ritenuto che le «manifestazioni»
in generale possano sfuggire alla tagliola
imposta dalla legge per iniziative
culturali, artistiche, sociali, di
promozione turistica (l'elencazione non è da
considerare tassativa), che mirino a
realizzare gli interessi, economici e non,
della collettività amministrata, ossia le
finalità istituzionali dell'ente locale.
La sezione Lombardia, invece, si mostra più
guardinga. Considera ammissibili ancora
contributi diretti a organismi associativi
che svolgano servizi di interesse generale
in favore di fasce deboli della popolazione
o attività connesse a diritti
costituzionalmente garantiti (come
istruzione, formazione, orientamento),
perché in questo caso è ravvisabile un
intervento sussidiario, aggiuntivo a quello
pubblico. Oggettivamente, risulta più
complicato dimostrare una ricaduta realmente
economica o l'applicazione del principio di
sussidiarietà sulla «camminata» o la
«sagra», che prevalga sull'intento di
pubblicizzare l'immagine dell'ente e degli
amministratori.
Nel caso prospettato dal comune, la sezione
Lombardia è tranciante. Sovvenzioni per
iniziative spot come tornei o feste possono
incorrere nel divieto, se il loro scopo sia
la veicolazione dell'immagine dell'ente;
bene che vada, tuttavia ricadono nel taglio
alle spese per pubblicità, relazioni
pubbliche e rappresentanza disposto
dall'articolo 6, comma 8, della manovra
2010. Spetta a ciascun ente motivare, sulla
base dei principi enunciati dalla
magistratura contabile, quale ipotesi
ricorra.
A questo punto, tuttavia, risulta quanto mai
necessario un intervento del legislatore,
posto a chiarire definitivamente la portata
dei commi 8 e 9 dell'articolo 6. I vari
interventi delle sezioni regionali della
Corte dei conti si mostrano in parte
contraddittori tra loro e non hanno
assicurato una visione certa. Il che, per
altro, difficilmente potrebbe far
evidenziare colpa grave a carico di quegli
amministratori che scelgano una strada
piuttosto che un'altra, nel motivare i
propri provvedimenti, data la evidente
incertezza della questione
(articolo ItaliaOggi
del 22.04.2011 - tratto da www.corteconti.it). |
CONSIGLIERI COMUNALI: Recupero
gettoni, prescrizione decennale.
Il recupero delle somme illegittimamente
erogate ai consiglieri comunali e
provinciali per le sedute della conferenza
dei capigruppo, sconta la prescrizione
decennale che decorre dalla data di ogni
singolo pagamento effettuato.
È questo l'importante chiarimento che
perviene dalla sezione regionale di
controllo della Corte dei conti per il
Veneto, nel testo del
parere 11.02.2011 n. 180, con il quale si
danno, per la prima volta sul panorama
giurisprudenziale, i primi indirizzi
operativi a favore di quegli enti locali e
territoriali che stanno attuando forme di
recupero dei gettoni di presenza
indebitamente corrisposti a consiglieri
(anche cessati dalla carica) per la
partecipazione alla conferenza dei
capigruppo. Una stretta, questa che come si
ricorderà, è stata varata dalla manovra
correttiva dei conti pubblici del 2010.
La Corte, investita della questione da un
apposito parere formulato dal presidente
della provincia di Verona, ha rilevato che
la soluzione dell'individuazione del termine
prescrizionale è «facilmente ricavabile
dalla copiosa giurisprudenza amministrativa
in materia». Infatti, la giurisprudenza
consolidata del Consiglio di stato (da
ultimo, sentenza n. 4232/2010) ha sostenuto
che, rispetto al recupero delle somme
illegittimamente erogate da una pubblica
amministrazione a un proprio dipendente, ex
articolo 2033 del codice civile, qui debba
applicarsi il termine prescrizionale
ordinario decennale ex articolo 2946 del
predetto codice. Detto termine, ha rilevato
la Corte, opera «ogni qualvolta la legge
non preveda diversamente». E tale
soluzione sembra applicabile anche rispetto
ad un recupero da attuare nei confronti di
soggetti legati alla pubblica
amministrazione da un rapporto di servizio
di tipo onorario, quali i consiglieri di un
ente locale o provinciale.
Fatte salve le premesse in merito ai termini
temporali relativi all'esercizio dell'azione
di recupero, la Corte ha altresì fatto luce
sull'individuazione del termine iniziale di
decorrenza della prescrizione. In virtù
della previsione contenuta all'articolo 2935
del codice civile, la premessa è che il
termine decorre dal giorno in cui il diritto
può essere fatto valere. In questo caso,
pertanto, il dies a quo coincide con
la data di ciascun pagamento illegittimo
effettuato. Sulle modalità con cui l'ente
intende procedere al recupero dei gettoni,
però, la Corte non si esprime, poiché questo
è un profilo che non attiene alla
contabilità pubblica. Inoltre, la Corte ha
altresì sottolineato un terzo aspetto.
Vale a dire, quello relativo al momento in
cui il principio della onnicomprensività
della retribuzione degli amministratori
degli enti locali è divenuto operante
nell'ordinamento giuridico italiano, così da
rendere illegittima la corresponsione dei
gettoni di cui si tratta. Secondo l'ente che
ha richiesto l'intervento della Corte, tale
principio sarebbe stato introdotto dal terzo
comma dell'articolo 83 del Tuel, per effetto
delle disposizioni ex articolo 2, comma 26
della legge finanziaria 2008. In pratica,
secondo tale tesi, l'illegittimità della
corresponsione del gettone di presenza ai
capigruppo esplicherebbe i suoi effetti a
partire dall'01/01/2008.
Nulla di tutto questo, però, secondo la
Corte veneta. Anzi, secondo quest'ultima, il
principio in oggetto deve farsi risalire
all'articolo 4, comma 2 della legge n. 816
del 1985, ove si prevedeva che «agli
amministratori locali cui viene corrisposta
un'indennità di carica, non è prevista
alcuna indennità per la partecipazione a
sedute degli organi collegiali dell'ente».
Tesi, questa, già acclarata sia dal giudice
contabile che da quello amministrativo
(articolo ItaliaOggi
del 22.04.2011 - tratto da www.corteconti.it). |
NEWS |
PUBBLICO IMPIEGO: I
limiti imposti dal dlgs 150/2009 possono
essere superati dalle amministrazioni
locali. Dirigenti a termine con concorso.
Ammissibile anche il ricorso a posti extra
dotazione organica
I limiti dettati dal decreto Brunetta al
conferimento di incarichi dirigenziali a
tempo determinato possono essere superati
attraverso le assunzioni tramite concorsi
pubblici e il ricorso ai posti extra
dotazione organica. Tali disposizioni si
applicano anche agli incarichi di
responsabilità conferiti negli enti privi di
dirigenti.
Sono queste le principali indicazioni che si
possono fornire alle amministrazioni locali
nella applicazione delle previsioni dettate
dal dlgs n. 150/2009 e che vogliono limitare
in modo assai marcato la possibilità di
ricorso allo spoils system.
Come è noto, sulla base della lettura data
prima dalla Corte costituzionale e
successivamente dalle sezioni riunite di
controllo della Corte dei conti, è stato
esteso alle regioni e agli enti locali il
tetto fissato nelle amministrazioni dello
stato per il conferimento di incarichi
dirigenziali a tempo determinato, cioè l'8%
della dotazione organica della dirigenza.
Queste disposizioni prevalgono, anche se non
è stata abrogata, sulle previsioni contenute
nel comma 1 dell'articolo 110 del Tuel, che
invece assegnavano ai comuni ed alle
province la possibilità di coprire senza
limitazioni i posti vacanti in dotazione
organica.
È stato inoltre chiarito che le
amministrazioni locali possono utilizzare il
comma 2 dello stesso articolo, il quale
prevede che in tutti i comuni, ivi compresi
quelli sprovvisti di dirigenti, e le
province si possano conferire incarichi
dirigenziali a tempo determinato extra
dotazione organica entro il tetto del 5%
della dotazione organica e comunque per
almeno 1 unità. Queste disposizioni limitano
la possibilità di effettuare assunzioni di
dirigenti a tempo determinato attraverso il
ricorso alla scelta fiduciaria da parte del
sindaco o del presidente della provincia. E'
opportuno ricordare che queste assunzioni
devono comunque essere effettuate attraverso
una procedura a evidenza pubblica e in modo
motivato.
Tale disposizione non si estende alle
assunzioni a tempo determinato effettuate
tramite concorsi pubblici. Infatti, le nuove
regole sono state dettate con lo scopo di
limitare lo spoils system, come
indicato con chiarezza dalle previsioni
dettate dalla legge n. 15/2009, cioè dalla
delega che è alla base del dlgs n. 150/2009.
Ed ancora, esse hanno modificato l'articolo
19 del dlgs n. 165/2001 e non l'articolo 36
dello stesso decreto, articolo che
ricordiamo essere quello che legittima il
ricorso alle assunzioni flessibili. Ed
inoltre occorre aggiungere che anche il dlgs
n. 368/2001, cioè la norma che ha recepito
nel nostro ordinamento la direttiva
comunitaria sulle assunzioni a tempo
determinato, si applica espressamente anche
alla dirigenza.
Ovviamente le assunzioni a tempo determinato
dei dirigenti tramite concorsi pubblici
devono ubbidire ai vincoli dettati dal
legislatore, in particolare possono essere
basate sulla presenza di motivazioni
straordinarie e limitate nel tempo e possono
essere prorogate una volta sola e per un
arco temporale che, sommando il primo
incarico e la proroga, non deve superare tre
anni. I sindaci e i presidenti di provincia
possono continuare a conferire incarichi
extra dotazione organica.
A questi soggetti possono sicuramente essere
assegnati compito gestionali, cioè hanno in
tutto e per tutto le stesse prerogative dei
dirigenti a tempo indeterminato, di quelli
assunti a tempo determinato per la copertura
di posti vacanti in dotazione organica (oggi
entro il tetto dell'8%) e di quelli assunti
tramite concorso pubblico. Le
amministrazioni devono però prestare una
particolare attenzione a che le motivazioni
poste alla base del ricorso a tale strumento
siano ben circostanziate, con particolare
riferimento alla dimostrazione che quelle
professionalità non sono presenti nell'ente
e che lo stesso ne ha una specifica
necessità
(articolo ItaliaOggi
del 22.04.2011). |
CONSIGLIERI COMUNALI: OSSERVATORIO
VIMINALE/ Cumulo gettoni.
Sono cumulabili le indennità di funzione e i
gettoni di presenza dovuti per mandati
elettivi presso enti locali diversi, alla
luce delle modifiche apportate all'art. 82
del Tuel dal dl 31/5/10, n. 78 convertito in
legge, con modificazioni, dall'art. 1, comma
1, della legge 30/7/2010, n. 122?
Il dl n. 78/2010, al comma 11 dell'art. 5,
ha stabilito che chi è eletto o nominato in
organi appartenenti a diversi livelli di
governo non può ricevere più di un
emolumento, comunque denominato, a sua
scelta.
Ne deriva che il legislatore, estendendo il
divieto di cumulo originariamente
contemplato solo tra due diverse indennità
di funzione, ha precluso la possibilità di
percepire contemporaneamente indennità di
funzione e gettoni di presenza previsti per
le cariche ricoperte presso enti diversi.
Pertanto, l'amministratore interessato dovrà
optare per uno dei due emolumenti
(articolo ItaliaOggi
del 22.04.2011). |
SICUREZZA LAVORO: AMBIENTI
CONFINATI/ Le istruzioni del ministero.
Appalti nel mirino. I controlli alle
direzioni provinciali.
Sotto controllo gli
appalti per le attività manutentive o di
pulizia in aree confinate (silos, cisterne,
pozzi ecc.). Le direzioni provinciali del
lavoro (Dpl) provvederanno ad acquisire la
documentazione utile a verificare la
correttezza degli aspetti gestionali sotto
il profilo del rispetto della normativa in
materia di salute e sicurezza sul lavoro
controllando, tra l'altro, la corretta
elaborazione del Duvri (Documento unico di
valutazione dei rischi interferenziali) e le
misure di prevenzione e protezione.
Lo stabilisce il Ministero del Lavoro nella
circolare 19.04.2011
n. 13/2011, a conclusione di una
prima iniziativa di verifica avviata con la
circolare n. 42/2010 ma praticamente non
riuscita.
Nella predetta circolare n. 42/2010,
infatti, il ministero aveva già espresso
l'intenzione di dare avvio ad azioni
specifiche di controllo degli appalti
riguardanti attività manutentive o di
pulizia di aree confinate, mediante un piano
straordinario d'ispezione. Un piano
finalizzato a individuare, a monitorare e
controllare gli appalti per attività in
silos, pozzi, cisterne, serbatoi, cunicoli,
impianti di depurazione, gallerie ecc..
Tuttavia, spiega il ministero, da una
ricognizione dei risultati (di cui alla nota
11.03.2011 con cui sono state richieste le
risultanze del monitoraggio) emerge che a
oggi, salvo una casistica limitata, non sono
state intraprese iniziative condivise o
coordinate con gli organi di vigilanza delle
aziende sanitarie locali (Asl), competenti
sulla specifica materia per difficoltà
operative legate a una non ancora piena
attuazione del disegno organizzativo
delineato dal T.u. sicurezza (dlgs n.
81/2008) che ha previsto, nell'ambito dei
comitati regionali di coordinamento in
materia di salute e sicurezza, la
costituzione di specifici uffici «operativi»
a livello provinciale.
Alla luce di questo primo test negativo, il
ministero ci riprova attribuendo la
titolarità dell'azione di verifica alle
direzioni provinciali del lavoro. Infatti,
si legge nella circolare, considerata
l'urgenza di porre in essere alcuni
interventi immediati per contrastare il
fenomeno infortunistico negli ambienti
confinati e, comunque, nelle more che le
predette iniziative coordinate con gli
organi di vigilanza del Servizio sanitario
nazionale (Ssn) vengano definite, alle
singole dpl è fatto obbligo di provvedere ad
acquisire la documentazione utile a
verificare la correttezza degli aspetti
gestionali degli appalti, anche sotto il
profilo del rispetto della normativa in
materia di salute e sicurezza. Nello
specifico, la circolare stabilisce che
durante gli accessi andrà acquisita e
verificata:
a) la corretta e completa elaborazione del
Duvri da parte delle aziende committenti;
b) le misure di prevenzione e protezione
previste per effettuare l'intervento
lavorativo;
c) i contenuti e la «effettività»
della formazione/informazione nei confronti
dei lavoratori delle aziende appaltatrici
sui rischi interferenziali delle attività
svolte;
d) l'efficienza del sistema organizzativo
dell'emergenza
(articolo ItaliaOggi
del 22.04.2011 - tratto da www.corteconti.it). |
GIURISPRUDENZA |
APPALTI:
Sulla legittimità della
regolarizzazione di una dichiarazione
presentata da un concorrente in sede di gara
corredata da un documento di identità
scaduto.
E' legittima la regolarizzazione disposta da
una stazione appaltante di una dichiarazione
presentata da un concorrente in sede di gara
corredata da un documento di identità
scaduto.
Compito dell'interprete nel tracciare il
confine tra incompletezza ed irregolarità
documentale presuppone il contemperamento di
due opposte esigenze: da un lato, osservare
la par condicio competitorum ed
evitare indebite rimessioni in termini per
la produzione di documentazione richiesta
ab initio dalla lex specialis di
gara e, dall'altro, quella della massima
partecipazione. Secondo consolidata
giurisprudenza, la produzione della copia
fotostatica del documento di identità, a
corredo delle predette dichiarazioni, ha la
funzione di fornire un collegamento tra
l'autore delle stesse ed il titolare del
documento.
Nel caso di specie, non si verte
nell'ipotesi dell'art. 45 del D.P.R. n.
445/2000 in cui, per comprovare i dati
personali, occorre produrre un documento di
identità valido, pena la necessità di una
dichiarazione aggiuntiva dell'interessato
circa la persistenza dei dati risultanti dal
documento di identità scaduto. Di
conseguenza, vi si applicano le regole
generali in materia di dichiarazioni
sostitutive, secondo cui, qualora le
dichiarazioni presentino irregolarità od
omissioni rilevabili d'ufficio, non
costituenti falsità, l'interessato è tenuto
alla regolarizzazione o al completamento
della dichiarazione.
D'altra parte, l'art. 77-bis del citato
D.P.R. estende, alla materia degli appalti
pubblici, la disciplina dettata in tema di
dichiarazioni sostitutive (Consiglio di
Stato, Sez. VI,
sentenza 18.04.2011 n. 2366 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
La stazione appaltante che, in sede di
verifica a campione, accerta il mancato
pagamento da parte di un concorrente di una
cartella esattoriale, anche se di modesta
entità, legittimamente segnala il fatto all'Autorità.
Indipendentemente dal giudizio di gravità
della violazione in materia di contributi
(giudizio, peraltro, rimesso alla
valutazione dell’amministrazione e non
all'apprezzamento dell'impresa partecipante
alla gara) – la società aveva l’obbligo di
rendere la dichiarazione su tutte le
violazioni “definitivamente accertate”,
giacché la dichiarazione in quanto tale è
richiesta per un’ordinaria verifica
sull'affidabilità dei soggetti partecipanti,
tanto che non si comprenderebbe il
meccanismo di verifica a campione, se quest'ultimo
non fosse connesso all’obbligatorietà di una
dichiarazione, che costituisce il sistema di
riferimento per valutare la lealtà dei
richiedenti (tra le tante: Cons. Stato,
Sez. V, 12.05.2009, n. 3742)
(massima tratta da
www.dirittodegliappaltipubblici.it - TAR
Sicilia-Catania, Sez. I,
sentenza 15.04.2011 n. 939
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Sulla
regolarità contributiva.
Non essendo stata perfezionata alcuna
definizione consensuale e in mancanza
d’impugnazione degli avvisi di liquidazione,
si deve ritenere che all’epoca di
presentazione dell’offerta i debiti
tributari della società ricorrente erano
definitivamente accertati.
Non rileva, inoltre, la circostanza della
regolarizzazione postuma. È sufficiente
richiamare sul punto il consolidato
orientamento giurisprudenziale secondo cui
la regolarità contributiva non solo deve
sussistere alla data di presentazione della
domanda, ma deve conservarsi per tutto lo
svolgimento della procedura ed anche durante
l'esecuzione del contratto (Consiglio Stato, sez. V, 09.04.2010, n. 1998; TAR
Lazio-Roma, sez. III, 03.11.2010, n.
33141).
Ammettere la regolarizzazione
successiva costituirebbe in senso contrario
un pericoloso vulnus al principio della par condicio
dei partecipanti in quanto costituirebbe la
premessa per una generalizzata sanatoria di
posizioni irregolari nell’ambito dei
pagamenti dei tributi da parte delle
imprese, nel quale l'obiettivo del
legislatore è proprio quello di verificare e
premiare comportamenti "virtuosi"
perché conformi agli obblighi di legge (TAR
Campania-Salerno, sez. I, 07.09.2010, n.
10763)
(massima tratta da
www.dirittodegliappaltipubblici.it - TAR Sicilia-Catania, Sez. I,
sentenza 14.04.2011 n. 931
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Non rileva che il concorrente abbia omesso
di di specificare di non aver subito
condanne per specifiche tipologie di reato,
in presenza di una dichiarazione ad ampio
spettro che esclude l'esistenza di alcuna
condanna penale.
Seppur sia mancata nella dichiarazione
presentata per partecipare alla procedura di
gara una espressa indicazione dell’assenza
di condanne per i singoli reati individuati
dalla legge (nell’ultima parte dell’art. 38,
lett. c) – vi è stata comunque una
dichiarazione ad ampio spettro che esclude
l’esistenza di alcuna condanna penale che
preclude la partecipazione alle gare
d’appalto; categoria nella quale, per
logica, devono essere senz’altro ricomprese
anche le condanne per gli “specifici” reati
considerati dalla legge come assolutamente
ostativi, ancorché non analiticamente
elencati.
La predetta conclusione nasce dal fatto che
lettura delle dichiarazioni prodotte ai fini
della partecipazione ad una gara di appalto
non deve essere animata dallo spirito di
rilevare il mero errore formale, o la
omissione innocua. Al contrario, deve essere
guidata da un serio intento di verifica
della posizione effettiva del concorrente,
governato dalle regole della logica, ed
indirizzato a vagliare la sussistenza
obbiettiva delle condizioni richieste dalla
legge e dal bando per partecipare a quella
selezione; a nulla rilevando l’eventuale
circostanza che il possesso dei requisiti
sia dichiarato attraverso una strutturazione
della domanda, o con espressioni lessicali,
diverse da quelle adoperate nel bando. Basti
riflettere, in proposito, sul fatto che
l’istanza di partecipazione alla gara è
destinata ad essere letta e vagliata
criticamente da funzionari pubblici, dotati
di competenza tecnico/giuridica, e non
inserita in un lettore ottico automatizzato
del tipo utilizzato nella correzione dei
quiz a risposta multipla che richiede
l’esatta compilazione di un “modulo”.
D’altra parte, sotto altro profilo, si
rileva che la dichiarazione parziale, o
incompleta, resa dalla concorrente non
avrebbe potuto condurre ex se all’esclusione
pretesa dalla ricorrente, ma a limite
avrebbe dovuto indurre la stazione
appaltante ad istruire ulteriormente la
domanda, chiedendo i chiarimenti e/o le
integrazioni previste dall’art. 46 del D.Lgs. 163/2006, specie in presenza di diffusi
modelli di domanda che -per quanto si è
detto sopra al punto c– risultano idonei a
fuorviare o indurre in errore i concorrenti.
Ed è evidente che l’esito
dell’approfondimento istruttorio ex art. 46
non avrebbe potuto rivelarsi sfavorevole
alla controinteressata, dato che si è
accertato ex post che nessuna condanna
penale (di nessun genere) risulta esserle
stata inflitta, come testimonia il
certificato del casellario giudiziale
prodotto
(massima tratta da
www.dirittodegliappaltipubblici.it - TAR Sicilia-Catania, Sez. I,
sentenza 14.04.2011 n. 920
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Plico
pervenuto aperto alla Commissione di gara -
Esclusione del partecipante - Legittimità -
Principi di par condicio e segretezza -
Invocabilità dell’art. 73, c. 1, d.lgs. n.
163/2006 - Esclusione - Ragioni.
La mera circostanza che il plico sia
pervenuto aperto alla Commissione di gara
implica l'esclusione della partecipante,
indipendentemente dal soggetto cui sia
addebitabile l'erronea apertura, stante
l'esigenza di assicurare la garanzia dei
principi di par condicio e di
segretezza delle offerte (cfr. TAR
Veneto, I, 19.07.2005, n. 2867, TAR Palermo-Sicilia, II, 13.03.2007, n. 810).
Non vale in contrario richiamare l’art. 73,
c. 1, del d.lgs. n. 163/2006, che prevede
opzioni alternative per la presentazione
delle domande di partecipazione alla gara
(telefono, via telematica) incompatibili con
un principio di segretezza. Affinché sia
praticabile detta soluzione alternativa
occorre infatti che il bando ne consenta la
modalità, ferma restando, tuttavia, la
necessità di garantire, anche in questi
casi, l’integrità delle buste fatte
pervenire alla stazione appaltante (TAR
Lazio-Roma, Sez. I-bis,
sentenza 13.04.2011 n. 3224 - link
a www.ambientediritto.it). |
APPALTI:
Appalti e offerte, valutazione
qualità/prezzo graduabile.
Deve ritenersi ammessa sia la possibilità di
attribuire una diversa percentuale nella
ripartizione del punteggio per l’offerta
economica e per quella tecnica
(privilegiando il profilo
tecnico-qualitativo rispetto a quello
economico) sia -come nel caso in esame-
stabilendo all’interno di quest’ultima la
graduazione del punteggio tra più elementi,
ciascuno dei quali meritevole di autonoma
considerazione.
L'articolo 83, comma 2, del d.lgs.
12.04.2006 n. 163 prevede che il bando di
gara ovvero, in caso di dialogo competitivo,
il bando o il documento descrittivo,
elencano i criteri di valutazione e
precisano la ponderazione relativa
attribuita a ciascuno di essi, anche
mediante una soglia, espressa con un valore
numerico determinato, in cui lo scarto tra
il punteggio della soglia e quello massimo
relativo all’elemento cui si riferisce la
soglia deve essere appropriato.
La norma ha recepito nel nostro ordinamento
l’articolo 53 della Direttiva CE 2004/18 e
l’articolo 55 della Direttiva CE 2004/17 ed
è finalizzata a assicurare l’individuazione
dell’offerta che presenta il migliore
rapporto qualità/prezzo, nonché la
trasparenza dell’attività amministrativa e
la parità di trattamento dei concorrenti,
per cui l’offerta economicamente più
vantaggiosa discende dalla valutazione
comparativa di più fattori previamente e
discrezionalmente individuati dalla stazione
appaltante e resi noti nel bando di gara,
che per l’appunto elenca i criteri (o
elementi) di valutazione e precisa la
ponderazione relativa attribuita a ciascuno
di essi.
Il quarto comma dell’articolo 83 soggiunge
infatti che il bando per ciascun criterio di
valutazione prescelto prevede ove
necessario, i sub-criteri e i sub-pesi o i
sub-punteggi e la stazione appaltante,
tramite la propria organizzazione ovvero uno
o più esperti, redige i criteri, i pesi, i
punteggi e le relative specificazioni da
indicare nel bando di gara.
Sul punto la sentenza appellata, nel
rigettare le censure, ha avuto modo di
esprimersi esplicitamente nel senso che il
collegio ritiene che, nelle gare bandite con
il sistema dell’offerta più vantaggiosa, è
integra la facoltà della stazione appaltante
di adottare la scelta più idonea a
selezionare il miglior offerente, la quale è
sottratta al sindacato giurisdizionale, se
non allorquando si presenti manifestamente
illogica o arbitraria.
In particolare, deve ritenersi ammessa sia
la possibilità di attribuire una diversa
percentuale nella ripartizione del punteggio
per l’offerta economica e per quella tecnica
(privilegiando il profilo
tecnico-qualitativo rispetto a quello
economico sia -come nel caso in esame-
stabilendo all’interno di quest’ultima la
graduazione del punteggio tra più elementi,
ciascuno dei quali meritevole di autonoma
considerazione.
Tale scelta deve corrispondere alle
specificità dell’appalto.
Nella fattispecie in questione, la già
ravvisata complessità delle prestazioni
tecniche rende necessario valutare tutte le
soluzioni proposte, sicché giustifica la
scelta di scindere le componenti
significative dell’offerta tecnica e
sottoporre ognuna di esse a separata
valutazione.
Orbene, è indubbio che le procedure quali
quella all’esame siano volte
all’acquisizione dell’offerta economicamente
più vantaggiosa nell’ambito della più ampia
partecipazione di concorrenti, ed è altresì
incontestabile che i requisiti di
partecipazione a tali procedure debbano
essere definiti nel modo più oggettivo e
chiaro possibile dal punto tecnico, sì da
prestarsi non a interpretazioni e
valutazioni meramente discrezionali,
pregiudizievoli per la stessa
partecipazione, bensì a verifiche e
accertamenti basati su parametri ben
individuati, di carattere matematico e
indiscutibile.
Ciò vale anche e soprattutto quando la
stazione appaltante intendesse porre
sbarramenti “minimi” prevedendo per di più
l’esclusione della concorrente ove al di
sotto di quei minimi (commento tratto da
link a www.ipsoa.it - Consiglio di Stato,
Sez. III,
sentenza 13.04.2011 n. 2295 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Non è necessaria la previa
presentazione della domanda di
partecipazione ai fini dell'impugnazione del
bando stesso, in presenza di c.d. clausole
escludenti.
In caso di presenza di c.d. clausole
escludenti, che cioè impediscono la
formazione dell'offerta, non è necessaria la
previa presentazione della domanda di
partecipazione ai fini dell'impugnazione del
bando stesso. In particolare, la
giurisprudenza comunitaria ha affermato la
necessità di impugnare gli atti della
procedura di gara qualora si assuma
un'incidenza discriminatoria nei confronti
delle proprie domande.
È stato poi ritenuto che quando la
partecipazione alla procedura è preclusa
dallo stesso bando, sussiste l'interesse a
gravare la relativa determinazione a
prescindere dalla mancata presentazione
della domanda, posto che la presentazione
della stessa si risolve in un adempimento
formale inevitabilmente seguito da un atto
di esclusione, con un risultato analogo a
quello di un'originaria preclusione e perciò
privo di una effettiva utilità pratica.
Diversamente avviene per l'impugnativa
riguardante l'aggiudicazione da parte di un
soggetto che non ha partecipato alla gara di
cui si chiede l'annullamento. Infatti, la
domanda giudiziale volta alla caducazione
degli atti di una procedura concorsuale di
cui si contesti la legittimità presuppone
che l'attore qualifichi e differenzi il
proprio interesse in termini di attualità e
concretezza, ex art. 100 c.p.c, mediante la
proposizione della domanda di partecipazione
alla gara e la formulazione della propria
offerta (TAR Puglia-Lecce, Sez. II,
sentenza 13.04.2011 n. 684 - link
a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Provvedimento
di localizzazione di parcheggio pubblico -
Impugnazione - Carenza di interesse attuale
- Ragioni.
La mera localizzazione di un parcheggio
pubblico -che non è né una discarica, né
un’area industriale/artigianale, né un
condominio con parecchi appartamenti, opere
che determinano inevitabilmente un
peggioramento delle condizioni di vita della
zona- non incide di per sé sulla maggiore o
minore vivibilità dell’area in cui esso è
localizzato, essendo conseguenza la stessa
delle concrete modalità con cui verrà
inglobata nella zona la costruzione.
Ne consegue che deve essere dichiarato
inammissibile il ricorso avverso tale
provvedimento per carenza di interesse
attuale (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 13.04.2011 n. 551 - link
a www.ambientediritto.it). |
SICUREZZA LAVORO: AMIANTO
- Prescrizioni vincolanti sullo svolgimento
dei lavori di demolizione o rimozione -
Potere dell’ASL - Attribuzione - d.lgs. n.
106/2009, art. 118, c. 1, lett. c) - Art.
256 d.lgs. n. 81/2008.
Il potere di impartire prescrizioni
vincolanti sullo svolgimento dei lavori di
demolizione o rimozione dell’amianto, è
stato attribuito all’ASL solo con l’art.
118, comma 1, lettera c), del d.lgs.
03.08.2009 n. 106, in vigore dal 20 agosto
successivo, che ha aggiunto un capoverso in
tal senso al citato art. 256 d. lgs. 81/2008
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 13.04.2011 n. 549 - link
a www.ambientediritto.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA: RIFIUTI
- Deposito temporaneo - Trasporto in luogo
diverso da quello di produzione - Divieto -
Art. 183, c. 1, lett. bb), d.lgs. n.
152/2006.
Ai sensi dell’art. 183 comma 1 lettera bb)
del d. lgs. 152/2006, in materia di deposito
temporaneo, non è contemplato né consentito
il movimento dei rifiuti in luogo diverso da
quello di produzione.
RIFIUTI - Art. 183, c.
1, lett. aa), d.lgs. n. 152/2006 - Deposito
effettuato in luogo estraneo a quello di
produzione - Stoccaggio.
Ai sensi dell’art. 183, comma 1, lettera aa),
del d. lgs. 152/2006, lo stoccaggio
comprende fra l’altro “le attività di
smaltimento consistenti nelle operazioni di
deposito preliminare di rifiuti di cui al
punto D15 dell'allegato B alla parte quarta
del presente decreto”; esaminando poi
l’allegato richiamato, si ricava che è
appunto stoccaggio il deposito preliminare
ad una operazione di smaltimento,e che dal
concetto di stoccaggio è escluso il deposito
temporaneo dei rifiuti “nel luogo in cui
sono prodotti”.
Ne deriva che non può considerarsi deposito
temporaneo (nella specie, di lastre di
amianto) il deposito effettuato in luogo
estraneo a quello di produzione dei rifiuti:
trattandosi di fase prodromica allo
smaltimento, esso va invece correttamente
qualificato come stoccaggio (TAR
Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 13.04.2011 n. 549 - link
a www.ambientediritto.it). |
APPALTI:
Sull'applicabilità delle
disposizioni di cui all'art. 11, c. 10, del
D.lgs. n. 163/2006, anche alle procedure di
affidamento mediante cottimo fiduciario.
Le disposizioni di cui all'art. 11, c. 10,
del D.lgs. n. 163/2006, sono applicabili
anche alle procedure di affidamento mediante
cottimo fiduciario, in quanto l'obbligo di
comunicare l'aggiudicazione definitiva e la
c.d. clausola stand still sono
riconducibili al principio di trasparenza
che, in base all'art. 125, c. 11, del
medesimo decreto deve trovare applicazione
anche in detta procedura. La clausola
stand still, inoltre, è funzionale a
garantire la tempestività e l'efficacia
dell'esercizio del diritto di agire in
giudizio da parte dei concorrenti che si
ritengano ingiustamente pregiudicati
dall'esito della gara.
Poiché tale obiettivo è privilegiato
dall'ordinamento nazionale ed europeo
rispetto alla celerità nella conclusione del
contratto, tanto i menzionati obblighi
informativi di cui all'art. 79, quanto la
clausola stand still di cui all'art.
11, c. 10, sono applicabili anche al cottimo
fiduciario, perché finalizzati ad assicurare
l'effettività di un principio fondamentale
nel settore dei contratti pubblici, che non
attiene specificamente alle modalità di
svolgimento della gara, a cui fa riferimento
il citato c. 11 dell'art. 125 (TAR
Lazio-Roma, Sez. II-ter,
sentenza 11.04.2011 n. 3169 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Istanza di condono senza sanatoria
anticipata.
La mera presentazione
dell'istanza di condono non autorizza la
prosecuzione dei lavori abusivi a
completamento delle opere oggetto della
richiesta di sanatoria, le quali, fino al
momento dell'eventuale accoglimento della
domanda di condono, devono ritenersi
comunque abusive. Laddove poi si tratti di
opere eseguite in area vincolata –come nella
specie- occorre che venga acquisito il
parere delle autorità competenti ed è
inapplicabile il meccanismo del silenzio
assenso, alla luce delle disposizioni di cui
alla legge summenzionata. Pertanto
l’ingiunzione di demolizione è del tutto
legittima atteso che in presenza di
manufatti abusivi non condonati né sanati,
gli interventi ulteriori (sia pure
riconducibili, nella loro oggettività, alle
categorie della manutenzione straordinaria,
del restauro e/o risanamento conservativo,
della ristrutturazione, della realizzazione
di opere costituenti pertinenze
urbanistiche) ripetono le caratteristiche di
illegittimità dell'opera principale, alla
quale ineriscono strutturalmente, sicché non
può ammettersi la prosecuzione dei lavori
abusivi a completamento di opere che, fino
al momento di eventuali sanatorie, devono
ritenersi comunque abusive, con conseguente
obbligo del Comune di ordinarne la
demolizione.
Ciò non significa negare in assoluto la
possibilità di intervenire su immobili
rispetto ai quali pende istanza di condono,
ma solo affermare che, a pena di
assoggettamento della medesima sanzione
prevista per l'immobile abusivo cui
ineriscono, ciò deve avvenire nel rispetto
delle procedure di legge, ovvero
segnatamente dell'art. 35, l. n. 47 del
1985.
Detta norma consente -in presenza dei
richiesti presupposti, fra i quali che si
tratti di opere di cui all'art. 31, non
comprese tra quelle indicate nell'art. 33-
queste non suscettibili di sanatoria in
quanto incidenti su aree gravate da vincoli
di inedificabilità assoluta- il
completamento sotto la propria
responsabilità di quanto già realizzato e
fatto oggetto di domanda di condono edilizio
solo al decorso del termine dilatorio di
trenta giorni dalla notifica al Comune del
proprio intendimento, con allegazione di
perizia giurata ovvero documentazione avente
data certa in ordine allo stato dei lavori
abusivi.
Pertanto alcun rilievo hanno i riferimenti
di parte ricorrente circa l’impossibilità
per l’Amministrazione di demolire opere
oggetto di condono, da intendersi esitato
con silenzio assenso con il decorso del
termine di ventiquattro mesi dalla
presentazione dell’istanza (primo motivo),
ovvero comunque in pendenza della
definizione del procedimento di condono
(secondo motivo), essendo stata la
rimessione in pristino disposta con
l’ordinanza gravata con il ricorso
principale adottata in relazione alle opere
successivamente realizzate dalla ricorrente
e non rientranti nel progetto di condono.
In ogni caso, a prescindere da tali
assorbenti rilievi, il primo motivo di
ricorso è infondato anche laddove postula
che la domanda di condono doveva intendersi
definita positivamente per silenzio assenso.
Infatti in tema di condono edilizio, il
silenzio-assenso previsto dall'art. 35, l.
n. 47 del 1985 non si forma per il solo
fatto dell'inutile decorso del termine
indicato da tale norma (ventiquattro mesi
dalla presentazione dell'istanza) e del
pagamento dell'oblazione, senza alcuna
risposta del Comune, ma occorre altresì la
prova della ricorrenza dei requisiti
soggettivi ed oggettivi stabiliti dagli art.
31 e ss. della stessa legge cui è
subordinata l'ammissibilità del condono.
Parte ricorrente non ha al riguardo dato
prova della ricorrenza di tutti i requisiti
per la condonabilità delle opere oggetto
dell’istanza di condono, né della
completezza della documentazione, per cui
alcuna prova vi è che l’istanza in oggetto
si sia definita per silenzio assenso.
Il termine biennale per la formazione del
silenzio assenso su domanda di condono
edilizio, previsto dall'art. 35, l.
28.02.1985 n. 47, non decorre qualora la
domanda sia carente dei documenti necessari
ad identificare compiutamente le opere
oggetto della richiesta sanatoria e dunque
quando manchi la prova concreta della
sussistenza dei requisiti soggettivi ed
oggettivi richiesti, con la conseguenza che
il termine di ventiquattro mesi, fissato
dall'amministrazione comunale per
determinarsi sull'istanza stessa decorre, in
caso di incompletezza della domanda o della
documentazione inoltrata a suo corredo,
soltanto dal momento in cui dette carenze
sono state eliminate.
Inoltre la zona in cui sono stati realizzati
gli interventi de quibus è sottoposta
a vincolo, ex L.R. n. 35/1987, come si
evince dal gravato provvedimento, per cui il
silenzio assenso dell'amministrazione
comunale si poteva formare, ferma restando
la necessità della ricorrenza dei requisiti
oggettivi e soggettivi per la condonabilità
delle opere, in relazione al disposto
dell'art. 32 della stessa L. n. 47/1985, con
il decorso del termine di ventiquattro mesi
dalla conclusione in senso favorevole per
l’istante del procedimento relativo al
rilascio del parere dell’autorità preposta
alla tutela del vincolo.
Del pari infondato è il secondo motivo di
ricorso, laddove si afferma il difetto di
motivazione e di istruttoria del gravato
provvedimento, per non avere
l’Amministrazione considerato la sanabilità
delle opere di cui è causa e in
considerazione della scarsa incidenza delle
opere medesime sull’assetto urbanistico.
Ed invero presupposto per l’adozione
dell’ordine di demolizione di opere abusive
è soltanto la constatata esecuzione di un
intervento edilizio in assenza del
prescritto titolo abilitativo, con la
conseguenza che, essendo tale ordine un atto
dovuto, esso è sufficientemente motivato con
l’accertamento dell’abuso, e non necessita
di una particolare motivazione in ordine
all’interesse pubblico alla rimozione
dell’abuso stesso, -che è in re ipsa,
consistendo nel ripristino dell’assetto
urbanistico violato- ed alla possibilità di
adottare provvedimenti alternativi.
Pertanto alcuna valutazione sulla sanabilità
delle opere de quibus doveva essere
effettuata dall’Amministrazione in quanto le
opere medesime non hanno formato oggetto di
alcuna istanza di sanatoria; pertanto
l’ingiunzione di demolizione si giustifica
con il mero richiamo alla realizzazione
delle stesse in assenza del prescritto
permesso di costruire.
Inoltre le opere de quibus, come
detto, costituiscono opere di completamento
di un fabbricato da ritenersi abusivo fino
al momento della definizione del
procedimento di condono, per cui ripetono le
caratteristiche di abusività dell’immobile
principale al quale accedono, secondo la
richiamata giurisprudenza.
Infine tali opere necessitavano comunque di
permesso di costruire, a prescindere dalla
circostanza che trattasi di opere di
completamento di un fabbricato rispetto al
quale non era stato ancora concesso il
condono, in quanto trattasi per lo più di
opere esterne –opere murarie e di tettoie di
rilevanti dimensioni– incidenti sui
prospetti, realizzate tra l’altro in zona
sottoposta a vincolo ex L.R. n. 35/1987.
Gli interventi consistenti
nell’installazione di tettoie o di altre
strutture che siano comunque apposte a parti
di preesistenti edifici come strutture
accessorie di protezione o di riparo di
spazi liberi (cioè non compresi entro
coperture volumetriche previste in un
progetto assentito), possono ritenersi
sottratti al regime della concessione
edilizia (oggi permesso di costruire)
soltanto ove la loro conformazione e le loro
ridotte dimensioni rendano evidente e
riconoscibile la loro finalità di arredo o
di riparo e protezione (anche da agenti
atmosferici) dell’immobile cui accedono.
Invece tali strutture non possono ritenersi
installabili senza permesso di costruire
allorquando abbiano dimensioni, come
nell’ipotesi di specie, tali da arrecare una
visibile alterazione del prospetto
dell’edificio
Del pari necessitava di permesso di
costruire, ex art. 10 D.P.R. 380/2001, la
realizzazione del bagno nel locale
sottoscale, in considerazione dell’aumento
di superficie connesso alla trasformazione
della superficie non residenziale del locale
sottoscala nel quale lo stesso è stato
realizzato a superficie residenziale, con
conseguente aumento superficie (commento
tratto da link a www.ipsoa.it - TAR
Campania-Napoli, Sez. VII,
sentenza 08.04.2011 n. 1999 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA: Il
Comune è obbligato a reintegrare la
disciplina urbanistica a seguito della
decadenza dei vincoli preordinati all'esproprio.
La decadenza dei vincoli urbanistici
preordinati all’esproprio comporta l’obbligo
per il Comune di “reintegrare” la disciplina
urbanistica dell’area interessata dal
vincolo decaduto con una nuova
pianificazione.
Ne consegue che il
proprietario dell’area interessata può
presentare un’istanza, volta a ottenere
l’attribuzione di una nuova destinazione
urbanistica - così come è avvenuto nel caso
in esame - e l’amministrazione è tenuta ad
esaminarla, anche nel caso in cui la
richiesta medesima non sia suscettibile di
accoglimento, con l’obbligo di motivare
congruamente tale decisione
(massima tratta da
www.dirittodegliappaltipubblici.it - TAR
Sicilia-Palermo, Sez. II,
sentenza 08.04.2011 n.
690
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
SICUREZZA - Certificato di
prevenzione incendi - Art. 3, c. 5 d.P.R. n.
37/1998 - Dichiarazione di avvenuto rispetto
delle prescrizioni antincendio, in attesa
del sopralluogo dei VV.F. - Efficacia -
Termine - Individuazione.
L’art. 3, comma 5 del D.P.R. n. 37/1998,
dopo aver stabilito che “l’interessato,
in attesa del sopralluogo può presentare una
dichiarazione (…) con la quale attesta che
sono state rispettate le prescrizioni
vigenti in materia di sicurezza antincendio
e si impegna al rispetto degli obblighi
connessi all’esercizio dell’attività” e
ulteriormente “che il comando rilascia
all’interessato contestuale ricevuta
del’avvenuta presentazione della
dichiarazione, che costituisce, ai soli fini
antincendio, autorizzazione provvisoria
all’esercizio dell’attività”, non
subordina a limiti temporali l’attitudine
sostitutiva della dichiarazione di avvenuto
rispetto delle prescrizioni antincendio
-debitamente presentata al Comando dei VV.F.
unitamente alla richiesta del sopralluogo-
la quale è pertanto idonea a surrogare il
formale certificato di prevenzione incendi
non solo fino allo spirare del termine
legale di conclusione del relativo
procedimento, ma anche fino alla data di
effettuazione del sopralluogo e di emissione
del conseguente certificato, non potendosi
riverberare sulla sfera giuridica del
privato l’eventuale ritardo dell’Organismo
tecnico competente all’espletamento delle
incombenze connesse all’ottenimento della
contestata abilitazione.
SICUREZZA - Certificato
di prevenzione incendi - Appaltatore e
subappaltatore - Artt. 26 e 46 d.lgs. n.
81/2008 - Requisito di partecipazione alle
gare d’appalto - Esclusione.
L’art. 26 del d.lgs. n. 81/2008, inerente
gli obblighi in materia di sicurezza a
carico dell’appaltatore e del
subappaltatore, non fa menzione del possesso
del certificato di prevenzione incendi, il
quale non è del resto neanche indicato
dall’art. 46 come requisito di
partecipazione alle gare d’appalto (TAR
Piemonte, Sez. I,
sentenza 08.04.2011 n. 366 - link a www.ambientediritto.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA: INQUINAMENTO
ACUSTICO - Classificazione acustica -
Mancanza - Limiti differenziali -
Operatività - Esclusione - Art. 8, c. 1,
D.P.C.M. 14/11/1997.
Nelle more della classificazione del
territorio comunale ai sensi dell'art. 6,
comma 1, lett. a), della L. n. 447 del 1995,
sono operativi i limiti c.d. "assoluti"
di rumorosità, ma non anche quelli c.d. "differenziali"
(v. TAR Puglia Bari, sez. I, 14.05.2010, n.
1896; TAR Emilia Romagna Parma, sez. I,
01.07.2008, n. 385, TAR Puglia -LE- sez. I,
13/06/2007 n. 2334; TAR Lombardia -MI- sez.
I, 01/03/2004 n. 813; TAR Veneto, sez. III,
31/03/2004 n. 847).
Alla base di tale indirizzo vi è l'univoca
formulazione dell'art. 8, comma 1, del
D.P.C.M. 14/11/1997, secondo cui in attesa
che i comuni provvedano agli adempimenti
previsti dall'art. 6, c. 1, lett. a) della
L. n. 447/1995, si applicano i limiti di cui
all'art. 6, c. 1, del D.P.C.M. 01.03.1991.
Da tale norma si evince che, ove si fosse
voluto far sopravvivere integralmente il
regime transitorio di cui all'art. 6 del
decreto (primo comma relativo ai c.d. limiti
"assoluti" e secondo comma relativo
ai c.d. limiti "differenziali"),
sarebbe stato evidentemente necessario
operare il rinvio ad ambedue le fattispecie
e quindi non al solo primo comma (TAR Friuli
Venezia Giulia, Sez. I,
sentenza 08.04.2011 n. 183 - link
a www.ambientediritto.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI: ASSOCIAZIONI
E COMITATI - DIRITTO DEI CONSUMATORI -
Associazioni di consumatori - Potere
generalizzato di accesso ai documenti
riferiti all’attività di un gestore di
servizio pubblico - Inconfigurabilità - Art.
140 Codice dei consumatori - Estensione.
La titolarità (o la rappresentatività) degli
interessi diffusi non giustifica un
generalizzato e pluricomprensivo diritto
alla conoscenza di tutti i documenti
riferiti all’attività di un gestore del
servizio ma solo degli atti, relativi a
servizi rivolti ai consumatori, che
incidono, in via diretta ed immediata, e non
in via meramente ipotetica e riflessa, sui
loro interessi.
Né tale potere generalizzato di accesso può
farsi discendere dall’art. 140 del Codice
dei consumatori, approvato con D.L.vo
06.09.2005 n. 206, giacché detta norma, nel
regolamentare le modalità di tutela degli
interessi collettivi, non contempla un
generale potere di accesso a fini ispettivi,
ma esplicitamente limita la tutela degli
interessi collettivi (per la quale sono
legittimate ad agire le associazioni) ad
ipotesi specifiche, ed in particolare
all’inibitoria giudiziale degli atti e
comportamenti lesivi degli interessi dei
consumatori e degli utenti (sub lett. a),
all’adozione di “misure idonee” a
correggere ed eliminare gli effetti dannosi
delle violazioni accertate (sub lett. b) ed
alla pubblicazione del provvedimento su
quotidiani nazionali o locali (sub lett. c)
(Cons. Stato, VI Sez., 10.02.2006 n. 555)
(TAR Lazio-Roma, Sez. III-quater,
sentenza 07.04.2011 n. 3102 - link
a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Nozione
di pertinenzialità - Differenziazione
rispetto alla nozione civilistica.
In materia urbanistica la nozione di
pertinenzialità ha peculiarità sue proprie
che la differenziano da quella civilistica,
atteso che il manufatto deve essere non solo
preordinato ad una oggettiva esigenza
dell’edificio principale e funzionalmente
inserito al suo servizio, ma deve essere,
oltre che di volume modesto affinché non
comporti il c.d. carico urbanistico, altresì
sfornito di autonoma destinazione ed
autonomo valore di mercato in virtù
dell’instaurazione di un legame
giuridico-funzionale stabile tra pertinenza
e singola unità immobiliare; legame a causa
del quale l’una e l’altra non possano
utilizzarsi e disporsi separatamente (cfr.,
tra le tante, Cons. Stato, Sez. IV
17.05.2010 n. 3127, 15.09.2009 n. 5509,
23.07.2009 n. 4636 e 07.07.2009 n. 3379)
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 07.04.2011 n. 2159 - link a www.ambientediritto.it). |
APPALTI:
Informative prefettizie ex articolo 10, lett.
b), dpr 252/1998: la discrezionalità delle
valutazioni effettuate dal prefetto è
sindacabile solo sotto il profilo della
illogicità, incoerenza o inattendibilità.
Nel rendere le informazioni richieste ai
sensi dell'art. 10 del D.P.R. 03.06.1998, n.
252, il Prefetto non deve basarsi su
specifici elementi, ma deve effettuare la
propria valutazione sulla scorta di uno
specifico quadro indiziario, ove assumono
rilievo preponderante i fattori induttivi
della non manifesta infondatezza che i
comportamenti e le scelte dell'imprenditore
possano rappresentare un veicolo di
infiltrazione delle organizzazioni criminali
negli appalti delle pubbliche
amministrazioni
(massima tratta da
www.dirittodegliappaltipubblici.it - TAR
Sicilia-Palermo, Sez. I,
sentenza 07.04.2011 n. 679
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Gazebo
- Natura di costruzione - Volume edilizio -
Esclusione.
Un gazebo, costituito da quattro colonne con
sovrastante copertura, non configura un
volume edilizio, essendo aperta su tutti i
lati, e dunque non è soggetta a concessione
edilizia (TAR Piemonte, sez. I, 19.11.2010,
n. 4158): esso può senza dubbio essere
qualificato come arredo per spazi esterni e
non già come costruzione, tale da richiedere
una concessione edilizia (Tribunale di
Napoli, 18.12.2004) (TAR Lombardia-Brescia,
Sez. II,
sentenza 07.04.2011 n. 526 - link a www.ambientediritto.it). |
APPALTI:
DURC irregolare? Ditta esclusa
dalla gara di appalto.
Con la
sentenza 04.04.2011 n. 2100, il
Consiglio di Stato -Sez. VI- ha affermato
-diversamente rispetto a quanto espresso in
una recente sentenza (C.d.S. n. 1228
depositata in segreteria il 24.02.2011)- che
una sola violazione contributiva con un DURC
non in regola, è motivo di esclusione da una
gara pubblica.
Con ricorso proposto al TAR per il Veneto
una società impugnava il provvedimento di
esclusione dalla gara per l’affidamento di
un servizio di progettazione, indetta dalla
Camera di commercio industria artigianato e
agricoltura di un Comune della Regione
Veneto, con l’ulteriore sanzione consistente
nella segnalazione all’Autorità di vigilanza
sui contratti pubblici per l’annotazione sul
casellario da questa tenuto.
Alla suddetta determinazione la stazione
appaltante perveniva sul rilievo che la
società ricorrente non era in possesso, alla
data di scadenza del termine di
presentazione dell’offerta, del requisito di
regolarità contributiva, secondo quanto
previsto dall’art. 38, comma 1, lett. i) del
d.lgs. 12.04.2006, n. 163 (cd. Codice degli
Appalti Pubblici) e dall’alleg. A), lett. l)
alla lettera di invito, ed aveva altresì sul
punto presentato una dichiarazione non
veritiera.
Si evidenzia che l’art. 38, comma 1, lettera
i), del D.Lgs. n. 163 del 2006 dispone, per
la parte che qui rileva, che “(…) sono
esclusi dalla partecipazione alle procedure
di affidamento delle concessioni e degli
appalti di lavori, forniture e servizi, né
possono essere affidatari di subappalti, e
non possono stipulare i relativi contratti i
soggetti (...) che hanno commesso violazioni
gravi, definitivamente accertate, alle norme
in materia di contributi previdenziali e
assistenziali, secondo la legislazione
italiana o dello Stato in cui sono stabiliti
(…)”.
Una recente sentenza.
Il
Consiglio di Stato su un argomento molto
simile a quello oggetto del presente
commento, ha affermato che i debiti
previdenziali di entità minima non possono
causare l’esclusione dalla partecipazione a
gare di appalto pubbliche da parte delle
imprese private; una ditta partecipante ad
una gara d'appalto, qualora il bando di gara
richieda genericamente, come nel caso di
specie, una sua dichiarazione di
insussistenza delle cause di esclusione di
cui all'art. 38, comma 1, lett. i), del
d.lgs. n. 163/2006, può essere escluso
soltanto qualora la stazione appaltante sia
oggettivamente certa che l'eventuale debito
contributivo dichiarato sia grave e
definitivamente accertato, e cioè non
esistano in atti di gara elementi che
possano condurre a diversa conclusione,
mediante accertamenti ulteriori.
Il Consiglio di Stato evidenzia, inoltre,
che soltanto quando il bando richieda che
debbano essere dichiarate tutte le
violazioni contributive in cui il
concorrente sia eventualmente incorso, può
dedursi che lo stesso bando esiga una
dichiarazione dal contenuto più ampio e più
puntuale rispetto a quanto prescritto
dall'art. 38 del D.Lgs. 163/2006; infatti,
soltanto in tali ipotesi può decidersi che
la stazione appaltante si sia riservata una
valutazione più ampia di gravità o meno
dell'illecito per poter procedere
all'esclusione dalla gara, in ragione di una
causa che non sia solo quella, sostanziale,
dell'essere stata commessa una grave
violazione (nella specie contributiva), ma
anche quella, formale, di aver omesso una
dichiarazione prescritta dal bando.
La sentenza n. 2100 del
Consiglio di Stato.
I
giudici di Palazzo Spada, nella parte del
dispositivo della sentenza che è di
interesse per l’argomento oggetto del
presente commento, affermano che
l’intrinseca gravità dell’omissione
contributiva del DURC (documento unico di
regolarità contributiva) rilasciato dagli
istituti di previdenza ha attestato una
situazione di inadempienza per un importo di
euro 14.000,00, riferito a tre periodi di
contribuzione (mesi di luglio, agosto,
settembre 2008).
Applicando i parametri di cui all’art. 8,
comma 3, del DM 24.10.2007 che individuano
come cause non ostative al rilascio del
documento di regolarità contributiva uno
scostamento di euro 100,00 rispetto al
dovuto, o non superiore al 5% fra le somme
dovute e quelle versate, con riferimento a
ciascun periodo di paga o di contribuzione,
la violazione accertata supera entrambi
detti limiti di tolleranza.
Con riguardo, in particolare, allo
scostamento percentuale, l’omissione
contributiva è stata totale per tre periodi
di contribuzione e, ragguagliata all’ intero
arco annuale di contribuzione, supera
ampiamente il limite di tolleranza del 5 %.
La decisione della stazione appaltante di
esclusione dalla gara non si configura
pertanto irragionevole, in raffronto ai
parametri che in via ordinaria presiedono il
rilascio del DURC, né sproporzionata al fine
perseguito dalla disciplina sui requisiti di
ammissione alle gare pubbliche che, con “riguardo
alla c.d. correntezza contributiva, eleva ad
elemento di affidabilità della ditta
contraente il corretto assolvimento degli
obblighi di contribuzione nei confronti
delle maestranze ed, allo stesso tempo, ne
rafforza l’ adempimento a salvaguardia di
diritti non disponibili del lavoratore”.
Il requisito di correntezza contributiva ,
osservano i giudici amministrativi del
Consiglio di Stato, va posseduto, come ogni
altro requisito di ammissione, alla data di
scadenza per la presentazione della domanda
di partecipazione e non esplica effetto
sanante, la sua regolarizzazione in data
successiva (commento tratto da link a
www.ipsoa.it - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: BENI
CULTURALI E AMBIENTALI - Annullamento
dell’autorizzazione paesaggistica - Termine
di sessanta giorni - Decorrenza -
Individuazione.
La decorrenza del termine di sessanta
giorni, previsto dall'art. 82, nono comma,
d.P.R. n. 616 del 1977, per l'esercizio del
potere di annullamento, da parte del
Ministero dei beni culturali ed ambientali,
dell'autorizzazione paesaggistica ex art. 7
l. 29.06.1939, n. 1497, inizia solo dal
momento in cui la documentazione perviene,
completa, all'organo competente a decidere,
a meno che l'interruzione del termine non
risulti pretestuosa e persegua fini
meramente dilatori (Cons. Stato, VI,
19.06.2001, n. 3233) (Consiglio di Stato,
Sez. VI,
sentenza 04.04.2011 n. 2087 - link a www.ambientediritto.it). |
APPALTI:
Variazioni sul progetto a base di
gara.
Il Consiglio di Stato sull'ammissibilità o
meno di offerte che prevedono variazioni
rispetto al progetto posto a base di gara.
Il Consiglio di Stato, Sez. V,
con la
sentenza
29.03.2011 n. 1925, riformando
parzialmente la precedente pronuncia dei
TAR, si esprime sull'ammissibilità o meno di
offerte che prevedono variazioni rispetto al
progetto posto a base di gara; ricordando
che la previsione esplicita della
possibilità di presentare varianti
progettuali in sede di offerta, già
contemplata dalla Legge Merloni 109/1994, è
stata generalizzata dall'art. 76 del Codice
dei contratti pubblici con riferimento al
criterio di aggiudicazione dell'offerta
economicamente più vantaggiosa appalto. La
stazione appaltante, in sede di redazione
della lex specialis costituita dal
bando di gara, deve indicare se le varianti
sono ammesse e, in caso affermativo,
identificare i loro requisiti minimi.
Il Consiglio di Stato ricorda come la
ratio della scelta normativa riposi
sulla circostanza che, allorquando il
sistema di selezione delle offerte sia
basato sul criterio dell'offerta
economicamente più vantaggiosa, la stazione
appaltante abbia maggiore discrezionalità
nella scelta del contraente, valutando non
solo indicatori matematici ma la complessità
dell'offerta proposta, sicché nel corso del
procedimento di gara potrebbero rendersi
necessari degli aggiustamenti rispetto al
progetto base elaborato
dall'amministrazione; nel caso invece di
offerta selezionata col criterio del prezzo
più basso, poiché tutte le condizioni
tecniche sono predeterminate al momento
dell'offerta e non vi è alcuna ragione per
modificare l'assetto contrattuale, non è mai
ammessa la possibilità di presentare
varianti.
Tuttavia, a prescindere dalla espressa
previsione di varianti progettuali in sede
di bando, deve ritenersi insito nella scelta
del criterio selettivo dell'offerta
economicamente più vantaggiosa che, anche
quando il progetto posto a base di gara sia
definitivo, sia consentito alle imprese
proporre quelle variazioni migliorative rese
possibili dal possesso di peculiari
conoscenze tecnologiche, purché non si
alterino i caratteri essenziali delle
prestazioni richieste dalla lex specialis
onde non ledere la par condicio dei
concorrenti. Vengono quindi richiamati e
confermati i criteri guida elaborati dalla
giurisprudenza, relativi alle varianti in
sede di offerta nelle gare di appalto; i
quali prevedono che:
• debbano ritenersi ammesse varianti
migliorative riguardanti le modalità
esecutive dell'opera o del servizio, purché
non si traducano in una diversa ideazione
dell'oggetto del contratto, che si ponga
come del tutto alternativo rispetto a quello
voluto dalla p.a.;
• risulti essenziale che la proposta tecnica
sia migliorativa rispetto al progetto base,
che l'offerente dia contezza delle ragioni
che giustificano l'adattamento proposto e le
variazioni alle singole prescrizioni
progettuali, che si dia la prova che la
variante garantisca l'efficienza del
progetto e le esigenze della p.a. sottese
alla prescrizione variata;
• vada riconosciuto un ampio margine di
discrezionalità alla commissione
giudicatrice, trattandosi dell'ambito di
valutazione dell'offerta economicamente più
vantaggiosa (commento tratto da
www.legislazionetecnica.it - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Appalti pubblici e CTU sulle
valutazioni tecnico-discrezionali.
Con la
sentenza
28.03.2011 n. 1871, la IV Sezione del
Consiglio di Stato mette a fuoco l’ambito di
applicazione della consulenza tecnica
d’ufficio negli appalti pubblici.
La pronuncia non è importante solo per le
considerazioni effettuate in ordine alla
ratio ed alle finalità che assume la CTU
nel giudizio amministrativo, ma soprattutto
perché, nel richiamare le concrete modalità
con la quale la CTU è stata espletata nel
corso del giudizio, i Giudici di Palazzo
Spada indicano l’operato del Consulente
quasi come un modello di riferimento per
l’espletamento delle future consulenze
tecniche, ai fini del sindacato
giurisdizionale dell’operato di una
Commissione di gara.
La vicenda trae origine in seguito alla
procedura ristretta indetta per
l’affidamento, a contraente generale, delle
attività di realizzazione con del Macrolotto
n. 2 Autostrada SA-RC, da aggiudicarsi con
il criterio dell’offerta economicamente più
vantaggiosa.
Intervenuta l’aggiudicazione della gara in
favore di un Consorzio stabile, il R.T.I.
secondo in graduatoria proponeva dapprima
ricorso al TAR Lazio e poi, in seguito al
rigetto, appellava al Consiglio di Stato.
Ai fini della decisione della controversia,
e per valutare le censure sollevate dalle
parti in relazione all’operato della
Commissione giudicatrice, i giudici
disponevano una consulenza tecnica
d’ufficio.
In particolare, la consulenza doveva
valutare la ragionevolezza dell’operato
della Commissione in relazione ai punteggi
assegnati alle offerte tecniche delle parti
in causa.
Il Consiglio di Stato, all’esito delle
operazioni peritali, ha respinto l’appello
principale ritenendolo infondato.
Ripercorrendo i passi principali della
decisione si evidenzia come il Collegio,
prima di valutare l’operato della
Commissione di gara, ha delineato in maniera
chiara e precisa il ruolo che la CTU assume
nel giudizio amministrativo: “... la
Sezione è ben consapevole dei rischi di
un’ingerenza del sindacato giurisdizionale
in una sfera di valutazioni discrezionali
(quelle relative al giudizio sugli elementi
delle offerte tecniche e sulla
consequenziale attribuzione dei punteggi)
pacificamente riservata all’Amministrazione;
tuttavia, è ormai da circa un decennio che
la giurisprudenza è approdata a una più
chiara consapevolezza della demarcazione
esistente tra le valutazioni di opportunità
afferenti alla discrezionalità “pura”,
ovvero addirittura al merito amministrativo,
e quelle che la p.a. è chiamata a condurre
alla stregua di regole tecniche richiamate
dalla stessa legge: si è così pervenuti ad
ammettere da parte del giudice un sindacato
non soltanto limitato alla verifica di
coerenza logica tra le regole
tecnico-scientifiche cui si è fatto ricorso
nella scelta discrezionale e la
determinazione conclusiva (c.d. sindacato
estrinseco), ma bensì esteso anche alla
stessa attendibilità delle operazioni
tecniche e dei loro risultati (c.d.
sindacato intrinseco). Secondo l’indirizzo
ormai prevalente, un tale sindacato va
condotto sotto il duplice profilo della
correttezza del criterio tecnico individuato
dalla p.a. e della correttezza del
procedimento seguito dalla stessa Autorità
per l’applicazione del criterio tecnico
prescelto, e si giustifica sulla base della
netta distinzione tra la “opinabilità” che
caratterizza le valutazioni tecniche e la
“opportunità” che connota invece le scelte
di merito, tale da rendere da un lato
giustificata e ragionevole la riserva delle
seconde all’amministrazione, ma al tempo
stesso doveroso e imprescindibile il
controllo di legalità (anche) sulla corretta
applicazione delle regole tecniche cui fa
richiamo la norma giuridica, che costituisce
comunque il parametro di riferimento del
giudizio di legittimità dell’azione
amministrativa[…]. Nella giurisprudenza
successiva, peraltro, è stato chiarito che
il predetto sindacato “intrinseco” deve pur
sempre arrestarsi al momento della verifica
di congruenza del procedimento tecnico
adottato dalla p.a., senza pretendere di
sostituire al giudizio di quest’ultima
quello del giudice (c.d. sindacato
“debole”): ciò in quanto, allorché vi siano
interessi la cui cura sia dalla legge
espressamente delegata ad un certo organo
amministrativo, l’ammettere che il giudice
possa “autoattribuirseli” rappresenterebbe
quanto meno una violazione delle competenze,
se non addirittura del principio di
separazione tra i poteri dello Stato[…]. Pur
con questi limiti, ha costituito in ogni
caso un progresso ineliminabile, sul piano
delle garanzie per i cittadini amministrati,
la possibilità di accesso del giudice al
fatto attraverso lo strumento della C.T.U.,
e la conseguenziale piena censurabilità –sia
pure nei limiti appena evidenziati– anche
del vizio di eccesso di potere, segnatamente
nella sua figura sintomatica rappresentata
dall’erronea rappresentazione o dal
travisamento dei fatti”.
I principi e le regole richiamate dal
Consiglio di Stato sono stati applicati in
maniera rigorosa nel corso del giudizio,
tanto che il Collegio ha sottolineato come “…la
rigorosa modalità eseguita dal consulente
per darvi risposta costituisce un esempio
quasi emblematico di esercizio di un
sindacato sulle valutazioni
tecnico-discrezionali dell’Amministrazione
contenuto nei limiti appena indicati”.
Ed infatti, nei quesiti formulati al
Consulente tecnico d’ufficio, è stato
richiesto non di ripetere le valutazione
delle offerte tecniche, ma di individuare un
“verosimile percorso logico” per
apprezzare la congruenza e ragionevolezza
dell’operato della Commissione sulla sola
base dei criteri di valutazione indicati nel
bando di gara, nonché dei principi
tecnico-scientifici comunemente accettati.
Il Consulente tecnico, partendo dai
documenti presentati dalle parti al momento
dell’offerta, e in applicazione dei criteri
previsti dal bando, ha preventivamente
individuato il metodo che avrebbe utilizzato
nell’espletamento delle operazioni peritali
ed a conclusione delle sue operazioni ha
riconosciuto una sostanziale invarianza del
rapporto tra i punteggi conseguiti dalle due
offerte sia in sede di gara che in seguito
alle valutazione effettuate con la medesima
CTU.
Il Collegio, condividendo l’esito delle
operazioni peritali, ha dunque ritenuto
dimostrato come il seggio di gara avesse
operato alla stregua di criteri di congruità
e ragionevolezza.
In particolare, a fronte della contestazione
dell’appellante principale che formulava
rilievi critici di merito e di metodo sulle
conclusioni della CTU, i giudici hanno così
risposto “Verosimilmente, l’affermazione
testé criticata risente di un non
condivisibile approccio di parte appellante
alla stessa ratio dell’attività istruttoria
espletata, evidente anche laddove la stessa
definisce arbitrario e disancorato dagli
atti l’algoritmo che costituisce il nucleo
delle valutazioni condotte dal C.T.U. Tale
rilievo, invero, sembra obliterare che
obiettivo dell’attività istruttoria disposta
dalla Sezione non era certo quello di
individuare il preciso iter, e proprio
quello, seguito dalla Commissione di gara
per assegnare i punteggi alle offerte
tecniche, ma unicamente quello di accertare
se esistesse un “percorso logico” (uno dei
tanti astrattamente ipotizzabili) il quale,
alla stregua della disciplina di gara, fosse
in grado di spiegare ragionevolmente i
risultati cui il seggio di gara era
pervenuto”.
In definitiva, con la sentenza in commento,
si è sottolineato come nel processo
amministrativo la consulenza tecnica
d’ufficio fornisce quelle conoscenze che
permettono al giudice della controversia di
ottenere la cognizione di nozioni
particolarmente complesse, al fine di
comprendere se la valutazione, effettuata
attraverso la discrezionalità tecnica della
stazione appaltante, sia priva di
ragionevolezza o scollegata da un esame
obiettivo e compiuto degli elementi di
fatto.
Una consulenza che, al contrario, andasse
oltre la semplice verifica di congruenza del
procedimento tecnico adottato dalla Pubblica
amministrazione e pretendesse di sostituire
a quest’ultima il giudizio del giudice
potrebbe determinare una violazione delle
competenze che la legge ha espressamente
delegato all’organo amministrativo (commento
tratto da
www.professioni-imprese24.ilsole24ore.com -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Dichiarazioni ex art. 38 del
Codice dei Contratti Pubblici e abrogazione
della norma incriminatrice.
Con
sentenza
24.03.2011 n. 1795 la Sez. V del
Consiglio di Stato ha condiviso
l’orientamento di parte della giurisprudenza
secondo cui solo l’insussistenza in concreto
delle cause di esclusione previste dall’art.
38 del d.lgs. 163/2006 può comportare “ope
legis” l’esclusione di una società da
una gara pubblica.
Nell’ambito di un appalto relativo
all’affidamento di servizi di progettazione
e coordinamento della sicurezza in fase di
progettazione, veniva revocata
l’aggiudicazione provvisoria in favore della
R.T.I. prima classificata in quanto il
legale rappresentante della capogruppo
mandataria aveva dichiarato di non aver
subito condanne penali con il beneficio
della “non menzione”, mentre dal
casellario giudiziale risultava l’esistenza
di un decreto penale di condanna con il
beneficio della “non menzione” ma del
quale non era mai stata chiesta la revoca al
giudice dell’esecuzione ai sensi dell’art.
673 c.p.p..
Avverso il provvedimento di revoca proponeva
appello la R.T.I. la quale sosteneva che la
condanna relativa al reato oggetto del
decreto penale non doveva essere indicata in
quanto riguardava una fattispecie che era
stata dichiarata incostituzionale con
sentenza n. 282 del 14.06.1990 ma
soprattutto il reato era stato espressamente
abrogato dall’articolo 35 del d.lgs. n.
139/2006.
Il TAR adito rigettava il ricorso ritenendo
che il solo ricorrere dei presupposti di
merito per la espunzione della condanna dal
casellario giudiziale non era idoneo a
determinare la cancellazione del reato in
quanto era comunque necessaria una pronuncia
giudiziale in tal senso.
Avverso tale sentenza la R.T.I. proponeva
appello.
La V sezione del Consiglio di Stato,
ribaltando la decisione del primo giudice,
ha ritenuto di non condividere la tesi
secondo cui la sola pronuncia giudiziale di
revoca del decreto penale potrebbe causare
l’espunzione della condanna sostenendo, al
contrario, che l’abrogazione della norma
incriminatrice sia di per sé idonea a far
cessare l’esecuzione e gli effetti penali
della condanna mentre la formale pronuncia
di revoca rappresenta un accertamento con
funzione meramente dichiarativa (Cassazione
Penale sez. I, 11.02.2004, n. 7652).
Ed infatti secondo i giudici dell’appello “Con
riguardo alla circostanza che causa di
esclusione è stata quella, formale, di aver
omesso una dichiarazione prescritta dal
bando osserva il Collegio che, pur dando
atto del non univoco orientamento della
giurisprudenza della Sezione e delle ragioni
che presiedono alla tesi restrittiva e
formalistica, basate sulla necessità di
ordinaria verifica sull'affidabilità dei
soggetti partecipanti (Cons. St. Sez. V,
sent. n. 3742/2009), deve ritenersi, in
presenza delle circostanze di fatto di cui
alla presente controversia, di aderire
all'orientamento di numerose recenti
sentenze orientate nel senso della
doverosità della effettuazione di una
valutazione sostanzialistica della
sussistenza delle cause ostative (in
particolare Cons. St. Sez. V, 13.02.2009, n.
829; Sez. VI 04.08.2009, n. 4906,
22.02.2010, n. 1017), nella considerazione
che il primo comma dell'art. 38 del D.Lgs.
n. 163/2006 ricollega l'esclusione dalla
gara al dato sostanziale del mancato
possesso dei requisiti indicati, mentre il
secondo comma non prevede analoga sanzione
per l'ipotesi della mancata o non perspicua
dichiarazione. Da ciò discende che solo
l'insussistenza, in concreto, delle cause di
esclusione previste dall'art. 38 citato
comporta, "ope legis", l'effetto espulsivo.
[…] Nel caso che occupa, invero, la
completezza, correttezza e veridicità della
documentazione inserita nella busta
"documentazione amministrativa" era
richiesta, a pena di esclusione, dall’art.
13 del Disciplinare; il precedente art. 9,
punto B), del Disciplinare, peraltro
espressamente e fondatamente impugnato in
parte qua con l’atto introduttivo del
giudizio (se interpretato nel senso di
ritenere obbligatoria la dichiarazione de
qua anche in caso di reati eliminati
dall’ordinamento giuridico), richiedeva a
pena di esclusione la presentazione della
dichiarazione di non aver subito condanne
penali per le quali era intervenuta la non
menzione o di averne beneficiato indicando
le eventuali condanne. La dichiarazione
effettuata dalla appellante, stante
l’effetto automatico di eliminazione degli
effetti penali della condanna che determina
l'abrogazione della norma incriminatrice,
non può tuttavia considerarsi incompleta,
scorretta o non veritiera. Va infatti
escluso che possa qualificarsi come falsa
dichiarazione quella contenente una
valutazione soggettiva del concorrente
stesso, che potrebbe semmai non essere
condivisa, ma non certo essere ritenuta
falsa, in quanto volutamente non
corrispondente ad un dato oggettivamente
riscontrabile, né può determinarne
l'esclusione dalla gara (Consiglio Stato,
sez. V, 19.06.2009, n. 4082)”.
Ad avviso del Collegio tale impostazione
risulta anche confermata dall’art. 45 della
direttiva 2004/18/CE secondo la quale
l’esclusione di un soggetto partecipante
alla gara può ricorrere nelle sole ipotesi
di grave colpevolezza di false
dichiarazioni, che non dovrebbero ritenersi
sussistenti nel caso in cui il concorrente
non consegua alcun vantaggio in termini
competitivi, essendo in possesso di tutti i
requisiti previsti per la partecipazione
alla gara (Cons. St. Sez. VI 22.02.2010 n.
1017).
In definitiva con tale sentenza la sezione V
del Consiglio di Stato si esprime in favore
della tesi sostanzialistica della
sussistenza delle cause ostative (commento
tratto da
www.professioni-imprese24.ilsole24ore.com -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Sulla legittimità
dell'aggiudicazione di una gara d'appalto ad
un concorrente che abbia fatto ricorso
all'istituto dell'avvalimento al fine di
attestare il possesso dell'attestazione SOA
richiesta dal disciplinare e dal bando.
E' legittimo il provvedimento di
aggiudicazione di una gara d'appalto
adottato nei confronti di un concorrente che
essendo privo dell'attestazione SOA
richiesta dal disciplinare e dal bando sia
ricorso all'istituto dell'avvalimento, ai
sensi dell'art. 49, c. 1, del d.lgs. n.
163/2006, che ammette espressamente la
possibilità di avvalersi, nelle pubbliche
gare, dell'attestazione SOA di altro
soggetto.
Tale possibilità non è subordinata alla
condizione che il concorrente che utilizzi
l'avvalimento sia comunque in possesso di
una attestazione SOA per la categoria
richiesta, ancorché di classifica
insufficiente; il dato testuale non
legittima, infatti, un'interpretazione
restrittiva della norma e, d'altra parte, la
soppressione del c. 7 del citato art. 49,
che consentiva di limitare l'avvalimento
all'integrazione di requisiti parzialmente
posseduti dall'impresa avvalente, è decisiva
per riconoscere che un limite di tal genere,
anche per quanto riguarda il ricorso all'avvalimento
di altrui attestazioni SOA, non è
compatibile con il quadro normativo
comunitario in cui l'istituto trova origine
(TAR Toscana, Sez. I,
sentenza 24.03.2011 n. 490 - link
a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Permesso di costruire e
lottizzazione abusiva.
La Corte di Cassazione ritorna sul tema
della illegittimità dei permessi di
costruire rilasciati in assenza di strumento
urbanistico attuativo.
La Corte di Cassazione, Sez. III penale, con
la
sentenza 04.03.2011
n. 8796, ha confermato il sequestro
di 23 lotti (disposto dal Tribunale sia per
evitare la prosecuzione dei lavori per
alcuni lotti non ultimati, sia per garantire
la confisca dei lotti ultimati) in corso di
realizzazione, a seguito del rilascio del
permesso di costruire, in un'area destinata
a PIP (piano per insediamenti produttivi)
dal piano regolatore comunale, ritenendo,
sulla base di articolate motivazioni,
potenzialmente illegittimi i permessi
rilasciati (fatto che, nel merito, dovrà
accertare il Tribunale).
La Cassazione ricorda come –per consolidata
giurisprudenza- il reato di lottizzazione
abusiva possa ricorrere anche in caso di
area parzialmente urbanizzata, in quanto la
fattispecie lottizzatoria, che esula dalle
situazioni di zone completamente
urbanizzate, sussiste tuttavia non soltanto
nelle ipotesi estreme di zone assolutamente
inedificate, ma anche in quelle, intermedie,
di zone parzialmente urbanizzate, nelle
quali si configuri un'esigenza di raccordo
col preesistente aggregato abitativo e di
potenziamento delle opere di urbanizzazione.
Per escludere la lottizzazione deve
sussistere una situazione di pressoché
completa e razionale edificazione della
zona, tale da rendere del tutto superfluo un
piano attuativo, in quanto non basta la mera
esistenza di opere di urbanizzazione per
escludere la necessità della pianificazione
attuativa, ma è necessario che le opere
esistenti siano sufficienti in un rapporto
di proporzionalità fra i bisogni degli
abitanti già insediati e da insediare e la
qualità e quantità delle urbanizzazioni già
disponibili destinati a soddisfarli.
La valutazione del concreto stato
urbanizzativo di fatto non si può limitare,
inoltre, alle sole aree di contorno
dell'edificio progettato, ma deve coincidere
con l'intero perimetro del comprensorio che
dovrebbe essere pianificato dallo strumento
attuativo.
La presenza del vincolo di inedificabilità
riferibile alle aree soggette a piani
attuativi, da adottare ma mai adottati,
rappresenta un problema evidenziato da tempo
da una copioso giurisprudenza. L'inedificabilità
conseguente alla mancanza di un limite
temporale per l'adozione di uno strumento
attuativo, avrebbe dovuto costituire uno
degli obiettivi della semplificazione delle
procedure urbanistiche ed edilizie
introdotte con gli interventi legislativi
coordinati tra lo Stato e le Regioni,
definiti correntemente Piano Casa e
finalizzati al rilancio dell'economia
attraverso l'attività edilizia.
Problema non
affrontato dai provvedimenti assunti dalle
Regioni, in maniera -di fatto- estemporanea
piuttosto che coordinata, ad eccezione della
Regione Friuli Venezia Giulia che, con
riferimento alle zone di completamento, ha
regolamentato la soglia di edificato oltre
la quale procedere direttamente al rilascio
di titoli abilitativi, e della Regione
Emilia Romagna, che ha decretato la non
obbligatorietà dello strumento urbanistico
attuativo nelle zone di completamento, senza
specificarne le condizioni (commento tratto
da www.legislazionetecnica.it). |
APPALTI:
Requisiti morali, dichiarazione
anche per i rappresentanti.
L'obbligo di rendere la
dichiarazione di cui all'art. 38 d.lgs. n.
163/2006 sussiste anche per tutti coloro che
sono muniti di poteri di rappresentanza
anche se non rivestono formalmente la carica
di amministratore. Il requisito
dell'esperienza previsto dall'art. 84, comma
2, d.lgs. 163/2006 richiesto per la nomina
dei componenti della commissione
giudicatrice, deve essere inteso in
relazione alla poliedricità delle competenze
richieste in funzione delle complessive
prestazioni da affidare.
L’obbligo di rendere la dichiarazione di cui
all'art. 38 d.lgs. n. 163/2006 sussiste
anche per tutti coloro che sono muniti di
poteri di rappresentanza anche se non
rivestono formalmente la carica di
amministratore.
Il requisito dell'esperienza previsto
dall'art. 84, comma 2, d.lgs. 163/2006
richiesto per la nomina dei componenti della
commissione giudicatrice, deve essere inteso
in relazione alla poliedricità delle
competenze richieste in funzione delle
complessive prestazioni da affidare.
Con sentenza 24.02.2011 n. 554, la I
Sezione del TAR della Lombardia-Milano ha
affermato che l'obbligo di dichiarazione
avente ad oggetto la sussistenza dei
requisiti morali degli operatori economici,
previsto dall'art. 38 d.lgs. 12.04.2006 n.
163, sussiste in capo alle persone fisiche
munite di potere di rappresentanza dei
concorrenti anche se si tratta di soggetti
che non rivestono formalmente la carica di
amministratore soltanto se, in qualità di
procuratore ad negotia, abbiano
ottenuto il conferimento di poteri di
rappresentanza dell'impresa e di compiere
atti decisionali consistenti nella
possibilità di partecipare alle gare e di
firmare contratti.
L'interesse perseguito dal legislatore
mediante l’obbligo di cui all'art. 38 d.lgs.
n. 163/2006 è quello di verificare la
condotta di coloro che determinano le scelte
all'interno dell'impresa e non di coloro che
manifestano all'esterno tali scelte, pur se
dotati di poteri gestionali, ove gli stessi
siano stati circoscritti nell'ambito degli
indirizzi impartiti dall'imprenditore;
pertanto, la mancanza di una dichiarazione,
anche laddove effettivamente esigibile, deve
considerarsi neutrale ai fini
dell'ammissione alla gara ove la “moralità”
del soggetto coinvolto non sia contestata,
secondo il principio del cd. “falso
innocuo”.
Relativamente al requisito generale
dell'esperienza “nello specifico settore
cui si riferisce l'oggetto del contratto”
, previsto dall'art. 84, comma 2, d.lgs.
12.04.2006 n. 163, per i componenti della
commissione giudicatrice di gara, i giudici
lombardi hanno affermato che esso deve
essere inteso gradatamente e in modo
coerente con la poliedricità delle
competenze di volta in volta richieste in
relazione alla complessiva prestazione da
affidare.
Pertanto, non occorre che l'esperienza
professionale di ciascun componente copra
tutti i possibili ambiti oggetto di gara, in
quanto è la Commissione, unitariamente
considerata, che deve garantire quel grado
di conoscenze tecniche richiesto, nella
specifica fattispecie, in ossequio al
principio di buon andamento della pubblica
amministrazione.
Inoltre, è stato precisato che l'art. 84,
comma 4, del codice dei contratti pubblici,
a norma del quale i commissari diversi dal
presidente non devono aver svolto né possono
svolgere alcuna altra funzione o incarico
tecnico o amministrativo relativamente al
contratto del cui affidamento si tratta,
mira ad impedire la partecipazione alla
Commissione giudicatrice di soggetti che,
nell'interesse proprio o in quello privato
di alcuna delle imprese concorrenti, abbiano
assunto o possano assumere decisioni
relativamente all'oggetto della procedura di
gara (commento tratto da link a
www.ipsoa.it). |
APPALTI SERVIZI: ILLUMINAZIONE
VOTIVA.
E’ legittima la scelta del Comune di gestire
direttamente il servizio di illuminazione
votiva cimiteriale, esigente solo l'impegno
periodico di una persona e la spesa annua di
qualche migliaio di euro, laddove l'esborso
sarebbe notoriamente ben maggiore solo per
potersi procedere a tutte le formalità
necessarie per la regolare indizione di una
gara pubblica.
E’ quanto sorprendentemente affermato dalla
V Sez. del Consiglio di Stato, con la
sentenza 26.01.2011 n. 552, ove
si è dato luogo ad un inatteso ripensamento
in merito alla natura giuridica
dell’attività di illuminazione votiva.
Indubbiamente, il mutamento degli
orientamenti giurisprudenziali non
costituisce un “evento straordinario”,
ma dovrebbe porsi come un naturale elemento
di sviluppo dell’elaborazione giuridica,
esito di nuove riflessioni, traenti origine
anche da elementi meta-giuridici. Tuttavia,
nella presente problematica, cioè
l’individuazione della precisa natura
giuridica dell’attività di illuminazione
votiva, la giurisprudenza e, soprattutto, il
Consiglio di Stato avevano dato
l’impressione di possedere certezze
granitiche, resistenti ad ogni diverso
contributo di riflessione.
Il mainstream, l’orientamento di
tendenza, era nel solco di un unico filone
interpretativo: l’illuminazione votiva ha un
contenuto economico, afferente il servizio
in senso stretto, che prescinde
dall’impianto, il quale esplica una valenza
solo accessoria: mero strumento del servizio
puro, ricomprendente diverse attività
(fornir luce alle tombe, sorveglianza degli
impianti, operazioni di bollettazione e
riscossione). Orbene, tale solido
orientamento sembra ora essere stato
edificato sulla sabbia! Non è più indiscussa
la rilevanza economica; anzi, si è in
presenza di “un’attività di modesto
impegno”!
Analizziamo i passaggi concettuali della
sorprendente sentenza in esame, che ha
ribaltato completamente l’impostazione dei
giudici di primo grado.
In primo luogo, ad avviso dei giudici
amministrativi di appello, occorre tener
conto di un’importante distinzione,
trascurata, secondo la loro prospettazione,
dal Tar Emilia-Romagna. Una cosa è
l’affidamento diretto di un servizio
pubblico locale, modello non consentito in
omaggio alle comunitarie regole della
concorrenza; una cosa ben diversa è la
“gestione diretta” del servizio, “sempre
praticabile dall’ente locale, soprattutto
quando si tratti di attività di modesto
impegno finanziario, come nella specie:
poche migliaia di euro all’anno”. Onde
poter sostenere la tesi della possibile
gestione diretta in economia del servizio,
il CdS pone in forte evidenza la limitatezza
economica del medesimo: attività di scarso
impegno finanziario.
Ancora, proprio per confermare la
legittimità della gestione diretta, il
Consiglio di Stato rincara la dose in merito
alla modestia economica dell’attività: “Appartiene,
in realtà, alla dimensione dell’inverosimile
immaginare che un Comune di non eccessiva
grandezza non possa gestire direttamente un
servizio, come quello dell’illuminazione
votiva cimiteriale, esigente solo l’impegno
periodico di una persona e la spesa annua di
qualche migliaio di euro, laddove l’esborso
sarebbe notoriamente ben maggiore solo per
potersi procedere a tutte le formalità
necessarie per la regolare indizione di una
gara pubblica”.
La categoria concettuale dell’”inverosimile”
viene, dunque, richiamata per giustificare
la possibilità della gestione diretta.
Infatti, il CdS pone enfasi sul rilievo che
“nessuna norma obbliga i Comuni ad
affidare all’esterno determinati servizi”,
quale quello dell’illuminazione votiva.
Invero, l’approdo ermeneutico delle
statuizioni del Consiglio di Stato, seppur
non espressamente dichiarato, è l’articolo
113-bis del D.Lgs n. 267/2000, disciplinante
la gestione dei servizi pubblici locali
privi di rilevanza economica. Al riguardo, è
necessario ricordare che il comma 2°
dell’indicato articolo prescrive,
espressamente, che “è consentita la
gestione in economia quando, per le modeste
dimensioni o per le caratteristiche del
servizio, non sia opportuno precedere ad
affidamento ai soggetti di cui al comma 1°”
.
Pertanto, l’illuminazione votiva, nella
nuova ricostruzione operata dai giudici
amministrativi di appello, cambia
completamente natura. Perde i suoi
dichiarati profili di rilevanza
economico-finanziaria è diventa un servizio
pubblico locale privo di valenza economica,
in ragione proprio della nuova “scoperta”
effettuata dai giudici amministrativi di
appello: la modestia delle dimensioni
organizzative e strutturali!
E’ evidente che si è in presenza di un
radicale cambiamento, che implica una nuova
configurazione dell’istituto
dell’illuminazione votiva. Tuttavia, tale
mutamento, al di là della sua eventuale
correttezza teorica, sicuramente da
approfondire, avrebbe meritato una maggiore
attenzione analitica ed un maggior sforzo
motivazionale, che non sembra essere stato
palesato nella sentenza. Infatti, i passaggi
concettuali illustrati appaiono alquanto
macchinosi ed apodittici.
Invero, pur parzialmente apprezzando l’idea
di cambiamento, che sembra diffondersi da
tale pronuncia, ancora sembra mancare un
forte, ma necessario, sforzo interpretativo,
volto ad intendere la reale portata
dell’illuminazione votiva, la quale è
costituita, giova ricordarlo, da diverse
attività: - progettazione di impianti; -
realizzazione di impianti; - effettuazione
di lavori di manutenzione ordinaria e
straordinaria; - sorveglianza degli
impianti; - bollettazione e riscossione, etc..
Solo un’accurata indagine sulle variegate
attività, che globalmente intese connotano
l’illuminazione votiva, potrà condurre a
percepire la concreta realtà dell’istituto,
che, come correttamente osservato
dall’Autorità di Vigilanza, oscilla fra la
concessione di servizi e la concessione di
lavori pubblici, ma non necessariamente dà
luogo ad un servizio pubblico locale. Forse,
sono maturi i tempi, affinché siffatta
indagine venga finalmente compiuta!
(commento tratto dalla newsletter di
www.centrostudimarangoni.it - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: AVVALIMENTO.
Ogni impresa, operante in un determinato
settore, ha un interesse tutelato a
contestare l’illegittima indizione di una
procedura negoziata, atteso che la mancata,
ma dovuta, indizione di una procedura aperta
lede il suo interesse sostanziale a
competere, secondo pari opportunità, ai fini
dell'ottenimento di commesse da aggiudicarsi
secondo le prescritte procedure. A tal
riguardo, non assume rilievo il fatto che
l’impresa ricorrente non possieda i
requisiti tecnici e finanziari per
partecipare alla gara, dal momento che
l’impresa medesima potrebbe partecipare, pur
essendone priva, avvalendosi dei requisiti
di imprese diverse.
E’ quanto affermato dal Tar Abruzzo-L’Aquila,
nella
sentenza 10.01.2011 n. 3, ove
vengono fornite alcune importanti
precisazioni, relative agli effetti
dell’istituto dell’avvalimento in merito ad
un importante tema processuale:
l’impugnazione di una procedura negoziata,
in assenza dei necessari presupposti di
legge.
Come noto, costituisce principio generale,
sancito dall'articolo 100 del codice di
procedura civile, applicabile anche al
processo amministrativo, quello secondo il
quale costituisce condizione per
l'ammissibilità dell'azione, oltre alla
titolarità di una situazione giuridica
sostanziale di diritto soggettivo o di
interesse legittimo (legittimazione a
ricorrere), anche la sussistenza
dell'interesse a ricorrere, inteso
quest'ultimo, non come idoneità astratta
dell'azione a realizzare il risultato
perseguito ma, più specificamente, come
interesse proprio e concreto del ricorrente
al conseguimento di un'utilità o di un
vantaggio (materiale o, in certi casi,
morale) a mezzo del processo amministrativo.
Vale a dire, nell'ottica di un processo di
stampo impugnatorio–annullatorio, quale
quello amministrativo, la sussistenza di un
interesse all'eliminazione del
provvedimento, che il ricorrente ritiene
lesivo della propria sfera giuridica.
Per quanto concerne l’indizione di una
trattativa privata (ora procedura
negoziata), da tempo la giurisprudenza
ammette la possibilità di censurarne
l’illegittima attivazione, da parte delle
imprese “operanti nel settore”.
Tale possibilità, da un punto di vista
sostanziale deve essere ricollegata al fatto
che le procedure negoziate hanno pienamente
conservato all’interno del Codice dei
contratti pubblici la loro originaria natura
eccezionale. Infatti, il comma 4°,
dell’articolo 54, stabilisce che le stazioni
appaltanti possono aggiudicare i contratti
pubblici mediante una procedura negoziata,
con o senza pubblicazione del bando di gara,
solo “nei casi e alle condizioni
specifiche espressamente previste”, cioè
solo in presenza delle peculiari e
straordinarie ipotesi, espressamente e
tassativamente, previste dal Codice
medesimo, agli articoli 56 (procedura
negoziata previa pubblicazione di un bando
di gara) e 57 (procedura negoziata, senza
previa pubblicazione di un bando di gara).
Sopravvenuto il Codice, si è evidenziata
ancor più la sua natura derogante: “La
trattativa privata, oggi definita procedura
negoziata nelle direttive comunitarie e
negli atti nazionali di recepimento, è un
criterio di selezione dei concorrenti di
tipo eccezionale perché la necessità di
tutelare i principi di libera concorrenza,
parità di trattamento, non discriminazione,
imparzialità e buon andamento impongono il
ricorso alle procedure aperte o ristrette e
la procedura negoziata, come si evince dal
confronto tra il quarto e il secondo comma
dell'art. 54, d.lgs. n. 163 del 2006, può
essere utilizzata solo nei casi specifici in
cui la legge lo preveda espressamente” .
Dunque, da un punto di vista sostanziale,
una procedura negoziata può essere
contestata, nella sua indizione, in ragione
della carenza dei necessari presupposti di
legge. Ma, chi può effettuare tale censura?
A questa domanda, come già anticipato, la
giurisprudenza, da tempo , ha risposto
indicando un soggetto non molto definito:
l’operatore economico del settore. Tale
posizione è rimasta del tutto immutata anche
recentemente: “Qualora una stazione
appaltante decida di procedere alla
stipulazione di un contratto con un
determinato imprenditore a seguito di
procedura negoziata, va riconosciuta la
legittimazione a ricorrere, avverso la
decisione suddetta, agli altri operatori
economici del settore, poiché titolari di un
interesse strumentale alla effettuazione
della gara, in quanto aspiranti partecipanti
alla stessa”.
In altri termini, gli imprenditori, che
svolgono la propria attività nel medesimo
ambito economico, cui si riferisce l'oggetto
dell'appalto posto in gara, vantano un
interesse qualificato ad impugnare il
provvedimento di affidamento diretto o
tramite procedura negoziata. Qualora la
stazione appaltante si determini a
concludere un contratto mediante procedura
negoziata con un determinato imprenditore,
si incide, infatti, in senso sfavorevole
sulle posizioni soggettive degli altri
imprenditori operanti nel medesimo settore,
che sono, perciò, portatori di un interesse
alla possibile conclusione del medesimo
contratto, con conseguenze negative sulla
libera concorrenza.
Gli aspiranti partecipanti alla gara,
rimasti esclusi dalla procedura negoziata,
ben potranno, pertanto, proporre ricorso
giurisdizionale, in quanto titolari
dell’interesse strumentale ad ottenere
l'annullamento dell'affidamento diretto ed a
far seguire l'indizione di una gara aperta o
ristretta, quali modelli generali di scelta
del contraente. Quindi, per poter contestare
l’illegittima indizione di una procedura
negoziata, l’impresa deve almeno dimostrare
di operare in un dato settore, pur se, come
avvertito da attenta giurisprudenza, non è
necessario che l’impresa dimostri di
possedere tutti i requisiti tecnici e
finanziari, occorrenti per poter partecipare
alla gara.
Con la sentenza in esame, si perviene ad un
importante sviluppo concettuale: non si
parla più di impresa di settore, in quanto
grazie all’avvalimento il problema
dell’appartenenza ad un dato settore
economico, quale presupposto legittimante il
ricorso, perde di interesse. Potendo
l’impresa avvalersi dei requisiti di altro
operatore economico, non è necessario che
appartenga ad un dato settore e, dunque, può
impugnare l’illegittima indizione di una
negoziata, prescindendo dall’appartenenza
medesima
(commento tratto dalla newsletter di
www.centrostudimarangoni.it - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
AGGIORNAMENTO AL 18.04.2011 |
ã |
SINDACATI |
PUBBLICO IMPIEGO:
Con la circolare n.
7/2011 Brunetta smentisce definitivamente
CISL e UIL, ma anche sé stesso
(CGIL-FP di Bergamo,
nota 12.04.2011). |
PUBBLICO IMPIEGO:
R.S.U.: finalmente l'accordo per
il rinnovo
(CGIL-FP di Bergamo,
nota 12.04.2011). |
UTILITA' |
EDILIZIA PRIVATA:
Fotovoltaico e “licenza provvisoria”:
entrata in esercizio immediata per gli
impianti superiori a 20 kWp.
I produttori di energia elettrica da
impianti fotovoltaici di potenza superiore a
20 kWp (e 30 kWp nel caso di impianti
localizzati in territori montani) hanno
l’obbligo preliminare alla messa in
esercizio di Denuncia di Officina Elettrica
(D. Lgs 504/1995 – Titolo II) all’Agenzia
delle Dogane.
Con la Circolare 39218/RU del 05.04.2011,
l’Agenzia delle Dogane informa che la
continua espansione degli impianti di
produzione di energia elettrica da fonte
rinnovabile sta evidenziando situazioni di
criticità nell’espletamento degli
adempimenti fiscali legati alle denunce di
attivazione (Denuncia di Officina
Elettrica), nei modi e tempi previsti
dall’art. 53 del Testo Unico delle Accise
(Decreto Legislativo n. 504/1995 e s.m.i).
Per ottenere gli incentivi, infatti, assume
rilevanza la data di entrata in esercizio,
per la quale risulta necessaria la licenza
fiscale nel caso di impianti con obbligo di
Denuncia di Officina Elettrica; essendosi
presentate situazioni in cui l’elevato
numero di richieste di attivazioni è tale da
non consentirne una rapida trattazione per
l'espletamento di tutti gli adempimenti (con
conseguente danno per l'esercente),
L’Agenzia delle Dogane ha previsto la
possibilità di rilascio di una licenza
provvisoria e rinviando le verifiche
tecnico-fiscali ad un successivo momento.
Nella licenza provvisoria dovrà essere
espressamente indicato il termine entro il
quale la stessa sarà sostituita da licenza
definitiva sulla base degli esiti della
verifica tecnico-fiscale dell’impianto.
Se all’atto della verifica si dovessero
riscontrare difformità, oltre alle normali
procedure attuabili in simili casi (revoca
immediata della licenza, recupero
dell’imposta evasa, etc.), l’Ufficio
procederà a fornire notizia di reato alla
competente autorità giudiziaria anche ai
sensi dell’art. 76 del D.P.R.445/2000.
A tal fine l'Agenzia delle Dogane ha reso
disponibili, insieme alla Circolare, un
modello di dichiarazione sostitutiva di atto
notorio e un modello di licenza provvisoria
(link a www.acca.it). |
SICUREZZA LAVORO:
Valutazione del rischio da stress
lavoro-correlato: linee operative per
piccole imprese.
Lo stress non è una malattia, ma una
situazione di prolungata tensione che può
ridurre l'efficienza sul lavoro e può
determinare un cattivo stato di salute. Esso
può essere causato da diversi fattori come
il contenuto del lavoro, l'eventuale
inadeguatezza della gestione e
dell'organizzazione del lavoro, carenze
nella comunicazione, etc..
Valutare il rischio dovuto a stress
lavoro-correlato è un obbligo di ciascun
datore di lavoro.
Il Network Nazionale per la Prevenzione
Disagio Psicosociale nei Luoghi di Lavoro
istituito dall'ISPESL ha messo a punto una
proposta metodologica di valutazione dei
rischi da stress correlato al lavoro, nata a
partire dallo studio pilota degli SPISAL
(Servizio Prevenzione Igiene Sicurezza
Ambienti di Lavoro) della Provincia di
Verona e del Centro clinico di Verona.
Queste linee operative hanno lo scopo di
assistere le imprese di piccole dimensioni
nella valutazione dello stress, attraverso
una unica check-list finalizzata alla
valutazione preliminare del rischio.
Il documento risulta sintetico e di semplice
comprensione. È così strutturato:
- definizione di stress lavoro-correlato;
- chi deve valutare il rischio;
- metodologie di valutazione;
- fase di valutazione preliminare;
- fase di valutazione approfondita;
- diagramma di flusso del processo di
valutazione;
- check-list per la valutazione preliminare
(link a www.acca.it). |
APPALTI:
In arrivo la SUA: Stazione Appaltante Unica.
La bozza di Decreto del Presidente del
Consiglio dei Ministri, in attuazione
dell'art. 13 della Legge 136/2010 (Legge
Antimafia), prevede l’istituzione di un’
unica stazione appaltante a livello
regionale, Stazione Appaltante Unica (SUA),
che avrà il compito di seguire tutto l’iter
procedurale di affidamento di lavori,
forniture e servizi, collaborando con l’ente
proponente ad individuare i contenuti del
contratto e curando gli eventuali
contenziosi insorti.
Il Decreto è costituito da 6 articoli che
contengono quanto dettato dalla Legge n.
136/2010 e precisamente:
- finalità e modalità di promozione della
Stazione unica appaltante;
- stazione unica appaltante e soggetti
aderenti;
- attività e servizi della SUA;
- elementi essenziali delle convenzioni;
- forme e monitoraggio e di controllo degli
appalti;
- collaborazione e coordinamento tra
amministrazioni.
Manca solo l'intesa in Conferenza unificata,
la firma del Capo dello Stato e la
successiva pubblicazione sulla Gazzetta
Ufficiale (link a www.acca.it). |
LAVORI PUBBLICI:
Valutazione di impatto sulla sicurezza
stradale, controlli e gestione della
sicurezza.
Pubblicato in Gazzetta Ufficiale il D.Lgs.
n. 35 del 15.03.2011 “Attuazione della
direttiva 2008/96/CE sulla gestione della
sicurezza delle infrastrutture”, che
recepisce la Direttiva 2008/96/CE sulla
gestione della sicurezza delle
infrastrutture stradali, in attuazione della
L. 96/2010 (Comunitaria 2009).
Il Decreto prevede l'attuazione di procedure
volte alla valutazione di impatto sulla
sicurezza stradale per i progetti di
infrastrutture, ai controlli della sicurezza
stradale, alla gestione della sicurezza
della rete stradale ed alle ispezioni di
sicurezza.
Il provvedimento è obbligatorio per tutte le
strade appartenenti alla rete stradale
transeuropea, siano esse in fase di
pianificazione, di progettazione, in
costruzione o già aperte al traffico. Per
tutte le altre strade i contenuti del
Decreto costituiscono un utile orientamento.
Dal primo gennaio 2016 tali norme si
applicheranno a tutte le strade appartenenti
alla rete di interesse nazionale,
individuata dal D. Lgs. 461/1999.
Valutazione di impatto
sulla sicurezza stradale.
Per tutti i progetti di infrastrutture va
effettuata preliminarmente la Valutazione di
Impatto sulla Sicurezza Stradale (VISS), i
cui contenuti saranno stabiliti con Decreto
Ministeriale entro il 19/12/2011.
Controlli e controllori
della sicurezza stradale.
Per tutti i progetti di infrastrutture vanno
effettuati controlli della sicurezza
stradale, entro 12 mesi dalla messa in
esercizio, da parte di controllori, che
dovranno avere determinati requisiti (art.
9) e saranno inseriti in appositi elenchi
presso il Ministero delle Infrastrutture e
dei Trasporti.
Fino all'entrata in operatività dell'elenco
dei controllori, le attività di controllo
della sicurezza stradale, di verifica della
classificazione dei tratti stradali e le
ispezioni di sicurezza sono svolte da
soggetti che abbiano i seguenti requisiti:
- iscritti da almeno 10 anni all'Albo
dell'Ordine degli Ingegneri, nel settore
dell'ingegneria civile e ambientale;
- esperienza di progettazione stradale,
analisi di incidentalità, ingegneria del
traffico o altre attività inerenti alla
sicurezza stradale;
- esperienza documentata dall'avvenuto
espletamento delle predette attività
relative ad almeno 5 progetti.
Classificazione e gestione
della sicurezza.
Il Ministero delle Infrastrutture e dei
Trasporti effettuerà la classificazione dei
tratti ad elevata concentrazione di
incidenti e la classificazione della
sicurezza della rete stradale esistente
entro il 23/04/2014 e, successivamente, con
cadenza triennale (link a www.acca.it). |
SICUREZZA LAVORO:
Rischio da esposizione a polveri. Una guida
ai dispositivi di protezione individuale.
Le polveri aerodisperse sono sostanze
pericolose per la salute e possono essere
causa di varie malattie professionali. Per
proteggere la salute dei lavoratori, il
datore di lavoro deve provvedere a far sì
che non siano superati i valori limite di
concentrazione e dotare i lavoratori esposti
di opportuni respiratori.
Il SUVA (INAIL svizzero) ha pubblicato un
manualetto destinato ai datori di lavoro, al
fine di indirizzarli nella scelta dei
dispositivi di protezione individuali
opportuni, e ai lavoratori esposti,
soprattutto nel settore edilizio, fornendo
consigli su come utilizzare i respiratori.
Il documento propone informazioni circa:
- quando risultano necessari i respiratori;
- tipologie di respiratori e relative
marcature;
- classi dei filtri e applicazioni;
- consigli per un uso corretto;
- manutenzione dei dispositivi;
- norme di riferimento (link a www.acca.it). |
GURI - GUUE -
GUUE (e anteprima) |
LAVORI PUBBLICI: B.U.R.
Lombardia, serie ordinaria n. 15 del
12.04.2011, "Determinazione modalità per
la predisposizione della graduatoria degli
interventi per la messa in sicurezza degli
edifici scolastici situati in zone soggette
a rischio sismico - Triennio 2011-2013"
(deliberazione
G.R. 06.04.2011 n. 1532). |
AMBIENTE-ECOLOGIA -
EDILIZIA PRIVATA: G.U.
04.04.2011 n. 77, suppl. ord. n. 90, "Quarto
elenco aggiornato dei siti di importanza
comunitaria per la regione biogeografica
continentale in Italia ai sensi sella
direttiva 92/43/CEE" (Ministero
dell'Ambiente e della Tutela del Territorio
e del Mare,
decreto 14.03.2011). |
AMBIENTE-ECOLOGIA -
EDILIZIA PRIVATA: G.U.
04.04.2011 n. 77, suppl. ord. n. 90, "Quarto
elenco aggiornato dei siti di importanza
comunitaria per la regione biogeografica
mediterranea in Italia ai sensi sella
direttiva 92/43/CEE" (Ministero
dell'Ambiente e della Tutela del Territorio
e del Mare,
decreto 14.03.2011). |
AMBIENTE-ECOLOGIA -
EDILIZIA PRIVATA: G.U.
04.04.2011 n. 77, suppl. ord. n. 90, "Quarto
elenco aggiornato dei siti di importanza
comunitaria per la regione biogeografica
alpina in Italia ai sensi sella direttiva
92/43/CEE" (Ministero dell'Ambiente e
della Tutela del Territorio e del Mare,
decreto 14.03.2011). |
APPALTI SERVIZI: G.U.
31.03.2011 n. 74 "Determinazione degli
ambiti territoriali nel settore della
distribuzione del gas naturale"
(Ministero dello Sviluppo Economico,
decreto 19.01.2011). |
NOTE,
COMUNICATI E CIRCOLARI |
EDILIZIA PRIVATA:
DOCUMENTO DELLE REGIONI SULLO STATO DI
ATTUAZIONE DELLA RIFORMA DELLO SPORTELLO
UNICO ATTIVITÀ PRODUTTIVE DI CUI ALL’ART. 38
DEL D.L. N. 112/2008, CONVERTITO IN L. N.
133/2008 E DEL REGOLAMENTO DI CUI AL DPR N.
160/2010 (conferenza delle Regioni e
delle Province Autonome,
nota 24.03.2011). |
DOTTRINA E
CONTRIBUTI |
VARI:
E. Rossi,
Uso delle cinture di sicurezza da parte
delle forse di polizia (Crocevia
n. 3/2011).
---------------
Vi sarà capitato (quante volte!!) di vedere
Vigili Urbani e/o Poliziotti/Carabinieri che
non indossano la cintura di sicurezza mentre
guidano l'automobile di servizio ... ebbene,
se gli stessi vi contestano una qualsiasi
multa stradale sbattetegli in faccia la
CIRCOLARE 22.12.2010 PROT. N.
559/A/2/756.M.3/23833 (link a
www.coisp.it) del Ministero dell'Interno -
Dipartimento Pubblica Sicurezza (avente per
oggetto: Uso delle cinture di sicurezza
da parte delle Forze di Polizia) dalla
quale si evince chiaramente che "L'esenzione
dall'obbligo di usare le cinture di
sicurezza, prevista dal comma 8 per gli
appartenenti alle Forze di Polizia e ai
Corpi di Polizia Municipale e Provinciale,
non è generalizzata, ma limitata
all'espletamento di servizi di emergenza.
Con successive circolari, diramate dal 1996
al 2006, questo Dipartimento ha ribadito la
necessità di impiego dei dispositivi, sia in
occasione di mobilità non operativa che
nell'esecuzione dei servizi d'istituto,
prevedendo, solo per quest'ultimo caso, la
deroga in situazione di emergenza.
In particolare, è stato chiarito che la
situazione di emergenza dovrà riguardare
necessariamente uno stato di pericolo
concreto e attuale. La valutazione, prudente
e restrittiva, delle situazioni di emergenza
è rimessa ai singoli operatori sulla base
delle circostanze contingenti per le quali
l'attività svolta potrebbe trovare ostacolo
od impedimento nella ritenzione operata
dalle cinture di sicurezza.". |
PUBBLICO IMPIEGO:
N. Laface,
Il danno all’immagine della pubblica
amministrazione va risarcito anche in
ipotesi di reato comune commesso da pubblici
dipendenti - Nota a Corte dei Conti -
Sezione giurisdizionale per la Toscana,
Sentenza 18.03.2011 n. 90
(link a www.filodiritto.com). |
APPALTI:
A. P. Mazzucato e G. Penzo Doria,
L’attestazione di intervenuta efficacia
dell’aggiudicazione definitiva negli appalti
pubblici (link a
www.filodiritto.com). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
P. M. Zerman,
La trasparenza della
p.a. tra accesso e privacy nella recente
giurisprudenza del Consiglio di Stato
(link a www.giustizia-amministrativa.it). |
QUESITI &
PARERI |
LAVORI PUBBLICI:
Comune privo di assicurazione e
risarcimento in via bonaria.
Domanda.
Nel caso in cui un
Comune, privo di assicurazione, decida di
risarcire in via bonaria i danni causati da
una caduta provocata da una buca stradale,
deve provvedere agli adempimenti previsti
dall'art. 142, commi 2 e 3, del D.Lgs.
07.09.2005, n. 209?
Risposta.
L'art. 142, commi 2 e 3, D.Lgs. 07-09-2005,
n. 209 stabilisce che:
"2. Prima di provvedere alla liquidazione
del danno, l'impresa di assicurazione è
tenuta a richiedere al danneggiato una
dichiarazione attestante che lo stesso non
ha diritto ad alcuna prestazione da parte di
istituti che gestiscono assicurazioni
sociali obbligatorie. Ove il danneggiato
dichiari di avere diritto a tali
prestazioni, l'impresa di assicurazione è
tenuta a darne comunicazione al competente
ente di assicurazione sociale e potrà
procedere alla liquidazione del danno solo
previo accantonamento di una somma idonea a
coprire il credito dell'ente per le
prestazioni erogate o da erogare.
3. Trascorsi quarantacinque giorni dalla
comunicazione di cui al comma 2 senza che
l'ente di assicurazione sociale abbia
dichiarato di volersi surrogare nei diritti
del danneggiato, l'impresa di assicurazione
potrà disporre la liquidazione definitiva in
favore del danneggiato. L'ente di
assicurazione sociale ha diritto di ripetere
dal danneggiato le somme corrispondenti agli
oneri sostenuti se il comportamento del
danneggiato abbia pregiudicato l'azione di
surrogazione".
Nel caso in esame, il Comune è il
danneggiante che risarcisce un danno
provocato dalla sua condotta omissiva, di
cui è responsabile, adempiendo ad
un'obbligazione da fatto illecito di cui è
il soggetto attivo, o debitore. Ne deriva
che è inapplicabile la disposizione sopra
citata che si riferisce esclusivamente
all'ipotesi in cui a pagare sia
l'assicuratore. La ratio della
disposizione, infatti, è quella di garantire
l'eventuale assicuratore sociale contro il
rischio di dover risarcire un danno già
risarcito da un altro assicuratore e di
consentire una rivalsa garantita ex lege
dell'assicurazione sociale contro
l'assicurazione ordinaria.
Infatti, l'assicuratore ordinario assume
l'obbligazione indennitaria a favore
dell'assicurato avente ad oggetto il
pagamento dell'obbligazione da fatto
illecito in luogo del danneggiante, in parte
al pari dell'assicuratore sociale, che però
ha diritto di rivalsa ex lege
sull'assicuratore. Per questo motivo la
norma prevede in capo all'assicuratore
ordinario il dovere di chiedere al
danneggiato se ha altre forme di
assicurazione sociale e, in caso positivo,
l'obbligo di darne comunicazione al
competente Ente di assicurazione sociale.
Potrà procedere alla liquidazione del danno
solo previo accantonamento di una somma
idonea a coprire il credito dell'Ente per le
prestazioni erogate o da erogare.
Viceversa, in ipotesi in cui sia lo stesso
danneggiante a pagare, sarà l'assicuratore
sociale a chiedere al danneggiato se è stato
già risarcito o meno e conseguentemente,
secondo buona fede, regolerà l'indennizzo
dovuto per evitare che il danneggiato possa
locupletare dal risarcimento (11.04.2011 -
commento tratto da www.ipsoa.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Quali sono le novità circa il trasporto in
conto proprio dei rifiuti?
(link a www.ambientelegale.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Cosa prevede il Testo Unico circa le
iscrizione dei produttori iniziali di
rifiuti?
(link a www.ambientelegale.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Come sono regolamentate le iscrizioni dei
produttori iniziali di rifiuti non
pericolosi che effettuano operazioni di
raccolta e trasporto dei propri?
(link a www.ambientelegale.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Cosa prevede la circolare Prot. n.
432/ALBO/PRES del 15.03.2011 circa il
trasporto in conto proprio dei rifiuti?
(link a www.ambientelegale.it). |
NEWS |
VARI:
Marca postale elettronica: sicurezza
garantita.
Con il Decreto del 04.12.2010, pubblicato
nella GU n. 49 dell'01.03.2011, sono state
definite le modalità tecnologiche per
garantire la sicurezza, l'integrità e la
certificazione della trasmissione telematica
di documenti cui è associata la marca
postale elettronica.
La Marca Postale Elettronica (EPCM),
sviluppata in collaborazione con Microsoft,
per conto dell’Unione Postale Universale,
consente di inviare in tutta sicurezza
documenti in formato elettronico utilizzando
la tecnologia Epcm (Electronical Postal
Certification Mark).
Può essere apposta solo dalle poste e
permette di verificare l'integrità del
contenuto di un messaggio, rendendo
qualunque forma di alterazione e
manomissione facilmente ed
inequivocabilmente identificabile e di avere
la certezza su data e ora di ricezione del
documento da parte di Poste Italiane.
Il sistema EPCM realizzato da Poste Italiane
è una timbratura postale elettronica che
permette di vidimare elettronicamente un
file, una comunicazione o anche una
transazione elettronica, e di associare alla
stessa una duplice garanzia: la certezza
della data e dell’ora di apposizione della
marca; l’integrità dell’oggetto timbrato
lettronicamente, verificabili anche a
distanza di tempo.
In particolare questa seconda caratteristica
rappresenta un ulteriore vantaggio rispetto
al tradizionale timbro postale, rendendo
qualunque forma di alterazione e
manomissione facilmente ed
inequivocabilmente identificabile (link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
GIURISPRUDENZA |
APPALTI:
E' illegittima la previsione di
un bando di gara, che disponga l'automatica
esclusione di un concorrente, collegata ad
ulteriori sub soglie di sbarramento, in
luogo di una complessiva valutazione che
tenga conto delle criticità rilevate.
Ai sensi dell'art. 83, c. 2, del d.lgs. n.
163/2006, il bando di gara elenca i criteri
di valutazione e precisa la ponderazione
relativa attribuita a ciascuno di essi,
anche mediante una soglia, espressa con un
valore numerico determinato, in cui lo
scarto tra il punteggio della soglia e
quello massimo relativo all'elemento cui si
essa fa riferimento, deve essere
appropriato.
La norma, che ha recepito l'art. 53 Dir. CE
2004/18 e l'art. 55 Dir. CE 2004/17, è
finalizzata ad assicurare l'individuazione
dell'offerta che presenti il migliore
rapporto qualità/prezzo, nonché la
trasparenza dell'attività amministrativa e
la parità di trattamento dei concorrenti;
pertanto, l'offerta economicamente più
vantaggiosa discende dalla valutazione di
più fattori, previamente e discrezionalmente
individuati dalla stazione appaltante, e
resi noti nel bando di gara.
L'art. 83, c. 4, aggiunge che "il bando
per ciascun criterio di valutazione
prescelto prevede i sub-criteri e i sub-pesi
o i sub-punteggi, e la stazione appaltante
redige i criteri, i pesi, i punteggi e le
relative specificazioni da indicare.
Procedure quali quella in esame sono volte
all'acquisizione dell'offerta economicamente
più vantaggiosa, ed i requisiti devono
essere definiti in modo chiaro dal punto di
vista tecnico, sì da prestarsi a verifiche
basate su parametri ben individuati. Ciò
vale soprattutto allorquando la stazione
appaltante intenda porre sbarramenti "minimi",
prevedendo altresì l'eventuale esclusione
del concorrente che si trovi al di sotto di
questi.
Il caso di specie attiene ad un sistema di
valutazione che prevede ulteriori sub-soglie
di sbarramento attinenti ai singoli
sub-elementi fissati nel disciplinare di
gara, anche a pena di esclusione. Non può
negarsi all'ente appaltante il potere di
fissare distintamente, per dette categorie o
sub categorie, un punteggio minimo, non
raggiungendo il quale il concorrente viene
escluso dalla gara.
Tuttavia, nella fattispecie, la sanzione
espulsiva dovuto al mancato conseguimento di
un punteggio minimo anche in una sola delle
sub categorie, risulta particolarmente
discriminatoria, in quanto correlata ad una
valutazione basata su giudizi discrezionali,
e non, invece, su parametri certi ed
immediatamente quantificabili (Consiglio di
Stato, Sez. III,
sentenza 13.04.2011 n. 2295 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Sulla legittimità dell'esclusione
da una gara di un concorrente, per
irregolarità contributiva sanata solo
successivamente al provvedimento di
aggiudicazione.
L'assenza del requisito della regolarità
contributiva, costituendo condizione di
partecipazione alla gara, se non posseduto
alla data di scadenza del termine di
presentazione dell'offerta, non può che
comportare la esclusione del concorrente non
adempiente, non potendo valere la
regolarizzazione postuma.
La mancanza del requisito della regolarità
contributiva alla data di scadenza del
termine previsto dal bando per la
presentazione delle offerte, in definitiva,
non é sanato dall'eventuale adempimento
tardivo dell'obbligazione contributiva,
atteso che tale tardivo adempimento può
rilevare nelle reciproche relazioni di
credito e di debito fra i soggetti del
rapporto obbligatorio e non anche nei
confronti dell'Amministrazione
aggiudicatrice che debba accertare la
sussistenza del requisito della regolarità
contributiva ai fini dell'ammissione alla
gara.
Pertanto, nel caso di specie, è legittimo il
provvedimento di esclusione da una gara
d'appalto, adottato da una stazione
appaltante nei confronti di un concorrente
che versi in stato di irregolarità in ordine
agli obblighi previdenziali prescritti dalla
legge, e che abbia provveduto a sanare tale
mancanza solo successivamente
all'aggiudicazione della procedura
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 12.04.2011 n. 2283 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Sulla legittimità del rinnovo
integrale di una gara d'appalto, in seguito
all'annullamento dell'aggiudicazione, per
violazione del principio relativo alla
segretezza delle offerte.
E' legittimo l'operato di un P.A. che abbia
provveduto al rinnovo integrale di una gara
d'appalto, a seguito dell'annullamento
dell'aggiudicazione, dovuto al mancato
rispetto del principio di segretezza delle
offerte, ciò in quanto, la violazione
suddetta, comporta gravi conseguenze ai fini
del corretto svolgimento della procedura;
nel caso di specie, in sede di esercizio
della discrezionalità conseguente alla
statuizione di annullamento, la stazione
appaltante si è correttamente posta la
questione circa l'utilizzabilità di atti
viziati nei termini accertati.
Secondo consolidata giurisprudenza, in
materia di riesercizio del potere
amministrativo conseguente all'annullamento
degli atti di gara, l'amministrazione
soccombente ha l'obbligo di conformarsi alle
relative statuizioni, nell'ambito degli
ulteriori provvedimenti che rimangono salvi
ai sensi dell'art. 26 l. n. 1034/1971; in
altre parole, l'annullamento
dell'aggiudicazione è costitutivo di un
vincolo permanente e puntuale sulla
successiva attività dell'amministrazione, la
quale deve tenere conto dei principi
enunciati nella sentenza di annullamento, al
fine di orientare la sua ulteriore azione.
Appare, pertanto, pienamente conforme al
generale canone di ragionevolezza in materia
di appalti pubblici, prendere atto della
lesione dei principi di segretezza, con
conseguente esercizio della discrezionalità
nel senso della totale rinnovazione della
gara, e ciò al fine di acquisire nuove
offerte da sottoporre anche a corretti e
predeterminati criteri di valutazione (TAR
Liguria, Sez. II,
sentenza 12.04.2011 n. 586 - link
a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI SERVIZI:
L'art. 23-bis c. 9, del d.l. n.
112/2008, convertito con l. n. 133/2008 e
ss.mm. non si applica alle società miste
pubblico-private costituite ai sensi del c.
2, lett. b, del medesimo articolo.
L'affidamento ad una società mista pubblica
e privata costituita con le modalità
indicate dal c. 2, lett. b), dell'art.
23-bis del d.l. n. 112/2008, convertito con
l. n. 133/2008 e ss.mm. deve essere
equiparato, ai fini della tutela della
concorrenza e del mercato, anche alla luce
dei principi dettati dall'U.e. in materia,
all'affidamento a terzi mediante pubblica
gara.
Pertanto, il divieto di partecipazione alla
gare bandite per l'affidamento di servizi
diversi da quelli in atto, previsto dal c. 9
del citato art. 23-bis, si applica solamente
alle società che già gestiscono servizi
pubblici locali a seguito di affidamento
diretto o comunque a seguito di procedura
non ad evidenza pubblica (Consiglio di
Stato, Sez. V,
sentenza 11.04.2011 n. 2222 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI: In
assenza di clausole della lex specialis
oscure o equivoche prevale il principio di
formalità.
La violazione di oneri formali imposti a
pena di esclusione dalla lex specialis
esprime la prevalenza del principio di
formalità collegato alla garanzia della par
condicio che -in assenza di clausole
equivoche o di significato oscuro- non può
essere superato dall’opposto principio del
favor partecipationis (C. Stato sez.
V 6498/2008).
Pertanto, ai sensi dell’art. 46 del d.lgs.
n. 163 del 2006, i criteri disposti ai fini
dell’integrazione documentale possono
riguardare esclusivamente chiarimenti in
ordine alla documentazione prodotta per
sanare eventualmente mere irregolarità
formali, e non la violazione di precise e
chiare prescrizioni del bando, perché
altrimenti verrebbe ad essere violato il
principio della "par condicio" dei
concorrenti, con conseguente inammissibile
incidenza sulla sostanza e non più solo
sulla forma
(massima tratta da
www.dirittodegliappaltipubblici.it -
TAR Sicilia-Catania, Sez. III,
sentenza 07.04.2011 n. 854
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Sono
ostensibili fin dall'aggiudicazione
provvisoria la documentazione
amministrativa, l'offerta economica e
tecnica presentate dai concorrenti in gara.
La lettera c del comma 2 dell'art. 13 del
Codice dei Contratti fa riferimento all’<aggiudicazione>;
mentre, la successiva c-bis cita
esplicitamente l’<aggiudicazione
definitiva>; segno che il legislatore,
quando ha ritenuto rilevante attendere che
si fosse realizzata la conclusione della
procedura selettiva (attraverso, appunto,
l’aggiudicazione definitiva), lo ha detto
espressamente.
Diversamente, nell’ipotesi descritta nella
precedente lettera c, l’espressione generica
“aggiudicazione” deve essere riferita
all’aggiudicazione “provvisoria”, e
ciò in applicazione del criterio
interpretativo ubi lex voluit, dixit; ubi
noluit, non dixit
(massima tratta da
www.dirittodegliappaltipubblici.it -
TAR Sicilia-Catania, Sez. I,
sentenza 07.04.2011 n. 812
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI - ENTI LOCALI: Ai
sindaci non è conferito alcun potere di
emanare ordinanze di ordinaria
amministrazione in deroga a norme
legislative o regolamentari vigenti.
Il Tribunale amministrativo regionale per il
Veneto ha sollevato questione di legittimità
costituzionale dell’art. 54, comma 4, del
decreto legislativo 18.08.2000, n. 267
(Testo unico delle leggi sull’ordinamento
degli enti locali), come sostituito
dall’art. 6 del decreto-legge 23.05.2008, n. 92 (Misure urgenti in materia di
sicurezza pubblica), convertito, con
modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della
legge 24.07.2008, n. 125, nella parte in
cui consente che il sindaco, quale ufficiale
del Governo, adotti provvedimenti a
«contenuto normativo ed efficacia a tempo
indeterminato», al fine di prevenire e di
eliminare gravi pericoli che minaccino la
sicurezza urbana, anche fuori dai casi di contingibilità e urgenza.
In particolare, i
giudici veneziani lamentano che la norma
indicata sarebbe illegittima «nella parte in
cui ha inserito la congiunzione “anche”
prima delle parole “contingibili e
urgenti”». Ad avviso dei giudici della Corte
Costituzionale, che ritengono la questione
fondata, si deve notare, al riguardo, che
nell’art. 54, comma 4, del d.lgs. n. 267 del
2000 è scritto: «Il sindaco, quale ufficiale
del Governo, adotta con atto motivato
provvedimenti, anche contingibili e urgenti
nel rispetto dei principi generali
dell’ordinamento, al fine di prevenire e di
eliminare gravi pericoli che minacciano
l’incolumità pubblica e la sicurezza
urbana».
Si può osservare agevolmente,
continuano i giudici delle leggi, che la
frase «anche contingibili e urgenti nel
rispetto dei principi generali
dell’ordinamento» è posta tra due virgole.
Si deve trarre da ciò la conclusione che il
riferimento al rispetto dei soli principi
generali dell’ordinamento riguarda i
provvedimenti contingibili e urgenti e non
anche le ordinanze sindacali di ordinaria
amministrazione.
L’estensione anche a tali
atti del regime giuridico proprio degli atti contingibili e urgenti avrebbe richiesto una
disposizione così formulata: «adotta con
atto motivato provvedimenti, anche contingibili e urgenti, nel rispetto dei
principi generali dell’ordinamento […]».
La
dizione letterale della norma implica che
non è consentito alle ordinanze sindacali
“ordinarie” –pur rivolte al fine di
fronteggiare «gravi pericoli che minacciano
l’incolumità pubblica e la sicurezza urbana»– di derogare a norme legislative vigenti,
come invece è possibile nel caso di
provvedimenti che si fondino sul presupposto
dell’urgenza e a condizione della
temporaneità dei loro effetti.
I giudici di
Palazzo della Consulta hanno infatti già
precisato, con giurisprudenza costante e
consolidata, che deroghe alla normativa
primaria, da parte delle autorità
amministrative munite di potere di
ordinanza, sono consentite solo se
«temporalmente delimitate» (ex plurimis,
sentenze n. 127 del 1995, n. 418 del 1992,
n. 32 del 1991, n. 617 del 1987, n. 8 del
1956) e, comunque, nei limiti della
«concreta situazione di fatto che si tratta
di fronteggiare» (sentenza n. 4 del 1977).
Le ordinanze oggetto di questo scrutinio di
legittimità costituzionale, concludono gli
stessi giudici, non sono assimilabili a
quelle contingibili e urgenti, già valutate
nelle pronunce appena richiamate.
Esse
consentono ai sindaci «di adottare
provvedimenti di ordinaria amministrazione a
tutela di esigenze di incolumità pubblica e
sicurezza urbana» (sentenza n. 196 del
2009). Sulla scorta del rilievo sopra
illustrato, che cioè la norma censurata, se
correttamente interpretata, non conferisce
ai sindaci alcun potere di emanare ordinanze
di ordinaria amministrazione in deroga a
norme legislative o regolamentari vigenti,
la Corte conclude che non sussistono i vizi
di legittimità che sono stati denunciati
sulla base del contrario presupposto
interpretativo
(commento tratto da
www.documentazione.ancitel.it - Corte
Costituzionale,
sentenza
07.04.2011 n. 115 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
PUBBLICO IMPIEGO: Non
è più applicabile agli impiegati comunali il
principio dell'equa proporzione tra i loro
stipendi e quello del segretario comunale.
Con la sentenza contestata in appello, il
TAR di Napoli aveva dichiarato inammissibile
il ricorso proposto dagli attuali
appellanti, tutti dipendenti di un Comune
campano, per l’annullamento del silenzio
tenuto dall’amministrazione comunale sulle
alcune istanze volte al riconoscimento del
diritto a veder ristabilita l’equa
proporzione tra i loro stipendi e quello del
segretario comunale. Il TAR Campania aveva
dichiarato inammissibile il ricorso, non
sussistendo i presupposti per la formazione
del silenzio rigetto, rilevandone, comunque,
l’infondatezza nel merito.
Gli appellanti
hanno contestato la sentenza principalmente
in riferimento alla valutazione di merito
non avendo, a loro avviso, il TAR tenuto
conto del disposto dell’art. 228 del r.d. n.
783 del 1934 che imponeva alle
amministrazioni comunali di fissare gli
stipendi con equa proporzione rispetto a
quello goduto dal segretario comunale.
Secondo i giudici del Consiglio di Stato,
tuttavia, l’appello è infondato: è
sufficiente, infatti, evidenziare che la
questione relativa alla rideterminazione del
trattamento economico dei dipendenti
comunali, in applicazione dell’art. 228 del T.U.L.C.P.
03.03.1934 n. 383, ai sensi del
quale <>, è stata affrontata da tempo dalla
giurisprudenza, che ha assunto una posizione
negativa che si condivide in pieno (cfr.,
tra le più recenti decisioni, Cons. St.,
Sez. V, 14.06.2004, n. 3793; 07.07.2002 n. 3736; 23.01.2001 n. 196; 13.03.2000 n. 1304; id.,
07.02.2000 n.
664; id., 06.10.1999 n. 1335).
Conformemente a tale orientamento
giurisprudenziale, deve ritenersi che da
quando il trattamento economico del
personale dipendente dei Comuni deve essere
determinato con il sistema della
contrattazione collettiva, con il
recepimento del contenuto dei relativi
accordi nazionali da parte delle
Amministrazioni e, quindi, con il
contestuale divieto di corrispondere
trattamenti superiori a quelli risultanti
dagli accordi stessi, il principio dell'equa
proporzione con il trattamento del
segretario comunale, di cui all'art. 228 del
T.U. 03.03.1934 n. 383, non è più
applicabile.
Questo principio, chiariscono i
giudici di Palazzo Spada, è riconducibile ad
un diverso sistema normativo, nel quale gli
enti locali potevano determinare, con atto autoritativo ed unilaterale, il trattamento
economico dei propri dipendenti. Facoltà
che, tuttavia, è venuta meno per il
carattere immediatamente precettivo ed
inderogabile, conferito ad opera dell'art. 6
del d.l. 29.12.1977 n. 946, convertito
nella legge 27.02.1978 n. 43, alla
disciplina del rapporto di impiego del
personale in questione contenuta nel d.p.r.
01.06.1979 n. 191.
La determinazione del
trattamento giuridico ed economico del
personale degli enti locali in conformità
degli accordi nazionali, per altro, risponde
alla volontà legislativa di individuare una
nuova fonte esclusiva di regolamentazione a
garanzia dell'omogeneità del regime
applicabile ed in vista del contenimento
della spesa pubblica, nel rispetto dei
principi costituzionali d'imparzialità e di
buon andamento dell'azione amministrativa
(cfr., tra le molte, Cons. St., Sez. V, 21.07.1999 n. 883; id., 15.09.1997
n. 978; id., 03.06.1996, n. 610).
Si
tratta, quindi, di una disciplina che,
rafforzata dal principio di
onnicomprensività della retribuzione fissato
dagli accordi, disancora il trattamento
economico del dipendente dal potere
discrezionale dell'ente, risultando in tal
modo radicalmente incompatibile con la
citata facoltà di riequilibrio previsto
dall'art. 228 citato. Né può ritenersi che
questa facoltà sopravviva per i periodi
anteriori alla riforma.
Non si tratta,
invero, di applicare, ora per allora, una
disciplina che fissa concreti livelli
retributivi, sulla quale eventualmente
fondare diritti soggettivi ormai
immodificabili, bensì di postulare
l'esercizio di un potere pubblico
definitivamente abrogato
(commento tratto da
www.documentazione.ancitel.it -
Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza
01.04.2011 n. 2024
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Ai
fini della legittimazione all’impugnazione
la “vicinitas” si valuta in rapporto al
carattere e alle dimensioni dell’intervento
di cui si controverte.
La società ricorrente, nella causa in
commento, è titolare di un’area sita nel
comune in causa, in zona in gran parte già
edificata, classificata dal vigente P.R.G.
come omogenea B, e occupata da stabili ora
dismessi, destinati a suo tempo ad uffici e
depositi dell’ENEL; relativamente a tale
area, detta società ha ottenuto, mediante
deliberazioni del Consiglio comunale,
l’adozione e approvazione di un piano
integrato di intervento, o P.I.I., inteso a
valorizzarla mediante nuovi edifici, a
destinazione abitativa ovvero terziaria e
commerciale.
Tra le numerose doglianze è
degna di attenzione, ai fini di un
approfondimento, l’eccezione di
l’inammissibilità del ricorso per difetto di
legittimazione dedotta dal Comune.
Il
Tribunale amministrativo di Brescia,
infatti, ritenendola fondata, ricorda che,
in termini del tutto generali, è noto che la
legittimazione di singoli soggetti ad
impugnare atti amministrativi che incidano
in qualche modo sull’ambiente ovvero sul
territorio e in particolare ad impugnare
strumenti urbanistici generali, o come nel
caso presente attuativi, è riconosciuta in
giurisprudenza in base al criterio della cd.
vicinitas, definita in termini sintetici -da ultimo si veda C.d.S. sez. V 18.08.2010 n. 5819- come “il fatto che i ricorrenti
vivano abitualmente in prossimità del sito
prescelto per la realizzazione”
dell’intervento di che trattasi.
Dalla
stessa giurisprudenza, risulta poi,
continuano i giudici lombardi, per
implicito, ma in modo inequivoco, che la
vicinitas rileva non di per sé, ma come
indizio dal quale desumere la fondata
possibilità di un pregiudizio che dagli atti
impugnati deriverebbe alla propria esistenza
quotidiana, in particolare all’ambito
spaziale nel quale essa si svolge.
Tale
pregiudizio infine, altro non è che
esplicazione del principio generale
dell’interesse, per cui per proporre una
azione in giudizio è necessario che dalla
stessa possa derivare all’attore una qualche
concreta utilità, sotto il profilo di un
vantaggio sperato oppure, come appunto nella
specie, di un danno prevenuto.
In forza di
ciò, si comprende l’affermazione che è pure
costante in giurisprudenza, per cui la vicinitas è un criterio in qualche modo
elastico: conduce non a individuare regole
valide per qualsiasi situazione, ma a
valutarla caso per caso, in rapporto al
carattere e alle dimensioni dell’intervento
di cui si controverte apprezzati in base a
comune esperienza, come ritenuto ad esempio,
fra le decisioni recenti, da C.d.S. sez. VI
13.09.2010 n. 6554.
In tali termini,
la legittimazione fondata sulla vicinitas
sarà da riconoscere in via tendenzialmente
assai ampia ad esempio nel caso di
impugnazione degli atti relativi alla
realizzazione di impianti industriali,
notoriamente suscettibili di ingenerare un
impatto considerevole sul territorio e di
indurre rischi anche gravi sulla salute
degli abitanti di ampie zone dello stesso.
In tal caso, non sarà necessaria la prova
rigorosa dell'effettività del danno che si
potrebbe subire: così ad esempio in
motivazione C.d.S. sez. V 18.08.2010 n.
5819 in una fattispecie relativa ad un
termovalorizzatore.
A conclusioni opposte,
invece, si deve pervenire nel caso di
impugnazione di atti relativi ad
insediamenti non particolarmente impattanti,
come i normali edifici adibiti a ufficio o
abitazione: in tal caso, è richiesta, almeno
in termini presuntivi, la prova specifica di
un potenziale pregiudizio di qualche entità
cui il ricorrente potrebbe andare incontro,
perché in mancanza si introdurrebbe in via
di fatto una sorta di azione popolare,
sconosciuta come tale al nostro ordinamento
(commento tratto da
www.documentazione.ancitel.it - TAR Lombardia-Brescia,
Sez. I,
sentenza
29.03.2011 n. 483 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
titolare di un’autorizzazione amministrativa
per l'esercizio di attività commerciale è
legittimato a denunciare le violazioni
edilizie ed urbanistiche contigue.
Riassumiamo brevemente i fatti che hanno
originato la pronuncia in commento: le
società ricorrenti esercitano da anni
l’attività commerciale di vendita di
materiali edili, pavimenti, idrosanitari,
rivestimenti in un comune laziale.
Avuta notizia dell’apertura da parte della
società resistente di un’attività di
commercio all’ingrosso dei medesimi
materiali nello stesso comune, le
ricorrenti, previa deduzione delle
riscontrate illegittimità del procedimento
di rilascio dell’autorizzazione al
commercio, nonché degli interventi di
trasformazione edilizia effettuati da parte
di questa società sia nel piazzale che
nell’edificio, hanno sollecitato il comune
all’adozione dei provvedimenti di competenza
ai fini della revoca dell’autorizzazione al
commercio, nonché della rimessione in
pristino sia del piazzale che dell’edificio
adibito ad attività commerciale.
Il Comune, tuttavia, é rimasto inerte non
avendo dato in alcun modo seguito alla
predetta istanza e, pertanto, con il ricorso
in rassegna, le società ricorrenti hanno
dedotto l’illegittimità del silenzio serbato
da parte dell’amministrazione comunale.
Quanto al secondo punto (rimandiamo al testo
della sentenza per l’analisi completa delle
questioni di diritto analizzate) i giudici
del Tribunale amministrativo di Roma
sottolineano che l'art. 27 d.P.R.
06.06.2001, n. 380, prevede l'azionabilità
del procedimento sanzionatorio edilizio
anche sulla scorta di denunzia di soggetti
privati, e, pertanto, va ribadito che il
proprietario di un'area o di un fabbricato,
nella cui sfera giuridica incide
dannosamente il mancato esercizio dei poteri
ripristinatori e repressivi da parte
dell'organo preposto avverso abusi edilizi,
è titolare di un interesse legittimo
all'esercizio di detti poteri e può
pretendere, se non vengono adottate le
misure richieste, un provvedimento che ne
spieghi esplicitamente le ragioni, con la
definitiva conseguenza che il silenzio
serbato sull'istanza e sulla successiva
diffida dell'interessato integra gli estremi
del silenzio rifiuto sindacabile in sede
giurisdizionale quanto al mancato
adempimento dell'obbligo di provvedere
espressamente.
Deve, pertanto, rilevarsi, secondo i giudici
capitolini, che il titolare di
un’autorizzazione amministrativa per
l'esercizio di attività commerciale su area
contigua a quella interessata dagli
interventi edilizio-urbanistici, è
legittimato ad eccitare i poteri di
vigilanza del comune stesso ex articolo 27
del d.P.R. n. 380 del 2001, al fine
dell'accertamento di violazioni edilizie ed
urbanistiche e di inadempimento di obblighi
contratti verso l’amministrazione, in
ragione della vicinitas con l'area
considerata, con la conseguenza che va
dichiarata l'illegittimità del silenzio
serbato dall'amministrazione sulla diffida
notificata al riguardo.
Ed, infatti, il riconoscimento di interessi
giuridicamente rilevanti in materia
urbanistico-edilizia non può circoscriversi
ai soli soggetti proprietari di immobili, ma
deve essere esteso a tutti coloro che, in
ragione di uno stabile collegamento con
l'area interessata dalle iniziative
edificatorie, debbano considerasi titolari
di una posizione giuridicamente
differenziata, qual è quella connessa alla
titolarità dell'autorizzazione all'esercizio
di un'attività commerciale nell'area
medesima.
Risolutiva al riguardo, concludono i giudici
laziali, non è pertanto la contiguità
stretta degli immobili di cui trattasi,
quanto l’incidenza degli stessi in una
medesima area (commento tratto da
www.documentazione.ancitel.it - TAR
Lazio-Roma, Sez. II-ter,
sentenza
28.03.2011 n. 2721
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: L’offerta
deve contenere, a pena di esclusione, una
specifica e precisa informazione circa
l'effettivo assolvimento di tutte le
formalità connesse all'assunzione di
lavoratori disabili.
Con uno tra i numerosi motivi di gravame
presenti nella pronuncia in rassegna,
riguardante, sostanzialmente, una gara
indetta da un Comune toscano, è stata
dedotta la violazione dell’art. 38 del
D.Lgs. n. 163 del 2006 e dell’art. 17 della
L. n. 68 del 1999.
Secondo la ditta
ricorrente la vincitrice del bando di gara
aveva presentato un’offerta difforme alle
prescrizioni della lex specialis sotto più
profili, in particolare per mancata
dichiarazione circa l’osservanza della
normativa in materia di diritto al lavoro
dei disabili.
La tesi del TAR secondo cui
le imprese in gara avrebbero dovuto non solo
essere in regola con gli obblighi richiesti
dal bando, ma anche dichiarare quali
obblighi avevano soddisfatto (sicché non
potevano fornire dichiarazioni di contenuto
contraddittorio e non definito, quindi
inidoneo ad eventuali verifiche della
veridicità delle dichiarazioni effettuate)
sarebbe smentita, ad avviso dei ricorrenti,
sia dalla circostanza che il disciplinare di
gara non stabiliva che dovesse essere
dichiarato quale obbligo era soddisfatto con
riguardo al diritto al lavoro dei disabili,
ma richiedeva solo la formulazione riportata
al paragrafo II.1 nel modulo prestampato,
senza chiedere altro, sia dalla circostanza
che comunque poteva comunque essere
verificata (anche ai sensi dell’art. 71 del
D.P.R. n. 445 del 2000) la veridicità di
quanto affermato.
Osserva in proposito il
Consiglio di Stato che l'art. 17 della L. 12.03.1999 n. 68 prevede che le imprese, sia
pubbliche sia private, qualora partecipino a
bandi di gara per appalti pubblici o
intrattengano rapporti convenzionali o di
concessione con pubbliche Amministrazioni,
sono tenute a presentare preventivamente
alle stesse la dichiarazione del legale
rappresentante che attesti di essere in
regola con le norme che disciplinano il
diritto al lavoro dei disabili. Al riguardo
la giurisprudenza del Consiglio di Stato ha
costantemente rilevato che la dichiarazione
di cui all'art. 17, della L. 12.03.1999
n. 68, in materia di tutela dei disabili,
costituisce requisito di partecipazione alla
gara; ne consegue che la omissione di detta
dichiarazione costituisce causa di
esclusione per la forza cogente propria
della legge (Consiglio Stato, sez. V, 21.05.2010, n. 3213) e la sua sussistenza
deve essere esplicitamente dichiarata anche
qualora il soggetto non sia tenuto al
rispetto delle norme o sia in regola con le
norme stesse.
In tema di partecipazione ad
una gara per l'affidamento di un appalto
pubblico, la “ratio” e la finalità dell'art.
17, della L. n. 68 del 1999, non sono solo
quelle di garantire la P.A. nella
conclusione del contratto, da stipularsi con
una impresa che abbia osservato ed osservi
la normativa sul diritto al lavoro dei
disabili, ma anche quella di imporre il
rispetto di essa: dette finalità possono
essere perseguite, da una parte, verificando
l'assenza di pregresse violazioni della
disciplina e, per il futuro, verificandone
la completa osservanza sulla base
dell'assetto organizzativo che, in termini
di risorse umane, con riferimento alle
prestazioni oggetto di gara, il soggetto
aggiudicatario voglia darsi.
Dette
considerazioni escludono anche che la
Commissione di gara, possa al riguardo
utilizzare il potere di richiedere
chiarimenti ed integrazioni, non solo perché
ciò costituirebbe violazione dei principi di
concorrenza e par condicio che presidiano la
materia degli appalti pubblici, ma
soprattutto perché si dovrebbe richiedere
all'Amministrazione di verificare, in
mancanza della dichiarazione, se l'impresa
occupi un numero di lavoratori tali da
esentarla dall'assunzione dei disabili, il
che non solo non è conforme alla lettera
dell'art. 17, della L. n. 68 del 1999 ma è
anche contrario a principi di economicità ed
efficacia dell'azione amministrativa di cui
agli artt. 97, comma 1, della Costituzione e
1, della L. 07.08.1990 n. 241 (Consiglio
Stato, sez. V, 24.01.2007, n. 256).
L'offerta deve quindi contenere a pena di
esclusione una specifica e precisa
informazione circa l'effettivo assolvimento
di tutte le formalità connesse
all'assunzione di lavoratori disabili (commento tratto da
www.documentazione.ancitel.it - Consiglio di Stato,
Sez. V,
sentenza 24.03.2011 n.
1792 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI: Il
regolamento non può derogare alle condizioni
generali di accesso agli atti di
un’amministrazione locale a favore dei
“residenti”.
La questione controversa, in questo ricorso
al Consiglio di Stato, consiste nello
stabilire se l’accesso agli atti di
un’amministrazione locale, tanto più in
quanto esso sia regolato da un apposito
regolamento, possa prescindere o,
addirittura, derogare alle condizioni
generali per l’esercizio dell’accesso
fissate dall’articolo 25 della legge 07.08.1990, n. 241.
In merito, i giudici di
Palazzo Spada ricordano che la
giurisprudenza ha già avuto modo di rilevare
in controversie pressoché analoghe (C.d.S.,
sez. V, 29.11.2004, n. 7773; 20.10.2004, n. 6879; 18.03.2004, n.
1412), la disposizione contenuta nel primo
comma dell’articolo 10 del D.Lgs. 18.08.2000, n. 267 (secondo cui “tutti gli atti
dell’amministrazione comunale e provinciale,
ad eccezione di quelli riservati per
espressa disposizione di legge o per effetto
di una temporanea e motivata dichiarazione
del sindaco o del presidente della provincia
che ne vieti l’esibizione, conformemente a
quanto previsto dal regolamento, in quanto
la loro diffusione possa pregiudicare il
diritto alla riservatezza delle persone, dei
gruppi o delle imprese”), sancisce il
principio della pubblicità degli atti delle
amministrazioni locali, senza tuttavia con
ciò possa implicare una diversa
configurazione del diritto di accesso, così
come delineato dall’articolo 25 della legge
07.08.1990, n. 241, e senza neppure
disciplinare modalità differenziate di
esercizio di tale diritto. Per quanto
riguarda i requisiti di accoglimento della
domanda di accesso non sussiste dunque
alcuna ragione per discostarsi da quelli
contenuti nella disciplina generale di cui
agli articoli 22 e seguenti della legge 07.08.1990, n. 241.
In altri termini, come
pure è stato opportunamente evidenziato nei
citati arresti giurisprudenziali, l’articolo
10 del D.Lgs. 18.08.2000, n. 267 (e
prima di esso l’articolo 7 della legge 08.06.1990, n. 142), contiene una deroga
all’articolo 24 della citata legge 07.08.1990, n. 241, ma non alle disposizioni di
cui al successivo articolo 25.
Tali
conclusioni, con cui i giudici d’appello
concordano, consentono di respingere la
tesi, della specialità delle disposizioni
regolamentari emanate in tema di accesso dal
Comune in causa, in forza delle quali,
secondo l’appellante, l’accesso stesso per i
soli cittadini residenti non sarebbe
subordinato alla dimostrazione
dell’interesse (all’accesso), secondo le
disposizioni generali di cui all’articolo 25
della legge 07.08.1990, n. 241.
Innanzitutto, anche a voler prescindere dal
carattere assolutamente soggettivo
dell’interpretazione delle disposizioni
regolamentari comunali propugnata
dall’appellante, gli stessi giudici
osservano che il potere riconosciuto
all’amministrazione locale, ai sensi
dell’articolo 7, comma 3, della legge 08.06.1990, n. 142, e del successivo
articolo 10, comma 2, del D.Lgs. 18.08.2000, n. 267, di disciplinare in concreto il
diritto di accesso ai propri atti, non si
configura affatto come potere normativo
libero e autonomo, derogatorio dei principi
generali in materia, bensì si colloca
armonicamente proprio come strumentale
all’applicazione dei principi fondamentali
della materia (nel rispetto, quindi, del
fondamentale rispetto del principio di
legalità cui è subordinato l’esercizio del
potere regolamentare), essendo diretto, come
puntualmente stabilito dalle disposizioni
legislative ricordate, ad assicurare ai
cittadini, singoli e associati, il diritto
di accesso ai documenti attraverso la
disciplina del rilascio delle copie di atti
previo pagamento dei soli costi;
individuando, anche attraverso norme di
organizzazione, gli uffici e i servizi e i
responsabili del procedimento; dettando le
norme per assicurare ai cittadini
l’informazione sugli atti, procedure e
provvedimenti che li riguardano ed in
generale l’accesso alle informazioni in
possesso dell’informazione
(commento tratto da
www.documentazione.ancitel.it - Consiglio di Stato,
Sez. V,
sentenza
24.03.2011 n. 1772 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Sono
di competenza del giudice civile le lesioni
di un diritto soggettivo derivanti da un
intervento approvato con concessione
edilizia.
Nella causa in commento i ricorrenti
impugnarono dinanzi al TAR per il Piemonte
una concessione edilizia per la costruzione
di un fabbricato residenziale con
autorimessa interrata. I motivi del gravame
vertevano, in sintesi, sulla violazione dei
diritti dei terzi e, in particolare, degli
stessi ricorrenti.
Ad avviso dei giudici del
Consiglio di Stato, il TAR ha
correttamente opposto alla censura di
violazione “dei diritti di terzi, e, in
particolare, diritti dei ricorrenti”, che la
tutela dei diritti soggettivi individuali in
questa materia non rientra nell’ambito della
giurisdizione assegnata al Giudice
amministrativo: la concessione edilizia
viene difatti rilasciata con la clausola
della salvezza dei diritti dei terzi, ed è
quindi il giudice civile l’autorità titolata
a conoscere di eventuali lesioni di
posizioni di diritto soggettivo che possano
scaturire dall’intervento assentito.
E’
appena il caso di ricordare, continuano i
giudici di Palazzo Spada, che, se è vero che
l'Amministrazione comunale, nel corso
dell'istruttoria sul rilascio della
concessione edilizia, deve verificare che
esista il titolo per intervenire
sull'immobile per il quale è chiesta la
concessione edilizia, benché la concessione
sia sempre rilasciata facendo salvi i
diritti dei terzi, è anche vero, però, che
deve escludersi un obbligo del Comune di
effettuare complessi accertamenti diretti a
ricostruire tutte le vicende riguardanti la
titolarità dell'immobile, o di verificare
l'inesistenza di servitù o altri vincoli
reali che potrebbero limitare l'attività
edificatoria dell'immobile, atteso che la
concessione edilizia è un atto
amministrativo che rende semplicemente
legittima l'attività edilizia
nell'ordinamento pubblicistico, e regola
solo il rapporto che, in relazione a
quell'attività, si pone in essere tra
l'autorità amministrativa che lo emette ed
il soggetto a favore del quale è emesso, ma
non attribuisce a favore di tale soggetto
diritti soggettivi conseguenti all'attività
stessa, la cui titolarità deve essere sempre
verificata alla stregua della disciplina
fissata dal diritto comune (Consiglio Stato,
V: 07.09.2009, n. 5223; 07.09.2007 n. 4703;
02.10.2002 n. 5165).
La
clausola relativa alla salvezza dei diritti
dei terzi, concludono gli stessi giudici,
inserita nella concessione edilizia deve
quindi proprio intendersi nel senso che non
incombe all'autorità che rilascia la
concessione compiere complesse ricognizioni giuridico-documentali, ovvero accertamenti
in ordine ad eventuali pretese che
potrebbero essere avanzate da soggetti
estranei al rapporto concessorio, essendo
sufficiente per l'Amministrazione
l'acquisizione del titolo che formalmente
abiliti alla concessione (Consiglio Stato,
IV, 26.05.2006, n. 3201).
Sicché il
vicino che reputi leso un proprio diritto
soggettivo, ad es., in materia di distanze
tra edifici, può sempre agire innanzi all'a.g.o.
per la riduzione in pristino o il
risarcimento del danno (Consiglio Stato, V,
19.03.1999, n. 277)
(commento tratto da
www.documentazione.ancitel.it - Consiglio di Stato,
Sez. V,
sentenza 24.03.2011 n. 1770 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Nessun obbligo della P.A. di
pronunciarsi sull'istanza privata di
attivazione del potere di autotutela.
Insussistenza
dell'obbligo di motivazione in merito ad
un'istanza promossa dal privato per ottenere
un provvedimento in via di autotutela -
Pubblica amministrazione - Istanza del
privato - Richiesta di un provvedimento in
via di autotutela - Obbligo di pronunciarsi
- Motivazione di un eventuale diniego -
Insussistenza - Caso concreto - Asserito
difetto di motivazione - Infondatezza della
censura.
Non sussiste alcun obbligo in capo alla
Pubblica Amministrazione di pronunciarsi su
un'istanza promossa da un privato al fine di
ottenere un provvedimento in via di
autotutela. Ne consegue che neppure sussiste
uno specifico obbligo di motivazione di un
eventuale diniego espresso in ordine a
siffatta istanza.
Orbene, nel caso concreto, si è ritenuta
infondata la censura del difetto di
motivazione, sollevata dalla società
ricorrente con i motivi aggiunti, in merito
al provvedimento recante la reiezione
dell'ulteriore istanza promossa dalla
medesima per l'annullamento in autotutela
dell'aggiudicazione della gara controversa
in favore dell'ATI controinteressata,
giacché, nonostante per tale provvedimento
non vi sia un obbligo di motivazione, in
esso tuttavia vi era una motivazione, quale
quella secondo cui "la pendenza del
giudizio sconsiglia una iniziativa in via di
autotutela a prescindere dalla fondatezza
dei rilievi sollevati", che appare del
tutto plausibile, ragionevole e pertinente,
nonché volta ad evitare una inutile
proliferazione di iniziative giurisdizionali
(massima tratta da a
www.diritto24.ilsole24ore.com -
TAR Toscana, Sez. I,
sentenza 24.03.2011 n.
488 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Istanza volta ad
ottenere un provvedimento in via di
autotutela - Obbligo di pronunciarsi della
P.A. - Insussistenza - Inapplicabilità
dell'istituto del silenzio-rifiuto e dello
strumento di tutela di cui all'art. 21-bis
della L. n. 241 del 1990 - Potere di
autotutela - Potere d'ufficio - Istanze di
parte - Mere sollecitazioni. (L. 07.08.1990,
n. 241, art. 21-bis).
Non è ravvisabile alcun obbligo in capo alla
Pubblica Amministrazione di pronunciarsi su
un'istanza del privato volta ad ottenere un
provvedimento in via di autotutela, non
essendo coercibile ab extra
l'attivazione del procedimento di riesame
della legittimità dell'atto amministrativo
mediante l'istituto del silenzio - rifiuto e
lo strumento di tutela offerto dall'art.
21-bis, L. n. 241 del 1990.
A suffragio di quanto suesposto, infatti, si
evidenzia che il potere di autotutela si
esercita d'ufficio e non su istanza di parte
e, pertanto, sulle eventuali istanze di
parte, aventi valore di mera sollecitazione,
non sussiste alcun obbligo giuridico di
provvedere.
Ne consegue che non costituisce
inadempimento la risposta espressa in
relazione all'istanza del privato (massima
tratta da a
www.diritto24.ilsole24ore.com -
TAR Lazio-Latina, Sez.
I,
sentenza 23.03.2011 n. 282
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
PUBBLICO IMPIEGO: È
illegittima la normativa concorsuale che
preveda espressamente quale causa di
esclusione dalla partecipazione al concorso
il mancato pagamento della relativa tassa.
Il ricorrente, nella pronuncia in commento,
ha partecipato a un pubblico concorso per la
copertura di dieci posti di docente presso
la scuola d’infanzia, indetta dal comune in
causa. Avendo appreso dall’Amministrazione
di non aver versato la tassa di concorso,
pari ad Euro 3,87, provvedeva al suo
versamento dopo la conclusione dello stesso.
L’Amministrazione in applicazione di una
specifica clausola del bando nonché del
regolamento dei concorsi, ne disponeva
l’esclusione e la decadenza dalla
graduatoria. L’interessata presentava
ricorso al TAR impugnando tutti gli atti
della procedura, ivi compreso il bando e la
norma del regolamento dei concorsi, per la
parte concernente il pagamento della tassa
di concorso e l’esclusione dalla procedura
selettiva, deducendone l’illegittimità.
La
tassa di concorso, secondo i giudici del
Tribunale amministrativo di Bologna, non
attiene ai requisiti soggettivi di
partecipazione al concorso ma costituisce il
corrispettivo per la prestazione di un
servizio, con la conseguenza che è
illegittima la normativa concorsuale (nella
specie il bando di concorso ed il
regolamento comunale dei concorsi) che
preveda espressamente quale causa di
esclusione dalla partecipazione al concorso
il mancato pagamento della relativa tassa,
potendo l'Amministrazione richiedere la
regolarizzazione documentale da effettuarsi
in un termine dalla stessa stabilito,
mediante l'effettuazione del relativo
versamento e la presentazione della ricevuta
nel termine di cui sopra, trattandosi di una
irregolarità meramente formale.
Il tardivo
versamento della tassa di concorso
costituisce pertanto un’irregolarità
sanabile e, quindi, è da ritenere che,
ricorrendone i presupposti,
l'amministrazione debba consentirne la
regolarizzazione, sussistendo semmai il
dovere dell'amministrazione di procedere
alla verifica dell’avvenuto pagamento della
tassa in un arco temporale antecedente allo
svolgimento delle prove di concorso e
chiedere al concorrente la regolarizzazione
documentale da effettuarsi in un termine a
tal fine stabilito (TAR Lazio Roma, sez. II, 28.06.2006, n. 5308; TAR
Toscana, sez. III, 13.06.1991, n. 285).
Né può ipotizzarsi, continuano i giudici
emiliani, la violazione di un principio di
par condicio nella partecipazione al
concorso pubblico finalizzato all’assunzione
del dipendente pubblico, derivante dal
mancato pagamento di Euro 3,87, in quanto
detto adempimento formale non ha nulla a che
vedere con lo svolgimento della procedura e
con il rispetto del principio di buon
andamento ed imparzialità dell’azione
amministrativa di cui agli articoli 97 e 98
della Costituzione.
Del resto la normativa
di fonte primaria, ossia l’articolo 27,
comma 6, del decreto-legge 28.02.1983,
n. 55, convertito, con modificazioni, dalla
legge 26.04.1983, n. 131, come novellato
dalla legge 24.11.2000, n. 340, nel
prevedere il potere impositivo della tassa
di concorso alle amministrazione, per
effetto di una scelta eventuale e
discrezionale, non dispone l’esclusione dei
candidati che non vi ottemperino e,
conseguentemente, appare sproporzionata la
sanzione dell’esclusione dal concorso
conseguente alla ritardata corresponsione di
una somma di euro 3,87 prevista dal
regolamento comunale e dal bando, in
mancanza di un obbligo di legge in tal
senso
(commento tratto da
www.documentazione.ancitel.it -
TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez. I,
sentenza 18.03.2011 n.
258 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Diritto di accesso pacificamente
riconosciuto agli enti di categoria.
Diritto di accesso - Riconoscibilità nei
confronti degli enti esponenziali di
interessi collettivi e diffusi - Condizioni
- Associazioni dei consumatori - Istanza di
accesso - Necessaria pertinenza con i fini
statutari - Caso concreto - Silenzio rigetto
sull'istanza di accesso - Impugnativa -
Sussistenza della predetta pertinenza -
Legittimazione riguardo all'accesso
all'informazione ambientale più lata -
Correttezza formale dell'istanza -
Fondatezza del gravame (L. 07.08.1990, n.
241).
Il diritto di accesso, oltre che alle
persone fisiche, deve essere riconosciuto
anche ad enti esponenziali di interessi
collettivi e diffusi, ove corroborati dalla
rappresentatività dell'associazione o ente
esponenziale e dalla pertinenza dei fini
statutari rispetto all'oggetto dell'istanza
promossa in tal senso. Le associazioni dei
consumatori sono, dunque, legittimate ad
esercitare il diritto di accesso ai
documenti della Pubblica Amministrazione in
relazione ad interessi dei consumatori e
degli utenti di servizi pubblici.
Tale
legittimazione, tuttavia, deve essere parametrata agli atti incidenti sulla sfera
soggettiva di ogni singola associazione,
ovvero verificata in relazione alla idoneità
degli atti per cui si è richiesto l'accesso
ad interferire con specificità ed
immediatezza sulla posizione dei consumatori
e degli utenti dalla stessa rappresentati,
senza che l'interesse generale ed
indifferenziato di tutti i cittadini al
corretto e regolare svolgimento di una
funzione o di un servizio pubblico, possa
essere alla stessa riferibile.
Orbene, nel
caso di specie, il ricorso promosso dalle
associazioni ricorrenti al fine di ottenere
l'annullamento del silenzio rigetto
formatosi sulla richiesta, formulata dalla
parte ricorrente, di accesso ai documenti
amministrativi concernenti l'approvazione
del progetto esecutivo e la realizzazione di
un impianto di smaltimento dei rifiuti,
risulta fondato, dal momento che deve
ritenersi sussistente il diritto di accesso
dei ricorrenti agli atti predetti, essendo
l'istanza di accesso pertinente ai loro fini
statutari.
Tra l'altro, deve altresì
evidenziarsi che il concetto di
legittimazione riguardo all'accesso
all'informazione ambientale ha una valenza
decisamente più lata rispetto alla
legittimazione prevista per il diritto di
accesso tout court; ed infine, l'istanza di
accesso in parola è stata correttamente
formulata nel rispetto dei parametri
normativi previsti, con il conseguente
riconoscimento del diritto di accesso nei
confronti della parte ricorrente.
Pubblica amministrazione - Documenti
amministrativi - Diritto di accesso - Enti
esponenziali di interessi collettivi e
diffusi - Spetta.
Il diritto di accesso, oltre che alle
persone fisiche, spetta anche a enti
esponenziali di interessi collettivi e
diffusi, ove corroborati dalla
rappresentatività dell'associazione o ente
esponenziale e dalla pertinenza dei fini
statutari rispetto all'oggetto dell'istanza.
Pertanto, sussiste il diritto di accesso del
Codacons agli atti del comune concernenti
l'approvazione del progetto esecutivo e la
realizzazione di un impianto di smaltimento
dei rifiuti atteso che, riguardo a tali
atti, l'istanza del Codacons risulta
pertinente ai fini statutari
dell'associazione in quanto rivolta alla
tutela dell'interesse degli utenti del
relativo servizio.
Peraltro il concetto di legittimazione
riguardo all'accesso all'informazione
ambientale assume, per espressa previsione
normativa e per costante applicazione
giurisprudenziale, una valenza decisamente
più lata rispetto alla legittimazione
prevista per il diritto di accesso tout
court (massima
tratta da a
www.diritto24.ilsole24ore.com -
TAR Lazio-Roma, Sez.
II-ter,
sentenza
14.03.2011 n. 2260
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: L'art.
9 della legge 24.03.1989, n. 122, nel
consentire la costruzione di parcheggi, da
destinare a pertinenza delle singole unità
immobiliari, nel sottosuolo degli immobili o
nei locali siti al piano terreno anche in
deroga alla vigente disciplina urbanistica,
concerne i soli fabbricati già esistenti e
non anche le concessioni edilizie rilasciate
per realizzare edifici nuovi.
Una volta che siano stati riservati per
parcheggi spazi nella misura di legge, ogni
spazio ulteriore (inteso come spazio libero
da costruzioni, ovvero come box, o come
autorimessa comune, ecc.) è completamente
svincolato dalla disciplina vincolistica (in
quanto ad esso non applicabile) e, quindi,
può essere liberamente venduto, locato o
formare oggetto di altri negozi giuridici,
non costituendo pertinenza ai sensi della
suddetta normativa speciale, ma pertinenza
alla stregua, però, dell'art. 817 c.c..
E’ interpretazione giurisprudenziale
consolidata che l'art. 9 della legge
24.03.1989, n. 122, nel consentire la
costruzione di parcheggi, da destinare a
pertinenza delle singole unità immobiliari,
nel sottosuolo degli immobili o nei locali
siti al piano terreno anche in deroga alla
vigente disciplina urbanistica, concerne i
soli fabbricati già esistenti e non anche le
concessioni edilizie rilasciate per
realizzare edifici nuovi, per i quali invece
provvede l'art. 2, comma 2, della legge
stessa che, nel novellare l'art. 41-sexies,
della legge fondamentale 17.08.1942 n. 1150,
stabilisce l'obbligo di riservare appositi
spazi per parcheggi di misura non inferiore
a 1 mq. per ogni 10 mc. di costruzione
(Consiglio Stato, sez. V, 24.10.2000 n. 5676
e 27.09.1999 n. 1185).
Nella specie, poiché non è controverso che
l’intervento edilizio abbia riguardato una
costruzione di nuova realizzazione, le
ragioni comunali sono da reputare fondate e
quelle attoree di primo grado, per
l’effetto, da ritenere prive di consistenza,
poiché i parcheggi obbligatori di cui al
richiamato art. 2, comma 2, costituiscono
pertinenza in senso civilistico dell’unità
immobiliare principale e, quindi, ne seguono
la sorte ai fini del computo delle SNR e del
calcolo dei corrispondenti oneri concessori.
Quanto alle quote eccedentarie, va
richiamata Cassazione Civile (sezione II,
01.08.2008 n. 21003), secondo la quale, in
tema di spazi destinati a parcheggi privati,
in complessi condominiali di nuova
costruzione, il susseguirsi d'interventi
legislativi incidenti sulla limitazione
dell'autonomia privata in ordine alle
dimensioni minime di tali spazi e al regime
di circolazione, ha determinato l'esistenza
di tre diverse tipologie di parcheggio,
assoggettate a regimi giuridici
differenziati tra di loro:
a)
i parcheggi soggetti ad un vincolo
pubblicistico di destinazione, produttivo di
un diritto reale d'uso in favore dei
condomini e di un vincolo pertinenziale
ex lege, che non ne esclude
l'alienabilità separatamente dall'unità
immobiliare, disciplinati dall'art. 18 della
legge n. 765 del 1967 (art. 41-sexies della
legge n. 1150 del 1942);
b)
i parcheggi soggetti al vincolo
pubblicistico d'inscindibilità con l'unità
immobiliare, introdotti dall'art. 2 della
legge n. 122 del 1989, assoggettati ad un
regime di circolazione controllata e di
utilizzazione vincolata e, conseguentemente
non trasferibili autonomamente;
c)
i parcheggi non rientranti nelle due specie
sopra illustrate, perché realizzati in
eccedenza rispetto agli spazi minimi
inderogabilmente richiesti dalla disciplina
normativa pubblicistica, ad utilizzazione e
a circolazione libera, ed i parcheggi
disciplinati dall'art. 12, comma 9, della
legge n. 246 del 2005 di definitiva
liberalizzazione del regime di circolazione
e trasferimento delle aree destinate a
parcheggio, ma con esclusivo riferimento al
futuro, ovvero alle costruzioni non ancora
realizzate e a quelle per le quali non sia
ancora intervenuta la stipulazione delle
vendite delle singole unità immobiliari, al
momento della sua entrata in vigore.
Conseguentemente, una volta che siano stati
riservati per parcheggi spazi nella misura
di legge, ogni spazio ulteriore (inteso come
spazio libero da costruzioni, ovvero come
box, o come autorimessa comune, ecc.) è
completamente svincolato dalla richiamata
disciplina vincolistica (in quanto ad esso
non applicabile) e, quindi, può essere
liberamente venduto, locato o formare
oggetto di altri negozi giuridici, non
costituendo pertinenza ai sensi della
suddetta normativa speciale, ma pertinenza
alla stregua, però, dell'art. 817 c.c.
(Cassazione Civile, sezione III, 23.01.2006
n. 1221).
È evidente, allora, potendo tali spazi
ulteriori ed eccedentari essere liberamente
venduti, locati o costituire oggetto di
altri negozi giuridici, come non sussista
titolo legale alcuno che giustifichi e
spieghi perché dovrebbero essere esentati,
essendo a libera circolazione e, quindi,
produttori di pieno profitto commerciale
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 10.03.2011 n. 1565 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Autorizzazione paesaggistica.
Annullamento in sede statale per difetto di
motivazione.
Il termine di sessanta giorni per
l’annullamento in sede statale del nulla
osta paesaggistico -previsto dall'art. 82,
comma 2, dpr n. 616 del 1977, nel testo
modificato dall'art. 1 dl n. 312 del 1985,
conv. nella legge n. 431 del 1985- ancorché
perentorio, attiene al solo esercizio del
potere di annullamento dell'autorizzazione
rilasciata dal Comune, sia perché è estranea
alla previsione normativa l'ulteriore fase
della comunicazione o notificazione, sia
perché l'atto di annullamento non può essere
considerato di natura recettizia (V. per
tutte Cons. Stato, VI, 29.01.2008, n. 224).
E’ pertanto tempestivo l’annullamento in
sede statale di detto nulla osta che sia
stato adottato entro il termine di 60 giorni
dalla data in cui è pervenuto, a nulla
rilevando che esso è stato comunicato oltre
detto termine.
Il potere di annullamento sede statale del
nulla osta paesaggistico non comporta il
riesame delle valutazioni discrezionali
compiute dalla Regione e da un ente
sub-delegato, ma si esprime in un controllo
di mera legittimità, esteso a tutte le
ipotesi riconducibili all'eccesso di potere
per difetto di motivazione o di istruttoria
(V. per tutte Cons. Stato, VI, 09.06.2009,
n. 3557).
Nell’emettere un nulla osta paesaggistico,
l’Autorità regionale o l’ente sub-delegato
deve motivare adeguatamente in ordine alla
compatibilità dell’opera assentita con il
vincolo paesaggistico, sussistendo, in caso
contrario, illegittimità per carenza di
motivazione o di istruttoria; per cui
l’autorità statale, se ravvisa un tale vizio
nell’atto oggetto del suo scrutinio, nel
proprio provvedimento, perché sia a sua
volta immune da vizi di legittimità, dovrà
motivare sulla non compatibilità
dell’intervento edilizio programmato
rispetto ai valori paesaggistici compendiati
nel vincolo (Cfr. Cons. Stato, VI,
13.02.2009, n. 772; 04.12.2009, n. 7609;
14.10.2009, n. 6294) (massima tratta da
www.regione.piemonte.it - Consiglio di
Stato, Sez. VI,
sentenza 09.03.2011 n. 1483 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Comunicazione di avvio del
procedimento.
La comunicazione dell’avviso di inizio del
procedimento prevista dall’art. 7 della
legge n. 241 del 1990, ove non sia possibile
la comunicazione diretta in mani del
destinatario, può essere effettuata
dall’Amministrazione anche avvalendosi del
servizio postale, non dovendosi
necessariamente osservare il sistema di
notificazione degli atti giudiziari a mezzo
di ufficiale giudiziario (1).
---------------
(1) Ha osservato la sentenza in rassegna che
il recapito del plico a mezzo di lettera
raccomandata nella specie utilizzato per
dare notizia dell’avvio del procedimento,
avviene con consegna diretta al destinatario
o alle persone abilitate riceverlo in suo
luogo, indicate dall’art. 38, secondo comma,
del Regolamento di esecuzione del Codice
postale approvato con d.P.R. 29.05.1982, n.
655. Il successivo art. 40, al quarto comma,
prevede che sia dato avviso di giacenza
tutte le volte in cui non sia stata
possibile la distribuzione con consegna la
destinatario.
In tale seconda ipotesi si presume al
conoscenza alla data di rilascio dell’
avviso di giacenza presso l’ufficio postale
(cfr. in fattispecie analoghe Cass., lav.,
24.04.2003, n. 6527; III, 23.09.1996, n.
8399).
Del resto anche nel sistema di comunicazione
degli atti giudiziari a mezzo del servizio
postale, l’art. 8, secondo comma, della
legge 20.11.1982, n. 890, in caso di assenza
del destinatario e delle persone in suo
luogo abilitate a ricevere l’atto, rimette
al sistema di recapito mediante lettera
raccomandata -comprensivo dell’immissione
dell’avviso di ricevimento nella cassetta
della corrispondenza dell’abitazione del
destinatario in caso di sua assenza- la
comunicazione del deposito presso l’ufficio
postale del piego non ricevuto
personalmente, con ogni effetto sul
perfezionamento della notifica decorso il
termine di legge (massima tratta da
www.regione.piemonte.it - Consiglio di
Stato, Sez. VI,
sentenza 09.03.2011 n. 1468 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Termine perentorio di 10 giorni,
ex art. 48 del Codice dei contratti
pubblici, per la presentazione della
documentazione comprovante il possesso dei
requisiti di capacità economico-finanziaria
e tecnico-organizzativa.
Il termine di 10 giorni previsto dall’art.
48 del D.L.vo 12.04.2006 n. 163 nel caso di
verifica "a campione" (che replica
l’art. 10, comma 1-quater, della L.
11.02.1994 n. 109, estendendone la portata a
tutti i contratti ad evidenza pubblica),
entro il quale l’impresa sorteggiata è
tenuta a «… comprovare… il possesso dei
requisiti di capacità economico-finanziaria
e tecnico-organizzativa, eventualmente
richiesti nel bando di gara, presentando la
documentazione indicata in detto bando o
nella lettera di invito…», costituisce
un termine certamente perentorio (recte,
a pena d’esclusione ex lege), come si
evince dal tenore e dalla ratio della
norma.
Tale termine è suscettibile di proroga, ma
solo con atto espresso e motivato della
stazione appaltante, a fronte di
un’altrettanto esplicita richiesta
dell’impresa che dimostri un impedimento
oggettivo e non ad essa imputabile ad
adempiere e sempre che la relativa istanza
sia prodotta prima della scadenza del
termine stesso (V., per tutte, Cons. Stato,
Sez. VI, 15.06.2009 n. 3804; id., 13.12.2010
n. 8730).
Ai fini dell’ottenimento di una proroga del
termine di 10 giorni previsto dall’art. 48
del D.L.vo 12.04.2006 n. 163 nel caso di
verifica "a campione", sussiste un
duplice onere, in capo all’impresa
sorteggiata, affinché non sia ritenuta
inadempiente, costituito: a) dall’oggettiva
impossibilità di rispettare detto essenziale
termine; b) dalla necessità di far constare
tal vicenda alla stazione appaltante prima
che quest’ultimo si consumi inutilmente, non
potendosi prorogare un termine scaduto
(massima tratta da www.regione.piemonte.it -
Consiglio di Stato, Sez. III,
sentenza 07.03.2011 n.
1420 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
COMPETENZE GESTIONALI:
La Giunta provinciale non può
scegliere gli esaminatori del concorso.
La Giunta provinciale non è competente a
nominare la commissione giudicatrice nella
procedura concorsuale sulla base dei
seguenti elementi:
- ai dirigenti spettano tutti i compiti che
la legge e lo statuto dell’ente locale non
riservano espressamente agli organi di
governo;
- la previsione legislativa che sancisce la
responsabilità del personale dirigente,
estesa sull’intera procedura di concorso,
può avere una sua logica esclusivamente nel
caso in cui viene assegnata alla dirigenza
la gestione unitaria di tutto l’iter
(dall’approvazione del bando fino alla
stipula del contratto finale con i
vincitori);
- risulta esclusa ogni interferenza da parte
dell’organo politico (Consiglio di Stato,
Sez. V,
sentenza 04.03.2011 n. 1408 -
link a www.altalex.com). |
EDILIZIA PRIVATA:
Quantificazione degli oneri di
urbanizzazione.
Le controversie sull'esatta quantificazione
dei contributi dovuti per il rilascio delle
concessioni edilizie/permessi di costruire
attengono a diritti patrimoniali che non
dipendono dall'esercizio di una potestà
autoritativa e discrezionale; tali
controversie sono devolute alla
giurisdizione del giudice amministrativo già
dall'art. 16 della l. 28.01.1977 n. 10, sono
giudizi di carattere civile relativi
all'esistenza o all'entità di
un'obbligazione legale e sono azionabili
negli ordinari tempi di prescrizione.
Il presupposto imponibile per il pagamento
dei contributi di urbanizzazione va
ravvisato nella domanda di una maggiore
dotazione di servizi (rete viaria,
fognature, ecc.) nell’area di riferimento,
che sia indotta dalla destinazione d’uso
concretamente impressa all’alloggio, in
quanto una diversa utilizzazione rispetto a
quella stabilita nell’originario titolo
abilitativo può determinare una variazione
quantitativa e qualitativa del carico
urbanistico (Cfr. TAR Milano-Brescia, Sez.
I, 11.06.2004 n. 646; TAR Lombardia-Milano,
Sez. II, 02.10.2003 n. 4502; Cons. Stato,
sez. V, 25.05.1995 n. 822).
Il fondamento del contributo di
urbanizzazione –da versare al momento del
rilascio di una concessione edilizia– non
consiste quindi nell'atto amministrativo in
sé, bensì nella necessità di ridistribuire i
costi sociali delle opere di urbanizzazione,
facendoli gravare sugli interessati che
beneficiano delle utilità derivanti dalla
presenza delle medesime, secondo modalità
eque per la comunità (Cfr. TAR Veneto, Sez.
II, 13.11.2001 n. 3699).
Anche nel caso della modificazione della
destinazione d'uso cui si correla un maggior
carico urbanistico, è integrato il
presupposto che giustifica l’imposizione al
titolare del pagamento della differenza tra
gli oneri di urbanizzazione dovuti per la
destinazione originaria e quelli, se più
elevati, dovuti per la nuova destinazione
impressa; il mutamento è rilevante
allorquando sussiste un passaggio tra due
categorie funzionalmente autonome dal punto
di vista urbanistico, qualificate sotto il
profilo della differenza del regime
contributivo in ragione di diversi carichi
urbanistici, cosicché la circostanza che le
modifiche di destinazione d’uso senza opere
non sono soggette a preventiva concessione o
autorizzazione sindacale non comporta
ipso jure l’esenzione dagli oneri di
urbanizzazione e, quindi, la gratuità
dell’operazione (Cfr. TAR Milano-Brescia,
Sez. I, 23.01.1998 n. 34) (alla stregua del
principio nella specie è stato ritenuto
legittimo l’atto con il quale era stato
chiesto il pagamento della differenza del
contributo concessorio in relazione al
mutamento di destinazione d'uso -da
industriale a commerciale- del fabbricato)
(massima tratta da www.regione.piemonte.it -
TAR Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 03.03.2011 n.
375 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Imposizione coattiva di servitù.
Il procedimento per l’imposizione di servitù
di passaggio con l’appoggio di fili, cavi ed
impianti connessi alle opere di
telecomunicazione di cui all’art. 231 del
d.P.R. 29.03.1973, n. 278 (T.U. in materia
postale e di telecomunicazioni),
disciplinato dagli artt. 233 e 234 del
d.P.R. n. 156 del 1973, non comporta un
effetto traslativo del diritto dominicale -
ipotesi questa per la quale l'art. 231 cit.
fa espresso rinvio alla procedura di
esproprio disciplinata dalla legge n. 2359
del 1865; pertanto, per tale procedimento,
non si configura come essenziale ai fini
della costituzione della servitù
l’osservanza delle regole stabilite dalla
legge n. 2359 del 1865 e, segnatamente,
dell’art. 13 sui termini per l’inizio e
termine dei lavori e delle espropriazioni,
alle quali l’art. 231 del d.P.R. n. 156 del
1973, rinvia nei soli casi in cui debba
procedersi all’acquisizione in mano pubblica
del suolo necessario per la realizzazione
degli impianti di telecomunicazione.
Dopo la privatizzazione del sistema delle
comunicazione di telefonia, Telecom s.p.a. è
stata qualificata dall’art. 3, comma quarto,
del d.P.R. 19.09.1997, n. 318, quale "organismo
di telecomunicazione incaricato di fornire
il servizio universale sul territorio
nazionale".
L’evidente finalizzazione del servizio
universale a soddisfare esigenze di pubblica
utilità -e cioè l’ accesso al servizio di
telefonia da parte di ogni potenziale utente
e senza aggravi di costi- qualifica su un
piano pubblicistico la posizione di chi è
chiamato a renderlo, con riflessi sui
procedimenti di espansione di rete e di
localizzazione degli impianti, che
mantengono la qualificazione di pubblica
utilità assegnata dall’art. 1 della legge n.
156 del 1993, e confermata dal jus
superveniens di cui all’art. 90, comma
primo, del d.lgs. 01.08.2003, n. 259 (Codice
delle comunicazioni elettroniche), che
assume a riferimento il dato oggettivo della
destinazione degli impianti di reti di
comunicazione elettronica ad uso pubblico,
con ogni effetto quanto all’applicazione
delle norme pubblicistiche per l’ablazione
dei beni necessari alla loro realizzazione.
L’art. 3 della legge 01.08.2002, n. 166
consente il perfezionamento in sanatoria
delle procedure impositive di servitù
relative a servizi di interesse pubblico,
compresi quelli previsti dalle leggi in
materia di telecomunicazioni, fermo restando
il diritto all’indennità dei proprietari
interessati (massima tratta da
www.regione.piemonte.it - Consiglio di
Stato, Sez. VI,
sentenza 23.02.2011 n. 1120 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Legittimità eventuale della
deroga al principio del pubblico concorso.
In materia di assunzioni nel campo del
pubblico impiego, l’area delle eccezioni al
concorso pubblico deve essere delimitata in
modo rigoroso (Cfr. Corte cost., sentenza n.
363 del 2006) e deroghe sono legittime solo
in presenza di peculiari e straordinarie
esigenze di interesse pubblico idonee a
giustificarle (Cfr. Corte cost., sentenza n.
81 del 2006).
La natura comparativa e aperta della
procedura è elemento essenziale del concorso
pubblico. Procedure selettive riservate, che
riducano irragionevolmente o escludano la
possibilità di accesso dall’esterno, violano
il carattere pubblico del concorso (Cfr.
Corte cost., sentenza n. 34 del 2004) e,
conseguentemente, i principi di imparzialità
e buon andamento, che esso assicura.
Ai fini della legittimità della deroga al
principio del pubblico concorso non può
ritenersi sufficiente la semplice
circostanza che determinate categorie di
dipendenti abbiano prestato attività a tempo
determinato presso l’amministrazione (Cfr.
Corte cost., sentenza n. 205 del 2006), né
basta la personale aspettativa degli
aspiranti ad una misura di stabilizzazione
(Cfr. Corte cost., sentenza n. 81 del 2006).
Occorrono invece particolari ragioni
giustificatrici, ricollegabili alla
peculiarità delle funzioni che il personale
da reclutare è chiamato a svolgere, in
particolare relativamente all’esigenza di
consolidare specifiche esperienze
professionali maturate all’interno
dell’amministrazione e non acquisibili
all’esterno, le quali facciano ritenere che
la deroga al principio del concorso pubblico
sia essa stessa funzionale alle esigenze di
buon andamento dell’amministrazione (massima
tratta da www.regione.piemonte.it - Corte
Costituzionale,
sentenza 11.02.2011 n. 42). |
APPALTI:
Gare d'appalto, sì alla
verbalizzazione postuma.
E' legittimo l'operato della Commissione
giudicatrice che procede alla
verbalizzazione delle sedute di gara in modo
non contestuale rispetto ai tempi ed alle
modalità di effettivo svolgimento delle
stesse. E’ legittima l’operato della
Commissione giudicatrice che procede alla
verbalizzazione delle sedute di gara in modo
non contestuale rispetto ai tempi ed alle
modalità di effettivo svolgimento delle
stesse.
La Prima Sezione del TAR del Veneto ha
affermato che non vìola l’art. 79 del Codice
dei contratti pubblici la verbalizzazione,
da parte della Commissione giudicatrice di
una gara di appalto, delle operazioni di
gara in modo non contestuale rispetto ai
tempi ed alle modalità di effettivo
svolgimento delle stesse.
La Commissione di gara, infatti, può
redigere un unico verbale delle sedute
svolte, atteso che non vi è alcuna
disposizione normativa che preclude tale
modalità di verbalizzazione.
Di conseguenza, è legittimo l'accorpamento
in un unico atto della verbalizzazione di
varie sedute della commissione ed anche la
sua redazione non contestuale al compimento
delle operazioni di gara.
Con la medesima decisone, il TAR del Veneto
ha affermato la legittimità dell’esclusione
di una ditta da una gara di appalto di
servizi, motivata con riferimento al fatto
che la ditta interessata aveva dichiarato di
voler espletare il servizio con un numero di
strumenti (nella specie, un solo
aspirapolvere) inferiore a quello
espressamente e chiaramente richiesto dal
bando, a pena di esclusione; ciò anche senza
fare applicazione dell’art. 46, d.lgs. n.
163 del 2006, atteso che l’ammissione alla
gara della suddetto concorrente, in presenza
di una così eclatante violazione della
chiara ed univoca lex specialis, si
sarebbe tradotto in una violazione del
principio della par condicio (commento
tratto da www.ipsoa.it - TAR Veneto, Sez. I,
sentenza 09.02.2011 n.
220 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Volumi non rilevanti ai fini
della volumetria di un immobile. Nozione di
sottotetto.
Vanno considerati come dei volumi tecnici
(come tali non rilevanti ai fini della
volumetria di un immobile) quei volumi
destinati esclusivamente agli impianti
necessari per l'utilizzo dell'abitazione e
che non possono essere ubicati al suo
interno, mentre non sono tali -e sono quindi
computabili ai fini della volumetria
consentita- le soffitte, gli stenditori
chiusi e quelli «di sgombero», nonché
il piano di copertura, impropriamente
definito sottotetto, ma costituente in
realtà una mansarda, in quanto dotato di
rilevante altezza media rispetto al piano di
gronda (Cfr. Cons. Stato, Sez. V,
04.03.2008, n. 918).
In materia di sottotetti, deve ritenersi che
la parte di edificio immediatamente
inferiore al tetto, a seconda dell'altezza,
della praticabilità del solaio, delle
modalità di accesso e dell'esistenza o meno
di finestre, si distingue in mansarda o
camera a tetto (che costituisce locale
abitabile), in soffitta (vano inabitabile,
ma utilizzabile soltanto come deposito,
stenditoio o altro), oppure in camera d'aria
sprovvista di solaio idoneo a sopportare il
peso di persone o cose e destinato
essenzialmente a preservare l'ultimo piano
dell'edificio dal caldo, dal freddo e
dall'umidità (Cfr. Cons. Stato, Sez. IV,
30.05.2005, n. 2767).
La realizzazione di un locale sottotetto con
vani distinti e comunicanti con il piano
sottostante mediante una scala interna è
indice rivelatore dell'intento di rendere
abitabile detto locale, non potendosi
considerare volumi tecnici i vani in esso
ricavati (Cfr. Cons. Stato, Sez. V,
31.01.2006, n. 354.
In applicazione di tale
principio nella specie è stato ritenuto che
determinava la realizzazione di nuovi
ulteriori volumi che non possono
qualificarsi tecnici e che sono
evidentemente -per la tipologia delle opere-
destinati a fini abitativi, la copertura di
un terrazzo, a nulla rilevando che erano
preesistenti delle mura perimetrali
sovrastanti il terrazzo stesso (massima
tratta da www.regione.piemonte.it -
Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 07.02.2011 n.
812 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Differenze retributive in caso di
svolgimento di mansioni superiori.
Prima dell’entrata in vigore dell’art. 15
del d.lgs. 29.10.1998, n. 387 -che ha natura
innovativa e portata non retroattiva- nel
capo del pubblico impiego l’eventuale
svolgimento di mansioni superiori poteva
dare luogo alla corresponsione delle
differenze retributive non in virtù del mero
richiamo all’art. 36 della Costituzione, ma
solo ove una norma speciale consentisse tale
assegnazione e la maggiorazione retributiva
(1).
---------------
(1) Giurisprudenza ormai costante del
Consiglio di Stato: v. per tutte Cons.
Stato, Ad. Plen., 18.11.1999, n. 22;
23.02.2000, n. 11; 23.02.2006, n. 3.
In senso diverso si è orientata la
giurisprudenza della Cassazione: v. per
tutte Sez. unite civili, sentenza
11.12.2007, n. 25837, (disattendendo
l’orientamento dell’Adunanza Plenaria del
CdS e facendo riferimento a quanto ritenuto
dalla Corte costituzionale, le S.U.
affermano che l’art. 36 Cost. è direttamente
applicabile anche nel campo del pubblico
impiego e che le maggiorazioni stipendiali
dovute nel caso di svolgimento delle
mansioni superiori spettavano con carattere
di generalità ai pubblici dipendenti anche
prima dell’art. 15 del D.L.vo n. 387 del
1998; ritengono inoltre retribuibili le
mansioni superiori anche nel caso di
svolgimento di mansioni corrispondenti ad
una qualifica di due livelli superiore a
quella di inquadramento) (massima tratta da
www.regione.piemonte.it - Consiglio di
Stato, Sez. VI,
sentenza 03.02.2011 n. 758 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Soggetti legittimati ad impugnare
provvedimenti relativi ad interventi
edilizi.
La legittimazione ad impugnare provvedimenti
relativi ad interventi edilizi spetta
soltanto a coloro che sono titolari di
interesse legittimo differenziato, ma tra
costoro non rientra il progettista che è,
invece, titolare di un mero interesse
semplice o di fatto alla realizzazione
dell'opera secondo il progetto, per cui non
può impugnare in via autonoma il diniego di
rilascio del permesso di costruire (1).
---------------
(1) Cfr., ex multis, TAR
Sicilia-Catania, sez. I, 06.03.2001, n. 523,
TAR Piemonte, sez. I, 18.06.2003, n. 924 e
Cons. Stato, sez. V, 05.03.2001, n. 1250.
Ha ricordato la sentenza in rassegna che, in
materia, l'orientamento della giurisprudenza
è fermo del ritenere inammissibile il
ricorso avverso il diniego di titolo
edilizio proposto dal progettista dell'opera
difettando questi di legittimazione attiva
(cfr. TAR Liguria, sez. I, 17.03.2006, n.
251) (massima tratta da
www.regione.piemonte.it - TAR Puglia-Lecce,
Sez. III,
sentenza
02.02.2011 n. 225 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Ambiente - Rimborso della sanzione
amministrativa - Sanatoria della costruzione
abusiva - Inammissibilità del ricorso
avverso il provvedimento di diniego -
Pagamento della sanzione ambientale ed
acquisizione della sanatoria -
Discrezionalità della p.a. di esercitare il
potere di autotutela amministrativa.
E' inammissibile il ricorso esperito ai fini
dell'annullamento del provvedimento con il
quale sia stata respinta la richiesta di
rimborso della sanzione ambientale versata
ai sensi dell'art. 140, comma 8°, della L.R.
n. 1 del 2005, per il conseguimento del
rilascio dell'attestazione di conformità e
del permesso di costruire in sanatoria,
(relativamente alla violazione del vincolo
paesaggistico nel corso della realizzazione
dell'intervento di ristrutturazione
urbanistica, ampliamento e cambio di
destinazione d'uso dell'immobile), laddove
il procedimento per conseguire la sanatoria
si sia concluso mediante accertamento in
conformità delle opere realizzate e con il
rilascio dell'autorizzazione da parte del
comune, previa corresponsione della sanzione
ambientale, ai sensi dell'art. 140 della
summenzionata L.R..
Ne consegue che il comportamento
acquiescente tenuto dalla ricorrente al
momento dell'acquisizione
dell'autorizzazione, è incompatibile con la
volontà di sollecitare l'esercizio del
potere di autotutela della P.A. che rimane
un potere ampiamente discrezionale per cui
l'istanza del privato non genera alcun
obbligo per la p.a. di aprire il
procedimento salvo che non vengano dedotti
fatti nuovi idonei a determinare il dovere
della stessa di pronunciarsi su una nuova
istanza (massima
tratta da a
www.diritto24.ilsole24ore.com -
TAR Toscana, Sez.
II,
sentenza 24.11.2010 n. 6605
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI: Diritto
di accesso - Personale - Posizione del
personale - Atti incidenti - Servizio -
Qualità - Erogazione.
Gli atti incidenti sulle posizioni del
personale devono essere sottoposti
all'esercizio del diritto di accesso siccome
potenzialmente incidenti sulla qualità del
servizio stesso; organizzazione che non ha
solo riflessi interni, essendo strumentale
alla gestione ed all'erogazione del
servizio, ossia al soddisfacimento di
interessi collettivi cui deve tendere il
servizio.
Di qui l'esistenza di quelle esigenze di
trasparenza su cui si fonda il sistema
dell'accesso costruito dalla l. n. 241/1990
ed in particolare dall'art. 22 della legge
stessa (massima tratta da
a
www.diritto24.ilsole24ore.com -
TAR Lazio-Roma,
Sez. III-ter,
sentenza 20.05.2010
n. 12515
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Autotutela - Potere di
autotutela - Esercizio - Discrezionalità.
In materia di ricorsi avverso il silenzio,
la pubblica amministrazione non è obbligata
a provvedere su un'istanza del privato non
solo nelle tradizionali ipotesi individuate
dalla giurisprudenza (istanza di riesame
dell'atto divenuto inoppugnabile per inutile
decorso del termine di decadenza; istanza
manifestamente infondata; istanza di
estensione ultra partes del giudicato), ma
anche nel caso in cui l'istanza volta
all'esercizio del potere di autotutela abbia
ad oggetto un precedente provvedimento già
impugnato, come nel caso di specie, in sede
giurisdizionale, e sub judice al momento
dell'istanza.
In presenza di istanze sollecitatorie
dell'esercizio della potestà di autotutela
non vi è obbligo dell'Amministrazione di
pronunziarsi sulle stesse e l'attivazione
del procedimento di riesame della
legittimità dell'atto non è coercibile "ab
extra", avvalendosi dell'istituto del
silenzio rifiuto e dello strumento di tutela
in sede giurisdizionale offerto dall'art. 21-bis della legge n. 1034/1971, vanificherebbe
la condizione di inoppugnabilità dell'atto
che non sia stato contestato nei modi ed
entro i termini di legge, che è garanzia
della certezza dei rapporti giuridici di cui
è parte la Pubblica Amministrazione e dello
stesso principio di economicità dell'azione
amministrativa, che verrebbe vanificato ove
si imponesse, su mera richiesta
dell'interessato, l'obbligo di riesame di
provvedimenti restati inoppugnati (massima
tratta da a
www.diritto24.ilsole24ore.com -
TAR Lazio-Roma, Sez.
II,
sentenza 04.05.2010 n. 9350
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Associazioni di consumatori e legittimazione
ad agire - Associazione dei consumatori -
Mancata iscrizione nell'elenco di cui
all'art. 137 Codice del Consumo -
Legittimazione ad agire - Inammissibilità
del ricorso - Associazioni dei consumatori -
Mancata iscrizione nell’elenco di cui
all’art. 137 Codice del consumo –
Legittimazione ad agire – Inammissibilità
del ricorso. (D.Lgs. 06.09.2005, n. 206,
artt. 137 e 139; L. 30.07.1998, n. 281, art.
3).
Deve considerarsi inammissibile il ricorso
presentato da un’associazione a tutela dei
consumatori che non risulti iscritta
nell’elenco di cui all’art. 137 del Codice
del consumo, approvato con D.Lgs. del 2005 n.
206.
Ed infatti, l’art. 139 del succitato D.Lgs.,
reiterando quanto già previsto dall’art. 3
della L. del 1998 n. 281, limita la
legittimazione ad agire a tutela degli
interessi collettivi dei consumatori e degli
utenti alle sole associazioni inserite
nell'elenco di cui al precedente art. 137.
Ne deriva che la previsione statutaria, che
affida all’Associazione il potere di “intervenire
con tutti i mezzi previsti dalla legge
contro ogni abuso da chiunque posto in
essere…”, è da intendersi nel senso
della possibilità di difendere nella sola
sede amministrativa i diritti dei
consumatori salva la possibilità, ove ne
ricorrano i presupposti, di iscriversi
nell’elenco di cui all’art. 137 del Codice
del consumo per poi poter tutelare gli
interessi degli utenti anche nelle aule
giudiziarie (massima
tratta da a
www.diritto24.ilsole24ore.com -
TAR Lazio-Roma,
Sez. III-ter,
sentenza
08.02.2010 n. 1620
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Procedimento amministrativo - Silenzio -
Silenzio rifiuto - Potere di autotutela -
Esercizio.
La pubblica amministrazione non è tenuta a
pronunciarsi sulla istanza del privato
intesa sostanzialmente a sollecitare
l'esercizio del potere di autotutela in
ordine ad un precedente provvedimento già
impugnato in sede giurisdizionale e sub
judice al momento dell'istanza, non essendo
la procedura del silenzio rifiuto ontologicamente configurabile rispetto alla
domanda volta a sollecitare l'esercizio del
potere in autotutela (massima tratta da
a
www.diritto24.ilsole24ore.com -
TAR Lazio-Roma,
Sez. III-ter,
sentenza 21.01.2010 n. 689
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Atti amministrativi - Silenzio.
In materia di atti amministrativi, il potere
di autotutela della P.A è ampiamente
discrezionale, al che consegue che
l'eventuale istanza del privato, volta ad
eccitarlo, non genera comunque l'obbligo di
aprire alcun procedimento; dal che
ulteriormente deriva che, non essendovi un
obbligo di provvedere, dinnanzi alla domanda
del privato non si forma alcun silenzio
impugnabile (massima tratta da
a
www.diritto24.ilsole24ore.com -
TAR Friuli Venezia Giulia, Sez.
I,
sentenza 14.01.2010 n. 12
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Atti amministrativi - Diritto di accesso.
In materia di accesso agli atti
amministrativi, le organizzazioni sindacali,
quali soggetti rappresentativi degli
interessi collettivi degli associati, non
sono titolari di un generale potere di
accesso agli atti delle pubbliche
amministrazioni al fine di un controllo
generalizzato dell'attività amministrativa,
dovendo tale diritto essere circoscritto e
limitato ai soli casi in cui la richiesta di
ostensione riguardi atti effettivamente
rilevanti per l'interesse indifferenziato
della categoria, con esclusione, quindi,
delle richieste di accesso a documenti in
riferimento ai quali il sindacato presti
tutela ad interessi personali di singoli
associati o di una parte di essi (massima
tratta da a
www.diritto24.ilsole24ore.com -
TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez.
II,
sentenza 21.12.2009 n. 3212
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI: Associazioni e comitati - Procedimento
amministrativo - Associazioni di tutela dei
consumatori - Diritto di accesso a documenti
inerenti interessi di consumatori e utenti
di pubblici servizi - Legittimazione
astratta - Art. 22 L. n. 241/1990 - Verifica
della sussistenza di un interesse concreto e
attuale all'accesso.
Non può disconoscersi, in astratto, la
legittimazione di un'associazione di tutela
dei consumatori ad esercitare il diritto di
accesso ai documenti dell'amministrazione o
di gestori di servizi pubblici in relazione
ad interessi che pervengono ai consumatori e
utenti di pubblici servizi (cfr. C. Stato,
sez. IV, 29.04.2002, n. 2283; C. Stato, sez. IV, 26.11.1993, n. 1036 e C. Stato, sez. VI,
27.03.1992, n. 193).
Tuttavia, anche alle
associazioni di tutela dei consumatori si
applica l'art. 22, l. n. 241/1990, che
consente l'accesso non come forma di azione
popolare, bensì a tutela di "situazioni
giuridicamente rilevanti", e dunque anche
per dette associazioni occorre verificare la
sussistenza di un interesse concreto e
attuale all'accesso (C. Stato, sez. IV,
06.10.2001, n. 5291) (massima tratta da
a
www.diritto24.ilsole24ore.com -
TAR Campania-Salerno, Sez.
I,
sentenza 11.12.2009 n. 7607
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Diritto di accesso -
Interessi collettivi - Tutela -
Comportamenti lesivi - Inibitoria
giudiziale.
L'art. 140 del Codice dei consumatori,
approvato con D.L.vo 06.09.2005 n. 206
nel regolamentare le modalità di tutela
degli interessi collettivi, non contempla un
generale potere di accesso a fini ispettivi,
ma esplicitamente limita la tutela degli
interessi collettivi (per la quale sono
legittimate ad agire le associazioni) ad
ipotesi specifiche, ed in particolare
all'inibitoria giudiziale degli atti e
comportamenti lesivi degli interessi dei
consumatori e degli utenti (sub lett. a),
all'adozione di “misure idonee” a correggere
ed eliminare gli effetti dannosi delle
violazioni accertate (sub lett. b) ed alla
pubblicazione del provvedimento su
quotidiani nazionali o locali (sub lett. c).
Atti amministrativi - Diritto di accesso -
Interessi diffusi - Titolarità - Diritto
alla conoscenza.
La titolarità (o la rappresentatività) degli
interessi diffusi non giustifica un
generalizzato e pluricomprensivo diritto
alla conoscenza di tutti i documenti
riferiti all'attività di un gestore del
servizio ma solo degli atti, relativi a
servizi rivolti ai consumatori, che
incidono, in via diretta ed immediata, e non
in via meramente ipotetica e riflessa, sui
loro interessi (massima
tratta da a
www.diritto24.ilsole24ore.com -
TAR Lazio-Roma,
Sez. III-ter,
sentenza
05.08.2009
n. 7868
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Processo amministrativo - Silenzio della
Pubblica Amministrazione.
Ai fini della sussistenza di un silenzio
illegittimo da parte della Pubblica
Amministrazione è necessario che sussista un
obbligo giuridico della stessa di
pronunciarsi sull'istanza del privato.
Tale obbligo non sussiste qualora l'istanza
del privato sia diretta a ottenere dalla
P.A. un provvedimento di autotutela, sia
esso un annullamento d'ufficio o una revoca
di un atto emanato, in quanto tali
provvedimenti di secondo grado costituiscono
l'esercizio di un potere discrezionale in
presenza di un pubblico interesse alla
rimozione di un atto illegittimo (massima
tratta da a
www.diritto24.ilsole24ore.com -
TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez.
II,
sentenza 16.02.2009 n. 154
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Autotutela amministrativa - Inammissibilità
dell'istanza del privato volta a sollecitare
l'autotutela - Potere discrezionale della
P.A. di annullare provvedimenti
amministrativi.
E' inammissibile il ricorso con il quale
l'istante adisca l'autorità Amministrativa,
onde ottenere l'annullamento in autotutela,
del permesso di costruire un impianto
stradale per la distribuzione del
carburante.
L'inammissibilità della
richiesta è determinata dal fatto che il
potere amministrativo di agire in
autotutela, non coinvolge posizioni di
interesse legittimo del privato che presenti
istanza affinché detto potere sia attivato.
Pertanto, il potere discrezionale con cui
l'amministrazione valuta la sussistenza dei
presupposti per agire in sede di autotutela
ed annullare o revocare propri
provvedimenti, prescinde da qualsivoglia
interferenza di soggetti terzi in quanto,
laddove si ammettesse un obbligo di riesame
su istanza del privato, si finirebbe per
minare l'efficienza gestionale e la certezza
giuridica alla base dell'azione
amministrativa (massima
tratta da a
www.diritto24.ilsole24ore.com -
TAR Veneto, Sez.
II,
sentenza 04.02.2009 n. 299
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Silenzio della P.A. -
Obbligo di provvedere - Istanza intesa a
sollecitare l'esercizio del potere di
autotutela dell'amministrazione - Obbligo
dell'amministrazione di pronunciarsi - Non
sussiste.
Nel caso in cui viene proposta una istanza
del privato intesa ad sollecitare
l'esercizio del potere di autotutela della
amministrazione, non è dato ravvisare un
obbligo di provvedere a carico della stessa (massima
tratta da a
www.diritto24.ilsole24ore.com -
TAR Puglia-Bari, Sez.
III,
sentenza 02.12.2008 n. 2731
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Silenzio della P.A. -
Obbligo di provvedere - Sull'istanza del
privato - Insussistenza - Nel caso in cui
l'istanza volta all'esercizio del potere di
autotutela abbia ad oggetto un provvedimento
già impugnato e sub judice al momento
dell'istanza.
La p.a. non è obbligata a provvedere su
un'istanza del privato non solo nelle
ipotesi individuate dalla giurisprudenza
(istanza di riesame dell'atto divenuto
inoppugnabile per inutile decorso del
termine di decadenza, istanza manifestamente
infondata, istanza di estensione ultra partes del giudicato), ma anche nel casi in
cui l'istanza volta all'esercizio del potere
di autotutela abbia ad oggetto un
provvedimento già impugnato in sede
giurisdizionale e sub judice ai
momento dell'istanza stessa; la procedura
del silenzio-rifiuto non è, infatti,
ontologicamente configurabile rispetto alla
domanda volta a sollecitare l'esercizio del
potere di autotutela (massima
tratta da a
www.diritto24.ilsole24ore.com -
TAR Campania-Napoli, Sez.
III,
sentenza 19.03.2008 n. 1410
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Appalti - Confederazione Nuovi Consumatori
Europei - Associazione consumatori - Accesso
agli atti - Diritto semplice - Sussiste.
Alle associazioni a tutela dei consumatori
l'ordinamento non riconosce un diritto di
accesso diverso da quello attribuito in
generale dalla legge n. 241/1990 e, anche se
non può disconoscersi, in astratto, la
legittimazione di un'associazione di tutela
dei consumatori ad esercitare il diritto di
accesso ai documenti dell'amministrazione o
di gestori di servizi pubblici in relazione
ad interessi che riguardano i consumatori e
gli utenti di pubblici servizi, anche nei
confronti delle associazioni di tutela dei
consumatori trova applicazione l'art. 22
della legge n. 241/1990, che consente
l'accesso non come forma di azione popolare
bensì a tutela di «situazioni giuridicamente
rilevanti» e, pertanto, anche per dette
associazioni occorre verificare la
sussistenza di un interesse concreto e
attuale all'accesso nonostante che è vero
che l'interesse che legittima la richiesta
di accesso ai documenti amministrativi va
considerato in termini particolarmente ampi
tutte le volte in cui esso risulta
funzionale alla tutela di vaste categorie di
soggetti, coinvolti nell'esercizio di
funzioni amministrative o nell'espletamento
di servizi pubblici; l'associazione non è,
pertanto, titolare di una situazione
soggettiva che valga a conferirle un potere
di vigilanza sull'ente che offre il pubblico
servizio, ma solo della legittimazione ad
agire perché vengano inibiti comportamenti
od atti che siano effettivamente lesivi e la
disciplina sull'accesso tutela solo
l'interesse alla conoscenza e non
l'interesse ad effettuare un controllo
sull'impresa o sull'amministrazione, allo
scopo di verificare eventuali (e non ancora
definite) forme di lesione all'interesse dei
consumatori (massima
tratta da a
www.diritto24.ilsole24ore.com -
TAR Lazio-Roma, Sez.
I,
sentenza 09.02.2007 n. 1090
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI: Pubblica amministrazione - (P.A.) - Accesso
ai documenti amministrativi - Richiesta di
accesso di un'associazione di consumatori -
Volta ad effettuare un controllo sull'amministrazione
allo scopo di verificare eventuali forme di
lesione dei consumatori - È da respingere.
Non sono ammissibili istanze di accesso che
mirano a finalità tipicamente ispettive, in
quanto la disciplina sull'accesso tutela
solo l'interesse alla conoscenza e non
l'interesse ad effettuare un controllo
sull'impresa o sull'amministrazione allo
scopo di verificare eventuali (e non ancora
definite) forme di lesione all'interesse dei
consumatori; la disciplina sull'accesso,
infatti, non può essere uno strumento
utilizzabile per consentire all'associazione
di consumatori di sostituirsi agli organi
deputati dall'ordinamento ad effettuare i
controlli sui servizi stessi.
Pubblica amministrazione (P.A.) - Accesso ai
documenti amministrativi - Accesso del
Codacons ai documenti di società che
gestiscono pubblici servizi - È ammissibile
- Ragioni.
È ammissibile l'accesso del Codacons ai
documenti di società che gestiscono pubblici
servizi.
Infatti, in questi casi sussiste il
collegamento funzionale e strumentale degli
atti dei quali si chiede l'accesso con lo
svolgimento del servizio di pubblico
interesse e quindi anche i soggetti privati
e gli atti di tipo privatistico da essi
utilizzati per lo svolgimento del servizio
seguono il regime «pubblicistico»
dell'accesso (massima tratta da
a
www.diritto24.ilsole24ore.com -
TAR Lazio-Roma,
Sez. III-ter,
sentenza
01.02.2007 n. 724
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
AGGIORNAMENTO AL 12.04.2011 |
ã |
GURI - GUUE -
BURL (e anteprima) |
LAVORI PUBBLICI:
G.U. 08.04.2011 n. 81 "Attuazione della
direttiva 2008/96/CE sulla gestione della
sicurezza delle infrastrutture"
(D.Lgs,
15.03.2011 n. 35). |
EDILIZIA PRIVATA:
B.U.R. Lombardia n. 14 dell'08.04.2011 "Aggiornamento
dell’elenco degli enti locali idonei
all’esercizio delle funzioni paesaggistiche
loro attribuite dall’art. 80 della legge
regionale 11.03.2005, n. 12" (decreto
D.G. 29.03.2011 n. 2779). |
DOTTRINA E
CONTRIBUTI |
APPALTI SERVIZI:
L’illegittima partecipazione delle
Università alle procedure di affidamento dei
contratti pubblici (link a
www.centrostudicni.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
D. Zonno,
CLASS ACTION PUBBLICA: NUOVE FORME DI TUTELA
DELL’INTERESSE DIFFUSO? (link a
www. |
ATTI AMMINISTRATIVI:
R. Chieppa,
Il danno da ritardo (o da inosservanza dei
termini di conclusione del procedimento)
(link a www.giustizia-amministrativa.it). |
NOTE,
CIRCOLARI E COMUNICATI |
APPALTI:
TRACCIABILITÀ DEI FLUSSI FINANZIARI NELLE
COMMESSE PUBBLICHE (Art. 3, Legge 13.08.2010
n. 136 e s.m.) (ANIE,
linee guida gennaio 2011). |
EDILIZIA PRIVATA: Oggetto:
Competenze delle camere di commercio nel
procedimento SUAP
(Ministero per la Semplificazione Normativa,
nota 12.01.2011 n. 40 di prot.). |
UTILITA' |
SICUREZZA LAVORO:
“Quaderno della sicurezza”: tutto
sulla sicurezza nei cantieri edili.
Il Servizio Sanitario Regionale EMILIA
ROMAGNA ha pubblicato un quaderno della
sicurezza relativo ai cantieri edili.
La pubblicazione fornisce una visione
sintetica e integrata, con opportuni
richiami normativi, di tutti gli aspetti
relativi alla sicurezza nei cantieri edili e
costituisce un utile strumento per tutte le
figure che operano in cantiere o si occupano
di sicurezza.
Il documento fornisce utili indicazioni su:
- documentazione da tenere in cantiere;
- come organizzare il cantiere;
- tipologia delle lavorazioni (demolizioni,
scavi, lavori in quota, etc.);
- protezioni individuali e collettive;
- impianti di cantiere (link a www.acca.it). |
VARI:
Toner e polveri sottili. Dal SUVA consigli e
misure di protezione.
Il toner è una polvere finissima contenente
particelle di carbone, ossidi di ferro e
resina.
Il suo utilizzo prevalente è nelle
stampanti, fotocopiatrici e fax, ove un
tamburo deposita il toner sui fogli da
stampare e successivamente, passando
attraverso un riscaldatore, questo viene
fuso, imprimendosi sulla carta.
Inizialmente il toner era costituito
essenzialmente da polvere di carbone;
successivamente, per migliorarne le
prestazioni, alle particelle carboniose è
stato mescolato un polimero.
La composizione del polimero varia da un
produttore all'altro, ma solitamente è un
copolimero stirene acrilato oppure una
resina poliestere.
La stampante a toner rilascia nell'aria un
particolato con particelle di dimensioni che
possono andare da 1 fino a 1/10 di µm (e
recentemente rilevate fino a 23/1000 di
micron): siamo in presenza di nanoparticelle,
sostanze che possono creare seri problemi di
salute, ambientali, di riciclaggio e
conferimento in discarica.
A titolo preventivo, il SUVA (l'INAIL
svizzero) fornisce alcune misure di
protezione generali per ridurre il rischio
di esposizione alle polveri di toner e alle
particelle ultrafini, nonché misure
specifiche per contrastare gli effetti di
un'elevata esposizione, ad esempio in caso
di guasto dell'apparecchiatura o durante le
operazioni di manutenzione e riparazione.
Indicazioni generali:
- attenersi sempre alle istruzioni riportate
nel manuale d'uso
- collocare gli apparecchi in un locale
ampio e ben ventilato
- non direzionare le bocchette di scarico
dell'aria verso le persone
- eseguire regolarmente la manutenzione
delle apparecchiature
- eliminare con molta cautela i fogli
inceppati per non sollevare polvere
- utilizzare guanti monouso per ricaricare
il toner liquido o in polvere
- (...)
Indicazioni in caso di
forte esposizione:
- pulire gli apparecchi con un aspiratore
certificato, non usare dispositivi ad aria
compressa
- indossare gli occhiali di protezione
- una volta terminata la manutenzione,
pulire con un panno umido la zona attorno
all'apparecchio
- indossare guanti di protezione adeguati,
tenendo conto anche del tipo di detergente
utilizzato
- (...) (link a www.acca.it). |
CORTE DEI
CONTI |
EDILIZIA PRIVATA:
Superficie ceduta in
proprietà, proventi vincolati.
In merito alla destinazione dei proventi
derivanti dal trasferimento a titolo oneroso
del diritto di superficie in diritto di
proprietà di aree PEEP, trattandosi di
entrate in conto capitale, in base ai
principi generali di bilancio (art. 162,
comma 6, TUEL), non possono essere
utilizzate per il finanziamento di spese
correnti e, in particolare, sono soggette ai
seguenti vincoli di destinazione:
- i proventi derivanti dal trasferimento del
diritto di superficie in diritto di
proprietà, devono essere reimpiegati
esclusivamente nel finanziamento
d'interventi di eguale natura (art. 16,
comma 3, D.L. 22.12.1981, n. 786, convertito
in L. 26.02.1982, n. 51);
- i proventi conseguenti all'alienazione di
alloggi di edilizia residenziale pubblica,
devono essere destinati al finanziamento
d'interventi nello stesso settore (art. 1,
comma 5, L. 24.12.1993, n. 560).
Un Sindaco ha chiesto al magistrato
contabile di esprimersi intorno alla
destinazione dei proventi derivanti dal
trasferimento a titolo oneroso del diritto
di superficie in diritto di proprietà di
aree PEEP.
Alcune entrate iscritte nel bilancio
dell'Ente hanno una destinazione vincolata,
e tale vincolo costituisce un limite,
introdotto ex lege, per garantire un più
economico perseguimento dei fini
istituzionali: l'ammontare dei mezzi
finanziari a disposizione, costituiscono un
fondo unico, inscindibile e non specificato
cui attingere per l'erogazione delle spese;
l'unica deroga è costituita dalle entrate a
destinazione vincolata, per le quali è
imposta la correlazione con lo scopo della
spesa (unità).
Il principio di unità che caratterizza il
bilancio, infatti, prescrive che tutte le
entrate devono indistintamente servire per
finanziare tutte le spese, evitando
correlazioni meccaniche tra le prime e le
seconde.
Nella pratica, tuttavia, tale principio è
spesso disatteso per effetto dell'ampia
fenomenologia delle entrate vincolate e
finalizzate: le ipotesi di entrate con
vincolo di specifica destinazione vanno
opportunamente rappresentate, proprio nel
rispetto del presente principio.
Intorno al concetto di entrata vincolata/a
specifica destinazione, non esiste una
definizione normativa ma, in merito, la
Corte dei Conti, nella propria deliberazione
n. 23 del 23.06.1986, ha affermato che:
"Il concetto di entrata a specifica
destinazione é un dato legislativo di cui va
preso atto e che deroga al tradizionale
principio di unità del bilancio, secondo il
quale le entrate sono da considerare un
tutto inscindibile per cui non può
destinarsi un'entrata determinata per far
fronte ad una data spesa.
Inoltre, in base al principio chiamato dai
francesi della "non affectation" tutte le
entrate, a prescindere dalla loro origine,
vanno a costituire un fondo unico necessario
per il soddisfacimento di tutte le spese
secondo un criterio di assegnazione globale
delle entrate alle spese."
Tali canoni, indubbiamente validi in linea
di massima per il bilancio statale, non
risultano pienamente applicabili per gli
enti locali.
Infatti, nel quadro della normativa vigente,
devono annoverarsi nel genus delle entrate a
specifica destinazione: i ricavi dei mutui,
i proventi da oneri di urbanizzazione, le
sanzioni stradali, i contributi regionali e
provinciali finalizzati-funzioni delegate,
ed altri.
Invero, si considerano inoltre entrate e
spese a destinazione vincolata, quelle
definite tali da una norma di legge o da un
atto amministrativo, adottato in attuazione
di una norma giuridica.
L'autonomia gestionale in relazione alle
entrate vincolate può variare in funzione
della natura del vincolo, nel senso, ad
esempio, che alcuni contributi possono
essere utilizzati con criteri liberi, in
quanto il vincolo attiene solo alla materia,
mentre in altri casi il vincolo non consente
l'utilizzazione del contributo se non per la
specifica spesa per la quale è stato
concesso il finanziamento e richiede una
contabilizzazione separata del movimento di
cassa.
Il vincolo opera sia come impedimento a
destinare a scopi diversi le somme
introitate, sia come impossibilità di
impegnare importi inferiori a quelli
correlativamente accertati.
Ciò, se da un lato riserva determinate
entrate ad obiettivi ben definiti,
garantendo il finanziamento di determinati
compiti, dall'altro limita il margine di
manovra politico-finanziario.
In buona sostanza, le entrate con
destinazione vincolata costituiscono una
sorta di risparmio forzoso utilizzabile solo
per le determinata finalità individuate dal
legislatore, senza possibilità di svincolo
per finalità diverse (salvo l'utilizzo, in
termini di cassa, ex art. 195, TUEL), atteso
che il vincolo di destinazione rappresenta
un limite per l'attività di gestione di
bilancio da parte dell'ente.
Invero, e come detto, le entrate di cui
trattasi costituiscono un'eccezione al
principio dell'unità di bilancio, in base al
quale gli introiti in generale vanno a
costituire, a prescindere dalla loro natura,
un fondo unico, necessario per il
soddisfacimento di tutte le spese pubbliche.
Oltre a ciò, poiché l'impedimento a
destinare le somme introitate a scopi
diversi è stato posto dal legislatore nella
sua peculiare discrezionalità, non sembra
possibile che l'autorità amministrativa sia
facoltizzata ad introdurre differenti
disposizioni operative.
Mentre le regole per l'accertamento delle
entrate a destinazione vincolata è lo stesso
previsto per le altre entrate dell'ente,
diverse, come detto, sono quelle per il
correlato impegno di spesa.
Per questo, il servizio di contabilità
dell'ente deve tenere una particolare
evidenza di queste poste.
Dette somme, inoltre, non possono distolte,
in termini di cassa, se non per un breve e
temporaneo periodo, e nel rispetto di limiti
determinati.
In altri termini: poiché il vincolo di
destinazione impresso ad un'entrata comporta
semplicemente che questa non può essere
distolta dall'impiego cui è destinata, ciò
significa che, per ciascuna entrata
vincolata, è necessario iscrivere in
bilancio uno stanziamento di spesa
corrispondente, sia per ammontare che per
destinazione; ma ciò significa anche che le
economie eventualmente prodottesi su questi
stanziamenti di spesa non devono confluire
nei risultati differenziali dell'esercizio,
o, quanto meno, devono restare distinti
nell'ambito di tali risultati.
Per garantire tutto ciò, l'art. 183, comma
5, TUEL, tra i vari accorgimenti tecnici
disponibili, ha utilizzato il sistema dei
residui di stanziamento, per cui le spese
finanziate con tali entrate si devono
ritenere comunque impegnate a seguito del
relativo accertamento.
Altre conseguenze possono derivare dal
vincolo di destinazione: in particolare, vi
è il divieto di attivare la spesa prima che
sia stata realizzata l'entrata, e l'obbligo
di utilizzare la liquidità prodotta da tali
entrate soltanto per effettuare il pagamento
delle corrispondenti spese.
03.03.1934, n.
383), successivamente abrogato dall'art. 64,
L. 08.06.1990, n. 142, e, nonostante
questo vincolo non sia espressamente
richiamato dal TUEL, è alla base del modo in
cui è definita dall'art. 153, comma 5,
secondo periodo, la modalità di rilascio
dell'attestazione di copertura finanziaria
di competenza del responsabile del servizio
finanziario.
Anche il secondo vincolo, pur non essendo
espressamente previsto, viene presupposto
dal TUEL allorché l'art. 195 consente, a
certe condizioni, di derogarlo: l'articolo
in commento, infatti, consente agli enti
locali, ad eccezione di quelli in stato di
dissesto, l'utilizzo in termini di cassa
delle entrate aventi specifica destinazione
per il finanziamento delle spese correnti,
anche se provenienti dall'assunzione di
mutui, per un importo non superiore
all'anticipazione di tesoreria disponibile e
con l'obbligo della immediata loro
integrazione con i primi introiti non
soggetti a particolari destinazioni.
Tutto quanto premesso, e nella
considerazione che, comunque, il vincolo di
legge limita l'autonomia finanziaria del
Comune circa l'utilizzo delle risorse
accertate, va evidenziato che:
a) in caso di mancato utilizzo delle risorse
vincolate ex lege per le finalità previste
dalla norma, il corrispondente importo va
iscritto tra i fondi vincolati di cui
all'art. 187 TUEL; in altri termini: le
risorse distratte per finalità diverse da
quelle individuate dalla legge confluiscano
nell'avanzo di amministrazione mediante
iscrizione nei fondi vincolati di cui al
citato art. 187;
b) i vincoli di destinazione delle risorse
confluite nel risultato d'amministrazione
permangono anche se quest'ultimo non è
capiente a sufficienza o è negativo;
infatti, se l'esercizio chiude con un
disavanzo di amministrazione, i fondi
vincolati vanno ricostituiti; ciò vale a
dire che, in presenza di un disavanzo
effettivo di amministrazione per
insufficienza di risorse libere, il mancato
rispetto dei vincoli di destinazione,
riflettendosi automaticamente sul risultato
d'amministrazione (nella sua componente
"fondi vincolati da ricostituire"), obbliga
l'Ente a reperire le risorse necessarie per
finanziare tutte le spese derivanti dalle
entrate vincolate distratte ad altri fini,
ricercando le risorse necessarie per
finanziare tutte le spese derivanti da
entrate vincolate rifluite nel risultato
d'amministrazione; è ovvio che tale
evenienza rischia di compromettere la tenuta
degli equilibri di bilancio dell'Ente;
c) la violazione del vincolo di destinazione
configura un'irregolarità finanziaria e
contabile;
d) se reiterata, essa è suscettibile di
influire sugli equilibri di bilancio; tale
condotta, in ogni caso, finalizzata alla
copertura di spese correnti indistinte, non
è conforme a principi di sana gestione
finanziaria, in quanto, oltre a costituire
violazione delle vigenti disposizioni
legislative, è in grado di minare la tenuta
degli equilibri di bilancio dell'Ente.
Ciononostante, anche le somme a destinazione
vincolata possono essere assoggettate ad
atti di pignoramento del creditore, poiché
il vincolo di destinazione costituisce un
limite per l'attività di gestione di
bilancio dell'amministrazione dell'ente (che
non può cambiare la destinazione medesima),
ma non assurge a circostanza opponibile,
secondo le norme di diritto comune, ai terzi
creditori procedenti, tranne i casi in cui
le entrate a specifica destinazione siano
espressamente sottratte dal legislatore alla
procedura esecutiva, secondo quanto previsto
dall'art. 159 TUEL.
Vincoli di destinazione possono gravare
qualsiasi tipo di entrata, sia corrente, sia
di conto capitale.
Fatta questa premessa d'ordine generale, il
parere che si presenta, pronunciato dalla
Corte dei Conti della Lombardia e contenuto nel
parere 23.02.2011 n. 94, affronta
il tema delle entrate a destinazione
vincolata.
Nello specifico un Sindaco, ai sensi
dell'art. 7, comma 8, L. 05.06.2003, n.
131, ha chiesto al magistrato contabile, tra
l'altro, di esprimersi intorno alla
destinazione dei proventi derivanti dal
trasferimento a titolo oneroso del diritto
di superficie in diritto di proprietà di
aree PEEP.
Per la Corte, trattandosi di entrate in
conto capitale, in base ai principi generali
di bilancio (art. 162, comma 6, TUEL), non
possono essere utilizzate per il
finanziamento di spese correnti e, in
particolare, sono soggette ai seguenti
vincoli di destinazione:
- i proventi derivanti dal trasferimento del
diritto di superficie in diritto di
proprietà, devono essere reimpiegati
esclusivamente nel finanziamento
d'interventi di eguale natura (art. 16,
comma 3, D.L. 22.12.1981, n. 786,
convertito in L. 26.02.1982, n. 51);
- i proventi conseguenti all'alienazione di
alloggi di edilizia residenziale pubblica,
devono essere destinati al finanziamento
d'interventi nello stesso settore (art. 1,
comma 5, L. 24.12.1993, n. 560)
(commento tratto da www.ipsoa.it). |
DIPARTIMENTO
FUNZIONE PUBBLICA |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: La
legge Brunetta fa pochi sconti. Riforma
pienamente applicabile. A parte i premi al
merito. Nessun rinvio per le nuove norme
sulle relazioni sindacali e sui procedimenti
disciplinari.
La legge Brunetta è
pienamente operativa e deve essere applicata
dalle singole amministrazioni pubbliche:
solamente le disposizioni che premiano i
meritevoli sono in buona parte state
rinviate. E l'introduzione delle fasce di
merito è stata limitata alle risorse
aggiuntive nello stato e una intesa tra
governo, sindacati ed associazioni degli
enti locali ne definirà la sorte immediata
per le regioni, i comuni e le province.
Le disposizioni sulle relazioni sindacali,
per come precisato dalla recente
circolare 05.04.2011
n. 7/2011 del dipartimento della
Funzione pubblica, sono immediatamente
applicabili. Non vi sono dubbi sulla piena
applicazione delle nuove regole sui
procedimenti e sulle sanzioni disciplinari.
Come ribadito dalle sezioni riunite di
controllo della Corte dei conti, le singole
amministrazioni devono dare applicazione
alle limitazioni allo spoils system,
in particolare per il più rigido tetto
imposto alle assunzioni a tempo determinato
di dirigenti e, negli enti che ne sono
sprovvisti, di responsabili per la copertura
di posti vacanti in dotazione organica. Per
cui non ha alcun fondamento la tesi che,
soprattutto ad iniziativa delle
organizzazioni sindacali, sta circolando, in
base alla quale l'applicazione del dlgs n.
150/2009 è stata completamente rinviata alla
stipula dei nuovi contratti nazionali e gli
enti locali non devono adottare alcun atto.
In particolare, tutti gli enti locali devono
recepire le modifiche organizzative e le
nuove regole sulla misurazione e valutazione
delle performance. Occorre al riguardo
ricordare che la legge c.d. Brunetta
espressamente stabilisce che, a partire
dall'anno 2011, non possono essere erogati
compensi legati alle performance, cioè la
indennità di produttività per i dipendenti e
quella di risultato per i dirigenti, i
titolari di posizione organizzativa e le
alte professionalità, se l'ente non si è
data una metodologia di valutazione adeguata
ai principi innovativi dettati dal
legislatore.
Tale disposizione deve essere interpretata
nel senso che tali indennità per il 2010
possono essere erogate, anche se le
valutazioni sono effettuate nel 2011, mentre
quelle relative alle attività svolte a
partire da quest'anno non possono essere
erogate in assenza di tale adeguamento.
Ricordiamo che, come in un gioco di scatole
cinesi, l'approvazione delle nuove
metodologie di valutazione si deve basare
sulla proposta avanzata dal nucleo o
organismo indipendente di valutazione.
Il che richiede che il regolamento dell'ente
ne abbia dettato la disciplina e che il
sindaco o presidente di provincia abbia
provveduto alla nomina dei suoi componenti.
Altro passaggio essenziale, anche se lo
spostamento fino al 30 giugno del termine
per l'approvazione dei bilanci preventivi
pesa negativamente, è costituito dalla
adozione di obiettivi individuali e di
performance organizzativa adeguati rispetto
ai vincoli stringenti dettati dal
legislatore ed organizzati in modo da
rispondere ai requisiti previsti dal
legislatore per il piano delle performance.
Come chiarito dal dipartimento della
Funzione Pubblica, le disposizioni sulle
relazioni sindacali sono immediatamente
operative, in particolare per gli aspetti
relativi alla limitazione alla semplice
informazione delle relazioni sindacali sugli
atti di gestione del rapporto di lavoro
adottati dai dirigenti con i poteri e le
capacità del privato datore di lavoro.
Ed ancora, sono immediatamente applicabili
le disapplicazioni delle parti dei contratti
collettivi nazionali di lavoro in contrasto
con la legge Brunetta, Mentre negli enti
locali, a differenza di quanto previsto per
lo stato, le norme dei contratti decentrati
in contrasto con il dlgs 150/2009
continueranno ad essere applicabili per
tutto il 2011 e, di fatto, anche per tutto
il prossimo anno
(articolo ItaliaOggi
del 08.04.2011 - tratto da www.corteconti.it). |
NEWS |
CONSIGLIERI COMUNALI: OSSERVATORIO
VIMINALE/ Per l'indennità di fine mandato
servono più di 30 mesi.
È legittima l'erogazione dell'indennità di
fine mandato a favore di un ex sindaco che
ha ricoperto l'incarico per poco più di due
mesi?
La legge 27.12.2006, n. 296 recante
disposizioni per la formazione del bilancio
annuale e pluriennale (legge finanziaria
2007), all'art. 1, comma 719, confermando
l'indennità di fine mandato prevista dal dm
119/2000, specifica che la stessa spetta
solo nel caso in cui il mandato elettivo
abbia avuto una durata superiore a trenta
mesi, tempo che non è stato superato nella
fattispecie.
Pertanto all'amministratore in questione non
può riconoscersi la legittimazione a
percepire tale emolumento
(articolo
ItaliaOggi del 08.04.2011 - link
a www.ecostampa.com). |
CONSIGLIERI COMUNALI: OSSERVATORIO
VIMINALE/ Rimborso
spese.
Un consigliere comunale ha diritto al
rimborso spese per la partecipazione alle
riunioni del Consiglio nazionale dell'Anci?
La norma disciplinata dall'art. 85 del Tuel
non attribuisce, all'amministratore che
partecipa alle riunioni ed alle attività
degli organi nazionali e regionali delle
associazioni, un diritto soggettivo al
percepimento del rimborso per le spese
sostenute ma rimette all'autonomia
decisionale dell'ente la facoltà di
concedere tale rimborso.
L'art. 84 del Tuel, che disciplina i
rimborsi spese e le indennità di missione, è
stato, inoltre, modificato dall'art. 5,
comma 8, del decreto legge n. 78 del
31.05.2010, convertito con la legge
30.07.2010, n. 122, che ha disposto la
soppressione di parte del comma 1 del citato
art. 84 e più precisamente delle parole «nonché
un rimborso forfetario omnicomprensivo per
le altre spese».
Il ministero dell'interno, nelle more
dell'emanazione del nuovo decreto
interministeriale che individuerà, sulla
base delle intervenute modifiche all'art. 84
Tuel, i nuovi parametri per il rimborso
delle spese di viaggio sostenute, ha
sottoscritto, in sede di Conferenza stato
città ed autonomie locali, un accordo con il
quale vengono anticipati i contenuti
dell'emanando decreto ministeriale.
L'accordo prevede che agli amministratori
degli enti locali che, in ragione del
proprio mandato, si rechino fuori dal
capoluogo del comune ove ha sede l'ente
presso cui svolgono le funzioni pubbliche,
venga riconosciuto un rimborso delle spese
di soggiorno che non può superare l'80%
degli importi indicati nel decreto
interministeriale del 12.02.2009, importi
che non possono essere considerati come
rimborsi forfetari, comunque spettanti, ma
come tetto massimo di spesa non superabile.
Fermo restando tale limite, il rimborso
delle spese di viaggio e di soggiorno non
può comunque superare gli importi stabiliti
dal Ccnl del personale dirigente del
comparto regioni–autonomie locali.
Sia le spese di viaggio che quelle di
soggiorno dovranno essere effettivamente
sostenute e documentate.
Gli enti locali possono rideterminare in
riduzione le misure dei rimborsi
nell'esercizio della loro autonomia
organizzativa e finanziaria
(articolo
ItaliaOggi del 08.04.2011 - link
a www.ecostampa.com). |
CONSIGLIERI COMUNALI: OSSERVATORIO
VIMINALE/ Competenze
del vice-sindaco.
Tra le prerogative previste dall'art. 53,
comma 1, del dlgs n. 267/2000 in capo al
vicesindaco, subentrato al sindaco deceduto,
è ascrivibile anche la competenza a nominare
il segretario comunale, ai sensi dell'art.
99 del dlgs n. 267/2000?
L'art. 53, comma 1, del dlgs n. 267/2000,
prevede che, in caso di decesso del sindaco,
le funzioni connesse a tale carica siano
svolte dal vicesindaco fino a nuove
elezioni.
In merito ai poteri del vicesindaco nei casi
di sostituzione del sindaco, il Consiglio di
stato (parere n. 501/2001 cit.) ha ritenuto
che «la preposizione di un sostituto
all'ufficio o carica in cui si è realizzata
la vacanza, implica di norma l'attribuzione
di tutti i poteri spettanti al titolare, con
la sola limitazione temporale connessa alla
vacanza stessa». In particolare il
Consiglio di stato ha specificato che il
vice sindaco, da un punto di vista
funzionale «è il vicario del sindaco,
cioè l'organo persona–fisica stabilmente
destinato ad esercitare le funzioni del
titolare in ogni caso di mancanza, assenza o
impedimento» e, nel caso di decesso del
sindaco, la sostituzione ha un carattere
stabile, fino a nuove elezioni.
In ordine alla questione relativa alla
possibilità che il vice sindaco possa
procedere alla nomina del segretario, la
norma di cui all' art. 99 del dlgs n.
267/2000 attribuisce al sindaco il potere di
nominare il segretario comunale solo «dalla
data di insediamento» ed entro un arco
temporale tassativamente limitato -non prima
di sessanta giorni e non oltre centoventi
giorni- decorso il quale «il segretario è
confermato». La vigente normativa non
attribuisce al sindaco il potere di nominare
altro segretario comunale in un tempo
diverso da quello suindicato.
Ne consegue che il vice sindaco, investito
delle stesse attribuzioni, non può procedere
alla nomina di un nuovo segretario ai sensi
dell'art. 99 del dlgs n. 267/2000
(articolo
ItaliaOggi del 08.04.2011 - link
a www.ecostampa.com). |
AMBIENTE-ECOLOGIA: Ambiente,
arrivano due reati tutti nuovi.
Giro di vite ai reati
ambientali, con l'introduzione di due nuove
fattispecie di reato nel codice penale. Una
serve a incriminare chi danneggia l'habitat
naturale all'interno di un sito protetto.
L'altra punta a sanzionare la condotta di
chi uccide, distrugge, preleva o possiede,
fuori dai casi consentiti, esemplari di
specie animali o vegetali selvatiche
protette.
Non solo. Arriva anche l'estensione alle
persone giuridiche della responsabilità nei
reati contro l'ambiente.
Il tutto è previsto da uno schema di dlgs (SCHEMA
DI D.LGS. RECANTE RECEPIMENTO DELLA
DIRETTIVA 2008/99/CE DEL PARLAMENTO EUROPEO
E DEL CONSIGLIO, DEL 19.11.2008, SULLA
TUTELA PENALE DELL’AMBIENTE, NONCHÉ
DELLA DIRETTIVA 2009/123/CE DEL PARLAMENTO
EUROPEO E DEL CONSIGLIO, DEL 21.10.2009, CHE
MODIFICA LA DIRETTIVA 2005/35/CE RELATIVA
ALL’INQUINAMENTO PROVOCATO DALLE NAVI E
ALL’INTRODUZIONE DI SANZIONI PER VIOLAZIONI),
approvato ieri in prima lettura dal
consiglio dei ministri. Il testo recepisce
le direttive comunitarie 2008/99 e 2009/123.
Queste, spiega una nota di Palazzo Chigi, «danno
seguito all'obbligo imposto dall'Unione
europea di incriminare comportamenti
fortemente pericolosi per l'ambiente,
sanzionando penalmente condotte illecite
individuate dalla direttiva e fino ad oggi
non previste come reati ed introducendo la
responsabilità delle persone giuridiche,
attualmente non prevista per i reati
ambientali».
Legambiente esulta: «col recepimento
della direttiva europea sulla tutela penale
dell'ambiente si da una risposta contro i
crimini ambientali, che abbiamo chiesto da
quasi vent'anni, quando iniziammo ad
occuparci di ecomafia»
(articolo ItaliaOggi
del 08.04.2011 - tratto da www.corteconti.it). |
PUBBLICO IMPIEGO: Tempi
duri per il travet malato. Più facile il
licenziamento in caso di inidoneità
psico-fisica. Sì al decreto Brunetta:
accertamenti d'ufficio per i casi sospetti
di disturbi comportamentali.
Il rischio finale del
licenziamento ora sarà molto più concreto.
Perché quando si avranno problemi di salute,
anche solo presunti in base ai
comportamenti, scatteranno accertamenti
d'ufficio da parte
dell'amministrazione-datore di lavoro a cui
sarà arduo sottrarsi.
E questo grazie alle nuove norme sulle
inidoneità psico-fisica dei dipendenti
pubblici varate ieri dal consiglio dei
ministri e ora la vaglio del Consiglio di
stato per il prescritto parere.
Il provvedimento (SCHEMA
DI D.P.R. RECANTE REGOLAMENTO DI ATTUAZIONE
IN MATERIA DI RISOLUZIONE DEL RAPPORTO DI
LAVORO DEI DIPENDENTI DELLE AMMINISTRAZIONI
PUBBLICHE DELLO STATO E DEGLI ENTI PUBBLICI
NAZIONALI IN CASO DI PERMANENTE
INIDONEITÀ PSICOFISICA AI SENSI
DELL’ARTICOLO 55-OCTIES DEL D.LGS.
30.03.2001 N. 165) è stato curato dal
ministro della funzione pubblica, Renato
Brunetta, con l'obiettivo di tutelare
l'efficienza e il buon andamento della
pubblica amministrazione, si legge in una
nota del governo, «consentendo la
risoluzione del rapporto di lavoro dei
dipendenti di cui è stata accertata
l'inidoneità psicofisica permanente e
assoluta, oppure il demansionamento nel caso
di inidoneità psicofisica permanente e
relativa». Per la prima volta si parla
di inidoneità anche psichica, finora
genericamente c'erano problemi di salute.
E per la prima volta, si prevede che ci si
la licenziabilità anche dei dirigenti.
L'amministrazione avvia, prima era solo una
possibilità, la procedura di accertamento
non solo nei casi in cui le assenze per
malattia si protraggono oltre i limiti
massimi previsti ma anche quando, con una
valutazione di natura discrezionale, il
datore di lavoro ritenga che il
comportamento del lavoratore denunci
disturbi psichici o fisici. Comportamento
tale da rendere presumibile un'inidoneità
assoluta o relativa al servizio.
Per questi casi, è possibile anche una
sospensione cautelare in attesa delle visite
a tutela della sicurezza dei colleghi e
della eventuale utenza. Situazioni delicate,
queste, che finora non erano espressamente
disciplinate e che avevano creato problemi
soprattutto nei servizi di sportello.
Il licenziamento scatta in caso di
accertamento di impossibilità assoluta a
svolgere le mansioni. Se l'inidoneità è
relativa, l'amministrazione deve mettere in
atto ogni tentativo per recuperare al
servizio il dipendente, con l'assegnazione a
diverse mansioni dello stesso profilo di
inquadramento ma anche di altro profilo. Se
più basso, lo stipendio resterà comunque
quello di primo inquadramento. Norme dunque
non solo più rigide a favore della pa ma
anche a tutela del lavoratore.
Nella stretta contro i furbi, rischia grosso
chi per ben due volte si rifiuta, senza
giustificato motivo, di sottoporsi ai
controlli: sarà licenziato con il debito
preavviso
(articolo ItaliaOggi
del 08.04.2011 - tratto da www.corteconti.it). |
CONSIGLIERI COMUNALI: Ricandidatura
vietata per chi ha il bilancio in rosso.
Federalismo. Il Governo
approva nuovamente il decreto sul fallimento
politico, ricomincia l'iter in Parlamento.
Conti in rosso, ricandidatura vietata.
Altolà a governatori e sindaci non in linea
con il rigore - Snellito il testo.
Il decreto su premi e sanzioni
ricomincia da due. Il Consiglio dei ministri
ha riapprovato ieri il provvedimento
attuativo del federalismo che introduce il «fallimento
politico» per i governatori in default.
Si tratta di un nuovo via libera
preliminare, dopo quello del 30 novembre
scorso, che fa ripartire l'iter Conferenza
unificata-bicamerale-Palazzo Chigi. Per la
gioia di Regioni ed enti locali, da sempre
scettici sul testo del Governo. Il nuovo
passaggio in Cdm si è reso necessario per
stralciare dal Dlgs i cinque articoli ...
(articolo
Il Sole 24 Ore
del 08.04.2011 - tratto da www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Piccoli
comuni, turnover amaro. Se va in pensione
l'unico vigile: non può essere rimpiazzato.
Disco rosso della Corte conti Veneto
sull'assunzione di un nuovo agente nel corso
dell'anno.
Il pensionamento di
figure uniche infungibili non sfugge al
divieto, per i comuni non soggetti al patto,
di assumere personale cessato in corso
d'anno, anche se il turnover riguarda agenti
di polizia municipale. La mobilità in uscita
può essere considerata come cessazione solo
se l'ente destinatario del dipendente
trasferito non sia soggetto a vincoli
assunzionali.
La Corte dei conti, sezione regionale di
controllo per il Veneto fornisce questi due
importanti chiarimenti.
Cessazioni in corso d'anno.
Il comune richiedente, non soggetto al patto
di stabilità, ventilava la possibilità di
sostituire l'unico agente di polizia
municipale destinato ad andare in pensione
nel 2011, già nel 2011 stesso. Ciò in
considerazione dell'unicità ed infungibilità
della figura e della necessità di assicurare
le funzioni.
La sezione, tuttavia, non ha potuto fare a
meno di evidenziare l'illegittimità di tale
approccio. Infatti, ai sensi dell'articolo
1, comma 562, della legge 296/2006, gli enti
non sottoposti al patto limitano le
assunzioni di personale alle cessazioni di
rapporti di lavoro a tempo indeterminato
intervenute «nel precedente anno». Anche
l'interpretazione strettamente letterale
della norma conferma che l'anno di
riferimento ai fini del contenimento delle
spese di personale detta riduzione debba
essere sempre quello precedente alla
cessazione.
Non osta a questa obbligata applicazione
della norma l'unicità della figura, né la
qualifica di agente di polizia municipale.
Spiega la sezione veneta agli enti non
soggetti al patto non è applicabile la
disposizione di cui all'articolo 1, comma
118, della legge 220/2010, che consente di
derogare al limite di spesa per assunzioni
nell'ambito delle funzioni di polizia locale
ai soli comuni con oltre 5.000 abitanti,
visto che richiama, come condizione, il
rispetto degli obiettivi del patto di
stabilità interno.
Effetti della mobilità.
Il comune ha chiesto se fosse, allora,
possibile avviare nel 2011 una procedura di
assunzione per sostituire un dipendente
andato in mobilità presso un altro ente nel
2009.
La sezione risponde affermativamente circa
la possibilità di coprire, in linea teorica,
una cessazione anche di due anni prima, ma
in merito agli effetti della mobilità si
allinea alle conclusioni tratte dalle
sezioni riunite con la delibera 59/2010: la
mobilità in uscita può essere considerata
come cessazione solo se l'ente di
provenienza debba rispettare a vincoli alle
assunzioni, mentre l'ente destinatario, al
contrario, non sia soggetto a tetti alle
assunzioni.
Infatti, in questo caso l'ente di
destinazione deve sempre imputare la
mobilità in entrata alla copertura delle
vacanze di organico, sicché l'assunzione per
mobilità occupa i posti che si intendono
coprire mediante il piano annuale delle
assunzioni. In tal modo non si avrebbe un
incremento della spesa complessiva per
personale, così da permettere all'ente di
provenienza di effettuare una nuova
assunzione.
Restano, tuttavia, in piedi le perplessità
di tale ricostruzione che le sezioni riunite
della Corte dei conti hanno fondato sul
presupposto della vigenza dell'articolo 1,
comma 47, della legge 311/2004 che operava
in un regime profondamente diverso, quando
gli enti non soggetti al patto non erano
sottoposti a vincoli alle assunzioni, mentre
gli enti tenuti a rispettare il patto di
stabilità dovevano complessivamente
rispettare tetti alle assunzioni non a
livello di singolo ente, bensì
complessivamente di comparto.
Dopo la modifica del patto di stabilità le
cose non stanno più così. I tetti alla spesa
e alle assunzioni operano solo a livello di
singolo ente. Per altro, dalla vigenza della
legge 296/2006 alla vigenza del dl 78/2010
solo gli enti non soggetti al patto erano
tenuti a vincoli alle assunzioni. A causa
della manovra estiva 2010, anche gli enti
obbligati al patto incontrano vincoli
assunzionali, esattamente entro il 20% della
spesa del personale cessato l'anno
precedente.
Sicché, la mobilità intercompartimentale tra
enti locali non sarebbe mai né cessazione,
né assunzione. E potrebbe essere coperta
solo da mobilità. Il che pregiudica di molto
proprio la situazione degli enti di piccole
dimensioni. Senza considerare che ai sensi
dell'articolo 30, comma 2-bis, del dlgs
165/2001 le assunzioni debbono
necessariamente avvenire per mobilità. E che
lo stesso dl 78/2010 nel disporre che i
fondi delle risorse decentrate debbono
essere ridotti in proporzione non al
personale cessato, ma al «personale in
servizio»: il che significa che anche le
mobilità in uscita, riducendo il personale «in
servizio» determinano risparmi sulla
spesa di personale esattamente come una
cessazione, così come, simmetricamente, le
mobilità in uscita costi come fossero
assunzioni
(articolo ItaliaOggi
del 08.04.2011 - tratto da www.corteconti.it). |
PUBBLICO IMPIEGO: Brunetta
dà più poteri ai dirigenti alla faccia di
sindacati e giudici. Un decreto per far
decollare subito le nuove competenze
previste dalla riforma.
È una corsa contro il tempo, quella tra
Brunetta e i sindacati. A chi arriva prima a
fermare l'altro. Sembrava che i sindacati,
quelli moderati di Cisl e Uil, ci fossero
riusciti con l'accordo spuntato a Palazzo
Chigi lo scorso 4 febbraio, che rinviando a
una successiva trattativa all'Aran molti dei
nodi caldi dell'attuazione del decreto
legislativo 150/2009 nei fatti
depotenziavano la riforma Brunetta.
E ora invece il ministro della funzione
pubblica, Renato Brunetta, sta per assestare
un colpo a suo favore: intanto che il tavolo
all'Aran ancora non si è aperto, con un
decreto correttivo al 150 si rendono
pienamente operativi alcuni filoni della
riforma che rischiavano con l'accordo di
restare fermi. Rendendo così la pariglia ai
sindacati e stoppando i giudici che,
adducendo dubbi interpretativi, stanno
remando contro.
Si tratta di un decreto legislativo (SCHEMA
DI D.LGS. RECANTE DISPOSIZIONI INTEGRATIVE E
CORRETTIVE DEL D.LGS. 27.10.2009, N. 150 AI
SENSI DELL’ARTICOLO 2, COMMA 3, DELLA LEGGE
04.03.2009, N. 15) che in queste ore
è stato sottoposto al vaglio di regioni,
comuni e province per il prescritto parere,
prima della trasmissione alla camere e poi
il via libero definitivo del consiglio dei
ministri. Un decreto che tra le varie
correzioni stabilisce che l'adeguamento dei
contratti collettivi integrativi è
necessario solo per i contratti vigenti alla
data di entrata in vigore del 150, «mentre
i contratti sotto scritti successivamente si
applicano immediatamente le disposizioni
introdotte dal medesimo decreto».
Ma il colpo più forte si ha all'ultimo punto
dell'articolato, quello in cui si interpreta
il senso dell'articolo 65, comma 5, del
decreto legislativo 150/2009: le
disposizioni che si applicano dalla tornata
contrattuale successiva a quella in corso al
momento dell'entrata in vigore del decreto
«sono esclusivamente quelle relative al
procedimento negoziale di approvazione dei
contratti collettivi nazionali». Fuori
di burocratese, questo significa che in tema
di relazioni sindacali la riforma si applica
già. Anche se proprio sulle relazioni
sindacali il tavolo all'Aran avrebbe dovuto
dire una parola chiarificatrice e condivisa.
E dunque, i dirigenti possono da subito
disciplinare l'organizzazione del lavoro e
la gestione degli uffici come ritengono
opportuno. Informando i sindacati ma senza
trattare più con loro, come fatto finora e
come preteso ancora dalle sigle. Tanto da
aver ottenuto un diluvio di sentenze a
favore che hanno bloccato l'iniziativa
manageriale dei dirigenti pubblici.
Se il decreto dovesse riuscire a ultimare il
suo iter prima dell'accordo, avrà vinto
Brunetta. Un risultato non da poco per il
responsabile di Palazzo Vidoni, visto lo
stop inferto alla sua riforma dalla manovra
correttiva dei conti pubblici che ha
congelato le retribuzioni degli statali
impedendo aumenti o decurtazioni sul monte
salariale pregresso. Così mandando a gambe
all'aria la piena attuazione della
meritocrazia. La partita non è ancora finita
(articolo ItaliaOggi
del 07.04.2011 - tratto da www.corteconti.it). |
GIURISPRUDENZA |
ATTI AMMINISTRATIVI -
ENTI LOCALI: Ordinanze
sì, ma solo se urgenti. No alla
discrezionalità senza limiti dei sindaci
sulla sicurezza. La Consulta boccia la norma
del pacchetto sicurezza sui poteri
straordinari dei primi cittadini.
Sindaci ridimensionati
dalla Consulta. Stop ai poteri
«straordinari» offerti agli amministratori
dal pacchetto sicurezza: bocciato l'articolo
54, comma 4, del Testo unico degli enti
locali (decreto legislativo 18.08.2000, n.
267) così come modificato dal decreto legge
92/2008.
Lo stabilisce la
sentenza
07.04.2011 n. 115 della
Corte costituzionale che dichiara
illegittima la norme laddove consente al
sindaco, in quanto ufficiale del governo, di
adottare provvedimenti a «contenuto
normativo ed efficacia a tempo indeterminato»,
per prevenire ed eliminare gravi pericoli
che minacciano la sicurezza urbana, anche
fuori dai casi di «contingibilità e
urgenza».
A sollevare la questione è stato il Tar
Veneto dopo il ricorso dell'associazione «Razzismo
stop» contro il provvedimento
anti-mendicanti del comune di Selvazzano
Dentro, in provincia di Padova, che
prevedeva la confisca del denaro versato in
violazione del divieto di accattonaggio.
No limits.
La norma del pacchetto sicurezza che
riscrive sul punto il Tuel viene dichiarata
incostituzionale perché è molto
indeterminata e non rispetta il principio di
legalità sostanziale, posto a base dello
stato di diritto. La disposizione, infatti,
consente ai sindaci di emanare ordinanze di
ordinaria amministrazione con una
discrezionalità praticamente senza limiti,
celata sotto la generica esigenza «di
prevenire e di eliminare gravi pericoli che
minacciano l'incolumità pubblica e la
sicurezza urbana».
È vero che i provvedimenti degli
amministratori non possono derogare a norme
legislative o regolamentari vigenti, ma
l'esercizio del potere amministrativo deve
essere sempre svolto sotto una copertura
legislativa, sia pure elastica. Il giudice
delle leggi ricorda fra l'altro che nessuna
prestazione, personale o patrimoniale, possa
essere imposta se non in base alla legge. E
anche l'imposizione coattiva di obblighi di
non fare, come nel divieto di mendicare,
rientra ugualmente nel concetto di «prestazione».
Libertà e legalità.
Nel caso del comune veneto le ordinanze
sindacali riguardano l'incolumità pubblica e
la sicurezza urbana e incidono sulla sfera
generale dei cittadini amministrati: sono
dirette contro l'accattonaggio e scende in
campo l'associazione «Razzismo stop»
perché i multati sono spesso nomadi e
migranti.
La misura di ordine pubblico adottata a
Selvazzano impedisce l'accattonaggio in
vaste zone del territorio comunale: i
trasgressori si beccano una sanzione
amministrativa pecuniaria, con possibilità
di pagamento in misura ridotta solo per le
prime due violazioni accertate. È proibito,
in particolare, richiedere denaro in luoghi
pubblici, effettuata «anche» in forma
petulante e molesta: il provvedimento del
sindaco, insomma, si estende ai mendicanti
non «invasivi o molesti».
Insomma, l'ordinanza pone prescrizioni di
comportamento e divieti, ma le restrizioni
imposte grazie al pacchetto sicurezza
risultano in contratto la riserva di legge
relativa, di cui all'articolo 23
Costituzione: il restyling imposto
all'articolo 54, comma 4 del Tuel non
prevede alcuna delimitazione della
discrezionalità amministrativa in un ambito
che rientra nella sfera di libertà dei
consociati. E dunque la disposizione va
cassata.
Disparità di trattamento.
La Consulta boccia la norma del pacchetto
sicurezza anche per evitare disparità di
trattamento fra cittadini italiani di
differenti zone del paese. Le ordinanze no limits dei sindaci sono prive di una valida
base legislativa e rischiano di introdurre
-riflettono i giudici della Consulta-
fattispecie nuove e inedite, liberamente
configurate dai primi cittadini dei comuni:
il risultato sarebbe inestricabile viluppo
di divieti distribuiti a macchia di leopardo
sul territorio; un mosaico inguardabile,
insomma.
Dall'Alta corte arriva dunque un monito: mai
più deleghe in bianco ai sindaci, che pure
si trovano tutti i giorni a combattere in
prima fila contro i problemi (anche di
sicurezza e di ordine pubblico) che
affliggono le loro comunità.
Autonomia e responsabilità.
Ancora in tema di enti locali: spettano alla
provincia di Bolzano i canoni relativi ai
permessi di ricerca e alle concessioni delle
risorse geotermiche. La Consulta dichiara
l'illegittimità costituzionale dell'articolo
1, comma 6, del decreto legislativo
11.02.2010, n. 22 («Riassetto della
normativa in materia di ricerca e
coltivazione delle risorse geotermiche, a
norma dell'articolo 27, comma 28, della
legge 23.07.2009, n. 99»), nella parte
in cui non prevede che la disposizione
relativa all'appartenenza delle risorse
geotermiche ad alta entalpia al patrimonio
indisponibile dello stato non si applica
alle province autonome di Trento e di
Bolzano.
La provincia dell'Alto Adige è tenuta ad
osservare le norme statali che introducono
riforme economico-sociali per gli aspetti
che riguardano la gestione e la migliore
utilizzazione delle risorse geotermiche
(siano esse di alta, media o bassa entalpia)
ma mantiene tutti i suoi diritti per quanto
concerne gli aspetti economici
(articolo ItaliaOggi
del 08.04.2011). |
LAVORI PUBBLICI:
L'edificabilità di fatto come
criterio di prova del danno per le
occupazioni illegittime dei terreni da parte
della PA.
Con la
sentenza 04.04.2011 n. 2113 la IV
Sez. del Consiglio di Stato ribadisce alcuni
fondamentali principi in tema di occupazione
illegittima di terreni da parte della
Pubblica Amministrazione e profili
risarcitori.
In primo luogo il Collegio ribadisce i
principi che regolano il riparto di
giurisdizione precisando che: “spetta al
giudice amministrativo” ogni
controversia cha ha ad oggetto “il
risarcimento dei danni conseguenti
all'annullamento giurisdizionale di un
provvedimento amministrativo in tema di
espropriazione per pubblica utilità”
come l’annullamento della dichiarazione di
pubblica utilità (Consiglio Stato a. plen.,
09.02.2006, n. 2; n. 9 del 30.07.2007).
“Mentre le domande risarcitorie e
restitutorie relative a fattispecie di
occupazione usurpativa, intese come
manipolazione del fondo di proprietà privata
avvenuta in assenza della dichiarazione di
pubblica utilità ovvero a seguito della sua
sopravvenuta inefficacia, rientrano nella
giurisdizione ordinaria (omissis)
(Cassazione civile , sez. un., 23.12.2008 ,
n. 30254).”
Nel merito poi della richiesta risarcitoria
del proprietario del fondo di fatto
espropriato il collegio precisa nella
liquidazione del danno da occupazione
illecita “non ricorrendo il parametro
dell’edificabilità legale”, si deve
tenere conto del parametro “dell’edificabilità
di fatto” e quindi “fare riferimento
alle obiettive caratteristiche della zona ed
alla possibile utilizzazione del terreno,
anche in relazione al contesto spaziale nel
quale quest'ultimo concretamente si ponga in
ragione del rapporto di fisica contiguità
con aree limitrofe edificate o appartenenti
alla medesima zona cui l'area espropriata è
funzionale, sempreché risulti comunque
accertata una sua compatibilità con le
generali scelte urbanistiche ed entro i
limiti in ogni caso posti dall'art. 4”
T.U. Espropri (DPR 327/2001).
Il Consiglio di Stato con la sentenza in
commento ricorda che è onere del cittadino
proprietario del terreno illegittimamente
occupato e di fatto espropriato, dimostrare
in concreto il valore del terreno da
risarcire -la sua “edificabilità di fatto”-
producendo atti notarili di compravendita di
terreni limitrofi da cui si possa ricavare
tale valore.
In base al principio di ripartizione
dell’onere probatorio (art. 2697 cod. civ.)
che impone alla parte la prova dei fatti
dalla stessa dedotti e posti a base delle
proprie richieste, non si può demandare la
prova del valore del terreno occupato ad una
semplice richiesta di consulenza tecnica
d’ufficio. Essa infatti “ha la funzione
di fornire all'attività valutativa del
giudice l'apporto di cognizioni tecniche non
possedute” ma non può supplire ad una
totale carenza probatoria connessa alla
richiesta risarcitoria (commento tratto da
www.professioni-imprese24.ilsole24ore.com - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
RIFIUTI - INQUINAMENTO - Decreto
Ronchi - Artt. 17 e 51-bis - Continuità
normativa con l’art. 32, c. 2, d.P.R. n.
915/1982.
La normativa di cui al d.lgs. n. 22/1997 ha
reso strutturale e permanente la medesima
condotta incriminata dalla norma transitoria
ex art. 32, secondo comma, del d.P.R. n.
915/1982, ampliandola e precisandola
ulteriormente alla stregua del combinato
disposto degli artt. 17 e 51-bis del
predetto “decreto Ronchi” (cfr. Cass.
pen., Sez. III, n. 280/1999, cit.).
D’altro lato, al pari dell’art. 17 del
d.lgs. n. 22/1997, l’art. 32, secondo comma,
cit. ha prescritto un obbligo personale di
fare, che si sostanzia in un comportamento
attivo, tanto che la costante giurisprudenza
ha configurato la relativa fattispecie
criminosa quale reato permanente, in quanto
l’attività illecita persiste con la ripetuta
inerzia del soggetto obbligato ad
intervenire al fine di evitare l’effetto
temuto (cfr., ex multis, Cass. pen.,
Sez. III, 21.05.1996, n. 9332; id.,
06.07.1994, Cassaniti).
Ne deriva che la pur riconosciuta diversità
di regime giuridico e, per conseguenza, la
mancanza di continuità normativa tra gli
artt. 2043, 2050 e 2058 c.c., da un lato, e
l’art. 17 del cd. decreto Ronchi,
dall’altro, non impedisce di applicare il
comando contenuto nel medesimo art. 17 a
soggetti estintisi prima del 1997 ad al
successore universale di tali soggetti, in
forza del nesso di nesso di continuità
normativa esistente tra gli artt. 17 e
51-bis del d.lgs. n. 22 cit. e l’art. 32,
secondo comma, del d.P.R. n. 915/1982.
INQUINAMENTO - Condotta
omissiva a carattere permanente - Art.
51-bis d.lgs. n. 22/1997 - Applicabilità a
qualsiasi situazione di inquinamento in
atto, a prescindere dal momento in cui è
avvenuto il fatto - Fondamento.
L’inquinamento è situazione permanente, in
quanto perdura fino a che non ne siano
rimosse le cause ed i parametri ambientali
siano riportati entro i limiti
normativamente accettabili: ciò comporta che
le previsioni del d.lgs. n. 22/1997 vanno
applicate a qualunque sito risulti
attualmente inquinato, a prescindere dal
momento nel quale possa essere avvenuto il
fatto o i fatti generatori dell’attuale
situazione patologica.
Ne deriva l’applicabilità dell’art. 51-bis
del d.lgs. n. 22/1997 a qualsiasi situazione
di inquinamento in atto al momento
dell’entrata in vigore del predetto decreto
legislativo. La norma collega infatti la
pena non al momento in cui viene cagionato
l’inquinamento o il relativo pericolo, ma
alla mancata realizzazione, da parte del
responsabile, della bonifica, secondo la
procedura di cui all’art. 17.
Non si tratta, perciò, di dare alla norma
portata retroattiva, ma di applicare la
legge ratione temporis, onde far
cessare gli effetti (che solo la bonifica
può elidere) di una condotta omissiva a
carattere permanente: la sanzione, cioè,
colpisce non l’inquinamento prodotto in
epoca precedente, ma la mancata eliminazione
degli effetti che permangono nonostante il
fluire del tempo (C.d.S., Sez. VI, n.
5283/2007, cit.).
In questo senso depone anche la
giurisprudenza della Cassazione penale,
secondo cui l’art. 51-bis cit. si configura
quale reato omissivo di pericolo presunto,
che si consuma ove il soggetto non proceda
ad adempiere l’obbligo di bonifica secondo
le cadenze procedimentalizzate dal
precedente art. 17 (cfr. Cass. pen., Sez.
III, 28.04.2000, n. 1783).
INQUINAMENTO -
Situazioni di inquinamento ingenerate
anteriormente all’entrata in vigore del
decreto Ronchi - Causa di non punibilità ex
art. 114, c. 7, L. 388/2000 -
Interpretazione - Conservazione dei valori
giuridici.
L’art. 114, comma 7, della l. n. 388/2000,
(a tenor del quale chiunque abbia adottato
le procedure ex art. 17 del d.lgs. n.
22/1997 e di cui al d.m. n. 471/1999, “non
è punibile per i reati direttamente connessi
all’inquinamento del sito posti in essere
anteriormente alla data di entrata in vigore
del decreto legislativo n. 22/1997”),
avendo introdotto una causa di non
punibilità penale per le contaminazioni
realizzate prima dell’entrata in vigore del
“decreto Ronchi”, conferma
l’applicabilità di tale decreto legislativo
a situazioni di inquinamento ingenerate
prima della sua entrata in vigore e tuttora
in atto, perché se l’applicabilità stessa
fosse stata da escludere, non ci sarebbe
stato bisogno di introdurre la predetta
causa di non punibilità e l’art. 114, comma
7, cit., sarebbe stato del tutto superfluo.
Ma ciò contrasta con il principio generale
di conservazione dei valori giuridici, quale
canone ermeneutico che impone la scelta
dell’interpretazione di una norma più
aderente ai precetti costituzionali (cfr.,
ex multis, Cass. civ., Sez. III,
22.10.2002, n. 14900; TAR Lazio, Roma, Sez.
I, 05.06.2006, n. 4239): scelta che, certo,
non sarebbe quella di privilegiare un
significato della norma (qui, l’art. 17 del
d.lgs. n. 22/1997), tale da rendere altra
norma, ad essa posteriore, (l’art. 114,
comma 7, cit.) del tutto inutile e priva di
valore precettivo (TAR Toscana, Sez. II,
sentenza 01.04.2011 n. 573 - link
a www.ambientediritto.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
ASSOCIAZIONI E COMITATI -
Comitati costituiti in forma associativa
temporanea - Legittimazione ad agire -
Limiti.
Deve essere esclusa la legittimazione ad
agire dei comitati istituiti in forma
associativa temporanea, con scopo specifico
e limitato, costituenti una mera proiezione
degli interessi dei soggetti che ne fanno
parte e che quindi non sono portatori in
modo continuativo di interessi diffusi
radicati nel territorio.
Diversamente si consentirebbe una sorta di
azione popolare che non é ammessa
dall’ordinamento (Cons. Stato, Sez. V,
23.04.2007, n. 1830; Sez. VI, 11.07.2008, n.
3507; TAR Toscana, Sez. I, 02.12.2010, n.
6710; TAR Lazio Lt I, 08.07.2009, n. 670;
TAR Puglia, Ba, Sez. III, 15.04.2009, n.
866).
ASSOCIAZIONI E COMITATI
- Associazioni ambientaliste - Art. 13 L. n.
349/1986 - Potere di accertamento della
legittimazione ad agire - Giudice -
Valutazione caso per caso - Condizioni.
L'affidamento al Ministero dell'ambiente, ex
art. 13 l. 08.07.1986 n. 349, del potere di
accertamento della legittimazione ad agire
delle associazioni ambientaliste e dei
comitati non esclude la possibilità per il
giudice di valutare, caso per caso, la
sussistenza della legittimazione in capo ad
una determinata associazione ad impugnare
provvedimenti lesivi di interessi
ambientali; la verifica di tale capacità di
agire, anche in relazione all’art. 18 l. n.
349/1986, è comunque assoggettata a precise
e circoscritte condizioni (Cons. Stato, Sez.
IV, 02.10.2006, n. 5760 e 19.02.2010 n.
1001), diversamente configurandosi un’azione
popolare non prevista dall’ordinamento.
ASSOCIAZIONI E COMITATI
- Comitato - Rappresentatività rispetto
all’interesse da proteggere - Indici.
L'interesse diffuso si trasforma in
interesse collettivo, e diventa, quindi,
interesse legittimo tutelabile in giudizio,
solo nel momento in cui, indipendentemente
dalla sussistenza della personalità
giuridica, l'ente dimostri la sua
rappresentatività rispetto all'interesse che
intende proteggere.
Rappresentatività che deve essere desunta da
una serie di indici elaborati dalla
giurisprudenza: deve trattarsi di un ente il
cui statuto preveda come fine istituzionale
la protezione di un determinato bene a
fruizione collettiva, cioè di un dato
interesse diffuso o collettivo, l'ente
medesimo deve essere in grado, per la sua
organizzazione e struttura, di realizzare
concretamente le proprie finalità ed essere
dotato di stabilità, nel senso che deve
svolgere all'esterno la propria attività in
via continuativa (Cons. Stato, Sez. VI,
11.07.2008, n. 3507); l'organismo collettivo
deve essere portatore di un interesse
localizzato, nel senso che deve sussistere
uno stabile collegamento territoriale tra
l'area di afferenza dell'attività dell'ente
e la zona in cui è situato il bene a
fruizione collettiva che si assume leso (“criterio
della c.d. vicinitas”) (TAR Toscana,
Sez. II,
sentenza 01.04.2011 n. 567 - link
a www.ambientediritto.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
INQUINAMENTO - Siti di interesse
nazionale - Bonifica - Provvedimento
conclusivo della conferenza di servizi -
Adozione - Competenza dirigenziale - Art.
252 d.lgs. n. 152/2006.
In tema di bonifica di siti di interesse
nazionale, il decreto di approvazione della
Conferenza di servizi, costituisce
espressione di attività di gestione e non di
indirizzo politico-amministrativo,
risultando, perciò, legittima la sua
adozione da parte del dirigente del settore
interessato, e non da parte del Ministro.
Ed invero, l'art. 252 del d.lgs. n.
152/2006, distinguendo tra atti ed attività
di competenza del Ministro dell'Ambiente ed
atti e attività facenti capo al Ministero,
colloca tra i primi l'individuazione, ai
fini della bonifica, dei siti di interesse
nazionale (art. 252, comma 2, cit.), il che
è del tutto logico, dovendo la suddetta
individuazione reputarsi atto attinente
all'indirizzo politico-amministrativo in
materia di bonifica.
Per contro, si deve reputare che l'impugnato
decreto di recepimento della Conferenza di
Servizi costituisca un mero atto di
gestione, di competenza dirigenziale e non
del Ministro, atteso che esso certamente non
concerne le scelte di fondo che la P.A. è
chiamata a compiere nel settore in esame
(come ad es., la mappatura dei siti di
interesse nazionale), avendo invece ad
oggetto la prescrizione di un singolo
intervento di messa in sicurezza d'emergenza
e, poi, di bonifica (TAR Toscana, sez. II,
06.07.2010, n. 2316; TAR Lombardia, Brescia,
Sez. I, 09.10.2009, n. 1738).
INQUINAMENTO - Bonifica,
messa in sicurezza e ripristino ambientale -
Proprietario - Mancata dimostrazione
dell’imputabilità soggettiva della condotta
- Illegittimità dell’ordinane di bonifica -
Principio “chi inquina paga”.
Non è legittimo l’ordine di bonifica, messa
in sicurezza e ripristino ambientale
indiscriminatamente rivolto al proprietario
del fondo in ragione della sua sola qualità,
ma in mancanza di adeguata dimostrazione da
parte dell’Amministrazione procedente, sulla
base di un’istruttoria completa e di una
esauriente motivazione, dell’imputabilità
soggettiva della condotta (cfr. Cons. Stato,
Sez. V, 19.03.2009, n. 1612; TAR Toscana,
sez. II 24.08.2009 n. 1398).
La pubblica amministrazione non può,
pertanto, imporre ai privati che non abbiano
alcuna responsabilità diretta sull'origine
del fenomeno contestato, ma che vengano
individuati solo quali proprietari del bene,
lo svolgimento delle attività di recupero e
di risanamento. E ciò, del resto, in
conformità al principio "chi inquina paga",
cui si ispira la normativa comunitaria (art.
174, ex art. 130/R, trattato CE), la quale
impone al soggetto che fa correre un rischio
di inquinamento di sostenere i costi della
prevenzione o della riparazione (TAR
Toscana, sez. II, 03.03.2010, n. 594).
Ai fini della responsabilità in questione è
perciò necessario che sussista e sia
provato, attraverso l’esperimento di
un’adeguata istruttoria, il rapporto di
causalità tra l'azione o l'omissione
dell'autore dell'inquinamento e il
superamento -o pericolo concreto ed attuale
di superamento- dei limiti di
contaminazione, senza che possa venire in
rilievo una sorta di responsabilità
oggettiva facente capo al proprietario o al
possessore dell’immobile meramente in
ragione di tale qualità (TAR Toscana, Sez.
II,
sentenza 01.04.2011 n. 565 - link
a www.ambientediritto.it). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Mobbing - Configurabilità -
Presupposti - Disegno persecutorio - Prova.
Ai fini della configurabilità del mobbing
sono rilevanti:
a) la molteplicità di comportamenti di
carattere persecutorio, illeciti o anche
leciti se considerati singolarmente, che
siano stati posti in essere in modo
miratamente sistematico e prolungato contro
il dipendente con intento vessatorio;
b) l’evento lesivo della salute o della
personalità del dipendente;
c) il nesso eziologico tra la condotta del
datore o del superiore gerarchico e il
pregiudizio all’integrità psico-fisica del
lavoratore;
d) la prova dell’elemento soggettivo, cioè
dell’intento persecutorio (Cass. civ., Sez.
lav., 17.02.2009, n. 3785).
La ricorrenza di una condotta mobbizzante va
pertanto esclusa quante volte la valutazione
complessiva dell’insieme delle circostanze
addotte e accertate nella loro materialità,
pur se idonea a palesare "singulatim"
elementi e episodi di conflitto sul luogo di
lavoro, non consenta di individuare, secondo
un giudizio di verosimiglianza, il carattere
unitariamente persecutorio e discriminante
nei confronti del singolo del complesso
delle condotte poste in essere sul luogo di
lavoro (Cons. Stato, Sez. IV, 21.04.2010, n.
2272).
In particolare, la condotta di mobbing
dell’Amministrazione pubblica datrice di
lavoro, consistente in comportamenti
materiali o provvedimentali contraddistinti
da finalità di persecuzione e di
discriminazione, indipendentemente dalla
violazione di specifici obblighi
contrattuali nei confronti di un suo
dipendente, deve da quest’ultimo essere
provata e, a tal fine, valenza decisiva è
assunta dall’accertamento dell’elemento
soggettivo, e cioè dalla prova del disegno
persecutorio; in ogni caso, determinati
comportamenti non possono essere qualificati
come mobbing se è dimostrato che vi è una
ragionevole e alternativa spiegazione (Cons.
Stato, Sez. IV, 07.04.2010, n. 1991; Cons.
Stato, Sez. VI, 06.05.2008, n. 2015) (TAR
Puglia-Bari, Sez. I,
sentenza 31.03.2011 n. 528 - link
a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
INQUINAMENTO ELETTROMAGNETICO -
Installazione di stazioni radio per
telefonia mobile - Valutazione di impatto
ambientale - Art. 2-bis d.l. n. 115/1997 -
Verifica dei limiti di esposizione.
L’art. 2-bis d.l. 115/1997, nella parte in
cui subordina alle opportune procedure di
valutazione di impatto ambientale
l’installazione di stazioni radio per
telefonia mobile, non ha inteso richiamare
la v.i.a. quale istituto previsto dall'art.
6 l. 08.07.1986 n. 349 ma solo rinviare ad
una futura normativa, poi introdotta con
l’art. 1, comma 6, lett. a), L. 31.07.1997
n. 249 e con il d.l. 10.09.1998 n. 381, che
hanno stabilito i limiti di esposizione ai
campi elettromagnetici.
Con la conseguenza che dopo l’introduzione
della detta disciplina l’osservanza del
citato art. 2-bis si concreta nella verifica
dei detti limiti, demandata agli uffici
competenti in sede di accertamento
preventivo sulla compatibilità degli
impianti con le norme in vigore, anche
perché la citata l. n. 249 del 1997 ha
chiarito che l’installazione degli impianti
di telefonia mobile è soggetta alla verifica
del rispetto dei tetti di radiofrequenza
compatibili con la salute umana, senza alcun
riferimento a procedure di v.i.a. (Cons.
St., sez. VI, 12.07.2007, n. 3938; Tar
Bologna, sez. II, 06.12.2001, 1186; Cos.
St., sez. VI, 10.07.2001, n. 3923).
INQUINAMENTO
ELETTROMAGNETICO - Impianti di telefonia
mobile - Strutture edilizie soggette a
previa autorizzazione - Assoggettamento a
vincoli di inedificabilità - L.r. Puglia n.
30/1990 - Territorio coperti da boschi e
fasce contermini di 100 metri -
Inedificabilità assoluta.
La l.r. Puglia n. 30/1990 individua,
all’art. 1, le aree soggette a divieto di
modificazione, tra cui sono inserite i
territori coperti da boschi o macchia
mediterranea e le fasce contermini di 100
metri.
La giurisprudenza è costante nel ritenere
che la realizzazione di impianti di
telefonia mobile è soggetta, sotto il
profilo urbanistico, ai principi di
carattere generale, nel senso che i tralicci
e le antenne di rilevanti dimensioni sono
pur sempre strutture edilizie soggette a
previa autorizzazione e comunque non possono
essere realizzati in zone di rispetto o
soggette, per altre cause, a vincoli
assoluti di inedificabilità (cfr. Tar
Napoli, 05.06.2009, 23094; Cons. St.,
21.04.2008, n. 1767; Tar Torino, 09.10.2008,
n. 2538).
Pertanto, deve ritenersi illegittimo il
provvedimento di autorizzazione perché
l’opera ricade sul limitare di una vasta
pineta a 4-5 mt. dagli alberi, e quindi in
una zona in cui vige il vincolo assoluto
(TAR Puglia-Lecce, Sez. I,
sentenza 28.03.2011 n. 584 - link
a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
BENI CULTURALI E AMBIENTALI -
Vincolo paesaggistico - Autorizzazione -
Diniego - Motivazione succinta -
Legittimità.
In tema di diniego di autorizzazione
paesaggistica, è legittima una motivazione
anche succinta, in quanto l’onere
motivazionale può essere assolto mediante
l’individuazione, nell’opera abusiva, di
caratteristiche che ne impediscono il
corretto inserimento nella zona tutelata
(Tar Toscana, III, 27/11/2006, n. 6052; Tar
Campania, Napoli, VI, 04/08/2008, n. 9718).
BENI CULTURALI E
AMBIENTALI - Vincolo paesaggistico -
Autorizzazione - Diniego - Obbligo di
indicare le prescrizioni idonee a rendere
l’intervento compatibile con il paesaggio -
Insussistenza.
Il legislatore non impone all’Ente pubblico
l’obbligo di indicare le prescrizioni tese a
rendere l’intervento compatibile con il
paesaggio tutelato (Tar Toscana, III,
27/11/2006, n. 6052; Tar Campania, Napoli,
IV, 13/06/2007, n. 6142).
Non sussiste cioè a carico del Comune
l’obbligo di proporre misure idonee ad
assicurare un corretto inserimento
dell’abuso edilizio nel contesto
paesaggistico di riferimento, dovendo
l’autorità adita limitarsi a valutare
l’opera così come è, ed essendo semmai
compito del privato interessato proporre con
l’istanza di condono misure funzionali a
ridimensionare l’impatto visivo dell’opera
stessa (TAR Toscana, Sez. III,
sentenza 25.03.2011 n. 535 - link
a www.ambientediritto.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Procedimento amministrativo -
Conferenza di servizi - Scopi di
semplificazione e accelerazione -
Manifestazione in forma tacita o non
contestuale della volontà di ciascun ente -
Legittimità.
La conferenza di servizi non ha natura di
organo collegiale che funziona secondo il
metodo deliberativo della discussione e
deliberazione, ma è essenzialmente un luogo
per l’acquisizione dell’assenso delle
Amministrazioni o degli organi coinvolti
nell’istruttoria interessati ad un
procedimento (cfr. Cons. Stato, sez. IV,
11.04.2007 n. 1644).
Essa dunque opera con scopi di
semplificazione ed accelerazione dell’azione
amministrativa, mirando all’acquisizione in
un contesto unitario di tutte le valutazioni
e pareri necessari per l’adozione di un
determinato provvedimento (cfr. Cons. Stato,
sez. VI, 18.04.2005 n. 1768).
Conseguentemente, la volontà di ciascun ente
ben può essere manifestata anche in forma
tacita ovvero non contestuale: da ciò deriva
la piena legittimità dell’espressione della
volontà di un’Amministrazione attraverso la
trasmissione del proprio avviso positivo (o
atto di assenso) determinatosi al di fuori
della conferenza di servizi (cfr. Cons.
Stato, sez. IV, 11.02.2004 n. 458; Id., sez.
IV, 30.01.2004 n. 316) (TAR Puglia-Bari,
Sez. I,
sentenza 24.03.2011 n. 478 - link
a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
BENI CULTURALI E AMBIENTALI -
Vincolo paesaggistico - Potere di
annullamento della Soprintendenza - Limiti -
Fattispecie.
La Soprintendenza è titolare di un potere di
annullamento strettamente correlato alla
verifica del rispetto delle prescrizioni di
tutela del paesaggio, ma non può dilatarne
l’esercizio al punto da ingerirsi in aspetti
procedurali che esulano dalle sue competenze
(nella fattispecie, il Giudice ha
ritenuto spettante alla Regione Puglia e non
alla Soprintendenza la conduzione del
procedimento preordinato al rilascio
dell’autorizzazione unica, ai sensi
dell’art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003, per
la costruzione ed esercizio di impianti
eolici) (TAR Puglia-Bari, Sez. I,
sentenza 24.03.2011 n. 478 - link
a www.ambientediritto.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
RIFIUTI - Attività di raccolta,
trasporto e conferimento - Smaltimento
finale - Operazioni autonome - Affidamento
del servizio - Fase dello smaltimento -
Soggetto diverso rispetto a chi svolge le
fasi antecedenti - Ricorrenza del subappalto
o dell’avvalimento - Esclusione.
La vigente normativa sui rifiuti non postula
un legame necessario ed inscindibile fra
attività di raccolta, trasporto e
conferimento di rifiuti e loro smaltimento
finale, ben potendo le distinte fasi del
complessivo servizio essere svolte da
imprese diverse. Ciò perché, in primo luogo
si tratta di operazioni del tutto autonome
fra loro, ed in secondo luogo perché non è
pensabile (a causa della carenza di un
sufficiente numero di aree idonee) imporre a
ciascuna impresa operante nel settore di
possedere una propria autonoma discarica o
un proprio impianto di smaltimento finale.
Pertanto, il servizio di raccolta, trasporto
e conferimento dei rifiuti presuppone quasi
di necessità che l’operazione finale (lo
smaltimento) sia appannaggio di un soggetto
diverso rispetto a quello che svolge le fasi
antecedenti. Ne consegue che in relazione ad
affidamenti di siffatti servizi non è a
parlarsi, per la fase dello smaltimento , di
subappalto (che peraltro è un istituto di
generale applicazione, ai sensi della
normativa comunitaria) e, a rigore, neppure
di avvalimento in senso stretto, visto che
anche l’avvalimento presuppone che i mezzi
dell’impresa terza vengono utilizzati per
svolgere una fase dell’appalto, poiché il
risultato che l’Amministrazione persegue è
semplicemente quello di essere certa che lo
smaltimento finale dei rifiuti avvenga
secundum legem (in questo senso, si veda
TAR Puglia, Lecce, sez. II, 24.11.2006 n.
5467; TAR Toscana, sez. II, 23.01.2009 n.
87) (TAR Puglia-Bari, Sez. I,
sentenza 24.03.2011 n. 474 - link
a www.ambientediritto.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
DIRITTO DELLE ACQUE - Acque di
falda derivanti da attività di cantiere non
contaminate - Assimilazione ai rifiuti -
Esclusione - Mancanza della prescritta
autorizzazione - Effetti - Fattispecie -
Art. 124 D. L.vo n. 152/2006.
Le acque provenienti dalla falda derivanti
da attività di cantiere non possono essere
assimilate ai rifiuti, ma escluse -sempre
che non contengano contaminazioni- da
qualsivoglia regime sanzionatorio e la
mancanza dell'autorizzazione comunque
prescritta a norma dell'art. 124 del D.L.vo
n. 152/2006 non implica affatto
l'assoggettamento a sanzione penale.
Fattispecie: acque di falda derivanti da
attività di escavazione provenienti da un
cantiere edile e convogliate per mezzo di
apposita condotta in mare.
DIRITTO DELLE ACQUE -
Scarico di acque reflue industriali -
Sanzione penale - Ratio - Acqua di falda
proveniente dall'attività di escavazione -
Artt. 137 e 74, c. 1, lett. g), D.L.vo n.
152/2006 - Concetto di acque reflue
industriali.
La ragione dell'assoggettamento a sanzione
penale dello scarico di acque reflue
industriali è legata al fatto che i reflui
derivanti da dette attività non attengono
prevalentemente al metabolismo umano ed alle
attività domestiche come definite dal
menzionato art. 74, comma 1, lett. g),
(Cass. Sez. 3^ 5.2.2009 n. 12865).
Tuttavia, l'acqua di falda proveniente
dall'attività di escavazione non può essere
assimilata tout court all'acqua
reflua industriale, pur dovendosi richiedere
-anche per tale genere di acqua se scaricata
in superficie- una autorizzazione la cui
mancanza, però, non genera conseguenze di
tipo penale previste invece in tutti i casi
nei quali lo scarico dell'acqua in
superficie provenga da attività produttive
genericamente intese.
Infine, laddove, le acque di falda
provenenti da lavori di escavazione siano
intorbidate da residui dei lavori di scavo e
di cantiere, esse vanno annoverate nella
nozione di acque derivanti dallo svolgimento
di attività produttive non assimilabili,
quindi, alle acque reflue domestiche,
sottratte al regime sanzionatorio previsto
dall'art. 137 del D.L.vo n. 152/2006 (Cass.
Sez. 3^ 21.06.2006 n. 29126) (Corte di
Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 22.03.2011 n. 11494 -
link a www.ambientediritto.it). |
APPALTI:
Cessione d’azienda antecedente
alla partecipazione alla gara - Requisiti
soggettivi della cedente - Art. 51 codice
appalti - Dichiarazione - Obbligo -
Esclusione - Fondamento.
Manca nel Codice appalti una norma, con
effetto preclusivo, che preveda in caso di
cessione d’azienda antecedente alla
partecipazione alla gara un obbligo
specifico di dichiarazioni in ordine ai
requisiti soggettivi della cedente riferita
sia agli amministratori e direttori tecnici
in quanto l’art. 51 del Codice si occupa
della sola ipotesi di cessione del ramo di
azienda successiva alla aggiudicazione della
gara; ne discende che in assenza di tale
norma e siccome la cessione di azienda
comporta non una successione a titolo
universale del cessionario al cedente bensì
invece una successione nelle posizioni
attive e passive relative all’azienda tra
soggetti che conservano distinta personalità
giuridica, non può essere esclusa l’impresa
cessionaria del ramo d’azienda che non abbia
presentato le relative dichiarazioni in
ordine alla posizione della cedente.
(Consiglio di Stato, Sez. V, 21.05.2010 n.
3213).
Clausole di esclusione -
Estensione analogica - Divieto.
Essendo le clausole di esclusione di stretta
interpretazione, resta conseguentemente
preclusa ogni forma di estensione analogica
diretta a evidenziare significati impliciti
che rischierebbe di vulnerare l'affidamento
dei partecipanti, il principio della par
condicio dei concorrenti e l'esigenza della
più ampia partecipazione (cfr. Cons. St., V
sez., 15.11.2010 n. 8044).
Riforma del diritto
societario - Fusione per incorporazione -
Art. 2505-bis c.c. - Estinzione della
società incorporata - Esclusione.
A seguito della riforma del diritto
societario (DLgs 17.01.2003 n. 6), la
fusione per incorporazione, ai sensi del
nuovo art. 2505-bis c.c., non comporta
l’estinzione della società incorporata, né
crea un nuovo soggetto di diritto
nell’ipotesi di fusione paritaria, ma attua
l’unificazione mediante l’integrazione
reciproca delle società partecipanti alla
fusione, risolvendosi in una vicenda
meramente evolutivo- modificativa dello
stesso soggetto giuridico, che conserva la
propria identità pur in un nuovo assetto
organizzativo (confronta Cassazione SS.UU.
08.02.2006 n. 2637; Cass. Civ. III,
28.02.2007 n. 4661; I, 19.10.2006 n. 22489)
(TAR Veneto, Sez. I,
sentenza 21.03.2011 n. 456 - link
a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Fascia di rispetto autostradale -
Vincolo di inedificabilità assoluto - D.M.
01.04.1968 n. 1404.
Nell’ambito della fascia di rispetto
autostradale di 60 metri, prevista dal D.M.
01.04.1968 n. 1404, il vincolo di
inedificabilità è assoluto (conforme Cons.
Stato, Sez. V, 25.09.2002 n. 4927), essendo
a tal fine irrilevanti le caratteristiche
concrete delle opere abusive realizzate
nell’ambito della fascia medesima; il
divieto di costruire è infatti in questo
caso correlato alla esigenza di assicurare
un’area libera utilizzabile dal
concessionario dell’autostrada -all’occorrenza-
per installarvi cantieri, depositare
materiali e, comunque, per ogni necessità di
gestione relativa ad interventi in loco
sulla rete autostradale. (Tar Toscana, sez.
II, sentenza 25.06.2007, n. 934; Tar
Liguria, I, 05.07.2010, n. 5565; Cass. civ.,
II, 03.11.2010, n. 22422) (TAR
Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 21.03.2011 n. 450 - link
a www.ambientediritto.it). |
APPALTI:
Comunicazioni ex art. 79 d.lgs.
n. 163/2006, c. 5 - Forma.
Ai sensi dell’art. 79 del D.L.vo 163 del
2006, comma 5-bis (introdotto per effetto
dell’art. 2 dello stesso D.L.vo 53 del
2010), le comunicazioni di cui al comma 5
-aggiudicazione definitiva, esclusione dalla
gara, decisione di non aggiudicare un
appalto o di non concludere un
accordo-quadro, data dell’avvenuta
stipulazione del contratto con
l’aggiudicatario- sono fatte per iscritto,
con lettera raccomandata con avviso di
ricevimento o mediante notificazione o
mediante posta elettronica certificata
ovvero mediante fax, se l’utilizzo di
quest'ultimo mezzo è espressamente
autorizzato dal concorrente (TAR Veneto,
Sez. I,
sentenza 11.03.2011 n. 403
- link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Condono edilizio e
oblazione, il dies a quo della prescrizione.
Necessario il completamento della pratica.
Il termine per la prescrizione
dell'oblazione dovuta in relazione
all'istanza di condono edilizio non può che
iniziare dal momento del completamento della
documentazione necessaria.
Relativamente
alle opere eseguite su immobili sottoposti a
vincolo -per le quali è condizione
essenziale il parere favorevole delle
amministrazioni preposte alla tutela del
vincolo stesso- l'art. 35, comma 19, L. n.
47 del 1985 dispone espressamente che il
termine di cui al comma 12 del medesimo
articolo decorre dall'emissione del parere
previsto dal comma dell'art. 32 della
medesima legge.
La specifica disposizione si ricollega al
principio generale desumibile dall'art. 2935
c.c. secondo cui la prescrizione non può
decorrere se non dal giorno in cui il
diritto può essere fatto valere (a sua volta
espressione dell'antico brocardo per cui
contra non valentem agere non currit
praescriptio).
La decorrenza del termine di prescrizione
presuppone -tanto in favore della PA per
l'eventuale conguaglio, quanto in favore del
privato per l'eventuale rimborso- che la
pratica di sanatoria edilizia sia definita
in tutti i suoi aspetti e, per l'effetto,
possano essere precisamente determinabili,
alla stregua dei parametri stabiliti dalla
legge, l'an ed il quantum dell'obbligazione
gravante sul privato.
Il dies a quo per la definizione del
conguaglio dell'oblazione dovuta in caso di
condono edilizio, dunque, non può che
decorrere dal momento in cui sono
esattamente noti tutti gli elementi utili
alla determinazione della sua entità.
Tale momento non può mai coincidere con la
presentazione della domanda, la quale, nel
caso in esame, è sfornita della
documentazione richiesta ai fini della
corretta e definitiva determinazione
dell'entità dell'intervento assentito e
della relativa sanzione (commento tratto da
www.ipsoa.it - Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 16.02.2011
n. 1012 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
AGGIORNAMENTO AL 04.04.2011 |
ã |
UTILITA' |
SICUREZZA LAVORO:
Testo Unico sulla Sicurezza: ecco la
versione aggiornata a marzo 2011.
É stato pubblicato sul sito del Ministero
del Lavoro e delle Politiche Sociali, nella
sezione sicurezza sul lavoro, il testo del
Decreto Legislativo 81/2008 coordinato e
aggiornato a marzo 2011.
In particolare, vengono aggiornati:
- art. 3 - comma 3 (inserite le proroghe dei
termini previste dall’art. 2 comma 51 della
Legge 26.02.2011 n. 10);
- art. 3 - comma 3-bis (inserite le proroghe
dei termini previste dall’art. 1 della Legge
26.02.2011 n. 10);
- ALLEGATO 36 - (lettera B, tabella 2:
ripristinati i caratteri apice e pedice
delle note) (link a www.acca.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Rinnovabili: in vigore il D.Lgs. 03.03.2011,
n. 28.
Il 29.03.2011 è entrato in vigore il Decreto
Legislativo 03.03.2011, n. 28 - “Attuazione
della direttiva 2009/28/CE sulla promozione
dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili,
recante modifica e successiva abrogazione
delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE”.
Il provvedimento, in attuazione della
direttiva 2009/28/CE e nel rispetto dei
criteri stabiliti dalla legge 04.03.2010 n.
96, definisce strumenti, meccanismi,
incentivi e quadro istituzionale,
finanziario e giuridico, necessari per il
raggiungimento degli obiettivi fino al 2020
in materia di energia da fonti rinnovabili.
Per l'analisi dei contenuti del Decreto
rinviamo alla news del 10.03.2011.
Ricordiamo, brevemente, gli argomenti
principali regolamentati dal Decreto
Rinnovabili: ... (link a www.acca.it). |
APPALTI:
“DURC per subappalto”, possibilità di
delegare la Cassa Edile per la richiesta
mensile.
Le imprese subappaltatrici possono delegare
la cassa edile a richiedere il DURC
(Documento unico di regolarità contributiva)
mensilmente, per un determinato periodo di
tempo, per lavori privati e ad inviarlo
all'impresa appaltatrice attraverso la
P.E.C. (Posta Elettronica Certificata).
La Commissione Nazionale paritetica per le
Casse Edili (CNCE) spiega, attraverso una
comunicazione pubblicata sul proprio sito,
di aver ricevuto numerose segnalazioni da
parte di Casse Edili in merito a richieste,
avanzate da imprese che affidano lavori in
subappalto, in particolare nell'edilizia
privata, di poter accedere direttamente ai
DURC relativi alle proprie imprese
subappaltatrici
Tali richieste, non accettabili per evidenti
violazioni di privacy, vengono motivate con
la necessità -anche in relazione alla
responsabilità solidale dell'impresa
appaltatrice- di controllare mensilmente la
regolarità dell'impresa subappaltatrice ed
evitare possibili contraffazioni del
documento. Tali obiettivi oggi non sono
perseguibili attraverso un DURC con validità
trimestrale e rilasciato esclusivamente
all'impresa richiedente. Inoltre, la prassi
che si va diffondendo, cioè quella di
richiedere un DURC ogni mese anche in caso
di lavori privati, richiede alle stesse
imprese subappaltatrici un ulteriore impiego
di tempo e di risorse.
Per rispondere a queste problematiche, il
Consiglio di Amministrazione della CNCE ha
deciso di offrire la possibilità alle
imprese subappaltatrici, attraverso uno
specifico modulo, di delegare la Cassa
Edile, per un determinato periodo, a
richiedere mensilmente il DURC per lavori
privati e ad inviarne copia, per conoscenza,
all'indirizzo di posta elettronica
certificata dell'impresa appaltatrice.
In allegato a questo articolo un fac-simile
della richiesta da inoltrare alla Cassa
Edile (link a www.acca.it). |
SICUREZZA LAVORO:
Formazione, informazione e addestramento:
adempimenti del datore di lavoro. Dal CPT di
Bergamo un “numero speciale”.
Il CPT di Bergamo ha pubblicato uno speciale
dedicato alla formazione in materia di
sicurezza sul lavoro.
Scopo della pubblicazione è “fare
chiarezza” su un tema fondamentale come
quello della formazione nell’ambito della
prevenzione aiutando imprese, lavoratori e
tecnici a destreggiarsi più agevolmente tra
i diversi adempimenti previsti dalla norma.
“Formazione, programmazione,
informazione, validazione, addestramento,
collaborazione…” Molto spesso si sentono
questi termini ma non sempre è chiara la
differenza tra i diversi obblighi.
La pubblicazione inizia proprio con le
differenze tra informazione, formazione e
addestramento. ... (link a www.acca.it). |
SICUREZZA LAVORO:
Indicazioni operative per la FORMAZIONE dei
lavoratori impiegati nei cantieri di grandi
opere.
Il Tavolo Provinciale per la sicurezza nei
cantieri della Variante di Valico, in
collaborazione con la Provincia di Bologna,
della Regione Emilia Romagna e dell’Azienda
USL di Bologna, ha pubblicato un manuale
operativo sulla formazione dei lavoratori
impegnati nella variante autostradale di
valico e nelle grandi opere.
Scopo del manuale è quello di fornire
indicazioni operative per formare in maniera
adeguata ed efficiente tutti i lavoratori
coinvolti nei cantieri, al fine di
raggiungere elevati livelli di sicurezza e
prevenzione.
L'organizzazione dei grandi cantieri vede la
presenza e l’interazione continua di varie
figure, sia per le tante tipologie di
lavorazioni, sia per le diverse imprese
coinvolte. L’analisi svolta in un sistema
complesso diviene dunque un punto di
riferimento per l’organizzazione della
formazione in qualsiasi tipologia di
cantiere.
Bisogna quindi porre molta attenzione anche
verso aspetti estremamente pratici, come per
esempio la valutazione delle conoscenze
linguistiche dei lavoratori, in particolare
di quelli stranieri, o il tutoraggio dei
nuovi assunti.
Il testo sottolinea la necessità di puntare
su una formazione specifica anche per i
dirigenti, in maniera da mettere a loro
disposizione competenze ulteriori per una
gestione più efficace del loro ruolo sui
temi della sicurezza.
Il lavoro risulta così strutturato: ...
(link a www.acca.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Procedimento automatico, SCIA e prevenzione
incendi. In vigore le nuove procedure dal
29.03.2011.
Il D.P.R. del 07.09.2010, n. 160 definisce
il “Nuovo Regolamento per la
semplificazione ed il riordino della
disciplina sullo Sportello Unico per le
Attività Produttive (SUAP)” e
sostituisce il DPR n. 447 del 1998 entrando
in vigore in momenti diversi:
- il 29.03.2011 per i capi l, II, III, V e
VI;
- il 30.09.2011 per il capo IV.
Il nuovo Regolamento stabilisce che i Comuni
devono esercitare le funzioni amministrative
in materia di insediamenti produttivi,
affidando l’intero procedimento ad un’unica
struttura, il SUAP, alla quale gli
interessati si rivolgono per
l'autorizzazione finalizzata alla
realizzazione, ristrutturazione e
ampliamento di impianti produttivi di beni e
servizi.
I Comandi dei VV.F., come tutte le
amministrazioni pubbliche diverse dal Comune
che sono interessate dal procedimento, non
possono trasmettere al richiedente nessun
tipo di atto o comunicazione e sono tenute a
trasmettere tutto al SUAP dandone
comunicazione al richiedente.
Il regolamento è stato strutturato sulla
distinzione tra due procedimenti:
1- Procedimento Automatizzato: fondato sulla
SCIA, che entra in vigore il 29.03.2011;
2- Procedimento Ordinario: riguardante gli
atti e i procedimenti ai quali non è
applicabile la SCIA, che entra in vigore il
30.09.2011.
Il Dipartimento dei Vigili del Fuoco ha
ritenuto opportuno emanare la Circolare n.
3791 del 24.03.2011 contenente le modalità
applicative per il Procedimento
Automatizzato.
Dal 29.03.2011 gli interventi relativi a
realizzazione e modifica di impianti
produttivi di beni e servizi e ad attività
di impresa soggetti a SCIA devono essere
presentati al SUAP, esclusivamente per via
telematica e con gli standard previsti dal
DPR 160/2010.
La Circolare individua le attività soggette
al controllo dei Vigili del Fuoco di cui al
D.M. 16/02/1982, per le quali è consentito
il Procedimento Automatizzato (la SCIA). Per
gli interventi di prevenzione incendi non
soggetti a SCIA, che presuppongono un
giudizio tecnico-discrezionale dell’organo
di controllo (ad esempio attività non
normate, attività particolarmente complesse,
procedure secondo l’approccio
ingegneristico, deroghe), continuano ad
utilizzarsi in via transitoria le
disposizioni del D.P.R. 447/1998 e s.m.i.,
sino all’entrata in vigore del Procedimento
Ordinario di cui al Capo IV del regolamento
SUAP, ossia il 30.09.2011.
Relativamente al Procedimento Automatizzato,
il SUAP, al momento della presentazione
della SCIA, dovrà verificare con modalità
informatica la completezza formale della
segnalazione e dei relativi allegati e, in
caso di verifica positiva, rilasciare
automaticamente la ricevuta che autorizza
l’impresa ad iniziare l’attività. Inoltre il
SUAP trasmetterà, sempre per via telematica,
la segnalazione e i relativi allegati alle
Amministrazioni e agli uffici competenti,
quindi anche ai Comandi Provinciali.
Gli standard relativi ai formati dei file,
allegati alle domande di prevenzione incendi
prodotte digitalmente, sono pubblicati nel
sito internet istituzionale dei Vigili del
Fuoco, nella sezione prevenzione incendi
on-line; le estensioni ammesse dei file da
allegare sono:
- JPG;
- PDF;
- DWF.
Le domande di prevenzione incendi redatte in
forma digitale devono pervenire ai Comandi
attraverso il portale “impresainungiorno.gov.it”,
oppure attraverso la PEC del SUAP (link a
www.acca.it). |
NOTE,
CIRCOLARI E COMUNICATI |
EDILIZIA PRIVATA: Da
oggi nuove regole su certificazione
energetica per compravendite e locazioni
(Confedilizia,
nota 29.03.2011 n. 15078 di prot.). |
APPALTI:
OGGETTO: DURC Aggiornamento del servizio
“sportellounicoprevidenziale.it”.
Regolamento attuativo del Codice dei
Contratti Pubblici (circolare
28.03.2011 n. 59 - link a
www.inps.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
OGGETTO: Prevenzione on-line. Domande di
Prevenzione Incendi in forma digitale (SUAP).
Acquisizione di documenti allegati alle
domande di prevenzione
(Ministero dell'Interno, Dipartimento dei
Vigili del Fuoco del Soccorso Pubblico e
della Difesa civile,
nota 21.03.2011 n. 7227 di prot.). |
SINDACATI |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO:
Il finanziamento delle risorse
previste da specifiche disposizioni di legge
(CGIL-FP di Bergamo,
nota 29.03.2011). |
DOTTRINA E
CONTRIBUTI |
ATTI AMMINISTRATIVI:
M. A. Sandulli,
Il risarcimento del danno nei confronti
delle pubbliche Amministrazioni: tra
soluzione di vecchi problemi e nascita di
nuove questioni (brevi note a
margine di Cons. Stato, ad plen. 23.03.2011
n. 3, in tema di autonomia dell’azione
risarcitoria e di Cass. SS. UU., 23.03.2011
nn. 6594, 6595 e 6596, sulla giurisdizione
ordinaria sulle azioni per il risarcimento
del danno conseguente all’annullamento di
atti favorevoli) (link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
P. Carpentieri,
Sorte del contratto (nel nuovo rito sugli
appalti) (link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: L.
Bellagamba,
La circolare INAIL n. 22 del 24.03.2011 sul
DURC: aspetti particolari (link a www.linobellagamba.it). |
APPALTI:
A. Barbiero, Tracciabilità
dei flussi finanziari relativi agli appalti
ed ai finanziamenti pubblici (tratto
da www.albertobarbiero.net). |
APPALTI:
A. Barbiero, Condizioni
e presupposti per la qualificazione delle
società partecipate di terzo livello come
organismi di diritto pubblico (tratto
da www.albertobarbiero.net). |
APPALTI:
A. Barbiero, Le
problematiche inerenti l’assoggettamento
delle Società partecipate al patto di
stabilità in rapporto al reclutamento di
risorse umane (tratto
da www.albertobarbiero.net). |
EDILIZIA PRIVATA: M.
Bottone,
Il nuovo territorio mediterraneo - La
Regione Campania è un'isola (marzo
2011). |
ENTI LOCALI:
C. D'Andrea,
Il divieto di sponsorizzazioni di cui
all’art. 6, comma 9, della L. 122/2010 negli
Enti locali (link a
www.amministrazioneincammino.luiss.it). |
CORTE DEI
CONTI |
CONSIGLIERI COMUNALI: Consiglieri
responsabili solo oltre il tetto ai gettoni.
Tutto regolare se i compensi percepiti
restano sotto il massimo. Corte dei conti.
Prosciolti alcuni amministratori del IV
municipio di Roma.
I consiglieri possono
essere condannati dalla magistratura
contabile solo nel caso in cui le
irregolarità commesse nella percezione dei
gettoni di presenza per le riunioni delle
commissioni abbiano determinato il
superamento del tetto massimo mensile dei
compensi che essi possono percepire. Se
invece i gettoni per il numero delle
riunioni svolte superavano tale tetto, le
irregolarità si considerano sostanzialmente
sanate dal fatto che i compensi sono stati
erogati entro il tetto massimo previsto
dalla disposizione legislativa.
Sono queste le principali indicazioni che
sono contenute nella
sentenza 31.01.2011 n. 108 della
III Sez. giurisdizionale centrale della
Corte dei conti, con cui è stato confermato
il proscioglimento di numerosi consiglieri
del quarto municipio del comune di Roma per
avere percepito nel 2003 gettoni di presenza
per le riunioni di commissioni del consiglio
municipale con modalità di svolgimento
anomale.
Nel caso concreto le indagine svolte dalla
Guardia di finanza hanno evidenziato che
nello svolgimento delle riunioni si
verificavano numerose anomalie e violazioni
di disposizioni di legge. Ad esempio, la
maggior parte dei verbali non sono stati ...
(articolo
Il Sole 24 Ore del 28.02.2011 -
tratto da www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Personale.
Trattamenti accessori. Anche i proventi
delle multe nel blocco salariale.
Rientrano nel blocco del
salario accessorio del Dl 78/2010 le
attività finanziate con i proventi del
codice della strada.
La Corte dei conti del Piemonte con il
parere 28.01.2011 n. 5 precisa
che tale analisi risulta coerente con la
manovra estiva.
L'articolo 9, comma 2-bis, ha infatti
introdotto l'obbligo di contenere il
trattamento accessorio complessivo dei
dipendenti nel limite di quello del 2010 nel
triennio 2011-2013. Gli operatori degli enti
locali si sono domandati a quali voci di
stipendio si dovesse fare riferimento.
Ed è proprio in tale ambito che si collocala
questione presentata ai giudici piemontesi.
Se infatti anche i proventi del Codice della
strada utilizzati per il potenziamento dei
servizi scontassero il blocco salariale,
rischierebbe di essere vana la modifica
all'articolo 208 del Codice della strada con
la legge 120/2010. Non vi è dubbio che tali
somme debbano transitare dal fondo delle
risorse decentrate.
La Corte dei conti della Lombardia, prima ad
affrontare la questione, ha ritenuto che si
debba fare riferimento alle possibilità di
incremento fornite dall'articolo 15, comma
5, del Ccnl dell'01.04.1999.
Tale analisi è stata confermata dalla Corte
dei conti del Veneto (delibera 25/2011) che
ha precisato che detti compensi non possono
essere esclusi dalle «spese di personale»
e sono subordinati alla individuazione delle
forme organizzative più idonee per
raggiungere le finalità di legge, senza
incentivazioni generalizzate e nel rispetto
dei limiti di fonte legale e contrattuale ai
trattamenti accessori.
L'interpretazione toglie speranza a chi
pensava che la modifica al Codice della
strada fosse finalizzata a far rientrare le
attività di potenziamento dei servizi di
polizia locale tra le «specifiche
disposizioni di legge» di cui alla
lettera k) dell'articolo 15 del Ccnl. In
tale ambito sono collocati gli incentivi per
le progettazioni interne e i compensi per le
attività di maggiore accertamento degli
introiti Ici. Poiché la sezione autonomie
della Corte ha escluso tali voci dalle spese
di personale, l'analogia con i proventi
delle multe sarebbe stata immediata e gli
enti avrebbero avuto il via libera.
Ma non è così. Anzi, alla luce della
delibera 5/2001, non si porrà neppure sforare
il tetto del salario accessorio. Non è
neppure così pacifico ...
(articolo
Il Sole 24 Ore
del 28.02.2011 - tratto da www.corteconti.it). |
APPALTI: Lavori
pubblici, la giunta non salva il dirigente.
Aggiudicazioni. Gli atti dell'esecutivo non
sono un'esimente in caso di lesione della
concorrenza.
Matura responsabilità
contabile a carico del responsabile dei
lavori pubblici che non rispetta nelle
procedure di aggiudicazione il principio
della tutela della concorrenza. In tal caso
egli arreca un duplice danno: priva l'ente
dei risparmi che possono derivare dal
rispetto di tale principio e arreca un
nocumento ai privati. E non costituisce
esimente dal maturare della responsabilità
né ragione di riduzione il fatto che abbia
seguito direttive impartite dalla giunta.
Questi i principi affermati dalla
sentenza 20.01.2011 n. 23 della
sezione giurisdizionale dell'Abruzzo della
Corte dei conti.
La sentenza evidenzia subito che «i
valori dell'economicità, dell'efficacia e
dell'efficienza dell'attività amministrativa
rappresentano ormai i profili di maggior
rilievo della legalità sostanziale del
sistema giuscontabile e, in relazione ad
essi, non è più consentito omettere un
minimo di confronto concorrenziale per
qualsiasi procedura contrattuale ad oggetto
pubblico».
E ancora, «simile confronto è ancor più
necessario oggi che i basilari principi in
materia di concorrenza e libera prestazione
dei servizi, di cui agli articoli 81 e
seguenti e 49 e seguenti del Trattato Ce, si
impongono al rispetto degli Stati membri,
indipendentemente dall'ammontare delle
commesse pubbliche».
Circa il danno provocato all'ente ... (articolo
Il Sole 24 Ore 28.02.2011 - tratto da www.corteconti.it). |
NEWS |
CONSIGLIERI COMUNALI: L'amministratore
locale tutto sa. La privacy di imprese e
cittadini non ostacola la raccolta dati.
Porte aperte, anzi
spalancate, al consigliere comunale,
provinciale e regionale. Il politico può
sapere tutto, senza privacy che tenga, su
cittadini e imprese. Purché autodichiari che
le notizie siano utili al mandato. E può
sapere tutto sia dei cittadini sia delle
imprese, ottenendo informazioni anche dalle
società partecipate o dagli enti collegati o
dipendenti dell'ente di cui fanno parte. Lo
spazio d'azione per il politico è
tendenzialmente senza limiti e la
riservatezza non costituisce ostacolo.
Anche il garante della privacy lo ha dovuto
riconoscere, nella recente pronuncia sul
caso Affittopoli a Milano, e con esso da
tempo lo ha appurato anche il Consiglio di
stato. Tanto che cittadini e imprese,
pressati da un lato dalla magistratura (con
le intercettazioni) e dall'altro dalla
politica (che pub arrivare a sapere tutto),
non hanno effettivi scudi.
I consiglieri degli enti locali hanno dalla
loro parte l'articolo 43 del Testo unico
degli enti locali (dlgs 267/2000) che
concede loro di ottenere qualsiasi documento
o informazione in possesso dell'ente locale
cui appartengono, purché sia funzionale al
mandato istituzionale. Il consigliere può
ottenere, dunque, qualsiasi informazione
senza obbligo di motivare specificamente e
senza che gli uffici dell'amministrazione
interessata possano sollevare obiezioni.
La giurisprudenza amministrativa è molto di
manica larga. Facendo alcuni esempi tratti
dalla prassi quotidiana, il consigliere pub
sapere se il cittadino ha pagato l'Ici o la
raccolta rifiuti o se ha avuto un incidente
stradale o se ha un banco ambulante al
mercato rionale o se ha subito una multa per
eccesso di velocità, e così via. ...
(articolo
ItaliaOggi del 28.02.2011 -
tratto da www.corteconti.it). |
GIURISPRUDENZA |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Non sussiste la giurisdizione del g.a. se
l'amministrazione è rimasta inerte rispetto
a pretese aventi natura di diritto
soggettivo.
Gli strumenti di tutela del privato nei
confronti dell’inerzia dell’amministrazione
presuppongono che il procedimento non
concluso e il provvedimento o l’atto di cui
si chiede l’emanazione ricadano nella
cognizione del giudice amministrativo (cfr.,
per applicazioni del principio predetto, fra
molte: TAR Sicilia-Catania, II, 07.12.2010, n. 4621; Idem,
07.12.2010, n. 4696; TAR Lazio-Roma, I, 01.12.2010, n. 34860; con riferimento ad
una prestazione patrimoniale v. TAR
Calabria-Catanzaro, II, 05.11.2010,
n. 2661) Contra: Sentenza del Tar Catania
3981/2010 (massima tratta da
www.dirittodegliappaltipubblici.it -
TAR Sicilia-Catania, Sez. IV,
sentenza 30.03.2011 n. 794
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Non può essere esclusa dalla gara l'impresa
che ometta di indicare specificatamente le
cause di esclusione di cui all'art. 75, ove
il prestampato predisposto
dall'amministrazione abbia indotto in errore
il concorrente.
La lex specialis complessivamente
considerata (da un lato contenente una
clausola di esclusione, dall’altro integrata
con fac-simile atto a ingenerare nel
concorrente la convinzione di redigere una
dichiarazione completa e conforme a legge)
va ritenuta ambigua, e pertanto sarebbe
illegittima l’automatica esclusione del
candidato che, facendo affidamento sulle
formulazioni del prestampato, a causa di ciò
abbia omesso una dichiarazione;
l’amministrazione può sempre, in tali casi,
richiedere di integrare le parti mancanti
della dichiarazione che, proprio a causa
della formulazione della lex specialis e del
fac-simile, sono state omesse.
Traslando
principi affermati in genere con riferimento
alle norme penali (cfr., oltre alle
notissime sentenze della Corte
costituzionale 24.03.1988, n. 364 e 22.04.1992, n. 185: Cassazione penale, IV,
15.07.2010, n. 32069; Idem, VI, 20.05.2010,
n. 24600), può affermarsi che, se di regola
l’ignoranza della legge (quindi della esatta
portata, nel caso di specie, dell’art. 75 ,
comma 1, DPR n. 554/1999) non è scusabile,
deve tuttavia ritenersi che, laddove la
stessa amministrazione concorra a ingenerare
false convinzioni nel cittadino (nel caso di
specie, la convinzione di redigere una
dichiarazione corretta) le conseguenze
pregiudizievoli (nel caso in esame,
l’esclusione dalla gara), non possono
ricadere sul cittadino stesso (massima
tratta da
www.dirittodegliappaltipubblici.it -
TAR Sicilia-Catania, Sez. IV,
sentenza 30.03.2011 n. 792
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Sull'illegittimità
dell'aggiudicazione di una gara d'appalto ad
un ATI concorrente che non abbia indicato le
quote di partecipazione delle singole
imprese costituenti il raggruppamento.
E' illegittimo il provvedimento di
aggiudicazione di una gara adottato da
un'amministrazione appaltante nei confronti
di una costituenda ATI, che abbia omesso di
indicare le quote di partecipazione ai
lavori delle singole imprese componenti il
raggruppamento.
L'obbligo di indicare le quote di
partecipazione delle singole imprese facenti
parte di raggruppamenti temporanei
concorrenti, contenuto nel bando di gara,
risponde ad un ineludibile obbligo di legge,
comportando peraltro l'impegno a non
modificare la composizione della costituenda
ATI, in conformità ai requisiti indicati ed
eventualmente comprovati in sede di gara, e
ad eseguire i lavori nella percentuale
corrispondente alla quota dichiarata, ai
sensi dell'art. 93, c. 4, del D.P.R. n.
554/1999.
L'obbligo di indicare la percentuale dei
lavori da eseguire discende direttamente
dall'art. 37, c. 13, del d.lgs. n. 163/2006,
dovendo, per un verso, sussistere perfetta
corrispondenza tra quota dei lavori e quota
di effettiva partecipazione al
raggruppamento ed essendo pertanto
necessario che la quota di partecipazione
debba essere manifestata dai componenti del
raggruppamento all'atto della
partecipazione, essendo detta indicazione un
requisito indispensabile ai fini
dell'ammissione alla procedura d'appalto
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 29.03.2011 n. 1911 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI -
EDILIZIA PRIVATA: E'
illegittima un'ordinanza sindacale con la
quale viene ordinato l’innalzamento dei
camini per una serie di motivazioni:
- poiché emanata a seguito di una
istruttoria superficiale;
- poiché si fa riferimento ad una generica
necessità di prevenire il verificarsi di
situazioni di pericolo, senza tuttavia
alcuna prova sulla sussistenza di quella
eccezionale ed urgente necessità di tutela
della salute pubblica o dell'ambiente, cui
deve farsi fronte con il potere di ordinanza
extra ordinem, non essendo sufficiente che
sussista l'urgenza di provvedere, ma essendo
richiesto che si tratti di una situazione
eccezionale, che non può sussistere tra
l’altro, laddove le circostanze da cui
deriva la situazione dannosa abbia carattere
permanente, giacché la nozione stessa di
eccezionalità richiama l'idea di
imprevedibilità di una situazione.
Il ricorso è fondato nella parte in cui
viene ordinato l’innalzamento dei camini.
Il provvedimento riporta imprecisi
riferimenti normativi, ma stante il
contenuto, ben può essere qualificato come
ordinanza extra ordinem, ed è
finalizzato alla tutela della salute,
sebbene imponga la realizzazione di opere
edilizie relative ai camini.
L’ordinanza è illegittima in quanto emanata
a seguito di una istruttoria superficiale:
l’ordine è stato disposto infatti a seguito
di un sopralluogo effettuato in data
13.04.2010, in cui il personale tecnico si è
limitato “a quanto accertabile
visivamente”.
Inoltre si fa riferimento ad una generica
necessità di prevenire il verificarsi di
situazioni di pericolo, senza tuttavia
alcuna prova sulla sussistenza di quella
eccezionale ed urgente necessità di tutela
della salute pubblica o dell'ambiente, cui
deve farsi fronte con il potere di ordinanza
extra ordinem, non essendo
sufficiente che sussista l'urgenza di
provvedere, ma essendo richiesto che si
tratti di una situazione eccezionale, che
non può sussistere tra l’altro, laddove le
circostanze da cui deriva la situazione
dannosa abbia carattere permanente, giacché
la nozione stessa di eccezionalità richiama
l'idea di imprevedibilità di una situazione.
Per tale ragione il provvedimento impugnato
è illegittimo nella parte in cui ordina
l’innalzamento dei camini
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 29.03.2011 n. 842 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI:
Possono essere pari a zero gli utili di
impresa quando l'ente non persegue scopi di
lucro.
Quanto l'ente è no profit
può produrre un'offerta il cui utile di
impresa sia pari a zero.
La cooperativa ricorrente ha presentato la
propria offerta, nella quale era inserito un
progetto migliorativo del servizio posto a
gara. Tale offerta, esaminate le
giustificazioni addotte, è stata ritenuta
ammissibile dalla stazione appaltante che ha
valutato l’incidenza delle economie sul
costo del lavoro scaturenti -per la società
cooperativa aggiudicataria- dalla
applicazione delle favorevoli previsioni di
cui alla L. n. 407/1990 per il personale
neoassunto
Le relative giustificazioni sono state
addotte dalla ricorrente, ente no-profit
che opera nel settore sociale e che è
O.N.L.U.S. di diritto, il cui fine
principale non è il profitto ma quello
sociale relativo all’occupazione giovanile e
all’assistenza alle fasce disagiate,
specificando la ragguardevole organizzazione
sotto il profilo del metodo di prestazione
del servizio e delle soluzioni tecniche
adottate e le ulteriori condizioni
favorevoli di cui gode.
Tali giustificazioni sono state
legittimamente e positivamente valutate
dalla stazione appaltante che ha considerato
la particolare natura della società
ricorrente, connessa alla veste giuridica
dalla stessa ricoperta (società cooperativa
no-profit) e dalle finalità perseguite
indirizzate a conseguire utilità sociali e
non strettamente economiche e di profitto.
Del resto, il ribasso offerto dalla
aggiudicataria non è contrario ai principi
dell’ordinamento e non costituisce ex se
causa di anomalia dell’offerta, ma è al
contrario specificatamente ammesso quando
sia dimostrato che l’offerta è comunque e
nel suo complesso remunerativa e sostenibile
(in termini C. Stato, sez. V sent. n. 4594
del 23/07/2009) (TAR Sicilia-Catania, Sez. III,
sentenza 28.03.2011 n. 735
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI:
Sulla natura di concessione di
servizio pubblico locale a rilevanza
economica del servizio di illuminazione
elettrica votiva di aree cimiteriali e
sull'inapplicabilità della disciplina
sull'anomalia dell'offerta alle concessioni.
L'illuminazione elettrica votiva di aree
cimiteriali da parte del privato rappresenta
oggetto di concessione di servizio pubblico
locale a rilevanza economica perché richiede
che il concessionario impegni capitali,
mezzi, personale da destinare ad un'attività
economicamente rilevante in quanto
suscettibile, almeno potenzialmente, di
generare un utile di gestione e, quindi, di
riflettersi sull'assetto concorrenziale del
mercato di settore.
Ai sensi dell'art. 30 del D.Lgs. n.
163/2006, la disciplina sull'anomalia delle
offerte non si estende alle concessioni di
servizi in quanto le disposizioni in esso
contenute non si applicano alle concessioni
di servizi, salvo quelle della parte IV e
l'art. 143, c,. 7 in quanto compatibile.
Per quanto attiene agli appalti di servizi,
la giurisprudenza afferma che l'applicazione
di norme, non direttamente richiamate
dall'art. 30, D.Lgs. n. 163/2006, non può
che rientrare nella discrezionalità della
stazione appaltante, la quale può decidere
di autovincolarsi ed assoggettarsi al
sub-procedimento di verifica dell'anomalia
dell'offerta: laddove la legge di gara non
abbia fatto nessun richiamo alla procedura
di valutazione dell'anomalia dell'offerta,
gli art. 86-88 del codice dei contratti non
possono trovare diretta applicazione.
Nel caso di specie, nel bando di gara non è
prevista alcuna verifica di anomalia: il
Comune pertanto non aveva alcun obbligo di
procedervi nonostante il superamento da
parte dell'offerta dell'aggiudicataria della
soglia dell'anomalia, fissato dall'art. 86,
co. 2, D.Lgs. n. 163/2006, nei quattro
quinti dei corrispondenti punti massimi
previsti dal bando di gara (Consiglio di
Stato, Sez. V,
sentenza 24.03.2011 n. 1784 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
EDILIZIA PRIVATA: In
materia di telecomunicazioni, gli Enti non
possono imporre oneri o canoni che non siano
stabiliti per legge.
E' escluso che il Comune possa domandare
agli operatori telefonici, corresponsioni
finanziarie non correlate ad una spesa,
determinata o determinabile con il
meccanismo di funzionamento dell’indennizzo.
Con i provvedimenti impugnati il Comune
resistente ha imposto al sig. Elvio Coati,
quale proprietario del terreno sul quale
insiste l’impianto telefonico di Wind
Telecomunicazioni s.p.a., di pagare la somma
annuale di euro 2.060,00 in forza dell’art.
10 del «Regolamento comunale recante
disposizioni per assicurare il corretto
insediamento urbanistico e territoriale
degli impianti di cui alla legge 22.02.2001
n. 36 e minimizzare l'esposizione della
popolazione ai campi elettromagnetici»,
approvato con delibera consiliare n. 34 del
07.07.2003.
Il Collegio ritiene meritevole di
accoglimento e assorbente la deduzione della
violazione da parte dell’art. 10 del
Regolamento comunale impugnato degli artt.
88, comma 10, e 93 del D.Lgs. n. 259/2003 e
del principio di legalità.
Ad avviso del Collegio occorre procedere al
confronto della norma regolamentare
impugnata con i rammentati artt. 93 e 88,
comma 10, del d.lgs. n. 259/2003.
L'art. 10 del Regolamento comunale in
questione stabilisce testualmente che «I
proprietari degli immobili su cui sono
collocati gli impianti, dovranno
corrispondere annualmente al Comune di
Pescantina, a titolo di contributo per tutta
la durata dell’impianto stesso, le seguenti
somme: (….) euro 2.060.00 per gli impianti
ricadenti in aree definite ai sensi del
precedente art. 5.». L'art. 93 del
Codice delle Telecomunicazioni prevede che "1.
Le pubbliche Amministrazioni, le Regioni, le
Province ed i Comuni non possono imporre,
per l' impianto di reti o per l'esercizio
dei servizi di comunicazione elettronica,
oneri o canoni che non siano stabiliti per
legge. 2. Gli operatori che forniscono reti
di comunicazione elettronica hanno l'obbligo
di tenere indenne l'Ente locale, ovvero
l'Ente proprietario, dalle spese necessarie
per le opere di sistemazione delle aree
pubbliche specificamente coinvolte dagli
interventi di installazione e manutenzione e
di ripristinare a regola d'arte le aree
medesime nei tempi stabiliti dall'Ente
locale".
Secondo l’orientamento della giurisprudenza
condiviso dal Collegio, la norma da ultimo
citata ha un'impostazione tassativa ed è
chiaramente orientata a limitare, definire e
circoscrivere in termini assai precisi il
potere degli Enti locali di imporre oneri
economici agli operatori di
telecomunicazioni.
Tale impostazione emerge, innanzitutto,
dall'incipit della norma che ricalca
il disposto dell'art. 23 Cost. sulle
prestazioni imposte. In armonia e in
attuazione legislativa del precetto
costituzionale, dunque, l'art. 93 del D.lgs.
n. 259/1993 pone il principio secondo il
quale gli Enti non possono imporre oneri o
canoni che non siano stabiliti per legge
(cfr. Tar Piemonte, I, 08.05.2010, n. 2302).
Tanto premesso il legislatore indica, poi al
comma 2 del citato art. 93, le causali che
legittimano la richiesta di oneri agli
operatori: da un lato, le spese necessarie
per le opere di sistemazione delle aree
pubbliche specificamente coinvolte dagli
interventi, dall’altro lato il ripristino a
regola d'arte delle aree medesime nei tempi
stabiliti dall'Ente locale.
Ebbene, in forza del disposto dell’art. 93 è
escluso, ad avviso del Collegio, che il
Comune possa domandare agli operatori
telefonici, corresponsioni finanziarie non
correlate ad una spesa, determinata o
determinabile con il meccanismo di
funzionamento dell’indennizzo.
Ne discende, dunque, che l'impianto testuale
dell'art. 93 del D.lgs. n. 259/2003 esclude
la legittimità di previsioni locali di
imposizione agli operatori di comunicazione,
di oneri economici non collegati ad una
quantificazione effettiva dei costi delle
opere di sistemazione e di ripristino delle
aree, con l'ulteriore precisazione che
queste ultime devono essere solo quelle
specificamente coinvolte dagli interventi di
installazione e manutenzione delle
infrastrutture di telecomunicazione.
Orbene, la tassatività e la necessaria
determinatezza su cui è imperniata la prima
parte della rammentata norma, trova
un’ulteriore conferma nel secondo comma
dell’art. 93 che esclude la possibilità di
imporre agli operatori oneri diversi da
quelli ivi menzionati (Tosap e Cosap o il
contributo una tantum per le gallerie).
A tale ultimo riguardo va rammentato che
anche il Consiglio di Stato ha affermato che
«L'art. 93 d.lgs. 01.08.2003 n. 259
(codice delle comunicazioni elettroniche),
al comma 2, sebbene precluda
all'amministrazione comunale di subordinare
il rilascio delle autorizzazioni per l'
impianto di reti o per l'esercizio dei
servizi di comunicazione elettronica al
pagamento di importi ulteriori rispetto a
quelli ivi espressamente previsti (nella
specie "indennità di civico ristoro" ed il
"canone metro/tubo") non impedisce tuttavia
che l'amministrazione "ex post" chieda al
gestore il pagamento dell'importo che abbia
effettivamente speso per il ripristino dello
stato dei luoghi, che il gestore abbia
omesso di realizzare, in base al rilievo di
carattere generale posseduto dall'art. 2041
c.c. che consente all'amministrazione, una
volta constatata la spesa pubblica con cui i
luoghi sono stati ripristinati, in assenza
di corrispondenti lavori di ripristino a
regola d'arte da parte del gestore, di
formulare la relativa richiesta e di agire
in giudizio, conseguentemente, per la
condanna del debitore.» (cfr. Cons.
Stato, VI, 07.03.2008, n. 1005; Cons. Stato,
VI, 09.06.2006, n. 3453).
Tutto ciò premesso ad avviso del Collegio la
riserva relativa di legge di cui all'art. 23
Cost., ribadita anche dal legislatore
ordinario con l'art. 93 del D.lgs. n.
259/2003 richiede per il contestato onere di
corresponsione di euro 2.060,00 annuali una
copertura legislativa, in difetto della
quale detta norma è illegittima.
Per tali ragioni il ricorso è meritevole di
accoglimento con annullamento dell’art. 10
del «Regolamento comunale recante
disposizioni per assicurare il corretto
insediamento urbanistico e territoriale
degli impianti di cui alla legge 22.02.2001
n. 36 e minimizzare l'esposizione della
popolazione ai campi elettromagnetici»,
approvato con delibera consiliare n. 34 del
07.07.2003, e degli ulteriori provvedimenti
impugnati in quanto emessi in applicazione
della predetta disposizione regolamentare
(TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 23.03.2011 n. 478 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
E' illegittima l'esclusione di
una società da una gara per non aver
sottoscritto il capitolato in ogni pagina,
in quanto le esigenze sottese alla omessa
sottoscrizione sono soddisfatte dalla
dichiarazione sostitutiva resa ai sensi del
DPR 445/2000.
E' illegittima l'esclusione di una società
da una gara, a causa della mancata
presentazione di copia del capitolato
siglato e sottoscritto in ogni pagina, come
richiesto della lettera d'invito, pur avendo
la stessa società prodotto in gara la
dichiarazione di accettazione, senza
condizione e riserva alcuna, di tutte le
norme contenute nel bando, nel disciplinare
e nel capitolato speciale d'appalto. La
clausola del disciplinare che impone la
presentazione del capitolato sottoscritto,
infatti, costituisce "un'inutile
duplicazione e, quindi, un aggravio
ingiustificato del procedimento", in
quanto le esigenze sottese alla (omessa)
sottoscrizione "pagina per pagina" del
capitolato speciale d'appalto, sono comunque
soddisfatte dalla specifica dichiarazione
sostitutiva -resa ai sensi del DPR 445/2000-
di presa visione e accettazione integrale e
incondizionata di tutte le disposizioni
contenute negli atti di gara (TAR
Lombardia-Brescia, Sez. II,
sentenza 23.03.2011 n. 461 - link
a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Sulla funzione garantistica della
cauzione provvisoria in materia di gare
d'appalto.
Per pacifica giurisprudenza, la cauzione
provvisoria svolge una duplice funzione di
garanzia per l'amministrazione appaltante, a
tutela della serietà e correttezza del
procedimento di gara, sia per il caso in cui
l'affidatario non si presti a stipulare il
relativo contratto, sia per la veridicità
delle dichiarazioni fornite dai concorrenti
in ordine al possesso dei requisiti di
capacità economico-finanziaria prescritti
dal bando, così da garantire l'affidabilità
dell'offerta e rappresentare una
liquidazione anticipata dei danni derivanti
all'amministrazione dall'inadempimento di
tale obbligo di serietà da parte
dell'impresa, con la conseguente automatica
escussione della cauzione in caso di
inadempimento del partecipante (TAR
Campania-Napoli, Sez. II,
sentenza 21.03.2011 n. 1589 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
CERTIFICATO DI DESTINAZIONE
URBANISTICA – NATURA ED EFFICACIA –
ESCLUSIVAMENTE DICHIARATIVA – CONSEGUENZE.
Il certificato di destinazione urbanistica
(di cui ai commi 2° e seguenti dell’art. 30
del D.Lgs. 380/2001, Testo Unico
dell’Edilizia), in quanto atto di
certificazione redatto da un pubblico
ufficiale, ha natura ed effetti meramente
dichiarativi e non costitutivi di posizioni
giuridiche, che discendono in realtà da
altri provvedimenti, che hanno a loro volta
determinato la situazione giuridica
acclarata dal certificato stesso.
Difettando, pertanto, di efficacia
provvedimentale, esso non può formare
oggetto di autonoma impugnativa
giurisdizionale, dovendo gli eventuali
errori essere corretti dalla stessa
Amministrazione, su istanza del privato,
oppure quest’ultimo potrà impugnare davanti
al giudice amministrativo gli eventuali
successivi provvedimenti concretamente
lesivi, adottati in base all’erroneo
certificato di destinazione urbanistica
(massima tratta da
www.amministrazioneincammino.luiss.it - TAR
Lombardia–Milano, Sez. II,
sentenza 14.03.2011 n. 729 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Rapporto tra aggiudicazione
provvisoria e aggiudicazione definitiva nel
Codice dei Contratti Pubblici.
Il Consiglio di Stato, Sez. V, con
sentenza 08.03.2011 n. 1446 ha
chiarito come nell’ambito di una procedura
di scelta del contraente, l’aggiudicazione
provvisoria rappresenta un atto necessario
ma non decisivo atteso che l’individuazione
definitiva del concorrente risulta
cristallizzata soltanto con l’aggiudicazione
definitiva.
La pronuncia in commento aveva origine da un
ricorso presentato da un soggetto che dopo
essere stato dichiarato aggiudicatario
provvisorio, aveva successivamente impugnato
il provvedimento con il quale la stazione
appaltante aveva annullato, in autotutela,
l’aggiudicazione provvisoria. In particolare
veniva censurata la mancata comunicazione di
avvio del procedimento che si era concluso
con l’adozione del provvedimento in
autotutela.
Per una migliore comprensione della
decisione in commento, sembra opportuno
riportare le disposizioni del d.lgs.
163/2006 (Codice dei Contratti Pubblici) che
disciplinano l’aggiudicazione provvisoria e
l’aggiudicazione definitiva.
L’art. 11 (Fasi delle procedure di
affidamento) al suo comma 5 prevede che “La
stazione appaltante, previa verifica
dell’aggiudicazione provvisoria ai sensi
dell’art. 12 comma 1, provvede
all’aggiudicazione definitiva”.
L’art. 12 (Controlli sugli atti delle
procedure di affidamento) prevede, al 1°
comma, che “L’aggiudicazione provvisoria
è soggetta ad approvazione dell’organo
competente secondo l’ordinamento delle
amministrazioni aggiudicatrici e degli enti
aggiudicatori, ovvero degli altri soggetti
aggiudicatori, nel rispetto dei termini
previsti dai singoli ordinamenti, decorrenti
dal ricevimento dell’aggiudicazione
provvisoria da parte dell’organo competente.
In mancanza, il termine è pari a trenta
giorni.[…] Decorsi i termini previsti dai
singoli ordinamenti o, in mancanza, quello
di trenta giorni, l’aggiudicazione si
intende approvata”.
Dalla lettura delle norme in oggetto si può
vedere come nell’ambito del Codice dei
contratti l’aggiudicazione provvisoria
rappresenta solo un presupposto dell’unico
procedimento di aggiudicazione che comunque
deve essere concluso con il provvedimento di
aggiudicazione definitiva.
In conformità al dettato normativo il
Consiglio di Stato ha chiarito come “L’aggiudicazione
provvisoria ha natura di atto
endoprocedimentale, inserendosi nell’ambito
della procedura di scelta del contraente
come momento necessario ma non decisivo,
atteso che la definitiva individuazione del
concorrente cui affidare l’appalto risulta
cristallizzata soltanto con l’aggiudicazione
definitiva; pertanto, versandosi ancora
nell’unico procedimento iniziato con
l’istanza di partecipazione alla gara e
vantando in tal caso l’aggiudicatario
provvisorio solo una aspettativa alla
conclusione del procedimento, non si impone
la comunicazione di avvio del procedimento
in autotutela (cfr. da ultimo Consiglio di
Stato, sez. V, 13.10.2010, n. 7460)”.
In definitiva, con la sentenza in oggetto,
il Consiglio di Stato ha contribuito
ulteriormente a chiarire come
l’aggiudicazione provvisoria abbia un ruolo
necessario ma non decisivo, considerato la
sua natura di atto endoprocedimentale, ai
fini della definitiva aggiudicazione
dell’appalto (commento tratto da
www.professioni-imprese24.ilsole24ore.com -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
PRINCIPIO DEL FAVOR
PARTECIPATIONIS E LIMITI ALLA VERIFICA DI
ANOMALIA DELL’OFFERTA.
La sentenza qui segnalata consente di
formulare alcune brevi considerazioni sul
tema del favor partecipationis e dei
limiti che incontra l’Amministrazione nel
verificare l’anomalia dell’offerta.
Nella fattispecie controversa, due operatori
economici partecipavano ad una gara indetta
per l’affidamento di un appalto di servizi,
in cui era richiesto, ai fini della
dimostrazione del possesso delle capacità
tecniche ed organizzative di avere
realizzato un certo fatturato per
prestazioni aventi oggetto analogo a quello
bandito. Successivamente, la seconda
classificata proponeva ricorso avanti al TAR
Lombardia lamentando, tra l’altro, che
l’impresa aggiudicataria non sarebbe stata
in possesso del requisito del fatturato per
servizi analoghi.
Il TAR accoglieva il ricorso annullava
l’aggiudicazione senza nulla disporre in
ordine alla pronuncia di inefficacia del
contratto, all’epoca non stipulato, o in
merito al risarcimento del danno, difettando
una richiesta in tale senso della
ricorrente.
La sentenza veniva impugnata dinanzi al
Consiglio di Stato il quale, con la sentenza
in commento, ha riformato la pronuncia del
Giudice di primo grado.
Secondo la Sezione Quinta, la nozione di
contratto ad oggetto analogo, soprattutto in
fattispecie, (come quella controversa) in
cui viene richiesto agli operatori di
fornire una prestazione complessa che si
articola in una pluralità di “sotto-prestazioni”,
riconducibili a categorie merceologiche
differenti, deve essere ricostruita facendo
riferimento alla categoria “prevalente”,
intendendosi per tale quella che assume il
rilievo preponderante nella causa
economico-giuridica dell’appalto di servizi.
Altrimenti argomentando, si finirebbe per
giungere a conclusioni insostenibili per
ragioni diverse: da un lato, infatti, la
perfetta coincidenza tra i servizi rilevanti
ai fini della dimostrazione del possesso del
requisito e quelli oggetto della gara
implicherebbe una valutazione in termini di
“identità” dei servizi effettuati,
contrastanti con la lettera della legge e
con il principio di concorrenzialità degli
affidamenti; dall’altro, l’equiparazione di
ogni sotto-prestazione avrebbe concretizzato
il rischio di ammettere soggetti privi della
necessaria capacità maturata nella
prestazione principale, cui evidentemente
corrisponde il maggiore interesse
dell’Amministrazione a selezione un
contraente privato dotato della necessaria
esperienza.
Secondo il Consiglio di Stato, quanto più
l’oggetto contrattuale risulta articolato e
complesso, tanto più il riferimento al
concetto di analogia deve intendersi in
senso ampio, implicando correlativamente
l’estensione del margine di apprezzamento
discrezionale attribuito
all’Amministrazione, chiamata a mediare tra
il soddisfacimento dell’interesse pubblico
alla selezione dell’operatore più
specializzato ed il rispetto del principio
del favor partecipationis.
Ovviamente, il giudizio sulla “analogia”
delle prestazioni rispetto all’oggetto della
gara è assoggettato allo scrutinio di
legittimità da parte del Giudice
Amministrativo, il quale potrà sindacare
della ragionevolezza, coerenza e logicità
delle determinazioni assunte dalla
Commissione di gara.
Sempre nella descritta prospettiva di
intermediazione tra l’applicazione dei
requisiti soggettivi e la garanzia della
massima apertura delle procedure deve
intendersi l’affermazione della Sezione
Quinta relativa alla possibilità per
l’Amministrazione di ammettere soggetti che
non abbiano presentato almeno due lettere di
referenze bancarie. In questo caso, il punto
di equilibrio tra i diversi interessi è
costituito dall’esplicitazione della
possibilità di presentare di una sola
lettera di referenze già in sede di
chiarimenti preliminari alla presentazione
dell’offerta, accompagnata dalla
precisazione che in questo caso l’offerta
avrebbe dovuto contenere puntuali
giustificazioni al riguardo.
Da ultimo, il Consiglio di Stato ha ritenuto
legittima la decisione dell’Amministrazione
di non procedere alla verifica dell’anomalia
nonostante l’aggiudicataria avesse
conseguito punteggi superiori alla soglia
dei quattro quinti dei punti massimi
previsti dal bando di gara.
A questo proposito, la Sezione Quinta ha
osservato che trattandosi di un appalto di
servizi sotto la soglia comunitaria, da
aggiudicare secondo il criterio dell’offerta
economicamente più vantaggiosa, indetto
prima dell’entrata in vigore del d.P.R. n.
207 del 2010 (che reca disposizioni ben più
puntuali di quelle del Codice in tema di
anomalia delle offerte negli appalti sotto
soglia), la disciplina codicistica sulla
verifica dell’anomalia delle offerte di cui
all’art. 86 non era direttamente ed
integralmente applicabile, con la
conseguenza che la decisione in ordine alla
verifica di anomalia “era affidata in via
di principio al prudente apprezzamento
discrezionale dell’Amministrazione”.
In mancanza, peraltro, di un’espressa
previsione in tal senso nella lex
specialis, non poteva ritenersi che
l’Amministrazione fosse comunque tenuta ad
avviare il subprocedimento di verifica
dell’anomalia, né tale obbligo potrebbe
validamente desumersi dalla circostanza che
era richiesto ai concorrenti di presentare
la scheda relativa alla scomposizione del
prezzo, in quanto tale adempimenti, anche se
obiettivamente preordinato alla successiva
verifica dell’anomalia, non vale ex se
a trasformare in obbligatorio un
approfondimento istruttorio che resta
comunque rimesso all’apprezzamento
discrezionale della stazione appaltante
(commento tratto da
www.amministrazioneincammino.luiss.it -
Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 04.03.2011 n. 1401 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Se la Provincia non si presenta
alla conferenza dei servizi per uno
"sportello unico" in variante allo strumento
urbanistico si forma il silenzio assenso. Il
medesimo Ente non può, pertanto, impugnare
la decisione finale del Comune che abbia
dato corso all'intervento.
La Provincia di Monza Brianza (da ora
Provincia) impugna gli atti di approvazione
di un progetto in variante al PGT del Comune
di Usmate Velate (da ora Comune), presentato
dalla società odierna controinteressata, che
ha seguito la procedura di cui all’art. 5 DPR
447/1998.
Il Collegio ritiene di poter prescindere
dall’esame delle eccezioni preliminari, in
quanto il ricorso è infondato.
Nel primo motivo parte ricorrente prospetta
una lettura molto suggestiva dell’art.
14-ter, comma 7, L. 241/1990, al fine di poter
fare valere il proprio parere giunto
tardivamente alla conferenza di servizi,
ovvero quando l’attività della stessa era
conclusa.
Questa la tesi difensiva della Provincia:
l’art 14-ter L. 241/90, a seguito della
modifica operata dall’art. 49, comma 2, lett.
e), del decreto-legge 31.05.2010, n. 78 così
recita “Si considera acquisito l'assenso
dell'amministrazione, ivi comprese quelle
preposte alla tutela della salute e della
pubblica incolumità e alla tutela
ambientale, esclusi i provvedimenti in
materia di VIA, VAS e AIA,
paesaggistico-territoriale il cui
rappresentante, all'esito dei lavori della
conferenza, non abbia espresso
definitivamente la volontà
dell'amministrazione rappresentata.”
Il D.L. è stato convertito con L. 30.07.2010
n. 122, con la seguente modificazione: “dopo
le parole: «pubblica incolumità» sono
inserite le seguenti: «, alla tutela
paesaggistico-territoriale» e dopo le
parole: «in materia di VIA, VAS e AIA,» la
parola: «paesaggistico-territoriale,» è
soppressa”.
Quindi il nuovo testo così recita: “si
considera acquisito l'assenso
dell'amministrazione, ivi comprese quelle
preposte alla tutela della salute e della
pubblica incolumità, alla tutela
paessaggistico-territoriale e alla tutela
ambientale, esclusi i provvedimenti in
materia di VIA, VAS e AIA, il cui
rappresentante, all'esito dei lavori della
conferenza, non abbia espresso
definitivamente la volontà
dell'amministrazione rappresentata.”
Sostiene la ricorrente che alla data di
adozione del provvedimento conclusivo della
conferenza di servizi e del provvedimento di
approvazione del progetto, essendo vigente
il testo del decreto legge, il parere
paesaggistico-territoriale, al pari della
VIA, VAS e AIA, doveva essere acquisito
espressamente e non potesse essere applicato
il sistema del silenzio-assenso in caso di
assenza del rappresentante
dell’Amministrazione competente.
Come già detto in sede cautelare, la tesi
della Provincia non è condivisibile, in
quanto contrasta con l’interpretazione
letterale e sistematica del testo.
Letteralmente vengono indicati i pareri la
cui assenza comporta consenso, con
l’esclusione di tre ipotesi: l’inciso
relativo alle ipotesi di esclusione è
riferito ai tre pareri VIA, AIA e VAS, non
al parere paesaggistico, che si pone invece
sullo stesso piano di quella ambientale.
Non vi sarebbe infatti ragione per ammettere
alla procedura del silenzio-assenso, il
parere ambientale e non quello
paesaggistico; ha invece una sua logica
escludere da tale procedimento tre tipologie
di pareri di particolare rilievo, tutti
attinenti ad aspetti ambientali.
Tale lettura interpretativa è stata
confermata in sede di conversione: il parere
paesaggistico ha la stessa valenza di un
parere ambientale, mentre i tre pareri che
hanno un regime derogatorio, sono
riconducibili alla categoria dei pareri
ambientali.
L’interpretazione fornita dalla difesa
dell’Amministrazione Provinciale ricorrente
dell’art 14-ter della L. 241/1990, alla luce
della legge di conversione, non può quindi
essere condivisa, con la conseguenza che,
stante l’assenza in sede di conferenza di
servizi dei rappresentanti
dell'Amministrazione Provinciale e la
tardività della trasmissione del parere, la
Conferenza di Servizi ha correttamente
ritenuto acquisito detto parere mediante il
silenzio (TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 02.03.2011 n. 600 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: No
all'esclusione se la relazione al bando è
lunga. Consiglio di stato. Non contano le
pagine.
Nei bandi di gara la
prescrizione di un numero massimo di pagine
per la relazione tecnica è solo indicativa e
la sua inosservanza non è causa di
esclusione se non per espressa previsione
del bando.
Così si è espresso il Consiglio di Stato,
Sez. V, con la
sentenza 21.02.2011 n. 1080.
Fra i motivi contestati in appello a un
comune dalla società arrivata quarta, la
doverosità dell'esclusione
dell'aggiudicataria per non aver osservato
quanto disposto dal bando-disciplinare
laddove prescriveva che ogni concorrente
avrebbe dovuto presentare una relazione
dettagliata per un numero di pagine non
superiore a 15.
I giudici hanno aderito alle argomentazioni
di una sentenza precedente della stessa
sezione V (sentenza 3437/2007) secondo la
quale, nel caso in cui il bando preveda la
presentazione di una relazione formata da
non più di un certo numero di pagine, tale
prescrizione sia derogabile.
L'esclusione di un concorrente non può
essere disposta in mancanza di un'espressa
sanzione penalizzante in caso di
inosservanza di una disposizione contenuta
nella lex specialis della gara.
L'esclusione, inoltre, non può essere
disposta in presenza di clausole equivoche.
Nel caso in questione, al di là della
generica indicazione del numero di pagine,
non venivano fornite nel bando ulteriori
precisazioni circa i parametri grafici da
utilizzare quali, ad esempio, il margine, il
numero delle righe, il corpo o il tipo dei
caratteri da utilizzare.
In tal caso, a parità di pagine, poteva
verificarsi una notevole differenza in
merito ai contenuti quantitativi delle
singole relazioni (uno scritto di poche
pagine con caratteri piccoli, più righe e
margini ridotti può avere contenuti maggiori
rispetto a uno scritto su un numero maggiore
di pagine, ma redatto con caratteri grandi e
con ampi margini).
In definitiva, la presenza nel bando di una
clausola equivoca (priva di rigide
prescrizioni circa la struttura delle pagine
della relazione) e sfornita di apposita
previsione di esclusione nell'ipotesi di
mancato rispetto della stessa, riveste
carattere essenzialmente indicativo e di
massima e preclude -anche in funzione dei
principi di favor partecipationis- la
possibilità di escludere legittimamente il
concorrente che non abbia osservato la
clausola stessa. Se così non fosse, del
resto, la disposizione stessa, si
presterebbe a inammissibili forme
discriminatorie.
Inoltre, qualora alla relazione siano
allegati ulteriori documenti e la loro
inclusione nell'offerta tecnica non sia
preclusa (tantomeno a pena di esclusione),
nel caso in cui gli stessi non siano
richiamati in alcun punto della relazione,
tali documenti non sono da considerarsi
parte integrante della stessa e non si è
pertanto in presenza di un'offerta
sostanzialmente difforme da quella richiesta
(articolo
Il Sole 24 Ore del 28.02.2011 -
tratto da www.corteconti.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
CONTRIBUTI E ONERI CONCESSORI –
IN OCCASIONE DI MUTAMENTI DI DESTINAZIONI
D’USO – SONO DOVUTI – PREVISIONE DI DISTINTE
SOTTOCATEGORIE DI DESTINAZIONI D’USO CON
DIVERSI IMPORTI DEI CONTRIBUTI CONCESSORI –
LEGITTIMITA’.
La necessità di corrispondere i contributi
concessori anche peri i mutamenti di
destinazione d’uso è principio enucleabile
dall’art. 10, ultimo comma, della legge n.
10 del 1977, al fine di evitare che, quando
la nuova tipologia assegnata all’immobile
avrebbe comportato all’origine un più
oneroso regime contributivo urbanistico,
attraverso la modifica della destinazione il
contributo possa essere evaso in tutto o in
parte a vantaggio del richiedente e, di
contro, con l’aggravio urbanistico già
valutato in sede di fissazione di quel
regime contributivo.
Deve ritenersi legittima la suddivisione
delle categorie di destinazione d’uso in più
sottocategorie o sottofunzioni, con diversa
onerosità dal unto di vista dei contributi
di costruzione, laddove ciò sia
giustificato da significative diversità del
carico urbanistico implicato dall’una o
dall’altra di esse, tale da giustificare
diverse modulazioni di calcolo del
contributo concessorio (massima tratta da
www.amministrazioneincammino.luiss.it - TAR
Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza 26.01.2011 n. 240 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
BENI CULTURALI E PAESAGGISTICI –
MISURE DI TUTELA INDIRETTA DEI BENI
CULTURALI IMMOBILI (ART. 45 D.LGS. N.
42/2004) – MANCATA NOTIFICA AL PROPRIETARIO
DEGLI IMMOBILI INTERESSATI – INEFFICACIA –
ESCLUSIONE.
BENI CULTURALI E PAESAGGISTICI – MISURE DI
TUTELA INDIRETTA DEI BENI CULTURALI IMMOBILI
(ART. 45 D.LGS. N. 42/2004) – ESTENSIONE –
COMMISURATA ALLA CORNICE AMBIENTALE DEI BENI
DA TUTELARE – SINDACABILITA’ – ESCLUSIONE –
FATTISPECIE.
Secondo il costante indirizzo
giurisprudenziale, la previsione di cui
all’art. 47, 1 comma, D.lgs. n. 42/2004, che
dispone la previa notifica del provvedimento
contenente prescrizioni di tutela indiretta
al proprietario interessato, non vale a
sancire il carattere recettizio del
provvedimento stesso, con la conseguenza che
la sua comunicazione non ne assurge a
condizione di efficacia.
In ogni caso, la mancata notificazione di un
atto amministrativo al suo destinatario non
incide sull’esistenza o validità dello
stesso, con la conseguenza che non può
essere considerato nullo od illegittimo per
il solo fatto della mancata comunicazione da
parte dell’Autorità emanante.
A differenza del vincolo diretto, che
riguarda esclusivamente e specificamente il
bene culturale, il vincolo indiretto si
caratterizza per coinvolgere l’ambito
costituente la “fascia di rispetto”,
che non coincide con l’ambito materiale dei
confini perimetrali dei singoli immobili, ma
va stabilita in rapporto alla consistenza
della c.d. “cornice ambientale”; ciò
comporta che il vincolo indiretto ben può
essere imposto sull’area che si trova in
vista od in prossimità del bene culturale,
non essendo tale aspetto, in quanto
espressione di discrezionalità tecnica,
suscettibile di censura giurisdizionale,
salve l’ipotesi in cui possano ravvisarsi
macroscopiche incongruenze e illogicità
(massima tratta da
www.amministrazioneincammino.luiss.it - TAR
Umbria, Sez. I,
sentenza 20.01.2011 n. 16 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
CONSIGLIERI COMUNALI: Revoca dall'incarico di Assessore - E' nella
disponibilità del Sindaco.
La giurisprudenza (cfr. per tutte Consiglio
di Stato, sez. V - 23/01/2007 n. 209) ha
statuito che la revoca dall'incarico di
Assessore è posta essenzialmente nella
disponibilità del Sindaco e che la
comunicazione ex art. 46, comma 4, del T.U.E.L.
è tendenzialmente diretta al mantenimento di
un corretto rapporto collaborativo tra
Sindaco-Giunta ed il Consiglio comunale, il
quale potrebbe eventualmente opporsi alla
scelta.
L'atto può senz'altro sorreggersi sulle più
ampie valutazioni di opportunità politico
amministrativa rimesse in via esclusiva al
primo cittadino, che può valorizzare sia
esigenze di carattere generale -quali ad
esempio rapporti con l'opposizione o
relazioni interne alla maggioranza
consiliare- sia particolari necessità di
maggiore operosità ed efficienza in
specifici settori dell'amministrazione,
ovvero l'affievolirsi del rapporto
fiduciario, senza che occorra specificare i
singoli comportamenti addebitati
all'interessato (cfr. Consiglio di Stato,
sez. V - 21/01/2009 n. 280; sez. V -
12/10/2009 n. 6253).
Il Sindaco non instaura un tipico
procedimento sanzionatorio ma provvede alla
rimozione da un incarico fiduciario, per cui
l'atto è difficilmente sindacabile in sede
di legittimità se non sotto l'aspetto
dell'evidente arbitrarietà (cfr. sentenze
brevi TAR Brescia, sez. I - 21/04/2008 n.
449; 02/11/2009 n. 1831; Consiglio di Stato,
sez. V - 15/07/2009 n. 3646)
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez.
II,
sentenza 28.10.2010 n.
4466 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI: Legittimazione ad agire - Articolazioni
territoriali di Associazioni riconosciute ex
art. 13 L. n. 349, e cioè di soggetti
associativi i quali non agiscono allegando
una propria ed autonoma legittimazione ma
ripetono il titolo legittimante da quello ex
lege conferito all'Associazione nazionale di
cui fanno parte.
In situazioni in cui "la legittimazione ad
agire discende direttamente dalla legge"
(come nel caso dell'associazione
Legambiente) "neppure la previsione
statutaria potrebbe assegnare ad
articolazioni interne dell'ente associativo
la contitolarità della predetta
legittimazione, che resta in capo all'ente
di carattere nazionale accreditato in sede
ministeriale" (Adunanza Plenaria del
Consiglio di Stato n. 1 dell'11.01.2007).
Il Collegio non esclude che possa, in linea
di principio, ritenersi ammissibile, in
ragione delle previsioni dello Statuto, una
sorta di delega ai presidenti regionali
affinché essi possano sostituirsi, a livello
locale, al Presidente nazionale, ma ciò
implica che il soggetto agente sia comunque
rappresentato dall'Associazione
nazionale-delegante e non anche dalla sua
articolazione locale
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez.
II,
sentenza 28.10.2010 n.
4456 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Partecipazione
di un raggruppamento temporaneo di imprese -
Garanzia fideiussoria - Intestazione sia
della capogruppo che delle mandanti.
Nel caso di partecipazione ad una gara di
appalto di un raggruppamento temporaneo di
imprese, la polizza fideiussoria mediante la
quale viene costituita la cauzione
provvisoria deve essere necessariamente
intestata, a pena di esclusione, non già
alla solita capogruppo designata, ma anche
alle mandanti (Consiglio Stato , sez. V, 26.10.2009, n. 6533).
Ciò non solo per
gli appalti di lavori regolati dalla
disciplina previgente al D.Lgs. n. 163 del
2006, ma anche per quelli di servizi
regolati dal D.Lgs. n. 157 del 1995, stante
l'esigenza di assicurare in modo pieno
l'operatività della garanzia fideiussoria di
fronte ai possibili inadempimenti (Consiglio
di Stato, sez. V, 26.10.2009, n. 6533)
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez.
II,
sentenza 15.10.2010 n.
4058 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI: Alienazione di un immobile comunale -
Legittimazione ad agire - Esclusa per
comitati e/o associazioni composti da un
numero esiguo di persone.
E' da escludersi la legittimazione ad agire
di comitati e/o associazioni composti da un
numero esiguo di persone e dunque non dotati
di rappresentanza sul piano locale così
come, comunque, non basta il mero scopo
associativo o lo statuto del comitato a
rendere differenziato un interesse diffuso o
adespota, facente capo alla popolazione nel
suo complesso o ad una categoria
indifferenziata di consociati, specie quando
tale scopo associativo si risolva, senza
mediazione alcuna di altre finalità,
nell'utilizzazione di tutti i mezzi per non
consentire la realizzazione di un
determinato progetto e quindi in definitiva,
nella stessa finalità di proporre l'azione
giurisdizionale (TAR Toscana, sez. II
21.12.2005 n. 8856)
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez.
II,
sentenza 08.10.2010 n.
3956 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI: 1. Accesso agli atti - Partecipazione a
procedura selettiva - Diritto soggettivo-
presenza di interesse non emulativo -
Sufficienza.
2. Accesso agli atti - Obbligo pubblicistico
- Ente privato destinatario dell'istanza -
Incompatibilità - Non sussiste.
1. In una gara ad evidenza pubblica il
diritto di accesso dei vari concorrenti è
riconosciuto come diritto soggettivo ad
un'informazione qualificata, a fronte del
quale l'amministrazione pone in essere
un'attività materiale vincolata; infatti la
partecipazione ad una procedura selettiva
comporta che la documentazione presentata
fuoriesca dalla sfera di dominio riservato
dell'impresa per formare oggetto di
valutazione comparativa con le offerte
presentate da altri concorrenti, essendo
versata in un procedimento caratterizzato
dai principi di concorsualità e trasparenza.
L'istanza del richiedente deve essere
sorretta da un interesse giuridicamente
rilevante, così inteso come un qualsiasi
interesse che sia serio, effettivo,
autonomo, non emulativo, non riducibile a
mera curiosità e ricollegabile all'istante
da uno specifico nesso;
2.
L'obbligo pubblicistico di esibizione degli
atti non si pone come incompatibile con la
veste privatistica di Società per Azioni
conseguita dall'Ente destinatario della
domanda di accesso
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez.
II,
sentenza 23.09.2010 n.
3564 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI: Impianti illuminazione pubblica -
Concessione - Diritto di riscatto - Ordine
di rilascio - Legittimità - Diritto di
ritenzione del gestore - Escluso.
A seguito dell'esercizio da parte del Comune
del diritto di riscatto del rapporto
concessorio in precedenza instaurato, è
legittimo l'ordine di rilascio degli
impianti e il relativo provvedimento con cui
è stata disposta l'acquisizione al
patrimonio del Comune, in quanto né la
normativa di settore, né la concessione,
prevedono alcun diritto di ritenzione a
favore del gestore uscente
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez.
II,
sentenza 02.08.2010 n.
2618 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI - INCARICHI
PROGETTAZIONE: Incarico esterno
di progettazione - Revoca - applicabilità
art. 21 l. 07.08.1990.
Ex art. 21-quinquies, comma 1-bis, della l.
07.08.1990 la revoca di un atto
amministrativo ad efficacia durevole o
istantanea se incide su rapporti negoziali è
dovuto l'indennizzo parametrato al solo
danno emergente
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez.
II,
sentenza 08.07.2010 n.
2477 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI: 1. Silenzio della P.A. - Silenzio-assenso -
Carattere eccezionale - Incompletezza della
istanza - Mancato perfezionamento.
2. Silenzio della P.A.- Silenzio-assenso -
Termine - Decorrenza dalla data della
completa trasmissione della documentazione
completa.
1. Poiché il meccanismo del silenzio-assenso
riveste carattere eccezionale per ritenersi
perfezionato è necessario che l'istanza
proposta sia formalmente regolare: pertanto,
in caso di incompletezza della domanda, il
silenzio-assenso non può maturare.
2.
Il termine funzionale alla formazione del
silenzio-assenso decorre solo dal momento in
cui il compendio documentale tipizzato dalle
norme di riferimento è stato interamente
trasmesso all'amministrazione
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez.
II,
sentenza 08.07.2010 n.
2474 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Abuso
edilizio - Ordine di demolizione- Notifica
ad un solo comproprietario - Sufficienza.
E' sufficiente la notificazione ad uno solo
dei proprietari dell'ordine di demolizione,
affinché operi validamente l'iter
procedimentale diretto al ripristino dei
valori giuridici offesi dall'edificazione
sia per il principio della responsabilità
plurisoggettiva ex art. 2055 cod. civ. sia
perché l'ordinanza di demolizione va
concretamente notificata a chi ha la
disponibilità dell'immobile
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez.
II,
sentenza 08.07.2010 n.
2463 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
ESPROPRIAZIONE: Approvazione
progetto - Osservazioni - Tardivo invio -
Termine ordinatorio - Esame da parte della
P.A. - Necessità.
E' illegittima l'intervenuta approvazione di
un progetto nell'ambito di una procedura
espropriativa senza aver previamente
provveduto a dare conto delle osservazioni
presentate seppure tardivamente, ma
semplicemente omettendone l'esame
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez.
II,
sentenza 01.07.2010 n.
2424 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Denuncia
di inizio attività - Decorrenza di 20 giorni
- Termine perentorio - Residuale successivo
istituto di autotutela.
Il Comune può inibire la realizzazione delle
opere nel termine perentorio di 20 giorni
dalla data di presentazione della D.I.A.:
una volta spirato detto termine il potere di
riscontro a fini inibitori attribuito
all'amministrazione è esaurito, e la stessa
può provvedere solo avvalendosi
dell'istituto dell'autotutela e della
generale potestà di controllo emanando gli
eventuali provvedimenti sanzionatori ai
sensi dell'art. 21, comma 2, della L. 241/1990
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez.
II,
sentenza 01.07.2010 n.
2419 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
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