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AGGIORNAMENTO AL 28.02.2011 |
ã |
SINDACATI |
PUBBLICO IMPIEGO:
Semplicità o disinformazione
(CGIL-FP di Bergamo,
nota 25.02.2011). |
PUBBLICO IMPIEGO:
EE.LL. - Salario accessorio e
specifiche disposizioni di legge
(CGIL-FP di Bergamo,
nota 24.02.2011). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Accordo separato–riforma
Brunetta: il Ministro smentisce Cisl e Uil
(CGIL-FP di Roma,
nota 17.02.2011). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Il foglio dei lavoratori della
Funzione Pubblica
(CGIL-FP di Bergamo,
febbraio 2011). |
QUESITI |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
La categoria 8 dell’Albo gestori ambientali
– commercio e intermediazione dei rifiuti è
attiva? (link a
www.ambientelegale.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Nel caso in cui si abbia una miscela
costituita in epoca anteriore alla nuova
normativa con rifiuti aventi diverse
caratteristiche di pericolo
è possibile unire, oggi, alla miscela un
rifiuto che presenta caratteristiche di
pericolo uguali ad uno solo dei componenti
della miscela originaria? (link a
www.ambientelegale.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Cosa si intende per divieto di miscelazione
dei rifiuti? (link a
www.ambientelegale.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
È possibile miscelare rifiuti aventi diverse
caratteristiche di pericolo?
(link a www.ambientelegale.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
I RAEE provenienti da utenze non domestiche
possono essere conferiti autonomamente
presso le eco piazzole comunali?
(link a www.ambientelegale.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Se vengono lasciati oggetti davanti
all’ingresso di un’associazione ONLUS la
fattispecie può integrare la cessione di
beni o piuttosto l’abbandono di rifiuti?
(link a www.ambientelegale.it). |
NOTE,
CIRCOLARI E COMUNICATI |
URBANISTICA:
Pgt, termini prorogati fino a fine 2012.
Belotti: ultima chiamata.
Il Consiglio regionale ha accolto la
richiesta dell'assessore al Territorio e
Urbanistica della Regione Lombardia Daniele
Belotti di prorogare i termini per
l'approvazione dei Pgt (Piani di Governo del
Territorio).
Grazie alle modifiche recepite, attraverso
il collegato, alla legge n. 12 del 2005
(Legge per il governo del territorio), i
quasi 1100 Comuni che ancora non hanno
approvato il Pgt, avranno tempo fino al
31.12.2012 per mettersi in regola.
Allo stesso tempo, al fine di incentivare la
sollecita approvazione del nuovo strumento
urbanistico, si è stabilito che quei Comuni
che, entro il 30.09.2011, non abbiano
adottato il Pgt non potranno dare corso
all'approvazione di piani attuativi del
vigente Prg (Piano Regolatore Generale).
"La legge regionale 12 -commenta
l'assessore Belotti- ha completamente
innovato il modo di approcciarsi alla
pianificazione territoriale, ponendo al
centro del provvedimento la tutela del
territorio, al fine di poterlo consegnare
alla generazioni future quanto più integro
possibile". Alle amministrazioni
comunali è affidata la responsabilità di
tradurre in azioni concrete i principi e gli
indirizzi dettati da Regione Lombardia, ecco
il motivo per cui l'approvazione dei Piani
di Governo del Territorio da parte dei
Comuni è da ritenersi un atto di
responsabilità assolutamente indifferibile e
urgente.
La nuova e ampia proroga concessa alle
amministrazioni comunali per l'approvazione
dei Pgt ha il fine di escludere qualsiasi
alibi o giustificazione alla loro mancata
approvazione, ritenendo in tal modo
improponibile la concessione di ulteriori
proroghe.
La nuova legge regionale n. 12, così come
modificata all'atto dell'approvazione del
Collegato Ordinamentale, entrerà in vigore
nei prossimi giorni, dopo la pubblicazione
sul Bollettino Ufficiale della Regione (Burl)
(Milano, 24.02.2011 - link a
www.regione.lombardia.it). |
CONSIGLIERI COMUNALI - ENTI LOCALI:
OGGETTO: legge 26.03.2010, n. 42 di
conversione del decreto-legge 25.01.2010, n.
2 recante: "Interventi urgenti concernenti
enti locali e regioni". Numero consiglieri e
assessori comunali e provinciali
(Ministero dell'Interno, Dipartimento per
gli Affari Interni e Territoriali,
nota 18.02.2011 n. 2915 di prot.). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Boschi, Colucci: possibile rilevare tutti i
tagli minuto per minuto.
In Lombardia, grazie alla procedura
completamente informatizzata di denuncia di
taglio dei boschi, è possibile avere una
fotografia molto nitida di quel che succede
all'interno delle foreste del nostro
territorio.
Dopo un triennio di sperimentazione è oggi
possibile fare un primo bilancio: sono state
presentate 64.187 denunce di taglio di
alberi, equivalenti al prelievo di 1 milione
e 700.000 metri cubi di legname distribuito
su oltre 26.000 ettari di territorio. Il
49,3 per cento della massa è prelevata a
quote inferiori ai 600 metri, il 28,1 per
cento tra i 600 e i 1.000 metri e soltanto
il 22,6 per cento oltre i 1.000 metri.
Emerge anche che la specie più richiesta è
la robinia, seguita da castagno, abete
rosso, faggio e carpino nero.
"La Lombardia -spiega l'assessore
regionale ai Sistemi verdi e Paesaggio
Alessandro Colucci- è la prima Regione
italiana ad adottare procedure completamente
informatizzate, che stanno contribuendo a
semplificare le procedure e ad accorciare i
tempi di denuncia e di raccolta dei dati".
... (Milano, 18.02.2011 - link a
www.regione.lombardia.it). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Oggetto: Art. 12, comma 10, del decreto
legge 31.05.2010, n. 78, convertito, con
modificazioni, in legge 30.07.2010, n. 122 -
Interventi in materio di trattamento di fine
servizio e di fine rapporto. Adempimenti
contributivi (Inpdap,
nota operativa 17.02.2011 n. 5/2011). |
EDILIZIA PRIVATA:
Comuni chiedono l'accreditamento per il
monitoraggio Fondo Aree Verdi.
I Comuni chiedono l'accreditamento per
accedere al nuovo sistema informatizzato
messo a disposizione delle amministrazioni
per il monitoraggio del "Fondo Aree Verdi"
(di cui all'art. 43 della Legge regionale n.
12/2005). Ecco i primi 10:
Arese -
Barzanò -
Bottanuco -
Sala Comacina -
Concesio -
Grassobbio -
Onore -
Sotto il Monte Giovanni XXIII -
Triuggio -
Urgnano.
Dal 10.01.2011 è attivo il sistema
alimentato tramite le maggiorazioni dei
contributi di costruzione applicate agli
interventi di nuova costruzione che
sottraggono superfici agricole nello stato
di fatto.
La trasmissione delle informazioni e il
versamento dei proventi delle maggiorazioni
riscosse avviene attraverso il sistema di
monitoraggio informatico (front office)
accessibile seguendo le indicazioni
pubblicate sul sito della Direzione generale
Sistemi Verdi e Paesaggio.
Le amministrazioni comunali potranno,
successivamente, attraverso una procedura a
domanda, richiedere a Regione Lombardia il
prelievo delle risorse dal Fondo da
destinare a interventi forestali a rilevanza
ecologica e di incremento della naturalità.
Le risorse del Fondo potranno essere
utilizzate, in particolare, per promuovere
progetti di:
- costruzione di sistemi verdi e della rete
ecologica;
- valorizzazione e incremento della
naturalità nelle aree protette;
- valorizzazione del patrimonio forestale e
del sistema rurale-paesistico-ambientale;
- rinaturalizzazione e incremento della
dotazione del verde in ambito urbano, con
attenzione al recupero delle aree degradate
e alla connessione tra territorio rurale ed
edificato (Milano, 17.02.2011 - link a
www.regione.lombardia.it). |
GURI - GUUE -
BURL (e anteprima) |
EDILIZIA PRIVATA: G.U.
26.02.2011 n. 47, suppl. ord. n. 54, "Valutazione
e riduzione del rischio sismico del
patrimonio culturale con riferimento alle
Norme tecniche per le costruzioni di cui al
decreto del Ministero delle infrastrutture e
dei trasporti del 14.01.2008" (Direttiva
P.C.M. 09.02.2011). |
ENTI LOCALI - VARI: G.U.
26.02.2011 n. 47, suppl. ord. n. 53/L, "Legge
26.02.2011 n. 10 -
Conversione in legge, con modificazioni, del
decreto-legge 29.12.2010, n. 225, recante
proroga di termini previsti da disposizioni
legislative e di interventi urgenti in
materia tributaria e di sostegno alle
imprese e alle famiglie.
Testo del
decreto-legge 29.12.2010, n. 225,
coordinato con la legge di conversione
26.02.2011, n. 10,
recante: «Proroga di termini previsti da
disposizioni legislative e di interventi
urgenti in materia tributaria e di sostegno
alle imprese e alle famiglie.»". |
EDILIZIA PRIVATA: G.U.
25.02.2011 n. 46 "Regolamento di
attuazione dell’articolo 2 della legge
07.08.1990, n. 241, riguardante i termini
dei procedimenti amministrativi del
Ministero per i beni e le attività culturali
aventi durata non superiore a novanta giorni"
(D.P.C.M.
22.12.2010 n. 271). |
APPALTI: G.U.
25.02.2011 n. 46 "Disposizioni
concernenti i criteri di rilascio
dell’autorizzazione prevista dall’articolo
37 del decreto-legge 31.05.2010, n. 78,
convertito, con modificazioni, dalla legge
30.07.2010, n. 122, ai fini della
partecipazione alla procedure di
aggiudicazione dei contratti pubblici di
lavori, servizi e forniture di cui al
decreto legislativo 12.04.2006, n. 163 e
successive modificazioni"
(Ministero dell'Economia e Finanze,
decreto 14.12.2010). |
AMBIENTE-ECOLOGIA -
EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA: B.U.R.
Lombardia, supplemento n. 8 del 25.02.2011,
"Interventi normativi per l’attuazione
della programmazione regionale e di modifica
e integrazione di disposizioni legislative –
Collegato ordinamentale 2011"
(L.R.
21.02.2011 n. 3).
---------------
La presente legge
modifica/integra numerose
normative regionali in materia, tra l'altro,
di:
- B.U.R.L. (cfr. art. 3);
- cementi armati (cfr. art. 9);
- opere pubbliche di interesse regionale
(cfr. art. 10);
- legge regionale n. 12/2005 (cfr. art. 12);
- rifiuti (cfr. art. 15);
- inquinamento acustico (cfr. art. 16);
- emissioni in atmosfera (cfr. art. 17).
---------------
Collegato ordinamentale 2011 Regione
Lombardia: nuove modifiche alla legge
12/2005.
Nella seduta del 15.02.2001 il Consiglio
Regionale della Lombardia ha approvato il
cd. "Collegato ordinamentale 2011". Come si
legge nel comunicato stampa regionale,
Tra le novità previste, una nuova proroga ai
Comuni fino al 31.12.2012 per dotarsi
definitivamente del piano di governo del
territorio (PGT) e il via libera alle
deroghe eccezionali ai limiti
sull’inquinamento acustico oggi previste nel
caso essi dovessero mettere a repentaglio lo
svolgimento di eventi di rilievo
internazionali, come ad esempio i grandi
concerti.
Il “Collegato” equipara inoltre i
Centri culturali a carattere religioso agli
edifici di culto, prevedendo per la loro
realizzazione uno specifico percorso di
programmazione nei piani regolatori. Via
libera anche alla norma che dà la
possibilità ai Comuni di negare
l’autorizzazione ad aprire attività
commerciali nei centri storici se in
contrasto con il “decoro pubblico” e
le “tradizioni locali”.
Il “Collegato” recepisce inoltre la
direttiva europea Bolkestein sul commercio e
introduce norme di semplificazione
burocratica nell’edilizia e per lo
svolgimento di alcune attività, come ad
esempio la certificazione energetica, un
settore in espansione e al quale potranno
accedere adesso ai corsi formativi anche i
cittadini non iscritti a un albo.
Ancora una volta, dunque, l'ennesima
applicazione di quel vizio di tecnica
legislativa secondo cui con unica
disposizione si apportano importanti
modifiche a legislazioni del tutto diverse
tra loro, senza nessuna attenzione ai
complessi processi di implementazione della
normativa vigente, verso cui la stessa
Regione dichiara di voler prestare la
massima attenzione (v. Analisi
dell'attuazione delle leggi e valutazione
degli effetti delle politiche regionali sul
sito del Consiglio regionale).
Il collegato ordinamentale meriterebbe
un'analisi a sé. In ogni caso, le modifiche
relative alla legge n. 12 del 2005 sono
contenute nell'articolo 12, tra le quali
vanno segnalate:
- le modifiche dell'articolo 4 (Valutazione
ambientale dei piani), anche attraverso l'introdzione
del comma 3-bis, finalizzato a superare le
note perplessità relative alle procedure di
VAS e alla nomina dei relativi responsabili;
- la modifica dell'articolo 25 (Norma
transitoria), dove la data del 31.03.2010
per l'approvazione dei PGT é differita al
31.12.2012;
- la modifica dell'articolo 26 (Adeguamento
dei piani), cui dopo il comma 3-ter
dell’articolo 26 é aggiunto il comma
3-quater, secondo cui "I comuni che alla
data del 30.09.2011 non hanno adottato il
PGT non possono dar corso all’approvazione
di piani attuativi del vigente PRG comunque
denominati, fatta salva l’approvazione dei
piani già adottati alla medesima data”;
- l'introduzione dell'articolo 32-bis
(Adempimenti del comune), a norma del quale
"Nell’ambito delle procedure di cui ai
capi II e III, il comune, dietro
corresponsione dei diritti amministrativi e
delle spese dovuti, è tenuto a corredare
d’ufficio le domande di permesso di
costruire o le denunce di inizio attività di
tutti i certificati il cui rilascio è di sua
competenza”;
- la sostituzione del secondo comma
dell'articolo 41 (Interventi realizzabili
mediante denuncia di inizio attività), il
cui nuovo testo recita “2. Nel caso di
interventi assentiti in forza di permesso di
costruire o di denuncia di inizio attività,
è data facoltà all’interessato di presentare
comunicazione di eseguita attività
sottoscritta da tecnico abilitato, per
varianti che non incidano sugli indici
urbanistici e sulle volumetrie, che non
modifichino la destinazione d’uso e la
categoria edilizia, non alterino la sagoma
dell’edificio e non violino le eventuali
prescrizioni contenute nel permesso di
costruire. Ai fini dell’attività di
vigilanza urbanistica ed edilizia, nonché ai
fini del rilascio del certificato di
agibilità, tali comunicazioni costituiscono
parte integrante del procedimento relativo
al titolo abilitativo dell’intervento
principale e possono essere presentate al
comune sino alla dichiarazione di
ultimazione dei lavori.”;
- l'integrazione dell'articolo 71, in
materia di edifici di culto, cui dopo la
lettera c) del comma 1 è aggiunta la
disposizione c bis): "gli immobili
destinati a sedi di associazioni, società o
comunità di persone in qualsiasi forma
costituite, le cui finalità statutarie o
aggregative siano da ricondurre alla
religione, all’esercizio del culto o alla
professione religiosa quali sale di
preghiera, scuole di religione o centri
culturali”;
- la riscrittura del comma 1 dell’articolo
86, in materia di interventi sostitutivi in
caso di inerzia o di ritardi nel rilascio
dell'autorizzazione paesaggistica, il cui
nuovo testo dispone: "1. Qualora
l’autorizzazione paesaggistica non venga
rilasciata o negata dagli enti competenti
nei termini di legge, l’interessato può
richiederla in via sostitutiva, ai sensi
dell’articolo 146, comma 10, del d.lgs.
42/2004. Nel caso di richiesta alla Regione,
il Presidente della Giunta regionale o
l’assessore competente, se delegato,
provvede entro sessanta giorni dal
ricevimento della stessa, anche mediante un
commissario ad acta, scelto tra i soggetti
iscritti all’albo di cui all’articolo 31.”
(link a http://studiospallino.blogspot.com). |
DIPARTIMENTO
FUNZIONE PUBBLICA |
PUBBLICO IMPIEGO: Oggetto:
Art. 55-septies del decreto legislativo
30.03.2001, n. 165, introdotto dall'art. 69
del decreto legislativo 27.10.2009, n. 150 -
trasmissione per via telematica dei
certificati di malattia. Ulteriori
indicazioni
(nota
23.02.2011 n. 12338 di prot. - circolare n.
1/2011).
---------------
Certificati
online, sanzioni light. Medici puniti solo
per colpa, in modo graduale e proporzionale.
I contenuti della circolare firmata dal
ministro Brunetta sulla trasmissione
telematica.
Se non c'è colpa il medico non può essere
sanzionato per la mancata trasmissione
telematica dei certificati. E non c'è colpa,
per esempio, in caso di malfunzionamento del
sistema generale, cosa verificabile
dall'esame del cruscotto del Sac (sistema di
accoglienza centrale che gestisce l'invio di
tutti i certificati medici), che registra
ogni anomalia di funzionamento. Gradualità e
proporzionalità inoltre nell'applicazione
delle sanzioni sulla base dei criteri della
contrattazione collettiva. Che vuol dire per
esempio che non c'è reiterazione se dalla
precedente infrazione è trascorso un biennio
(così prevede il Ccnl 06.05.2010 dirigenza
medica e veterinaria). Infine, per strutture
o servizi privi dei necessari requisiti
tecnici, le regioni possono disapplicare
temporaneamente i procedimenti disciplinari.
È quanto precisa, tra l'altro, la circolare
n. 1/2011 firmata mercoledì dal ministro
della funzione pubblica, Renato Brunetta.
Certificati online.
La circolare affronta il problema della
sanzionabilità dei medici che non osservano
il nuovo obbligo della trasmissione online
dei certificati di malattia dei lavoratori.
Obbligo che, spiega la nota, dal 24.11.2010
è uniformemente applicabile al settore del
lavoro pubblico e privato anche negli
aspetti sanzionatori, a seguito dell'entrata
in vigore del collegato lavoro (legge n.
183/2010).
Quando c'è responsabilità.
In primo luogo la circolare ribadisce ciò
che il ministro Brunetta aveva informalmente
comunicato all'indomani dell'entrata in
vigore del regime sanzionatorio (si veda
ItaliaOggi del 2 febbraio). E cioè che
affinché si configuri un'ipotesi di illecito
disciplinare (questa la sanzione prevista a
carico dei medici che non rispettano
l'obbligo della trasmissione per via
telematica) devono ricorrere sia l'elemento
oggettivo (l'inosservanza dell'obbligo della
trasmissione telematica) sia l'elemento
soggettivo (dolo o colpa).
Quest'ultimo, spiega la circolare, è escluso
nei casi di malfunzionamento del sistema
generale, di guasti o malfunzionamenti del
sistema utilizzato dal medico, situazioni
che vanno considerate dalle aziende
sanitarie e dalle altre strutture
interessate ai fini dell'esercizio
dell'azione disciplinare. In altre parole,
per contestare al medico l'infrazione è
necessario che siano preliminarmente
acquisiti dall'amministrazione elementi
comprovanti anomalie di funzionamento,
verifica possibile anche mediante
consultazione del cruscotto di monitoraggio
del Sac.
Gradualità e
proporzionalità.
In secondo luogo la circolare spiega che
l'applicazione delle sanzioni deve avvenire
in base a criteri di gradualità e
proporzionalità previsti dagli accordi e
contratti collettivi di riferimento. Questo
vale anche nell'ipotesi di reiterazione
della condotta illecita, per la quale è
prevista la sanzione massima del
licenziamento per il dipendente pubblico e
della decadenza della convenzione per il
medico in convenzione.
La reiterazione, precisa la circolare, è da
intendersi come recidiva ovvero irrogazione
di successive sanzioni a carico di un
soggetto già sanzionato (per la mancata
trasmissione telematica del certificato).
Questa, però, va letta alla luce dei Ccnl, i
quali generalmente prevedono differenti
criteri di valutazione. Per esempio, il Ccnl
06.05.2010 fissa un arco temporale di due
anni ai fini della computabilità di più
illeciti (cioè per la reiterazione);
l'accordo 20.01.2005 relativo ai medici
specialisti ambulatoriali prevede termini
ancorati alla gravità dell'infrazione.
Infine, per agevolare l'applicazione della
nuova procedura, la circolare riconosce alle
Regioni la facoltà d'individuare strutture o
servizi per i quali ritenere non
sussistenti, per periodi limitati di tempo,
le condizioni tecniche necessarie all'avvio
dei procedimenti disciplinari.
Altri chiarimenti.
La circolare ministeriale, ancora, spiega
che per quanto riguarda la trasmissione del
certificato dalle strutture di pronto
soccorso, le strutture ospedaliere sono
tenute ad individuare le soluzioni tecniche
e organizzative più idonee a garantirne
l'applicabilità, in maniera tale che il
certificato possa essere predisposto e
inviato da parte del medico contestualmente
alla compilazione del verbale di pronto
soccorso.
E che, invece, i documenti elaborati dagli
ospedali all'atto del ricovero e della
dimissione possono continuare ad essere
rilasciati al lavoratore in forma cartacea,
sino all'attuazione di idonee soluzioni che,
al momento, sono allo studio di un tavolo
congiunto delle Regioni
(articolo ItaliaOggi
del 25.02.2011). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Oggetto: atto di indirizzo quadro
all'ARAN in attuazione del punto 5
dell'intesa per la regolazione del regime
transitorio conseguente al blocco del
rinnovo dei contratti collettivi nazionali
di lavoro nel pubblico impiego, sottoscritta
il 04.02.2011
(nota
18.02.2011 n. 10790 di prot.). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Oggetto: esonero dal servizio previsto
dall'art. 72 del d.l. 112 del 2008,
convertito in l. n. 133 del 2008 - regime
della "finestra mobile" previsto dall'art.
12 del d.l. n. 78 del 2010 (parere
UPPA 17.02.2011 n. 10081 di prot.). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Oggetto: Art. 7, comma 6, del decreto
legislativo 30.03.2011, n. 165. Incarichi
individuali conferiti dalle pubbliche
amministrazioni (parere
UPPA 20.01.2011 n. 202 di prot.). |
DOTTRINA E
CONTRIBUTI |
PUBBLICO IMPIEGO: L.
Levita,
L’abuso d’ufficio
(link a www.diritto.it). |
APPALTI FORNITURE E SERVIZI:
L. Bellagamba,
Servizi e forniture: se la stazione
appaltante indica in bando i costi della
sicurezza da non assoggettarsi a offerta
economica, l’offerente non è tenuto a
specificare nulla di proprio in sede di
offerta (interessante tesi del
Consiglio di Stato, ma il problema
interpretativo rimane) (link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
LAVORI PUBBLICI: L.
Bellagamba,
Lavori pubblici: la questione del “contratto
aperto” di manutenzione nel sistema in
economia
(link a www.linobellagamba.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
A. Cerreto,
L’estinzione del processo per inattività,
con particolare riferimento al giudizio
amministrativo (link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Rifiuti, L’intermediario, la categoria 8
dell’albo e l’efficacia dell’iscrizione
(link a www.ambientelegale.it). |
APPALTI:
A. Tadini,
La tracciabilità dei flussi finanziari
(link a www.filodiritto.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
L. Prati,
La nuova definizione di sottoprodotto ed il
trattamento secondo la “normale pratica
industriale” (link a
www.ambientediritto.it). |
APPALTI:
P. D'Angiolillo,
Il principio di “inammissibilità
implicita” delle offerte economiche
violative del canone di intangibilità degli
oneri per la sicurezza nei pubblici appalti
(note a margine della sentenza del TAR
Campania–Salerno, Sez. I, 01.10.2010 n.
11289) (link a
www.ambientediritto.it). |
PUBBLICO IMPIEGO:
C. Rapicavoli,
Utilizzo del mezzo proprio da parte dei
dipendenti degli enti locali - Chiarimenti
della Corte dei Conti (link a
www.ambientediritto.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
L. Venerando Giuffrida,
Questioni interpretative in tema di
autorizzazioni di impianti di oli minerali
(link a www.ambientediritto.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
G. Tapetto,
Rifiuti da manutenzione e da attività
sanitarie tra D.Lgs. 152/2006 e Sistri
(link a www.ambientediritto.it). |
URBANISTICA: M.
Bottone,
La nuova urbanistica della Regione Campania
(febbraio 2011). |
EDILIZIA PRIVATA: M.
Bottone,
Il nuovo piano casa della Regione Campania
(febbraio 2011). |
CORTE DEI
CONTI |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO:
La mobilità « dribbla» il turn
over. Il vincolo non ferma i passaggi tra
enti soggetti ai tetti di spesa.
Le procedure di mobilità tra enti sottoposti
a limitazioni sulle assunzioni non rientrano
nel limite del turn-over del 20% rispetto
alla spesa delle cessazioni dell'anno
precedente.
La Corte dei conti della Lombardia, con il
parere 16.02.2011 n. 80, fissa i
criteri e le regole per i trasferimenti del
personale nell'anno in corso, dopo che il
decreto legge della manovra estiva (Dl
78/2010) ha rivisto ancora una volta le
norme sul contenimento della spesa di
personale delle autonomie locali.
L'introduzione della possibilità di assumere
nel limite del 20% della spesa delle
cessazioni intervenute nell'anno precedente
ha spiazzato gli operatori. Da tempo infatti
gli enti soggetti a patto di stabilità non
avevano limitazioni alle assunzioni. Il
comma 557 della finanziaria 2007 decretava
infatti il con-tenimento della spesa di
personale senza mai individuare una regola
sul turn-over.
In altre parole, che l'entrata di un nuovo
dipendente fosse per mobilità o per accesso
dall'esterno della Pa, l'importante era
ridurre la spesa rispetto all'anno
precedente, senza vincoli numerici o «per
testa». Dal 2011 le cose cambiano. Oltre
al limite di spesa vi è anche la regola del
turn-over al 20 per cento.
La Corte dei conti a Sezioni riunite, con la
delibera n. 3 di quest'anno, ha ritenuto che
questo vincolo non si debba applicare agli
enti non soggetti a patto. Ma peri comuni
più grandi e per le province la questione
diventa urgente, soprattutto perla
possibilità di potersi "almeno"
avvalere delle procedure di mobilità. ... (articolo
Il Sole 24 Ore del 21.02.2011 -
link a www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI: Non
sono soggette a tagli le spese per la
mission istituzionale dell'ente.
Non sono soggette ai
tagli alle spese per incarichi esterni,
pubblicità, comunicazione, relazioni
esterne, convegni, mostre e rappresentanza,
imposti dalla manovra estiva 2010, quelle
derivanti dallo svolgimento di attività
strettamente connesse alla missione
istituzionale dell'ente.
Così la Corte dei conti, Sez. regionale di
controllo per la Liguria, col
parere
01.02.2011 n. 5,
ha ritenuto di esonerare l'Area marina
protetta «Isola di berteggi» dal
campo di applicazione dell'articolo 6, commi
7 e 8, del dl 78/2010, convertito in legge
122/2010, con una decisione i cui risvolti
dovrebbero, però, estendersi anche oltre il
confine dell'ente nei confronti del quale la
Corte si è pronunciata.
Infatti, il parere sostanzialmente enuncia
il principio dell'inapplicabilità dei tagli
trasversali disposti dalla manovra economica
estiva 2010 ad attività intimamente
connaturate alle competenze dell'ente, le
quali non possono che espletarsi mediante
proprio lo svolgimento di una delle funzioni
oggetto del pesantissimo taglio previsto
dalla norma, l'80% della spesa sostenuta al
medesimo titolo nel 2009.
Il parere 5/2011 della sezione Liguria
osserva che, nel caso di specie esaminato «l'attività
di studio e ricerca scientifica nel campo
delle scienze naturali e della tutela
ambientale nonché l'attività di promozione
dello sviluppo sostenibile dell'area
protetta costituiscono le missioni che
l'ente gestore deve realizzare e che sono
all'origine dell'istituzione dell'area
naturale».
In altre parole, proprio lo svolgimento di
studi e ricerche, accompagnati da convegni e
dalla comunicazione degli esiti «rappresentano
le funzioni principali e gli obiettivi
strategici perseguiti con la spesa pubblica»
gestita da quell'ente gestore dell'area
protetta. Tanto che studi, ricerche,
convegni, comunicazione «rappresentano, in
altre parole, il motivo fondante
dell'istituzione dell'area marina protetta
senza il quale la suddetta area naturale non
avrebbe motivo d'essere».
Da qui la conclusione: «ricomprendere,
quindi, nel campo di applicazione dei commi
7 e 8 succitati gli incarichi di studio e
l'attività promozionale posti in essere
nell'attività di gestione dell'area naturale
vorrebbe dire vanificare gli obiettivi e le
finalità per i quali l'area stessa è stata
istituita». Ma, questo ragionamento,
allora, può e, pare anche debba, estendersi
agli enti locali, per specifici settori
posti alla loro cura o, per utilizzare le
medesime espressioni del parere espresso
dalla sezione ligure, facenti parte della
loro missione.
È di planare evidenza che la gestione di
funzioni come la cultura, lo spettacolo, il
turismo, l'istruzione, la formazione, tutte
espressamente attribuite alle competenze di
comuni e province dal dlgs 267/2000 e dalle
leggi regionali di attuazione del
decentramento amministrativo fissato dal
dlgs 112/1998, per loro natura richiedano
proprio spese per manifestazioni, mostre,
convegni, con relativa pubblicità e campagne
di comunicazione. Molti comuni gestiscono
direttamente biblioteche, musei, gallerie
d'arte, attivano stagioni teatrali, musicali
e di spettacolo in appoggio al turismo.
Attività integralmente costruite proprio su
una tipologia di spesa rientrante tra quella
falcidiata dalla manovra. Seguendo il
ragionamento proposto dalla Corte della
Liguria vi sarebbero fondate ragioni,
allora, per escludere tali spese dal taglio
(articolo ItaliaOggi
del 25.02.2011 - link a www.corteconti.it). |
LAVORI PUBBLICI: Nessuna
scusante per il dipendente che diventa
direttore dei lavori.
Il dipendente che svolge
il compito di direttore dei lavori ha il
dovere di vigilare sulla corretta esecuzione
da parte della impresa aggiudicataria. Egli
risponde direttamente, in termini di
maturazione di responsabilità
amministrativa, nel caso in cui i lavori non
siano stati eseguiti per come previsto dal
capitolato e non ha evidenziato tali
inadempienza. Non può invocare come scusante
né la scarsa esperienza, né la difficoltà di
accesso ai luoghi in cui i lavori sono stati
eseguiti, né il sommarsi dell'incarico di
direttore lavori e responsabile del
procedimento.
Sono questi i principi dettati dalla II Sez.
giurisdizionale centrale d'appello della Corte dei conti del
Lazio nella
sentenza
27.01.2011 n. 52, con cui è stata
disposta la condanna di un dipendente di
ufficio tecnico comunale direttore di lavori
che non ha vigilato adeguatamente sul
corretto svolgimento degli stessi in
relazione alle prescrizioni dettate dal
capitolato.
Ovviamente i danni maturano anche nel caso
in cui il finanziamento dell'opera è stato
disposto da un'altra pubblica
amministrazione, tanto più nel caso in cui
la stessa si rivalsa sul comune tagliando il
finanziamento in relazione ai lavori non
effettivamente svolti. Siamo in presenza di
un principio che ascrive direttamente alla
responsabilità del dipendente i danni che si
sono determinati a seguito della sua
condotta quale direttore dei lavori.
In altri termini, per i magistrati contabili
costituisce una colpa grava la violazione
dei normali doveri di ufficio ovvero della
ordinaria diligenza e competenza tecnica che
il dipendente deve dimostrare di possedere e
deve concretamente esercitare a tutela
dell'interesse dell'amministrazione alla
puntuale e corretta esecuzione dei lavori da
parte dell'impresa aggiudicataria.
Il fatto che lo stesso abbia sommato la
responsabilità del procedimento e la
direzione dei lavori non costituisce una
ragione che possa essere invocata per
escludere la colpa grave, mentre se ne è
tenuto conto nell'ambito del potere
riduttivo della sanzione.
La sentenza aggiunge che «non appare
idonea ad escludere la colpa grave la
scusante della difficoltà dell'opera e la
circostanza che la stessa sia stata
realizzata in luoghi difficilmente
raggiungibili, in quanto le carenze nello
svolgimento dell'incarico di direttore dei
lavori, relative sia alla tenuta della
documentazione, sia al controllo e alla
verifica dell'esecuzione delle opere da
parte della ditta appaltatrice appaiono
macroscopiche. Infatti, come emerge dagli
analitici rilievi effettuati dagli ispettori
regionali, nonché dai successivi
accertamenti svolti dalla guardia di finanza
su incarico del giudice territoriale, la
discordanza fra i lavori effettuati e quelli
indicati nel progetto e le relative
contabilizzazioni era particolarmente
vistosa e non potevano sfuggire ad un
direttore dei lavori che avesse usato la
benché minima diligenza, tanto più che era
stato anche il progettista dell'opera».
La sentenza chiarisce infine «che la
presunta illegittimità della nomina del
medesimo a responsabile del procedimento non
appare rilevante nella fattispecie sia
perché il medesimo ha accettato e svolto
l'incarico, sia perché il fatto produttivo
del danno riguarda in modo specifico le sue
competenze di direttore dei lavori»
(articolo ItaliaOggi
del 25.02.2011 - link a www.corteconti.it). |
INCARICHI PROFESSIONALI:
Consulenze esterne: solo se
esulano dalle competenze del personale.
L’interessante sentenza della Corte dei
Conti affronta l’annosa questione degli
incarichi e delle consulenze esterne, sempre
più spesso conferite, senza alcun criterio
di economicità e buon andamento per la
pubblica amministrazione (art. 1 della Legge
241/1990).
La vicenda riguarda la (CRIAS) Cassa
regionale per il credito alle imprese
artigiane siciliane, che in assenza di atti
deliberativi e senza procedure di evidenza
pubblica, conferisce alla SDA soluzioni di
azienda snc svariati servizi di consulenza.
Il Collegio dei revisori dei conti della (CRIAS)
segnala alla Procura regionale della Corte
dei Conti, tali irregolarità gestionali, che
non tengono conto delle professionalità e
delle competenze del personale in servizio,
e che risultano prive di atti deliberativi.
Il Consiglio di amministrazione dell’ente
non è stato mai informato, in violazione
dell’art. 13 dello Statuto della CRIAS, che
ne prevede l’esclusiva competenza per la
delibera degli atti di ordinaria e
straordinaria amministrazione.
E’ bene evidenziare che l’ordinamento
attribuisce ad un soggetto terzo, il P.M.
contabile, una legittimazione generale alla
tutela della finanza pubblica mediante
conferimento dello “ius postulandi”
nell’ipotesi di responsabilità patrimoniale
per i soggetti legati da un rapporto di
servizio, per danni arrecati nell’esercizio
delle funzioni ad esse affidate. L’interesse
dell’amministrazione danneggiata, nei
confronti dei convenuti in giudizio, assume
il ruolo di creditrice di un diritto
indisponibile, perché sotteso ad un
interesse pubblico.
La CRIAS istituita con legge regionale
50/1954 si configura come ente pubblico
economico strumentale della Regione
Siciliana, dotato di personalità giuridica
di diritto pubblico, ed avente come oggetto
della sua attività la concessione di
finanziamenti alle imprese artigiane.
Ha
quindi natura sia strumentale che di
servizio, e la sua caratterizzazione, anche
pubblicistica, scaturisce dalla presenza di
poteri di controllo di legittimità degli
atti di amministrazione, da parte
dell’Assessorato regionale della
cooperazione, del commercio,
dell’artigianato e della pesca, compresa
l’approvazione del bilancio, talché si deve
ritenere la natura pubblicistica dell’ente.
Gli atti che sono stati contestati dal P.M.
risultano giuridicamente inefficaci (ossia
nulli), poiché mai deliberati né mai inviati
al controllo di legittimità, attività di
controllo che risulta comunque soggetta alla
giurisdizione della Corte dei Conti (art. 3,
Legge 97/2001) (Corte dei Conti, Sez.
giurisdiz. Sicilia,
sentenza 04.08.2010 n. 1807 -
link a www.altalex.com). |
NEWS |
VARI:
Rinnovo patente di guida, attenzione alla
certificazione medica.
Novità per la certificazione medica relativa
al conseguimento o al rinnovo della patente
di guida. Il Ministero delle infrastrutture
e trasporti, con decreto del 31.01.2011 ha
disciplinato le modalità di trasmissione
della certificazione medica per il
conseguimento e il rinnovo della patente di
guida.
Obiettivo è quello di individuare procedure
che consentano di risalire con certezza al
medico che rilascia la certificazione di
idoneità fisica e psichica, da allegare alla
domanda per il conseguimento o il rinnovo
della patente, per garantire che egli abbia
i requisiti previsti dalla legge.
Ai fini del rilascio del certificato di
idoneità fisica e psichica necessario per il
conseguimento della patente di guida, nonché
di quello necessario al rinnovo di validità
della stessa, i medici appartenenti ad
amministrazioni devono richiedere un codice
di identificazione all'ufficio della
motorizzazione competente per territorio (in
base al luogo dove ha sede l'ufficio al
quale appartengono); il codice è riportato
in calce alle certificazioni insieme al
timbro ed alla firma del medico
certificatore ed all'indicazione
dell'ufficio di appartenenza dello stesso.
Le amministrazioni comunicano al centro
elaborazioni dati della Direzione generale
per la motorizzazione ogni evento dal quale
derivi cessazione del rapporto. Anche i
medici militari in quiescenza, o non più
appartenenti alle strutture per motivi
diversi dallo stato di quiescenza per il
rilascio di certificazioni devono richiedere
un codice di identificazione all’ufficio
della motorizzazione competente per
territorio, da riportare sulle
certificazioni con la firma del medico.
La richiesta del codice deve essere
accompagnata da una dichiarazione relativa
allo stato del certificatore, ad esempio non
essere stato destituito dall’incarico per
motivi disciplinari o a seguito di condanne
penali, né dispensato dal servizio per
infermità.
Fino alla data del 31.08.2011 i medici
appartenenti alle amministrazioni possono
rilasciare i certificati di idoneità
psico-fisica secondo le modalità precedenti
alla riforma (link a www.governo.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Modifiche alla disciplina su rifiuti e pile.
Pile ed accumulatori non più rispondenti ai
requisiti comunitari ma immesse sul mercato
prima del 26.09.2008 potranno continuare ad
essere commercializzate ma solo a
particolari condizioni a carico dei
produttori.
A tale riguardo, lo schema di decreto,
approvato in via definitiva dal Consiglio
dei ministri del 09.02.2011, prevede:
l’obbligo per i produttori di nuove batterie
di denunciare annualmente alle Camere di
Commercio i dati relativi a pile e
accumulatori immessi sul mercato nazionale
nell’anno precedente; l’obbligo, per i
sistemi collettivi di finanziamento, della
gestione dei relativi rifiuti di iscriversi
all’elenco tenuto dalle stesse Camere.
Le Camere di Commercio dovranno comunicare
all’ISPRA l’elenco dei sistemi collettivi
che, a sua volta, dovrà trasmettere al
Ministero dell’ambiente i dati relativi alla
raccolta ed al riciclaggio. Destinatari
dell'intervento normativo sono, quindi, i
produttori che hanno legalmente immesso sul
mercato prima del 26.09.2008 pile ed
accumulatori non conformi ai requisiti
previsti dalla direttiva 2006/66/CE ed il
Centro di Coordinamento, cui sono demandati
nuovi compiti in luogo del Comitato di
vigilanza e controllo, mentre l'attività di
monitoraggio è affidata all'ISPRA.
Il decreto legislativo approvato che
modifica la disciplina nazionale (DLgs n.
188/2008) di recepimento della direttiva
europea 2006/66 in materia di mercato,
raccolta e riciclaggio di pile ed
accumulatori mira anche a conseguire un
miglior coordinamento delle norme in esso
previste, anche alla luce dei più recenti
dettati comunitari in materia (direttiva
2008/103), ed alla decisione della
Commissione 2009/603/CE del 05.08.2009,
concernente gli obblighi di registrazione
dei produttori (link a www.governo.it). |
ENTI LOCALI: OSSERVATORIO
VIMINALE/ SERVIZI LOCALI/ Vecchie poltrone a
rischio. Revocabile l'amministratore della
partecipata. Il regolamento attuativo
costringe il sindaco a scegliere.
Premesso che la nomina
su designazione diretta degli amministratori
di una società interamente partecipata dal
comune viene effettuata con decreto del
sindaco ai sensi dell'art. 2449 codice
civile cui, per prassi consolidata, segue la
delibera dell'assemblea della società, quale
disciplina normativa si applica nel caso in
cui le norme di incompatibilità introdotte
dal dpr n. 168 del 07/09/2010, recante il
regolamento in materia di servizi pubblici
locali, di attuazione dell'art. 23-bis,
legge n. 133/2008, siano entrate in vigore
dopo l'emanazione del provvedimento di
nomina del sindaco ma prima dell'adozione
della delibera da parte dell'assemblea
societaria?
La questione si pone in relazione
all'operatività delle disposizioni
richiamate che, essendo applicabili alle
nomine e agli incarichi da conferire
successivamente alla data di entrata in
vigore del regolamento (art. 8, comma 9 del
dpr), troverebbero attuazione nei confronti
di taluni amministratori locali, qualora il
decreto sindacale non avesse di per sé
efficacia costitutiva delle nomine in
questione.
Si tratta di esaminare la valenza giuridica
da attribuire alla delibera assembleare che
è adottata anche dopo la nomina diretta
degli amministratori con decreto del
sindaco.
Sotto un profilo strettamente giuridico,
supportato da principi evidenziati dalla
giurisprudenza amministrativa e contabile,
la nomina ai sensi dell'art. 2449 c.c. ha
valenza ed efficacia autonoma, a prescindere
da una successiva delibera dell'assemblea,
sia essa assunta in termini di ratifica o
presa d'atto della stessa.
La designazione diretta degli amministratori
ex art. 2449 c.c. e la nomina degli stessi
per effetto della delibera dell'Assemblea
societaria sono procedure di nomina distinte
tra loro, equivalenti ma alternative; ciò
emerge dalla pronuncia della Corte dei
conti, sezione regionale di controllo per la
Calabria n. 17/2010 secondo cui la citata
disposizione normativa riguarda un diritto
di nomina extra assembleare dello stato o di
altro ente pubblico socio.
Nell'esercizio di tale diritto «il
sindaco, nella qualità di legale
rappresentante del comune, nomina o designa
gli amministratori e i componenti del
collegio sindacale per i quali lo statuto
degli enti o delle società partecipate
preveda tale facoltà, anche ai sensi degli
artt. 2449 e 2450 cod. civ.
Nell'esercizio di tali poteri il sindaco
deve, comunque, conformarsi agli indirizzi
del consiglio comunale, ai sensi dell'art.
42, comma 2, lettera m) del Tuel», che
ne contempla la competenza all'approvazione
degli indirizzi per le nomine da parte del
sindaco.
In tal senso anche la sentenza della
Cassazione civile, sezioni unite 4309/2010
che, con riguardo alle società per azioni a
partecipazione pubblica, afferma che esse
restano regolate dalle citate norme del
codice civile che di per sé «non valgono
a configurare uno statuto speciale per dette
società, salvo per i profili inerenti alla
nomina e revoca degli organi sociali,
specificamente ivi contemplati, né comunque
investono il tema della responsabilità di
detti organi, che resta disciplinato dalle
ordinarie norme previste dal codice civile»
(cfr. art. 2449 c.c., comma 2 a tenore del
quale anche i componenti degli organi
amministrativi e di controllo di nomina
pubblica «hanno i diritti e gli obblighi
dei membri nominati dall'assemblea»).
Alla luce delle intervenute disposizioni in
materia di incompatibilità, ferma restando
la validità del decreto di nomina, il
sindaco può, tuttavia, valutare
l'opportunità di esercitare il potere di
revoca se previsto dallo statuto societario;
in tal caso un'eventuale provvedimento di
sostituzione diretta deve tenere conto del
nuovo regime di incompatibilità ed essere
comunque esercitato nel rispetto degli
indirizzi stabiliti dal consiglio comunale,
dandone comunicazione allo stesso.
In merito il Tar Calabria, Catanzaro, sez.
II, 18/02/2006 n. 1984, ha affermato che il
socio pubblico, nell'effettuare «la
revoca di un amministratore nominato con
provvedimento diretto del socio pubblico ex
art. 2449 cod. civ. «esercita un potere
analogo a quello assembleare, in qualità di
socio, e incide su organi che operano
secondo il diritto privato»
(articolo ItaliaOggi
del 25.02.2011 - tratto da
www.corteconti.it). |
PUBBLICO IMPIEGO: Solo
valutatori doc. Il capo di gabinetto fuori
dall'Oiv. La figura costituisce un alter ego
tecnico del sindaco.
Il capo di gabinetto non
può far parte dell'Organismo indipendente di
valutazione. Tra gli enti locali che hanno
deciso di applicare, per quanto non
obbligati, l'articolo 14 della legge
Brunetta (dlgs 150/2009) si è ingenerata
notevole confusione in merito ai soggetti
che possono essere incaricati nell'organismo
medesimo.
Alla situazione di
incertezza ha certamente contribuito anche
la Civit, la quale ha ripetutamente ritenuto
impossibile la partecipazione agli Oiv dei
segretari comunali, considerandoli carenti
del requisito dell'indipendenza. Essa
sarebbe esclusa dalla derivazione diretta
dell'incarico del segretario comunale dal
sindaco o dal presidente della provincia. A
maggior ragione, il direttore generale non
potrebbe essere parte dell'Oiv, anche perché
la Civit ha rilevato problemi di conflitto
di interessi tra valutatore e valutato,
posto che l'Oiv dovrebbe anche valutare i
risultati del segretario e del direttore.
Le tesi esposte dalla Civit sono tutt'altro
che persuasive, con riferimento al
segretario comunale in particolare. Infatti,
la circostanza che detto funzionario sia
incaricato dal sindaco non ne compromette
per nulla l'indipendenza. Basti considerare
che il segretario dipende solo
funzionalmente dal sindaco, poiché conduce
il proprio rapporto di lavoro con il
ministero dell'interno.
Non altrettanto può dirsi per il direttore
generale, figura eventuale e non
obbligatoria come il segretario, che deve
integralmente all'organo di governo
l'insorgere del proprio ruolo e delle
proprie funzioni, tanto da essere chiamato
espressamente dall'articolo 108, comma 1,
del dlgs 267/2000 ad «attuare gli
indirizzi e gli obiettivi stabiliti dagli
organi di governo dell'ente, secondo le
direttive impartite dal sindaco o dal
presidente della provincia».
La connessione tra direttore generale e
organi di governo è strettissima, tanto che,
sebbene la giurisprudenza amministrativa
abbia negato la sua configurazione quale
organo politico, nei comuni di grandi
dimensioni spessissimo il direttore generale
funziona da assessore aggiunto e
l'incaricato ha un'evidentissima carriera
politica alle sue spalle. Se, allora, è da
escludere per il direttore generale la
possibilità astratta stessa di far parte
dell'Oiv, a maggior ragione è in totale
contrasto con il requisito di indipendenza
l'incarico del capo di gabinetto,
all'interno dell'Organismo.
La figura del capo di gabinetto, infatti, da
un lato non solo è eventuale, ma non è
nemmeno espressamente prevista dalla legge,
essendo rimessa totalmente all'autonomia
organizzativa dell'ente. La funzione del
capo di gabinetto del sindaco non può che
essere analoga a quella delle simili figure
previste nell'ordinamento dei ministeri. Ha,
dunque, prevalentemente il compito di
definire e dirigere gli uffici di diretta
collaborazione degli organi di governo, fare
da raccordo tra le funzioni di indirizzo
politico e quelle gestionali, nel rispetto
dell'autonomia dei dirigenti, e supportare
l'organo di governo nello svolgimento delle
proprie specifiche funzioni strettamente
politiche.
Non vi è dubbio alcuno, dunque, che si
tratti di una figura legata
strettissimamente al sindaco, del quale
costituisce un alter ego tecnico, ma anche
politico. Il capo di gabinetto viene
istituto negli enti locali sulla base
dell'articolo 90 del dlgs 267/2000, ai sensi
del quale «il regolamento
sull'ordinamento degli uffici e dei servizi
può prevedere la costituzione di uffici
posti alle dirette dipendenze del sindaco,
del presidente della provincia, della giunta
o degli assessori, per l'esercizio delle
funzioni di indirizzo e di controllo loro
attribuite dalla legge».
Il capo di gabinetto, dunque, da un lato
collabora con gli organi politici solo per
supportarli nell'esercizio delle funzioni di
controllo che la legge assegni alla loro
competenza: e tra queste non rientra
assolutamente la funzione di valutazione.
Dall'altro, l'articolo 90 esplicita una
dipendenza diretta da sindaco, presidente
della provincia, giunta o singolo assessore:
basta questo da solo per escludere in radice
l'indipendenza, richiesta dall'articolo 14,
comma 8, del dlgs 150/2009, la quale non è
assicurata dalla mera circostanza che
l'incaricato nell'Oiv non conduca da almeno
tre anni incarichi pubblici elettivi o
cariche in partiti politici o in
organizzazioni sindacali.
L'indipendenza implica l'assoluta assenza di
un collegamento sia gerarchico, sia
funzionale, e richiede anche l'assenza di un
rapporto fiduciario o di condivisione
politica. Nessuno di questi elementi
caratterizzano il capo di gabinetto, la cui
presenza nell'Oiv non può che inficiarne
gravemente l'indipendenza e la stessa
legittimità dei provvedimenti adottati
(articolo ItaliaOggi
del 25.02.2011 - link a www.corteconti.it). |
PUBBLICO IMPIEGO: I
nuovi Ccnl sbloccheranno la valutazione.
La nuova stagione dei contratti collettivi
nazionali di lavoro sbloccherà il sistema
delle fasce di valutazione di cui
all'articolo 19 del dlgs 150/2009,
sterilizzato dall'intesa del 04.02.2011.
La lettera circolare 17/02/2011, n. 1,
firmata dal ministro Renato Brunetta, cerca
di mettere in chiaro le questioni connesse
all'applicabilità della riforma del pubblico
impiego, dopo il recente accordo con i
sindacati, che blocca il funzionamento di
uno degli strumenti maggiormente rilevanti,
cioè la distinzione obbligatoria dei
dipendenti in tre fasce di valutazione e di
incentivazione.
Si sottolinea, nella nota, che l'intento
dell'intesa del 4 febbraio scorso è evitare
gli effetti che deriverebbero ai lavoratori
se si applicasse il citato articolo 19: la
riduzione, anche rilevante, della
retribuzione comprensiva anche del salario
accessorio, rispetto a quanto percepito dal
2010. È per questa ragione che le fasce di
valutazione varranno solo per la
distribuzione delle risorse aggiuntive ai
contratti collettivi, in attuazione
dell'articolo 61, comma 17, del dl 112/2008,
convertito in legge 133/2008.
E, precisa la nota, questo effetto si
produrrà solo per le amministrazioni
destinatarie di tale articolo 61, comma 17,
cioè amministrazioni statali ed enti
nazionali. La nota, dunque, implicitamente
esclude regioni, enti locali ed enti del
sistema sanitario nazionale tra quelli
abilitati ad applicare il sistema delle
fasce alle sole risorse aggiuntive, posto
che tali risorse per gli enti non
appartenenti ai comparti statali non sono
previste.
Questa osservazione ha portato di recente il
presidente della Conferenza delle regioni e
delle province autonome, Vasco Errani, a
concludere che regioni ed enti del sistema
sanitario nazionale (ma si possono
aggiungere anche gli enti locali) potranno
applicare il sistema delle fasce solo dopo
il 2013, quando i nuovi contratti collettivi
nazionali di lavoro sbloccheranno le fasce,
come per altro la nota circolare 1/2011
indirettamente conferma.
Il ministro Brunetta, comunque, nella nota
1/2011 ricorda che, sempre solo per le
amministrazioni statali, hanno perso
efficacia tutti i contratti collettivi
decentrati non adeguati alle norme del dlgs
150/2009, sicché risultano pienamente
operativi e attuabili tutti gli strumenti
previsti dalla riforma finalizzati a
valorizzare il merito e la professionalità.
Implicitamente, la nota riafferma la piena
vigenza anche delle nuove relazioni
sindacali, visto che richiama le indicazioni
espresse dalla funzione pubblica con la
circolare 7/2010. La questione delle
relazioni sindacali, comunque, è stata di
recente oggetto della direttiva rivolta
all'Aran per avviare la stipulazione
dell'accordo quadro previsto dal punto 5
dell'intesa del 4 febbraio.
Inoltre, costituisce espresso oggetto anche
dello schema di decreto legislativo di
interpretazione autentica dell'articolo 65
del dlgs 150/2009, volto a chiarire
l'immediata applicabilità della riforma,
anche nelle more della sottoscrizione dei
nuovi contratti collettivi nazionali di
lavoro (articolo ItaliaOggi del 25.02.2011). |
APPALTI:
Pubblica amministrazione.
Tracciabilità semplificata. Meno dati per il
codice di gara.
Dieci click al posto di
quarantadue. La richiesta del Cig il numero
di identificazione dell'appalto rilasciato
dall'Autorità di vigilanza sui contratti
pubblici, sarà più semplice: le informazioni
che il sistema informatico pretenderà dalle
stazioni appaltanti saranno drasticamente
ridotte per passare dalle attuali 42 a sole
dieci.
Ad annunciare la semplificazione,- che è in
fase di progettazione - è stato il
presidente dell'Autorità, Giuseppe Brienza
nell'audizione che si è svolta martedì alla
commissione Ambiente della Camera.
Brienza ha fatto il punto sull'applicazione
della legge antimafia (la n. 136/2010 in
vigore dal 7 settembre) che per tutti gli
appalti pubblici ha abolito il contante e ha
reso obbligatoria la tracciabilità dei
pagamenti. La semplificazione serve a
rendere più veloce l'accesso al sistema
informatico (Simog): le informazioni da
immettere per avere il Cig (codice
identificativo gara) e quindi ... (articolo
Il Sole 24 Ore del 24.02.2011 -
link a www.corteconti.it). |
PUBBLICO IMPIEGO:
L'Unità d'Italia si paga. Con
l'anticipazione al 17 di marzo della
retribuzione del 4 novembre i lavoratori
perdono comunque una giornata di stipendio.
Giornata festiva, ma non pagata ai
lavoratori, per le celebrazioni del 150
dell'unità d'Italia. Scuole, uffici e
fabbriche resteranno chiusi il 17 marzo,
senza obbligo per i datori di lavoro di
retribuire la giornata ai dipendenti.
I lavoratori delle imprese private,
tuttavia, manterranno costante lo stipendio,
poiché riceveranno in anticipo la giornata
incassata in più normalmente a novembre per
la festività del 4 novembre (sullo stipendio
di novembre poi riceveranno la giornata in
meno). Non invece colf, badanti, portieri e
dipendenti degli studi professionali i
quali, invece, quel giorno potranno soltanto
riposare.
La novità arriva dal dl 5/2011, in G.U. n.
44 di ieri, che dichiara giornata festiva
l'anniversario dell'unità d'Italia. Giorno
festivo. Il dl stabilisce che il 17 marzo
(festa nazionale) deve considerarsi anche
festivo ai sensi degli art. 2 e 4 della
legge 260/1949.
Valgono dunque due cose: «l'osservanza
del completo orario festivo e il divieto di
compiere determinati atti giuridici»
(art. 2) e l'obbligo di imbandierare gli
edifici pubblici (art. 4). Il provvedimento,
invece, non richiama l'art. 5 della legge
260/1949, che disciplina il trattamento
economico da riservare alle festività. La
conseguenza è doversi ritenere, il prossimo
17 marzo, una giornata festiva ma senza
diritto alla retribuzione.
Chi paga la giornata? Per equilibrare la
giornata di festa non retribuita il dl
prevede una soluzione ad hoc: «gli
effetti economici e gli istituti giuridici e
contrattuali previsti per la festività
soppressa del 4 novembre non si applicano a
tale ricorrenza ma, in sostituzione, alla
festa nazionale per il 150 anniversario
dell'unità d'Italia», ossia al 17 marzo.
La soluzione è prevista ... (articolo
ItaliaOggi del 24.02.2011 - link
a www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI - VARI:
Arriva la cedolare sugli affitti.
E dal 2014 l'Imu sostituirà l'Ici.
L'arrivo della cedolare
sui redditi degli affitti, con un risparmio
per i proprietari, ma anche lo sblocco delle
addizionali Irpef e l'arrivo della tassa di
soggiorno sui turisti, che comporteranno un
aggravio fiscale. E poi: una vera e propria
rivoluzione sul fronte della tassazione
immobiliare, con l'Ici che va in soffitta e
che viene sostituita dall'Imu, la nuova
imposta municipale.
Sono i contenuti del decreto sul federalismo
municipale che ieri ha avuto il via libera
dall'aula del Senato.
CEDOLARE.
Scatta dall'inizio del 2011. Riguarda i soli
immobili affittati a uso abitativo. Al posto
dell'attuale tassazione Irpef e dell'imposta
di registro, arriva un prelievo fisso del
21% (al 19% per i canoni agevolati). La
convenienza ad utilizzare la cedolare scatta
per chi ha redditi sopra i 15mila euro (ma
sopra i 28mila euro peri canoni agevolati).
Rimane comunque possibile continuare a
tassare il reddito con l'Irpef.
AFFITTI.
Saltata l'ipotesi di un bonus per gli
inquilini, arriva il blocco degli affitti
che, per chi sceglie la cedolare, non
potranno essere nemmeno essere ade-guati al
costo della vita Istat.
SBLOCCO ADDIZIONALE IRPEF.
Arriva lo sblocco dell'addizionale Irpef.
L'aumento non potrà superare lo 0,4%.
COMPARTECIPAZIONE IVA E
FONDO PEREQUATIVO.
Compartecipazione all'Iva al consumo e non
più all'Irpef. Quote di altri tributi
vengono devolute ai Comuni per il 30% e
serviranno anche ad alimentare un «fondo
perequativo» per bilanciare eventuali
squilibri fiscali.
ADDIO ICI, ARRIVA L'IMU.
Dal 2014 l'Ici sulle seconde case sarà
sostituita dall'Imposta Municipale Propria.
L'aliquota di equilibrio é fissata al 7,6
per mille.
TASSA TURISMO.
Arriva la tassa sui turisti che potrebbero
dover pagare fino a 5 euro per notte per il
soggiorno in capoluoghi, nei Comuni
turistici e nelle città d'arte.
TASSA RIFIUTI.
Ora si paga sui metri quadrati, la riforma
preannuncia l'arrivo di un decreto ad hoc
che riorganizzi il tributo guardando anche
alla composizione nel nucleo familiare.
LOTTA A EVASIONE.
Inasprite le norme per chi non dichiara
redditi da locazione: metà dell'incasso
andrà ai Comuni. ... (articolo
Avvenire del 24.02.2011 - link a
www.corteconti.it). |
PUBBLICO IMPIEGO:
No a maggiorazioni sulla
buonuscita. Nota Inpdap sulla contribuzione.
Nessuna maggiorazione
contributiva sulla buonuscita (tfs, tfr).
Sia che il dipendente lavori per 15 giorni
almeno (con diritto a un mese intero di
buonuscita) sia che lavori di meno (nessun
diritto alla buonuscita) il contributo da
pagare va calcolato sulla retribuzione
effettivamente erogata.
Lo precisa l'Inpdap nella
nota operativa 17.02.2011 n. 5/2011.
I chiarimenti riguardano la novità operativa
da quest'anno che vede i dipendenti pubblici
equiparati (quasi) pienamente ai lavoratori
del settore privato, con l'estensione delle
modalità di calcolo del tfr per ogni
tipologia di buonuscita (si veda ItaliaOggi
del 4 febbraio).
La novità, spiega l'Inpdap, non modifica le
voci retributive utili ai fini del calcolo
della prestazione, né le aliquota di
finanziamento. Pertanto, per i lavoratori in
regime di Ibu (indennità di buonuscita ex
Enpas) il contributo, pari al 9,60% della
retribuzione contributiva (che è l'80% della
retribuzione utile) resta ripartito per la
quota pari al 7,10% a carico
dell'amministrazione ... (articolo
ItaliaOggi del 22.02.2011 - link
a www.corteconti.it). |
APPALTI:
Nessun appalto sfugge al vincolo
di tracciabilità. La registrazione è estesa
a tutti i nuovi contratti.
Non sono bastate due determinazioni a
chiarire i dubbi applicativi in materia di
tracciabilità dei flussi finanziari e, a
meno di un mese dall'emanazione dell'atto n.
10 del 22.12.2010, l'Autorità di vigilanza
sui contratti ha pubblicato anche i quesiti
operativi più frequenti (Faq).
La tracciabilità è il tema che più di ogni
altro, in queste settimane, scalda il clima
negli enti locali e non solo, viste le
complesse implicazioni anche per i soggetti
economici. Trai punti più sofferti c'è
l'inesistenza di un limite di importo.
La legge prevede, infatti, che i nuovi
obblighi si applichino a tutti i contratti
di appalto di lavori, servizi e forniture
tra un committente pubblico e un operatore
economico, indipendentemente dalle procedure
di affidamento (gara, servizi in economia
eccetera) e senza differenza fra modalità di
stipula del contratto (contratto formale,
ordine a seguito di offerta eccetera). La
portata applicativa della nuova disciplina,
quindi, è ampia e comprende anche i
contratti relativi a piccole forniture o a
servizi di modico valore, acquistati in
economia.
L'altro punto delicato è rappresentato
dall'esclusione dagli obblighi di
tracciabilità degli acquisti effettuati
utilizzando il fondo economale, per spese di
carattere occasionale ed urgente. A
condizione, però: che non si tratti di spese
effettuate a fronte di contratti di appalto;
che gli acquisti siano tipizzati nel
regolamento di contabilità o di economato e
nel rispetto dei limiti di spesa che l'ente
si è dato nel regolamento della cassa
economale.
Problematica anche la strada dell'esclusione
dalla tracciabilità dello svolgimento di
prestazioni di lavori, servizi e forniture
in economia, tramite amministrazione diretta
ex articolo 125, comma 3 del Codice dei
contratti. Anche in questi casi -in cui la
stazione appaltante provvede all'esecuzione
di opere con materiali, mezzi e personale
... (articolo
Il Sole 24 Ore del 21.02.2011 -
link a www.corteconti.it). |
GIURISPRUDENZA |
APPALTI:
Sull'obbligo, in capo ad
un'impresa concorrente in una gara
d'appalto, di rispettare il requisito di
regolarità contributivo per tutta la durata
della procedura.
Sulla competenza degli enti previdenziali in
ordine alla verifica della regolarità
contributiva da parte dei concorrenti in una
gara d'appalto.
Secondo consolidata giurisprudenza
amministrativa, il requisito della
regolarità contributiva deve essere un
elemento costante nella condotta del
concorrente in una gara pubblica, che
concorre a provare l'affidabilità, diligenza
e serietà dell'impresa.
Ne discende che alla stessa vengano
richiesti, non solo la regolarità
contributiva come requisito indispensabile
per la partecipazione alla gara, ma anche il
mantenimento della "correntezza"
contributiva per tutto lo svolgimento di
essa, restando irrilevante un eventuale
adempimento tardivo della relativa
obbligazione.
In tal senso, anche la l'Autorità per la
Vigilanza sui Contratti Pubblici, nel
richiamare l'orientamento giurisprudenziale
prevalente, ai sensi del quale l'impresa
deve essere in regola con i relativi
obblighi fin dalla presentazione della
domanda, ritiene "irrilevanti eventuali
adempimenti tardivi, pur se i loro effetti,
dal punto di vista della disciplina
dell'obbligazione, retroagiscano al momento
della scadenza del termine di pagamento"
(Delib. n. 89 del 28.11.2006), non riuscendo
detti adempimenti ad impedire quella sorta
di sanzione indiretta costituita
dall'esclusione dalla gara o dall'effetto
preclusivo dell'aggiudicazione dell'appalto
pubblico.
E' dunque evidente, nel caso di specie, la
legittimità e correttezza dell'operato della
stazione appaltante che, all'esito di una
accertata irregolarità contributiva in capo
all'impresa e della conseguente mendace
dichiarazione con riferimento al possesso
dei requisiti di cui all'art. 38, c. 1,
lett. i), del d.lgs. n. 163/2006, dichiari
l'esclusione della ricorrente dalla
procedura di gara, secondo quanto disposto
dall'art. 49 del medesimo decreto.
---------------
A seguito dell'entrata in vigore della
disciplina sul certificato di regolarità
contributiva di cui agli artt. 2 del d.l. n.
210/2002 e 3, c. 8, lett. b-bis) del d.lgs.
n. 494/1996, la verifica della regolarità
contributiva non rientra più nella
competenza delle stazioni appaltanti, bensì
in quella degli enti previdenziali, le cui
certificazioni si impongono alle stazioni
appaltanti, che non possono sindacarne il
contenuto. Di conseguenza, la stazione
appaltante non ha alcuna possibilità di
procedere ad autonoma verifica del requisito
soggettivo di regolarità contributiva, e
deve attenersi a quanto certificato
dall'amministrazione competente.
Il DURC assume pertanto la valenza di una "dichiarazione
di scienza", da collocarsi tra gli atti
di certificazione od attestazione redatti da
un pubblico ufficiale, aventi carattere
meramente dichiarativo dei dati in possesso
della p.a., assistito da pubblica fede ai
sensi dell'art. 2700 c.c., facente piena
prova fino a querela di falso (TAR
Lazio-Roma, Sez. III-ter,
sentenza 22.02.2011 n. 1672 - link a
www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Sui casi di invalidità del
verbale di gara in materia di procedure
d'appalto.
La tutela dell'integrità dei plichi
contenenti gli atti di gara deve essere
assicurata in astratto.
La giurisprudenza afferma che l'indicazione
della durata delle operazioni verbalizzate,
in alcuni casi può essere considerato un
elemento essenziale; in altri casi, cioè
nelle ipotesi in cui si evince altrimenti
che la valutazione è stata attenta e
ponderata può risultare, invece, superflua.
Le lacune del verbale possano causare
l'invalidità dell'atto verbalizzato solo nel
caso in cui esse riguardino aspetti
dell'azione amministrativa, la cui
conoscenza risulti necessaria per poterne
verificare la correttezza, mentre quelli
concernenti aspetti diversi e non
determinanti danno luogo a mere irregolarità
formali, come tali inidonee a comportare
l'illegittimità dell'atto che tali omissioni
presenti.
Nel caso di specie, la mancata indicazione
dell'orario di inizio e di fine della seduta
non è idonea a comportarne la illegittimità,
atteso che la lettura della documentazione
tecnica contenente le specifiche tecniche ed
organizzative dei servizi proposti era
indice di valutazione ponderata della
documentazione de qua, con irrilevanza della
mancata indicazione della ora di inizio e
conclusione della seduta, non essendo stato
provato ed anzi risultando "per tabulas"
che comunque il tempo dedicato alla disamina
di detta documentazione non poteva essere
stato palesemente insufficiente.
---------------
La mancata dettagliata indicazione nei
verbali di gara delle specifiche modalità di
custodia dei plichi e degli strumenti
utilizzati per garantire la segretezza delle
offerte non costituisce di per sé motivo di
illegittimità del verbale e della
complessiva attività posta in essere dalla
commissione di gara, dovendo invece aversi
riguardo al fatto che, in concreto, non si
sia verificata l'alterazione della
documentazione.
Secondo un consolidato orientamento
giurisprudenziale, la tutela dell'integrità
dei plichi contenenti gli atti di gara deve
essere assicurata in astratto, e quindi è
sufficiente che la documentazione di gara
sia stata sottoposta a rischio di
manomissione per ritenere invalide le
operazioni di gara, tuttavia, nel caso di
specie, non è stata provata l'eventuale
manomissione dei plichi (Consiglio di Stato,
Sez. V,
sentenza 22.02.2011 n. 1094 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Sull'esclusione dalle gare ai
sensi dell'art. 38, c. 1, lett. c), del
d.lgs. n. 163/2006.
L'art. 38, c. 1, lett. c), del d.lgs. n.
163/2006, dispone che l'esclusione dalle
gare e il divieto di affidamento di
subappalti, per condanna incidente sulla
moralità professionale, operano anche se la
condanna è intervenuta "nei confronti dei
soggetti cessati dalla carica nel triennio
antecedente la data di pubblicazione del
bando di gara, qualora l'impresa non
dimostri di aver adottato atti o misure di
completa dissociazione".
Esiste la possibilità, tuttavia, per
l'operatore economico interessato e con
riferimento a detto triennio, di
interrompere il nesso di identificazione
adottando "atti o misure di completa
dissociazione dalla condotta penalmente
sanzionata", tenendo conto, in
particolare, che il recupero
dell'affidabilità dell'impresa non avviene
automaticamente per effetto della semplice
sostituzione del soggetto inquisito.
E', infatti, ininfluente la circostanza che
l'operatore economico abbia cessato di
avvalersi dell'amministratore o del
direttore tecnico condannati, tranne nel
caso in cui dimostri di averli per tale
ragione estromessi dall'incarico e di
essersi completamente dissociato dalla
condotta penalmente sanzionata (TAR
Lazio-Roma, Sez. III,
sentenza 22.02.2011 n. 1652 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
L'applicabilità del regime
dell'affidamento in economia di beni,
servizi, lavori, non può privare
l'amministrazione della facoltà, in ragione
delle peculiarità delle prestazioni da
richiedere, di ricorrere alle procedure
aperte.
L'applicabilità del regime dell'affidamento
in economia di beni, servizi, lavori, non
può privare l'amministrazione della facoltà,
in ragione delle peculiarità delle
prestazioni da richiedere, di ricorrere alle
procedure aperte regolate dal d.lgs. n.
163/2006 (codice dei contratti pubblici)
applicando quelle regole che, comunque, gli
articoli 121 e, per gli appalti di servizi,
124 del suddetto codice impongono anche agli
appalti sotto soglia comunitaria.
Ne consegue che, nel caso di specie, è
legittima la scelta del comune di affidare
mediante procedura aperta e con il sistema
dell'offerta economicamente più vantaggiosa
ai sensi dell'art. 83 del d.lgs. n.
163/2006, il servizio di brokeraggio
assicurativo, sebbene, in astratto, data
l'entità del servizio, l'ente locale avrebbe
potuto seguire le regole dell'affidamento
dei servizi in economia di cui all'art. 125
del codice dei contratti pubblici (Consiglio
di Stato, Sez. V,
sentenza 21.02.2011 n. 1082 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
LAVORI PUBBLICI:
Attività di progettazione -
Articolazione - Progetto preliminare,
definitivo ed esecutivo - Art. 93 d.lgs. n.
163/2006 - Progetto preliminare -
Suscettibilità di variazioni, modifiche e
specificazioni.
La vigente normativa (cfr. art. 93 del
D.L.vo 2006, n. 163) articola l'attività di
progettazione per l'esecuzione dei lavori
pubblici secondo tre successivi livelli di
approfondimenti tecnici, distinguendo il
progetto preliminare, il progetto definitivo
e il progetto esecutivo.
Dal confronto tra il progetto preliminare e
il progetto definito emerge che quello
preliminare non delinea un quadro
dettagliato e compiuto dell’opera da
realizzare, ma è suscettibile di variazioni,
modifiche e specificazioni (cfr. tra le
tante TAR Campania Napoli, sez. IV,
21.08.2008, n. 9955; TAR Lombardia Brescia,
sez. II, 26.05.2009, n. 1064).
Ciò è confermato dalla circostanza che
spetta al progetto definitivo di individuare
“compiutamente i lavori da realizzare”.
Progetto definitivo -
Documentazione da allegare - Art. 25 d.P.R.
n. 554/1999 - Studio di impatto ambientale.
L’art. 25 del d.p.r. 1999 n. 554 individua
la documentazione che deve essere allegata
al progetto definitivo, prescrivendo, tra
l’altro, la redazione dello “studio di
impatto ambientale ove previsto dalle
vigenti normative ovvero studio di
fattibilità ambientale” (TAR
Lombardia-Milano, Sez. III,
sentenza 18.02.2011 n. 499 - link
a www.ambientediritto.it). |
URBANISTICA:
Regione Lombardia - Art. 104 l.r.
Lombardia n. 12/2005 - Adeguamento dei
p.r.g. vigenti alla nuova disciplina -
Disciplina transitoria - Varianti -
Trasmissione alla provincia competente -
Verifica della compatibilità con il piano
territoriale di coordinamento.
L’art. 104, comma 1, lett. cc), della legge
reg. Lombardia 2005 n. 12 ha disposto
l’abrogazione espressa, tra l’altro,
dell'art. 3, commi da 2 a 40, della legge
regionale 05.01.2000, n. 1 “salvo per
quanto previsto agli articoli 25, comma 1 e
92, commi 7 e 8, della presente legge”
(cfr. Tar Lombardia Milano, sez. III,
22.12.2009, n. 5962).
A sua volta l’art. 25, comma 1, della legge
reg. 2005 n. 12 detta una disciplina
transitoria, individuando, tra l’altro,
quali procedure di variante urbanistica i
Comuni possono utilizzare fino
all’adeguamento dei piani regolatori
generali vigenti alla nuova disciplina
normativa introdotta in materia di governo
del territorio.
Dal coordinamento tra le due norme citate
deriva che, qualora l’amministrazione
comunale approvi -nel periodo transitorio
individuato dall’art. 25, comma 1, della
legge reg. 2005 n. 12,- una delle varianti
previste dall’art. 2, comma 2, della legge
reg. 23.06.1997, n. 23, devono trovare
applicazione le previsioni dell'art. 3,
commi da 2 a 40, della legge reg.
05.01.2000, n. 1.
Pertanto, in questi casi deve essere
applicato anche il comma 18 dell’art. 3
della legge reg. 2000 n. 1, ove si prevede
che il comune debba trasmettere la variante
adottata alla Provincia competente, al fine
di consentire la verificazione della
compatibilità della nuova disciplina
urbanistica con il piano territoriale di
coordinamento (TAR Lombardia-Milano, Sez.
III,
sentenza 18.02.2011 n. 499 - link
a www.ambientediritto.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
RIFIUTI - Carcasse di macchine
agricole - Prescrizioni -
Impermeabilizzazione del piazzale e
predisposizione di pozzetti per la raccolta
delle acque - Legittimità.
La prescrizione di impermeabilizzare il
piazzale ove è effettuato il deposito di
carcasse di macchine agricole e di
predisporre pozzetti per la raccolta delle
acque (onde evitare che i materiali
inquinanti vengano trascinati nel suolo
dalle acque di dilavamento del piazzale) è
del tutto conforme agli obblighi che sono
individuati a carico di chi gestisce una
attività di questo tipo (cfr. sul punto
Cass. pen., sez. III, 9848/2009, secondo cui
“nella specie, è stato accertato in punto
di fatto, oltre alla carenza di
autorizzazione relativamente all'area nella
quale era stato effettuato il deposito delle
carcasse di auto, la inadeguatezza, sul
piano tecnico, della stessa, trattandosi di
un'area sterrata che non assicurava
un'adeguata tutela dal pericolo di
percolazione di sostanze provenienti dai
veicoli. Sicché non risultavano, in ogni
caso, rispettate le condizioni prescritte
dalle disposizioni contenute nel D.Lgs. n.
152/2006 perché potesse ravvisarsi l'ipotesi
del deposito temporaneo non soggetto ad
autorizzazione”).
RIFIUTI - Accumulo di
beni destinati alla rottamazione - Necessità
di specifica autorizzazione - Deposito
temporaneo - Categorie omogenee - Art. 183
d.lgs. n. 152/2006 - Macchine agricole non
funzionanti e materiale ferroso di vario
tipo - Qualità di rifiuti - Sussistenza -
Provvedimento comunale che impone lo
smaltimento - Legittimità.
E’ necessaria una autorizzazione per
svolgere una attività di “accumulo”
di beni destinati alla rottamazione elencati
nel catalogo europeo dei rifiuti (CER) quali
i veicoli e i pneumatici fuori uso, le
batterie e gli accumulatori, in quanto "beni"
destinati allo smaltimento o al recupero
delle sostanze per i quali anche il deposito
preliminare è soggetto ad autorizzazione.
L'art. 183, comma primo lett. m) n. 4), del
D.Lgs n. 152/2006, dispone inoltre che "il
deposito temporaneo deve essere effettuato
per categorie omogenee di rifiuti e nel
rispetto delle relative norme tecniche,
nonché per i rifiuti pericolosi..."
(Cass. pen., sez. III, 9848/2009).
In assenza di specifica autorizzazione,
pertanto, le macchine agricole non
funzionanti e prive di parti meccaniche, il
materiale ferroso di vario tipo, le cisterne
di gasolio vuote, le botti spargi liquame
arrugginite e i pneumatici di trattore
bucati o altrimenti non utilizzabili
accumulati in un’area di proprietà rientrano
nella nozione di rifiuto, a prescindere
dalla asserita possibilità di riutilizzo per
l’attività di commercio di pezzi di ricambio
usati di macchine agricole.
Ne deriva la legittimità del provvedimento
del comune che ne impone lo smaltimento (TAR
Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 18.02.2011 n. 316 - link
a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
VIA - Conclusione del
procedimento - Termine di 150 giorni - Art.
26 d.lgs. n. 152/2006 - Principio
fondamentale non derogabile della Regione e
dagli enti delegati.
La conclusione del procedimento di
valutazione di impatto ambientale è
sottoposta al termine di centocinquanta
giorni dalla presentazione dell’istanza, ai
sensi dell’art. 26 del dlgs. n. 152/2006.
L’obbligo, per l’Amministrazione preposta,
di pronunciarsi entro termini perentori
sulle istanze di compatibilità ambientale
costituisce principio fondamentale della
materia non derogabile dalle Regioni e dagli
enti delegati (TAR Puglia-Bari, Sez. I,
sentenza 18.02.2011 n. 289 - link
a www.ambientediritto.it). |
APPALTI:
Stipulazione del contratto e
attuazione del rapporto negoziale - Ambito
materiale dell’ordinamento civile - Fase del
collaudo - Regioni - Applicazione della
normativa statale - Art. 8, c. 1 l.r.
Lombardia n. 7/2010 - Illegittimità
costituzionale.
Nel settore degli appalti pubblici, la fase
che ha inizio con la stipulazione del
contratto e prosegue con l’attuazione del
rapporto negoziale è disciplinata da norme
che devono essere ascritte all’ambito
materiale dell’ordinamento civile. Ciò in
quanto, in tale fase, l’amministrazione si
pone in una posizione di tendenziale parità
con la controparte ed agisce non
nell’esercizio di poteri amministrativi,
bensì nell’esercizio della propria autonomia
negoziale (ex multis, sentenza n. 401
del 2007).
Con riferimento alla disciplina del
collaudo, pertanto, le Regioni sono tenute
ad applicare la normativa statale e ad
adeguarsi alla disciplina dettata dallo
Stato per tutto quanto attiene alla fase di
esecuzione dei contratti di lavori, servizi
e forniture.
Ne deriva l’illegittimità costituzionale
dell’art. 8, comma 1, lettera r), della
legge della Regione Lombardia 05.02.2010, n.
7, nella parte in cui ha sostituito l’art.
20, comma 3, della precedente legge
regionale 19.05.1997, n. 14, per invasione
dell’ambito materiale dell’ordinamento
civile riservato esclusivamente allo Stato,
in quanto tale norma disciplina un settore,
quello del collaudo e della verifica di
regolarità dell’esecuzione dei contratti di
lavori, forniture e servizi, che rientra
specificamente nella suddetta competenza
legislativa (Corte Costituzionale,
sentenza 18.02.2011 n. 53 - link
a www.ambientediritto.it). |
URBANISTICA:
VAS - Procedure avviate
anteriormente all’entrata in vigore della
parte seconda del d.lgs. n. 152/2006 -
Disciplina transitoria - Art. 52, c. 2
d.lgs. n. 152/2006 - Regione Lombardia -
L.r. Lombardia n. 12/2005.
Ai sensi dell’art. 52, c. 2, del d.lgs. n.
152/2006, “i procedimenti amministrativi
in corso alla data di entrata in vigore
della parte seconda del presente decreto,
nonché i procedimenti per i quali a tale
data sia già stata formalmente presentata
istanza introduttiva da parte
dell'interessato, si concludono in
conformità alle disposizioni ed alle
attribuzioni di competenza in vigore
all'epoca della presentazione di detta
istanza”.
La procedura di valutazione ambientale
strategica avviata in data anteriore al
31.07.2007 trova dunque la propria regola
nell’art. 4, c. 4, della l.reg. Lombardia n.
12/2005, che disciplina il periodo
transitorio sino all'approvazione del
provvedimento con cui la Giunta regionale
detta gli adempimenti di disciplina
(avvenuta con d.g.r. 27.12.2007, n. VIII/6420,
la quale peraltro precisa che “i
procedimenti di formazione e di approvazione
di piani/programmi già avviati alla data di
pubblicazione sul BURL della presente
deliberazione si concludono in conformità
alle disposizioni in vigore al momento
dell’avvio del procedimento stesso, ovvero
secondo le disposizioni di cui all’art. 4,
comma 4, della l.r. 12/2005”).
VIA E VAS - Direttiva
2001/42/CE - Carattere self-executing -
Esclusione.
Non possono considerarsi self executing
le direttive comunitarie (nella specie,
direttiva 2001/42/CE) le quali, ancorché in
modo dettagliato, introducono un nuovo
istituto nell'ordinamento degli Stati
membri, dovendo questo necessariamente
essere recepito e disciplinato dal
legislatore interno (cfr. Cons. Stato, sez.
IV, 14.04.2010, n. 2097; 28.05.2009, n.
3333) (TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 17.02.2011 n. 481 - link
a www.ambientediritto.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI: L’accesso
alle liste elettorali comunali può essere
negato dall’amministrazione quando
l’utilizzo indicato risulti astratto e
generico.
Col ricorso contenuto nella pronuncia in
commento si chiedeva l'annullamento del
diniego all’accesso alle liste elettorali
comunali e la condanna dell’amministrazione
comunale a consegnare al ricorrente copia
delle liste elettorali aggiornate.
Tuttavia,
il Tribunale amministrativo della Sardegna
ha considerato il ricorso infondato,
accogliendo le motivazioni poste dal comune
a fondamento del diniego della richiesta del
ricorrente di rilascio di copia delle liste
elettorali; in quel provvedimento l’Ente
precisava che il nuovo testo dell’articolo
51 del D.P.R. n. 223 del 20.03.1967, così
come modificato dall’articolo 177 del D.Lgs.
30.06.2003 n. 196, stabilisce che le
liste elettorali possono essere rilasciata
in copia solamente per le finalità indicate
dalla norma medesima.
Ugualmente esatta,
secondo i giudici isolani, risulta
l’ulteriore affermazione secondo cui spetta
all’amministrazione destinataria
dell’istanza (in questo caso al comune)
“entrare nel merito della richiesta e
valutare se la specifica finalità del loro
successivo utilizzo, dichiarata da parte del
richiedente, sia conforme all’attività del
soggetto medesimo, nonché se rientri
effettivamente tra le ipotesi di cui al
citato articolo 177/2003”.
Deve infatti
ritenersi che sia preciso onere del
richiedente di indicare chiaramente e
specificatamente nella propria istanza l’uso
che intende fare dei dati delle liste
elettorali, non essendo assolutamente
sufficiente il richiamo alle espressioni
generali utilizzate dalla disposizione in
esame per indicare le finalità consentite.
In sostanza, il richiedente deve indicare
chiaramente e specificatamente il concreto
uso che intende fare dei dati delle liste
elettorali, spettando poi al soggetto che
deve applicare la norma (il comune e in
seconda istanza il giudice), di valutare e
stabilire se tale concreto utilizzo rientra
o meno nelle finalità ammesse dalla norma di
legge.
Ciò premesso, i giudici cagliaritani
considerano che nelle varie istanze e note
del ricorrente indirizzate al comune, non
risulta una indicazione chiara, specifica e
soprattutto univoca dell’utilizzo che si
intende fare dei dati delle liste elettorali
in questione, dovendosi ritenere che
l’indicazione più chiara e attendibile
dell’utilizzo dei dati in questione sia, in
realtà, contenuta nella prima richiesta del
ricorrente del 27.05.2010, allorché la
posizione dell’istante non risultava
“influenzata” dal contenuto della successiva
corrispondenza intercorsa col comune.
In
tale prima istanza del ricorrente, si
precisa che “Il nostro Comitato tenta di
difendere, e comunque s’interessa di diversi
problemi, (la difesa dei piccoli azionisti
delle spa, sia quotate che no, le tariffe
professionali – di notai, avvocati,
commercialisti, ecc. – talvolta ritenute
esose, ecc.)”. “Ci servono gli elenchi degli
elettori sia per eventualmente agire
direttamente nei loro confronti (ogni
singolo elettore) per sensibilizzarli sui
singoli problemi, sia per tentare
d’indirizzarli (in occasione delle elezioni
di qualunque tipo), verso candidati e/o
partiti, che nei contatti con noi o nelle
loro altre manifestazioni, abbiano
dimostrato interesse per le nostre
rivendicazioni.”
Ciò stante, concludono gli
stessi giudici, considerato che, in forza
dell’articolo 51 del D.P.R. n. 223 del 20.03.1967, così come modificato
dall’articolo 177 del D.Lgs. 30.06.2003
n. 196, “Le liste elettorali possono essere
rilasciate in copia per finalità di
applicazione della disciplina in materia di
elettorato attivo e passivo, di studio, di
ricerca statistica, scientifica o storica, o
carattere socio-assistenziale o per il
perseguimento di un interesse collettivo o
diffuso”, l’utilizzo indicato dal
ricorrente risulti astratto e generico e,
come tale, non riconducibile alle finalità
di legge (commento tratto da
www.documentazione.ancitel.it - TAR Sardegna,
Sez. II,
sentenza
17.02.2011 n. 148 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI:
V.I.A. - Impianti di produzione
di energia elettrica - Art. 31, c. 2, d.lgs.
n. 112/1998 - Parere positivo espresso in
sede di v.i.a. - Affidamento della parte
circa la realizzazione dell’impianto -
Limiti - Emersione di sopravvenienze
rilevanti - Subordinazione
dell’autorizzazione finale a ulteriori
prescrizioni - Legittimità.
Nell'ambito della più ampia procedura volta
al rilascio dell'autorizzazione finale di
cui all'art. 31, comma 2, lett. b), del Dlgs.
31.03.1998, n. 112, il parere espresso in
sede di valutazione di impatto ambientale,
sul piano istruttorio e per le tematiche ad
esso inerenti, comporta un forte vincolo
procedimentale e pertanto i risultati cui è
pervenuto, non potrebbero essere
legittimamente disattesi dalla successiva
attività istruttoria per le parti che
costituiscono il presupposto logico
essenziale del giudizio espresso in quella
sede.
Tuttavia la positiva valutazione di impatto
ambientale non esaurisce ogni aspetto della
procedura autorizzativa e non è pertanto
idonea ad esprimere un giudizio definitivo
sull’intervento, reso possibile solo dal
rilascio dell’autorizzazione finale (cfr.
Consiglio di Stato, Sez. VI, 18.01.2006, n.
129).
Deve pertanto ritenersi che
l'Amministrazione competente al rilascio del
provvedimento finale sia comunque
legittimata a chiedere chiarimenti ed
integrazioni ovvero a subordinare ad
ulteriori condizioni e prescrizioni il
rilascio dell'autorizzazione finale,
qualora, nel corso dell'istruttoria,
emergano nuovi elementi prima non
considerati i quali rendano evidente
l'impossibilità di conseguire quelle
fondamentali esigenze di equilibrio
ecologico e ambientale poste a fondamento
del giudizio favorevole di compatibilità
ambientale (cfr. Cass. civ., s.u.,
07.07.2010, n. 16039).
Pertanto, l’affidamento della parte alla
realizzazione dell’impianto determinato dal
rilascio della v.i.a. non cristallizza la
situazione al momento in cui la stessa è
stata rilasciata, ma consente di valutare
anche sopravvenienze, purché naturalmente
esse vi siano e siano anche rilevanti (TAR
Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 16.02.2011 n. 282 - link
a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI:
V.I.A. - Provvedimento di
esclusione della procedura di VIA -
Provvedimento di autorizzazione del progetto
- Onere di impugnazione - Rapporti e limiti
- Comuni interessati diversi da quello nel
cui territorio è prevista l’ubicazione
dell’impianto - Espressione del parere
nell’ambito della procedura di VIA - Art. 2,
lett. m), L.r. Veneto n. 10/1999.
L’onere di impugnazione del provvedimento
che decide in merito all’esclusione della
procedura di VIA non preclude ai soggetti
interessati l’impugnazione del provvedimento
con cui il progetto viene autorizzato.
Tuttavia nel caso in cui sia impugnata
soltanto l’autorizzazione all’esecuzione del
progetto non potranno essere fatti valere
con il ricorso censure relative alla mancata
effettuazione della procedura di VIA, perché
tale aspetto è stato già autonomamente e
definitivamente considerato dal presupposto
provvedimento, non tempestivamente
impugnato, con cui è stata esclusa la
procedura di VIA.
Né è possibile sostenere che solo con
l’autorizzazione all’esecuzione del progetto
sorga la lesione e dunque l’interesse
all’impugnazione, perché la decisione di non
effettuare la VIA comporta già un
pregiudizio per la tutela ambientale che
consiste nell’impiego di minori cautele
nella definizione della procedura
autorizzatoria.
Tale circostanza è particolarmente evidente
con riferimento ai Comuni interessati
(diversi da quello nel cui territorio è
prevista l’ubicazione dell’impianto) ai
quali la procedura di VIA consentirebbe, in
relazione all’impatto ambientale ai sensi
dell’art. 2, lettera m), della legge
regionale del Veneto n. 10 del 1999, di
esprimere il parere nell’ambito della
procedura di VIA (TAR Veneto, Sez. III,
sentenza 16.02.2011 n. 265 - link
a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Vincolo storico-culturale su siti
espressione di archeologia industriale -
Esistenza di edifici privi di pregio
architettonico - Irrilevanza - Ragioni.
La tutela imposta sui siti espressione di
archeologia industriale non tende a
salvaguardare un bene per la sua intrinseca
bellezza, quanto per il suo valore storico
-culturale: il vincolo è funzionale alla
conservazione di significative testimonianze
dei modi di essere degli aggregati urbani e
delle produzioni architettoniche, in una
precisa connessione con determinate attività
di carattere economico-produttivo.
Ne deriva l’irrilevanza dell’esistenza, tra
i beni vincolati, di edifici privi di pregio
architettonico, non dovendo il vincolo
storico-culturale trovare la propria
giustificazione nel valore dei singoli
elementi componenti l'insieme.
Valutazioni relative al pregio storico,
culturale o artistico di un’area -
Discrezionalità tecnica - Limiti del
sindacato giurisdizionale.
Le valutazioni relative al pregio storico,
culturale o artistico di un'area, poste a
fondamento della determinazione vincolistica
(diretta o indiretta), ai sensi della legge
n. 1089/1939 (ora d.lgs. n. 42/2004), sono
espressioni di discrezionalità tecnica,
sindacabili, come tali, solo sotto il
profilo della congruità e della logicità
della motivazione e non per considerazioni
legate ad un diversificato apprezzamento di
valore (TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 15.02.2011 n. 235 - link
a www.ambientediritto.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
RIFIUTI - Fanghi da depurazione -
Deposito incontrollato - Disciplina dei
rifiuti - Fattispecie - Reato di cui
all'art. 256, 2° c., D.L.vo n. 152/2006 -
Art. 127 D.L.vo n. 152/2006 (così modificato
dall’art. 2, c. 12-bis, D.Lvo n. 4/2008).
Ai sensi dell'art. 127 del Decreto
Legislativo n.152 del 2006 (così come
modificato dall'art. 2, comma 12-bis,
Decreto Legislativo n. 4/2008), i fanghi
derivanti dal trattamento delle acque reflue
sono sottoposti alla disciplina dei rifiuti
alla fine del complessivo processo di
trattamento effettuato nell'impianto di
depurazione.
Nella fattispecie, attinente al deposito
incontrollato di fanghi derivanti dal
trattamento delle acque reflue, il Tribunale
non ha accertato se i fanghi ritrovati nelle
vasche annesse ai depuratori fossero quelli
esitati al termine del complesso processo di
trattamento delle acque reflue effettuato
negli impianti di depurazione (Corte di
cassazione, Sez. III penale,
sentenza 14.02.2011 n. 5356 -
link a www.ambientediritto.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
INQUINAMENTO ATMOSFERICO -
Emissioni in atmosfera - Obbligo di
autorizzazione - Eccezione - Art. 269 D.L.vo
n. 152/2006.
In tema di emissioni in atmosfera, sussiste
l'obbligo dell'autorizzazione, di cui
all'art. 269 Decreto Legislativo n. 152 del
2006, soltanto in relazione agli
stabilimenti che producono effettivamente
emissione in atmosfera con esclusione di
quelli che sono solo potenzialmente idonei a
produrre emissioni. (Cass. Sez. III,
11.10.2006 n. 40964) (Corte di cassazione,
Sez. III penale,
sentenza 14.02.2011 n. 5347 -
link a www.ambientediritto.it). |
APPALTI:
Sulla legittimità dell'esclusione
di un concorrente da una procedura di gara,
per omessa dichiarazione di cui all'art. 38
del d.lgs. n. 163/2006, da parte degli
institori.
E' legittimo il provvedimento di esclusione
da una gara adottato da una stazione
appaltante nei confronti di un RTI per aver
omesso di presentare la dichiarazione di cui
all'art. 38 del d.lgs. n. 163/2006,
relativamente ad alcuni soggetti, dotati di
poteri amplissimi e pervasivi nella gestione
dell'impresa.
Il citato art. 38, impone, infatti, che la
dimostrazione del possesso dei requisiti
morali di partecipazione riguardi tutte le
persone fisiche che, in quanto titolari di
poteri di rappresentanza della persona
giuridica, siano in grado di trasmettere con
il proprio comportamento la riprovazione
dell'ordinamento al soggetto rappresentato.
Pertanto, tale obbligo sussiste anche con
riferimento agli institori, stante la
ampiezza dei poteri di rappresentanza agli
stessi attribuiti dalla legge.
L'institore è definito dall'art. 2203 c.c.
quale soggetto preposto dal titolare
all'esercizio di un'impresa commerciale, in
posizione differente dal mero procuratore
cui l'imprenditore conferisce il potere di
compiere, per lui, gli atti inerenti
all'esercizio di un'impresa pur non essendo
preposta ad esso.
La preposizione institoria, peraltro, è
caratterizzata dall'ampiezza dei poteri
rappresentativi e di gestione, che ne fanno
un alter ego dell'imprenditore stesso.
Pertanto, l'institore è titolare di una
posizione corrispondente a quella di un vero
e proprio amministratore, munito di poteri
di rappresentanza, cosicché deve anche
essere annoverato fra i soggetti tenuti alla
dichiarazione (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 14.02.2011 n. 939 - link
a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
CONSIGLIERI COMUNALI: L’azione
con cui i consiglieri comunali lamentano una
lesione delle attribuzioni del consesso di
cui fanno parte deve ritenersi estranea al
munus dei consiglieri medesimi.
Nella pronuncia in commento tre consiglieri
di un Comune piemontese contestano la
legittimità delle deliberazioni con le quali
il consiglio comunale del quale fanno parte
ha ratificato diverse deliberazioni di
giunta.
Con un provvedimento, in
particolare, la Giunta comunale aveva
deliberato una variazione di bilancio
finalizzata all’acquisto di un’autovettura
per il servizio di protezione civile; con
una seconda deliberazione, invece, si era
provveduto alla variazione di assestamento
generale del bilancio 2009.
Gli esponenti,
che riferiscono di aver espresso voto
contrario alla ratifica degli atti di
giunta, affermano che le impugnate
deliberazioni risultano lesive del loro
interesse ad impedire che l’organo comunale
del quale fanno parte agisca in violazione
di legge e che tale interesse è strettamente
connesso a quello alla conservazione
dell’ufficio nonché alla tutela della
propria immagine.
Secondo i giudici del
Tribunale amministrativo di Torino è fondata
l’eccezione di inammissibilità del ricorso,
per carenza di interesse ad agire, proposta
in via preliminare dall’Amministrazione
resistente. Riguardo, infatti, alla
posizione dei tre consiglieri comunali i
giudici sabaudi richiamano alcuni principi
che governano il processo amministrativo il
quale:
- non costituisce una giurisdizione
di diritto oggettivo, volta semplicemente a
ristabilire una legalità che si assume
violata, ma ha la funzione di dirimere una
controversia fra un soggetto che si afferma
leso in modo diretto e attuale da un
provvedimento amministrativo e
l'amministrazione che lo ha emanato;
- è
diretto, di regola, a risolvere controversie
intersoggettive e non controversie fra
organi o componenti di organi di uno stesso
ente, in particolare fra i consiglieri di un
ente locale e l'ente di appartenenza;
- non
può, comunque, costituire uno strumento di
soluzione delle contese politiche interne
all’ente.
Ne consegue, secondo costante
giurisprudenza, che il singolo consigliere è
legittimato a ricorrere contro il Comune
solo quando vengano in questione atti che
ledono in via diretta il suo diritto
all'ufficio, ovvero le prerogative ad esso
spettanti quale persona fisica eletta alla
carica in parola.
Fra i casi in cui ciò
avviene, ricordano gli stessi giudici, la
giurisprudenza ha individuato quelli in cui
si agisce per denunciare un vizio del
procedimento di formazione dell'atto
deliberativo che interferisce sul corretto
esercizio del mandato del consigliere, come
quando l'organo sia stato irritualmente
convocato o costituito ovvero ne sia stato
violato l'ordine del giorno ovvero ancora
non sia stata depositata nei termini la
documentazione da fornire ai suoi membri.
Si
sono ancora individuati i casi in cui gli
atti approvati riguardano direttamente e
personalmente il consigliere stesso, come
nel caso in cui l'interesse a permanere
nella carica rivestita e a esercitarla sia
messo in qualche misura in discussione.
I
giudici piemontesi, viceversa, ritengono che
le deliberazioni impugnate in questa
vicenda, non rientrino in alcuna delle
fattispecie in cui il ricorso del singolo
consigliere è ammissibile, non riguardando
le persone dei consiglieri, ma una specifica
tipologia di atti (la ratifica delle
variazioni di bilancio assunte in via
d’urgenza dalla giunta) attraverso i quali
gli organi politici provvedono
all’amministrazione dell’ente. Essi non si
ripercuotono, quindi, in via diretta sul
diritto all'ufficio dei consiglieri
comunali. L'asserita lesione delle
prerogative del Consiglio comunale,
d’altronde, anche qualora sussistente, non
riguarderebbe il singolo consigliere, ma il
consesso del quale egli fa parte, e non lo
legittimerebbe comunque al ricorso.
Una
specifica applicazione dei principi sopra
enunciati nel caso della deliberazione di
assestamento del bilancio è stata fatta
dalla giurisprudenza amministrativa con la
sentenza del TAR Campania, Salerno, sez.
I, 26.04.2006, n. 563, nella quale,
previa attenta ricostruzione dei più
significativi arresti in materia, si è
riaffermato, anche con riferimento al
riparto di competenze fra gli organi
elettivi degli enti locali fissato dal nuovo
ordinamento, che l’azione con cui i
consiglieri comunali lamentano una lesione
delle attribuzioni del consesso di cui fanno
parte deve ritenersi estranea al munus
del consiglieri medesimi (commento tratto da
www.documentazione.ancitel.it -
TAR Piemonte, Sez. I,
sentenza
12.02.2011
n. 163 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
TAR Milano: mutamento di
destinazione d'uso, rimangono le
percentuali.
Il TAR di Milano ha
affermato che, pur nel regime della L.R.
12/2005, lo strumento urbanistico può
prevedere limitazioni percentuali alle
destinazioni d'uso ammissibili nelle diverse
zone. Ciò alla luce di un'interpretazione
estensiva dell'ultimo inciso contenuto
nell'art. 51 primo comma della L.R. 12/2005:
"salve quelle escluse dal PGT" significa che
lo strumento urbanistico può derogare al
principio per cui le destinazioni d'uso
ammissibili (principali, complementari e
accessorie), coesistono senza limitazioni
percentuali.
L’art. 51 della legge regionale n. 12/2005
dispone (secondo e terzo comma): “I
comuni indicano nel PGT in quali casi i
mutamenti di destinazione d’uso di aree e di
edifici, attuati con opere edilizie,
comportino un aumento ovvero una variazione
del fabbisogno di aree per servizi e
attrezzature pubbliche e di interesse
pubblico o generale di cui all’articolo 9.
Per i mutamenti di destinazione d’uso non
comportanti la realizzazione di opere
edilizie, le indicazioni del comma 2
riguardano esclusivamente i casi in cui le
aree o gli edifici siano adibiti a sede di
esercizi commerciali non costituenti
esercizi di vicinato ai sensi dell’articolo
4, comma 1, lettera d), del decreto
legislativo 31.03.1998, n. 114”.
Queste disposizioni -peraltro rivolte ai
futuri PGT- riguardano i mutamenti di
destinazione d’uso ammessi, non quelli
esclusi dallo strumento urbanistico. Esse
riproducono infatti l’art. 1, comma 3, della
previgente l.r. n. 1 del 2001, che in
termini pressoché identici recitava: “I
comuni indicano, altresì, attraverso lo
strumento urbanistico generale, in quali
casi i mutamenti di destinazione d'uso di
aree e di edifici, ammissibili ai sensi del
comma 2, attuati con opere edilizie,
comportino un aumento ovvero una variazione
del fabbisogno di standard; per quanto
riguarda i mutamenti di destinazione d'uso
ammissibili, non comportanti la
realizzazione di opere edilizie, le suddette
indicazioni riguarderanno esclusivamente i
casi in cui le aree o gli edifici vengano
adibiti a sede di esercizi commerciali non
costituenti esercizi di vicinato ai sensi
dell'articolo 4, comma 1, lettera d), del
d.lgs. 31.03.1998, n. 114”.
Quanto all’art. 54 della legge regionale, il
fatto che i mutamenti di destinazione che
non determinino carenza di aree per servizi
e attrezzature di interesse generale non
costituiscano variazione essenziale, non
esclude la sanzionabilità dei mutamenti di
destinazione che si pongano in contrasto con
lo strumento urbanistico (TAR
Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 11.02.2011 n. 468 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
CONSIGLIERI COMUNALI:
L'art. 43, c. 2, del T.U.E.L.,
riconosce espressamente ai consiglieri
comunali il diritto ad avere copia degli
atti per cui si è presentata formale
richiesta di accesso e che risultino utili
per l'espletamento del loro mandato.
L'art. 43, c. 2, del T.U.E.L., prevede che i
consiglieri comunali e provinciali hanno
diritto di ottenere dagli uffici,
rispettivamente, del comune e della
provincia, nonché dalle loro aziende ed enti
dipendenti, tutte le notizie e le
informazioni in loro possesso, utili
all'espletamento del proprio mandato.
Ne consegue che, nel caso di specie, è
fondato il ricorso promosso da un
consigliere comunale avverso l'atto di
diniego opposto dall'amministrazione
interessata alla richiesta, presentata da
quest'ultimo, di accesso ad atti concernenti
l'esercizio del proprio mandato, in quanto
non può costituire valido motivo ostativo al
diritto di accesso la carenza di personale
sia pure determinata da collocamento in
congedo ordinario (TAR Lazio-Latina,
sentenza 11.02.2011 n. 135 - link
a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Piano attuativo - Necessità -
Deroga - Lotto intercluso - Condizioni -
Necessità di integrazione
dell’urbanizzazione esistente - Conseguenze.
A sostegno dell’edificabilità dell’area, per
escludersi la necessità del piano attuativo,
qualora si accerti l’esistenza di un cd. “lotto
intercluso”, occorre aver dimostrato,
oltre alla presenza delle opere di
urbanizzazione primarie e secondarie, che
l’immobile si trova in una zona
integralmente interessata da costruzioni e
che la zona di insediamento sia l'unica a
non essere stata ancora edificata (cfr.
Cons. Stato 3699/2010).
La residua necessità di uno strumento
attuativo sussiste invece quando debba
essere completato il sistema della viabilità
secondaria nella zona e quando debba essere
integrata l'urbanizzazione esistente
garantendo il rispetto dei prescritti
standards minimi per spazi e servizi
pubblici e le condizioni per l'armonico
collegamento con le zone contigue già
asservite all'edificazione (TAR Puglia-Lecce,
Sez. III,
sentenza 10.02.2011 n. 296 - link
a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Concessione edilizia -
Impugnazione da parte di terzi - Decorrenza
del termine - Contestazione
dell’illegittimità del titolo per il solo
fatto del rilascio - Contestazione di vizi
specifici del progetto assentito -
Differenza.
Ai fini della decorrenza del termine di
impugnazione di una concessione edilizia da
parte di terzi l’effetto lesivo si atteggia
diversamente a seconda che si contesti
l’illegittimità del permesso di costruire
per il solo fatto che esso sia stato
rilasciato (ad esempio, per contrasto con l’inedificabilità
assoluta dell'area) ovvero per il contenuto
specifico del progetto edilizio assentito
che, come nella specie, non rispetta ad
esempio i limiti volumetrici consentiti
dalla strumentazione urbanistica: in questo
secondo caso, il mero inizio dei lavori non
è sufficiente -da solo- a far decorrere il
termine di impugnazione, in quanto esso “non
contiene informazioni sufficienti sul
contenuto specifico del progetto edilizio
assentito, atte a farne immediatamente
percepire l’effetto concretamente lesivo per
i terzi interessati” (cfr. TAR Liguria,
sez. I, 25.01.2010, n. 192; TAR Lazio
Latina, sez. I, 15.07.2009, n. 700; TAR
Puglia Bari, sez. II, 11.08.2008, n. 1931)
(TAR Puglia-Lecce, Sez. I,
sentenza 10.02.2011 n. 280 - link
a www.ambientediritto.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
RIFIUTI - Abbandono - Art. 14
d.lgs. n. 22/1997 - Obbligo di rimozione -
Responsabile - Dolo o colpa - Fattispecie -
Culpa in vigilando.
Ai sensi dell’art. 14, co. 3, del D.Lgs.
05.02.1997 n. 22, è tenuto a procedere alla
rimozione dei rifiuti abbandonati sul suolo,
nonché alle connesse attività di recupero,
smaltimento e ripristino dello stato dei
luoghi il responsabile dell’abuso in solido
con il proprietario e con i titolari di
diritti reali di godimento sull’area, “ai
quali tale violazione sia imputabile a
titolo di dolo o colpa” (nella specie, è
stato ritenuto responsabile, per culpa in
vigilando, un Consorzio titolare di un
diritto personale di godimento esclusivo su
un’area demaniale munita di recinzione e di
cancello di accesso) (TAR Puglia-Bari, Sez.
III,
sentenza 10.02.2011 n. 263 - link
a www.ambientediritto.it). |
APPALTI:
Sulla violazione delle
disposizioni relative al subappalto.
Le eventuali violazioni delle disposizioni
relative al subappalto, non riguardando la
fase di ammissione alla gara ma l'esecuzione
del contratto, non possono condurre
all'esclusione della ditta, allorché la
stessa possieda i requisiti per svolgere in
proprio tutte le prestazioni oggetto del
contratto.
In questo caso, la S.A. potrà solo vietare
il subappalto e l'aggiudicatario dovrà
eseguire in proprio tutte le prestazioni
oggetto di gara (TAR Friuli Venezia Giulia,
sentenza 10.02.2011 n. 98 - link
a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
PUBBLICO IMPIEGO: P.a.,
la privacy tutela i testimoni. Il dipendente
denunciato non può sapere chi ha fatto la
spia. Il Cds ha respinto il ricorso di una
insegnante per accedere agli atti del
processo disciplinare.
Non si può sapere il
nome del collega che ha fatto dichiarazioni
contro il dipendente pubblico trasferito
d'ufficio per incompatibilità ambientale. È
vietato dal Codice della privacy che tutela
la riservatezza, anche nel corso dei
procedimenti disciplinari.
Lo ha stabilito il Consiglio di Stato, Sez.
VI,
sentenza
09.02.2011 n. 895, respingendo il
ricorso di una insegnante che pretendeva di
vedere «in chiaro» in maniera
integrale tutti gli atti del procedimento a
suo danno per trasferimento disciplinare.
Per il Consiglio di stato solo una «conclamata»
esigenza difensiva può battere la
riservatezza di chi testimonia o segnala un
fatto alla p.a. Il principio può essere
utilizzato anche dai comuni per occultare il
nome, per esempio, di chi denuncia un abuso
edilizio. Ma vediamo di analizzare la
sentenza del consiglio di stato.
L'istituto scolastico, presso cui prestava
servizio l'insegnante, aveva fornito alla
stessa tutti i documenti istruttori,
coprendo con degli «omissis»
l'identità di tutti i colleghi di lavoro
che, nel procedimento di trasferimento
disciplinare, avevano riferito fatti ed
espresso giudizi sui comportamenti tenuti
dalla docente. La stessa ha fatto ricorso al
Tar per vedere riconosciuto il diritto ad
avere la copia senza «omissis».
Sia il Tar sia il Consiglio di stato hanno
dato torto all'insegnante. Secondo
quest'ultima i dati inerenti l'identità dei
colleghi «testimoni» del procedimento
disciplinare sarebbero stati utili alla sua
difesa, che sarebbe automaticamente
prevalente sulla privacy. Il Consiglio di
stato si è mostrato d'accordo in linea di
principio sul fatto che il diritto di difesa
prevale sulla privacy, ma ha ritenuto che,
in concreto, conoscere i nominativi dei
testimoni non avrebbe offerto alcuna chance
difensiva in più.
In altre parole, il
consiglio di stato ha precisato che il
diritto di difesa prevale sulla
riservatezza, non sempre e a priori, ma a
una condizione: e cioè se gli atti richiesti
sono in concreto funzionali alla difesa in
giudizio. Se i documenti sono utili alla
difesa, allora non c'è riservatezza che
tenga, neppure per i dati sensibili e per i
dati supersensibili (salute e vita
sessuale).
Insomma per vincere la riservatezza di terzi
si deve riscontrare un «nesso strumentale»
tra gli specifici dati ricavabili da
documenti amministrativi richiesti e la
difesa in giudizio delle proprie ragioni.
Chi vuole avere la copia degli atti deve
almeno prospettare questa utilità, che
l'amministrazione detentrice dei documenti
deve, comunque, valutare.
Quindi:
1) la copertura delle generalità dei
dichiaranti ha lo scopo di tutelare chi
segnala un illecito da ritorsioni e anche di
garantire agli enti pubblici l'acquisizione
di informazioni testimoniali;
2) il disvelamento è consentito solo se c'è
un interesse concreto e attuale di entrare
in possesso di quegli specifici dati per «conclamate»
esigenze difensive.
Nel caso specifico il Consiglio di stato ha
ritenuto inesistenti esigenze difensive,
soddisfacibili solo conoscendo i nomi dei
testimoni del procedimento disciplinare. La
sentenza considera, infatti, che l'insegnate
era in possesso di tutta la documentazione
posta a base del procedimento di
trasferimento d'ufficio: documentazione già
di per sé esaustiva rispetto alle esigenze
di difendersi e di impugnare il
trasferimento d'ufficio. Niente trasparenza
amministrativa sui nomi dei segnalanti,
dunque, a meno di esigenza difensiva
conclamata.
Il principio formulato dalla sentenza in
esame può essere esteso anche ad altri casi
che quotidianamente occupano alcuni uffici
pubblici. Si pensi alle richieste agli
uffici tecnici dei comuni per ottenere il
nome di chi ha segnalato un abuso edilizio e
provocato un'ispezione che si è conclusa con
una sanzione. Seguendo la sentenza in esame,
a meno che non sia presente una esigenza
difensiva specifica, il comune potrà
sbianchettare il nome del segnalante.
Si sposta, pertanto, a favore della
riservatezza il bilanciamento degli
interessi, che in altre sentenze è risolto
diversamente, dando, invece, priorità
all'interesse del cittadino di conoscere
integralmente tutti gli atti del
procedimento amministrativo che lo interessa
(articolo ItaliaOggi
del 25.02.2011 - link a www.corteconti.it). |
APPALTI: Il
principio di intangibilità della compagine
consortile nel corso del procedimento di
gara si applica ai casi in cui la modifica
sia di tipo additivo.
La questione centrale da dirimere, nella
pronuncia in commento, attiene alla
legittimità della esclusione del consorzio
appellante, a seguito della sua modifica
soggettiva rispetto alla composizione che lo
stesso ente aveva all’epoca di proposizione
della domanda partecipativa alla procedura
comparativa indetta dal Comune in causa.
La
questione, sottolineano i giudici del
Consiglio di Stato, non è nuova ed attiene
alla corretta delimitazione della portata
del divieto di cui all’art. 37, comma 9, del
d.lgs. n. 163 del 2006, il quale prevede che
“salvo quanto disposto ai commi 18 e 19, è
vietata qualsiasi modificazione alla
composizione dei raggruppamenti temporanei e
dei consorzi ordinari di concorrenti
rispetto a quella risultante dall'impegno
presentato in sede di offerta”.
I giudici di
Palazzo Spada ritengono che tale
disposizione, per la sua portata generale,
debba trovare indistinta applicazione nelle
procedure comparative funzionali ad
individuare il miglior contraente della
amministrazione; deve quindi trovare
applicazione anche nel caso di specie, in
cui si verte nell’ambito di una procedura
volta alla individuazione di soggetti che,
quali concessionari del demanio marittimo,
devono dare affidamento di perseguire
l’interesse pubblico sotto il profilo della
più proficua utilizzazione del bene
demaniale oggetto di concessione.
Tale
disposizione non distingue tra consorzi
costituiti e consorzi costituendi, così che
già la sua interpretazione letterale non
corrobora la tesi dell’appellante, secondo
cui la portata del divieto dovrebbe
riguardare soltanto i soggetti non ancora
formalmente costituiti in sede di
partecipazione alla gara. D’altra parte,
continuano i giudici d’appello, la tesi
dell’appellante contrasta anche con la ratio
della disposizione, che consiste
nell’esigenza per la stazione appaltante di
esercitare, prima della stipula del
contratto, ogni possibile controllo su
ciascuno dei componenti l’ente
plurisoggettivo, vuoi in vista
dell’applicazione del divieto di
partecipazione previsto dal comma 7 del
medesimo art. 37 per i soggetti in conflitto
di interessi, vuoi per la verifica della
sussistenza dei requisiti di moralità in
capo ai singoli consorziati.
Quanto alla
effettiva portata del divieto, osserva la VI
Sezione che secondo una più risalente
interpretazione restrittiva, il divieto
della modifica della compagine soggettiva in
corso di gara o dopo l’aggiudicazione è
stato considerato indistintamente
applicabile a qualsiasi tipo di modifica
soggettiva, e cioè sia quando subentra un
nuovo soggetto, sia quando un componente
viene sostituito ad un altro, sia quando un
componente recede senza essere sostituito.
Ciò in quanto, con la sottoscrizione del
mandato da parte di tutte le componenti
dell’a.t.i. o del consorzio, la stazione
appaltante è posta in grado di conoscere ex
ante i soggetti con cui andrà a contrattare;
inoltre, consentire una modifica della
compagine sarebbe lesivo della par condicio competitorum nella misura in cui si consente
ai partecipanti di tarare la composizione
soggettiva in vista del perseguimento del
miglior risultato di gara.
In tal senso, si
assume che il principio di immodificabilità
soggettiva dei partecipanti alle gare
pubbliche mira a garantire una conoscenza
piena da parte delle amministrazioni
aggiudicatrici dei soggetti che intendono
contrarre con le amministrazioni stesse,
consentendo una verifica preliminare e
compiuta dei requisiti di idoneità morale,
tecnico-organizzativa ed
economico-finanziaria dei concorrenti,
verifica che non deve essere resa vana in
corso di gara con modificazioni di alcun
genere (Cons. St., sez. V, 07.04.2006, n.
1903; Cons. St., sez. V, 30.08.2006, n.
5081).
Tale conclusione interpretativa è
stata però rimessa in discussione da più
recenti pronunce, con riferimento a
situazioni diverse da quelle emerse nel
corso del presente giudizio. Infatti, per un
diverso orientamento di questo Consiglio
(sez. IV, 23.07.2007, n. 4101), il
divieto in questione andrebbe inteso in
senso restrittivo, perché sarebbe
applicabile solo nel caso di aggiunta o
sostituzione di componenti, e non anche nel
caso di recesso di una o più imprese dell’a.t.i.,
dopo l’aggiudicazione.
Si è al riguardo anche
osservato che il divieto di modificazione
soggettiva non ha l'obiettivo di precludere
sempre e comunque il recesso dal
raggruppamento in costanza di procedura di
gara, perché la sua ratio è quello di
consentire alla stazione appaltante di
verificare il possesso dei requisiti da
parte dei soggetti che partecipano alla gara
(con la conseguente preclusione di
modificazioni soggettive, sopraggiunte ai
controlli, e dunque, in grado di vanificare
le suddette verifiche preliminari): il
divieto non è stato dunque considerato
applicabile nel caso di recesso successivo
alla verifica di capacità e di moralità
(sez. VI, 13.05.2009 n. 2964).
Proprio
tale orientamento ha peraltro indotto la VI
Sezione a rilevare che il divieto in esame
senz’altro si applica quando si tratti di
una modificazione soggettiva per la quale in
sede di aggiudicazione risultino nuovi
soggetti componenti (la compagine
consortile), rispetto a quelli indicati in
sede di partecipazione (sez. VI, n. 842 del
16.02.2010): il principio di
intangibilità della compagine consortile nel
corso del procedimento di gara riguarda le
modifiche di tipo additivo, atteso che in
tal caso alla stazione appaltante non
residuerebbe alcun margine di controllo
sulla verifica della sussistenza dei
requisiti partecipativi in capo al
subentrato.
E’ dunque assolutamente costante
l’orientamento del Consiglio di Stato sulla
applicabilità del divieto ai casi in cui la
modificazione soggettiva non si caratterizzi
per un recesso, ma per una ‘modifica di tipo
additivo’, come è avvenuto nel caso di
specie (commento tratto da
www.documentazione.ancitel.it - Consiglio di Stato,
Sez. VI,
sentenza 09.02.2011 n. 888 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
VARI:
Danni conseguenti ad incendio. Il
proprietario deve provare il caso fortuito
per evitare di pagare i danni.
In tema di responsabilità per i danni
cagionati da coste in custodia ex art. 2051
c.c., il proprietario di un fondo dal quale
si propaga un incendio che si diffonda nel
fondo limitrofo, invadendolo, è responsabile
dei danni cagionati a quest’ultimo, qualora
non dimostri il caso fortuito; assumendo
rilievo, a riguardo, non la circostanza che
in quel fondo si sia originato l’incendio,
bensì là sua situazione obiettivamente
idonea ad alimentare, con accentuato
dinamismo, la propagamento dalle fiamme
(Corte di Cassazione, Sez. III civile,
sentenza 07.02.2011 n. 2962 -
link a www.litis.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Sanatoria
edilizia con provvedimento «implicito». Il
Consiglio di Stato: ammissibile la sanatoria
edilizia per fatti concludenti.
A seguito dell’entrata
in vigore della L. 10/1977, non è più
sostenibile che il rilascio del parere della
commissione edilizia comunale e la sua
comunicazione equivalgono al rilascio della
concessione edilizia comunale (ora permesso
di costruire).
E' quanto ha ribadito il Consiglio di Stato,
Sez. IV, con la
sentenza 07.02.2011 n. 813.
Con la pronuncia in esame la Corte ha
peraltro ammesso il riferimento all’ipotesi,
di creazione prevalentemente
giurisprudenziale, che è posta sotto la
denominazione di «provvedimento implicito»,
che proprio dall’esame delle fattispecie di
sanatoria degli abusi edilizi ha tratto più
diffusa applicazione.
Tale istituto emerge in particolare le
quante volte l’Amministrazione pur non
adottando formalmente un provvedimento, ne
determina univocamente i contenuti
sostanziali, o attraverso un comportamento
conseguente, ovvero determinandosi in una
direzione, anche con riferimento a fasi
istruttorie coerentemente svolte, a cui non
può essere ricondotto altro volere che
quello equivalente al contenuto del
provvedimento formale corrispondente.
Nel caso particolare esaminato dalla
sentenza era stata prefigurata
quantificazione degli oneri concessori, il
cui pagamento com’è noto è univocamente
connesso al rilascio della concessione
edilizia (commento tratto da
www.legislazionetecnica.it - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Distanze
legali in caso di demolizione e
ricostruzione. Se la ricostruzione non è
fedele si tratta di nuova costruzione; cosa
cambia ai fini delle distanze tra
costruzioni.
Con l'importante
sentenza 04.02.2011 n. 802, il
Consiglio di Stato, Sez. IV, ha chiarito in
quali casi un intervento di demolizione e
ricostruzione va considerato come «nuova
costruzione», e come questo debba essere
trattato ai fini dell'applicazione delle
norme sulle distanze legali, ed in
particolare del principio della prevenzione.
Ciò che contraddistingue la ristrutturazione
dalla nuova edificazione è la già avvenuta
trasformazione del territorio, attraverso
un’edificazione di cui si conservi la
struttura fisica (sia pure con la
sovrapposizione di un «insieme
sistematico di opere, che possono portare ad
un organismo edilizio in tutto o in parte
diverso dal precedente»), ovvero la cui
stessa struttura fisica venga del tutto
sostituita, ma, in quest'ultimo caso, con
ricostruzione, se non «fedele»
(termine espunto dall'attuale disciplina),
comunque rispettosa della volumetria e della
sagoma della costruzione preesistente.
il principio della prevenzione, che ricorre
quando il fondo è situato in un comune
sprovvisto di strumenti urbanistici, non è
applicabile quando l'obbligo di osservare un
determinato distacco dal confine sia dettato
da regolamenti comunali in tema di edilizia
e di urbanistica, avuto riguardo al
carattere indiscutibilmente cogente di tali
fonti normative, da intendersi preordinate
alla tutela, oltre che di privati diritti
soggettivi, di interessi generali.
Proprio in quest’ottica la giurisprudenza
sottolinea che solo nel caso in cui i
regolamenti edilizi stabiliscano
espressamente la necessità di rispettare
determinate distanze dal confine, non può
ritenersi consentita la costruzione in
aderenza o in appoggio a meno che tale
facoltà non sia consentita come alternativa
all'obbligo di rispettare le suddette
distanze.
Non verificandosi la situazione appena
esaminata, il principio della prevenzione
assume tutta la sua valenza, consentendo, in
ossequio a quanto previsto dagli art. 873 e
seguenti del Codice Civile, a chi edifica
per primo sul fondo contiguo ad altro tre
diverse facoltà:
• in primo luogo, quella di costruire sul
confine;
• in secondo luogo, quella di costruire con
distacco dal confine, osservando la distanza
minima imposta dal codice civile ovvero
quella maggiore distanza stabilita dai
regolamenti edilizi locali;
• infine quella di costruire con distacco
dal confine a distanza inferiore alla metà
di quella prescritta per le costruzioni su
fondi finitimi, facendo salvo in questa
evenienza la facoltà per il vicino, il quale
edifichi successivamente, di avanzare il
proprio manufatto fino a quella
preesistente, previa corresponsione della
metà del valore del muro del vicino e del
valore del suolo occupato per effetto
dell'avanzamento della fabbrica.
Nel caso concreto esaminato dalla Corte con
la pronuncia in commento, l'intervento
edilizio assentito con il permesso di
costruire impugnato, prevedendo la
realizzazione di un intervento di
demolizione e ricostruzione con sagoma e
volumi diversi rispetto al fabbricato
preesistente, è stato ritenuto inquadrabile
tra le nuove costruzioni, e dunque è stato
ritenuto applicabile, stante il rispetto
degli altri requisiti di legge, il principio
della prevenzione, che tra i due proprietari
confinanti consente a quello che costruisce
per primo le possibilità sopra elencate
(commento tratto da
www.legislazionetecnica.it - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
SICUREZZA LAVORO:
Requisiti di salute e sicurezza
dei luoghi di lavoro - Allegato IV, punto
1.11.1.5 del d.lgs. n. 81/2008 - Possibilità
di lavorare stando seduti - Prescrizioni
dell’autorità sanitaria - Art. 10 d.P.R. n.
520/1955 - Apprezzamento tecnico
discrezionale - Necessaria instaurazione del
contraddittorio con il datore di lavoro.
Agli operatori dell’Azienda Sanitaria è
riconosciuto (art. 10 del D.P.R. n.
520/1955) il potere di impartire
disposizioni esecutive implicanti un
apprezzamento tecnico-discrezionale
integrativo della disciplina stabilita dal
legislatore: segnatamente tale contenuto di
discrezionalità non può essere disconosciuto
nel caso in cui venga in rilievo
l’attuazione, con indicazione delle relative
modalità, della previsione dettata
dall’Allegato IV, punto 1.11.1.5., del
D.Lgs. n. 81/2008, secondo cui l'organo di
vigilanza può prescrivere che, anche nei
lavori continuativi, il datore di lavoro dia
modo ai dipendenti di lavorare stando a
sedere, ogni qualvolta ciò non pregiudichi
la normale esecuzione del lavoro.
Tale previsione va raccordata con gli artt.
63 e 64 del medesimo D.Lgs. n. 81/2008, che
rinviano all’Allegato IV per la
specificazione dei requisiti di salute e
sicurezza cui i luoghi di lavoro debbono
essere conformi ed ai quali il datore di
lavoro è tenuto a provvedere, nonché
all’art. 15, co. 1, lett. d), che annovera,
fra le misure generali di tutela della
salute e della sicurezza dei lavoratori nei
luoghi di lavoro, il rispetto dei principi
ergonomici nell'organizzazione del lavoro,
nella concezione dei posti di lavoro, nella
scelta delle attrezzature e nella
definizione dei metodi di lavoro e
produzione, in particolare al fine di
ridurre gli effetti sulla salute del lavoro
monotono e di quello ripetitivo.
Alla luce del quadro normativo così
delineato, il riportato intervento
dell’autorità di vigilanza presenta i
caratteri tipici della prescrizione
attuativa di un precetto che il legislatore
ha solo parzialmente determinato, rimettendo
all’amministrazione la scelta circa la
stessa opportunità di esercitare o meno il
potere di ordinare l’adeguamento delle
postazioni di lavoro.
Trattandosi di una misura di prevenzione dei
rischi, priva di connotazioni sanzionatorie,
la sua adozione non può legittimamente
considerarsi sottratta alla preventiva
instaurazione di un effettivo
contraddittorio con il datore di lavoro che
ne sia destinatario, alla stregua delle
regole generali che governano l’azione
amministrativa; la partecipazione del datore
di lavoro non può reputarsi esaurita con la
presenza al sopralluogo condotto dai
funzionari dell’A.S. (TAR Toscana, Sez. II,
sentenza 04.02.2011 n. 233 - link
a www.ambientediritto.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI - COMPETENZE GESTIONALI
-
EDILIZIA PRIVATA:
IGIENE E SANITA’ - Ordinanza ex
art. 50, c. 5, d.lgs. n. 267/2000 -
Competenza - Sindaco in qualità di ufficiale
di governo - Fattispecie: utilizzo di stalla
e concimaia in assenza di impianti per la
raccolta e il deflusso dei liquami.
L’ordinanza emanata ai sensi dell’art. 50,
comma 5, d.lgs. n. 267 del 2000 e successive
modificazioni, in materia di sanità e igiene
pubblica, rientra nella competenza del
Sindaco, in qualità di ufficiale di governo
-e non di altro dirigente, in quanto
espressione di un'elevata discrezionalità
diretta a soddisfare esigenze di pubblico
interesse onde porre rimedio a danni alla
salute già verificatisi, ma anche e
soprattutto -tenuto conto dei valori
espressi dall'art. 32 Cost.- per evitare che
un danno si verifichi (nella specie era
ordinato di non utilizzare gli immobili
stalla e concimaia nelle more della
realizzazione degli impianti per la raccolta
e il deflusso dei liquami a servizio degli
stessi, della comunicazione di fine lavori e
dell’ottenimento dell’agibilità) (TAR
Puglia-Bari, Sez. II,
sentenza 04.02.2011 n. 216 - link
a www.ambientediritto.it). |
URBANISTICA:
Lottizzazione abusiva -
Lottizzazione materiale, negoziale o
cartolare - Nozione - Attività materiale e
attività giuridica - Elementi indiziari -
C.d. lottizzazione abusiva mista - Art. 30,
1° c. T.U. n. 380/2001.
Si configura lottizzazione abusiva di
terreni a scopo edificatorio, ex art. 30, 1°
comma del T.U. n. 380/2001, quando vengono
iniziate opere che comportino trasformazione
urbanistica od edilizia dei terreni stessi
in violazione delle prescrizioni degli
strumenti urbanistici, vigenti o adottati, o
comunque stabilite dalle leggi statali o
regionali, o senza la prescritta
autorizzazione [attività materiale]. Nonché
quando tale trasformazione venga predisposta
attraverso il frazionamento e la vendita, o
atti equivalenti, del terreno in lotti che,
per le loro caratteristiche quali la
dimensione in relazione alla natura del
terreno e alla sua destinazione secondo gli
strumenti urbanistici, il numero,
l'ubicazione o la eventuale previsione di
opere di urbanizzazione ed in rapporto ad
elementi riferiti agli acquirenti, denuncino
in modo non equivoco la destinazione a scopo
edificatorio [attività giuridica].
Questo secondo tipo di lottizzazione viene
denominato "negoziale" o "cartolare"
e si fonda sulla presenza di elementi
indiziari, da cui risulti, in modo non
equivoco, la destinazione a scopo
edificatorio del terreno. Tali elementi
indiziari (descritti con elencazione
normativa non tassativa) non devono essere
presenti tutti in concorso fra di loro, in
quanto è sufficiente anche la presenza di
uno solo di essi, rilevante ed idoneo a fare
configurare, con margini di plausibile
veridicità, la volontà di procedere a
lottizzazione (in questo senso è orientata
anche la giurisprudenza amministrativa: vedi
C. Stato, Sez. V, 14.05.2004, n. 3136).
I due tipi di attività illecite dianzi
descritti (lottizzazione materiale e
negoziale) possono essere espletati anche
congiuntamente (c.d. lottizzazione abusiva
mista), in un intreccio di atti materiali e
giuridici comunque finalizzati a realizzare
una trasformazione urbanistica e/o edilizia
dei terreni non autorizzata oppure in
violazione della pianificazione vigente.
Reato di lottizzazione
abusiva - Configurabilità.
Il reato di
lottizzazione abusiva può configurarsi, in
presenza di un intervento sul territorio
tale da comportare una nuova definizione
dell'assetto preesistente in zona non
urbanizzata o non sufficientemente
urbanizzata, per cui esiste la necessità di
attuare le previsioni dello strumento
urbanistico generale attraverso la redazione
di un piano esecutivo e la stipula di una
convenzione lottizzatoria adeguata alle
caratteristiche dell'intervento di nuova
realizzazione.
Ma anche allorquando detto
intervento non potrebbe in nessun caso
essere realizzato poiché, per le sue
connotazioni oggettive, si pone in contrasto
con la destinazione programmata del
territorio comunale.
Nei casi in cui si
agisca sul territorio con un'attività
finalizzata ed idonea a snaturarne la
programmazione deve ritenersi inconferente
ogni riferimento all'incidenza del nuovo
insediamento sullo stato di urbanizzazione
esistente. [Cass., Sez. Unite, 28.11.2001,
Salvini ed altri, nonché Cass. Sez. III,
13.6.2008, n. 24096, Desimine ed altri;
Cass. 30.12.1996, n. 11249, ric. P.M. in
proc. Urtis].
Pertanto, il reato di lottizzazione abusiva,
nella molteplicità di forme che esso può
assumere in concreto, può essere posto in
essere da una pluralità di soggetti, i
quali, in base ai principi che regolano il
concorso di persone nel reato, possono
partecipare alla commissione del fatto con
condotte anche eterogenee e diverse da
quella strettamente costruttiva, purché
ciascuno di essi apporti un contributo
causale alla verificazione dell'illecito
(sia pure svolgendo ruoli diversi ovvero
intervenendo in fasi circoscritte della
condotta illecita complessiva) e senza che
vi sia alcuna necessità di un accordo
preventivo.
Reato di lottizzazione
abusiva negoziale - Carattere plurisoggettivo - Nesso causale - Condotta
dell'acquirente - Terzo estraneo - Art. 2
Cost..
La lottizzazione abusiva negoziale -in particolare- ha carattere generalmente plurisoggettivo, poiché in essa normalmente
confluiscono condotte convergenti verso
un'operazione unitaria caratterizzata dal
nesso causale che lega i comportamenti dei
vari partecipi diretti a condizionare la
riserva pubblica di programmazione
territoriale.
La condotta dell'acquirente
non configura un evento imprevisto ed
imprevedibile per il venditore, perché anzi
inserisce un determinante contributo causale
alla concreta attuazione del disegno
criminoso di quegli [Cass., Sez. Unite,
27.03.1992, n. 4708, ric. Fogliani] e, per
la cooperazione dell'acquirente nel reato,
non sono necessari un previo concerto o
un'azione concordata con il venditore,
essendo sufficiente, al contrario, una
semplice adesione al disegno criminoso da
quello concepito, posta in essere anche
attraverso la violazione (deliberatamente o
per trascuratezza) di specifici doveri di
informazione e conoscenza che costituiscono
diretta esplicazione dei doveri di
solidarietà sociale di cui all'art. 2 della
Costituzione [sul punto, Corte
Costituzionale sentenza n. 364/1988, ove
viene evidenziato che la Costituzione
richiede dai singoli soggetti la massima
costante tensione ai fini del rispetto degli
interessi dell'altrui persona umana ed è per
la violazione di questo impegno di
solidarietà sociale che la stessa
Costituzione chiama a rispondere penalmente
anche chi lede tali interessi non
conoscendone positivamente la tutela
giuridica].
L'acquirente, dunque, non può sicuramente
considerarsi, solo per tale sua qualità, "terzo
estraneo" al reato di lottizzazione
abusiva, ben potendo egli tuttavia, benché
compartecipe al medesimo accadimento
materiale, dimostrare di avere agito in
buona fede, senza rendersi conto cioè -pur
avendo adoperato la necessaria diligenza
nell' adempimento degli anzidetti doveri di
informazione e conoscenza- di partecipare ad
un'operazione di illecita lottizzazione.
Quando, invece, l'acquirente sia consapevole
dell'abusività dell'intervento -o avrebbe
potuto esserlo spiegando la normale
diligenza- la sua condotta si lega con
intimo nesso causale a quella del venditore
ed in tal modo le rispettive azioni,
apparentemente distinte, si collegano tra
loro e determinano la formazione di una
fattispecie unitaria ed indivisibile,
diretta in modo convergente al conseguimento
del risultato lottizzatorio.
Le posizioni, dunque, sono separabili se
risulti provata la malafede dei venditori,
che, traendo in inganno gli acquirenti, li
convincono della legittimità delle.
Reato di lottizzazione
abusiva negoziale - Consumazione alternativa
- Venditore e compratore - Artt. 5 e 42, 4°
c., cod. pen..
Il reato di lottizzazione
abusiva è a consumazione alternativa,
potendo realizzarsi sia per il difetto di
autorizzazione sia per il contrasto con le
prescrizioni della legge o degli strumenti
urbanistici, risulta ad evidenza
contraddittorio escludere (alla stessa
stregua di quanto pacificamente ritenuto per
la contravvenzione di esecuzione di lavori
in assenza o in totale difformità dalla
concessione edilizia) che la contravvenzione
medesima, sia negoziale sia materiale, possa
essere commessa per colpa [Cass., Sez. III,
13.10.2004, n. 39916, Lamedica ed altri;
Cass. 05.03.2008, n. 9982, Quattrone].
Pertanto, non è ravvisabile alcuna eccezione
al principio generale stabilito per le
contravvenzioni dall'art. 42, 4° comma, cod. pen., dovendo ovviamente valutarsi i casi di
errore scusabile sulle norme integratrici
del precetto penale e quelli in cui possa
trovare applicazione l'art. 5 cod. pen.
secondo l'interpretazione fornita dalla
pronuncia n. 364/1988 della Corte
Costituzionale.
Sicché, il venditore, non
può predisporre l'alienazione degli immobili
in una situazione produttrice di alterazione
o immutazione circa la programmata
destinazione della zona in cui gli stessi
sono situati ed i soggetti che acquistano
devono essere cauti e diligenti
nell'acquisire conoscenza delle previsioni
urbanistiche e pianificatone di zona.
In
conclusione, il compratore che omette di
acquisire ogni prudente informazione circa
la legittimità dell'acquisto si pone
colposamente in una situazione di
inconsapevolezza che fornisce, comunque, un
determinante contributo causale all'attività
illecita del venditore [Cass., Sez. III,
26.06.2008, Belloi ed altri].
Piano regolatore
generale - Natura di atto complesso.
Il PRG,
però, è un atto complesso sicché, una volta
intervenuta l'approvazione regionale, non
sono più possibili modificazioni unilaterali
da parte del Comune o della Regione ma esse
vanno effettuate d'intesa tra le due
autorità
(Corte di cassazione, Sez. III penale,
sentenza 03.02.2011 n. 3887 -
link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Immobile abusivo ultimato -
Mancanza del certificato di abitabilità -
Sequestro - Art. 221 T.U. delle leggi
sanitarie - Art. 321 c.p.p..
In materia di reati edilizi o urbanistici,
ai fini della sequestrabilità preventiva di
un immobile abusivo già ultimato, può
considerarsi come antigiuridica
l'implicazione proveniente dalla
perpetrazione dell'illecito amministrativo
sanzionato dall'art. 221 del T.U. delle
leggi sanitarie (divieto di abitare gli
edifici sforniti di certificato di
agibilità), che, pur non potendosi
inquadrare nella nozione di "agevolazione
della commissione di altri reati",
certamente integra una situazione illecita
ulteriore prodotta dalla condotta (la libera
utilizzazione della cosa) che il
provvedimento cautelare è finalizzato ad
inibire (Cass., Sez. III, 16.11.2004, n.
44433 e sez. IV, 19.04.2007, n. 15845).
Mutamento di destinazione d'uso
materiale - Configurabilità - Immobile
abusivo - I lavori eseguiti ripetono le
caratteristiche di illegittimità.
Deve ritenersi realizzato un mutamento di
destinazione d'uso materiale (e non
meramente ‘funzionale’), quando
l'innovazione avviene attraverso
l'esecuzione di opere edilizie ad essa
finalizzate. Inoltre, i lavori eseguiti,
riguardano un immobile preesistente non
edificato legittimamente, per il quale pende
procedura di condono non ancora definita,
sicché ripetono le caratteristiche di
illegittimità dall'opera alla quale sono
intimamente connessi e costituiscono abusiva
prosecuzione della stessa.
Reati edilizi o urbanistici -
Disponibilità del manufatto - Profilo della
offensività e misura cautelare - Valutazione
del giudice.
In tema di reati edilizi o urbanistici,
spetta al giudice di merito, con adeguata
motivazione, compiere una attenta
valutazione del pericolo derivante da libero
uso della cosa pertinente all'illecito
penale.
In particolare, vanno approfonditi la reale
compromissione degli interessi attinenti al
territorio ed ogni altro dato utile a
stabilire in che misura il godimento e la
disponibilità attuale della cosa, da parte
dell'indagato o di terzi, possa implicare
una effettiva ulteriore lesione del bene
giuridico protetto, ovvero se l'attuale
disponibilità del manufatto costituisca un
elemento neutro sotto il profilo della
offensività.
In altri termini, il giudice deve
determinare in concreto, il livello di
pericolosità che la utilizzazione della cosa
appare in grado di raggiungere in ordine
all'oggetto della tutela penale, in
correlazione al potere processuale di
intervenire con la misura preventiva
cautelare (Corte di Cassazione, Sez. III
penale,
sentenza 03.02.2011 n. 3885 -
link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Permesso di costruire -
Titolo abilitante illegittimo - Effetti -
Responsabilità e illiceità penale - Obblighi
di verifica del giudice.
I reati urbanistico-edilizi possono ravvisarsi anche in
presenza di un titolo abilitante
illegittimo. Pertanto, il giudice penale,
nel valutare la sussistenza o meno della
liceità di un intervento edilizio, deve
verificarne la conformità a tutti i
parametri di legalità fissati dalla legge,
dai regolamenti edilizi, dagli strumenti
urbanistici e dal titolo abilitativo
edificatorio (Cass., Sez. Un., 28.11.2001, Salvini).
Sicché, deve escludersi che -qualora sussista difformità dell'opera
edilizia rispetto a previsioni normative
statali o regionali ovvero a prescrizioni
degli strumenti urbanistici- il giudice
debba comunque concludere per la mancanza di
illiceità penale qualora l'amministrazione
abbia comunque rilasciato un titolo che
abilita a costruire, in quanto tale
provvedimento non è idoneo a definire
esaurientemente lo statuto urbanistico ed
edilizio dell'opera realizzanda (Corte di
cassazione, Sez. III penale,
sentenza 03.02.2011 n. 3872 -
link a www.ambientediritto.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Atti a contenuto
urbanistico o edilizio - Associazioni
ambientaliste - Legittimazione ad agire -
Sussiste - Fattispecie: lottizzazione
abusiva in area agricola.
Le
associazioni ambientaliste riconosciute sono
legittimate ad agire in giudizio non solo
per la tutela degli interessi ambientali "in
senso stretto", ma anche per quelli
ambientali "in senso lato", comprendenti
cioè la conservazione e valorizzazione
dell'ambiente in senso ampio, del paesaggio
urbano, rurale, naturale, dei monumenti e
dei centri storici, intesi tutti quali beni
e valori idonei a caratterizzare in modo
originale, peculiare ed irripetibile un
certo ambito geografico territoriale
rispetto ad altri. Ne consegue che dette
associazioni possono agire anche in
relazione ad atti a contenuto urbanistico o
edilizio, purché idonei a pregiudicare il
bene dell'ambiente come definito in termini
normativi.
Nella specie, è stata
riconosciuta, piena legittimazione all’ass.
Legambiente, dovendo ritenersi ormai
pacifico che la destinazione di un'area a
zona agricola riveste una finalità di tutela
a valenza conservativa anche dei valori
ambientali, venendo a costituire il polmone
dell'insediamento urbano ed assumendo per
tale via la funzione decongestionante e di
contenimento dell'espansione dell'aggregato
urbano (Corte di
cassazione, Sez. III penale,
sentenza 03.02.2011 n. 3872 -
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ATTI AMMINISTRATIVI:
TUTELA AMBIENTALE - Accesso alla giustizia -
Legittimazione ad agire - Pregiudizio
concreto ed attuale - Convenzione
internazionale di Aarhus - Direttiva
2003/35.
In materia di legittimazione ad
agire le norme nazionali debbono in ogni
caso garantire l'obiettivo dell'ampio
accesso alla giustizia e l'effetto utile
delle disposizioni della direttiva secondo
cui coloro i quali vantino un interesse
sufficiente per contestare un progetto e i
titolari di diritti lesi da quest'ultimo,
tra cui le associazioni di tutela
ambientale, debbono potere agire dinanzi al
giudice competente; né le normative degli
Stati membri -alle quali spetta determinare
ciò che costituisce "interesse sufficiente"- possono fissare limiti di portata tale da
rendere disagevole la possibilità di un
ampio accesso alla giustizia. (Corte di
Giustizia Sez. II, 15.10.2009, nel proc.
C-263/08).
In specie, la sede regionale di
un'associazione ambientalista radicata
sull'intero territorio nazionale con vari
organi decentrati è legittimata a
costituirsi parte civile se il bene leso si
trova nell'ambito della regione. Anzi uno
stabile collegamento di interessi con una
determinata zona costituisce elemento
sintomatico della possibile sussistenza di
un pregiudizio concreto ed attuale (Cass.,
Sez. III, 11.03.2009, n. 19883).
Tale
principio è aderente all'obbligo generale di
interpretazione del diritto nazionale in
conformità alle disposizioni del diritto
comunitario, adeguandosi alla direttiva
2003/35, con cui l'Unione Europea ha
contributo a dare attuazione agli obblighi
derivanti dalla Convenzione internazionale
di Aarhus "sull'accesso alle informazioni,
la partecipazione del pubblico ai processi
decisionali e l'accesso alla giustizia in
materia ambientale" (Corte di
cassazione, Sez. III penale,
sentenza 03.02.2011 n. 3872 -
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AMBIENTE-ECOLOGIA:
RIFIUTI - Rifiuti interrati - Operazioni di
rimozione e smaltimento - Conferimento con
il codice errato in discarica non
autorizzata - Funzionari ARPA -
Responsabilità per illecita gestione -
Condotte omissive - Configurabilità -
Fattispecie: bonifica di un sito con rifiuti
ospedalieri - D.L.vo n. 152/2006.
Il pubblico ufficiale, preposto al controllo
e alla vigilanza ambientale che venga a
conoscenza della esistenza di rifiuti
interrati e partecipi alle operazioni di
rimozione, assume una posizione di garanzia
in relazione alle sue condotte omissive.
Fattispecie: funzionari dell’ARPA
consapevoli dell’esistenza di rifiuti
ospedalieri sul sito da bonificare, non
effettuavano alcun controllo sostanziale
sulle operazioni di rimozione e smaltimento
del rifiuto, di tal ché non impedivano che
lo stesso fosse gestito come semplice terra,
consentendone il conferimento con il codice
errato in discarica non autorizzata (Corte di cassazione, Sez. III penale,
sentenza 01.02.2011 n. 3634 -
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AMBIENTE-ECOLOGIA:
TUTELA DELL’AMBIENTE - A.R.P.A. - Ente di
diritto pubblico - Funzioni - Compiti delle
Regioni e Province - Predisposizione dei
piani regionali di gestione dei rifiuti -
Art. 196 d.L.vo n. 152/2006.
L'A.R.P.A. è un
ente di diritto pubblico, preposto
all'esercizio delle funzioni e delle
attività tecniche per la vigilanza e il
controllo ambientale, delle attività di
ricerca e di supporto tecnico-scientifico,
nonché alla erogazione di prestazioni
analitiche di rilievo sia ambientale che
sanitario.
Inoltre, tra i compiti
fondamentali posti in capo alle Regioni (e
alle Province), secondo quanto previsto
dall'art. 196 del citato d.L.vo n. 152/2006,
rientra la predisposizione dei piani
regionali di gestione dei rifiuti, con
esercizio, tra le altre, di funzioni
attinenti al controllo periodico su tutte le
attività di gestione, intermediazione e
commercio dei rifiuti predetti, compreso
"l'accertamento delle violazioni delle
disposizioni in materia", avvalendosi anche
del supporto dell'A.R.P.A. (Corte di cassazione, Sez. III penale,
sentenza 01.02.2011 n. 3634 -
link a www.ambientediritto.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Conferenza di servizi.
Impugnazione dei verbali non accompagnata
dalla impugnazione del provvedimento finale.
L’istituto della conferenza di servizi
disciplinato dagli artt. 14 ss. della legge
07.08.1990, n. 241, in esito alle riforme
apportate dalle leggi 24.11.2000, n. 340, e
11.02.2005, n. 15, è caratterizzato da una
struttura dicotomica, articolata in una fase
che si conclude con la determinazione della
Conferenza (anche se di tipo decisorio), di
valenza endoprocedimentale, ed in una
successiva fase che si conclude con
l’adozione del provvedimento finale, di
valenza esoprocedimentale effettivamente
determinativa della fattispecie (V. in tal
senso, da ultimo, Cons. Stato, Sez. VI,
09.11.2010, n. 7981; Sez. VI, 11.11.2008, n.
5620, con particolare riferimento al
procedimento di recupero/bonifica di siti
inquinati di interesse nazionale ai sensi
del d.m. 25.10.1999, n. 471).
E’ inammissibile il ricorso proposto solo
contro i verbali di una conferenza di
servizi contenenti la determinazione
conclusiva di tale organo, i quali hanno
natura endoprocedimentale, senza che sia
stato impugnato anche il provvedimento
finale, il quale -come si evince peraltro
dalla formulazione del comma 6-bis del
citato art. 14-ter, aggiunto dall’art. 10
della l. 11.02.2005, n. 15- non è legato da
un nesso di presupposizione/consequenzialità
automatica con le determinazioni della
conferenza, né, specularmente, in caso di
patologia delle delibere conferenziali, da
un effetto caducatorio automatico
all’eventuale invalidità di quest’ultime
(massima tratta da www.regione.piemonte.it -
Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 31.01.2011 n. 712 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
ENTI LOCALI:
Nomine a carattere fiduciario di
rappresentanti del Comune presso enti,
aziende ed istituzioni.
Le nomine e le designazioni, da parte del
Consiglio comunale e del Sindaco, dei
rappresentanti dell'ente locale presso enti,
aziende ed istituzioni, previste da norme di
legge, regolamentari o dagli statuti di
questi ultimi, da disporsi nel rispetto di
quanto stabilito dall'art. 50 del d.lgs. n.
267 del 2000, debbono considerarsi di
carattere fiduciario, nel senso che
riflettono un giudizio di affidabilità,
espresso attraverso la nomina, basato non
soltanto sulle capacità tecniche e
professionali del nominato, ma anche sulla
ritenuta idoneità del medesimo di
rappresentare gli indirizzi di politica
amministrativa e gestionale di chi l'ha
designato, orientando l'azione
dell'organismo nel quale si trova ad operare
in senso quanto più conforme agli interessi
di chi gli ha conferito l'incarico (cfr. TAR
Marche, sez. I, 27.06.2007, n. 1171).
E’ legittimo il decreto con cui il Sindaco
di un Comune ha nominato un rappresentante
del Comune stesso in seno al Consiglio di
amministrazione di una Fondazione privata,
nel caso in cui risultino rispettate le
condizioni di pubblicità anticipata
dell’avvio del procedimento preordinato alla
scelta del soggetto da nominare, nonché
osservati gli indirizzi dettati dal
Consiglio comunale, mentre nessuno specifico
obbligo di motivazione deve ritenersi
sussistente in ordine alla scelta operata
tra i candidati, in ragione della natura
fiduciaria della scelta (massima tratta da
www.regione.piemonte.it - TAR
Lombardia-Brescia, Sez. II,
sentenza 28.01.2011 n.
179 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI:
Servizi pubblici. Il Consiglio di
stato contro la Consulta. Gestione diretta
senza limiti.
Nessuna norma impone ai
comuni di affidare all'esterno la gestione
dei servizi pubblici, anche a rilevanza
economica, se l'ente preferisce la gestione
diretta in economia. Nel caso di una scelta
differente, il conferimento a terzi deve
avvenire tramite gara. «Affidamento diretto»
e «gestione diretta» in economia, infatti,
non sono sinonimi.
Questo l'importante principio sancito dal
Consiglio di Stato, Sez. V, nella
sentenza 26.01.2011 n. 552, con
cui ha accolto il ricorso presentato da un
comune contro la sentenza del Tar che aveva
dichiarato illegittima la scelta di gestire
in economia il servizio di illuminazione
votiva.
I giudici hanno chiarito che c'è una netta
distinzione tra «gestione diretta» e
«affidamento diretto», in quanto l'«affidamento»
postula la scelta dell'ente di attribuire la
gestione di un servizio all'esterno, mentre
per «gestione diretta o in economia»
deve intendersi l'ordinaria erogazione del
servizio da parte dell'ente con proprio
personale.
Secondo il Consiglio di stato «non si
vede per quali motivi un ente locale debba
rintracciare un'esplicita norma positiva per
poter fornire direttamente ai propri
cittadini un servizio», tipicamente
appartenente al novero di quelli per cui
esso viene istituito. In questa chiave,
l'articolo 23-bis del Dl 112/2008 non
conterrebbe alcun divieto in tal senso.
Questa lettura non è condivisa dalla Corte
costituzionale che ha ritenuto equipollenti
i termini «gestione diretta» e «affidamento
diretto», nella pronuncia n. 325/2010.
La Consulta ha sostenuto che la normativa
comunitaria consente (ma non impone) agli
stati membri di prevedere la gestione
diretta del servizio pubblico da parte
dell'ente locale, mentre lo Stato italiano,
«facendo uso della sfera di
discrezionalità attribuitagli
dall'ordinamento comunitario ha effettuato
la sua scelta nel senso di vietare di
regolala gestione diretta dei spl».
Secondo il Consiglio di stato, considerando
l'esigenza di riduzione della spesa
pubblica, non sarebbe ammissibile sostenere
che un comune (magari piccolo) non possa
gestire direttamente un servizio come quello
dell'illuminazione votiva, «laddove
l'esborso sarebbe ben maggiore solo per
potersi procedere a tutte le formalità
necessarie per la regolare indizione di una
gara pubblica».
Tale considerazione è da sola sufficiente,
secondo i giudici, per ritenere sempre
legittima la gestione diretta in economia
dei pubblici servizi locali in base alle
autonome scelte organizzative dei comuni (articolo
Il Sole 24 Ore del 21.02.2011 -
link a www.corteconti.it). |
APPALTI FORNITURE E SERVIZI:
Appalti di forniture e servizi:
prova della capacità economica e
finanziaria.
E’ legittima la clausola del bando di gara
che richiede, al fine della dimostrazione
della capacità economica e finanziaria, la
produzione dei bilanci in attivo
regolarmente approvati con riguardo
all’ultimo triennio.
Così ha deciso il Consiglio di Stato, Sez.
V, con la
sentenza 21.01.2011 n. 426,
nell’ambito di un appalto di servizi socio
educativi – assistenziali il cui
disciplinare di gara richiedeva “la
produzione dei bilanci in attivo
regolarmente approvati con riguardo al
triennio 2005-2007.”
Tale previsione infatti non contrasta con
l’art. 41 del codice dei contratti “che
non fornisce alcuna indicazione in ordine
all’ambito temporale di riferimento delle
scritture contabili; per altro verso si
spiega, sul piano logico, con l’esigenza di
assicurare l’acquisizione, per tutti i
soggetti partecipanti e con riferimento al
medesimo periodo triennale, di bilanci
regolarmente approvati e depositati alla
stregua della disciplina civilistica di
riferimento (cfr. artt. 2364 e segg., che
stabiliscono in 180 giorni dalla chiusura
dell’esercizio sociale, il termine massimo
per la convocazione dell’assemblea ordinaria
ai fini dell’assolvimento del predetto
obbligo).”
La giurisprudenza, si veda ad esempio la
sentenza del Tar Roma, 17.02.2011, n. 2505,
nell’ambito di una gara di appalto per la
fornitura di materiale medico, ha altresì
ribadito che l’art. 41 del codice permette
ai concorrenti che siano impossibilitati a
presentare la documentazione attestante il
requisito economico - finanziario richiesto
dalla lex specialis di allegare altri
documenti.
E’ tuttavia “onere del concorrente
impossibilitato a presentare la
documentazione attestante il requisito
richiesto dal bando, indicare i
"giustificati motivi" dell’impedimento e,
nel contempo, allegare "qualsiasi altro
documento" idoneo a dimostrare la propria
capacità economico-finanziaria; ove infatti
si fosse avvalso della facoltà prevista dal
comma terzo del citato articolo 41 –la cui
applicabilità non è certo esclusa dal suo
mancato richiamo da parte del bando di gara,
che deve intendersi automaticamente
integrato dalle disposizioni di legge,
disciplinanti la procedura– la stazione
appaltante avrebbe, a sua volta, avuto
l’obbligo di valutare la capacità del
concorrente in base alla documentazione
"alternativa" presentata.”
E’ legittimamente escluso pertanto il
concorrente che non produca alcuna
documentazione alternativa, limitandosi a
richiamare l’art. 41 del codice. La stazione
appaltante da parte sua non può, in mancanza
di alcuna giustificazione, sollecitare un
successivo completamento documentale, che si
risolverebbe inevitabilmente “nella
produzione di un documento nuovo e diverso
rispetto a quelli depositati a corredo della
domanda di partecipazione alla procedura”,
in assoluta violazione del principio della
par condicio tra i concorrenti (commento
tratto da
www.professioni-imprese24.ilsole24ore.com -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Immissioni rumorose intollerabili
anche se non superano i limiti di legge.
Nei rapporti di
vicinato, le immissioni rumorose possono
considerarsi illecite anche quando non è
superato il limite di accettabilità
stabilito dalla normativa speciale in
materia di inquinamento acustico e
ambientale.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con
la sentenza in commento, pronunciandosi in
tema di immissioni sonore provenienti da un
ventilatore istallato nel muro comune di due
appartamenti adiacenti.
Secondo i giudici di Palazzo Cavour, le
immissioni sonore devono considerarsi
senz’altro illecite se superano i limiti
stabiliti dalle leggi e dai regolamenti che
fissano, nell’interesse della collettività,
le modalità di rilevamento dei rumori e i
limiti massimi di tollerabilità. Tuttavia,
l’eventuale rispetto degli stessi limiti non
è di per sé sufficiente a far considerare
tollerabili le immissioni, dovendo tale
giudizio sulla tollerabilità formularsi alla
stregua dei principi previsti dall’art. 844
del Codice civile.
La Suprema Corte ribadisce così un principio
già più volte affermato in giurisprudenza
(Cass. civ. nn. 1151/2003; 1418/2006;
5564/2010): il rispetto della legislazione
speciale in materia di inquinamento acustico
non pregiudica la questione della
tollerabilità delle immissioni nei rapporti
tra privati.
La legislazione speciale, infatti, opera nel
capo degli interessi pubblici ed è destinata
a regolare i rapporti tra privato e pubblica
amministrazione, non già i rapporti di
natura patrimoniale tra privati, alla cui
disciplina è invece destinato l’art. 844 c.c..
Pertanto, anche se le immissioni non
superano i limiti fissati dalle norme di
interesse generale, ciò non esclude che esse
possano andare oltre la “normale
tollerabilità” e risultare dunque
illecite dal punto di vista civilistico. In
tal caso, il soggetto interessato potrà
agire per far cessare l’abuso o richiedere
misure idonee a ridurre le immissioni e,
sussistendone i presupposti, ottenere il
risarcimento dei danni subiti.
Il giudizio sulla tollerabilità e liceità
delle immissioni nei rapporti tra privati
dovrà essere sempre effettuato con
riferimento alla situazione concreta e in
base ai criteri di cui all’art. 844 c.c.: “Il
proprietario di un fondo non può impedire le
immissioni di fumo o di calore, le
esalazioni, i rumori, gli scuotimenti e
simili propagazioni derivanti dal fondo del
vicino, se non superano la normale
tollerabilità, avuto anche riguardo alla
condizione dei luoghi. Nell’applicare questa
norma l’autorità giudiziaria deve
contemperare le esigenze della produzione
con le ragioni della proprietà. Può tener
conto della priorità di un determinato uso”
(Corte di Cassazione, Sez. II civile,
sentenza 17.01.2011 n. 939 - link
a www.altalex.com). |
PUBBLICO IMPIEGO:
PUBBLICA AMMINISTRAZIONE - Abuso d’ufficio -
Rilascio di un’autorizzazione - Inosservanza
del dovere di compiere l’istruttoria per
verificare la sussistenza delle condizioni
richieste - Violazione di legge - Art. 3 L.
n. 241/1990.
L’inosservanza del dovere di compiere
un'adeguata istruttoria diretta ad accertare
la sussistenza delle condizioni richieste
per il rilascio di un'autorizzazione (nella
specie, permesso di costruire) è idonea ad
integrare la violazione di legge, rilevante
ai fini della sussistenza del reato di abuso
di ufficio, dal momento che l’istruttoria
amministrativa è comunque imposta da una
norma generale sul procedimento
amministrativo, prevista dalla L. 07.08.1990. n. 241, art. 3, costituendo una fase
procedimentale essenziale e incidente
direttamente sul momento finale della
decisione, in cui i diversi interessi,
pubblici, collettivi e privati, devono
essere ponderati (Cass, Sez. 6^, 04.11.2004, n. 69, Palascino;
Sez. 6^, 07.04.2005, n. 18149, Fabbri).
PUBBLICA AMMINISTRAZIONE - Violazione di
strumenti urbanistici - Integrazione del
reato di abuso di ufficio - Possibilità -
Fondamento.
La violazione di strumenti urbanistici, pur
non potendosi questi configurare come norme
di legge o di regolamento, può integrare il
reato di abuso d'ufficio, in quanto
rappresenta solo il presupposto di fatto
della violazione della normativa legale in
materia urbanistica, alla quale deve farsi
comunque riferimento quale dato strutturale
della fattispecie delittuosa di cui all'art.
323 c.p. (Cass. Sez. 6, 25.01.2007, n.
11620, Pellegrino).
PUBBLICA AMMINISTRAZIONE - Abuso d’ufficio -
Concorso del privato - Presupposti -
Presentazione della sola istanza relativi ad
un atto rivelatosi poi illegittimo -
Insufficienza.
Ai fini della configurabilità del concorso
del privato nel reato di abuso di ufficio,
anche se destinatario dell'ingiusto
vantaggio patrimoniale, è necessaria la
dimostrazione che questi abbia posto in
essere una condotta causalmente rilevante
nella realizzazione della fattispecie
criminosa, partecipando con comportamenti
diretti a determinare o ad istigare il
pubblico ufficiale ovvero accordandosi con
quest'ultimo (Sez. 6A, 25.05.1995, n.
2140, Tontoli).
Di conseguenza deve escludersi ogni forma di
concorso nel caso in cui il privato si
limiti alla presentazione della semplice
istanza relativa a un atto che, nel
concreto, risulti illegittimo (tra le tante
v., Sez. 6, 12.07.2000. Margini).
PUBBLICA AMMINISTRAZIONE - Delitti contro la
P.A. - Concorso del privato nel delitto di
abuso d'ufficio - Mera coincidenza tra la
richiesta del privato e il provvedimento
posto in essere dal pubblico funzionario -
Idoneità ad integrare il concorso -
Esclusione - Ragioni.
In tema di delitti contro la P.A., al fine
di affermare la sussistenza del concorso del
privato nel reato di abuso di ufficio, la
prova che l'atto amministrativo è il
risultato della collusione tra privato e
pubblico funzionario non può essere dedotta
dalla mera coincidenza tra la richiesta del
primo e il provvedimento posto in essere dal
secondo, essendo invece necessario che il
contesto fattuale, i rapporti personali tra
le parti o altri dati di contorno dimostrino
che la presentazione della domanda è stata
preceduta, accompagnata o seguita da
un'intesa col Pubblico funzionario, o
comunque da pressioni dirette a
sollecitarlo, ovvero a persuaderlo al
compimento dell'atto illegittimo e,
nonostante ciò, venga adottato; va infatti
considerato che il privato, contrariamente
al pubblico funzionario, non è tenuto a
conoscere le norme che regolano l’attività
di quest'ultimo, né a conoscere le
situazioni attinenti l’ufficio che possano
condizionare la legittimità dell’atto(conf.,
ex plurimis, Cass. sez. 6 12/2003).
PUBBLICA AMMINISTRAZIONE - Falso documentale
- Natura plurioffensiva.
Il falso documentale ha natura
plurioffensiva: l'obiettivo generalmente
perseguito dal falsario non è infatti quello
precipuo dell'offesa della fede pubblica,
bensì lo scopo ulteriore cui è diretta
l’attività criminosa, onde il falso finisce
in genere con l'aggredire gli specifici
interessi di volta in volta lesi dall'uso
del documento falsificato.
PUBBLICA AMMINISTRAZIONE - Falso materiale e
falso ideologico - Differenza.
Laddove il falso materiale attiene
generalmente alla forma esteriore del
documento, aggredendo il carattere della
genuinità dell'atto, il falso ideologico, o
falso intellettuale, attiene invece al
contenuto di veridicità di un atto
materialmente integro, ossia si identifica
con dichiarazioni menzognere, aggredendo
quindi la veridicità del documento.
PUBBLICA AMMINISTRAZIONE - Falso ideologico
- Dolo richiesto per il perfezionamento del
reato - Dolo generico.
Il dolo richiesto al fine del perfezionarsi
del reato di falso ideologico è quello
generico, consistente nella volontarietà e
consapevolezza della falsa attestazione, non
essendo invece richiesto né l’animus nocendi,
né l’animus decipendi.
PUBBLICA AMMINISTRAZIONE - Falso ideologico
- Occultamento della situazione reale -
Necessità.
Il falso ideologico presuppone
necessariamente l'occultamento della
situazione reale. La condotta criminosa è
scindibile in 2 momenti: l'attestazione del
fatto non vero e l'occultamento di quello
vero.
Quando l'attestazione del fatto -pur
incompleta o minimizzata- consente di
pervenire all'individuazione del fatto vero,
essa non può essere ritenuta falsa (Cass.,
V, 17/04/1992, Montalbano).
PUBBLICA AMMINISTRAZIONE - falso in atto
pubblico - Bene tutelato - Affidamento nella
corrispondenza al vero delle informazioni
contenute nell’atto.
Nel falso ideologico in atto pubblico il
bene tutelato è quello dell'affidamento che
chi prende cognizione dell'atto fa nella
corrispondenza al vero dell'informazione che
l'atto contiene, secondo il significato
comunemente dato alle espressioni utilizzate
in quel determinato contesto.
Non è
necessario , ai fini della rilevanza penale, né la determinazione di un danno ulteriore
per l'amministrazione, né il pregiudizio
derivante dalla lesione di un interesse
probatorio connesso all’oggetto materiale
della condotta di falsificazione (S.C., sez.
V, 21/11/1996, Meloro).
PUBBLICA AMMINISTRAZIONE - Abuso d’ufficio -
Oggetto del reato - Soggetti attivi - Reato
proprio non esclusivo - Attuazione per
interposta persona - Concorso nel reato
dell’extraneus.
L'abuso di ufficio è fattispecie legale
volta a reprimere quei fatti illeciti che si
concretizzano nell'esercizio distorto e
strumentale di un pubblico ufficio, ovvero
delle potestà pubblicistiche connesse
all'esercizio dell'ufficio, al fine della
realizzazione di un ingiusto vantaggio
patrimoniale, o del danno ingiusto,
perseguito attraverso la violazione di norme
o regolamenti. Oggetto del reato è la
lesione del buon funzionamento della P.A..
Quanto ai soggetti attivi del reato,
trattasi di tipica figura di reato proprio
ma non esclusivo, onde a ciò consegue la
possibilità di attuare il fatto tipico anche
per interposta persona e la applicabilità
del concorso nel reato dell'extraneus -
secondo i principi generali dell'istituto
del concorso di persone nel reato- senza
tuttavia che tale apporto dell'extraneus
possa essere considerato imprescindibile per
la configurazione dell'illecito.
PUBBLICA AMMINISTRAZIONE - Abuso d’ufficio -
Art- 323 c.p. - Violazione di norme di leggi
o regolamento - Atto amministrativo
illegittimo per violazione di legge -
Differenza.
Il novellato art. 323 c.p. richiede
espressamente, al fine del configurarsi
dell’elemento oggettivo del reato, che
i'ingiusto danno o vantaggio venga
perseguito mediante la violazione di norme
di legge o di regolamento, concetto questo
che non va confuso con quello, più ampio, di
atto amministrativo illegittimo per
violazione di legge, atteso che il termine
legge riportato dall'art. 26 del T.U. sul
C.d S. -e cui si riferisce il vizio
dell'atto amministrativo- include non solo
le fonti primarie di produzione del diritto,
ma anche qualunque altro atto o fatto che
costituisca fonte normativa in senso lato,
mentre invece non possono ricomprendersi
nella previsione dell'art. 323 c.p. le fonti
normative diverse da quelle primarie e
secondarie. Il concetto di violazione di
legge come vizio dell'atto amministrativo è
invece più ristretto di quello cui si
riferisce l’art. 323 cp, atteso che
quest’ultimo si riferisce non
necessariamente, o esclusivamente, -come
nel caso del vizio dell'atto- alla attività
del p.u. che si sia tradotta in atti
amministrativi, bensì a qualsivoglia
attività o comportamenti posti in essere in
violazione di legge, pur se non tradottisi
in atti amministrativi.
PUBBLICA AMMINISTRAZIONE - Abuso d’ufficio -
Condotta punibile - Azione od omissione.
In tema di abuso di ufficio, l’attuale
previsione normativa, presupponendo la
violazione di una norma di legge o di
regolamento, che a sua volta può contenere
un obbligo di agire a carico del pubblico
funzionario, consente la punibilità di un
abuso commesso sia con una condotta attiva
che omissiva. Laddove infatti è sancito un
obbligo di agire a carico del funzionario
pubblico, l'eventuale omissione perpetrata,
se diretta a procurare un vantaggio
ingiusto, non può che determinare la
responsabilità dello stesso.
PUBBLICA AMMINISTRAZIONE - Abuso d’ufficio -
Art. 323 c.p. - Vantaggio ingiusto - Doppia
condizione - “Non iure” e “contra ius”.
Affinché il vantaggio previsto dall'art. 323
c.p. possa considerarsi ingiusto, occorre la
doppia condizione che esso sia prodotto "non
iure" e inoltre che sia "contra ius",
vale a dire che risultato dell'abuso si
presenti come contrario all'ordinamento
giuridico.
PUBBLICA AMMINISTRAZIONE - Abuso d’ufficio -
Dolo intenzionale.
In tema di abuso d’ufficio, il dolo
intenzionale può correttamente intendersi
integrato dalla coscienza e volontà non solo
del fatto tipico, e dunque delle specifiche
modalità di causazione dell'evento
(violazione di norme ecc.), ma anche
dell'evento di danno o di ingiusto
vantaggio, risultando invece irrilevante il
movente, ossia la motivazione induce il
soggetto a perseguire la realizzazione del
reato come fine della condotta (TRIBUNALE di
Salerno, Ufficio del G.I.P.,
sentenza 21.12.2010 n. 683 - link
a www.ambientediritto.it). |
AGGIORNAMENTO AL 21.02.2011 |
ã |
NOTE,
CIRCOLARI E COMUNICATI |
AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA -
URBANISTICA:
Oggetto: Progetto di Legge n. 0076 di
iniziativa del Presidente della Giunta
Regionale “Nuova organizzazione degli
enti gestori delle aree regionali protette e
modifiche alla legge regionale 30.11.1983 n.
86 (Piano generale delle aree regionali
protette. Norme per l’istituzione e la
gestione delle riserve dei parchi e dei
monumenti naturali, nonché delle aree di
particolare rilevanza naturale e ambientale)”
(ANCI Lombardia,
nota 16.02.2011 n. 238 di prot.). |
EDILIZIA PRIVATA - AMBIENTE-ECOLOGIA -
URBANISTICA:
Lombardia, Consiglio approva
Collegato Ordinamentale 2011.
Il Consiglio regionale ha approvato oggi con
40 voti favorevoli e 29 contrari il “Collegato
Ordinamentale”, una legge che modifica o
integra le disposizioni legislative
regionali.
Tra le novità previste, una nuova proroga ai
Comuni fino al 31.12.2012 per dotarsi
definitivamente del piano di governo del
territorio (PGT) e il via libera alle
deroghe eccezionali ai limiti
sull’inquinamento acustico oggi previste nel
caso essi dovessero mettere a repentaglio lo
svolgimento di eventi di rilievo
internazionali, come ad esempio i grandi
concerti.
Il “Collegato” equipara inoltre i
Centri culturali a carattere religioso agli
edifici di culto, prevedendo per la loro
realizzazione uno specifico percorso di
programmazione nei piani regolatori.
Via libera anche alla norma che dà la
possibilità ai Comuni di negare
l’autorizzazione ad aprire attività
commerciali nei centri storici se in
contrasto con il “decoro pubblico” e
le “tradizioni locali”.
Il “Collegato” recepisce inoltre la
direttiva europea Bolkestein sul commercio e
introduce norme di semplificazione
burocratica nell’edilizia e per lo
svolgimento di alcune attività, come ad
esempio la certificazione energetica, un
settore in espansione e al quale potranno
accedere adesso ai corsi formativi anche i
cittadini non iscritti a un albo. ... (comunicato
15.02.2011 - link a
www.consiglio.regione.lombardia.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Manovra estiva: chiarimenti dall'Agenzia
delle Entrate, anche sulla SANATORIA
CATASTALE.
L'Agenzia delle Entrate ha pubblicato la
circolare 15.02.2011 n. 4/E al
fine di fornire i primi chiarimenti sulle
disposizioni di carattere fiscale contenute
nel D.L. 31.05.2010, n. 78 (manovra estiva),
convertito dalla Legge 30.07.2010, n. 122,
per favorirne la corretta applicazione.
Il documento tratta i seguenti argomenti:
1- Interventi in materia previdenziale
(articolo 12, comma 10)
2- Partecipazione dei comuni all’attività di
accertamento tributario e contributivo
(articolo18)
3- Aggiornamento del catasto (articolo 19)
4- Comunicazioni telematiche all’Agenzia
delle Entrate (articolo 21)
5- Aggiornamento dell’accertamento sintetico
(articolo 22)
6- Contrasto al fenomeno delle imprese “apri
e chiudi” e Contrasto al fenomeno delle
Imprese in perdita “sistemica” (articoli 23
e 24)
7- Contrasto di interessi (articolo 25)
8- Adeguamento alle direttive OCSE in
materia di documentazione dei prezzi di
trasferimento (articolo 26)
9- Adeguamento alla normativa europea in
materia di operazioni intracomunitarie ai
fini del contrasto delle frodi (articolo 27)
10- Incrocio tra le basi dati dell’INPS e
dell’Agenzia delle entrate per contrastare
la microevasione diffusa (articolo 28)
11- Concentrazione della riscossione
nell’accertamento (articolo 29)
12- Preclusione all’autocompensazione in
presenza di debito su ruoli definitivi
(articolo 31)
13- Stock options ed emolumenti variabili a
dirigenti e collaboratori del settore
finanziario (articolo 33).
Sanatoria catastale.
In base a stime ufficiali dell'Agenzia del
Territorio, in Italia esistono migliaia di
immobili non accatastati, definiti
“fantasma”. La sanatoria catastale, prevista
dalla manovra estiva, consentiva ai
cittadini non in regola di regolarizzare la
posizione catastale entro il 31.12.2010.
Tale scadenza è stata prorogata al
30.04.2011 dal maxiemendamento al disegno di
legge per la conversione del Milleproroghe.
Quindi, chi si trova nella situazione di
possedere un immobile, la cui planimetria
non è depositata in catasto o che non è
conforme allo stato di fatto, in particolare
immobili non dichiarati al Catasto,
fabbricati ex-rurali e immobili che hanno
subito modifiche, deve regolarizzare entro
il 30 aprile, anche perché dal primo luglio
2010, non è più possibile vendere un
immobile non censito in catasto o difforme
al deposito, per cui l’immobile risulterebbe
anche senza mercato.
Naturalmente restano esclusi dall’obbligo di
variazione catastale quegli interventi,
quali lo spostamento di un tramezzo o di una
porta, che non comportano modifiche della
consistenza catastale. Inoltre, chi non avrà
provveduto ad auto denunciarsi dovrà
corrispondere le relative sanzioni, per
altro recentemente quadruplicate, più tutti
i costi amministrativi della pratica.
Ricordiamo, infine, che, secondo stime
dell'Agenzia del Territorio, gli immobili
individuati come sospetti sono circa 2
milioni sul tutto il territorio nazionale ed
a scadenza dei termini tutte quelle non
ancora esaminati diverranno di competenza
dei Comuni, i quali percepiranno il 75%
delle relative sanzioni ove applicabili
(link a www.acca.it). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO:
Nei Comuni fino a 5mila abitanti
non si applicano le regole sul turn-over.
L’unico limite è che questi Comuni non
devono superare le spese di personale
sostenute nel 2004. Le assunzioni però si
bloccano nel caso in cui le spese di
personale superano il 40% delle spese
correnti.
Recenti
pronunce della Corte dei Conti riaprono la
possibilità di assumere a copertura del
turn-over per gli enti che non sottoposti a
patto di stabilità
(ANCI,
nota 14.02.2011). |
EDILIZIA PRIVATA:
Oggetto: Monitoraggio per il Fondo Aree
Verdi - Adempimenti comunali (Regione
Lombardia, Direzione Generale Sistemi Verdi
e Paesaggio,
nota 07.02.2011 n. 2462 di prot.). |
SINDACATI |
PUBBLICO IMPIEGO:
La nuova normativa sul T.F.S. dei
dipendenti Enti Locali e Sanità
(CSA di Roma,
nota 12.02.2011 n. 11 di prot.). |
PUBBLICO IMPIEGO:
La posizione del CSA sull'accordo
del 04.02.2011
(CSA di Roma,
nota 18.02.2011 n. 119 di prot.). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Elezione delle R.S.U.: il parere
del Consiglio di Stato
(CGIL-FP di Bergamo,
nota 15.02.2011). |
PUBBLICO IMPIEGO:
L'intesa del 04.02.2011: una
situazione caotica
(CGIL-FP di Bergamo,
nota 14.02.2011). |
PUBBLICO IMPIEGO:
L'intesa del 04.02.2011: un
accordo per escludere la CGIL
(CGIL-FP di Bergamo,
nota 14.02.2011). |
PUBBLICO IMPIEGO:
L’Intesa del 04.02.2011 tra
Governo e Sindacati è un accordo politico:
nulla cambia ai fini della rappresentatività
sindacale
(CSA di Roma,
nota 08.02.2011). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Intesa del 04.02.2011: la
posizione del CSA Regioni Autonomie Locali
(CSA di Roma,
nota 07.02.2011 n. 76 di prot.). |
GURI - GUUE -
BURL (e anteprima) |
ENTI LOCALI:
Testo, con modificazioni, dello schema di
decreto legislativo recante disposizioni in
materia di federalismo fiscale municipale e
relative osservazioni del Governo (testo
trasmesso alla Presidenza del Senato il
15.02.2011).
---------------
A seguito del Consiglio dei Ministri di
giovedì 03.02.2011, è stato approvato
definitivamente il quarto decreto attuativo
della legge delega 42/2009:
il decreto sul federalismo
municipale.
A seguito della dichiarazione di "irricevibilità"
da parte del Presidente Napolitano, ai sensi
del comma 3 e 4 dell'art. 2 della L. 42/2009
che recintano:
"3.
I decreti legislativi di cui al comma 1 sono
adottati su proposta del Ministro
dell'economia e delle finanze, del Ministro
per le riforme per il federalismo, del
Ministro per la semplificazione normativa,
del Ministro per i rapporti con le regioni e
del Ministro per le politiche europee, di
concerto con il Ministro dell'interno, con
il Ministro per la pubblica amministrazione
e l'innovazione e con gli altri Ministri
volta a volta competenti nelle materie
oggetto di tali decreti. Gli schemi di
decreto legislativo, previa intesa da
sancire in sede di Conferenza unificata ai
sensi dell'articolo 3 del decreto
legislativo 28.08.1997, n. 281, sono
trasmessi alle Camere, ciascuno corredato di
relazione tecnica che evidenzi gli effetti
delle disposizioni recate dal medesimo
schema di decreto sul saldo netto da
finanziare, sull'indebitamento netto delle
amministrazioni pubbliche e sul fabbisogno
del settore pubblico, perché su di essi sia
espresso il parere della Commissione di cui
all'articolo 3 e delle Commissioni
parlamentari competenti per le conseguenze
di carattere finanziario, entro sessanta
giorni dalla trasmissione. In mancanza di
intesa nel termine di cui all'articolo 3 del
decreto legislativo 28.08.1997, n. 281, il
Consiglio dei ministri delibera, approvando
una relazione che è trasmessa alle Camere.
Nella relazione sono indicate le specifiche
motivazioni per cui l'intesa non è stata
raggiunta.
4.
Decorso il termine per l'espressione dei
pareri di cui al comma 3, i decreti possono
essere comunque adottati. Il Governo,
qualora non intenda conformarsi ai pareri
parlamentari, ritrasmette i testi alle
Camere con le sue osservazioni e con
eventuali modificazioni e rende
comunicazioni davanti a ciascuna Camera.
Decorsi trenta giorni dalla data della nuova
trasmissione, i decreti possono comunque
essere adottati in via definitiva dal
Governo. Il Governo, qualora, anche a
seguito dell'espressione dei pareri
parlamentari, non intenda conformarsi
all'intesa raggiunta in Conferenza
unificata, trasmette alle Camere e alla
stessa Conferenza unificata una relazione
nella quale sono indicate le specifiche
motivazioni di difformità dall'intesa."
il Ministro Calderoli effettuerà, nei
prossimi giorni, la prevista Comunicazione
alle Camere e così il Decreto sul
federalismo Municipale sarà definitivamente
vigente. |
EDILIZIA PRIVATA:
B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 7 del
14.02.2011, "Definizione degli standard
obbligatori minimi e dei requisiti
funzionali delle case per ferie e degli
ostelli per la gioventù, in attuazione
dell’articolo 36, comma 1, della legge
regionale 16.07.2007, n. 15 (Testo unico
delle leggi regionali in materia di turismo)"
(R.R.
14.02.2011 n. 2). |
AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA:
B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 7 del
14.02.2011, "Modifiche al regolamento
regionale 20.07.2007, n. 5 “Norme forestali
regionali, in attuazione dell’articolo 50,
comma 4, della legge regionale 05.12.2008,
n. 31 (Testo unico delle leggi regionali in
materia di agricoltura, foreste, pesca e
sviluppo rurale)” (R.R.
14.02.2011 n. 1). |
ENTI LOCALI - VARI:
B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 7 del
14.02.2011, "Azioni orientate verso
l’educazione alla legalità" (L.R.
14.02.2011 n. 2). |
AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA:
G.U.U.E. 08.02.2011 n. L 33 "DECISIONE
DELLA COMMISSIONE del 10.01.2011
che adotta, ai sensi della direttiva
92/43/CEE del Consiglio, un quarto elenco
aggiornato dei siti di importanza
comunitaria per la regione biogeografica
alpina [notificata con il numero C(2010)
9663]" (link a
http://eur-lex.europa.eu). |
DOTTRINA E
CONTRIBUTI |
ATTI AMMINISTRATIVI:
R. Marzocca,
Il diritto amministrativo non tollera
l'arbitrato irrituale
(link a http://venetoius.myblog.it). |
APPALTI SERVIZI:
L. Lo Biundo,
Per il Consiglio di Stato le società
strumentali possono anche gestire servizi
pubblici locali (link a
www.dirittodeiservizipubblici.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Lombardia,
Corso di specializzazione sull'applicazione
della L.R. n. 12/2005:
5^ lezione (parte A) - Titoli abilitativi
(Geometra Orobico n. 6/2010). |
UTILITA' |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Uso del compost e dei reflui zootecnici in
agricoltura, guida on-line.
La guida, elaborata dai settori Ambiente e
Urbanistica e Agricoltura della Provincia di
Bergamo insieme al Consorzio italiano
compostatori (Cic) con la partecipazione del
Dipartimento ARPA di Bergamo, è inoltre
disponibile su supporto cartaceo, per coloro
che ne vorranno fare richiesta, presso gli
uffici provinciali.
Il documento contiene indicazioni utili per
operatori del settore e autorità locali sul
migliore e più corretto impiego in
agricoltura dei reflui zootecnici e del
compost, con il suggerimento di utilizzare
quest'ultimo anche nell'ambito del "Green
Public Procurement” (GPP), una modalità
di acquisto delle Pubbliche amministrazioni
che permette di ridurre gli impatti
ambientali legati ai processi di produzione
e di consumo (link a
www.provincia.bergamo.it). |
VARI:
Attivo il Portale GSE per le richieste di
INCENTIVI con il terzo Conto Energia.
Il GSE informa che è operativo il PORTALE
per la presentazione delle richieste di
riconoscimento delle tariffe incentivanti
con il Terzo Conto Energia (D.M.
06/08/2010).
Si ricorda che possono usufruire degli
incentivi tutti gli impianti che sono
entrati in esercizio dal primo gennaio 2011
(o dopo il 25/08/2010 per gli impianti
fotovoltaici a concentrazione) a seguito di
interventi di nuova costruzione, rifacimento
totale o potenziamento, appartenenti alle
seguenti categorie:
- impianti fotovoltaici "su edifici"
o "altri impianti";
- impianti fotovoltaici integrati con
caratteristiche innovative;
- impianti fotovoltaici a concentrazione.
Per richiedere gli incentivi, i Soggetti
Responsabili degli impianti o i Referenti
Tecnici delegati sono tenuti a utilizzare il
portale applicativo.
Inoltre, il GSE ha predisposto una specifica
Guida che illustra le funzionalità
dell'applicazione web dedicata al Terzo
Conto Energia.
Si ricorda che l'invio delle richieste deve
avvenire esclusivamente per via telematica
(link a www.acca.it). |
EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI:
Regole e suggerimenti per la scelta, il
getto e il controllo del CALCESTRUZZO. Un
utile documento per imprese, direttori dei
lavori e tecnici.
“USA E GETTA” è un manualetto pratico
studiato specificatamente per gli operatori
di cantiere, frutto della collaborazione tra
la Scuola Edile di Bergamo, la Commissione
Tecnica Gruppo Giovani A.C.E.B. e la
Calcestruzzi SpA.
Lo scopo è quello di agevolare gli operatori
attraverso semplici regole strutturate
secondo schemi, disegni e vignette di facile
comprensione, in modo che essi possano
effettuare in maniera corretta tutte le
operazioni concernenti le opere in
calcestruzzo, anche alla luce delle nuove
normative tecniche.
In particolare, vengono riportati, in
maniera chiara e facilmente comprensibile:
... (link a www.acca.it). |
APPALTI:
Tracciabilità dei flussi finanziari: cosa
devono fare imprese, società e
professionisti che stipulano contratti di
lavori pubblici.
Il 07.09.2010 è entrata in vigore la Legge
13.08.2010 - n. 136 con la quale sono state
dettate disposizioni attuative circa la
tracciabilità dei flussi finanziari relativi
a contratti pubblici di lavori, forniture e
servizi, al fine di prevenire infiltrazioni
criminali.
Si sono susseguiti diversi chiarimenti e
modifiche ad opera del D.L. 12.11.2010 - n.
187 e della relativa Legge di conversione
17.12.2010 - n. 217.
Anche l’AVCP (Autorità di Vigilanza sui
Contratti Pubblici di Lavori Servizi e
Fornitura) ha fornito una serie di
indicazioni operative attraverso due
determinazioni:
1-
n. 8 del 18.11.2010 (con l’obiettivo di
fornire indicazioni applicative circa
l’articolo 3 della legge n. 136/2010, come
modificato dal D.L. n. 187/2010);
2-
n. 10 del 22.12.2010 (con cui ha emanato
ulteriori indicazioni operative per la
concreta attuazione degli obblighi di
tracciabilità, con particolare riguardo alle
problematiche segnalate da stazioni
appaltanti ed operatori economici).
Vediamo in sintesi quali sono i contenuti
previsti dall’art. 3 della Legge 136, come
modificato dai successivi disposti
normativi:
- tutte le operazioni finanziarie relative a
qualsiasi contratto con un soggetto pubblico
avente ad oggetto lavori, servizi o
forniture devono essere effettuate su conti
correnti bancari o postali dedicati;
- tali operazioni finanziarie devono essere
effettuate mediante bonifici bancari o
postali o altri strumenti di pagamento
idonei a consentirne la piena tracciabilità;
- i pagamenti devono riportare dei codici
identificativi (CIG – CUP).
L’ANCE (Associazione Nazionale Costruttori
Edili) ha ritenuto opportuno pubblicare un
documento al fine di riepilogare le
soluzioni ai problemi di carattere
applicativo ed interpretativo, fornendo un
inquadramento generale della materia e
cercando di dare indicazioni circa le
questioni rimaste irrisolte.
Inoltre ha predisposto anche una serie di
schemi di clausole da inserire nei contratti
per l’attuazione degli obblighi di
tracciabilità.
In particolare, viene chiarito il concetto
di conto dedicato, che non implica l’obbligo
di aprire un nuovo conto per ogni commessa
pubblica, ma che si traduce nell’obbligo di
indicarne gli estremi all’amministrazione
pubblica nel termine di sette giorni
dall’accensione del conto, ovvero, nel caso
di utilizzazione di un conto preesistente,
entro sette giorni dalla sua destinazione
alla commessa pubblica e in ogni caso prima
che venga effettuata un’operazione
finanziaria relativa alla commessa cui viene
dedicato.
Relativamente agli strumenti di pagamento,
oltre ai bonifici, sono da considerare
idonee le ricevute bancarie, anche nella
forma elettronica (in questo caso è
necessario che i codici siano inseriti fin
dall’inizio della procedura elettronica dal
beneficiario). Viceversa, il servizio di
pagamento RID allo stato attuale non
consente di rispettare il requisito della
piena tracciabilità.
Gli elementi che consentono di ricostruire
il flusso finanziario sono costituiti dai
codici CIG (Codice Identificativo di Gara) e
CUP (Codice Unico di Progetto) che devono
essere necessariamente inseriti negli
strumenti di pagamento utilizzati
dall’amministrazione appaltante e dai
contraenti privati.
Il documento dell’ANCE, inoltre, analizza:
... (link a www.acca.it). |
CORTE DEI
CONTI |
ENTI LOCALI: Il
blocco dei tributi locali non incide sul
Cosap. Per la corte conti Lombardia il
canone ha natura patrimoniale.
Gli enti locali possono
aumentare l'importo del canone di
occupazione per spazi e aree pubbliche (Cosap),
senza incorrere nel divieto posto dalla
manovra correttiva dei conti pubblici del
2008. Infatti, come giurisprudenza ha ormai
affermato, detto canone non ha natura
tributaria, bensì patrimoniale, per cui le
norme sulla sospensione del potere delle
regioni e degli enti locali di deliberare
aumenti dei tributi, delle addizionali di
tributi ad essi attribuiti con legge dello
stato, qui non possono trovare applicazione.
È quanto ha sancito la sezione regionale di
controllo della Corte dei conti per la
regione Lombardia, nel testo del
parere 08.02.2011 n.
73, con il quale, in risposta ad un
quesito posto dal comune di Fara Gera d'Adda
(Bg), ha dato il via libera alla
possibilità, per gli enti locali di
rettificare, in aumento, gli importi del
canone di occupazione delle aree pubbliche.
In dettaglio, il comune istante richiedeva
l'intervento della magistratura contabile
per sapere se, trasformando nel corrente
anno la tassa di occupazione spazi pubblici
(Tosap) in canone (Cosap), incorreva nel
generale divieto sopra richiamato e
recentemente affermato dal legislatore con
l'articolo 1, comma 123 della legge di
stabilità 2011, dove, in attesa del
federalismo fiscale, si è ribadita
l'impossibilità per gli enti locali di
deliberare aumenti dei tributi e delle
addizionali proprie.
La Corte, ha preliminarmente richiamato
l'orientamento della Corte di cassazione
che, con riferimento alle controversie
attinenti il Cosap, dopo aver rilevato che
detto canone si applica in via alternativa
alla Tosap, ha precisato che il Cosap, da un
lato, «è stato concepito dal legislatore
come un quid ontologicamente diverso, sotto
il profilo strettamente giuridico, dal
tributo (Tosap) in luogo del quale può
essere applicato» e, dall'altro, che «risulta
disegnato come corrispettivo di una
concessione, reale o presunta dell'uso
esclusivo o speciale di beni pubblici».
Da questo, è possibile affermare che la
Tosap è un'entrata tributaria, mentre il
Cosap rappresenta un'entrata di carattere
patrimoniale. Senza dimenticare, ha aggiunto
il collegio contabile, che la Tosap ha una
sua disciplina legislativa (dlgs n.
507/1993), mentre il Cosap è disciplinato,
per legge, dal relativo regolamento
comunale.
In conclusione, si legge nel parere in
esame, poiché il canone per l'occupazione di
spazi e aree pubbliche (previsto dall'art.
63 dlgs 15.12.1997, n. 446) non ha natura
tributaria, le norme dell'articolo 1, comma
7 del dl n. 93/2008 sulla sospensione del
potere delle regioni e degli enti locali di
deliberare aumenti dei tributi e delle
addizionali a essi attribuiti con legge
dello stato, non possono trovare
applicazione con riferimento al potere di
determinazione dell'entità del canone
(articolo ItaliaOggi
del 18.02.2011 - tratto da
www.corteconti.it). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Enti, progressioni bloccate.
Niente avanzamenti economici fino al 2013.
Corte conti Lombardia interpreta
estensivamente le norme della manovra.
Niente progressioni orizzontali per gli anni
2011-2013. La Corte dei conti, Sez.
regionale di controllo della Lombardia, con
il pur discutibile sotto molti aspetti
parere 07.02.2011 n.
69, conferma che per effetto della
manovra economica 2010 non è possibile per
gli enti locali attivare le progressioni
economiche fino al 2013.
Effetti solo economici delle
progressioni di carriera.
Due sono le ragioni a fondamento della tesi
proposta dalla sezione Lombardia. La prima
risiede nella previsione contenuta
nell'articolo 9, comma 21, del dl 78/2010,
convertito in legge 122/2010, per effetto
del quale le progressioni di carriera
comunque denominate negli anni 2011-2013
possono avere effetti solo economici.
La sezione ritiene che la norma abbia
un'estensione «lata» e, dunque, vada
applicata prescindendo dalla nozione
concretamente data al termine «progressione
di carriera». Dunque, per la sezione
Lombardia è progressione di carriera «ogni
variazione d'inquadramento del dipendente»;
in conseguenza dell'articolo 9, comma 21,
pertanto, tale variazione potrà produrre
fino al 2013 solo effetti giuridici, senza
incrementi economici.
Questa prima motivazione proposta dalla
sezione appare, tuttavia, errata e non
convincente. L'interpretazione «lata»
dell'accezione di progressione di carriera,
infatti, cozza con la definizione
estremamente precisa che di essa fornisce
l'articolo 24 del dlgs 150/2009: si tratta
delle progressioni che determinano, per
effetto della partecipazione a concorsi
pubblici con riserva di posti, il passaggio
appunto da una categoria di inquadramento ad
una più elevata, con conseguente mutamento
di profilo e mansioni. Solo in questo caso
potrebbero verificarsi effetti «giuridici».
Le progressioni orizzontali,
nell'ordinamento contrattuale degli enti
locali (e anche delle Usl) hanno effetti
esclusivamente economici e niente affatto
giuridici. Ai sensi dell'articolo 5 del Ccnl
01/04/1999, infatti, per effetto delle
progressioni orizzontali, a totale parità di
inquadramento giuridico, il dipendente
ottiene esclusivamente un incremento
economico.
Cristallizzazione degli stipendi.
La seconda motivazione proposta dalla
sezione è quella corretta. L'impossibilità
di attivare le Peo negli anni 2011-2013
deriva dall'articolo 9, comma 1, della
manovra economica estiva 2010, che impedisce
la crescita del trattamento economico «ordinariamente
spettante» ai dipendenti pubblici oltre
la soglia di quello percepito nel 2010.
Per quanto parte degli interpreti sottolinei
che la progressione orizzontale sia
considerata dal dlgs una misura di premio,
essa è un trattamento ordinariamente
spettante, in quanto una volta acquisita si
consolida, divenendo parte dello stipendio
fondamentale del dipendente. In questo
senso, non può non incontrare i limiti
previsti dalla manovra 2010.
Vietata la Peo a posteriori.
La sezione chiarisce, inoltre, che non sono
consentiti comportamenti elusivi del dl
78/2010. Tra questi, essenzialmente il
tentativo di prevedere nel 2011, in modo
retroattivo, progressioni orizzontali. La
retroattività vietata non è quella della
decorrenza, inevitabilmente riferita ad
annualità precedenti.
La sezione, richiamando il parere 399-5F4
dell'Aran, sottolinea che la progressione
orizzontale va concordata con i sindacati
prima dell'inizio del periodo di
valutazione. Di conseguenza, la decorrenza
delle progressioni non può essere
antecedente alla stipulazione degli accordi
decentrati, i quali destinano le risorse
finanziarie –stabili, sottolinea la Sezione–
allo scopo di attivare le progressioni.
Dunque, sono ammissibili progressioni
orizzontali riferite al 2010 se i
presupposti per gli incrementi economici
degli stipendi si siano verificati l'anno
precedente al periodo preso in
considerazione dalla norma, cioè prima del
2010 (articolo
ItaliaOggi del 18.02.2011 - tratto da
www.corteconti.it). |
PUBBLICO IMPIEGO: Trasferte,
i dubbi restano. Tagli a missioni e
trasferte, è rebus inestricabile.
La
deliberazione
07.02.2011 n. 8 delle Sezioni riunite
della Corte dei conti rende ancora più
nebuloso e incerto il regime giuridico del
trattamento di trasferta dei dipendenti
pubblici, non addetti a funzioni ispettive,
di vigilanza e controllo.
Infatti, le Sezioni, aderendo
all'interpretazione restrittiva offerta
dalla Ragioneria generale dello stato in
merito all'articolo 6, comma 12, del dl
78/2010, convertito in legge 122/2010, hanno
ritenuto illegittimo riconoscere per
qualsiasi strada ai dipendenti il rimborso
del quinto del costo della benzina, se
autorizzati a utilizzare il mezzo proprio.
Ma, contestualmente, hanno considerato
ammissibile che le amministrazioni,
attraverso propri regolamenti, riconoscono
un indennizzo ai dipendenti autorizzati a
utilizzare il mezzo proprio, pari al costo
del biglietto del mezzo di trasporto
pubblico eventualmente utilizzabile. Qui
scattano ulteriori problemi interpretativi.
Nella sostanza, le Sezioni riunite
considerano legittimo riconoscere ai
dipendenti in trasferta o missione a titolo
di indennizzo il costo della spesa che
sosterebbero se, invece di utilizzare il
mezzo proprio, per il viaggio si avvalessero
di mezzi pubblici.
Si dovrebbe, dunque, concludere che il
riconoscimento del costo del biglietto dei
trasporti pubblici sia sempre legittimo,
visto che viene ammesso anche nel caso di
dipendenti in trasferta autorizzati
all'impiego del mezzo proprio, ipotesi
tendenzialmente oggetto di un taglio quasi
assoluto alle spese delle amministrazioni
pubbliche.
Ma, se le cose stanno come hanno spiegato le
Sezioni riunite, non si capisce, allora,
quale sia l'oggetto della prima parte sempre
dell'articolo 6, comma 12, della manovra
estiva 2010, ove si stabilisce che le
amministrazioni pubbliche, salvo poche
eccezioni «non possono effettuare spese
per missioni, anche all'estero ... per un
ammontare superiore al 50% della spesa
sostenuta nell'anno 2009».
Se la magistratura contabile ritiene
possibile, a titolo di indennizzo,
riconoscere ai dipendenti che, stando alla
lettera della norma, non avrebbero diritto
ad alcun riconoscimento economico per la
trasferta svolta col mezzo proprio, il costo
del mezzo di trasporto pubblico, un semplice
sillogismo condurrebbe a concludere che a
maggior ragione ai dipendenti in trasferta o
missione spetti sempre e comunque il
rimborso del costo del mezzo pubblico. Anche
perché, da questo punto di vista, nessuna
norma delle leggi 836/1973 e 417/1978 è
stata modificata.
Tuttavia, l'articolo 6, comma 12, impone un
taglio della spesa per missioni pari al 50%
della spesa del 2009. Poiché da sei anni per
i dipendenti pubblici è stata abolita
l'indennità di missione, i primi osservatori
hanno dedotto che le spese da tagliare
sarebbero, allora, i rimborsi dei costi dei
mezzi pubblici utilizzati per le missioni.
Risulta, con ogni evidenza, difficile
conciliare tuttavia la prima parte
dell'articolo 6, comma 12, che richiede la
riduzione dei costi delle missioni,
supponendo che essi consistano nel rimborso
dei mezzi di trasporto, con l'ultima parte
che, impedendo di utilizzare il mezzo
proprio, al limite consente di indennizzare
i dipendenti proprio col rimborso del mezzo
pubblico.
Le contraddizioni della norma sono
evidentissime. L'unica soluzione all'enigma
coerente col testo della legge,
consisterebbe nel ritenere sempre ammesse le
spese per rimborso spese di utilizzo dei
mezzi di trasporto solo entro il 50% del
2009. Ma, in questo modo, l'indennizzo
immaginato dalle Sezioni riunite potrebbe
operare solo parzialmente. E, soprattutto,
gli enti a un certo punto si troverebbero
nell'impossibilità materiale di effettuare
missioni, anche quelle magari derivanti da
convocazioni in conferenze di servizi,
riunioni obbligatorie presso altri enti, per
superamento del limite di spesa.
Eppure, le missioni, proprio perché spesso
dovute a esigenze istruttorie non
preventivabili a inizio anno, non sono del
tutto programmabili.
La deliberazione 8/2011 delle Sezioni
riunite, allora, dà modo di affermare che il
taglio del 50% alle spese per missioni non
dovrebbe riguardare il rimborso dei costi
dei mezzi pubblici. Ma, a questo punto non
si capirebbe su cosa opererebbe il taglio
del 50% delle spese di missione
(articolo ItaliaOggi
del 11.02.2011 - tratto da
www.corteconti.it). |
INCARICHI PROFESSIONALI: Incarichi,
si respira. Fuori dai tagli le spese
finanziate. I chiarimenti delle sezioni
unite della Corte dei conti.
Per gli enti locali sono
fuori dal taglio alle spese per
collaborazioni e consulenze gli incarichi
finanziati da Ue, stato e regioni.
La
deliberazione
07.02.2011 n. 7 della Corte dei
conti, sezioni riunite, contiene indicazioni
preziosissime per l'applicazione dei tagli
alle spese apportati dall'articolo 6, comma
7, del dl 78/2010, convertito in legge
122/2010.
La disposizione ha stabilito che a decorrere
dal 2011 la spesa annua per studi e
incarichi di consulenza non possa essere
superiore al 20% di quella sostenuta
nell'anno 2009. Un primo problema posto
dalla disposizione riguarda il criterio di
computo delle spese, risultando incerto se
prendere come parametro la cassa o la
competenza.
Le sezioni riunite accolgono l'accezione di
«spese sostenute» fornita dalla
circolare 40/2010 del ministero
dell'economia, coincidente col concetto di
spesa impegnata. Dunque, il criterio da
seguire è quello della competenza e non
della cassa. Tanto più per gli enti locali,
obbligati dall'articolo 3, commi 54-57,
della legge 244/2007 a programmare gli
incarichi esterni.
Infatti, secondo la delibera 7/2007 «assumere
a riferimento il dato di cassa relativo
all'anno 2009 potrebbe non essere funzionale
alle esigenze di contenimento della spesa»
previste dalla manovra economica 2010, in
quanto il dato relativo a quanto
materialmente pagato quell'anno potrebbe
dipendere da circostanze del tutto fortuite
e casuali.
L'aspetto più rilevante della pronuncia
delle sezioni riunite, però, riguarda
l'esclusione dal computo del monte del 2009
delle spese per incarichi esterni, coperte
da finanziamenti aggiuntivi alle ordinarie
risorse di bilancio, provenienti da
trasferimenti di altri soggetti, pubblici o
privati. Dunque, non subiscono un taglio le
spese direttamente sorrette da un vincolo di
destinazione di un trasferimento pubblico.
Pertanto, per esempio, gli enti locali che
ricevano da un soggetto privato (per
esempio, una fondazione bancaria o uno
sponsor) finanziamenti per realizzare
progetti specifici includenti la necessità
di incarichi esterni, non restano vincolati
al drastico taglio della spesa.
Altrettanto può dirsi per finanziamenti
statali e regionali. Se così non fosse,
spiegano le sezioni riunite, si impedirebbe
l'erogazione della spesa per incarichi
esterni, nonostante risulti integralmente
finanziata da soggetti estranei all'ente
locale. In questo caso, se si computassero i
finanziamenti esterni nel taglio, non si
conseguirebbero i risparmi di bilancio per
singolo ente, oggetto della manovra
economica: l'unico effetto sarebbe ridurre
tout court le spese per incarichi, senza
significativi impatti finanziari sui
bilanci. Una conseguenza irrazionale, da
scongiurare.
Ovviamente, il semplice fatto che l'ente
locale riceva un finanziamento di terzi non
legittima di per sé l'assegnazione di
incarichi esterni: rimangono sempre in piedi
i presupposti e le condizioni previste
dall'articolo 7, comma 6, del dlgs 165/2001.
Laddove, tuttavia, risultino rispettate le
condizioni per l'affidamento, se questo è
finanziato con risorse esterne, non cade
nelle lame del taglio imposto dalla manovra
2010
(articolo ItaliaOggi
del 11.02.2011 - tratto da
www.corteconti.it). |
EDILIZIA PRIVATA - PUBBLICO IMPIEGO: Il
condono edilizio alimenta gli incentivi ai
dipendenti. Corte dei conti. Quota degli
oneri per premiare l'evasione delle
pratiche.
I comuni possono
destinare alla incentivazione del proprio
personale per la definizione delle pratiche
di condono edilizio non solo la quota del
10% aggiuntivo dell'oblazione eventualmente
deliberato, ma anche una parte dei proventi
spettanti nell'ambito della oblazione che
ordinariamente deve essere corrisposta da
chi ha presentato domanda.
Questo il contenuto del
parere 25.01.2011 n. 10 della
sezione regionale di controllo della Corte
dei conti Lombardia, in risposta al quesito
posto dal comune di Seregno.
Il Dl 269/2003 prevede al comma 40
dell'articolo 32 che i diritti e gli oneri
relativi alla istruzione delle domande di
condono edilizio possano essere incrementati
dai comuni del 10% e i relativi proventi
essere destinati a incentivare le attività
di dirigenti e dipendenti al di fuori
dell'orario di lavoro.
Il comma 41 stabilisce che una quota
compresa entro il tetto del 50% dei proventi
derivanti dalle oblazioni spetta ai comuni,
che può utilizzarla per «incentivare la
definizione delle domande di sanatoria».
La sezione di controllo lombarda ha chiarito
che questi due compensi possono sommarsi e
che le entrate del comune provenienti dalla
oblazione, entro il tetto del 50%, possono
essere utilizzate «per la costituzione
del fondo per l'incentivazione del personale
dipendente che svolga attività istruttoria
delle domande di sanatoria edilizia al di
fuori dell'ordinario orario di lavoro».
Alla base di questa scelta la considerazione
che, nel caso della possibilità di
incremento dei diritti, vi è una esplicita e
univoca destinazione dettata dal
legislatore. ...
(articolo
Il Sole 24 Ore
del 14.02.2011 - tratto da
www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO:
Nei Comuni fino a 5mila abitanti
non si applicano le regole sul turn-over.
L’unico limite è che questi Comuni non
devono superare le spese di personale
sostenute nel 2004. Le assunzioni però si
bloccano nel caso in cui le spese di
personale superano il 40% delle spese
correnti.
Recenti
pronunce della Corte dei Conti riaprono la
possibilità di assumere a copertura del
turnover per gli enti che non sottoposti a
patto di stabilità
(Corte dei Conti, Sezz. riunite di
controllo,
deliberazione 25.01.2011 n. 3).
---------------
I piccoli comuni sono
esclusi dai limiti al 20% del turn-over.
Corte dei conti: le indicazioni delle
sezioni riunite.
Niente limite al 20 per
cento per il turn-over nei comuni con meno
di 5mila abitanti I piccoli enti devono
continuare a seguire le vecchie regole, che
impediscono di superare la spesa di
personale registrata nel 2004, con una sola
novità: le assunzioni rimangono bloccate in
ogni caso quando gli assegni al personale
superano il 40% della spesa corrente.
L'altra norma chiave della manovra estiva,
che permette un'assunzione ogni cinque
cessazioni, si applica solo negli enti più
grandi, quelli soggetti al patto di
stabilità.
A certificare il via libera per i piccoli
enti intervengono le Sezz. riunite della
Corte dei Conti, che nella deliberazione
25.01.2011 n. 3 diffusa ieri fanno tirare un
sospiro di sollievo ai quasi 5.700 sindaci
interessati (il 70% del totale).
Il tema domina da mesi le preoccupazioni dei
piccoli comuni, da quando la manovra estiva
(DL 78/2010, articolo 14, comma 9) ha
dettato le nuove regole per il personale
degli enti locali: regola del 20% sul
turn-over, e stop assoluto al
reclutamento per chi spende troppo.
La regola non distingue esplicitamente enti
grandi e piccoli, e questi ultimi avevano
tempestato di domande ... (articolo
Il Sole 24 Ore
dell'08.02.2011 - tratto da
www.corteconti.it). |
NEWS |
EDILIZIA PRIVATA: TITOLI
EDILIZI: Così si impugnano la Dia e la Scia.
In attesa che si pronunci il Consiglio di
Stato, l'incertezza sulla natura giuridica
della Dia e della Scia condiziona le
contestazioni di terzi. Chi vuole opporsi ai
lavori avviati in base a uno di questi due
titoli, oggi deve chiedere al Comune lo stop
ai lavori e, al contempo, domandare al Tar
l'annullamento del provvedimento.
In attesa che il
Consiglio di Stato decida sull'inquadramento
della dichiarazione servono più livelli di
tutela. Contro la Dia non basta il ricorso.
I terzi che contestano i lavori devono
rivolgersi sia al Tar sia al Comune.
La natura giuridica della denuncia di inizio
di attività (Dia), della segnalazione
certificata di inizio attività (Scia) e
della comunicazione di inizio lavori non è
solo una questione teorica: anzi, ha
importante ricadute pratiche. La possibilità
di contestare al Tar gli interventi edilizi
realizzabili con questi titoli edilizi
dipende infatti da come si definiscono le
dichiarazioni con cui il privato può avviare
i lavori senza dover attendere il rilascio
del permesso di costruire.
Il permesso di costruire -in quanto
provvedimento espresso della p.a.- è
pacifico che possa essere impugnato al Tar
entro Go giorni dalla sua conoscibilità, che
al più tardi coincide con l'avvio dei lavori
o con il momento in cui gli stessi
raggiungono lo stadio che consente ai terzi
di valutarne la portata lesiva.
Ma per le denunce o le segnalazioni
presentate dai privati c'è più di un dubbio:
è possibile impugnarle? Oppure bisogna
chiedere al comune di bloccare i lavori ed
eventualmente portare al giudice la
decisione dell'amministrazione di lasciar
correre?
La differenza è evidente: nel primo caso si
può andare subito dal giudice anche per
chiedere l'immediata sospensione dei lavori,
nell'altro caso possono non bastare alcuni
anni e si rischia di arrivare al Tar a opere
finite.
L'impugnazione.
È proprio di un caso come questo che il
Consiglio di Stato si è recentemente
interessato per fare chiarezza in merito.
Si trattava di una Dia presentata per
rendere carrabile un porticato, impugnata
dal vicino e annullata dal Tar Veneto. Il
costruttore ha quindi proposto appello
sostenendo che la Dia non costituirebbe atto
amministrativo impugnabile e suscettibile di
rimedi demolitori, trattandosi di attività
del privato e non assumendo valore
provvedimentale; la sentenza sarebbe quindi
erronea laddove ha ritenuto direttamente
impugnabile la Dia.
Il Consiglio di Stato con l'ordinanza
14/2011 del 07.12.2010, alla luce del
contrasto giurisprudenziale in atto
addirittura all'interno della stessa sezione
chiamata a dirimere la controversia, ha
deciso di rimettere la questione
all'Adunanza plenaria deputata a dare un
univoco indirizzo che possa guidare i Tar e
i cittadini.
Esistono -secondo l'ordinanza citata- almeno
tre tesi ...
(articolo
Il Sole 24 Ore
del 14.02.2011 - tratto da
www.corteconti.it). |
CONSIGLIERI COMUNALI: OSSERVATORIO
VIMINALE/ Consigli convocabili online. Ma
prima bisogna cambiare il regolamento
interno. Il Codice dell'amministrazione
digitale non è immediatamente applicabile.
È possibile procedere
alla convocazione del consiglio comunale
utilizzando esclusivamente gli strumenti
informatici, senza la previa modifica del
regolamento che dispone il recapito
dell'avviso di convocazione presso il
domicilio del singolo consigliere tramite
messo comunale?
L'art. 12, comma 2, del decreto legislativo
n. 82/2005 (codice dell'amministrazione
digitale) stabilisce che «le pubbliche
amministrazioni, nell'organizzare la propria
attività, utilizzano tali tecnologie per la
realizzazione degli obiettivi di efficienza,
efficacia, economicità anche nei rapporti
interni».
Le disposizioni, ai sensi dell'art. 2, comma
2, del dlgs n. 82/2005 si applicano anche
agli enti locali territoriali «salvo che
sia diversamente stabilito, nel rispetto
della loro autonomia organizzativa e
comunque nel rispetto del riparto di
competenze di cui all'articolo 117 della
Costituzione».
Se il comune, nell'ambito dell'autonomia
prevista dalla legge (art. 3, art. 6 e art.
38 del dlgs n. 267/2000), ha stabilito nel
proprio statuto che le modalità per la
convocazione del consiglio comunale siano
disciplinate dal regolamento interno -e
questo prevede che la consegna dell'avviso
per la convocazione del consiglio comunale
sia effettuata esclusivamente dal messo
comunale nel luogo di residenza o nel
domicilio eletto dallo stesso consigliere-
sarà necessario apportare le opportune
modifiche al regolamento dell'ente affinché
sia recepito quanto indicato dal dlgs n.
85/2005 in materia di utilizzo dei sistemi
informatici
(articolo ItaliaOggi
del 11.02.2011). |
ENTI LOCALI - CONSIGLIERI COMUNALI: OSSERVATORIO
VIMINALE/ Modifiche
statutarie.
Da quale momento entra in vigore una
modifica statutaria, se è stata pubblicata
sul Bur cinque mesi dopo la sua
approvazione?
Ciò che rileva ai fini dell'entrata in
vigore delle modifiche statutarie è
l'affissione all'albo pretorio.
L'entrata in vigore dello statuto, decorso «il
trentesimo giorno dalla sua pubblicazione
nel Bollettino ufficiale della regione»,
era prevista nella stesura originaria
all'art. 4, comma 4, della legge n.
142/1990.
Tale disposizione è, poi, stata modificata
dall'art. 1, comma 3, della legge
03.08.1999, n. 265, secondo il quale «lo
statuto entra in vigore decorsi 30 giorni
dalla sua affissione all'albo pretorio
dell'ente».
A seguito dell'abrogazione dell'art. 130
della Costituzione, disposta dalla legge
costituzionale n. 3/2001, è stata eliminata
la fase dell'invio della deliberazione al
Comitato regionale di controllo (Conferenza
stato-regioni ed autonomie locali in data
07/11/2001 e sentenza del Cds n. 4598
dell'08/08/2003); pertanto la novellata
norma, riprodotta nel vigente art. 6, comma
5 del dlgs n. 267/2000, collega l'entrata in
vigore dello statuto al solo decorso di 30
giorni dall'affissione all'albo pretorio
della relativa deliberazione e va anche a
caducare eventuali disposizioni statutarie
previgenti, non modificate, che in
conformità al vecchio disposto di legge
subordinino l'esecutività delle
deliberazioni alla pubblicazione nel
bollettino ufficiale della regione
(articolo ItaliaOggi
del 11.02.2011). |
CONSIGLIERI COMUNALI: OSSERVATORIO
VIMINALE/
Incompatibilità.
Sussiste un'ipotesi di incompatibilità tra
la carica di amministratore di uno dei
comuni consorziati in un consorzio
intercomunale di servizi, trasformato in una
società in house providing, e quella di
componente del consiglio di amministrazione
della citata società? Quale compenso deve
essere attribuito agli amministratori dei
Comuni soci nominati componenti del
consiglio di amministrazione della società?
L'art. 63, comma 1, n. 1, del decreto
legislativo n. 267/2000 stabilisce che non
può ricoprire cariche elettive locali
l'amministratore o il dipendente con poteri
di rappresentanza o coordinamento di enti,
istituti o aziende soggetti a vigilanza da
parte del comune.
L'innovazione legislativa apportata con il
decreto 30.06.2005, n. 115, coordinato con
le modifiche introdotte dalla legge di
conversione 17.08.2005, n. 168, all'art.
14-decies, lettera b), pur confermando la
ratio di prevenire una potenziale
conflittualità dei contrapposti interessi da
gestire, ha posto una presunzione in base
alla quale non può più ritenersi sussistente
il conflitto nel caso in cui la
partecipazione del comune sia inferiore al
20% del capitale.
Pertanto, se la quota di partecipazione dei
comuni soci del Consorzio è inferiore a tale
percentuale, non si configura per gli
amministratori in questione l'ipotesi di
incompatibilità prevista dal citato art. 63,
comma 1, n. 1, del Tuel.
In merito ai compensi spettanti per
l'incarico di componente del consiglio di
amministrazione della società, in qualità di
amministratore comunale, il comma 5
dell'art. 5 del dl 31.05.2010, n. 78 prevede
che «nei confronti di titolari di cariche
elettive, lo svolgimento di qualsiasi
incarico conferito dalle pubbliche
amministrazioni, inclusa la partecipazione
ad organi di qualsiasi tipo, può dar luogo
esclusivamente al rimborso delle spese
sostenute», e dispone che «eventuali
gettoni di presenza non possono superare
l'importo di 30 euro a seduta»
(articolo ItaliaOggi
del 11.02.2011). |
PUBBLICO IMPIEGO: Sul
merito il governo si arrende ai sindacati.
La scelta della legge
c.d. Brunetta di valorizzare il merito viene
annacquata, mentre non viene toccato
l'obbligo per le p.a. di adottare nuovi
sistemi di valutazione dei dirigenti e del
personale. Si pongono inoltre le basi per un
contratto collettivo per tutto il pubblico
impiego con cui dare certezza sulle
relazioni sindacali.
Sono queste le principali scelte contenute
nella intesa stipulata tra governo e
organizzazioni sindacali, tranne la Cgil, lo
scorso 04.02.2011, intesa che non si applica
automaticamente agli enti locali. Le
regioni, i comuni e le province dovranno,
infatti, decidere se fare proprie le scelte
contenute nel protocollo sottoscritto tra il
governo e le organizzazioni sindacali: è
molto probabile che ciò avverrà in tempi
assai brevi.
Basta ricordare che più volte l'Anci ha
chiesto nei mesi scorsi, in particolare dopo
l'entrata in vigore del dl n. 78/2010 e del
conseguente blocco della contrattazione
collettiva per il triennio 2010/2012, di
rallentare il percorso attuativo della
riforma, stante la mancanza di risorse
aggiuntive.
Occorre subito evidenziare che l'intesa non
è di per sé immediatamente produttiva di
effetti giuridici, che si produrranno nel
momento in cui i suoi contenuti saranno
trasfusi in norme di legge, in circolari
interpretative e in un contratto collettivo.
Ovviamente ciò non toglie nulla alla sua
rilevanza, che è data dalla sostanziale
marcia indietro che il governo ha dovuto
innestare su molti aspetti qualificanti
della riforma, marcia indietro che peraltro
era di fatto cominciata con la manovra
estiva e i pesanti vincoli da essa
introdotti sul trattamento economico
accessorio dei dipendenti e dei dirigenti
pubblici, e all'indubbio successo ottenuto
dalle organizzazioni sindacali firmatarie.
L'intesa incide sugli strumenti
meritocratici, mettendo di fatto in soffitta
tutte le forme di valorizzazione del merito
introdotte dalla legge Brunetta. O meglio
quelle che erano sopravvissute alla manovra
estiva. Ricordiamo infatti che il blocco
della contrattazione collettiva ha
determinato la sospensione dell'applicazione
dei nuovi istituti del bonus della
eccellenza e del premio per l'innovazione:
l'applicazione del premio per l'efficienza è
invece incerta, anche se trattandosi di
risorse aggiuntive non dovrebbe essere
toccato.
Perché ciò si realizzi occorre consentire
che il suo finanziamento possa andare in
deroga al tetto alle risorse che gli enti
possono destinare alla contrattazione
decentrata, deroga possibile visto che il
finanziamento deriva da risparmi ottenuti
dagli enti nella spesa corrente. Con
l'intesa, le fasce di merito si
applicheranno nello stato solamente alle
risorse aggiuntive derivanti da risparmi
realizzati sulla base delle prescrizioni del
dl n. 112/2008 e che ammontano ad appena 200
milioni di euro circa.
Scelta che negli enti locali è difficile da
realizzare perché risorse aggiuntive per il
personale non ve ne sono. Ma l'intesa non si
ferma qui: con una scelta della cui
legittimità si deve fortemente dubitare se
viene letta non come un vincolo di carattere
generale, ma come un precetto da applicare
ai singoli lavoratori, si stabilisce che «le
parti convengono che le retribuzioni
complessive, comprensive della parte
accessoria, conseguite dai lavoratori nel
corso del 2010, non devono diminuire per
effetto dell'applicazione dell'articolo 19
del dlgs n. 150/2009», cioè delle fasce
di merito, che quindi si applicano solo
sulle risorse aggiuntive.
Il protocollo non tocca le innovazioni della
legge Brunetta sulla valutazione, le cui
metodologie devono essere coerenti con le
novità legislative, e sulla programmazione e
assegnazione degli obiettivi. Ricordiamo che
la mancata adozione delle nuove metodologie
di valutazione determina come conseguenza il
divieto di erogare le incentivazioni della
performance, cioè la produttività e le
indennità di risultato
(articolo ItaliaOggi
del 11.02.2011). |
APPALTI -
EDILIZIA PRIVATA: Appalti,
trattativa privata facile. Si alza
l'asticella della procedura negoziata. Scia
in edilizia. Dopo l'annuncio in cdm la
Semplificazione lavora sul decreto. Piano
casa per le aree degradate.
Niente gara pubblica per appalti di lavori
inferiori al milione di euro. E quindi
allargamento della procedura negoziata
(alias trattativa privata) che ora è
prevista per i lavori di importo fino a 500
mila euro. In più la
conferma ufficiale che la Scia (Segnalazione
certificata di inizio attività) si applica
all'edilizia.
Edilizia che trova il suo piano casa per le
aree urbane da riqualificare (con premio di
cubatura da decidersi da parte delle
regioni).
Sono questi i binari sui cui si sta muovendo
il provvedimento sulla semplificazione,
ancora allo studio presso il dicastero del
ministro Roberto Calderoli, ma di cui
ItaliaOggi è in grado di fornire alcune
anticipazioni. Almeno delle linee di fondo.
Il provvedimento, approvato «salvo intese»
nel consiglio dei ministri di mercoledì
assumerà la veste giuridica del decreto
legge. Almeno questa è al momento
l'intenzione dei tecnici del ministero della
semplificazione che puntano a realizzare un
pronto intervento sulle prassi in atto.
Il decreto si muoverà nel solco delle norme
previste nel maxiemendamento del governo
alla legge di stabilità 2011 (legge n.
220/2010), e che in quella sede non hanno
visto la luce in quanto cassate dalla
commissione bilancio della camera per
estraneità di materia.
Due i settori maggiormente interessati
dall'intervento normativo che verrà varato
ufficialmente nel prossimo consiglio dei
ministri: l'edilizia e gli appalti.
Quanto all'edilizia, il primo intervento
riguarderebbe l'ambito di applicazione della
Scia, e cioè della segnalazione certificata
di inizio attività, che sostituisce i titoli
autorizzativi e consente di iniziare
un'attività da subito, senza dovere
aspettare la licenza dell'amministrazione e
senza dovere aspettare un lasso di tempo
iniziale, destinato ai controlli dell'ente
pubblico (come invece previsto per la Dia,
denuncia di inizio attività).
Il problema, dopo il varo della Scia, è
stato se si applichi o meno al settore
edilizio: i dubbi derivavano da una non
felice formulazione della norma istitutiva.
Nonostante alcuni chiarimenti ministeriali è
persistente la esigenza di certezza
legislativa, che dovrebbe arrivare con il
decreto in esame.
La Scia edilizia riguarderebbe tutti gli
interventi minori e quindi per le nuove
costruzioni o ristrutturazioni pesanti ci
vorrà o il permesso di costruire o la super
Dia. Peraltro la Scia edilizia, sempre per
interventi minori, troverebbe spazio anche
per le opere in aree vincolate, alla
condizione del conseguimento del parere
favorevole dell'autorità preposta alla
tutela del vincolo.
Altra misura che dovrebbe trovare spazio del
decreto sulla semplificazione è il piano
casa per le aree urbane degradate. Alla
stessa stregua degli altri interventi di «piano
casa» fino ad ora approvati (ma che non
hanno avuto a oggi grande successo) la norma
prevede in premio cubatura aggiuntiva, così
da incentivare la riqualificazione: il tutto
naturalmente con apposite leggi regionali.
Nella stessa direzione (e cioè promuovere la
riqualificazione urbana) sarebbero dettati
incentivi alla delocalizzazione (ad esempio
strutture produttive in centro urbano) e in
particolare la possibilità di portarsi
dietro le cubature aggiuntive.
In materia di appalti si segnala la
possibilità di innalzamento dell'asticella
per l'uso della procedura negoziata, che
dovrebbe essere ammessa per i lavori di
importo complessivo inferiore a un milione
di euro. Si modifica l'importo oggi previsto
in 500 mila euro dall'articolo 122, comma 7,
del codice degli appalti. La norma dovrebbe
essere strutturata con una scaletta interna:
sopra i 500 mila euro comunque la stazione
appaltante dovrebbe invitare almeno dieci
soggetti, mentre per i lavori di importo
inferiore a 500 mila euro il numero minimo
di imprese da invitate scende a cinque.
Il decreto dovrebbe poi snellire la fase
della gara e in particolare le dichiarazioni
previste per attestare il possesso dei
requisiti di partecipazione alla selezione.
Si tratta, in particolare, dell'articolo 38
del codice degli appalti, che elenca le
dichiarazioni da formularsi in sedi di
richiesta di partecipazione, relative ad
esempio ai requisiti di moralità.
Nel decreto si preciserebbe che l'impresa
partecipante non deve dichiarare condanne
per reati depenalizzati e si precisano
restrittivamente le condizioni ostative
relative a violazioni contributive e
violazioni alla normativa sulla sicurezza
dei lavoratori
(articolo ItaliaOggi
del 11.02.2011 - tratto da
www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO:
Pubblico impiego, nuovo assetto.
Il lavoratore torna al centro del
cambiamento della p.a..
Quella sull'intesa del
04.02.2011 è una firma importantissima che
apre uno scenario nuovo per il pubblico
impiego.
Con l'accordo sottoscritto venerdì a Palazzo
Chigi i lavoratori tornano al centro del
cambiamento nella Pa e si fa finalmente
chiarezza sui punti più controversi del dlgs
150/2009: niente pagelle sul salario ai
dipendenti, nessun taglio di stipendio,
nessuna applicazione delle fasce 2550-25 ai
«salari attuali» dei dipendenti
pubblici.
In altre parole il modello contrattuale
definito dall'intesa del 30.04.2009 comincia
finalmente a prendere corpo e la
partecipazione dei lavoratori diventa il
fulcro dell'innovazione e dell'efficienza
del settore pubblico. Allo stesso tempo si
superano le incertezze interpretative che
volevano relegare i lavoratori e le
rappresentanze a un ruolo subalterno, e
tutto il valore della contrattazione
decentrata è ristabilito nero su bianco.
Come Cisl-Fp abbiamo sempre messo in chiaro
i limiti dei cambiamenti introdotti per
legge e chiesto con forza di intervenire
attraverso la contrattazione per decidere su
aspetti chiave come l'organizzazione di
enti, agenzie e aziende. Ma anche per
salvaguardare i livelli retributivi
sottoposti al blocco dei contratti.
L'accordo in questo senso parla chiaro: gli
stipendi, congelati al 31.12.2010, non
subiranno alcun taglio in applicazione delle
tre fasce.
Il criterio del 25-50-25 non interverrà sui
salari attuali in godimento, ma sarà
applicabile solo ad incrementi resi
possibili da eventuali risorse aggiuntive.
Tradotto nel concreto dei numeri ... (articolo
ItaliaOggi del 08.02.2011 -
tratto da www.corteconti.it). |
GIURISPRUDENZA |
APPALTI FORNITURE E SERVIZI:
Sull'illegittimità costituzionale
dell'art. 8, c. 1, lett. r), della L.R.
Lombardia 05.02.2010, n. 7, per contrasto
con la disciplina nazionale del codice dei
contratti pubblici.
E' costituzionalmente illegittimo l'art. 8,
c. 1, lett. r), della L.R. Lombardia
05.02.2010, n. 7 (Interventi normativi per
l'attuazione della programmazione regionale
e di modifica ed integrazione di
disposizioni legislative - Collegato
ordinamentale 2010), nella parte in cui ha
previsto, che "per gli appalti di importo
inferiore alle soglie" comunitarie, "per
le forniture di beni prodotti in serie e di
servizi a carattere periodico, nonché per i
servizi di natura intellettuale, il collaudo
e la verifica di conformità possano essere
sostituiti da un attestato di regolare
esecuzione rilasciato dal RUP ovvero dal
dirigente della struttura destinataria della
fornitura o del servizio", per invasione
dell'ambito materiale dell'ordinamento
civile riservato esclusivamente allo Stato,
in quanto essa disciplina un settore, quello
del collaudo e della verifica di regolarità
dell'esecuzione dei contratti di lavori,
forniture e servizi, che rientra
specificamente nella suddetta competenza
legislativa.
E ciò indipendentemente dalla conformità o
meno della normativa regionale alla
sopravvenuta disciplina regolamentare
adottata dallo Stato con il d.P.R. n. 207
del 2010 (Corte Costituzionale,
sentenza 18.02.2011 n. 53 - link
a www.dirittodeiservizipubblici.it).
---------------
Appalti, niente scorciatoie al
posto del collaudo. Corte Costituzionale
boccia una legge della Regione Lombardia.
E' illegittima la norma della
regione Lombardia che prevede il mero
attestato di regolare esecuzione, invece del
collaudo, per forniture di beni standard e a
carattere periodico e per servizi
intellettuali «sotto soglia». La fase di
esecuzione del contratto, e quindi il
collaudo, attiene all'ordinamento civile,
materia di competenza statale esclusiva
sulla quale il legislatore regionale non può
disporre in difformità dalle norme statali.
E' quanto stabilisce la consulta con la
sentenza 18.02.2011 n. 53
relativamente alla legge della Regione
Lombardia 05.02.2010, n. 7 recante
interventi normativi per l'attuazione della
programmazione ... (articolo
ItaliaOggi del 19.02.2011 - link
a www.ecostampa.com). |
ENTI LOCALI:
Sulla sussistenza della
giurisdizione del giudice amministrativo,
relativamente ad una controversia avente per
oggetto la legittimità del provvedimento di
decadenza dall'assegnazione di un alloggio
di edilizia residenziale pubblica.
La controversia avente per oggetto la
legittimità del provvedimento di decadenza
dall'assegnazione di un alloggio di edilizia
residenziale pubblica rientra nella
giurisdizione del giudice amministrativo e
ciò in conformità a quanto disposto
dall'art. 5, l. 06.12.1971 n. 1034, a mente
del quale appartengono in via generale al
predetto giudice le controversie, come
quella del caso di specie, relative a
provvedimenti incidenti sul rapporto
concessorio di alloggi di edilizia
residenziale pubblica, anche se involgenti
diritti soggettivi, salvo i casi
espressamente indicati (indennità, canoni
altri corrispettivi) derivanti da rapporti
di concessione di beni.
In tal senso, anche il d.lgs. 02.07.2010, n.
104 (c.d. codice del processo
amministrativo), all'art. 133, c. 1, lett.
b), ha confermato la giurisdizione esclusiva
del giudice amministrativo in materia di "controversie
aventi ad oggetto atti e provvedimenti
relativi a rapporti di concessione di beni
pubblici, ad eccezione delle controversie
concernenti indennità, canoni ed altri
corrispettivi e quelle attribuite ai
tribunali delle acque pubbliche e al
Tribunale superiore delle acque pubbliche"
(TAR Basilicata, Sez. I,
sentenza 14.02.2011 n. 82 - link
a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
COMPETENZE GESTIONALI:
Il potere di revoca
dell'assegnazione di un alloggio popolare
non è di competenza del sindaco.
In tema di revoca di un alloggio popolare,
la giurisprudenza ha chiarito che la materia
rientra nell'ambito dell'attività di
gestione amministrativa, finanziaria e
tecnica, riservata in via esclusiva ai
dirigenti o ai funzionari amministrativi
preposti ai rispettivi uffici.
In particolare, il potere di assegnazione di
alloggi, comprensivo del correlativo potere
di revoca, rientra tra i provvedimenti di "concessione…
o analoghi il cui rilascio presupponga
accertamenti e valutazioni, anche di natura
discrezionale…" elencati dall'art. 107,
c. 3, lett. f), del T.U. di cui al d.lgs.
08.08.2000, n. 267.
Pertanto, è da escludere che il sindaco,
quale organo di governo al quale spettano,
in quanto tale, poteri di indirizzo e di
controllo politico-amministrativo, abbia la
competenza di adottare atti, quale quello di
revoca dell'assegnazione di un alloggio
popolare, che impegnano l'amministrazione
verso l'esterno e che rientrano nell'ambito
(TAR Basilicata, Sez. I,
sentenza 14.02.2011 n. 82 - link
a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI SERVIZI:
Sulla legittimità di un'ordinanza
contingibile e urgente con la quale un
sindaco, al fine di garantire il trasporto
pubblico degli studenti pendolari, ha
affidato il servizio a soggetti terzi.
E' legittima l'ordinanza contingibile e
urgente con la quale un sindaco, al fine di
garantire il trasporto pubblico degli
studenti pendolari nell'ultimo periodo
dell'anno scolastico, ha affidato il
servizio a soggetti terzi.
Tale provvedimento è stato adottato,
infatti, dopo avere riscontrato
l'impossibilità da parte della
concessionaria di proseguire il servizio di
trasporto alunni nelle tratte di interesse a
causa di un protratto fermo tecnico degli
autobus e dopo aver verificato l'assoluta
necessità ed urgenza di ripristinare i
collegamenti interrotti, anche con altri
mezzi, per il perseguimento dell'interesse
pubblico e prevalente di garantire ai
giovani l'esercizio concreto del proprio
diritto allo studio (Tar Sicilia-Catania,
Sez. III,
sentenza 10.02.2011 n. 285 - link a
www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI SERVIZI:
E' legittima l'esclusione di una
società dalla gara per l'affidamento in
appalto del servizio di raccolta dei rifiuti
urbani, in applicazione dell'art. 23-bis, c.
9, del d.l. n. 112/2008, conv. in l. n.
133/2008.
L'art. 23-bis, c. 9 del d.l. n.112/2008,
conv. in l. n.133/2008, vieta l'acquisizione
di ulteriori servizi pubblici, anche
mediante la partecipazione a gare d'appalto,
alle società cui sia già stata direttamente
affidata la gestione di un servizio pubblico
locale a rilevanza economica; il divieto
opera per tutta la durata della gestione
affidata senza gara.
Pertanto, nel caso di specie, è legittima
l'esclusione di una società dalla gara per
l'affidamento in appalto del servizio di
raccolta dei rifiuti urbani, essendo
pacifico che la stessa società è affidataria
diretta del medesimo servizio di raccolta
rifiuti presso un altro comune (TAR
Calabria-Catanzaro, Sez. II,
sentenza 09.02.2011 n. 181 - link
a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
EDILIZIA PRIVATA: In
tema di distanze legali il muro di
contenimento di una scarpata o di un
terrapieno naturale non può considerarsi
"costruzione" agli effetti della disciplina
di cui all'art. 873 c.c. per la parte che
adempie alla sua specifica funzione, e,
quindi, dalle fondamenta al livello del
fondo superiore, qualunque sia l'altezza
della parete naturale o della scarpata o del
terrapieno cui aderisce, impedendone lo
smottamento; la parte del muro che si
innalza oltre il piano del fondo
sovrastante, invece, in quanto priva della
funzione di conservazione dello stato dei
luoghi, è soggetta alla disciplina giuridica
propria delle sue oggettive caratteristiche
di costruzione in senso tecnico giuridico,
ed alla medesima disciplina devono ritenersi
soggetti, perché costruzioni nel senso sopra
specificato, il terrapieno ed il relativo
muro di contenimento elevati ad opera
dell'uomo per creare un dislivello
artificiale o per accentuare il naturale
dislivello esistente.
Per giurisprudenza ormai consolidata, in
tema di distanze legali il muro di
contenimento di una scarpata o di un
terrapieno naturale non può considerarsi "costruzione"
agli effetti della disciplina di cui
all'art. 873 c.c. per la parte che adempie
alla sua specifica funzione, e, quindi,
dalle fondamenta al livello del fondo
superiore, qualunque sia l'altezza della
parete naturale o della scarpata o del
terrapieno cui aderisce, impedendone lo
smottamento; la parte del muro che si
innalza oltre il piano del fondo
sovrastante, invece, in quanto priva della
funzione di conservazione dello stato dei
luoghi, è soggetta alla disciplina giuridica
propria delle sue oggettive caratteristiche
di costruzione in senso tecnico giuridico,
ed alla medesima disciplina devono ritenersi
soggetti, perché costruzioni nel senso sopra
specificato, il terrapieno ed il relativo
muro di contenimento elevati ad opera
dell'uomo per creare un dislivello
artificiale o per accentuare il naturale
dislivello esistente (cfr., ex multis,
Cass. Civ., sez. II, 10.01.2006, n. 145;
Cons. St., Sez. IV, 24.04.2009, n. 2579;
Cons. St, Sez. V, 28.06.2000, n. 3637)
(TAR
Veneto, Sez. II,
sentenza 01.02.2011 n. 185 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
D.M. 02.04.1968 n. 1444 -là dove all'art. 9
prescrive in tutti i casi la distanza minima
assoluta di metri 10 tra pareti finestrate e
pareti di edifici antistanti- è norma che
impone determinati limiti edilizi ai comuni
nella formazione o revisione degli strumenti
urbanistici, ma non è immediatamente
operante anche nei rapporti tra privati.
L'art. 9 del D.M. 02.04.1968 n. 1444, là
dove prescrive la distanza di 10 metri tra
pareti finestrate di edifici antistanti, va
rispettata in tutti i casi, trattandosi di
norma volta ad impedire la formazione di
intercapedini nocive sotto il profilo
igienico-sanitario, e pertanto non è
eludibile in funzione della natura giuridica
dell'intercapedine.
Come
evidenziato dalla consolidata
giurisprudenza, il D.M. 02.04.1968 n. 1444
-là dove all'art. 9 prescrive in tutti i
casi la distanza minima assoluta di metri 10
tra pareti finestrate e pareti di edifici
antistanti- è norma che impone determinati
limiti edilizi ai comuni nella formazione o
revisione degli strumenti urbanistici, ma
non è immediatamente operante anche nei
rapporti tra privati.
E da ciò deriva (cfr. ex multis Cass.
Civ. Sez. II 01.11.2004 n. 21899) che
l'adozione, da parte degli enti locali, di
strumenti urbanistici contrastanti con la
norma comporta l'obbligo, per il giudice di
merito, non solo di disapplicare le
disposizioni illegittime, ma anche di
applicare direttamente la disposizione del
ricordato art. 9, divenuta, per inserzione
automatica, parte integrante dello strumento
urbanistico in sostituzione della norma
illegittima disapplicata (cfr. Cons. St.,
sez. V, 02.11.2010 n. 7731; TAR Lombardia,
Brescia, sez. I, 16.10.2009, n. 1742).
Più in generale, va posto in rilievo che
l'art. 9 del D.M. 02.04.1968 n. 1444, là
dove prescrive la distanza di 10 metri tra
pareti finestrate di edifici antistanti, va
rispettata in tutti i casi, trattandosi di
norma volta ad impedire la formazione di
intercapedini nocive sotto il profilo
igienico-sanitario, e pertanto non è
eludibile in funzione della natura giuridica
dell'intercapedine (cfr. TAR Toscana, Sez.
III, 04.12.2001 n. 1734, TAR Liguria Sez. I,
12.02.2004 n. 145).
Pertanto, le distanze tra costruzioni sono
predeterminate con carattere cogente in via
generale ed astratta, in considerazione
delle esigenze collettive connesse ai
bisogni di igiene e di sicurezza, di modo
che al giudice non è lasciato alcun margine
di discrezionalità nell'applicazione della
relativa disciplina (cfr. Cons. St., Sez. IV,
05.12.2005 n. 6909) (TAR
Veneto, Sez. II,
sentenza 01.02.2011 n. 185 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Controllo societario e
partecipazione alle gare.
Devono essere escluse le imprese che si
trovano in una situazione di controllo
effettivo, anche qualora non sussistano
quelle specifiche ipotesi riconducibili allo
schema del codice civile.
Questo il principio enunciato dal Consiglio
di Stato, Sez. IV, nella
sentenza 28.01.2011 n. 673, che
ancora una volta si è pronunciato
sull’annosa questione della partecipazione
alle gare per le imprese che presentano
legami tali da alterare le normali regole
della concorrenza.
Nel caso in esame, relativo ad una gara per
l’affidamento dei lavori di pavimentazione
stradale, due imprese concorrenti erano
state escluse “in quanto esistente uno
stretto collegamento tra le due società,
tale da far ritenere unico il centro
decisionale e/o di interesse comune.”
Nella specie l’amministrazione contestava:
- Il collegamento familiare tra i vari
componenti delle due società;
- L’intreccio societario desumibile dagli
statuti;
- Le modalità di invio dei plichi contenenti
le offerte, spediti dallo stesso ufficio
postale, alla stessa data e ora e con numeri
di protocollo immediatamente successivi.
Il provvedimento della stazione appaltante,
oggetto di impugnazione, era stato tuttavia
confermato dai giudici di prime cure che non
avevano ritenuto attendibili le censure di
parte ricorrente, la quale aveva sostenuto:
“l’esclusione dalle gare d’appalto può
essere disposta solo in presenza di indizi
gravi, precisi e concordanti.”
Tali argomentazioni, riproposte in sede di
appello, non sono state comunque considerate
valide.
I giudici di Palazzo Spada hanno, infatti,
stabilito che: “Il persistente
riferimento ad un "unico centro
decisionale", cui siano imputabili le
diverse offerte, a prescindere dal controllo
e collegamento di carattere presuntivo
legale e "documentale", di cui all'articolo
2359 del codice civile, quale causa di
esclusione, costituisce la riprova che il
legislatore ha inteso allargare la
disciplina codicistica, rilevante solo a
determinati effetti, appunto privatistici
(ad esempio, per il regime delle
responsabilità degli impegni assunti dalle
varie società), preferendo una soluzione
sostanziale e non formale, laddove consente
l'esclusione dalle gare d’appalto di
concorrenti societari che siano tra loro in
un rapporto di effettivo controllo, ancorché
realizzato attraverso ipotesi non
riconducibili allo schema della norma del
codice civile.
Sicché, è sufficiente la presenza di
significativi elementi rivelatori di un
collegamento materiale -a prescindere dai
fenomeni di votazione assembleare- tra
imprese, perché sorga l'onere, in capo
all'amministrazione, di verificare se esso
sia stato tale da alterare il normale,
imparziale e concorrenziale meccanismo della
gara.
D'altronde, ciò è coerente anche con il
sistema disegnato dalla norma del codice
civile, laddove essa, prevedendo
semplicemente una presunzione nell'unica
ipotesi di collegamento rilevante,
individuata attraverso i meccanismi di
partecipazione assembleare, non esclude che
vi possano essere altre forme di
collegamento o controllo societario, in
concreto idonee ad alterare il meccanismo di
gara (cfr. al riguardo, Cons. St., sez. V,
24.08.2010, n. 5923).”
La riconducibilità delle offerte ad unico
centro decisionale, determina in capo alla
stazione appaltante l’onere di porre in
essere tutti quelli accertamenti idonei a
verificare che non vi sia stata una
alterazione della par condicio tra i
concorrenti.
Tale verifica si inserisce all’interno di
una serie procedimentale progressiva che
deve avvenire nel rispetto dei principi di
legalità, buon andamento ed imparzialità
dell’azione amministrativa, enunciati
dall’articolo 97 della Costituzione
(commento tratto da
www.professioni-imprese24.ilsole24ore.com
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
COMPETENZE PROGETTUALI: Impianti
elettrici della p.a. ai periti. Riconosciuta
alla professione la competenza sulla
progettazione. Il Cnpi vince la sua
battaglia e ottiene dal Consiglio di stato
chiarezza sui confini tra professioni.
Periti industriali
competenti nel progettare impianti elettrici
per la pubblica illuminazione. Senza alcuna
subordinazione del tecnico diplomato sul
laureato. E riconosciuta nello stesso tempo
la competenza a pieno titolo dei periti
industriali.
Il Consiglio di Stato, Sez. V, con
sentenza 26.01.2011 n. 571
ribadisce così, senza lasciar spazio ad
ulteriori dubbi, due principi fondamentali
in passato oggetto di fuorvianti
interpretazioni da parte della stessa
magistratura.
La vicenda prende il via da un ricorso
presentato da due società escluse
dall'affidamento pubblico di una gara di
appalto per i servizi di illuminazione per
un piccolo comune della Sardegna e che per
tale motivo contestavano, tra l'altro, la
competenza alla progettazione in materia del
perito industriale.
Eccezione respinta immediatamente dal Tar
della regione che, nella sentenza di primo
grado (n. 11361 del 2010), aveva
sottolineato con forza il principio che in
materia di progettazione di impianti di
illuminazione pubblica la competenza del
perito industriale è «propria»,
affermando contestualmente la regola che non
esiste subordinazione del tecnico diplomato
sul laureato.
Proprio da qui ripartono i giudici di
Palazzo Spada che nella sentenza mostrano di
seguire pedissequamente tutte le
argomentazioni tecniche sviluppate
dall'intervento ad opponendum del
Consiglio nazionale dei periti.
Il Cds riconduce la problematica relativa
alla progettazione di impianti elettrici
alla competenza professionale dei periti
industriali così come descritta nel decreto
che regola la professione. E lo fa passando
attraverso l'intera disciplina di settore
(legge 46/1990 e dm 37/2008), sbriciolando
così il limite del calcolo infinitesimale
che fino ad ora aveva limitato l'attività
dei periti industriali alle opere
impiantistiche.
Ma non solo competenze, perché il Cds ha
ribadito un altro principio: non esiste
subordinazione del tecnico diplomato sul
laureato. I ricorrenti in appello avevano
infatti contestato che la direzione del
gruppo di lavoro, costituito, tra l'altro,
da tre ingeneri strutturisti, fosse affidata
a un perito industriale con specializzazione
in elettrotecnica.
Già il Tar aveva riconosciuto la legittimità
del perito industriale a essere responsabile
di un gruppo di lavoro misto, costituito da
progettisti ingegneri, professionisti con
titolo di studio di livello superiore, in
quanto ognuno specificamente abilitato
all'attività di progetto da esso eseguita in
ordine all'affidamento pubblico delle opere
da realizzare. Di conseguenza, è affermata
la possibilità che l'attività di
progettazione definitiva ed esecutiva possa
essere svolta previa la collaborazione «in
subordinazione» di un professionista
ingegnere, in un gruppo misto di figure
professionali specifiche, rispetto al
progettista responsabile, che sia perito
industriale.
Sulla stessa scia i giudici di palazzo Spada
per i quali la direzione del perito
industriale è assolutamente legittima e non
«sussiste pertanto alcuna violazione
della disciplina sulle professioni così come
la presentazione al progetto non appare in
alcun modo inficiata dalla sottoscrizione da
parte del perito industriale».
«Finalmente», precisa il presidente
del Consiglio nazionale dei periti
industriali Giuseppe Jogna, «dopo
sentenze talvolta contraddittorie tra loro e
cavalcate spesso in maniera strumentale, ci
pensa il più alto grado della magistratura
di legittimità a mettere ordine in materia
di competenze professionali del perito
industriale. E ciò che è particolarmente
apprezzabile è che questo è avvenuto
attraverso la semplice ma corretta
applicazione delle norme sulla sicurezza
degli impianti e soprattutto del decreto che
regola la professione di perito industriale.
Senza alcuna forzatura interpretativa»
(articolo ItaliaOggi
del 11.02.2011). |
EDILIZIA PRIVATA: Solo
se l’opera è destinata a dare al costruttore
una utilità prolungata, e quindi è di fatto
destinata a durare nel tempo, tale manufatto
è riconducibile alla nozione di
“costruzioni” e, come tali, necessita di un
titolo edilizio.
La tettoia in considerazione appare avere i
caratteri propri della precarietà per cui è
applicabile quella giurisprudenza secondo la
quale solo se l’opera è destinata a dare al
costruttore una utilità prolungata, e quindi
è di fatto destinata a durare nel tempo,
tale manufatto è riconducibile alla nozione
di “costruzioni” e, come tali,
necessita di un titolo edilizio (cfr. Tar
Lazio Roma sez. II 03/02/2006 n. 780; Tar
Sardegna Sez. II 27/09/2006 n. 2013; Tar
Campania Napoli Sez. IV 28/02/2006 n. 2451)
(TAR
Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza 20.12.2010 n. 7593 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: L'autorimessa
è una pertinenza urbanistica, sostanziandosi
nella destinazione strumentale alle esigenze
dell’immobile principale, risultante sotto
il profilo funzionale da elementi oggettivi,
dalla ridotta dimensione sia in senso
assoluto sia in relazione all’immobile al
cui servizio è complementare,
dall’ubicazione, dal valore economico
rispetto alla cosa principale e dall’assenza
del c.d. carico urbanistico.
Per quanto
riguarda l’autorimessa si deve ritenere che
abbia le caratteristiche della pertinenza
urbanistica, sostanziandosi nella
destinazione strumentale alle esigenze
dell’immobile principale, risultante sotto
il profilo funzionale da elementi oggettivi,
dalla ridotta dimensione sia in senso
assoluto sia in relazione all’immobile al
cui servizio è complementare,
dall’ubicazione, dal valore economico
rispetto alla cosa principale e dall’assenza
del c.d. carico urbanistico (Cons. St., sez.
V, 13.06.2006, n. 3490, e 11.11.2004, n.
7325).
In considerazione di ciò si deve ritenere
che essa fosse soggetta al regime
autorizzatorio con conseguente esclusione
della sanzione demolitoria (TAR
Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza 20.12.2010 n. 7593 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI -
EDILIZIA PRIVATA: L’omessa
comunicazione del preavviso di rigetto
appare suscettibile di incidere in modo
significativo sulla concreta possibilità del
soggetto amministrato di tutelare il proprio
interesse e tale comunicazione è certamente
necessaria nelle ipotesi di diniego di
rilascio del permesso di costruire e va
posta in essere anche rispetto al
provvedimento di rigetto dell’istanza di
condono edilizio.
Come è noto, il preavviso di diniego,
previsto dall'art. 10-bis L. 07.08.1990 n.
241 costituisce un atto (privo di contenuto
provvedimentale), con cui l’Amministrazione
rende noto all’interessato il suo
intendimento, del tutto provvisorio, di
procedere al diniego della sua domanda.
Trattasi, cioè, di una norma di garanzia
partecipativa, che ha la finalità di
consentire, anche nei procedimenti ad
istanza di parte, gli apporti collaborativi
dei privati, allo scopo di porre questi
ultimi in condizione di chiarire, già nella
fase procedimentale, tutte le circostanze
ritenute utili, senza costringerli ad adire
subito le più gravose vie giurisdizionali;
pertanto, la stessa finalità di detta norma
comporta che non vi debba essere
necessariamente una corrispondenza puntuale
in ogni dettaglio tra il contenuto del
preavviso di diniego e il diniego medesimo,
ben potendo la P.A., sulla base delle
osservazioni del privato (ma anche
autonomamente), precisare meglio le proprie
posizioni giuridiche nell’atto di diniego,
che costituisce l’unico atto effettivamente
lesivo della sfera del cittadino (Cons. St.,
sez. IV, 10.12.2007, n. 6325).
Per cui l’omessa comunicazione del preavviso
di rigetto appare suscettibile di incidere
in modo significativo sulla concreta
possibilità del soggetto amministrato di
tutelare il proprio interesse (Consiglio
Stato, sez. IV, 13.03.2008, n. 1052) e tale
comunicazione è certamente necessaria nelle
ipotesi di diniego di rilascio del permesso
di costruire (TAR Puglia, sede Bari, sez.
III, 18.01.2008, n. 46, TAR Campania, sede
Napoli, sez. III, 06.12.2007, n. 15817, TAR
Valle d'Aosta Aosta, 10.10.2007, n. 121), e
va posta in essere anche rispetto al
provvedimento di rigetto dell’istanza di
condono edilizio (TAR Sicilia, Palermo, sez,
III, 10/03/2010 n. 2649) (TAR
Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza 20.12.2010 n. 7593 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Vigili urbani, stretta sui
festivi. Niente cumulo tra l'indennità di
turno e lo straordinario. La Cassazione
risolve una querelle che da sempre crea
tensioni all'interno dei comuni.
Niente maggiorazione per lavoro
festivo infrasettimanale agli agenti di
polizia municipale che svolgano servizi
organizzati in turni, quando detti servizi
ricadano in giornate festive.
La Corte di cassazione civile, sezione
lavoro, con la sentenza 09.04.2010 n.
8458 risolve definitivamente una
questione interpretativa ed operativa che da
sempre pregiudica il buon funzionamento dei
comuni, creando scintille nelle relazioni
sindacali.
Infatti, da sempre gli agenti di polizia
locale, supportati fieramente dai sindacati,
per le giornate di lavoro ricadenti nei
festivi infrasettimanali rivendicano il
cumulo di più trattamenti economici:
l'indennità di turno in giornata festiva e
lo straordinario con maggiorazione per
lavoro in giornata festiva.
La Corte di cassazione ha rigettato
l'appello proposto contro la sentenza della
Corte di appello di Lecce 27.09.2005, n.
1660, che aveva a sua volta confermato la
decisione del giudice del lavoro di
escludere per gli agenti appartenenti al
corpo di polizia locale il cumulo
dell'indennità di turno con lo straordinario
festivo.
La decisione della suprema corte dovrebbe
finalmente mettere un punto fermo su una
questione, oggettivamente nata su fondamenta
d'argilla.
La tesi sostenuta da ricorrenti e sindacati,
nettamente rigettata dalla Cassazione, si
fonderebbe sulla circostanza che ai sensi
dell'articolo 24 del Ccnl 14/09/2000 del
comparto regioni autonomie locali il
trattamento per attività prestata in giorno
festivo spetterebbe comunque a tutti i
dipendenti, siano o meno inseriti in
attività organizzate per turni: di
conseguenza, l'indennità di turno sarebbe
autonoma dal compenso per lavoro festivo, il
che ne autorizzerebbe il cumulo.
La Cassazione spiega che le cose non stanno
affatto così. L'istituto della turnazione è
integralmente regolato dall'articolo 22
sempre del Ccnl 14/09/2000, il quale compensa
interamente il disagio causato dalla
particolare articolazione oraria,
maggiorando del 10% la retribuzione nei
turni diurni, del 30% nei turni notturni e
festivi e del 50% nei turni festivi e
notturni.
Al lavoro organizzato su turni risulta
totalmente inapplicabile la disciplina del
trattamento economico per attività prestata
in giorno festivo, che corrisponde,
sostanzialmente, ad un'attività lavorativa
in orario straordinario, svolta, cioè, al di
là degli obblighi orari del lavoratore.
Insomma, l'articolo 24 vale per i dipendenti
non turnisti, eccezionalmente chiamati ad
effettuare prestazioni lavorative in
giornate festive in straordinario.
Ricorda la Cassazione che lo straordinario,
però, presuppone necessariamente il
superamento dell'orario contrattuale di
lavoro. Ma, per i lavoratori turnisti la
prestazione lavorativa in turno ricadente in
giornata festiva non è «straordinaria»,
ma normale orario contrattuale di lavoro.
Per questa ragione, nei confronti del
personale turnista si applica esclusivamente
l'articolo 22 del Ccnl 14/09/2000 e non
l'articolo 24, destinato solo a personale
non turnista.
Unica limitata ipotesi di estensione della
disciplina dell'articolo 24 ai dipendenti
inseriti in servizi organizzati per turni è
quella nella quale il lavoratore turnista
sia chiamato in via eccezionale a svolgere
la propria attività nella giornata che, in
base al turno assegnato, quella settimana
avrebbe dovuto essere di riposo (articolo
ItaliaOggi del 18.02.2011). |
EDILIZIA PRIVATA:
Titolo edilizio anche per il
cartellone pubblicitario. Lo ha sancito la
Corte di Cassazione intervenendo su un
decreto di sequestro preventivo di un
cartellone di grandi dimensioni.
Recentemente la Corte di cassazione (sentenza
n. 43249/2010) è stata chiamata a
pronunciarsi su un singolare caso di abuso
edilizio.
I giudici sono intervenuti su un decreto di
sequestro preventivo di un cartellone per la
gestione di spazi pubblicitari di grandi
dimensioni, collocato su quattro pilastri
con basamento in cemento.
Veniva contestata all’indagato la violazione
della normativa antisismica (artt. 93, 94 e
95 d.P.R. n. 380/2001) per averlo collocato
senza aver preventivamente ottenuto il
rilascio del titolo abilitativo.
Quest’ultimo aveva sostenuto, però,
l’erronea applicazione al caso in esame del
Testo unico sull’edilizia, facendo appello
al rapporto di specialità tra detta
disciplina e quella dettata dal D.Lgs. n.
507 del 1993.
I giudici della Suprema Corte ribadiscono la
necessità del rilascio del preventivo titolo
abilitativo ai fini della realizzazione di
questo singolare manufatto, escludendo
l’esistenza dell’invocato rapporto di
specialità tra la disciplina dettata dal
Testo Unico sull’edilizia e quella del
D.Lgs. 15.11.1993, n. 507.
Quest’ultimo prevede, in caso di violazione
delle disposizioni concernenti
l’installazione dei cartelloni pubblicitari,
l’applicazione di sanzioni amministrative
pecuniarie e la rimozione da parte del
comune degli impianti pubblicitari abusivi.
In particolare sulla qualifica del manufatto
come opera edilizia, soggetto al d.P.R. n.
380 del 2001, la Corte richiama le
disposizioni della normativa antisismica che
si applicano a tutte le costruzioni la cui
sicurezza possa interessare la pubblica
incolumità.
Secondo i giudici, quindi, il cartellone
pubblicitario oggetto del sequestro
preventivo costituisce opera edilizia
rilevante ai fini dell’applicazione della
normativa edilizia ed urbanistica,
considerate le sue dimensioni e le modalità
dell’installazione.
Sul rapporto di specialità tra la disciplina
in materia edilizia e quella dettata dal
D.Lgs. 15.11.1993, n. 507 la Corte afferma
invece che possono trovare applicazione
ambedue le discipline in quanto introdotte
dal legislatore a tutela di interessi
giuridici diversi: - quella edilizia, sullo
sviluppo del territorio e la sicurezza
statica delle costruzioni rispetto a
possibili eventi sismici;
- quella dettata in tema di pubbliche
affissioni, sulle modalità di controllo
sulle stesse, in relazione al loro
contenuto, alla loro natura commerciale o
meno, all’applicazione dell’imposta sulla
pubblicità (commento tratto da
www.ediliziaurbanistica.it). |
AGGIORNAMENTO AL 15.02.2011 |
ã |
UTILITA' |
ENTI LOCALI - LAVORI PUBBLICI:
Maniglioni antipanico: obbligo di
sostituzione entro il 16.02.2011.
Il 16.02.2011 scade il periodo transitorio
di 6 anni previsto dal D.M. 03.11.2004
(Disposizioni relative all'installazione ed
alla manutenzione dei dispositivi per
l'apertura delle porte installate lungo le
vie di esodo, relativamente alla sicurezza
in caso d'incendio) per la sostituzione dei
dispositivi di apertura delle porte sulle
vie di esodo non marcati CE (maniglioni
antipanico) per le attività soggette a
C.P.I. (Certificato di Prevenzione Incendi).
L’art. 5 del D.M. recita: “I dispositivi
non muniti di marcatura CE, già installati
nelle attività di cui all’art. 3 (n.d.r.
attività soggette a Certificato Prevenzione
Incendio) del presente decreto, sono
sostituiti a cura del titolare in caso di
rottura del dispositivo o sostituzione della
porta o modifiche dell’attività che
comportino un’alterazione peggiorativa delle
vie di esodo o entro sei anni dalla data di
entrata in vigore del presente decreto. La
manutenzione dei dispositivi di cui al comma
precedente dovrà comunque garantire il
mantenimento della loro funzionalità
originaria e dovrà essere effettuato quanto
prescritto al punto c. 3) dell’art. 4”
(link a www.acca.it). |
APPALTI - EDILIZIA PRIVATA:
Finalmente un documento sintetico e
professionale per sapere TUTTO sul DURC.
Cosa si intende per Documento Unico di
Regolarità Contributiva? Chi rilascia il
DURC? Chi può richiedere il DURC? Da quale
momento decorre la validità del DURC? …
A tutti questi quesiti risposte chiare e
precise da parte dell’Autorità per la
Vigilanza sui Contratti Pubblici di Lavori,
Servizi e Forniture. Il documento che
proponiamo in allegato, redatto dall’Ente
più autorevole del settore dei LL.PP.,
risulta certamente utilissimo a tutti gli
operatori dell’edilizia (link a
www.acca.it). |
SICUREZZA LAVORO:
Procedure, documenti e responsabilità per
garantire una corretta gestione dei lavori e
della sicurezza in cantiere: un documento
sintetico della Prefettura di Roma.
Nei giorni scorsi è stato firmato presso la
Prefettura di Roma un Protocollo d’intesa da
parte di INPS, INAIL, Direzione Provinciale
del Lavoro, e sindacati territoriali
dell'edilizia, con cui le parti intendono
contribuire alla lotta al lavoro nero,
all'evasione contributiva e alla presenza
d'imprese irregolari negli appalti pubblici
nel territorio della provincia di Roma.
Sono stati definiti i contenuti minimi di
uno schema di capitolato tipo per appalti di
opere pubbliche, che contenga criteri
uniformi a garanzia della qualità, della
trasparenza, della professionalità e della
salvaguardia dei diritti dei lavoratori.
Nel Protocollo sono evidenziati i contenuti
minimi dello schema di capitolato:
- Informazioni;
- Sopralluoghi preliminari;
- Misure organizzative e oneri diversi a
carico dell'appaltatore da dimostrare prima
dell'inizio dei lavori;
- Attività di controllo;
- Responsabilizzazione del coordinatore per
la sicurezza;
- Verifiche in corso di esecuzione sulla
regolarità;
- Subappalto;
- Responsabile dei lavoratori per la
sicurezza territoriale;
- Qualità del lavoro e delle imprese.
Il documento risulta certamente utile a
tutti gli operatori del settore (link a
www.acca.it). |
LAVORI PUBBLICI:
LINEE GUIDA per i rischi indoor ALLERGIE ed
ASMA: ecco un documento utile per la
progettazione e ristrutturazione di edifici
scolastici, manutenzione.
Di recente è stato siglato un Accordo tra
Governo, Regioni, Province autonome di
Trento e Bolzano, Province, Comuni e
Comunità montane, contenente le “Linee di
indirizzo per la prevenzione nelle scuole
dei fattori di rischio indoor per allergie
ed asma”.
Le linee guida rappresentano un utile
strumento per tutti i tecnici: forniscono i
criteri generali per la progettazione di
edifici scolastici, con indicazioni
operative sulla configurazione e
l’articolazione interna degli edifici,
sull’ottimizzazione del sistema
edificio/ambiente, sulla scelta dei
materiali da utilizzare e da evitare, su
volumi e aperture. Relativamente agli
edifici esistenti, vengono fornite
specifiche indicazioni sul tipo di
manutenzione da adottare e sui controlli da
effettuare.
Sono disponibili anche informazioni circa la
ristrutturazione di edifici esistenti e la
progettazione e manutenzione di verde
scolastico.
Vengono, inoltre, analizzati i diversi
fattori di rischio indoor per allergie ed
asma e sulle misure di prevenzione
disponibili al fine di effettuare la
Valutazione dei Rischi.
Il documento è strutturato come segue:
- INTRODUZIONE, contenente l’analisi del
problema e la situazione in Italia;
- PRIMA PARTE, con gli elementi di
conoscenza per facilitare l’individuazione e
la valutazione dei principali fattori di
rischio;
- SECONDA PARTE, con indicazioni operative
per realizzare un programma integrato di
interventi per la prevenzione delle malattie
allergiche e dell’asma.
Il documento è certamente interessante per
tutti i tecnici che operano nel settore
della progettazione, manutenzione e
valutazione dei rischi in edifici ad uso
collettivo (link a www.acca.it). |
LAVORI PUBBLICI:
ON-LINE i Certificati
di esecuzione dei Lavori Pubblici.
Dal 14.02.2011 i Certificati di esecuzione
dei Lavori Pubblici saranno rilasciati
esclusivamente ON-LINE, attraverso il nuovo
sistema informatico accessibile dal portale
Internet dell'Autorità per la Vigilanza sui
Contratti Pubblici di Lavori, Servizi e
Forniture.
Lo ha comunicato il Presidente dell’AVCP,
ritenendo di dover offrire agli utenti che
usano il sistema informatico per il rilascio
e la gestione dei Certificati un servizio
adeguato alle loro esigenze e di dover
semplificare le attività di integrazione dei
dati forniti attraverso la compilazione dei
Certificati con quelli di altri sistemi
informatici. Le modalità di utilizzo del
nuovo sistema saranno disponibili nel
manuale utente, che sarà pubblicato sul
portale Internet dell'Autorità.
Gli utenti potranno accedere al nuovo
sistema utilizzando le stesse credenziali di
cui già in possesso per il rilascio dei
Certificati con la precedente procedura,
mentre le SOA potranno accedere in
consultazione alla nuova procedura
attraverso l'apposito link disponibile sul
portale Internet nella sezione dei “servizi
ad accesso riservato”, utilizzando le
credenziali già rilasciate dall'Autorità a
seguito di registrazione al servizio di “Anagrafe”
(link a www.acca.it). |
GURI - GUUE -
BURL ( e anteprima) |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 6 del
09.02.2011, "Approvazione delle modalità
tecnico operative per la determinazione
degli oneri connessi all’istruttoria delle
domande di autorizzazione allo scarico nella
rete fognaria ai sensi della deliberazione
della giunta regionale 20.01.2010, n. 11045"
(deliberazione
G.R. 01.02.2011 n. 797). |
AMBIENTE-ECOLOGIA: B.U.R.
Lombardia, serie ordinaria n. 6 del
09.02.2011, "Approvazione delle modalità
tecnico operative per la definizione dei
programmi di controllo degli scarichi nella
rete fognaria ai sensi della deliberazione
della giunta regionale 20.01.2010, n. 11045"
(deliberazione
G.R. 01.02.2011 n. 796). |
ENTI LOCALI: G.U.
08.02.2011 n. 31 "Saggio degli interessi
da applicare a favore del creditore nei casi
di ritardo nei pagamenti nelle transazioni
commerciali"
(Ministero dell'Economia e delle Finanze,
comunicato). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
G.U. 07.02.2011 n. 30 "Regolamento
recante i criteri tecnici per la
classificazione dello stato dei corpi idrici
superficiali, per la modifica delle norme
tecniche del decreto legislativo 03.04.2006,
n. 152, recante norme in materia ambientale,
predisposto ai sensi dell’articolo 75, comma
3, del medesimo decreto legislativo"
(Ministero dell'Ambiente e della Tutela del
Territorio e del Mare,
decreto 08.11.2010 n. 260). |
DOTTRINA E
CONTRIBUTI |
PUBBLICO IMPIEGO:
F. Logiudice,
L’applicazione della riforma Brunetta non è
condizionata da norme transitorie
(link a www.altalex.com). |
PUBBLICO IMPIEGO:
M. Scanniello,
Il diritto di accesso nei concorsi pubblici
(link a www.diritto.it). |
NOTE,
CIRCOLARI E COMUNICATI |
APPALTI:
Indicazioni e chiarimenti in
merito alla corretta gestione degli appalti
e subappalti.
E’ stata firmata dal Ministro Maurizio
Sacconi la
circolare 11.02.2011 n. 5 in
materia di appalti e subappalti avente per
oggetto: "Quadro giuridico degli appalti".
La circolare, tenuto conto del ricorso
sempre più frequente a processi di
esternalizzazione e della complessità della
legislazione e delle fonti di riferimento in
materia, effettua una ricognizione delle
principali problematiche che gli operatori
incontrano nel ricorrere all’appalto e
fornisce indicazioni e chiarimenti in merito
alla sua corretta gestione.
Tra le principali questioni affrontate, i
criteri che qualificano un appalto come
genuino, gli obblighi di carattere
retributivo connessi all’utilizzazione
dell’istituto, il valore degli appalti e i
criteri di scelta dei contraenti, la
responsabilità solidale tra committente,
appaltatore ed eventuali subappaltatori, il
ricorso alla certificazione, la disciplina
in materia di salute e sicurezza del lavoro. |
EDILIZIA PRIVATA:
SUAP: il Ministero per la Semplificazione
chiarisce il ruolo delle CCIAA.
Come annunciato, il 30.09.2010 è stato
pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 229
il D.P.R. del 07.09.2010, n. 160 con il
quale viene adottato il Regolamento per la
semplificazione ed il riordino della
disciplina sullo Sportello Unico per le
Attività Produttive (SUAP).
Il Regolamento
abroga il previgente D.P.R. n. 447 del 1998,
il quale cesserà di avere efficacia in due
momenti diversi: 180 giorni per il c.d.
procedimento automatizzato, 1 anno per il
procedimento ordinario (articolo 12, comma
1). Ossia il 28.03.2011 in relazione ai capi
I, II, III, V e VI del Regolamento e il
30.09.2011 in relazione al capo IV.
La
nota esplicativa 12.01.2011 n. 40 di prot.
pubblicata dall'ufficio legislativo del
Ministero per la Semplificazione Normativa
in risposta agli interrogativi del Comune di
Camposampierese (Pd), chiarisce il ruolo
svolto dalle Camere di Commercio in surroga
della funzione da parte dei Comuni, che più
di una perplessità ha sollevato.
Secondo la nota del Ministero la Camera di
Commercio esercita "le funzioni richieste
per l'elaborazione dell'istanza,
comunicandone gli esiti al comune". La
delega alle Camere di Commercio non
comporterebbe "una deroga all'ordinario
riparto delle competenze, in quanto la
titolarità della funzione amministrativa
delegata rimane del comune e del relativo
dirigente responsabile, ovvero, qualora
quest'ultimo non sia stato individuato, del
segretario comunale, ai sensi dell'art. 4,
comma 4 del d.P.R. n. 160 del 2010. Il
Comune, in sintesi, può avvalersi delle
capacità organizzative e tecniche di un
altro ente pubblico, la camera di commercio,
pur preservando le competenze e la
correlativa responsabilità delle attività
compiute dagli uffici di quest'ultima".
I dubbi, ovviamente, permangono, perché
l'istituto dell'avvalimento sotteso
all'affermazione non é richiamato dalla
normativa in questione, che si limita a
trasferire alle CCIAA i compiti di gestione
SUAP in difetto delle amministrazioni locali
(link a http://studiospallino.blogspot.com). |
NEWS |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Con gli albi pretori online, le
pubblicazioni su carta non hanno più valore
legale.
Dall’01.01.2011 le amministrazioni pubbliche
hanno l’obbligo di pubblicare sul proprio
sito, o su quello di amministrazioni affini
o di associazioni, tutti gli atti
amministrativi che necessitano di pubblicità
legale (come bandi di concorso, permessi di
costruzione, delibere del Consiglio e della
Giunta comunale ecc.).
È infatti entrato in vigore l’art. 32 della
L. 69/2009, relativo all’eliminazione degli
sprechi dovuti al mantenimento dei documenti
in forma cartacea. Pertanto, “gli
obblighi di pubblicazione di atti e
provvedimenti amministrativi aventi effetto
di pubblicità legale si intendono assolti
con la pubblicazione nei propri siti
informatici da parte delle amministrazioni e
degli enti pubblici”.
Le pubblicazioni cartacee non hanno più
valore legale: si passa da un obbligo di
dare pubblicità mediante affissione degli
atti presso un luogo fisico, l’albo
pretorio, ad una pubblicazione sul sito web
della Pubblica Amministrazione, l’albo
pretorio on-line. Anche le
pubblicazioni di matrimonio devono quindi
comparire esclusivamente su Internet; in
caso di inosservanza, la cerimonia non sarà
celebrata.
Per le gare (procedure ad evidenza pubblica)
e i bilanci, invece, il passaggio al
digitale avverrà l’01.01.2013. Nel frattempo
la pubblicazione online di tali atti
accompagnerà quella cartacea secondo
modalità operative che verranno definite nei
prossimi giorni con un Decreto del
Presidente del Consiglio.
Dall’01.01.2013 gli obblighi di pubblicità
legale saranno assolti mediante la
pubblicazione online sul sito istituzionale;
la tradizionale pubblicità sui quotidiani
sarà solo facoltativa e nei limiti degli
ordinari stanziamenti di bilancio (link a
www.governo.it). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Certificati di malattia on line; con la fine
della sperimentazione, scattano le sanzioni.
A dieci mesi dal suo avvio, la nuova
procedura di trasmissione online all'INPS
dei certificati medici di malattia dei
lavoratori pubblici e privati è stata
giudicata dal ministro Brunetta “largamente
positiva”.
Il sistema, ha dichiarato il ministro nel
corso di una conferenza stampa il
02.02.2011, è pienamente operativo in tutte
le sue funzionalità; la nuova procedura è
diffusa su tutto il territorio e la quota di
medici di medicina generale abilitati
all'utilizzo è ormai vicina al 100%.
Così funziona il sistema: il medico invia
all'INPS il certificato di malattia
compilando una pagina web (o utilizzando il
proprio software abituale o il call
center telefonico).
L'INPS rende disponibile il certificato al
datore di lavoro (pubblico e privato), che
può riceverlo tramite PEC o consultando il
sito dell'INPS. Il lavoratore può consultare
i propri certificati di malattia tramite il
sito dell'INPS o chiederne l'invio alla
propria casella di posta elettronica. Il
datore di lavoro riceve immediatamente
dall'INPS le attestazioni di malattia
relative ai certificati ricevuti.
I medici che, anche temporaneamente, hanno
difficoltà a utilizzare il PC o ad accedere
a Internet possono inviare il certificato
rivolgendosi al call center
telefonico gratuito dell'INPS con
l'assistenza di un operatore dedicato.
Eventuali sanzioni hanno luogo solo in caso
di "colpa esplicita" del medico e non
per impossibilità tecnica di trasmissione
del certificato (link a www.governo.it). |
ENTI LOCALI:
Araldica pubblica: nuove regole per il
rilascio di emblemi e gonfaloni.
Aggiornare il linguaggio utilizzato per
l'autorizzazione all'uso nel territorio
nazionale delle onorificenze pontificie e
per l'istruttoria relativa all'araldica
pubblica: è questo lo scopo del Dpcm del
28.01.2011, pubblicato sulla Gazzetta
Ufficiale dell’01.02.2011, n. 25,
Supplemento Ordinario n. 26.
Il decreto, assegnando la competenza
esclusiva in materia all'“Ufficio
onorificenze e araldica” del
Dipartimento del Cerimoniale di Stato della
Presidenza del Consiglio, aggiorna,
semplificandole, le modalità di concessione
e le regole araldiche già contenute nel
regio decreto 07.06.1943, n. 652.
Possono richiedere la concessione di emblemi
pubblici le regioni, le province, le città
metropolitane, i comuni, le comunità
montane, le comunità isolane, i consorzi, le
unioni di comuni, gli enti con personalità
giuridica, le banche, le fondazioni, le
università, le società, le associazioni, le
Forze armate ed i Corpi ad ordinamento
civile e militare dello Stato.
La relativa domanda deve essere redatta in
duplice copia e inviata, in carta semplice,
al Presidente della Repubblica e, in carta
da bollo, al Presidente del Consiglio dei
Ministri.
Per quanto riguarda le onorificenze degli
Ordini equestri della Santa Sede e
dell'Ordine equestre del Santo Sepolcro, i
cittadini che vogliono richiedere
l’autorizzazione a fregiarsi di tali titoli
devono effettuare apposita domanda, in carta
da bollo, al Presidente del Consiglio dei
Ministri, con allegati copia conforme del
diploma di nomina, certificato di nascita e
di cittadinanza italiana (link a
www.governo.it). |
GIURISPRUDENZA |
APPALTI SERVIZI:
La decisione di un Comune di
ricorrere ad una società "in house" invece
che ad un soggetto terzo deve essere
effettuata, previa valutazione comparativa
dei rispettivi servizi offerti.
La scelta di un Comune di non trasferire ad
un soggetto terzo la funzione amministrativa
atta a soddisfare la domanda relativa ad un
pubblico servizio costituisce per la P.A.
una facoltà legittima (come previsto dal
Trattato CE), ciò non esclude che comunque
la decisione di ricorrere ad una società "in
house" invece che ad un soggetto terzo
debba essere effettuata, previa valutazione
comparativa dei rispettivi servizi offerti.
Posto che l'art. 113, V c., del D.Lgs. n.
267 del 2000, prevede che la gestione dei
servizi pubblici locali avvenga secondo una
delle alternative modalità ivi contemplate,
tra cui quella che si sostanzia nel
conferire il servizio a società a capitale
interamente pubblico, e che il ricorso
all'affidamento diretto è sempre consentito,
alla sola condizione che sussistano i
requisiti indicati nella lett. c) di detto
quinto comma, può convenirsi che non sia
necessaria un'apposita ed approfondita
motivazione di tale scelta, ma solo dopo che
sia stata dimostrata non solo la sussistenza
dei presupposti richiesti per
l'autoproduzione, ma anche la convenienza
rispetto all'affidamento della gestione del
servizio a soggetti terzi, perché, in
difetto, la scelta sarebbe del tutto
immotivata e contraria al principio di buona
amministrazione cui deve conformarsi
l'operato della P.A..
Il principio che la scelta della forma di
gestione per ciascun servizio deve essere
effettuata previa valutazione comparativa
tra le diverse forme di gestione previste
dalle disposizioni in materia è applicabile
non solo, nel caso di specie, nel Comune di
Ceriale perché previsto dallo statuto, ma in
generale ed ovunque ogni qualvolta debba
essere effettuata la scelta tra il ricorso
alle due forme di gestione di cui trattasi,
anche se non espressamente previsto
dall'art. 113 del D.Lgs. n. 267 del 2000, in
ossequio al principio di buon andamento
costituzionalmente previsto (Consiglio di
Stato, Sez. V,
sentenza 08.02.2011 n. 854 - link
a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI SERVIZI:
Nessuna norma obbliga gli enti
locali a preferire la modalità
dell’affidamento all’esterno rispetto a
quella della gestione diretta, sempre che il
servizio pubblico sia privo di rilevanza
economica.
L’articolo 113-bis del testo unico degli
enti locali, approvato con decreto
legislativo 18.08.2000, n. 267, stabilisce
che –con riguardo ai servizi pubblici locali
privi di rilevanza economica– oltre
all’affidamento diretto a istituzioni,
aziende speciali e società a capitale
interamente pubblico (comma 1, lett. a, b, e
c), “è consentita la gestione in economia
quando, per le modeste dimensioni o per le
caratteristiche del servizio, non sia
opportuno procedere ad affidamento ai
soggetti di cui al comma 1” (comma 2).
Come ha sottolineato il Consiglio di Stato
(cfr. da ultimo, proprio con riferimento ad
un servizio di illuminazione votiva, sez. V,
26.01.2011, n. 552), nessuna norma obbliga
gli enti locali a preferire la modalità
dell’affidamento all’esterno rispetto a
quella della gestione diretta, sempre che il
servizio pubblico sia privo di rilevanza
economica (sez. V, 04.05.2004, n. 2726) (TAR Lazio-Roma,
Sez. II-ter,
sentenza 04.02.2011 n. 1077
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
COMPETENZE GESTIONALI -
EDILIZIA PRIVATA:
Il rigetto di una richiesta di
concessione edilizia in sanatoria o di
condono non rientra nella competenza del
Sindaco.
Ai sensi dell’art. 51, co. 3, della legge
08.06.1990, n. 142, rubricato “Organizzazione
degli uffici e del personale.”, “3.
Spettano ai dirigenti tutti i compiti,
compresa l'adozione di atti che impegnano
l'amministrazione verso l'esterno, che la
legge e lo statuto espressamente non
riservino gli organi di governo dell'ente.
Spettano ad essi in particolare, secondo le
modalità stabilite dallo statuto, la
presidenza delle commissioni di gara e di
concorso, la responsabilità sulle procedure
d'appalto e di concorso, la stipulazione dei
contratti.”.
E, pertanto, in materia edilizia, deve
ritenersi implicitamente abrogata ogni
previsione della L. n. 47/1985 relativa alla
competenza del sindaco in materia, dal
momento che tutti i provvedimenti di
gestione amministrativa in materia edilizia
ed urbanistica, compreso quindi il rigetto
di una richiesta di concessione edilizia in
sanatoria o di condono, rientrano, già a
decorrere dalla data di entrata in vigore
della l. 08.06.1990 n. 142, nella sfera di
competenza del dirigente, mentre esulano
dalla sfera di attribuzioni politiche
proprie del sindaco, trattandosi di tipico
potere gestionale
(TAR Lazio-Roma, Sez. II-ter,
sentenza 04.02.2011 n. 1076 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Emanato il diniego di sanatoria,
il Comune può legittimamente procedere alla
trascrizione nei pubblici registri
immobiliari ed all'immissione in possesso
(del manufatto abusivo) soltanto per effetto
dell’accertamento dell’inottemperanza, nei
termini di legge, alla nuova ordinanza di
demolizione adottata a seguito del detto
diniego
Per un principio giurisprudenziale
consolidato, “Il riesame dell'abusività
dell'opera edilizia, provocato dall'istanza
di sanatoria dell'autore dell'abuso,
determina la necessaria formazione di un
nuovo provvedimento che vale comunque a
rendere inefficace il provvedimento
sanzionatorio in precedenza emanato con la
conseguenza che, in caso di rigetto
dell'istanza, l'Amministrazione deve emanare
un nuovo provvedimento sanzionatorio,
disponendo nuovamente la demolizione
dell'opera edilizia ritenuta abusiva, con
l'assegnazione di un nuovo termine per
adempiere” (Consiglio di Stato, sez. IV,
03.12.2010, n. 8502).
Conseguentemente, emanato il diniego di
sanatoria, il Comune può legittimamente
procedere alla trascrizione nei pubblici
registri immobiliari ed all'immissione in
possesso soltanto per effetto
dell’accertamento dell’inottemperanza, nei
termini di legge, alla nuova ordinanza di
demolizione adottata a seguito del detto
diniego
(TAR Lazio-Roma, Sez. II-ter,
sentenza 04.02.2011 n. 1076 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La realizzazione di una struttura
in prefabbricato, integra una nuova
costruzione e, in quanto tale, richiede,
quale titolo edilizio abilitativo, il
permesso di costruire, nella specie
mancante, atteso che la precarietà
dell'opera, che esonera dall'obbligo del
possesso del permesso di costruire, postula
un uso specifico e temporalmente limitato
del bene.
Deve rilevarsi
come le caratteristiche del manufatto in
questione -costituito da un prefabbricato in
legno e vetro, poggiante su di una trave in
legno e sollevato dal terreno- ne rendessero
necessario, ai fini della sua collocazione
sul terreno di cui trattasi, il previo
rilascio del relativo titolo concessorio.
Ed infatti, per giurisprudenza consolidata
sul punto, la realizzazione di una struttura
in prefabbricato, integra una nuova
costruzione e, in quanto tale, richiede,
quale titolo edilizio abilitativo, il
permesso di costruire, nella specie mancante
(TAR Lazio, Roma, sez. I, 16.07.2009, n.
7033), atteso che la precarietà dell'opera,
che esonera dall'obbligo del possesso del
permesso di costruire, postula un uso
specifico e temporalmente limitato del bene
(TAR Lazio-Roma, Sez. II-ter,
sentenza 04.02.2011 n. 1076 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA: Costituiscono
lottizzazione abusiva i casi di alienazione
e frazionamento di lotti in cui traspaiano
elementi di per sé rivelatori della
utilizzabilità del terreno solo per finalità
edificatorie.
Nella pronuncia in rassegna i ricorrenti,
divenuti proprietari di undici appezzamenti
di terreno, provenienti dalla divisione del
fondo di un terreno sito nel territorio del
Comune di Roma, hanno impugnato il
provvedimento con il quale lo stesso Ente ha
loro ingiunto la sospensione della
lottizzazione abusiva ed ha ordinato
l’interruzione delle opere abusive
eventualmente in corso, vietando
contestualmente di disporre con atto tra
vivi delle rispettive proprietà private.
Il ricorso è infondato secondo i giudici del
Tribunale amministrativo di Roma che
spiegano: l’art. 18 della L. 28.02.1985, n.
47, rubricato “Lottizzazione”,
dispone testualmente che: “Si ha
lottizzazione abusiva di terreni a scopo
edificatorio quando vengono iniziate opere
che comportino trasformazione urbanistica od
edilizia dei terreni stessi in violazione
delle prescrizioni degli strumenti
urbanistici, vigenti o adottati, o comunque
stabilite dalle leggi statali o regionali o
senza la prescritta autorizzazione; nonché
quando tale trasformazione venga predisposta
attraverso il frazionamento e la vendita, o
atti equivalenti, del terreno in lotti che,
per le loro caratteristiche quali la
dimensione in relazione alla natura del
terreno e alla sua destinazione secondo gli
strumenti urbanistici, il numero,
l'ubicazione o la eventuale previsione di
opere di urbanizzazione ed in rapporto ad
elementi riferiti agli acquirenti, denuncino
in modo non equivoco la destinazione a scopo
edificatorio. Nel caso in cui il sindaco
accerti l'effettuazione di lottizzazione di
terreni a scopo edificatorio senza la
prescritta autorizzazione, con ordinanza da
notificare ai proprietari delle aree ed agli
altri soggetti indicati nel primo comma
dell'articolo 6, ne dispone la sospensione.
Il provvedimento comporta l'immediata
interruzione delle opere in corso ed il
divieto di disporre dei suoli e delle opere
stesse con atti tra vivi, e deve essere
trascritto a tal fine nei registri
immobiliari. Trascorsi novanta giorni, ove
non intervenga la revoca del provvedimento
di cui al comma precedente, le aree
lottizzate sono acquisite di diritto al
patrimonio disponibile del comune il cui
sindaco deve provvedere alla demolizione
delle opere. In caso di inerzia del sindaco
si applicano le disposizioni concernenti i
poteri sostitutivi di cui all'articolo 7.
L'art. 18 della L. n. 47 del 1985
disciplina, pertanto, due diverse ipotesi di
lottizzazione abusiva, la prima, c.d.
materiale, relativa all'inizio della
realizzazione di opere che comportano la
trasformazione urbanistica ed edilizia dei
terreni, sia in violazione delle
prescrizioni degli strumenti urbanistici,
approvati o adottati, ovvero di quelle
stabilite direttamente in leggi statali o
regionali, sia in assenza della prescritta
autorizzazione; la seconda, c.d. formale (o
cartolare), che si verifica allorquando, pur
non essendo ancora avvenuta una
trasformazione lottizzatoria di carattere
materiale, se ne sono già realizzati i
presupposti con il frazionamento e la
vendita, o altri atti equiparati, del
terreno in lotti (che per le specifiche
caratteristiche, quali la dimensione dei
lotti stessi, la natura del terreno, la
destinazione urbanistica, l'ubicazione e la
previsione di opere urbanistiche, e per
altri elementi riferiti agli acquirenti,
evidenzino in modo non equivoco la
destinazione ad uso edificatorio), creando
così una variazione in senso accrescitivo
sia del numero dei lotti che in quello dei
soggetti titolari del diritto sul bene; il
bene giuridico protetto dalla predetta
norma, quindi, è non solo l'ordinata
pianificazione urbanistica, ma anche (e
soprattutto) l'effettivo controllo del
territorio da parte del soggetto titolare
della stessa funzione di pianificazione
(cioè dal Comune), cui spetta di vigilare
sul rispetto delle vigenti prescrizioni
urbanistiche, con conseguente legittima
repressione di qualsiasi intervento di tipo
lottizzatorio, non previamente assentito
(nel caso di specie, si è in presenza di una
lottizzazione cartolare abusiva) (TAR Lazio
Roma, sez. II, 05.03.2009, n. 2306).
Pertanto, secondo la normativa di
riferimento, la lottizzazione cartolare, per
essere ricompresa nella lottizzazione
abusiva, deve consistere in un illecito
frazionamento di lotti, che risulti
preordinato in modo non equivoco a fini di
edificazione, sia pure sulla base di una
serie di indizi (dimensioni dei lotti
compravenduti, attività svolta dagli
acquirenti, prossimità dei lotti a località
residenziali o turistiche); peraltro in
materia -seppure è necessario che
l'accertamento del presupposto di cui
all'art. 18 della L. n. 47 del 1985 comporti
una ricostruzione di un quadro indiziario
sulla scorta degli elementi indicati nella
norma, dalla quale sia possibile desumere in
maniera non equivoca la destinazione a scopo
edificatorio degli atti posti in essere
dalle parti- è sufficiente che lo scopo
edificatorio emerga anche da un solo indizio
(TAR Campania Salerno, sez. II, 16.04.2010,
n. 3932).
Non è necessario, pertanto, che gli elementi
indicati nel richiamato art. 18 siano tutti
presenti in concorso tra di loro, essendo
sufficiente che lo scopo edificatorio emerga
in modo non equivoco da uno o più indizi,
anche diversi da quelli che si rinvengono
nell’elencazione non tassativa del medesimo
art. 18 (Consiglio di Stato, sez. V,
02.12.2008, n. 5930).
Costituiscono, quindi, lottizzazione abusiva
i casi di alienazione e frazionamento di
lotti in cui traspaiano elementi di per sé
rivelatori della utilizzabilità del terreno
(per le oggettive modalità di frazionamento
e per la non contestata contiguità ad assi
viari di collegamento e ad insediamenti
abitativi preesistenti) solo per finalità
edificatorie.
In tal caso l'abuso risulta dalla semplice
esistenza di una lottizzazione
inequivocabilmente edificatoria, abusiva sia
poiché non prevista dalla vigente
pianificazione territoriale urbanistica, sia
poiché non autorizzata dal Comune, non
richiedendosi, quindi, alcuna ulteriore
attività accertativa da parte del Comune
circa la sussistenza (peraltro assai
difficilmente dimostrabile) di un intento
soggettivo edificatorio.
Ed infatti la lottizzazione c.d.
cartolare prescinde dalla prova di qualsiasi
intento di lottizzare abusivamente e rileva,
invece, obiettivamente per il solo fatto del
frazionamento e della vendita in lotti di
un'area, purché questi lotti per le loro
dimensioni, per la natura del terreno, per
il numero, per la eventuale previsione di
opere di urbanizzazione e in rapporto ad
altri elementi riferiti agli acquirenti
evidenzino, in modo non equivoco, la
destinazione a scopo edificatorio degli
stessi (Consiglio di Stato, sez. IV,
11.10.2006, n. 6060)"
(commento tratto da
www.documentazione.ancitel.it - TAR Lazio-Roma,
Sez. II-ter,
sentenza 04.02.2011 n. 1075 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: È
legittimo l'ordine di sgombero di un
esercizio commerciale disposto dal Sindaco
per mancanza della licenza di agibilità.
Con il ricorso in commento una società ha
impugnato l’ordinanza del Sindaco di un
Comune laziale, con la quale è stata
disposta la chiusura dell’esercizio
commerciale di ristorante, ubicato al primo
piano di un complesso alberghiero, in quanto
esercitato in locale da ritenersi abusivo e,
pertanto, sprovvisto del certificato di
abitabilità di cui all’art. 221 del R.D. n.
1265 del 1934.
Secondo i giudici del Tribunale
amministrativo di Roma ciò che rileva, ai
fini dell’infondatezza del ricorso, è la
circostanza che l’ordinanza impugnata sia
stata adottata da parte del Comune ai sensi
del combinato disposto degli artt. 221 e 222
del T.U.L.S..
Il richiamato articolo 221 dispone che: “Gli
edifici o parti di essi indicati
nell'articolo precedente non possono essere
abitati senza autorizzazione del podestà, il
quale la concede quando, previa ispezione
dell'ufficiale sanitario o di un ingegnere a
ciò delegato, risulti che la costruzione sia
stata eseguita in conformità del progetto
approvato, che i muri siano convenientemente
prosciugati e che non sussistano altre cause
di insalubrità. …”.
Il successivo art. 222, dispone a sua volta
che: “Il podestà, sentito l'ufficiale
sanitario o su richiesta del medico
provinciale, può dichiarare inabitabile una
casa o parte di essa per ragioni igieniche e
ordinarne lo sgombero.“.
Va subito rilevato, spiegano i giudici
capitolini, che l'autorizzazione (o licenza)
di agibilità -introdotta dal richiamato
articolo 221 in un'epoca in cui le
prescrizioni urbanistiche erano pressoché
inesistenti- riguarda solo la salubrità "degli
ambienti", e quindi l'edificio in se
stesso considerato, ossia il solo manufatto
edilizio.
Va rilevato ancora che il rilascio del
cosiddetto certificato di agibilità
sanitaria è prescritto da tale disposizione
con riguardo non soltanto agli immobili ad
uso strettamente abitativo, ma anche a
quelli adibiti (o da adibire) a scopi
diversi, purché l'attività che vi si dovrà
svolgere preveda comunque un uso che
comporti la frequentazione da parte delle
persone: la frase "gli edifici o parti di
essi non possono essere abitati senza
autorizzazione” va infatti interpretata
in senso estensivo, attese le finalità che
la legge chiaramente si prefigge, che sono
quelle di evitare danni alle persone che si
trovino ad intrattenersi in locali che,
qualora non sottoposti ad adeguato controllo
da parte dell'autorità sanitaria, potrebbero
non avere determinate caratteristiche di
igienicità, salubrità, sufficiente areazione
ecc. (Cassazione penale, sez. I, 05.04.1996,
n. 5588).
L'indagine che il sindaco è chiamato a
svolgere per il rilascio dell'autorizzazione
di cui all'art. 221 è, pertanto, finalizzata
al solo accertamento della conformità della
costruzione al progetto approvato e della
mancanza di cause di insalubrità limitate
alla costruzione edilizia in sé considerata.
Va poi aggiunto che, secondo l’orientamento
della giurisprudenza, l'atto propulsivo per
il rilascio della licenza di abitabilità di
un immobile deve muovere dal titolare della
relativa concessione edilizia e la data
della conseguita abitabilità è sempre quella
di rilascio del relativo provvedimento
autorizzatorio ex art. 221 T.U.L.S.
(Consiglio di Stato, sez. IV, 04.08.1986, n.
538).
Tale disposizione, pertanto, legittima il
divieto di prosecuzione dell'attività in
locali privi di abitabilità (cfr. TAR
Sardegna, Cagliari, 06.02.2002, n. 115); e
legittimamente l'amministrazione –ai sensi
dell’articolo medesimo- dispone l'ordine di
sgombero di un'immobile in caso di mancanza
della licenza di agibilità, che costituisce
appunto presupposto indispensabile perché un
locale possa essere frequentato, a
prescindere dalla effettiva salubrità,
igienicità ed incolumità del locale stesso
(commento tratto da
www.documentazione.ancitel.it - TAR Lazio-Roma,
Sez. II-ter,
sentenza 04.02.2011 n. 1074 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il provvedimento di demolizione
dell'abuso non è illegittimo quando sia
indirizzato al proprietario del suolo.
Per giurisprudenza consolidata, l'ordine di
demolizione può essere emesso nei confronti
sia dell'autore dell'abuso edilizio, sia del
proprietario dell'immobile (TAR Lazio, Roma,
sez. II, 08.04.2010, n. 5889); in
particolare l'ordine di demolizione del
manufatto abusivo è legittimamente adottato
nei confronti del proprietario dell'immobile
indipendentemente dall'essere egli stato
anche autore dell'abuso, salva la facoltà
del medesimo di far valere, sul piano
civile, la responsabilità, contrattuale o
extracontrattuale, del proprio dante causa.
Il provvedimento che ingiunge la demolizione
dell'abuso, pertanto, non è illegittimo per
il solo fatto che l'ordine venga indirizzato
al proprietario (anche se estraneo alla
commissione dell'illecito edilizio) del
suolo su cui ricade la costruzione, atteso
che a quest'ultimo deve riconoscersi
comunque l'interesse a contestare anche il
carattere abusivo della stessa
realizzazione, perché non può escludersi che
la rimozione del manufatto possa arrecare
anche un danno all'area di sua proprietà.
Tuttavia, nel caso in cui il proprietario
dimostri la sua assoluta estraneità
all'abuso edilizio commesso da altri, e sia
manifesto il suo attivo interessamento, con
i mezzi consentitigli dall'ordinamento, per
la rimozione dell'opera abusiva, resta in
ogni caso salva la sua tutela dagli effetti
(acquisizione gratuita del bene o
demolizione d'ufficio) dell'inottemperanza
all'ordine di demolizione che lo stesso sia
impossibilitato ad eseguire, effetti che in
nessun caso possono ricadere su di lui (TAR
Umbria, Perugia, sez. I, 25.11.2008, n. 787
e TAR Sardegna Cagliari, 06.08.2003, n. 987)
(TAR Lazio-Roma, Sez. II-ter,
sentenza 04.02.2011 n. 1072 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
INQUINAMENTO - Bonifica di siti
contaminati - Siti di interesse nazionale -
Competenze del Ministro e competenze
dirigenziali - Art. 252 d.lgs. n. 152/2006.
L’art. 252 del d.lgs. n. 152/2006,
distinguendo tra atti ed attività di
competenza del Ministro dell’Ambiente ed
atti e attività facenti capo al Ministero,
fa rientrare tra i primi l’individuazione,
ai fini della bonifica, dei siti di
interesse nazionale (trattandosi di atto
attinente all’indirizzo
politico-amministrativo in materia di
bonifica), mentre il decreto di recepimento
della Conferenza di Servizi costituisce un
mero atto di gestione, di competenza
dirigenziale (TAR Toscana, sez. II,
19.05.2010, n. 1525).
INQUINAMENTO - Bonifica
di siti contaminati - Siti di interesse
nazionale - Procedura - Ministero delle
attività produttive - Art. 252 d.lgs. n.
152/2006 - Concerto - Necessità -
Esclusione.
In tema di procedura di bonifica dei siti di
interesse nazionale, l’art. 252, comma 4,
del d.lgs. n. 152/2006 si limita ad
affermare che il Ministero delle attività
produttive deve essere “sentito”, con
ciò escludendosi il ben più penetrante
potere connesso all’esercizio del “concerto”
che presuppone una manifestazione di volontà
equiordinata a quello dell’organo
procedente.
INQUINAMENTO - Obbligo
di bonifica o messa in sicurezza -
Destinatario - Responsabile
dell’inquinamento - Artt. 240 e ss. d.lgs.
n. 152/2006 - Principio “chi inquina paga”.
Tanto la disciplina di cui al d.lgs. n.
22/1997 (in particolare, l’art. 17, comma
2), quanto quella introdotta dal d.lgs. n.
152/2006 (ed in particolare, gli artt. 240 e
segg.), si ispirano al principio secondo cui
l’obbligo di adottare le misure, sia urgenti
che definitive, idonee a fronteggiare la
situazione di inquinamento, è a carico
unicamente di colui che di tale situazione
sia responsabile, per avervi dato causa a
titolo di dolo o colpa: l’obbligo di
bonifica o di messa in sicurezza non può
essere invece addossato al proprietario
incolpevole, ove manchi ogni sua
responsabilità (cfr., nello stesso senso,
TAR Sicilia, Catania, Sez. I, 26.07.2007, n.
1254).
L’Amministrazione non può, cioè, imporre ai
soggetti che non abbiano alcuna
responsabilità diretta sull’origine del
fenomeno contestato, ma che vengano
individuati solo quali proprietari del bene,
lo svolgimento delle attività di recupero e
di risanamento (così, nel vigore della
precedente disciplina, TAR Veneto, Sez. II,
02.02.2002, n. 320).
L’enunciato è, peraltro, conforme al
principio “chi inquina, paga”, cui si
ispira la normativa comunitaria (cfr. art.
174, ex art. 130/R, del Trattato CE), la
quale impone al soggetto che fa correre un
rischio di inquinamento di sostenere i costi
della prevenzione o della riparazione.
INQUINAMENTO - Mancata
esecuzione degli interventi ambientali da
parte del responsabile dell’inquinamento -
Esecuzione da parte della P.A. - Artt. 244,
250 e 253 d.lgs. n. 152/2006.
A chiusura del sistema, il Codice
dell’ambiente (artt. 244, 250 e 253) prevede
che, nell’ipotesi di mancata esecuzione
degli interventi ambientali da parte del
responsabile dell’inquinamento, ovvero di
impossibile individuazione dello stesso -e
sempreché non provvedano né il proprietario
del sito, né altri soggetti interessati- le
opere di recupero ambientale sono eseguite
dalla P.A. competente, che potrà rivalersi
sul soggetto responsabile nei limiti del
valore dell’area bonificata, anche
esercitando, ove la rivalsa non vada a buon
fine, le garanzie gravanti sul terreno
oggetto dei medesimi interventi (TAR
Lombardia, Milano, Sez. II, 10.07.2007, n.
5355; TAR Toscana, Sez. II, 17.09.2009, n.
1448).
INQUINAMENTO - Bonifica
- Sistemi di contenimento - Barriera fisica
- Analisi comparativa tra le diverse
alternative - Necessità.
In tema di barriera fisica, la P.A. è tenuta
a valutare ed accertare non solo
l’inefficacia di misure meno invasive, ma
anche l’effettiva necessità, efficacia e
realizzabilità di tale sistema di
contenimento (TAR Puglia, Lecce. Sez. I,
11.06.2007, n. 2247; TAR Toscana, Sez. II,
14.10.2009, n. 1540; id., 18.12.2009, n.
3973).
Pertanto, l’opzione per detto sistema,
ovvero per un utilizzo combinato delle
differenti tipologie di intervento, può
legittimamente avere luogo soltanto
all’esito di un’analisi comparativa tra le
diverse alternative, in ragione delle
specifiche caratteristiche dell’area (TAR
Lecce, Sez. I, n. 2247/2007, cit.) (TAR
Toscana, Sez. II,
sentenza 04.02.2011 n. 225 - link
a www.ambientediritto.it). |
URBANISTICA:
Pianificazione - Misure di
salvaguardia - Finalità.
In materia di pianificazione urbanistica, la
normativa relativa alle misure di
salvaguardia non determina l'anticipata
vigenza degli strumenti urbanistici adottati
in sede comunale, ma ha lo scopo di inibire
il rilascio di concessioni edilizie in
contrasto con il nuovo strumento urbanistico
in itinere, al fine di evitare che, nelle
more della sua approvazione, possa essere
compromesso l'assetto territoriale che si
intende realizzare con la conseguenza che,
fino a quando esso non viene approvato,
l'attività edificatoria rimane regolata
dallo strumento urbanistico vigente (TAR
Campania Napoli, sez. IV, 13.11.2006, n.
9463) (TAR Toscana, Sez. II,
sentenza 04.02.2011 n. 224 - link
a www.ambientediritto.it). |
APPALTI:
Sulla legittimità della revoca di
una procedura negoziata a causa del ritiro
della copertura finanziaria da parte
dell'ente comunale, senza previa
comunicazione dell'avvio del procedimento.
Nel caso di revoca d'ufficio di un atto
endoprocedimentale inserito in una gara
d'appalto non è richiesta alcuna
comunicazione di avvio del procedimento,
dovendosi ritenere la stazione appaltante
obbligata al rispetto delle garanzie
partecipative solo quando l'esercizio del
potere di autotutela abbia ad oggetto
l'aggiudicazione definitiva, in ragione
della posizione di vantaggio, che solo
quest'ultima costituisce in capo all'impresa
aggiudicataria.
Gli atti endoprocedimentali, avendo effetti
instabili ed interinali, non sono, infatti,
idonei a generare nei partecipanti una
posizione consolidata di vantaggio, con la
conseguenza che sull'Amministrazione, la
quale intende esercitare il potere di
autotutela, incombe un onere di motivazione
fortemente attenuato circa le ragioni di
interesse pubblico, che lo hanno
determinato, essendo sufficiente che sia
reso palese il ragionamento seguito per
giungere alla determinazione negativa
attraverso l'indicazione degli elementi
concreti ed obiettivi, in base ai quali si
ritiene di non dare corso ulteriore al
procedimento.
Nel caso di specie, il ritiro da parte del
comune della copertura finanziaria,
necessaria per coprire le spese conseguenti
all'affidamento del servizio, prima della
celebrazione della gara e, dunque, in una
fase, nella quale non era stato adottato
alcun provvedimento di aggiudicazione
neppure provvisorio, va qualificato come
atto endoprocedimentale, con il quale
l'amministrazione non ha annullato in
autotutela una aggiudicazione, ma ha "interrotto"
la procedura di gara, con conseguente
esclusione dell'obbligo di comunicazione
dell'avvio del relativo procedimento.
Ne deriva, altresì, che non vi era necessità
di una motivazione "rafforzata", che
si soffermasse sui profili di illegittimità
dell'atto e sulle ragioni di interesse
pubblico sottostanti al ritiro, dovendosi,
il provvedimento impugnato ritenere
adeguatamente giustificato dal riferimento
al venir meno della copertura finanziaria
dell'appalto, esistente al momento della
indizione della gara.
Peraltro, la mancanza della copertura
finanziaria rende doveroso il ritiro degli
atti di indizione della gara, che
rappresenta l'unico strumento utilizzabile
dall'amministrazione per evitare
l'affidamento di un appalto e la successiva
stipulazione del contratto in assenza della
necessaria copertura finanziaria (TAR
Sicilia-Palermo, Sez. I,
sentenza 04.02.2011 n. 210 - link
a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI: La
legittimazione all'accesso richiede
unicamente che la conoscenza del documento
sia funzionale alla tutela di un interesse
giuridico protetto dall'ordinamento.
L'accesso ai documenti amministrativi,
attese le sue rilevanti finalità di pubblico
interesse, costituisce principio generale
dell'attività amministrativa e può subire
limitazioni soltanto nei casi espressamente
previsti dalla legge (art. 22, commi 2 e 3,
L. 241/1990 e s.m.i.).
Peraltro, per l'esercizio del diritto di
accesso è necessario (e sufficiente) che il
privato abbia un interesse diretto, concreto
e attuale corrispondente ad una situazione
giuridicamente tutelata e collegata al
documento al quale è chiesto l'accesso (art.
22, comma 1, lettera b), L. 241/1990 e
s.m.i.); quanto al contenuto della relativa
istanza, è sufficiente che essa indichi i
presupposti di fatto e renda percepibile
l'interesse giuridico concreto e attuale
corrispondente alla situazione
giuridicamente tutelata e collegata al
documento richiesto (cfr., da ultimo, TAR
Basilicata Potenza, sez. I, 29.07.2010, n.
581).
La legittimazione all'accesso, in
particolare, no n è subordinata alla
presumibile fondatezza della pretesa
sostanziale a tutela della quale esso è
preordinato, ma richiede unicamente che la
conoscenza del documento sia funzionale alla
tutela di un interesse giuridico protetto
dall'ordinamento, e dunque differenziato
rispetto all'interesse generico di ogni
cittadino a conoscere l'attività dei
pubblici poteri.
Nel caso di specie la società ricorrente,
proprietaria di un lotto sul quale non ha
potuto edificare per le indicate ragioni
attinenti la mancanza di un impianto
fognario esteso all’intera lottizzazione, ha
chiesto di conoscere gli atti concernenti
l’autorizzazione edilizia rilasciata alla
controinteressata, proprietaria di un lotto
inserito nel medesimo piano di
lottizzazione, al fine di eventualmente
esercitare azioni a tutela dei suoi diritti.
Ciò posto, il Tribunale amministrativo di
Cagliari sottolinea che non compete allo
stesso valutare la fondatezza della pretesa
sostanziale dedotta dalla ricorrente
(peraltro non affetta da abnormità: cfr., da
ultimo, TAR Veneto, sez. II, 19.04.2010, n.
1411, pur a fronte di un più consistente
orientamento contrario), rilevando soltanto
verificare se essa abbia un interesse
diretto concreto e attuale alla conoscenza
dei documenti citati onde poter tutelare un
interesse giuridico protetto
dall'ordinamento, e quindi differenziato da
quello della generalità dei consociati,
nonché collegato ai documenti medesimi
(commento tratto da
www.documentazione.ancitel.it - TAR Sardegna,
Sez. II,
sentenza 02.02.2011 n. 96 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI:
Sulla sussistenza della
giurisdizione del g.o. per la controversia
inerente il mancato assolvimento di
obbligazioni negoziali tra le parti di un
rapporto concessorio avente ad oggetto la
gestione di una piscina comunale.
Gli impianti sportivi comunali per il nuoto
rientrano tra i beni del patrimonio
indisponibile degli enti locali e, in
particolare, giacché finalizzati a
soddisfare l'interesse della collettività
alle discipline sportive, sono ascrivibili
ai beni destinati ad un pubblico servizio,
onde gli stessi possono essere trasferiti
nella disponibilità dei privati solo
mediante concessione amministrativa, quale è
quella in cui il privato gestisce l'impianto
natatorio percependo il corrispettivo
direttamente dagli utenti e corrispondendo
un canone di concessione all'Amministrazione
comunale, secondo lo schema tipico della
concessione di servizio pubblico.
A seguito dell'intervento della Corte
costituzionale (sent. n. 204/2004), l'ambito
dei pubblici servizi è oggetto di
giurisdizione del giudice amministrativo
solo se in esso l'Amministrazione agisce
esercitando il suo potere di supremazia in
connessione funzionale con la tutela
dell'interesse pubblico affidato alle sue
cure, non quando la lite, vertendo sulla
mera inadempienza di singole prestazioni
negoziali, riguarda unicamente il rapporto
convenzionale delle parti e le reciproche
posizioni di diritto e di obbligo -anche in
vista dell'accertamento della responsabilità
per danni del debitore inadempiente (sia
questo il soggetto pubblico o il soggetto
privato)-, con la conseguenza che restano
assoggettate alla giurisdizione del giudice
ordinario le controversie, relative a
situazioni di diritto soggettivo, in cui
l'Amministrazione non sia coinvolta come
autorità, ancorché le stesse scaturiscano da
rapporti di tipo.
Poiché, nel caso di specie, le domande
giudiziali delle parti sono nella
circostanza fondate sul mancato assolvimento
di precise obbligazioni negoziali -l'una
adducendo il mancato pagamento del canone di
concessione e delle spese relative a varie
utenze da parte della ditta che aveva
assunto le gestione del bene e relative
strutture e l'altra pretendendo dall'ente
concedente il risarcimento del danno
conseguente all'inadempienza dell'obbligo di
cura della manutenzione straordinaria
dell'impianto natatorio, e poiché le
pronunce di incostituzionalità producono i
loro effetti anche sui giudizi pendenti,
entrambe le domande giudiziali si rivelano
inammissibili per difetto di giurisdizione
del giudice amministrativo, in quanto
relative a posizioni di diritto soggettivo
devolute alla cognizione del giudice
ordinario (TAR Emilia Romagna-Parma, Sez. I,
sentenza 31.01.2011 n. 30 - link
a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
GIURISPRUDENZA |
URBANISTICA:
Lo strumento urbanistico è
scindibile anche nel momento della sua
formazione.
Il primo giudice ha ritenuto non sussistente
in capo alla società istante l’interesse a
far valere il vizio derivante dalla mancata
astensione di alcuni Consiglieri Comunali,
asseritamente in posizione di conflitto di
interessi in quanto proprietari di suoli
ricadenti nel territorio interessato dal
P.U.C. oggetto di deliberazione, muovendo
dal presupposto che tale vizio –se anche
esistente- non fosse tale da rendere
illegittimo in toto lo strumento
urbanistico, ma ne inficiasse soltanto le
determinazioni relative ai suoli interessati
dal predetto conflitto d’interessi; con la
conseguenza che legittimato a far valere
tale profilo di illegittimità è unicamente
chi dimostri di essere titolare di un
interesse qualificato a una specifica
utilità, in ragione di situazioni di
collegamento con le aree interessate dal
vizio (ed è incontestato che l’odierna
appellante non fosse titolare di un siffatto
interesse).
Tale opinione, in effetti, corrisponde
all’indirizzo giurisprudenziale più recente
(cfr., ad esempio, Cons. Stato, sez. V,
12.06.2009, nr. 3744), che la Sezione reputa
di dover seguire perché maggiormente
coerente col principio di conservazione
degli atti giuridici; esso, peraltro,
risulta confermato anche dall’ulteriore
arresto che considera scindibile lo
strumento urbanistico anche nel momento
stesso della sua formazione, nel senso
dell’ammissibilità di una sua approvazione
frazionata o “per stralci”, proprio
al fine di evitare incompatibilità e
conflitti di interessi (cfr. Cons. Stato,
sez. IV, 22.06.2004, nr. 4429).
Né può avere alcuna rilevanza, al riguardo,
la circostanza evidenziata da parte
appellante per cui, qualora i Consiglieri in
posizione di incompatibilità si fossero
astenuti, ciò avrebbe comportato il mancato
raggiungimento del quorum
statutariamentenecessario per deliberare sul
Piano: infatti, tale vizio in ogni caso, per
quanto sopra evidenziato, investirebbe a sua
volta le sole parti del P.U.C. colpite dal
conflitto de quo, con la conseguente
insussistenza di ogni interesse a farlo
valere da parte della società istante (Consiglio di Stato,
Sez. IV,
sentenza 28.01.2011 n. 694 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Nel caso di impugnazione di un
permesso di costruire rilasciato a terzi, la
effettiva e piena conoscenza del
provvedimento da parte del ricorrente si
verifica con la ultimazione dei lavori
edilizi.
La giurisprudenza è pacifica nel ritenere
che nel caso di impugnazione di un permesso
di costruire rilasciato a terzi, la
effettiva e piena conoscenza del
provvedimento da parte del ricorrente si
verifica, di regola con la ultimazione dei
lavori edilizi o, quantomeno, con il
raggiungimento di uno stato di avanzamento
tale che non si possa avere più alcun dubbio
in ordine alla consistenza ed alla reale
portata dell'intervento edilizio assentito (ex
plurimis TAR Sardegna Cagliari, Sez. II,
24/10/2008, n. 1827; TAR Puglia Lecce, Sez.
III, 12/06/2009, n. 1480; TAR Campania
Napoli, Sez. IV, 03/09/2008, n. 10036; Cons.
Stato, sez. VI, 12.02.2007, n. 540; Cons.
Stato, sez. V, 03.03.2004, n. 1023) (TAR Sardegna,
Sez. II,
sentenza 28.01.2011 n. 87 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI:
Sull'affidamento ad un comune
tramite una società in house delle attività
di gestione degli ormeggi e delle
attrezzature portuali.
Appare corretta, alla luce dell'ampia
definizione espressa dall'art. 112 del
d.lgs. n. 167/2000, la qualificazione delle
attività di gestione degli ormeggi e delle
attrezzature portuali oggetto della
concessione come servizi pubblici locali,
rispetto al cui esercizio l'utilizzo del
demanio marittimo si pone come presupposto
necessario.
Pertanto, in ordine alla scelta del
concessionario di cui all'art. 37 del codice
della navigazione, occorre adottare
un'interpretazione comunitariamente
orientata, in linea con l'art. 23-bis del
d.l. n. 112/2008, convertito nella l. n.
133/2008, il quale da un lato sancisce il
necessario rispetto, ai fini del
conferimento della gestione dei servizi
pubblici locali, dei principi posti a
salvaguardia della libera concorrenza, tra i
quali, in particolare, il principio generale
di trasparenza e adeguata pubblicità nella
procedura di scelta del contraente,
dall'altro lato ammette l'affidamento
diretto a società in house in situazione
eccezionali, debitamente motivate e previo
parere dell'Autorità garante della
concorrenza e del mercato (art. 23-bis,
commi 2, 3 e 4).
Nel caso di specie, al contrario, la
pubblicità dell'avvio del procedimento
selettivo, riguardante servizi di rilevanza
economica ex art. 23-bis del d.l. n.
112/2008, si è limitata all'albo pretorio, e
quindi non è risultata coerente con i
principi di evidenza pubblica valorizzati da
detta norma; né il comune ha dato contezza
di particolari ragioni giustificatrici della
gestione tramite società in house, ancorché
l'individuazione del concessionario e il
conseguente affidamento a quest'ultima siano
avvenuti ad esito di procedura contrastante
con i suddetti principi, o comunque non
costituente procedura di evidenza pubblica
nei sensi di cui all'art. 23-bis, c. 1, del
d.l. n.112/2008, incorrendo pertanto, sotto
questo profilo, nella violazione del c. 3
dell'art. 23-bis (TAR Toscana, Sez. III,
sentenza 27.01.2011 n. 162 - link
a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
SICUREZZA LAVORO:
Il capo cantiere è sempre
responsabile della sicurezza del lavoro.
Il “capo cantiere”, anche in assenza
di una formale delega in materia di
sicurezza sul lavoro, è destinatario diretto
dell’obbligo di verificare che le concrete
modalità di esecuzione delle prestazioni
lavorative all’interno del cantiere
rispettino le norme antinfortunistiche.
Questo consolidato principio di diritto è
stato confermato dalla Quarta Sezione penale
della cassazione nella sentenza in rassegna.
La Cassazione ha anche precisato che, in via
di principio generale, il capo cantiere è
certamente persona adatta ad individuare la
corretta applicazione delle norme
antinfortunistiche, o quanto meno di quelle
di comune prudenza, per la prevenzione di
incidenti in cui possono essere coinvolti i
dipendenti ovvero terze persone estranee ai
lavori.
Né ha alcun rilievo che potessero esservi
ulteriori garanti della sicurezza dei
lavoratori,in quanto se più sono i titolari
della posizione di garanzia ovvero
dell’obbligo di impedire l’evento, ciascuno
è per intero destinatario dell’obbligo di
tutela impostogli dalla legge fin quando si
esaurisce il rapporto che ha legittimato la
costituzione della suddetta posizione di
garanzia, per cui l’omessa applicazione di
una cautela antinfortunistica è addebitabile
ad ognuno dei titolari di tale posizione
(Corte di Cassazione,
sentenza 26.01.2011 n. 2578 -
link a www.litis.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Necessità del permesso di
costruire per la realizzazione di un capanno
in legno che non sia destinato ad un
utilizzo circoscritto nel tempo.
E’ necessario un permesso di costruire per
la realizzazione di un capanno in legno di
ridotte dimensioni (nella specie avente la
superficie di 9 mq. e l’altezza di 2,5 mt.),
a nulla rilevando il tipo di materiale
impiegato per la sua costruzione e la
dedotta circostanza che esso sarebbe
agevolmente amovibile, atteso che ai sensi
dell’art. 3, comma 1, lett. e.5), del d.P.R.
06.06.2001, n. 380 (T.U. edilizia), per "interventi
di nuova costruzione" si intendono "l’installazione
di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e
di strutture di qualsiasi genere, (…)
utilizzati come abitazioni, ambienti di
lavoro, oppure come depositi, magazzini e
simili"; l’unico elemento rilevante per
far venir meno detta qualificazione è il
carattere precario dell’opera, vale a dire
il fatto che esso sia diretto "a
soddisfare esigenze meramente temporanee",
il che si rinviene soltanto quando
l’utilizzo sia circoscritto nel tempo;
circostanza questa che non ricorreva nella
specie (alla stregua del principio nella
specie è stata ritenuta legittima
l’ordinanza di demolizione per il predetto
capanno in legno, trattandosi appunto di
opera che doveva essere assistita da
permesso di costruire) (massima tratta da
www.regione.piemonte.it - TAR Lazio-Roma,
Sez. I-quater,
sentenza 21.01.2011 n. 613 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
La tollerabilità delle immissioni
va sempre valutata in relazione al caso
concreto.
In materia di immissioni, mentre è
senz’altro illecito il superamento dei
limiti di accettabilità stabiliti dalla
leggi e dai regolamenti che, disciplinando
le attività produttive, fissano
nell’interesse della collettività le
modalità di rilevamento dei rumori e i
limiti massimi di tollerabilità, l’eventuale
rispetto degli stessi non può far
considerare senz’altro lecite le immissioni,
dovendo il giudizio sulla loro tollerabilità
formularsi a stregua dei principi di cui
all’art. 844 c.c.
Tale principio, nella sua prima parte, si
basa sull’evidente considerazione che, se le
emissioni acustiche superano, per la loro
particolare intensità e capacità diffusiva,
la soglia di accettabilità prevista dalla
normativa speciale a tutela di interessi
della collettività, così pregiudicando la
quiete pubblica, a maggior ragione le
stesse, ove si risolvano in immissioni
nell’ambito della proprietà del vicino,
ancor più esposto degli altri, in ragione
della vicinanza, ai loro effetti dannosi,
devono per ciò solo considerarsi
intollerabili ai sensi dell’art. 844 c.c. e
pertanto illecite anche sotto il profilo
civilistico.
Nel conflitto tra le esigenze della
produzione, pur contemplate dall’art. 844
c.c., ed il diritto alla salute,
un’interpretazione costituzionalmente
orientata della norma civilistica deve
attribuire necessaria prevalenza al secondo,
dovendo il limite della relativa tutela
ritenersi intrinseco all’attività
produttiva.
Per quanto attiene poi alla tollerabilità
delle immissioni va evidenziato il carattere
non assoluto del limite civilistico di
tollerabilità delle immissioni al fine di
stabilire se, in concreto, avuto riguardo
alla particolare situazione dei luoghi
{nella specie caratterizzata dalla
destinazione a studio ed abitazione dei
piani superiori dell’immobile dell’attore)
le stesse siano compatibili con lo
svolgimento delle ordinarie e quotidiane
attività di vita professionale e domestica
dell’attore e della sua famiglia (Corte di
Cassazione, Sez. II civile,
sentenza 17.01.2011 n. 993 - link
a www.litis.it). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Non è peculato, se la telefonata
privata del dipendente è di breve durata.
Non integra il reato di
peculato ex art. 314 c.p., la condotta del
dipendente che utilizza la linea telefonica
per fini privati, qualora il danno economico
arrecato alla pubblica amministrazione sia
di modesta entità.
E’ quanto stabilito nella
sentenza 10.01.2011 n. 256 dalla
VI Sezione Penale della Corte di Cassazione,
chiamata a pronunciarsi sull’argomento.
In particolare, i Giudici di Piazza Cavour
hanno ribaltato la pronuncia della Corte
d’Appello di Catania, che in precedenza,
aveva riconosciuto l’imputato colpevole del
reato di peculato continuato. Il caso
riguardava un sottoufficiale dell’Arma dei
Carabinieri a cui era stato contestato
l’utilizzo delle utenze telefoniche
intestate all’Amministrazione per telefonate
d’interesse personale.
Non ha condiviso tale decisione la Suprema
Corte, che nella sentenza oggetto del
presente esame, ha enunciato letteralmente:
“il fatto lesivo si sostanzia
propriamente nella "appropriazione", che
attraverso tale uso si consegue, delle
energie, formate da impulsi elettronici,
entrate a far parte della sfera di
disponibilità della pubblica
amministrazione, occorrenti per le
conversazioni telefoniche (Cass, Sez. VI, n.
26595 del 06.02.2009).
Occorre sottolineare che il delitto di
peculato ha carattere plurioffensivo, ovvero
è volto alla tutela dell'interesse e del
patrimonio della pubblica amministrazione, e
si può estrinsecare mediante
l’appropriazione o mediante la distrazione
di un bene economico rientrane nella sfera
pubblica.
Tuttavia, affinché sussista l’elemento
materiale di tale delitto, è necessario che
i beni sottratti all’amministrazione
posseggano un significativo rilievo
economico. Altrimenti, qualora tali cose
oggetto di appropriazione da parte del
dipendente, siano di scarso valore, non
saranno idonee a costituire elemento
materiale del peculato".
In effetti, nella fattispecie esaminata, i
Giudici di Legittimità hanno osservato che i
beni costituenti l’elemento oggettivo del
peculato sono di entità così modesta da non
provocare un vero e proprio danno al
patrimonio della pubblica amministrazione,
per cui il reato suddetto non sussiste.
La conclusione a cui perviene la Suprema
Corte è che “l'elemento materiale è
integrato allorché la condotta di abusiva
appropriazione abbia avuto a oggetto cose di
valore economico intrinseco apprezzabile e
tali da arrecare un reale e altrettanto
apprezzabile danno patrimoniale per la
pubblica amministrazione (Cass., Sez. VI, n.
25273 del 09.05.2006)”.
Pertanto, con la sentenza n. 256/2011 la
Suprema Corte si è uniformata ai più recenti
orientamenti giurisprudenziali in tema di
peculato (Corte di Cassazione, sentenza
25.11.2010, n. 41709) escludendo il
configurasi di tale fattispecie criminosa a
causa dell’inidoneità dei beni, di cui il
dipendente si è impadronito, a rilevare come
elemento materiale dell’appropriazione
(link
a www.altalex.com). |
APPALTI:
Esclusione da una gara per aver
commesso un "errore grave" nell’esecuzione
di un precedente appalto.
E’ legittima l’esclusione da una gara per
forniture, disposta ai sensi dell’articolo
11, comma 1, lettera c) del d.lgs.
24.07.1992, n. 358, perché la ditta esclusa
avrebbe commesso un "errore grave"
nell’esecuzione di un precedente appalto,
richiamando un procedimento penale per
truffa aggravata in danno di enti pubblici,
riferibile comunque alla ditta esclusa,
trattandosi di condotte comunque
riconducibili all’ipotesi preclusiva di cui
all’art. 11, comma 1, lett. c) d.lgs. 358
del 1992.
Infatti, la circostanza che, al momento
dell’esclusione, il procedimento penale era
ancora in corso, la sua riferibilità ad
appalti in tutto simili a quello indetto
dalla stazione appaltante e l’idoneità di
tale circostanza a compromettere la
complessiva affidabilità professionale della
ditta in questione sono state
ragionevolmente valutate
dall’Amministrazione, la quale ne ha fatto
discendere con iter logico coerente e
ragionevole una causa ostativa alla
partecipazione alla gara d’appalto ai sensi
della disposizione richiamata (massima
tratta da www.regione.piemonte.it -
Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 29.12.2010 n. 9542 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
AGGIORNAMENTO AL 07.02.2011 |
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GURI - GUUE -
BURL (e anteprima) |
ENTI LOCALI: G.U.
01.02.2011 n. 25, suppl. ord. n. 26, "Competenze
della Presidenza del Consiglio dei Ministri
in materia di onorificenze pontificie e
araldica pubblica e semplificazione del
linguaggio normativo"
(D.P.C.M.
28.01.2011). |
DOTTRINA E
CONTRIBUTI |
EDILIZIA PRIVATA:
W. Fumagalli,
Il procedimento semplificato di
autorizzazione paesaggistica (seconda parte) (AL
n. 11-12/2010). |
APPALTI:
Valida l’aggiudicazione dell’appalto anche
se il DURC prodotto è incompleto
(link a
www.mediagraphic.it). |
ENTI LOCALI - VARI:
M. Villani,
La Tarsu non è applicabile per il 2010 e per
il 2011 (link a
www.altalex.com). |
DIPARTIMENTO
FUNZIONE PUBBLICA |
PUBBLICO IMPIEGO:
Oggetto: Art. 7, comma 6, del decreto
legislativo 30.03.2001, 165. Incarichi
individuali conferiti dalle pubbliche
amministrazioni (parere
UPPA 20.01.2011 n. 1). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Oggetto: esonero dal servizio previsto
dall'art. 72 del d.l. n. 112 del 2008,
convertito in l. n. 133 del 2008 (parere
UPPA 03.11.2010 n. 8). |
UTILITA' |
AMBIENTE-ECOLOGIA - VARI:
Lombardia, Indicazioni pratiche per i
controlli sui tagli dei boschi da parte
delle GEV.
Le Guardie Ecologiche Volontarie (GEV) sono
competenti, in base all’art. 61 della l.r.
31/2008, ad effettuare la vigilanza e
l’accertamento delle violazioni relative ai
danni alle superfici forestali.
Il r.r. 5/2007 “Norme Forestali Regionali”
obbliga gli enti forestali a svolgere
annualmente controlli su almeno il 2% dei
circa 23 mila permessi di taglio concessi
annualmente in Lombardia. A tal fine, la
collaborazione fra uffici boschi di parchi,
comunità montane e province e GEV è
fondamentale.
Purtroppo, spesso molte guardie ecologiche
non dispongono delle necessarie informazioni
pratiche per effettuare i controlli nel
settore forestale
La presente pubblicazione mira proprio a
fornire alcuni consigli pratici sui
controlli dei tagli colturali del bosco e a
costituire, in ogni gruppo di GEV, un nucleo
di alcune guardie preparate sul settore
forestale (Indicazioni
pratiche per i controlli sui tagli colturali
dei boschi da parte delle Guardie Ecologiche
Volontarie di Regione Lombardia - 1^
edizione - gennaio 2011 - link a
www.sistemiverdi.regione.lombardia.it). |
VARI:
Impianti alimentati da fonti rinnovabili: le
modifiche devono essere comunicate al GSE.
Tutti produttori di energia da fonti
rinnovabili hanno l’obbligo di comunicare
tempestivamente qualsiasi variazione
inerente il proprio impianto.
Lo rende noto il GSE, attraverso un
comunicato pubblicato sul proprio portale
-www.gse.it- in virtù di numerose modifiche
apportate a impianti alimentati da fonti
rinnovabili non comunicate al Gestore dei
Servizi elettrici che ne è venuto a
conoscenza solo incidentalmente e
tardivamente.
Pertanto, qualsiasi tipo di modifica
apportata ad un impianto (ad es. variazioni
della configurazione impiantistica,
eventuali atti revocatori e/o di
annullamento, che modifichino lo stato
autorizzativo dell’impianto, eventuali
aggiornamenti inerenti i profili
autorizzativi, eventuali azioni di
impugnazione del titolo autorizzativo,
nonché eventuali provvedimenti, adottati
dalle competenti autorità, che incidano
sulla disponibilità e/o sulla funzionalità
e/o sulla produttività dell’impianto) DEVE
essere comunicata TEMPESTIVAMENTE dal
produttore al GSE, come già previsto dalla
normativa in vigore e dalle procedure dello
stesso GSE.
L’obbligo ricade anche sui titolari di
impianti fotovoltaici che abbiano in corso
qualsiasi tipo di rapporto con il GSE (ad
es. certificati verdi, tariffa
omnicomprensiva, conto energia, ritiro
dedicato, scambio sul posto, CIP/6, etc). La
mancata comunicazione di qualsiasi modifica
apportata agli impianti può comportare la
sospensione o la risoluzione dei rapporti in
essere, nonché l’adozione di provvedimenti
più opportuni, anche in sede penale, fino
alla decadenza dal diritto agli incentivi.
Il GSE informa, infine, che tutte le
variazioni, fatta eccezione per quelle
gestite ordinariamente tramite le esistenti
procedure informatiche, dovranno essere
comunicate mediante LETTERA RACCOMANDATA,
allegando la documentazione a corredo e
riportando in oggetto e sul plico il
riferimento al numero di impianto (link a
www.acca.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA -
EDILIZIA PRIVATA:
Linee Guida sulla bonifica di manufatti
contenenti fibre vetrose.
Pubblicato un interessate documento redatto
dalla Regione Lombardia, ma certamente utile
a tutti gli operatori del settore,
contenente le Linee Guida finalizzate alla
riduzione del rischio da esposizione a fibre
artificiali vetrose (FAV) durante le
attività di bonifica di manufatti già in
posa (pertanto da considerarsi rifiuto).
Il documento è rivolto a tutte le imprese
che effettuano interventi di bonifica,
nonché agli organi di controllo a tutela
della salute e sicurezza dei lavoratori e
della popolazione e mira a diffondere le
conoscenze delle varie tipologie di fibre
vetrose artificiali, ad orientare gli
operatori sulle modalità operative di
bonifica e a promuovere percorsi preventivi
che coinvolgano le varie figure aziendali.
È così strutturato: ... (link a
www.acca.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Punto della situazione sul Piano Casa: leggi
in vigore e termini di scadenza per delibere
e domande.
Molte sono le modifiche che si sono
susseguite dall’adozione del Piano Casa da
parte delle diverse Regioni, con un quadro
che si è andato delineando in maniera sempre
più articolata.
Alcune Regioni, infatti, hanno già apportato
modifiche alle proprie leggi relative alla
prima stesura del Piano Casa, nel tentativo
di incentivare le richieste da parte degli
interessati (è il caso ad esempio delle
Marche, dell’Umbria, della Campania e della
Toscana), mentre altre stanno per approvare
i correttivi (come ad esempio la Liguria).
In allegato è proposto un utilissimo quadro
comparativo relativo alle diverse Regioni
d’Italia, con riferimenti alla Legge, al
termine massimo per le delibere comunali e
al termine massimo per la presentazione
delle domande da parte degli interessati
(link a www.acca.it). |
SICUREZZA LAVORO:
Guida pratica per la determinazione delle
ESPOSIZIONI SPORADICHE E DI DEBOLE INTENSITÀ
(ESEDI) all’amianto.
In attuazione alle disposizioni dell’art.
249 del D.lgs. 81/2008, la Commissione
consultiva permanente per la salute e
sicurezza sul lavoro ha pubblicato, con
Lettera Circolare del Ministero del Lavoro e
delle Politiche Sociali del 25.01.2011,
degli orientamenti pratici circa la
determinazione delle esposizioni sporadiche
e di debole intensità (ESEDI) all’amianto.
In particolare, le attività sporadiche e di
debole intensità ricadono in quelle che
prevedono:
- massimo di 60 ore di intervento all’anno;
- massimo 4 ore per singolo intervento;
- massimo di 2 interventi al mese;
- livello massimo di esposizione a fibre di
amianto pari a 10 F/L (in 8 ore);
- numero massimo di addetti operanti
contemporaneamente pari a 3 (se non
possibile occorre limitare gli addetti al
numero più basso possibile).
Inoltre, al fine di verificare se la propria
attività rientri nella categoria delle ESEDI,
è possibile consultare l’Allegato 1 delle
Lettera Circolare, in cui sono riportate,
sulla base delle attuali conoscenze, le
attività di tipo ESEDI (link a www.acca.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Dall'01.03.2011 in vigore il regolamento
sugli impianti di riscaldamento ad acqua
calda: nuova “Raccolta R”.
Dall'01.03.2011 tutte le installazioni
relative a centrali di riscaldamento ad
acqua calda dovranno rispondere ai contenuti
della NUOVA Raccolta R (edizione marzo
2009).
E’ L’INAIL a comunicarlo, attraverso la
Circolare n. 1 -IN/2010- del 14/12/10,
invitando tutti i Direttori dei Dipartimenti
Territoriali ad accettare unicamente le
denunce di installazioni conformi alla nuova
Raccolta R dall'01.03.2011.
La Raccolta-R si applica agli impianti
centrali di riscaldamento utilizzanti acqua
calda sotto pressione con temperatura non
superiore a 110°C e portata termica massima
complessiva dei focolari superiore a 35 kW e
non si applica ai generatori di calore
facenti parte di insiemi certificati CE/PED
e ai generatori di calore alimentati a gas,
qualora rientranti nella direttiva
2009/142/CE.
Essa recepisce buona parte della UNI
10412-1, norma che stabilisce condizioni e
modalità di progettazione e installazione ai
fini della sicurezza degli impianti di
riscaldamento.
Ricordiamo che L’ISPESL è stato soppresso
dalla legge 30.07.2010 - n. 122, che
attribuisce all’INAIL le funzioni già svolte
dall’ISPESL; pertanto tutti i riferimenti al
termine ISPESL della guida vanno sostituiti
con INAIL (link a www.acca.it). |
NOTE,
CIRCOLARI E COMUNICATI |
EDILIZIA PRIVATA: Oggetto:
Elaborati di cui si compone la prestazione
commessa, rilascio a richiesta del
committente di copia in formato elettronico
(Consiglio Nazionale Geometri e Geometri
Laureati,
nota 27.01.2011 n. 832 di prot.).
---------------
Professione: gli
elaborati e le richieste della committenza.
Secondo il CNG il
committente ha diritto a ricevere una sola
copia di tutti gli elaborati dell'opera, ma
i diritti di uso restano riservati sempre al
professionista
Anche se il committente ha diritto a
ricevere una copia conforme cartacea o su
supporto elettronico degli elaborati che
compongono gli atti di una prestazione
affidata a un geometra, resta inteso che con
il pagamento della parcella, il committente
acquista esclusivamente il diritto a
realizzare quella specifica opera,
avvalendosi dei progetti e dei permessi a
essi correlati.
Questa, in estrema sintesi, è la conclusione
principale cui arriva il Consiglio nazionale
dei geometri e geometri laureati con la
circolare n. 832 del 27.01.2011 relativa
agli Elaborati di cui si compone la
prestazione commessa, rilascio a richiesta
del committente di copia in formato
elettronico.
L’intervento del Cng fornisce dunque ai
geometri e ai professionisti una linea di
azione di fronte alla eventuale richiesta di
un committente di poter ricevere una copia
in formato elettronico degli elaborati di
cui si compone la prestazione commessa.
La versione elettronica può essere fornita
solo se protetta da eventuali modifiche e,
rileva il Consiglio nazionale geometri, pur
non esistendo una regola ad hoc sulla
questione, ci si può basare sulla
legislazione vigente.
Per riassumere, rimandando il lettore
all’analisi del testo integrale della
circolare, il committente ha diritto a
ricevere una sola copia di tutti gli
elaborati di cui si compone l’operazione di
commessa.
Tali materiali, rappresentando l’opera di
ingegno del geometra, non possono essere
liberamente riproposti con adattamenti in
nuovi contesti, ma i diritti di uso restano
riservati sempre allo stesso professionista
(commento tratto da
www.ediliziaurbanistica.it). |
NEWS |
CONSIGLIERI COMUNALI: OSSERVATORIO
VIMINALE/ Cumulo permessi incerto. I limiti
devono essere previsti dalla legge. Sulla
chance per chi è sindaco e presidente di
comunità montana il Tuel tace.
È possibile cumulare i
permessi retribuiti previsti per le cariche
di sindaco e di presidente di una comunità
montana?
L'art. 79, comma 4, del dlgs 267/2000,
nell'individuare gli amministratori locali,
tra cui i sindaci e i presidenti di comunità
montane, titolari dei permessi ivi previsti,
non detta alcuna disposizione in materia di
cumulo degli stessi, mentre in altra parte
del Testo unico, laddove il legislatore ha
ritenuto di porre dei limiti in merito alla
cumulabilità di determinati benefici, li ha
previsti espressamente, come nel caso delle
indennità di funzione (l'art. 82 del Tuel).
Trattandosi di norme dettate per dare
attuazione al principio costituzionale in
base al quale chi è chiamato a funzioni
pubbliche elettive ha diritto di disporre
del tempo necessario al loro adempimento
(art. 51 Cost.), eventuali limiti in merito
devono essere espressamente posti dalla
legge
(articolo ItaliaOggi
del 04.02.2011 - link a
www.ecostampa.com). |
CONSIGLIERI COMUNALI: OSSERVATORIO
VIMINALE/
Scioglimento del consiglio.
Sussistono i presupposti per l'avvio della
procedura di scioglimento del consiglio
comunale ai sensi dell'art. 141, comma 1,
lettera b), n. 3 del Tuel, nel caso in cui
un consigliere comunale non abbia presentato
personalmente al protocollo dell'ente le
proprie dimissioni, né risulta che il
relativo atto sia stato prodotto per il
tramite di persona a ciò delegata, con atto
autenticato in data non anteriore a cinque
giorni, come prescritto dall'art. 38, comma
8, del medesimo testo unico, ai fini della
validità delle dimissioni? Qualora non si
sia verificato il presupposto della
cessazione dalla carica per dimissioni della
metà più uno dei membri assegnati, richiesto
dal citato art. 141 per avviare la procedura
di scioglimento, è necessario o meno
procedere alla surroga dei consiglieri che
hanno ritualmente presentato le proprie
dimissioni?
Secondo l'orientamento giurisprudenziale
prevalente le due norme citate individuano
fattispecie distinte quanto ai presupposti e
agli effetti delle dimissioni.
L'art. 38 disciplina la fattispecie delle
dimissioni individuali, rese allo scopo
della personale rinuncia al mandato, non
idonee di per sé sole all'effetto di
provocare la crisi dell'organo consiliare,
perché non rese contestualmente dalla
maggioranza dei suoi componenti, cui segue
perciò la surroga dei dimissionari; l'art.
141, invece, individua la fattispecie delle
dimissioni rese allo scopo di provocare la
crisi dell'organo e richiede la loro
contestualità perché espressiva della
connessione delle volontà a tal fine,
facendone coerentemente conseguire il
procedimento di scioglimento del consiglio e
non la surroga dei singoli consiglieri (cfr.
Consiglio di stato, sesta sezione,
12.08.2009, n. 4936, nonché quinta sezione,
12.11.2009, n. 7051).
Da ciò discende che «l'invalidità di
anche uno solo degli atti di dimissioni
contestuali incide sulla validità
dell'intero procedimento e, per converso,
che quando ciò avviene non si deve procedere
alla surroga dei consiglieri le cui
dimissioni siano regolari».
I principi enucleati dalla giurisprudenza si
applicano anche qualora le dimissioni non
siano contestuali ma rese con atti separati,
in quanto l'art. 141 equipara le due
ipotesi, purché le dimissioni medesime siano
contemporaneamente presentate al protocollo
dell'ente, ravvisando in entrambe lo scopo
di provocare lo scioglimento dell'organo
(articolo ItaliaOggi
del 04.02.2011 - link a
www.ecostampa.com). |
CONSIGLIERI COMUNALI: OSSERVATORIO
VIMINALE/
Incompatibilità.
Sussiste una causa di incompatibilità tra la
carica di sindaco in un comune e quella di
assessore esterno presso la regione, nel
caso in cui la norma statutaria regionale
riproduca la formulazione dell'art. 47,
comma 3, del Tuel?
L'art. 47, comma 3, del Tuel dispone che «nei
comuni con popolazione superiore a 15 mila
abitanti gli assessori sono nominati dal
sindaco, anche al di fuori dei componenti
del consiglio, fra i cittadini in possesso
dei requisiti di candidabilità, eleggibilità
e compatibilità alla carica di consigliere».
In merito il Consiglio di stato, premesso
che l'ordinamento degli enti locali non
prevede espressamente l'incompatibilità tra
consigliere comunale ed assessore esterno di
altro comune, ha espresso il parere che «le
ipotesi di incompatibilità si applicano solo
nei casi ivi testualmente menzionati, nel
T.u. ritenendo che il ricorso all'analogia
non sia consentito dal principio
interpretativo generale per cui le norme che
restringono eccezionalmente diritti di
status sono di stretta interpretazione».
(Cons. di stato parere n. 5862/2008 del
13/11/2008).
In base a tale principio interpretativo
generale, che può essere utilmente impiegato
per stabilire la portata ermeneutica della
norma regionale, è esclusa la sussistenza di
una causa di incompatibilità nell'ipotesi in
esame
(articolo ItaliaOggi
del 04.02.2011 - link a
www.ecostampa.com). |
APPALTI SERVIZI: SERVIZI
PUBBLICI LOCALI/ Servizi locali, il comune
fa da sé. Sì alla gestione diretta per
attività di poco impegno economico. Il
Consiglio di stato riapre la partita che
sembrava chiusa dopo la sentenza n. 325
della Consulta.
La recente sentenza del Consiglio di stato,
n. 552 del 26/01/2011 riapre la discussione
sulla possibilità per gli enti locali di
gestire direttamente i servizi pubblici
locali a rilevanza economica. La sentenza
giunge all'indomani della pronuncia della
Corte costituzionale n. 325 del 03/11/2010
che, seppur in via incidentale, aveva
affermato il contrario.
La pronuncia del Consiglio di stato prende
le mosse dal ricorso in appello presentato
dal comune di San Clemente (Rn) per la
riforma della sentenza del Tar dell'Emilia
Romagna n. 460/2010. Ma che cosa era
accaduto?
In pratica, nel settembre 2009 la giunta
comunale di San Clemente decise di
esercitare nella forma dell'amministrazione
diretta la gestione e la manutenzione delle
lampade votive all'interno dei cimiteri
comunali e una società privata, interessata
a svolgere tale attività, presentò ricorso
al Tar contro la decisione del comune per
violazione dei principi sanciti dall'art.
113 del Tuel e dall'art. 23-bis del dl
112/2008, nonché per difetto di motivazione
e per violazione dei principi del giusto
procedimento e del buon andamento della
pubblica amministrazione.
In pratica, la società ricorrente sostenne
che, essendo la gestione delle lampade
votive dei cimiteri comunali un servizio
pubblico locale a rilevanza economica, la
modalità ordinaria di gestione doveva essere
quella prevista dall'art. 23-bis
sopraccitato, cioè quella dell'affidamento
mediante procedura competitiva a evidenza
pubblica o, in via eccezionale, quella
dell'affidamento a società in house,
ma in nessun caso il comune avrebbe potuto
gestire direttamente il servizio.
A gennaio del 2010 il Tar dell'Emilia
Romagna accolse il ricorso e annullò la
deliberazione del comune di San Clemente
sostenendo, di fatto, che alla luce delle
modalità di affidamento previste dall'art.
23-bis, il comune non può più gestire
direttamente i servizi pubblici locali a
rilevanza economica.
La posizione assunta dal Tar lasciò
perplessi molti addetti ai lavori, che
considerarono la sentenza come non
annoverabile fra quella che viene
comunemente considerata la giurisprudenza
prevalente. La questione però ha ripreso
vigore all'indomani della sentenza della
Corte costituzionale n. 325/2010, in quanto
la Corte, pur in via incidentale, al punto
6.1 di tale sentenza sostiene che ... (articolo ItaliaOggi
del 04.02.2011 - tratto da
www.corteconti.it). |
PUBBLICO IMPIEGO: L'adeguamento
alla legge Brunetta non è obbligatorio per
gli enti. Ma conviene attivarsi.
Niente premi senza la valutazione. A rischio
le indennità per segretari, direttori
generali e dirigenti.
Se gli enti locali non
adeguano rapidamente il proprio sistema di
valutazione ai principi dettati dal dlgs n.
150/2009 non possono erogare i compensi
legati alle performance individuali, cioè la
indennità di risultato per segretari,
direttori generali, dirigenti e titolari di
posizione organizzativa e la produttività
per il personale.
Tale sanzione si applica a partire dalle
attività che sono svolte dall'01/01/2011: la
valutazione delle attività svolte nel 2010 e
la erogazione dei relativi compensi, anche
se effettuata nel 2011, si effettua sulla
base delle regole in vigore nello scorso
anno.
Se gli enti locali non regolamentano la
suddivisione dei propri dirigenti e dei
propri dipendenti in fasce di merito, si
applicano quelle previste per le
amministrazioni dello stato.
Se è vero che il termine del 31/12/2010 per
l'adeguamento dei singoli enti locali ai
nuovi principi introdotti dal dlgs n.
150/2009 in materia di misurazione,
valutazione e trasparenza della performance
e di valorizzazione del merito è ordinatorio
e non perentorio; è anche vero che se i
comuni e le province non adottano subito il
nuovo sistema di valutazione non potranno
erogare indennità di risultato e
produttività nel 2011.
La necessità di una adeguamento in tempi
rapidi è dato dal combinarsi del divieto di
erogare questi compensi in assenza del
recepimento delle scelte di fondo dettate
dalla legge cd Brunetta nei sistemi di
valutazione dei singoli enti e dal principio
di carattere generale per cui i criteri di
valutazione devono essere conosciuti da
parte dei valutati prima del periodo a cui
si riferiscono.
Il soggetto competente alla approvazione
della metodologia di valutazione è la
giunta. Nella adozione di questo sistema
occorre ricordare il vincolo legislativo a
che l'Organismo di valutazione elabori la
proposta iniziale.
Quanto alle relazioni sindacali, esse
possono essere così riassunte: obbligo di
contrattazione per i principi generali di
valutazione del personale e per la
definizione delle risorse da destinare alle
singole fasce di merito; informazione
preventiva e a richiesta concertazione per
la metodologia di valutazione dei dirigenti
e del personale; informazione su tutte le
altre scelte.
Il sistema adottato dalle singole
amministrazioni deve definire esattamente il
contenuto e le metodologie di valutazione
della performance organizzativa: con la
introduzione di questo fattore il
legislatore ha voluto, come nelle aziende
private, legare la valutazione e la
erogazione delle forme di incentivazione
delle prestazioni al positivo andamento
complessivo dell'ente.
Ricordiamo che, quando saranno sbloccati i
rinnovi contrattuali, una parte
significativa delle risorse aggiuntive dovrà
essere assegnata in modo differenziato alle
singole amministrazioni sulla base degli
esiti della valutazione delle performance
organizzative.
Quanto al suo contenuto si può ipotizzare,
sulla scorta dei principi dettati dalla
legge cd Brunetta, una sua sostanziale
quadripartizione: il grado di realizzazione
degli obiettivi strategici, che sono quelli
politico programmatici di fondo e che sono
caratterizzati essenzialmente dai concreti
impatti che hanno determinato sugli utenti
dei servizi, sui cittadini, sui portatori di
interessi (cd outcome); i miglioramenti nei
parametri che misurano le condizioni
essenziali della gestione, sia dell'intero
ente che dei singoli settori di attività;
gli esiti della valutazione effettuata dagli
utenti rispetto alla qualità dei servizi
erogati e delle attività svolte; gli impatti
concreti delle politiche di pari
opportunità.
Tra gli strumenti di valutazione si può
suggerire, per la sua facilità di
utilizzazione e per l'assenza di oneri
aggiuntivi, il ricorso al metodo di
autovalutazione della qualità introdotto
dalla Unione europea, cioè il Common
assessment framework (Caf), un sistema
basato sulla verifica del rispetto del
metodo della programmazione preventiva,
dello svolgimento delle attività, del
controllo e della adozione delle necessarie
misure correttive.
Un ulteriore importante elemento di novità è
costituito dalla introduzione del vincolo
della misurazione delle performance. In tal
modo il legislatore vuole garantire che si
realizzi una base oggettiva per l'esercizio
della discrezionalità che è una
caratteristica connaturata strettamente alla
valutazione. Occorre individuare il soggetto
responsabile, ricordando che siamo in
presenza di un ruolo assai delicato, tanto è
vero che il legislatore impone che il suo
nome e il suo curriculum siano pubblicati
sul sito internet.
Si suggerisce di mettere in diretta
correlazione tale compito con il controllo
di gestione, anche unificando tali attività.
E ancora, di stabilire un collegamento
diretto con l'Organismo di valutazione.
Occorre disciplinare in modo minuto e
vincolante le procedure di comunicazione tra
i valutatori ed i valutati: è questa la fase
sicuramente più importante del processo di
valutazione. Esso costituisce uno strumento
di sviluppo organizzativo, cioè le sue
finalità essenziali sono quelle di
migliorare la qualità delle attività e di
fare crescere le professionalità.
Per raggiungere tali esiti è indispensabile
che, all'avvio del ciclo delle performance,
il valutato sappia bene cosa ci si attende
da lui in termini di obiettivi da
raggiungere, di competenze professionali da
utilizzare e di comportamenti da praticare.
Che nel corso dell'anno siano
tempestivamente segnalati i fattori di
criticità.
E che la valutazione finale del grado di
raggiungimento degli obiettivi, delle
competenze professionali e dei comportamenti
manageriali siano comunicati e spiegati.
Fermo restando l'obbligo del
contraddittorio: cioè prima della
formalizzazione degli esiti della
valutazione si deve tenere motivatamente
conto delle eventuali obiezioni mosse dal
valutato.
È infine assai importante che si abbia la
piena consapevolezza del fatto che,
soprattutto nei primi anni di applicazione,
è assai probabile una esplosione dei
contenziosi e delle tensioni: è questo lo
scotto per molti versi inevitabile che si
deve pagare per passare da un sistema in cui
le differenziazioni sono minime, ad uno in
cui esse diventano rilevanti, sia sul
terreno delle indennità che, non
dimentichiamolo, su quello delle
progressioni orizzontali, che dovranno nel
futuro, visto che oggi sono bloccate fino a
tutto il 2013, essere effettuate
esclusivamente in modo limitato e
utilizzando gli esiti delle valutazioni.
Per governare queste conseguenze è
sicuramente necessario che nella metodologia
il grado di arbitrarietà sia assai ridotto,
a differenza di quanto invece caratterizza
la stragrande maggioranza dei sistemi oggi
in vigore; che l'Organismo di valutazione e
i dirigenti assegnino una parte
significativa del loro tempo allo
svolgimento di queste attività e che,
infine, siano previste procedure di
conciliazione tali da ridurre in misura
assai forte il ricorso al contenzioso
(articolo ItaliaOggi
del 04.02.2011). |
CORTE DEI
CONTI |
ENTI LOCALI: Tagli
estesi ai revisori.
Il taglio del 10% che è scattato dal 1°
gennaio nei confronti dei componenti di
organi di indirizzo e controllo ovvero di
organi collegiali della p.a., previsto dalla
manovra correttiva dei conti pubblici del
2010, vale anche per i componenti dei
collegi dei revisori dei conti degli enti
locali. Questo perché la finalità perseguita
dal legislatore, che è quella di operare
delle riduzioni di spesa a carico delle
amministrazioni pubbliche, non può che
riferirsi a tutte le forme possibili di
compenso che le stesse p.a. corrispondono ai
componenti di organi collegiali o ai
titolari di incarichi, a qualsiasi titolo.
È quanto ha affermato la sezione regionale
di controllo della Corte dei conti per la
Lombardia, nel testo del recente
parere 25.01.2011 n. 13, con il
quale, in risposta a un quesito posto dal
comune di Cernusco sul Naviglio, ha
affrontato la problematica della riduzione
del 10% delle indennità e dei gettoni
corrisposti dalle p.a., come prevista
dall'articolo 6, comma 3 del dl n. 78/2010,
estendendola anche ai componenti del
collegio dei revisori dei conti.
Secondo il collegio lombardo della
magistratura contabile, la finalità
perseguita dal legislatore è quella di «operare
sensibili riduzioni di spesa a carico della
p.a.». Da qui se ne deduce che la norma
in esame «non può che riferirsi a tutte
le possibili forme di compenso corrisposte
dalle amministrazioni ai componenti di
organi collegiali e ai titolari di incarichi
di qualsiasi tipo».
Dal tenore della disposizione emerge,
altresì, chiara la volontà di introdurre un
meccanismo automatico e generalizzato di
riduzione dei compensi erogati ai componenti
di «organi collegiali comunque denominati»,
senza operare distinzioni connesse
all'ammontare percepito rispetto al limite
massimo edittale ovvero alla particolare
natura e composizione degli stessi organi
amministrativi.
Anche se si volesse eccepire una sorta di «specialità»
da riconoscere al trattamento economico dei
revisori, sulla scorta del fatto che il
compenso base è stabilito con apposito dm ex
art. 241 Tuel, ciò contrasterebbe con la
ratio e la formulazione letterale del
citato articolo 6 «nonché con lo spirito
e gli obiettivi dell'intera manovra
finanziaria varata e approvata nell'estate
del 2010, diretta a contenere e
razionalizzare ulteriormente la spesa»
(articolo ItaliaOggi
del 04.02.2011 - tratto da
www.corteconti.it). |
PUBBLICO IMPIEGO: Il
concorso vince sempre. Riserva inapplicabile
al totale dei posti vacanti. Corte conti
Calabria interviene sulla eliminazione delle
progressioni verticali.
Il concorso pubblico
prevale sempre, anche nei riguardi dei
concorsi con riserva dei posti agli interni
non superiore al 50% che hanno sostituito le
ormai soppresse progressioni verticali. Le
amministrazioni, dunque, non possono
applicare la riserva del 50% all'insieme dei
posti vacanti da coprire per concorso, ma
solo a ciascun singolo bando, se i profili
professionali sono diversi.
E questo, nonostante la
riserva ad interni comporti potenzialmente
costi inferiori.
Il
parere 15.09.2010 n. 444 della
Corte dei conti, sezione regionale di
controllo per la Calabria, è molto drastico
nell'escludere la possibilità di applicare
la riserva di posti del 50% al totale dei
posti di una stessa categoria da mettere a
concorso, come richiedeva il comune al
quesito del quale è stata fornita risposta.
Nel caso di specie, il comune segnalava di
avere vacanti quattro posti di categoria C,
ma riferiti a profili del tutto diversi:
contabile del servizio ragioneria, tecnico
nell'ufficio tecnico, amministrativo nel
servizio anagrafe e agente di polizia
municipale nel relativo corpo. Il comune
aveva chiesto di poter estendere la riserva
del 50% ai quattro posti da coprire, così da
assicurare, almeno potenzialmente, a due
dipendenti interni la possibilità di
accedere al nuovo inquadramento.
La Corte dei conti calabrese ha tuttavia
osservato che in questo modo si
determinerebbe una deroga al principio del
concorso pubblico, in quanto tale senza
riserva, non prevista dalla legge. La quale,
infatti, all'articolo 52, comma 1-bis, del
dlgs 165/2001, consente di operare la
riserva ai dipendenti interni solo
nell'ambito del singolo bando di concorso, e
non all'insieme delle assunzioni da
effettuare.
Nel caso prospettato dal comune cui la Corte
dei conti della Calabria ha fornito la
risposta, dunque, non sarebbe stato
possibile applicare la riserva a nessuno dei
posti da ricoprire. E tale necessaria
conclusione non è contraddetta dalle norme
che impongono tagli e tetti alla spesa di
personale.
Su questo tema, ancora più chiaramente si
era espressa la Corte dei conti, sezione
regionale di controllo per il Friuli-Venezia
Giulia, secondo cui la possibile riserva dei
posti messi a concorso risulta ammissibile
per ogni singola procedura selettiva, sicché
«nelle ipotesi di procedure concorsuali
con un unico posto disponibile, l'ente sarà
obbligato a svolgere una procedura
concorsuale interamente rivolta a soggetti
esterni, non essendo possibile in tale
ipotesi applicare il meccanismo della
riserva a favore del personale già
dipendente dall'ente».
C'è, per altro, da ricordare che in
conseguenza dell'articolo 9, comma 21, della
legge 122/2010 «le progressioni di
carriera comunque denominate eventualmente
disposte negli anni 2011, 2012 e 2013 hanno
effetto, per i predetti anni, ai fini
esclusivamente giuridici»: dunque, i
dipendenti interni che partecipino a
concorsi pubblici con riserva di posti
acquisirebbero, se li superassero, solo
l'inquadramento giuridico, ma non quello
economico. La norma è molto probabilmente
incostituzionale, per aperto contrasto con
l'articolo 36 della Costituzione.
Tuttavia, finché vigente, non risulta
conveniente per l'ente indire concorsi con
riserva, dal momento che il dipendente
interno si ritroverebbe nelle condizioni si
coprire categoria, profilo e mansioni
superiori, con lo stipendio precedente:
l'esatto opposto degli effetti di
valorizzazione del merito predicati dalla
riforma Brunetta
(articolo ItaliaOggi
del 04.02.2011 - tratto da
www.corteconti.it). |
GIURISPRUDENZA |
APPALTI:
Condanne riportate dai
concorrenti - Valutazione - Non compete al
soggetto partecipante ma alla stazione
appaltante - Obbligo di indicare tutte le
condanne riportate.
Le valutazioni in ordine alla gravità delle
condanne riportate dai concorrenti ed alla
loro incidenza sulla moralità professionale
spettano alla stazione appaltante e non al
concorrente medesimo, il quale è pertanto
tenuto a indicare tutte le condanne
riportate, non potendo operare a monte alcun
"filtro" e omettendo la dichiarazione
di alcune di esse sulla base di una
selezione compiuta secondo criteri personali
(Consiglio di Stato, sez. IV, 10.02.2009, n.
740), e ciò indipendentemente
dall’inserimento dell’obbligo in una
specifica clausola del bando e/o del
disciplinare di gara (Consiglio di Stato,
Sez. VI,
sentenza 03.02.2011 n. 782 - link
a www.ambientediritto.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
CAVE E MINIERE - Regione
Lombardia - Piano cave - Consiglio regionale
- Adozione di soluzioni difformi dalla
proposta provinciale - Restituzione degli
atti alla Provincia - Apporto partecipativi
dei soggetti interessati - L.r. Lombardia n.
14/1998.
Qualora il Consiglio regionale, anziché
apportare modifiche di dettaglio al Piano
cave, adotti (allargando le maglie della
previsione di cui all’art. 8 L.R. 14/1998)
soluzioni sostanzialmente difformi rispetto
a quelle della proposta provinciale, il
Piano medesimo dovrà essere restituito alla
Provincia, affinché questa recuperi
l’apporto, in termini di osservazioni, da
parte dei soggetti interessati, che in
precedenza si erano espressi su una proposta
sostanzialmente diversa da quella fatta
propria dal Consiglio regionale,
ripristinando, così, il rispetto del
principio della partecipazione e del
contraddittorio sostanziale fra le parti
(TAR Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza 03.02.2011 n. 344 - link
a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Abusi edilizi - Poteri
ripristinatori e repressivi - Mancato
esercizio - Titolare dell’interesse
legittimo all’esercizio di detti poteri -
Silenzio rifiuto - Obbligo di provvedere
espressamente.
Il proprietario di un’area o di un
fabbricato nella cui sfera giuridica incide
dannosamente il mancato esercizio dei poteri
ripristinatori e repressivi relativi ad
abusi edilizi da parte dell’Organo preposto
è titolare di un interesse legittimo
all’esercizio di detti poteri e può
pretendere, se non vengono adottate le
misure richieste, un provvedimento che ne
spieghi le ragioni, con la conseguenza che
il silenzio serbato sulla istanza -diffida
integra gli estremi del silenzio -rifiuto
sindacabile in sede giurisdizionale quanto
al mancato adempimento dell’obbligo di
provvedere espressamente (cfr. Cons Stato
Sez. V n. 7132 del 07/11/2003 Sez. IV
04/06/2004 già citata; idem 31/05/2007 n.
2857; 07/07/2008 n. 3384) (Consiglio
di Stato, Sez. IV,
sentenza 02.02.2011 n. 744 - link
a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Abusi edilizi - Responsabilità ex
art. 29 D.p.r. N. 380/2001 - Rapporti di
parentela o affinità tra esecutore e
proprietario dell’opera - Prove di
compartecipazione.
Ai fini della configurabilità della
responsabilità ai sensi dell’art. 29 DPR n.
380/2001, può tenersi conto non soltanto
della piena disponibilità, giuridica e di
fatto, del suolo e dell'interesse specifico
ad effettuare la nuova costruzione (in
applicazione del principio del “cui
prodest”), ma altresì dei rapporti di
parentela o di affinità tra esecutore
dell'opera abusiva e proprietario,
dell'eventuale presenza in loco di
quest'ultimo, dello svolgimento di attività
di materiale vigilanza dell'esecuzione dei
lavori, della richiesta di provvedimenti
abilitativi successivi, del regime
patrimoniale dei coniugi, e complessivamente
di tutte quelle situazioni e comportamenti,
sia positivi che negativi, da cui possano
trarsi elementi integrativi della colpa e
prove di una compartecipazione, anche solo
morale, all'esecuzione delle opere da parte
del proprietario (Cassazione penale, sez.
III, 08.10.2004, n. 216) (TAR
Campania-Napoli, Sez. III,
sentenza 02.02.2011 n. 641 - link
a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Aziende agrituristiche -
Esercizio di attività commerciale -
Regolarità urbanistico-edilizia -
Presupposto imprescindibile - Disciplina
normativa del settore agrituristico -
Conservazione e recupero del patrimonio
edilizio rurale esistente - Sanabilità di
nuovi manufatti - Limiti.
Il legittimo esercizio di un'attività
commerciale, precipuamente quando essa
comporti la somministrazione di alimenti e
bevande, deve essere ancorato, sia in sede
di rilascio del relativo titolo
autorizzatorio, sia per l'intera durata del
suo svolgimento, alla disponibilità
giuridica e alla regolarità
urbanistico-edilizia dei locali in cui essa
viene posta in essere (cfr. TAR Campania
Napoli, sez. III, 09.09.2008, n. 10058; Id.,
09.08.2007, n. 7435; Id., 27.01.2003, n.
423; Id., 22.11.2001, n. 5007); tale
principio acquista maggiore rigore in
materia di aziende agrituristiche, perché la
relativa disciplina è finalizzata a
preservare la specificità del settore
agrituristico e la genuinità dei prodotti
fruibili all’interno dell’azienda
agrituristica.
Dal quadro normativo vigente, emerge infatti
che l’azienda agrituristica viene concepita
dal legislatore, quanto al profilo dei
cespiti edilizi in cui essa si svolge, come
finalizzata alla conservazione ed
eventualmente al recupero patrimonio
edilizio rurale esistente, il che
costituisce un elemento di valutazione
ineludibile e stringente per lo scrutinio
sia della assentibilità sia della sanabilità
a posteriori di nuovi manufatti realizzati
nel compendio agrituristico (TAR
Campania-Napoli, Sez. III,
sentenza 01.02.2011 n. 636 - link
a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Essendo
la concessione edilizia un provvedimento
amministrativo “recettizio” che si
perfeziona con la comunicazione agli
interessati e considerato che il termine di
inizio lavori è posto anche a tutela
dell’interesse del privato per consentirgli
di predisporre i mezzi necessari
all’esecuzione dei lavori, tale termine non
può che decorrere dalla data di consegna
dell’atto.
Il termine “rilascio” riferito al titolo
concessorio ai fini del computo del termine
annuale per l’inizio dei lavori, contenuto
nell’art. 15, comma 2, del D.P.R. n.
380/2001, in prima lettura, non appare,
infatti, univoco, potendo sostanzialmente
significare sia la “emanazione” che la
“consegna” dell’atto; ma è preferibile il
secondo significato che appare più
rispondente al lessico del legislatore, se
si considera che, laddove quest’ultimo
avesse voluto fare riferimento alla data
della “emanazione” dell’atto, avrebbe usato
sinonimi dal più corretto significato
tecnico, come “data dell’atto” oppure, “data
di adozione” o, più semplicemente
“adozione”.
Ritiene il Collegio di aderire
all’orientamento recentemente espresso in
fattispecie analoga alla presente, con
dovizia di argomentazioni, da questo
Tribunale (Sezione staccata di Catania, sez.
I, 07.04.2009, n. 678), secondo il quale:
- essendo la concessione edilizia un
provvedimento amministrativo “recettizio”
che si perfeziona con la comunicazione agli
interessati (Consiglio di Stato, V,
27.09.1996, nr. 1152; cfr. anche TAR
Piemonte, Torino, II, 04.11.2008, nr. 2749;
TAR Piemonte, Torino, I, 01.09.2006, nr.
3166), e considerato che il termine di
inizio lavori è posto anche a tutela
dell’interesse del privato per consentirgli
di predisporre i mezzi necessari
all’esecuzione dei lavori, tale termine non
può che decorrere dalla data di consegna
dell’atto;
- il termine “rilascio” riferito al
titolo concessorio ai fini del computo del
termine annuale per l’inizio dei lavori,
contenuto nell’art. 15, comma 2, del D.P.R.
n. 380/2001, in prima lettura, non appare,
infatti, univoco, potendo sostanzialmente
significare sia la “emanazione” che
la “consegna” dell’atto; ma è
preferibile il secondo significato che
appare più rispondente al lessico del
legislatore, se si considera che, laddove
quest’ultimo avesse voluto fare riferimento
alla data della “emanazione”
dell’atto, avrebbe usato sinonimi dal più
corretto significato tecnico, come “data
dell’atto” oppure, “data di adozione”
o, più semplicemente “adozione”;
- in un contesto procedimentale doveroso che
trae origine dalla istanza di parte, il
termine “rilascio” non può non
equivalere a “consegna” del documento
perché l’interesse della parte è di natura
pretensiva, ossia attiene alla acquisizione
di una specifica utilità, che può derivargli
solo da un provvedimento espresso
debitamente portato a conoscenza
dell’interessato nella sua interezza e
quindi anche per ciò che riguarda
l’espletamento di determinate attività entro
specifici termini posti a pena di decadenza.
Nel caso di specie, la consegna della
concessione edilizia emanata il 26.06.2009 è
avvenuta il 23.04.2010, con la
sottoscrizione dell’atto da parte della
ricorrente: deve ritenersi che il Comune di
Racalmuto non ne potesse pronunziare la
decadenza, stante che l’inizio dei lavori è
stato comunicato in data 27.09.2010, e cioè
entro il termine annuale dal materiale
rilascio del titolo, per cui, assorbito
quant’altro, il ricorso va accolto, con
compensazione delle spese di giudizio,
ricorrendo giusti motivi correlati alla
particolare natura della controversia
(TAR Sicilia-Palermo, Sez. II,
sentenza 01.02.2011 n. 181 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Sulla legittimità della revoca
dell'aggiudicazione provvisoria per mancanza
del requisito di regolarità fiscale, sanato
dalla concorrente soltanto successivamente
all'adozione del provvedimento.
E' legittima la revoca di aggiudicazione di
una gara nei confronti di un concorrente, in
relazione al quale sia stata accertata la
mancanza del requisito di regolarità
fiscale, ai sensi dell'art. 38, c. 1,
lett. g), del d.lgs. n. 163/2006, in quanto
la regolarizzazione è avvenuta solo
all'indomani del provvedimento di
aggiudicazione provvisoria, e non poteva
legittimamente integrare, in capo
all'impresa, il requisito di partecipazione
richiesto dalla legge.
Il requisito di regolarità contributiva e
fiscale prescritto è indispensabile non solo
per la stipulazione del contratto, bensì ai
fini dell'ammissione alla gara; ne consegue
l'obbligo, in capo all'impresa concorrente,
di regolarizzare la propria posizione fin
dalla presentazione della domanda, e
mantenerla tale per tutto lo svolgimento
della gara, restando irrilevante un
eventuale adempimento tardivo delle
obbligazioni previdenziali e tributarie.
Nel caso di specie, non ha rilievo che la
cartella esattoriale sia divenuta definitiva
alla scadenza del termine utile per proporre
ricorso, dopo la presentazione dell'offerta
ma prima dell'adozione del provvedimento di
esclusione, giacché la ratio della
norma, che impone l'esclusione nelle sole
situazioni di irregolarità fiscale "definitivamente
accertate", è volta a garantire che
l'impresa non subisca le conseguenze di
procedure di accertamento tributario o di
riscossione erroneamente intraprese nei suoi
confronti (TAR Puglia-Bari, Sez. I,
sentenza 01.02.2011 n. 213 - link
a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
LAVORI PUBBLICI:
SOA - Attività di attestazione
nei confronti di imprese certificate dalle
stesse SOA - Divieto - Art. 8, c. 4, L. n.
109/1994 - Modifiche ex art. 7 L. n.
166/2002 - Caducazione del divieto -
Esclusione.
Anche a seguito delle modifiche apportate
all’art. 8, comma 4, della legge n. 109 del
1994 dall’art. 7 della legge n. 166 del
2002, non è venuto meno il divieto per le
SOA di svolgere attività di attestazione nei
confronti di imprese certificate dalle
stesse SOA o da società da queste
controllate.
La circostanza che la legge non preveda più
il divieto per le società di certificazione
della qualità di svolgere anche attività di
qualificazione con riferimento alla stessa
impresa non significa affatto che le società
di certificazione possano ora
incondizionatamente anche attestare
nell’ambito dei lavori pubblici senza alcun
limite soggettivo.
La riforma disposta nel 2002 ha invece
comportato soltanto che le società di
certificazione non possono più essere
autorizzate a qualificare soggetti esecutori
di lavori pubblici, neppure con il limite
soggettivo prima esistente (Consiglio di
Stato, Sez. VI,
sentenza 31.01.2011 n. 696 - link
a www.ambientediritto.it). |
APPALTI:
Non è necessario rendere la
dichiarazione relativa ai requisiti di cui
all'art. 38, lett. b) e c), del d.lgs. n.
163/2006, anche con riferimento ai
procuratori, nell'ipotesi di società di
capitali.
Ai sensi dell'art. 38, lett. b) e c), del
d.lgs. n. 163/2006, rientrano nel novero dei
requisiti per la partecipazione a gare
d'appalto, da un lato, l'assenza di
procedimenti di prevenzione pendenti o di
cause ostative di cui all'art. 10 della
legge n. 575/1965; dall'altro, la mancanza
di condanne definitive per reati incidenti
sull'affidabilità morale dell'impresa; per
le società di capitali, la norma si
riferisce ai soli amministratori muniti di
poteri di rappresentanza o al direttore
tecnico, mentre nulla viene stabilito a
proposito dei procuratori che, in quanto
tali, non possono ritenersi titolari della
legale rappresentanza dell'impresa, ferma
restando la rilevante differenza tra poteri
di gestione e funzione rappresentativa, per
cui gli stessi non possono ritenersi
destinatari della richiamata disposizione
dell'art. 38.
Secondo un recente orientamento
giurisprudenziale, l'estensione ai
procuratori dell'obbligo di dichiarazione in
merito ai requisiti di cui alla citata
disposizione normativa, sussiste in virtù
della verifica sostanziale dell'entità dei
poteri a questi conferiti, tali da imporne
la qualifica di amministratori di fatto.
Tuttavia, l'esistenza di tale ulteriore
condizione in capo al procuratore è una
circostanza di fatto che deve costituire
oggetto di prova, nonché di specifica
allegazione da parte di chi invochi, come
nel caso di specie, la carenza della
dichiarazione di cui all'art. 38 (TAR
Campania-Napoli, Sez. I,
sentenza 31.01.2011 n. 597 - link
a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Partecipazione alle procedure di
affidamento - Requisiti di ordine generale -
Art. 38 d.lgs. n. 163/2006 - Destinatari
della prescrizione - Società di capitali -
Amministratori muniti di poteri di
rappresentanza - Fondamento - Procuratori -
Esclusione.
L’art. 38 del d.lgs. 12.04.2006 n. 163 tra i
requisiti di ordine generale per la
partecipazione a procedure di affidamento di
appalti e concessioni di lavori, servizi e
forniture, alle lettere b) e c) stabilisce,
da un lato l’assenza di procedimenti di
prevenzione pendenti o di cause ostative ai
sensi dell’art. 10 della legge 31.05.1965 n.
575, dall’altro la mancanza di condanne
definitive per categorie di reati ritenuti
fortemente incidenti in senso negativo
sull’affidabilità morale dell’impresa; in
ordine alle persone fisiche cui riferire
tali requisiti, per le società di capitali
la norma si riferisce ai soli amministratori
muniti di poteri di rappresentanza o al
direttore tecnico, mentre nulla viene
stabilito a proposito dei procuratori.
Costoro, in quanto tali, non possono
ritenersi anche titolari della legale
rappresentanza dell’impresa, ferma restando
la sostanziale differenza tra poteri di
gestione e funzione rappresentativa, per cui
non possono ritenersi destinatari dalla
richiamata disposizione dell’art. 38 (TAR
Campania, I Sezione, 07.06.2010 n. 12674)
(TAR Campania-Napoli, Sez. I,
sentenza 31.01.2011 n. 597 - link
a www.ambientediritto.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
INQUINAMENTO ACUSTICO - Potere di
ordinanza ex art. 9 L. n. 447/1995 -
Maggiore ampiezza rispetto alla previsione
generale di cui all’art. 54 d.lgs. n.
267/2000 - Accertamenti tecnici effettuati
dall’ARPA - Minaccia per la salute pubblica.
L’art. 9 L. 447/1995 attribuisce al Sindaco
poteri di intervento richiesto da urgente
necessità di tutela della salute pubblica in
senso più ampio che non laddove si dovesse
ricorrere ai normali poteri di cui all’art.
54 D.lgs. 267/2000.
L’uso del potere di ordinanza contingibile
ed urgente, delineato dall’art. 9 cit., deve
pertanto ritenersi sempre ammesso laddove
gli accertamenti tecnici all’uopo effettuati
dalle competenti Agenzie Regionali di
Protezione Ambientale rivelino la presenza
di un fenomeno di inquinamento acustico,
tenuto conto sia che quest’ultimo
-ontologicamente (per esplicita previsione
dell’art. 2 della stessa Legge n. 447/1995)-
rappresenta una minaccia per la salute
pubblica, sia che la Legge quadro
sull’inquinamento acustico non configura
alcun potere di intervento amministrativo “ordinario”
che consenta di ottenere il risultato
dell’immediato abbattimento delle emissioni
sonore inquinanti (vedasi TAR Puglia Lecce
488/2006, TAR Umbria 492/2010, TAR Toscana
1930/2010).
INQUINAMENTO ACUSTICO -
Ordinanza ex art. 9 L. n. 447/1995 -
Competenza del Sindaco.
Le ordinanze ex art. 9 L. 447/1995, in
materia di inquinamento acustico, sono
attribuite alla competenza del Sindaco (TAR
Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza 31.01.2011 n. 288 - link
a www.ambientediritto.it). |
APPALTI: La
disposizione di cui all’art. 38 del D.Lgs.
163/2006 va interpretata nel senso che
l’omissione o la non corrispondenza alla
realtà sottostante di una dichiarazione resa
ai sensi della precitata disposizione non
comportino ex se l’esclusione dalla gara
dell’impresa interessata quando non
sussistano in concreto situazioni ostative
alla partecipazione, riconoscendosi la
necessità di assicurare che le ipotesi di
esclusione vengano ispirate al canone della
tassatività e che le relative previsioni
rispondano ad effettive esigenze di
interesse pubblico a fronte di inequivoche
previsioni normative.
L'art. 38 del D.Lgs. 163/2006 impone non già
la produzione di specifica documentazione
attestante la mancanza della causa di
esclusione indicata (l’aver cioè commesso
violazioni, definitivamente accertate,
rispetto agli obblighi relativi al pagamento
delle imposte e tasse secondo la
legislazione italiana), ma lo status
soggettivo del “non trovarsi” in tale
situazione; solo il positivo avveramento di
tale situazione impone, cioè, l’esclusione
dalla gara.
Alla stregua della più avveduta e recente
giurisprudenza del Supremo Consesso (cfr.
Cons. di Stato, sez.VI, 22.02.2010. n.
1017), in osservanza degli apicali principi
del favor partecipationis e di tutela
dell’affidamento, va rimarcato che la
disposizione di cui all’art. 38 del D.Lgs.
163/2006 va interpretata nel senso che
l’omissione o la non corrispondenza alla
realtà sottostante di una dichiarazione resa
ai sensi della precitata disposizione non
comportino ex se l’esclusione dalla
gara dell’impresa interessata quando non
sussistano in concreto situazioni ostative
alla partecipazione, riconoscendosi la
necessità di assicurare che le ipotesi di
esclusione vengano ispirate al canone della
tassatività e che le relative previsioni
rispondano ad effettive esigenze di
interesse pubblico a fronte di inequivoche
previsioni normative.
Tanto alla luce della considerazione che la
disposizione richiamata (art. 38 cit.)
impone non già la produzione di specifica
documentazione attestante la mancanza della
causa di esclusione indicata (l’aver cioè
commesso violazioni, definitivamente
accertate, rispetto agli obblighi relativi
al pagamento delle imposte e tasse secondo
la legislazione italiana), ma lo status
soggettivo del “non trovarsi” in tale
situazione; solo il positivo avveramento di
tale situazione impone, cioè, l’esclusione
dalla gara
(TAR Abruzzo-L'Aquila,
sentenza 31.01.2011 n. 35 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Regione Emilia Romagna - Permesso
di costruire in deroga - Limiti - Art. 15
l.r. Emilia Romagna n. 31/2002.
Il legislatore regionale, con l’art. 15
della l.r. Emilia Romagna 25.11.2002 n. 31,
ha introdotto limiti espressi alla
possibilità del rilascio di un permesso di
costruire in deroga.
Emerge in particolare come le deroghe al
piano regolatore comunale non possano essere
di tale entità da elidere le esigenze di
ordine urbanistico sottese al piano e, in
particolare, non possano legittimare
eccezioni alle destinazioni di zona, sulle
quali si fonda la struttura concettuale
stessa del piano regolatore generale nelle
scelte fondanti sull’uso del territorio.
Appare quindi corretto affermare che anche i
permessi in deroga debbano osservare tali
principi e sono quindi legittimi nella
misura in cui si allineano alle destinazioni
d’uso ammesse dal piano regolatore
all’interno delle singole zone (Consiglio di
Stato, Sez. IV,
sentenza 28.01.2011 n. 684 - link
a www.ambientediritto.it). |
APPALTI: La
valutazione (negativa) delle offerte operata
da una commissione di gara è espressione di
un’ampia discrezionalità che impinge nel
merito dell’azione amministrativa e come
tale sfugge al sindacato di legittimità del
giudice amministrativo, salve le ipotesi di
manifesta irragionevolezza, illogicità,
irrazionalità, arbitrarietà o di
travisamento dei fatti.
Il Collegio non può non richiamare il
consolidato principio per cui la valutazione
(negativa) delle offerte operata da una
commissione di gara è espressione di
un’ampia discrezionalità che impinge nel
merito dell’azione amministrativa e come
tale sfugge al sindacato di legittimità del
giudice amministrativo, salve le ipotesi di
manifesta irragionevolezza, illogicità,
irrazionalità, arbitrarietà o di
travisamento dei fatti (ex plurimis,
Consiglio Stato, sez. V, 29.10.2009, n.
6688)
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 28.01.2011 n. 687 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: In
tema di distanze fra costruzioni o di queste
con i confini vige il regime della c.d.
"doppia tutela", per cui il soggetto che
assume di essere stato danneggiato dalla
violazione delle norme in materia è
titolare, da un lato, del diritto soggettivo
al risarcimento del danno o alla riduzione
in pristino nei confronti dell'autore
dell'attività edilizia illecita (con
competenza del G.O.) e, dall'altra,
dell'interesse legittimo alla rimozione del
provvedimento invalido dell'amministrazione,
quando tale attività sia stata autorizzata,
consentita, permessa (conosciuto dal G.A.).
La controversia derivante dalla impugnazione
di un permesso di costruire da parte del
vicino che lamenti la violazione delle
distanze legali costituisce una disputa non
già tra privati ma tra privato e pubblica
amministrazione, nella quale la posizione
del primo si atteggia a interesse legittimo,
con conseguente spettanza della
giurisdizione (anche e certamente) al
giudice amministrativo.
Costituisce principio consolidato e pacifico
che in tema di distanze fra costruzioni o di
queste con i confini vige il regime della
c.d. "doppia tutela", per cui il
soggetto che assume di essere stato
danneggiato dalla violazione delle norme in
materia è titolare, da un lato, del diritto
soggettivo al risarcimento del danno o alla
riduzione in pristino nei confronti
dell'autore dell'attività edilizia illecita
(con competenza del G.O.) e, dall'altra,
dell'interesse legittimo alla rimozione del
provvedimento invalido dell'amministrazione,
quando tale attività sia stata autorizzata,
consentita, permessa (conosciuto dal G.A.).
Il privato, che si ritiene danneggiato da
un'attività edilizia autorizzata, che ha
violato le norme in tema di distanza fra
costruzioni o di queste con i confini, ha
diritto alla c.d. "doppia tutela" che
si caratterizza per essere concorrente ma
separata per le diverse posizioni giuridiche
di diritto soggettivo e interesse.
Pertanto per tali controversie la
giurisdizione spetta al giudice
amministrativo, qualora si tratti di
impugnazione del relativo provvedimento per
l'annullamento di quest'ultimo, poiché in
tal caso si fa valere una posizione di
interesse legittimo, mentre spetta al
giudice ordinario, qualora venga richiesto
il risarcimento del danno, ovvero alla
rimozione dell'opera (in tal caso infatti è
implicita una richiesta di disapplicazione
dell'atto medesimo) (in tal senso, tra
tante, si veda Consiglio Stato, sez. V,
24.10.1996 , n. 1273).
La controversia derivante dalla impugnazione
di un permesso di costruire da parte del
vicino che lamenti la violazione delle
distanze legali costituisce una disputa non
già tra privati ma tra privato e pubblica
amministrazione, nella quale la posizione
del primo si atteggia a interesse legittimo,
con conseguente spettanza della
giurisdizione (anche e certamente) al
giudice amministrativo (Consiglio di Stato,
Sez. IV,
sentenza 28.01.2011 n. 678 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
lesività della concessione o del permesso di
costruire può essere apprezzata dal vicino
che se ne dolga esclusivamente alla data di
ultimazione dei lavori, se solo in tale
momento è consentito avere piena cognizione
della esistenza e della entità delle
violazioni edilizie, per cui a tale fine è
insufficiente fare riferimento all’atto del
permesso di costruire o soltanto all’inizio
dei lavori.
La lesività
della concessione o del permesso di
costruire può essere apprezzata dal vicino
che se ne dolga esclusivamente alla data di
ultimazione dei lavori, se solo in tale
momento è consentito avere piena cognizione
della esistenza e della entità delle
violazioni edilizie, per cui a tale fine è
insufficiente fare riferimento all’atto del
permesso di costruire o soltanto all’inizio
dei lavori, incombendo, tra l’altro, la
prova della eventuale tardività alla parte
che la eccepisce (ex plurimis,
Consiglio di Stato, V, 05.02.2007, n. 452)
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 28.01.2011 n. 678 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Volumi tecnici - Nozione.
I volumi tecnici sono solo quelli destinati
esclusivamente agli impianti necessari per
l’utilizzo della abitazione e che non
possono essere ubicati al suo interno;
pertanto non sono tali -e sono computabili
quindi ai fini della volumetria consentita-
le soffitte, gli stenditoi chiusi e quelli
di sgombero; e non è volume tecnico un piano
di copertura, definito impropriamente
sottotetto, se costituente in realtà una
mansarda, come nel caso di specie, in quanto
dotato di rilevante altezza media rispetto
al piano di gronda (in tal senso, Consiglio
di Stato, V, 13.05.1997, n. 483) (Consiglio
di Stato, Sez. IV,
sentenza 28.01.2011 n. 678 - link
a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Sono
volumi tecnici soltanto quelli la cui
funzione è necessaria e strumentale per la
utilizzazione dell’immobile, mentre devono
necessariamente essere computati i volumi
utilizzabili o adattabili ad uso abitativo.
I volumi tecnici sono solo quelli destinati
esclusivamente agli impianti necessari per
l’utilizzo della abitazione e che non
possono essere ubicati al suo interno;
pertanto non sono tali –e sono computabili
quindi ai fini della volumetria consentita–
le soffitte, gli stenditoi chiusi e quelli
di sgombero; e non è volume tecnico un piano
di copertura, definito impropriamente
sottotetto, se costituente in realtà una
mansarda, come nel caso di specie, in quanto
dotato di rilevante altezza media rispetto
al piano di gronda.
Sono volumi
tecnici soltanto quelli la cui funzione è
necessaria e strumentale per la
utilizzazione dell’immobile, mentre devono
necessariamente essere computati i volumi
utilizzabili o adattabili ad uso abitativo
(in tal senso, per esempio, Consiglio di
Stato, V, 19.01.2009, n. 236).
Se pertanto la struttura costituente la
copertura di un edificio già esistente non
può ex se costituire una
sopraelevazione, poiché in tale caso
l’attività edilizia viene ad essere volta
solo ad assicurare il permanere di un
accessorio indispensabile per l’immobile,
tuttavia quando l’esecuzione dei lavori
comporti innovazioni tali da determinare la
creazione di un nuovo volume utile per il
proprietario, è evidente che l’opera non può
non qualificarsi come sopraelevazione,
trattandosi, nella specie, di nuova fabbrica
dotata di autonomia e determinante
l’innalzamento della originaria altezza
dell’edificio.
I volumi tecnici sono quindi solo quelli
destinati esclusivamente agli impianti
necessari per l’utilizzo della abitazione e
che non possono essere ubicati al suo
interno; pertanto non sono tali –e sono
computabili quindi ai fini della volumetria
consentita– le soffitte, gli stenditoi
chiusi e quelli di sgombero; e non è volume
tecnico un piano di copertura, definito
impropriamente sottotetto, se costituente in
realtà una mansarda, come nel caso di
specie, in quanto dotato di rilevante
altezza media rispetto al piano di gronda
(in tal senso, Consiglio di Stato, V,
13.05.1997, n. 483)
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 28.01.2011 n. 678 - link
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EDILIZIA PRIVATA:
Definizioni di cui all’art. 3, c.
1, d.P.R. n. 380/2001 - Prevalenza rispetto
a previsioni difformi degli strumenti
urbanistici generali.
Il secondo comma dell’art. 3 del t.u.
edilizia prevede che in ordine alle
definizioni di cui al primo comma del
medesimo articolo, esse prevalgono sulle
disposizioni degli strumenti urbanistici
generali e dei regolamenti edilizi.
La individuazione analitica delle varie
tipologie di interventi, effettuata all’art.
3 in una gerarchia ascendente, a seconda
della incidenza sull’assetto del edilizio e
territoriale, prevale quindi sulle eventuali
diverse formulazioni definitorie contenute
nei piani regolatori, nella normativa
tecnica di attuazione e nei regolamenti
edilizi: si tratta di una forma di
abrogazione implicita, di cedevolezza, di
prevalenza, di resistenza o disapplicazione
delle disposizioni degli strumenti
urbanistici locali (lo strumento o
l’istituto al quale si ricorre può essere
vario), che cedono di fronte alle
definizioni dettate dalla fonte primaria
(anche se trattasi di testo unico adottato
con la forma del D.P.R.), le quali hanno un
grado di durezza e una efficacia cogente
tali da prevalere su ogni altra contraria
definizione, acquistando anche la valenza di
un criterio ermeneutico generale per la
intera disciplina urbanistico-edilizia su
base locale (Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 28.01.2011 n. 678 - link
a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
individuazione analitica delle varie
tipologie di interventi, effettuata all’art.
3 del DPR 380/2001 in una gerarchia
ascendente, a seconda della incidenza
sull’assetto del edilizio e territoriale,
prevale sulle eventuali diverse formulazioni
definitorie contenute nei piani regolatori,
nella normativa tecnica di attuazione e nei
regolamenti edilizi: si tratta di una forma
di abrogazione implicita, di cedevolezza, di
prevalenza, di resistenza o disapplicazione
delle disposizioni degli strumenti
urbanistici locali, che cedono di fronte
alle definizioni dettate dalla fonte
primaria, le quali hanno un grado di durezza
e una efficacia cogente tali da prevalere su
ogni altra contraria definizione,
acquistando anche la valenza di un criterio
ermeneutico generale per la intera
disciplina urbanistico-edilizia su base
locale.
Il secondo
comma dell’art. 3 del t.u. edilizia prevede
che in ordine alle definizioni di cui al I
comma del medesimo articolo, esse prevalgono
sulle disposizioni degli strumenti
urbanistici generali e dei regolamenti
edilizi.
Si tratta, quindi, di una prevalenza che
vale certamente in ordine alle formule
definitorie difformi, fermo restando il
ruolo dello strumento urbanistico locale,
che rimane arbitro della situazione (per
esempio, vietando, consentendo, imponendo
limiti e così via).
La individuazione analitica delle varie
tipologie di interventi, effettuata all’art.
3 in una gerarchia ascendente, a seconda
della incidenza sull’assetto del edilizio e
territoriale, prevale quindi sulle eventuali
diverse formulazioni definitorie contenute
nei piani regolatori, nella normativa
tecnica di attuazione e nei regolamenti
edilizi: si tratta di una forma di
abrogazione implicita, di cedevolezza, di
prevalenza, di resistenza o disapplicazione
delle disposizioni degli strumenti
urbanistici locali (lo strumento o
l’istituto al quale si ricorre può essere
vario), che cedono di fronte alle
definizioni dettate dalla fonte primaria
(anche se trattasi di testo unico adottato
con la forma del D.P.R.), le quali hanno un
grado di durezza e una efficacia cogente
tali da prevalere su ogni altra contraria
definizione, acquistando anche la valenza di
un criterio ermeneutico generale per la
intera disciplina urbanistico-edilizia su
base locale
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 28.01.2011 n. 678 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Sul legame familiare tra società
concorrenti in una medesima gara d'appalto.
Ai sensi dell'art. 34, c. 2, del d.lgs. n.
163/2006, non possono partecipare alla
medesima procedura imprese che si trovino
fra di loro in una delle situazioni di
controllo di cui all'articolo 2359 c.c.,
aggiungendo a tale ipotesi quella relativa
ad offerte imputabili ad un unico centro
decisionale.
La fattispecie normativa citata ricorre
allorquando sussista una situazione di
collegamento sostanziale, desumibile da
univoci elementi individuati in concreto
dalla stazione appaltante, dai quali emerga
un rapporto tra società, tale da alterare il
libero svolgimento della gara nel rispetto
della par condicio e dei principi di
trasparenza ed efficacia delle procedure di
aggiudicazione. Il riferimento ad un unico
centro decisionale consente l'esclusione di
concorrenti che siano tra loro in un
rapporto di effettivo controllo, ancorché
realizzato attraverso ipotesi non
riconducibili allo schema civilistico.
Pertanto, è sufficiente la presenza di
significativi indici rivelatori di un
collegamento materiale, affinché sorga
l'onere, in capo alla stazione appaltante,
di verificare se esso sia stato tale da
alterare il normale meccanismo di gara. Il
principio sostanzialistico contenuto nel
citato art. 34 comporta la possibilità, per
le stazioni appaltanti, di procedere ad una
verifica più approfondita circa le relazione
di collegamento fra i partecipanti alla
gara.
In particolare, secondo un consolidato
orientamento giurisprudenziale, l'esistenza
di un legame familiare tra imprese
concorrenti, ove accompagnato da elementi di
oggettiva partecipazione societaria,
costituisce un'ipotesi di concentrazione del
potere decisionale in capo ad un unico
centro di interessi (Consiglio di Stato,
Sez. IV,
sentenza 28.01.2011 n. 673 - link
a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Provvedimenti relativi ad
interventi edilizi - Progettista -
Legittimazione ad impugnare in via
principale - Esclusione.
Va esclusa in capo al progettista la
titolarità di un interesse legittimo
differenziato che gli consenta
l’impugnazione di provvedimenti relativi ad
interventi edilizi, potendo semmai il
progettista stesso proporre intervento “ad
adiuvandum” nel giudizio promosso dal
committente proprietario (TAR Toscana, sez.
II, 05.06.2009, n. 986; TAR Liguria, sez. I,
17.03.2006, n. 251; TAR Sicilia, Catania,
sez. I, 06.03.2001, n. 523; TAR Piemonte,
sez. I, 18.06.2003, n. 924 e Consiglio di
Stato, sez. V, 05.03.2001, n. 1250) (TAR
Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 28.01.2011 n. 265 - link
a www.ambientediritto.it). |
CONSIGLIERI COMUNALI:
I consiglieri comunali possono
impugnare un atto con il quale la giunta, a
fronte del pagamento immediato di una somma
consistente a favore del Comune, si impegna
ad inserire un'area tra quelle edificabili
della variante al PGT.
Vengono, infatti, pregiudicate le
prerogative consiliari in materia di
pianificazione urbanistica, con indebita
interferenza e lesione del munus dei singoli
consiglieri.
Appare sussistente la legittimazione dei
consiglieri comunali alla impugnazione degli
atti indicati in epigrafe: i ricorrenti
paiono, difatti, far valere l’illegittimità
degli atti impugnati non tanto per tutelare
le prerogative del Consiglio Comunale, e
dunque per risolvere una controversia tra
organi di uno stesso ente, ma piuttosto per
evitare una lesione del proprio diritto
all’ufficio.
Gli atti impugnati incidono, invero, sulle
prerogative dei singoli consiglieri comunali
e sul loro interesse personale a che il
procedimento di adozione e di approvazione
della variante al p.g.t. si svolga senza
indebiti condizionamenti, a poter influire
sulle scelte che saranno assunte e dunque ad
esercitare con pienezza il proprio mandato.
Il ricorso appare fondato in quanto l’atto
impugnato –che dà atto del versamento di un
acconto pari ad euro 1.500.000, a titolo di
acconto per gli interventi da realizzarsi
sui comparti oggetto delle istanze
presentate dalla Soc. ..., a fronte del
recepimento, nel documento di piano, di tali
istanze e della previsione della possibilità
di insediare quote limitate di residenza,
con attività alberghiera e attività
produttive finalizzate alla generazione di
energie con fonti rinnovabili- viola le
prerogative del Consiglio Comunale e ne
condiziona indebitamente le scelte (TAR
Lombardia-Milano, Sez. II,
ordinanza 28.01.2011 n. 250 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
INQUINAMENTO ELETTROMAGNETICO -
Limiti di esposizione - D.P.C.M. 08/07/2003
- Enti locali - Atti di pianificazione
urbanistica - Ampliamento dei limiti
previsti dalla normativa statale -
Illegittimità.
La disciplina statale recata dal D.P.C.M.
dell’08/07/2003 prevede dei limiti di
esposizione della popolazione restrittivi e
cautelativi a tutela della salute umana,
limiti che non sono suscettibili di essere
ulteriormente ampliati da parte degli Enti
locali con atti di pianificazione
urbanistico-edilizia.
Ne consegue l’illegittimità della
pianificazione comunale che disponga un
divieto generalizzato di realizzazione di
impianti di telefonia mobile all’interno
delle aree residenziali (TAR Emilia
Romagna-Parma, Sez. I,
sentenza 27.01.2011 n. 21 - link
a www.ambientediritto.it). |
APPALTI SERVIZI:
Sulla legittimità dell'indizione
della gara per l'affidamento del servizio di
distribuzione del gas naturale con congruo
anticipo rispetto alla scadenza della
concessione.
Sulla legittimità della scelta di un comune
di accollarsi il pagamento degli oneri
spettanti al gestore uscente.
L'art. 14, c. 7, del D.Lgs. 23.5.2000 n.
164, sancisce che "gli enti locali
avviano la procedura di gara non oltre un
anno prima della scadenza dell'affidamento,
in modo da evitare soluzioni di continuità
nella gestione del servizio". La norma
pone, dunque, come principio che le gare per
l'affidamento del servizio di distribuzione
del gas siano avviate con anticipo rispetto
alla scadenza delle concessioni in essere.
Il legislatore, peraltro, si è limitato a
prevedere, a tal fine, il rispetto di un
termine minimo, "non oltre un anno prima
della scadenza dell'affidamento",
consentendo agli enti locali di attivarsi
anche prima della scadenza del termine
anzidetto. D'altra parte, tanto più la gara
è indetta con anticipo, tanto minore sarà il
rischio che il nuovo affidamento possa
slittare nel tempo.
Un congruo anticipo nell'indire la gara si
risolve in più tempo a disposizione per
gestire il procedimento e il contenzioso
derivante, quindi aumenta la possibilità che
alla scadenza in questione sia già
individuato con certezza il soggetto pronto
ad assumere la gestione e si evitino
fenomeni di prorogatio.
L'art. 14, c. 1, del D.Lgs. n. 164/2000,
sancisce che il servizio di distribuzione
del gas è affidato mediante gare per periodi
non superiori a dodici anni con l'effetto
che i partecipanti alle gare sono tenuti, in
ragione della durata dell'affidamento, a
formulare le offerte sulla base di una
valutazione di lungo periodo (tredici anni
almeno tenuto conto del termine minimo di un
anno previsto dall'art. 14, c. 7, del D.Lgs.
n. 164/2000) tenendo conto di tutti i
parametri, economici e gestionali del
servizio.
La scelta del Comune di accollarsi il
pagamento degli oneri spettanti al gestore
uscente, non ostacolata dal dato normativo,
è giustificata sia dalla ricaduta positiva
sul margine di profitto dei concorrenti che
favorisce la più ampia partecipandone, sia,
soprattutto, dalla cogente esigenza di
attivare tempestivamente le procedure ad
evidenza pubblica per l'individuazione dei
nuovi aggiudicatari, procedure altrimenti
paralizzate, con chiara violazione del
disposto normativo al riguardo, dal
contenzioso insorto con i gestori uscenti e
dalla conseguente impossibilità di accollare
ai vincitori delle gare, un onere economico
non definito (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 26.01.2011 n. 581 - link
a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
URBANISTICA:
Vincoli preordinati all’esproprio
- Decorrenza del termine quinquennale di
efficacia - Azzeramento della disciplina
urbanistica territoriale - Differenza
rispetto alla scadenza delle disposizioni
vincolistiche contenute in piani attuativi.
L’intervenuta scadenza dei vincoli
preordinati all’espropriazione, per effetto
del decorso del termine di efficacia
quinquennale, comporta che l’area rimane
priva di disciplina urbanistica ed è
soggetta alle previsioni di cui all’art. 4
ultimo comma della legge n. 10/1977 (ora
art. 9 del T.U. n. 380/2001), sino
all’adozione, da parte del Comune, di nuove,
specifiche prescrizioni (ex multis,
TAR Toscana Firenze, sez. I, 10.12.2009, n.
3267).
Tale fenomeno di azzeramento della
disciplina urbanistica territoriale non si
produce invece in caso di scadenza di
disposizioni vincolistiche contenute in
piani di rango attuativo, perché in tal caso
il decorso del termine decennale di
efficacia del piano fa venire meno solo i
vincoli finalizzati all'espropriazione e le
altre limitazioni della proprietà privata
imposti dallo strumento attuativo, ma non
anche la disciplina urbanistico- edilizia da
esso dettata, che continua a trovare
applicazione fino all'approvazione di un
nuovo piano attuativo o di un nuovo P.R.G.
(cfr. TAR Marche, sez. I, n. 457/2009) (TAR
Campania-Salerno, Sez. II,
sentenza 26.01.2011 n. 112 - link
a www.ambientediritto.it). |
LAVORI PUBBLICI: L'ente
può annullare l'accordo se l'impresa alza il
prezzo.
In un appalto, se l'impresa ha dichiarato di
avere studiato il progetto e di ritenerlo
realizzabile al prezzo offerto e, alla
consegna dei lavori, eccepisce carenze
progettuali e chiede varianti, la stazione
appaltante è legittimata a risolvere il
contratto per venire meno dell'obbligo di
lealtà contrattuale.
È quanto ha affermato il Tar Sardegna, con
la
sentenza 25.01.2011 n. 51 della
II sezione, in una vicenda in cui, a seguito
dell'aggiudicazione di un appalto di lavori,
consegnati «sotto le riserve di legge»,
l'impresa aggiudicataria aveva
immediatamente evidenziato al responsabile
del procedimento e al direttore dei lavori
varie difficoltà operative conseguenti a
quelle che erano state presentate come
carenze progettuali.
Il responsabile del procedimento provvedeva
a revocare l'aggiudicazione sul presupposto
che la ricorrente avesse violato il
principio di buona fede. L'aggiudicatario
aveva infatti sottoscritto una dichiarazione
nella quale attestava di avere effettuato
uno studio approfondito del progetto a
seguito del quale tale progetto ben poteva
essere realizzato per il prezzo
corrispondente all'offerta presentata.
I giudici dichiarano legittima la
risoluzione del rapporto, non prima di avere
peraltro sottolineato come si trattasse di
una questione relativa alla fase di
esecuzione del contratto e, quindi, di
vicenda alla quale applicare i principi
civilistici.
In particolare, dicono i giudici,
l'aggiudicatario aveva visto risolto il
contratto da parte della stazione appaltante
a seguito dell'inadempimento concretizzatosi
nel non avere iniziato prontamente i lavori
a seguito della consegna in pendenza di
stipula contrattuale e nell'aver sollevato «pretestuose
eccezioni in ordine alla realizzabilità del
progetto esecutivo posto a base di gara,
pretendendo, in sostanza, modifiche
progettuali mediante l'approvazione di una
perizia di variante».
Nel caso concreto i giudici riconoscono del
tutto sleale il comportamento
dell'aggiudicataria che ha messo in
discussione le scelte progettuali facendo
prevalere propri valutazioni rispetto a
quelle della stazione appaltante e ciò prima
ancora di iniziare i lavori.
Pertanto i giudici affermano che, se prima
ancora di iniziare i lavori, l'impresa
chiede la modifica del progetto che in sede
di gara era stato oggetto di «studio
approfondito» ed era stato ritenuto «adeguato
e realizzabile per il prezzo corrispondente
all'offerta presentata», e inoltre
chiede nuove risorse finanziarie e si
riserva di contabilizzare i «gravi e
ingiustificati oneri finanziari», essa
viola «l'obbligo di leale condotta che
deve presiedere sia all'esecuzione del
contratto che alla sua formazione e
interpretazione»
(articolo ItaliaOggi
del 04.02.2011). |
APPALTI:
Sulla legittimità dell'esclusione
di un concorrente per violazione
dell'obbligo di allegare una copia del
documento d'identità all'offerta economica.
E' legittimo il provvedimento di esclusione
adottato da una stazione appaltante nei
confronti di un concorrente che, in
violazione di una clausola contenuta nel
bando di gara, abbia omesso di allegare
copia del documento di identità all'offerta
economica presentata in sede di gara, e ciò
anche nell'ipotesi in cui, come nel caso di
specie, tale copia sia stata prodotta
all'interno della busta contenente la
documentazione amministrativa, in quanto, a
fronte del chiaro ed inequivoco disposto
letterale del disciplinare di gara,
l'Amministrazione è tenuta ad applicare in
modo rigoroso ed incondizionato le clausole
inserite nella lex specialis, senza
alcuna possibilità di valutazione
discrezionale in ordine alla rilevanza
dell'adempimento.
La richiesta di allegare il documento di
identità all'offerta economica non si
risolve in un mero formalismo, in quanto è
diretto a comprovare, oltre alle generalità
del dichiarante, il nesso di imputabilità
soggettiva della dichiarazione ad un
determinato concorrente; pertanto, tale
clausola non può dirsi illogica né
sproporzionata, in quanto trova la sua
ragion d'essere nell'esigenza di soddisfare
un interesse apprezzabile
dell'Amministrazione, dando certezza circa
la provenienza della dichiarazione; d'altro
canto, essa si limita ad imporre ai
partecipanti uno sforzo minimo, e, dunque,
proporzionato rispetto all'interesse
pubblico perseguito (Consiglio di Stato,
Sez. VI,
sentenza 24.01.2011 n. 478 - link
a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
INQUINAMENTO ACUSTICO - Potere di
ordinanza ex art. 9 L. n. 447/1995 -
Presupposti - Eccezionali e urgenti
necessità di tutela della salute pubblica o
dell’ambiente.
Il potere di ordinanza assentito dall’art. 9
della legge 26.10.1995, n. 447, integrando
particolari forme di contenimento e
riduzione delle emissioni sonore, inclusa
l’inibitoria totale o parziale delle
attività, deve essere motivato da
eccezionali ed urgenti necessità di tutela
della salute pubblica o dell’ambiente (in
termini TAR Puglia - Bari, I, 29.09.2009 n.
2142.
INQUINAMENTO ACUSTICO -
Classificazione acustica - Mancata
approvazione - Operatività dei soli limiti
assoluti.
Nelle more della classificazione del
territorio comunale ai sensi dell'art. 6,
comma 1, lett. a) della L. n. 447 del 1995,
sono da ritenersi operativi i soli limiti
c.d. "assoluti" di rumorosità, ma non
anche quelli c.d. "differenziali"
(TAR Emilia Romagna-Bologna, II, 15.11.2010
n. 8045; TAR Emilia Romagna, sez. staccata
di Parma, 18.09.2008, n. 385, 04.05.2005 n.
244 e 21.05.2008 n. 259; TAR Puglia-Lecce,
I, 13.06.2007, n. 2334; TAR Friuli Venezia
Giulia 24.04.2009, n. 275; TAR
Lombardia-Milano, I, 01.03.2004, n. 813; TAR
Veneto, III, 31.03.2004, n. 847) (TAR
Piemonte, Sez. II,
sentenza 22.01.2011 n. 58 - link
a www.ambientediritto.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
ASSOCIAZIONI E COMITATI -
Associazioni ambientaliste riconosciute ex
art. 13 L. n. 349/1986 - Legittimazione a
contestare la violazione della normativa
urbanistica - Fattispecie.
Le associazioni ambientaliste riconosciute
ex art. 13 L. n. 349/1986 sono pienamente
legittimate a contestare anche la violazione
della normativa urbanistica locale ove i
vizi dedotti siano rivolti ad evidenziare
l’illegittimità dell’autorizzazione
ambientale all’emissione in atmosfera, di
cui all’art. 269 del D.Lgs. 152/2006 (e non
i permessi edilizi), nonché ove si tratti si
tratti di normativa urbanistica che prende
in considerazione gli aspetti ambientali
anche al fine di disciplinare l’attività
produttiva da insediare, (quali, nella
specie, il ripristino a p.d.c. naturale,
l’assicurazione di “acquifero protetto” per
le falde sottostanti, la rivegetazione e le
sue modalità).
Una volta ammessa la legittimazione ad
impugnare un provvedimento, inoltre, il
ricorrente può dedurre qualunque vizio
procedimentale, sia o meno un soggetto
avente titolo a partecipare alla conferenza
di servizi che avrebbe dovuto essere indetta
ai sensi dell’art. 269 cit., in quanto il
diverso procedimento ben avrebbe potuto
portare ad una diversa decisione sostanziale
di merito (TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez.
II,
sentenza 21.01.2011 n. 49 - link
a www.ambientediritto.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
INQUINAMENTO ATMOSFERICO -
Autorizzazione alle emissioni - Modifiche -
Procedimento - Modifiche sostanziali -
Aumento o variazione quantitativa delle
emissioni - Alterazione delle condizioni di
convogliabilità - Indizione della conferenza
di servizi - Art. 269 d.lgs. n. 152/2006.
Ai sensi dell’art. 269 del D.Lgs. n.
152/2006, il procedimento di autorizzazione
è differenziato a seconda della modifica
sostanziale o non sostanziale
dell’autorizzazione già ottenuta dal
gestore. Infatti, in caso di modifiche
sostanziali va indetta, entro trenta giorni
dalla ricezione della richiesta, una
conferenza di servizi ai sensi degli
articoli 14 e seguenti della legge
07.08.1990, n. 241, nel corso della quale si
procede anche, in via istruttoria, ad un
contestuale esame degli interessi coinvolti
in altri procedimenti amministrativi.
In caso di modifiche non sostanziali,
invece, è prevista una mera comunicazione e
se l'autorità competente non si esprime
entro sessanta giorni, il gestore può
procedere all'esecuzione della modifica non
sostanziale comunicata, fatto salvo il
potere dell'autorità competente di
provvedere anche successivamente, nel
termine di sei mesi dalla ricezione della
comunicazione all’aggiornamento
dell’autorizzazione: affinché la modifica
sia sostanziale è sufficiente che vi sia un
aumento o una variazione qualitativa delle
emissioni o un’alterazione delle condizioni
di convogliabilità tecnica delle stesse.
Quindi, sono sufficienti modifiche minime
concernenti le emissioni per giustificare un
procedimento più completo con la
partecipazione di tutti gli enti coinvolti e
titolari istituzionalmente di un interesse
alla tutela dell’ambiente, senza che questo
pregiudichi, ove siano rispettate le norme
regolanti la materia, lo svolgimento
dell’attività (TAR Emilia Romagna-Bologna,
Sez. II,
sentenza 21.01.2011 n. 49 - link
a www.ambientediritto.it). |
ESPROPRIAZIONE:
Occupazione acquisitiva o
appropriativa - Caratteristiche -
Espropriazione per pubblica utilità -
Diritto all'indennità - Assenza di formale
decreto di esproprio - Risarcimento del
danno - Limite al diritto dominicale sul
bene.
Il fenomeno della cosiddetta occupazione
acquisitiva o appropriativa presenta, in
sintesi, i seguenti caratteri:
a) la trasformazione irreversibile del
fondo, con destinazione ad opera pubblica o
ad uso pubblico, determina l'acquisizione
della proprietà alla mano pubblica;
b) il fenomeno, in assenza di formale
decreto di esproprio, ha il carattere
dell'illiceità, che si consuma alla scadenza
del periodo di occupazione autorizzata (e,
quindi, legittima) se nel frattempo l'opera
pubblica è stata realizzata;
c) l'acquisto a favore della p.a. si
determina soltanto qualora l'opera sia
funzionale ad una destinazione pubblicistica
e ciò avviene solo per effetto di una
dichiarazione di pubblica utilità formale
(Cass. 2003/6853).
Ove la fattispecie estintiva - acquisitiva
della proprietà dell'area occupata si
perfezioni alla scadenza del termine di
occupazione legittima, il proprietario del
bene occupato, oltre al diritto
all'indennità per il periodo di occupazione
autorizzata, consegue il diritto al
risarcimento del danno da occupazione
appropriativa ma non anche al risarcimento
del danno da occupazione illegittima per il
periodo successivo a tale evento, in cui è
ormai venuto meno il suo diritto dominicale
sul bene.
Procedimenti
espropriativi - Occupazioni d'urgenza -
Proroga i termini - Limiti - Fatto
(illecito) acquisitivo - Indennità - L. n.
219/1981 - Art. 9 d.lgs. n. 354/1999.
In tema di attuazione dei procedimenti
espropriativi per la realizzazione degli
interventi di cui al titolo ottavo della
legge 14.05.1981, n. 219, l'art. 9 d.lgs.
20.09.1999, n. 354 che proroga i termini
relativi alle occupazioni d'urgenza, se
prescinde dalla legittimità o illegittimità
dell'occupazione al tempo della sua entrata
in vigore, riguarda comunque solo i
procedimenti espropriativi che siano in
corso alla stessa data; ne deriva che la
norma può valere a restituire legittimità ad
occupazioni divenute inefficaci o
illegittime solo se l'obiettivo di recupero
della procedura espropriativa -costituente
la "ratio" dichiarata della norma-
sia conseguibile per non essersi già
perfezionato il fatto (illecito) acquisitivo
per effetto del concorrere
dell'illegittimità dell'occupazione e
dell'irreversibile trasformazione del fondo
(Cass. Sez. Unite sentenza n. 6769 del 2009;
Cass. 2004/3966; 2005/7544; sezioni unite
2008/3358; 2009/3225; 2009/28332).
Opere pubbliche -
Concessione cd. Traslativa - Esercizio delle
funzioni oggettivamente pubbliche -
Trasferimento al concessionario.
In tema di opere pubbliche, la concessione
cd. traslativa, comporta il trasferimento al
concessionario, in tutto o in parte,
dell'esercizio delle funzioni oggettivamente
pubbliche proprie del concedente e
necessarie per la realizzazione delle opere
ed in particolare il compimento in nome
proprio di tutte le operazioni materiali,
tecniche e giuridiche occorrenti per la
realizzazione del programma edilizio,
ancorché comportanti l'esercizio di poteri
di carattere pubblicistico.
Ne consegue che il concessionario,
acquistando poteri e facoltà trasferitigli
dall'amministrazione concedente, si
sostituisce a quest'ultima nello svolgimento
dell'attività organizzativa e direttiva
necessaria per realizzare l'opera pubblica e
diviene, in veste di soggetto attivo del
rapporto attuativo della concessione,
l'unico titolare di tutte le obbligazioni
che ad esso si ricollegano.
Popolazioni colpite
dagli eventi sismici - Concessione di cui
all'art. 81 L. n. 219/1981 - Natura c.d.
traslativa.
Per gli interventi in favore delle
popolazioni colpite dagli eventi sismici del
novembre 1980 e del febbraio 1981, la
concessione di cui all'art. 81 della legge
n. 219 del 1981, stante l'ampiezza dei
poteri che la norma prevede per il
concessionario, ha natura c.d. traslativa
(Cass. 2007/26261).
Occupazione acquisitiva
- Espropriazione per pubblica utilità -
Strumento della concessione traslativa -
Disciplina speciale - Attribuzione al
concessionario affidatario dell'opera della
titolarità di poteri espropriativi - Limiti
- Principio di legalità dell'azione
amministrativa - Obblighi indennitari e
risarcitori - Legittimazione passiva e
risarcimento del danno - Artt. 80, 81 e 84,
L. n. 219/1981.
In tema di espropriazione per pubblica
utilità, il mero ricorso allo strumento
della concessione traslativa, con
l'attribuzione al concessionario affidatario
dell'opera della titolarità di poteri
espropriativi, non può comportare
indiscriminatamente l'esclusione di ogni
responsabilità al riguardo del concedente,
essendo necessario a tal fine che, in
osservanza al principio di legalità
dell'azione amministrativa, l'attribuzione
all'affidatario di detti poteri e l'accollo
da parte sua degli obblighi indennitari e
risarcitori siano previsti da una legge che
espressamente li autorizzi.
Ne consegue che -avendo gli artt. 80, 81 e
84 (e, segnatamente, l'art. 81) della legge
14.05.1981, n. 219 (relativa al programma
straordinario di urbanizzazione nell'area
metropolitana del Comune di Napoli)
autorizzato, in forza di una disciplina
speciale e in parte derogatoria rispetto a
quella sulle espropriazioni, il ricorso alla
concessione traslativa- la fonte della
responsabilità esclusiva del concessionario
e della sua legittimazione passiva, sia in
relazione al risarcimento del danno per
l'occupazione acquisitiva, che in relazione
al pagamento delle indennità dovute in
conseguenza di espropriazioni rituali, deve
essere individuata proprio nelle menzionate
norme di legge (cfr Cass. SU 2009/6769)
(Corte di Cassazione, Sez. I civile,
sentenza 20.01.2011 n. 1362 -
link a www.ambientediritto.it). |
APPALTI:
La richiesta di traduzione
giurata non costituisce onere aggiuntivo.
Con
sentenza 14.01.2011 n. 325 il TAR
Lazio-Roma, Sez. III-ter, ha riconosciuto la
legittimità del provvedimento di esclusione
adottato dalla stazione appaltante, nei
confronti di una società che aveva fornito
documentazione in lingua straniera non
corredata da apposita traduzione giurata in
lingua italiana.
In particolare la società ricorrente aveva
preso parte ad una gara relativa
all’affidamento del “Servizio di
manutenzione della segnaletica orizzontale e
verticale” presentando una
documentazione, attestante i requisiti
(capacità economica-finanziaria e tecnica)
posseduti da una sua ausiliaria, in lingua
inglese e non accompagnata da traduzione
giurata.
La ricorrente censurava il provvedimento di
esclusione sotto vari profili ritenendolo
illegittimo in quanto:
1) la mancata produzione di traduzione
giurata non era prevista dalla regole di
gara a pena di esclusione e, in ogni caso,
non configurava un vizio sostanziale
attinente la sussistenza dei requisiti di
capacità tecnica, ma mera irregolarità
formale;
2) l’obbligo di presentazione della
traduzione giurata creava per le imprese
straniere un onere aggiuntivo e una
disparità di trattamento rispetto alle
imprese italiane.
Il TAR Roma ha rigettato il ricorso
richiamando importanti principi in merito al
valore che assume la traduzione in lingua
italiana certificata, nell’ambito di una
gara d’appalto pubblico.
Ed infatti il giudice amministrativo ha
evidenziato come la presentazione di
certificazioni (concernenti i requisiti di
qualificazione di una società ex art. 42
d.lgs. 163/2006) in lingua straniera
(inglese nel caso in questione) non
accompagnate della traduzione ufficiale in
italiano equivale alla mancata produzione
degli stessi “Tuttavia è bene ricordare
che la giurisprudenza ha ritenuto che “la
produzione di atti non accompagnati dalla
traduzione ufficiale equivale alla non
produzione degli stessi, in quanto impedisce
alla stazione appaltante di avere immediata,
diretta e certa contezza delle referenze
relative alla capacità tecnico-economica dei
concorrenti” (TAR Lazio, Sez. III-ter,
25.03.2003, n. 2565). D’altro canto, anche
se la Commissione avesse avuto padronanza
della lingua straniera, solo la traduzione
giurata avrebbe potuto fornire garanzia
ufficiale di corrispondenza tra la
documentazione prodotta in lingua originale
ed il suo significato.
In proposito il Collegio ritiene,
conformemente all’orientamento del Giudice
delle Leggi, che in varie occasioni ha
statuito che la lingua italiana è la lingua
ufficiale dello Stato, da usare
obbligatoriamente, salve le espresse deroghe
disposte a tutela dei gruppi linguistici
minoritari, nell’ambito delle funzioni
esercitate dai pubblici uffici (Corte
costituzionale 11.02.1982, n. 28).”.
Secondariamente ha chiarito come il “principio
di reciprocità” debba essere inteso nel
senso di garantire all’impresa straniera il
trattamento giuridico analogo a quello di
cui si chiede di poter beneficiare in
Italia, ma non può essere in alcun modo
inteso come facoltà di fornire una
certificazione non tradotta nella lingua
dichiarata come ufficiale nel bando di gara
“Quanto, poi, al principio di
reciprocità, cui le ricorrenti fanno
ripetutamente riferimento, il Collegio
rileva che esso va inteso nel senso che
all’impresa straniera che partecipi ad una
gara va garantito il trattamento giuridico
analogo a quello di cui si chiede di poter
beneficiare in Italia (TAR Lazio, Roma
III-bis, 28.03.2007, n. 2671); in nessun
modo esso può essere inteso come facoltà di
fornire certificazione non tradotta nella
lingua dichiarata come ufficiale nel bando
di gara. Ciò, peraltro, non costituisce un
onere aggiuntivo, ma è condizione per
assicurare la libera circolazione dei
servizi in tutti i paesi europei e la
massima partecipazione degli operatori
economici. ”.
In conclusione, la sentenza in oggetto, pur
non innovando l’orientamento della
giurisprudenza amministrativa in merito al
valore della traduzione giurata, esplica in
modo chiaro e preciso le ragioni che
legittimano l’esclusione da una gara
pubblica di quelle imprese che non assolvono
a tale adempimento (commento tratto da
www.professioni-imprese24.ilsole24ore.com -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
E' illegittimo il provvedimento
di esclusione del concorrente nei confronti
del quale, accertata l'irregolarità nel
pagamento di una cartella esattoriale, la
stessa non sia stata debitamente notificata
allo stesso.
Nel caso di specie, la cartella non
risultava debitamente notificata al
destinatario-concorrente, in quanto
consegnata con la dicitura “altri
conviventi” presso la sede, sicché il
procedimento di notifica non si era
perfezionato stante la mancata prova
dell’invio della raccomandata con ricevuta
di ritorno, prescritta dall’art. 60 del DPR
n. 600/1973.
E’ da condividersi il rilievo secondo cui le
modalità di notifica della cartella
esattoriale di cui sopra non risultano
idonee e sufficienti per affermare con
certezza l'avvenuta conoscenza da parte
della ricorrente della cartella di cui è
questione alla data della notifica della
stessa a mani di persona qualificatasi, in
assenza del destinatario, persona addetta al
ritiro.
In detta evenienza, infatti, si impone che
della avvenuta consegna a persona diversa
dal destinatario, quest'ultimo sia informato
con raccomandata. Il che, nel caso di
specie, non è avvenuto, dovendosi ritenere
veritiera la dichiarazione resa in ordine al
requisito di regolarità contributiva (TAR
Campania-Napoli, Sez. VIII,
sentenza 14.01.2011 n. 201 - link
a
www.mediagraphic.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Nell’ambito
del procedimento di accertamento della
compatibilità paesaggistica (ex art. 167
D.Lgs. 42/2004) la Soprintendenza è chiamata
ad esprimere soltanto un parere, fermo
restando che, essendo tale parere vincolante
per l’autorità preposta alla gestione del
vincolo (da individuare nell’Amministrazione
comunale), lo stesso deve essere qualificato
come un atto immediatamente lesivo e,
quindi, autonomamente impugnabile.
Esulano dalla eccezione prevista
dall’articolo 167, comma 4, lettera a), gli
interventi che abbiano contestualmente
determinato la realizzazione di nuove
superfici utili e di nuovi volumi e, di
converso, sono suscettibili di un concreto
accertamento della compatibilità paesistica
anche i soppalchi, i volumi interrati ed i
volumi tecnici.
Nell’ambito del procedimento di accertamento
della compatibilità paesaggistica (ex art.
167 D.Lgs. 42/2004) la Soprintendenza è
chiamata ad esprimere soltanto un parere,
fermo restando che, essendo tale parere
vincolante per l’autorità preposta alla
gestione del vincolo (da individuare
nell’Amministrazione comunale), lo stesso
deve essere qualificato come un atto
immediatamente lesivo e, quindi,
autonomamente impugnabile (TAR Campania
Napoli, Sez. VII, 26.02.2010, n. 1168).
Inoltre dall’art. 167, comma 5, del decreto
legislativo n. 42/2004 si desume che il
procedimento finalizzato al rilascio della
c.d. autorizzazione paesaggistica in
sanatoria ha una struttura completamente
diversa da quello previsto dall’art. 159 del
medesimo decreto legislativo per il rilascio
della autorizzazione paesaggistica (durante
il c.d. periodo transitorio), nell’ambito
del quale non è previsto alcun intervento
della Soprintendenza, che risulta invece
chiamata ad effettuare un controllo di
legittimità, a posteriori, sul provvedimento
autorizzatorio adottato dall’autorità
preposta alla gestione del vincolo.
Quanto poi alle condizioni in presenza delle
quali l’Amministrazione può procedere
all’accertamento della compatibilità
paesaggistica delle opere realizzate in
assenza della prescritta autorizzazione,
questa Sezione nel precedente richiamato dal
ricorrente (TAR Campania Napoli, Sez. VII,
03.04.2009, n. 1748) ha posto in rilievo che
-ai fini di una corretta applicazione
dell’art. 167, comma 4, lettera a), del
decreto legislativo n. 42/2004- assume
rilievo decisivo l’interpretazione
teleologica di tale disposizione.
Infatti attenendosi rigorosamente ad una
interpretazione letterale dell’art. 167,
comma 4, lettera a), si perverrebbe a negare
la possibilità di rilasciare
l’autorizzazione paesistica in sanatoria
anche per i volumi interrati, conclusione
questa che si porrebbe tuttavia in stridente
contrasto con la evidenziata ratio
del divieto posto dall’art. 146 del decreto
legislativo n. 42/2004, perché i volumi
interrati sono palesemente privi di ogni
incidenza sul paesaggio.
Analoghe considerazioni valgono per
l’ulteriore argomento letterale che fa leva
sul riferimento testuale alle “superfici
utili”, dal quale si potrebbe desumere
che le superfici non residenziali siano
suscettibili di sanatoria. Infatti è
evidente che la realizzazione di un soppalco
all’interno di un preesistente volume è
anch’essa priva di ogni incidenza sul
paesaggio, a prescindere dal fatto che il
soppalco determini o meno un aumento delle
superfici residenziali.
Pertanto -secondo l’orientamento di questa
Sezione- l’interpretazione teleologica
induce inevitabilmente a ritenere che,
nonostante l’utilizzo della particella
disgiuntiva “o” nella frase “che
non abbiano determinato creazione di
superfici utili o volumi”, il duplice
riferimento alle nuove superfici utili e ai
nuovi volumi costituisca un’endiadi, ossia
una modalità di esprimere un concetto
unitario con due termini coordinati.
In altri termini, la necessità di
interpretare le eccezioni al divieto
assoluto di rilasciare l’autorizzazione
paesistica in sanatoria (previste
dall’articolo 167, comma 4, del decreto
legislativo n. 42/2004) in coerenza con la
ratio dell’introduzione di tale
divieto induce il Collegio a ritenere che
esulino dalla eccezione prevista
dall’articolo 167, comma 4, lettera a), gli
interventi che abbiano contestualmente
determinato la realizzazione di nuove
superfici utili e di nuovi volumi e che, di
converso, siano suscettibili di un concreto
accertamento della compatibilità paesistica
anche i soppalchi, i volumi interrati ed i
volumi tecnici.
Dall’art. 167, comma 5, del decreto
legislativo n. 42/2004 si desume
inequivocabilmente che la Soprintendenza,
essendo tenuta soltanto ad esprimere un
parere, non è tenuta ad effettuare alcuna
comunicazione dei motivi ostativi
all’accoglimento dell’istanza di
accertamento della compatibilità
paesaggistica, perché tale adempimento deve
essere posto in essere dall’autorità
preposta alla gestione del vincolo prima di
adottare il provvedimento finale di rigetto
di tale istanza
(TAR Campania-Napoli, Sez. VII,
sentenza 14.01.2011 n. 176 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
realizzazione di un porticato chiuso
lateralmente su due lati va a costituire una
nuova superficie utile, essendo il porticato
destinato ad ospitare arredi fissi e,
quindi, a consentire di svolgervi varie
attività della vita quotidiana.
Il porticato, proprio in quanto comportante
la contestuale realizzazione di una nuova
superficie utile, non è qualificabile né
come un volume interrato, né come un volume
tecnico
Secondo la
prevalente giurisprudenza (ex multis,
Cons. Stato, Sez. IV, 13.10.2010, n. 7481;
TAR Puglia Bari, Sez. III, 06.02.2009, n.
222; TAR Campania, Napoli, Sez. IV,
22.03.2007, n. 2725), anche la realizzazione
di un porticato chiuso lateralmente su due
lati va a costituire una nuova superficie
utile, essendo il porticato destinato ad
ospitare arredi fissi e, quindi, a
consentire di svolgervi varie attività della
vita quotidiana, potendosi finanche
ipotizzare un utilizzo invernale grazie alla
collocazione di barriere protettive mobili e
di moderni “lampioni” per
riscaldamento a gas.
Inoltre risulta evidente che il porticato,
proprio in quanto comportante la contestuale
realizzazione di una nuova superficie utile,
non è qualificabile né come un volume
interrato, né come un volume tecnico
(TAR Campania-Napoli, Sez. VII,
sentenza 14.01.2011 n. 176 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Ai
fini della ricorrenza del requisito della
precarietà di una costruzione, che esclude
la necessità del rilascio di un titolo
edilizio, si deve valutare l'opera alla luce
della sua obiettiva ed intrinseca
destinazione naturale, con la conseguenza
che rientrano nella nozione giuridica di
costruzione, per la quale occorre il
permesso di costruire, tutti quei manufatti
che, anche se non necessariamente infissi
nel suolo e pur semplicemente aderenti a
questo, alterino lo stato dei luoghi in modo
stabile, non irrilevante e non meramente
occasionale.
Quindi sono esenti dall'assoggettamento al
permesso di costruire solo le costruzioni
aventi caratteristiche di precarietà
strutturale e funzionale, cioè destinate fin
dall'origine a soddisfare esigenze
contingenti e circoscritte nel tempo mentre:
al contrario, deve ritenersi sottoposta a
tale regime la edificazione di manufatti
destinati ad una utilizzazione perdurante
nel tempo, di talché l'alterazione del
territorio non può essere considerata
temporanea, precaria od irrilevante.
Deve escludersi il carattere temporaneo e
precario del chiosco in esame (per la
somministrazione al pubblico di bevande ed
alimenti) giacché esso appare finalizzato
stabilmente ed in modo durevole all’utilizzo
commerciale per la somministrazione al
pubblico di bevande ed alimenti, tenuto
anche conto che il manufatto non presenta le
caratteristiche di amovibilità, in quanto
dall’esame dell’atto impugnato emerge che lo
stesso è allacciato alla rete
idrica/fognaria e di pubblica illuminazione
(peraltro in difetto di autorizzazione e
risultando privo anche dei relativi
contatori per i consumi idrico ed
elettrico).
Risulta recessiva la sussistenza di
un’autorizzazione sindacale rilasciata per
l’installazione del chiosco di che trattasi
che non presenta i requisiti soggettivi
(rilascio da parte dei competenti uffici
comunali) ed oggettivi (verifica della
conformità urbanistica dell’opera) del
titolo edilizio occorrente per la
realizzazione del manufatto.
Il mezzo di gravame si fonda sull’assunto
secondo il quale la realizzazione del
manufatto (chiosco per la somministrazione
al pubblico di bevande ed alimenti) non
richiederebbe alcun permesso di costruire ed
inoltre l’occupazione del suolo pubblico
sarebbe avvenuto in forza di autorizzazione
rilasciata dal Sindaco in data 25.02.2005:
pertanto, secondo la prospettazione di parte
ricorrente, l’ordinanza di demolizione
risulterebbe emessa in difetto dei
presupposti di legge dato che, ai sensi
dell’art. 31 D.P.R. 380/2001, essa postula
la realizzazione di manufatti in assenza o
in difformità dal titolo edilizio.
Le argomentazioni di parte ricorrente non
appaiono condivisibili alla luce del
consolidato orientamento della
giurisprudenza amministrativa secondo cui,
ai fini della ricorrenza del requisito della
precarietà di una costruzione, che esclude
la necessità del rilascio di un titolo
edilizio, si deve valutare l'opera alla luce
della sua obiettiva ed intrinseca
destinazione naturale, con la conseguenza
che rientrano nella nozione giuridica di
costruzione, per la quale occorre il
permesso di costruire, tutti quei manufatti
che, anche se non necessariamente infissi
nel suolo e pur semplicemente aderenti a
questo, alterino lo stato dei luoghi in modo
stabile, non irrilevante e non meramente
occasionale (TAR Napoli, Sez. VIII,
02.07.2010 n. 16563 e Sez. III, 16.04.2008,
n. 2207): difatti, il testo unico in materia
edilizia annovera [all’art. 3, primo comma,
lett. e)] tra gli interventi di nuova
costruzione, per i quali è richiesto il
permesso di costruire, “l'installazione
di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e
di strutture di qualsiasi genere, quali
roulottes, campers, case mobili,
imbarcazioni, che siano utilizzati come
abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come
depositi, magazzini e simili, e che non
siano diretti a soddisfare esigenze
meramente temporanee”.
Quindi sono esenti dall'assoggettamento al
permesso di costruire solo le costruzioni
aventi caratteristiche di precarietà
strutturale e funzionale, cioè destinate fin
dall'origine a soddisfare esigenze
contingenti e circoscritte nel tempo mentre:
al contrario, deve ritenersi sottoposta a
tale regime la edificazione di manufatti
destinati ad una utilizzazione perdurante
nel tempo, di talché l'alterazione del
territorio non può essere considerata
temporanea, precaria od irrilevante.
Applicando tali principi al caso in esame ne
consegue che deve escludersi il carattere
temporaneo e precario del chiosco in esame
giacché esso appare finalizzato stabilmente
ed in modo durevole all’utilizzo commerciale
per la somministrazione al pubblico di
bevande ed alimenti, tenuto anche conto che
il manufatto non presenta le caratteristiche
di amovibilità, in quanto dall’esame
dell’atto impugnato emerge che lo stesso è
allacciato alla rete idrica/fognaria e di
pubblica illuminazione (peraltro in difetto
di autorizzazione e risultando privo anche
dei relativi contatori per i consumi idrico
ed elettrico).
Per l’effetto, non è contestabile la natura
abusiva dell’opera in quanto realizzata in
difetto di titolo abilitativo, risultando
viceversa recessiva la sussistenza di
un’autorizzazione sindacale rilasciata per
l’installazione del chiosco che non presenta
i requisiti soggettivi (rilascio da parte
dei competenti uffici comunali) ed oggettivi
(verifica della conformità urbanistica
dell’opera) del titolo edilizio occorrente
per la realizzazione del manufatto, tenuto
anche conto che il provvedimento impugnato
contiene revoca espressa della summenzionata
autorizzazione sindacale.
Pertanto, il provvedimento sanzionatorio è
stato legittimamente emesso
dall’amministrazione resistente che,
peraltro, ha compiutamente esposto le
ragioni logico–giuridiche poste a fondamento
della gravata demolizione, con conseguente
reiezione anche della censura che attiene al
difetto di motivazione
(TAR Campania-Napoli, Sez. VIII,
sentenza 14.01.2011 n. 145 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: In
caso di ordine di demolizione delle opere
abusive non solo non è necessaria la
comunicazione di avvio del procedimento ma,
soprattutto, l’ordine di demolizione, come
tutti i provvedimenti sanzionatori in
materia edilizia, è atto vincolato e,
quindi, non richiede una specifica
valutazione delle ragioni d'interesse
pubblico, anche di natura urbanistica ed
ambientale, né una comparazione di
quest'ultimo con gli interessi privati
coinvolti e sacrificati.
Il presupposto per l'adozione dell'ordine di
demolizione è costituito soltanto dalla
constatata esecuzione dell'opera in totale
difformità dal titolo edilizio o in assenza
del medesimo, con la conseguenza che tale
provvedimento, ove ricorrano i predetti
requisiti, è sufficientemente motivato con
l'affermazione dell'accertata abusività
dell'opera, essendo in re ipsa l'interesse
pubblico alla sua rimozione.
Per costante giurisprudenza, in caso di
ordine di demolizione delle opere abusive
non solo non è necessaria la comunicazione
di avvio del procedimento (trattandosi di
atto dovuto, sicché non sono richiesti
apporti partecipativi del soggetto
destinatario, TAR Campania, Napoli, Sez.
VIII, 29.01.2009 n. 5001), ma soprattutto,
l’ordine di demolizione, come tutti i
provvedimenti sanzionatori in materia
edilizia, è atto vincolato e, quindi, non
richiede una specifica valutazione delle
ragioni d'interesse pubblico, anche di
natura urbanistica ed ambientale, né una
comparazione di quest'ultimo con gli
interessi privati coinvolti e sacrificati:
infatti il presupposto per l'adozione
dell'ordine di demolizione è costituito
soltanto dalla constatata esecuzione
dell'opera in totale difformità dal titolo
edilizio o in assenza del medesimo, con la
conseguenza che tale provvedimento, ove
ricorrano i predetti requisiti, è
sufficientemente motivato con l'affermazione
dell'accertata abusività dell'opera, essendo
in re ipsa l'interesse pubblico alla
sua rimozione (Consiglio di Stato, Sez. IV,
27.04.2004, n. 2529; TAR Campania Napoli,
Sez. IV, 02.12.2004, n. 18085)
(TAR Campania-Napoli, Sez. VIII,
sentenza 14.01.2011 n. 145 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
PUBBLICO IMPIEGO: Sussiste
il diritto del dipendente pubblico ai
permessi mensili retribuiti, ai sensi
dell’art. 33, comma 3, della legge n. 104
del 1992, per poter assistere il familiare
disabile anche se quest’ultimo non è
convivente e abita in altra città.
Il Collegio, confermando l’orientamento già
fatto proprio da questa Sezione (cfr.
sentenza n. 1329/2010 cit.), ritiene che il
requisito della continuità dell’assistenza
non possa farsi coincidere con una
quotidianità dell’assistenza medesima,
essendo sufficiente che tale assistenza si
svolga secondo criteri di sistematicità e di
adeguatezza (orientamenti giurisprudenziali
recepiti dall’I.N.P.S. con la circolare n.
90 del 23.05.2007), come condivisibilmente
prospettato da parte ricorrente; tanto è
vero che i benefici per cui è causa non
possono invece essere riconosciuti solo per
l’ipotesi di ricovero del disabile a tempo
pieno presso apposita struttura.
Se quanto sopra è vero, la distanza non può
in sé rappresentare elemento dirimente alla
mancata concessione del beneficio, come
sostenuto da questa Sezione nell’ordinanza
n. 591 dell’01.10.2009 di accoglimento
dell’istanza incidentale di sospensione;
anche con la suddetta sentenza n. 1329/2010,
peraltro richiamata da parte ricorrente
nella memoria depositata il 26.11.2010,
questa Sezione ha ritenuto che per
continuità dell’assistenza, intesa anche
come effettività dell’assistenza in favore
del disabile da parte del lavoratore,
genitore o parente del soggetto stesso, non
possa –ai fini della concessione dei giorni
di permesso– aversi riguardo in senso
ostativo ad una accezione del concetto di
lontananza solo in senso spaziale.
Seppure la lesione di un diritto inviolabile
della persona concretamente individuato è
fonte di responsabilità risarcitoria non
patrimoniale ai sensi dell'art. 2059 c.c.
che tutela le violazioni gravi di diritti
inviolabili della persona, non altrimenti
rimediabili. (cfr. Consiglio di Stato,
Sezione VI, 23.03.2009, n. 1716) si ritiene
di dover ulteriormente evidenziare che,
anche a voler ammettere la sua
configurabilità per una tipologia di danno
quale quella addotta nel caso di specie, la
relativa domanda va comunque rigettata in
quanto il diritto al risarcimento del danno
morale, in tutti i casi in cui è ritenuto
risarcibile, non può prescindere dalla
allegazione da parte del richiedente, degli
elementi di fatto dai quali desumere
l'esistenza e l'entità del pregiudizio (cfr.
Cassazione Sezioni Unite n. 3677/2009)
(TAR Puglia-Bari, Sez. III,
sentenza 14.01.2011 n. 63 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Ai
fini della decorrenza del termine per
l'impugnazione di una concessione edilizia o
del permesso di costruire:
- occorre in generale la sua piena
conoscenza, che si verifica con la
consapevolezza del contenuto specifico del
titolo autorizzatorio o del progetto
edilizio, o ancora quando la costruzione
realizzata rivela in modo certo ed
inequivoco le essenziali caratteristiche
dell'opera e l'eventuale non conformità
della stessa alla disciplina urbanistica;
- la prova della piena ed effettiva
conoscenza del titolo edilizio può essere
desunta anche da elementi presuntivi, come
l'intervenuta ultimazione dei lavori, o
quando questi siano giunti almeno ad un
punto tale che non si possa avere più alcun
dubbio sulla consistenza, entità e reale
portata dell'intervento edilizio assentito;
- occorre, in altri termini, che le opere
abbiano raggiunto uno stadio e una
consistenza tali da renderne chiara
l'illegittimità e la lesività per le
posizioni soggettive del confinante;
- per contro, non è sufficiente il mero
inizio dei lavori, né tanto meno
l'apposizione di un cartello recante gli
estremi e l'oggetto del titolo autorizzatorio edilizio.
Secondo consolidati orientamenti
giurisprudenziali (riassuntivamente, da
ultimo, cfr. Cons. Stato, V, 12.07.2010, n.
4482 e IV, 12.06.2009, n. 3730), ai fini
della decorrenza del termine per
l'impugnazione di una concessione edilizia o
del permesso di costruire:
- occorre in generale la sua piena
conoscenza, che si verifica con la
consapevolezza del contenuto specifico del
titolo autorizzatorio o del progetto
edilizio, o ancora quando la costruzione
realizzata rivela in modo certo ed
inequivoco le essenziali caratteristiche
dell'opera e l'eventuale non conformità
della stessa alla disciplina urbanistica
(cfr. Cons. Stato, IV, 10.12.2007, n. 6342;
12.02.2007, n. 599; V, 24.08.2007, n. 4485;
23.09.2005, n. 5033; 08.10.2002, n. 5312;
08.07.2002, n. 3805);
- la prova della piena ed effettiva
conoscenza del titolo edilizio può essere
desunta anche da elementi presuntivi, come
l'intervenuta ultimazione dei lavori, o
quando questi siano giunti almeno ad un
punto tale che non si possa avere più alcun
dubbio sulla consistenza, entità e reale
portata dell'intervento edilizio assentito
(cfr. Cons. Stato, V, 03.03.2004, n. 1022;
VI, 10.06.2003, n. 3265);
- occorre, in altri termini, che le opere
abbiano raggiunto uno stadio e una
consistenza tali da renderne chiara
l'illegittimità e la lesività per le
posizioni soggettive del confinante (cfr.
Cons. Stato, IV, 31.07.2008, n. 3849;
12.02.2007, n. 599; V, 19.09.2007, n. 4876;
28.06.2004, n. 4790; VI, 10.06.2003 n. 3265;
14.03.2002 n. 1533);
- per contro, non è sufficiente il mero
inizio dei lavori (cfr. Cons. Stato, V,
28.06.2004, n. 4790), né tanto meno
l'apposizione di un cartello recante gli
estremi e l'oggetto del titolo
autorizzatorio edilizio (cfr. Cons. Stato,
VI, 12.02.2007, n. 540; IV, 11.04.2007, n.
1654).
Il Collegio non ravvisa motivo per
discostarsi da detti orientamenti, peraltro
seguiti anche da questo Tribunale (cfr., da
ultimo, sent. 01.07.2010, n. 396 -relativa
ad una controversia per molti aspetti
analoga, per quanto si dirà, alla presente–
in cui, richiamandosi Cons. Stato, V,
06.02.2008, n. 322 e 04.03.2008, n. 885,
viene individuato nel completamento dei
lavori strutturali il momento nel quale, di
norma, la piena conoscenza si può ritenere
raggiunta) (TAR
Umbria,
sentenza 13.01.2011 n. 3 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
ristrutturazione edilizia esprime un
progetto edilizio; la ristrutturazione
urbanistica esprime un progetto urbanistico.
Una ristrutturazione urbanistica effettuata
con intervento diretto è una contraddizione
in termini, un ossimoro.
Conviene
ricordare che per ristrutturazione edilizia
si intendono «gli interventi rivolti a
trasformare gli organismi edilizi mediante
un insieme sistematico di opere che possono
portare a un organismo edilizio in tutto o
in parte diverso dal precedente...» inclusa
anche la integrale demolizione e
ricostruzione del fabbricato purché senza
modifiche di volumetria, area di sedime e
sagoma.
Invece per ristrutturazione
urbanistica si intendono gli interventi
«rivolti a sostituire l'esistente tessuto urbanistico-edilizio, urbano o rurale, con
altro diverso, mediante un insieme
sistematico di interventi edilizi, anche con
la modifica e/o lo spostamento dell'area di
sedime e la modificazione del disegno dei
lotti, degli isolati e della rete stradale».
Non si deve pensare che quella edilizia e
quella urbanistica siano due varietà della
unica species ristrutturazione, tanto
da meritare una disciplina sostanzialmente
comune. Al contrario, si tratta di due
figure radicalmente diverse, come dimostrano
le rispettive definizioni, che risalgono
all’art. 31 della legge n. 457/1978.
Caratterizzante è l’aggettivo, non il
sostantivo.
La ristrutturazione edilizia
esprime un progetto edilizio; la
ristrutturazione urbanistica esprime un
progetto urbanistico. Una ristrutturazione
urbanistica effettuata con intervento
diretto è una contraddizione in termini, un
ossimoro.
In effetti, già la legge n.
457/1978 –la quale ha introdotto
nell’ordinamento l’istituto del “piano di
recupero” (ora confluito nel piano
attuativo) e la figura della
ristrutturazione urbanistica intesa come la
forma più complessa e penetrante del
recupero dell’esistente– all’art. 27,
quarto comma (nel testo originario)
disponeva: «Qualora [i piani regolatori
generali] subordinino il rilascio della
concessione [edilizia] alla formazione del
piano particolareggiato, sono consentiti, in
assenza di questo, gli interventi di
manutenzione ordinaria e straordinaria,
nonché di restauro e di ristrutturazione
edilizia che riguardino esclusivamente opere
interne e singole unità immobiliari, con il
mantenimento delle destinazioni d'uso
residenziali».
Gli interventi di ristrutturazione
urbanistica rimanevano invece assoggettati,
in ogni caso, alla previa formazione di un
piano particolareggiato; e ciò, come si è
visto, per una necessità logica prima che
per una scelta del legislatore. (…)
(TAR
Umbria,
sentenza 13.01.2011 n. 3 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI:
Sulla interpretazione di "gara"
ai fini dell'art. 15, c. 9, d.lvo n.
164/2000, in materia di prosecuzione delle
gestione in essere del servizio pubblico di
distribuzione del gas.
Il servizio pubblico di distribuzione del
gas resta soggetto alla disciplina del
d.lgs. 164/2000 e dell'articolo 46-bis del
d.l. 159/2007. La definizione degli ambiti
per la distribuzione del gas non è
sufficiente per l'indizione delle gare (di
ambito).
Una interpretazione comunitariamente
orientata del presupposto considerato
dall'art. 15, c. 9, del D.Lgs. n. 164/2000,
in materia di prosecuzione delle gestione in
essere del servizio pubblico di
distribuzione del gas, conduce a ritenere
che l'elemento qualificante di una "gara",
sia la predefinizione e comunicazione ai
potenziali interessati delle regole della
competizione (nella forma, quanto meno, dei
contenuti delle offerte e dei relativi
criteri di valutazione), unica seria
garanzia che la scelta del contraente
privato rispetti i principi di imparzialità
e parità di trattamento, a tutela della
concorrenza e del mercato, e presupposto
indispensabile della sua sindacabilità in
sede giurisdizionale. D'altra parte, la
proroga dodecennale degli affidamenti in
essere si giustifica in quanto si tratti di
affidamenti intervenuti sulla base di regole
quanto meno analoghe a quelle che dovranno
essere seguite per i nuovi, aventi la
medesima durata massima. Nel caso di specie,
mancando questo minimum, sotto il profilo
della predefinizione delle regole della
competizione, e, più in generale, sotto
quello della imparzialità e parità di
trattamento nella scelta, occorre concludere
che si sia in realtà trattato di un
affidamento diretto.
Mentre in linea di principio la disciplina
generale in tema di servizi pubblici locali
di rilevanza economica prevale anche su
quelle di settore con essa incompatibili (c.
1 dell'art. 23-bis del d.l. 112/2008,
convertito in l. 133/2008), ciò non accade
relativamente alla distribuzione del gas
naturale, per la quale continuano ad
applicarsi integralmente il d.lgs. 164/2000
e l'art. 46-bis del d.l. 159/2007.
La definizione degli ambiti non è
sufficiente per l'indizione delle gare (di
ambito), posto che, non avendo la legge
individuato un'autorità competente
all'espletamento della gara, occorrerà
comunque che gli enti locali ricompresi
negli ambiti si organizzino (mediante
accordi) per gestire la procedura; senza
contare che l'art. 46-bis, c. 3, del d.l.
159/2007, prevede comunque, per
l'espletamento della gara, un termine di due
anni dall'individuazione degli ambiti.
L'Autorità Garante della Concorrenza e del
Mercato ha, altresì, affermato che "… pur
essendo certamente auspicabile, sotto il
profilo dell'efficienza delle gestioni,
l'espletamento di gare sulla base di ambiti
territoriali minimi, l'interpretazione
orientata a sostenere il blocco delle gare
fino alla determinazione di detti ambiti si
ponga in contrasto con il principio
comunitario di concorrenza, la cui
attuazione, attraverso un atto ministeriale
potrebbe essere rinviata ad un futuro
incerto, con il rischio di ritardare
ulteriormente il completamento del processo
di liberalizzazione del settore del gas"
(TAR Umbria,
sentenza 13.01.2011 n. 1 - link a
www.dirittodeiservizipubblici.it). |
URBANISTICA: L’obbligazione
di provvedere alla realizzazione delle opere
di urbanizzazione assunta dal lottizzante è
di natura propter rem. Esse fanno carico al
soggetto, che si trovi ad esserne
proprietario ed hanno quale caratteristica
quella di basarsi su fatti relativi ad una
cosa immobile.
L’obbligazione assunta dal soggetto che ha
stipulato una convenzione urbanistica va
adempiuta, non solo da costui, ma anche da
colui, se soggetto diverso, che richiede la
concessione edilizia o, oggi, il permesso di
costruire.
In giurisprudenza non vi è unanimità di
vedute in ordine alla data di decorrenza del
termine fissato in convenzione per
l’esecuzione del piano di lottizzazione.
La giurisprudenza ha affermato che
l’obbligazione di provvedere alla
realizzazione delle opere di urbanizzazione
assunta dal lottizzante è di natura
propter rem. Esse fanno carico al
soggetto, che si trovi ad esserne
proprietario ed hanno quale caratteristica
quella di basarsi su fatti relativi ad una
cosa immobile.
A ciò consegue che l’obbligazione assunta
dal soggetto che ha stipulato una
convenzione urbanistica va adempiuta, non
solo da costui, ma anche da colui, se
soggetto diverso, che richiede la
concessione edilizia o, oggi, il permesso di
costruire (TAR Lombardia, Brescia,
13.08.2003 n. 1157; Cass. sez. I, 20.12.1994
n. 10947; id., sez. II, 26.11.1988 n. 6382).
E' noto che in
giurisprudenza non vi è unanimità di vedute
in ordine alla data di decorrenza del
termine fissato in convenzione per
l’esecuzione del piano.
Secondo una prima tesi il termine, fissato
in un decennio, maturerebbe dopo la scadenza
dei primi dieci anni di durata della
convenzione di lottizzazione. Secondo tale
tesi il termine decorre, non dalla data di
assunzione dell'obbligo di cessione dei
terreni previsto in convenzione, bensì dalla
scadenza del periodo decennale di validità
della convenzione stessa (in questo senso,
di recente, TAR Abruzzo L'Aquila, sez. I,
13.11.2008 n. 1218; TAR Lombardia Brescia,
03.02.2003 n. 65).
Altro orientamento, sul presupposto che il
termine decennale per l’attuazione dei piani
particolareggiati è applicabile
analogicamente anche ai piani di
lottizzazione, allo scopo di consentire,
entro il termine decennale di efficacia,
l’esecuzione coercitiva in forma specifica
degli obblighi assunti nelle relative
convenzioni, ritiene che l’amministrazione
ha tempo per chiedere l'esecuzione degli
obblighi assunti dai privati interessati il
successivo decennio, decorrente dalla
stipula della convenzione, o al più dalla
data successiva della sua trascrizione nei
registri immobiliari (TAR
Calabria-Catanzaro, Sez. I,
sentenza 12.01.2011 n. 12 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
RIFIUTI - Traffico illecito di
rifiuti - Art. 260 d.lgs. n. 152/2006 -
Competenza per territorio - Individuazione.
La competenza per il reato di cui all’art.
260 del d.lgs. n. 152/2006 non si determina
nel luogo ove si organizza l’articolato
sistema per evadere la disciplina e sfuggire
ai controlli (illecita declassificazione dei
rifiuti e predisposizione di falsi
certificati), ma in quello in cui avviene
l’arrivo dei vari camion di rifiuti e il
loro interramento, poiché solo l’accumulo di
ingenti quantitativi di rifiuti sigla il
perfezionamento del reato.
Ed invero il delitto intende sanzionare
comportamenti non occasionali di soggetti
che, al fine di conseguire un ingiusto
profitto, fanno della illecita gestione dei
rifiuti la loro redditizia, anche se non
esclusiva, attività (cfr Cass. penale 3, n.
46705 del 03/11/20009 e 824 del 26/04/2010).
RIFIUTI - Traffico
illecito di rifiuti - Art. 260 d.lgs. n.
152/2006 - Pluralità di condotte in
continuità temporale - Reato abituale -
Determinazione della competenza.
Il delitto previsto dall’art. 260 del d.lgs.
n. 152/2006 implica un pluralità di condotte
in continuità temporale, relativa ad una o
più delle diverse fasi nelle quali si
concretizza ordinariamente la gestione dei
rifiuti e più operazioni illegali degli
stessi.
Queste operazioni, se considerate
singolarmente, possono essere inquadrate
sotto altre e meno gravi fattispecie, ma
valutate in modo globale integrano gli
estremi del reato di cui al menzionato art.
260; in altre parole, alla pluralità delle
azioni, che è elemento costitutivo del
fatto, corrisponde un’unica violazione di
legge.
Pertanto il reato deve considerarsi abituale
dal momento che per il suo perfezionamento è
necessario la realizzazione di più
comportamenti della stessa specie; ne
consegue che la competenza deve essere
determinata nel luogo in cui le varie
frazioni della condotta, per la loro
reiterazione, hanno determinato il
comportamento punibile (cfr. Cass. Penale
sez. 3, n. 46705 del 03/11/2009) (TRIBUNALE
di Napoli, Sez. I penale,
sentenza 29.12.2010 n. 17359 -
link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA: In
merito al rilascio della concessione
edilizia (ora permesso di costruire), il
termine “rilascio” non può non
equivalere a consegna perché l’interesse
della parte è a natura pretensiva, ossia
attiene alla acquisizione di una specifica
utilità, riconnessa ad un bene della vita,
che può derivargli solo da un provvedimento
espresso, ossia formale (infatti, a norma
dell’art. 20 comma 9 del DPR 380/2001, il
decorso del termine a provvedere è
qualificato come silenzio rifiuto) e nessuna
formalità avrebbe senso se fosse disgiunta
da una successiva comunicazione materiale
del documento.
Appare più che verosimile ritenere che la
nozione legislativa faccia riferimento alla
data della consegna del titolo in mani del
destinatario quale termine “a quo” del
computo dell’anno di tempo per l’inizio dei
lavori, ossia al “rilascio” inteso ai sensi
del comma 7 della disposizione, comprensivo
quindi della avvenuta notifica che
perfeziona la fattispecie.
Nella disciplina in vigore a livello
nazionale, viene in esame l’art. 15 D.P.R. 06.06.2001 n. 380, a norma del quale ”1.
Nel permesso di costruire sono indicati i
termini di inizio e di ultimazione dei
lavori. 2. Il termine per l'inizio dei
lavori non può essere superiore ad un anno
dal rilascio del titolo; quello di
ultimazione, entro il quale l'opera deve
essere completata non può superare i tre
anni dall'inizio dei lavori. Decorsi tali
termini il permesso decade di diritto per la
parte non eseguita, tranne che,
anteriormente alla scadenza venga richiesta
una proroga”.
Tale disposizione pare recare una espressa
ed esplicita decorrenza del termine “dal
rilascio del titolo” che, nella lettura
della giurisprudenza più recente, non
consente di conferire rilevanza alla
comunicazione del titolo agli interessati.
A tale proposito, si osserva infatti che
secondo alcune pronunce (TAR Lazio Latina,
I, 09.07.2007, nr. 482), a norma
dell’art. 31 della l. 17.08.1942, nr.
1150, la decorrenza dei termini dipendeva
dalla effettiva conoscenza del provvedimento
concessorio, mentre nel vigore della
disciplina attuale (art. 15, comma 2 del DPR
380/2001), decorre dalla data di “rilascio”
e non più di “ritiro”.
Analogamente, altre pronunce espressamente ritengono la c.e. un
atto non recettizio idoneo a produrre gli
effetti suoi propri dalla data di emanazione
(Cass. Civ. I 30.11.2006, nr. 25536;
TAR Liguria Genova, I, 11.03.2003 n. 279;
TAR Sardegna 10.11.1992, nr. 1429; sulla
natura non recettizia della licenza
edilizia, cfr. anche Consiglio di Stato, V,
11.07.1980, nr. 695; V, 28.04.1981 nr. 141;
V, 30.09.1983 nr. 413; 02/07/1993, nr. 770).
Confermerebbe, nell’ordinamento regionale
siciliano, la natura non recettizia della
concessione edilizia, il regime del rilascio
della concessione ex art. 2 della LR
17/1994, considerato che, secondo la
giurisprudenza, la comunicazione di inizio
dei lavori non potrebbe intervenire oltre
l’anno dalla formazione del titolo tacito
(TAR Sicilia Palermo, III, 09.11.2006
n. 2979), a pena di evidenti disparità di
trattamento tra il titolare del titolo
tacito e quello in possesso di un titolo
formale (per il quale varrebbero i termini
di inizio ed ultimazione delle opere secondo
la disciplina di cui all’art. 36 LR 71/1978
che rappresenta l’equivalente normativo
dell’attuale art. 15 del DPR 380/22001 in
ambito nazionale e che, come quest’ultima
norma, fa riferimento alla data di
“rilascio” del titolo per la decorrenza dei
suddetti termini, che viene letta, in tal
senso, come data di emanazione dell’atto concessorio).
Non mancano, comunque, nella giurisprudenza
più risalente, pronunce secondo le quali la
concessione edilizia è un provvedimento
amministrativo “recettizio” che si
perfeziona con la comunicazione agli
interessati (Consiglio di Stato, V, 27.09.1996, nr. 1152; cfr. anche TAR
Piemonte, Torino, II, 04.11.2008, nr.
2749; TAR Piemonte, Torino, I, 01.09.2006, nr. 3166).
Quest’ultimo ordine di principi è dominante
nella dottrina specialistica, che, tra le
voci più autorevoli, ha evidenziato che la
natura del problema dipende dall’interesse
tutelato: se si considera che il termine di
inizio dei lavori tutela l’interesse
pubblico alla celere esecuzione dei lavori,
al fine di non permettere che essi avvengano
in un contesto urbanistico modificatosi per
effetto del trascorrere del tempo, rispetto
a quello preso in esame al momento del
rilascio del titolo, la decorrenza dell’anno
per l’inizio dei lavori avviene dalla data
del titolo. Se, invece, si considera il
termine come posto a tutela dell’interesse
del privato per consentirgli di predisporre
i mezzi necessari all’esecuzione dei lavori,
decorre dalla data di consegna dell’atto.
Attesa, comunque, la natura sanzionatoria
del termine, quest’ultima tesi dovrebbe
essere preferita.
Il Collegio non è pago delle conclusioni
cui è pervenuto l’orientamento
giurisprudenziale maggioritario, per più
ordini di ragioni.
La norma previgente, che nell’art. 15 del
DPR in esame è confluita, ossia l’art. 4 L.
n. 10/1977, prevedeva che “nell'atto di
concessione sono indicati i termini di
inizio e di ultimazione dei lavori. Il
termine per l'inizio dei lavori non può
essere superiore ad un anno; il termine di
ultimazione, entro il quale l'opera deve
essere abitabile o agibile, non può essere
superiore a tre anni e può essere prorogato,
….omississ”.
Come è evidente, la disposizione oggi in
vigore è chiara nel fissare, quale termine a
quo la data di “rilascio” del titolo, a
differenza della disposizione di cui
all’art. 4 che, invece, fissava solo una
espressa disciplina del termine finale.
Tuttavia, il termine “rilascio” non appare
univoco, in prima lettura, perché può
sostanzialmente significare (da un punto di
vista semantico) sia “emanazione”, sia
“consegna”, con ovvie diverse conseguenze ai
fini della decorrenza degli effetti.
Tra le due possibili significazioni, la
seconda appare sicuramente più rispondente
al lessico del legislatore, se si considera
che, laddove quest’ultimo avesse voluto fare
riferimento alla data della “emanazione”
dell’atto, avrebbe usato sinonimi dal più
corretto significato tecnico, come “data
dell’atto” oppure, “data di adozione” o, più
semplicemente “adozione”.
Tra l’altro, in un contesto procedimentale
doveroso che trae origine dalla istanza di
parte, il termine “rilascio” non può non
equivalere a consegna perché l’interesse
della parte è a natura pretensiva, ossia
attiene alla acquisizione di una specifica
utilità, riconnessa ad un bene della vita,
che può derivargli solo da un provvedimento
espresso, ossia formale (infatti, a norma
dell’art. 20 comma 9 del DPR 380/2001, il
decorso del termine a provvedere è
qualificato come silenzio rifiuto) e nessuna
formalità avrebbe senso se fosse disgiunta
da una successiva comunicazione materiale
del documento.
Conferme in tal senso derivano
all’interprete dall’analisi sistematica del
complesso di norme che, nel DPR 380/2001,
disciplinano il procedimento di formazione
della concessione edilizia.
L’art. 20 è, infatti, rubricato
“procedimento per il ‘rilascio’ del permesso
di costruire”; il comma 1 disciplina la
presentazione della “domanda per il
‘rilascio’ del permesso..”; altri
riferimenti al termine “rilascio” sono
contenuti in varie parti della disposizione;
ciò che più appare pertinente alla analisi
in oggetto è, però, il comma 7 della
disposizione in esame, a norma del quale “il
provvedimento finale, che lo sportello unico
provvede a notificare all’interessato, è
adottato dal dirigente…entro quindici giorni
dalla proposta di cui al comma
3….dell’avvenuto rilascio del permesso di
costruire è data notizia al pubblico
mediante affissione all’albo pretorio….”.
Secondo la lettura della disposizione,
globalmente considerata, appare evidente
che, poiché è, per la prima volta,
chiaramente contemplata l’”adozione” del
provvedimento finale ed altresì la sua
“comunicazione” mediante notifica, è
evidente che quel “rilascio” del
provvedimento cui tutta la disciplina
dell’art. 20 è preordinata, non può che
essere costituito da una fase complessa che
si compone di due momenti, appunto
l’”adozione” (che è ad opera del dirigente o
del responsabile) e la “notifica” dello
stesso provvedimento (che avviene,
quest’ultima, a cura dello sportello unico).
Poiché, inoltre, la norma fa riferimento
alla “notifica” e non alla comunicazione
pura e semplice, ne deriva che il
legislatore connette effetti costitutivi
alla fase della trasmissione dell’atto al
destinatario, dal momento che richiede
l’acquisizione di una data certa in cui ciò
avviene e disciplina espressamente la
responsabilità di tale adempimento
individuandone la competenza (ossia
fissandola in capo allo sportello unico) in
soggetto diverso da quello chiamato
all’adozione del provvedimento.
Ulteriore conferma si ha nell’esame della
disciplina del silenzio rifiuto che, secondo
il comma 9 dell’art. 20, si forma se, entro
il termine di legge, non viene “adottato” il
provvedimento finale: in questo caso, il
legislatore fa ancora riferimento
all’adozione dell’atto, non al suo rilascio,
con ciò dimostrando come l’uso del termine
sia consapevole e indicatore di una precisa
scelta normativa.
Inoltre, formandosi il silenzio rifiuto per
mancanza “adozione” dell’atto finale, si
conferma non solo che le nozioni di
“adozione” e “rilascio” sono diverse, ma
anche che l’eventuale adozione non seguita
dalla notifica non determina silenzio
rifiuto. Su questo aspetto si tornerà oltre.
Qui vale rilevare che l’atto adottato e non
comunicato, per effetto del comma 9
dell’art. 20, va considerato come “perfetto”
ed inefficace, in quanto carente della
necessaria fase integrativa dell’efficacia.
Appare dunque più che verosimile ritenere
che la nozione legislativa faccia
riferimento alla data della consegna del
titolo in mani del destinatario quale
termine “a quo” del computo dell’anno di
tempo per l’inizio dei lavori, ossia al
“rilascio” inteso ai sensi del comma 7 della
disposizione, comprensivo quindi della
avvenuta notifica che perfeziona la
fattispecie.
Ad avviso del Collegio, altri argomenti
di natura sistematica portano a dover
concludere nel medesimo segno e dunque in
diverso avviso dalla giurisprudenza
dominante.
L’art. 21-bis della l. 241/1990 pone il
principio secondo il quale i provvedimenti
limitativi della sfera giuridica del privato
sono a carattere necessariamente recettizio;
il legislatore ha così recepito
l’insegnamento anche della dottrina, secondo
il quale l’atto amministrativo è per sua
natura recettizio ogni qual volta richieda,
per essere portato ad esecuzione, la
collaborazione del privato e dunque postuli
la sua effettiva conoscenza, in capo a
quest’ultimo.
La affermazione della natura recettizia dei
provvedimenti “sfavorevoli” deriva da
esigenze di certezza dell’azione
amministrativa e di giustizia sostanziale.
Sulla base di questa disposizione, la
dottrina ha ritenuto anche che tutti gli
altri atti amministrativi non sono recettizi
e dunque si perfezionano solo con la loro
emanazione, non rivestendo la fase della
comunicazione successiva, un carattere di
necessità ai fini della perfezione
dell’atto.
Anche aderendo a tale ricostruzione
dottrinaria, il Collegio deve però osservare
che, in un singolo provvedimento
amministrativo “ampliativo” possono
sussistere clausole, ovvero vere e proprie
condizioni, che assistono corrispondenti
interessi pubblici, a carattere e natura
limitativa, come quelle che comminano oneri
sanzionati con effetti pregiudizievoli, come
appunto, i termini di decadenza nella
concessione edilizia.
Sostenere che la concessione edilizia, in
quanto atto ampliativo, non è soggetta ad
obbligo di comunicazione,ai fini della
integrazione della efficacia, appare,
dunque,una evidente contraddizione con il
principio e la ratio dell’art. 21-bis della
l. 241/1990, perché è sicuramente un atto
limitativo della sfera giuridica del privato
quello specifico contenuto di un
provvedimento ampliativo, che ne condiziona
l’utilità al compimento necessitato di
determinate attività entro specifici termini
posti a pena di decadenza.
In altri termini, l’atto ampliativo, sebbene
favorevole al privato, quando contiene
prescrizioni restrittive connesse, quale
condizione di mantenimento, all’effetto
favorevole (peraltro, relative proprio al
decorso del tempo), è comunque atto
recettizio e, dunque, va necessariamente
comunicato.
Si considerino anche le implicazioni
pratiche del principio appena espresso.
Se si ammettesse che la concessione edilizia
non è atto recettizio, il privato sarebbe
praticamente esposto, incolpevolmente, ai
ritardi dell’ufficio comunale preposto alla
comunicazione dell’atto, il quale, a sua
volta, potrebbe “consumare” con i propri
adempimenti, o con il proprio comportamento
più o meno negligente, parte del termine decadenziale fissato, con ovvie conseguenze
in capo al privato, il quale, a sua volta,
potrebbe non essere neppure in condizioni di
difendersi, “esigendo” il rilascio del
titolo, perché, sempre in ipotesi, potrebbe
anche (ed ordinariamente dovrebbe essere
proprio così) non essere a conoscenza della
esistenza di un titolo a suo favore.
Vero è che, una volta ottenuto il titolo con
ritardo o addirittura oltre la consumazione
del termine annuale, potrebbe chiedere una
rimessione in termini o comunque una
proroga: ma è evidente che si tratterebbe
pur sempre di una attività ulteriore che gli
si richiederebbe per ovviare ad una
circostanza che non è a lui imputabile e
dunque, per fare fronte a quella che
resterebbe pur sempre una inefficienza
dell’ufficio comunale.
Pertanto, a giudizio del Collegio,
ragioni testuali e sostanziali di tutela
impongono di ritenere la concessione
edilizia come atto avente natura recettizia
e dunque ritenere che il termine di
decadenza di un anno per l’inizio dei
lavori, ha inizio non dalla data in cui il
provvedimento è emanato, ma dalla data in
cui esso è “rilasciato” ossia consegnato
nelle debite forme amministrative facenti
fede certa della data, al titolare o al suo
delegato (che tale risulti agli atti del
Comune).
Dall’analisi appena svolta, emerge
dunque che, secondo il Collegio, la
concessione edilizia dei controinteressati
ha acquisito effetti, nei confronti di
questi ultimi, solo dalla data della
notifica come risulta dalla relata apposta
in calce al provvedimento depositato in
atti.
---------------
Venendo
adesso alla fattispecie che è all’esame del
giudizio, dalla esposizione che precede, si
è visto che il legislatore (sia quello
regionale che quello nazionale), non
contempla i termini di “notifica” o
comunicazione dell’atto ampliativo
costituito dal titolo edilizio al suo
titolare da parte del Comune.
A stretto rigore, quindi, l’Ufficio comunale
competente potrebbe non procedere alla
notifica nella stessa data di emanazione;
anzi, la differenza temporale tra i due
momenti potrebbe essere significativa, non
essendo normata.
Tuttavia, sebbene non sussista una
previsione espressa di procedere
“immediatamente” alla notifica della
concessione edilizia, dal complesso delle
disposizioni in esame e dalla ratio
della disciplina dei termini decadenziali
contenuti nella concessione per l’inizio e
per la fine dei lavori, emerge che
sull’Ufficio comunale incombe un obbligo ben
preciso di evasione immediata della
comunicazione della concessione edilizia
all’interessato.
Infatti, scopo della disciplina dei termini
per l’inizio e fine dei lavori, nella
concessione edilizia, è quello di assicurare
l’effettività della disciplina edilizia,
ossia che la trasformazione urbana assentita
avvenga in quel medesimo contesto
territoriale e del comprensorio che è stato
considerato nella fase autorizzatoria, in
modo da scongiurare che l’evoluzione
dell’abitato possa in qualche maniera essere
compromessa, rispetto al disegno dello
strumento urbanistico, da fenomeni edilizi
risalenti, o comunque assentiti in contesti
mutati (Consiglio di Stato, V, 28.06.2000, nr. 3638).
Se, dunque, fosse concesso all’Ufficio
comunale competente, di dilazionare a sua
discrezione il momento della comunicazione
dell’atto, si consentirebbe, al di fuori
dell’esercizio del potere vincolato che in
materia urbanistica incombe circa l’esame
delle istanze di concessione edilizia, di
rendere inefficace la riconosciuta pretesa
del privato al conseguimento del bene della
vita, con ogni intuibile conseguenza sia in
termini di conservazione dell’interesse
legittimo pretensivo (che viene esposto alla
possibile mutazione della normativa
urbanistica, con conseguente decadenza della
concessione edilizia ex art. 15 comma 4 del
DPR 380/2001, ossia per l’entrata in vigore di
norme urbanistiche in contrasto con la
concessione i cui lavori non sono iniziati
e, se iniziati, non sono completati entro
tre anni), sia in termini di effettività
della disciplina urbanistica.
In altri termini, il ritardo dell’ufficio
nella doverosa comunicazione del titolo
edilizio al richiedente comporta una
corrispondente lesione sia dell’interesse
privato, che dell’interesse pubblico ed è
illegittimo.
Inoltre, si consideri che il “rilascio”
della concessione è soggetto ad un regime di
pubblicità a terzi costituito dalla
pubblicazione all’albo pretorio.
Nella fattispecie, tale pubblicazione è
avvenuta contestualmente all’adozione della
concessione edilizia, ossia nel 2002.
Laddove la pubblicità a terzi preceda la
notifica della concessione al privato
richiedente (che non può considerarsi
compreso nel novero dei soggetti dei quali
si presume la conoscenza per effetto della
pubblicazione all’Albo, perché ha diritto
alla comunicazione personale), si crea nella
collettività dei consociati la
consapevolezza dell’avvenuta formazione del
titolo tacito, con la conseguenza che
ciascuno ha ragione di attendersi la
modifica edilizia assentita e, nella
mancanza di essa, ritenere decaduto il
titolo.
Questa è appunto la posizione dell’odierno
ricorrente, il quale ha concretizzato un
proprio affidamento sulla decadenza del
titolo edilizio (giustificabile, come si è
visto, alla luce della maggioritaria
giurisprudenza in merito), che lo ha
portato, da un lato, ad intentare l’odierno
ricorso, dall’altro a non impugnare nella
sede di annullamento il titolo edilizio che
riteneva decaduto, consumando così i termini
di proposizione del gravame (che, in
ipotesi, potrebbe essere riproposto solo
previo riconoscimento dell’errore scusabile
e la rimessione in termini da parte del
giudice adito, cosa che presuppone però, da
parte sua, l’assunzione del rischio di un
giudizio dall’esito, sul punto, tutt’altro
che prevedibile).
Quindi la discrasia tra il regime di
pubblicità a terzi e la comunicazione
dell’atto all’interessato genera incertezza
anche nel novero dei possibili
controinteressati.
Da questa esposizione e dalla
precedente premessa, deriva che, laddove un
titolo edilizio sia stato notificato al
richiedente in tempi irragionevolmente
lunghi, da apprezzarsi in base alle concrete
dimensioni degli uffici e della
organizzazione del Comune, sussiste in capo
all’Ente un preciso obbligo di intervento
volto ad accertare:
a) l’attuale validità del titolo edilizio:
il contesto potrebbe infatti essere mutato e
l’oggetto dell’intervento edilizio a suo
tempo assentito potrebbe necessitare di
modifiche, adeguamenti o, in ipotesi,
potrebbe anche essere divenuto
irrealizzabile, con ogni evidente
conseguenza in ordine al potere-dovere di
annullamento del titolo sussistente in capo
al Comune (tale obbligo, nella fattispecie
in esame è rafforzato dal fatto che il
ricorrente ha chiesto espressamente la
verifica della compatibilità tra il titolo
edilizio e lo strumento urbanistico,
lamentando varie violazioni di
quest’ultimo);
b) la responsabilità della mancata
comunicazione, che costituisce violazione
dei doveri di ufficio dei responsabili degli
uffici preposti.
Nella odierna fattispecie, l’attivazione di
tali poteri di intervento va considerata
come implicitamente compresa nella istanza
del ricorrente che è rimasta inevasa: sul
Comune incombe infatti l’obbligo, come si è
visto prima, di dare risposta alla istanza
del privato volta ad ottenere l’esercizio di
un potere doveroso quale quello del
controllo della validità delle
trasformazioni edilizie in corso sul
territorio; inoltre, sussiste in capo al
ricorrente un preciso interesse alla
trasparenza dell’azione amministrativa, che
è tutelato dalla legge come interesse
generale ed altresì come interesse legittimo
sussistente in capo agli interessati ed ai
controinteressati di un procedimento
amministrativo.
In tal senso, il Comune deve rispondere al
ricorrente informandolo di ogni aspetto del
procedimento che possa concorrere a fare
piena chiarezza sulle ragioni del ritardo
con il quale il rilascio del titolo si è
completato ed, inoltre, deve accertare
l’attuale coerenza del progetto edilizio con
il contesto territoriale nel procedimento
amministrativo aperto alla partecipazione
degli interessati e dei controinteressati.
A tale proposito non soddisfa l’obbligo di
attualizzazione del titolo edilizio
l’allegato con il quale è stato “modificato”
il progetto originale prescrivendo un
prolungamento del marciapiede.
L’accertamento va, infatti, condotto anche
nelle forme e con le garanzie proprie del
procedimento edilizio, primo tra tutte
l’acquisizione del parere della Commissione
edilizia, ove esistente nell’ordinamento
comunale, nonché l’adozione di un atto di
modifica della concessione edilizia
originaria, nelle forme di legge e
l’adeguamento degli importi degli oneri
concessori e del contributo di costruzione,
ove necessario.
Per tutte queste ragioni e nei limiti
indicati, il ricorso è fondato limitatamente
alla domanda di condanna del Comune a
provvedere sulla istanza del ricorrente, che
andrà evaso nei termini sopra indicati,
entro il termine di giorni 30 (trenta)
decorrenti dalla comunicazione della
presente sentenza.
Per assicurare effettività al precetto di
cui alla presente sentenza, il Collegio
ritiene di ordinarne l’esecuzione al Comune
e, per esso, alle persone del Sindaco, del
Segretario comunale e del Responsabile
dell’Ufficio tecnico, o altro ufficio
comunale avente competenza in materia di
edilizia ed urbanistica, secondo lo Statuto
ed il regolamento dell’Ente, ciascuno
secondo la propria competenza e
responsabilità.
L’obbligo a provvedere incombe anche sull’ARTA,
destinatario della diffida inevasa, il quale
non ha attivato i propri poteri di controllo
e di intervento, ex art. 53, LR 71/1978.
Quest’ultimo si assicurerà che nei termini
indicati avvenga l’esecuzione dell’obbligo a
provvedere.
In mancanza, provvederà, a sua volta, ad
esercitare i propri poteri di intervento,
nei successivi 30 (trenta) giorni.
Decorso quindi anche quest’ultimo termine,
in mancanza di puntuale e completa
esecuzione dell’obbligo a provvedere, dietro
istanza di parte ritualmente notificata a
controparte, il Tribunale nominerà un
commissario ad acta che, sostituitosi al
Comune inadempiente, provvederà in luogo di
quest’ultimo, con spese ed oneri a carico
del Comune e dell’ARTA in solido.
La presente sentenza è trasmessa alla
Procura della Repubblica di Messina perché
accerti se sussistano elementi di reato
perseguibili d’ufficio
(TAR Sicilia-Catania, Sez. I,
sentenza 07.04.2009 n. 678 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
In tema di prescrizione del
conguaglio dell’oblazione, la riduzione del
relativo termine dai 10 anni ai 36 mesi
stabilito dall’art. 35, comma 18, l.
28.02.1985 n. 47, come modificato dall'art.
4 d.l. 12.01.1988 n. 2, conv. in L.
13.03.1988 n. 68, s’applica ai rapporti
pendenti ai sensi dell’art. 252 disp. trans.
c.p.c., nel senso che decorre dalla data di
entrata in vigore della novella per intero,
salvo il caso in cui il termine residuo
della prescrizione ordinaria sia inferiore
ai tre anni.
Soltanto l’omessa presentazione della
documentazione prescritta per le domanda di
condono edilizio non fa decorrere, oltre che
il termine di 24 mesi per la formazione di
silenzio assenso, quello collegato di
trentasei mesi per la prescrizione del
diritto al conguaglio dell’oblazione
previsto dall'art. 35, L. 28.02.1985 n. 47.
Trascorsi 36 mesi dalla presentazione della
domanda di condono si prescrive, per fatto
di legge, il diritto del comune di ottenere
il conguaglio delle somme dovute a titolo di
oblazione; conseguentemente è illegittimo il
provvedimento con il quale il Comune
ingiunge il pagamento di un importo
ulteriore rispetto a quello determinato in
sede di presentazione della domanda di
sanatoria e sopraggiunto dopo il decorso del
termine di prescrizione del diritto
dell'amministrazione all'emanazione di atti
sanzionatori.
Come chiarito dalla giurisprudenza (cfr. TAR
Sicilia-Palermo, sez. I, 06.07.2004, n. 769:
C.d.s. sez. V, 19.04.2007, n. 1809) in tema
di prescrizione del conguaglio
dell’oblazione, la riduzione del relativo
termine dai dieci anni ai trentasei mesi
stabilito dall’art. 35, comma 18, l.
28.02.1985 n. 47, come modificato dall'art.
4 d.l. 12.01.1988 n. 2, conv. in L.
13.03.1988 n. 68, s’applica ai rapporti
pendenti ai sensi dell’art. 252 disp. trans.
c.p.c., nel senso che decorre dalla data di
entrata in vigore della novella per intero,
salvo il caso in cui il termine residuo
della prescrizione ordinaria sia inferiore
ai tre anni.
Soltanto l’omessa presentazione della
documentazione prescritta per le domanda di
condono edilizio non fa decorrere, oltre che
il termine di ventiquattro mesi per la
formazione di silenzio assenso, quello
collegato di trentasei mesi per la
prescrizione del diritto al conguaglio
dell’oblazione previsto dall'art. 35, L.
28.02.1985 n. 47 (cfr. TAR Puglia Bari, sez.
III, 05.06.2004, n. 3394).
Poiché con riguardo alla prescrizione
dell'obbligazione relativa all'oblazione per
il condono edilizio il "dies a quo"
del termine prescrizionale, previsto
dall'art. 35, comma 18, l. n. 47 del 1985,
per l'esercizio del diritto al conguaglio
-da qualificare termine breve ed eccezionale
rispetto al termine ordinario decennale-
decorre dalla presentazione della domanda di
concessione in sanatoria, ovvero dalla
integrazione della documentazione da
allegare alla domanda e non dal
provvedimento comunale che conclude il
procedimento di condono edilizio, ovvero
dalla maturazione del silenzio assenso (cfr.
TAR Sicilia Catania, sez. I, 25.02.2004, n.
449), il Collegio ritiene fondato il
relativo motivo di ricorso.
Deve affermarsi, infatti, che in virtù
dell'art. 35, comma 12, l. n. 47 del 1985, e
successive integrazioni e modificazioni,
trascorsi trentasei mesi dalla presentazione
della domanda di condono si prescrive, per
fatto di legge, il diritto del comune di
ottenere il conguaglio delle somme dovute a
titolo di oblazione; conseguentemente è
illegittimo il provvedimento con il quale il
Comune ingiunge il pagamento di un importo
ulteriore rispetto a quello determinato in
sede di presentazione della domanda di
sanatoria e sopraggiunto dopo il decorso del
termine di prescrizione del diritto
dell'amministrazione all'emanazione di atti
sanzionatori.
Più in generale, il Collegio osserva che
l’art. 4, comma 6, decreto legge n. 2 del
1988 (come modificato dalla legge di
conversione n. 68 del 1988) -che ha,
successivamente all'entrata in vigore della
legge n. 47 del 1985, stabilito che, decorsi
36 mesi dalla domanda di concessione in
sanatoria, "si prescrive l'eventuale
diritto al conguaglio ed al rimborso
spettanti"- ha solo ridotto a 36 mesi il
termine di prescrizione decennale e non ha,
invece, ampliato il termine di 24 mesi di
cui all'art. 35, comma 12, della legge n. 47
del 1985, che si riferisce all'emanazione
del solo provvedimento amministrativo sulla
domanda di concessione in sanatoria; da ciò
ne deriva che avendo il silenzio assenso
(eventualmente formatosi in seguito al
decorso di 24 mesi dalla domanda senza alcun
provvedimento espresso dell'amministrazione)
effetti limitati alla costituzione del
tacito provvedimento di concessione in
sanatoria, l'autorità comunale conserva, sì,
integra la potestà di rettificare l'importo
dell'oblazione auto-determinato dal
richiedente purché, però, eserciti il
relativo potere entro il termine
prescrizionale suddetto.
Solo il tempestivo esercizio del potere
nell’indicato termine perentorio consente,
infatti, al Comune di pretendere il
pagamento del relativo conguaglio senza,
peraltro, essere obbligato a fornire alcuna
motivazione sull'interesse pubblico ad
effettuare la rettifica di cui trattasi, non
configurandosi quest'ultima, in siffatta
evenienza, come annullamento d'ufficio di un
provvedimento precedente, ovvero del preteso
silenzio assenso avente valore equivalente,
bensì come mero esercizio di una facoltà
rientrante nel diritto soggettivo ad
ottenere il pagamento della somma dovuta
(cfr Consiglio Stato, sez. V, 22.11.1996, n.
1388)
(TAR Lazio-Latina,
sentenza 04.07.2007 n. 477 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
L’accesso ai documenti
amministrativi: in particolare, ai pareri
legali.
Giova chiarire, preliminarmente e in via
generale, che nell’impianto normativo della
l. 07.08.1990, n. 241 -Capo V (art. 22 e
ss.)- il diritto di accesso ai documenti
amministrativi costituisce un principio
generale dell’attività amministrativa volto
a favorire la partecipazione e ad
assicurarne l’imparzialità e la trasparenza,
in puntuale applicazione dei principi di
legalità, imparzialità e buona
amministrazione (ex art. 97 Cost.), che si
inserisce, peraltro, a livello comunitario
nel più generale diritto all’informazione
dei cittadini rispetto all’organizzazione e
alla attività amministrativa.
L’accesso ai documenti amministrativi
attiene ai livelli essenziali delle
prestazioni concernenti i diritti civili e
sociali che devono essere garantiti su tutto
il territorio nazionale. Sicché, in via
generale, tutti i documenti amministrativi
sono accessibili: le eccezioni a tale
principio sono così fissate tassativamente
dal successivo art. 24, commi 1, 2, 3, 5 e
6, l. n. 241/1990, nonché con normativa di
fonte secondaria (cd. limiti eventuali
all’accesso, ex art. 22, comma 6, l. cit.).
L’articolo 22 della legge n. 241/1990
individua, poi, un concetto ampio di
documento amministrativo, comprensivo anche
degli atti provenienti da soggetti diversi
dalla stessa amministrazione. L’Adunanza
Plenaria, con le decisioni n. 4 e 5 del
1999, ha chiarito che la disciplina
dell’accesso si estende anche agli atti di
diritto privato, purché correlati al
perseguimento degli interessi pubblici
affidati alla cura dell’amministrazione[1].
Tuttavia, nell’ambito del cd. accesso
endoprocedimentale (o partecipativo)
l’interesse conoscitivo dell’istante viene
in rilevo ex sé. Infatti, a mente dell’art.
10, l. n. 241/1990, coloro nei confronti dei
quali il provvedimento finale è destinato a
produrre effetti diretti o che per legge
debbono intervenirvi (cfr., art. 7, 1°
comma, l. n. 241) e qualunque soggetto … cui
possa derivare un pregiudizio dal
provvedimento (cfr., art. 9, l. n. 241)
hanno diritto di accedere ai documenti
amministrativi. Pertanto, il soggetto
partecipante al procedimento amministrativo
null’altro deve dimostrare -per legittimare
l’istanza ostensiva nei confronti dei
relativi atti e documenti- se non la veste
di parte dello stesso procedimento.
Diversamente, la più generale tutela di cui
all’art. 22 e ss., l. n. 241/1990 (cd.
accesso esoprocedimentale), riconosciuta al
soggetto estraneo al procedimento
amministrativo esige che il richiedente
l’accesso dimostri la titolarità di un
interesse giuridicamente rilevante collegato
agli atti di cui chieda l’esibizione[2].
Invero, l’ostensione ai documenti
amministrativi è concessa a tutti coloro che
abbiano un interesse diretto, concreto ed
attuale, corrispondente ad una situazione
giuridicamente tutelata e collegata al
documento al quale è chiesto l’accesso
(cfr., art. 22, 1° comma, l. n. 241/1990 e
art. 2, d.P.R. 12.04.2006, n. 184, recante
Regolamento recante disciplina in materia di
accesso ai documenti amministrativi).
La prevalente giurisprudenza è concorde nel
ritenere che l’aggettivo tutelata non indica
l’esigenza che la situazione soggettiva
debba essere suscettibile di immediata
tutela giurisdizionale, dalla quale
discenderebbe una sua identificazione nelle
sole posizioni di diritto soggettivo e
interesse legittimo, ma l’esigenza che essa
sia qualificata (e/o differenziata)
dall’ordinamento giuridico. E ciò in ragione
del fatto che il diritto d’accesso, oltre
alla rilevanza costituzionale, trova la sua
collocazione nei livelli essenziali delle
prestazioni concernenti i diritti civili e
sociali.
Sicché, a legittimare l’accesso è
sufficiente qualsiasi interesse
differenziato e protetto dall’ordinamento,
purché serio e non emulativo, anche se non
immediatamente azionabile in giudizio[3]. Ne
consegue che per l’esercizio del diritto di
accesso non è necessario che l’istante sia
titolare di una situazione giuridica di
diritto soggettivo o di interesse legittimo
(ossia posizioni giuridiche soggettive piene
e fondate), essendo sufficiente che
l’istante versi in una posizione giuridica
soggettiva, allo stato, anche meramente
potenziale[4].
Non deve, tuttavia, trattarsi di un mero
interesse di fatto. Tanto è vero che
l’accesso ai documenti della pubblica
amministrazione non è uno strumento
preordinato ad un controllo generalizzato
dell’operato delle pubbliche amministrazioni
(cfr., art. 24, 3° comma, l. n.
241/1990)[5]. Di talché, è sempre necessaria
la motivazione della richiesta di accesso ai
documenti amministrativi (cfr., art. 25, 2°
comma, l. n. 241/1990). Invero, il 2° comma
dell’art. 5 del regolamento di cui al d.P.R.
12.04.2006, n. 184 stabilisce espressamente
che “il richiedente deve indicare gli
estremi del documento oggetto della
richiesta ovvero gli elementi che ne
consentano l’individuazione, specificare e,
ove occorra, comprovare l’interesse connesso
all’oggetto della richiesta, dimostrare la
propria identità e, ove occorra, i propri
poteri di rappresentanza del soggetto
interessato”[6].
In buona sostanza, i principi posti in tema
di interesse ad agire per l’accesso devono
intendersi come utilità del documento alla
concreta protezione della situazione
giuridicamente rilevante[7]. Ne consegue
che, oltre ad un interesse giuridicamente
rilevante (inteso nella più ampia accezione,
ovvero anche solo potenziale), costituisce
presupposto necessario all’esercizio del
diritto di accesso un rapporto di
strumentalità tra la situazione giuridica e
la documentazione di cui si chiede
l’ostensione, quale mezzo utile per la
difesa dell’interesse giuridicamente
rilevante, e non strumento di prova diretta
della lesione di tale interesse[8].
In proposito, si è di recente osservato in
giurisprudenza che l’accertamento
dell’interesse all’accesso alla
documentazione amministrativa va effettuato
con riferimento alle finalità che il
richiedente dichiara di perseguire e postula
un nesso logico-funzionale tra il fine
dichiarato dal ricorrente medesimo e la
documentazione da lui richiesta, con la
conseguenza che il titolare del preteso
diritto di accesso deve esporre non soltanto
le ragioni per cui intende accedere alla
documentazione anzidetta ma comprovare -ove
necessario, anche giudizialmente- la
coerenza di tali ragioni con gli scopi alla
cui realizzazione il diritto di accesso è
preordinato[9].
La giurisprudenza ha, altresì, chiarito che
l’interesse conoscitivo (sotteso al diritto
di accesso) non coincide (né si sovrappone)
con la situazione giuridicamente
tutelata[10]. Quest’ultima è il presupposto
legittimante l’esercizio del diritto
d’accesso ai documenti amministrativi,
distinta (sebbene correlata e/o collegata)
dall’interesse all’accesso. Ciò significando
che l’attualità (di cui all’art. 22, 1°
comma, lett. b), l. n. 241/1990) è una
caratteristica dell’interesse conoscitivo
dell’istante, piuttosto che della situazione
giuridica tutelata (legittimante l’accesso).
La giurisprudenza si è, infatti, attestata
sul principio per il quale il diritto di
accesso può essere connesso anche ad un
interesse di carattere esclusivamente
potenziale, correlato ad eventi e situazioni
non ancora concretizzatisi. Da qui anche la
netta distinzione rispetto all’interesse ad
agire in giudizio, che presuppone invece
l’attualità della lesione della situazione
giuridica rilevante, ben potendo l’accesso
essere finalizzato alle valutazioni
preliminari in ordine al se proporre tale
azione, e quindi a evitare iniziative
giurisdizionali al buio[11]; sotto tale
profilo, è sufficiente che l’istante
fornisca elementi idonei a dimostrare in
maniera sufficientemente chiara e concreta
la sussistenza di un tale astratto
interesse[12].
Tanto chiarito in via generale, si rileva
che i limiti principali al diritto di
accesso sono rappresentati dalla segretezza
e dalla riservatezza. La prima risponde
all’esigenza di tutelare interessi pubblici
e generali; la seconda, invece, attribuisce
rilievo all’interesse privatistico di
mantenere il riserbo in ordine a vicende che
coinvolgono la sfera personale o
economico-patrimoniale di singoli soggetti,
siano essi singoli cittadini o persone
giuridiche[13].
In particolare, l’art. 24, comma 1, della
legge 07.08.1990, n. 241, stabilisce che il
diritto di accesso è escluso per i documenti
coperti da segreto di Stato ai sensi
dell’articolo 12 della legge 24.10.1977, n.
801, nonché nei casi di segreto o di divieto
di divulgazione altrimenti previsti
dall’ordinamento. L’art. 2 del D.P.C.M.
26.01.1996, n. 200[14], (rubricato categorie
di documenti inaccessibili nei casi di
segreto o di divieto di divulgazione
previsti dall’ordinamento), prevede poi che
a ai sensi dell’art. 24, comma 1, della
Legge 07.08.1990, n. 241, in virtù del
segreto professionale già previsto
dall’ordinamento, al fine di salvaguardare
la riservatezza nei rapporti tra difensore e
difeso, sono sottratti all’accesso i
seguenti documenti:
a) pareri resi in relazione a lite in
potenza o in atto e la inerente
corrispondenza;
b) atti defensionali;
c) corrispondenza inerente agli affari di
cui ai punti a) e b).
I pareri legali sono inoltre sottoposti al
segreto professionale di cui all’art. 622
c.p. e art. 200 c.p.p.
Pertanto, in ordine all’accesso ai pareri
legali resi all’amministrazione procedente,
si è posto il problema di contemperare il
principio di trasparenza e pubblicità
dell’attività amministrativa ed il diritto
della pubblica amministrazione alla
riservatezza e segretezza di atti che
contengono impostazioni difensive relativi a
contenziosi attuali o futuri,
contrapposizione in relazione alla quale
l’ordinamento, a livello statale, è
intervenuto approvando la specifica
disciplina contenuta nel DPCM 26.01.1996, n.
200.
In via generale, la giurisprudenza e la
dottrina -che maggiormente si sono occupati
della questione- hanno ritenuto che i pareri
legali si considerano soggetti all’accesso
ove siano riferiti all’iter procedimentale e
vengano pertanto ad innestarsi nel
provvedimento finale, mentre sono coperti
dal segreto professionale (artt. 622 c.p. e
200 c.p.p.) quando attengano alle tesi
difensive in un procedimento
giurisdizionale[15]: conclusione confermata
anche dagli artt. 2 e 5 del DPCM 26.01.1996,
n. 200.
In particolare, con la pronuncia in esame,
il Consiglio di Stato ha affermato che
nell’ambito dei documenti sottratti
all’accesso rientrano gli atti redatti dai
legali e dai professionisti in relazione a
specifici rapporti di consulenza con
l’amministrazione, trattandosi di un segreto
che gode di una tutela qualificata,
dimostrata dalla specifica previsione degli
articoli 622 del codice penale e 200 del
codice di procedura penale. Più
specificamente, si è precisato che la
previsione contenuta nell’art. 2 del DPCM
26.01.1996, n. 200, mira proprio a definire
con chiarezza il rapporto tra accesso e
segreto professionale, fissando una regola
che appare sostanzialmente ricognitiva dei
principi applicabili in questa materia,
anche al di fuori dell’ambito della difesa
erariale.
Infatti, l’art. 2 cit. ha una portata
generale, codificando il principio -
valevole per tutti gli avvocati, siano essi
del libero foro o appartenenti ad uffici
legali di enti pubblici - secondo cui,
essendo il segreto professionale
specificamente tutelato dall’ordinamento,
sono sottratti all’accesso gli scritti
defensionali[16]. Il principio di diritto
risponde ad elementari considerazioni di
salvaguardia della strategia processuale
della parte, che non è tenuta a rivelare ad
alcun soggetto e, tanto meno, al proprio
contraddittore, attuale o potenziale, gli
argomenti in base ai quali intende confutare
le pretese avversarie.
È pacifico in dottrina come in
giurisprudenza che in ordine alle consulenze
legali esterne, a cui l’Amministrazione può
ricorrere in diverse forme ed in diversi
momenti dell’attività di sua competenza, la
medesima consulenza legale, pur traendo
origine da un rapporto privatistico,
normalmente caratterizzato dalla
riservatezza della relazione tra
professionista e cliente, è soggetto
all’accesso, quando oggettivamente correlato
ad un procedimento amministrativo. Invero,
in tali ipotesi, il ricorso alla consulenza
legale esterna si inserisce nell’ambito di
un’apposita istruttoria procedimentale, nel
senso che il parere è richiesto al
professionista con l’espressa indicazione
della sua funzione endoprocedimentale ed è
poi richiamato nella motivazione dell’atto
finale.
Diversamente, quando la consulenza legale
viene resa dopo l’avvio di un procedimento
contenzioso oppure dopo l’inizio di tipiche
attività pre-contenziose e l’amministrazione
si rivolge ad un professionista di fiducia,
al fine di definire la propria strategia
difensiva, il parere del legale non è
affatto destinato a sfociare in una
determinazione amministrativa finale, ma
mira a fornire all’ente pubblico tutti gli
elementi tecnico–giuridici utili per
tutelare i propri interessi. In tal caso le
consulenze legali restano caratterizzate
dalla riservatezza, che mira a tutelare non
soltanto l’opera intellettuale del legale,
ma anche la stessa posizione
dell’amministrazione, la quale, esercitando
il proprio diritto di difesa (art. 24
Cost.), deve poter fruire di una tutela non
inferiore a quella di qualsiasi altro
soggetto dell’ordinamento.
Il Consiglio di Stato ha inoltre chiarito
che vi è anche una fase intermedia, in cui
si manifesta il principio della riservatezza
della consulenza legale, successiva alla
definizione del rapporto amministrativo
all’esito del procedimento, ma precedente
l’instaurazione di un giudizio o l’avvio
dell’eventuale procedimento pre-contenzioso.
Invero, in tali casi, il ricorso alla
consulenza legale persegue lo scopo di
consentire all’amministrazione di articolare
le proprie strategie difensive, in ordine ad
un lite che, pur non essendo ancora in atto,
può considerarsi quanto meno potenziale. Ciò
avviene, precisa il Collegio, quando il
soggetto interessato chiede
all’amministrazione l’adempimento di una
obbligazione, o quando, in linea più
generale, la parte interessata domanda
all’amministrazione l’adozione di
comportamenti materiali, giuridici o
provvedimentali, intesi a porre rimedio ad
una situazione che si assume illegittima od
illecita.
Dunque, volendo schematizzare, il diritto di
accesso deve essere riconosciuto con
riferimento ai pareri legali richiesti
nell’ambito dell’attività istruttoria
prodromica all’adozione del provvedimento
amministrativo.
Il diritto di accesso è, invece, escluso,
oltre che ovviamente per gli atti
defensionali, anche per i pareri legali:
- dopo l’avvio di un procedimento
contenzioso;
- dopo l’avvio di un eventuale procedimento
pre-contenzioso;
- nella fase intermedia successiva alla
definizione del rapporto amministrativo
all’esito del procedimento, ma precedente
l’instaurazione di un giudizio o l’avvio di
un eventuale procedimento pre-contenzioso
(Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 30.09.2010 n. 7237 -
link a www.altalex.com). |
AGGIORNAMENTO AL 03.02.2011 |
ã |
SINDACATI |
ENTI LOCALI:
Scheda informativa: impiego in
lavori socialmente utili negli enti locali
[per titolari di integrazioni al reddito
(CIGS, mobilità, disoccupazione]
(CGIL-FP di Bergamo,
febbraio 2011). |
NOTE,
CIRCOLARI E COMUNICATI |
PUBBLICO IMPIEGO: Oggetto:
Trattenute mensili sugli stipendi dei
dipendenti pubblici mediante l'istituto
della delegazione – Oneri a carico degli
istituti delegatari – Istruzioni operative
(Ministero dell'Economia e delle Finanze,
Ragioneria Generale dello Stato,
circolare 17.01.2011 n. 1/RGS -
link a www.rgs.mef.gov.it). |
GURI - GUUE -
BURL (e anteprima) |
PUBBLICO IMPIEGO: G.U.
28.01.2011 n. 22 "Istruzioni operative,
per le trattenute mensili sugli stipendi dei
dipendenti pubblici mediante l’istituto
della delegazione con oneri a carico degli
istituti delegatari" (Ministero
dell'Economia e delle Finanze, Ragioneria
Generale dello Stato,
circolare 17.01.2011 n. 1/RGS). |
DOTTRINA E
CONTRIBUTI |
COMPETENZE PROGETTUALI:
A. Mafrica e M. Petrulli,
Richiesta di permesso di costruire con
progettazione firmata da geometra:
suggerimenti operativi per l'ufficio tecnico
comunale (Ufficio Tecnico n.
11-12/2010). |
ESPROPRIAZIONE:
M. Spagnuolo,
La reviviscenza dell'occupazione
appropriativa (nota a commento di Corte
Costituzionale, sentenza 04-08.10.2010 n.
293) (Ufficio Tecnico n.
11-12/2010). |
INCARICHI PROGETTUALI - PUBBLICO IMPIEGO:
M. Balestieri,
Conferimento di incarichi di progettazione e
di direzione dei lavori ai dirigenti a
contratto: danno erariale
(Ufficio Tecnico n. 11-12/2010). |
EDILIZIA PRIVATA:
N. D'Angelo,
Opere precarie ed autorizzazione precarie:
la ricerca di strumenti alternativi per
aggirare la disciplina urbanistica
(Ufficio Tecnico n. 11-12/2010). |
GIURISPRUDENZA |
APPALTI SERVIZI: E'
legittimo avviare, prima di un anno dalla
scadenza, la procedura di gara per
l’affidamento del servizio di distribuzione
del Gas.
L'art. 14, comma 7, del D.Lgs. 23.05.2000 n.
164 sancisce che "gli enti locali avviano
la procedura di gara non oltre un anno prima
della scadenza dell'affidamento, in modo da
evitare soluzioni di continuità nella
gestione del servizio".
La norma pone, dunque, come principio che le
gare per l'affidamento del servizio di
distribuzione del gas siano avviate con
anticipo rispetto alla scadenza delle
concessioni in essere. Il legislatore,
peraltro, si è limitato a prevedere, a tal
fine, il rispetto di un termine minimo, "non
oltre un anno prima della scadenza
dell'affidamento", consentendo agli enti
locali di attivarsi anche prima della
scadenza del termine anzidetto.
Questo è il
caso sottoposto all’attenzione del collegio
dei giudici amministrativi chiamati a
vagliare la posizione assunta dai colleghi
del Tar di Brescia.
Un comune, avente in essere un contratto con
una società per la distribuzione del Gas, ha
avviato, tre anni prima della s cadenza del
contratto suddetto, le procedure per
individuare il nuovo affidatario. Tale
scelta è stata posta in discussione
dall’attuale gestore del servizio che, sulla
base della disposizione di cui al comma 7
dell’art. 14, ha sostenuto l’illegittimità di
una tale determinazione in quanto
suscettibile di pregiudicare i partecipanti
alla gara, impedendo loro di presentare
offerte consapevoli.
I giudici di Palazzo Spada non hanno
condiviso le perplessità di parte ricorrente
e aderendo alla posizione espressa dai
colleghi del Tar, hanno invece sostenuto la
congruità del tempo preso
dall’amministrazione e ne hanno sottolineato
la conformità al principio di buon andamento
della Pubblica Amministrazione.
Parimenti legittima è stata considerata la
previsione del bando di gara con la quale è
stata presa in considerazione la possibilità
di un affidamento anticipato del servizio
per l'ipotesi in cui fosse stato modificato
il regime transitorio del D.Lgs. n.
164/2000, consentendosi agli enti affidanti
di sciogliere i rapporti concessori in
essere prima del 31.12.2009.
A dispetto di quanto sostenuto dalla società
ricorrente secondo cui ciò avrebbe
introdotto una forte indeterminatezza circa
la decorrenza del nuovo rapporto che non
avrebbe consentito alla medesima di
formulare la propria offerta con piena
cognizione delle condizioni di affidamento,
i giudici del Consiglio di Stato hanno
ritenuto la previsione del bando neutra e
priva di concreta lesività limitandosi ad
imporre all'aggiudicatario il rispetto di
una eventuale, ipotetica normativa
sopravvenuta: in sostanza come appunto
rilevato dal Tar la previsione obbliga il
concessionario a fare: “...quanto in
futuro sarà previsto dalla legge”
(commento tratto da
www.documentazione.ancitel.it - Consiglio di
Stato, Sez. V,
sentenza 26.01.2011 n. 581 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
PUBBLICO IMPIEGO: La
delega alle funzioni di ufficiale dello
stato civile non determina il conferimento
di un incarico formale allo svolgimento di
mansioni superiori.
Il ricorrente, nella pronuncia che
commentiamo, in possesso della VI
qualifica funzionale, sulla base del fatto
di aver espletato, su delega del Sindaco,
funzioni di ufficiale dello stato civile,
rivendicava il trattamento economico della
qualifica corrispondente all’ottavo livello,
nel quale andava inquadrato il soggetto
svolgente le funzioni di ufficiale dello
stato civile.
Per prima cosa, osservano i giudici del
Consiglio di Stato, va rilevato che
l’appellante non è stato incaricato di
svolgere le funzioni superiori con un atto
formale, ma è stato soltanto delegato dal
Sindaco di svolgere le funzioni di ufficiali
di stato civile.
E la delega, continuano gli stessi giudici,
essendo un istituto particolare del diritto
amministrativo, per cui un soggetto viene
investito di volta in volta di svolgere un
determinato compito che non rientra nelle
sue specifiche attribuzioni, ma in quelle
del soggetto delegante, si connette ad un
meccanismo che è tipico di un dipendente che
è tenuto ad adeguarsi alla delega, per cui
lo stesso non opera nell’ambito di funzioni
proprie ma in quelle di un altro organo che
è invece titolare delle medesime.
Pertanto, dato che è ammissibile la delega
del Sindaco ad un dipendente in possesso
della VI qualifica funzionale, in questa
occasione non si è configurata l’emanazione
di un provvedimento formale di svolgimento
di mansioni superiori, ma soltanto quello di
provvedere in delegazione al compimento di
attività di un altro organo.
Ora, concludono i giudici d’appello, tali
deleghe, se potranno essere eventualmente
valutate in sede di possesso di titolo per
lo svolgimento qualificato di funzioni
particolari (quelle di ufficiale dello stato
civile) non determinano comunque il
conferimento di un incarico formale dello
svolgimento di mansioni superiori
(commento tratto da
www.documentazione.ancitel.it - Consiglio di
Stato, Sez. V,
sentenza 26.01.2011 n. 561 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI: Non
esiste alcun divieto di gestione diretta del
servizio di illuminazione votiva
cimiteriale.
Col ricorso contenuto nella pronuncia in
rassegna la società originaria ricorrente
impugnava una delibera avente ad oggetto "Indirizzo
agli uffici per la gestione diretta del
servizio di illuminazione votiva nei
cimiteri comunali”, con cui era stato
deciso di esercitare nella forma
dell’amministrazione diretta la gestione e
la manutenzione delle lampade votive
all’interno dei cimiteri comunali,
censurando il tutto per violazione dell’art.
113, t.u.e.l., e dell’art. 23-bis, d.l. n.
112/2008.
I giudici del Consiglio di Stato hanno
accolto l’appello, spiegando che i primi
giudici hanno ignorato la distinzione tra
gestione diretta (sempre praticabile
dall’ente locale, soprattutto quando si
tratti di attività di modesto impegno
finanziario, come nella specie: poche
migliaia di euro all’anno) ed affidamento
diretto, postulante la scelta di attribuire
la gestione di un servizio all’esterno del
comune interessato, il che non può accadere
se non mediante gara ad evidenza pubblica.
Infatti, nessuna norma obbliga i comuni ad
affidare all’esterno determinati servizi
(illuminazione pubblica, centri
assistenziali, case di accoglienza, case di
riposo, case famiglia, assistenza
domiciliare per anziani ed handicappati,
asili nido, mense scolastiche, scuola-bus,
biblioteche, impianti sportivi: tutti
servizi che, notoriamente, gran parte dei
comuni italiani gestiscono direttamente,
senza appaltarli a privati), ove
preferiscano amministrarli in via diretta e
magari in economia, mentre, nel caso di una
differente scelta, il discusso conferimento
a terzi deve avvenire tramite gara
rispettosa del regime comunitario di libera
concorrenza.
Né si vede per quali motivi un ente locale
debba rintracciare un’esplicita norma
positiva per poter fornire direttamente ai
propri cittadini un servizio tipicamente
appartenente al novero di quelli per cui
esso viene istituito; nella specie, la
disciplina legislativa sopra richiamata non
contiene alcun divieto esplicito né
implicito in tal senso.
Il cit. art. 23-bis recita, ai commi 2 e 3:
“Il conferimento della gestione dei
servizi pubblici locali avviene, in via
ordinaria:
a) a favore di imprenditori o di società in
qualunque forma costituite individuati
mediante procedure competitive ad evidenza
pubblica, nel rispetto dei principi del
Trattato che istituisce la Comunità europea
e dei principi generali relativi ai
contratti pubblici e, in particolare, dei
principi di economicità, efficacia,
imparzialità, trasparenza, adeguata
pubblicità, non discriminazione, parità di
trattamento, mutuo riconoscimento e
proporzionalità;
b) a società a partecipazione mista pubblica
e privata, a condizione che la selezione del
socio avvenga mediante procedure competitive
ad evidenza pubblica, nel rispetto dei
principi di cui alla lettera a), le quali
abbiano ad oggetto, al tempo stesso, la
qualità di socio e l’attribuzione di
specifici compiti operativi connessi alla
gestione del servizio e che al socio sia
attribuita una partecipazione non inferiore
al 40 per cento.
In deroga alle modalità di affidamento
ordinario di cui al comma 2, per situazioni
eccezionali che, a causa di peculiari
caratteristiche economiche, sociali,
ambientali e geomorfologiche del contesto
territoriale di riferimento, non permettono
un efficace e utile ricorso al mercato,
l'affidamento può avvenire a favore di
società a capitale interamente pubblico,
partecipata dall'ente locale, che abbia i
requisiti richiesti dall'ordinamento
comunitario per la gestione cosiddetta in
house e, comunque, nel rispetto dei principi
della disciplina comunitaria in materia di
controllo analogo sulla società e di
prevalenza dell'attività svolta dalla stessa
con l'ente o gli enti pubblici che la
controllano”.
Appartiene, in realtà, alla dimensione
dell’inverosimile, secondo i giudici
d’appello, immaginare che un comune di non
eccessiva grandezza non possa gestire
direttamente un servizio come quello
dell’illuminazione votiva cimiteriale,
esigente solo l’impegno periodico di una
persona e la spesa annua di qualche migliaio
di euro, laddove l’esborso sarebbe
notoriamente ben maggiore solo per potersi
procedere a tutte le formalità necessarie
per la regolare indizione di una gara
pubblica
(commento tratto da
www.documentazione.ancitel.it - Consiglio di
Stato, Sez. V,
sentenza 26.01.2011 n. 552 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA:
In caso di reiterazione dei
vincoli espropriativi realizzata con
variante del p.r.g., il termine per
l'impugnazione decorre dalla data di
pubblicazione del piano.
Secondo costante giurisprudenza, in
particolare C.d.S. sez. IV 27.07.2007 n.
4198, che si cita per tutte, infatti “in
caso di reiterazione di vincoli a contenuto
espropriativo posta in essere attraverso una
variante del piano regolatore generale, il
termine per l'impugnazione decorre dalla
data di pubblicazione del piano, non essendo
necessaria la notifica individuale dello
strumento approvato”. Si tratta infatti
di “prescrizioni che in via immediata
stabiliscono le potenzialità edificatorie
della porzione di territorio interessata”,
che quindi sono immediatamente lesive e
vanno immediatamente impugnate, come
affermato da ultimo, proprio con riferimento
alla localizzazione di opere pubbliche, da
C.d.S. sez. VI 08.09.2009 n. 5258 (TAR Lombardia-Brescia,
Sez. II,
sentenza 21.01.2011 n. 145 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
La scelta dei criteri più
adeguati per l'individuazione dell'offerta
economicamente più vantaggiosa è sottratta
al sindacato di legittimità del giudice
amministrativo.
La scelta dei criteri più adeguati per
l'individuazione dell'offerta economicamente
più vantaggiosa costituisce espressione
tipica della discrezionalità della stazione
appaltante e, impingendo nel merito
dell'azione amministrativa, è sottratta al
sindacato di legittimità del giudice
amministrativo, tranne che, in relazione
alla natura, all'oggetto e alle
caratteristiche del contratto, non sia
manifestamente illogica, arbitraria ovvero
macroscopicamente viziata da travisamento di
fatto, con la conseguenza che il giudice
amministrativo non può sostituire con
proprie scelte quelle operate
dall'Amministrazione (cfr. da ultimo: TAR
Liguria, sez. II, 03.02.2010, n. 233 e n.
237; Consiglio Stato, sez. V, 19.11.2009, n.
7259 e 16.02.2009, n. 837; idem, sez. IV,
08.06.2007, n. 3103; TAR Campania, Salerno,
sez. I, 19.06.2009, n. 3300) (TAR
Lombardia-Brescia, Sez. II,
sentenza 20.01.2011 n. 129 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La decisione di non rinnovare la
concessione per l’occupazione di suolo
pubblico può sorreggersi su ragioni di
pubblico interesse.
Premette il Collegio –in linea generale e
sulla scorta di giurisprudenza assolutamente
consolidata (cfr. da ultimo: TAR Lazio, sez.
II – 03/11/2009 n. 10782; 01/04/2009 n.
3479)– che:
• l’occupazione di una porzione di suolo
pubblico si configura come una vera e
propria concessione d’uso, ossia alla
stregua di un provvedimento –espressione di
un potere pubblicistico ampiamente
discrezionale– con il quale
l’amministrazione locale sottrae il predetto
bene alla fruizione comune e lo mette a
disposizione di soggetti particolari (c.d.
uso particolare);
• il titolo abilitativo, pertanto, può
essere rilasciato solo previo accertamento
che lo stesso permetta comunque di
realizzare una funzione primaria o
comprimaria del bene pubblico, e non per il
conseguimento di interessi meramente
privati;
• le menzionate concessioni sono tutte
accordate con la facoltà
dell’amministrazione d’imporre nuove
condizioni, nonché di procedere alla loro
sospensione, revoca o modifica.
La giurisprudenza amministrativa ha
correttamente evidenziato che la
determinazione di non rinnovare, alla sua
scadenza, la concessione per l’occupazione
di suolo pubblico –provvedimento,
quest’ultimo, espressione di ampia
discrezionalità– e di esigere il ripristino
dei luoghi può sorreggersi su ragioni di
pubblico interesse, ed in questo modo è
stata ritenuta legittima la scelta
dell’amministrazione di privilegiare, in
sede di comparazione dei diversi interessi,
quello alla realizzazione di un parcheggio
rispetto a quello al mantenimento di una
rivendita di giornali (TAR Puglia Lecce,
sez. III – 14/01/2010 n. 150) (TAR Lombardia-Brescia,
Sez. II,
sentenza 20.01.2011 n. 128 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI:
L’affidamento in concessione del
servizio di gestione della piscina comunale
costituisce servizio pubblico locale.
La giurisprudenza è costante nel ritenere
che l’affidamento in concessione del
servizio di gestione della piscina comunale
costituisce servizio pubblico locale (Cons.
Stato, Sez. V, 06.12.2007, n. 6276), nel
senso di servizio riservato in via esclusiva
all’Amministrazione per la produzione di
beni e servizi con rilievo anche sotto il
profilo della promozione sociale, e della
salute pubblica, trattandosi di attività
oggettivamente funzionale a consentire a
qualunque interessato lo svolgimento di
attività sportiva (TAR Lombardia, Milano,
Sez. III, 12.11.2009, n. 5021).
E’ noto come, ai sensi dell’art. 30 dello
stesso corpus normativo, in conformità della
disciplina comunitaria, «salvo quanto
disposto nel presente articolo, le
disposizioni del codice non si applicano
alle concessioni di servizi».
Né si può invocare un’applicazione analogica
dell’art. 37, comma 9, del codice dei
contratti pubblici, in quanto, così
opinando, l’intera disciplina verrebbe ad
essere estesa alle concessioni di servizi
(Cons. Stato, Sez. V, 13.07.2010, n. 4510).
Del resto, l’avviso pubblico si limita a
recepire l’art. 38 del d.lgs. n. 163 del
2006, concernente i requisiti di ordine
generale, che nulla ha a che vedere, dal
punto di vista funzionale (e salve,
ovviamente, le esigenze di raccordo per
quanto concerne la disciplina delle cause di
esclusione), con le modalità di “partecipazione
associata” cui fa riferimento l’art. 37
(TAR Umbria,
sentenza 19.01.2011 n. 12 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Le norme sulle distanze tra
costruzioni, contenute nei piani regolatori
e nei regolamenti comunali di edilizia,
contrariamente a quelle contenute nel codice
civile, essendo essenzialmente dettate a
tutela dell’interesse generale, quale la
realizzazione di un modello urbanistico
prefigurato, non tollerano deroghe
convenzionali che, se concordate, sono
invalide anche nei rapporti interni tra i
proprietari confinanti, salva per
quest’ultimi la possibilità di accordarsi
sulla ripartizione tra i rispettivi fondi
del distacco da osservare.
Le norme sulle distanze tra costruzioni,
contenute nei piani regolatori e nei
regolamenti comunali di edilizia,
contrariamente a quelle contenute nel codice
civile, essendo essenzialmente dettate a
tutela dell’interesse generale, quale la
realizzazione di un modello urbanistico
prefigurato, non tollerano deroghe
convenzionali che, se concordate, sono
invalide anche nei rapporti interni tra i
proprietari confinanti, salva per
quest’ultimi la possibilità di accordarsi
sulla ripartizione tra i rispettivi fondi
del distacco da osservare (Cass. nn.
237/2000; 12984/1999 ed altre conformi)
(Corte di Cassazione, Sez. II civile,
sentenza 23.04.2010 n.
9751). |
EDILIZIA PRIVATA:
Un muro di contenimento tra due
fondi posti a differenti livelli, ove il
dislivello sia stato creato artificialmente,
è da considerarsi costruzione a tutti gli
effetti e come tale soggetta agli obblighi
delle distanze previste dall’art. 873 Cc, e
dalle eventuali disposizioni integrative.
Un muro di contenimento tra due fondi posti
a differenti livelli, ove il dislivello sia
stato creato artificialmente, è da
considerarsi costruzione a tutti gli effetti
e come tale soggetta agli obblighi delle
distanze previste dall’art. 873 Cc, e dalle
eventuali disposizioni integrative (v. Cass.
4511/1997, 4196/1987), principio dal quale
non può che derivare tale assoggettamento,
anche nell’ipotesi di accentuazione del
preesistente livello naturale, per la parte
eccedente quello preesistente
(Corte di Cassazione, Sez. II civile,
sentenza 22.01.2010 n.
1217). |
EDILIZIA PRIVATA:
In tema di distanze legali tra
edifici, mentre non sono a tal fine
computabili le sporgenze estreme del
fabbricato che abbiano una funzione
meramente ornamentale, di rifinitura od
accessoria di limitata entità, come le
mensole, i cornicioni, le grondaie e simili,
rientrano nel concetto civilistico di
costruzione le parti dell’edificio, quali
scale, terrazze e corpi avanzati che,
seppure non corrispondono a volumi abitativi
coperti, sono destinate ad estendere ed
ampliare la consistenza del fabbricato; e
che, agli effetti dell’art. 873 Cc, la
nozione di costruzione, che è stabilita
dalla legge statale, è unica, e non può
essere derogata, sia pure al limitato fine
del computo delle distanze, dalla normativa
secondaria, giacché il rinvio contenuto
nella seconda parte dell’art. 873 Cc, è
limitato alla sola facoltà per i regolamenti
locali di stabilire una distanza maggiore
(tra edifici o dal confine) rispetto a
quella codicistica.
Il danno derivante dalla violazione sulle
distanze nelle costruzioni -consistente non
solo nel deprezzamento commerciale del bene
(aspetto che viene superato dalla tutela
ripristinatoria) ma anche dalla indebita
limitazione del pieno godimento del fondo in
termini di diminuzione di amenità, comodità
e tranquillità, trattandosi di effetti
egualmente suscettibili di valutazione
patrimoniale- è in re ipsa, sicché, una
volta dimostrato il fatto obiettivo della
violazione, non occorre un’autonoma e
specifica prova del pregiudizio sofferto,
che può essere valutato dal giudice
equitativamente a norma dell’art. 1226 Cc,
ove risulti la difficoltà di una sua precisa
determinazione in relazione alla peculiarità
del fatto dannoso.
Se è possibile per i Comuni integrare l’art.
873 Cc, per quanto riguarda le prescritte
distanze tra edifici, non è possibile
indicare nelle norme tecniche di attuazione
una nozione di costruzione diversa da quella
già presente nell’ordinamento giuridico.
In tema di distanze legali tra edifici,
mentre non sono a tal fine computabili le
sporgenze estreme del fabbricato che abbiano
una funzione meramente ornamentale, di
rifinitura od accessoria di limitata entità,
come le mensole, i cornicioni, le grondaie e
simili, rientrano nel concetto civilistico
di costruzione le parti dell’edificio, quali
scale, terrazze e corpi avanzati che,
seppure non corrispondono a volumi abitativi
coperti, sono destinate ad estendere ed
ampliare la consistenza del fabbricato; e
che, agli effetti dell’art. 873 Cc, la
nozione di costruzione, che è stabilita
dalla legge statale, è unica, e non può
essere derogata, sia pure al limitato fine
del computo delle distanze, dalla normativa
secondaria, giacché il rinvio contenuto
nella seconda parte dell’art. 873 Cc, è
limitato alla sola facoltà per i regolamenti
locali di stabilire una distanza maggiore
(tra edifici o dal confine) rispetto a
quella codicistica (Cass., Sez. II,
26.05.2005, n. 1556).
Il limite
imposto dall’art. 873 Cc, ai regolamenti
locali in tema di distanze tra costruzioni è
che in nessun caso essi possono stabilire
distanze inferiori a tre metri: purché non
sia stato violato questo limite, i
regolamenti locali, nello stabilire distanze
maggiori, possono anche determinare punti di
riferimento, per la misurazione delle
distanze, diversi da quelli indicati dal
codice civile, escludendo taluni elementi
della costruzione dal calcolo delle più
ampie distanze previste in sede
regolamentare (Cass., Sez. II, 22.06.1990,
n. 6351; Cass., Sez. II, 13.05.1998, n.
4819).
La norma, così interpretata, si porrebbe in
contrasto con quella del codice civile solo
nel caso in cui, misurata la distanza
regolamentare in questo modo, i balconi
esistenti determinassero poi una distanza
tra le due costruzioni in questione
inferiore a quella prescritta dal codice
civile.
Secondo il costante orientamento della
giurisprudenza di legittimità (Cass., Sez.
II, 23.03.1993, n. 3414; Cass., Sez. II,
17.05.2000, n. 6414; Cass., Sez. II,
07.03.2002, n. 3341; Cass., Sez. II,
27.03.2008, n. 7972), il danno derivante
dalla violazione sulle distanze nelle
costruzioni -consistente non solo nel
deprezzamento commerciale del bene (aspetto
che viene superato dalla tutela
ripristinatoria) ma anche dalla indebita
limitazione del pieno godimento del fondo in
termini di diminuzione di amenità, comodità
e tranquillità, trattandosi di effetti
egualmente suscettibili di valutazione
patrimoniale- è in re ipsa, sicché,
una volta dimostrato il fatto obiettivo
della violazione, non occorre un’autonoma e
specifica prova del pregiudizio sofferto,
che può essere valutato dal giudice
equitativamente a norma dell’art. 1226 Cc,
ove risulti la difficoltà di una sua precisa
determinazione in relazione alla peculiarità
del fatto dannoso (Corte
di Cassazione, Sez. II civile,
sentenza 10.09.2009 n.
19554). |
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