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AGGIORNAMENTI PREGRESSI mese di APRILE 2011

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aggiornamento al 26.04.2011

aggiornamento al 18.04.2011

aggiornamento al 12.04.2011

aggiornamento al 04.04.2011

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

AGGIORNAMENTO AL 26.04.2011

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SINDACATI

PUBBLICO IMPIEGO: Oggetto: Pubblici dipendenti: precisazioni in merito alla trasmissione telematica della certificazione di malattia nel caso di esenzioni dalla decurtazione stipendiale (circolare n. 2/2010 Dipartimento Funzione Pubblica) (Patronato INCA-CGIL, nota 20.04.2011 n. 55/2011 di prot.).

PUBBLICO IMPIEGO: Festività del 17.03.2011: ecco la legge di conversione (CGIL-FP di Bergamo, nota 20.04.2011).

PUBBLICO IMPIEGO: Il Tribunale di Grosseto condanna per comportamento antisindacale il Comune di Castiglione della Pescaia (CGIL-FP di Bergamo, nota 18.04.2011).

PUBBLICO IMPIEGO: Il foglio dei lavoratori della Funzione Pubblica (CGIL-FP di Bergamo, aprile 2011).

UTILITA'

EDILIZIA PRIVATA - VARIQuarto Conto Energia. Ecco la bozza in attesa della Conferenza Stato-Regioni.
È stata diffusa dal Ministero dello Sviluppo Economico la bozza del Decreto attuativo sugli incentivi per il fotovoltaico, in attesa della Conferenza Unificata tra Stato e Regioni.
Vediamo i punti salienti della bozza:
Campo di applicazione: il Decreto si applica agli impianti fotovoltaici che entrano in esercizio dall'01.06.2011 fino al 31.12.2016.
Potenza installabile: è previsto l'obiettivo di circa 23 mila MW che dovrebbero comportare un onere per gli incentivi pari a 6 e 7 miliardi di euro.
Grandi impianti: fino al 31.12.2012 è previsto un regime transitorio per i grandi impianti; in particolare sono ammessi al regime di sostegno nei seguenti limiti di costo:
- 447 milioni di euro con obiettivo di potenza pari a 1350 MW per gli impianti che entrano in esercizio dall'01.06.2011 al 31.12.2011;
- 373 milioni di euro con obiettivo di potenza pari a 1350 MW per gli impianti che entrano in esercizio nell'anno 2012.
Piccoli impianti (fino a 200 kW): non è previsto nessun limite di costo annuo per gli incentivi, fatte salve le riduzioni di incentivi a scalare da giugno a dicembre 2011 e diminuzioni anche per il primo e per il secondo semestre 2012.
Certificazione Energetica: bisognerà dotare l'edificio su cui è installato l'impianto di Attestato di Certificazione Energetica per godere del premio maggiorativo per la riduzione del fabbisogno termico. Il premio consiste in una maggiorazione massima del 30% ed è riconosciuto a decorrere dall'anno solare successivo all'istanza.
Smaltimento dei moduli: viene attribuita al produttore la responsabilità dello smaltimento dei moduli una volta che questi siano giunti a fine vita.
Premi: sono previsti premi (5%) per impianti fotovoltaici installati in zone industriali, cave esaurite, discariche esaurite, aree di pertinenza di discariche o di siti contaminati e per piccoli impianti in comuni con meno di cinquemila abitanti. Il premio è del 10% per impianti in sostituzione di coperture in eternit o amianto.
Tariffe: le tariffe in generale subiranno un graduale decremento; si va, ad esempio, per i piccoli impianti dai 38,7 centesimi al kWh di giugno 2011 ai 29,8 centesimi a dicembre 2011 (impianti con potenza da uno a tre kW).
In allegato a questo articolo proponiamo un documento contenete le Tabelle con le Tariffe incentivanti in funzione del tipo di impianto e dell'entrata in esercizio (link a www.acca.it).

EDILIZIA PRIVATA - VARIImmobili fantasma: come si calcola la rendita presunta.
L'Agenzia del Territorio ha definito i criteri per l'attribuzione della rendita presunta dei cosiddetti “fabbricati fantasma” da iscrivere in Catasto entro il 30 aprile prossimo.
In particolare, se i titolari di diritti reali sugli immobili non provvedono a presentare le dichiarazioni di aggiornamento catastale entro il termine del 30.04.2011 (come previsto dal Milleproroghe), la rendita presunta, da iscrivere transitoriamente in catasto, viene determinata secondo le seguenti modalità:
- per le categorie a destinazione ordinaria (Gruppi A, B e C), la rendita presunta è individuata moltiplicando la consistenza per la tariffa propria della classe;
- per le categorie a destinazione speciale (Gruppo D) o particolare (Gruppo E), la rendita presunta è determinata, con procedimento semplificato, applicando al valore della unità immobiliare il saggio di redditività pari:
--- al 2% per le unità immobiliari appartenenti al Gruppo D;
--- al 3% per quelle riferibili al Gruppo E.
Il valore della unità immobiliare è determinato moltiplicando la consistenza per i corrispondenti valori venali unitari desunti sulla base degli elementi conoscitivi ed informativi a disposizione dell’Agenzia.
Il provvedimento riporta, infine, la determinazione degli oneri per le attività svolte dall’ufficio in caso di mancato o tardivo adempimento (link a www.acca.it).

SICUREZZA LAVOROLe responsabilità del committente nella sicurezza del cantiere: guida per conoscere i propri doveri.
Il Collegio dei Geometri e Periti Industriali di Udine ha pubblicato una guida chiara e semplice sulle responsabilità, anche penali, del committente relative alla sicurezza in cantiere.
Il committente viene definito dal Decreto Legislativo 81/2008 come il “soggetto per conto del quale l’intera opera viene realizzata, indipendentemente da eventuali frazionamenti della sua realizzazione …”.
Assume automaticamente la funzione di committente chi, ad esempio:
- in qualità di proprietario di una villetta, affida i lavori di tinteggiatura interna od esterna;
- in qualità di locatario di un appartamento, affida i lavori di rifacimento del bagno;
- in qualità di amministratore di condominio, affida i lavori di rifacimento del manto di copertura o di isolamento a cappotto dei muri;
- in qualità di titolare d’impresa, affida i lavori di sistemazione degli uffici o di ampliamento della zona produttiva del suo capannone aziendale;
- in qualità di proprietario di un lotto edificabile, affida i lavori di costruzione della sua nuova casa.
Egli ha precise responsabilità penali ed amministrative attribuitegli dalla legislazione vigente, come ad esempio:
- designare il coordinatore per la sicurezza se necessario (pena l'arresto da 3 a sei mesi o l'ammenda da € 2.500 a € 6.400);
- accertare i requisiti del coordinatore;
- trasmettere il P.S.C. (Piano di Sicurezza e di Coordinamento) a tutte le imprese invitate a presentare l’offerta (pena la sanzione amministrativa pecuniaria da € 500 a € 1.800);
- comunicare alle imprese esecutrici e ai lavoratori autonomi il nominativo del coordinatore, in modo che venga anche riportato sul cartello di cantiere (sanzione amministrativa pecuniaria da € 500 a € 1.800);
- vigilare sull'operato del coordinatore (pena l'arresto da due a quattro mesi o ammenda da € 1.000 a € 4.800);
- verificare l'idoneità tecnico professionale delle imprese e dei lavoratori autonomi (pena l'arresto da due a quattro mesi o l'ammenda da € 1.000 a € 4.800);
- trasmettere all'Amministrazione del titolo abilitativo (pena la sanzione amministrativa pecuniaria da € 500 a € 1.800) (link a www.acca.it).

EDILIZIA PRIVATACatasto, vademecum per le denunce DOCFA.
La Direzione Regionale dell'Agenzia del Territorio Regione Emilia Romagna ha pubblicato un utile vademecum sulle procedure Docfa, al fine di dare una risposta alle problematiche più frequenti che i tecnici incontrano nella redazione delle denunce catastali.
La guida è stata realizzata attraverso un confronto tra i tecnici degli Uffici Provinciali dell’Agenzia del Territorio e i professionisti, al fine di rendere più trasparenti le modalità operative degli Uffici.
Il documento illustra diversi argomenti: opzioni di accatastamento, denuncia di nuova costruzione (dichiarazione ordinaria, fabbricati rurali, fabbricati mai dichiarati), denuncia di variazione, dati del tipo mappale, identificativi catastali, toponomastica, etc.
È così strutturato:
- Denunce Docfa;
- Causali;
- Planimetrie;
- Elaborato planimetrico ed elenco subalterni;
- Appendice (link a www.acca.it).

VARIScambio sul posto: dal GSE le Nuove Regole Tecniche.
Il Gestore dei Servizi Energetici (GSE) ha reso noto che l’Autorità per l'Energia ha approvato l’aggiornamento delle Regole Tecniche relative ai criteri di calcolo per il contributo in conto scambio, predisposte dal GSE ai sensi dell’articolo 10 del Testo Integrato dello Scambio sul Posto.
Le nuove Regole Tecniche sono state redatte con l’obiettivo di introdurre un maggior livello di comprensibilità per l’utente circa le modalità di calcolo dei corrispettivi.
Le novità introdotte riguardano principalmente: ... (link a www.acca.it).

GURI - GUUE - BURL (e anteprima)

PUBBLICO IMPIEGO: G.U. 21.04.2011 n. 92 "Testo del decreto-legge 22.02.2011, n. 5, coordinato con la legge di conversione 21.04.2011, n. 47, recante: «Disposizioni per la festa nazionale del 17.03.2011»".

LAVORI PUBBLICI: G.U. 18.04.2011 n. 89 "Rilevazione dei prezzi medi per l’anno 2009 e delle variazioni percentuali annuali, superiori al dieci per cento, relative all’anno 2010, ai fini della determinazione delle compensazioni dei singoli prezzi dei materiali da costruzione più significativi" (Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, decreto 31.03.2011).
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Codice Appalti: per l'anno 2009-2010 il prezzo dei materiali da costruzione non subisce variazioni.
Pubblicato in Gazzetta il Decreto del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti del 31.03.2011 contenente la rilevazione dei prezzi medi per l'anno 2009 e delle variazioni percentuali relative all'anno 2010 dei prezzi dei materiali da costruzione più significativi, in attuazione a quanto previsto dal Codice degli Appalti (D.Lgs. 163/2006).
Si rileva che il prezzo dei materiali da costruzione più significativi nell'anno 2010, rispetto all'anno 2009, non ha subito variazioni percentuali superiori al 10%.
Ricordiamo che l'art. 133 del Decreto 163/2006 prevede che entro il 30 giugno di ogni anno il Ministero rilevi con proprio Decreto le variazioni percentuali dei singoli prezzi dei materiali da costruzione più significativi.
Qualora il prezzo dei singoli materiali da costruzione, a causa di circostanze eccezionali, subisca variazioni superiori al 10 % rispetto al prezzo rilevato dal Ministero nell'anno di presentazione dell'offerta, si applicano compensazioni per la percentuale eccedente il 10 % e nel limite delle risorse previste tra imprevisti e le somme relative al ribasso d'asta.
Al fine di determinare le compensazioni relative ai materiali da costruzione impiegati nelle lavorazioni contabilizzate nell'anno 2010, si fa riferimento agli Allegati e alle Tabelle sotto riportate in funzione dell'anno di presentazione dell'offerta ... (link a www.acca.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: G.U.U.E. 08.04.2011 n. L 94/2 "REGOLAMENTO (UE) N. 333/2011 DEL CONSIGLIO del 31.03.2011 recante i criteri che determinano quando alcuni tipi di rottami metallici cessano di essere considerati rifiuti ai sensi della direttiva 2008/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio" (link a http://eur-lex.europa.eu).
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Criteri di qualità per il recupero di rottami metallici e leghe.
Il 28 aprile p.v. entreranno in vigore (ma si applicheranno a partire dal 09.10.2011 per consentire alle imprese di familiarizzare con il nuovo sistema), i criteri europei che determinano quando alcuni tipi di rottami metallici cessano di essere considerati rifiuti e diventano risorse.
I criteri fissati dal regolamento Ce 333/2011 del 31.03.2011 (direttamente applicabile in tutti gli Stati membri) rappresentano la prima attuazione della disciplina relativa al cd. “end of waste - cessazione della qualifica di rifiuto", introdotta dall’articolo 6 della direttiva quadro sui rifiuti 2008/98 e codificata nell’ordinamento nazionale dall’articolo 184-ter del Dlgs 152/2006 al fine di conseguire livelli più elevati di riciclaggio e limitare l’estrazione di risorse naturali.
Il regolamento prevede, in particolare, che i rottami di metallo non siano più classificati come rifiuti, a condizione che i produttori applichino un sistema di gestione della qualità (fondato su una serie di procedimenti documentali come il controllo di accettazione dei rifiuti ed il monitoraggio delle tecniche di trattamento) e dichiarino la conformità ai nuovi criteri per ciascuna partita di rottami trattata.
Prima che i rottami possano perdere la qualifica di rifiuti, occorre, inoltre, terminare qualsiasi trattamento (taglio, frantumazione) necessario per preparare i rottami all’utilizzo finale in impianti di lavorazione dell’acciaio o dell’alluminio (commento tratto da www.professioni-imprese24.ilsole24ore.com).

NOTE, CIRCOLARI E COMUNICATI

AMBIENTE-ECOLOGIASISTRI: Guida all’utilizzo del dispositivo USB (versione 20.04.2011).

AMBIENTE-ECOLOGIASISTRI: manuale operativo (versione 19.04.2011).

SICUREZZA LAVOROOggetto: Salute e sicurezza nei luoghi di lavoro; lavori in ambienti sospetti di inquinamento. Iniziative relative agli appalti aventi ad oggetto attività manutentive e di pulizia che espongono i lavoratori al rischio di asfissia o di intossicazione dovuta ad esalazione di sostanze tossiche o nocive (Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, circolare 19.04.2011 n. 13/2011).

AMBIENTE-ECOLOGIA: SFALCI E POTATURE: RIFIUTI O NON RIFIUTI?
Con la nota 18.03.2011 prot. n. 8890, il Ministero dell'Ambiente tenta di risolvere l'enigma interpretativo della disposizione, introdotta con il IV correttivo, di cui all'art. 185, co. 2, D.Lgs. 152/2006, norma dedicata alle esclusioni dall'ambito di applicazione della Parte IV del TUA.
Il punto controverso e sul quale interviene il Ministero è costituito dalla (infelice) formulazione contenuta nella lettera f) dell'articolo predetto, secondo cui sono esclusi: "le materie fecali, se non contemplate dal paragrafo 2, lettera b), paglia, sfalci e potature, nonché altro materiale agricolo o forestale naturale non pericoloso utilizzati."
Il Ministero, riportando la norma sulla classificazione dei rifiuti (art. 184, co. 2, lett. e) ricorda come i rifiuti vegetali provenienti da aree verdi quali giardini, parchi e aree cimiteriali, sono (per l'appunto) rifiuti urbani. Così che, al contrario, sfalci e potature per poter essere escluse dalla normativa sui rifiuti devono necessariamente provenire da attività agricola o forestale.
Tertium non datur.
Provando a leggere la norma e analizzandola da un punto di vista meramente sintattico, sembrerebbe che la congiunzione "nonché" metta sì in correlazione, quasi come fosse un'elencazione, "paglia, sfalci e potature" con "altro materiale agricolo o forestale naturale", ma non anche qualifichi la prima parte (paglia, sfalci e potature) come materiale agricolo o forestale naturale o, secondo le parole utilizzate dal Ministero, come "materiali che provengono da attività agricola o forestale". Sembrerebbe quasi, dunque, quella fornita dal Ministero, un'interpretazione che si discosta dal dato letterale della norma e che probabilmente tiene conto della ratio sottesa alla stessa. A ben guardare gli "sfalci e le potature" non sono contemplate dalla Direttiva 2008/98/Ce nell'articolo 2. Esso parla di: "paglia e altro materiale agricolo o forestale naturale non pericoloso utilizzati".
É stato il Legislatore nazionale a trasporre la vecchia disposizione di cui all'art. 185, co. 2 ("possono essere sottoprodotti materie fecali e vegetali provenienti da attività agricole") nel nuovo testo, utilizzando tuttavia una formula che certo non può dirsi spiccare per chiarezza. Ora, la nota ministeriale in oggetto, nell'intento di fornire un'interpretazione che tolga qualche ombra, sembrerebbe restare intrappolata nella stessa ratio che ha portato a quella formulazione, con un evidente risultato difforme dal testo normativo e che comunque non ha carattere vincolante, trattandosi di una nota ministeriale.
Si segnala inoltre che "gli sfalci e le potature provenienti dal verde pubblico e privato" ritornano in altro testo normativo, il D.Lgs. 03.03.2011, n. 28 sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili, dove, nuovamente discostandosi dalla corrispondente Direttiva che si recepiva, entrano a far parte della definizione di biomasse, accanto "alla parte biodegradabile dei rifiuti industriali e urbani" (quest'ultima contenuta anche nel testo della Direttiva 2009/28/Ce). (M.A.L.) (commento tratto dalla newsletter di www.tuttoambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: LA CERTIFICAZIONE ENERGETICA NEGLI EDIFICI - Il nuovo comma 2‐ter dell’art. 6 d.lgs. 192/2005: prime note (Consiglio Nazionale del Notariato, nota 11.03.2011).

DOTTRINA E CONTRIBUTI

AMBIENTE-ECOLOGIA: C. Silvestri, Mestiere rumoroso: illecito penale o amministrativo? Nota a Corte di Cassazione, Sez. I penale, sentenza 09.06.2009 n. 23866 (link a www.filodiritto.com).

ATTI AMMINISTRATIVI: G. Penzo Doria e B. Montini, Albo on-line e privacy: commento alla Deliberazione del Garante 02.03.2011 n. 88 (link a www.filodiritto.com).

EDILIZIA PRIVATA: M. Maesano, I beni culturali (link a www.diritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: A. Ferruti e R. Allegrini, La certificazione energetica secondo il d.lgs. n. 28/2011 e l’energia da fonti rinnovabili per edifici nuovi o da ristrutturare (link a www.lexitalia.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: A. Liberati, La ricorribilità delle sentenze del Consiglio di Stato innanzi alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo: l’inizio della fine di palazzo Spada (link a www.lexitalia.it).

APPALTI: S. Usai, Inefficacia del contratto e buona fede del terzo contraente (link a www.lexitalia.it).

CORTE DEI CONTI

ENTI LOCALIDalla corte conti veneto una doccia fredda per gli enti. La falcidia non risparmia neppure i gemellaggi.
Le spese per l'organizzazione di eventi legati ai gemellaggi sono soggette al taglio imposto dall'articolo 6, comma 8, del dl 78/2010, convertito in legge 122/2010.

È una doccia fredda per i comuni il parere 23.03.2011 n. 265 della Corte dei conti, sezione regionale di controllo per il Veneto, perché inquadra integralmente le spese per gemellaggi entro la tipologia di spese da tagliare dell'80% rispetto al 2009: una falcidia, che rende oggettivamente difficoltosa l'organizzazione di tali iniziative.
Sono tantissimi i comuni italiani gemellati con altrettante municipalità all'estero, anche perché i gemellaggi sono una tradizione inveterata e la stessa Unione Europea li favorisce, spesso con sia pur contenuti finanziamenti appositamente dedicati.
L'articolo 6, comma 8, della manovra estiva 2010 coinvolge nel pesantissimo taglio cui obbliga gli enti locali una tipologia di spese estremamente ampia, ma non ben definita: «Relazioni pubbliche, convegni, mostre, pubblicità e di rappresentanza».
Inquadrare, dunque, le iniziative connesse ai gemellaggi non è impresa facile ed immediata.
Il comune che si è rivolto alla sezione veneta ha provato ad evidenziare i risvolti sociali e culturali che stanno dietro agli eventi connessi al gemellaggio, puntando sull'interpretazione molto estensiva data dalle sezioni Lombardia e, soprattutto, Liguria del taglio imposto dall'articolo 6, comma 8.
Dette sezioni, infatti, hanno ritenuto di poter sottrarre dalla riduzione drastica della tipologia di spese prevista dalla manovra estiva le iniziative e manifestazioni di carattere sociale e culturale realizzate da privati, in attuazione del principio di sussidiarietà.
Si tratta, ovviamente, di verificare fino a che limite è possibile estendere l'interpretazione favorevole proposta dalle sezioni lombarda e ligure, visto che non è difficile evidenziare ricadute sociali ed economiche, dialetticamente.
La sezione Veneto, osservando che nel caso di specie le iniziative oggetto del parere erano specificate in modo piuttosto generico (confronto sociale e culturale) in modo tranciante conclude per la loro ricomprensione nelle voci di spesa da tagliare, considerando le iniziative per i gemellaggi come un genere della specie «spese per rappresentanza» o di «relazioni pubbliche».
Non è, in effetti, dubitabile che la funzione prevalente dei gemellaggi è proprio quella dell'incentivazione di relazioni amichevoli tra realtà diverse, anche se le iniziative con le quale coltivare tali relazioni possono essere le più disparate.
La sezione non manca di rilevare che ciascun ente può, nella sua autonomia, classificare in modo diverso le iniziative dei gemellaggi, assumendone la relativa responsabilità. Potendo anche scegliere se apportare un taglio secco dell'80% delle spese connesse a gemellaggi nel 2009, oppure riferirsi al complesso delle voci di spesa considerate dall'articolo 6, comma 8, e all'interno di tale complesso, per esempio, non tagliare le specifiche voci connesse al gemellaggio, sulla base di valutazioni di priorità di scelta della spesa da ridurre, diminuendo di conseguenza le uscite per altre voci (ad esempio, pubblicità o mostre) (articolo ItaliaOggi del 22.04.2011 - tratto da www.corteconti.it).

ENTI LOCALIRispetto ad altre sezioni regionali la Corte conti Lombardia si mostra più guardinga. Feste, i comuni tirano la cinghia.
Spese da ridurre dell'80%. O del tutto se sponsorizzazioni. Feste, tornei e sagre sono da tagliare dell'80% rispetto al 2009. O, addirittura, da considerare vietate in quanto sponsorizzazioni.

La Corte dei conti, sezione regionale di controllo per la Lombardia col parere 16.03.2011 n. 137, stringe le maglie sull'interpretazione dell'articolo 6, commi 8 e 9, del dl 78/2010, convertito in legge 122/2010, che la stessa sezione e, più ancora, quella della Liguria avevano aperto, con precedenti interpretazioni.
La questione su cui la sezione è stata chiamata a pronunciarsi è quella che da mesi ormai attanaglia l'attività dei comuni: la portata del divieto di effettuare sponsorizzazioni disposto dall'articolo 6, comma 9, della manovra estiva 2010.
Il comune richiedente nel quesito è stato molto chiaro, chiedendo se potessero considerarsi come sponsorizzazioni vietate contributi finalizzati all'organizzazione episodica di eventi come «feste, tornei, camminate».
In effetti lo spettro delle attività di associazioni di ogni natura e tipo che richiedono ai comuni e alle province contributi è amplissimo: si va dal Palio di Siena alla sagra, dalla festa della pizza al concerto della filarmonica, dal saggio alla festa di quartiere.
È piuttosto chiaro l'intento del legislatore di contenere le spese destinate in generale ad attività di questo genere: lo si rileva dal divieto di sponsorizzazioni e dal taglio drastico, l'80% rispetto al 2009, alle spese per relazioni pubbliche, pubblicità e rappresentanza. Tra le quali è difficile non far ricadere molte delle iniziative esemplificate proprio dal quesito rivolto alla sezione Lombardia.
La sezione Liguria ha ritenuto che le «manifestazioni» in generale possano sfuggire alla tagliola imposta dalla legge per iniziative culturali, artistiche, sociali, di promozione turistica (l'elencazione non è da considerare tassativa), che mirino a realizzare gli interessi, economici e non, della collettività amministrata, ossia le finalità istituzionali dell'ente locale.
La sezione Lombardia, invece, si mostra più guardinga. Considera ammissibili ancora contributi diretti a organismi associativi che svolgano servizi di interesse generale in favore di fasce deboli della popolazione o attività connesse a diritti costituzionalmente garantiti (come istruzione, formazione, orientamento), perché in questo caso è ravvisabile un intervento sussidiario, aggiuntivo a quello pubblico. Oggettivamente, risulta più complicato dimostrare una ricaduta realmente economica o l'applicazione del principio di sussidiarietà sulla «camminata» o la «sagra», che prevalga sull'intento di pubblicizzare l'immagine dell'ente e degli amministratori.
Nel caso prospettato dal comune, la sezione Lombardia è tranciante. Sovvenzioni per iniziative spot come tornei o feste possono incorrere nel divieto, se il loro scopo sia la veicolazione dell'immagine dell'ente; bene che vada, tuttavia ricadono nel taglio alle spese per pubblicità, relazioni pubbliche e rappresentanza disposto dall'articolo 6, comma 8, della manovra 2010. Spetta a ciascun ente motivare, sulla base dei principi enunciati dalla magistratura contabile, quale ipotesi ricorra.
A questo punto, tuttavia, risulta quanto mai necessario un intervento del legislatore, posto a chiarire definitivamente la portata dei commi 8 e 9 dell'articolo 6. I vari interventi delle sezioni regionali della Corte dei conti si mostrano in parte contraddittori tra loro e non hanno assicurato una visione certa. Il che, per altro, difficilmente potrebbe far evidenziare colpa grave a carico di quegli amministratori che scelgano una strada piuttosto che un'altra, nel motivare i propri provvedimenti, data la evidente incertezza della questione (articolo ItaliaOggi del 22.04.2011 - tratto da www.corteconti.it).

CONSIGLIERI COMUNALIRecupero gettoni, prescrizione decennale.
Il recupero delle somme illegittimamente erogate ai consiglieri comunali e provinciali per le sedute della conferenza dei capigruppo, sconta la prescrizione decennale che decorre dalla data di ogni singolo pagamento effettuato.

È questo l'importante chiarimento che perviene dalla sezione regionale di controllo della Corte dei conti per il Veneto, nel testo del parere 11.02.2011 n. 180, con il quale si danno, per la prima volta sul panorama giurisprudenziale, i primi indirizzi operativi a favore di quegli enti locali e territoriali che stanno attuando forme di recupero dei gettoni di presenza indebitamente corrisposti a consiglieri (anche cessati dalla carica) per la partecipazione alla conferenza dei capigruppo. Una stretta, questa che come si ricorderà, è stata varata dalla manovra correttiva dei conti pubblici del 2010.
La Corte, investita della questione da un apposito parere formulato dal presidente della provincia di Verona, ha rilevato che la soluzione dell'individuazione del termine prescrizionale è «facilmente ricavabile dalla copiosa giurisprudenza amministrativa in materia». Infatti, la giurisprudenza consolidata del Consiglio di stato (da ultimo, sentenza n. 4232/2010) ha sostenuto che, rispetto al recupero delle somme illegittimamente erogate da una pubblica amministrazione a un proprio dipendente, ex articolo 2033 del codice civile, qui debba applicarsi il termine prescrizionale ordinario decennale ex articolo 2946 del predetto codice. Detto termine, ha rilevato la Corte, opera «ogni qualvolta la legge non preveda diversamente». E tale soluzione sembra applicabile anche rispetto ad un recupero da attuare nei confronti di soggetti legati alla pubblica amministrazione da un rapporto di servizio di tipo onorario, quali i consiglieri di un ente locale o provinciale.
Fatte salve le premesse in merito ai termini temporali relativi all'esercizio dell'azione di recupero, la Corte ha altresì fatto luce sull'individuazione del termine iniziale di decorrenza della prescrizione. In virtù della previsione contenuta all'articolo 2935 del codice civile, la premessa è che il termine decorre dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere. In questo caso, pertanto, il dies a quo coincide con la data di ciascun pagamento illegittimo effettuato. Sulle modalità con cui l'ente intende procedere al recupero dei gettoni, però, la Corte non si esprime, poiché questo è un profilo che non attiene alla contabilità pubblica. Inoltre, la Corte ha altresì sottolineato un terzo aspetto.
Vale a dire, quello relativo al momento in cui il principio della onnicomprensività della retribuzione degli amministratori degli enti locali è divenuto operante nell'ordinamento giuridico italiano, così da rendere illegittima la corresponsione dei gettoni di cui si tratta. Secondo l'ente che ha richiesto l'intervento della Corte, tale principio sarebbe stato introdotto dal terzo comma dell'articolo 83 del Tuel, per effetto delle disposizioni ex articolo 2, comma 26 della legge finanziaria 2008. In pratica, secondo tale tesi, l'illegittimità della corresponsione del gettone di presenza ai capigruppo esplicherebbe i suoi effetti a partire dall'01/01/2008.
Nulla di tutto questo, però, secondo la Corte veneta. Anzi, secondo quest'ultima, il principio in oggetto deve farsi risalire all'articolo 4, comma 2 della legge n. 816 del 1985, ove si prevedeva che «agli amministratori locali cui viene corrisposta un'indennità di carica, non è prevista alcuna indennità per la partecipazione a sedute degli organi collegiali dell'ente». Tesi, questa, già acclarata sia dal giudice contabile che da quello amministrativo (articolo ItaliaOggi del 22.04.2011 - tratto da www.corteconti.it).

NEWS

PUBBLICO IMPIEGOI limiti imposti dal dlgs 150/2009 possono essere superati dalle amministrazioni locali. Dirigenti a termine con concorso.
Ammissibile anche il ricorso a posti extra dotazione organica
I limiti dettati dal decreto Brunetta al conferimento di incarichi dirigenziali a tempo determinato possono essere superati attraverso le assunzioni tramite concorsi pubblici e il ricorso ai posti extra dotazione organica. Tali disposizioni si applicano anche agli incarichi di responsabilità conferiti negli enti privi di dirigenti.

Sono queste le principali indicazioni che si possono fornire alle amministrazioni locali nella applicazione delle previsioni dettate dal dlgs n. 150/2009 e che vogliono limitare in modo assai marcato la possibilità di ricorso allo spoils system.
Come è noto, sulla base della lettura data prima dalla Corte costituzionale e successivamente dalle sezioni riunite di controllo della Corte dei conti, è stato esteso alle regioni e agli enti locali il tetto fissato nelle amministrazioni dello stato per il conferimento di incarichi dirigenziali a tempo determinato, cioè l'8% della dotazione organica della dirigenza. Queste disposizioni prevalgono, anche se non è stata abrogata, sulle previsioni contenute nel comma 1 dell'articolo 110 del Tuel, che invece assegnavano ai comuni ed alle province la possibilità di coprire senza limitazioni i posti vacanti in dotazione organica.
È stato inoltre chiarito che le amministrazioni locali possono utilizzare il comma 2 dello stesso articolo, il quale prevede che in tutti i comuni, ivi compresi quelli sprovvisti di dirigenti, e le province si possano conferire incarichi dirigenziali a tempo determinato extra dotazione organica entro il tetto del 5% della dotazione organica e comunque per almeno 1 unità. Queste disposizioni limitano la possibilità di effettuare assunzioni di dirigenti a tempo determinato attraverso il ricorso alla scelta fiduciaria da parte del sindaco o del presidente della provincia. E' opportuno ricordare che queste assunzioni devono comunque essere effettuate attraverso una procedura a evidenza pubblica e in modo motivato.
Tale disposizione non si estende alle assunzioni a tempo determinato effettuate tramite concorsi pubblici. Infatti, le nuove regole sono state dettate con lo scopo di limitare lo spoils system, come indicato con chiarezza dalle previsioni dettate dalla legge n. 15/2009, cioè dalla delega che è alla base del dlgs n. 150/2009. Ed ancora, esse hanno modificato l'articolo 19 del dlgs n. 165/2001 e non l'articolo 36 dello stesso decreto, articolo che ricordiamo essere quello che legittima il ricorso alle assunzioni flessibili. Ed inoltre occorre aggiungere che anche il dlgs n. 368/2001, cioè la norma che ha recepito nel nostro ordinamento la direttiva comunitaria sulle assunzioni a tempo determinato, si applica espressamente anche alla dirigenza.
Ovviamente le assunzioni a tempo determinato dei dirigenti tramite concorsi pubblici devono ubbidire ai vincoli dettati dal legislatore, in particolare possono essere basate sulla presenza di motivazioni straordinarie e limitate nel tempo e possono essere prorogate una volta sola e per un arco temporale che, sommando il primo incarico e la proroga, non deve superare tre anni. I sindaci e i presidenti di provincia possono continuare a conferire incarichi extra dotazione organica.
A questi soggetti possono sicuramente essere assegnati compito gestionali, cioè hanno in tutto e per tutto le stesse prerogative dei dirigenti a tempo indeterminato, di quelli assunti a tempo determinato per la copertura di posti vacanti in dotazione organica (oggi entro il tetto dell'8%) e di quelli assunti tramite concorso pubblico. Le amministrazioni devono però prestare una particolare attenzione a che le motivazioni poste alla base del ricorso a tale strumento siano ben circostanziate, con particolare riferimento alla dimostrazione che quelle professionalità non sono presenti nell'ente e che lo stesso ne ha una specifica necessità (articolo ItaliaOggi del 22.04.2011).

CONSIGLIERI COMUNALIOSSERVATORIO VIMINALE/ Cumulo gettoni.
Sono cumulabili le indennità di funzione e i gettoni di presenza dovuti per mandati elettivi presso enti locali diversi, alla luce delle modifiche apportate all'art. 82 del Tuel dal dl 31/5/10, n. 78 convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 30/7/2010, n. 122?

Il dl n. 78/2010, al comma 11 dell'art. 5, ha stabilito che chi è eletto o nominato in organi appartenenti a diversi livelli di governo non può ricevere più di un emolumento, comunque denominato, a sua scelta.
Ne deriva che il legislatore, estendendo il divieto di cumulo originariamente contemplato solo tra due diverse indennità di funzione, ha precluso la possibilità di percepire contemporaneamente indennità di funzione e gettoni di presenza previsti per le cariche ricoperte presso enti diversi. Pertanto, l'amministratore interessato dovrà optare per uno dei due emolumenti (articolo ItaliaOggi del 22.04.2011).

SICUREZZA LAVOROAMBIENTI CONFINATI/ Le istruzioni del ministero. Appalti nel mirino. I controlli alle direzioni provinciali.
Sotto controllo gli appalti per le attività manutentive o di pulizia in aree confinate (silos, cisterne, pozzi ecc.). Le direzioni provinciali del lavoro (Dpl) provvederanno ad acquisire la documentazione utile a verificare la correttezza degli aspetti gestionali sotto il profilo del rispetto della normativa in materia di salute e sicurezza sul lavoro controllando, tra l'altro, la corretta elaborazione del Duvri (Documento unico di valutazione dei rischi interferenziali) e le misure di prevenzione e protezione.
Lo stabilisce il Ministero del Lavoro nella circolare 19.04.2011 n. 13/2011, a conclusione di una prima iniziativa di verifica avviata con la circolare n. 42/2010 ma praticamente non riuscita.
Nella predetta circolare n. 42/2010, infatti, il ministero aveva già espresso l'intenzione di dare avvio ad azioni specifiche di controllo degli appalti riguardanti attività manutentive o di pulizia di aree confinate, mediante un piano straordinario d'ispezione. Un piano finalizzato a individuare, a monitorare e controllare gli appalti per attività in silos, pozzi, cisterne, serbatoi, cunicoli, impianti di depurazione, gallerie ecc..
Tuttavia, spiega il ministero, da una ricognizione dei risultati (di cui alla nota 11.03.2011 con cui sono state richieste le risultanze del monitoraggio) emerge che a oggi, salvo una casistica limitata, non sono state intraprese iniziative condivise o coordinate con gli organi di vigilanza delle aziende sanitarie locali (Asl), competenti sulla specifica materia per difficoltà operative legate a una non ancora piena attuazione del disegno organizzativo delineato dal T.u. sicurezza (dlgs n. 81/2008) che ha previsto, nell'ambito dei comitati regionali di coordinamento in materia di salute e sicurezza, la costituzione di specifici uffici «operativi» a livello provinciale.
Alla luce di questo primo test negativo, il ministero ci riprova attribuendo la titolarità dell'azione di verifica alle direzioni provinciali del lavoro. Infatti, si legge nella circolare, considerata l'urgenza di porre in essere alcuni interventi immediati per contrastare il fenomeno infortunistico negli ambienti confinati e, comunque, nelle more che le predette iniziative coordinate con gli organi di vigilanza del Servizio sanitario nazionale (Ssn) vengano definite, alle singole dpl è fatto obbligo di provvedere ad acquisire la documentazione utile a verificare la correttezza degli aspetti gestionali degli appalti, anche sotto il profilo del rispetto della normativa in materia di salute e sicurezza. Nello specifico, la circolare stabilisce che durante gli accessi andrà acquisita e verificata:
a) la corretta e completa elaborazione del Duvri da parte delle aziende committenti;
b) le misure di prevenzione e protezione previste per effettuare l'intervento lavorativo;
c) i contenuti e la «effettività» della formazione/informazione nei confronti dei lavoratori delle aziende appaltatrici sui rischi interferenziali delle attività svolte;
d) l'efficienza del sistema organizzativo dell'emergenza (articolo ItaliaOggi del 22.04.2011 - tratto da www.corteconti.it).

GIURISPRUDENZA

APPALTI: Sulla legittimità della regolarizzazione di una dichiarazione presentata da un concorrente in sede di gara corredata da un documento di identità scaduto.
E' legittima la regolarizzazione disposta da una stazione appaltante di una dichiarazione presentata da un concorrente in sede di gara corredata da un documento di identità scaduto.
Compito dell'interprete nel tracciare il confine tra incompletezza ed irregolarità documentale presuppone il contemperamento di due opposte esigenze: da un lato, osservare la par condicio competitorum ed evitare indebite rimessioni in termini per la produzione di documentazione richiesta ab initio dalla lex specialis di gara e, dall'altro, quella della massima partecipazione. Secondo consolidata giurisprudenza, la produzione della copia fotostatica del documento di identità, a corredo delle predette dichiarazioni, ha la funzione di fornire un collegamento tra l'autore delle stesse ed il titolare del documento.
Nel caso di specie, non si verte nell'ipotesi dell'art. 45 del D.P.R. n. 445/2000 in cui, per comprovare i dati personali, occorre produrre un documento di identità valido, pena la necessità di una dichiarazione aggiuntiva dell'interessato circa la persistenza dei dati risultanti dal documento di identità scaduto. Di conseguenza, vi si applicano le regole generali in materia di dichiarazioni sostitutive, secondo cui, qualora le dichiarazioni presentino irregolarità od omissioni rilevabili d'ufficio, non costituenti falsità, l'interessato è tenuto alla regolarizzazione o al completamento della dichiarazione.
D'altra parte, l'art. 77-bis del citato D.P.R. estende, alla materia degli appalti pubblici, la disciplina dettata in tema di dichiarazioni sostitutive (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 18.04.2011 n. 2366 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: La stazione appaltante che, in sede di verifica a campione, accerta il mancato pagamento da parte di un concorrente di una cartella esattoriale, anche se di modesta entità, legittimamente segnala il fatto all'Autorità.
Indipendentemente dal giudizio di gravità della violazione in materia di contributi (giudizio, peraltro, rimesso alla valutazione dell’amministrazione e non all'apprezzamento dell'impresa partecipante alla gara) – la società aveva l’obbligo di rendere la dichiarazione su tutte le violazioni “definitivamente accertate”, giacché la dichiarazione in quanto tale è richiesta per un’ordinaria verifica sull'affidabilità dei soggetti partecipanti, tanto che non si comprenderebbe il meccanismo di verifica a campione, se quest'ultimo non fosse connesso all’obbligatorietà di una dichiarazione, che costituisce il sistema di riferimento per valutare la lealtà dei richiedenti (tra le tante: Cons. Stato, Sez. V, 12.05.2009, n. 3742) (massima tratta da www.dirittodegliappaltipubblici.it - TAR Sicilia-Catania, Sez. I, sentenza 15.04.2011 n. 939 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTISulla regolarità contributiva.
Non essendo stata perfezionata alcuna definizione consensuale e in mancanza d’impugnazione degli avvisi di liquidazione, si deve ritenere che all’epoca di presentazione dell’offerta i debiti tributari della società ricorrente erano definitivamente accertati.
Non rileva, inoltre, la circostanza della regolarizzazione postuma. È sufficiente richiamare sul punto il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui la regolarità contributiva non solo deve sussistere alla data di presentazione della domanda, ma deve conservarsi per tutto lo svolgimento della procedura ed anche durante l'esecuzione del contratto (Consiglio Stato, sez. V, 09.04.2010, n. 1998; TAR Lazio-Roma, sez. III, 03.11.2010, n. 33141).
Ammettere la regolarizzazione successiva costituirebbe in senso contrario un pericoloso vulnus al principio della par condicio dei partecipanti in quanto costituirebbe la premessa per una generalizzata sanatoria di posizioni irregolari nell’ambito dei pagamenti dei tributi da parte delle imprese, nel quale l'obiettivo del legislatore è proprio quello di verificare e premiare comportamenti "virtuosi" perché conformi agli obblighi di legge (TAR Campania-Salerno, sez. I, 07.09.2010, n. 10763) (massima tratta da www.dirittodegliappaltipubblici.it -  TAR Sicilia-Catania, Sez. I, sentenza 14.04.2011 n. 931 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Non rileva che il concorrente abbia omesso di di specificare di non aver subito condanne per specifiche tipologie di reato, in presenza di una dichiarazione ad ampio spettro che esclude l'esistenza di alcuna condanna penale.
Seppur sia mancata nella dichiarazione presentata per partecipare alla procedura di gara una espressa indicazione dell’assenza di condanne per i singoli reati individuati dalla legge (nell’ultima parte dell’art. 38, lett. c) – vi è stata comunque una dichiarazione ad ampio spettro che esclude l’esistenza di alcuna condanna penale che preclude la partecipazione alle gare d’appalto; categoria nella quale, per logica, devono essere senz’altro ricomprese anche le condanne per gli “specifici” reati considerati dalla legge come assolutamente ostativi, ancorché non analiticamente elencati.
La predetta conclusione nasce dal fatto che lettura delle dichiarazioni prodotte ai fini della partecipazione ad una gara di appalto non deve essere animata dallo spirito di rilevare il mero errore formale, o la omissione innocua. Al contrario, deve essere guidata da un serio intento di verifica della posizione effettiva del concorrente, governato dalle regole della logica, ed indirizzato a vagliare la sussistenza obbiettiva delle condizioni richieste dalla legge e dal bando per partecipare a quella selezione; a nulla rilevando l’eventuale circostanza che il possesso dei requisiti sia dichiarato attraverso una strutturazione della domanda, o con espressioni lessicali, diverse da quelle adoperate nel bando. Basti riflettere, in proposito, sul fatto che l’istanza di partecipazione alla gara è destinata ad essere letta e vagliata criticamente da funzionari pubblici, dotati di competenza tecnico/giuridica, e non inserita in un lettore ottico automatizzato del tipo utilizzato nella correzione dei quiz a risposta multipla che richiede l’esatta compilazione di un “modulo”.
D’altra parte, sotto altro profilo, si rileva che la dichiarazione parziale, o incompleta, resa dalla concorrente non avrebbe potuto condurre ex se all’esclusione pretesa dalla ricorrente, ma a limite avrebbe dovuto indurre la stazione appaltante ad istruire ulteriormente la domanda, chiedendo i chiarimenti e/o le integrazioni previste dall’art. 46 del D.Lgs. 163/2006, specie in presenza di diffusi modelli di domanda che -per quanto si è detto sopra al punto c– risultano idonei a fuorviare o indurre in errore i concorrenti.
Ed è evidente che l’esito dell’approfondimento istruttorio ex art. 46 non avrebbe potuto rivelarsi sfavorevole alla controinteressata, dato che si è accertato ex post che nessuna condanna penale (di nessun genere) risulta esserle stata inflitta, come testimonia il certificato del casellario giudiziale prodotto (massima tratta da www.dirittodegliappaltipubblici.it - TAR Sicilia-Catania, Sez. I, sentenza 14.04.2011 n. 920 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIPlico pervenuto aperto alla Commissione di gara - Esclusione del partecipante - Legittimità - Principi di par condicio e segretezza - Invocabilità dell’art. 73, c. 1, d.lgs. n. 163/2006 - Esclusione - Ragioni.
La mera circostanza che il plico sia pervenuto aperto alla Commissione di gara implica l'esclusione della partecipante, indipendentemente dal soggetto cui sia addebitabile l'erronea apertura, stante l'esigenza di assicurare la garanzia dei principi di par condicio e di segretezza delle offerte (cfr. TAR Veneto, I, 19.07.2005, n. 2867, TAR Palermo-Sicilia, II, 13.03.2007, n. 810).
Non vale in contrario richiamare l’art. 73, c. 1, del d.lgs. n. 163/2006, che prevede opzioni alternative per la presentazione delle domande di partecipazione alla gara (telefono, via telematica) incompatibili con un principio di segretezza. Affinché sia praticabile detta soluzione alternativa occorre infatti che il bando ne consenta la modalità, ferma restando, tuttavia, la necessità di garantire, anche in questi casi, l’integrità delle buste fatte pervenire alla stazione appaltante (TAR Lazio-Roma, Sez. I-bis, sentenza 13.04.2011 n. 3224 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTI: Appalti e offerte, valutazione qualità/prezzo graduabile.
Deve ritenersi ammessa sia la possibilità di attribuire una diversa percentuale nella ripartizione del punteggio per l’offerta economica e per quella tecnica (privilegiando il profilo tecnico-qualitativo rispetto a quello economico) sia -come nel caso in esame- stabilendo all’interno di quest’ultima la graduazione del punteggio tra più elementi, ciascuno dei quali meritevole di autonoma considerazione.

L'articolo 83, comma 2, del d.lgs. 12.04.2006 n. 163 prevede che il bando di gara ovvero, in caso di dialogo competitivo, il bando o il documento descrittivo, elencano i criteri di valutazione e precisano la ponderazione relativa attribuita a ciascuno di essi, anche mediante una soglia, espressa con un valore numerico determinato, in cui lo scarto tra il punteggio della soglia e quello massimo relativo all’elemento cui si riferisce la soglia deve essere appropriato.
La norma ha recepito nel nostro ordinamento l’articolo 53 della Direttiva CE 2004/18 e l’articolo 55 della Direttiva CE 2004/17 ed è finalizzata a assicurare l’individuazione dell’offerta che presenta il migliore rapporto qualità/prezzo, nonché la trasparenza dell’attività amministrativa e la parità di trattamento dei concorrenti, per cui l’offerta economicamente più vantaggiosa discende dalla valutazione comparativa di più fattori previamente e discrezionalmente individuati dalla stazione appaltante e resi noti nel bando di gara, che per l’appunto elenca i criteri (o elementi) di valutazione e precisa la ponderazione relativa attribuita a ciascuno di essi.
Il quarto comma dell’articolo 83 soggiunge infatti che il bando per ciascun criterio di valutazione prescelto prevede ove necessario, i sub-criteri e i sub-pesi o i sub-punteggi e la stazione appaltante, tramite la propria organizzazione ovvero uno o più esperti, redige i criteri, i pesi, i punteggi e le relative specificazioni da indicare nel bando di gara.
Sul punto la sentenza appellata, nel rigettare le censure, ha avuto modo di esprimersi esplicitamente nel senso che il collegio ritiene che, nelle gare bandite con il sistema dell’offerta più vantaggiosa, è integra la facoltà della stazione appaltante di adottare la scelta più idonea a selezionare il miglior offerente, la quale è sottratta al sindacato giurisdizionale, se non allorquando si presenti manifestamente illogica o arbitraria.
In particolare, deve ritenersi ammessa sia la possibilità di attribuire una diversa percentuale nella ripartizione del punteggio per l’offerta economica e per quella tecnica (privilegiando il profilo tecnico-qualitativo rispetto a quello economico sia -come nel caso in esame- stabilendo all’interno di quest’ultima la graduazione del punteggio tra più elementi, ciascuno dei quali meritevole di autonoma considerazione.
Tale scelta deve corrispondere alle specificità dell’appalto.
Nella fattispecie in questione, la già ravvisata complessità delle prestazioni tecniche rende necessario valutare tutte le soluzioni proposte, sicché giustifica la scelta di scindere le componenti significative dell’offerta tecnica e sottoporre ognuna di esse a separata valutazione.
Orbene, è indubbio che le procedure quali quella all’esame siano volte all’acquisizione dell’offerta economicamente più vantaggiosa nell’ambito della più ampia partecipazione di concorrenti, ed è altresì incontestabile che i requisiti di partecipazione a tali procedure debbano essere definiti nel modo più oggettivo e chiaro possibile dal punto tecnico, sì da prestarsi non a interpretazioni e valutazioni meramente discrezionali, pregiudizievoli per la stessa partecipazione, bensì a verifiche e accertamenti basati su parametri ben individuati, di carattere matematico e indiscutibile.
Ciò vale anche e soprattutto quando la stazione appaltante intendesse porre sbarramenti “minimi” prevedendo per di più l’esclusione della concorrente ove al di sotto di quei minimi (commento tratto da link a www.ipsoa.it - Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 13.04.2011 n. 2295 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Non è necessaria la previa presentazione della domanda di partecipazione ai fini dell'impugnazione del bando stesso, in presenza di c.d. clausole escludenti.
In caso di presenza di c.d. clausole escludenti, che cioè impediscono la formazione dell'offerta, non è necessaria la previa presentazione della domanda di partecipazione ai fini dell'impugnazione del bando stesso. In particolare, la giurisprudenza comunitaria ha affermato la necessità di impugnare gli atti della procedura di gara qualora si assuma un'incidenza discriminatoria nei confronti delle proprie domande.
È stato poi ritenuto che quando la partecipazione alla procedura è preclusa dallo stesso bando, sussiste l'interesse a gravare la relativa determinazione a prescindere dalla mancata presentazione della domanda, posto che la presentazione della stessa si risolve in un adempimento formale inevitabilmente seguito da un atto di esclusione, con un risultato analogo a quello di un'originaria preclusione e perciò privo di una effettiva utilità pratica.
Diversamente avviene per l'impugnativa riguardante l'aggiudicazione da parte di un soggetto che non ha partecipato alla gara di cui si chiede l'annullamento. Infatti, la domanda giudiziale volta alla caducazione degli atti di una procedura concorsuale di cui si contesti la legittimità presuppone che l'attore qualifichi e differenzi il proprio interesse in termini di attualità e concretezza, ex art. 100 c.p.c, mediante la proposizione della domanda di partecipazione alla gara e la formulazione della propria offerta (TAR Puglia-Lecce, Sez. II, sentenza 13.04.2011 n. 684 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

EDILIZIA PRIVATAProvvedimento di localizzazione di parcheggio pubblico - Impugnazione - Carenza di interesse attuale - Ragioni.
La mera localizzazione di un parcheggio pubblico -che non è né una discarica, né un’area industriale/artigianale, né un condominio con parecchi appartamenti, opere che determinano inevitabilmente un peggioramento delle condizioni di vita della zona- non incide di per sé sulla maggiore o minore vivibilità dell’area in cui esso è localizzato, essendo conseguenza la stessa delle concrete modalità con cui verrà inglobata nella zona la costruzione.
Ne consegue che deve essere dichiarato inammissibile il ricorso avverso tale provvedimento per carenza di interesse attuale (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 13.04.2011 n. 551 - link a www.ambientediritto.it).

SICUREZZA LAVOROAMIANTO - Prescrizioni vincolanti sullo svolgimento dei lavori di demolizione o rimozione - Potere dell’ASL - Attribuzione - d.lgs. n. 106/2009, art. 118, c. 1, lett. c) - Art. 256 d.lgs. n. 81/2008.
Il potere di impartire prescrizioni vincolanti sullo svolgimento dei lavori di demolizione o rimozione dell’amianto, è stato attribuito all’ASL solo con l’art. 118, comma 1, lettera c), del d.lgs. 03.08.2009 n. 106, in vigore dal 20 agosto successivo, che ha aggiunto un capoverso in tal senso al citato art. 256 d. lgs. 81/2008 (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 13.04.2011 n. 549 - link a www.ambientediritto.it).

AMBIENTE-ECOLOGIARIFIUTI - Deposito temporaneo - Trasporto in luogo diverso da quello di produzione - Divieto - Art. 183, c. 1, lett. bb), d.lgs. n. 152/2006.
Ai sensi dell’art. 183 comma 1 lettera bb) del d. lgs. 152/2006, in materia di deposito temporaneo, non è contemplato né consentito il movimento dei rifiuti in luogo diverso da quello di produzione.
RIFIUTI - Art. 183, c. 1, lett. aa), d.lgs. n. 152/2006 - Deposito effettuato in luogo estraneo a quello di produzione - Stoccaggio.
Ai sensi dell’art. 183, comma 1, lettera aa), del d. lgs. 152/2006, lo stoccaggio comprende fra l’altro “le attività di smaltimento consistenti nelle operazioni di deposito preliminare di rifiuti di cui al punto D15 dell'allegato B alla parte quarta del presente decreto”; esaminando poi l’allegato richiamato, si ricava che è appunto stoccaggio il deposito preliminare ad una operazione di smaltimento,e che dal concetto di stoccaggio è escluso il deposito temporaneo dei rifiuti “nel luogo in cui sono prodotti”.
Ne deriva che non può considerarsi deposito temporaneo (nella specie, di lastre di amianto) il deposito effettuato in luogo estraneo a quello di produzione dei rifiuti: trattandosi di fase prodromica allo smaltimento, esso va invece correttamente qualificato come stoccaggio (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 13.04.2011 n. 549 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTI: Sull'applicabilità delle disposizioni di cui all'art. 11, c. 10, del D.lgs. n. 163/2006, anche alle procedure di affidamento mediante cottimo fiduciario.
Le disposizioni di cui all'art. 11, c. 10, del D.lgs. n. 163/2006, sono applicabili anche alle procedure di affidamento mediante cottimo fiduciario, in quanto l'obbligo di comunicare l'aggiudicazione definitiva e la c.d. clausola stand still sono riconducibili al principio di trasparenza che, in base all'art. 125, c. 11, del medesimo decreto deve trovare applicazione anche in detta procedura. La clausola stand still, inoltre, è funzionale a garantire la tempestività e l'efficacia dell'esercizio del diritto di agire in giudizio da parte dei concorrenti che si ritengano ingiustamente pregiudicati dall'esito della gara.
Poiché tale obiettivo è privilegiato dall'ordinamento nazionale ed europeo rispetto alla celerità nella conclusione del contratto, tanto i menzionati obblighi informativi di cui all'art. 79, quanto la clausola stand still di cui all'art. 11, c. 10, sono applicabili anche al cottimo fiduciario, perché finalizzati ad assicurare l'effettività di un principio fondamentale nel settore dei contratti pubblici, che non attiene specificamente alle modalità di svolgimento della gara, a cui fa riferimento il citato c. 11 dell'art. 125 (TAR Lazio-Roma, Sez. II-ter, sentenza 11.04.2011 n. 3169 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

EDILIZIA PRIVATA: Istanza di condono senza sanatoria anticipata.
La mera presentazione dell'istanza di condono non autorizza la prosecuzione dei lavori abusivi a completamento delle opere oggetto della richiesta di sanatoria, le quali, fino al momento dell'eventuale accoglimento della domanda di condono, devono ritenersi comunque abusive. Laddove poi si tratti di opere eseguite in area vincolata –come nella specie- occorre che venga acquisito il parere delle autorità competenti ed è inapplicabile il meccanismo del silenzio assenso, alla luce delle disposizioni di cui alla legge summenzionata. Pertanto l’ingiunzione di demolizione è del tutto legittima atteso che in presenza di manufatti abusivi non condonati né sanati, gli interventi ulteriori (sia pure riconducibili, nella loro oggettività, alle categorie della manutenzione straordinaria, del restauro e/o risanamento conservativo, della ristrutturazione, della realizzazione di opere costituenti pertinenze urbanistiche) ripetono le caratteristiche di illegittimità dell'opera principale, alla quale ineriscono strutturalmente, sicché non può ammettersi la prosecuzione dei lavori abusivi a completamento di opere che, fino al momento di eventuali sanatorie, devono ritenersi comunque abusive, con conseguente obbligo del Comune di ordinarne la demolizione.
Ciò non significa negare in assoluto la possibilità di intervenire su immobili rispetto ai quali pende istanza di condono, ma solo affermare che, a pena di assoggettamento della medesima sanzione prevista per l'immobile abusivo cui ineriscono, ciò deve avvenire nel rispetto delle procedure di legge, ovvero segnatamente dell'art. 35, l. n. 47 del 1985.
Detta norma consente -in presenza dei richiesti presupposti, fra i quali che si tratti di opere di cui all'art. 31, non comprese tra quelle indicate nell'art. 33- queste non suscettibili di sanatoria in quanto incidenti su aree gravate da vincoli di inedificabilità assoluta- il completamento sotto la propria responsabilità di quanto già realizzato e fatto oggetto di domanda di condono edilizio solo al decorso del termine dilatorio di trenta giorni dalla notifica al Comune del proprio intendimento, con allegazione di perizia giurata ovvero documentazione avente data certa in ordine allo stato dei lavori abusivi.
Pertanto alcun rilievo hanno i riferimenti di parte ricorrente circa l’impossibilità per l’Amministrazione di demolire opere oggetto di condono, da intendersi esitato con silenzio assenso con il decorso del termine di ventiquattro mesi dalla presentazione dell’istanza (primo motivo), ovvero comunque in pendenza della definizione del procedimento di condono (secondo motivo), essendo stata la rimessione in pristino disposta con l’ordinanza gravata con il ricorso principale adottata in relazione alle opere successivamente realizzate dalla ricorrente e non rientranti nel progetto di condono.
In ogni caso, a prescindere da tali assorbenti rilievi, il primo motivo di ricorso è infondato anche laddove postula che la domanda di condono doveva intendersi definita positivamente per silenzio assenso.
Infatti in tema di condono edilizio, il silenzio-assenso previsto dall'art. 35, l. n. 47 del 1985 non si forma per il solo fatto dell'inutile decorso del termine indicato da tale norma (ventiquattro mesi dalla presentazione dell'istanza) e del pagamento dell'oblazione, senza alcuna risposta del Comune, ma occorre altresì la prova della ricorrenza dei requisiti soggettivi ed oggettivi stabiliti dagli art. 31 e ss. della stessa legge cui è subordinata l'ammissibilità del condono.
Parte ricorrente non ha al riguardo dato prova della ricorrenza di tutti i requisiti per la condonabilità delle opere oggetto dell’istanza di condono, né della completezza della documentazione, per cui alcuna prova vi è che l’istanza in oggetto si sia definita per silenzio assenso.
Il termine biennale per la formazione del silenzio assenso su domanda di condono edilizio, previsto dall'art. 35, l. 28.02.1985 n. 47, non decorre qualora la domanda sia carente dei documenti necessari ad identificare compiutamente le opere oggetto della richiesta sanatoria e dunque quando manchi la prova concreta della sussistenza dei requisiti soggettivi ed oggettivi richiesti, con la conseguenza che il termine di ventiquattro mesi, fissato dall'amministrazione comunale per determinarsi sull'istanza stessa decorre, in caso di incompletezza della domanda o della documentazione inoltrata a suo corredo, soltanto dal momento in cui dette carenze sono state eliminate.
Inoltre la zona in cui sono stati realizzati gli interventi de quibus è sottoposta a vincolo, ex L.R. n. 35/1987, come si evince dal gravato provvedimento, per cui il silenzio assenso dell'amministrazione comunale si poteva formare, ferma restando la necessità della ricorrenza dei requisiti oggettivi e soggettivi per la condonabilità delle opere, in relazione al disposto dell'art. 32 della stessa L. n. 47/1985, con il decorso del termine di ventiquattro mesi dalla conclusione in senso favorevole per l’istante del procedimento relativo al rilascio del parere dell’autorità preposta alla tutela del vincolo.
Del pari infondato è il secondo motivo di ricorso, laddove si afferma il difetto di motivazione e di istruttoria del gravato provvedimento, per non avere l’Amministrazione considerato la sanabilità delle opere di cui è causa e in considerazione della scarsa incidenza delle opere medesime sull’assetto urbanistico.
Ed invero presupposto per l’adozione dell’ordine di demolizione di opere abusive è soltanto la constatata esecuzione di un intervento edilizio in assenza del prescritto titolo abilitativo, con la conseguenza che, essendo tale ordine un atto dovuto, esso è sufficientemente motivato con l’accertamento dell’abuso, e non necessita di una particolare motivazione in ordine all’interesse pubblico alla rimozione dell’abuso stesso, -che è in re ipsa, consistendo nel ripristino dell’assetto urbanistico violato- ed alla possibilità di adottare provvedimenti alternativi.
Pertanto alcuna valutazione sulla sanabilità delle opere de quibus doveva essere effettuata dall’Amministrazione in quanto le opere medesime non hanno formato oggetto di alcuna istanza di sanatoria; pertanto l’ingiunzione di demolizione si giustifica con il mero richiamo alla realizzazione delle stesse in assenza del prescritto permesso di costruire.
Inoltre le opere de quibus, come detto, costituiscono opere di completamento di un fabbricato da ritenersi abusivo fino al momento della definizione del procedimento di condono, per cui ripetono le caratteristiche di abusività dell’immobile principale al quale accedono, secondo la richiamata giurisprudenza.
Infine tali opere necessitavano comunque di permesso di costruire, a prescindere dalla circostanza che trattasi di opere di completamento di un fabbricato rispetto al quale non era stato ancora concesso il condono, in quanto trattasi per lo più di opere esterne –opere murarie e di tettoie di rilevanti dimensioni– incidenti sui prospetti, realizzate tra l’altro in zona sottoposta a vincolo ex L.R. n. 35/1987.
Gli interventi consistenti nell’installazione di tettoie o di altre strutture che siano comunque apposte a parti di preesistenti edifici come strutture accessorie di protezione o di riparo di spazi liberi (cioè non compresi entro coperture volumetriche previste in un progetto assentito), possono ritenersi sottratti al regime della concessione edilizia (oggi permesso di costruire) soltanto ove la loro conformazione e le loro ridotte dimensioni rendano evidente e riconoscibile la loro finalità di arredo o di riparo e protezione (anche da agenti atmosferici) dell’immobile cui accedono.
Invece tali strutture non possono ritenersi installabili senza permesso di costruire allorquando abbiano dimensioni, come nell’ipotesi di specie, tali da arrecare una visibile alterazione del prospetto dell’edificio
Del pari necessitava di permesso di costruire, ex art. 10 D.P.R. 380/2001, la realizzazione del bagno nel locale sottoscale, in considerazione dell’aumento di superficie connesso alla trasformazione della superficie non residenziale del locale sottoscala nel quale lo stesso è stato realizzato a superficie residenziale, con conseguente aumento superficie (commento tratto da link a www.ipsoa.it - TAR Campania-Napoli, Sez. VII, sentenza 08.04.2011 n. 1999 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICA: Il Comune è obbligato a reintegrare la disciplina urbanistica a seguito della decadenza dei vincoli preordinati all'esproprio.
La decadenza dei vincoli urbanistici preordinati all’esproprio comporta l’obbligo per il Comune di “reintegrare” la disciplina urbanistica dell’area interessata dal vincolo decaduto con una nuova pianificazione.
Ne consegue che il proprietario dell’area interessata può presentare un’istanza, volta a ottenere l’attribuzione di una nuova destinazione urbanistica - così come è avvenuto nel caso in esame - e l’amministrazione è tenuta ad esaminarla, anche nel caso in cui la richiesta medesima non sia suscettibile di accoglimento, con l’obbligo di motivare congruamente tale decisione (massima tratta da www.dirittodegliappaltipubblici.it - TAR Sicilia-Palermo, Sez. II, sentenza 08.04.2011 n. 690 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: SICUREZZA - Certificato di prevenzione incendi - Art. 3, c. 5 d.P.R. n. 37/1998 - Dichiarazione di avvenuto rispetto delle prescrizioni antincendio, in attesa del sopralluogo dei VV.F. - Efficacia - Termine - Individuazione.
L’art. 3, comma 5 del D.P.R. n. 37/1998, dopo aver stabilito che “l’interessato, in attesa del sopralluogo può presentare una dichiarazione (…) con la quale attesta che sono state rispettate le prescrizioni vigenti in materia di sicurezza antincendio e si impegna al rispetto degli obblighi connessi all’esercizio dell’attività” e ulteriormente “che il comando rilascia all’interessato contestuale ricevuta del’avvenuta presentazione della dichiarazione, che costituisce, ai soli fini antincendio, autorizzazione provvisoria all’esercizio dell’attività”, non subordina a limiti temporali l’attitudine sostitutiva della dichiarazione di avvenuto rispetto delle prescrizioni antincendio -debitamente presentata al Comando dei VV.F. unitamente alla richiesta del sopralluogo- la quale è pertanto idonea a surrogare il formale certificato di prevenzione incendi non solo fino allo spirare del termine legale di conclusione del relativo procedimento, ma anche fino alla data di effettuazione del sopralluogo e di emissione del conseguente certificato, non potendosi riverberare sulla sfera giuridica del privato l’eventuale ritardo dell’Organismo tecnico competente all’espletamento delle incombenze connesse all’ottenimento della contestata abilitazione.
SICUREZZA - Certificato di prevenzione incendi - Appaltatore e subappaltatore - Artt. 26 e 46 d.lgs. n. 81/2008 - Requisito di partecipazione alle gare d’appalto - Esclusione.
L’art. 26 del d.lgs. n. 81/2008, inerente gli obblighi in materia di sicurezza a carico dell’appaltatore e del subappaltatore, non fa menzione del possesso del certificato di prevenzione incendi, il quale non è del resto neanche indicato dall’art. 46 come requisito di partecipazione alle gare d’appalto (TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 08.04.2011 n. 366 - link a www.ambientediritto.it).

AMBIENTE-ECOLOGIAINQUINAMENTO ACUSTICO - Classificazione acustica - Mancanza - Limiti differenziali - Operatività - Esclusione - Art. 8, c. 1, D.P.C.M. 14/11/1997.
Nelle more della classificazione del territorio comunale ai sensi dell'art. 6, comma 1, lett. a), della L. n. 447 del 1995, sono operativi i limiti c.d. "assoluti" di rumorosità, ma non anche quelli c.d. "differenziali" (v. TAR Puglia Bari, sez. I, 14.05.2010, n. 1896; TAR Emilia Romagna Parma, sez. I, 01.07.2008, n. 385, TAR Puglia -LE- sez. I, 13/06/2007 n. 2334; TAR Lombardia -MI- sez. I, 01/03/2004 n. 813; TAR Veneto, sez. III, 31/03/2004 n. 847).
Alla base di tale indirizzo vi è l'univoca formulazione dell'art. 8, comma 1, del D.P.C.M. 14/11/1997, secondo cui in attesa che i comuni provvedano agli adempimenti previsti dall'art. 6, c. 1, lett. a) della L. n. 447/1995, si applicano i limiti di cui all'art. 6, c. 1, del D.P.C.M. 01.03.1991.
Da tale norma si evince che, ove si fosse voluto far sopravvivere integralmente il regime transitorio di cui all'art. 6 del decreto (primo comma relativo ai c.d. limiti "assoluti" e secondo comma relativo ai c.d. limiti "differenziali"), sarebbe stato evidentemente necessario operare il rinvio ad ambedue le fattispecie e quindi non al solo primo comma (TAR Friuli Venezia Giulia, Sez. I, sentenza 08.04.2011 n. 183 - link a www.ambientediritto.it).

ATTI AMMINISTRATIVIASSOCIAZIONI E COMITATI - DIRITTO DEI CONSUMATORI - Associazioni di consumatori - Potere generalizzato di accesso ai documenti riferiti all’attività di un gestore di servizio pubblico - Inconfigurabilità - Art. 140 Codice dei consumatori - Estensione.
La titolarità (o la rappresentatività) degli interessi diffusi non giustifica un generalizzato e pluricomprensivo diritto alla conoscenza di tutti i documenti riferiti all’attività di un gestore del servizio ma solo degli atti, relativi a servizi rivolti ai consumatori, che incidono, in via diretta ed immediata, e non in via meramente ipotetica e riflessa, sui loro interessi.
Né tale potere generalizzato di accesso può farsi discendere dall’art. 140 del Codice dei consumatori, approvato con D.L.vo 06.09.2005 n. 206, giacché detta norma, nel regolamentare le modalità di tutela degli interessi collettivi, non contempla un generale potere di accesso a fini ispettivi, ma esplicitamente limita la tutela degli interessi collettivi (per la quale sono legittimate ad agire le associazioni) ad ipotesi specifiche, ed in particolare all’inibitoria giudiziale degli atti e comportamenti lesivi degli interessi dei consumatori e degli utenti (sub lett. a), all’adozione di “misure idonee” a correggere ed eliminare gli effetti dannosi delle violazioni accertate (sub lett. b) ed alla pubblicazione del provvedimento su quotidiani nazionali o locali (sub lett. c) (Cons. Stato, VI Sez., 10.02.2006 n. 555) (TAR Lazio-Roma, Sez. III-quater, sentenza 07.04.2011 n. 3102 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATANozione di pertinenzialità - Differenziazione rispetto alla nozione civilistica.
In materia urbanistica la nozione di pertinenzialità ha peculiarità sue proprie che la differenziano da quella civilistica, atteso che il manufatto deve essere non solo preordinato ad una oggettiva esigenza dell’edificio principale e funzionalmente inserito al suo servizio, ma deve essere, oltre che di volume modesto affinché non comporti il c.d. carico urbanistico, altresì sfornito di autonoma destinazione ed autonomo valore di mercato in virtù dell’instaurazione di un legame giuridico-funzionale stabile tra pertinenza e singola unità immobiliare; legame a causa del quale l’una e l’altra non possano utilizzarsi e disporsi separatamente (cfr., tra le tante, Cons. Stato, Sez. IV 17.05.2010 n. 3127, 15.09.2009 n. 5509, 23.07.2009 n. 4636 e 07.07.2009 n. 3379) (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 07.04.2011 n. 2159 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTI: Informative prefettizie ex articolo 10, lett. b), dpr 252/1998: la discrezionalità delle valutazioni effettuate dal prefetto è sindacabile solo sotto il profilo della illogicità, incoerenza o inattendibilità.
Nel rendere le informazioni richieste ai sensi dell'art. 10 del D.P.R. 03.06.1998, n. 252, il Prefetto non deve basarsi su specifici elementi, ma deve effettuare la propria valutazione sulla scorta di uno specifico quadro indiziario, ove assumono rilievo preponderante i fattori induttivi della non manifesta infondatezza che i comportamenti e le scelte dell'imprenditore possano rappresentare un veicolo di infiltrazione delle organizzazioni criminali negli appalti delle pubbliche amministrazioni (massima tratta da www.dirittodegliappaltipubblici.it - TAR Sicilia-Palermo, Sez. I, sentenza 07.04.2011 n. 679 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAGazebo - Natura di costruzione - Volume edilizio - Esclusione.
Un gazebo, costituito da quattro colonne con sovrastante copertura, non configura un volume edilizio, essendo aperta su tutti i lati, e dunque non è soggetta a concessione edilizia (TAR Piemonte, sez. I, 19.11.2010, n. 4158): esso può senza dubbio essere qualificato come arredo per spazi esterni e non già come costruzione, tale da richiedere una concessione edilizia (Tribunale di Napoli, 18.12.2004) (TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 07.04.2011 n. 526 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTI: DURC irregolare? Ditta esclusa dalla gara di appalto.
Con la sentenza 04.04.2011 n. 2100, il Consiglio di Stato -Sez. VI- ha affermato -diversamente rispetto a quanto espresso in una recente sentenza (C.d.S. n. 1228 depositata in segreteria il 24.02.2011)- che una sola violazione contributiva con un DURC non in regola, è motivo di esclusione da una gara pubblica.
Con ricorso proposto al TAR per il Veneto una società impugnava il provvedimento di esclusione dalla gara per l’affidamento di un servizio di progettazione, indetta dalla Camera di commercio industria artigianato e agricoltura di un Comune della Regione Veneto, con l’ulteriore sanzione consistente nella segnalazione all’Autorità di vigilanza sui contratti pubblici per l’annotazione sul casellario da questa tenuto.
Alla suddetta determinazione la stazione appaltante perveniva sul rilievo che la società ricorrente non era in possesso, alla data di scadenza del termine di presentazione dell’offerta, del requisito di regolarità contributiva, secondo quanto previsto dall’art. 38, comma 1, lett. i) del d.lgs. 12.04.2006, n. 163 (cd. Codice degli Appalti Pubblici) e dall’alleg. A), lett. l) alla lettera di invito, ed aveva altresì sul punto presentato una dichiarazione non veritiera.
Si evidenzia che l’art. 38, comma 1, lettera i), del D.Lgs. n. 163 del 2006 dispone, per la parte che qui rileva, che “(…) sono esclusi dalla partecipazione alle procedure di affidamento delle concessioni e degli appalti di lavori, forniture e servizi, né possono essere affidatari di subappalti, e non possono stipulare i relativi contratti i soggetti (...) che hanno commesso violazioni gravi, definitivamente accertate, alle norme in materia di contributi previdenziali e assistenziali, secondo la legislazione italiana o dello Stato in cui sono stabiliti (…)”.
Una recente sentenza.
Il Consiglio di Stato su un argomento molto simile a quello oggetto del presente commento, ha affermato che i debiti previdenziali di entità minima non possono causare l’esclusione dalla partecipazione a gare di appalto pubbliche da parte delle imprese private; una ditta partecipante ad una gara d'appalto, qualora il bando di gara richieda genericamente, come nel caso di specie, una sua dichiarazione di insussistenza delle cause di esclusione di cui all'art. 38, comma 1, lett. i), del d.lgs. n. 163/2006, può essere escluso soltanto qualora la stazione appaltante sia oggettivamente certa che l'eventuale debito contributivo dichiarato sia grave e definitivamente accertato, e cioè non esistano in atti di gara elementi che possano condurre a diversa conclusione, mediante accertamenti ulteriori.
Il Consiglio di Stato evidenzia, inoltre, che soltanto quando il bando richieda che debbano essere dichiarate tutte le violazioni contributive in cui il concorrente sia eventualmente incorso, può dedursi che lo stesso bando esiga una dichiarazione dal contenuto più ampio e più puntuale rispetto a quanto prescritto dall'art. 38 del D.Lgs. 163/2006; infatti, soltanto in tali ipotesi può decidersi che la stazione appaltante si sia riservata una valutazione più ampia di gravità o meno dell'illecito per poter procedere all'esclusione dalla gara, in ragione di una causa che non sia solo quella, sostanziale, dell'essere stata commessa una grave violazione (nella specie contributiva), ma anche quella, formale, di aver omesso una dichiarazione prescritta dal bando.
La sentenza n. 2100 del Consiglio di Stato.
I giudici di Palazzo Spada, nella parte del dispositivo della sentenza che è di interesse per l’argomento oggetto del presente commento, affermano che l’intrinseca gravità dell’omissione contributiva del DURC (documento unico di regolarità contributiva) rilasciato dagli istituti di previdenza ha attestato una situazione di inadempienza per un importo di euro 14.000,00, riferito a tre periodi di contribuzione (mesi di luglio, agosto, settembre 2008).
Applicando i parametri di cui all’art. 8, comma 3, del DM 24.10.2007 che individuano come cause non ostative al rilascio del documento di regolarità contributiva uno scostamento di euro 100,00 rispetto al dovuto, o non superiore al 5% fra le somme dovute e quelle versate, con riferimento a ciascun periodo di paga o di contribuzione, la violazione accertata supera entrambi detti limiti di tolleranza.
Con riguardo, in particolare, allo scostamento percentuale, l’omissione contributiva è stata totale per tre periodi di contribuzione e, ragguagliata all’ intero arco annuale di contribuzione, supera ampiamente il limite di tolleranza del 5 %.
La decisione della stazione appaltante di esclusione dalla gara non si configura pertanto irragionevole, in raffronto ai parametri che in via ordinaria presiedono il rilascio del DURC, né sproporzionata al fine perseguito dalla disciplina sui requisiti di ammissione alle gare pubbliche che, con “riguardo alla c.d. correntezza contributiva, eleva ad elemento di affidabilità della ditta contraente il corretto assolvimento degli obblighi di contribuzione nei confronti delle maestranze ed, allo stesso tempo, ne rafforza l’ adempimento a salvaguardia di diritti non disponibili del lavoratore”.
Il requisito di correntezza contributiva , osservano i giudici amministrativi del Consiglio di Stato, va posseduto, come ogni altro requisito di ammissione, alla data di scadenza per la presentazione della domanda di partecipazione e non esplica effetto sanante, la sua regolarizzazione in data successiva (commento tratto da link a www.ipsoa.it - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATABENI CULTURALI E AMBIENTALI - Annullamento dell’autorizzazione paesaggistica - Termine di sessanta giorni - Decorrenza - Individuazione.
La decorrenza del termine di sessanta giorni, previsto dall'art. 82, nono comma, d.P.R. n. 616 del 1977, per l'esercizio del potere di annullamento, da parte del Ministero dei beni culturali ed ambientali, dell'autorizzazione paesaggistica ex art. 7 l. 29.06.1939, n. 1497, inizia solo dal momento in cui la documentazione perviene, completa, all'organo competente a decidere, a meno che l'interruzione del termine non risulti pretestuosa e persegua fini meramente dilatori (Cons. Stato, VI, 19.06.2001, n. 3233) (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 04.04.2011 n. 2087 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTI: Variazioni sul progetto a base di gara.
Il Consiglio di Stato sull'ammissibilità o meno di offerte che prevedono variazioni rispetto al progetto posto a base di gara.

Il Consiglio di Stato, Sez. V, con la sentenza 29.03.2011 n. 1925, riformando parzialmente la precedente pronuncia dei TAR, si esprime sull'ammissibilità o meno di offerte che prevedono variazioni rispetto al progetto posto a base di gara; ricordando che la previsione esplicita della possibilità di presentare varianti progettuali in sede di offerta, già contemplata dalla Legge Merloni 109/1994, è stata generalizzata dall'art. 76 del Codice dei contratti pubblici con riferimento al criterio di aggiudicazione dell'offerta economicamente più vantaggiosa appalto. La stazione appaltante, in sede di redazione della lex specialis costituita dal bando di gara, deve indicare se le varianti sono ammesse e, in caso affermativo, identificare i loro requisiti minimi.
Il Consiglio di Stato ricorda come la ratio della scelta normativa riposi sulla circostanza che, allorquando il sistema di selezione delle offerte sia basato sul criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa, la stazione appaltante abbia maggiore discrezionalità nella scelta del contraente, valutando non solo indicatori matematici ma la complessità dell'offerta proposta, sicché nel corso del procedimento di gara potrebbero rendersi necessari degli aggiustamenti rispetto al progetto base elaborato dall'amministrazione; nel caso invece di offerta selezionata col criterio del prezzo più basso, poiché tutte le condizioni tecniche sono predeterminate al momento dell'offerta e non vi è alcuna ragione per modificare l'assetto contrattuale, non è mai ammessa la possibilità di presentare varianti.
Tuttavia, a prescindere dalla espressa previsione di varianti progettuali in sede di bando, deve ritenersi insito nella scelta del criterio selettivo dell'offerta economicamente più vantaggiosa che, anche quando il progetto posto a base di gara sia definitivo, sia consentito alle imprese proporre quelle variazioni migliorative rese possibili dal possesso di peculiari conoscenze tecnologiche, purché non si alterino i caratteri essenziali delle prestazioni richieste dalla lex specialis onde non ledere la par condicio dei concorrenti. Vengono quindi richiamati e confermati i criteri guida elaborati dalla giurisprudenza, relativi alle varianti in sede di offerta nelle gare di appalto; i quali prevedono che:
• debbano ritenersi ammesse varianti migliorative riguardanti le modalità esecutive dell'opera o del servizio, purché non si traducano in una diversa ideazione dell'oggetto del contratto, che si ponga come del tutto alternativo rispetto a quello voluto dalla p.a.;
• risulti essenziale che la proposta tecnica sia migliorativa rispetto al progetto base, che l'offerente dia contezza delle ragioni che giustificano l'adattamento proposto e le variazioni alle singole prescrizioni progettuali, che si dia la prova che la variante garantisca l'efficienza del progetto e le esigenze della p.a. sottese alla prescrizione variata;
• vada riconosciuto un ampio margine di discrezionalità alla commissione giudicatrice, trattandosi dell'ambito di valutazione dell'offerta economicamente più vantaggiosa (commento tratto da www.legislazionetecnica.it - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Appalti pubblici e CTU sulle valutazioni tecnico-discrezionali.
Con la sentenza 28.03.2011 n. 1871, la IV Sezione del Consiglio di Stato mette a fuoco l’ambito di applicazione della consulenza tecnica d’ufficio negli appalti pubblici.
La pronuncia non è importante solo per le considerazioni effettuate in ordine alla ratio ed alle finalità che assume la CTU nel giudizio amministrativo, ma soprattutto perché, nel richiamare le concrete modalità con la quale la CTU è stata espletata nel corso del giudizio, i Giudici di Palazzo Spada indicano l’operato del Consulente quasi come un modello di riferimento per l’espletamento delle future consulenze tecniche, ai fini del sindacato giurisdizionale dell’operato di una Commissione di gara.
La vicenda trae origine in seguito alla procedura ristretta indetta per l’affidamento, a contraente generale, delle attività di realizzazione con del Macrolotto n. 2 Autostrada SA-RC, da aggiudicarsi con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa.
Intervenuta l’aggiudicazione della gara in favore di un Consorzio stabile, il R.T.I. secondo in graduatoria proponeva dapprima ricorso al TAR Lazio e poi, in seguito al rigetto, appellava al Consiglio di Stato.
Ai fini della decisione della controversia, e per valutare le censure sollevate dalle parti in relazione all’operato della Commissione giudicatrice, i giudici disponevano una consulenza tecnica d’ufficio.
In particolare, la consulenza doveva valutare la ragionevolezza dell’operato della Commissione in relazione ai punteggi assegnati alle offerte tecniche delle parti in causa.
Il Consiglio di Stato, all’esito delle operazioni peritali, ha respinto l’appello principale ritenendolo infondato.
Ripercorrendo i passi principali della decisione si evidenzia come il Collegio, prima di valutare l’operato della Commissione di gara, ha delineato in maniera chiara e precisa il ruolo che la CTU assume nel giudizio amministrativo: “... la Sezione è ben consapevole dei rischi di un’ingerenza del sindacato giurisdizionale in una sfera di valutazioni discrezionali (quelle relative al giudizio sugli elementi delle offerte tecniche e sulla consequenziale attribuzione dei punteggi) pacificamente riservata all’Amministrazione; tuttavia, è ormai da circa un decennio che la giurisprudenza è approdata a una più chiara consapevolezza della demarcazione esistente tra le valutazioni di opportunità afferenti alla discrezionalità “pura”, ovvero addirittura al merito amministrativo, e quelle che la p.a. è chiamata a condurre alla stregua di regole tecniche richiamate dalla stessa legge: si è così pervenuti ad ammettere da parte del giudice un sindacato non soltanto limitato alla verifica di coerenza logica tra le regole tecnico-scientifiche cui si è fatto ricorso nella scelta discrezionale e la determinazione conclusiva (c.d. sindacato estrinseco), ma bensì esteso anche alla stessa attendibilità delle operazioni tecniche e dei loro risultati (c.d. sindacato intrinseco). Secondo l’indirizzo ormai prevalente, un tale sindacato va condotto sotto il duplice profilo della correttezza del criterio tecnico individuato dalla p.a. e della correttezza del procedimento seguito dalla stessa Autorità per l’applicazione del criterio tecnico prescelto, e si giustifica sulla base della netta distinzione tra la “opinabilità” che caratterizza le valutazioni tecniche e la “opportunità” che connota invece le scelte di merito, tale da rendere da un lato giustificata e ragionevole la riserva delle seconde all’amministrazione, ma al tempo stesso doveroso e imprescindibile il controllo di legalità (anche) sulla corretta applicazione delle regole tecniche cui fa richiamo la norma giuridica, che costituisce comunque il parametro di riferimento del giudizio di legittimità dell’azione amministrativa[…]. Nella giurisprudenza successiva, peraltro, è stato chiarito che il predetto sindacato “intrinseco” deve pur sempre arrestarsi al momento della verifica di congruenza del procedimento tecnico adottato dalla p.a., senza pretendere di sostituire al giudizio di quest’ultima quello del giudice (c.d. sindacato “debole”): ciò in quanto, allorché vi siano interessi la cui cura sia dalla legge espressamente delegata ad un certo organo amministrativo, l’ammettere che il giudice possa “autoattribuirseli” rappresenterebbe quanto meno una violazione delle competenze, se non addirittura del principio di separazione tra i poteri dello Stato[…]. Pur con questi limiti, ha costituito in ogni caso un progresso ineliminabile, sul piano delle garanzie per i cittadini amministrati, la possibilità di accesso del giudice al fatto attraverso lo strumento della C.T.U., e la conseguenziale piena censurabilità –sia pure nei limiti appena evidenziati– anche del vizio di eccesso di potere, segnatamente nella sua figura sintomatica rappresentata dall’erronea rappresentazione o dal travisamento dei fatti”.
I principi e le regole richiamate dal Consiglio di Stato sono stati applicati in maniera rigorosa nel corso del giudizio, tanto che il Collegio ha sottolineato come “…la rigorosa modalità eseguita dal consulente per darvi risposta costituisce un esempio quasi emblematico di esercizio di un sindacato sulle valutazioni tecnico-discrezionali dell’Amministrazione contenuto nei limiti appena indicati”.
Ed infatti, nei quesiti formulati al Consulente tecnico d’ufficio, è stato richiesto non di ripetere le valutazione delle offerte tecniche, ma di individuare un “verosimile percorso logico” per apprezzare la congruenza e ragionevolezza dell’operato della Commissione sulla sola base dei criteri di valutazione indicati nel bando di gara, nonché dei principi tecnico-scientifici comunemente accettati.
Il Consulente tecnico, partendo dai documenti presentati dalle parti al momento dell’offerta, e in applicazione dei criteri previsti dal bando, ha preventivamente individuato il metodo che avrebbe utilizzato nell’espletamento delle operazioni peritali ed a conclusione delle sue operazioni ha riconosciuto una sostanziale invarianza del rapporto tra i punteggi conseguiti dalle due offerte sia in sede di gara che in seguito alle valutazione effettuate con la medesima CTU.
Il Collegio, condividendo l’esito delle operazioni peritali, ha dunque ritenuto dimostrato come il seggio di gara avesse operato alla stregua di criteri di congruità e ragionevolezza.
In particolare, a fronte della contestazione dell’appellante principale che formulava rilievi critici di merito e di metodo sulle conclusioni della CTU, i giudici hanno così risposto “Verosimilmente, l’affermazione testé criticata risente di un non condivisibile approccio di parte appellante alla stessa ratio dell’attività istruttoria espletata, evidente anche laddove la stessa definisce arbitrario e disancorato dagli atti l’algoritmo che costituisce il nucleo delle valutazioni condotte dal C.T.U. Tale rilievo, invero, sembra obliterare che obiettivo dell’attività istruttoria disposta dalla Sezione non era certo quello di individuare il preciso iter, e proprio quello, seguito dalla Commissione di gara per assegnare i punteggi alle offerte tecniche, ma unicamente quello di accertare se esistesse un “percorso logico” (uno dei tanti astrattamente ipotizzabili) il quale, alla stregua della disciplina di gara, fosse in grado di spiegare ragionevolmente i risultati cui il seggio di gara era pervenuto”.
In definitiva, con la sentenza in commento, si è sottolineato come nel processo amministrativo la consulenza tecnica d’ufficio fornisce quelle conoscenze che permettono al giudice della controversia di ottenere la cognizione di nozioni particolarmente complesse, al fine di comprendere se la valutazione, effettuata attraverso la discrezionalità tecnica della stazione appaltante, sia priva di ragionevolezza o scollegata da un esame obiettivo e compiuto degli elementi di fatto.
Una consulenza che, al contrario, andasse oltre la semplice verifica di congruenza del procedimento tecnico adottato dalla Pubblica amministrazione e pretendesse di sostituire a quest’ultima il giudizio del giudice potrebbe determinare una violazione delle competenze che la legge ha espressamente delegato all’organo amministrativo (commento tratto da www.professioni-imprese24.ilsole24ore.com - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Dichiarazioni ex art. 38 del Codice dei Contratti Pubblici e abrogazione della norma incriminatrice.
Con sentenza 24.03.2011 n. 1795 la Sez. V del Consiglio di Stato ha condiviso l’orientamento di parte della giurisprudenza secondo cui solo l’insussistenza in concreto delle cause di esclusione previste dall’art. 38 del d.lgs. 163/2006 può comportare “ope legis” l’esclusione di una società da una gara pubblica.
Nell’ambito di un appalto relativo all’affidamento di servizi di progettazione e coordinamento della sicurezza in fase di progettazione, veniva revocata l’aggiudicazione provvisoria in favore della R.T.I. prima classificata in quanto il legale rappresentante della capogruppo mandataria aveva dichiarato di non aver subito condanne penali con il beneficio della “non menzione”, mentre dal casellario giudiziale risultava l’esistenza di un decreto penale di condanna con il beneficio della “non menzione” ma del quale non era mai stata chiesta la revoca al giudice dell’esecuzione ai sensi dell’art. 673 c.p.p..
Avverso il provvedimento di revoca proponeva appello la R.T.I. la quale sosteneva che la condanna relativa al reato oggetto del decreto penale non doveva essere indicata in quanto riguardava una fattispecie che era stata dichiarata incostituzionale con sentenza n. 282 del 14.06.1990 ma soprattutto il reato era stato espressamente abrogato dall’articolo 35 del d.lgs. n. 139/2006.
Il TAR adito rigettava il ricorso ritenendo che il solo ricorrere dei presupposti di merito per la espunzione della condanna dal casellario giudiziale non era idoneo a determinare la cancellazione del reato in quanto era comunque necessaria una pronuncia giudiziale in tal senso.
Avverso tale sentenza la R.T.I. proponeva appello.
La V sezione del Consiglio di Stato, ribaltando la decisione del primo giudice, ha ritenuto di non condividere la tesi secondo cui la sola pronuncia giudiziale di revoca del decreto penale potrebbe causare l’espunzione della condanna sostenendo, al contrario, che l’abrogazione della norma incriminatrice sia di per sé idonea a far cessare l’esecuzione e gli effetti penali della condanna mentre la formale pronuncia di revoca rappresenta un accertamento con funzione meramente dichiarativa (Cassazione Penale sez. I, 11.02.2004, n. 7652).
Ed infatti secondo i giudici dell’appello “Con riguardo alla circostanza che causa di esclusione è stata quella, formale, di aver omesso una dichiarazione prescritta dal bando osserva il Collegio che, pur dando atto del non univoco orientamento della giurisprudenza della Sezione e delle ragioni che presiedono alla tesi restrittiva e formalistica, basate sulla necessità di ordinaria verifica sull'affidabilità dei soggetti partecipanti (Cons. St. Sez. V, sent. n. 3742/2009), deve ritenersi, in presenza delle circostanze di fatto di cui alla presente controversia, di aderire all'orientamento di numerose recenti sentenze orientate nel senso della doverosità della effettuazione di una valutazione sostanzialistica della sussistenza delle cause ostative (in particolare Cons. St. Sez. V, 13.02.2009, n. 829; Sez. VI 04.08.2009, n. 4906, 22.02.2010, n. 1017), nella considerazione che il primo comma dell'art. 38 del D.Lgs. n. 163/2006 ricollega l'esclusione dalla gara al dato sostanziale del mancato possesso dei requisiti indicati, mentre il secondo comma non prevede analoga sanzione per l'ipotesi della mancata o non perspicua dichiarazione. Da ciò discende che solo l'insussistenza, in concreto, delle cause di esclusione previste dall'art. 38 citato comporta, "ope legis", l'effetto espulsivo. […] Nel caso che occupa, invero, la completezza, correttezza e veridicità della documentazione inserita nella busta "documentazione amministrativa" era richiesta, a pena di esclusione, dall’art. 13 del Disciplinare; il precedente art. 9, punto B), del Disciplinare, peraltro espressamente e fondatamente impugnato in parte qua con l’atto introduttivo del giudizio (se interpretato nel senso di ritenere obbligatoria la dichiarazione de qua anche in caso di reati eliminati dall’ordinamento giuridico), richiedeva a pena di esclusione la presentazione della dichiarazione di non aver subito condanne penali per le quali era intervenuta la non menzione o di averne beneficiato indicando le eventuali condanne. La dichiarazione effettuata dalla appellante, stante l’effetto automatico di eliminazione degli effetti penali della condanna che determina l'abrogazione della norma incriminatrice, non può tuttavia considerarsi incompleta, scorretta o non veritiera. Va infatti escluso che possa qualificarsi come falsa dichiarazione quella contenente una valutazione soggettiva del concorrente stesso, che potrebbe semmai non essere condivisa, ma non certo essere ritenuta falsa, in quanto volutamente non corrispondente ad un dato oggettivamente riscontrabile, né può determinarne l'esclusione dalla gara (Consiglio Stato, sez. V, 19.06.2009, n. 4082)”.
Ad avviso del Collegio tale impostazione risulta anche confermata dall’art. 45 della direttiva 2004/18/CE secondo la quale l’esclusione di un soggetto partecipante alla gara può ricorrere nelle sole ipotesi di grave colpevolezza di false dichiarazioni, che non dovrebbero ritenersi sussistenti nel caso in cui il concorrente non consegua alcun vantaggio in termini competitivi, essendo in possesso di tutti i requisiti previsti per la partecipazione alla gara (Cons. St. Sez. VI 22.02.2010 n. 1017).
In definitiva con tale sentenza la sezione V del Consiglio di Stato si esprime in favore della tesi sostanzialistica della sussistenza delle cause ostative (commento tratto da www.professioni-imprese24.ilsole24ore.com - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Sulla legittimità dell'aggiudicazione di una gara d'appalto ad un concorrente che abbia fatto ricorso all'istituto dell'avvalimento al fine di attestare il possesso dell'attestazione SOA richiesta dal disciplinare e dal bando.
E' legittimo il provvedimento di aggiudicazione di una gara d'appalto adottato nei confronti di un concorrente che essendo privo dell'attestazione SOA richiesta dal disciplinare e dal bando sia ricorso all'istituto dell'avvalimento, ai sensi dell'art. 49, c. 1, del d.lgs. n. 163/2006, che ammette espressamente la possibilità di avvalersi, nelle pubbliche gare, dell'attestazione SOA di altro soggetto.
Tale possibilità non è subordinata alla condizione che il concorrente che utilizzi l'avvalimento sia comunque in possesso di una attestazione SOA per la categoria richiesta, ancorché di classifica insufficiente; il dato testuale non legittima, infatti, un'interpretazione restrittiva della norma e, d'altra parte, la soppressione del c. 7 del citato art. 49, che consentiva di limitare l'avvalimento all'integrazione di requisiti parzialmente posseduti dall'impresa avvalente, è decisiva per riconoscere che un limite di tal genere, anche per quanto riguarda il ricorso all'avvalimento di altrui attestazioni SOA, non è compatibile con il quadro normativo comunitario in cui l'istituto trova origine (TAR Toscana, Sez. I, sentenza 24.03.2011 n. 490 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

EDILIZIA PRIVATA: Permesso di costruire e lottizzazione abusiva.
La Corte di Cassazione ritorna sul tema della illegittimità dei permessi di costruire rilasciati in assenza di strumento urbanistico attuativo.

La Corte di Cassazione, Sez. III penale, con la sentenza 04.03.2011 n. 8796, ha confermato il sequestro di 23 lotti (disposto dal Tribunale sia per evitare la prosecuzione dei lavori per alcuni lotti non ultimati, sia per garantire la confisca dei lotti ultimati) in corso di realizzazione, a seguito del rilascio del permesso di costruire, in un'area destinata a PIP (piano per insediamenti produttivi) dal piano regolatore comunale, ritenendo, sulla base di articolate motivazioni, potenzialmente illegittimi i permessi rilasciati (fatto che, nel merito, dovrà accertare il Tribunale).
La Cassazione ricorda come –per consolidata giurisprudenza- il reato di lottizzazione abusiva possa ricorrere anche in caso di area parzialmente urbanizzata, in quanto la fattispecie lottizzatoria, che esula dalle situazioni di zone completamente urbanizzate, sussiste tuttavia non soltanto nelle ipotesi estreme di zone assolutamente inedificate, ma anche in quelle, intermedie, di zone parzialmente urbanizzate, nelle quali si configuri un'esigenza di raccordo col preesistente aggregato abitativo e di potenziamento delle opere di urbanizzazione.
Per escludere la lottizzazione deve sussistere una situazione di pressoché completa e razionale edificazione della zona, tale da rendere del tutto superfluo un piano attuativo, in quanto non basta la mera esistenza di opere di urbanizzazione per escludere la necessità della pianificazione attuativa, ma è necessario che le opere esistenti siano sufficienti in un rapporto di proporzionalità fra i bisogni degli abitanti già insediati e da insediare e la qualità e quantità delle urbanizzazioni già disponibili destinati a soddisfarli.
La valutazione del concreto stato urbanizzativo di fatto non si può limitare, inoltre, alle sole aree di contorno dell'edificio progettato, ma deve coincidere con l'intero perimetro del comprensorio che dovrebbe essere pianificato dallo strumento attuativo.
La presenza del vincolo di inedificabilità riferibile alle aree soggette a piani attuativi, da adottare ma mai adottati, rappresenta un problema evidenziato da tempo da una copioso giurisprudenza. L'inedificabilità conseguente alla mancanza di un limite temporale per l'adozione di uno strumento attuativo, avrebbe dovuto costituire uno degli obiettivi della semplificazione delle procedure urbanistiche ed edilizie introdotte con gli interventi legislativi coordinati tra lo Stato e le Regioni, definiti correntemente Piano Casa e finalizzati al rilancio dell'economia attraverso l'attività edilizia.
Problema non affrontato dai provvedimenti assunti dalle Regioni, in maniera -di fatto- estemporanea piuttosto che coordinata, ad eccezione della Regione Friuli Venezia Giulia che, con riferimento alle zone di completamento, ha regolamentato la soglia di edificato oltre la quale procedere direttamente al rilascio di titoli abilitativi, e della Regione Emilia Romagna, che ha decretato la non obbligatorietà dello strumento urbanistico attuativo nelle zone di completamento, senza specificarne le condizioni (commento tratto da www.legislazionetecnica.it).

APPALTI: Requisiti morali, dichiarazione anche per i rappresentanti.
L'obbligo di rendere la dichiarazione di cui all'art. 38 d.lgs. n. 163/2006 sussiste anche per tutti coloro che sono muniti di poteri di rappresentanza anche se non rivestono formalmente la carica di amministratore. Il requisito dell'esperienza previsto dall'art. 84, comma 2, d.lgs. 163/2006 richiesto per la nomina dei componenti della commissione giudicatrice, deve essere inteso in relazione alla poliedricità delle competenze richieste in funzione delle complessive prestazioni da affidare.
L’obbligo di rendere la dichiarazione di cui all'art. 38 d.lgs. n. 163/2006 sussiste anche per tutti coloro che sono muniti di poteri di rappresentanza anche se non rivestono formalmente la carica di amministratore.
Il requisito dell'esperienza previsto dall'art. 84, comma 2, d.lgs. 163/2006 richiesto per la nomina dei componenti della commissione giudicatrice, deve essere inteso in relazione alla poliedricità delle competenze richieste in funzione delle complessive prestazioni da affidare.

Con sentenza 24.02.2011 n. 554, la I Sezione del TAR della Lombardia-Milano ha affermato che l'obbligo di dichiarazione avente ad oggetto la sussistenza dei requisiti morali degli operatori economici, previsto dall'art. 38 d.lgs. 12.04.2006 n. 163, sussiste in capo alle persone fisiche munite di potere di rappresentanza dei concorrenti anche se si tratta di soggetti che non rivestono formalmente la carica di amministratore soltanto se, in qualità di procuratore ad negotia, abbiano ottenuto il conferimento di poteri di rappresentanza dell'impresa e di compiere atti decisionali consistenti nella possibilità di partecipare alle gare e di firmare contratti.
L'interesse perseguito dal legislatore mediante l’obbligo di cui all'art. 38 d.lgs. n. 163/2006 è quello di verificare la condotta di coloro che determinano le scelte all'interno dell'impresa e non di coloro che manifestano all'esterno tali scelte, pur se dotati di poteri gestionali, ove gli stessi siano stati circoscritti nell'ambito degli indirizzi impartiti dall'imprenditore; pertanto, la mancanza di una dichiarazione, anche laddove effettivamente esigibile, deve considerarsi neutrale ai fini dell'ammissione alla gara ove la “moralità” del soggetto coinvolto non sia contestata, secondo il principio del cd. “falso innocuo”.
Relativamente al requisito generale dell'esperienza “nello specifico settore cui si riferisce l'oggetto del contratto” , previsto dall'art. 84, comma 2, d.lgs. 12.04.2006 n. 163, per i componenti della commissione giudicatrice di gara, i giudici lombardi hanno affermato che esso deve essere inteso gradatamente e in modo coerente con la poliedricità delle competenze di volta in volta richieste in relazione alla complessiva prestazione da affidare.
Pertanto, non occorre che l'esperienza professionale di ciascun componente copra tutti i possibili ambiti oggetto di gara, in quanto è la Commissione, unitariamente considerata, che deve garantire quel grado di conoscenze tecniche richiesto, nella specifica fattispecie, in ossequio al principio di buon andamento della pubblica amministrazione.
Inoltre, è stato precisato che l'art. 84, comma 4, del codice dei contratti pubblici, a norma del quale i commissari diversi dal presidente non devono aver svolto né possono svolgere alcuna altra funzione o incarico tecnico o amministrativo relativamente al contratto del cui affidamento si tratta, mira ad impedire la partecipazione alla Commissione giudicatrice di soggetti che, nell'interesse proprio o in quello privato di alcuna delle imprese concorrenti, abbiano assunto o possano assumere decisioni relativamente all'oggetto della procedura di gara (commento tratto da link a www.ipsoa.it).

APPALTI SERVIZIILLUMINAZIONE VOTIVA.
E’ legittima la scelta del Comune di gestire direttamente il servizio di illuminazione votiva cimiteriale, esigente solo l'impegno periodico di una persona e la spesa annua di qualche migliaio di euro, laddove l'esborso sarebbe notoriamente ben maggiore solo per potersi procedere a tutte le formalità necessarie per la regolare indizione di una gara pubblica.

E’ quanto sorprendentemente affermato dalla V Sez. del Consiglio di Stato, con la sentenza 26.01.2011 n. 552, ove si è dato luogo ad un inatteso ripensamento in merito alla natura giuridica dell’attività di illuminazione votiva.
Indubbiamente, il mutamento degli orientamenti giurisprudenziali non costituisce un “evento straordinario”, ma dovrebbe porsi come un naturale elemento di sviluppo dell’elaborazione giuridica, esito di nuove riflessioni, traenti origine anche da elementi meta-giuridici. Tuttavia, nella presente problematica, cioè l’individuazione della precisa natura giuridica dell’attività di illuminazione votiva, la giurisprudenza e, soprattutto, il Consiglio di Stato avevano dato l’impressione di possedere certezze granitiche, resistenti ad ogni diverso contributo di riflessione.
Il mainstream, l’orientamento di tendenza, era nel solco di un unico filone interpretativo: l’illuminazione votiva ha un contenuto economico, afferente il servizio in senso stretto, che prescinde dall’impianto, il quale esplica una valenza solo accessoria: mero strumento del servizio puro, ricomprendente diverse attività (fornir luce alle tombe, sorveglianza degli impianti, operazioni di bollettazione e riscossione). Orbene, tale solido orientamento sembra ora essere stato edificato sulla sabbia! Non è più indiscussa la rilevanza economica; anzi, si è in presenza di “un’attività di modesto impegno”!
Analizziamo i passaggi concettuali della sorprendente sentenza in esame, che ha ribaltato completamente l’impostazione dei giudici di primo grado.
In primo luogo, ad avviso dei giudici amministrativi di appello, occorre tener conto di un’importante distinzione, trascurata, secondo la loro prospettazione, dal Tar Emilia-Romagna. Una cosa è l’affidamento diretto di un servizio pubblico locale, modello non consentito in omaggio alle comunitarie regole della concorrenza; una cosa ben diversa è la “gestione diretta” del servizio, “sempre praticabile dall’ente locale, soprattutto quando si tratti di attività di modesto impegno finanziario, come nella specie: poche migliaia di euro all’anno”. Onde poter sostenere la tesi della possibile gestione diretta in economia del servizio, il CdS pone in forte evidenza la limitatezza economica del medesimo: attività di scarso impegno finanziario.
Ancora, proprio per confermare la legittimità della gestione diretta, il Consiglio di Stato rincara la dose in merito alla modestia economica dell’attività: “Appartiene, in realtà, alla dimensione dell’inverosimile immaginare che un Comune di non eccessiva grandezza non possa gestire direttamente un servizio, come quello dell’illuminazione votiva cimiteriale, esigente solo l’impegno periodico di una persona e la spesa annua di qualche migliaio di euro, laddove l’esborso sarebbe notoriamente ben maggiore solo per potersi procedere a tutte le formalità necessarie per la regolare indizione di una gara pubblica”.
La categoria concettuale dell’”inverosimile” viene, dunque, richiamata per giustificare la possibilità della gestione diretta. Infatti, il CdS pone enfasi sul rilievo che “nessuna norma obbliga i Comuni ad affidare all’esterno determinati servizi”, quale quello dell’illuminazione votiva. Invero, l’approdo ermeneutico delle statuizioni del Consiglio di Stato, seppur non espressamente dichiarato, è l’articolo 113-bis del D.Lgs n. 267/2000, disciplinante la gestione dei servizi pubblici locali privi di rilevanza economica. Al riguardo, è necessario ricordare che il comma 2° dell’indicato articolo prescrive, espressamente, che “è consentita la gestione in economia quando, per le modeste dimensioni o per le caratteristiche del servizio, non sia opportuno precedere ad affidamento ai soggetti di cui al comma 1°” .
Pertanto, l’illuminazione votiva, nella nuova ricostruzione operata dai giudici amministrativi di appello, cambia completamente natura. Perde i suoi dichiarati profili di rilevanza economico-finanziaria è diventa un servizio pubblico locale privo di valenza economica, in ragione proprio della nuova “scoperta” effettuata dai giudici amministrativi di appello: la modestia delle dimensioni organizzative e strutturali!
E’ evidente che si è in presenza di un radicale cambiamento, che implica una nuova configurazione dell’istituto dell’illuminazione votiva. Tuttavia, tale mutamento, al di là della sua eventuale correttezza teorica, sicuramente da approfondire, avrebbe meritato una maggiore attenzione analitica ed un maggior sforzo motivazionale, che non sembra essere stato palesato nella sentenza. Infatti, i passaggi concettuali illustrati appaiono alquanto macchinosi ed apodittici.
Invero, pur parzialmente apprezzando l’idea di cambiamento, che sembra diffondersi da tale pronuncia, ancora sembra mancare un forte, ma necessario, sforzo interpretativo, volto ad intendere la reale portata dell’illuminazione votiva, la quale è costituita, giova ricordarlo, da diverse attività: - progettazione di impianti; - realizzazione di impianti; - effettuazione di lavori di manutenzione ordinaria e straordinaria; - sorveglianza degli impianti; - bollettazione e riscossione, etc..
Solo un’accurata indagine sulle variegate attività, che globalmente intese connotano l’illuminazione votiva, potrà condurre a percepire la concreta realtà dell’istituto, che, come correttamente osservato dall’Autorità di Vigilanza, oscilla fra la concessione di servizi e la concessione di lavori pubblici, ma non necessariamente dà luogo ad un servizio pubblico locale. Forse, sono maturi i tempi, affinché siffatta indagine venga finalmente compiuta! (commento tratto dalla newsletter di www.centrostudimarangoni.it - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIAVVALIMENTO.
Ogni impresa, operante in un determinato settore, ha un interesse tutelato a contestare l’illegittima indizione di una procedura negoziata, atteso che la mancata, ma dovuta, indizione di una procedura aperta lede il suo interesse sostanziale a competere, secondo pari opportunità, ai fini dell'ottenimento di commesse da aggiudicarsi secondo le prescritte procedure. A tal riguardo, non assume rilievo il fatto che l’impresa ricorrente non possieda i requisiti tecnici e finanziari per partecipare alla gara, dal momento che l’impresa medesima potrebbe partecipare, pur essendone priva, avvalendosi dei requisiti di imprese diverse.

E’ quanto affermato dal Tar Abruzzo-L’Aquila, nella sentenza 10.01.2011 n. 3, ove vengono fornite alcune importanti precisazioni, relative agli effetti dell’istituto dell’avvalimento in merito ad un importante tema processuale: l’impugnazione di una procedura negoziata, in assenza dei necessari presupposti di legge.
Come noto, costituisce principio generale, sancito dall'articolo 100 del codice di procedura civile, applicabile anche al processo amministrativo, quello secondo il quale costituisce condizione per l'ammissibilità dell'azione, oltre alla titolarità di una situazione giuridica sostanziale di diritto soggettivo o di interesse legittimo (legittimazione a ricorrere), anche la sussistenza dell'interesse a ricorrere, inteso quest'ultimo, non come idoneità astratta dell'azione a realizzare il risultato perseguito ma, più specificamente, come interesse proprio e concreto del ricorrente al conseguimento di un'utilità o di un vantaggio (materiale o, in certi casi, morale) a mezzo del processo amministrativo. Vale a dire, nell'ottica di un processo di stampo impugnatorio–annullatorio, quale quello amministrativo, la sussistenza di un interesse all'eliminazione del provvedimento, che il ricorrente ritiene lesivo della propria sfera giuridica.
Per quanto concerne l’indizione di una trattativa privata (ora procedura negoziata), da tempo la giurisprudenza ammette la possibilità di censurarne l’illegittima attivazione, da parte delle imprese “operanti nel settore”.
Tale possibilità, da un punto di vista sostanziale deve essere ricollegata al fatto che le procedure negoziate hanno pienamente conservato all’interno del Codice dei contratti pubblici la loro originaria natura eccezionale. Infatti, il comma 4°, dell’articolo 54, stabilisce che le stazioni appaltanti possono aggiudicare i contratti pubblici mediante una procedura negoziata, con o senza pubblicazione del bando di gara, solo “nei casi e alle condizioni specifiche espressamente previste”, cioè solo in presenza delle peculiari e straordinarie ipotesi, espressamente e tassativamente, previste dal Codice medesimo, agli articoli 56 (procedura negoziata previa pubblicazione di un bando di gara) e 57 (procedura negoziata, senza previa pubblicazione di un bando di gara).
Sopravvenuto il Codice, si è evidenziata ancor più la sua natura derogante: “La trattativa privata, oggi definita procedura negoziata nelle direttive comunitarie e negli atti nazionali di recepimento, è un criterio di selezione dei concorrenti di tipo eccezionale perché la necessità di tutelare i principi di libera concorrenza, parità di trattamento, non discriminazione, imparzialità e buon andamento impongono il ricorso alle procedure aperte o ristrette e la procedura negoziata, come si evince dal confronto tra il quarto e il secondo comma dell'art. 54, d.lgs. n. 163 del 2006, può essere utilizzata solo nei casi specifici in cui la legge lo preveda espressamente” .
Dunque, da un punto di vista sostanziale, una procedura negoziata può essere contestata, nella sua indizione, in ragione della carenza dei necessari presupposti di legge. Ma, chi può effettuare tale censura?
A questa domanda, come già anticipato, la giurisprudenza, da tempo , ha risposto indicando un soggetto non molto definito: l’operatore economico del settore. Tale posizione è rimasta del tutto immutata anche recentemente: “Qualora una stazione appaltante decida di procedere alla stipulazione di un contratto con un determinato imprenditore a seguito di procedura negoziata, va riconosciuta la legittimazione a ricorrere, avverso la decisione suddetta, agli altri operatori economici del settore, poiché titolari di un interesse strumentale alla effettuazione della gara, in quanto aspiranti partecipanti alla stessa”.
In altri termini, gli imprenditori, che svolgono la propria attività nel medesimo ambito economico, cui si riferisce l'oggetto dell'appalto posto in gara, vantano un interesse qualificato ad impugnare il provvedimento di affidamento diretto o tramite procedura negoziata. Qualora la stazione appaltante si determini a concludere un contratto mediante procedura negoziata con un determinato imprenditore, si incide, infatti, in senso sfavorevole sulle posizioni soggettive degli altri imprenditori operanti nel medesimo settore, che sono, perciò, portatori di un interesse alla possibile conclusione del medesimo contratto, con conseguenze negative sulla libera concorrenza.
Gli aspiranti partecipanti alla gara, rimasti esclusi dalla procedura negoziata, ben potranno, pertanto, proporre ricorso giurisdizionale, in quanto titolari dell’interesse strumentale ad ottenere l'annullamento dell'affidamento diretto ed a far seguire l'indizione di una gara aperta o ristretta, quali modelli generali di scelta del contraente. Quindi, per poter contestare l’illegittima indizione di una procedura negoziata, l’impresa deve almeno dimostrare di operare in un dato settore, pur se, come avvertito da attenta giurisprudenza, non è necessario che l’impresa dimostri di possedere tutti i requisiti tecnici e finanziari, occorrenti per poter partecipare alla gara.
Con la sentenza in esame, si perviene ad un importante sviluppo concettuale: non si parla più di impresa di settore, in quanto grazie all’avvalimento il problema dell’appartenenza ad un dato settore economico, quale presupposto legittimante il ricorso, perde di interesse. Potendo l’impresa avvalersi dei requisiti di altro operatore economico, non è necessario che appartenga ad un dato settore e, dunque, può impugnare l’illegittima indizione di una negoziata, prescindendo dall’appartenenza medesima (commento tratto dalla newsletter di www.centrostudimarangoni.it - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AGGIORNAMENTO AL 18.04.2011

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SINDACATI

PUBBLICO IMPIEGO: Con la circolare n. 7/2011 Brunetta smentisce definitivamente CISL e UIL, ma anche sé stesso (CGIL-FP di Bergamo, nota 12.04.2011).

PUBBLICO IMPIEGO: R.S.U.: finalmente l'accordo per il rinnovo (CGIL-FP di Bergamo, nota 12.04.2011).

UTILITA'

EDILIZIA PRIVATA: Fotovoltaico e “licenza provvisoria”: entrata in esercizio immediata per gli impianti superiori a 20 kWp.
I produttori di energia elettrica da impianti fotovoltaici di potenza superiore a 20 kWp (e 30 kWp nel caso di impianti localizzati in territori montani) hanno l’obbligo preliminare alla messa in esercizio di Denuncia di Officina Elettrica (D. Lgs 504/1995 – Titolo II) all’Agenzia delle Dogane.
Con la Circolare 39218/RU del 05.04.2011, l’Agenzia delle Dogane informa che la continua espansione degli impianti di produzione di energia elettrica da fonte rinnovabile sta evidenziando situazioni di criticità nell’espletamento degli adempimenti fiscali legati alle denunce di attivazione (Denuncia di Officina Elettrica), nei modi e tempi previsti dall’art. 53 del Testo Unico delle Accise (Decreto Legislativo n. 504/1995 e s.m.i).
Per ottenere gli incentivi, infatti, assume rilevanza la data di entrata in esercizio, per la quale risulta necessaria la licenza fiscale nel caso di impianti con obbligo di Denuncia di Officina Elettrica; essendosi presentate situazioni in cui l’elevato numero di richieste di attivazioni è tale da non consentirne una rapida trattazione per l'espletamento di tutti gli adempimenti (con conseguente danno per l'esercente), L’Agenzia delle Dogane ha previsto la possibilità di rilascio di una licenza provvisoria e rinviando le verifiche tecnico-fiscali ad un successivo momento.
Nella licenza provvisoria dovrà essere espressamente indicato il termine entro il quale la stessa sarà sostituita da licenza definitiva sulla base degli esiti della verifica tecnico-fiscale dell’impianto.
Se all’atto della verifica si dovessero riscontrare difformità, oltre alle normali procedure attuabili in simili casi (revoca immediata della licenza, recupero dell’imposta evasa, etc.), l’Ufficio procederà a fornire notizia di reato alla competente autorità giudiziaria anche ai sensi dell’art. 76 del D.P.R.445/2000.
A tal fine l'Agenzia delle Dogane ha reso disponibili, insieme alla Circolare, un modello di dichiarazione sostitutiva di atto notorio e un modello di licenza provvisoria (link a www.acca.it).

SICUREZZA LAVORO: Valutazione del rischio da stress lavoro-correlato: linee operative per piccole imprese.
Lo stress non è una malattia, ma una situazione di prolungata tensione che può ridurre l'efficienza sul lavoro e può determinare un cattivo stato di salute. Esso può essere causato da diversi fattori come il contenuto del lavoro, l'eventuale inadeguatezza della gestione e dell'organizzazione del lavoro, carenze nella comunicazione, etc..
Valutare il rischio dovuto a stress lavoro-correlato è un obbligo di ciascun datore di lavoro.
Il Network Nazionale per la Prevenzione Disagio Psicosociale nei Luoghi di Lavoro istituito dall'ISPESL ha messo a punto una proposta metodologica di valutazione dei rischi da stress correlato al lavoro, nata a partire dallo studio pilota degli SPISAL (Servizio Prevenzione Igiene Sicurezza Ambienti di Lavoro) della Provincia di Verona e del Centro clinico di Verona.
Queste linee operative hanno lo scopo di assistere le imprese di piccole dimensioni nella valutazione dello stress, attraverso una unica check-list finalizzata alla valutazione preliminare del rischio.
Il documento risulta sintetico e di semplice comprensione. È così strutturato:
- definizione di stress lavoro-correlato;
- chi deve valutare il rischio;
- metodologie di valutazione;
- fase di valutazione preliminare;
- fase di valutazione approfondita;
- diagramma di flusso del processo di valutazione;
- check-list per la valutazione preliminare (link a www.acca.it).

APPALTI: In arrivo la SUA: Stazione Appaltante Unica.
La bozza di Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, in attuazione dell'art. 13 della Legge 136/2010 (Legge Antimafia), prevede l’istituzione di un’ unica stazione appaltante a livello regionale, Stazione Appaltante Unica (SUA), che avrà il compito di seguire tutto l’iter procedurale di affidamento di lavori, forniture e servizi, collaborando con l’ente proponente ad individuare i contenuti del contratto e curando gli eventuali contenziosi insorti.
Il Decreto è costituito da 6 articoli che contengono quanto dettato dalla Legge n. 136/2010 e precisamente:
- finalità e modalità di promozione della Stazione unica appaltante;
- stazione unica appaltante e soggetti aderenti;
- attività e servizi della SUA;
- elementi essenziali delle convenzioni;
- forme e monitoraggio e di controllo degli appalti;
- collaborazione e coordinamento tra amministrazioni.
Manca solo l'intesa in Conferenza unificata, la firma del Capo dello Stato e la successiva pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale (link a www.acca.it).

LAVORI PUBBLICI: Valutazione di impatto sulla sicurezza stradale, controlli e gestione della sicurezza.
Pubblicato in Gazzetta Ufficiale il D.Lgs. n. 35 del 15.03.2011 “Attuazione della direttiva 2008/96/CE sulla gestione della sicurezza delle infrastrutture”, che recepisce la Direttiva 2008/96/CE sulla gestione della sicurezza delle infrastrutture stradali, in attuazione della L. 96/2010 (Comunitaria 2009).
Il Decreto prevede l'attuazione di procedure volte alla valutazione di impatto sulla sicurezza stradale per i progetti di infrastrutture, ai controlli della sicurezza stradale, alla gestione della sicurezza della rete stradale ed alle ispezioni di sicurezza.
Il provvedimento è obbligatorio per tutte le strade appartenenti alla rete stradale transeuropea, siano esse in fase di pianificazione, di progettazione, in costruzione o già aperte al traffico. Per tutte le altre strade i contenuti del Decreto costituiscono un utile orientamento.
Dal primo gennaio 2016 tali norme si applicheranno a tutte le strade appartenenti alla rete di interesse nazionale, individuata dal D. Lgs. 461/1999.
Valutazione di impatto sulla sicurezza stradale.
Per tutti i progetti di infrastrutture va effettuata preliminarmente la Valutazione di Impatto sulla Sicurezza Stradale (VISS), i cui contenuti saranno stabiliti con Decreto Ministeriale entro il 19/12/2011.
Controlli e controllori della sicurezza stradale.
Per tutti i progetti di infrastrutture vanno effettuati controlli della sicurezza stradale, entro 12 mesi dalla messa in esercizio, da parte di controllori, che dovranno avere determinati requisiti (art. 9) e saranno inseriti in appositi elenchi presso il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti.
Fino all'entrata in operatività dell'elenco dei controllori, le attività di controllo della sicurezza stradale, di verifica della classificazione dei tratti stradali e le ispezioni di sicurezza sono svolte da soggetti che abbiano i seguenti requisiti:
- iscritti da almeno 10 anni all'Albo dell'Ordine degli Ingegneri, nel settore dell'ingegneria civile e ambientale;
- esperienza di progettazione stradale, analisi di incidentalità, ingegneria del traffico o altre attività inerenti alla sicurezza stradale;
- esperienza documentata dall'avvenuto espletamento delle predette attività relative ad almeno 5 progetti.
Classificazione e gestione della sicurezza.
Il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti effettuerà la classificazione dei tratti ad elevata concentrazione di incidenti e la classificazione della sicurezza della rete stradale esistente entro il 23/04/2014 e, successivamente, con cadenza triennale (link a www.acca.it).

SICUREZZA LAVORO: Rischio da esposizione a polveri. Una guida ai dispositivi di protezione individuale.
Le polveri aerodisperse sono sostanze pericolose per la salute e possono essere causa di varie malattie professionali. Per proteggere la salute dei lavoratori, il datore di lavoro deve provvedere a far sì che non siano superati i valori limite di concentrazione e dotare i lavoratori esposti di opportuni respiratori.
Il SUVA (INAIL svizzero) ha pubblicato un manualetto destinato ai datori di lavoro, al fine di indirizzarli nella scelta dei dispositivi di protezione individuali opportuni, e ai lavoratori esposti, soprattutto nel settore edilizio, fornendo consigli su come utilizzare i respiratori.
Il documento propone informazioni circa:
- quando risultano necessari i respiratori;
- tipologie di respiratori e relative marcature;
- classi dei filtri e applicazioni;
- consigli per un uso corretto;
- manutenzione dei dispositivi;
- norme di riferimento (link a www.acca.it).

GURI - GUUE - GUUE (e anteprima)

LAVORI PUBBLICI: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 15 del 12.04.2011, "Determinazione modalità per la predisposizione della graduatoria degli interventi per la messa in sicurezza degli edifici scolastici situati in zone soggette a rischio sismico - Triennio 2011-2013"  (deliberazione G.R. 06.04.2011 n. 1532).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: G.U. 04.04.2011 n. 77, suppl. ord. n. 90, "Quarto elenco aggiornato dei siti di importanza comunitaria per la regione biogeografica continentale in Italia ai sensi sella direttiva 92/43/CEE" (Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, decreto 14.03.2011).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: G.U. 04.04.2011 n. 77, suppl. ord. n. 90, "Quarto elenco aggiornato dei siti di importanza comunitaria per la regione biogeografica mediterranea in Italia ai sensi sella direttiva 92/43/CEE" (Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, decreto 14.03.2011).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: G.U. 04.04.2011 n. 77, suppl. ord. n. 90, "Quarto elenco aggiornato dei siti di importanza comunitaria per la regione biogeografica alpina in Italia ai sensi sella direttiva 92/43/CEE" (Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, decreto 14.03.2011).

APPALTI SERVIZI: G.U. 31.03.2011 n. 74 "Determinazione degli ambiti territoriali nel settore della distribuzione del gas naturale" (Ministero dello Sviluppo Economico, decreto 19.01.2011).

NOTE, COMUNICATI E CIRCOLARI

EDILIZIA PRIVATA: DOCUMENTO DELLE REGIONI SULLO STATO DI ATTUAZIONE DELLA RIFORMA DELLO SPORTELLO UNICO ATTIVITÀ PRODUTTIVE DI CUI ALL’ART. 38 DEL D.L. N. 112/2008, CONVERTITO IN L. N. 133/2008 E DEL REGOLAMENTO DI CUI AL DPR N. 160/2010 (conferenza delle Regioni e delle Province Autonome, nota 24.03.2011).

DOTTRINA E CONTRIBUTI

VARI: E. Rossi, Uso delle cinture di sicurezza da parte delle forse di polizia (Crocevia n. 3/2011).
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Vi sarà capitato (quante volte!!) di vedere Vigili Urbani e/o Poliziotti/Carabinieri che non indossano la cintura di sicurezza mentre guidano l'automobile di servizio ... ebbene, se gli stessi vi contestano una qualsiasi multa stradale sbattetegli in faccia la CIRCOLARE 22.12.2010 PROT. N. 559/A/2/756.M.3/23833 (link a www.coisp.it) del Ministero dell'Interno - Dipartimento Pubblica Sicurezza (avente per oggetto: Uso delle cinture di sicurezza da parte delle Forze di Polizia) dalla quale si evince chiaramente che "
L'esenzione dall'obbligo di usare le cinture di sicurezza, prevista dal comma 8 per gli appartenenti alle Forze di Polizia e ai Corpi di Polizia Municipale e Provinciale, non è generalizzata, ma limitata all'espletamento di servizi di emergenza.
Con successive circolari, diramate dal 1996 al 2006, questo Dipartimento ha ribadito la necessità di impiego dei dispositivi, sia in occasione di mobilità non operativa che nell'esecuzione dei servizi d'istituto, prevedendo, solo per quest'ultimo caso, la deroga in situazione di emergenza.
In particolare, è stato chiarito che la situazione di emergenza dovrà riguardare necessariamente uno stato di pericolo concreto e attuale. La valutazione, prudente e restrittiva, delle situazioni di emergenza è rimessa ai singoli operatori sulla base delle circostanze contingenti per le quali l'attività svolta potrebbe trovare ostacolo od impedimento nella ritenzione operata dalle cinture di sicurezza.
".

PUBBLICO IMPIEGO: N. Laface, Il danno all’immagine della pubblica amministrazione va risarcito anche in ipotesi di reato comune commesso da pubblici dipendenti - Nota a Corte dei Conti - Sezione giurisdizionale per la Toscana, Sentenza 18.03.2011 n. 90 (link a www.filodiritto.com).

APPALTI: A. P. Mazzucato e G. Penzo Doria, L’attestazione di intervenuta efficacia dell’aggiudicazione definitiva negli appalti pubblici (link a www.filodiritto.com).

ATTI AMMINISTRATIVI: P. M. Zerman, La trasparenza della p.a. tra accesso e privacy nella recente giurisprudenza del Consiglio di Stato (link a www.giustizia-amministrativa.it).

QUESITI & PARERI

LAVORI PUBBLICI: Comune privo di assicurazione e risarcimento in via bonaria.
Domanda.
Nel caso in cui un Comune, privo di assicurazione, decida di risarcire in via bonaria i danni causati da una caduta provocata da una buca stradale, deve provvedere agli adempimenti previsti dall'art. 142, commi 2 e 3, del D.Lgs. 07.09.2005, n. 209?
Risposta.
L'art. 142, commi 2 e 3, D.Lgs. 07-09-2005, n. 209 stabilisce che:
"2. Prima di provvedere alla liquidazione del danno, l'impresa di assicurazione è tenuta a richiedere al danneggiato una dichiarazione attestante che lo stesso non ha diritto ad alcuna prestazione da parte di istituti che gestiscono assicurazioni sociali obbligatorie. Ove il danneggiato dichiari di avere diritto a tali prestazioni, l'impresa di assicurazione è tenuta a darne comunicazione al competente ente di assicurazione sociale e potrà procedere alla liquidazione del danno solo previo accantonamento di una somma idonea a coprire il credito dell'ente per le prestazioni erogate o da erogare.
3. Trascorsi quarantacinque giorni dalla comunicazione di cui al comma 2 senza che l'ente di assicurazione sociale abbia dichiarato di volersi surrogare nei diritti del danneggiato, l'impresa di assicurazione potrà disporre la liquidazione definitiva in favore del danneggiato. L'ente di assicurazione sociale ha diritto di ripetere dal danneggiato le somme corrispondenti agli oneri sostenuti se il comportamento del danneggiato abbia pregiudicato l'azione di surrogazione
".
Nel caso in esame, il Comune è il danneggiante che risarcisce un danno provocato dalla sua condotta omissiva, di cui è responsabile, adempiendo ad un'obbligazione da fatto illecito di cui è il soggetto attivo, o debitore. Ne deriva che è inapplicabile la disposizione sopra citata che si riferisce esclusivamente all'ipotesi in cui a pagare sia l'assicuratore. La ratio della disposizione, infatti, è quella di garantire l'eventuale assicuratore sociale contro il rischio di dover risarcire un danno già risarcito da un altro assicuratore e di consentire una rivalsa garantita ex lege dell'assicurazione sociale contro l'assicurazione ordinaria.
Infatti, l'assicuratore ordinario assume l'obbligazione indennitaria a favore dell'assicurato avente ad oggetto il pagamento dell'obbligazione da fatto illecito in luogo del danneggiante, in parte al pari dell'assicuratore sociale, che però ha diritto di rivalsa ex lege sull'assicuratore. Per questo motivo la norma prevede in capo all'assicuratore ordinario il dovere di chiedere al danneggiato se ha altre forme di assicurazione sociale e, in caso positivo, l'obbligo di darne comunicazione al competente Ente di assicurazione sociale. Potrà procedere alla liquidazione del danno solo previo accantonamento di una somma idonea a coprire il credito dell'Ente per le prestazioni erogate o da erogare.
Viceversa, in ipotesi in cui sia lo stesso danneggiante a pagare, sarà l'assicuratore sociale a chiedere al danneggiato se è stato già risarcito o meno e conseguentemente, secondo buona fede, regolerà l'indennizzo dovuto per evitare che il danneggiato possa locupletare dal risarcimento (11.04.2011 - commento tratto da www.ipsoa.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Quali sono le novità circa il trasporto in conto proprio dei rifiuti? (link a www.ambientelegale.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Cosa prevede il Testo Unico circa le iscrizione dei produttori iniziali di rifiuti? (link a www.ambientelegale.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Come sono regolamentate le iscrizioni dei produttori iniziali di rifiuti non pericolosi che effettuano operazioni di raccolta e trasporto dei propri? (link a www.ambientelegale.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Cosa prevede la circolare Prot. n. 432/ALBO/PRES del 15.03.2011 circa il trasporto in conto proprio dei rifiuti? (link a www.ambientelegale.it).

NEWS

VARI: Marca postale elettronica: sicurezza garantita.
Con il Decreto del 04.12.2010, pubblicato nella GU n. 49 dell'01.03.2011, sono state definite le modalità tecnologiche per garantire la sicurezza, l'integrità e la certificazione della trasmissione telematica di documenti cui è associata la marca postale elettronica.
La Marca Postale Elettronica (EPCM), sviluppata in collaborazione con Microsoft, per conto dell’Unione Postale Universale, consente di inviare in tutta sicurezza documenti in formato elettronico utilizzando la tecnologia Epcm (Electronical Postal Certification Mark).
Può essere apposta solo dalle poste e permette di verificare l'integrità del contenuto di un messaggio, rendendo qualunque forma di alterazione e manomissione facilmente ed inequivocabilmente identificabile e di avere la certezza su data e ora di ricezione del documento da parte di Poste Italiane.
Il sistema EPCM realizzato da Poste Italiane è una timbratura postale elettronica che permette di vidimare elettronicamente un file, una comunicazione o anche una transazione elettronica, e di associare alla stessa una duplice garanzia: la certezza della data e dell’ora di apposizione della marca; l’integrità dell’oggetto timbrato lettronicamente, verificabili anche a distanza di tempo.
In particolare questa seconda caratteristica rappresenta un ulteriore vantaggio rispetto al tradizionale timbro postale, rendendo qualunque forma di alterazione e manomissione facilmente ed inequivocabilmente identificabile (link a www.giustizia-amministrativa.it).

GIURISPRUDENZA

APPALTI: E' illegittima la previsione di un bando di gara, che disponga l'automatica esclusione di un concorrente, collegata ad ulteriori sub soglie di sbarramento, in luogo di una complessiva valutazione che tenga conto delle criticità rilevate.
Ai sensi dell'art. 83, c. 2, del d.lgs. n. 163/2006, il bando di gara elenca i criteri di valutazione e precisa la ponderazione relativa attribuita a ciascuno di essi, anche mediante una soglia, espressa con un valore numerico determinato, in cui lo scarto tra il punteggio della soglia e quello massimo relativo all'elemento cui si essa fa riferimento, deve essere appropriato.
La norma, che ha recepito l'art. 53 Dir. CE 2004/18 e l'art. 55 Dir. CE 2004/17, è finalizzata ad assicurare l'individuazione dell'offerta che presenti il migliore rapporto qualità/prezzo, nonché la trasparenza dell'attività amministrativa e la parità di trattamento dei concorrenti; pertanto, l'offerta economicamente più vantaggiosa discende dalla valutazione di più fattori, previamente e discrezionalmente individuati dalla stazione appaltante, e resi noti nel bando di gara.
L'art. 83, c. 4, aggiunge che "il bando per ciascun criterio di valutazione prescelto prevede i sub-criteri e i sub-pesi o i sub-punteggi, e la stazione appaltante redige i criteri, i pesi, i punteggi e le relative specificazioni da indicare. Procedure quali quella in esame sono volte all'acquisizione dell'offerta economicamente più vantaggiosa, ed i requisiti devono essere definiti in modo chiaro dal punto di vista tecnico, sì da prestarsi a verifiche basate su parametri ben individuati. Ciò vale soprattutto allorquando la stazione appaltante intenda porre sbarramenti "minimi", prevedendo altresì l'eventuale esclusione del concorrente che si trovi al di sotto di questi.
Il caso di specie attiene ad un sistema di valutazione che prevede ulteriori sub-soglie di sbarramento attinenti ai singoli sub-elementi fissati nel disciplinare di gara, anche a pena di esclusione. Non può negarsi all'ente appaltante il potere di fissare distintamente, per dette categorie o sub categorie, un punteggio minimo, non raggiungendo il quale il concorrente viene escluso dalla gara.
Tuttavia, nella fattispecie, la sanzione espulsiva dovuto al mancato conseguimento di un punteggio minimo anche in una sola delle sub categorie, risulta particolarmente discriminatoria, in quanto correlata ad una valutazione basata su giudizi discrezionali, e non, invece, su parametri certi ed immediatamente quantificabili (Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 13.04.2011 n. 2295 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Sulla legittimità dell'esclusione da una gara di un concorrente, per irregolarità contributiva sanata solo successivamente al provvedimento di aggiudicazione.
L'assenza del requisito della regolarità contributiva, costituendo condizione di partecipazione alla gara, se non posseduto alla data di scadenza del termine di presentazione dell'offerta, non può che comportare la esclusione del concorrente non adempiente, non potendo valere la regolarizzazione postuma.
La mancanza del requisito della regolarità contributiva alla data di scadenza del termine previsto dal bando per la presentazione delle offerte, in definitiva, non é sanato dall'eventuale adempimento tardivo dell'obbligazione contributiva, atteso che tale tardivo adempimento può rilevare nelle reciproche relazioni di credito e di debito fra i soggetti del rapporto obbligatorio e non anche nei confronti dell'Amministrazione aggiudicatrice che debba accertare la sussistenza del requisito della regolarità contributiva ai fini dell'ammissione alla gara.
Pertanto, nel caso di specie, è legittimo il provvedimento di esclusione da una gara d'appalto, adottato da una stazione appaltante nei confronti di un concorrente che versi in stato di irregolarità in ordine agli obblighi previdenziali prescritti dalla legge, e che abbia provveduto a sanare tale mancanza solo successivamente all'aggiudicazione della procedura (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 12.04.2011 n. 2283 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Sulla legittimità del rinnovo integrale di una gara d'appalto, in seguito all'annullamento dell'aggiudicazione, per violazione del principio relativo alla segretezza delle offerte.
E' legittimo l'operato di un P.A. che abbia provveduto al rinnovo integrale di una gara d'appalto, a seguito dell'annullamento dell'aggiudicazione, dovuto al mancato rispetto del principio di segretezza delle offerte, ciò in quanto, la violazione suddetta, comporta gravi conseguenze ai fini del corretto svolgimento della procedura; nel caso di specie, in sede di esercizio della discrezionalità conseguente alla statuizione di annullamento, la stazione appaltante si è correttamente posta la questione circa l'utilizzabilità di atti viziati nei termini accertati.
Secondo consolidata giurisprudenza, in materia di riesercizio del potere amministrativo conseguente all'annullamento degli atti di gara, l'amministrazione soccombente ha l'obbligo di conformarsi alle relative statuizioni, nell'ambito degli ulteriori provvedimenti che rimangono salvi ai sensi dell'art. 26 l. n. 1034/1971; in altre parole, l'annullamento dell'aggiudicazione è costitutivo di un vincolo permanente e puntuale sulla successiva attività dell'amministrazione, la quale deve tenere conto dei principi enunciati nella sentenza di annullamento, al fine di orientare la sua ulteriore azione.
Appare, pertanto, pienamente conforme al generale canone di ragionevolezza in materia di appalti pubblici, prendere atto della lesione dei principi di segretezza, con conseguente esercizio della discrezionalità nel senso della totale rinnovazione della gara, e ciò al fine di acquisire nuove offerte da sottoporre anche a corretti e predeterminati criteri di valutazione (TAR Liguria, Sez. II, sentenza 12.04.2011 n. 586 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI SERVIZI: L'art. 23-bis c. 9, del d.l. n. 112/2008, convertito con l. n. 133/2008 e ss.mm. non si applica alle società miste pubblico-private costituite ai sensi del c. 2, lett. b, del medesimo articolo.
L'affidamento ad una società mista pubblica e privata costituita con le modalità indicate dal c. 2, lett. b), dell'art. 23-bis del d.l. n. 112/2008, convertito con l. n. 133/2008 e ss.mm. deve essere equiparato, ai fini della tutela della concorrenza e del mercato, anche alla luce dei principi dettati dall'U.e. in materia, all'affidamento a terzi mediante pubblica gara.
Pertanto, il divieto di partecipazione alla gare bandite per l'affidamento di servizi diversi da quelli in atto, previsto dal c. 9 del citato art. 23-bis, si applica solamente alle società che già gestiscono servizi pubblici locali a seguito di affidamento diretto o comunque a seguito di procedura non ad evidenza pubblica (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 11.04.2011 n. 2222 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTIIn assenza di clausole della lex specialis oscure o equivoche prevale il principio di formalità.
La violazione di oneri formali imposti a pena di esclusione dalla lex specialis esprime la prevalenza del principio di formalità collegato alla garanzia della par condicio che -in assenza di clausole equivoche o di significato oscuro- non può essere superato dall’opposto principio del favor partecipationis (C. Stato sez. V 6498/2008).
Pertanto, ai sensi dell’art. 46 del d.lgs. n. 163 del 2006, i criteri disposti ai fini dell’integrazione documentale possono riguardare esclusivamente chiarimenti in ordine alla documentazione prodotta per sanare eventualmente mere irregolarità formali, e non la violazione di precise e chiare prescrizioni del bando, perché altrimenti verrebbe ad essere violato il principio della "par condicio" dei concorrenti, con conseguente inammissibile incidenza sulla sostanza e non più solo sulla forma (massima tratta da www.dirittodegliappaltipubblici.it -  TAR Sicilia-Catania, Sez. III, sentenza 07.04.2011 n. 854 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTISono ostensibili fin dall'aggiudicazione provvisoria la documentazione amministrativa, l'offerta economica e tecnica presentate dai concorrenti in gara.
La lettera c del comma 2 dell'art. 13 del Codice dei Contratti fa riferimento all’<aggiudicazione>; mentre, la successiva c-bis cita esplicitamente l’<aggiudicazione definitiva>; segno che il legislatore, quando ha ritenuto rilevante attendere che si fosse realizzata la conclusione della procedura selettiva (attraverso, appunto, l’aggiudicazione definitiva), lo ha detto espressamente.
Diversamente, nell’ipotesi descritta nella precedente lettera c, l’espressione generica “aggiudicazione” deve essere riferita all’aggiudicazione “provvisoria”, e ciò in applicazione del criterio interpretativo ubi lex voluit, dixit; ubi noluit, non dixit (massima tratta da www.dirittodegliappaltipubblici.it - TAR Sicilia-Catania, Sez. I, sentenza 07.04.2011 n. 812 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - ENTI LOCALIAi sindaci non è conferito alcun potere di emanare ordinanze di ordinaria amministrazione in deroga a norme legislative o regolamentari vigenti.
Il Tribunale amministrativo regionale per il Veneto ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 54, comma 4, del decreto legislativo 18.08.2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali), come sostituito dall’art. 6 del decreto-legge 23.05.2008, n. 92 (Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 24.07.2008, n. 125, nella parte in cui consente che il sindaco, quale ufficiale del Governo, adotti provvedimenti a «contenuto normativo ed efficacia a tempo indeterminato», al fine di prevenire e di eliminare gravi pericoli che minaccino la sicurezza urbana, anche fuori dai casi di contingibilità e urgenza.
In particolare, i giudici veneziani lamentano che la norma indicata sarebbe illegittima «nella parte in cui ha inserito la congiunzione “anche” prima delle parole “contingibili e urgenti”». Ad avviso dei giudici della Corte Costituzionale, che ritengono la questione fondata, si deve notare, al riguardo, che nell’art. 54, comma 4, del d.lgs. n. 267 del 2000 è scritto: «Il sindaco, quale ufficiale del Governo, adotta con atto motivato provvedimenti, anche contingibili e urgenti nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento, al fine di prevenire e di eliminare gravi pericoli che minacciano l’incolumità pubblica e la sicurezza urbana».
Si può osservare agevolmente, continuano i giudici delle leggi, che la frase «anche contingibili e urgenti nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento» è posta tra due virgole. Si deve trarre da ciò la conclusione che il riferimento al rispetto dei soli principi generali dell’ordinamento riguarda i provvedimenti contingibili e urgenti e non anche le ordinanze sindacali di ordinaria amministrazione.
L’estensione anche a tali atti del regime giuridico proprio degli atti contingibili e urgenti avrebbe richiesto una disposizione così formulata: «adotta con atto motivato provvedimenti, anche contingibili e urgenti, nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento […]».
La dizione letterale della norma implica che non è consentito alle ordinanze sindacali “ordinarie” –pur rivolte al fine di fronteggiare «gravi pericoli che minacciano l’incolumità pubblica e la sicurezza urbana»– di derogare a norme legislative vigenti, come invece è possibile nel caso di provvedimenti che si fondino sul presupposto dell’urgenza e a condizione della temporaneità dei loro effetti.
I giudici di Palazzo della Consulta hanno infatti già precisato, con giurisprudenza costante e consolidata, che deroghe alla normativa primaria, da parte delle autorità amministrative munite di potere di ordinanza, sono consentite solo se «temporalmente delimitate» (ex plurimis, sentenze n. 127 del 1995, n. 418 del 1992, n. 32 del 1991, n. 617 del 1987, n. 8 del 1956) e, comunque, nei limiti della «concreta situazione di fatto che si tratta di fronteggiare» (sentenza n. 4 del 1977). Le ordinanze oggetto di questo scrutinio di legittimità costituzionale, concludono gli stessi giudici, non sono assimilabili a quelle contingibili e urgenti, già valutate nelle pronunce appena richiamate.
Esse consentono ai sindaci «di adottare provvedimenti di ordinaria amministrazione a tutela di esigenze di incolumità pubblica e sicurezza urbana» (sentenza n. 196 del 2009). Sulla scorta del rilievo sopra illustrato, che cioè la norma censurata, se correttamente interpretata, non conferisce ai sindaci alcun potere di emanare ordinanze di ordinaria amministrazione in deroga a norme legislative o regolamentari vigenti, la Corte conclude che non sussistono i vizi di legittimità che sono stati denunciati sulla base del contrario presupposto interpretativo (commento tratto da www.documentazione.ancitel.it - Corte Costituzionale, sentenza 07.04.2011 n. 115 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

PUBBLICO IMPIEGONon è più applicabile agli impiegati comunali il principio dell'equa proporzione tra i loro stipendi e quello del segretario comunale.
Con la sentenza contestata in appello, il TAR di Napoli aveva dichiarato inammissibile il ricorso proposto dagli attuali appellanti, tutti dipendenti di un Comune campano, per l’annullamento del silenzio tenuto dall’amministrazione comunale sulle alcune istanze volte al riconoscimento del diritto a veder ristabilita l’equa proporzione tra i loro stipendi e quello del segretario comunale. Il TAR Campania aveva dichiarato inammissibile il ricorso, non sussistendo i presupposti per la formazione del silenzio rigetto, rilevandone, comunque, l’infondatezza nel merito.
Gli appellanti hanno contestato la sentenza principalmente in riferimento alla valutazione di merito non avendo, a loro avviso, il TAR tenuto conto del disposto dell’art. 228 del r.d. n. 783 del 1934 che imponeva alle amministrazioni comunali di fissare gli stipendi con equa proporzione rispetto a quello goduto dal segretario comunale. Secondo i giudici del Consiglio di Stato, tuttavia, l’appello è infondato: è sufficiente, infatti, evidenziare che la questione relativa alla rideterminazione del trattamento economico dei dipendenti comunali, in applicazione dell’art. 228 del T.U.L.C.P. 03.03.1934 n. 383, ai sensi del quale <>, è stata affrontata da tempo dalla giurisprudenza, che ha assunto una posizione negativa che si condivide in pieno (cfr., tra le più recenti decisioni, Cons. St., Sez. V, 14.06.2004, n. 3793; 07.07.2002 n. 3736; 23.01.2001 n. 196; 13.03.2000 n. 1304; id., 07.02.2000 n. 664; id., 06.10.1999 n. 1335).
Conformemente a tale orientamento giurisprudenziale, deve ritenersi che da quando il trattamento economico del personale dipendente dei Comuni deve essere determinato con il sistema della contrattazione collettiva, con il recepimento del contenuto dei relativi accordi nazionali da parte delle Amministrazioni e, quindi, con il contestuale divieto di corrispondere trattamenti superiori a quelli risultanti dagli accordi stessi, il principio dell'equa proporzione con il trattamento del segretario comunale, di cui all'art. 228 del T.U. 03.03.1934 n. 383, non è più applicabile.
Questo principio, chiariscono i giudici di Palazzo Spada, è riconducibile ad un diverso sistema normativo, nel quale gli enti locali potevano determinare, con atto autoritativo ed unilaterale, il trattamento economico dei propri dipendenti. Facoltà che, tuttavia, è venuta meno per il carattere immediatamente precettivo ed inderogabile, conferito ad opera dell'art. 6 del d.l. 29.12.1977 n. 946, convertito nella legge 27.02.1978 n. 43, alla disciplina del rapporto di impiego del personale in questione contenuta nel d.p.r. 01.06.1979 n. 191.
La determinazione del trattamento giuridico ed economico del personale degli enti locali in conformità degli accordi nazionali, per altro, risponde alla volontà legislativa di individuare una nuova fonte esclusiva di regolamentazione a garanzia dell'omogeneità del regime applicabile ed in vista del contenimento della spesa pubblica, nel rispetto dei principi costituzionali d'imparzialità e di buon andamento dell'azione amministrativa (cfr., tra le molte, Cons. St., Sez. V, 21.07.1999 n. 883; id., 15.09.1997 n. 978; id., 03.06.1996, n. 610).
Si tratta, quindi, di una disciplina che, rafforzata dal principio di onnicomprensività della retribuzione fissato dagli accordi, disancora il trattamento economico del dipendente dal potere discrezionale dell'ente, risultando in tal modo radicalmente incompatibile con la citata facoltà di riequilibrio previsto dall'art. 228 citato. Né può ritenersi che questa facoltà sopravviva per i periodi anteriori alla riforma.
Non si tratta, invero, di applicare, ora per allora, una disciplina che fissa concreti livelli retributivi, sulla quale eventualmente fondare diritti soggettivi ormai immodificabili, bensì di postulare l'esercizio di un potere pubblico definitivamente abrogato (commento tratto da www.documentazione.ancitel.it - Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 01.04.2011 n. 2024 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAAi fini della legittimazione all’impugnazione la “vicinitas” si valuta in rapporto al carattere e alle dimensioni dell’intervento di cui si controverte.
La società ricorrente, nella causa in commento, è titolare di un’area sita nel comune in causa, in zona in gran parte già edificata, classificata dal vigente P.R.G. come omogenea B, e occupata da stabili ora dismessi, destinati a suo tempo ad uffici e depositi dell’ENEL; relativamente a tale area, detta società ha ottenuto, mediante deliberazioni del Consiglio comunale, l’adozione e approvazione di un piano integrato di intervento, o P.I.I., inteso a valorizzarla mediante nuovi edifici, a destinazione abitativa ovvero terziaria e commerciale.
Tra le numerose doglianze è degna di attenzione, ai fini di un approfondimento, l’eccezione di l’inammissibilità del ricorso per difetto di legittimazione dedotta dal Comune.
Il Tribunale amministrativo di Brescia, infatti, ritenendola fondata, ricorda che, in termini del tutto generali, è noto che la legittimazione di singoli soggetti ad impugnare atti amministrativi che incidano in qualche modo sull’ambiente ovvero sul territorio e in particolare ad impugnare strumenti urbanistici generali, o come nel caso presente attuativi, è riconosciuta in giurisprudenza in base al criterio della cd. vicinitas, definita in termini sintetici -da ultimo si veda C.d.S. sez. V 18.08.2010 n. 5819- come “il fatto che i ricorrenti vivano abitualmente in prossimità del sito prescelto per la realizzazione” dell’intervento di che trattasi.
Dalla stessa giurisprudenza, risulta poi, continuano i giudici lombardi, per implicito, ma in modo inequivoco, che la vicinitas rileva non di per sé, ma come indizio dal quale desumere la fondata possibilità di un pregiudizio che dagli atti impugnati deriverebbe alla propria esistenza quotidiana, in particolare all’ambito spaziale nel quale essa si svolge.
Tale pregiudizio infine, altro non è che esplicazione del principio generale dell’interesse, per cui per proporre una azione in giudizio è necessario che dalla stessa possa derivare all’attore una qualche concreta utilità, sotto il profilo di un vantaggio sperato oppure, come appunto nella specie, di un danno prevenuto.
In forza di ciò, si comprende l’affermazione che è pure costante in giurisprudenza, per cui la vicinitas è un criterio in qualche modo elastico: conduce non a individuare regole valide per qualsiasi situazione, ma a valutarla caso per caso, in rapporto al carattere e alle dimensioni dell’intervento di cui si controverte apprezzati in base a comune esperienza, come ritenuto ad esempio, fra le decisioni recenti, da C.d.S. sez. VI 13.09.2010 n. 6554.
In tali termini, la legittimazione fondata sulla vicinitas sarà da riconoscere in via tendenzialmente assai ampia ad esempio nel caso di impugnazione degli atti relativi alla realizzazione di impianti industriali, notoriamente suscettibili di ingenerare un impatto considerevole sul territorio e di indurre rischi anche gravi sulla salute degli abitanti di ampie zone dello stesso. In tal caso, non sarà necessaria la prova rigorosa dell'effettività del danno che si potrebbe subire: così ad esempio in motivazione C.d.S. sez. V 18.08.2010 n. 5819 in una fattispecie relativa ad un termovalorizzatore.
A conclusioni opposte, invece, si deve pervenire nel caso di impugnazione di atti relativi ad insediamenti non particolarmente impattanti, come i normali edifici adibiti a ufficio o abitazione: in tal caso, è richiesta, almeno in termini presuntivi, la prova specifica di un potenziale pregiudizio di qualche entità cui il ricorrente potrebbe andare incontro, perché in mancanza si introdurrebbe in via di fatto una sorta di azione popolare, sconosciuta come tale al nostro ordinamento (commento tratto da www.documentazione.ancitel.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 29.03.2011 n. 483 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIl titolare di un’autorizzazione amministrativa per l'esercizio di attività commerciale è legittimato a denunciare le violazioni edilizie ed urbanistiche contigue.
Riassumiamo brevemente i fatti che hanno originato la pronuncia in commento: le società ricorrenti esercitano da anni l’attività commerciale di vendita di materiali edili, pavimenti, idrosanitari, rivestimenti in un comune laziale.
Avuta notizia dell’apertura da parte della società resistente di un’attività di commercio all’ingrosso dei medesimi materiali nello stesso comune, le ricorrenti, previa deduzione delle riscontrate illegittimità del procedimento di rilascio dell’autorizzazione al commercio, nonché degli interventi di trasformazione edilizia effettuati da parte di questa società sia nel piazzale che nell’edificio, hanno sollecitato il comune all’adozione dei provvedimenti di competenza ai fini della revoca dell’autorizzazione al commercio, nonché della rimessione in pristino sia del piazzale che dell’edificio adibito ad attività commerciale.
Il Comune, tuttavia, é rimasto inerte non avendo dato in alcun modo seguito alla predetta istanza e, pertanto, con il ricorso in rassegna, le società ricorrenti hanno dedotto l’illegittimità del silenzio serbato da parte dell’amministrazione comunale.
Quanto al secondo punto (rimandiamo al testo della sentenza per l’analisi completa delle questioni di diritto analizzate) i giudici del Tribunale amministrativo di Roma sottolineano che l'art. 27 d.P.R. 06.06.2001, n. 380, prevede l'azionabilità del procedimento sanzionatorio edilizio anche sulla scorta di denunzia di soggetti privati, e, pertanto, va ribadito che il proprietario di un'area o di un fabbricato, nella cui sfera giuridica incide dannosamente il mancato esercizio dei poteri ripristinatori e repressivi da parte dell'organo preposto avverso abusi edilizi, è titolare di un interesse legittimo all'esercizio di detti poteri e può pretendere, se non vengono adottate le misure richieste, un provvedimento che ne spieghi esplicitamente le ragioni, con la definitiva conseguenza che il silenzio serbato sull'istanza e sulla successiva diffida dell'interessato integra gli estremi del silenzio rifiuto sindacabile in sede giurisdizionale quanto al mancato adempimento dell'obbligo di provvedere espressamente.
Deve, pertanto, rilevarsi, secondo i giudici capitolini, che il titolare di un’autorizzazione amministrativa per l'esercizio di attività commerciale su area contigua a quella interessata dagli interventi edilizio-urbanistici, è legittimato ad eccitare i poteri di vigilanza del comune stesso ex articolo 27 del d.P.R. n. 380 del 2001, al fine dell'accertamento di violazioni edilizie ed urbanistiche e di inadempimento di obblighi contratti verso l’amministrazione, in ragione della vicinitas con l'area considerata, con la conseguenza che va dichiarata l'illegittimità del silenzio serbato dall'amministrazione sulla diffida notificata al riguardo.
Ed, infatti, il riconoscimento di interessi giuridicamente rilevanti in materia urbanistico-edilizia non può circoscriversi ai soli soggetti proprietari di immobili, ma deve essere esteso a tutti coloro che, in ragione di uno stabile collegamento con l'area interessata dalle iniziative edificatorie, debbano considerasi titolari di una posizione giuridicamente differenziata, qual è quella connessa alla titolarità dell'autorizzazione all'esercizio di un'attività commerciale nell'area medesima.
Risolutiva al riguardo, concludono i giudici laziali, non è pertanto la contiguità stretta degli immobili di cui trattasi, quanto l’incidenza degli stessi in una medesima area (commento tratto da www.documentazione.ancitel.it - TAR Lazio-Roma, Sez. II-ter, sentenza 28.03.2011 n. 2721 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIL’offerta deve contenere, a pena di esclusione, una specifica e precisa informazione circa l'effettivo assolvimento di tutte le formalità connesse all'assunzione di lavoratori disabili.
Con uno tra i numerosi motivi di gravame presenti nella pronuncia in rassegna, riguardante, sostanzialmente, una gara indetta da un Comune toscano, è stata dedotta la violazione dell’art. 38 del D.Lgs. n. 163 del 2006 e dell’art. 17 della L. n. 68 del 1999.
Secondo la ditta ricorrente la vincitrice del bando di gara aveva presentato un’offerta difforme alle prescrizioni della lex specialis sotto più profili, in particolare per mancata dichiarazione circa l’osservanza della normativa in materia di diritto al lavoro dei disabili.
La tesi del TAR secondo cui le imprese in gara avrebbero dovuto non solo essere in regola con gli obblighi richiesti dal bando, ma anche dichiarare quali obblighi avevano soddisfatto (sicché non potevano fornire dichiarazioni di contenuto contraddittorio e non definito, quindi inidoneo ad eventuali verifiche della veridicità delle dichiarazioni effettuate) sarebbe smentita, ad avviso dei ricorrenti, sia dalla circostanza che il disciplinare di gara non stabiliva che dovesse essere dichiarato quale obbligo era soddisfatto con riguardo al diritto al lavoro dei disabili, ma richiedeva solo la formulazione riportata al paragrafo II.1 nel modulo prestampato, senza chiedere altro, sia dalla circostanza che comunque poteva comunque essere verificata (anche ai sensi dell’art. 71 del D.P.R. n. 445 del 2000) la veridicità di quanto affermato.
Osserva in proposito il Consiglio di Stato che l'art. 17 della L. 12.03.1999 n. 68 prevede che le imprese, sia pubbliche sia private, qualora partecipino a bandi di gara per appalti pubblici o intrattengano rapporti convenzionali o di concessione con pubbliche Amministrazioni, sono tenute a presentare preventivamente alle stesse la dichiarazione del legale rappresentante che attesti di essere in regola con le norme che disciplinano il diritto al lavoro dei disabili. Al riguardo la giurisprudenza del Consiglio di Stato ha costantemente rilevato che la dichiarazione di cui all'art. 17, della L. 12.03.1999 n. 68, in materia di tutela dei disabili, costituisce requisito di partecipazione alla gara; ne consegue che la omissione di detta dichiarazione costituisce causa di esclusione per la forza cogente propria della legge (Consiglio Stato, sez. V, 21.05.2010, n. 3213) e la sua sussistenza deve essere esplicitamente dichiarata anche qualora il soggetto non sia tenuto al rispetto delle norme o sia in regola con le norme stesse.
In tema di partecipazione ad una gara per l'affidamento di un appalto pubblico, la “ratio” e la finalità dell'art. 17, della L. n. 68 del 1999, non sono solo quelle di garantire la P.A. nella conclusione del contratto, da stipularsi con una impresa che abbia osservato ed osservi la normativa sul diritto al lavoro dei disabili, ma anche quella di imporre il rispetto di essa: dette finalità possono essere perseguite, da una parte, verificando l'assenza di pregresse violazioni della disciplina e, per il futuro, verificandone la completa osservanza sulla base dell'assetto organizzativo che, in termini di risorse umane, con riferimento alle prestazioni oggetto di gara, il soggetto aggiudicatario voglia darsi.
Dette considerazioni escludono anche che la Commissione di gara, possa al riguardo utilizzare il potere di richiedere chiarimenti ed integrazioni, non solo perché ciò costituirebbe violazione dei principi di concorrenza e par condicio che presidiano la materia degli appalti pubblici, ma soprattutto perché si dovrebbe richiedere all'Amministrazione di verificare, in mancanza della dichiarazione, se l'impresa occupi un numero di lavoratori tali da esentarla dall'assunzione dei disabili, il che non solo non è conforme alla lettera dell'art. 17, della L. n. 68 del 1999 ma è anche contrario a principi di economicità ed efficacia dell'azione amministrativa di cui agli artt. 97, comma 1, della Costituzione e 1, della L. 07.08.1990 n. 241 (Consiglio Stato, sez. V, 24.01.2007, n. 256).
L'offerta deve quindi contenere a pena di esclusione una specifica e precisa informazione circa l'effettivo assolvimento di tutte le formalità connesse all'assunzione di lavoratori disabili (commento tratto da www.documentazione.ancitel.it - Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 24.03.2011 n. 1792 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVIIl regolamento non può derogare alle condizioni generali di accesso agli atti di un’amministrazione locale a favore dei “residenti”.
La questione controversa, in questo ricorso al Consiglio di Stato, consiste nello stabilire se l’accesso agli atti di un’amministrazione locale, tanto più in quanto esso sia regolato da un apposito regolamento, possa prescindere o, addirittura, derogare alle condizioni generali per l’esercizio dell’accesso fissate dall’articolo 25 della legge 07.08.1990, n. 241.
In merito, i giudici di Palazzo Spada ricordano che la giurisprudenza ha già avuto modo di rilevare in controversie pressoché analoghe (C.d.S., sez. V, 29.11.2004, n. 7773; 20.10.2004, n. 6879; 18.03.2004, n. 1412), la disposizione contenuta nel primo comma dell’articolo 10 del D.Lgs. 18.08.2000, n. 267 (secondo cui “tutti gli atti dell’amministrazione comunale e provinciale, ad eccezione di quelli riservati per espressa disposizione di legge o per effetto di una temporanea e motivata dichiarazione del sindaco o del presidente della provincia che ne vieti l’esibizione, conformemente a quanto previsto dal regolamento, in quanto la loro diffusione possa pregiudicare il diritto alla riservatezza delle persone, dei gruppi o delle imprese”), sancisce il principio della pubblicità degli atti delle amministrazioni locali, senza tuttavia con ciò possa implicare una diversa configurazione del diritto di accesso, così come delineato dall’articolo 25 della legge 07.08.1990, n. 241, e senza neppure disciplinare modalità differenziate di esercizio di tale diritto. Per quanto riguarda i requisiti di accoglimento della domanda di accesso non sussiste dunque alcuna ragione per discostarsi da quelli contenuti nella disciplina generale di cui agli articoli 22 e seguenti della legge 07.08.1990, n. 241.
In altri termini, come pure è stato opportunamente evidenziato nei citati arresti giurisprudenziali, l’articolo 10 del D.Lgs. 18.08.2000, n. 267 (e prima di esso l’articolo 7 della legge 08.06.1990, n. 142), contiene una deroga all’articolo 24 della citata legge 07.08.1990, n. 241, ma non alle disposizioni di cui al successivo articolo 25.
Tali conclusioni, con cui i giudici d’appello concordano, consentono di respingere la tesi, della specialità delle disposizioni regolamentari emanate in tema di accesso dal Comune in causa, in forza delle quali, secondo l’appellante, l’accesso stesso per i soli cittadini residenti non sarebbe subordinato alla dimostrazione dell’interesse (all’accesso), secondo le disposizioni generali di cui all’articolo 25 della legge 07.08.1990, n. 241.
Innanzitutto, anche a voler prescindere dal carattere assolutamente soggettivo dell’interpretazione delle disposizioni regolamentari comunali propugnata dall’appellante, gli stessi giudici osservano che il potere riconosciuto all’amministrazione locale, ai sensi dell’articolo 7, comma 3, della legge 08.06.1990, n. 142, e del successivo articolo 10, comma 2, del D.Lgs. 18.08.2000, n. 267, di disciplinare in concreto il diritto di accesso ai propri atti, non si configura affatto come potere normativo libero e autonomo, derogatorio dei principi generali in materia, bensì si colloca armonicamente proprio come strumentale all’applicazione dei principi fondamentali della materia (nel rispetto, quindi, del fondamentale rispetto del principio di legalità cui è subordinato l’esercizio del potere regolamentare), essendo diretto, come puntualmente stabilito dalle disposizioni legislative ricordate, ad assicurare ai cittadini, singoli e associati, il diritto di accesso ai documenti attraverso la disciplina del rilascio delle copie di atti previo pagamento dei soli costi; individuando, anche attraverso norme di organizzazione, gli uffici e i servizi e i responsabili del procedimento; dettando le norme per assicurare ai cittadini l’informazione sugli atti, procedure e provvedimenti che li riguardano ed in generale l’accesso alle informazioni in possesso dell’informazione (commento tratto da www.documentazione.ancitel.it - Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 24.03.2011 n. 1772 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATASono di competenza del giudice civile le lesioni di un diritto soggettivo derivanti da un intervento approvato con concessione edilizia.
Nella causa in commento i ricorrenti impugnarono dinanzi al TAR per il Piemonte una concessione edilizia per la costruzione di un fabbricato residenziale con autorimessa interrata. I motivi del gravame vertevano, in sintesi, sulla violazione dei diritti dei terzi e, in particolare, degli stessi ricorrenti.
Ad avviso dei giudici del Consiglio di Stato, il TAR ha correttamente opposto alla censura di violazione “dei diritti di terzi, e, in particolare, diritti dei ricorrenti”, che la tutela dei diritti soggettivi individuali in questa materia non rientra nell’ambito della giurisdizione assegnata al Giudice amministrativo: la concessione edilizia viene difatti rilasciata con la clausola della salvezza dei diritti dei terzi, ed è quindi il giudice civile l’autorità titolata a conoscere di eventuali lesioni di posizioni di diritto soggettivo che possano scaturire dall’intervento assentito.
E’ appena il caso di ricordare, continuano i giudici di Palazzo Spada, che, se è vero che l'Amministrazione comunale, nel corso dell'istruttoria sul rilascio della concessione edilizia, deve verificare che esista il titolo per intervenire sull'immobile per il quale è chiesta la concessione edilizia, benché la concessione sia sempre rilasciata facendo salvi i diritti dei terzi, è anche vero, però, che deve escludersi un obbligo del Comune di effettuare complessi accertamenti diretti a ricostruire tutte le vicende riguardanti la titolarità dell'immobile, o di verificare l'inesistenza di servitù o altri vincoli reali che potrebbero limitare l'attività edificatoria dell'immobile, atteso che la concessione edilizia è un atto amministrativo che rende semplicemente legittima l'attività edilizia nell'ordinamento pubblicistico, e regola solo il rapporto che, in relazione a quell'attività, si pone in essere tra l'autorità amministrativa che lo emette ed il soggetto a favore del quale è emesso, ma non attribuisce a favore di tale soggetto diritti soggettivi conseguenti all'attività stessa, la cui titolarità deve essere sempre verificata alla stregua della disciplina fissata dal diritto comune (Consiglio Stato, V: 07.09.2009, n. 5223; 07.09.2007 n. 4703; 02.10.2002 n. 5165).
La clausola relativa alla salvezza dei diritti dei terzi, concludono gli stessi giudici, inserita nella concessione edilizia deve quindi proprio intendersi nel senso che non incombe all'autorità che rilascia la concessione compiere complesse ricognizioni giuridico-documentali, ovvero accertamenti in ordine ad eventuali pretese che potrebbero essere avanzate da soggetti estranei al rapporto concessorio, essendo sufficiente per l'Amministrazione l'acquisizione del titolo che formalmente abiliti alla concessione (Consiglio Stato, IV, 26.05.2006, n. 3201).
Sicché il vicino che reputi leso un proprio diritto soggettivo, ad es., in materia di distanze tra edifici, può sempre agire innanzi all'a.g.o. per la riduzione in pristino o il risarcimento del danno (Consiglio Stato, V, 19.03.1999, n. 277) (commento tratto da www.documentazione.ancitel.it - Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 24.03.2011 n. 1770 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Nessun obbligo della P.A. di pronunciarsi sull'istanza privata di attivazione del potere di autotutela.
Insussistenza dell'obbligo di motivazione in merito ad un'istanza promossa dal privato per ottenere un provvedimento in via di autotutela - Pubblica amministrazione - Istanza del privato - Richiesta di un provvedimento in via di autotutela - Obbligo di pronunciarsi - Motivazione di un eventuale diniego - Insussistenza - Caso concreto - Asserito difetto di motivazione - Infondatezza della censura.
Non sussiste alcun obbligo in capo alla Pubblica Amministrazione di pronunciarsi su un'istanza promossa da un privato al fine di ottenere un provvedimento in via di autotutela. Ne consegue che neppure sussiste uno specifico obbligo di motivazione di un eventuale diniego espresso in ordine a siffatta istanza.
Orbene, nel caso concreto, si è ritenuta infondata la censura del difetto di motivazione, sollevata dalla società ricorrente con i motivi aggiunti, in merito al provvedimento recante la reiezione dell'ulteriore istanza promossa dalla medesima per l'annullamento in autotutela dell'aggiudicazione della gara controversa in favore dell'ATI controinteressata, giacché, nonostante per tale provvedimento non vi sia un obbligo di motivazione, in esso tuttavia vi era una motivazione, quale quella secondo cui "la pendenza del giudizio sconsiglia una iniziativa in via di autotutela a prescindere dalla fondatezza dei rilievi sollevati", che appare del tutto plausibile, ragionevole e pertinente, nonché volta ad evitare una inutile proliferazione di iniziative giurisdizionali (massima tratta da a
www.diritto24.ilsole24ore.com - TAR Toscana, Sez. I, sentenza 24.03.2011 n. 488 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Istanza volta ad ottenere un provvedimento in via di autotutela - Obbligo di pronunciarsi della P.A. - Insussistenza - Inapplicabilità dell'istituto del silenzio-rifiuto e dello strumento di tutela di cui all'art. 21-bis della L. n. 241 del 1990 - Potere di autotutela - Potere d'ufficio - Istanze di parte - Mere sollecitazioni. (L. 07.08.1990, n. 241, art. 21-bis).
Non è ravvisabile alcun obbligo in capo alla Pubblica Amministrazione di pronunciarsi su un'istanza del privato volta ad ottenere un provvedimento in via di autotutela, non essendo coercibile ab extra l'attivazione del procedimento di riesame della legittimità dell'atto amministrativo mediante l'istituto del silenzio - rifiuto e lo strumento di tutela offerto dall'art. 21-bis, L. n. 241 del 1990.
A suffragio di quanto suesposto, infatti, si evidenzia che il potere di autotutela si esercita d'ufficio e non su istanza di parte e, pertanto, sulle eventuali istanze di parte, aventi valore di mera sollecitazione, non sussiste alcun obbligo giuridico di provvedere.
Ne consegue che non costituisce inadempimento la risposta espressa in relazione all'istanza del privato (massima tratta da a
www.diritto24.ilsole24ore.com - TAR Lazio-Latina, Sez. I, sentenza 23.03.2011 n. 282 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

PUBBLICO IMPIEGOÈ illegittima la normativa concorsuale che preveda espressamente quale causa di esclusione dalla partecipazione al concorso il mancato pagamento della relativa tassa.
Il ricorrente, nella pronuncia in commento, ha partecipato a un pubblico concorso per la copertura di dieci posti di docente presso la scuola d’infanzia, indetta dal comune in causa. Avendo appreso dall’Amministrazione di non aver versato la tassa di concorso, pari ad Euro 3,87, provvedeva al suo versamento dopo la conclusione dello stesso.
L’Amministrazione in applicazione di una specifica clausola del bando nonché del regolamento dei concorsi, ne disponeva l’esclusione e la decadenza dalla graduatoria. L’interessata presentava ricorso al TAR impugnando tutti gli atti della procedura, ivi compreso il bando e la norma del regolamento dei concorsi, per la parte concernente il pagamento della tassa di concorso e l’esclusione dalla procedura selettiva, deducendone l’illegittimità.
La tassa di concorso, secondo i giudici del Tribunale amministrativo di Bologna, non attiene ai requisiti soggettivi di partecipazione al concorso ma costituisce il corrispettivo per la prestazione di un servizio, con la conseguenza che è illegittima la normativa concorsuale (nella specie il bando di concorso ed il regolamento comunale dei concorsi) che preveda espressamente quale causa di esclusione dalla partecipazione al concorso il mancato pagamento della relativa tassa, potendo l'Amministrazione richiedere la regolarizzazione documentale da effettuarsi in un termine dalla stessa stabilito, mediante l'effettuazione del relativo versamento e la presentazione della ricevuta nel termine di cui sopra, trattandosi di una irregolarità meramente formale.
Il tardivo versamento della tassa di concorso costituisce pertanto un’irregolarità sanabile e, quindi, è da ritenere che, ricorrendone i presupposti, l'amministrazione debba consentirne la regolarizzazione, sussistendo semmai il dovere dell'amministrazione di procedere alla verifica dell’avvenuto pagamento della tassa in un arco temporale antecedente allo svolgimento delle prove di concorso e chiedere al concorrente la regolarizzazione documentale da effettuarsi in un termine a tal fine stabilito (TAR Lazio Roma, sez. II, 28.06.2006, n. 5308; TAR Toscana, sez. III, 13.06.1991, n. 285).
Né può ipotizzarsi, continuano i giudici emiliani, la violazione di un principio di par condicio nella partecipazione al concorso pubblico finalizzato all’assunzione del dipendente pubblico, derivante dal mancato pagamento di Euro 3,87, in quanto detto adempimento formale non ha nulla a che vedere con lo svolgimento della procedura e con il rispetto del principio di buon andamento ed imparzialità dell’azione amministrativa di cui agli articoli 97 e 98 della Costituzione.
Del resto la normativa di fonte primaria, ossia l’articolo 27, comma 6, del decreto-legge 28.02.1983, n. 55, convertito, con modificazioni, dalla legge 26.04.1983, n. 131, come novellato dalla legge 24.11.2000, n. 340, nel prevedere il potere impositivo della tassa di concorso alle amministrazione, per effetto di una scelta eventuale e discrezionale, non dispone l’esclusione dei candidati che non vi ottemperino e, conseguentemente, appare sproporzionata la sanzione dell’esclusione dal concorso conseguente alla ritardata corresponsione di una somma di euro 3,87 prevista dal regolamento comunale e dal bando, in mancanza di un obbligo di legge in tal senso (commento tratto da www.documentazione.ancitel.it - TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez. I, sentenza 18.03.2011 n. 258 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Diritto di accesso pacificamente riconosciuto agli enti di categoria.
Diritto di accesso - Riconoscibilità nei confronti degli enti esponenziali di interessi collettivi e diffusi - Condizioni - Associazioni dei consumatori - Istanza di accesso - Necessaria pertinenza con i fini statutari - Caso concreto - Silenzio rigetto sull'istanza di accesso - Impugnativa - Sussistenza della predetta pertinenza - Legittimazione riguardo all'accesso all'informazione ambientale più lata - Correttezza formale dell'istanza - Fondatezza del gravame (L. 07.08.1990, n. 241).

Il diritto di accesso, oltre che alle persone fisiche, deve essere riconosciuto anche ad enti esponenziali di interessi collettivi e diffusi, ove corroborati dalla rappresentatività dell'associazione o ente esponenziale e dalla pertinenza dei fini statutari rispetto all'oggetto dell'istanza promossa in tal senso. Le associazioni dei consumatori sono, dunque, legittimate ad esercitare il diritto di accesso ai documenti della Pubblica Amministrazione in relazione ad interessi dei consumatori e degli utenti di servizi pubblici.
Tale legittimazione, tuttavia, deve essere parametrata agli atti incidenti sulla sfera soggettiva di ogni singola associazione, ovvero verificata in relazione alla idoneità degli atti per cui si è richiesto l'accesso ad interferire con specificità ed immediatezza sulla posizione dei consumatori e degli utenti dalla stessa rappresentati, senza che l'interesse generale ed indifferenziato di tutti i cittadini al corretto e regolare svolgimento di una funzione o di un servizio pubblico, possa essere alla stessa riferibile.
Orbene, nel caso di specie, il ricorso promosso dalle associazioni ricorrenti al fine di ottenere l'annullamento del silenzio rigetto formatosi sulla richiesta, formulata dalla parte ricorrente, di accesso ai documenti amministrativi concernenti l'approvazione del progetto esecutivo e la realizzazione di un impianto di smaltimento dei rifiuti, risulta fondato, dal momento che deve ritenersi sussistente il diritto di accesso dei ricorrenti agli atti predetti, essendo l'istanza di accesso pertinente ai loro fini statutari.
Tra l'altro, deve altresì evidenziarsi che il concetto di legittimazione riguardo all'accesso all'informazione ambientale ha una valenza decisamente più lata rispetto alla legittimazione prevista per il diritto di accesso tout court; ed infine, l'istanza di accesso in parola è stata correttamente formulata nel rispetto dei parametri normativi previsti, con il conseguente riconoscimento del diritto di accesso nei confronti della parte ricorrente.
Pubblica amministrazione - Documenti amministrativi - Diritto di accesso - Enti esponenziali di interessi collettivi e diffusi - Spetta.
Il diritto di accesso, oltre che alle persone fisiche, spetta anche a enti esponenziali di interessi collettivi e diffusi, ove corroborati dalla rappresentatività dell'associazione o ente esponenziale e dalla pertinenza dei fini statutari rispetto all'oggetto dell'istanza.
Pertanto, sussiste il diritto di accesso del Codacons agli atti del comune concernenti l'approvazione del progetto esecutivo e la realizzazione di un impianto di smaltimento dei rifiuti atteso che, riguardo a tali atti, l'istanza del Codacons risulta pertinente ai fini statutari dell'associazione in quanto rivolta alla tutela dell'interesse degli utenti del relativo servizio.
Peraltro il concetto di legittimazione riguardo all'accesso all'informazione ambientale assume, per espressa previsione normativa e per costante applicazione giurisprudenziale, una valenza decisamente più lata rispetto alla legittimazione prevista per il diritto di accesso tout court (massima tratta da a
www.diritto24.ilsole24ore.com - TAR Lazio-Roma, Sez. II-ter, sentenza 14.03.2011 n. 2260 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAL'art. 9 della legge 24.03.1989, n. 122, nel consentire la costruzione di parcheggi, da destinare a pertinenza delle singole unità immobiliari, nel sottosuolo degli immobili o nei locali siti al piano terreno anche in deroga alla vigente disciplina urbanistica, concerne i soli fabbricati già esistenti e non anche le concessioni edilizie rilasciate per realizzare edifici nuovi.
Una volta che siano stati riservati per parcheggi spazi nella misura di legge, ogni spazio ulteriore (inteso come spazio libero da costruzioni, ovvero come box, o come autorimessa comune, ecc.) è completamente svincolato dalla disciplina vincolistica (in quanto ad esso non applicabile) e, quindi, può essere liberamente venduto, locato o formare oggetto di altri negozi giuridici, non costituendo pertinenza ai sensi della suddetta normativa speciale, ma pertinenza alla stregua, però, dell'art. 817 c.c..

E’ interpretazione giurisprudenziale consolidata che l'art. 9 della legge 24.03.1989, n. 122, nel consentire la costruzione di parcheggi, da destinare a pertinenza delle singole unità immobiliari, nel sottosuolo degli immobili o nei locali siti al piano terreno anche in deroga alla vigente disciplina urbanistica, concerne i soli fabbricati già esistenti e non anche le concessioni edilizie rilasciate per realizzare edifici nuovi, per i quali invece provvede l'art. 2, comma 2, della legge stessa che, nel novellare l'art. 41-sexies, della legge fondamentale 17.08.1942 n. 1150, stabilisce l'obbligo di riservare appositi spazi per parcheggi di misura non inferiore a 1 mq. per ogni 10 mc. di costruzione (Consiglio Stato, sez. V, 24.10.2000 n. 5676 e 27.09.1999 n. 1185).
Nella specie, poiché non è controverso che l’intervento edilizio abbia riguardato una costruzione di nuova realizzazione, le ragioni comunali sono da reputare fondate e quelle attoree di primo grado, per l’effetto, da ritenere prive di consistenza, poiché i parcheggi obbligatori di cui al richiamato art. 2, comma 2, costituiscono pertinenza in senso civilistico dell’unità immobiliare principale e, quindi, ne seguono la sorte ai fini del computo delle SNR e del calcolo dei corrispondenti oneri concessori.
Quanto alle quote eccedentarie, va richiamata Cassazione Civile (sezione II, 01.08.2008 n. 21003), secondo la quale, in tema di spazi destinati a parcheggi privati, in complessi condominiali di nuova costruzione, il susseguirsi d'interventi legislativi incidenti sulla limitazione dell'autonomia privata in ordine alle dimensioni minime di tali spazi e al regime di circolazione, ha determinato l'esistenza di tre diverse tipologie di parcheggio, assoggettate a regimi giuridici differenziati tra di loro:
a) i parcheggi soggetti ad un vincolo pubblicistico di destinazione, produttivo di un diritto reale d'uso in favore dei condomini e di un vincolo pertinenziale ex lege, che non ne esclude l'alienabilità separatamente dall'unità immobiliare, disciplinati dall'art. 18 della legge n. 765 del 1967 (art. 41-sexies della legge n. 1150 del 1942);
b) i parcheggi soggetti al vincolo pubblicistico d'inscindibilità con l'unità immobiliare, introdotti dall'art. 2 della legge n. 122 del 1989, assoggettati ad un regime di circolazione controllata e di utilizzazione vincolata e, conseguentemente non trasferibili autonomamente;
c) i parcheggi non rientranti nelle due specie sopra illustrate, perché realizzati in eccedenza rispetto agli spazi minimi inderogabilmente richiesti dalla disciplina normativa pubblicistica, ad utilizzazione e a circolazione libera, ed i parcheggi disciplinati dall'art. 12, comma 9, della legge n. 246 del 2005 di definitiva liberalizzazione del regime di circolazione e trasferimento delle aree destinate a parcheggio, ma con esclusivo riferimento al futuro, ovvero alle costruzioni non ancora realizzate e a quelle per le quali non sia ancora intervenuta la stipulazione delle vendite delle singole unità immobiliari, al momento della sua entrata in vigore.
Conseguentemente, una volta che siano stati riservati per parcheggi spazi nella misura di legge, ogni spazio ulteriore (inteso come spazio libero da costruzioni, ovvero come box, o come autorimessa comune, ecc.) è completamente svincolato dalla richiamata disciplina vincolistica (in quanto ad esso non applicabile) e, quindi, può essere liberamente venduto, locato o formare oggetto di altri negozi giuridici, non costituendo pertinenza ai sensi della suddetta normativa speciale, ma pertinenza alla stregua, però, dell'art. 817 c.c. (Cassazione Civile, sezione III, 23.01.2006 n. 1221).
È evidente, allora, potendo tali spazi ulteriori ed eccedentari essere liberamente venduti, locati o costituire oggetto di altri negozi giuridici, come non sussista titolo legale alcuno che giustifichi e spieghi perché dovrebbero essere esentati, essendo a libera circolazione e, quindi, produttori di pieno profitto commerciale (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 10.03.2011 n. 1565 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Autorizzazione paesaggistica. Annullamento in sede statale per difetto di motivazione.
Il termine di sessanta giorni per l’annullamento in sede statale del nulla osta paesaggistico -previsto dall'art. 82, comma 2, dpr n. 616 del 1977, nel testo modificato dall'art. 1 dl n. 312 del 1985, conv. nella legge n. 431 del 1985- ancorché perentorio, attiene al solo esercizio del potere di annullamento dell'autorizzazione rilasciata dal Comune, sia perché è estranea alla previsione normativa l'ulteriore fase della comunicazione o notificazione, sia perché l'atto di annullamento non può essere considerato di natura recettizia (V. per tutte Cons. Stato, VI, 29.01.2008, n. 224). E’ pertanto tempestivo l’annullamento in sede statale di detto nulla osta che sia stato adottato entro il termine di 60 giorni dalla data in cui è pervenuto, a nulla rilevando che esso è stato comunicato oltre detto termine.
Il potere di annullamento sede statale del nulla osta paesaggistico non comporta il riesame delle valutazioni discrezionali compiute dalla Regione e da un ente sub-delegato, ma si esprime in un controllo di mera legittimità, esteso a tutte le ipotesi riconducibili all'eccesso di potere per difetto di motivazione o di istruttoria (V. per tutte Cons. Stato, VI, 09.06.2009, n. 3557).
Nell’emettere un nulla osta paesaggistico, l’Autorità regionale o l’ente sub-delegato deve motivare adeguatamente in ordine alla compatibilità dell’opera assentita con il vincolo paesaggistico, sussistendo, in caso contrario, illegittimità per carenza di motivazione o di istruttoria; per cui l’autorità statale, se ravvisa un tale vizio nell’atto oggetto del suo scrutinio, nel proprio provvedimento, perché sia a sua volta immune da vizi di legittimità, dovrà motivare sulla non compatibilità dell’intervento edilizio programmato rispetto ai valori paesaggistici compendiati nel vincolo (Cfr. Cons. Stato, VI, 13.02.2009, n. 772; 04.12.2009, n. 7609; 14.10.2009, n. 6294) (massima tratta da www.regione.piemonte.it - Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 09.03.2011 n. 1483 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Comunicazione di avvio del procedimento.
La comunicazione dell’avviso di inizio del procedimento prevista dall’art. 7 della legge n. 241 del 1990, ove non sia possibile la comunicazione diretta in mani del destinatario, può essere effettuata dall’Amministrazione anche avvalendosi del servizio postale, non dovendosi necessariamente osservare il sistema di notificazione degli atti giudiziari a mezzo di ufficiale giudiziario (1).
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(1) Ha osservato la sentenza in rassegna che il recapito del plico a mezzo di lettera raccomandata nella specie utilizzato per dare notizia dell’avvio del procedimento, avviene con consegna diretta al destinatario o alle persone abilitate riceverlo in suo luogo, indicate dall’art. 38, secondo comma, del Regolamento di esecuzione del Codice postale approvato con d.P.R. 29.05.1982, n. 655. Il successivo art. 40, al quarto comma, prevede che sia dato avviso di giacenza tutte le volte in cui non sia stata possibile la distribuzione con consegna la destinatario.
In tale seconda ipotesi si presume al conoscenza alla data di rilascio dell’ avviso di giacenza presso l’ufficio postale (cfr. in fattispecie analoghe Cass., lav., 24.04.2003, n. 6527; III, 23.09.1996, n. 8399).
Del resto anche nel sistema di comunicazione degli atti giudiziari a mezzo del servizio postale, l’art. 8, secondo comma, della legge 20.11.1982, n. 890, in caso di assenza del destinatario e delle persone in suo luogo abilitate a ricevere l’atto, rimette al sistema di recapito mediante lettera raccomandata -comprensivo dell’immissione dell’avviso di ricevimento nella cassetta della corrispondenza dell’abitazione del destinatario in caso di sua assenza- la comunicazione del deposito presso l’ufficio postale del piego non ricevuto personalmente, con ogni effetto sul perfezionamento della notifica decorso il termine di legge
(massima tratta da www.regione.piemonte.it - Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 09.03.2011 n. 1468 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Termine perentorio di 10 giorni, ex art. 48 del Codice dei contratti pubblici, per la presentazione della documentazione comprovante il possesso dei requisiti di capacità economico-finanziaria e tecnico-organizzativa.
Il termine di 10 giorni previsto dall’art. 48 del D.L.vo 12.04.2006 n. 163 nel caso di verifica "a campione" (che replica l’art. 10, comma 1-quater, della L. 11.02.1994 n. 109, estendendone la portata a tutti i contratti ad evidenza pubblica), entro il quale l’impresa sorteggiata è tenuta a «… comprovare… il possesso dei requisiti di capacità economico-finanziaria e tecnico-organizzativa, eventualmente richiesti nel bando di gara, presentando la documentazione indicata in detto bando o nella lettera di invito…», costituisce un termine certamente perentorio (recte, a pena d’esclusione ex lege), come si evince dal tenore e dalla ratio della norma.
Tale termine è suscettibile di proroga, ma solo con atto espresso e motivato della stazione appaltante, a fronte di un’altrettanto esplicita richiesta dell’impresa che dimostri un impedimento oggettivo e non ad essa imputabile ad adempiere e sempre che la relativa istanza sia prodotta prima della scadenza del termine stesso (V., per tutte, Cons. Stato, Sez. VI, 15.06.2009 n. 3804; id., 13.12.2010 n. 8730).
Ai fini dell’ottenimento di una proroga del termine di 10 giorni previsto dall’art. 48 del D.L.vo 12.04.2006 n. 163 nel caso di verifica "a campione", sussiste un duplice onere, in capo all’impresa sorteggiata, affinché non sia ritenuta inadempiente, costituito: a) dall’oggettiva impossibilità di rispettare detto essenziale termine; b) dalla necessità di far constare tal vicenda alla stazione appaltante prima che quest’ultimo si consumi inutilmente, non potendosi prorogare un termine scaduto (massima tratta da www.regione.piemonte.it - Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 07.03.2011 n. 1420 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

COMPETENZE GESTIONALI: La Giunta provinciale non può scegliere gli esaminatori del concorso.
La Giunta provinciale non è competente a nominare la commissione giudicatrice nella procedura concorsuale sulla base dei seguenti elementi:
- ai dirigenti spettano tutti i compiti che la legge e lo statuto dell’ente locale non riservano espressamente agli organi di governo;
- la previsione legislativa che sancisce la responsabilità del personale dirigente, estesa sull’intera procedura di concorso, può avere una sua logica esclusivamente nel caso in cui viene assegnata alla dirigenza la gestione unitaria di tutto l’iter (dall’approvazione del bando fino alla stipula del contratto finale con i vincitori);
- risulta esclusa ogni interferenza da parte dell’organo politico (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 04.03.2011 n. 1408 - link a www.altalex.com).

EDILIZIA PRIVATA: Quantificazione degli oneri di urbanizzazione.
Le controversie sull'esatta quantificazione dei contributi dovuti per il rilascio delle concessioni edilizie/permessi di costruire attengono a diritti patrimoniali che non dipendono dall'esercizio di una potestà autoritativa e discrezionale; tali controversie sono devolute alla giurisdizione del giudice amministrativo già dall'art. 16 della l. 28.01.1977 n. 10, sono giudizi di carattere civile relativi all'esistenza o all'entità di un'obbligazione legale e sono azionabili negli ordinari tempi di prescrizione.
Il presupposto imponibile per il pagamento dei contributi di urbanizzazione va ravvisato nella domanda di una maggiore dotazione di servizi (rete viaria, fognature, ecc.) nell’area di riferimento, che sia indotta dalla destinazione d’uso concretamente impressa all’alloggio, in quanto una diversa utilizzazione rispetto a quella stabilita nell’originario titolo abilitativo può determinare una variazione quantitativa e qualitativa del carico urbanistico (Cfr. TAR Milano-Brescia, Sez. I, 11.06.2004 n. 646; TAR Lombardia-Milano, Sez. II, 02.10.2003 n. 4502; Cons. Stato, sez. V, 25.05.1995 n. 822).
Il fondamento del contributo di urbanizzazione –da versare al momento del rilascio di una concessione edilizia– non consiste quindi nell'atto amministrativo in sé, bensì nella necessità di ridistribuire i costi sociali delle opere di urbanizzazione, facendoli gravare sugli interessati che beneficiano delle utilità derivanti dalla presenza delle medesime, secondo modalità eque per la comunità (Cfr. TAR Veneto, Sez. II, 13.11.2001 n. 3699).
Anche nel caso della modificazione della destinazione d'uso cui si correla un maggior carico urbanistico, è integrato il presupposto che giustifica l’imposizione al titolare del pagamento della differenza tra gli oneri di urbanizzazione dovuti per la destinazione originaria e quelli, se più elevati, dovuti per la nuova destinazione impressa; il mutamento è rilevante allorquando sussiste un passaggio tra due categorie funzionalmente autonome dal punto di vista urbanistico, qualificate sotto il profilo della differenza del regime contributivo in ragione di diversi carichi urbanistici, cosicché la circostanza che le modifiche di destinazione d’uso senza opere non sono soggette a preventiva concessione o autorizzazione sindacale non comporta ipso jure l’esenzione dagli oneri di urbanizzazione e, quindi, la gratuità dell’operazione (Cfr. TAR Milano-Brescia, Sez. I, 23.01.1998 n. 34) (alla stregua del principio nella specie è stato ritenuto legittimo l’atto con il quale era stato chiesto il pagamento della differenza del contributo concessorio in relazione al mutamento di destinazione d'uso -da industriale a commerciale- del fabbricato) (massima tratta da www.regione.piemonte.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 03.03.2011 n. 375 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Imposizione coattiva di servitù.
Il procedimento per l’imposizione di servitù di passaggio con l’appoggio di fili, cavi ed impianti connessi alle opere di telecomunicazione di cui all’art. 231 del d.P.R. 29.03.1973, n. 278 (T.U. in materia postale e di telecomunicazioni), disciplinato dagli artt. 233 e 234 del d.P.R. n. 156 del 1973, non comporta un effetto traslativo del diritto dominicale - ipotesi questa per la quale l'art. 231 cit. fa espresso rinvio alla procedura di esproprio disciplinata dalla legge n. 2359 del 1865; pertanto, per tale procedimento, non si configura come essenziale ai fini della costituzione della servitù l’osservanza delle regole stabilite dalla legge n. 2359 del 1865 e, segnatamente, dell’art. 13 sui termini per l’inizio e termine dei lavori e delle espropriazioni, alle quali l’art. 231 del d.P.R. n. 156 del 1973, rinvia nei soli casi in cui debba procedersi all’acquisizione in mano pubblica del suolo necessario per la realizzazione degli impianti di telecomunicazione.
Dopo la privatizzazione del sistema delle comunicazione di telefonia, Telecom s.p.a. è stata qualificata dall’art. 3, comma quarto, del d.P.R. 19.09.1997, n. 318, quale "organismo di telecomunicazione incaricato di fornire il servizio universale sul territorio nazionale".
L’evidente finalizzazione del servizio universale a soddisfare esigenze di pubblica utilità -e cioè l’ accesso al servizio di telefonia da parte di ogni potenziale utente e senza aggravi di costi- qualifica su un piano pubblicistico la posizione di chi è chiamato a renderlo, con riflessi sui procedimenti di espansione di rete e di localizzazione degli impianti, che mantengono la qualificazione di pubblica utilità assegnata dall’art. 1 della legge n. 156 del 1993, e confermata dal jus superveniens di cui all’art. 90, comma primo, del d.lgs. 01.08.2003, n. 259 (Codice delle comunicazioni elettroniche), che assume a riferimento il dato oggettivo della destinazione degli impianti di reti di comunicazione elettronica ad uso pubblico, con ogni effetto quanto all’applicazione delle norme pubblicistiche per l’ablazione dei beni necessari alla loro realizzazione.
L’art. 3 della legge 01.08.2002, n. 166 consente il perfezionamento in sanatoria delle procedure impositive di servitù relative a servizi di interesse pubblico, compresi quelli previsti dalle leggi in materia di telecomunicazioni, fermo restando il diritto all’indennità dei proprietari interessati (massima tratta da www.regione.piemonte.it - Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 23.02.2011 n. 1120 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

PUBBLICO IMPIEGO: Legittimità eventuale della deroga al principio del pubblico concorso.
In materia di assunzioni nel campo del pubblico impiego, l’area delle eccezioni al concorso pubblico deve essere delimitata in modo rigoroso (Cfr. Corte cost., sentenza n. 363 del 2006) e deroghe sono legittime solo in presenza di peculiari e straordinarie esigenze di interesse pubblico idonee a giustificarle (Cfr. Corte cost., sentenza n. 81 del 2006).
La natura comparativa e aperta della procedura è elemento essenziale del concorso pubblico. Procedure selettive riservate, che riducano irragionevolmente o escludano la possibilità di accesso dall’esterno, violano il carattere pubblico del concorso (Cfr. Corte cost., sentenza n. 34 del 2004) e, conseguentemente, i principi di imparzialità e buon andamento, che esso assicura.
Ai fini della legittimità della deroga al principio del pubblico concorso non può ritenersi sufficiente la semplice circostanza che determinate categorie di dipendenti abbiano prestato attività a tempo determinato presso l’amministrazione (Cfr. Corte cost., sentenza n. 205 del 2006), né basta la personale aspettativa degli aspiranti ad una misura di stabilizzazione (Cfr. Corte cost., sentenza n. 81 del 2006).
Occorrono invece particolari ragioni giustificatrici, ricollegabili alla peculiarità delle funzioni che il personale da reclutare è chiamato a svolgere, in particolare relativamente all’esigenza di consolidare specifiche esperienze professionali maturate all’interno dell’amministrazione e non acquisibili all’esterno, le quali facciano ritenere che la deroga al principio del concorso pubblico sia essa stessa funzionale alle esigenze di buon andamento dell’amministrazione (massima tratta da www.regione.piemonte.it - Corte Costituzionale, sentenza 11.02.2011 n. 42).

APPALTI: Gare d'appalto, sì alla verbalizzazione postuma.
E' legittimo l'operato della Commissione giudicatrice che procede alla verbalizzazione delle sedute di gara in modo non contestuale rispetto ai tempi ed alle modalità di effettivo svolgimento delle stesse. E’ legittima l’operato della Commissione giudicatrice che procede alla verbalizzazione delle sedute di gara in modo non contestuale rispetto ai tempi ed alle modalità di effettivo svolgimento delle stesse.

La Prima Sezione del TAR del Veneto ha affermato che non vìola l’art. 79 del Codice dei contratti pubblici la verbalizzazione, da parte della Commissione giudicatrice di una gara di appalto, delle operazioni di gara in modo non contestuale rispetto ai tempi ed alle modalità di effettivo svolgimento delle stesse.
La Commissione di gara, infatti, può redigere un unico verbale delle sedute svolte, atteso che non vi è alcuna disposizione normativa che preclude tale modalità di verbalizzazione.
Di conseguenza, è legittimo l'accorpamento in un unico atto della verbalizzazione di varie sedute della commissione ed anche la sua redazione non contestuale al compimento delle operazioni di gara.
Con la medesima decisone, il TAR del Veneto ha affermato la legittimità dell’esclusione di una ditta da una gara di appalto di servizi, motivata con riferimento al fatto che la ditta interessata aveva dichiarato di voler espletare il servizio con un numero di strumenti (nella specie, un solo aspirapolvere) inferiore a quello espressamente e chiaramente richiesto dal bando, a pena di esclusione; ciò anche senza fare applicazione dell’art. 46, d.lgs. n. 163 del 2006, atteso che l’ammissione alla gara della suddetto concorrente, in presenza di una così eclatante violazione della chiara ed univoca lex specialis, si sarebbe tradotto in una violazione del principio della par condicio (commento tratto da www.ipsoa.it - TAR Veneto, Sez. I, sentenza 09.02.2011 n. 220 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Volumi non rilevanti ai fini della volumetria di un immobile. Nozione di sottotetto.
Vanno considerati come dei volumi tecnici (come tali non rilevanti ai fini della volumetria di un immobile) quei volumi destinati esclusivamente agli impianti necessari per l'utilizzo dell'abitazione e che non possono essere ubicati al suo interno, mentre non sono tali -e sono quindi computabili ai fini della volumetria consentita- le soffitte, gli stenditori chiusi e quelli «di sgombero», nonché il piano di copertura, impropriamente definito sottotetto, ma costituente in realtà una mansarda, in quanto dotato di rilevante altezza media rispetto al piano di gronda (Cfr. Cons. Stato, Sez. V, 04.03.2008, n. 918).
In materia di sottotetti, deve ritenersi che la parte di edificio immediatamente inferiore al tetto, a seconda dell'altezza, della praticabilità del solaio, delle modalità di accesso e dell'esistenza o meno di finestre, si distingue in mansarda o camera a tetto (che costituisce locale abitabile), in soffitta (vano inabitabile, ma utilizzabile soltanto come deposito, stenditoio o altro), oppure in camera d'aria sprovvista di solaio idoneo a sopportare il peso di persone o cose e destinato essenzialmente a preservare l'ultimo piano dell'edificio dal caldo, dal freddo e dall'umidità (Cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 30.05.2005, n. 2767).
La realizzazione di un locale sottotetto con vani distinti e comunicanti con il piano sottostante mediante una scala interna è indice rivelatore dell'intento di rendere abitabile detto locale, non potendosi considerare volumi tecnici i vani in esso ricavati (Cfr. Cons. Stato, Sez. V, 31.01.2006, n. 354.
In applicazione di tale principio nella specie è stato ritenuto che determinava la realizzazione di nuovi ulteriori volumi che non possono qualificarsi tecnici e che sono evidentemente -per la tipologia delle opere- destinati a fini abitativi, la copertura di un terrazzo, a nulla rilevando che erano preesistenti delle mura perimetrali sovrastanti il terrazzo stesso (massima tratta da www.regione.piemonte.it - Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 07.02.2011 n. 812 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

PUBBLICO IMPIEGO: Differenze retributive in caso di svolgimento di mansioni superiori.
Prima dell’entrata in vigore dell’art. 15 del d.lgs. 29.10.1998, n. 387 -che ha natura innovativa e portata non retroattiva- nel capo del pubblico impiego l’eventuale svolgimento di mansioni superiori poteva dare luogo alla corresponsione delle differenze retributive non in virtù del mero richiamo all’art. 36 della Costituzione, ma solo ove una norma speciale consentisse tale assegnazione e la maggiorazione retributiva (1).
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(1) Giurisprudenza ormai costante del Consiglio di Stato: v. per tutte Cons. Stato, Ad. Plen., 18.11.1999, n. 22; 23.02.2000, n. 11; 23.02.2006, n. 3.
In senso diverso si è orientata la giurisprudenza della Cassazione: v. per tutte Sez. unite civili, sentenza 11.12.2007, n. 25837, (disattendendo l’orientamento dell’Adunanza Plenaria del CdS e facendo riferimento a quanto ritenuto dalla Corte costituzionale, le S.U. affermano che l’art. 36 Cost. è direttamente applicabile anche nel campo del pubblico impiego e che le maggiorazioni stipendiali dovute nel caso di svolgimento delle mansioni superiori spettavano con carattere di generalità ai pubblici dipendenti anche prima dell’art. 15 del D.L.vo n. 387 del 1998; ritengono inoltre retribuibili le mansioni superiori anche nel caso di svolgimento di mansioni corrispondenti ad una qualifica di due livelli superiore a quella di inquadramento)
(massima tratta da www.regione.piemonte.it - Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 03.02.2011 n. 758 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Soggetti legittimati ad impugnare provvedimenti relativi ad interventi edilizi.
La legittimazione ad impugnare provvedimenti relativi ad interventi edilizi spetta soltanto a coloro che sono titolari di interesse legittimo differenziato, ma tra costoro non rientra il progettista che è, invece, titolare di un mero interesse semplice o di fatto alla realizzazione dell'opera secondo il progetto, per cui non può impugnare in via autonoma il diniego di rilascio del permesso di costruire (1).
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(1) Cfr., ex multis, TAR Sicilia-Catania, sez. I, 06.03.2001, n. 523, TAR Piemonte, sez. I, 18.06.2003, n. 924 e Cons. Stato, sez. V, 05.03.2001, n. 1250.
Ha ricordato la sentenza in rassegna che, in materia, l'orientamento della giurisprudenza è fermo del ritenere inammissibile il ricorso avverso il diniego di titolo edilizio proposto dal progettista dell'opera difettando questi di legittimazione attiva (cfr. TAR Liguria, sez. I, 17.03.2006, n. 251)
(massima tratta da www.regione.piemonte.it - TAR Puglia-Lecce, Sez. III, sentenza 02.02.2011 n. 225 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Ambiente - Rimborso della sanzione amministrativa - Sanatoria della costruzione abusiva - Inammissibilità del ricorso avverso il provvedimento di diniego - Pagamento della sanzione ambientale ed acquisizione della sanatoria - Discrezionalità della p.a. di esercitare il potere di autotutela amministrativa.
E' inammissibile il ricorso esperito ai fini dell'annullamento del provvedimento con il quale sia stata respinta la richiesta di rimborso della sanzione ambientale versata ai sensi dell'art. 140, comma 8°, della L.R. n. 1 del 2005, per il conseguimento del rilascio dell'attestazione di conformità e del permesso di costruire in sanatoria, (relativamente alla violazione del vincolo paesaggistico nel corso della realizzazione dell'intervento di ristrutturazione urbanistica, ampliamento e cambio di destinazione d'uso dell'immobile), laddove il procedimento per conseguire la sanatoria si sia concluso mediante accertamento in conformità delle opere realizzate e con il rilascio dell'autorizzazione da parte del comune, previa corresponsione della sanzione ambientale, ai sensi dell'art. 140 della summenzionata L.R..
Ne consegue che il comportamento acquiescente tenuto dalla ricorrente al momento dell'acquisizione dell'autorizzazione, è incompatibile con la volontà di sollecitare l'esercizio del potere di autotutela della P.A. che rimane un potere ampiamente discrezionale per cui l'istanza del privato non genera alcun obbligo per la p.a. di aprire il procedimento salvo che non vengano dedotti fatti nuovi idonei a determinare il dovere della stessa di pronunciarsi su una nuova istanza (massima tratta da a
www.diritto24.ilsole24ore.com - TAR Toscana, Sez. II, sentenza 24.11.2010 n. 6605 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVIDiritto di accesso - Personale - Posizione del personale - Atti incidenti - Servizio - Qualità - Erogazione.
Gli atti incidenti sulle posizioni del personale devono essere sottoposti all'esercizio del diritto di accesso siccome potenzialmente incidenti sulla qualità del servizio stesso; organizzazione che non ha solo riflessi interni, essendo strumentale alla gestione ed all'erogazione del servizio, ossia al soddisfacimento di interessi collettivi cui deve tendere il servizio.
Di qui l'esistenza di quelle esigenze di trasparenza su cui si fonda il sistema dell'accesso costruito dalla l. n. 241/1990 ed in particolare dall'art. 22 della legge stessa (massima tratta da a
www.diritto24.ilsole24ore.com - TAR Lazio-Roma, Sez. III-ter, sentenza 20.05.2010 n. 12515 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Autotutela - Potere di autotutela - Esercizio - Discrezionalità.
In materia di ricorsi avverso il silenzio, la pubblica amministrazione non è obbligata a provvedere su un'istanza del privato non solo nelle tradizionali ipotesi individuate dalla giurisprudenza (istanza di riesame dell'atto divenuto inoppugnabile per inutile decorso del termine di decadenza; istanza manifestamente infondata; istanza di estensione ultra partes del giudicato), ma anche nel caso in cui l'istanza volta all'esercizio del potere di autotutela abbia ad oggetto un precedente provvedimento già impugnato, come nel caso di specie, in sede giurisdizionale, e sub judice al momento dell'istanza.
In presenza di istanze sollecitatorie dell'esercizio della potestà di autotutela non vi è obbligo dell'Amministrazione di pronunziarsi sulle stesse e l'attivazione del procedimento di riesame della legittimità dell'atto non è coercibile "ab extra", avvalendosi dell'istituto del silenzio rifiuto e dello strumento di tutela in sede giurisdizionale offerto dall'art. 21-bis della legge n. 1034/1971, vanificherebbe la condizione di inoppugnabilità dell'atto che non sia stato contestato nei modi ed entro i termini di legge, che è garanzia della certezza dei rapporti giuridici di cui è parte la Pubblica Amministrazione e dello stesso principio di economicità dell'azione amministrativa, che verrebbe vanificato ove si imponesse, su mera richiesta dell'interessato, l'obbligo di riesame di provvedimenti restati inoppugnati (massima tratta da a
www.diritto24.ilsole24ore.com - TAR Lazio-Roma, Sez. II, sentenza 04.05.2010 n. 9350 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Associazioni di consumatori e legittimazione ad agire - Associazione dei consumatori - Mancata iscrizione nell'elenco di cui all'art. 137 Codice del Consumo - Legittimazione ad agire - Inammissibilità del ricorso - Associazioni dei consumatori - Mancata iscrizione nell’elenco di cui all’art. 137 Codice del consumo – Legittimazione ad agire – Inammissibilità del ricorso. (D.Lgs. 06.09.2005, n. 206, artt. 137 e 139; L. 30.07.1998, n. 281, art. 3).
Deve considerarsi inammissibile il ricorso presentato da un’associazione a tutela dei consumatori che non risulti iscritta nell’elenco di cui all’art. 137 del Codice del consumo, approvato con D.Lgs. del 2005 n. 206.
Ed infatti, l’art. 139 del succitato D.Lgs., reiterando quanto già previsto dall’art. 3 della L. del 1998 n. 281, limita la legittimazione ad agire a tutela degli interessi collettivi dei consumatori e degli utenti alle sole associazioni inserite nell'elenco di cui al precedente art. 137.
Ne deriva che la previsione statutaria, che affida all’Associazione il potere di “intervenire con tutti i mezzi previsti dalla legge contro ogni abuso da chiunque posto in essere…”, è da intendersi nel senso della possibilità di difendere nella sola sede amministrativa i diritti dei consumatori salva la possibilità, ove ne ricorrano i presupposti, di iscriversi nell’elenco di cui all’art. 137 del Codice del consumo per poi poter tutelare gli interessi degli utenti anche nelle aule giudiziarie (massima tratta da a
www.diritto24.ilsole24ore.com - TAR Lazio-Roma, Sez. III-ter, sentenza 08.02.2010 n. 1620 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVIProcedimento amministrativo - Silenzio - Silenzio rifiuto - Potere di autotutela - Esercizio.
La pubblica amministrazione non è tenuta a pronunciarsi sulla istanza del privato intesa sostanzialmente a sollecitare l'esercizio del potere di autotutela in ordine ad un precedente provvedimento già impugnato in sede giurisdizionale e sub judice al momento dell'istanza, non essendo la procedura del silenzio rifiuto ontologicamente configurabile rispetto alla domanda volta a sollecitare l'esercizio del potere in autotutela (massima tratta da a
www.diritto24.ilsole24ore.com - TAR Lazio-Roma, Sez. III-ter, sentenza 21.01.2010 n. 689 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVIAtti amministrativi - Silenzio.
In materia di atti amministrativi, il potere di autotutela della P.A è ampiamente discrezionale, al che consegue che l'eventuale istanza del privato, volta ad eccitarlo, non genera comunque l'obbligo di aprire alcun procedimento; dal che ulteriormente deriva che, non essendovi un obbligo di provvedere, dinnanzi alla domanda del privato non si forma alcun silenzio impugnabile (massima tratta da a
www.diritto24.ilsole24ore.com - TAR Friuli Venezia Giulia, Sez. I, sentenza 14.01.2010 n. 12 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Atti amministrativi - Diritto di accesso.
In materia di accesso agli atti amministrativi, le organizzazioni sindacali, quali soggetti rappresentativi degli interessi collettivi degli associati, non sono titolari di un generale potere di accesso agli atti delle pubbliche amministrazioni al fine di un controllo generalizzato dell'attività amministrativa, dovendo tale diritto essere circoscritto e limitato ai soli casi in cui la richiesta di ostensione riguardi atti effettivamente rilevanti per l'interesse indifferenziato della categoria, con esclusione, quindi, delle richieste di accesso a documenti in riferimento ai quali il sindacato presti tutela ad interessi personali di singoli associati o di una parte di essi (massima tratta da a
www.diritto24.ilsole24ore.com - TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez. II, sentenza 21.12.2009 n. 3212 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVIAssociazioni e comitati - Procedimento amministrativo - Associazioni di tutela dei consumatori - Diritto di accesso a documenti inerenti interessi di consumatori e utenti di pubblici servizi - Legittimazione astratta - Art. 22 L. n. 241/1990 - Verifica della sussistenza di un interesse concreto e attuale all'accesso.
Non può disconoscersi, in astratto, la legittimazione di un'associazione di tutela dei consumatori ad esercitare il diritto di accesso ai documenti dell'amministrazione o di gestori di servizi pubblici in relazione ad interessi che pervengono ai consumatori e utenti di pubblici servizi (cfr. C. Stato, sez. IV, 29.04.2002, n. 2283; C. Stato, sez. IV, 26.11.1993, n. 1036 e C. Stato, sez. VI, 27.03.1992, n. 193).
Tuttavia, anche alle associazioni di tutela dei consumatori si applica l'art. 22, l. n. 241/1990, che consente l'accesso non come forma di azione popolare, bensì a tutela di "situazioni giuridicamente rilevanti", e dunque anche per dette associazioni occorre verificare la sussistenza di un interesse concreto e attuale all'accesso (C. Stato, sez. IV, 06.10.2001, n. 5291) (massima tratta da a
www.diritto24.ilsole24ore.com - TAR Campania-Salerno, Sez. I, sentenza 11.12.2009 n. 7607 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Diritto di accesso - Interessi collettivi - Tutela - Comportamenti lesivi - Inibitoria giudiziale.
L'art. 140 del Codice dei consumatori, approvato con D.L.vo 06.09.2005 n. 206 nel regolamentare le modalità di tutela degli interessi collettivi, non contempla un generale potere di accesso a fini ispettivi, ma esplicitamente limita la tutela degli interessi collettivi (per la quale sono legittimate ad agire le associazioni) ad ipotesi specifiche, ed in particolare all'inibitoria giudiziale degli atti e comportamenti lesivi degli interessi dei consumatori e degli utenti (sub lett. a), all'adozione di “misure idonee” a correggere ed eliminare gli effetti dannosi delle violazioni accertate (sub lett. b) ed alla pubblicazione del provvedimento su quotidiani nazionali o locali (sub lett. c).
Atti amministrativi - Diritto di accesso - Interessi diffusi - Titolarità - Diritto alla conoscenza.
La titolarità (o la rappresentatività) degli interessi diffusi non giustifica un generalizzato e pluricomprensivo diritto alla conoscenza di tutti i documenti riferiti all'attività di un gestore del servizio ma solo degli atti, relativi a servizi rivolti ai consumatori, che incidono, in via diretta ed immediata, e non in via meramente ipotetica e riflessa, sui loro interessi (massima tratta da a
www.diritto24.ilsole24ore.com - TAR Lazio-Roma, Sez. III-ter, sentenza 05.08.2009 n. 7868 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Processo amministrativo - Silenzio della Pubblica Amministrazione.
Ai fini della sussistenza di un silenzio illegittimo da parte della Pubblica Amministrazione è necessario che sussista un obbligo giuridico della stessa di pronunciarsi sull'istanza del privato.
Tale obbligo non sussiste qualora l'istanza del privato sia diretta a ottenere dalla P.A. un provvedimento di autotutela, sia esso un annullamento d'ufficio o una revoca di un atto emanato, in quanto tali provvedimenti di secondo grado costituiscono l'esercizio di un potere discrezionale in presenza di un pubblico interesse alla rimozione di un atto illegittimo (massima tratta da a
www.diritto24.ilsole24ore.com - TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez. II, sentenza 16.02.2009 n. 154 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Autotutela amministrativa - Inammissibilità dell'istanza del privato volta a sollecitare l'autotutela - Potere discrezionale della P.A. di annullare provvedimenti amministrativi.
E' inammissibile il ricorso con il quale l'istante adisca l'autorità Amministrativa, onde ottenere l'annullamento in autotutela, del permesso di costruire un impianto stradale per la distribuzione del carburante.
L'inammissibilità della richiesta è determinata dal fatto che il potere amministrativo di agire in autotutela, non coinvolge posizioni di interesse legittimo del privato che presenti istanza affinché detto potere sia attivato.
Pertanto, il potere discrezionale con cui l'amministrazione valuta la sussistenza dei presupposti per agire in sede di autotutela ed annullare o revocare propri provvedimenti, prescinde da qualsivoglia interferenza di soggetti terzi in quanto, laddove si ammettesse un obbligo di riesame su istanza del privato, si finirebbe per minare l'efficienza gestionale e la certezza giuridica alla base dell'azione amministrativa (massima tratta da a
www.diritto24.ilsole24ore.com - TAR Veneto, Sez. II, sentenza 04.02.2009 n. 299 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Silenzio della P.A. - Obbligo di provvedere - Istanza intesa a sollecitare l'esercizio del potere di autotutela dell'amministrazione - Obbligo dell'amministrazione di pronunciarsi - Non sussiste.
Nel caso in cui viene proposta una istanza del privato intesa ad sollecitare l'esercizio del potere di autotutela della amministrazione, non è dato ravvisare un obbligo di provvedere a carico della stessa (massima tratta da a
www.diritto24.ilsole24ore.com - TAR Puglia-Bari, Sez. III, sentenza 02.12.2008 n. 2731 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Silenzio della P.A. - Obbligo di provvedere - Sull'istanza del privato - Insussistenza - Nel caso in cui l'istanza volta all'esercizio del potere di autotutela abbia ad oggetto un provvedimento già impugnato e sub judice al momento dell'istanza.
La p.a. non è obbligata a provvedere su un'istanza del privato non solo nelle ipotesi individuate dalla giurisprudenza (istanza di riesame dell'atto divenuto inoppugnabile per inutile decorso del termine di decadenza, istanza manifestamente infondata, istanza di estensione ultra partes del giudicato), ma anche nel casi in cui l'istanza volta all'esercizio del potere di autotutela abbia ad oggetto un provvedimento già impugnato in sede giurisdizionale e sub judice ai momento dell'istanza stessa; la procedura del silenzio-rifiuto non è, infatti, ontologicamente configurabile rispetto alla domanda volta a sollecitare l'esercizio del potere di autotutela (massima tratta da a
www.diritto24.ilsole24ore.com - TAR Campania-Napoli, Sez. III, sentenza 19.03.2008 n. 1410 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Appalti - Confederazione Nuovi Consumatori Europei - Associazione consumatori - Accesso agli atti - Diritto semplice - Sussiste.
Alle associazioni a tutela dei consumatori l'ordinamento non riconosce un diritto di accesso diverso da quello attribuito in generale dalla legge n. 241/1990 e, anche se non può disconoscersi, in astratto, la legittimazione di un'associazione di tutela dei consumatori ad esercitare il diritto di accesso ai documenti dell'amministrazione o di gestori di servizi pubblici in relazione ad interessi che riguardano i consumatori e gli utenti di pubblici servizi, anche nei confronti delle associazioni di tutela dei consumatori trova applicazione l'art. 22 della legge n. 241/1990, che consente l'accesso non come forma di azione popolare bensì a tutela di «situazioni giuridicamente rilevanti» e, pertanto, anche per dette associazioni occorre verificare la sussistenza di un interesse concreto e attuale all'accesso nonostante che è vero che l'interesse che legittima la richiesta di accesso ai documenti amministrativi va considerato in termini particolarmente ampi tutte le volte in cui esso risulta funzionale alla tutela di vaste categorie di soggetti, coinvolti nell'esercizio di funzioni amministrative o nell'espletamento di servizi pubblici; l'associazione non è, pertanto, titolare di una situazione soggettiva che valga a conferirle un potere di vigilanza sull'ente che offre il pubblico servizio, ma solo della legittimazione ad agire perché vengano inibiti comportamenti od atti che siano effettivamente lesivi e la disciplina sull'accesso tutela solo l'interesse alla conoscenza e non l'interesse ad effettuare un controllo sull'impresa o sull'amministrazione, allo scopo di verificare eventuali (e non ancora definite) forme di lesione all'interesse dei consumatori (massima tratta da a
www.diritto24.ilsole24ore.com - TAR Lazio-Roma, Sez. I, sentenza 09.02.2007 n. 1090 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVIPubblica amministrazione - (P.A.) - Accesso ai documenti amministrativi - Richiesta di accesso di un'associazione di consumatori - Volta ad effettuare un controllo sull'amministrazione allo scopo di verificare eventuali forme di lesione dei consumatori - È da respingere.
Non sono ammissibili istanze di accesso che mirano a finalità tipicamente ispettive, in quanto la disciplina sull'accesso tutela solo l'interesse alla conoscenza e non l'interesse ad effettuare un controllo sull'impresa o sull'amministrazione allo scopo di verificare eventuali (e non ancora definite) forme di lesione all'interesse dei consumatori; la disciplina sull'accesso, infatti, non può essere uno strumento utilizzabile per consentire all'associazione di consumatori di sostituirsi agli organi deputati dall'ordinamento ad effettuare i controlli sui servizi stessi.
Pubblica amministrazione (P.A.) - Accesso ai documenti amministrativi - Accesso del Codacons ai documenti di società che gestiscono pubblici servizi - È ammissibile - Ragioni.
È ammissibile l'accesso del Codacons ai documenti di società che gestiscono pubblici servizi.
Infatti, in questi casi sussiste il collegamento funzionale e strumentale degli atti dei quali si chiede l'accesso con lo svolgimento del servizio di pubblico interesse e quindi anche i soggetti privati e gli atti di tipo privatistico da essi utilizzati per lo svolgimento del servizio seguono il regime «pubblicistico» dell'accesso (massima tratta da a
www.diritto24.ilsole24ore.com - TAR Lazio-Roma, Sez. III-ter, sentenza 01.02.2007 n. 724 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AGGIORNAMENTO AL 12.04.2011

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GURI - GUUE - BURL (e anteprima)

LAVORI PUBBLICI: G.U. 08.04.2011 n. 81 "Attuazione della direttiva 2008/96/CE sulla gestione della sicurezza delle infrastrutture" (D.Lgs, 15.03.2011 n. 35).

EDILIZIA PRIVATA: B.U.R. Lombardia n. 14 dell'08.04.2011 "Aggiornamento dell’elenco degli enti locali idonei all’esercizio delle funzioni paesaggistiche loro attribuite dall’art. 80 della legge regionale 11.03.2005, n. 12" (decreto D.G. 29.03.2011 n. 2779).

DOTTRINA E CONTRIBUTI

APPALTI SERVIZI: L’illegittima partecipazione delle Università alle procedure di affidamento dei contratti pubblici (link a www.centrostudicni.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: D. Zonno, CLASS ACTION PUBBLICA: NUOVE FORME DI TUTELA DELL’INTERESSE DIFFUSO? (link a www.

ATTI AMMINISTRATIVI: R. Chieppa, Il danno da ritardo (o da inosservanza dei termini di conclusione del procedimento) (link a www.giustizia-amministrativa.it).

NOTE, CIRCOLARI E COMUNICATI

APPALTI: TRACCIABILITÀ DEI FLUSSI FINANZIARI NELLE COMMESSE PUBBLICHE (Art. 3, Legge 13.08.2010 n. 136 e s.m.) (ANIE, linee guida gennaio 2011).

EDILIZIA PRIVATAOggetto: Competenze delle camere di commercio nel procedimento SUAP (Ministero per la Semplificazione Normativa, nota 12.01.2011 n. 40 di prot.).

UTILITA'

SICUREZZA LAVORO: Quaderno della sicurezza”: tutto sulla sicurezza nei cantieri edili.
Il Servizio Sanitario Regionale EMILIA ROMAGNA ha pubblicato un quaderno della sicurezza relativo ai cantieri edili.
La pubblicazione fornisce una visione sintetica e integrata, con opportuni richiami normativi, di tutti gli aspetti relativi alla sicurezza nei cantieri edili e costituisce un utile strumento per tutte le figure che operano in cantiere o si occupano di sicurezza.
Il documento fornisce utili indicazioni su:
- documentazione da tenere in cantiere;
- come organizzare il cantiere;
- tipologia delle lavorazioni (demolizioni, scavi, lavori in quota, etc.);
- protezioni individuali e collettive;
- impianti di cantiere (link a www.acca.it).

VARI: Toner e polveri sottili. Dal SUVA consigli e misure di protezione.
Il toner è una polvere finissima contenente particelle di carbone, ossidi di ferro e resina.
Il suo utilizzo prevalente è nelle stampanti, fotocopiatrici e fax, ove un tamburo deposita il toner sui fogli da stampare e successivamente, passando attraverso un riscaldatore, questo viene fuso, imprimendosi sulla carta.
Inizialmente il toner era costituito essenzialmente da polvere di carbone; successivamente, per migliorarne le prestazioni, alle particelle carboniose è stato mescolato un polimero.
La composizione del polimero varia da un produttore all'altro, ma solitamente è un copolimero stirene acrilato oppure una resina poliestere.
La stampante a toner rilascia nell'aria un particolato con particelle di dimensioni che possono andare da 1 fino a 1/10 di µm (e recentemente rilevate fino a 23/1000 di micron): siamo in presenza di nanoparticelle, sostanze che possono creare seri problemi di salute, ambientali, di riciclaggio e conferimento in discarica.
A titolo preventivo, il SUVA (l'INAIL svizzero) fornisce alcune misure di protezione generali per ridurre il rischio di esposizione alle polveri di toner e alle particelle ultrafini, nonché misure specifiche per contrastare gli effetti di un'elevata esposizione, ad esempio in caso di guasto dell'apparecchiatura o durante le operazioni di manutenzione e riparazione.
Indicazioni generali:
- attenersi sempre alle istruzioni riportate nel manuale d'uso
- collocare gli apparecchi in un locale ampio e ben ventilato
- non direzionare le bocchette di scarico dell'aria verso le persone
- eseguire regolarmente la manutenzione delle apparecchiature
- eliminare con molta cautela i fogli inceppati per non sollevare polvere
- utilizzare guanti monouso per ricaricare il toner liquido o in polvere
- (...)
Indicazioni in caso di forte esposizione:
- pulire gli apparecchi con un aspiratore certificato, non usare dispositivi ad aria compressa
- indossare gli occhiali di protezione
- una volta terminata la manutenzione, pulire con un panno umido la zona attorno all'apparecchio
- indossare guanti di protezione adeguati, tenendo conto anche del tipo di detergente utilizzato
- (...) (link a www.acca.it).

CORTE DEI CONTI

EDILIZIA PRIVATA: Superficie ceduta in proprietà, proventi vincolati.
In merito alla destinazione dei proventi derivanti dal trasferimento a titolo oneroso del diritto di superficie in diritto di proprietà di aree PEEP, trattandosi di entrate in conto capitale, in base ai principi generali di bilancio (art. 162, comma 6, TUEL), non possono essere utilizzate per il finanziamento di spese correnti e, in particolare, sono soggette ai seguenti vincoli di destinazione:
- i proventi derivanti dal trasferimento del diritto di superficie in diritto di proprietà, devono essere reimpiegati esclusivamente nel finanziamento d'interventi di eguale natura (art. 16, comma 3, D.L. 22.12.1981, n. 786, convertito in L. 26.02.1982, n. 51);
- i proventi conseguenti all'alienazione di alloggi di edilizia residenziale pubblica, devono essere destinati al finanziamento d'interventi nello stesso settore (art. 1, comma 5, L. 24.12.1993, n. 560).

Un Sindaco ha chiesto al magistrato contabile di esprimersi intorno alla destinazione dei proventi derivanti dal trasferimento a titolo oneroso del diritto di superficie in diritto di proprietà di aree PEEP.
Alcune entrate iscritte nel bilancio dell'Ente hanno una destinazione vincolata, e tale vincolo costituisce un limite, introdotto ex lege, per garantire un più economico perseguimento dei fini istituzionali: l'ammontare dei mezzi finanziari a disposizione, costituiscono un fondo unico, inscindibile e non specificato cui attingere per l'erogazione delle spese; l'unica deroga è costituita dalle entrate a destinazione vincolata, per le quali è imposta la correlazione con lo scopo della spesa (unità).
Il principio di unità che caratterizza il bilancio, infatti, prescrive che tutte le entrate devono indistintamente servire per finanziare tutte le spese, evitando correlazioni meccaniche tra le prime e le seconde.
Nella pratica, tuttavia, tale principio è spesso disatteso per effetto dell'ampia fenomenologia delle entrate vincolate e finalizzate: le ipotesi di entrate con vincolo di specifica destinazione vanno opportunamente rappresentate, proprio nel rispetto del presente principio.
Intorno al concetto di entrata vincolata/a specifica destinazione, non esiste una definizione normativa ma, in merito, la Corte dei Conti, nella propria deliberazione n. 23 del 23.06.1986, ha affermato che: "Il concetto di entrata a specifica destinazione é un dato legislativo di cui va preso atto e che deroga al tradizionale principio di unità del bilancio, secondo il quale le entrate sono da considerare un tutto inscindibile per cui non può destinarsi un'entrata determinata per far fronte ad una data spesa.
Inoltre, in base al principio chiamato dai francesi della "non affectation" tutte le entrate, a prescindere dalla loro origine, vanno a costituire un fondo unico necessario per il soddisfacimento di tutte le spese secondo un criterio di assegnazione globale delle entrate alle spese
."
Tali canoni, indubbiamente validi in linea di massima per il bilancio statale, non risultano pienamente applicabili per gli enti locali.
Infatti, nel quadro della normativa vigente, devono annoverarsi nel genus delle entrate a specifica destinazione: i ricavi dei mutui, i proventi da oneri di urbanizzazione, le sanzioni stradali, i contributi regionali e provinciali finalizzati-funzioni delegate, ed altri.
Invero, si considerano inoltre entrate e spese a destinazione vincolata, quelle definite tali da una norma di legge o da un atto amministrativo, adottato in attuazione di una norma giuridica.
L'autonomia gestionale in relazione alle entrate vincolate può variare in funzione della natura del vincolo, nel senso, ad esempio, che alcuni contributi possono essere utilizzati con criteri liberi, in quanto il vincolo attiene solo alla materia, mentre in altri casi il vincolo non consente l'utilizzazione del contributo se non per la specifica spesa per la quale è stato concesso il finanziamento e richiede una contabilizzazione separata del movimento di cassa.
Il vincolo opera sia come impedimento a destinare a scopi diversi le somme introitate, sia come impossibilità di impegnare importi inferiori a quelli correlativamente accertati.
Ciò, se da un lato riserva determinate entrate ad obiettivi ben definiti, garantendo il finanziamento di determinati compiti, dall'altro limita il margine di manovra politico-finanziario.
In buona sostanza, le entrate con destinazione vincolata costituiscono una sorta di risparmio forzoso utilizzabile solo per le determinata finalità individuate dal legislatore, senza possibilità di svincolo per finalità diverse (salvo l'utilizzo, in termini di cassa, ex art. 195, TUEL), atteso che il vincolo di destinazione rappresenta un limite per l'attività di gestione di bilancio da parte dell'ente.
Invero, e come detto, le entrate di cui trattasi costituiscono un'eccezione al principio dell'unità di bilancio, in base al quale gli introiti in generale vanno a costituire, a prescindere dalla loro natura, un fondo unico, necessario per il soddisfacimento di tutte le spese pubbliche.
Oltre a ciò, poiché l'impedimento a destinare le somme introitate a scopi diversi è stato posto dal legislatore nella sua peculiare discrezionalità, non sembra possibile che l'autorità amministrativa sia facoltizzata ad introdurre differenti disposizioni operative.
Mentre le regole per l'accertamento delle entrate a destinazione vincolata è lo stesso previsto per le altre entrate dell'ente, diverse, come detto, sono quelle per il correlato impegno di spesa.
Per questo, il servizio di contabilità dell'ente deve tenere una particolare evidenza di queste poste.
Dette somme, inoltre, non possono distolte, in termini di cassa, se non per un breve e temporaneo periodo, e nel rispetto di limiti determinati.
In altri termini: poiché il vincolo di destinazione impresso ad un'entrata comporta semplicemente che questa non può essere distolta dall'impiego cui è destinata, ciò significa che, per ciascuna entrata vincolata, è necessario iscrivere in bilancio uno stanziamento di spesa corrispondente, sia per ammontare che per destinazione; ma ciò significa anche che le economie eventualmente prodottesi su questi stanziamenti di spesa non devono confluire nei risultati differenziali dell'esercizio, o, quanto meno, devono restare distinti nell'ambito di tali risultati.
Per garantire tutto ciò, l'art. 183, comma 5, TUEL, tra i vari accorgimenti tecnici disponibili, ha utilizzato il sistema dei residui di stanziamento, per cui le spese finanziate con tali entrate si devono ritenere comunque impegnate a seguito del relativo accertamento.
Altre conseguenze possono derivare dal vincolo di destinazione: in particolare, vi è il divieto di attivare la spesa prima che sia stata realizzata l'entrata, e l'obbligo di utilizzare la liquidità prodotta da tali entrate soltanto per effettuare il pagamento delle corrispondenti spese.
03.03.1934, n. 383), successivamente abrogato dall'art. 64, L. 08.06.1990, n. 142, e, nonostante questo vincolo non sia espressamente richiamato dal TUEL, è alla base del modo in cui è definita dall'art. 153, comma 5, secondo periodo, la modalità di rilascio dell'attestazione di copertura finanziaria di competenza del responsabile del servizio finanziario.
Anche il secondo vincolo, pur non essendo espressamente previsto, viene presupposto dal TUEL allorché l'art. 195 consente, a certe condizioni, di derogarlo: l'articolo in commento, infatti, consente agli enti locali, ad eccezione di quelli in stato di dissesto, l'utilizzo in termini di cassa delle entrate aventi specifica destinazione per il finanziamento delle spese correnti, anche se provenienti dall'assunzione di mutui, per un importo non superiore all'anticipazione di tesoreria disponibile e con l'obbligo della immediata loro integrazione con i primi introiti non soggetti a particolari destinazioni.
Tutto quanto premesso, e nella considerazione che, comunque, il vincolo di legge limita l'autonomia finanziaria del Comune circa l'utilizzo delle risorse accertate, va evidenziato che:
a) in caso di mancato utilizzo delle risorse vincolate ex lege per le finalità previste dalla norma, il corrispondente importo va iscritto tra i fondi vincolati di cui all'art. 187 TUEL; in altri termini: le risorse distratte per finalità diverse da quelle individuate dalla legge confluiscano nell'avanzo di amministrazione mediante iscrizione nei fondi vincolati di cui al citato art. 187;
b) i vincoli di destinazione delle risorse confluite nel risultato d'amministrazione permangono anche se quest'ultimo non è capiente a sufficienza o è negativo; infatti, se l'esercizio chiude con un disavanzo di amministrazione, i fondi vincolati vanno ricostituiti; ciò vale a dire che, in presenza di un disavanzo effettivo di amministrazione per insufficienza di risorse libere, il mancato rispetto dei vincoli di destinazione, riflettendosi automaticamente sul risultato d'amministrazione (nella sua componente "fondi vincolati da ricostituire"), obbliga l'Ente a reperire le risorse necessarie per finanziare tutte le spese derivanti dalle entrate vincolate distratte ad altri fini, ricercando le risorse necessarie per finanziare tutte le spese derivanti da entrate vincolate rifluite nel risultato d'amministrazione; è ovvio che tale evenienza rischia di compromettere la tenuta degli equilibri di bilancio dell'Ente;
c) la violazione del vincolo di destinazione configura un'irregolarità finanziaria e contabile;
d) se reiterata, essa è suscettibile di influire sugli equilibri di bilancio; tale condotta, in ogni caso, finalizzata alla copertura di spese correnti indistinte, non è conforme a principi di sana gestione finanziaria, in quanto, oltre a costituire violazione delle vigenti disposizioni legislative, è in grado di minare la tenuta degli equilibri di bilancio dell'Ente.
Ciononostante, anche le somme a destinazione vincolata possono essere assoggettate ad atti di pignoramento del creditore, poiché il vincolo di destinazione costituisce un limite per l'attività di gestione di bilancio dell'amministrazione dell'ente (che non può cambiare la destinazione medesima), ma non assurge a circostanza opponibile, secondo le norme di diritto comune, ai terzi creditori procedenti, tranne i casi in cui le entrate a specifica destinazione siano espressamente sottratte dal legislatore alla procedura esecutiva, secondo quanto previsto dall'art. 159 TUEL.
Vincoli di destinazione possono gravare qualsiasi tipo di entrata, sia corrente, sia di conto capitale.
Fatta questa premessa d'ordine generale, il parere che si presenta, pronunciato dalla Corte dei Conti della Lombardia e contenuto nel parere 23.02.2011 n. 94, affronta il tema delle entrate a destinazione vincolata.
Nello specifico un Sindaco, ai sensi dell'art. 7, comma 8, L. 05.06.2003, n. 131, ha chiesto al magistrato contabile, tra l'altro, di esprimersi intorno alla destinazione dei proventi derivanti dal trasferimento a titolo oneroso del diritto di superficie in diritto di proprietà di aree PEEP.
Per la Corte, trattandosi di entrate in conto capitale, in base ai principi generali di bilancio (art. 162, comma 6, TUEL), non possono essere utilizzate per il finanziamento di spese correnti e, in particolare,
sono soggette ai seguenti vincoli di destinazione:
- i proventi derivanti dal trasferimento del diritto di superficie in diritto di proprietà, devono essere reimpiegati esclusivamente nel finanziamento d'interventi di eguale natura (art. 16, comma 3, D.L. 22.12.1981, n. 786, convertito in L. 26.02.1982, n. 51);
- i proventi conseguenti all'alienazione di alloggi di edilizia residenziale pubblica, devono essere destinati al finanziamento d'interventi nello stesso settore
(art. 1, comma 5, L. 24.12.1993, n. 560) (commento tratto da www.ipsoa.it).

DIPARTIMENTO FUNZIONE PUBBLICA

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGOLa legge Brunetta fa pochi sconti. Riforma pienamente applicabile. A parte i premi al merito. Nessun rinvio per le nuove norme sulle relazioni sindacali e sui procedimenti disciplinari.
La legge Brunetta è pienamente operativa e deve essere applicata dalle singole amministrazioni pubbliche: solamente le disposizioni che premiano i meritevoli sono in buona parte state rinviate. E l'introduzione delle fasce di merito è stata limitata alle risorse aggiuntive nello stato e una intesa tra governo, sindacati ed associazioni degli enti locali ne definirà la sorte immediata per le regioni, i comuni e le province.
Le disposizioni sulle relazioni sindacali, per come precisato dalla recente circolare 05.04.2011 n. 7/2011 del dipartimento della Funzione pubblica, sono immediatamente applicabili. Non vi sono dubbi sulla piena applicazione delle nuove regole sui procedimenti e sulle sanzioni disciplinari.
Come ribadito dalle sezioni riunite di controllo della Corte dei conti, le singole amministrazioni devono dare applicazione alle limitazioni allo spoils system, in particolare per il più rigido tetto imposto alle assunzioni a tempo determinato di dirigenti e, negli enti che ne sono sprovvisti, di responsabili per la copertura di posti vacanti in dotazione organica. Per cui non ha alcun fondamento la tesi che, soprattutto ad iniziativa delle organizzazioni sindacali, sta circolando, in base alla quale l'applicazione del dlgs n. 150/2009 è stata completamente rinviata alla stipula dei nuovi contratti nazionali e gli enti locali non devono adottare alcun atto.
In particolare, tutti gli enti locali devono recepire le modifiche organizzative e le nuove regole sulla misurazione e valutazione delle performance. Occorre al riguardo ricordare che la legge c.d. Brunetta espressamente stabilisce che, a partire dall'anno 2011, non possono essere erogati compensi legati alle performance, cioè la indennità di produttività per i dipendenti e quella di risultato per i dirigenti, i titolari di posizione organizzativa e le alte professionalità, se l'ente non si è data una metodologia di valutazione adeguata ai principi innovativi dettati dal legislatore.
Tale disposizione deve essere interpretata nel senso che tali indennità per il 2010 possono essere erogate, anche se le valutazioni sono effettuate nel 2011, mentre quelle relative alle attività svolte a partire da quest'anno non possono essere erogate in assenza di tale adeguamento. Ricordiamo che, come in un gioco di scatole cinesi, l'approvazione delle nuove metodologie di valutazione si deve basare sulla proposta avanzata dal nucleo o organismo indipendente di valutazione.
Il che richiede che il regolamento dell'ente ne abbia dettato la disciplina e che il sindaco o presidente di provincia abbia provveduto alla nomina dei suoi componenti.
Altro passaggio essenziale, anche se lo spostamento fino al 30 giugno del termine per l'approvazione dei bilanci preventivi pesa negativamente, è costituito dalla adozione di obiettivi individuali e di performance organizzativa adeguati rispetto ai vincoli stringenti dettati dal legislatore ed organizzati in modo da rispondere ai requisiti previsti dal legislatore per il piano delle performance.
Come chiarito dal dipartimento della Funzione Pubblica, le disposizioni sulle relazioni sindacali sono immediatamente operative, in particolare per gli aspetti relativi alla limitazione alla semplice informazione delle relazioni sindacali sugli atti di gestione del rapporto di lavoro adottati dai dirigenti con i poteri e le capacità del privato datore di lavoro.
Ed ancora, sono immediatamente applicabili le disapplicazioni delle parti dei contratti collettivi nazionali di lavoro in contrasto con la legge Brunetta, Mentre negli enti locali, a differenza di quanto previsto per lo stato, le norme dei contratti decentrati in contrasto con il dlgs 150/2009 continueranno ad essere applicabili per tutto il 2011 e, di fatto, anche per tutto il prossimo anno (articolo ItaliaOggi del 08.04.2011 - tratto da www.corteconti.it).

NEWS

CONSIGLIERI COMUNALIOSSERVATORIO VIMINALE/ Per l'indennità di fine mandato servono più di 30 mesi.
È legittima l'erogazione dell'indennità di fine mandato a favore di un ex sindaco che ha ricoperto l'incarico per poco più di due mesi?

La legge 27.12.2006, n. 296 recante disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale (legge finanziaria 2007), all'art. 1, comma 719, confermando l'indennità di fine mandato prevista dal dm 119/2000, specifica che la stessa spetta solo nel caso in cui il mandato elettivo abbia avuto una durata superiore a trenta mesi, tempo che non è stato superato nella fattispecie.
Pertanto all'amministratore in questione non può riconoscersi la legittimazione a percepire tale emolumento (articolo ItaliaOggi del 08.04.2011 - link a www.ecostampa.com).

CONSIGLIERI COMUNALIOSSERVATORIO VIMINALE/ Rimborso spese.
Un consigliere comunale ha diritto al rimborso spese per la partecipazione alle riunioni del Consiglio nazionale dell'Anci?

La norma disciplinata dall'art. 85 del Tuel non attribuisce, all'amministratore che partecipa alle riunioni ed alle attività degli organi nazionali e regionali delle associazioni, un diritto soggettivo al percepimento del rimborso per le spese sostenute ma rimette all'autonomia decisionale dell'ente la facoltà di concedere tale rimborso.
L'art. 84 del Tuel, che disciplina i rimborsi spese e le indennità di missione, è stato, inoltre, modificato dall'art. 5, comma 8, del decreto legge n. 78 del 31.05.2010, convertito con la legge 30.07.2010, n. 122, che ha disposto la soppressione di parte del comma 1 del citato art. 84 e più precisamente delle parole «nonché un rimborso forfetario omnicomprensivo per le altre spese».
Il ministero dell'interno, nelle more dell'emanazione del nuovo decreto interministeriale che individuerà, sulla base delle intervenute modifiche all'art. 84 Tuel, i nuovi parametri per il rimborso delle spese di viaggio sostenute, ha sottoscritto, in sede di Conferenza stato città ed autonomie locali, un accordo con il quale vengono anticipati i contenuti dell'emanando decreto ministeriale.
L'accordo prevede che agli amministratori degli enti locali che, in ragione del proprio mandato, si rechino fuori dal capoluogo del comune ove ha sede l'ente presso cui svolgono le funzioni pubbliche, venga riconosciuto un rimborso delle spese di soggiorno che non può superare l'80% degli importi indicati nel decreto interministeriale del 12.02.2009, importi che non possono essere considerati come rimborsi forfetari, comunque spettanti, ma come tetto massimo di spesa non superabile.
Fermo restando tale limite, il rimborso delle spese di viaggio e di soggiorno non può comunque superare gli importi stabiliti dal Ccnl del personale dirigente del comparto regioni–autonomie locali.
Sia le spese di viaggio che quelle di soggiorno dovranno essere effettivamente sostenute e documentate.
Gli enti locali possono rideterminare in riduzione le misure dei rimborsi nell'esercizio della loro autonomia organizzativa e finanziaria (articolo ItaliaOggi del 08.04.2011 - link a www.ecostampa.com).

CONSIGLIERI COMUNALIOSSERVATORIO VIMINALE/ Competenze del vice-sindaco.
Tra le prerogative previste dall'art. 53, comma 1, del dlgs n. 267/2000 in capo al vicesindaco, subentrato al sindaco deceduto, è ascrivibile anche la competenza a nominare il segretario comunale, ai sensi dell'art. 99 del dlgs n. 267/2000?

L'art. 53, comma 1, del dlgs n. 267/2000, prevede che, in caso di decesso del sindaco, le funzioni connesse a tale carica siano svolte dal vicesindaco fino a nuove elezioni.
In merito ai poteri del vicesindaco nei casi di sostituzione del sindaco, il Consiglio di stato (parere n. 501/2001 cit.) ha ritenuto che «la preposizione di un sostituto all'ufficio o carica in cui si è realizzata la vacanza, implica di norma l'attribuzione di tutti i poteri spettanti al titolare, con la sola limitazione temporale connessa alla vacanza stessa». In particolare il Consiglio di stato ha specificato che il vice sindaco, da un punto di vista funzionale «è il vicario del sindaco, cioè l'organo persona–fisica stabilmente destinato ad esercitare le funzioni del titolare in ogni caso di mancanza, assenza o impedimento» e, nel caso di decesso del sindaco, la sostituzione ha un carattere stabile, fino a nuove elezioni.
In ordine alla questione relativa alla possibilità che il vice sindaco possa procedere alla nomina del segretario, la norma di cui all' art. 99 del dlgs n. 267/2000 attribuisce al sindaco il potere di nominare il segretario comunale solo «dalla data di insediamento» ed entro un arco temporale tassativamente limitato -non prima di sessanta giorni e non oltre centoventi giorni- decorso il quale «il segretario è confermato». La vigente normativa non attribuisce al sindaco il potere di nominare altro segretario comunale in un tempo diverso da quello suindicato.
Ne consegue che il vice sindaco, investito delle stesse attribuzioni, non può procedere alla nomina di un nuovo segretario ai sensi dell'art. 99 del dlgs n. 267/2000 (articolo ItaliaOggi del 08.04.2011 - link a www.ecostampa.com).

AMBIENTE-ECOLOGIAAmbiente, arrivano due reati tutti nuovi.
Giro di vite ai reati ambientali, con l'introduzione di due nuove fattispecie di reato nel codice penale. Una serve a incriminare chi danneggia l'habitat naturale all'interno di un sito protetto. L'altra punta a sanzionare la condotta di chi uccide, distrugge, preleva o possiede, fuori dai casi consentiti, esemplari di specie animali o vegetali selvatiche protette.
Non solo. Arriva anche l'estensione alle persone giuridiche della responsabilità nei reati contro l'ambiente.

Il tutto è previsto da uno schema di dlgs (SCHEMA DI D.LGS. RECANTE RECEPIMENTO DELLA DIRETTIVA 2008/99/CE DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO, DEL 19.11.2008, SULLA TUTELA PENALE DELL’AMBIENTE, NONCHÉ DELLA DIRETTIVA 2009/123/CE DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO, DEL 21.10.2009, CHE MODIFICA LA DIRETTIVA 2005/35/CE RELATIVA ALL’INQUINAMENTO PROVOCATO DALLE NAVI E ALL’INTRODUZIONE DI SANZIONI PER VIOLAZIONI), approvato ieri in prima lettura dal consiglio dei ministri. Il testo recepisce le direttive comunitarie 2008/99 e 2009/123.
Queste, spiega una nota di Palazzo Chigi, «danno seguito all'obbligo imposto dall'Unione europea di incriminare comportamenti fortemente pericolosi per l'ambiente, sanzionando penalmente condotte illecite individuate dalla direttiva e fino ad oggi non previste come reati ed introducendo la responsabilità delle persone giuridiche, attualmente non prevista per i reati ambientali».
Legambiente esulta: «col recepimento della direttiva europea sulla tutela penale dell'ambiente si da una risposta contro i crimini ambientali, che abbiamo chiesto da quasi vent'anni, quando iniziammo ad occuparci di ecomafia» (articolo ItaliaOggi del 08.04.2011 - tratto da www.corteconti.it).

PUBBLICO IMPIEGOTempi duri per il travet malato. Più facile il licenziamento in caso di inidoneità psico-fisica. Sì al decreto Brunetta: accertamenti d'ufficio per i casi sospetti di disturbi comportamentali.
Il rischio finale del licenziamento ora sarà molto più concreto. Perché quando si avranno problemi di salute, anche solo presunti in base ai comportamenti, scatteranno accertamenti d'ufficio da parte dell'amministrazione-datore di lavoro a cui sarà arduo sottrarsi.
E questo grazie alle nuove norme sulle inidoneità psico-fisica dei dipendenti pubblici varate ieri dal consiglio dei ministri e ora la vaglio del Consiglio di stato per il prescritto parere.
Il provvedimento (SCHEMA DI D.P.R. RECANTE REGOLAMENTO DI ATTUAZIONE IN MATERIA DI RISOLUZIONE DEL RAPPORTO DI LAVORO DEI DIPENDENTI DELLE AMMINISTRAZIONI PUBBLICHE DELLO STATO E DEGLI ENTI PUBBLICI NAZIONALI IN CASO DI PERMANENTE INIDONEITÀ PSICOFISICA AI SENSI DELL’ARTICOLO 55-OCTIES DEL D.LGS. 30.03.2001 N. 165) è stato curato dal ministro della funzione pubblica, Renato Brunetta, con l'obiettivo di tutelare l'efficienza e il buon andamento della pubblica amministrazione, si legge in una nota del governo, «consentendo la risoluzione del rapporto di lavoro dei dipendenti di cui è stata accertata l'inidoneità psicofisica permanente e assoluta, oppure il demansionamento nel caso di inidoneità psicofisica permanente e relativa». Per la prima volta si parla di inidoneità anche psichica, finora genericamente c'erano problemi di salute.
E per la prima volta, si prevede che ci si la licenziabilità anche dei dirigenti. L'amministrazione avvia, prima era solo una possibilità, la procedura di accertamento non solo nei casi in cui le assenze per malattia si protraggono oltre i limiti massimi previsti ma anche quando, con una valutazione di natura discrezionale, il datore di lavoro ritenga che il comportamento del lavoratore denunci disturbi psichici o fisici. Comportamento tale da rendere presumibile un'inidoneità assoluta o relativa al servizio.
Per questi casi, è possibile anche una sospensione cautelare in attesa delle visite a tutela della sicurezza dei colleghi e della eventuale utenza. Situazioni delicate, queste, che finora non erano espressamente disciplinate e che avevano creato problemi soprattutto nei servizi di sportello.
Il licenziamento scatta in caso di accertamento di impossibilità assoluta a svolgere le mansioni. Se l'inidoneità è relativa, l'amministrazione deve mettere in atto ogni tentativo per recuperare al servizio il dipendente, con l'assegnazione a diverse mansioni dello stesso profilo di inquadramento ma anche di altro profilo. Se più basso, lo stipendio resterà comunque quello di primo inquadramento. Norme dunque non solo più rigide a favore della pa ma anche a tutela del lavoratore.
Nella stretta contro i furbi, rischia grosso chi per ben due volte si rifiuta, senza giustificato motivo, di sottoporsi ai controlli: sarà licenziato con il debito preavviso (articolo ItaliaOggi del 08.04.2011 - tratto da www.corteconti.it).

CONSIGLIERI COMUNALIRicandidatura vietata per chi ha il bilancio in rosso.
Federalismo. Il Governo approva nuovamente il decreto sul fallimento politico, ricomincia l'iter in Parlamento.
Conti in rosso, ricandidatura vietata. Altolà a governatori e sindaci non in linea con il rigore - Snellito il testo.

Il decreto su premi e sanzioni ricomincia da due. Il Consiglio dei ministri ha riapprovato ieri il provvedimento attuativo del federalismo che introduce il «fallimento politico» per i governatori in default.
Si tratta di un nuovo via libera preliminare, dopo quello del 30 novembre scorso, che fa ripartire l'iter Conferenza unificata-bicamerale-Palazzo Chigi. Per la gioia di Regioni ed enti locali, da sempre scettici sul testo del Governo. Il nuovo passaggio in Cdm si è reso necessario per stralciare dal Dlgs i cinque articoli ... (articolo Il Sole 24 Ore del 08.04.2011 - tratto da www.corteconti.it).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGOPiccoli comuni, turnover amaro. Se va in pensione l'unico vigile: non può essere rimpiazzato. Disco rosso della Corte conti Veneto sull'assunzione di un nuovo agente nel corso dell'anno.
Il pensionamento di figure uniche infungibili non sfugge al divieto, per i comuni non soggetti al patto, di assumere personale cessato in corso d'anno, anche se il turnover riguarda agenti di polizia municipale. La mobilità in uscita può essere considerata come cessazione solo se l'ente destinatario del dipendente trasferito non sia soggetto a vincoli assunzionali.
La Corte dei conti, sezione regionale di controllo per il Veneto fornisce questi due importanti chiarimenti.
Cessazioni in corso d'anno. Il comune richiedente, non soggetto al patto di stabilità, ventilava la possibilità di sostituire l'unico agente di polizia municipale destinato ad andare in pensione nel 2011, già nel 2011 stesso. Ciò in considerazione dell'unicità ed infungibilità della figura e della necessità di assicurare le funzioni.
La sezione, tuttavia, non ha potuto fare a meno di evidenziare l'illegittimità di tale approccio. Infatti, ai sensi dell'articolo 1, comma 562, della legge 296/2006, gli enti non sottoposti al patto limitano le assunzioni di personale alle cessazioni di rapporti di lavoro a tempo indeterminato intervenute «nel precedente anno». Anche l'interpretazione strettamente letterale della norma conferma che l'anno di riferimento ai fini del contenimento delle spese di personale detta riduzione debba essere sempre quello precedente alla cessazione.
Non osta a questa obbligata applicazione della norma l'unicità della figura, né la qualifica di agente di polizia municipale. Spiega la sezione veneta agli enti non soggetti al patto non è applicabile la disposizione di cui all'articolo 1, comma 118, della legge 220/2010, che consente di derogare al limite di spesa per assunzioni nell'ambito delle funzioni di polizia locale ai soli comuni con oltre 5.000 abitanti, visto che richiama, come condizione, il rispetto degli obiettivi del patto di stabilità interno.
Effetti della mobilità. Il comune ha chiesto se fosse, allora, possibile avviare nel 2011 una procedura di assunzione per sostituire un dipendente andato in mobilità presso un altro ente nel 2009.
La sezione risponde affermativamente circa la possibilità di coprire, in linea teorica, una cessazione anche di due anni prima, ma in merito agli effetti della mobilità si allinea alle conclusioni tratte dalle sezioni riunite con la delibera 59/2010: la mobilità in uscita può essere considerata come cessazione solo se l'ente di provenienza debba rispettare a vincoli alle assunzioni, mentre l'ente destinatario, al contrario, non sia soggetto a tetti alle assunzioni.
Infatti, in questo caso l'ente di destinazione deve sempre imputare la mobilità in entrata alla copertura delle vacanze di organico, sicché l'assunzione per mobilità occupa i posti che si intendono coprire mediante il piano annuale delle assunzioni. In tal modo non si avrebbe un incremento della spesa complessiva per personale, così da permettere all'ente di provenienza di effettuare una nuova assunzione.
Restano, tuttavia, in piedi le perplessità di tale ricostruzione che le sezioni riunite della Corte dei conti hanno fondato sul presupposto della vigenza dell'articolo 1, comma 47, della legge 311/2004 che operava in un regime profondamente diverso, quando gli enti non soggetti al patto non erano sottoposti a vincoli alle assunzioni, mentre gli enti tenuti a rispettare il patto di stabilità dovevano complessivamente rispettare tetti alle assunzioni non a livello di singolo ente, bensì complessivamente di comparto.
Dopo la modifica del patto di stabilità le cose non stanno più così. I tetti alla spesa e alle assunzioni operano solo a livello di singolo ente. Per altro, dalla vigenza della legge 296/2006 alla vigenza del dl 78/2010 solo gli enti non soggetti al patto erano tenuti a vincoli alle assunzioni. A causa della manovra estiva 2010, anche gli enti obbligati al patto incontrano vincoli assunzionali, esattamente entro il 20% della spesa del personale cessato l'anno precedente.
Sicché, la mobilità intercompartimentale tra enti locali non sarebbe mai né cessazione, né assunzione. E potrebbe essere coperta solo da mobilità. Il che pregiudica di molto proprio la situazione degli enti di piccole dimensioni. Senza considerare che ai sensi dell'articolo 30, comma 2-bis, del dlgs 165/2001 le assunzioni debbono necessariamente avvenire per mobilità. E che lo stesso dl 78/2010 nel disporre che i fondi delle risorse decentrate debbono essere ridotti in proporzione non al personale cessato, ma al «personale in servizio»: il che significa che anche le mobilità in uscita, riducendo il personale «in servizio» determinano risparmi sulla spesa di personale esattamente come una cessazione, così come, simmetricamente, le mobilità in uscita costi come fossero assunzioni (articolo ItaliaOggi del 08.04.2011 - tratto da www.corteconti.it).

PUBBLICO IMPIEGOBrunetta dà più poteri ai dirigenti alla faccia di sindacati e giudici. Un decreto per far decollare subito le nuove competenze previste dalla riforma.
È una corsa contro il tempo, quella tra Brunetta e i sindacati. A chi arriva prima a fermare l'altro. Sembrava che i sindacati, quelli moderati di Cisl e Uil, ci fossero riusciti con l'accordo spuntato a Palazzo Chigi lo scorso 4 febbraio, che rinviando a una successiva trattativa all'Aran molti dei nodi caldi dell'attuazione del decreto legislativo 150/2009 nei fatti depotenziavano la riforma Brunetta.
E ora invece il ministro della funzione pubblica, Renato Brunetta, sta per assestare un colpo a suo favore: intanto che il tavolo all'Aran ancora non si è aperto, con un decreto correttivo al 150 si rendono pienamente operativi alcuni filoni della riforma che rischiavano con l'accordo di restare fermi. Rendendo così la pariglia ai sindacati e stoppando i giudici che, adducendo dubbi interpretativi, stanno remando contro.
Si tratta di un decreto legislativo (SCHEMA DI D.LGS. RECANTE DISPOSIZIONI INTEGRATIVE E CORRETTIVE DEL D.LGS. 27.10.2009, N. 150 AI SENSI DELL’ARTICOLO 2, COMMA 3, DELLA LEGGE 04.03.2009, N. 15) che in queste ore è stato sottoposto al vaglio di regioni, comuni e province per il prescritto parere, prima della trasmissione alla camere e poi il via libero definitivo del consiglio dei ministri. Un decreto che tra le varie correzioni stabilisce che l'adeguamento dei contratti collettivi integrativi è necessario solo per i contratti vigenti alla data di entrata in vigore del 150, «mentre i contratti sotto scritti successivamente si applicano immediatamente le disposizioni introdotte dal medesimo decreto».
Ma il colpo più forte si ha all'ultimo punto dell'articolato, quello in cui si interpreta il senso dell'articolo 65, comma 5, del decreto legislativo 150/2009: le disposizioni che si applicano dalla tornata contrattuale successiva a quella in corso al momento dell'entrata in vigore del decreto «sono esclusivamente quelle relative al procedimento negoziale di approvazione dei contratti collettivi nazionali». Fuori di burocratese, questo significa che in tema di relazioni sindacali la riforma si applica già. Anche se proprio sulle relazioni sindacali il tavolo all'Aran avrebbe dovuto dire una parola chiarificatrice e condivisa.
E dunque, i dirigenti possono da subito disciplinare l'organizzazione del lavoro e la gestione degli uffici come ritengono opportuno. Informando i sindacati ma senza trattare più con loro, come fatto finora e come preteso ancora dalle sigle. Tanto da aver ottenuto un diluvio di sentenze a favore che hanno bloccato l'iniziativa manageriale dei dirigenti pubblici.
Se il decreto dovesse riuscire a ultimare il suo iter prima dell'accordo, avrà vinto Brunetta. Un risultato non da poco per il responsabile di Palazzo Vidoni, visto lo stop inferto alla sua riforma dalla manovra correttiva dei conti pubblici che ha congelato le retribuzioni degli statali impedendo aumenti o decurtazioni sul monte salariale pregresso. Così mandando a gambe all'aria la piena attuazione della meritocrazia. La partita non è ancora finita (articolo ItaliaOggi del 07.04.2011 - tratto da www.corteconti.it).

GIURISPRUDENZA

ATTI AMMINISTRATIVI - ENTI LOCALIOrdinanze sì, ma solo se urgenti. No alla discrezionalità senza limiti dei sindaci sulla sicurezza. La Consulta boccia la norma del pacchetto sicurezza sui poteri straordinari dei primi cittadini.
Sindaci ridimensionati dalla Consulta. Stop ai poteri «straordinari» offerti agli amministratori dal pacchetto sicurezza: bocciato l'articolo 54, comma 4, del Testo unico degli enti locali (decreto legislativo 18.08.2000, n. 267) così come modificato dal decreto legge 92/2008.
Lo stabilisce la sentenza 07.04.2011 n. 115 della Corte costituzionale che dichiara illegittima la norme laddove consente al sindaco, in quanto ufficiale del governo, di adottare provvedimenti a «contenuto normativo ed efficacia a tempo indeterminato», per prevenire ed eliminare gravi pericoli che minacciano la sicurezza urbana, anche fuori dai casi di «contingibilità e urgenza».
A sollevare la questione è stato il Tar Veneto dopo il ricorso dell'associazione «Razzismo stop» contro il provvedimento anti-mendicanti del comune di Selvazzano Dentro, in provincia di Padova, che prevedeva la confisca del denaro versato in violazione del divieto di accattonaggio.
No limits. La norma del pacchetto sicurezza che riscrive sul punto il Tuel viene dichiarata incostituzionale perché è molto indeterminata e non rispetta il principio di legalità sostanziale, posto a base dello stato di diritto. La disposizione, infatti, consente ai sindaci di emanare ordinanze di ordinaria amministrazione con una discrezionalità praticamente senza limiti, celata sotto la generica esigenza «di prevenire e di eliminare gravi pericoli che minacciano l'incolumità pubblica e la sicurezza urbana».
È vero che i provvedimenti degli amministratori non possono derogare a norme legislative o regolamentari vigenti, ma l'esercizio del potere amministrativo deve essere sempre svolto sotto una copertura legislativa, sia pure elastica. Il giudice delle leggi ricorda fra l'altro che nessuna prestazione, personale o patrimoniale, possa essere imposta se non in base alla legge. E anche l'imposizione coattiva di obblighi di non fare, come nel divieto di mendicare, rientra ugualmente nel concetto di «prestazione».
Libertà e legalità. Nel caso del comune veneto le ordinanze sindacali riguardano l'incolumità pubblica e la sicurezza urbana e incidono sulla sfera generale dei cittadini amministrati: sono dirette contro l'accattonaggio e scende in campo l'associazione «Razzismo stop» perché i multati sono spesso nomadi e migranti.
La misura di ordine pubblico adottata a Selvazzano impedisce l'accattonaggio in vaste zone del territorio comunale: i trasgressori si beccano una sanzione amministrativa pecuniaria, con possibilità di pagamento in misura ridotta solo per le prime due violazioni accertate. È proibito, in particolare, richiedere denaro in luoghi pubblici, effettuata «anche» in forma petulante e molesta: il provvedimento del sindaco, insomma, si estende ai mendicanti non «invasivi o molesti».
Insomma, l'ordinanza pone prescrizioni di comportamento e divieti, ma le restrizioni imposte grazie al pacchetto sicurezza risultano in contratto la riserva di legge relativa, di cui all'articolo 23 Costituzione: il restyling imposto all'articolo 54, comma 4 del Tuel non prevede alcuna delimitazione della discrezionalità amministrativa in un ambito che rientra nella sfera di libertà dei consociati. E dunque la disposizione va cassata.
Disparità di trattamento. La Consulta boccia la norma del pacchetto sicurezza anche per evitare disparità di trattamento fra cittadini italiani di differenti zone del paese. Le ordinanze no limits dei sindaci sono prive di una valida base legislativa e rischiano di introdurre -riflettono i giudici della Consulta- fattispecie nuove e inedite, liberamente configurate dai primi cittadini dei comuni: il risultato sarebbe inestricabile viluppo di divieti distribuiti a macchia di leopardo sul territorio; un mosaico inguardabile, insomma.
Dall'Alta corte arriva dunque un monito: mai più deleghe in bianco ai sindaci, che pure si trovano tutti i giorni a combattere in prima fila contro i problemi (anche di sicurezza e di ordine pubblico) che affliggono le loro comunità.
Autonomia e responsabilità. Ancora in tema di enti locali: spettano alla provincia di Bolzano i canoni relativi ai permessi di ricerca e alle concessioni delle risorse geotermiche. La Consulta dichiara l'illegittimità costituzionale dell'articolo 1, comma 6, del decreto legislativo 11.02.2010, n. 22 («Riassetto della normativa in materia di ricerca e coltivazione delle risorse geotermiche, a norma dell'articolo 27, comma 28, della legge 23.07.2009, n. 99»), nella parte in cui non prevede che la disposizione relativa all'appartenenza delle risorse geotermiche ad alta entalpia al patrimonio indisponibile dello stato non si applica alle province autonome di Trento e di Bolzano.
La provincia dell'Alto Adige è tenuta ad osservare le norme statali che introducono riforme economico-sociali per gli aspetti che riguardano la gestione e la migliore utilizzazione delle risorse geotermiche (siano esse di alta, media o bassa entalpia) ma mantiene tutti i suoi diritti per quanto concerne gli aspetti economici (articolo ItaliaOggi del 08.04.2011).

LAVORI PUBBLICI: L'edificabilità di fatto come criterio di prova del danno per le occupazioni illegittime dei terreni da parte della PA.
Con la sentenza 04.04.2011 n. 2113 la IV Sez. del Consiglio di Stato ribadisce alcuni fondamentali principi in tema di occupazione illegittima di terreni da parte della Pubblica Amministrazione e profili risarcitori.
In primo luogo il Collegio ribadisce i principi che regolano il riparto di giurisdizione precisando che: “spetta al giudice amministrativo” ogni controversia cha ha ad oggetto “il risarcimento dei danni conseguenti all'annullamento giurisdizionale di un provvedimento amministrativo in tema di espropriazione per pubblica utilità” come l’annullamento della dichiarazione di pubblica utilità (Consiglio Stato a. plen., 09.02.2006, n. 2; n. 9 del 30.07.2007).
Mentre le domande risarcitorie e restitutorie relative a fattispecie di occupazione usurpativa, intese come manipolazione del fondo di proprietà privata avvenuta in assenza della dichiarazione di pubblica utilità ovvero a seguito della sua sopravvenuta inefficacia, rientrano nella giurisdizione ordinaria (omissis) (Cassazione civile , sez. un., 23.12.2008 , n. 30254).”
Nel merito poi della richiesta risarcitoria del proprietario del fondo di fatto espropriato il collegio precisa nella liquidazione del danno da occupazione illecita “non ricorrendo il parametro dell’edificabilità legale”, si deve tenere conto del parametro “dell’edificabilità di fatto” e quindi “fare riferimento alle obiettive caratteristiche della zona ed alla possibile utilizzazione del terreno, anche in relazione al contesto spaziale nel quale quest'ultimo concretamente si ponga in ragione del rapporto di fisica contiguità con aree limitrofe edificate o appartenenti alla medesima zona cui l'area espropriata è funzionale, sempreché risulti comunque accertata una sua compatibilità con le generali scelte urbanistiche ed entro i limiti in ogni caso posti dall'art. 4” T.U. Espropri (DPR 327/2001).
Il Consiglio di Stato con la sentenza in commento ricorda che è onere del cittadino proprietario del terreno illegittimamente occupato e di fatto espropriato, dimostrare in concreto il valore del terreno da risarcire -la sua “edificabilità di fatto”- producendo atti notarili di compravendita di terreni limitrofi da cui si possa ricavare tale valore.
In base al principio di ripartizione dell’onere probatorio (art. 2697 cod. civ.) che impone alla parte la prova dei fatti dalla stessa dedotti e posti a base delle proprie richieste, non si può demandare la prova del valore del terreno occupato ad una semplice richiesta di consulenza tecnica d’ufficio. Essa infatti “ha la funzione di fornire all'attività valutativa del giudice l'apporto di cognizioni tecniche non possedute” ma non può supplire ad una totale carenza probatoria connessa alla richiesta risarcitoria (commento tratto da www.professioni-imprese24.ilsole24ore.com - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: RIFIUTI - INQUINAMENTO - Decreto Ronchi - Artt. 17 e 51-bis - Continuità normativa con l’art. 32, c. 2, d.P.R. n. 915/1982.
La normativa di cui al d.lgs. n. 22/1997 ha reso strutturale e permanente la medesima condotta incriminata dalla norma transitoria ex art. 32, secondo comma, del d.P.R. n. 915/1982, ampliandola e precisandola ulteriormente alla stregua del combinato disposto degli artt. 17 e 51-bis del predetto “decreto Ronchi” (cfr. Cass. pen., Sez. III, n. 280/1999, cit.).
D’altro lato, al pari dell’art. 17 del d.lgs. n. 22/1997, l’art. 32, secondo comma, cit. ha prescritto un obbligo personale di fare, che si sostanzia in un comportamento attivo, tanto che la costante giurisprudenza ha configurato la relativa fattispecie criminosa quale reato permanente, in quanto l’attività illecita persiste con la ripetuta inerzia del soggetto obbligato ad intervenire al fine di evitare l’effetto temuto (cfr., ex multis, Cass. pen., Sez. III, 21.05.1996, n. 9332; id., 06.07.1994, Cassaniti).
Ne deriva che la pur riconosciuta diversità di regime giuridico e, per conseguenza, la mancanza di continuità normativa tra gli artt. 2043, 2050 e 2058 c.c., da un lato, e l’art. 17 del cd. decreto Ronchi, dall’altro, non impedisce di applicare il comando contenuto nel medesimo art. 17 a soggetti estintisi prima del 1997 ad al successore universale di tali soggetti, in forza del nesso di nesso di continuità normativa esistente tra gli artt. 17 e 51-bis del d.lgs. n. 22 cit. e l’art. 32, secondo comma, del d.P.R. n. 915/1982.
INQUINAMENTO - Condotta omissiva a carattere permanente - Art. 51-bis d.lgs. n. 22/1997 - Applicabilità a qualsiasi situazione di inquinamento in atto, a prescindere dal momento in cui è avvenuto il fatto - Fondamento.
L’inquinamento è situazione permanente, in quanto perdura fino a che non ne siano rimosse le cause ed i parametri ambientali siano riportati entro i limiti normativamente accettabili: ciò comporta che le previsioni del d.lgs. n. 22/1997 vanno applicate a qualunque sito risulti attualmente inquinato, a prescindere dal momento nel quale possa essere avvenuto il fatto o i fatti generatori dell’attuale situazione patologica.
Ne deriva l’applicabilità dell’art. 51-bis del d.lgs. n. 22/1997 a qualsiasi situazione di inquinamento in atto al momento dell’entrata in vigore del predetto decreto legislativo. La norma collega infatti la pena non al momento in cui viene cagionato l’inquinamento o il relativo pericolo, ma alla mancata realizzazione, da parte del responsabile, della bonifica, secondo la procedura di cui all’art. 17.
Non si tratta, perciò, di dare alla norma portata retroattiva, ma di applicare la legge ratione temporis, onde far cessare gli effetti (che solo la bonifica può elidere) di una condotta omissiva a carattere permanente: la sanzione, cioè, colpisce non l’inquinamento prodotto in epoca precedente, ma la mancata eliminazione degli effetti che permangono nonostante il fluire del tempo (C.d.S., Sez. VI, n. 5283/2007, cit.).
In questo senso depone anche la giurisprudenza della Cassazione penale, secondo cui l’art. 51-bis cit. si configura quale reato omissivo di pericolo presunto, che si consuma ove il soggetto non proceda ad adempiere l’obbligo di bonifica secondo le cadenze procedimentalizzate dal precedente art. 17 (cfr. Cass. pen., Sez. III, 28.04.2000, n. 1783).
INQUINAMENTO - Situazioni di inquinamento ingenerate anteriormente all’entrata in vigore del decreto Ronchi - Causa di non punibilità ex art. 114, c. 7, L. 388/2000 - Interpretazione - Conservazione dei valori giuridici.
L’art. 114, comma 7, della l. n. 388/2000, (a tenor del quale chiunque abbia adottato le procedure ex art. 17 del d.lgs. n. 22/1997 e di cui al d.m. n. 471/1999, “non è punibile per i reati direttamente connessi all’inquinamento del sito posti in essere anteriormente alla data di entrata in vigore del decreto legislativo n. 22/1997”), avendo introdotto una causa di non punibilità penale per le contaminazioni realizzate prima dell’entrata in vigore del “decreto Ronchi”, conferma l’applicabilità di tale decreto legislativo a situazioni di inquinamento ingenerate prima della sua entrata in vigore e tuttora in atto, perché se l’applicabilità stessa fosse stata da escludere, non ci sarebbe stato bisogno di introdurre la predetta causa di non punibilità e l’art. 114, comma 7, cit., sarebbe stato del tutto superfluo.
Ma ciò contrasta con il principio generale di conservazione dei valori giuridici, quale canone ermeneutico che impone la scelta dell’interpretazione di una norma più aderente ai precetti costituzionali (cfr., ex multis, Cass. civ., Sez. III, 22.10.2002, n. 14900; TAR Lazio, Roma, Sez. I, 05.06.2006, n. 4239): scelta che, certo, non sarebbe quella di privilegiare un significato della norma (qui, l’art. 17 del d.lgs. n. 22/1997), tale da rendere altra norma, ad essa posteriore, (l’art. 114, comma 7, cit.) del tutto inutile e priva di valore precettivo (TAR Toscana, Sez. II, sentenza 01.04.2011 n. 573 - link a www.ambientediritto.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: ASSOCIAZIONI E COMITATI - Comitati costituiti in forma associativa temporanea - Legittimazione ad agire - Limiti.
Deve essere esclusa la legittimazione ad agire dei comitati istituiti in forma associativa temporanea, con scopo specifico e limitato, costituenti una mera proiezione degli interessi dei soggetti che ne fanno parte e che quindi non sono portatori in modo continuativo di interessi diffusi radicati nel territorio.
Diversamente si consentirebbe una sorta di azione popolare che non é ammessa dall’ordinamento (Cons. Stato, Sez. V, 23.04.2007, n. 1830; Sez. VI, 11.07.2008, n. 3507; TAR Toscana, Sez. I, 02.12.2010, n. 6710; TAR Lazio Lt I, 08.07.2009, n. 670; TAR Puglia, Ba, Sez. III, 15.04.2009, n. 866).
ASSOCIAZIONI E COMITATI - Associazioni ambientaliste - Art. 13 L. n. 349/1986 - Potere di accertamento della legittimazione ad agire - Giudice - Valutazione caso per caso - Condizioni.
L'affidamento al Ministero dell'ambiente, ex art. 13 l. 08.07.1986 n. 349, del potere di accertamento della legittimazione ad agire delle associazioni ambientaliste e dei comitati non esclude la possibilità per il giudice di valutare, caso per caso, la sussistenza della legittimazione in capo ad una determinata associazione ad impugnare provvedimenti lesivi di interessi ambientali; la verifica di tale capacità di agire, anche in relazione all’art. 18 l. n. 349/1986, è comunque assoggettata a precise e circoscritte condizioni (Cons. Stato, Sez. IV, 02.10.2006, n. 5760 e 19.02.2010 n. 1001), diversamente configurandosi un’azione popolare non prevista dall’ordinamento.
ASSOCIAZIONI E COMITATI - Comitato - Rappresentatività rispetto all’interesse da proteggere - Indici.
L'interesse diffuso si trasforma in interesse collettivo, e diventa, quindi, interesse legittimo tutelabile in giudizio, solo nel momento in cui, indipendentemente dalla sussistenza della personalità giuridica, l'ente dimostri la sua rappresentatività rispetto all'interesse che intende proteggere.
Rappresentatività che deve essere desunta da una serie di indici elaborati dalla giurisprudenza: deve trattarsi di un ente il cui statuto preveda come fine istituzionale la protezione di un determinato bene a fruizione collettiva, cioè di un dato interesse diffuso o collettivo, l'ente medesimo deve essere in grado, per la sua organizzazione e struttura, di realizzare concretamente le proprie finalità ed essere dotato di stabilità, nel senso che deve svolgere all'esterno la propria attività in via continuativa (Cons. Stato, Sez. VI, 11.07.2008, n. 3507); l'organismo collettivo deve essere portatore di un interesse localizzato, nel senso che deve sussistere uno stabile collegamento territoriale tra l'area di afferenza dell'attività dell'ente e la zona in cui è situato il bene a fruizione collettiva che si assume leso (“criterio della c.d. vicinitas”) (TAR Toscana, Sez. II, sentenza 01.04.2011 n. 567 - link a www.ambientediritto.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: INQUINAMENTO - Siti di interesse nazionale - Bonifica - Provvedimento conclusivo della conferenza di servizi - Adozione - Competenza dirigenziale - Art. 252 d.lgs. n. 152/2006.
In tema di bonifica di siti di interesse nazionale, il decreto di approvazione della Conferenza di servizi, costituisce espressione di attività di gestione e non di indirizzo politico-amministrativo, risultando, perciò, legittima la sua adozione da parte del dirigente del settore interessato, e non da parte del Ministro.
Ed invero, l'art. 252 del d.lgs. n. 152/2006, distinguendo tra atti ed attività di competenza del Ministro dell'Ambiente ed atti e attività facenti capo al Ministero, colloca tra i primi l'individuazione, ai fini della bonifica, dei siti di interesse nazionale (art. 252, comma 2, cit.), il che è del tutto logico, dovendo la suddetta individuazione reputarsi atto attinente all'indirizzo politico-amministrativo in materia di bonifica.
Per contro, si deve reputare che l'impugnato decreto di recepimento della Conferenza di Servizi costituisca un mero atto di gestione, di competenza dirigenziale e non del Ministro, atteso che esso certamente non concerne le scelte di fondo che la P.A. è chiamata a compiere nel settore in esame (come ad es., la mappatura dei siti di interesse nazionale), avendo invece ad oggetto la prescrizione di un singolo intervento di messa in sicurezza d'emergenza e, poi, di bonifica (TAR Toscana, sez. II, 06.07.2010, n. 2316; TAR Lombardia, Brescia, Sez. I, 09.10.2009, n. 1738).
INQUINAMENTO - Bonifica, messa in sicurezza e ripristino ambientale - Proprietario - Mancata dimostrazione dell’imputabilità soggettiva della condotta - Illegittimità dell’ordinane di bonifica - Principio “chi inquina paga”.
Non è legittimo l’ordine di bonifica, messa in sicurezza e ripristino ambientale indiscriminatamente rivolto al proprietario del fondo in ragione della sua sola qualità, ma in mancanza di adeguata dimostrazione da parte dell’Amministrazione procedente, sulla base di un’istruttoria completa e di una esauriente motivazione, dell’imputabilità soggettiva della condotta (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 19.03.2009, n. 1612; TAR Toscana, sez. II 24.08.2009 n. 1398).
La pubblica amministrazione non può, pertanto, imporre ai privati che non abbiano alcuna responsabilità diretta sull'origine del fenomeno contestato, ma che vengano individuati solo quali proprietari del bene, lo svolgimento delle attività di recupero e di risanamento. E ciò, del resto, in conformità al principio "chi inquina paga", cui si ispira la normativa comunitaria (art. 174, ex art. 130/R, trattato CE), la quale impone al soggetto che fa correre un rischio di inquinamento di sostenere i costi della prevenzione o della riparazione (TAR Toscana, sez. II, 03.03.2010, n. 594).
Ai fini della responsabilità in questione è perciò necessario che sussista e sia provato, attraverso l’esperimento di un’adeguata istruttoria, il rapporto di causalità tra l'azione o l'omissione dell'autore dell'inquinamento e il superamento -o pericolo concreto ed attuale di superamento- dei limiti di contaminazione, senza che possa venire in rilievo una sorta di responsabilità oggettiva facente capo al proprietario o al possessore dell’immobile meramente in ragione di tale qualità (TAR Toscana, Sez. II, sentenza 01.04.2011 n. 565 - link a www.ambientediritto.it).

PUBBLICO IMPIEGO: Mobbing - Configurabilità - Presupposti - Disegno persecutorio - Prova.
Ai fini della configurabilità del mobbing sono rilevanti:
a) la molteplicità di comportamenti di carattere persecutorio, illeciti o anche leciti se considerati singolarmente, che siano stati posti in essere in modo miratamente sistematico e prolungato contro il dipendente con intento vessatorio;
b) l’evento lesivo della salute o della personalità del dipendente;
c) il nesso eziologico tra la condotta del datore o del superiore gerarchico e il pregiudizio all’integrità psico-fisica del lavoratore;
d) la prova dell’elemento soggettivo, cioè dell’intento persecutorio (Cass. civ., Sez. lav., 17.02.2009, n. 3785).
La ricorrenza di una condotta mobbizzante va pertanto esclusa quante volte la valutazione complessiva dell’insieme delle circostanze addotte e accertate nella loro materialità, pur se idonea a palesare "singulatim" elementi e episodi di conflitto sul luogo di lavoro, non consenta di individuare, secondo un giudizio di verosimiglianza, il carattere unitariamente persecutorio e discriminante nei confronti del singolo del complesso delle condotte poste in essere sul luogo di lavoro (Cons. Stato, Sez. IV, 21.04.2010, n. 2272).
In particolare, la condotta di mobbing dell’Amministrazione pubblica datrice di lavoro, consistente in comportamenti materiali o provvedimentali contraddistinti da finalità di persecuzione e di discriminazione, indipendentemente dalla violazione di specifici obblighi contrattuali nei confronti di un suo dipendente, deve da quest’ultimo essere provata e, a tal fine, valenza decisiva è assunta dall’accertamento dell’elemento soggettivo, e cioè dalla prova del disegno persecutorio; in ogni caso, determinati comportamenti non possono essere qualificati come mobbing se è dimostrato che vi è una ragionevole e alternativa spiegazione (Cons. Stato, Sez. IV, 07.04.2010, n. 1991; Cons. Stato, Sez. VI, 06.05.2008, n. 2015) (TAR Puglia-Bari, Sez. I, sentenza 31.03.2011 n. 528 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: INQUINAMENTO ELETTROMAGNETICO - Installazione di stazioni radio per telefonia mobile - Valutazione di impatto ambientale - Art. 2-bis d.l. n. 115/1997 - Verifica dei limiti di esposizione.
L’art. 2-bis d.l. 115/1997, nella parte in cui subordina alle opportune procedure di valutazione di impatto ambientale l’installazione di stazioni radio per telefonia mobile, non ha inteso richiamare la v.i.a. quale istituto previsto dall'art. 6 l. 08.07.1986 n. 349 ma solo rinviare ad una futura normativa, poi introdotta con l’art. 1, comma 6, lett. a), L. 31.07.1997 n. 249 e con il d.l. 10.09.1998 n. 381, che hanno stabilito i limiti di esposizione ai campi elettromagnetici.
Con la conseguenza che dopo l’introduzione della detta disciplina l’osservanza del citato art. 2-bis si concreta nella verifica dei detti limiti, demandata agli uffici competenti in sede di accertamento preventivo sulla compatibilità degli impianti con le norme in vigore, anche perché la citata l. n. 249 del 1997 ha chiarito che l’installazione degli impianti di telefonia mobile è soggetta alla verifica del rispetto dei tetti di radiofrequenza compatibili con la salute umana, senza alcun riferimento a procedure di v.i.a. (Cons. St., sez. VI, 12.07.2007, n. 3938; Tar Bologna, sez. II, 06.12.2001, 1186; Cos. St., sez. VI, 10.07.2001, n. 3923).
INQUINAMENTO ELETTROMAGNETICO - Impianti di telefonia mobile - Strutture edilizie soggette a previa autorizzazione - Assoggettamento a vincoli di inedificabilità - L.r. Puglia n. 30/1990 - Territorio coperti da boschi e fasce contermini di 100 metri - Inedificabilità assoluta.
La l.r. Puglia n. 30/1990 individua, all’art. 1, le aree soggette a divieto di modificazione, tra cui sono inserite i territori coperti da boschi o macchia mediterranea e le fasce contermini di 100 metri.
La giurisprudenza è costante nel ritenere che la realizzazione di impianti di telefonia mobile è soggetta, sotto il profilo urbanistico, ai principi di carattere generale, nel senso che i tralicci e le antenne di rilevanti dimensioni sono pur sempre strutture edilizie soggette a previa autorizzazione e comunque non possono essere realizzati in zone di rispetto o soggette, per altre cause, a vincoli assoluti di inedificabilità (cfr. Tar Napoli, 05.06.2009, 23094; Cons. St., 21.04.2008, n. 1767; Tar Torino, 09.10.2008, n. 2538).
Pertanto, deve ritenersi illegittimo il provvedimento di autorizzazione perché l’opera ricade sul limitare di una vasta pineta a 4-5 mt. dagli alberi, e quindi in una zona in cui vige il vincolo assoluto (TAR Puglia-Lecce, Sez. I, sentenza 28.03.2011 n. 584 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: BENI CULTURALI E AMBIENTALI - Vincolo paesaggistico - Autorizzazione - Diniego - Motivazione succinta - Legittimità.
In tema di diniego di autorizzazione paesaggistica, è legittima una motivazione anche succinta, in quanto l’onere motivazionale può essere assolto mediante l’individuazione, nell’opera abusiva, di caratteristiche che ne impediscono il corretto inserimento nella zona tutelata (Tar Toscana, III, 27/11/2006, n. 6052; Tar Campania, Napoli, VI, 04/08/2008, n. 9718).
BENI CULTURALI E AMBIENTALI - Vincolo paesaggistico - Autorizzazione - Diniego - Obbligo di indicare le prescrizioni idonee a rendere l’intervento compatibile con il paesaggio - Insussistenza.
Il legislatore non impone all’Ente pubblico l’obbligo di indicare le prescrizioni tese a rendere l’intervento compatibile con il paesaggio tutelato (Tar Toscana, III, 27/11/2006, n. 6052; Tar Campania, Napoli, IV, 13/06/2007, n. 6142).
Non sussiste cioè a carico del Comune l’obbligo di proporre misure idonee ad assicurare un corretto inserimento dell’abuso edilizio nel contesto paesaggistico di riferimento, dovendo l’autorità adita limitarsi a valutare l’opera così come è, ed essendo semmai compito del privato interessato proporre con l’istanza di condono misure funzionali a ridimensionare l’impatto visivo dell’opera stessa (TAR Toscana, Sez. III, sentenza 25.03.2011 n. 535 - link a www.ambientediritto.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Procedimento amministrativo - Conferenza di servizi - Scopi di semplificazione e accelerazione - Manifestazione in forma tacita o non contestuale della volontà di ciascun ente - Legittimità.
La conferenza di servizi non ha natura di organo collegiale che funziona secondo il metodo deliberativo della discussione e deliberazione, ma è essenzialmente un luogo per l’acquisizione dell’assenso delle Amministrazioni o degli organi coinvolti nell’istruttoria interessati ad un procedimento (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 11.04.2007 n. 1644).
Essa dunque opera con scopi di semplificazione ed accelerazione dell’azione amministrativa, mirando all’acquisizione in un contesto unitario di tutte le valutazioni e pareri necessari per l’adozione di un determinato provvedimento (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 18.04.2005 n. 1768).
Conseguentemente, la volontà di ciascun ente ben può essere manifestata anche in forma tacita ovvero non contestuale: da ciò deriva la piena legittimità dell’espressione della volontà di un’Amministrazione attraverso la trasmissione del proprio avviso positivo (o atto di assenso) determinatosi al di fuori della conferenza di servizi (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 11.02.2004 n. 458; Id., sez. IV, 30.01.2004 n. 316) (TAR Puglia-Bari, Sez. I, sentenza 24.03.2011 n. 478 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: BENI CULTURALI E AMBIENTALI - Vincolo paesaggistico - Potere di annullamento della Soprintendenza - Limiti - Fattispecie.
La Soprintendenza è titolare di un potere di annullamento strettamente correlato alla verifica del rispetto delle prescrizioni di tutela del paesaggio, ma non può dilatarne l’esercizio al punto da ingerirsi in aspetti procedurali che esulano dalle sue competenze (nella fattispecie, il Giudice ha ritenuto spettante alla Regione Puglia e non alla Soprintendenza la conduzione del procedimento preordinato al rilascio dell’autorizzazione unica, ai sensi dell’art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003, per la costruzione ed esercizio di impianti eolici) (TAR Puglia-Bari, Sez. I, sentenza 24.03.2011 n. 478 - link a www.ambientediritto.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: RIFIUTI - Attività di raccolta, trasporto e conferimento - Smaltimento finale - Operazioni autonome - Affidamento del servizio - Fase dello smaltimento - Soggetto diverso rispetto a chi svolge le fasi antecedenti - Ricorrenza del subappalto o dell’avvalimento - Esclusione.
La vigente normativa sui rifiuti non postula un legame necessario ed inscindibile fra attività di raccolta, trasporto e conferimento di rifiuti e loro smaltimento finale, ben potendo le distinte fasi del complessivo servizio essere svolte da imprese diverse. Ciò perché, in primo luogo si tratta di operazioni del tutto autonome fra loro, ed in secondo luogo perché non è pensabile (a causa della carenza di un sufficiente numero di aree idonee) imporre a ciascuna impresa operante nel settore di possedere una propria autonoma discarica o un proprio impianto di smaltimento finale.
Pertanto, il servizio di raccolta, trasporto e conferimento dei rifiuti presuppone quasi di necessità che l’operazione finale (lo smaltimento) sia appannaggio di un soggetto diverso rispetto a quello che svolge le fasi antecedenti. Ne consegue che in relazione ad affidamenti di siffatti servizi non è a parlarsi, per la fase dello smaltimento , di subappalto (che peraltro è un istituto di generale applicazione, ai sensi della normativa comunitaria) e, a rigore, neppure di avvalimento in senso stretto, visto che anche l’avvalimento presuppone che i mezzi dell’impresa terza vengono utilizzati per svolgere una fase dell’appalto, poiché il risultato che l’Amministrazione persegue è semplicemente quello di essere certa che lo smaltimento finale dei rifiuti avvenga secundum legem (in questo senso, si veda TAR Puglia, Lecce, sez. II, 24.11.2006 n. 5467; TAR Toscana, sez. II, 23.01.2009 n. 87) (TAR Puglia-Bari, Sez. I, sentenza 24.03.2011 n. 474 - link a www.ambientediritto.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: DIRITTO DELLE ACQUE - Acque di falda derivanti da attività di cantiere non contaminate - Assimilazione ai rifiuti - Esclusione - Mancanza della prescritta autorizzazione - Effetti - Fattispecie - Art. 124 D. L.vo n. 152/2006.
Le acque provenienti dalla falda derivanti da attività di cantiere non possono essere assimilate ai rifiuti, ma escluse -sempre che non contengano contaminazioni- da qualsivoglia regime sanzionatorio e la mancanza dell'autorizzazione comunque prescritta a norma dell'art. 124 del D.L.vo n. 152/2006 non implica affatto l'assoggettamento a sanzione penale.
Fattispecie: acque di falda derivanti da attività di escavazione provenienti da un cantiere edile e convogliate per mezzo di apposita condotta in mare.
DIRITTO DELLE ACQUE - Scarico di acque reflue industriali - Sanzione penale - Ratio - Acqua di falda proveniente dall'attività di escavazione - Artt. 137 e 74, c. 1, lett. g), D.L.vo n. 152/2006 - Concetto di acque reflue industriali.
La ragione dell'assoggettamento a sanzione penale dello scarico di acque reflue industriali è legata al fatto che i reflui derivanti da dette attività non attengono prevalentemente al metabolismo umano ed alle attività domestiche come definite dal menzionato art. 74, comma 1, lett. g), (Cass. Sez. 3^ 5.2.2009 n. 12865).
Tuttavia, l'acqua di falda proveniente dall'attività di escavazione non può essere assimilata tout court all'acqua reflua industriale, pur dovendosi richiedere -anche per tale genere di acqua se scaricata in superficie- una autorizzazione la cui mancanza, però, non genera conseguenze di tipo penale previste invece in tutti i casi nei quali lo scarico dell'acqua in superficie provenga da attività produttive genericamente intese.
Infine, laddove, le acque di falda provenenti da lavori di escavazione siano intorbidate da residui dei lavori di scavo e di cantiere, esse vanno annoverate nella nozione di acque derivanti dallo svolgimento di attività produttive non assimilabili, quindi, alle acque reflue domestiche, sottratte al regime sanzionatorio previsto dall'art. 137 del D.L.vo n. 152/2006 (Cass. Sez. 3^ 21.06.2006 n. 29126) (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 22.03.2011 n. 11494 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTI: Cessione d’azienda antecedente alla partecipazione alla gara - Requisiti soggettivi della cedente - Art. 51 codice appalti - Dichiarazione - Obbligo - Esclusione - Fondamento.
Manca nel Codice appalti una norma, con effetto preclusivo, che preveda in caso di cessione d’azienda antecedente alla partecipazione alla gara un obbligo specifico di dichiarazioni in ordine ai requisiti soggettivi della cedente riferita sia agli amministratori e direttori tecnici in quanto l’art. 51 del Codice si occupa della sola ipotesi di cessione del ramo di azienda successiva alla aggiudicazione della gara; ne discende che in assenza di tale norma e siccome la cessione di azienda comporta non una successione a titolo universale del cessionario al cedente bensì invece una successione nelle posizioni attive e passive relative all’azienda tra soggetti che conservano distinta personalità giuridica, non può essere esclusa l’impresa cessionaria del ramo d’azienda che non abbia presentato le relative dichiarazioni in ordine alla posizione della cedente. (Consiglio di Stato, Sez. V, 21.05.2010 n. 3213).
Clausole di esclusione - Estensione analogica - Divieto.
Essendo le clausole di esclusione di stretta interpretazione, resta conseguentemente preclusa ogni forma di estensione analogica diretta a evidenziare significati impliciti che rischierebbe di vulnerare l'affidamento dei partecipanti, il principio della par condicio dei concorrenti e l'esigenza della più ampia partecipazione (cfr. Cons. St., V sez., 15.11.2010 n. 8044).
Riforma del diritto societario - Fusione per incorporazione - Art. 2505-bis c.c. - Estinzione della società incorporata - Esclusione.
A seguito della riforma del diritto societario (DLgs 17.01.2003 n. 6), la fusione per incorporazione, ai sensi del nuovo art. 2505-bis c.c., non comporta l’estinzione della società incorporata, né crea un nuovo soggetto di diritto nell’ipotesi di fusione paritaria, ma attua l’unificazione mediante l’integrazione reciproca delle società partecipanti alla fusione, risolvendosi in una vicenda meramente evolutivo- modificativa dello stesso soggetto giuridico, che conserva la propria identità pur in un nuovo assetto organizzativo (confronta Cassazione SS.UU. 08.02.2006 n. 2637; Cass. Civ. III, 28.02.2007 n. 4661; I, 19.10.2006 n. 22489) (TAR Veneto, Sez. I, sentenza 21.03.2011 n. 456 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: Fascia di rispetto autostradale - Vincolo di inedificabilità assoluto - D.M. 01.04.1968 n. 1404.
Nell’ambito della fascia di rispetto autostradale di 60 metri, prevista dal D.M. 01.04.1968 n. 1404, il vincolo di inedificabilità è assoluto (conforme Cons. Stato, Sez. V, 25.09.2002 n. 4927), essendo a tal fine irrilevanti le caratteristiche concrete delle opere abusive realizzate nell’ambito della fascia medesima; il divieto di costruire è infatti in questo caso correlato alla esigenza di assicurare un’area libera utilizzabile dal concessionario dell’autostrada -all’occorrenza- per installarvi cantieri, depositare materiali e, comunque, per ogni necessità di gestione relativa ad interventi in loco sulla rete autostradale. (Tar Toscana, sez. II, sentenza 25.06.2007, n. 934; Tar Liguria, I, 05.07.2010, n. 5565; Cass. civ., II, 03.11.2010, n. 22422) (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 21.03.2011 n. 450 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTI: Comunicazioni ex art. 79 d.lgs. n. 163/2006, c. 5 - Forma.
Ai sensi dell’art. 79 del D.L.vo 163 del 2006, comma 5-bis (introdotto per effetto dell’art. 2 dello stesso D.L.vo 53 del 2010), le comunicazioni di cui al comma 5 -aggiudicazione definitiva, esclusione dalla gara, decisione di non aggiudicare un appalto o di non concludere un accordo-quadro, data dell’avvenuta stipulazione del contratto con l’aggiudicatario- sono fatte per iscritto, con lettera raccomandata con avviso di ricevimento o mediante notificazione o mediante posta elettronica certificata ovvero mediante fax, se l’utilizzo di quest'ultimo mezzo è espressamente autorizzato dal concorrente (TAR Veneto, Sez. I, sentenza  11.03.2011 n. 403 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: Condono edilizio e oblazione, il dies a quo della prescrizione. Necessario il completamento della pratica.
Il termine per la prescrizione dell'oblazione dovuta in relazione all'istanza di condono edilizio non può che iniziare dal momento del completamento della documentazione necessaria.
Relativamente alle opere eseguite su immobili sottoposti a vincolo -per le quali è condizione essenziale il parere favorevole delle amministrazioni preposte alla tutela del vincolo stesso- l'art. 35, comma 19, L. n. 47 del 1985 dispone espressamente che il termine di cui al comma 12 del medesimo articolo decorre dall'emissione del parere previsto dal comma dell'art. 32 della medesima legge.
La specifica disposizione si ricollega al principio generale desumibile dall'art. 2935 c.c. secondo cui la prescrizione non può decorrere se non dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere (a sua volta espressione dell'antico brocardo per cui contra non valentem agere non currit praescriptio).
La decorrenza del termine di prescrizione presuppone -tanto in favore della PA per l'eventuale conguaglio, quanto in favore del privato per l'eventuale rimborso- che la pratica di sanatoria edilizia sia definita in tutti i suoi aspetti e, per l'effetto, possano essere precisamente determinabili, alla stregua dei parametri stabiliti dalla legge, l'an ed il quantum dell'obbligazione gravante sul privato.
Il dies a quo per la definizione del conguaglio dell'oblazione dovuta in caso di condono edilizio, dunque, non può che decorrere dal momento in cui sono esattamente noti tutti gli elementi utili alla determinazione della sua entità.
Tale momento non può mai coincidere con la presentazione della domanda, la quale, nel caso in esame, è sfornita della documentazione richiesta ai fini della corretta e definitiva determinazione dell'entità dell'intervento assentito e della relativa sanzione (commento tratto da www.ipsoa.it - Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 16.02.2011 n. 1012 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AGGIORNAMENTO AL 04.04.2011

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UTILITA'

SICUREZZA LAVORO: Testo Unico sulla Sicurezza: ecco la versione aggiornata a marzo 2011.
É stato pubblicato sul sito del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, nella sezione sicurezza sul lavoro, il testo del Decreto Legislativo 81/2008 coordinato e aggiornato a marzo 2011.
In particolare, vengono aggiornati:
- art. 3 - comma 3 (inserite le proroghe dei termini previste dall’art. 2 comma 51 della Legge 26.02.2011 n. 10);
- art. 3 - comma 3-bis (inserite le proroghe dei termini previste dall’art. 1 della Legge 26.02.2011 n. 10);
- ALLEGATO 36 - (lettera B, tabella 2: ripristinati i caratteri apice e pedice delle note) (link a www.acca.it).

EDILIZIA PRIVATA: Rinnovabili: in vigore il D.Lgs. 03.03.2011, n. 28.
Il 29.03.2011 è entrato in vigore il Decreto Legislativo 03.03.2011, n. 28 - “Attuazione della direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE”.
Il provvedimento, in attuazione della direttiva 2009/28/CE e nel rispetto dei criteri stabiliti dalla legge 04.03.2010 n. 96, definisce strumenti, meccanismi, incentivi e quadro istituzionale, finanziario e giuridico, necessari per il raggiungimento degli obiettivi fino al 2020 in materia di energia da fonti rinnovabili.
Per l'analisi dei contenuti del Decreto rinviamo alla news del 10.03.2011.
Ricordiamo, brevemente, gli argomenti principali regolamentati dal Decreto Rinnovabili: ... (link a www.acca.it).

APPALTI: DURC per subappalto”, possibilità di delegare la Cassa Edile per la richiesta mensile.
Le imprese subappaltatrici possono delegare la cassa edile a richiedere il DURC (Documento unico di regolarità contributiva) mensilmente, per un determinato periodo di tempo, per lavori privati e ad inviarlo all'impresa appaltatrice attraverso la P.E.C. (Posta Elettronica Certificata).
La Commissione Nazionale paritetica per le Casse Edili (CNCE) spiega, attraverso una comunicazione pubblicata sul proprio sito, di aver ricevuto numerose segnalazioni da parte di Casse Edili in merito a richieste, avanzate da imprese che affidano lavori in subappalto, in particolare nell'edilizia privata, di poter accedere direttamente ai DURC relativi alle proprie imprese subappaltatrici
Tali richieste, non accettabili per evidenti violazioni di privacy, vengono motivate con la necessità -anche in relazione alla responsabilità solidale dell'impresa appaltatrice- di controllare mensilmente la regolarità dell'impresa subappaltatrice ed evitare possibili contraffazioni del documento. Tali obiettivi oggi non sono perseguibili attraverso un DURC con validità trimestrale e rilasciato esclusivamente all'impresa richiedente. Inoltre, la prassi che si va diffondendo, cioè quella di richiedere un DURC ogni mese anche in caso di lavori privati, richiede alle stesse imprese subappaltatrici un ulteriore impiego di tempo e di risorse.
Per rispondere a queste problematiche, il Consiglio di Amministrazione della CNCE ha deciso di offrire la possibilità alle imprese subappaltatrici, attraverso uno specifico modulo, di delegare la Cassa Edile, per un determinato periodo, a richiedere mensilmente il DURC per lavori privati e ad inviarne copia, per conoscenza, all'indirizzo di posta elettronica certificata dell'impresa appaltatrice.
In allegato a questo articolo un fac-simile della richiesta da inoltrare alla Cassa Edile (link a www.acca.it).

SICUREZZA LAVORO: Formazione, informazione e addestramento: adempimenti del datore di lavoro. Dal CPT di Bergamo un “numero speciale”.
Il CPT di Bergamo ha pubblicato uno speciale dedicato alla formazione in materia di sicurezza sul lavoro.
Scopo della pubblicazione è “fare chiarezza” su un tema fondamentale come quello della formazione nell’ambito della prevenzione aiutando imprese, lavoratori e tecnici a destreggiarsi più agevolmente tra i diversi adempimenti previsti dalla norma.
Formazione, programmazione, informazione, validazione, addestramento, collaborazione…” Molto spesso si sentono questi termini ma non sempre è chiara la differenza tra i diversi obblighi.
La pubblicazione inizia proprio con le differenze tra informazione, formazione e addestramento. ... (link a www.acca.it).

SICUREZZA LAVORO: Indicazioni operative per la FORMAZIONE dei lavoratori impiegati nei cantieri di grandi opere.
Il Tavolo Provinciale per la sicurezza nei cantieri della Variante di Valico, in collaborazione con la Provincia di Bologna, della Regione Emilia Romagna e dell’Azienda USL di Bologna, ha pubblicato un manuale operativo sulla formazione dei lavoratori impegnati nella variante autostradale di valico e nelle grandi opere.
Scopo del manuale è quello di fornire indicazioni operative per formare in maniera adeguata ed efficiente tutti i lavoratori coinvolti nei cantieri, al fine di raggiungere elevati livelli di sicurezza e prevenzione.
L'organizzazione dei grandi cantieri vede la presenza e l’interazione continua di varie figure, sia per le tante tipologie di lavorazioni, sia per le diverse imprese coinvolte. L’analisi svolta in un sistema complesso diviene dunque un punto di riferimento per l’organizzazione della formazione in qualsiasi tipologia di cantiere.
Bisogna quindi porre molta attenzione anche verso aspetti estremamente pratici, come per esempio la valutazione delle conoscenze linguistiche dei lavoratori, in particolare di quelli stranieri, o il tutoraggio dei nuovi assunti.
Il testo sottolinea la necessità di puntare su una formazione specifica anche per i dirigenti, in maniera da mettere a loro disposizione competenze ulteriori per una gestione più efficace del loro ruolo sui temi della sicurezza.
Il lavoro risulta così strutturato: ... (link a www.acca.it).

EDILIZIA PRIVATA: Procedimento automatico, SCIA e prevenzione incendi. In vigore le nuove procedure dal 29.03.2011.
Il D.P.R. del 07.09.2010, n. 160 definisce il “Nuovo Regolamento per la semplificazione ed il riordino della disciplina sullo Sportello Unico per le Attività Produttive (SUAP)” e sostituisce il DPR n. 447 del 1998 entrando in vigore in momenti diversi:
- il 29.03.2011 per i capi l, II, III, V e VI;
- il 30.09.2011 per il capo IV.
Il nuovo Regolamento stabilisce che i Comuni devono esercitare le funzioni amministrative in materia di insediamenti produttivi, affidando l’intero procedimento ad un’unica struttura, il SUAP, alla quale gli interessati si rivolgono per l'autorizzazione finalizzata alla realizzazione, ristrutturazione e ampliamento di impianti produttivi di beni e servizi.
I Comandi dei VV.F., come tutte le amministrazioni pubbliche diverse dal Comune che sono interessate dal procedimento, non possono trasmettere al richiedente nessun tipo di atto o comunicazione e sono tenute a trasmettere tutto al SUAP dandone comunicazione al richiedente.
Il regolamento è stato strutturato sulla distinzione tra due procedimenti:
1- Procedimento Automatizzato: fondato sulla SCIA, che entra in vigore il 29.03.2011;
2- Procedimento Ordinario: riguardante gli atti e i procedimenti ai quali non è applicabile la SCIA, che entra in vigore il 30.09.2011.
Il Dipartimento dei Vigili del Fuoco ha ritenuto opportuno emanare la Circolare n. 3791 del 24.03.2011 contenente le modalità applicative per il Procedimento Automatizzato.
Dal 29.03.2011 gli interventi relativi a realizzazione e modifica di impianti produttivi di beni e servizi e ad attività di impresa soggetti a SCIA devono essere presentati al SUAP, esclusivamente per via telematica e con gli standard previsti dal DPR 160/2010.
La Circolare individua le attività soggette al controllo dei Vigili del Fuoco di cui al D.M. 16/02/1982, per le quali è consentito il Procedimento Automatizzato (la SCIA). Per gli interventi di prevenzione incendi non soggetti a SCIA, che presuppongono un giudizio tecnico-discrezionale dell’organo di controllo (ad esempio attività non normate, attività particolarmente complesse, procedure secondo l’approccio ingegneristico, deroghe), continuano ad utilizzarsi in via transitoria le disposizioni del D.P.R. 447/1998 e s.m.i., sino all’entrata in vigore del Procedimento Ordinario di cui al Capo IV del regolamento SUAP, ossia il 30.09.2011.
Relativamente al Procedimento Automatizzato, il SUAP, al momento della presentazione della SCIA, dovrà verificare con modalità informatica la completezza formale della segnalazione e dei relativi allegati e, in caso di verifica positiva, rilasciare automaticamente la ricevuta che autorizza l’impresa ad iniziare l’attività. Inoltre il SUAP trasmetterà, sempre per via telematica, la segnalazione e i relativi allegati alle Amministrazioni e agli uffici competenti, quindi anche ai Comandi Provinciali.
Gli standard relativi ai formati dei file, allegati alle domande di prevenzione incendi prodotte digitalmente, sono pubblicati nel sito internet istituzionale dei Vigili del Fuoco, nella sezione prevenzione incendi on-line; le estensioni ammesse dei file da allegare sono:
- JPG;
- PDF;
- DWF.
Le domande di prevenzione incendi redatte in forma digitale devono pervenire ai Comandi attraverso il portale “impresainungiorno.gov.it”, oppure attraverso la PEC del SUAP (link a www.acca.it).

NOTE, CIRCOLARI E COMUNICATI

EDILIZIA PRIVATADa oggi nuove regole su certificazione energetica per compravendite e locazioni (Confedilizia, nota 29.03.2011 n. 15078 di prot.).

APPALTI: OGGETTO: DURC Aggiornamento del servizio “sportellounicoprevidenziale.it”. Regolamento attuativo del Codice dei Contratti Pubblici (circolare 28.03.2011 n. 59 - link a www.inps.it).

EDILIZIA PRIVATA: OGGETTO: Prevenzione on-line. Domande di Prevenzione Incendi in forma digitale (SUAP). Acquisizione di documenti allegati alle domande di prevenzione (Ministero dell'Interno, Dipartimento dei Vigili del Fuoco del Soccorso Pubblico e della Difesa civile, nota 21.03.2011 n. 7227 di prot.).

SINDACATI

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Il finanziamento delle risorse previste da specifiche disposizioni di legge (CGIL-FP di Bergamo, nota 29.03.2011).

DOTTRINA E CONTRIBUTI

ATTI AMMINISTRATIVI: M. A. Sandulli, Il risarcimento del danno nei confronti delle pubbliche Amministrazioni: tra soluzione di vecchi problemi e nascita di nuove questioni (brevi note a margine di Cons. Stato, ad plen. 23.03.2011 n. 3, in tema di autonomia dell’azione risarcitoria e di Cass. SS. UU., 23.03.2011 nn. 6594, 6595 e 6596, sulla giurisdizione ordinaria sulle azioni per il risarcimento del danno conseguente all’annullamento di atti favorevoli) (link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: P. Carpentieri, Sorte del contratto (nel nuovo rito sugli appalti) (link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: L. Bellagamba, La circolare INAIL n. 22 del 24.03.2011 sul DURC: aspetti particolari (link a www.linobellagamba.it).

APPALTI: A. Barbiero, Tracciabilità dei flussi finanziari relativi agli appalti ed ai finanziamenti pubblici (tratto da www.albertobarbiero.net).

APPALTI: A. Barbiero, Condizioni e presupposti per la qualificazione delle società partecipate di terzo livello come organismi di diritto pubblico (tratto da www.albertobarbiero.net).

APPALTI: A. Barbiero, Le problematiche inerenti l’assoggettamento delle Società partecipate al patto di stabilità in rapporto al reclutamento di risorse umane (tratto da www.albertobarbiero.net).

EDILIZIA PRIVATA: M. Bottone, Il nuovo territorio mediterraneo - La Regione Campania è un'isola (marzo 2011).

ENTI LOCALI: C. D'Andrea, Il divieto di sponsorizzazioni di cui all’art. 6, comma 9, della L. 122/2010 negli Enti locali (link a www.amministrazioneincammino.luiss.it).

CORTE DEI CONTI

CONSIGLIERI COMUNALIConsiglieri responsabili solo oltre il tetto ai gettoni. Tutto regolare se i compensi percepiti restano sotto il massimo. Corte dei conti. Prosciolti alcuni amministratori del IV municipio di Roma.
I consiglieri possono essere condannati dalla magistratura contabile solo nel caso in cui le irregolarità commesse nella percezione dei gettoni di presenza per le riunioni delle commissioni abbiano determinato il superamento del tetto massimo mensile dei compensi che essi possono percepire. Se invece i gettoni per il numero delle riunioni svolte superavano tale tetto, le irregolarità si considerano sostanzialmente sanate dal fatto che i compensi sono stati erogati entro il tetto massimo previsto dalla disposizione legislativa.
Sono queste le principali indicazioni che sono contenute nella sentenza 31.01.2011 n. 108 della III Sez. giurisdizionale centrale della Corte dei conti, con cui è stato confermato il proscioglimento di numerosi consiglieri del quarto municipio del comune di Roma per avere percepito nel 2003 gettoni di presenza per le riunioni di commissioni del consiglio municipale con modalità di svolgimento anomale.
Nel caso concreto le indagine svolte dalla Guardia di finanza hanno evidenziato che nello svolgimento delle riunioni si verificavano numerose anomalie e violazioni di disposizioni di legge. Ad esempio, la maggior parte dei verbali non sono stati ... (articolo Il Sole 24 Ore del 28.02.2011 - tratto da www.corteconti.it).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGOPersonale. Trattamenti accessori. Anche i proventi delle multe nel blocco salariale.
Rientrano nel blocco del salario accessorio del Dl 78/2010 le attività finanziate con i proventi del codice della strada.
La Corte dei conti del Piemonte con il parere 28.01.2011 n. 5 precisa che tale analisi risulta coerente con la manovra estiva.
L'articolo 9, comma 2-bis, ha infatti introdotto l'obbligo di contenere il trattamento accessorio complessivo dei dipendenti nel limite di quello del 2010 nel triennio 2011-2013. Gli operatori degli enti locali si sono domandati a quali voci di stipendio si dovesse fare riferimento.
Ed è proprio in tale ambito che si collocala questione presentata ai giudici piemontesi. Se infatti anche i proventi del Codice della strada utilizzati per il potenziamento dei servizi scontassero il blocco salariale, rischierebbe di essere vana la modifica all'articolo 208 del Codice della strada con la legge 120/2010. Non vi è dubbio che tali somme debbano transitare dal fondo delle risorse decentrate.
La Corte dei conti della Lombardia, prima ad affrontare la questione, ha ritenuto che si debba fare riferimento alle possibilità di incremento fornite dall'articolo 15, comma 5, del Ccnl dell'01.04.1999.
Tale analisi è stata confermata dalla Corte dei conti del Veneto (delibera 25/2011) che ha precisato che detti compensi non possono essere esclusi dalle «spese di personale» e sono subordinati alla individuazione delle forme organizzative più idonee per raggiungere le finalità di legge, senza incentivazioni generalizzate e nel rispetto dei limiti di fonte legale e contrattuale ai trattamenti accessori.
L'interpretazione toglie speranza a chi pensava che la modifica al Codice della strada fosse finalizzata a far rientrare le attività di potenziamento dei servizi di polizia locale tra le «specifiche disposizioni di legge» di cui alla lettera k) dell'articolo 15 del Ccnl. In tale ambito sono collocati gli incentivi per le progettazioni interne e i compensi per le attività di maggiore accertamento degli introiti Ici. Poiché la sezione autonomie della Corte ha escluso tali voci dalle spese di personale, l'analogia con i proventi delle multe sarebbe stata immediata e gli enti avrebbero avuto il via libera.
Ma non è così. Anzi, alla luce della delibera 5/2001, non si porrà neppure sforare il tetto del salario accessorio. Non è neppure così pacifico ... (articolo Il Sole 24 Ore del 28.02.2011 - tratto da www.corteconti.it).

APPALTILavori pubblici, la giunta non salva il dirigente. Aggiudicazioni. Gli atti dell'esecutivo non sono un'esimente in caso di lesione della concorrenza.
Matura responsabilità contabile a carico del responsabile dei lavori pubblici che non rispetta nelle procedure di aggiudicazione il principio della tutela della concorrenza. In tal caso egli arreca un duplice danno: priva l'ente dei risparmi che possono derivare dal rispetto di tale principio e arreca un nocumento ai privati. E non costituisce esimente dal maturare della responsabilità né ragione di riduzione il fatto che abbia seguito direttive impartite dalla giunta.
Questi i principi affermati dalla sentenza 20.01.2011 n. 23 della sezione giurisdizionale dell'Abruzzo della Corte dei conti.
La sentenza evidenzia subito che «i valori dell'economicità, dell'efficacia e dell'efficienza dell'attività amministrativa rappresentano ormai i profili di maggior rilievo della legalità sostanziale del sistema giuscontabile e, in relazione ad essi, non è più consentito omettere un minimo di confronto concorrenziale per qualsiasi procedura contrattuale ad oggetto pubblico».
E ancora, «simile confronto è ancor più necessario oggi che i basilari principi in materia di concorrenza e libera prestazione dei servizi, di cui agli articoli 81 e seguenti e 49 e seguenti del Trattato Ce, si impongono al rispetto degli Stati membri, indipendentemente dall'ammontare delle commesse pubbliche».
Circa il danno provocato all'ente ... (articolo Il Sole 24 Ore 28.02.2011 - tratto da www.corteconti.it).

NEWS

CONSIGLIERI COMUNALIL'amministratore locale tutto sa. La privacy di imprese e cittadini non ostacola la raccolta dati.
Porte aperte, anzi spalancate, al consigliere comunale, provinciale e regionale. Il politico può sapere tutto, senza privacy che tenga, su cittadini e imprese. Purché autodichiari che le notizie siano utili al mandato. E può sapere tutto sia dei cittadini sia delle imprese, ottenendo informazioni anche dalle società partecipate o dagli enti collegati o dipendenti dell'ente di cui fanno parte. Lo spazio d'azione per il politico è tendenzialmente senza limiti e la riservatezza non costituisce ostacolo.
Anche il garante della privacy lo ha dovuto riconoscere, nella recente pronuncia sul caso Affittopoli a Milano, e con esso da tempo lo ha appurato anche il Consiglio di stato. Tanto che cittadini e imprese, pressati da un lato dalla magistratura (con le intercettazioni) e dall'altro dalla politica (che pub arrivare a sapere tutto), non hanno effettivi scudi.
I consiglieri degli enti locali hanno dalla loro parte l'articolo 43 del Testo unico degli enti locali (dlgs 267/2000) che concede loro di ottenere qualsiasi documento o informazione in possesso dell'ente locale cui appartengono, purché sia funzionale al mandato istituzionale. Il consigliere può ottenere, dunque, qualsiasi informazione senza obbligo di motivare specificamente e senza che gli uffici dell'amministrazione interessata possano sollevare obiezioni.
La giurisprudenza amministrativa è molto di manica larga. Facendo alcuni esempi tratti dalla prassi quotidiana, il consigliere pub sapere se il cittadino ha pagato l'Ici o la raccolta rifiuti o se ha avuto un incidente stradale o se ha un banco ambulante al mercato rionale o se ha subito una multa per eccesso di velocità, e così via. ... (articolo ItaliaOggi del 28.02.2011 - tratto da www.corteconti.it).

GIURISPRUDENZA

ATTI AMMINISTRATIVI: Non sussiste la giurisdizione del g.a. se l'amministrazione è rimasta inerte rispetto a pretese aventi natura di diritto soggettivo.
Gli strumenti di tutela del privato nei confronti dell’inerzia dell’amministrazione presuppongono che il procedimento non concluso e il provvedimento o l’atto di cui si chiede l’emanazione ricadano nella cognizione del giudice amministrativo (cfr., per applicazioni del principio predetto, fra molte: TAR Sicilia-Catania, II, 07.12.2010, n. 4621; Idem, 07.12.2010, n. 4696; TAR Lazio-Roma, I, 01.12.2010, n. 34860; con riferimento ad una prestazione patrimoniale v. TAR Calabria-Catanzaro, II, 05.11.2010, n. 2661) Contra: Sentenza del Tar Catania 3981/2010 (massima tratta da www.dirittodegliappaltipubblici.it -  TAR Sicilia-Catania, Sez. IV, sentenza 30.03.2011 n. 794 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Non può essere esclusa dalla gara l'impresa che ometta di indicare specificatamente le cause di esclusione di cui all'art. 75, ove il prestampato predisposto dall'amministrazione abbia indotto in errore il concorrente.
La lex specialis complessivamente considerata (da un lato contenente una clausola di esclusione, dall’altro integrata con fac-simile atto a ingenerare nel concorrente la convinzione di redigere una dichiarazione completa e conforme a legge) va ritenuta ambigua, e pertanto sarebbe illegittima l’automatica esclusione del candidato che, facendo affidamento sulle formulazioni del prestampato, a causa di ciò abbia omesso una dichiarazione; l’amministrazione può sempre, in tali casi, richiedere di integrare le parti mancanti della dichiarazione che, proprio a causa della formulazione della lex specialis e del fac-simile, sono state omesse.
Traslando principi affermati in genere con riferimento alle norme penali (cfr., oltre alle notissime sentenze della Corte costituzionale 24.03.1988, n. 364 e 22.04.1992, n. 185: Cassazione penale, IV, 15.07.2010, n. 32069; Idem, VI, 20.05.2010, n. 24600), può affermarsi che, se di regola l’ignoranza della legge (quindi della esatta portata, nel caso di specie, dell’art. 75 , comma 1, DPR n. 554/1999) non è scusabile, deve tuttavia ritenersi che, laddove la stessa amministrazione concorra a ingenerare false convinzioni nel cittadino (nel caso di specie, la convinzione di redigere una dichiarazione corretta) le conseguenze pregiudizievoli (nel caso in esame, l’esclusione dalla gara), non possono ricadere sul cittadino stesso (massima tratta da www.dirittodegliappaltipubblici.it - TAR Sicilia-Catania, Sez. IV, sentenza 30.03.2011 n. 792 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Sull'illegittimità dell'aggiudicazione di una gara d'appalto ad un ATI concorrente che non abbia indicato le quote di partecipazione delle singole imprese costituenti il raggruppamento.
E' illegittimo il provvedimento di aggiudicazione di una gara adottato da un'amministrazione appaltante nei confronti di una costituenda ATI, che abbia omesso di indicare le quote di partecipazione ai lavori delle singole imprese componenti il raggruppamento.
L'obbligo di indicare le quote di partecipazione delle singole imprese facenti parte di raggruppamenti temporanei concorrenti, contenuto nel bando di gara, risponde ad un ineludibile obbligo di legge, comportando peraltro l'impegno a non modificare la composizione della costituenda ATI, in conformità ai requisiti indicati ed eventualmente comprovati in sede di gara, e ad eseguire i lavori nella percentuale corrispondente alla quota dichiarata, ai sensi dell'art. 93, c. 4, del D.P.R. n. 554/1999.
L'obbligo di indicare la percentuale dei lavori da eseguire discende direttamente dall'art. 37, c. 13, del d.lgs. n. 163/2006, dovendo, per un verso, sussistere perfetta corrispondenza tra quota dei lavori e quota di effettiva partecipazione al raggruppamento ed essendo pertanto necessario che la quota di partecipazione debba essere manifestata dai componenti del raggruppamento all'atto della partecipazione, essendo detta indicazione un requisito indispensabile ai fini dell'ammissione alla procedura d'appalto (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 29.03.2011 n. 1911 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATAE' illegittima un'ordinanza sindacale con la quale viene ordinato l’innalzamento dei camini per una serie di motivazioni:
- poiché emanata a seguito di una istruttoria superficiale;
- poiché si fa riferimento ad una generica necessità di prevenire il verificarsi di situazioni di pericolo, senza tuttavia alcuna prova sulla sussistenza di quella eccezionale ed urgente necessità di tutela della salute pubblica o dell'ambiente, cui deve farsi fronte con il potere di ordinanza extra ordinem, non essendo sufficiente che sussista l'urgenza di provvedere, ma essendo richiesto che si tratti di una situazione eccezionale, che non può sussistere tra l’altro, laddove le circostanze da cui deriva la situazione dannosa abbia carattere permanente, giacché la nozione stessa di eccezionalità richiama l'idea di imprevedibilità di una situazione.

Il ricorso è fondato nella parte in cui viene ordinato l’innalzamento dei camini.
Il provvedimento riporta imprecisi riferimenti normativi, ma stante il contenuto, ben può essere qualificato come ordinanza extra ordinem, ed è finalizzato alla tutela della salute, sebbene imponga la realizzazione di opere edilizie relative ai camini.
L’ordinanza è illegittima in quanto emanata a seguito di una istruttoria superficiale: l’ordine è stato disposto infatti a seguito di un sopralluogo effettuato in data 13.04.2010, in cui il personale tecnico si è limitato “a quanto accertabile visivamente”.
Inoltre si fa riferimento ad una generica necessità di prevenire il verificarsi di situazioni di pericolo, senza tuttavia alcuna prova sulla sussistenza di quella eccezionale ed urgente necessità di tutela della salute pubblica o dell'ambiente, cui deve farsi fronte con il potere di ordinanza extra ordinem, non essendo sufficiente che sussista l'urgenza di provvedere, ma essendo richiesto che si tratti di una situazione eccezionale, che non può sussistere tra l’altro, laddove le circostanze da cui deriva la situazione dannosa abbia carattere permanente, giacché la nozione stessa di eccezionalità richiama l'idea di imprevedibilità di una situazione.
Per tale ragione il provvedimento impugnato è illegittimo nella parte in cui ordina l’innalzamento dei camini (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 29.03.2011 n. 842 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZI: Possono essere pari a zero gli utili di impresa quando l'ente non persegue scopi di lucro.
Quanto l'ente è no profit può produrre un'offerta il cui utile di impresa sia pari a zero.
La cooperativa ricorrente ha presentato la propria offerta, nella quale era inserito un progetto migliorativo del servizio posto a gara. Tale offerta, esaminate le giustificazioni addotte, è stata ritenuta ammissibile dalla stazione appaltante che ha valutato l’incidenza delle economie sul costo del lavoro scaturenti -per la società cooperativa aggiudicataria- dalla applicazione delle favorevoli previsioni di cui alla L. n. 407/1990 per il personale neoassunto
Le relative giustificazioni sono state addotte dalla ricorrente, ente no-profit che opera nel settore sociale e che è O.N.L.U.S. di diritto, il cui fine principale non è il profitto ma quello sociale relativo all’occupazione giovanile e all’assistenza alle fasce disagiate, specificando la ragguardevole organizzazione sotto il profilo del metodo di prestazione del servizio e delle soluzioni tecniche adottate e le ulteriori condizioni favorevoli di cui gode.
Tali giustificazioni sono state legittimamente e positivamente valutate dalla stazione appaltante che ha considerato la particolare natura della società ricorrente, connessa alla veste giuridica dalla stessa ricoperta (società cooperativa no-profit) e dalle finalità perseguite indirizzate a conseguire utilità sociali e non strettamente economiche e di profitto.
Del resto, il ribasso offerto dalla aggiudicataria non è contrario ai principi dell’ordinamento e non costituisce ex se causa di anomalia dell’offerta, ma è al contrario specificatamente ammesso quando sia dimostrato che l’offerta è comunque e nel suo complesso remunerativa e sostenibile (in termini C. Stato, sez. V sent. n. 4594 del 23/07/2009) (TAR Sicilia-Catania, Sez. III, sentenza 28.03.2011 n. 735 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZI: Sulla natura di concessione di servizio pubblico locale a rilevanza economica del servizio di illuminazione elettrica votiva di aree cimiteriali e sull'inapplicabilità della disciplina sull'anomalia dell'offerta alle concessioni.
L'illuminazione elettrica votiva di aree cimiteriali da parte del privato rappresenta oggetto di concessione di servizio pubblico locale a rilevanza economica perché richiede che il concessionario impegni capitali, mezzi, personale da destinare ad un'attività economicamente rilevante in quanto suscettibile, almeno potenzialmente, di generare un utile di gestione e, quindi, di riflettersi sull'assetto concorrenziale del mercato di settore.
Ai sensi dell'art. 30 del D.Lgs. n. 163/2006, la disciplina sull'anomalia delle offerte non si estende alle concessioni di servizi in quanto le disposizioni in esso contenute non si applicano alle concessioni di servizi, salvo quelle della parte IV e l'art. 143, c,. 7 in quanto compatibile.
Per quanto attiene agli appalti di servizi, la giurisprudenza afferma che l'applicazione di norme, non direttamente richiamate dall'art. 30, D.Lgs. n. 163/2006, non può che rientrare nella discrezionalità della stazione appaltante, la quale può decidere di autovincolarsi ed assoggettarsi al sub-procedimento di verifica dell'anomalia dell'offerta: laddove la legge di gara non abbia fatto nessun richiamo alla procedura di valutazione dell'anomalia dell'offerta, gli art. 86-88 del codice dei contratti non possono trovare diretta applicazione.
Nel caso di specie, nel bando di gara non è prevista alcuna verifica di anomalia: il Comune pertanto non aveva alcun obbligo di procedervi nonostante il superamento da parte dell'offerta dell'aggiudicataria della soglia dell'anomalia, fissato dall'art. 86, co. 2, D.Lgs. n. 163/2006, nei quattro quinti dei corrispondenti punti massimi previsti dal bando di gara (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 24.03.2011 n. 1784 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

EDILIZIA PRIVATAIn materia di telecomunicazioni, gli Enti non possono imporre oneri o canoni che non siano stabiliti per legge.
E' escluso che il Comune possa domandare agli operatori telefonici, corresponsioni finanziarie non correlate ad una spesa, determinata o determinabile con il meccanismo di funzionamento dell’indennizzo.

Con i provvedimenti impugnati il Comune resistente ha imposto al sig. Elvio Coati, quale proprietario del terreno sul quale insiste l’impianto telefonico di Wind Telecomunicazioni s.p.a., di pagare la somma annuale di euro 2.060,00 in forza dell’art. 10 del «Regolamento comunale recante disposizioni per assicurare il corretto insediamento urbanistico e territoriale degli impianti di cui alla legge 22.02.2001 n. 36 e minimizzare l'esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici», approvato con delibera consiliare n. 34 del 07.07.2003.
Il Collegio ritiene meritevole di accoglimento e assorbente la deduzione della violazione da parte dell’art. 10 del Regolamento comunale impugnato degli artt. 88, comma 10, e 93 del D.Lgs. n. 259/2003 e del principio di legalità.
Ad avviso del Collegio occorre procedere al confronto della norma regolamentare impugnata con i rammentati artt. 93 e 88, comma 10, del d.lgs. n. 259/2003.
L'art. 10 del Regolamento comunale in questione stabilisce testualmente che «I proprietari degli immobili su cui sono collocati gli impianti, dovranno corrispondere annualmente al Comune di Pescantina, a titolo di contributo per tutta la durata dell’impianto stesso, le seguenti somme: (….) euro 2.060.00 per gli impianti ricadenti in aree definite ai sensi del precedente art. 5.». L'art. 93 del Codice delle Telecomunicazioni prevede che "1. Le pubbliche Amministrazioni, le Regioni, le Province ed i Comuni non possono imporre, per l' impianto di reti o per l'esercizio dei servizi di comunicazione elettronica, oneri o canoni che non siano stabiliti per legge. 2. Gli operatori che forniscono reti di comunicazione elettronica hanno l'obbligo di tenere indenne l'Ente locale, ovvero l'Ente proprietario, dalle spese necessarie per le opere di sistemazione delle aree pubbliche specificamente coinvolte dagli interventi di installazione e manutenzione e di ripristinare a regola d'arte le aree medesime nei tempi stabiliti dall'Ente locale".
Secondo l’orientamento della giurisprudenza condiviso dal Collegio, la norma da ultimo citata ha un'impostazione tassativa ed è chiaramente orientata a limitare, definire e circoscrivere in termini assai precisi il potere degli Enti locali di imporre oneri economici agli operatori di telecomunicazioni.
Tale impostazione emerge, innanzitutto, dall'incipit della norma che ricalca il disposto dell'art. 23 Cost. sulle prestazioni imposte. In armonia e in attuazione legislativa del precetto costituzionale, dunque, l'art. 93 del D.lgs. n. 259/1993 pone il principio secondo il quale gli Enti non possono imporre oneri o canoni che non siano stabiliti per legge (cfr. Tar Piemonte, I, 08.05.2010, n. 2302).
Tanto premesso il legislatore indica, poi al comma 2 del citato art. 93, le causali che legittimano la richiesta di oneri agli operatori: da un lato, le spese necessarie per le opere di sistemazione delle aree pubbliche specificamente coinvolte dagli interventi, dall’altro lato il ripristino a regola d'arte delle aree medesime nei tempi stabiliti dall'Ente locale.
Ebbene, in forza del disposto dell’art. 93 è escluso, ad avviso del Collegio, che il Comune possa domandare agli operatori telefonici, corresponsioni finanziarie non correlate ad una spesa, determinata o determinabile con il meccanismo di funzionamento dell’indennizzo.
Ne discende, dunque, che l'impianto testuale dell'art. 93 del D.lgs. n. 259/2003 esclude la legittimità di previsioni locali di imposizione agli operatori di comunicazione, di oneri economici non collegati ad una quantificazione effettiva dei costi delle opere di sistemazione e di ripristino delle aree, con l'ulteriore precisazione che queste ultime devono essere solo quelle specificamente coinvolte dagli interventi di installazione e manutenzione delle infrastrutture di telecomunicazione.
Orbene, la tassatività e la necessaria determinatezza su cui è imperniata la prima parte della rammentata norma, trova un’ulteriore conferma nel secondo comma dell’art. 93 che esclude la possibilità di imporre agli operatori oneri diversi da quelli ivi menzionati (Tosap e Cosap o il contributo una tantum per le gallerie).
A tale ultimo riguardo va rammentato che anche il Consiglio di Stato ha affermato che «L'art. 93 d.lgs. 01.08.2003 n. 259 (codice delle comunicazioni elettroniche), al comma 2, sebbene precluda all'amministrazione comunale di subordinare il rilascio delle autorizzazioni per l' impianto di reti o per l'esercizio dei servizi di comunicazione elettronica al pagamento di importi ulteriori rispetto a quelli ivi espressamente previsti (nella specie "indennità di civico ristoro" ed il "canone metro/tubo") non impedisce tuttavia che l'amministrazione "ex post" chieda al gestore il pagamento dell'importo che abbia effettivamente speso per il ripristino dello stato dei luoghi, che il gestore abbia omesso di realizzare, in base al rilievo di carattere generale posseduto dall'art. 2041 c.c. che consente all'amministrazione, una volta constatata la spesa pubblica con cui i luoghi sono stati ripristinati, in assenza di corrispondenti lavori di ripristino a regola d'arte da parte del gestore, di formulare la relativa richiesta e di agire in giudizio, conseguentemente, per la condanna del debitore.» (cfr. Cons. Stato, VI, 07.03.2008, n. 1005; Cons. Stato, VI, 09.06.2006, n. 3453).
Tutto ciò premesso ad avviso del Collegio la riserva relativa di legge di cui all'art. 23 Cost., ribadita anche dal legislatore ordinario con l'art. 93 del D.lgs. n. 259/2003 richiede per il contestato onere di corresponsione di euro 2.060,00 annuali una copertura legislativa, in difetto della quale detta norma è illegittima.
Per tali ragioni il ricorso è meritevole di accoglimento con annullamento dell’art. 10 del «Regolamento comunale recante disposizioni per assicurare il corretto insediamento urbanistico e territoriale degli impianti di cui alla legge 22.02.2001 n. 36 e minimizzare l'esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici», approvato con delibera consiliare n. 34 del 07.07.2003, e degli ulteriori provvedimenti impugnati in quanto emessi in applicazione della predetta disposizione regolamentare (TAR Veneto, Sez. II, sentenza 23.03.2011 n. 478 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: E' illegittima l'esclusione di una società da una gara per non aver sottoscritto il capitolato in ogni pagina, in quanto le esigenze sottese alla omessa sottoscrizione sono soddisfatte dalla dichiarazione sostitutiva resa ai sensi del DPR 445/2000.
E' illegittima l'esclusione di una società da una gara, a causa della mancata presentazione di copia del capitolato siglato e sottoscritto in ogni pagina, come richiesto della lettera d'invito, pur avendo la stessa società prodotto in gara la dichiarazione di accettazione, senza condizione e riserva alcuna, di tutte le norme contenute nel bando, nel disciplinare e nel capitolato speciale d'appalto. La clausola del disciplinare che impone la presentazione del capitolato sottoscritto, infatti, costituisce "un'inutile duplicazione e, quindi, un aggravio ingiustificato del procedimento", in quanto le esigenze sottese alla (omessa) sottoscrizione "pagina per pagina" del capitolato speciale d'appalto, sono comunque soddisfatte dalla specifica dichiarazione sostitutiva -resa ai sensi del DPR 445/2000- di presa visione e accettazione integrale e incondizionata di tutte le disposizioni contenute negli atti di gara (TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 23.03.2011 n. 461 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Sulla funzione garantistica della cauzione provvisoria in materia di gare d'appalto.
Per pacifica giurisprudenza, la cauzione provvisoria svolge una duplice funzione di garanzia per l'amministrazione appaltante, a tutela della serietà e correttezza del procedimento di gara, sia per il caso in cui l'affidatario non si presti a stipulare il relativo contratto, sia per la veridicità delle dichiarazioni fornite dai concorrenti in ordine al possesso dei requisiti di capacità economico-finanziaria prescritti dal bando, così da garantire l'affidabilità dell'offerta e rappresentare una liquidazione anticipata dei danni derivanti all'amministrazione dall'inadempimento di tale obbligo di serietà da parte dell'impresa, con la conseguente automatica escussione della cauzione in caso di inadempimento del partecipante (TAR Campania-Napoli, Sez. II, sentenza 21.03.2011 n. 1589 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

EDILIZIA PRIVATA: CERTIFICATO DI DESTINAZIONE URBANISTICA – NATURA ED EFFICACIA – ESCLUSIVAMENTE DICHIARATIVA – CONSEGUENZE.
Il certificato di destinazione urbanistica (di cui ai commi 2° e seguenti dell’art. 30 del D.Lgs. 380/2001, Testo Unico dell’Edilizia), in quanto atto di certificazione redatto da un pubblico ufficiale, ha natura ed effetti meramente dichiarativi e non costitutivi di posizioni giuridiche, che discendono in realtà da altri provvedimenti, che hanno a loro volta determinato la situazione giuridica acclarata dal certificato stesso.
Difettando, pertanto, di efficacia provvedimentale, esso non può formare oggetto di autonoma impugnativa giurisdizionale, dovendo gli eventuali errori essere corretti dalla stessa Amministrazione, su istanza del privato, oppure quest’ultimo potrà impugnare davanti al giudice amministrativo gli eventuali successivi provvedimenti concretamente lesivi, adottati in base all’erroneo certificato di destinazione urbanistica (massima tratta da www.amministrazioneincammino.luiss.it - TAR Lombardia–Milano, Sez. II, sentenza 14.03.2011 n. 729 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Rapporto tra aggiudicazione provvisoria e aggiudicazione definitiva nel Codice dei Contratti Pubblici.
Il Consiglio di Stato, Sez. V, con sentenza 08.03.2011 n. 1446 ha chiarito come nell’ambito di una procedura di scelta del contraente, l’aggiudicazione provvisoria rappresenta un atto necessario ma non decisivo atteso che l’individuazione definitiva del concorrente risulta cristallizzata soltanto con l’aggiudicazione definitiva.
La pronuncia in commento aveva origine da un ricorso presentato da un soggetto che dopo essere stato dichiarato aggiudicatario provvisorio, aveva successivamente impugnato il provvedimento con il quale la stazione appaltante aveva annullato, in autotutela, l’aggiudicazione provvisoria. In particolare veniva censurata la mancata comunicazione di avvio del procedimento che si era concluso con l’adozione del provvedimento in autotutela.
Per una migliore comprensione della decisione in commento, sembra opportuno riportare le disposizioni del d.lgs. 163/2006 (Codice dei Contratti Pubblici) che disciplinano l’aggiudicazione provvisoria e l’aggiudicazione definitiva.
L’art. 11 (Fasi delle procedure di affidamento) al suo comma 5 prevede che “La stazione appaltante, previa verifica dell’aggiudicazione provvisoria ai sensi dell’art. 12 comma 1, provvede all’aggiudicazione definitiva”.
L’art. 12 (Controlli sugli atti delle procedure di affidamento) prevede, al 1° comma, che “L’aggiudicazione provvisoria è soggetta ad approvazione dell’organo competente secondo l’ordinamento delle amministrazioni aggiudicatrici e degli enti aggiudicatori, ovvero degli altri soggetti aggiudicatori, nel rispetto dei termini previsti dai singoli ordinamenti, decorrenti dal ricevimento dell’aggiudicazione provvisoria da parte dell’organo competente. In mancanza, il termine è pari a trenta giorni.[…] Decorsi i termini previsti dai singoli ordinamenti o, in mancanza, quello di trenta giorni, l’aggiudicazione si intende approvata”.
Dalla lettura delle norme in oggetto si può vedere come nell’ambito del Codice dei contratti l’aggiudicazione provvisoria rappresenta solo un presupposto dell’unico procedimento di aggiudicazione che comunque deve essere concluso con il provvedimento di aggiudicazione definitiva.
In conformità al dettato normativo il Consiglio di Stato ha chiarito come “L’aggiudicazione provvisoria ha natura di atto endoprocedimentale, inserendosi nell’ambito della procedura di scelta del contraente come momento necessario ma non decisivo, atteso che la definitiva individuazione del concorrente cui affidare l’appalto risulta cristallizzata soltanto con l’aggiudicazione definitiva; pertanto, versandosi ancora nell’unico procedimento iniziato con l’istanza di partecipazione alla gara e vantando in tal caso l’aggiudicatario provvisorio solo una aspettativa alla conclusione del procedimento, non si impone la comunicazione di avvio del procedimento in autotutela (cfr. da ultimo Consiglio di Stato, sez. V, 13.10.2010, n. 7460)”.
In definitiva, con la sentenza in oggetto, il Consiglio di Stato ha contribuito ulteriormente a chiarire come l’aggiudicazione provvisoria abbia un ruolo necessario ma non decisivo, considerato la sua natura di atto endoprocedimentale, ai fini della definitiva aggiudicazione dell’appalto (commento tratto da www.professioni-imprese24.ilsole24ore.com - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: PRINCIPIO DEL FAVOR PARTECIPATIONIS E LIMITI ALLA VERIFICA DI ANOMALIA DELL’OFFERTA.
La sentenza qui segnalata consente di formulare alcune brevi considerazioni sul tema del favor partecipationis e dei limiti che incontra l’Amministrazione nel verificare l’anomalia dell’offerta.
Nella fattispecie controversa, due operatori economici partecipavano ad una gara indetta per l’affidamento di un appalto di servizi, in cui era richiesto, ai fini della dimostrazione del possesso delle capacità tecniche ed organizzative di avere realizzato un certo fatturato per prestazioni aventi oggetto analogo a quello bandito. Successivamente, la seconda classificata proponeva ricorso avanti al TAR Lombardia lamentando, tra l’altro, che l’impresa aggiudicataria non sarebbe stata in possesso del requisito del fatturato per servizi analoghi.
Il TAR accoglieva il ricorso annullava l’aggiudicazione senza nulla disporre in ordine alla pronuncia di inefficacia del contratto, all’epoca non stipulato, o in merito al risarcimento del danno, difettando una richiesta in tale senso della ricorrente.
La sentenza veniva impugnata dinanzi al Consiglio di Stato il quale, con la sentenza in commento, ha riformato la pronuncia del Giudice di primo grado.
Secondo la Sezione Quinta, la nozione di contratto ad oggetto analogo, soprattutto in fattispecie, (come quella controversa) in cui viene richiesto agli operatori di fornire una prestazione complessa che si articola in una pluralità di “sotto-prestazioni”, riconducibili a categorie merceologiche differenti, deve essere ricostruita facendo riferimento alla categoria “prevalente”, intendendosi per tale quella che assume il rilievo preponderante nella causa economico-giuridica dell’appalto di servizi. Altrimenti argomentando, si finirebbe per giungere a conclusioni insostenibili per ragioni diverse: da un lato, infatti, la perfetta coincidenza tra i servizi rilevanti ai fini della dimostrazione del possesso del requisito e quelli oggetto della gara implicherebbe una valutazione in termini di “identità” dei servizi effettuati, contrastanti con la lettera della legge e con il principio di concorrenzialità degli affidamenti; dall’altro, l’equiparazione di ogni sotto-prestazione avrebbe concretizzato il rischio di ammettere soggetti privi della necessaria capacità maturata nella prestazione principale, cui evidentemente corrisponde il maggiore interesse dell’Amministrazione a selezione un contraente privato dotato della necessaria esperienza.
Secondo il Consiglio di Stato, quanto più l’oggetto contrattuale risulta articolato e complesso, tanto più il riferimento al concetto di analogia deve intendersi in senso ampio, implicando correlativamente l’estensione del margine di apprezzamento discrezionale attribuito all’Amministrazione, chiamata a mediare tra il soddisfacimento dell’interesse pubblico alla selezione dell’operatore più specializzato ed il rispetto del principio del favor partecipationis.
Ovviamente, il giudizio sulla “analogia” delle prestazioni rispetto all’oggetto della gara è assoggettato allo scrutinio di legittimità da parte del Giudice Amministrativo, il quale potrà sindacare della ragionevolezza, coerenza e logicità delle determinazioni assunte dalla Commissione di gara.
Sempre nella descritta prospettiva di intermediazione tra l’applicazione dei requisiti soggettivi e la garanzia della massima apertura delle procedure deve intendersi l’affermazione della Sezione Quinta relativa alla possibilità per l’Amministrazione di ammettere soggetti che non abbiano presentato almeno due lettere di referenze bancarie. In questo caso, il punto di equilibrio tra i diversi interessi è costituito dall’esplicitazione della possibilità di presentare di una sola lettera di referenze già in sede di chiarimenti preliminari alla presentazione dell’offerta, accompagnata dalla precisazione che in questo caso l’offerta avrebbe dovuto contenere puntuali giustificazioni al riguardo.
Da ultimo, il Consiglio di Stato ha ritenuto legittima la decisione dell’Amministrazione di non procedere alla verifica dell’anomalia nonostante l’aggiudicataria avesse conseguito punteggi superiori alla soglia dei quattro quinti dei punti massimi previsti dal bando di gara.
A questo proposito, la Sezione Quinta ha osservato che trattandosi di un appalto di servizi sotto la soglia comunitaria, da aggiudicare secondo il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, indetto prima dell’entrata in vigore del d.P.R. n. 207 del 2010 (che reca disposizioni ben più puntuali di quelle del Codice in tema di anomalia delle offerte negli appalti sotto soglia), la disciplina codicistica sulla verifica dell’anomalia delle offerte di cui all’art. 86 non era direttamente ed integralmente applicabile, con la conseguenza che la decisione in ordine alla verifica di anomalia “era affidata in via di principio al prudente apprezzamento discrezionale dell’Amministrazione”.
In mancanza, peraltro, di un’espressa previsione in tal senso nella lex specialis, non poteva ritenersi che l’Amministrazione fosse comunque tenuta ad avviare il subprocedimento di verifica dell’anomalia, né tale obbligo potrebbe validamente desumersi dalla circostanza che era richiesto ai concorrenti di presentare la scheda relativa alla scomposizione del prezzo, in quanto tale adempimenti, anche se obiettivamente preordinato alla successiva verifica dell’anomalia, non vale ex se a trasformare in obbligatorio un approfondimento istruttorio che resta comunque rimesso all’apprezzamento discrezionale della stazione appaltante (commento tratto da www.amministrazioneincammino.luiss.it - Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 04.03.2011 n. 1401 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Se la Provincia non si presenta alla conferenza dei servizi per uno "sportello unico" in variante allo strumento urbanistico si forma il silenzio assenso. Il medesimo Ente non può, pertanto, impugnare la decisione finale del Comune che abbia dato corso all'intervento.
La Provincia di Monza Brianza (da ora Provincia) impugna gli atti di approvazione di un progetto in variante al PGT del Comune di Usmate Velate (da ora Comune), presentato dalla società odierna controinteressata, che ha seguito la procedura di cui all’art. 5 DPR 447/1998.
Il Collegio ritiene di poter prescindere dall’esame delle eccezioni preliminari, in quanto il ricorso è infondato.
Nel primo motivo parte ricorrente prospetta una lettura molto suggestiva dell’art. 14-ter, comma 7, L. 241/1990, al fine di poter fare valere il proprio parere giunto tardivamente alla conferenza di servizi, ovvero quando l’attività della stessa era conclusa.
Questa la tesi difensiva della Provincia: l’art 14-ter L. 241/90, a seguito della modifica operata dall’art. 49, comma 2, lett. e), del decreto-legge 31.05.2010, n. 78 così recita “Si considera acquisito l'assenso dell'amministrazione, ivi comprese quelle preposte alla tutela della salute e della pubblica incolumità e alla tutela ambientale, esclusi i provvedimenti in materia di VIA, VAS e AIA, paesaggistico-territoriale il cui rappresentante, all'esito dei lavori della conferenza, non abbia espresso definitivamente la volontà dell'amministrazione rappresentata.”
Il D.L. è stato convertito con L. 30.07.2010 n. 122, con la seguente modificazione: “dopo le parole: «pubblica incolumità» sono inserite le seguenti: «, alla tutela paesaggistico-territoriale» e dopo le parole: «in materia di VIA, VAS e AIA,» la parola: «paesaggistico-territoriale,» è soppressa”.
Quindi il nuovo testo così recita: “si considera acquisito l'assenso dell'amministrazione, ivi comprese quelle preposte alla tutela della salute e della pubblica incolumità, alla tutela paessaggistico-territoriale e alla tutela ambientale, esclusi i provvedimenti in materia di VIA, VAS e AIA, il cui rappresentante, all'esito dei lavori della conferenza, non abbia espresso definitivamente la volontà dell'amministrazione rappresentata.”
Sostiene la ricorrente che alla data di adozione del provvedimento conclusivo della conferenza di servizi e del provvedimento di approvazione del progetto, essendo vigente il testo del decreto legge, il parere paesaggistico-territoriale, al pari della VIA, VAS e AIA, doveva essere acquisito espressamente e non potesse essere applicato il sistema del silenzio-assenso in caso di assenza del rappresentante dell’Amministrazione competente.
Come già detto in sede cautelare, la tesi della Provincia non è condivisibile, in quanto contrasta con l’interpretazione letterale e sistematica del testo.
Letteralmente vengono indicati i pareri la cui assenza comporta consenso, con l’esclusione di tre ipotesi: l’inciso relativo alle ipotesi di esclusione è riferito ai tre pareri VIA, AIA e VAS, non al parere paesaggistico, che si pone invece sullo stesso piano di quella ambientale.
Non vi sarebbe infatti ragione per ammettere alla procedura del silenzio-assenso, il parere ambientale e non quello paesaggistico; ha invece una sua logica escludere da tale procedimento tre tipologie di pareri di particolare rilievo, tutti attinenti ad aspetti ambientali.
Tale lettura interpretativa è stata confermata in sede di conversione: il parere paesaggistico ha la stessa valenza di un parere ambientale, mentre i tre pareri che hanno un regime derogatorio, sono riconducibili alla categoria dei pareri ambientali.
L’interpretazione fornita dalla difesa dell’Amministrazione Provinciale ricorrente dell’art 14-ter della L. 241/1990, alla luce della legge di conversione, non può quindi essere condivisa, con la conseguenza che, stante l’assenza in sede di conferenza di servizi dei rappresentanti dell'Amministrazione Provinciale e la tardività della trasmissione del parere, la Conferenza di Servizi ha correttamente ritenuto acquisito detto parere mediante il silenzio (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 02.03.2011 n. 600 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTINo all'esclusione se la relazione al bando è lunga. Consiglio di stato. Non contano le pagine.
Nei bandi di gara la prescrizione di un numero massimo di pagine per la relazione tecnica è solo indicativa e la sua inosservanza non è causa di esclusione se non per espressa previsione del bando.
Così si è espresso il Consiglio di Stato, Sez. V, con la sentenza 21.02.2011 n. 1080.
Fra i motivi contestati in appello a un comune dalla società arrivata quarta, la doverosità dell'esclusione dell'aggiudicataria per non aver osservato quanto disposto dal bando-disciplinare laddove prescriveva che ogni concorrente avrebbe dovuto presentare una relazione dettagliata per un numero di pagine non superiore a 15.
I giudici hanno aderito alle argomentazioni di una sentenza precedente della stessa sezione V (sentenza 3437/2007) secondo la quale, nel caso in cui il bando preveda la presentazione di una relazione formata da non più di un certo numero di pagine, tale prescrizione sia derogabile.
L'esclusione di un concorrente non può essere disposta in mancanza di un'espressa sanzione penalizzante in caso di inosservanza di una disposizione contenuta nella lex specialis della gara.
L'esclusione, inoltre, non può essere disposta in presenza di clausole equivoche. Nel caso in questione, al di là della generica indicazione del numero di pagine, non venivano fornite nel bando ulteriori precisazioni circa i parametri grafici da utilizzare quali, ad esempio, il margine, il numero delle righe, il corpo o il tipo dei caratteri da utilizzare.
In tal caso, a parità di pagine, poteva verificarsi una notevole differenza in merito ai contenuti quantitativi delle singole relazioni (uno scritto di poche pagine con caratteri piccoli, più righe e margini ridotti può avere contenuti maggiori rispetto a uno scritto su un numero maggiore di pagine, ma redatto con caratteri grandi e con ampi margini).
In definitiva, la presenza nel bando di una clausola equivoca (priva di rigide prescrizioni circa la struttura delle pagine della relazione) e sfornita di apposita previsione di esclusione nell'ipotesi di mancato rispetto della stessa, riveste carattere essenzialmente indicativo e di massima e preclude -anche in funzione dei principi di favor partecipationis- la possibilità di escludere legittimamente il concorrente che non abbia osservato la clausola stessa. Se così non fosse, del resto, la disposizione stessa, si presterebbe a inammissibili forme discriminatorie.
Inoltre, qualora alla relazione siano allegati ulteriori documenti e la loro inclusione nell'offerta tecnica non sia preclusa (tantomeno a pena di esclusione), nel caso in cui gli stessi non siano richiamati in alcun punto della relazione, tali documenti non sono da considerarsi parte integrante della stessa e non si è pertanto in presenza di un'offerta sostanzialmente difforme da quella richiesta (articolo Il Sole 24 Ore del 28.02.2011 - tratto da www.corteconti.it).

EDILIZIA PRIVATA: CONTRIBUTI E ONERI CONCESSORI – IN OCCASIONE DI MUTAMENTI DI DESTINAZIONI D’USO – SONO DOVUTI – PREVISIONE DI DISTINTE SOTTOCATEGORIE DI DESTINAZIONI D’USO CON DIVERSI IMPORTI DEI CONTRIBUTI CONCESSORI – LEGITTIMITA’.
La necessità di corrispondere i contributi concessori anche peri i mutamenti di destinazione d’uso è principio enucleabile dall’art. 10, ultimo comma, della legge n. 10 del 1977, al fine di evitare che, quando la nuova tipologia assegnata all’immobile avrebbe comportato all’origine un più oneroso regime contributivo urbanistico, attraverso la modifica della destinazione il contributo possa essere evaso in tutto o in parte a vantaggio del richiedente e, di contro, con l’aggravio urbanistico già valutato in sede di fissazione di quel regime contributivo.
Deve ritenersi legittima la suddivisione delle categorie di destinazione d’uso in più sottocategorie o sottofunzioni, con diversa onerosità dal unto di vista dei contributi di costruzione, laddove ciò sia giustificato da significative diversità del carico urbanistico implicato dall’una o dall’altra di esse, tale da giustificare diverse modulazioni di calcolo del contributo concessorio (massima tratta da www.amministrazioneincammino.luiss.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 26.01.2011 n. 240 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: BENI CULTURALI E PAESAGGISTICI – MISURE DI TUTELA INDIRETTA DEI BENI CULTURALI IMMOBILI (ART. 45 D.LGS. N. 42/2004) – MANCATA NOTIFICA AL PROPRIETARIO DEGLI IMMOBILI INTERESSATI – INEFFICACIA – ESCLUSIONE.
BENI CULTURALI E PAESAGGISTICI – MISURE DI TUTELA INDIRETTA DEI BENI CULTURALI IMMOBILI (ART. 45 D.LGS. N. 42/2004) – ESTENSIONE – COMMISURATA ALLA CORNICE AMBIENTALE DEI BENI DA TUTELARE – SINDACABILITA’ – ESCLUSIONE – FATTISPECIE.

Secondo il costante indirizzo giurisprudenziale, la previsione di cui all’art. 47, 1 comma, D.lgs. n. 42/2004, che dispone la previa notifica del provvedimento contenente prescrizioni di tutela indiretta al proprietario interessato, non vale a sancire il carattere recettizio del provvedimento stesso, con la conseguenza che la sua comunicazione non ne assurge a condizione di efficacia.
In ogni caso, la mancata notificazione di un atto amministrativo al suo destinatario non incide sull’esistenza o validità dello stesso, con la conseguenza che non può essere considerato nullo od illegittimo per il solo fatto della mancata comunicazione da parte dell’Autorità emanante.
A differenza del vincolo diretto, che riguarda esclusivamente e specificamente il bene culturale, il vincolo indiretto si caratterizza per coinvolgere l’ambito costituente la “fascia di rispetto”, che non coincide con l’ambito materiale dei confini perimetrali dei singoli immobili, ma va stabilita in rapporto alla consistenza della c.d. “cornice ambientale”; ciò comporta che il vincolo indiretto ben può essere imposto sull’area che si trova in vista od in prossimità del bene culturale, non essendo tale aspetto, in quanto espressione di discrezionalità tecnica, suscettibile di censura giurisdizionale, salve l’ipotesi in cui possano ravvisarsi macroscopiche incongruenze e illogicità (massima tratta da www.amministrazioneincammino.luiss.it - TAR Umbria, Sez. I, sentenza 20.01.2011 n. 16 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

CONSIGLIERI COMUNALIRevoca dall'incarico di Assessore - E' nella disponibilità del Sindaco.
La giurisprudenza (cfr. per tutte Consiglio di Stato, sez. V - 23/01/2007 n. 209) ha statuito che la revoca dall'incarico di Assessore è posta essenzialmente nella disponibilità del Sindaco e che la comunicazione ex art. 46, comma 4, del T.U.E.L. è tendenzialmente diretta al mantenimento di un corretto rapporto collaborativo tra Sindaco-Giunta ed il Consiglio comunale, il quale potrebbe eventualmente opporsi alla scelta.
L'atto può senz'altro sorreggersi sulle più ampie valutazioni di opportunità politico amministrativa rimesse in via esclusiva al primo cittadino, che può valorizzare sia esigenze di carattere generale -quali ad esempio rapporti con l'opposizione o relazioni interne alla maggioranza consiliare- sia particolari necessità di maggiore operosità ed efficienza in specifici settori dell'amministrazione, ovvero l'affievolirsi del rapporto fiduciario, senza che occorra specificare i singoli comportamenti addebitati all'interessato (cfr. Consiglio di Stato, sez. V - 21/01/2009 n. 280; sez. V - 12/10/2009 n. 6253).
Il Sindaco non instaura un tipico procedimento sanzionatorio ma provvede alla rimozione da un incarico fiduciario, per cui l'atto è difficilmente sindacabile in sede di legittimità se non sotto l'aspetto dell'evidente arbitrarietà (cfr. sentenze brevi TAR Brescia, sez. I - 21/04/2008 n. 449; 02/11/2009 n. 1831; Consiglio di Stato, sez. V - 15/07/2009 n. 3646) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 28.10.2010 n. 4466 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVILegittimazione ad agire - Articolazioni territoriali di Associazioni riconosciute ex art. 13 L. n. 349, e cioè di soggetti associativi i quali non agiscono allegando una propria ed autonoma legittimazione ma ripetono il titolo legittimante da quello ex lege conferito all'Associazione nazionale di cui fanno parte.
In situazioni in cui "la legittimazione ad agire discende direttamente dalla legge" (come nel caso dell'associazione Legambiente) "neppure la previsione statutaria potrebbe assegnare ad articolazioni interne dell'ente associativo la contitolarità della predetta legittimazione, che resta in capo all'ente di carattere nazionale accreditato in sede ministeriale" (Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 1 dell'11.01.2007).
Il Collegio non esclude che possa, in linea di principio, ritenersi ammissibile, in ragione delle previsioni dello Statuto, una sorta di delega ai presidenti regionali affinché essi possano sostituirsi, a livello locale, al Presidente nazionale, ma ciò implica che il soggetto agente sia comunque rappresentato dall'Associazione nazionale-delegante e non anche dalla sua articolazione locale (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 28.10.2010 n. 4456 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIPartecipazione di un raggruppamento temporaneo di imprese - Garanzia fideiussoria - Intestazione sia della capogruppo che delle mandanti.
Nel caso di partecipazione ad una gara di appalto di un raggruppamento temporaneo di imprese, la polizza fideiussoria mediante la quale viene costituita la cauzione provvisoria deve essere necessariamente intestata, a pena di esclusione, non già alla solita capogruppo designata, ma anche alle mandanti (Consiglio Stato , sez. V, 26.10.2009, n. 6533).
Ciò non solo per gli appalti di lavori regolati dalla disciplina previgente al D.Lgs. n. 163 del 2006, ma anche per quelli di servizi regolati dal D.Lgs. n. 157 del 1995, stante l'esigenza di assicurare in modo pieno l'operatività della garanzia fideiussoria di fronte ai possibili inadempimenti (Consiglio di Stato, sez. V, 26.10.2009, n. 6533) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 15.10.2010 n. 4058 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVIAlienazione di un immobile comunale - Legittimazione ad agire - Esclusa per comitati e/o associazioni composti da un numero esiguo di persone.
E' da escludersi la legittimazione ad agire di comitati e/o associazioni composti da un numero esiguo di persone e dunque non dotati di rappresentanza sul piano locale così come, comunque, non basta il mero scopo associativo o lo statuto del comitato a rendere differenziato un interesse diffuso o adespota, facente capo alla popolazione nel suo complesso o ad una categoria indifferenziata di consociati, specie quando tale scopo associativo si risolva, senza mediazione alcuna di altre finalità, nell'utilizzazione di tutti i mezzi per non consentire la realizzazione di un determinato progetto e quindi in definitiva, nella stessa finalità di proporre l'azione giurisdizionale (TAR Toscana, sez. II 21.12.2005 n. 8856) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 08.10.2010 n. 3956 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI1. Accesso agli atti - Partecipazione a procedura selettiva - Diritto soggettivo- presenza di interesse non emulativo - Sufficienza.
2. Accesso agli atti - Obbligo pubblicistico - Ente privato destinatario dell'istanza - Incompatibilità - Non sussiste.

1. In una gara ad evidenza pubblica il diritto di accesso dei vari concorrenti è riconosciuto come diritto soggettivo ad un'informazione qualificata, a fronte del quale l'amministrazione pone in essere un'attività materiale vincolata; infatti la partecipazione ad una procedura selettiva comporta che la documentazione presentata fuoriesca dalla sfera di dominio riservato dell'impresa per formare oggetto di valutazione comparativa con le offerte presentate da altri concorrenti, essendo versata in un procedimento caratterizzato dai principi di concorsualità e trasparenza.
L'istanza del richiedente deve essere sorretta da un interesse giuridicamente rilevante, così inteso come un qualsiasi interesse che sia serio, effettivo, autonomo, non emulativo, non riducibile a mera curiosità e ricollegabile all'istante da uno specifico nesso;
2. L'obbligo pubblicistico di esibizione degli atti non si pone come incompatibile con la veste privatistica di Società per Azioni conseguita dall'Ente destinatario della domanda di accesso (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 23.09.2010 n. 3564 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZIImpianti illuminazione pubblica - Concessione - Diritto di riscatto - Ordine di rilascio - Legittimità - Diritto di ritenzione del gestore - Escluso.
A seguito dell'esercizio da parte del Comune del diritto di riscatto del rapporto concessorio in precedenza instaurato, è legittimo l'ordine di rilascio degli impianti e il relativo provvedimento con cui è stata disposta l'acquisizione al patrimonio del Comune, in quanto né la normativa di settore, né la concessione, prevedono alcun diritto di ritenzione a favore del gestore uscente (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 02.08.2010 n. 2618 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - INCARICHI PROGETTAZIONEIncarico esterno di progettazione - Revoca - applicabilità art. 21 l. 07.08.1990.
Ex art. 21-quinquies, comma 1-bis, della l. 07.08.1990 la revoca di un atto amministrativo ad efficacia durevole o istantanea se incide su rapporti negoziali è dovuto l'indennizzo parametrato al solo danno emergente (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 08.07.2010 n. 2477 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI1. Silenzio della P.A. - Silenzio-assenso - Carattere eccezionale - Incompletezza della istanza - Mancato perfezionamento.
2. Silenzio della P.A.- Silenzio-assenso - Termine - Decorrenza dalla data della completa trasmissione della documentazione completa.

1. Poiché il meccanismo del silenzio-assenso riveste carattere eccezionale per ritenersi perfezionato è necessario che l'istanza proposta sia formalmente regolare: pertanto, in caso di incompletezza della domanda, il silenzio-assenso non può maturare.
2. Il termine funzionale alla formazione del silenzio-assenso decorre solo dal momento in cui il compendio documentale tipizzato dalle norme di riferimento è stato interamente trasmesso all'amministrazione (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 08.07.2010 n. 2474 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAAbuso edilizio - Ordine di demolizione- Notifica ad un solo comproprietario - Sufficienza.
E' sufficiente la notificazione ad uno solo dei proprietari dell'ordine di demolizione, affinché operi validamente l'iter procedimentale diretto al ripristino dei valori giuridici offesi dall'edificazione sia per il principio della responsabilità plurisoggettiva ex art. 2055 cod. civ. sia perché l'ordinanza di demolizione va concretamente notificata a chi ha la disponibilità dell'immobile (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 08.07.2010 n. 2463 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ESPROPRIAZIONEApprovazione progetto - Osservazioni - Tardivo invio - Termine ordinatorio - Esame da parte della P.A. - Necessità.
E' illegittima l'intervenuta approvazione di un progetto nell'ambito di una procedura espropriativa senza aver previamente provveduto a dare conto delle osservazioni presentate seppure tardivamente, ma semplicemente omettendone l'esame (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 01.07.2010 n. 2424 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATADenuncia di inizio attività - Decorrenza di 20 giorni - Termine perentorio - Residuale successivo istituto di autotutela.
Il Comune può inibire la realizzazione delle opere nel termine perentorio di 20 giorni dalla data di presentazione della D.I.A.: una volta spirato detto termine il potere di riscontro a fini inibitori attribuito all'amministrazione è esaurito, e la stessa può provvedere solo avvalendosi dell'istituto dell'autotutela e della generale potestà di controllo emanando gli eventuali provvedimenti sanzionatori ai sensi dell'art. 21, comma 2, della L. 241/1990 (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 01.07.2010 n. 2419 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

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