e-mail
info.ptpl@tiscali.it

APPALTI
CONVEGNI
FORUM
G.U.R.I. - G.U.U.E. - B.U.R.L.
LINK
NEWS PUBBLICATE:
1-aggiornam. pregressi
2-Corte dei Conti
3-
dite la vostra ...
4-dottrina e contributi
5-funzione pubblica
6-giurisprudenza
7-modulistica
8-news
9-normativa
10-note, circolari e comunicati
11-quesiti & pareri
12-utilità
- - -
DOSSIER
:
13-
ABUSI EDILIZI
14-
AFFIDAMENTO IN HOUSE
15-AGIBILITA'
16-APPALTI
17-ARIA
18-ASL + ARPA
19-ATTI AMMINISTRATIVI
20-AVCP
21-BOSCO
22-BOX
23-CARTELLI STRADALI
24-CERIFICAZIONE ENERGETICA e F.E.R.
25
-COMPETENZE GESTIONALI
26
-COMPETENZE PROFESSIONALI - PROGETTUALI
27-CONDOMINIO
28-CONSIGLIERI COMUNALI
29-CONTRIBUTO DI COSTRUZIONE
30-DECADENZA P.d.C.
31-DEFINIZIONI INTERVENTI EDILIZI
32-DIA e SCIA
33-DIAP
34-DISTANZE CONFINI
35-DISTANZE CORSI D'ACQUA
36-DISTANZE FERROVIA

37-DISTANZE PARETI FINESTRATE
38-DURC
39-EDIFICIO UNIFAMILIARE
40-ESPROPRIAZIONE
41-IMPUGNAZIONE ATTI: LEGITTIMAZIONE
42-INCARICHI PROFESSIONALI E PROGETTUALI
43-INCENTIVO PROGETTAZIONE
44-INDUSTRIA INSALUBRE
45-L.R. 12/2005
46-L.R. 23/1997
47-LEGGE CASA LOMBARDIA
48-LOTTO INTERCLUSO
49-MOBBING
50-OPERE PRECARIE
51-
PERTINENZE EDILIZIE ED URBANISTICHE
52-PIANI PIANIFICATORI ED ATTUATIVI
53-PRESCRIZIONI P.d.C.
54-PROROGA P.d.C.
55-PUBBLICO IMPIEGO
56-RIFIUTI E BONIFICHE
57-
RINNOVO/PROROGA CONTRATTI
58-RUDERI
59-
RUMORE
60-SAGOMA EDIFICIO
61-SANATORIA GIURISPRUDENZIALE
62-SCOMPUTO OO.UU.
63-SEGRETARI COMUNALI
64-SIC-ZPS - VAS - VIA
65-SICUREZZA SUL LAVORO
66
-
SINDACATI & ARAN
67-SOTTOTETTI
68-SUAP
69-
TELEFONIA MOBILE
70-VINCOLO CIMITERIALE
71-VINCOLO PAESAGGISTICO ED ESAME IMPATTO PAESISTICO
72-VINCOLO STRADALE
73-VOLUMI TECNICI

NORMATIVA:
dt.finanze.it
entilocali.leggiditalia.it

leggiditaliaprofessionale.it

simone.it

SITI REGIONALI
STAMPA
 
C.A.P.
Codice Avviamento Postale

link 1 - link 2
CONIUGATORE VERBI
COSTO DI COSTRUZIONE
(ag
g. indice istat):

link 1-BG - link 2-MI
link 3-CR
DIZIONARI
indici ISTAT:
link 1 - link 2-BG
link 3-MI

interessi legali:
link 1
MAPPE CITTA':
link 1 - link 2 - link 3
link 4 - link 5
METEO
1 - PAGINE bianche
2 - PAGINE gialle
PREZZI:
osservatorio prezzi e tariffe

prodotti petroliferi
link 1
- link 2
PUBBLICO IMPIEGO:
1 - il portale pubblico per il lavoro
2
- mobilità
 
 

AGGIORNAMENTI PREGRESSI mese di FEBBRAIO 2011

Alcuni files sono in formato Acrobat (pdf): se non riesci a leggerli, scarica gratuitamente il programma Acrobat Reader (clicca sull'icona a fianco riportata).  -      segnala un errore nei links                                                                                

aggiornamento al 28.02.2011

aggiornamento al 21.02.2011

aggiornamento al 15.02.2011

aggiornamento al 07.02.2011

aggiornamento al 03.02.2011

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

AGGIORNAMENTO AL 28.02.2011

ã

SINDACATI

PUBBLICO IMPIEGO: Semplicità o disinformazione (CGIL-FP di Bergamo, nota 25.02.2011).

PUBBLICO IMPIEGO: EE.LL. - Salario accessorio e specifiche disposizioni di legge (CGIL-FP di Bergamo, nota 24.02.2011).

PUBBLICO IMPIEGO: Accordo separato–riforma Brunetta: il Ministro smentisce Cisl e Uil (CGIL-FP di Roma, nota 17.02.2011).

PUBBLICO IMPIEGO: Il foglio dei lavoratori della Funzione Pubblica (CGIL-FP di Bergamo, febbraio 2011).

QUESITI

AMBIENTE-ECOLOGIA: La categoria 8 dell’Albo gestori ambientali – commercio e intermediazione dei rifiuti è attiva? (link a www.ambientelegale.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Nel caso in cui si abbia una miscela costituita in epoca anteriore alla nuova normativa con rifiuti aventi diverse caratteristiche di pericolo è possibile unire, oggi, alla miscela un rifiuto che presenta caratteristiche di pericolo uguali ad uno solo dei componenti della miscela originaria? (link a www.ambientelegale.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Cosa si intende per divieto di miscelazione dei rifiuti? (link a www.ambientelegale.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: È possibile miscelare rifiuti aventi diverse caratteristiche di pericolo? (link a www.ambientelegale.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: I RAEE provenienti da utenze non domestiche possono essere conferiti autonomamente presso le eco piazzole comunali? (link a www.ambientelegale.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Se vengono lasciati oggetti davanti all’ingresso di un’associazione ONLUS la fattispecie può integrare la cessione di beni o piuttosto l’abbandono di rifiuti? (link a www.ambientelegale.it).

NOTE, CIRCOLARI E COMUNICATI

URBANISTICA: Pgt, termini prorogati fino a fine 2012. Belotti: ultima chiamata.
Il Consiglio regionale ha accolto la richiesta dell'assessore al Territorio e Urbanistica della Regione Lombardia Daniele Belotti di prorogare i termini per l'approvazione dei Pgt (Piani di Governo del Territorio).
Grazie alle modifiche recepite, attraverso il collegato, alla legge n. 12 del 2005 (Legge per il governo del territorio), i quasi 1100 Comuni che ancora non hanno approvato il Pgt, avranno tempo fino al 31.12.2012 per mettersi in regola.
Allo stesso tempo, al fine di incentivare la sollecita approvazione del nuovo strumento urbanistico, si è stabilito che quei Comuni che, entro il 30.09.2011, non abbiano adottato il Pgt non potranno dare corso all'approvazione di piani attuativi del vigente Prg (Piano Regolatore Generale).
"La legge regionale 12 -commenta l'assessore Belotti- ha completamente innovato il modo di approcciarsi alla pianificazione territoriale, ponendo al centro del provvedimento la tutela del territorio, al fine di poterlo consegnare alla generazioni future quanto più integro possibile". Alle amministrazioni comunali è affidata la responsabilità di tradurre in azioni concrete i principi e gli indirizzi dettati da Regione Lombardia, ecco il motivo per cui l'approvazione dei Piani di Governo del Territorio da parte dei Comuni è da ritenersi un atto di responsabilità assolutamente indifferibile e urgente.
La nuova e ampia proroga concessa alle amministrazioni comunali per l'approvazione dei Pgt ha il fine di escludere qualsiasi alibi o giustificazione alla loro mancata approvazione, ritenendo in tal modo improponibile la concessione di ulteriori proroghe.
La nuova legge regionale n. 12, così come modificata all'atto dell'approvazione del Collegato Ordinamentale, entrerà in vigore nei prossimi giorni, dopo la pubblicazione sul Bollettino Ufficiale della Regione (Burl) (Milano, 24.02.2011 - link a www.regione.lombardia.it).

CONSIGLIERI COMUNALI - ENTI LOCALI: OGGETTO: legge 26.03.2010, n. 42 di conversione del decreto-legge 25.01.2010, n. 2 recante: "Interventi urgenti concernenti enti locali e regioni". Numero consiglieri e assessori comunali e provinciali (Ministero dell'Interno, Dipartimento per gli Affari Interni e Territoriali, nota 18.02.2011 n. 2915 di prot.).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Boschi, Colucci: possibile rilevare tutti i tagli minuto per minuto.
In Lombardia, grazie alla procedura completamente informatizzata di denuncia di taglio dei boschi, è possibile avere una fotografia molto nitida di quel che succede all'interno delle foreste del nostro territorio.
Dopo un triennio di sperimentazione è oggi possibile fare un primo bilancio: sono state presentate 64.187 denunce di taglio di alberi, equivalenti al prelievo di 1 milione e 700.000 metri cubi di legname distribuito su oltre 26.000 ettari di territorio. Il 49,3 per cento della massa è prelevata a quote inferiori ai 600 metri, il 28,1 per cento tra i 600 e i 1.000 metri e soltanto il 22,6 per cento oltre i 1.000 metri. Emerge anche che la specie più richiesta è la robinia, seguita da castagno, abete rosso, faggio e carpino nero.
"La Lombardia -spiega l'assessore regionale ai Sistemi verdi e Paesaggio Alessandro Colucci- è la prima Regione italiana ad adottare procedure completamente informatizzate, che stanno contribuendo a semplificare le procedure e ad accorciare i tempi di denuncia e di raccolta dei dati". ... (Milano, 18.02.2011 - link a www.regione.lombardia.it).

PUBBLICO IMPIEGO: Oggetto: Art. 12, comma 10, del decreto legge 31.05.2010, n. 78, convertito, con modificazioni, in legge 30.07.2010, n. 122 - Interventi in materio di trattamento di fine servizio e di fine rapporto. Adempimenti contributivi (Inpdap, nota operativa 17.02.2011 n. 5/2011).

EDILIZIA PRIVATA: Comuni chiedono l'accreditamento per il monitoraggio Fondo Aree Verdi.
I Comuni chiedono l'accreditamento per accedere al nuovo sistema informatizzato messo a disposizione delle amministrazioni per il monitoraggio del "Fondo Aree Verdi" (di cui all'art. 43 della Legge regionale n. 12/2005). Ecco i primi 10:
Arese - Barzanò - Bottanuco - Sala Comacina - Concesio - Grassobbio - Onore - Sotto il Monte Giovanni XXIII - Triuggio - Urgnano.
Dal 10.01.2011 è attivo il sistema alimentato tramite le maggiorazioni dei contributi di costruzione applicate agli interventi di nuova costruzione che sottraggono superfici agricole nello stato di fatto.
La trasmissione delle informazioni e il versamento dei proventi delle maggiorazioni riscosse avviene attraverso il sistema di monitoraggio informatico (front office) accessibile seguendo le indicazioni pubblicate sul sito della Direzione generale Sistemi Verdi e Paesaggio.
Le amministrazioni comunali potranno, successivamente, attraverso una procedura a domanda, richiedere a Regione Lombardia il prelievo delle risorse dal Fondo da destinare a interventi forestali a rilevanza ecologica e di incremento della naturalità.
Le risorse del Fondo potranno essere utilizzate, in particolare, per promuovere progetti di:
- costruzione di sistemi verdi e della rete ecologica;
- valorizzazione e incremento della naturalità nelle aree protette;
- valorizzazione del patrimonio forestale e del sistema rurale-paesistico-ambientale;
- rinaturalizzazione e incremento della dotazione del verde in ambito urbano, con attenzione al recupero delle aree degradate e alla connessione tra territorio rurale ed edificato (Milano, 17.02.2011 - link a www.regione.lombardia.it).

GURI - GUUE - BURL (e anteprima)

EDILIZIA PRIVATA: G.U. 26.02.2011 n. 47, suppl. ord. n. 54, "Valutazione e riduzione del rischio sismico del patrimonio culturale con riferimento alle Norme tecniche per le costruzioni di cui al decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti del 14.01.2008" (Direttiva P.C.M. 09.02.2011).

ENTI LOCALI - VARI: G.U. 26.02.2011 n. 47, suppl. ord. n. 53/L, "Legge 26.02.2011 n. 10 - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 29.12.2010, n. 225, recante proroga di termini previsti da disposizioni legislative e di interventi urgenti in materia tributaria e di sostegno alle imprese e alle famiglie.
Testo del
decreto-legge 29.12.2010, n. 225, coordinato con la legge di conversione 26.02.2011, n. 10, recante: «Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e di interventi urgenti in materia tributaria e di sostegno alle imprese e alle famiglie.»".

EDILIZIA PRIVATA: G.U. 25.02.2011 n. 46 "Regolamento di attuazione dell’articolo 2 della legge 07.08.1990, n. 241, riguardante i termini dei procedimenti amministrativi del Ministero per i beni e le attività culturali aventi durata non superiore a novanta giorni" (D.P.C.M. 22.12.2010 n. 271).

APPALTI: G.U. 25.02.2011 n. 46 "Disposizioni concernenti i criteri di rilascio dell’autorizzazione prevista dall’articolo 37 del decreto-legge 31.05.2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30.07.2010, n. 122, ai fini della partecipazione alla procedure di aggiudicazione dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture di cui al decreto legislativo 12.04.2006, n. 163 e successive modificazioni" (Ministero dell'Economia e Finanze, decreto 14.12.2010).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA: B.U.R. Lombardia, supplemento n. 8 del 25.02.2011, "Interventi normativi per l’attuazione della programmazione regionale e di modifica e integrazione di disposizioni legislative – Collegato ordinamentale 2011" (L.R. 21.02.2011 n. 3).
---------------
La presente legge modifica/integra numerose normative regionali in materia, tra l'altro, di:
- B.U.R.L. (cfr. art. 3);
- cementi armati (cfr. art. 9);
- opere pubbliche di interesse regionale (cfr. art. 10);
- legge regionale n. 12/2005 (cfr. art. 12);
- rifiuti (cfr. art. 15);
- inquinamento acustico (cfr. art. 16);
- emissioni in atmosfera (cfr. art. 17).

---------------   
Collegato ordinamentale 2011 Regione Lombardia: nuove modifiche alla legge 12/2005.
Nella seduta del 15.02.2001 il Consiglio Regionale della Lombardia ha approvato il cd. "Collegato ordinamentale 2011". Come si legge nel comunicato stampa regionale,
Tra le novità previste, una nuova proroga ai Comuni fino al 31.12.2012 per dotarsi definitivamente del piano di governo del territorio (PGT) e il via libera alle deroghe eccezionali ai limiti sull’inquinamento acustico oggi previste nel caso essi dovessero mettere a repentaglio lo svolgimento di eventi di rilievo internazionali, come ad esempio i grandi concerti.
Il “Collegato” equipara inoltre i Centri culturali a carattere religioso agli edifici di culto, prevedendo per la loro realizzazione uno specifico percorso di programmazione nei piani regolatori. Via libera anche alla norma che dà la possibilità ai Comuni di negare l’autorizzazione ad aprire attività commerciali nei centri storici se in contrasto con il “decoro pubblico” e le “tradizioni locali”.
Il “Collegato” recepisce inoltre la direttiva europea Bolkestein sul commercio e introduce norme di semplificazione burocratica nell’edilizia e per lo svolgimento di alcune attività, come ad esempio la certificazione energetica, un settore in espansione e al quale potranno accedere adesso ai corsi formativi anche i cittadini non iscritti a un albo.
Ancora una volta, dunque, l'ennesima applicazione di quel vizio di tecnica legislativa secondo cui con unica disposizione si apportano importanti modifiche a legislazioni del tutto diverse tra loro, senza nessuna attenzione ai complessi processi di implementazione della normativa vigente, verso cui la stessa Regione dichiara di voler prestare la massima attenzione (v. Analisi dell'attuazione delle leggi e valutazione degli effetti delle politiche regionali sul sito del Consiglio regionale).
Il collegato ordinamentale meriterebbe un'analisi a sé. In ogni caso, le modifiche relative alla legge n. 12 del 2005 sono contenute nell'articolo 12, tra le quali vanno segnalate:
- le modifiche dell'articolo 4 (Valutazione ambientale dei piani), anche attraverso l'introdzione del comma 3-bis, finalizzato a superare le note perplessità relative alle procedure di VAS e alla nomina dei relativi responsabili;
- la modifica dell'articolo 25 (Norma transitoria), dove la data del 31.03.2010 per l'approvazione dei PGT é differita al 31.12.2012;
- la modifica dell'articolo 26 (Adeguamento dei piani), cui dopo il comma 3-ter dell’articolo 26 é aggiunto il comma 3-quater, secondo cui "I comuni che alla data del 30.09.2011 non hanno adottato il PGT non possono dar corso all’approvazione di piani attuativi del vigente PRG comunque denominati, fatta salva l’approvazione dei piani già adottati alla medesima data”;
- l'introduzione dell'articolo 32-bis (Adempimenti del comune), a norma del quale "Nell’ambito delle procedure di cui ai capi II e III, il comune, dietro corresponsione dei diritti amministrativi e delle spese dovuti, è tenuto a corredare d’ufficio le domande di permesso di costruire o le denunce di inizio attività di tutti i certificati il cui rilascio è di sua competenza”;
- la sostituzione del secondo comma dell'articolo 41 (Interventi realizzabili mediante denuncia di inizio attività), il cui nuovo testo recita “2. Nel caso di interventi assentiti in forza di permesso di costruire o di denuncia di inizio attività, è data facoltà all’interessato di presentare comunicazione di eseguita attività sottoscritta da tecnico abilitato, per varianti che non incidano sugli indici urbanistici e sulle volumetrie, che non modifichino la destinazione d’uso e la categoria edilizia, non alterino la sagoma dell’edificio e non violino le eventuali prescrizioni contenute nel permesso di costruire. Ai fini dell’attività di vigilanza urbanistica ed edilizia, nonché ai fini del rilascio del certificato di agibilità, tali comunicazioni costituiscono parte integrante del procedimento relativo al titolo abilitativo dell’intervento principale e possono essere presentate al comune sino alla dichiarazione di ultimazione dei lavori.”;
- l'integrazione dell'articolo 71, in materia di edifici di culto, cui dopo la lettera c) del comma 1 è aggiunta la disposizione c bis): "gli immobili destinati a sedi di associazioni, società o comunità di persone in qualsiasi forma costituite, le cui finalità statutarie o aggregative siano da ricondurre alla religione, all’esercizio del culto o alla professione religiosa quali sale di preghiera, scuole di religione o centri culturali”;
- la riscrittura del comma 1 dell’articolo 86, in materia di interventi sostitutivi in caso di inerzia o di ritardi nel rilascio dell'autorizzazione paesaggistica, il cui nuovo testo dispone: "1. Qualora l’autorizzazione paesaggistica non venga rilasciata o negata dagli enti competenti nei termini di legge, l’interessato può richiederla in via sostitutiva, ai sensi dell’articolo 146, comma 10, del d.lgs. 42/2004. Nel caso di richiesta alla Regione, il Presidente della Giunta regionale o l’assessore competente, se delegato, provvede entro sessanta giorni dal ricevimento della stessa, anche mediante un commissario ad acta, scelto tra i soggetti iscritti all’albo di cui all’articolo 31.” (link a http://studiospallino.blogspot.com).

DIPARTIMENTO FUNZIONE PUBBLICA

PUBBLICO IMPIEGOOggetto: Art. 55-septies del decreto legislativo 30.03.2001, n. 165, introdotto dall'art. 69 del decreto legislativo 27.10.2009, n. 150 - trasmissione per via telematica dei certificati di malattia. Ulteriori indicazioni (nota 23.02.2011 n. 12338 di prot. - circolare n. 1/2011).
---------------
Certificati online, sanzioni light. Medici puniti solo per colpa, in modo graduale e proporzionale. I contenuti della circolare firmata dal ministro Brunetta sulla trasmissione telematica.
Se non c'è colpa il medico non può essere sanzionato per la mancata trasmissione telematica dei certificati. E non c'è colpa, per esempio, in caso di malfunzionamento del sistema generale, cosa verificabile dall'esame del cruscotto del Sac (sistema di accoglienza centrale che gestisce l'invio di tutti i certificati medici), che registra ogni anomalia di funzionamento. Gradualità e proporzionalità inoltre nell'applicazione delle sanzioni sulla base dei criteri della contrattazione collettiva. Che vuol dire per esempio che non c'è reiterazione se dalla precedente infrazione è trascorso un biennio (così prevede il Ccnl 06.05.2010 dirigenza medica e veterinaria). Infine, per strutture o servizi privi dei necessari requisiti tecnici, le regioni possono disapplicare temporaneamente i procedimenti disciplinari.

È quanto precisa, tra l'altro, la circolare n. 1/2011 firmata mercoledì dal ministro della funzione pubblica, Renato Brunetta.
Certificati online. La circolare affronta il problema della sanzionabilità dei medici che non osservano il nuovo obbligo della trasmissione online dei certificati di malattia dei lavoratori. Obbligo che, spiega la nota, dal 24.11.2010 è uniformemente applicabile al settore del lavoro pubblico e privato anche negli aspetti sanzionatori, a seguito dell'entrata in vigore del collegato lavoro (legge n. 183/2010).
Quando c'è responsabilità. In primo luogo la circolare ribadisce ciò che il ministro Brunetta aveva informalmente comunicato all'indomani dell'entrata in vigore del regime sanzionatorio (si veda ItaliaOggi del 2 febbraio). E cioè che affinché si configuri un'ipotesi di illecito disciplinare (questa la sanzione prevista a carico dei medici che non rispettano l'obbligo della trasmissione per via telematica) devono ricorrere sia l'elemento oggettivo (l'inosservanza dell'obbligo della trasmissione telematica) sia l'elemento soggettivo (dolo o colpa).
Quest'ultimo, spiega la circolare, è escluso nei casi di malfunzionamento del sistema generale, di guasti o malfunzionamenti del sistema utilizzato dal medico, situazioni che vanno considerate dalle aziende sanitarie e dalle altre strutture interessate ai fini dell'esercizio dell'azione disciplinare. In altre parole, per contestare al medico l'infrazione è necessario che siano preliminarmente acquisiti dall'amministrazione elementi comprovanti anomalie di funzionamento, verifica possibile anche mediante consultazione del cruscotto di monitoraggio del Sac.
Gradualità e proporzionalità. In secondo luogo la circolare spiega che l'applicazione delle sanzioni deve avvenire in base a criteri di gradualità e proporzionalità previsti dagli accordi e contratti collettivi di riferimento. Questo vale anche nell'ipotesi di reiterazione della condotta illecita, per la quale è prevista la sanzione massima del licenziamento per il dipendente pubblico e della decadenza della convenzione per il medico in convenzione.
La reiterazione, precisa la circolare, è da intendersi come recidiva ovvero irrogazione di successive sanzioni a carico di un soggetto già sanzionato (per la mancata trasmissione telematica del certificato). Questa, però, va letta alla luce dei Ccnl, i quali generalmente prevedono differenti criteri di valutazione. Per esempio, il Ccnl 06.05.2010 fissa un arco temporale di due anni ai fini della computabilità di più illeciti (cioè per la reiterazione); l'accordo 20.01.2005 relativo ai medici specialisti ambulatoriali prevede termini ancorati alla gravità dell'infrazione.
Infine, per agevolare l'applicazione della nuova procedura, la circolare riconosce alle Regioni la facoltà d'individuare strutture o servizi per i quali ritenere non sussistenti, per periodi limitati di tempo, le condizioni tecniche necessarie all'avvio dei procedimenti disciplinari.
Altri chiarimenti. La circolare ministeriale, ancora, spiega che per quanto riguarda la trasmissione del certificato dalle strutture di pronto soccorso, le strutture ospedaliere sono tenute ad individuare le soluzioni tecniche e organizzative più idonee a garantirne l'applicabilità, in maniera tale che il certificato possa essere predisposto e inviato da parte del medico contestualmente alla compilazione del verbale di pronto soccorso.
E che, invece, i documenti elaborati dagli ospedali all'atto del ricovero e della dimissione possono continuare ad essere rilasciati al lavoratore in forma cartacea, sino all'attuazione di idonee soluzioni che, al momento, sono allo studio di un tavolo congiunto delle Regioni (articolo ItaliaOggi del 25.02.2011).

PUBBLICO IMPIEGO: Oggetto: atto di indirizzo quadro all'ARAN in attuazione del punto 5 dell'intesa per la regolazione del regime transitorio conseguente al blocco del rinnovo dei contratti collettivi nazionali di lavoro nel pubblico impiego, sottoscritta il 04.02.2011 (nota 18.02.2011 n. 10790 di prot.).

PUBBLICO IMPIEGO: Oggetto: esonero dal servizio previsto dall'art. 72 del d.l. 112 del 2008, convertito in l. n. 133 del 2008 - regime della "finestra mobile" previsto dall'art. 12 del d.l. n. 78 del 2010 (parere UPPA 17.02.2011 n. 10081 di prot.).

PUBBLICO IMPIEGO: Oggetto: Art. 7, comma 6, del decreto legislativo 30.03.2011, n. 165. Incarichi individuali conferiti dalle pubbliche amministrazioni (parere UPPA 20.01.2011 n. 202 di prot.).

DOTTRINA E CONTRIBUTI

PUBBLICO IMPIEGO: L. Levita, L’abuso d’ufficio (link a www.diritto.it).

APPALTI FORNITURE E SERVIZI: L. Bellagamba, Servizi e forniture: se la stazione appaltante indica in bando i costi della sicurezza da non assoggettarsi a offerta economica, l’offerente non è tenuto a specificare nulla di proprio in sede di offerta (interessante tesi del Consiglio di Stato, ma il problema interpretativo rimane) (link a www.giustizia-amministrativa.it).

LAVORI PUBBLICI: L. Bellagamba, Lavori pubblici: la questione del “contratto aperto” di manutenzione nel sistema in economia (link a www.linobellagamba.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: A. Cerreto, L’estinzione del processo per inattività, con particolare riferimento al giudizio amministrativo (link a www.giustizia-amministrativa.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Rifiuti, L’intermediario, la categoria 8 dell’albo e l’efficacia dell’iscrizione (link a www.ambientelegale.it).

APPALTI: A. Tadini, La tracciabilità dei flussi finanziari (link a www.filodiritto.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: L. Prati, La nuova definizione di sottoprodotto ed il trattamento secondo la “normale pratica industriale” (link a www.ambientediritto.it).

APPALTI: P. D'Angiolillo, Il principio di “inammissibilità implicita” delle offerte economiche violative del canone di intangibilità degli oneri per la sicurezza nei pubblici appalti (note a margine della sentenza del TAR Campania–Salerno, Sez. I, 01.10.2010 n. 11289) (link a www.ambientediritto.it).

PUBBLICO IMPIEGO: C. Rapicavoli, Utilizzo del mezzo proprio da parte dei dipendenti degli enti locali - Chiarimenti della Corte dei Conti (link a www.ambientediritto.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: L. Venerando Giuffrida, Questioni interpretative in tema di autorizzazioni di impianti di oli minerali (link a www.ambientediritto.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: G. Tapetto, Rifiuti da manutenzione e da attività sanitarie tra D.Lgs. 152/2006 e Sistri (link a www.ambientediritto.it).

URBANISTICA: M. Bottone, La nuova urbanistica della Regione Campania (febbraio 2011).

EDILIZIA PRIVATA: M. Bottone, Il nuovo piano casa della Regione Campania (febbraio 2011).

CORTE DEI CONTI

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: La mobilità « dribbla» il turn over. Il vincolo non ferma i passaggi tra enti soggetti ai tetti di spesa.
Le procedure di mobilità tra enti sottoposti a limitazioni sulle assunzioni non rientrano nel limite del turn-over del 20% rispetto alla spesa delle cessazioni dell'anno precedente.
La Corte dei conti della Lombardia, con il parere 16.02.2011 n. 80, fissa i criteri e le regole per i trasferimenti del personale nell'anno in corso, dopo che il decreto legge della manovra estiva (Dl 78/2010) ha rivisto ancora una volta le norme sul contenimento della spesa di personale delle autonomie locali.
L'introduzione della possibilità di assumere nel limite del 20% della spesa delle cessazioni intervenute nell'anno precedente ha spiazzato gli operatori. Da tempo infatti gli enti soggetti a patto di stabilità non avevano limitazioni alle assunzioni. Il comma 557 della finanziaria 2007 decretava infatti il con-tenimento della spesa di personale senza mai individuare una regola sul turn-over.
In altre parole, che l'entrata di un nuovo dipendente fosse per mobilità o per accesso dall'esterno della Pa, l'importante era ridurre la spesa rispetto all'anno precedente, senza vincoli numerici o «per testa». Dal 2011 le cose cambiano. Oltre al limite di spesa vi è anche la regola del turn-over al 20 per cento.
La Corte dei conti a Sezioni riunite, con la delibera n. 3 di quest'anno, ha ritenuto che questo vincolo non si debba applicare agli enti non soggetti a patto. Ma peri comuni più grandi e per le province la questione diventa urgente, soprattutto perla possibilità di potersi "almeno" avvalere delle procedure di mobilità. ... (articolo Il Sole 24 Ore del 21.02.2011 - link a www.corteconti.it).

ENTI LOCALINon sono soggette a tagli le spese per la mission istituzionale dell'ente.
Non sono soggette ai tagli alle spese per incarichi esterni, pubblicità, comunicazione, relazioni esterne, convegni, mostre e rappresentanza, imposti dalla manovra estiva 2010, quelle derivanti dallo svolgimento di attività strettamente connesse alla missione istituzionale dell'ente.
Così la Corte dei conti, Sez. regionale di controllo per la Liguria, col parere 01.02.2011 n. 5, ha ritenuto di esonerare l'Area marina protetta «Isola di berteggi» dal campo di applicazione dell'articolo 6, commi 7 e 8, del dl 78/2010, convertito in legge 122/2010, con una decisione i cui risvolti dovrebbero, però, estendersi anche oltre il confine dell'ente nei confronti del quale la Corte si è pronunciata.
Infatti, il parere sostanzialmente enuncia il principio dell'inapplicabilità dei tagli trasversali disposti dalla manovra economica estiva 2010 ad attività intimamente connaturate alle competenze dell'ente, le quali non possono che espletarsi mediante proprio lo svolgimento di una delle funzioni oggetto del pesantissimo taglio previsto dalla norma, l'80% della spesa sostenuta al medesimo titolo nel 2009.
Il parere 5/2011 della sezione Liguria osserva che, nel caso di specie esaminato «l'attività di studio e ricerca scientifica nel campo delle scienze naturali e della tutela ambientale nonché l'attività di promozione dello sviluppo sostenibile dell'area protetta costituiscono le missioni che l'ente gestore deve realizzare e che sono all'origine dell'istituzione dell'area naturale».
In altre parole, proprio lo svolgimento di studi e ricerche, accompagnati da convegni e dalla comunicazione degli esiti «rappresentano le funzioni principali e gli obiettivi strategici perseguiti con la spesa pubblica» gestita da quell'ente gestore dell'area protetta. Tanto che studi, ricerche, convegni, comunicazione «rappresentano, in altre parole, il motivo fondante dell'istituzione dell'area marina protetta senza il quale la suddetta area naturale non avrebbe motivo d'essere».
Da qui la conclusione: «ricomprendere, quindi, nel campo di applicazione dei commi 7 e 8 succitati gli incarichi di studio e l'attività promozionale posti in essere nell'attività di gestione dell'area naturale vorrebbe dire vanificare gli obiettivi e le finalità per i quali l'area stessa è stata istituita». Ma, questo ragionamento, allora, può e, pare anche debba, estendersi agli enti locali, per specifici settori posti alla loro cura o, per utilizzare le medesime espressioni del parere espresso dalla sezione ligure, facenti parte della loro missione.
È di planare evidenza che la gestione di funzioni come la cultura, lo spettacolo, il turismo, l'istruzione, la formazione, tutte espressamente attribuite alle competenze di comuni e province dal dlgs 267/2000 e dalle leggi regionali di attuazione del decentramento amministrativo fissato dal dlgs 112/1998, per loro natura richiedano proprio spese per manifestazioni, mostre, convegni, con relativa pubblicità e campagne di comunicazione. Molti comuni gestiscono direttamente biblioteche, musei, gallerie d'arte, attivano stagioni teatrali, musicali e di spettacolo in appoggio al turismo.
Attività integralmente costruite proprio su una tipologia di spesa rientrante tra quella falcidiata dalla manovra. Seguendo il ragionamento proposto dalla Corte della Liguria vi sarebbero fondate ragioni, allora, per escludere tali spese dal taglio (articolo ItaliaOggi del 25.02.2011 - link a www.corteconti.it).

LAVORI PUBBLICINessuna scusante per il dipendente che diventa direttore dei lavori.
Il dipendente che svolge il compito di direttore dei lavori ha il dovere di vigilare sulla corretta esecuzione da parte della impresa aggiudicataria. Egli risponde direttamente, in termini di maturazione di responsabilità amministrativa, nel caso in cui i lavori non siano stati eseguiti per come previsto dal capitolato e non ha evidenziato tali inadempienza. Non può invocare come scusante né la scarsa esperienza, né la difficoltà di accesso ai luoghi in cui i lavori sono stati eseguiti, né il sommarsi dell'incarico di direttore lavori e responsabile del procedimento.
Sono questi i principi dettati dalla II Sez. giurisdizionale centrale d'appello della Corte dei conti del Lazio nella sentenza 27.01.2011 n. 52, con cui è stata disposta la condanna di un dipendente di ufficio tecnico comunale direttore di lavori che non ha vigilato adeguatamente sul corretto svolgimento degli stessi in relazione alle prescrizioni dettate dal capitolato.
Ovviamente i danni maturano anche nel caso in cui il finanziamento dell'opera è stato disposto da un'altra pubblica amministrazione, tanto più nel caso in cui la stessa si rivalsa sul comune tagliando il finanziamento in relazione ai lavori non effettivamente svolti. Siamo in presenza di un principio che ascrive direttamente alla responsabilità del dipendente i danni che si sono determinati a seguito della sua condotta quale direttore dei lavori.
In altri termini, per i magistrati contabili costituisce una colpa grava la violazione dei normali doveri di ufficio ovvero della ordinaria diligenza e competenza tecnica che il dipendente deve dimostrare di possedere e deve concretamente esercitare a tutela dell'interesse dell'amministrazione alla puntuale e corretta esecuzione dei lavori da parte dell'impresa aggiudicataria.
Il fatto che lo stesso abbia sommato la responsabilità del procedimento e la direzione dei lavori non costituisce una ragione che possa essere invocata per escludere la colpa grave, mentre se ne è tenuto conto nell'ambito del potere riduttivo della sanzione.
La sentenza aggiunge che «non appare idonea ad escludere la colpa grave la scusante della difficoltà dell'opera e la circostanza che la stessa sia stata realizzata in luoghi difficilmente raggiungibili, in quanto le carenze nello svolgimento dell'incarico di direttore dei lavori, relative sia alla tenuta della documentazione, sia al controllo e alla verifica dell'esecuzione delle opere da parte della ditta appaltatrice appaiono macroscopiche. Infatti, come emerge dagli analitici rilievi effettuati dagli ispettori regionali, nonché dai successivi accertamenti svolti dalla guardia di finanza su incarico del giudice territoriale, la discordanza fra i lavori effettuati e quelli indicati nel progetto e le relative contabilizzazioni era particolarmente vistosa e non potevano sfuggire ad un direttore dei lavori che avesse usato la benché minima diligenza, tanto più che era stato anche il progettista dell'opera».
La sentenza chiarisce infine «che la presunta illegittimità della nomina del medesimo a responsabile del procedimento non appare rilevante nella fattispecie sia perché il medesimo ha accettato e svolto l'incarico, sia perché il fatto produttivo del danno riguarda in modo specifico le sue competenze di direttore dei lavori» (articolo ItaliaOggi del 25.02.2011 - link a www.corteconti.it).

INCARICHI PROFESSIONALI: Consulenze esterne: solo se esulano dalle competenze del personale.
L’interessante sentenza della Corte dei Conti affronta l’annosa questione degli incarichi e delle consulenze esterne, sempre più spesso conferite, senza alcun criterio di economicità e buon andamento per la pubblica amministrazione (art. 1 della Legge 241/1990).
La vicenda riguarda la (CRIAS) Cassa regionale per il credito alle imprese artigiane siciliane, che in assenza di atti deliberativi e senza procedure di evidenza pubblica, conferisce alla SDA soluzioni di azienda snc svariati servizi di consulenza.
Il Collegio dei revisori dei conti della (CRIAS) segnala alla Procura regionale della Corte dei Conti, tali irregolarità gestionali, che non tengono conto delle professionalità e delle competenze del personale in servizio, e che risultano prive di atti deliberativi. Il Consiglio di amministrazione dell’ente non è stato mai informato, in violazione dell’art. 13 dello Statuto della CRIAS, che ne prevede l’esclusiva competenza per la delibera degli atti di ordinaria e straordinaria amministrazione.
E’ bene evidenziare che l’ordinamento attribuisce ad un soggetto terzo, il P.M. contabile, una legittimazione generale alla tutela della finanza pubblica mediante conferimento dello “ius postulandi” nell’ipotesi di responsabilità patrimoniale per i soggetti legati da un rapporto di servizio, per danni arrecati nell’esercizio delle funzioni ad esse affidate. L’interesse dell’amministrazione danneggiata, nei confronti dei convenuti in giudizio, assume il ruolo di creditrice di un diritto indisponibile, perché sotteso ad un interesse pubblico.
La CRIAS istituita con legge regionale 50/1954 si configura come ente pubblico economico strumentale della Regione Siciliana, dotato di personalità giuridica di diritto pubblico, ed avente come oggetto della sua attività la concessione di finanziamenti alle imprese artigiane.
Ha quindi natura sia strumentale che di servizio, e la sua caratterizzazione, anche pubblicistica, scaturisce dalla presenza di poteri di controllo di legittimità degli atti di amministrazione, da parte dell’Assessorato regionale della cooperazione, del commercio, dell’artigianato e della pesca, compresa l’approvazione del bilancio, talché si deve ritenere la natura pubblicistica dell’ente.
Gli atti che sono stati contestati dal P.M. risultano giuridicamente inefficaci (ossia nulli), poiché mai deliberati né mai inviati al controllo di legittimità, attività di controllo che risulta comunque soggetta alla giurisdizione della Corte dei Conti (art. 3, Legge 97/2001) (Corte dei Conti, Sez. giurisdiz. Sicilia, sentenza 04.08.2010 n. 1807 - link a www.altalex.com).

NEWS

VARI: Rinnovo patente di guida, attenzione alla certificazione medica.
Novità per la certificazione medica relativa al conseguimento o al rinnovo della patente di guida. Il Ministero delle infrastrutture e trasporti, con decreto del 31.01.2011 ha disciplinato le modalità di trasmissione della certificazione medica per il conseguimento e il rinnovo della patente di guida.
Obiettivo è quello di individuare procedure che consentano di risalire con certezza al medico che rilascia la certificazione di idoneità fisica e psichica, da allegare alla domanda per il conseguimento o il rinnovo della patente, per garantire che egli abbia i requisiti previsti dalla legge.
Ai fini del rilascio del certificato di idoneità fisica e psichica necessario per il conseguimento della patente di guida, nonché di quello necessario al rinnovo di validità della stessa, i medici appartenenti ad amministrazioni devono richiedere un codice di identificazione all'ufficio della motorizzazione competente per territorio (in base al luogo dove ha sede l'ufficio al quale appartengono); il codice è riportato in calce alle certificazioni insieme al timbro ed alla firma del medico certificatore ed all'indicazione dell'ufficio di appartenenza dello stesso.
Le amministrazioni comunicano al centro elaborazioni dati della Direzione generale per la motorizzazione ogni evento dal quale derivi cessazione del rapporto. Anche i medici militari in quiescenza, o non più appartenenti alle strutture per motivi diversi dallo stato di quiescenza per il rilascio di certificazioni devono richiedere un codice di identificazione all’ufficio della motorizzazione competente per territorio, da riportare sulle certificazioni con la firma del medico.
La richiesta del codice deve essere accompagnata da una dichiarazione relativa allo stato del certificatore, ad esempio non essere stato destituito dall’incarico per motivi disciplinari o a seguito di condanne penali, né dispensato dal servizio per infermità.
Fino alla data del 31.08.2011 i medici appartenenti alle amministrazioni possono rilasciare i certificati di idoneità psico-fisica secondo le modalità precedenti alla riforma (link a www.governo.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Modifiche alla disciplina su rifiuti e pile.
Pile ed accumulatori non più rispondenti ai requisiti comunitari ma immesse sul mercato prima del 26.09.2008 potranno continuare ad essere commercializzate ma solo a particolari condizioni a carico dei produttori.
A tale riguardo, lo schema di decreto, approvato in via definitiva dal Consiglio dei ministri del 09.02.2011, prevede: l’obbligo per i produttori di nuove batterie di denunciare annualmente alle Camere di Commercio i dati relativi a pile e accumulatori immessi sul mercato nazionale nell’anno precedente; l’obbligo, per i sistemi collettivi di finanziamento, della gestione dei relativi rifiuti di iscriversi all’elenco tenuto dalle stesse Camere.
Le Camere di Commercio dovranno comunicare all’ISPRA l’elenco dei sistemi collettivi che, a sua volta, dovrà trasmettere al Ministero dell’ambiente i dati relativi alla raccolta ed al riciclaggio. Destinatari dell'intervento normativo sono, quindi, i produttori che hanno legalmente immesso sul mercato prima del 26.09.2008 pile ed accumulatori non conformi ai requisiti previsti dalla direttiva 2006/66/CE ed il Centro di Coordinamento, cui sono demandati nuovi compiti in luogo del Comitato di vigilanza e controllo, mentre l'attività di monitoraggio è affidata all'ISPRA.
Il decreto legislativo approvato che modifica la disciplina nazionale (DLgs n. 188/2008) di recepimento della direttiva europea 2006/66 in materia di mercato, raccolta e riciclaggio di pile ed accumulatori mira anche a conseguire un miglior coordinamento delle norme in esso previste, anche alla luce dei più recenti dettati comunitari in materia (direttiva 2008/103), ed alla decisione della Commissione 2009/603/CE del 05.08.2009, concernente gli obblighi di registrazione dei produttori (link a www.governo.it).

ENTI LOCALIOSSERVATORIO VIMINALE/ SERVIZI LOCALI/ Vecchie poltrone a rischio. Revocabile l'amministratore della partecipata. Il regolamento attuativo costringe il sindaco a scegliere.
Premesso che la nomina su designazione diretta degli amministratori di una società interamente partecipata dal comune viene effettuata con decreto del sindaco ai sensi dell'art. 2449 codice civile cui, per prassi consolidata, segue la delibera dell'assemblea della società, quale disciplina normativa si applica nel caso in cui le norme di incompatibilità introdotte dal dpr n. 168 del 07/09/2010, recante il regolamento in materia di servizi pubblici locali, di attuazione dell'art. 23-bis, legge n. 133/2008, siano entrate in vigore dopo l'emanazione del provvedimento di nomina del sindaco ma prima dell'adozione della delibera da parte dell'assemblea societaria?
La questione si pone in relazione all'operatività delle disposizioni richiamate che, essendo applicabili alle nomine e agli incarichi da conferire successivamente alla data di entrata in vigore del regolamento (art. 8, comma 9 del dpr), troverebbero attuazione nei confronti di taluni amministratori locali, qualora il decreto sindacale non avesse di per sé efficacia costitutiva delle nomine in questione.
Si tratta di esaminare la valenza giuridica da attribuire alla delibera assembleare che è adottata anche dopo la nomina diretta degli amministratori con decreto del sindaco.
Sotto un profilo strettamente giuridico, supportato da principi evidenziati dalla giurisprudenza amministrativa e contabile, la nomina ai sensi dell'art. 2449 c.c. ha valenza ed efficacia autonoma, a prescindere da una successiva delibera dell'assemblea, sia essa assunta in termini di ratifica o presa d'atto della stessa.
La designazione diretta degli amministratori ex art. 2449 c.c. e la nomina degli stessi per effetto della delibera dell'Assemblea societaria sono procedure di nomina distinte tra loro, equivalenti ma alternative; ciò emerge dalla pronuncia della Corte dei conti, sezione regionale di controllo per la Calabria n. 17/2010 secondo cui la citata disposizione normativa riguarda un diritto di nomina extra assembleare dello stato o di altro ente pubblico socio.
Nell'esercizio di tale diritto «il sindaco, nella qualità di legale rappresentante del comune, nomina o designa gli amministratori e i componenti del collegio sindacale per i quali lo statuto degli enti o delle società partecipate preveda tale facoltà, anche ai sensi degli artt. 2449 e 2450 cod. civ.
Nell'esercizio di tali poteri il sindaco deve, comunque, conformarsi agli indirizzi del consiglio comunale, ai sensi dell'art. 42, comma 2, lettera m) del Tuel
», che ne contempla la competenza all'approvazione degli indirizzi per le nomine da parte del sindaco.
In tal senso anche la sentenza della Cassazione civile, sezioni unite 4309/2010 che, con riguardo alle società per azioni a partecipazione pubblica, afferma che esse restano regolate dalle citate norme del codice civile che di per sé «non valgono a configurare uno statuto speciale per dette società, salvo per i profili inerenti alla nomina e revoca degli organi sociali, specificamente ivi contemplati, né comunque investono il tema della responsabilità di detti organi, che resta disciplinato dalle ordinarie norme previste dal codice civile» (cfr. art. 2449 c.c., comma 2 a tenore del quale anche i componenti degli organi amministrativi e di controllo di nomina pubblica «hanno i diritti e gli obblighi dei membri nominati dall'assemblea»).
Alla luce delle intervenute disposizioni in materia di incompatibilità, ferma restando la validità del decreto di nomina, il sindaco può, tuttavia, valutare l'opportunità di esercitare il potere di revoca se previsto dallo statuto societario; in tal caso un'eventuale provvedimento di sostituzione diretta deve tenere conto del nuovo regime di incompatibilità ed essere comunque esercitato nel rispetto degli indirizzi stabiliti dal consiglio comunale, dandone comunicazione allo stesso.
In merito il Tar Calabria, Catanzaro, sez. II, 18/02/2006 n. 1984, ha affermato che il socio pubblico, nell'effettuare «la revoca di un amministratore nominato con provvedimento diretto del socio pubblico ex art. 2449 cod. civ. «esercita un potere analogo a quello assembleare, in qualità di socio, e incide su organi che operano secondo il diritto privato» (articolo ItaliaOggi del 25.02.2011 - tratto da www.corteconti.it).

PUBBLICO IMPIEGOSolo valutatori doc. Il capo di gabinetto fuori dall'Oiv. La figura costituisce un alter ego tecnico del sindaco.
Il capo di gabinetto non può far parte dell'Organismo indipendente di valutazione. Tra gli enti locali che hanno deciso di applicare, per quanto non obbligati, l'articolo 14 della legge Brunetta (dlgs 150/2009) si è ingenerata notevole confusione in merito ai soggetti che possono essere incaricati nell'organismo medesimo.
Alla situazione di incertezza ha certamente contribuito anche la Civit, la quale ha ripetutamente ritenuto impossibile la partecipazione agli Oiv dei segretari comunali, considerandoli carenti del requisito dell'indipendenza. Essa sarebbe esclusa dalla derivazione diretta dell'incarico del segretario comunale dal sindaco o dal presidente della provincia. A maggior ragione, il direttore generale non potrebbe essere parte dell'Oiv, anche perché la Civit ha rilevato problemi di conflitto di interessi tra valutatore e valutato, posto che l'Oiv dovrebbe anche valutare i risultati del segretario e del direttore.
Le tesi esposte dalla Civit sono tutt'altro che persuasive, con riferimento al segretario comunale in particolare. Infatti, la circostanza che detto funzionario sia incaricato dal sindaco non ne compromette per nulla l'indipendenza. Basti considerare che il segretario dipende solo funzionalmente dal sindaco, poiché conduce il proprio rapporto di lavoro con il ministero dell'interno.
Non altrettanto può dirsi per il direttore generale, figura eventuale e non obbligatoria come il segretario, che deve integralmente all'organo di governo l'insorgere del proprio ruolo e delle proprie funzioni, tanto da essere chiamato espressamente dall'articolo 108, comma 1, del dlgs 267/2000 ad «attuare gli indirizzi e gli obiettivi stabiliti dagli organi di governo dell'ente, secondo le direttive impartite dal sindaco o dal presidente della provincia».
La connessione tra direttore generale e organi di governo è strettissima, tanto che, sebbene la giurisprudenza amministrativa abbia negato la sua configurazione quale organo politico, nei comuni di grandi dimensioni spessissimo il direttore generale funziona da assessore aggiunto e l'incaricato ha un'evidentissima carriera politica alle sue spalle. Se, allora, è da escludere per il direttore generale la possibilità astratta stessa di far parte dell'Oiv, a maggior ragione è in totale contrasto con il requisito di indipendenza l'incarico del capo di gabinetto, all'interno dell'Organismo.
La figura del capo di gabinetto, infatti, da un lato non solo è eventuale, ma non è nemmeno espressamente prevista dalla legge, essendo rimessa totalmente all'autonomia organizzativa dell'ente. La funzione del capo di gabinetto del sindaco non può che essere analoga a quella delle simili figure previste nell'ordinamento dei ministeri. Ha, dunque, prevalentemente il compito di definire e dirigere gli uffici di diretta collaborazione degli organi di governo, fare da raccordo tra le funzioni di indirizzo politico e quelle gestionali, nel rispetto dell'autonomia dei dirigenti, e supportare l'organo di governo nello svolgimento delle proprie specifiche funzioni strettamente politiche.
Non vi è dubbio alcuno, dunque, che si tratti di una figura legata strettissimamente al sindaco, del quale costituisce un alter ego tecnico, ma anche politico. Il capo di gabinetto viene istituto negli enti locali sulla base dell'articolo 90 del dlgs 267/2000, ai sensi del quale «il regolamento sull'ordinamento degli uffici e dei servizi può prevedere la costituzione di uffici posti alle dirette dipendenze del sindaco, del presidente della provincia, della giunta o degli assessori, per l'esercizio delle funzioni di indirizzo e di controllo loro attribuite dalla legge».
Il capo di gabinetto, dunque, da un lato collabora con gli organi politici solo per supportarli nell'esercizio delle funzioni di controllo che la legge assegni alla loro competenza: e tra queste non rientra assolutamente la funzione di valutazione. Dall'altro, l'articolo 90 esplicita una dipendenza diretta da sindaco, presidente della provincia, giunta o singolo assessore: basta questo da solo per escludere in radice l'indipendenza, richiesta dall'articolo 14, comma 8, del dlgs 150/2009, la quale non è assicurata dalla mera circostanza che l'incaricato nell'Oiv non conduca da almeno tre anni incarichi pubblici elettivi o cariche in partiti politici o in organizzazioni sindacali.
L'indipendenza implica l'assoluta assenza di un collegamento sia gerarchico, sia funzionale, e richiede anche l'assenza di un rapporto fiduciario o di condivisione politica. Nessuno di questi elementi caratterizzano il capo di gabinetto, la cui presenza nell'Oiv non può che inficiarne gravemente l'indipendenza e la stessa legittimità dei provvedimenti adottati (articolo ItaliaOggi del 25.02.2011 - link a www.corteconti.it).

PUBBLICO IMPIEGOI nuovi Ccnl sbloccheranno la valutazione.
La nuova stagione dei contratti collettivi nazionali di lavoro sbloccherà il sistema delle fasce di valutazione di cui all'articolo 19 del dlgs 150/2009, sterilizzato dall'intesa del 04.02.2011.

La lettera circolare 17/02/2011, n. 1, firmata dal ministro Renato Brunetta, cerca di mettere in chiaro le questioni connesse all'applicabilità della riforma del pubblico impiego, dopo il recente accordo con i sindacati, che blocca il funzionamento di uno degli strumenti maggiormente rilevanti, cioè la distinzione obbligatoria dei dipendenti in tre fasce di valutazione e di incentivazione.
Si sottolinea, nella nota, che l'intento dell'intesa del 4 febbraio scorso è evitare gli effetti che deriverebbero ai lavoratori se si applicasse il citato articolo 19: la riduzione, anche rilevante, della retribuzione comprensiva anche del salario accessorio, rispetto a quanto percepito dal 2010. È per questa ragione che le fasce di valutazione varranno solo per la distribuzione delle risorse aggiuntive ai contratti collettivi, in attuazione dell'articolo 61, comma 17, del dl 112/2008, convertito in legge 133/2008.
E, precisa la nota, questo effetto si produrrà solo per le amministrazioni destinatarie di tale articolo 61, comma 17, cioè amministrazioni statali ed enti nazionali. La nota, dunque, implicitamente esclude regioni, enti locali ed enti del sistema sanitario nazionale tra quelli abilitati ad applicare il sistema delle fasce alle sole risorse aggiuntive, posto che tali risorse per gli enti non appartenenti ai comparti statali non sono previste.
Questa osservazione ha portato di recente il presidente della Conferenza delle regioni e delle province autonome, Vasco Errani, a concludere che regioni ed enti del sistema sanitario nazionale (ma si possono aggiungere anche gli enti locali) potranno applicare il sistema delle fasce solo dopo il 2013, quando i nuovi contratti collettivi nazionali di lavoro sbloccheranno le fasce, come per altro la nota circolare 1/2011 indirettamente conferma.
Il ministro Brunetta, comunque, nella nota 1/2011 ricorda che, sempre solo per le amministrazioni statali, hanno perso efficacia tutti i contratti collettivi decentrati non adeguati alle norme del dlgs 150/2009, sicché risultano pienamente operativi e attuabili tutti gli strumenti previsti dalla riforma finalizzati a valorizzare il merito e la professionalità.
Implicitamente, la nota riafferma la piena vigenza anche delle nuove relazioni sindacali, visto che richiama le indicazioni espresse dalla funzione pubblica con la circolare 7/2010. La questione delle relazioni sindacali, comunque, è stata di recente oggetto della direttiva rivolta all'Aran per avviare la stipulazione dell'accordo quadro previsto dal punto 5 dell'intesa del 4 febbraio.
Inoltre, costituisce espresso oggetto anche dello schema di decreto legislativo di interpretazione autentica dell'articolo 65 del dlgs 150/2009, volto a chiarire l'immediata applicabilità della riforma, anche nelle more della sottoscrizione dei nuovi contratti collettivi nazionali di lavoro (articolo ItaliaOggi del 25.02.2011).

APPALTI: Pubblica amministrazione. Tracciabilità semplificata. Meno dati per il codice di gara.
Dieci click al posto di quarantadue. La richiesta del Cig il numero di identificazione dell'appalto rilasciato dall'Autorità di vigilanza sui contratti pubblici, sarà più semplice: le informazioni che il sistema informatico pretenderà dalle stazioni appaltanti saranno drasticamente ridotte per passare dalle attuali 42 a sole dieci.
Ad annunciare la semplificazione,- che è in fase di progettazione - è stato il presidente dell'Autorità, Giuseppe Brienza nell'audizione che si è svolta martedì alla commissione Ambiente della Camera.
Brienza ha fatto il punto sull'applicazione della legge antimafia (la n. 136/2010 in vigore dal 7 settembre) che per tutti gli appalti pubblici ha abolito il contante e ha reso obbligatoria la tracciabilità dei pagamenti. La semplificazione serve a rendere più veloce l'accesso al sistema informatico (Simog): le informazioni da immettere per avere il Cig (codice identificativo gara) e quindi ... (articolo Il Sole 24 Ore del 24.02.2011 - link a www.corteconti.it).

PUBBLICO IMPIEGO: L'Unità d'Italia si paga. Con l'anticipazione al 17 di marzo della retribuzione del 4 novembre i lavoratori perdono comunque una giornata di stipendio.
Giornata festiva, ma non pagata ai lavoratori, per le celebrazioni del 150 dell'unità d'Italia. Scuole, uffici e fabbriche resteranno chiusi il 17 marzo, senza obbligo per i datori di lavoro di retribuire la giornata ai dipendenti.
I lavoratori delle imprese private, tuttavia, manterranno costante lo stipendio, poiché riceveranno in anticipo la giornata incassata in più normalmente a novembre per la festività del 4 novembre (sullo stipendio di novembre poi riceveranno la giornata in meno). Non invece colf, badanti, portieri e dipendenti degli studi professionali i quali, invece, quel giorno potranno soltanto riposare.
La novità arriva dal dl 5/2011, in G.U. n. 44 di ieri, che dichiara giornata festiva l'anniversario dell'unità d'Italia. Giorno festivo. Il dl stabilisce che il 17 marzo (festa nazionale) deve considerarsi anche festivo ai sensi degli art. 2 e 4 della legge 260/1949.
Valgono dunque due cose: «l'osservanza del completo orario festivo e il divieto di compiere determinati atti giuridici» (art. 2) e l'obbligo di imbandierare gli edifici pubblici (art. 4). Il provvedimento, invece, non richiama l'art. 5 della legge 260/1949, che disciplina il trattamento economico da riservare alle festività. La conseguenza è doversi ritenere, il prossimo 17 marzo, una giornata festiva ma senza diritto alla retribuzione.
Chi paga la giornata? Per equilibrare la giornata di festa non retribuita il dl prevede una soluzione ad hoc: «gli effetti economici e gli istituti giuridici e contrattuali previsti per la festività soppressa del 4 novembre non si applicano a tale ricorrenza ma, in sostituzione, alla festa nazionale per il 150 anniversario dell'unità d'Italia», ossia al 17 marzo. La soluzione è prevista ... (articolo ItaliaOggi del 24.02.2011 - link a www.corteconti.it).

ENTI LOCALI - VARI: Arriva la cedolare sugli affitti. E dal 2014 l'Imu sostituirà l'Ici.
L'arrivo della cedolare sui redditi degli affitti, con un risparmio per i proprietari, ma anche lo sblocco delle addizionali Irpef e l'arrivo della tassa di soggiorno sui turisti, che comporteranno un aggravio fiscale. E poi: una vera e propria rivoluzione sul fronte della tassazione immobiliare, con l'Ici che va in soffitta e che viene sostituita dall'Imu, la nuova imposta municipale.
Sono i contenuti del decreto sul federalismo municipale che ieri ha avuto il via libera dall'aula del Senato.
CEDOLARE. Scatta dall'inizio del 2011. Riguarda i soli immobili affittati a uso abitativo. Al posto dell'attuale tassazione Irpef e dell'imposta di registro, arriva un prelievo fisso del 21% (al 19% per i canoni agevolati). La convenienza ad utilizzare la cedolare scatta per chi ha redditi sopra i 15mila euro (ma sopra i 28mila euro peri canoni agevolati). Rimane comunque possibile continuare a tassare il reddito con l'Irpef.
AFFITTI. Saltata l'ipotesi di un bonus per gli inquilini, arriva il blocco degli affitti che, per chi sceglie la cedolare, non potranno essere nemmeno essere ade-guati al costo della vita Istat.
SBLOCCO ADDIZIONALE IRPEF. Arriva lo sblocco dell'addizionale Irpef. L'aumento non potrà superare lo 0,4%.
COMPARTECIPAZIONE IVA E FONDO PEREQUATIVO. Compartecipazione all'Iva al consumo e non più all'Irpef. Quote di altri tributi vengono devolute ai Comuni per il 30% e serviranno anche ad alimentare un «fondo perequativo» per bilanciare eventuali squilibri fiscali.
ADDIO ICI, ARRIVA L'IMU. Dal 2014 l'Ici sulle seconde case sarà sostituita dall'Imposta Municipale Propria. L'aliquota di equilibrio é fissata al 7,6 per mille.
TASSA TURISMO. Arriva la tassa sui turisti che potrebbero dover pagare fino a 5 euro per notte per il soggiorno in capoluoghi, nei Comuni turistici e nelle città d'arte.
TASSA RIFIUTI. Ora si paga sui metri quadrati, la riforma preannuncia l'arrivo di un decreto ad hoc che riorganizzi il tributo guardando anche alla composizione nel nucleo familiare.
LOTTA A EVASIONE. Inasprite le norme per chi non dichiara redditi da locazione: metà dell'incasso andrà ai Comuni. ... (articolo Avvenire del 24.02.2011 - link a www.corteconti.it).

PUBBLICO IMPIEGO: No a maggiorazioni sulla buonuscita. Nota Inpdap sulla contribuzione.
Nessuna maggiorazione contributiva sulla buonuscita (tfs, tfr). Sia che il dipendente lavori per 15 giorni almeno (con diritto a un mese intero di buonuscita) sia che lavori di meno (nessun diritto alla buonuscita) il contributo da pagare va calcolato sulla retribuzione effettivamente erogata.
Lo precisa l'Inpdap nella nota operativa 17.02.2011 n. 5/2011.
I chiarimenti riguardano la novità operativa da quest'anno che vede i dipendenti pubblici equiparati (quasi) pienamente ai lavoratori del settore privato, con l'estensione delle modalità di calcolo del tfr per ogni tipologia di buonuscita (si veda ItaliaOggi del 4 febbraio).
La novità, spiega l'Inpdap, non modifica le voci retributive utili ai fini del calcolo della prestazione, né le aliquota di finanziamento. Pertanto, per i lavoratori in regime di Ibu (indennità di buonuscita ex Enpas) il contributo, pari al 9,60% della retribuzione contributiva (che è l'80% della retribuzione utile) resta ripartito per la quota pari al 7,10% a carico dell'amministrazione ... (articolo ItaliaOggi del 22.02.2011 - link a www.corteconti.it).

APPALTI: Nessun appalto sfugge al vincolo di tracciabilità. La registrazione è estesa a tutti i nuovi contratti.
Non sono bastate due determinazioni a chiarire i dubbi applicativi in materia di tracciabilità dei flussi finanziari e, a meno di un mese dall'emanazione dell'atto n. 10 del 22.12.2010, l'Autorità di vigilanza sui contratti ha pubblicato anche i quesiti operativi più frequenti (Faq).
La tracciabilità è il tema che più di ogni altro, in queste settimane, scalda il clima negli enti locali e non solo, viste le complesse implicazioni anche per i soggetti economici. Trai punti più sofferti c'è l'inesistenza di un limite di importo.
La legge prevede, infatti, che i nuovi obblighi si applichino a tutti i contratti di appalto di lavori, servizi e forniture tra un committente pubblico e un operatore economico, indipendentemente dalle procedure di affidamento (gara, servizi in economia eccetera) e senza differenza fra modalità di stipula del contratto (contratto formale, ordine a seguito di offerta eccetera). La portata applicativa della nuova disciplina, quindi, è ampia e comprende anche i contratti relativi a piccole forniture o a servizi di modico valore, acquistati in economia.
L'altro punto delicato è rappresentato dall'esclusione dagli obblighi di tracciabilità degli acquisti effettuati utilizzando il fondo economale, per spese di carattere occasionale ed urgente. A condizione, però: che non si tratti di spese effettuate a fronte di contratti di appalto; che gli acquisti siano tipizzati nel regolamento di contabilità o di economato e nel rispetto dei limiti di spesa che l'ente si è dato nel regolamento della cassa economale.
Problematica anche la strada dell'esclusione dalla tracciabilità dello svolgimento di prestazioni di lavori, servizi e forniture in economia, tramite amministrazione diretta ex articolo 125, comma 3 del Codice dei contratti. Anche in questi casi -in cui la stazione appaltante provvede all'esecuzione di opere con materiali, mezzi e personale ... (articolo Il Sole 24 Ore del 21.02.2011 - link a www.corteconti.it).

GIURISPRUDENZA

APPALTI: Sull'obbligo, in capo ad un'impresa concorrente in una gara d'appalto, di rispettare il requisito di regolarità contributivo per tutta la durata della procedura.
Sulla competenza degli enti previdenziali in ordine alla verifica della regolarità contributiva da parte dei concorrenti in una gara d'appalto.
Secondo consolidata giurisprudenza amministrativa, il requisito della regolarità contributiva deve essere un elemento costante nella condotta del concorrente in una gara pubblica, che concorre a provare l'affidabilità, diligenza e serietà dell'impresa.
Ne discende che alla stessa vengano richiesti, non solo la regolarità contributiva come requisito indispensabile per la partecipazione alla gara, ma anche il mantenimento della "correntezza" contributiva per tutto lo svolgimento di essa, restando irrilevante un eventuale adempimento tardivo della relativa obbligazione.
In tal senso, anche la l'Autorità per la Vigilanza sui Contratti Pubblici, nel richiamare l'orientamento giurisprudenziale prevalente, ai sensi del quale l'impresa deve essere in regola con i relativi obblighi fin dalla presentazione della domanda, ritiene "irrilevanti eventuali adempimenti tardivi, pur se i loro effetti, dal punto di vista della disciplina dell'obbligazione, retroagiscano al momento della scadenza del termine di pagamento" (Delib. n. 89 del 28.11.2006), non riuscendo detti adempimenti ad impedire quella sorta di sanzione indiretta costituita dall'esclusione dalla gara o dall'effetto preclusivo dell'aggiudicazione dell'appalto pubblico.
E' dunque evidente, nel caso di specie, la legittimità e correttezza dell'operato della stazione appaltante che, all'esito di una accertata irregolarità contributiva in capo all'impresa e della conseguente mendace dichiarazione con riferimento al possesso dei requisiti di cui all'art. 38, c. 1, lett. i), del d.lgs. n. 163/2006, dichiari l'esclusione della ricorrente dalla procedura di gara, secondo quanto disposto dall'art. 49 del medesimo decreto.
---------------
A seguito dell'entrata in vigore della disciplina sul certificato di regolarità contributiva di cui agli artt. 2 del d.l. n. 210/2002 e 3, c. 8, lett. b-bis) del d.lgs. n. 494/1996, la verifica della regolarità contributiva non rientra più nella competenza delle stazioni appaltanti, bensì in quella degli enti previdenziali, le cui certificazioni si impongono alle stazioni appaltanti, che non possono sindacarne il contenuto. Di conseguenza, la stazione appaltante non ha alcuna possibilità di procedere ad autonoma verifica del requisito soggettivo di regolarità contributiva, e deve attenersi a quanto certificato dall'amministrazione competente.
Il DURC assume pertanto la valenza di una "dichiarazione di scienza", da collocarsi tra gli atti di certificazione od attestazione redatti da un pubblico ufficiale, aventi carattere meramente dichiarativo dei dati in possesso della p.a., assistito da pubblica fede ai sensi dell'art. 2700 c.c., facente piena prova fino a querela di falso (TAR Lazio-Roma, Sez. III-ter, sentenza 22.02.2011 n. 1672 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Sui casi di invalidità del verbale di gara in materia di procedure d'appalto.
La tutela dell'integrità dei plichi contenenti gli atti di gara deve essere assicurata in astratto.

La giurisprudenza afferma che l'indicazione della durata delle operazioni verbalizzate, in alcuni casi può essere considerato un elemento essenziale; in altri casi, cioè nelle ipotesi in cui si evince altrimenti che la valutazione è stata attenta e ponderata può risultare, invece, superflua.
Le lacune del verbale possano causare l'invalidità dell'atto verbalizzato solo nel caso in cui esse riguardino aspetti dell'azione amministrativa, la cui conoscenza risulti necessaria per poterne verificare la correttezza, mentre quelli concernenti aspetti diversi e non determinanti danno luogo a mere irregolarità formali, come tali inidonee a comportare l'illegittimità dell'atto che tali omissioni presenti.
Nel caso di specie, la mancata indicazione dell'orario di inizio e di fine della seduta non è idonea a comportarne la illegittimità, atteso che la lettura della documentazione tecnica contenente le specifiche tecniche ed organizzative dei servizi proposti era indice di valutazione ponderata della documentazione de qua, con irrilevanza della mancata indicazione della ora di inizio e conclusione della seduta, non essendo stato provato ed anzi risultando "per tabulas" che comunque il tempo dedicato alla disamina di detta documentazione non poteva essere stato palesemente insufficiente.
---------------
La mancata dettagliata indicazione nei verbali di gara delle specifiche modalità di custodia dei plichi e degli strumenti utilizzati per garantire la segretezza delle offerte non costituisce di per sé motivo di illegittimità del verbale e della complessiva attività posta in essere dalla commissione di gara, dovendo invece aversi riguardo al fatto che, in concreto, non si sia verificata l'alterazione della documentazione.
Secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, la tutela dell'integrità dei plichi contenenti gli atti di gara deve essere assicurata in astratto, e quindi è sufficiente che la documentazione di gara sia stata sottoposta a rischio di manomissione per ritenere invalide le operazioni di gara, tuttavia, nel caso di specie, non è stata provata l'eventuale manomissione dei plichi (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 22.02.2011 n. 1094 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Sull'esclusione dalle gare ai sensi dell'art. 38, c. 1, lett. c), del d.lgs. n. 163/2006.
L'art. 38, c. 1, lett. c), del d.lgs. n. 163/2006, dispone che l'esclusione dalle gare e il divieto di affidamento di subappalti, per condanna incidente sulla moralità professionale, operano anche se la condanna è intervenuta "nei confronti dei soggetti cessati dalla carica nel triennio antecedente la data di pubblicazione del bando di gara, qualora l'impresa non dimostri di aver adottato atti o misure di completa dissociazione".
Esiste la possibilità, tuttavia, per l'operatore economico interessato e con riferimento a detto triennio, di interrompere il nesso di identificazione adottando "atti o misure di completa dissociazione dalla condotta penalmente sanzionata", tenendo conto, in particolare, che il recupero dell'affidabilità dell'impresa non avviene automaticamente per effetto della semplice sostituzione del soggetto inquisito.
E', infatti, ininfluente la circostanza che l'operatore economico abbia cessato di avvalersi dell'amministratore o del direttore tecnico condannati, tranne nel caso in cui dimostri di averli per tale ragione estromessi dall'incarico e di essersi completamente dissociato dalla condotta penalmente sanzionata (TAR Lazio-Roma, Sez. III, sentenza 22.02.2011 n. 1652 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: L'applicabilità del regime dell'affidamento in economia di beni, servizi, lavori, non può privare l'amministrazione della facoltà, in ragione delle peculiarità delle prestazioni da richiedere, di ricorrere alle procedure aperte.
L'applicabilità del regime dell'affidamento in economia di beni, servizi, lavori, non può privare l'amministrazione della facoltà, in ragione delle peculiarità delle prestazioni da richiedere, di ricorrere alle procedure aperte regolate dal d.lgs. n. 163/2006 (codice dei contratti pubblici) applicando quelle regole che, comunque, gli articoli 121 e, per gli appalti di servizi, 124 del suddetto codice impongono anche agli appalti sotto soglia comunitaria.
Ne consegue che, nel caso di specie, è legittima la scelta del comune di affidare mediante procedura aperta e con il sistema dell'offerta economicamente più vantaggiosa ai sensi dell'art. 83 del d.lgs. n. 163/2006, il servizio di brokeraggio assicurativo, sebbene, in astratto, data l'entità del servizio, l'ente locale avrebbe potuto seguire le regole dell'affidamento dei servizi in economia di cui all'art. 125 del codice dei contratti pubblici (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 21.02.2011 n. 1082 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

LAVORI PUBBLICI: Attività di progettazione - Articolazione - Progetto preliminare, definitivo ed esecutivo - Art. 93 d.lgs. n. 163/2006 - Progetto preliminare - Suscettibilità di variazioni, modifiche e specificazioni.
La vigente normativa (cfr. art. 93 del D.L.vo 2006, n. 163) articola l'attività di progettazione per l'esecuzione dei lavori pubblici secondo tre successivi livelli di approfondimenti tecnici, distinguendo il progetto preliminare, il progetto definitivo e il progetto esecutivo.
Dal confronto tra il progetto preliminare e il progetto definito emerge che quello preliminare non delinea un quadro dettagliato e compiuto dell’opera da realizzare, ma è suscettibile di variazioni, modifiche e specificazioni (cfr. tra le tante TAR Campania Napoli, sez. IV, 21.08.2008, n. 9955; TAR Lombardia Brescia, sez. II, 26.05.2009, n. 1064).
Ciò è confermato dalla circostanza che spetta al progetto definitivo di individuare “compiutamente i lavori da realizzare”.
Progetto definitivo - Documentazione da allegare - Art. 25 d.P.R. n. 554/1999 - Studio di impatto ambientale.
L’art. 25 del d.p.r. 1999 n. 554 individua la documentazione che deve essere allegata al progetto definitivo, prescrivendo, tra l’altro, la redazione dello “studio di impatto ambientale ove previsto dalle vigenti normative ovvero studio di fattibilità ambientale” (TAR Lombardia-Milano, Sez. III, sentenza 18.02.2011 n. 499 - link a www.ambientediritto.it).

URBANISTICA: Regione Lombardia - Art. 104 l.r. Lombardia n. 12/2005 - Adeguamento dei p.r.g. vigenti alla nuova disciplina - Disciplina transitoria - Varianti - Trasmissione alla provincia competente - Verifica della compatibilità con il piano territoriale di coordinamento.
L’art. 104, comma 1, lett. cc), della legge reg. Lombardia 2005 n. 12 ha disposto l’abrogazione espressa, tra l’altro, dell'art. 3, commi da 2 a 40, della legge regionale 05.01.2000, n. 1 “salvo per quanto previsto agli articoli 25, comma 1 e 92, commi 7 e 8, della presente legge” (cfr. Tar Lombardia Milano, sez. III, 22.12.2009, n. 5962).
A sua volta l’art. 25, comma 1, della legge reg. 2005 n. 12 detta una disciplina transitoria, individuando, tra l’altro, quali procedure di variante urbanistica i Comuni possono utilizzare fino all’adeguamento dei piani regolatori generali vigenti alla nuova disciplina normativa introdotta in materia di governo del territorio.
Dal coordinamento tra le due norme citate deriva che, qualora l’amministrazione comunale approvi -nel periodo transitorio individuato dall’art. 25, comma 1, della legge reg. 2005 n. 12,- una delle varianti previste dall’art. 2, comma 2, della legge reg. 23.06.1997, n. 23, devono trovare applicazione le previsioni dell'art. 3, commi da 2 a 40, della legge reg. 05.01.2000, n. 1.
Pertanto, in questi casi deve essere applicato anche il comma 18 dell’art. 3 della legge reg. 2000 n. 1, ove si prevede che il comune debba trasmettere la variante adottata alla Provincia competente, al fine di consentire la verificazione della compatibilità della nuova disciplina urbanistica con il piano territoriale di coordinamento (TAR Lombardia-Milano, Sez. III, sentenza 18.02.2011 n. 499 - link a www.ambientediritto.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: RIFIUTI - Carcasse di macchine agricole - Prescrizioni - Impermeabilizzazione del piazzale e predisposizione di pozzetti per la raccolta delle acque - Legittimità.
La prescrizione di impermeabilizzare il piazzale ove è effettuato il deposito di carcasse di macchine agricole e di predisporre pozzetti per la raccolta delle acque (onde evitare che i materiali inquinanti vengano trascinati nel suolo dalle acque di dilavamento del piazzale) è del tutto conforme agli obblighi che sono individuati a carico di chi gestisce una attività di questo tipo (cfr. sul punto Cass. pen., sez. III, 9848/2009, secondo cui “nella specie, è stato accertato in punto di fatto, oltre alla carenza di autorizzazione relativamente all'area nella quale era stato effettuato il deposito delle carcasse di auto, la inadeguatezza, sul piano tecnico, della stessa, trattandosi di un'area sterrata che non assicurava un'adeguata tutela dal pericolo di percolazione di sostanze provenienti dai veicoli. Sicché non risultavano, in ogni caso, rispettate le condizioni prescritte dalle disposizioni contenute nel D.Lgs. n. 152/2006 perché potesse ravvisarsi l'ipotesi del deposito temporaneo non soggetto ad autorizzazione”).
RIFIUTI - Accumulo di beni destinati alla rottamazione - Necessità di specifica autorizzazione - Deposito temporaneo - Categorie omogenee - Art. 183 d.lgs. n. 152/2006 - Macchine agricole non funzionanti e materiale ferroso di vario tipo - Qualità di rifiuti - Sussistenza - Provvedimento comunale che impone lo smaltimento - Legittimità.
E’ necessaria una autorizzazione per svolgere una attività di “accumulo” di beni destinati alla rottamazione elencati nel catalogo europeo dei rifiuti (CER) quali i veicoli e i pneumatici fuori uso, le batterie e gli accumulatori, in quanto "beni" destinati allo smaltimento o al recupero delle sostanze per i quali anche il deposito preliminare è soggetto ad autorizzazione.
L'art. 183, comma primo lett. m) n. 4), del D.Lgs n. 152/2006, dispone inoltre che "il deposito temporaneo deve essere effettuato per categorie omogenee di rifiuti e nel rispetto delle relative norme tecniche, nonché per i rifiuti pericolosi..." (Cass. pen., sez. III, 9848/2009).
In assenza di specifica autorizzazione, pertanto, le macchine agricole non funzionanti e prive di parti meccaniche, il materiale ferroso di vario tipo, le cisterne di gasolio vuote, le botti spargi liquame arrugginite e i pneumatici di trattore bucati o altrimenti non utilizzabili accumulati in un’area di proprietà rientrano nella nozione di rifiuto, a prescindere dalla asserita possibilità di riutilizzo per l’attività di commercio di pezzi di ricambio usati di macchine agricole.
Ne deriva la legittimità del provvedimento del comune che ne impone lo smaltimento (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 18.02.2011 n. 316 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: VIA - Conclusione del procedimento - Termine di 150 giorni - Art. 26 d.lgs. n. 152/2006 - Principio fondamentale non derogabile della Regione e dagli enti delegati.
La conclusione del procedimento di valutazione di impatto ambientale è sottoposta al termine di centocinquanta giorni dalla presentazione dell’istanza, ai sensi dell’art. 26 del dlgs. n. 152/2006.
L’obbligo, per l’Amministrazione preposta, di pronunciarsi entro termini perentori sulle istanze di compatibilità ambientale costituisce principio fondamentale della materia non derogabile dalle Regioni e dagli enti delegati (TAR Puglia-Bari, Sez. I, sentenza 18.02.2011 n. 289 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTI: Stipulazione del contratto e attuazione del rapporto negoziale - Ambito materiale dell’ordinamento civile - Fase del collaudo - Regioni - Applicazione della normativa statale - Art. 8, c. 1 l.r. Lombardia n. 7/2010 - Illegittimità costituzionale.
Nel settore degli appalti pubblici, la fase che ha inizio con la stipulazione del contratto e prosegue con l’attuazione del rapporto negoziale è disciplinata da norme che devono essere ascritte all’ambito materiale dell’ordinamento civile. Ciò in quanto, in tale fase, l’amministrazione si pone in una posizione di tendenziale parità con la controparte ed agisce non nell’esercizio di poteri amministrativi, bensì nell’esercizio della propria autonomia negoziale (ex multis, sentenza n. 401 del 2007).
Con riferimento alla disciplina del collaudo, pertanto, le Regioni sono tenute ad applicare la normativa statale e ad adeguarsi alla disciplina dettata dallo Stato per tutto quanto attiene alla fase di esecuzione dei contratti di lavori, servizi e forniture.
Ne deriva l’illegittimità costituzionale dell’art. 8, comma 1, lettera r), della legge della Regione Lombardia 05.02.2010, n. 7, nella parte in cui ha sostituito l’art. 20, comma 3, della precedente legge regionale 19.05.1997, n. 14, per invasione dell’ambito materiale dell’ordinamento civile riservato esclusivamente allo Stato, in quanto tale norma disciplina un settore, quello del collaudo e della verifica di regolarità dell’esecuzione dei contratti di lavori, forniture e servizi, che rientra specificamente nella suddetta competenza legislativa (Corte Costituzionale, sentenza 18.02.2011 n. 53 - link a www.ambientediritto.it).

URBANISTICA: VAS - Procedure avviate anteriormente all’entrata in vigore della parte seconda del d.lgs. n. 152/2006 - Disciplina transitoria - Art. 52, c. 2 d.lgs. n. 152/2006 - Regione Lombardia - L.r. Lombardia n. 12/2005.
Ai sensi dell’art. 52, c. 2, del d.lgs. n. 152/2006, “i procedimenti amministrativi in corso alla data di entrata in vigore della parte seconda del presente decreto, nonché i procedimenti per i quali a tale data sia già stata formalmente presentata istanza introduttiva da parte dell'interessato, si concludono in conformità alle disposizioni ed alle attribuzioni di competenza in vigore all'epoca della presentazione di detta istanza”.
La procedura di valutazione ambientale strategica avviata in data anteriore al 31.07.2007 trova dunque la propria regola nell’art. 4, c. 4, della l.reg. Lombardia n. 12/2005, che disciplina il periodo transitorio sino all'approvazione del provvedimento con cui la Giunta regionale detta gli adempimenti di disciplina (avvenuta con d.g.r. 27.12.2007, n. VIII/6420, la quale peraltro precisa che “i procedimenti di formazione e di approvazione di piani/programmi già avviati alla data di pubblicazione sul BURL della presente deliberazione si concludono in conformità alle disposizioni in vigore al momento dell’avvio del procedimento stesso, ovvero secondo le disposizioni di cui all’art. 4, comma 4, della l.r. 12/2005”).
VIA E VAS - Direttiva 2001/42/CE - Carattere self-executing - Esclusione.
Non possono considerarsi self executing le direttive comunitarie (nella specie, direttiva 2001/42/CE) le quali, ancorché in modo dettagliato, introducono un nuovo istituto nell'ordinamento degli Stati membri, dovendo questo necessariamente essere recepito e disciplinato dal legislatore interno (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 14.04.2010, n. 2097; 28.05.2009, n. 3333) (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 17.02.2011 n. 481 - link a www.ambientediritto.it).

ATTI AMMINISTRATIVIL’accesso alle liste elettorali comunali può essere negato dall’amministrazione quando l’utilizzo indicato risulti astratto e generico.
Col ricorso contenuto nella pronuncia in commento si chiedeva l'annullamento del diniego all’accesso alle liste elettorali comunali e la condanna dell’amministrazione comunale a consegnare al ricorrente copia delle liste elettorali aggiornate.
Tuttavia, il Tribunale amministrativo della Sardegna ha considerato il ricorso infondato, accogliendo le motivazioni poste dal comune a fondamento del diniego della richiesta del ricorrente di rilascio di copia delle liste elettorali; in quel provvedimento l’Ente precisava che il nuovo testo dell’articolo 51 del D.P.R. n. 223 del 20.03.1967, così come modificato dall’articolo 177 del D.Lgs. 30.06.2003 n. 196, stabilisce che le liste elettorali possono essere rilasciata in copia solamente per le finalità indicate dalla norma medesima.
Ugualmente esatta, secondo i giudici isolani, risulta l’ulteriore affermazione secondo cui spetta all’amministrazione destinataria dell’istanza (in questo caso al comune) “entrare nel merito della richiesta e valutare se la specifica finalità del loro successivo utilizzo, dichiarata da parte del richiedente, sia conforme all’attività del soggetto medesimo, nonché se rientri effettivamente tra le ipotesi di cui al citato articolo 177/2003”.
Deve infatti ritenersi che sia preciso onere del richiedente di indicare chiaramente e specificatamente nella propria istanza l’uso che intende fare dei dati delle liste elettorali, non essendo assolutamente sufficiente il richiamo alle espressioni generali utilizzate dalla disposizione in esame per indicare le finalità consentite.
In sostanza, il richiedente deve indicare chiaramente e specificatamente il concreto uso che intende fare dei dati delle liste elettorali, spettando poi al soggetto che deve applicare la norma (il comune e in seconda istanza il giudice), di valutare e stabilire se tale concreto utilizzo rientra o meno nelle finalità ammesse dalla norma di legge.
Ciò premesso, i giudici cagliaritani considerano che nelle varie istanze e note del ricorrente indirizzate al comune, non risulta una indicazione chiara, specifica e soprattutto univoca dell’utilizzo che si intende fare dei dati delle liste elettorali in questione, dovendosi ritenere che l’indicazione più chiara e attendibile dell’utilizzo dei dati in questione sia, in realtà, contenuta nella prima richiesta del ricorrente del 27.05.2010, allorché la posizione dell’istante non risultava “influenzata” dal contenuto della successiva corrispondenza intercorsa col comune.
In tale prima istanza del ricorrente, si precisa che “Il nostro Comitato tenta di difendere, e comunque s’interessa di diversi problemi, (la difesa dei piccoli azionisti delle spa, sia quotate che no, le tariffe professionali – di notai, avvocati, commercialisti, ecc. – talvolta ritenute esose, ecc.)”. “Ci servono gli elenchi degli elettori sia per eventualmente agire direttamente nei loro confronti (ogni singolo elettore) per sensibilizzarli sui singoli problemi, sia per tentare d’indirizzarli (in occasione delle elezioni di qualunque tipo), verso candidati e/o partiti, che nei contatti con noi o nelle loro altre manifestazioni, abbiano dimostrato interesse per le nostre rivendicazioni.”
Ciò stante, concludono gli stessi giudici, considerato che, in forza dell’articolo 51 del D.P.R. n. 223 del 20.03.1967, così come modificato dall’articolo 177 del D.Lgs. 30.06.2003 n. 196, “Le liste elettorali possono essere rilasciate in copia per finalità di applicazione della disciplina in materia di elettorato attivo e passivo, di studio, di ricerca statistica, scientifica o storica, o carattere socio-assistenziale o per il perseguimento di un interesse collettivo o diffuso”, l’utilizzo indicato dal ricorrente risulti astratto e generico e, come tale, non riconducibile alle finalità di legge (commento tratto da www.documentazione.ancitel.it - TAR Sardegna, Sez. II, sentenza 17.02.2011 n. 148 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI: V.I.A. - Impianti di produzione di energia elettrica - Art. 31, c. 2, d.lgs. n. 112/1998 - Parere positivo espresso in sede di v.i.a. - Affidamento della parte circa la realizzazione dell’impianto - Limiti - Emersione di sopravvenienze rilevanti - Subordinazione dell’autorizzazione finale a ulteriori prescrizioni - Legittimità.
Nell'ambito della più ampia procedura volta al rilascio dell'autorizzazione finale di cui all'art. 31, comma 2, lett. b), del Dlgs. 31.03.1998, n. 112, il parere espresso in sede di valutazione di impatto ambientale, sul piano istruttorio e per le tematiche ad esso inerenti, comporta un forte vincolo procedimentale e pertanto i risultati cui è pervenuto, non potrebbero essere legittimamente disattesi dalla successiva attività istruttoria per le parti che costituiscono il presupposto logico essenziale del giudizio espresso in quella sede.
Tuttavia la positiva valutazione di impatto ambientale non esaurisce ogni aspetto della procedura autorizzativa e non è pertanto idonea ad esprimere un giudizio definitivo sull’intervento, reso possibile solo dal rilascio dell’autorizzazione finale (cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, 18.01.2006, n. 129).
Deve pertanto ritenersi che l'Amministrazione competente al rilascio del provvedimento finale sia comunque legittimata a chiedere chiarimenti ed integrazioni ovvero a subordinare ad ulteriori condizioni e prescrizioni il rilascio dell'autorizzazione finale, qualora, nel corso dell'istruttoria, emergano nuovi elementi prima non considerati i quali rendano evidente l'impossibilità di conseguire quelle fondamentali esigenze di equilibrio ecologico e ambientale poste a fondamento del giudizio favorevole di compatibilità ambientale (cfr. Cass. civ., s.u., 07.07.2010, n. 16039).
Pertanto, l’affidamento della parte alla realizzazione dell’impianto determinato dal rilascio della v.i.a. non cristallizza la situazione al momento in cui la stessa è stata rilasciata, ma consente di valutare anche sopravvenienze, purché naturalmente esse vi siano e siano anche rilevanti (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 16.02.2011 n. 282 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI: V.I.A. - Provvedimento di esclusione della procedura di VIA - Provvedimento di autorizzazione del progetto - Onere di impugnazione - Rapporti e limiti - Comuni interessati diversi da quello nel cui territorio è prevista l’ubicazione dell’impianto - Espressione del parere nell’ambito della procedura di VIA - Art. 2, lett. m), L.r. Veneto n. 10/1999.
L’onere di impugnazione del provvedimento che decide in merito all’esclusione della procedura di VIA non preclude ai soggetti interessati l’impugnazione del provvedimento con cui il progetto viene autorizzato.
Tuttavia nel caso in cui sia impugnata soltanto l’autorizzazione all’esecuzione del progetto non potranno essere fatti valere con il ricorso censure relative alla mancata effettuazione della procedura di VIA, perché tale aspetto è stato già autonomamente e definitivamente considerato dal presupposto provvedimento, non tempestivamente impugnato, con cui è stata esclusa la procedura di VIA.
Né è possibile sostenere che solo con l’autorizzazione all’esecuzione del progetto sorga la lesione e dunque l’interesse all’impugnazione, perché la decisione di non effettuare la VIA comporta già un pregiudizio per la tutela ambientale che consiste nell’impiego di minori cautele nella definizione della procedura autorizzatoria.
Tale circostanza è particolarmente evidente con riferimento ai Comuni interessati (diversi da quello nel cui territorio è prevista l’ubicazione dell’impianto) ai quali la procedura di VIA consentirebbe, in relazione all’impatto ambientale ai sensi dell’art. 2, lettera m), della legge regionale del Veneto n. 10 del 1999, di esprimere il parere nell’ambito della procedura di VIA (TAR Veneto, Sez. III, sentenza 16.02.2011 n. 265 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: Vincolo storico-culturale su siti espressione di archeologia industriale - Esistenza di edifici privi di pregio architettonico - Irrilevanza - Ragioni.
La tutela imposta sui siti espressione di archeologia industriale non tende a salvaguardare un bene per la sua intrinseca bellezza, quanto per il suo valore storico -culturale: il vincolo è funzionale alla conservazione di significative testimonianze dei modi di essere degli aggregati urbani e delle produzioni architettoniche, in una precisa connessione con determinate attività di carattere economico-produttivo.
Ne deriva l’irrilevanza dell’esistenza, tra i beni vincolati, di edifici privi di pregio architettonico, non dovendo il vincolo storico-culturale trovare la propria giustificazione nel valore dei singoli elementi componenti l'insieme.
Valutazioni relative al pregio storico, culturale o artistico di un’area - Discrezionalità tecnica - Limiti del sindacato giurisdizionale.
Le valutazioni relative al pregio storico, culturale o artistico di un'area, poste a fondamento della determinazione vincolistica (diretta o indiretta), ai sensi della legge n. 1089/1939 (ora d.lgs. n. 42/2004), sono espressioni di discrezionalità tecnica, sindacabili, come tali, solo sotto il profilo della congruità e della logicità della motivazione e non per considerazioni legate ad un diversificato apprezzamento di valore (TAR Veneto, Sez. II, sentenza 15.02.2011 n. 235 - link a www.ambientediritto.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: RIFIUTI - Fanghi da depurazione - Deposito incontrollato - Disciplina dei rifiuti - Fattispecie - Reato di cui all'art. 256, 2° c., D.L.vo n. 152/2006 - Art. 127 D.L.vo n. 152/2006 (così modificato dall’art. 2, c. 12-bis, D.Lvo n. 4/2008).
Ai sensi dell'art. 127 del Decreto Legislativo n.152 del 2006 (così come modificato dall'art. 2, comma 12-bis, Decreto Legislativo n. 4/2008), i fanghi derivanti dal trattamento delle acque reflue sono sottoposti alla disciplina dei rifiuti alla fine del complessivo processo di trattamento effettuato nell'impianto di depurazione.
Nella fattispecie, attinente al deposito incontrollato di fanghi derivanti dal trattamento delle acque reflue, il Tribunale non ha accertato se i fanghi ritrovati nelle vasche annesse ai depuratori fossero quelli esitati al termine del complesso processo di trattamento delle acque reflue effettuato negli impianti di depurazione (Corte di cassazione, Sez. III penale, sentenza 14.02.2011 n. 5356 - link a www.ambientediritto.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: INQUINAMENTO ATMOSFERICO - Emissioni in atmosfera - Obbligo di autorizzazione - Eccezione - Art. 269 D.L.vo n. 152/2006.
In tema di emissioni in atmosfera, sussiste l'obbligo dell'autorizzazione, di cui all'art. 269 Decreto Legislativo n. 152 del 2006, soltanto in relazione agli stabilimenti che producono effettivamente emissione in atmosfera con esclusione di quelli che sono solo potenzialmente idonei a produrre emissioni. (Cass. Sez. III, 11.10.2006 n. 40964) (Corte di cassazione, Sez. III penale, sentenza 14.02.2011 n. 5347 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTI: Sulla legittimità dell'esclusione di un concorrente da una procedura di gara, per omessa dichiarazione di cui all'art. 38 del d.lgs. n. 163/2006, da parte degli institori.
E' legittimo il provvedimento di esclusione da una gara adottato da una stazione appaltante nei confronti di un RTI per aver omesso di presentare la dichiarazione di cui all'art. 38 del d.lgs. n. 163/2006, relativamente ad alcuni soggetti, dotati di poteri amplissimi e pervasivi nella gestione dell'impresa.
Il citato art. 38, impone, infatti, che la dimostrazione del possesso dei requisiti morali di partecipazione riguardi tutte le persone fisiche che, in quanto titolari di poteri di rappresentanza della persona giuridica, siano in grado di trasmettere con il proprio comportamento la riprovazione dell'ordinamento al soggetto rappresentato. Pertanto, tale obbligo sussiste anche con riferimento agli institori, stante la ampiezza dei poteri di rappresentanza agli stessi attribuiti dalla legge.
L'institore è definito dall'art. 2203 c.c. quale soggetto preposto dal titolare all'esercizio di un'impresa commerciale, in posizione differente dal mero procuratore cui l'imprenditore conferisce il potere di compiere, per lui, gli atti inerenti all'esercizio di un'impresa pur non essendo preposta ad esso.
La preposizione institoria, peraltro, è caratterizzata dall'ampiezza dei poteri rappresentativi e di gestione, che ne fanno un alter ego dell'imprenditore stesso.
Pertanto, l'institore è titolare di una posizione corrispondente a quella di un vero e proprio amministratore, munito di poteri di rappresentanza, cosicché deve anche essere annoverato fra i soggetti tenuti alla dichiarazione (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 14.02.2011 n. 939 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

CONSIGLIERI COMUNALIL’azione con cui i consiglieri comunali lamentano una lesione delle attribuzioni del consesso di cui fanno parte deve ritenersi estranea al munus dei consiglieri medesimi.
Nella pronuncia in commento tre consiglieri di un Comune piemontese contestano la legittimità delle deliberazioni con le quali il consiglio comunale del quale fanno parte ha ratificato diverse deliberazioni di giunta.
Con un provvedimento, in particolare, la Giunta comunale aveva deliberato una variazione di bilancio finalizzata all’acquisto di un’autovettura per il servizio di protezione civile; con una seconda deliberazione, invece, si era provveduto alla variazione di assestamento generale del bilancio 2009.
Gli esponenti, che riferiscono di aver espresso voto contrario alla ratifica degli atti di giunta, affermano che le impugnate deliberazioni risultano lesive del loro interesse ad impedire che l’organo comunale del quale fanno parte agisca in violazione di legge e che tale interesse è strettamente connesso a quello alla conservazione dell’ufficio nonché alla tutela della propria immagine.
Secondo i giudici del Tribunale amministrativo di Torino è fondata l’eccezione di inammissibilità del ricorso, per carenza di interesse ad agire, proposta in via preliminare dall’Amministrazione resistente. Riguardo, infatti, alla posizione dei tre consiglieri comunali i giudici sabaudi richiamano alcuni principi che governano il processo amministrativo il quale:
- non costituisce una giurisdizione di diritto oggettivo, volta semplicemente a ristabilire una legalità che si assume violata, ma ha la funzione di dirimere una controversia fra un soggetto che si afferma leso in modo diretto e attuale da un provvedimento amministrativo e l'amministrazione che lo ha emanato;
- è diretto, di regola, a risolvere controversie intersoggettive e non controversie fra organi o componenti di organi di uno stesso ente, in particolare fra i consiglieri di un ente locale e l'ente di appartenenza;
- non può, comunque, costituire uno strumento di soluzione delle contese politiche interne all’ente.
Ne consegue, secondo costante giurisprudenza, che il singolo consigliere è legittimato a ricorrere contro il Comune solo quando vengano in questione atti che ledono in via diretta il suo diritto all'ufficio, ovvero le prerogative ad esso spettanti quale persona fisica eletta alla carica in parola.
Fra i casi in cui ciò avviene, ricordano gli stessi giudici, la giurisprudenza ha individuato quelli in cui si agisce per denunciare un vizio del procedimento di formazione dell'atto deliberativo che interferisce sul corretto esercizio del mandato del consigliere, come quando l'organo sia stato irritualmente convocato o costituito ovvero ne sia stato violato l'ordine del giorno ovvero ancora non sia stata depositata nei termini la documentazione da fornire ai suoi membri.
Si sono ancora individuati i casi in cui gli atti approvati riguardano direttamente e personalmente il consigliere stesso, come nel caso in cui l'interesse a permanere nella carica rivestita e a esercitarla sia messo in qualche misura in discussione.
I giudici piemontesi, viceversa, ritengono che le deliberazioni impugnate in questa vicenda, non rientrino in alcuna delle fattispecie in cui il ricorso del singolo consigliere è ammissibile, non riguardando le persone dei consiglieri, ma una specifica tipologia di atti (la ratifica delle variazioni di bilancio assunte in via d’urgenza dalla giunta) attraverso i quali gli organi politici provvedono all’amministrazione dell’ente. Essi non si ripercuotono, quindi, in via diretta sul diritto all'ufficio dei consiglieri comunali. L'asserita lesione delle prerogative del Consiglio comunale, d’altronde, anche qualora sussistente, non riguarderebbe il singolo consigliere, ma il consesso del quale egli fa parte, e non lo legittimerebbe comunque al ricorso.
Una specifica applicazione dei principi sopra enunciati nel caso della deliberazione di assestamento del bilancio è stata fatta dalla giurisprudenza amministrativa con la sentenza del TAR Campania, Salerno, sez. I, 26.04.2006, n. 563, nella quale, previa attenta ricostruzione dei più significativi arresti in materia, si è riaffermato, anche con riferimento al riparto di competenze fra gli organi elettivi degli enti locali fissato dal nuovo ordinamento, che l’azione con cui i consiglieri comunali lamentano una lesione delle attribuzioni del consesso di cui fanno parte deve ritenersi estranea al munus del consiglieri medesimi (commento tratto da www.documentazione.ancitel.it -  TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 12.02.2011 n. 163 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: TAR Milano: mutamento di destinazione d'uso, rimangono le percentuali.
Il TAR di Milano ha affermato che, pur nel regime della L.R. 12/2005, lo strumento urbanistico può prevedere limitazioni percentuali alle destinazioni d'uso ammissibili nelle diverse zone. Ciò alla luce di un'interpretazione estensiva dell'ultimo inciso contenuto nell'art. 51 primo comma della L.R. 12/2005: "salve quelle escluse dal PGT" significa che lo strumento urbanistico può derogare al principio per cui le destinazioni d'uso ammissibili (principali, complementari e accessorie), coesistono senza limitazioni percentuali.
L’art. 51 della legge regionale n. 12/2005 dispone (secondo e terzo comma): “I comuni indicano nel PGT in quali casi i mutamenti di destinazione d’uso di aree e di edifici, attuati con opere edilizie, comportino un aumento ovvero una variazione del fabbisogno di aree per servizi e attrezzature pubbliche e di interesse pubblico o generale di cui all’articolo 9. Per i mutamenti di destinazione d’uso non comportanti la realizzazione di opere edilizie, le indicazioni del comma 2 riguardano esclusivamente i casi in cui le aree o gli edifici siano adibiti a sede di esercizi commerciali non costituenti esercizi di vicinato ai sensi dell’articolo 4, comma 1, lettera d), del decreto legislativo 31.03.1998, n. 114”.
Queste disposizioni -peraltro rivolte ai futuri PGT- riguardano i mutamenti di destinazione d’uso ammessi, non quelli esclusi dallo strumento urbanistico. Esse riproducono infatti l’art. 1, comma 3, della previgente l.r. n. 1 del 2001, che in termini pressoché identici recitava: “I comuni indicano, altresì, attraverso lo strumento urbanistico generale, in quali casi i mutamenti di destinazione d'uso di aree e di edifici, ammissibili ai sensi del comma 2, attuati con opere edilizie, comportino un aumento ovvero una variazione del fabbisogno di standard; per quanto riguarda i mutamenti di destinazione d'uso ammissibili, non comportanti la realizzazione di opere edilizie, le suddette indicazioni riguarderanno esclusivamente i casi in cui le aree o gli edifici vengano adibiti a sede di esercizi commerciali non costituenti esercizi di vicinato ai sensi dell'articolo 4, comma 1, lettera d), del d.lgs. 31.03.1998, n. 114”.
Quanto all’art. 54 della legge regionale, il fatto che i mutamenti di destinazione che non determinino carenza di aree per servizi e attrezzature di interesse generale non costituiscano variazione essenziale, non esclude la sanzionabilità dei mutamenti di destinazione che si pongano in contrasto con lo strumento urbanistico (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 11.02.2011 n. 468 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

CONSIGLIERI COMUNALI: L'art. 43, c. 2, del T.U.E.L., riconosce espressamente ai consiglieri comunali il diritto ad avere copia degli atti per cui si è presentata formale richiesta di accesso e che risultino utili per l'espletamento del loro mandato.
L'art. 43, c. 2, del T.U.E.L., prevede che i consiglieri comunali e provinciali hanno diritto di ottenere dagli uffici, rispettivamente, del comune e della provincia, nonché dalle loro aziende ed enti dipendenti, tutte le notizie e le informazioni in loro possesso, utili all'espletamento del proprio mandato.
Ne consegue che, nel caso di specie, è fondato il ricorso promosso da un consigliere comunale avverso l'atto di diniego opposto dall'amministrazione interessata alla richiesta, presentata da quest'ultimo, di accesso ad atti concernenti l'esercizio del proprio mandato, in quanto non può costituire valido motivo ostativo al diritto di accesso la carenza di personale sia pure determinata da collocamento in congedo ordinario (TAR Lazio-Latina, sentenza 11.02.2011 n. 135 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

EDILIZIA PRIVATA: Piano attuativo - Necessità - Deroga - Lotto intercluso - Condizioni - Necessità di integrazione dell’urbanizzazione esistente - Conseguenze.
A sostegno dell’edificabilità dell’area, per escludersi la necessità del piano attuativo, qualora si accerti l’esistenza di un cd. “lotto intercluso”, occorre aver dimostrato, oltre alla presenza delle opere di urbanizzazione primarie e secondarie, che l’immobile si trova in una zona integralmente interessata da costruzioni e che la zona di insediamento sia l'unica a non essere stata ancora edificata (cfr. Cons. Stato 3699/2010).
La residua necessità di uno strumento attuativo sussiste invece quando debba essere completato il sistema della viabilità secondaria nella zona e quando debba essere integrata l'urbanizzazione esistente garantendo il rispetto dei prescritti standards minimi per spazi e servizi pubblici e le condizioni per l'armonico collegamento con le zone contigue già asservite all'edificazione (TAR Puglia-Lecce, Sez. III, sentenza 10.02.2011 n. 296 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: Concessione edilizia - Impugnazione da parte di terzi - Decorrenza del termine - Contestazione dell’illegittimità del titolo per il solo fatto del rilascio - Contestazione di vizi specifici del progetto assentito - Differenza.
Ai fini della decorrenza del termine di impugnazione di una concessione edilizia da parte di terzi l’effetto lesivo si atteggia diversamente a seconda che si contesti l’illegittimità del permesso di costruire per il solo fatto che esso sia stato rilasciato (ad esempio, per contrasto con l’inedificabilità assoluta dell'area) ovvero per il contenuto specifico del progetto edilizio assentito che, come nella specie, non rispetta ad esempio i limiti volumetrici consentiti dalla strumentazione urbanistica: in questo secondo caso, il mero inizio dei lavori non è sufficiente -da solo- a far decorrere il termine di impugnazione, in quanto esso “non contiene informazioni sufficienti sul contenuto specifico del progetto edilizio assentito, atte a farne immediatamente percepire l’effetto concretamente lesivo per i terzi interessati” (cfr. TAR Liguria, sez. I, 25.01.2010, n. 192; TAR Lazio Latina, sez. I, 15.07.2009, n. 700; TAR Puglia Bari, sez. II, 11.08.2008, n. 1931) (TAR Puglia-Lecce, Sez. I, sentenza 10.02.2011 n. 280 - link a www.ambientediritto.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: RIFIUTI - Abbandono - Art. 14 d.lgs. n. 22/1997 - Obbligo di rimozione - Responsabile - Dolo o colpa - Fattispecie - Culpa in vigilando.
Ai sensi dell’art. 14, co. 3, del D.Lgs. 05.02.1997 n. 22, è tenuto a procedere alla rimozione dei rifiuti abbandonati sul suolo, nonché alle connesse attività di recupero, smaltimento e ripristino dello stato dei luoghi il responsabile dell’abuso in solido con il proprietario e con i titolari di diritti reali di godimento sull’area, “ai quali tale violazione sia imputabile a titolo di dolo o colpa” (nella specie, è stato ritenuto responsabile, per culpa in vigilando, un Consorzio titolare di un diritto personale di godimento esclusivo su un’area demaniale munita di recinzione e di cancello di accesso) (TAR Puglia-Bari, Sez. III, sentenza 10.02.2011 n. 263 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTI: Sulla violazione delle disposizioni relative al subappalto.
Le eventuali violazioni delle disposizioni relative al subappalto, non riguardando la fase di ammissione alla gara ma l'esecuzione del contratto, non possono condurre all'esclusione della ditta, allorché la stessa possieda i requisiti per svolgere in proprio tutte le prestazioni oggetto del contratto.
In questo caso, la S.A. potrà solo vietare il subappalto e l'aggiudicatario dovrà eseguire in proprio tutte le prestazioni oggetto di gara (TAR Friuli Venezia Giulia, sentenza 10.02.2011 n. 98 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

PUBBLICO IMPIEGOP.a., la privacy tutela i testimoni. Il dipendente denunciato non può sapere chi ha fatto la spia. Il Cds ha respinto il ricorso di una insegnante per accedere agli atti del processo disciplinare.
Non si può sapere il nome del collega che ha fatto dichiarazioni contro il dipendente pubblico trasferito d'ufficio per incompatibilità ambientale. È vietato dal Codice della privacy che tutela la riservatezza, anche nel corso dei procedimenti disciplinari.
Lo ha stabilito il Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 09.02.2011 n. 895, respingendo il ricorso di una insegnante che pretendeva di vedere «in chiaro» in maniera integrale tutti gli atti del procedimento a suo danno per trasferimento disciplinare.
Per il Consiglio di stato solo una «conclamata» esigenza difensiva può battere la riservatezza di chi testimonia o segnala un fatto alla p.a. Il principio può essere utilizzato anche dai comuni per occultare il nome, per esempio, di chi denuncia un abuso edilizio. Ma vediamo di analizzare la sentenza del consiglio di stato.
L'istituto scolastico, presso cui prestava servizio l'insegnante, aveva fornito alla stessa tutti i documenti istruttori, coprendo con degli «omissis» l'identità di tutti i colleghi di lavoro che, nel procedimento di trasferimento disciplinare, avevano riferito fatti ed espresso giudizi sui comportamenti tenuti dalla docente. La stessa ha fatto ricorso al Tar per vedere riconosciuto il diritto ad avere la copia senza «omissis».
Sia il Tar sia il Consiglio di stato hanno dato torto all'insegnante. Secondo quest'ultima i dati inerenti l'identità dei colleghi «testimoni» del procedimento disciplinare sarebbero stati utili alla sua difesa, che sarebbe automaticamente prevalente sulla privacy. Il Consiglio di stato si è mostrato d'accordo in linea di principio sul fatto che il diritto di difesa prevale sulla privacy, ma ha ritenuto che, in concreto, conoscere i nominativi dei testimoni non avrebbe offerto alcuna chance difensiva in più.
In altre parole, il consiglio di stato ha precisato che il diritto di difesa prevale sulla riservatezza, non sempre e a priori, ma a una condizione: e cioè se gli atti richiesti sono in concreto funzionali alla difesa in giudizio. Se i documenti sono utili alla difesa, allora non c'è riservatezza che tenga, neppure per i dati sensibili e per i dati supersensibili (salute e vita sessuale).
Insomma per vincere la riservatezza di terzi si deve riscontrare un «nesso strumentale» tra gli specifici dati ricavabili da documenti amministrativi richiesti e la difesa in giudizio delle proprie ragioni.
Chi vuole avere la copia degli atti deve almeno prospettare questa utilità, che l'amministrazione detentrice dei documenti deve, comunque, valutare.
Quindi:
1) la copertura delle generalità dei dichiaranti ha lo scopo di tutelare chi segnala un illecito da ritorsioni e anche di garantire agli enti pubblici l'acquisizione di informazioni testimoniali;
2) il disvelamento è consentito solo se c'è un interesse concreto e attuale di entrare in possesso di quegli specifici dati per «conclamate» esigenze difensive.
Nel caso specifico il Consiglio di stato ha ritenuto inesistenti esigenze difensive, soddisfacibili solo conoscendo i nomi dei testimoni del procedimento disciplinare. La sentenza considera, infatti, che l'insegnate era in possesso di tutta la documentazione posta a base del procedimento di trasferimento d'ufficio: documentazione già di per sé esaustiva rispetto alle esigenze di difendersi e di impugnare il trasferimento d'ufficio. Niente trasparenza amministrativa sui nomi dei segnalanti, dunque, a meno di esigenza difensiva conclamata.
Il principio formulato dalla sentenza in esame può essere esteso anche ad altri casi che quotidianamente occupano alcuni uffici pubblici. Si pensi alle richieste agli uffici tecnici dei comuni per ottenere il nome di chi ha segnalato un abuso edilizio e provocato un'ispezione che si è conclusa con una sanzione. Seguendo la sentenza in esame, a meno che non sia presente una esigenza difensiva specifica, il comune potrà sbianchettare il nome del segnalante.
Si sposta, pertanto, a favore della riservatezza il bilanciamento degli interessi, che in altre sentenze è risolto diversamente, dando, invece, priorità all'interesse del cittadino di conoscere integralmente tutti gli atti del procedimento amministrativo che lo interessa (articolo ItaliaOggi del 25.02.2011 - link a www.corteconti.it).

APPALTIIl principio di intangibilità della compagine consortile nel corso del procedimento di gara si applica ai casi in cui la modifica sia di tipo additivo.
La questione centrale da dirimere, nella pronuncia in commento, attiene alla legittimità della esclusione del consorzio appellante, a seguito della sua modifica soggettiva rispetto alla composizione che lo stesso ente aveva all’epoca di proposizione della domanda partecipativa alla procedura comparativa indetta dal Comune in causa.
La questione, sottolineano i giudici del Consiglio di Stato, non è nuova ed attiene alla corretta delimitazione della portata del divieto di cui all’art. 37, comma 9, del d.lgs. n. 163 del 2006, il quale prevede che “salvo quanto disposto ai commi 18 e 19, è vietata qualsiasi modificazione alla composizione dei raggruppamenti temporanei e dei consorzi ordinari di concorrenti rispetto a quella risultante dall'impegno presentato in sede di offerta”.
I giudici di Palazzo Spada ritengono che tale disposizione, per la sua portata generale, debba trovare indistinta applicazione nelle procedure comparative funzionali ad individuare il miglior contraente della amministrazione; deve quindi trovare applicazione anche nel caso di specie, in cui si verte nell’ambito di una procedura volta alla individuazione di soggetti che, quali concessionari del demanio marittimo, devono dare affidamento di perseguire l’interesse pubblico sotto il profilo della più proficua utilizzazione del bene demaniale oggetto di concessione.
Tale disposizione non distingue tra consorzi costituiti e consorzi costituendi, così che già la sua interpretazione letterale non corrobora la tesi dell’appellante, secondo cui la portata del divieto dovrebbe riguardare soltanto i soggetti non ancora formalmente costituiti in sede di partecipazione alla gara. D’altra parte, continuano i giudici d’appello, la tesi dell’appellante contrasta anche con la ratio della disposizione, che consiste nell’esigenza per la stazione appaltante di esercitare, prima della stipula del contratto, ogni possibile controllo su ciascuno dei componenti l’ente plurisoggettivo, vuoi in vista dell’applicazione del divieto di partecipazione previsto dal comma 7 del medesimo art. 37 per i soggetti in conflitto di interessi, vuoi per la verifica della sussistenza dei requisiti di moralità in capo ai singoli consorziati.
Quanto alla effettiva portata del divieto, osserva la VI Sezione che secondo una più risalente interpretazione restrittiva, il divieto della modifica della compagine soggettiva in corso di gara o dopo l’aggiudicazione è stato considerato indistintamente applicabile a qualsiasi tipo di modifica soggettiva, e cioè sia quando subentra un nuovo soggetto, sia quando un componente viene sostituito ad un altro, sia quando un componente recede senza essere sostituito.
Ciò in quanto, con la sottoscrizione del mandato da parte di tutte le componenti dell’a.t.i. o del consorzio, la stazione appaltante è posta in grado di conoscere ex ante i soggetti con cui andrà a contrattare; inoltre, consentire una modifica della compagine sarebbe lesivo della par condicio competitorum nella misura in cui si consente ai partecipanti di tarare la composizione soggettiva in vista del perseguimento del miglior risultato di gara.
In tal senso, si assume che il principio di immodificabilità soggettiva dei partecipanti alle gare pubbliche mira a garantire una conoscenza piena da parte delle amministrazioni aggiudicatrici dei soggetti che intendono contrarre con le amministrazioni stesse, consentendo una verifica preliminare e compiuta dei requisiti di idoneità morale, tecnico-organizzativa ed economico-finanziaria dei concorrenti, verifica che non deve essere resa vana in corso di gara con modificazioni di alcun genere (Cons. St., sez. V, 07.04.2006, n. 1903; Cons. St., sez. V, 30.08.2006, n. 5081).
Tale conclusione interpretativa è stata però rimessa in discussione da più recenti pronunce, con riferimento a situazioni diverse da quelle emerse nel corso del presente giudizio. Infatti, per un diverso orientamento di questo Consiglio (sez. IV, 23.07.2007, n. 4101), il divieto in questione andrebbe inteso in senso restrittivo, perché sarebbe applicabile solo nel caso di aggiunta o sostituzione di componenti, e non anche nel caso di recesso di una o più imprese dell’a.t.i., dopo l’aggiudicazione.
Si è al riguardo anche osservato che il divieto di modificazione soggettiva non ha l'obiettivo di precludere sempre e comunque il recesso dal raggruppamento in costanza di procedura di gara, perché la sua ratio è quello di consentire alla stazione appaltante di verificare il possesso dei requisiti da parte dei soggetti che partecipano alla gara (con la conseguente preclusione di modificazioni soggettive, sopraggiunte ai controlli, e dunque, in grado di vanificare le suddette verifiche preliminari): il divieto non è stato dunque considerato applicabile nel caso di recesso successivo alla verifica di capacità e di moralità (sez. VI, 13.05.2009 n. 2964).
Proprio tale orientamento ha peraltro indotto la VI Sezione a rilevare che il divieto in esame senz’altro si applica quando si tratti di una modificazione soggettiva per la quale in sede di aggiudicazione risultino nuovi soggetti componenti (la compagine consortile), rispetto a quelli indicati in sede di partecipazione (sez. VI, n. 842 del 16.02.2010): il principio di intangibilità della compagine consortile nel corso del procedimento di gara riguarda le modifiche di tipo additivo, atteso che in tal caso alla stazione appaltante non residuerebbe alcun margine di controllo sulla verifica della sussistenza dei requisiti partecipativi in capo al subentrato.
E’ dunque assolutamente costante l’orientamento del Consiglio di Stato sulla applicabilità del divieto ai casi in cui la modificazione soggettiva non si caratterizzi per un recesso, ma per una ‘modifica di tipo additivo’, come è avvenuto nel caso di specie (commento tratto da www.documentazione.ancitel.it - Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 09.02.2011 n. 888 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

VARI: Danni conseguenti ad incendio. Il proprietario deve provare il caso fortuito per evitare di pagare i danni.
In tema di responsabilità per i danni cagionati da coste in custodia ex art. 2051 c.c., il proprietario di un fondo dal quale si propaga un incendio che si diffonda nel fondo limitrofo, invadendolo, è responsabile dei danni cagionati a quest’ultimo, qualora non dimostri il caso fortuito; assumendo rilievo, a riguardo, non la circostanza che in quel fondo si sia originato l’incendio, bensì là sua situazione obiettivamente idonea ad alimentare, con accentuato dinamismo, la propagamento dalle fiamme (Corte di Cassazione, Sez. III civile, sentenza 07.02.2011 n. 2962 - link a www.litis.it).

EDILIZIA PRIVATASanatoria edilizia con provvedimento «implicito». Il Consiglio di Stato: ammissibile la sanatoria edilizia per fatti concludenti.
A seguito dell’entrata in vigore della L. 10/1977, non è più sostenibile che il rilascio del parere della commissione edilizia comunale e la sua comunicazione equivalgono al rilascio della concessione edilizia comunale (ora permesso di costruire).
E' quanto ha ribadito il Consiglio di Stato, Sez. IV, con la sentenza 07.02.2011 n. 813.
Con la pronuncia in esame la Corte ha peraltro ammesso il riferimento all’ipotesi, di creazione prevalentemente giurisprudenziale, che è posta sotto la denominazione di «provvedimento implicito», che proprio dall’esame delle fattispecie di sanatoria degli abusi edilizi ha tratto più diffusa applicazione.
Tale istituto emerge in particolare le quante volte l’Amministrazione pur non adottando formalmente un provvedimento, ne determina univocamente i contenuti sostanziali, o attraverso un comportamento conseguente, ovvero determinandosi in una direzione, anche con riferimento a fasi istruttorie coerentemente svolte, a cui non può essere ricondotto altro volere che quello equivalente al contenuto del provvedimento formale corrispondente.
Nel caso particolare esaminato dalla sentenza era stata prefigurata quantificazione degli oneri concessori, il cui pagamento com’è noto è univocamente connesso al rilascio della concessione edilizia (commento tratto da www.legislazionetecnica.it - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATADistanze legali in caso di demolizione e ricostruzione. Se la ricostruzione non è fedele si tratta di nuova costruzione; cosa cambia ai fini delle distanze tra costruzioni.
Con l'importante sentenza 04.02.2011 n. 802, il Consiglio di Stato, Sez. IV, ha chiarito in quali casi un intervento di demolizione e ricostruzione va considerato come «nuova costruzione», e come questo debba essere trattato ai fini dell'applicazione delle norme sulle distanze legali, ed in particolare del principio della prevenzione.
Ciò che contraddistingue la ristrutturazione dalla nuova edificazione è la già avvenuta trasformazione del territorio, attraverso un’edificazione di cui si conservi la struttura fisica (sia pure con la sovrapposizione di un «insieme sistematico di opere, che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente»), ovvero la cui stessa struttura fisica venga del tutto sostituita, ma, in quest'ultimo caso, con ricostruzione, se non «fedele» (termine espunto dall'attuale disciplina), comunque rispettosa della volumetria e della sagoma della costruzione preesistente.
il principio della prevenzione, che ricorre quando il fondo è situato in un comune sprovvisto di strumenti urbanistici, non è applicabile quando l'obbligo di osservare un determinato distacco dal confine sia dettato da regolamenti comunali in tema di edilizia e di urbanistica, avuto riguardo al carattere indiscutibilmente cogente di tali fonti normative, da intendersi preordinate alla tutela, oltre che di privati diritti soggettivi, di interessi generali.
Proprio in quest’ottica la giurisprudenza sottolinea che solo nel caso in cui i regolamenti edilizi stabiliscano espressamente la necessità di rispettare determinate distanze dal confine, non può ritenersi consentita la costruzione in aderenza o in appoggio a meno che tale facoltà non sia consentita come alternativa all'obbligo di rispettare le suddette distanze.
Non verificandosi la situazione appena esaminata, il principio della prevenzione assume tutta la sua valenza, consentendo, in ossequio a quanto previsto dagli art. 873 e seguenti del Codice Civile, a chi edifica per primo sul fondo contiguo ad altro tre diverse facoltà:
• in primo luogo, quella di costruire sul confine;
• in secondo luogo, quella di costruire con distacco dal confine, osservando la distanza minima imposta dal codice civile ovvero quella maggiore distanza stabilita dai regolamenti edilizi locali;
• infine quella di costruire con distacco dal confine a distanza inferiore alla metà di quella prescritta per le costruzioni su fondi finitimi, facendo salvo in questa evenienza la facoltà per il vicino, il quale edifichi successivamente, di avanzare il proprio manufatto fino a quella preesistente, previa corresponsione della metà del valore del muro del vicino e del valore del suolo occupato per effetto dell'avanzamento della fabbrica.
Nel caso concreto esaminato dalla Corte con la pronuncia in commento, l'intervento edilizio assentito con il permesso di costruire impugnato, prevedendo la realizzazione di un intervento di demolizione e ricostruzione con sagoma e volumi diversi rispetto al fabbricato preesistente, è stato ritenuto inquadrabile tra le nuove costruzioni, e dunque è stato ritenuto applicabile, stante il rispetto degli altri requisiti di legge, il principio della prevenzione, che tra i due proprietari confinanti consente a quello che costruisce per primo le possibilità sopra elencate (commento tratto da www.legislazionetecnica.it - link a www.giustizia-amministrativa.it).

SICUREZZA LAVORO: Requisiti di salute e sicurezza dei luoghi di lavoro - Allegato IV, punto 1.11.1.5 del d.lgs. n. 81/2008 - Possibilità di lavorare stando seduti - Prescrizioni dell’autorità sanitaria - Art. 10 d.P.R. n. 520/1955 - Apprezzamento tecnico discrezionale - Necessaria instaurazione del contraddittorio con il datore di lavoro.
Agli operatori dell’Azienda Sanitaria è riconosciuto (art. 10 del D.P.R. n. 520/1955) il potere di impartire disposizioni esecutive implicanti un apprezzamento tecnico-discrezionale integrativo della disciplina stabilita dal legislatore: segnatamente tale contenuto di discrezionalità non può essere disconosciuto nel caso in cui venga in rilievo l’attuazione, con indicazione delle relative modalità, della previsione dettata dall’Allegato IV, punto 1.11.1.5., del D.Lgs. n. 81/2008, secondo cui l'organo di vigilanza può prescrivere che, anche nei lavori continuativi, il datore di lavoro dia modo ai dipendenti di lavorare stando a sedere, ogni qualvolta ciò non pregiudichi la normale esecuzione del lavoro.
Tale previsione va raccordata con gli artt. 63 e 64 del medesimo D.Lgs. n. 81/2008, che rinviano all’Allegato IV per la specificazione dei requisiti di salute e sicurezza cui i luoghi di lavoro debbono essere conformi ed ai quali il datore di lavoro è tenuto a provvedere, nonché all’art. 15, co. 1, lett. d), che annovera, fra le misure generali di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori nei luoghi di lavoro, il rispetto dei principi ergonomici nell'organizzazione del lavoro, nella concezione dei posti di lavoro, nella scelta delle attrezzature e nella definizione dei metodi di lavoro e produzione, in particolare al fine di ridurre gli effetti sulla salute del lavoro monotono e di quello ripetitivo.
Alla luce del quadro normativo così delineato, il riportato intervento dell’autorità di vigilanza presenta i caratteri tipici della prescrizione attuativa di un precetto che il legislatore ha solo parzialmente determinato, rimettendo all’amministrazione la scelta circa la stessa opportunità di esercitare o meno il potere di ordinare l’adeguamento delle postazioni di lavoro.
Trattandosi di una misura di prevenzione dei rischi, priva di connotazioni sanzionatorie, la sua adozione non può legittimamente considerarsi sottratta alla preventiva instaurazione di un effettivo contraddittorio con il datore di lavoro che ne sia destinatario, alla stregua delle regole generali che governano l’azione amministrativa; la partecipazione del datore di lavoro non può reputarsi esaurita con la presenza al sopralluogo condotto dai funzionari dell’A.S. (TAR Toscana, Sez. II, sentenza 04.02.2011 n. 233 - link a www.ambientediritto.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - COMPETENZE GESTIONALI - EDILIZIA PRIVATA: IGIENE E SANITA’ - Ordinanza ex art. 50, c. 5, d.lgs. n. 267/2000 - Competenza - Sindaco in qualità di ufficiale di governo - Fattispecie: utilizzo di stalla e concimaia in assenza di impianti per la raccolta e il deflusso dei liquami.
L’ordinanza emanata ai sensi dell’art. 50, comma 5, d.lgs. n. 267 del 2000 e successive modificazioni, in materia di sanità e igiene pubblica, rientra nella competenza del Sindaco, in qualità di ufficiale di governo -e non di altro dirigente, in quanto espressione di un'elevata discrezionalità diretta a soddisfare esigenze di pubblico interesse onde porre rimedio a danni alla salute già verificatisi, ma anche e soprattutto -tenuto conto dei valori espressi dall'art. 32 Cost.- per evitare che un danno si verifichi (nella specie era ordinato di non utilizzare gli immobili stalla e concimaia nelle more della realizzazione degli impianti per la raccolta e il deflusso dei liquami a servizio degli stessi, della comunicazione di fine lavori e dell’ottenimento dell’agibilità) (TAR Puglia-Bari, Sez. II, sentenza 04.02.2011 n. 216 - link a www.ambientediritto.it).

URBANISTICA: Lottizzazione abusiva - Lottizzazione materiale, negoziale o cartolare - Nozione - Attività materiale e attività giuridica - Elementi indiziari - C.d. lottizzazione abusiva mista - Art. 30, 1° c. T.U. n. 380/2001.
Si configura lottizzazione abusiva di terreni a scopo edificatorio, ex art. 30, 1° comma del T.U. n. 380/2001, quando vengono iniziate opere che comportino trasformazione urbanistica od edilizia dei terreni stessi in violazione delle prescrizioni degli strumenti urbanistici, vigenti o adottati, o comunque stabilite dalle leggi statali o regionali, o senza la prescritta autorizzazione [attività materiale]. Nonché quando tale trasformazione venga predisposta attraverso il frazionamento e la vendita, o atti equivalenti, del terreno in lotti che, per le loro caratteristiche quali la dimensione in relazione alla natura del terreno e alla sua destinazione secondo gli strumenti urbanistici, il numero, l'ubicazione o la eventuale previsione di opere di urbanizzazione ed in rapporto ad elementi riferiti agli acquirenti, denuncino in modo non equivoco la destinazione a scopo edificatorio [attività giuridica].
Questo secondo tipo di lottizzazione viene denominato "negoziale" o "cartolare" e si fonda sulla presenza di elementi indiziari, da cui risulti, in modo non equivoco, la destinazione a scopo edificatorio del terreno. Tali elementi indiziari (descritti con elencazione normativa non tassativa) non devono essere presenti tutti in concorso fra di loro, in quanto è sufficiente anche la presenza di uno solo di essi, rilevante ed idoneo a fare configurare, con margini di plausibile veridicità, la volontà di procedere a lottizzazione (in questo senso è orientata anche la giurisprudenza amministrativa: vedi C. Stato, Sez. V, 14.05.2004, n. 3136).
I due tipi di attività illecite dianzi descritti (lottizzazione materiale e negoziale) possono essere espletati anche congiuntamente (c.d. lottizzazione abusiva mista), in un intreccio di atti materiali e giuridici comunque finalizzati a realizzare una trasformazione urbanistica e/o edilizia dei terreni non autorizzata oppure in violazione della pianificazione vigente.
Reato di lottizzazione abusiva - Configurabilità.
Il reato di lottizzazione abusiva può configurarsi, in presenza di un intervento sul territorio tale da comportare una nuova definizione dell'assetto preesistente in zona non urbanizzata o non sufficientemente urbanizzata, per cui esiste la necessità di attuare le previsioni dello strumento urbanistico generale attraverso la redazione di un piano esecutivo e la stipula di una convenzione lottizzatoria adeguata alle caratteristiche dell'intervento di nuova realizzazione.
Ma anche allorquando detto intervento non potrebbe in nessun caso essere realizzato poiché, per le sue connotazioni oggettive, si pone in contrasto con la destinazione programmata del territorio comunale.
Nei casi in cui si agisca sul territorio con un'attività finalizzata ed idonea a snaturarne la programmazione deve ritenersi inconferente ogni riferimento all'incidenza del nuovo insediamento sullo stato di urbanizzazione esistente. [Cass., Sez. Unite, 28.11.2001, Salvini ed altri, nonché Cass. Sez. III, 13.6.2008, n. 24096, Desimine ed altri; Cass. 30.12.1996, n. 11249, ric. P.M. in proc. Urtis].
Pertanto, il reato di lottizzazione abusiva, nella molteplicità di forme che esso può assumere in concreto, può essere posto in essere da una pluralità di soggetti, i quali, in base ai principi che regolano il concorso di persone nel reato, possono partecipare alla commissione del fatto con condotte anche eterogenee e diverse da quella strettamente costruttiva, purché ciascuno di essi apporti un contributo causale alla verificazione dell'illecito (sia pure svolgendo ruoli diversi ovvero intervenendo in fasi circoscritte della condotta illecita complessiva) e senza che vi sia alcuna necessità di un accordo preventivo.
Reato di lottizzazione abusiva negoziale - Carattere plurisoggettivo - Nesso causale - Condotta dell'acquirente - Terzo estraneo - Art. 2 Cost..
La lottizzazione abusiva negoziale -in particolare- ha carattere generalmente plurisoggettivo, poiché in essa normalmente confluiscono condotte convergenti verso un'operazione unitaria caratterizzata dal nesso causale che lega i comportamenti dei vari partecipi diretti a condizionare la riserva pubblica di programmazione territoriale.
La condotta dell'acquirente non configura un evento imprevisto ed imprevedibile per il venditore, perché anzi inserisce un determinante contributo causale alla concreta attuazione del disegno criminoso di quegli [Cass., Sez. Unite, 27.03.1992, n. 4708, ric. Fogliani] e, per la cooperazione dell'acquirente nel reato, non sono necessari un previo concerto o un'azione concordata con il venditore, essendo sufficiente, al contrario, una semplice adesione al disegno criminoso da quello concepito, posta in essere anche attraverso la violazione (deliberatamente o per trascuratezza) di specifici doveri di informazione e conoscenza che costituiscono diretta esplicazione dei doveri di solidarietà sociale di cui all'art. 2 della Costituzione [sul punto, Corte Costituzionale sentenza n. 364/1988, ove viene evidenziato che la Costituzione richiede dai singoli soggetti la massima costante tensione ai fini del rispetto degli interessi dell'altrui persona umana ed è per la violazione di questo impegno di solidarietà sociale che la stessa Costituzione chiama a rispondere penalmente anche chi lede tali interessi non conoscendone positivamente la tutela giuridica].
L'acquirente, dunque, non può sicuramente considerarsi, solo per tale sua qualità, "terzo estraneo" al reato di lottizzazione abusiva, ben potendo egli tuttavia, benché compartecipe al medesimo accadimento materiale, dimostrare di avere agito in buona fede, senza rendersi conto cioè -pur avendo adoperato la necessaria diligenza nell' adempimento degli anzidetti doveri di informazione e conoscenza- di partecipare ad un'operazione di illecita lottizzazione.
Quando, invece, l'acquirente sia consapevole dell'abusività dell'intervento -o avrebbe potuto esserlo spiegando la normale diligenza- la sua condotta si lega con intimo nesso causale a quella del venditore ed in tal modo le rispettive azioni, apparentemente distinte, si collegano tra loro e determinano la formazione di una fattispecie unitaria ed indivisibile, diretta in modo convergente al conseguimento del risultato lottizzatorio.
Le posizioni, dunque, sono separabili se risulti provata la malafede dei venditori, che, traendo in inganno gli acquirenti, li convincono della legittimità delle.
Reato di lottizzazione abusiva negoziale - Consumazione alternativa - Venditore e compratore - Artt. 5 e 42, 4° c., cod. pen..
Il reato di lottizzazione abusiva è a consumazione alternativa, potendo realizzarsi sia per il difetto di autorizzazione sia per il contrasto con le prescrizioni della legge o degli strumenti urbanistici, risulta ad evidenza contraddittorio escludere (alla stessa stregua di quanto pacificamente ritenuto per la contravvenzione di esecuzione di lavori in assenza o in totale difformità dalla concessione edilizia) che la contravvenzione medesima, sia negoziale sia materiale, possa essere commessa per colpa [Cass., Sez. III, 13.10.2004, n. 39916, Lamedica ed altri; Cass. 05.03.2008, n. 9982, Quattrone].
Pertanto, non è ravvisabile alcuna eccezione al principio generale stabilito per le contravvenzioni dall'art. 42, 4° comma, cod. pen., dovendo ovviamente valutarsi i casi di errore scusabile sulle norme integratrici del precetto penale e quelli in cui possa trovare applicazione l'art. 5 cod. pen. secondo l'interpretazione fornita dalla pronuncia n. 364/1988 della Corte Costituzionale.
Sicché, il venditore, non può predisporre l'alienazione degli immobili in una situazione produttrice di alterazione o immutazione circa la programmata destinazione della zona in cui gli stessi sono situati ed i soggetti che acquistano devono essere cauti e diligenti nell'acquisire conoscenza delle previsioni urbanistiche e pianificatone di zona.
In conclusione, il compratore che omette di acquisire ogni prudente informazione circa la legittimità dell'acquisto si pone colposamente in una situazione di inconsapevolezza che fornisce, comunque, un determinante contributo causale all'attività illecita del venditore [Cass., Sez. III, 26.06.2008, Belloi ed altri].
Piano regolatore generale - Natura di atto complesso.
Il PRG, però, è un atto complesso sicché, una volta intervenuta l'approvazione regionale, non sono più possibili modificazioni unilaterali da parte del Comune o della Regione ma esse vanno effettuate d'intesa tra le due autorità (Corte di cassazione, Sez. III penale, sentenza 03.02.2011 n. 3887 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: Immobile abusivo ultimato - Mancanza del certificato di abitabilità - Sequestro - Art. 221 T.U. delle leggi sanitarie - Art. 321 c.p.p..
In materia di reati edilizi o urbanistici, ai fini della sequestrabilità preventiva di un immobile abusivo già ultimato, può considerarsi come antigiuridica l'implicazione proveniente dalla perpetrazione dell'illecito amministrativo sanzionato dall'art. 221 del T.U. delle leggi sanitarie (divieto di abitare gli edifici sforniti di certificato di agibilità), che, pur non potendosi inquadrare nella nozione di "agevolazione della commissione di altri reati", certamente integra una situazione illecita ulteriore prodotta dalla condotta (la libera utilizzazione della cosa) che il provvedimento cautelare è finalizzato ad inibire (Cass., Sez. III, 16.11.2004, n. 44433 e sez. IV, 19.04.2007, n. 15845).
Mutamento di destinazione d'uso materiale - Configurabilità - Immobile abusivo - I lavori eseguiti ripetono le caratteristiche di illegittimità.
Deve ritenersi realizzato un mutamento di destinazione d'uso materiale (e non meramente ‘funzionale’), quando l'innovazione avviene attraverso l'esecuzione di opere edilizie ad essa finalizzate. Inoltre, i lavori eseguiti, riguardano un immobile preesistente non edificato legittimamente, per il quale pende procedura di condono non ancora definita, sicché ripetono le caratteristiche di illegittimità dall'opera alla quale sono intimamente connessi e costituiscono abusiva prosecuzione della stessa.
Reati edilizi o urbanistici - Disponibilità del manufatto - Profilo della offensività e misura cautelare - Valutazione del giudice.
In tema di reati edilizi o urbanistici, spetta al giudice di merito, con adeguata motivazione, compiere una attenta valutazione del pericolo derivante da libero uso della cosa pertinente all'illecito penale.
In particolare, vanno approfonditi la reale compromissione degli interessi attinenti al territorio ed ogni altro dato utile a stabilire in che misura il godimento e la disponibilità attuale della cosa, da parte dell'indagato o di terzi, possa implicare una effettiva ulteriore lesione del bene giuridico protetto, ovvero se l'attuale disponibilità del manufatto costituisca un elemento neutro sotto il profilo della offensività.
In altri termini, il giudice deve determinare in concreto, il livello di pericolosità che la utilizzazione della cosa appare in grado di raggiungere in ordine all'oggetto della tutela penale, in correlazione al potere processuale di intervenire con la misura preventiva cautelare (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 03.02.2011 n. 3885 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: Permesso di costruire - Titolo abilitante illegittimo - Effetti - Responsabilità e illiceità penale - Obblighi di verifica del giudice.
I reati urbanistico-edilizi possono ravvisarsi anche in presenza di un titolo abilitante illegittimo. Pertanto, il giudice penale, nel valutare la sussistenza o meno della liceità di un intervento edilizio, deve verificarne la conformità a tutti i parametri di legalità fissati dalla legge, dai regolamenti edilizi, dagli strumenti urbanistici e dal titolo abilitativo edificatorio (Cass., Sez. Un., 28.11.2001, Salvini).
Sicché, deve escludersi che -qualora sussista difformità dell'opera edilizia rispetto a previsioni normative statali o regionali ovvero a prescrizioni degli strumenti urbanistici- il giudice debba comunque concludere per la mancanza di illiceità penale qualora l'amministrazione abbia comunque rilasciato un titolo che abilita a costruire, in quanto tale provvedimento non è idoneo a definire esaurientemente lo statuto urbanistico ed edilizio dell'opera realizzanda (Corte di cassazione, Sez. III penale, sentenza 03.02.2011 n. 3872 - link a www.ambientediritto.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Atti a contenuto urbanistico o edilizio - Associazioni ambientaliste - Legittimazione ad agire - Sussiste - Fattispecie: lottizzazione abusiva in area agricola.
Le associazioni ambientaliste riconosciute sono legittimate ad agire in giudizio non solo per la tutela degli interessi ambientali "in senso stretto", ma anche per quelli ambientali "in senso lato", comprendenti cioè la conservazione e valorizzazione dell'ambiente in senso ampio, del paesaggio urbano, rurale, naturale, dei monumenti e dei centri storici, intesi tutti quali beni e valori idonei a caratterizzare in modo originale, peculiare ed irripetibile un certo ambito geografico territoriale rispetto ad altri. Ne consegue che dette associazioni possono agire anche in relazione ad atti a contenuto urbanistico o edilizio, purché idonei a pregiudicare il bene dell'ambiente come definito in termini normativi.
Nella specie, è stata riconosciuta, piena legittimazione all’ass. Legambiente, dovendo ritenersi ormai pacifico che la destinazione di un'area a zona agricola riveste una finalità di tutela a valenza conservativa anche dei valori ambientali, venendo a costituire il polmone dell'insediamento urbano ed assumendo per tale via la funzione decongestionante e di contenimento dell'espansione dell'aggregato urbano (Corte di cassazione, Sez. III penale, sentenza 03.02.2011 n. 3872 - link a www.ambientediritto.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: TUTELA AMBIENTALE - Accesso alla giustizia - Legittimazione ad agire - Pregiudizio concreto ed attuale - Convenzione internazionale di Aarhus - Direttiva 2003/35.
In materia di legittimazione ad agire le norme nazionali debbono in ogni caso garantire l'obiettivo dell'ampio accesso alla giustizia e l'effetto utile delle disposizioni della direttiva secondo cui coloro i quali vantino un interesse sufficiente per contestare un progetto e i titolari di diritti lesi da quest'ultimo, tra cui le associazioni di tutela ambientale, debbono potere agire dinanzi al giudice competente; né le normative degli Stati membri -alle quali spetta determinare ciò che costituisce "interesse sufficiente"- possono fissare limiti di portata tale da rendere disagevole la possibilità di un ampio accesso alla giustizia. (Corte di Giustizia Sez. II, 15.10.2009, nel proc. C-263/08).
In specie, la sede regionale di un'associazione ambientalista radicata sull'intero territorio nazionale con vari organi decentrati è legittimata a costituirsi parte civile se il bene leso si trova nell'ambito della regione. Anzi uno stabile collegamento di interessi con una determinata zona costituisce elemento sintomatico della possibile sussistenza di un pregiudizio concreto ed attuale (Cass., Sez. III, 11.03.2009, n. 19883).
Tale principio è aderente all'obbligo generale di interpretazione del diritto nazionale in conformità alle disposizioni del diritto comunitario, adeguandosi alla direttiva 2003/35, con cui l'Unione Europea ha contributo a dare attuazione agli obblighi derivanti dalla Convenzione internazionale di Aarhus "sull'accesso alle informazioni, la partecipazione del pubblico ai processi decisionali e l'accesso alla giustizia in materia ambientale" (Corte di cassazione, Sez. III penale, sentenza 03.02.2011 n. 3872 - link a www.ambientediritto.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: RIFIUTI - Rifiuti interrati - Operazioni di rimozione e smaltimento - Conferimento con il codice errato in discarica non autorizzata - Funzionari ARPA - Responsabilità per illecita gestione - Condotte omissive - Configurabilità - Fattispecie: bonifica di un sito con rifiuti ospedalieri - D.L.vo n. 152/2006.
Il pubblico ufficiale, preposto al controllo e alla vigilanza ambientale che venga a conoscenza della esistenza di rifiuti interrati e partecipi alle operazioni di rimozione, assume una posizione di garanzia in relazione alle sue condotte omissive.
Fattispecie: funzionari dell’ARPA consapevoli dell’esistenza di rifiuti ospedalieri sul sito da bonificare, non effettuavano alcun controllo sostanziale sulle operazioni di rimozione e smaltimento del rifiuto, di tal ché non impedivano che lo stesso fosse gestito come semplice terra, consentendone il conferimento con il codice errato in discarica non autorizzata (Corte di cassazione, Sez. III penale, sentenza 01.02.2011 n. 3634 - link a www.ambientediritto.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: TUTELA DELL’AMBIENTE - A.R.P.A. - Ente di diritto pubblico - Funzioni - Compiti delle Regioni e Province - Predisposizione dei piani regionali di gestione dei rifiuti - Art. 196 d.L.vo n. 152/2006.
L'A.R.P.A. è un ente di diritto pubblico, preposto all'esercizio delle funzioni e delle attività tecniche per la vigilanza e il controllo ambientale, delle attività di ricerca e di supporto tecnico-scientifico, nonché alla erogazione di prestazioni analitiche di rilievo sia ambientale che sanitario.
Inoltre, tra i compiti fondamentali posti in capo alle Regioni (e alle Province), secondo quanto previsto dall'art. 196 del citato d.L.vo n. 152/2006, rientra la predisposizione dei piani regionali di gestione dei rifiuti, con esercizio, tra le altre, di funzioni attinenti al controllo periodico su tutte le attività di gestione, intermediazione e commercio dei rifiuti predetti, compreso "l'accertamento delle violazioni delle disposizioni in materia", avvalendosi anche del supporto dell'A.R.P.A. (Corte di cassazione, Sez. III penale, sentenza 01.02.2011 n. 3634 - link a www.ambientediritto.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Conferenza di servizi. Impugnazione dei verbali non accompagnata dalla impugnazione del provvedimento finale.
L’istituto della conferenza di servizi disciplinato dagli artt. 14 ss. della legge 07.08.1990, n. 241, in esito alle riforme apportate dalle leggi 24.11.2000, n. 340, e 11.02.2005, n. 15, è caratterizzato da una struttura dicotomica, articolata in una fase che si conclude con la determinazione della Conferenza (anche se di tipo decisorio), di valenza endoprocedimentale, ed in una successiva fase che si conclude con l’adozione del provvedimento finale, di valenza esoprocedimentale effettivamente determinativa della fattispecie (V. in tal senso, da ultimo, Cons. Stato, Sez. VI, 09.11.2010, n. 7981; Sez. VI, 11.11.2008, n. 5620, con particolare riferimento al procedimento di recupero/bonifica di siti inquinati di interesse nazionale ai sensi del d.m. 25.10.1999, n. 471).
E’ inammissibile il ricorso proposto solo contro i verbali di una conferenza di servizi contenenti la determinazione conclusiva di tale organo, i quali hanno natura endoprocedimentale, senza che sia stato impugnato anche il provvedimento finale, il quale -come si evince peraltro dalla formulazione del comma 6-bis del citato art. 14-ter, aggiunto dall’art. 10 della l. 11.02.2005, n. 15- non è legato da un nesso di presupposizione/consequenzialità automatica con le determinazioni della conferenza, né, specularmente, in caso di patologia delle delibere conferenziali, da un effetto caducatorio automatico all’eventuale invalidità di quest’ultime (massima tratta da www.regione.piemonte.it - Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 31.01.2011 n. 712 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ENTI LOCALI: Nomine a carattere fiduciario di rappresentanti del Comune presso enti, aziende ed istituzioni.
Le nomine e le designazioni, da parte del Consiglio comunale e del Sindaco, dei rappresentanti dell'ente locale presso enti, aziende ed istituzioni, previste da norme di legge, regolamentari o dagli statuti di questi ultimi, da disporsi nel rispetto di quanto stabilito dall'art. 50 del d.lgs. n. 267 del 2000, debbono considerarsi di carattere fiduciario, nel senso che riflettono un giudizio di affidabilità, espresso attraverso la nomina, basato non soltanto sulle capacità tecniche e professionali del nominato, ma anche sulla ritenuta idoneità del medesimo di rappresentare gli indirizzi di politica amministrativa e gestionale di chi l'ha designato, orientando l'azione dell'organismo nel quale si trova ad operare in senso quanto più conforme agli interessi di chi gli ha conferito l'incarico (cfr. TAR Marche, sez. I, 27.06.2007, n. 1171).
E’ legittimo il decreto con cui il Sindaco di un Comune ha nominato un rappresentante del Comune stesso in seno al Consiglio di amministrazione di una Fondazione privata, nel caso in cui risultino rispettate le condizioni di pubblicità anticipata dell’avvio del procedimento preordinato alla scelta del soggetto da nominare, nonché osservati gli indirizzi dettati dal Consiglio comunale, mentre nessuno specifico obbligo di motivazione deve ritenersi sussistente in ordine alla scelta operata tra i candidati, in ragione della natura fiduciaria della scelta (massima tratta da www.regione.piemonte.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 28.01.2011 n. 179 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZI: Servizi pubblici. Il Consiglio di stato contro la Consulta. Gestione diretta senza limiti.
Nessuna norma impone ai comuni di affidare all'esterno la gestione dei servizi pubblici, anche a rilevanza economica, se l'ente preferisce la gestione diretta in economia. Nel caso di una scelta differente, il conferimento a terzi deve avvenire tramite gara. «Affidamento diretto» e «gestione diretta» in economia, infatti, non sono sinonimi.
Questo l'importante principio sancito dal Consiglio di Stato, Sez. V, nella sentenza 26.01.2011 n. 552, con cui ha accolto il ricorso presentato da un comune contro la sentenza del Tar che aveva dichiarato illegittima la scelta di gestire in economia il servizio di illuminazione votiva.
I giudici hanno chiarito che c'è una netta distinzione tra «gestione diretta» e «affidamento diretto», in quanto l'«affidamento» postula la scelta dell'ente di attribuire la gestione di un servizio all'esterno, mentre per «gestione diretta o in economia» deve intendersi l'ordinaria erogazione del servizio da parte dell'ente con proprio personale.
Secondo il Consiglio di stato «non si vede per quali motivi un ente locale debba rintracciare un'esplicita norma positiva per poter fornire direttamente ai propri cittadini un servizio», tipicamente appartenente al novero di quelli per cui esso viene istituito. In questa chiave, l'articolo 23-bis del Dl 112/2008 non conterrebbe alcun divieto in tal senso.
Questa lettura non è condivisa dalla Corte costituzionale che ha ritenuto equipollenti i termini «gestione diretta» e «affidamento diretto», nella pronuncia n. 325/2010.
La Consulta ha sostenuto che la normativa comunitaria consente (ma non impone) agli stati membri di prevedere la gestione diretta del servizio pubblico da parte dell'ente locale, mentre lo Stato italiano, «facendo uso della sfera di discrezionalità attribuitagli dall'ordinamento comunitario ha effettuato la sua scelta nel senso di vietare di regolala gestione diretta dei spl».
Secondo il Consiglio di stato, considerando l'esigenza di riduzione della spesa pubblica, non sarebbe ammissibile sostenere che un comune (magari piccolo) non possa gestire direttamente un servizio come quello dell'illuminazione votiva, «laddove l'esborso sarebbe ben maggiore solo per potersi procedere a tutte le formalità necessarie per la regolare indizione di una gara pubblica».
Tale considerazione è da sola sufficiente, secondo i giudici, per ritenere sempre legittima la gestione diretta in economia dei pubblici servizi locali in base alle autonome scelte organizzative dei comuni (articolo Il Sole 24 Ore del 21.02.2011 - link a www.corteconti.it).

APPALTI FORNITURE E SERVIZI: Appalti di forniture e servizi: prova della capacità economica e finanziaria.
E’ legittima la clausola del bando di gara che richiede, al fine della dimostrazione della capacità economica e finanziaria, la produzione dei bilanci in attivo regolarmente approvati con riguardo all’ultimo triennio.

Così ha deciso il Consiglio di Stato, Sez. V, con la sentenza 21.01.2011 n. 426, nell’ambito di un appalto di servizi socio educativi – assistenziali il cui disciplinare di gara richiedeva “la produzione dei bilanci in attivo regolarmente approvati con riguardo al triennio 2005-2007.”
Tale previsione infatti non contrasta con l’art. 41 del codice dei contratti “che non fornisce alcuna indicazione in ordine all’ambito temporale di riferimento delle scritture contabili; per altro verso si spiega, sul piano logico, con l’esigenza di assicurare l’acquisizione, per tutti i soggetti partecipanti e con riferimento al medesimo periodo triennale, di bilanci regolarmente approvati e depositati alla stregua della disciplina civilistica di riferimento (cfr. artt. 2364 e segg., che stabiliscono in 180 giorni dalla chiusura dell’esercizio sociale, il termine massimo per la convocazione dell’assemblea ordinaria ai fini dell’assolvimento del predetto obbligo).
La giurisprudenza, si veda ad esempio la sentenza del Tar Roma, 17.02.2011, n. 2505, nell’ambito di una gara di appalto per la fornitura di materiale medico, ha altresì ribadito che l’art. 41 del codice permette ai concorrenti che siano impossibilitati a presentare la documentazione attestante il requisito economico - finanziario richiesto dalla lex specialis di allegare altri documenti.
E’ tuttavia “onere del concorrente impossibilitato a presentare la documentazione attestante il requisito richiesto dal bando, indicare i "giustificati motivi" dell’impedimento e, nel contempo, allegare "qualsiasi altro documento" idoneo a dimostrare la propria capacità economico-finanziaria; ove infatti si fosse avvalso della facoltà prevista dal comma terzo del citato articolo 41 –la cui applicabilità non è certo esclusa dal suo mancato richiamo da parte del bando di gara, che deve intendersi automaticamente integrato dalle disposizioni di legge, disciplinanti la procedura– la stazione appaltante avrebbe, a sua volta, avuto l’obbligo di valutare la capacità del concorrente in base alla documentazione "alternativa" presentata.”
E’ legittimamente escluso pertanto il concorrente che non produca alcuna documentazione alternativa, limitandosi a richiamare l’art. 41 del codice. La stazione appaltante da parte sua non può, in mancanza di alcuna giustificazione, sollecitare un successivo completamento documentale, che si risolverebbe inevitabilmente “nella produzione di un documento nuovo e diverso rispetto a quelli depositati a corredo della domanda di partecipazione alla procedura”, in assoluta violazione del principio della par condicio tra i concorrenti (commento tratto da www.professioni-imprese24.ilsole24ore.com - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Immissioni rumorose intollerabili anche se non superano i limiti di legge.
Nei rapporti di vicinato, le immissioni rumorose possono considerarsi illecite anche quando non è superato il limite di accettabilità stabilito dalla normativa speciale in materia di inquinamento acustico e ambientale.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con la sentenza in commento, pronunciandosi in tema di immissioni sonore provenienti da un ventilatore istallato nel muro comune di due appartamenti adiacenti.
Secondo i giudici di Palazzo Cavour, le immissioni sonore devono considerarsi senz’altro illecite se superano i limiti stabiliti dalle leggi e dai regolamenti che fissano, nell’interesse della collettività, le modalità di rilevamento dei rumori e i limiti massimi di tollerabilità. Tuttavia, l’eventuale rispetto degli stessi limiti non è di per sé sufficiente a far considerare tollerabili le immissioni, dovendo tale giudizio sulla tollerabilità formularsi alla stregua dei principi previsti dall’art. 844 del Codice civile.
La Suprema Corte ribadisce così un principio già più volte affermato in giurisprudenza (Cass. civ. nn. 1151/2003; 1418/2006; 5564/2010): il rispetto della legislazione speciale in materia di inquinamento acustico non pregiudica la questione della tollerabilità delle immissioni nei rapporti tra privati.
La legislazione speciale, infatti, opera nel capo degli interessi pubblici ed è destinata a regolare i rapporti tra privato e pubblica amministrazione, non già i rapporti di natura patrimoniale tra privati, alla cui disciplina è invece destinato l’art. 844 c.c..
Pertanto, anche se le immissioni non superano i limiti fissati dalle norme di interesse generale, ciò non esclude che esse possano andare oltre la “normale tollerabilità” e risultare dunque illecite dal punto di vista civilistico. In tal caso, il soggetto interessato potrà agire per far cessare l’abuso o richiedere misure idonee a ridurre le immissioni e, sussistendone i presupposti, ottenere il risarcimento dei danni subiti.
Il giudizio sulla tollerabilità e liceità delle immissioni nei rapporti tra privati dovrà essere sempre effettuato con riferimento alla situazione concreta e in base ai criteri di cui all’art. 844 c.c.: “Il proprietario di un fondo non può impedire le immissioni di fumo o di calore, le esalazioni, i rumori, gli scuotimenti e simili propagazioni derivanti dal fondo del vicino, se non superano la normale tollerabilità, avuto anche riguardo alla condizione dei luoghi. Nell’applicare questa norma l’autorità giudiziaria deve contemperare le esigenze della produzione con le ragioni della proprietà. Può tener conto della priorità di un determinato uso” (Corte di Cassazione, Sez. II civile, sentenza 17.01.2011 n. 939 - link a www.altalex.com).

PUBBLICO IMPIEGO: PUBBLICA AMMINISTRAZIONE - Abuso d’ufficio - Rilascio di un’autorizzazione - Inosservanza del dovere di compiere l’istruttoria per verificare la sussistenza delle condizioni richieste - Violazione di legge - Art. 3 L. n. 241/1990.
L’inosservanza del dovere di compiere un'adeguata istruttoria diretta ad accertare la sussistenza delle condizioni richieste per il rilascio di un'autorizzazione (nella specie, permesso di costruire) è idonea ad integrare la violazione di legge, rilevante ai fini della sussistenza del reato di abuso di ufficio, dal momento che l’istruttoria amministrativa è comunque imposta da una norma generale sul procedimento amministrativo, prevista dalla L. 07.08.1990. n. 241, art. 3, costituendo una fase procedimentale essenziale e incidente direttamente sul momento finale della decisione, in cui i diversi interessi, pubblici, collettivi e privati, devono essere ponderati (Cass, Sez. 6^, 04.11.2004, n. 69, Palascino; Sez. 6^, 07.04.2005, n. 18149, Fabbri).
PUBBLICA AMMINISTRAZIONE - Violazione di strumenti urbanistici - Integrazione del reato di abuso di ufficio - Possibilità - Fondamento.
La violazione di strumenti urbanistici, pur non potendosi questi configurare come norme di legge o di regolamento, può integrare il reato di abuso d'ufficio, in quanto rappresenta solo il presupposto di fatto della violazione della normativa legale in materia urbanistica, alla quale deve farsi comunque riferimento quale dato strutturale della fattispecie delittuosa di cui all'art. 323 c.p. (Cass. Sez. 6, 25.01.2007, n. 11620, Pellegrino).
PUBBLICA AMMINISTRAZIONE - Abuso d’ufficio - Concorso del privato - Presupposti - Presentazione della sola istanza relativi ad un atto rivelatosi poi illegittimo - Insufficienza.
Ai fini della configurabilità del concorso del privato nel reato di abuso di ufficio, anche se destinatario dell'ingiusto vantaggio patrimoniale, è necessaria la dimostrazione che questi abbia posto in essere una condotta causalmente rilevante nella realizzazione della fattispecie criminosa, partecipando con comportamenti diretti a determinare o ad istigare il pubblico ufficiale ovvero accordandosi con quest'ultimo (Sez. 6A, 25.05.1995, n. 2140, Tontoli).
Di conseguenza deve escludersi ogni forma di concorso nel caso in cui il privato si limiti alla presentazione della semplice istanza relativa a un atto che, nel concreto, risulti illegittimo (tra le tante v., Sez. 6, 12.07.2000. Margini).
PUBBLICA AMMINISTRAZIONE - Delitti contro la P.A. - Concorso del privato nel delitto di abuso d'ufficio - Mera coincidenza tra la richiesta del privato e il provvedimento posto in essere dal pubblico funzionario - Idoneità ad integrare il concorso - Esclusione - Ragioni.
In tema di delitti contro la P.A., al fine di affermare la sussistenza del concorso del privato nel reato di abuso di ufficio, la prova che l'atto amministrativo è il risultato della collusione tra privato e pubblico funzionario non può essere dedotta dalla mera coincidenza tra la richiesta del primo e il provvedimento posto in essere dal secondo, essendo invece necessario che il contesto fattuale, i rapporti personali tra le parti o altri dati di contorno dimostrino che la presentazione della domanda è stata preceduta, accompagnata o seguita da un'intesa col Pubblico funzionario, o comunque da pressioni dirette a sollecitarlo, ovvero a persuaderlo al compimento dell'atto illegittimo e, nonostante ciò, venga adottato; va infatti considerato che il privato, contrariamente al pubblico funzionario, non è tenuto a conoscere le norme che regolano l’attività di quest'ultimo, né a conoscere le situazioni attinenti l’ufficio che possano condizionare la legittimità dell’atto(conf., ex plurimis, Cass. sez. 6 12/2003).
PUBBLICA AMMINISTRAZIONE - Falso documentale - Natura plurioffensiva.
Il falso documentale ha natura plurioffensiva: l'obiettivo generalmente perseguito dal falsario non è infatti quello precipuo dell'offesa della fede pubblica, bensì lo scopo ulteriore cui è diretta l’attività criminosa, onde il falso finisce in genere con l'aggredire gli specifici interessi di volta in volta lesi dall'uso del documento falsificato.
PUBBLICA AMMINISTRAZIONE - Falso materiale e falso ideologico - Differenza.
Laddove il falso materiale attiene generalmente alla forma esteriore del documento, aggredendo il carattere della genuinità dell'atto, il falso ideologico, o falso intellettuale, attiene invece al contenuto di veridicità di un atto materialmente integro, ossia si identifica con dichiarazioni menzognere, aggredendo quindi la veridicità del documento.
PUBBLICA AMMINISTRAZIONE - Falso ideologico - Dolo richiesto per il perfezionamento del reato - Dolo generico.
Il dolo richiesto al fine del perfezionarsi del reato di falso ideologico è quello generico, consistente nella volontarietà e consapevolezza della falsa attestazione, non essendo invece richiesto né l’animus nocendi, né l’animus decipendi.
PUBBLICA AMMINISTRAZIONE - Falso ideologico - Occultamento della situazione reale - Necessità.
Il falso ideologico presuppone necessariamente l'occultamento della situazione reale. La condotta criminosa è scindibile in 2 momenti: l'attestazione del fatto non vero e l'occultamento di quello vero.
Quando l'attestazione del fatto -pur incompleta o minimizzata- consente di pervenire all'individuazione del fatto vero, essa non può essere ritenuta falsa (Cass., V, 17/04/1992, Montalbano).
PUBBLICA AMMINISTRAZIONE - falso in atto pubblico - Bene tutelato - Affidamento nella corrispondenza al vero delle informazioni contenute nell’atto.
Nel falso ideologico in atto pubblico il bene tutelato è quello dell'affidamento che chi prende cognizione dell'atto fa nella corrispondenza al vero dell'informazione che l'atto contiene, secondo il significato comunemente dato alle espressioni utilizzate in quel determinato contesto.
Non è necessario , ai fini della rilevanza penale, né la determinazione di un danno ulteriore per l'amministrazione, né il pregiudizio derivante dalla lesione di un interesse probatorio connesso all’oggetto materiale della condotta di falsificazione (S.C., sez. V, 21/11/1996, Meloro).

PUBBLICA AMMINISTRAZIONE - Abuso d’ufficio - Oggetto del reato - Soggetti attivi - Reato proprio non esclusivo - Attuazione per interposta persona - Concorso nel reato dell’extraneus.
L'abuso di ufficio è fattispecie legale volta a reprimere quei fatti illeciti che si concretizzano nell'esercizio distorto e strumentale di un pubblico ufficio, ovvero delle potestà pubblicistiche connesse all'esercizio dell'ufficio, al fine della realizzazione di un ingiusto vantaggio patrimoniale, o del danno ingiusto, perseguito attraverso la violazione di norme o regolamenti. Oggetto del reato è la lesione del buon funzionamento della P.A..
Quanto ai soggetti attivi del reato, trattasi di tipica figura di reato proprio ma non esclusivo, onde a ciò consegue la possibilità di attuare il fatto tipico anche per interposta persona e la applicabilità del concorso nel reato dell'extraneus - secondo i principi generali dell'istituto del concorso di persone nel reato- senza tuttavia che tale apporto dell'extraneus possa essere considerato imprescindibile per la configurazione dell'illecito.
PUBBLICA AMMINISTRAZIONE - Abuso d’ufficio - Art- 323 c.p. - Violazione di norme di leggi o regolamento - Atto amministrativo illegittimo per violazione di legge - Differenza.
Il novellato art. 323 c.p. richiede espressamente, al fine del configurarsi dell’elemento oggettivo del reato, che i'ingiusto danno o vantaggio venga perseguito mediante la violazione di norme di legge o di regolamento, concetto questo che non va confuso con quello, più ampio, di atto amministrativo illegittimo per violazione di legge, atteso che il termine legge riportato dall'art. 26 del T.U. sul C.d S. -e cui si riferisce il vizio dell'atto amministrativo- include non solo le fonti primarie di produzione del diritto, ma anche qualunque altro atto o fatto che costituisca fonte normativa in senso lato, mentre invece non possono ricomprendersi nella previsione dell'art. 323 c.p. le fonti normative diverse da quelle primarie e secondarie. Il concetto di violazione di legge come vizio dell'atto amministrativo è invece più ristretto di quello cui si riferisce l’art. 323 cp, atteso che quest’ultimo si riferisce non necessariamente, o esclusivamente, -come nel caso del vizio dell'atto- alla attività del p.u. che si sia tradotta in atti amministrativi, bensì a qualsivoglia attività o comportamenti posti in essere in violazione di legge, pur se non tradottisi in atti amministrativi.
PUBBLICA AMMINISTRAZIONE - Abuso d’ufficio - Condotta punibile - Azione od omissione.
In tema di abuso di ufficio, l’attuale previsione normativa, presupponendo la violazione di una norma di legge o di regolamento, che a sua volta può contenere un obbligo di agire a carico del pubblico funzionario, consente la punibilità di un abuso commesso sia con una condotta attiva che omissiva. Laddove infatti è sancito un obbligo di agire a carico del funzionario pubblico, l'eventuale omissione perpetrata, se diretta a procurare un vantaggio ingiusto, non può che determinare la responsabilità dello stesso.
PUBBLICA AMMINISTRAZIONE - Abuso d’ufficio - Art. 323 c.p. - Vantaggio ingiusto - Doppia condizione - “Non iure” e “contra ius”.
Affinché il vantaggio previsto dall'art. 323 c.p. possa considerarsi ingiusto, occorre la doppia condizione che esso sia prodotto "non iure" e inoltre che sia "contra ius", vale a dire che risultato dell'abuso si presenti come contrario all'ordinamento giuridico.
PUBBLICA AMMINISTRAZIONE - Abuso d’ufficio - Dolo intenzionale.
In tema di abuso d’ufficio, il dolo intenzionale può correttamente intendersi integrato dalla coscienza e volontà non solo del fatto tipico, e dunque delle specifiche modalità di causazione dell'evento (violazione di norme ecc.), ma anche dell'evento di danno o di ingiusto vantaggio, risultando invece irrilevante il movente, ossia la motivazione induce il soggetto a perseguire la realizzazione del reato come fine della condotta (TRIBUNALE di Salerno, Ufficio del G.I.P., sentenza 21.12.2010 n. 683 - link a www.ambientediritto.it).

AGGIORNAMENTO AL 21.02.2011

ã

NOTE, CIRCOLARI E COMUNICATI

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA: Oggetto: Progetto di Legge n. 0076 di iniziativa del Presidente della Giunta Regionale “Nuova organizzazione degli enti gestori delle aree regionali protette e modifiche alla legge regionale 30.11.1983 n. 86 (Piano generale delle aree regionali protette. Norme per l’istituzione e la gestione delle riserve dei parchi e dei monumenti naturali, nonché delle aree di particolare rilevanza naturale e ambientale) (ANCI Lombardia, nota 16.02.2011 n. 238 di prot.).

EDILIZIA PRIVATA - AMBIENTE-ECOLOGIA - URBANISTICA: Lombardia, Consiglio approva Collegato Ordinamentale 2011.

Il Consiglio regionale ha approvato oggi con 40 voti favorevoli e 29 contrari il “Collegato Ordinamentale”, una legge che modifica o integra le disposizioni legislative regionali.
Tra le novità previste, una nuova proroga ai Comuni fino al 31.12.2012 per dotarsi definitivamente del piano di governo del territorio (PGT) e il via libera alle deroghe eccezionali ai limiti sull’inquinamento acustico oggi previste nel caso essi dovessero mettere a repentaglio lo svolgimento di eventi di rilievo internazionali, come ad esempio i grandi concerti.
Il “Collegato” equipara inoltre i Centri culturali a carattere religioso agli edifici di culto, prevedendo per la loro realizzazione uno specifico percorso di programmazione nei piani regolatori.
Via libera anche alla norma che dà la possibilità ai Comuni di negare l’autorizzazione ad aprire attività commerciali nei centri storici se in contrasto con il “decoro pubblico” e le “tradizioni locali”.
Il “Collegato” recepisce inoltre la direttiva europea Bolkestein sul commercio e introduce norme di semplificazione burocratica nell’edilizia e per lo svolgimento di alcune attività, come ad esempio la certificazione energetica, un settore in espansione e al quale potranno accedere adesso ai corsi formativi anche i cittadini non iscritti a un albo. ... (comunicato 15.02.2011 - link a www.consiglio.regione.lombardia.it).

EDILIZIA PRIVATA: Manovra estiva: chiarimenti dall'Agenzia delle Entrate, anche sulla SANATORIA CATASTALE.
L'Agenzia delle Entrate ha pubblicato la circolare 15.02.2011 n. 4/E al fine di fornire i primi chiarimenti sulle disposizioni di carattere fiscale contenute nel D.L. 31.05.2010, n. 78 (manovra estiva), convertito dalla Legge 30.07.2010, n. 122, per favorirne la corretta applicazione.
Il documento tratta i seguenti argomenti:
1- Interventi in materia previdenziale (articolo 12, comma 10)
2- Partecipazione dei comuni all’attività di accertamento tributario e contributivo (articolo18)
3- Aggiornamento del catasto (articolo 19)
4- Comunicazioni telematiche all’Agenzia delle Entrate (articolo 21)
5- Aggiornamento dell’accertamento sintetico (articolo 22)
6- Contrasto al fenomeno delle imprese “apri e chiudi” e Contrasto al fenomeno delle Imprese in perdita “sistemica” (articoli 23 e 24)
7- Contrasto di interessi (articolo 25)
8- Adeguamento alle direttive OCSE in materia di documentazione dei prezzi di trasferimento (articolo 26)
9- Adeguamento alla normativa europea in materia di operazioni intracomunitarie ai fini del contrasto delle frodi (articolo 27)
10- Incrocio tra le basi dati dell’INPS e dell’Agenzia delle entrate per contrastare la microevasione diffusa (articolo 28)
11- Concentrazione della riscossione nell’accertamento (articolo 29)
12- Preclusione all’autocompensazione in presenza di debito su ruoli definitivi (articolo 31)
13- Stock options ed emolumenti variabili a dirigenti e collaboratori del settore finanziario (articolo 33).

Sanatoria catastale.
In base a stime ufficiali dell'Agenzia del Territorio, in Italia esistono migliaia di immobili non accatastati, definiti “fantasma”. La sanatoria catastale, prevista dalla manovra estiva, consentiva ai cittadini non in regola di regolarizzare la posizione catastale entro il 31.12.2010.
Tale scadenza è stata prorogata al 30.04.2011 dal maxiemendamento al disegno di legge per la conversione del Milleproroghe.
Quindi, chi si trova nella situazione di possedere un immobile, la cui planimetria non è depositata in catasto o che non è conforme allo stato di fatto, in particolare immobili non dichiarati al Catasto, fabbricati ex-rurali e immobili che hanno subito modifiche, deve regolarizzare entro il 30 aprile, anche perché dal primo luglio 2010, non è più possibile vendere un immobile non censito in catasto o difforme al deposito, per cui l’immobile risulterebbe anche senza mercato.
Naturalmente restano esclusi dall’obbligo di variazione catastale quegli interventi, quali lo spostamento di un tramezzo o di una porta, che non comportano modifiche della consistenza catastale. Inoltre, chi non avrà provveduto ad auto denunciarsi dovrà corrispondere le relative sanzioni, per altro recentemente quadruplicate, più tutti i costi amministrativi della pratica.
Ricordiamo, infine, che, secondo stime dell'Agenzia del Territorio, gli immobili individuati come sospetti sono circa 2 milioni sul tutto il territorio nazionale ed a scadenza dei termini tutte quelle non ancora esaminati diverranno di competenza dei Comuni, i quali percepiranno il 75% delle relative sanzioni ove applicabili (link a www.acca.it).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Nei Comuni fino a 5mila abitanti non si applicano le regole sul turn-over. L’unico limite è che questi Comuni non devono superare le spese di personale sostenute nel 2004. Le assunzioni però si bloccano nel caso in cui le spese di personale superano il 40% delle spese correnti.  
Recenti pronunce della Corte dei Conti riaprono la possibilità di assumere a copertura del turn-over per gli enti che non sottoposti a patto di stabilità  (ANCI, nota 14.02.2011).

EDILIZIA PRIVATA: Oggetto: Monitoraggio per il Fondo Aree Verdi - Adempimenti comunali (Regione Lombardia, Direzione Generale Sistemi Verdi e Paesaggio, nota 07.02.2011 n. 2462 di prot.).

SINDACATI

PUBBLICO IMPIEGO: La nuova normativa sul T.F.S. dei dipendenti Enti Locali e Sanità (CSA di Roma, nota 12.02.2011 n. 11 di prot.).

PUBBLICO IMPIEGO: La posizione del CSA sull'accordo del 04.02.2011 (CSA di Roma, nota 18.02.2011 n. 119 di prot.).

PUBBLICO IMPIEGO: Elezione delle R.S.U.: il parere del Consiglio di Stato (CGIL-FP di Bergamo, nota 15.02.2011).

PUBBLICO IMPIEGO: L'intesa del 04.02.2011: una situazione caotica (CGIL-FP di Bergamo, nota 14.02.2011).

PUBBLICO IMPIEGO: L'intesa del 04.02.2011: un accordo per escludere la CGIL (CGIL-FP di Bergamo, nota 14.02.2011).

PUBBLICO IMPIEGO: L’Intesa del 04.02.2011 tra Governo e Sindacati è un accordo politico: nulla cambia ai fini della rappresentatività sindacale (CSA di Roma, nota 08.02.2011).

PUBBLICO IMPIEGO: Intesa del 04.02.2011: la posizione del CSA Regioni Autonomie Locali (CSA di Roma, nota 07.02.2011 n. 76 di prot.).

GURI - GUUE - BURL (e anteprima)

ENTI LOCALI: Testo, con modificazioni, dello schema di decreto legislativo recante disposizioni in materia di federalismo fiscale municipale e relative osservazioni del Governo (testo trasmesso alla Presidenza del Senato il 15.02.2011).
---------------
A seguito del Consiglio dei Ministri di giovedì 03.02.2011, è stato approvato definitivamente il quarto decreto attuativo della legge delega 42/2009:
il decreto sul federalismo municipale.
A seguito della dichiarazione di "irricevibilità" da parte del Presidente Napolitano, ai sensi del comma 3 e 4 dell'art. 2 della L. 42/2009 che recintano:
"
3. I decreti legislativi di cui al comma 1 sono adottati su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, del Ministro per le riforme per il federalismo, del Ministro per la semplificazione normativa, del Ministro per i rapporti con le regioni e del Ministro per le politiche europee, di concerto con il Ministro dell'interno, con il Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione e con gli altri Ministri volta a volta competenti nelle materie oggetto di tali decreti. Gli schemi di decreto legislativo, previa intesa da sancire in sede di Conferenza unificata ai sensi dell'articolo 3 del decreto legislativo 28.08.1997, n. 281, sono trasmessi alle Camere, ciascuno corredato di relazione tecnica che evidenzi gli effetti delle disposizioni recate dal medesimo schema di decreto sul saldo netto da finanziare, sull'indebitamento netto delle amministrazioni pubbliche e sul fabbisogno del settore pubblico, perché su di essi sia espresso il parere della Commissione di cui all'articolo 3 e delle Commissioni parlamentari competenti per le conseguenze di carattere finanziario, entro sessanta giorni dalla trasmissione. In mancanza di intesa nel termine di cui all'articolo 3 del decreto legislativo 28.08.1997, n. 281, il Consiglio dei ministri delibera, approvando una relazione che è trasmessa alle Camere. Nella relazione sono indicate le specifiche motivazioni per cui l'intesa non è stata raggiunta.
4. Decorso il termine per l'espressione dei pareri di cui al comma 3, i decreti possono essere comunque adottati. Il Governo, qualora non intenda conformarsi ai pareri parlamentari, ritrasmette i testi alle Camere con le sue osservazioni e con eventuali modificazioni e rende comunicazioni davanti a ciascuna Camera. Decorsi trenta giorni dalla data della nuova trasmissione, i decreti possono comunque essere adottati in via definitiva dal Governo. Il Governo, qualora, anche a seguito dell'espressione dei pareri parlamentari, non intenda conformarsi all'intesa raggiunta in Conferenza unificata, trasmette alle Camere e alla stessa Conferenza unificata una relazione nella quale sono indicate le specifiche motivazioni di difformità dall'intesa.
" il Ministro Calderoli effettuerà, nei prossimi giorni, la prevista Comunicazione alle Camere e così il Decreto sul federalismo Municipale sarà definitivamente vigente.

EDILIZIA PRIVATA: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 7 del 14.02.2011, "Definizione degli standard obbligatori minimi e dei requisiti funzionali delle case per ferie e degli ostelli per la gioventù, in attuazione dell’articolo 36, comma 1, della legge regionale 16.07.2007, n. 15 (Testo unico delle leggi regionali in materia di turismo)" (R.R. 14.02.2011 n. 2).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 7 del 14.02.2011, "Modifiche al regolamento regionale 20.07.2007, n. 5 “Norme forestali regionali, in attuazione dell’articolo 50, comma 4, della legge regionale 05.12.2008, n. 31 (Testo unico delle leggi regionali in materia di agricoltura, foreste, pesca e sviluppo rurale)” (R.R. 14.02.2011 n. 1).

ENTI LOCALI - VARI: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 7 del 14.02.2011, "Azioni orientate verso l’educazione alla legalità" (L.R. 14.02.2011 n. 2).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: G.U.U.E. 08.02.2011 n. L 33 "DECISIONE DELLA COMMISSIONE del 10.01.2011 che adotta, ai sensi della direttiva 92/43/CEE del Consiglio, un quarto elenco aggiornato dei siti di importanza comunitaria per la regione biogeografica alpina [notificata con il numero C(2010) 9663]" (link a http://eur-lex.europa.eu).

DOTTRINA E CONTRIBUTI

ATTI AMMINISTRATIVI: R. Marzocca, Il diritto amministrativo non tollera l'arbitrato irrituale (link a http://venetoius.myblog.it).

APPALTI SERVIZI: L. Lo Biundo, Per il Consiglio di Stato le società strumentali possono anche gestire servizi pubblici locali (link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

EDILIZIA PRIVATA: Lombardia, Corso di specializzazione sull'applicazione della L.R. n. 12/2005: 5^ lezione (parte A) - Titoli abilitativi (Geometra Orobico n. 6/2010).

UTILITA'

AMBIENTE-ECOLOGIA: Uso del compost e dei reflui zootecnici in agricoltura, guida on-line.
La guida, elaborata dai settori Ambiente e Urbanistica e Agricoltura della Provincia di Bergamo insieme al Consorzio italiano compostatori (Cic) con la partecipazione del Dipartimento ARPA di Bergamo, è inoltre disponibile su supporto cartaceo, per coloro che ne vorranno fare richiesta, presso gli uffici provinciali.
Il documento contiene indicazioni utili per operatori del settore e autorità locali sul migliore e più corretto impiego in agricoltura dei reflui zootecnici e del compost, con il suggerimento di utilizzare quest'ultimo anche nell'ambito del "Green Public Procurement” (GPP), una modalità di acquisto delle Pubbliche amministrazioni che permette di ridurre gli impatti ambientali legati ai processi di produzione e di consumo (link a www.provincia.bergamo.it).

VARI: Attivo il Portale GSE per le richieste di INCENTIVI con il terzo Conto Energia.
Il GSE informa che è operativo il PORTALE per la presentazione delle richieste di riconoscimento delle tariffe incentivanti con il Terzo Conto Energia (D.M. 06/08/2010).
Si ricorda che possono usufruire degli incentivi tutti gli impianti che sono entrati in esercizio dal primo gennaio 2011 (o dopo il 25/08/2010 per gli impianti fotovoltaici a concentrazione) a seguito di interventi di nuova costruzione, rifacimento totale o potenziamento, appartenenti alle seguenti categorie:
- impianti fotovoltaici "su edifici" o "altri impianti";
- impianti fotovoltaici integrati con caratteristiche innovative;
- impianti fotovoltaici a concentrazione.
Per richiedere gli incentivi, i Soggetti Responsabili degli impianti o i Referenti Tecnici delegati sono tenuti a utilizzare il portale applicativo.
Inoltre, il GSE ha predisposto una specifica Guida che illustra le funzionalità dell'applicazione web dedicata al Terzo Conto Energia.
Si ricorda che l'invio delle richieste deve avvenire esclusivamente per via telematica (link a www.acca.it).

EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI: Regole e suggerimenti per la scelta, il getto e il controllo del CALCESTRUZZO. Un utile documento per imprese, direttori dei lavori e tecnici.
USA E GETTA” è un manualetto pratico studiato specificatamente per gli operatori di cantiere, frutto della collaborazione tra la Scuola Edile di Bergamo, la Commissione Tecnica Gruppo Giovani A.C.E.B. e la Calcestruzzi SpA.
Lo scopo è quello di agevolare gli operatori attraverso semplici regole strutturate secondo schemi, disegni e vignette di facile comprensione, in modo che essi possano effettuare in maniera corretta tutte le operazioni concernenti le opere in calcestruzzo, anche alla luce delle nuove normative tecniche.
In particolare, vengono riportati, in maniera chiara e facilmente comprensibile: ... (link a www.acca.it).

APPALTI: Tracciabilità dei flussi finanziari: cosa devono fare imprese, società e professionisti che stipulano contratti di lavori pubblici.
Il 07.09.2010 è entrata in vigore la Legge 13.08.2010 - n. 136 con la quale sono state dettate disposizioni attuative circa la tracciabilità dei flussi finanziari relativi a contratti pubblici di lavori, forniture e servizi, al fine di prevenire infiltrazioni criminali.
Si sono susseguiti diversi chiarimenti e modifiche ad opera del D.L. 12.11.2010 - n. 187 e della relativa Legge di conversione 17.12.2010 - n. 217.
Anche l’AVCP (Autorità di Vigilanza sui Contratti Pubblici di Lavori Servizi e Fornitura) ha fornito una serie di indicazioni operative attraverso due determinazioni:
1- n. 8 del 18.11.2010 (con l’obiettivo di fornire indicazioni applicative circa l’articolo 3 della legge n. 136/2010, come modificato dal D.L. n. 187/2010);
2- n. 10 del 22.12.2010 (con cui ha emanato ulteriori indicazioni operative per la concreta attuazione degli obblighi di tracciabilità, con particolare riguardo alle problematiche segnalate da stazioni appaltanti ed operatori economici).
Vediamo in sintesi quali sono i contenuti previsti dall’art. 3 della Legge 136, come modificato dai successivi disposti normativi:
- tutte le operazioni finanziarie relative a qualsiasi contratto con un soggetto pubblico avente ad oggetto lavori, servizi o forniture devono essere effettuate su conti correnti bancari o postali dedicati;
- tali operazioni finanziarie devono essere effettuate mediante bonifici bancari o postali o altri strumenti di pagamento idonei a consentirne la piena tracciabilità;
- i pagamenti devono riportare dei codici identificativi (CIG – CUP).
L’ANCE (Associazione Nazionale Costruttori Edili) ha ritenuto opportuno pubblicare un documento al fine di riepilogare le soluzioni ai problemi di carattere applicativo ed interpretativo, fornendo un inquadramento generale della materia e cercando di dare indicazioni circa le questioni rimaste irrisolte.
Inoltre ha predisposto anche una serie di schemi di clausole da inserire nei contratti per l’attuazione degli obblighi di tracciabilità.
In particolare, viene chiarito il concetto di conto dedicato, che non implica l’obbligo di aprire un nuovo conto per ogni commessa pubblica, ma che si traduce nell’obbligo di indicarne gli estremi all’amministrazione pubblica nel termine di sette giorni dall’accensione del conto, ovvero, nel caso di utilizzazione di un conto preesistente, entro sette giorni dalla sua destinazione alla commessa pubblica e in ogni caso prima che venga effettuata un’operazione finanziaria relativa alla commessa cui viene dedicato.
Relativamente agli strumenti di pagamento, oltre ai bonifici, sono da considerare idonee le ricevute bancarie, anche nella forma elettronica (in questo caso è necessario che i codici siano inseriti fin dall’inizio della procedura elettronica dal beneficiario). Viceversa, il servizio di pagamento RID allo stato attuale non consente di rispettare il requisito della piena tracciabilità.
Gli elementi che consentono di ricostruire il flusso finanziario sono costituiti dai codici CIG (Codice Identificativo di Gara) e CUP (Codice Unico di Progetto) che devono essere necessariamente inseriti negli strumenti di pagamento utilizzati dall’amministrazione appaltante e dai contraenti privati.
Il documento dell’ANCE, inoltre, analizza: ... (link a www.acca.it).

CORTE DEI CONTI

ENTI LOCALIIl blocco dei tributi locali non incide sul Cosap. Per la corte conti Lombardia il canone ha natura patrimoniale.
Gli enti locali possono aumentare l'importo del canone di occupazione per spazi e aree pubbliche (Cosap), senza incorrere nel divieto posto dalla manovra correttiva dei conti pubblici del 2008. Infatti, come giurisprudenza ha ormai affermato, detto canone non ha natura tributaria, bensì patrimoniale, per cui le norme sulla sospensione del potere delle regioni e degli enti locali di deliberare aumenti dei tributi, delle addizionali di tributi ad essi attribuiti con legge dello stato, qui non possono trovare applicazione.
È quanto ha sancito la sezione regionale di controllo della Corte dei conti per la regione Lombardia, nel testo del parere 08.02.2011 n. 73, con il quale, in risposta ad un quesito posto dal comune di Fara Gera d'Adda (Bg), ha dato il via libera alla possibilità, per gli enti locali di rettificare, in aumento, gli importi del canone di occupazione delle aree pubbliche.
In dettaglio, il comune istante richiedeva l'intervento della magistratura contabile per sapere se, trasformando nel corrente anno la tassa di occupazione spazi pubblici (Tosap) in canone (Cosap), incorreva nel generale divieto sopra richiamato e recentemente affermato dal legislatore con l'articolo 1, comma 123 della legge di stabilità 2011, dove, in attesa del federalismo fiscale, si è ribadita l'impossibilità per gli enti locali di deliberare aumenti dei tributi e delle addizionali proprie.
La Corte, ha preliminarmente richiamato l'orientamento della Corte di cassazione che, con riferimento alle controversie attinenti il Cosap, dopo aver rilevato che detto canone si applica in via alternativa alla Tosap, ha precisato che il Cosap, da un lato, «è stato concepito dal legislatore come un quid ontologicamente diverso, sotto il profilo strettamente giuridico, dal tributo (Tosap) in luogo del quale può essere applicato» e, dall'altro, che «risulta disegnato come corrispettivo di una concessione, reale o presunta dell'uso esclusivo o speciale di beni pubblici».
Da questo, è possibile affermare che la Tosap è un'entrata tributaria, mentre il Cosap rappresenta un'entrata di carattere patrimoniale. Senza dimenticare, ha aggiunto il collegio contabile, che la Tosap ha una sua disciplina legislativa (dlgs n. 507/1993), mentre il Cosap è disciplinato, per legge, dal relativo regolamento comunale.
In conclusione, si legge nel parere in esame, poiché il canone per l'occupazione di spazi e aree pubbliche (previsto dall'art. 63 dlgs 15.12.1997, n. 446) non ha natura tributaria, le norme dell'articolo 1, comma 7 del dl n. 93/2008 sulla sospensione del potere delle regioni e degli enti locali di deliberare aumenti dei tributi e delle addizionali a essi attribuiti con legge dello stato, non possono trovare applicazione con riferimento al potere di determinazione dell'entità del canone (articolo ItaliaOggi del 18.02.2011 - tratto da www.corteconti.it).

PUBBLICO IMPIEGO: Enti, progressioni bloccate. Niente avanzamenti economici fino al 2013. Corte conti Lombardia interpreta estensivamente le norme della manovra.
Niente progressioni orizzontali per gli anni 2011-2013. La Corte dei conti, Sez. regionale di controllo della Lombardia, con il pur discutibile sotto molti aspetti parere 07.02.2011 n. 69, conferma che per effetto della manovra economica 2010 non è possibile per gli enti locali attivare le progressioni economiche fino al 2013.
Effetti solo economici delle progressioni di carriera. Due sono le ragioni a fondamento della tesi proposta dalla sezione Lombardia. La prima risiede nella previsione contenuta nell'articolo 9, comma 21, del dl 78/2010, convertito in legge 122/2010, per effetto del quale le progressioni di carriera comunque denominate negli anni 2011-2013 possono avere effetti solo economici.
La sezione ritiene che la norma abbia un'estensione «lata» e, dunque, vada applicata prescindendo dalla nozione concretamente data al termine «progressione di carriera». Dunque, per la sezione Lombardia è progressione di carriera «ogni variazione d'inquadramento del dipendente»; in conseguenza dell'articolo 9, comma 21, pertanto, tale variazione potrà produrre fino al 2013 solo effetti giuridici, senza incrementi economici.
Questa prima motivazione proposta dalla sezione appare, tuttavia, errata e non convincente. L'interpretazione «lata» dell'accezione di progressione di carriera, infatti, cozza con la definizione estremamente precisa che di essa fornisce l'articolo 24 del dlgs 150/2009: si tratta delle progressioni che determinano, per effetto della partecipazione a concorsi pubblici con riserva di posti, il passaggio appunto da una categoria di inquadramento ad una più elevata, con conseguente mutamento di profilo e mansioni. Solo in questo caso potrebbero verificarsi effetti «giuridici».
Le progressioni orizzontali, nell'ordinamento contrattuale degli enti locali (e anche delle Usl) hanno effetti esclusivamente economici e niente affatto giuridici. Ai sensi dell'articolo 5 del Ccnl 01/04/1999, infatti, per effetto delle progressioni orizzontali, a totale parità di inquadramento giuridico, il dipendente ottiene esclusivamente un incremento economico.
Cristallizzazione degli stipendi. La seconda motivazione proposta dalla sezione è quella corretta. L'impossibilità di attivare le Peo negli anni 2011-2013 deriva dall'articolo 9, comma 1, della manovra economica estiva 2010, che impedisce la crescita del trattamento economico «ordinariamente spettante» ai dipendenti pubblici oltre la soglia di quello percepito nel 2010.
Per quanto parte degli interpreti sottolinei che la progressione orizzontale sia considerata dal dlgs una misura di premio, essa è un trattamento ordinariamente spettante, in quanto una volta acquisita si consolida, divenendo parte dello stipendio fondamentale del dipendente. In questo senso, non può non incontrare i limiti previsti dalla manovra 2010.
Vietata la Peo a posteriori. La sezione chiarisce, inoltre, che non sono consentiti comportamenti elusivi del dl 78/2010. Tra questi, essenzialmente il tentativo di prevedere nel 2011, in modo retroattivo, progressioni orizzontali. La retroattività vietata non è quella della decorrenza, inevitabilmente riferita ad annualità precedenti.
La sezione, richiamando il parere 399-5F4 dell'Aran, sottolinea che la progressione orizzontale va concordata con i sindacati prima dell'inizio del periodo di valutazione. Di conseguenza, la decorrenza delle progressioni non può essere antecedente alla stipulazione degli accordi decentrati, i quali destinano le risorse finanziarie –stabili, sottolinea la Sezione– allo scopo di attivare le progressioni.
Dunque, sono ammissibili progressioni orizzontali riferite al 2010 se i presupposti per gli incrementi economici degli stipendi si siano verificati l'anno precedente al periodo preso in considerazione dalla norma, cioè prima del 2010 (articolo ItaliaOggi del 18.02.2011 - tratto da www.corteconti.it).

PUBBLICO IMPIEGOTrasferte, i dubbi restano. Tagli a missioni e trasferte, è rebus inestricabile.
La deliberazione 07.02.2011 n. 8 delle Sezioni riunite della Corte dei conti rende ancora più nebuloso e incerto il regime giuridico del trattamento di trasferta dei dipendenti pubblici, non addetti a funzioni ispettive, di vigilanza e controllo.
Infatti, le Sezioni, aderendo all'interpretazione restrittiva offerta dalla Ragioneria generale dello stato in merito all'articolo 6, comma 12, del dl 78/2010, convertito in legge 122/2010, hanno ritenuto illegittimo riconoscere per qualsiasi strada ai dipendenti il rimborso del quinto del costo della benzina, se autorizzati a utilizzare il mezzo proprio.
Ma, contestualmente, hanno considerato ammissibile che le amministrazioni, attraverso propri regolamenti, riconoscono un indennizzo ai dipendenti autorizzati a utilizzare il mezzo proprio, pari al costo del biglietto del mezzo di trasporto pubblico eventualmente utilizzabile. Qui scattano ulteriori problemi interpretativi. Nella sostanza, le Sezioni riunite considerano legittimo riconoscere ai dipendenti in trasferta o missione a titolo di indennizzo il costo della spesa che sosterebbero se, invece di utilizzare il mezzo proprio, per il viaggio si avvalessero di mezzi pubblici.
Si dovrebbe, dunque, concludere che il riconoscimento del costo del biglietto dei trasporti pubblici sia sempre legittimo, visto che viene ammesso anche nel caso di dipendenti in trasferta autorizzati all'impiego del mezzo proprio, ipotesi tendenzialmente oggetto di un taglio quasi assoluto alle spese delle amministrazioni pubbliche.
Ma, se le cose stanno come hanno spiegato le Sezioni riunite, non si capisce, allora, quale sia l'oggetto della prima parte sempre dell'articolo 6, comma 12, della manovra estiva 2010, ove si stabilisce che le amministrazioni pubbliche, salvo poche eccezioni «non possono effettuare spese per missioni, anche all'estero ... per un ammontare superiore al 50% della spesa sostenuta nell'anno 2009».
Se la magistratura contabile ritiene possibile, a titolo di indennizzo, riconoscere ai dipendenti che, stando alla lettera della norma, non avrebbero diritto ad alcun riconoscimento economico per la trasferta svolta col mezzo proprio, il costo del mezzo di trasporto pubblico, un semplice sillogismo condurrebbe a concludere che a maggior ragione ai dipendenti in trasferta o missione spetti sempre e comunque il rimborso del costo del mezzo pubblico. Anche perché, da questo punto di vista, nessuna norma delle leggi 836/1973 e 417/1978 è stata modificata.
Tuttavia, l'articolo 6, comma 12, impone un taglio della spesa per missioni pari al 50% della spesa del 2009. Poiché da sei anni per i dipendenti pubblici è stata abolita l'indennità di missione, i primi osservatori hanno dedotto che le spese da tagliare sarebbero, allora, i rimborsi dei costi dei mezzi pubblici utilizzati per le missioni.
Risulta, con ogni evidenza, difficile conciliare tuttavia la prima parte dell'articolo 6, comma 12, che richiede la riduzione dei costi delle missioni, supponendo che essi consistano nel rimborso dei mezzi di trasporto, con l'ultima parte che, impedendo di utilizzare il mezzo proprio, al limite consente di indennizzare i dipendenti proprio col rimborso del mezzo pubblico.
Le contraddizioni della norma sono evidentissime. L'unica soluzione all'enigma coerente col testo della legge, consisterebbe nel ritenere sempre ammesse le spese per rimborso spese di utilizzo dei mezzi di trasporto solo entro il 50% del 2009. Ma, in questo modo, l'indennizzo immaginato dalle Sezioni riunite potrebbe operare solo parzialmente. E, soprattutto, gli enti a un certo punto si troverebbero nell'impossibilità materiale di effettuare missioni, anche quelle magari derivanti da convocazioni in conferenze di servizi, riunioni obbligatorie presso altri enti, per superamento del limite di spesa.
Eppure, le missioni, proprio perché spesso dovute a esigenze istruttorie non preventivabili a inizio anno, non sono del tutto programmabili.
La deliberazione 8/2011 delle Sezioni riunite, allora, dà modo di affermare che il taglio del 50% alle spese per missioni non dovrebbe riguardare il rimborso dei costi dei mezzi pubblici. Ma, a questo punto non si capirebbe su cosa opererebbe il taglio del 50% delle spese di missione (articolo ItaliaOggi del 11.02.2011 - tratto da www.corteconti.it).

INCARICHI PROFESSIONALIIncarichi, si respira. Fuori dai tagli le spese finanziate. I chiarimenti delle sezioni unite della Corte dei conti.
Per gli enti locali sono fuori dal taglio alle spese per collaborazioni e consulenze gli incarichi finanziati da Ue, stato e regioni.
La deliberazione 07.02.2011 n. 7 della Corte dei conti, sezioni riunite, contiene indicazioni preziosissime per l'applicazione dei tagli alle spese apportati dall'articolo 6, comma 7, del dl 78/2010, convertito in legge 122/2010.
La disposizione ha stabilito che a decorrere dal 2011 la spesa annua per studi e incarichi di consulenza non possa essere superiore al 20% di quella sostenuta nell'anno 2009. Un primo problema posto dalla disposizione riguarda il criterio di computo delle spese, risultando incerto se prendere come parametro la cassa o la competenza.
Le sezioni riunite accolgono l'accezione di «spese sostenute» fornita dalla circolare 40/2010 del ministero dell'economia, coincidente col concetto di spesa impegnata. Dunque, il criterio da seguire è quello della competenza e non della cassa. Tanto più per gli enti locali, obbligati dall'articolo 3, commi 54-57, della legge 244/2007 a programmare gli incarichi esterni.
Infatti, secondo la delibera 7/2007 «assumere a riferimento il dato di cassa relativo all'anno 2009 potrebbe non essere funzionale alle esigenze di contenimento della spesa» previste dalla manovra economica 2010, in quanto il dato relativo a quanto materialmente pagato quell'anno potrebbe dipendere da circostanze del tutto fortuite e casuali.
L'aspetto più rilevante della pronuncia delle sezioni riunite, però, riguarda l'esclusione dal computo del monte del 2009 delle spese per incarichi esterni, coperte da finanziamenti aggiuntivi alle ordinarie risorse di bilancio, provenienti da trasferimenti di altri soggetti, pubblici o privati. Dunque, non subiscono un taglio le spese direttamente sorrette da un vincolo di destinazione di un trasferimento pubblico.
Pertanto, per esempio, gli enti locali che ricevano da un soggetto privato (per esempio, una fondazione bancaria o uno sponsor) finanziamenti per realizzare progetti specifici includenti la necessità di incarichi esterni, non restano vincolati al drastico taglio della spesa.
Altrettanto può dirsi per finanziamenti statali e regionali. Se così non fosse, spiegano le sezioni riunite, si impedirebbe l'erogazione della spesa per incarichi esterni, nonostante risulti integralmente finanziata da soggetti estranei all'ente locale. In questo caso, se si computassero i finanziamenti esterni nel taglio, non si conseguirebbero i risparmi di bilancio per singolo ente, oggetto della manovra economica: l'unico effetto sarebbe ridurre tout court le spese per incarichi, senza significativi impatti finanziari sui bilanci. Una conseguenza irrazionale, da scongiurare.
Ovviamente, il semplice fatto che l'ente locale riceva un finanziamento di terzi non legittima di per sé l'assegnazione di incarichi esterni: rimangono sempre in piedi i presupposti e le condizioni previste dall'articolo 7, comma 6, del dlgs 165/2001. Laddove, tuttavia, risultino rispettate le condizioni per l'affidamento, se questo è finanziato con risorse esterne, non cade nelle lame del taglio imposto dalla manovra 2010 (articolo ItaliaOggi del 11.02.2011 - tratto da www.corteconti.it).

EDILIZIA PRIVATA - PUBBLICO IMPIEGOIl condono edilizio alimenta gli incentivi ai dipendenti. Corte dei conti. Quota degli oneri per premiare l'evasione delle pratiche.
I comuni possono destinare alla incentivazione del proprio personale per la definizione delle pratiche di condono edilizio non solo la quota del 10% aggiuntivo dell'oblazione eventualmente deliberato, ma anche una parte dei proventi spettanti nell'ambito della oblazione che ordinariamente deve essere corrisposta da chi ha presentato domanda.
Questo il contenuto del parere 25.01.2011 n. 10 della sezione regionale di controllo della Corte dei conti Lombardia, in risposta al quesito posto dal comune di Seregno.
Il Dl 269/2003 prevede al comma 40 dell'articolo 32 che i diritti e gli oneri relativi alla istruzione delle domande di condono edilizio possano essere incrementati dai comuni del 10% e i relativi proventi essere destinati a incentivare le attività di dirigenti e dipendenti al di fuori dell'orario di lavoro.
Il comma 41 stabilisce che una quota compresa entro il tetto del 50% dei proventi derivanti dalle oblazioni spetta ai comuni, che può utilizzarla per «incentivare la definizione delle domande di sanatoria».
La sezione di controllo lombarda ha chiarito che questi due compensi possono sommarsi e che le entrate del comune provenienti dalla oblazione, entro il tetto del 50%, possono essere utilizzate «per la costituzione del fondo per l'incentivazione del personale dipendente che svolga attività istruttoria delle domande di sanatoria edilizia al di fuori dell'ordinario orario di lavoro».
Alla base di questa scelta la considerazione che, nel caso della possibilità di incremento dei diritti, vi è una esplicita e univoca destinazione dettata dal legislatore. ... (articolo Il Sole 24 Ore del 14.02.2011 - tratto da www.corteconti.it).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Nei Comuni fino a 5mila abitanti non si applicano le regole sul turn-over. L’unico limite è che questi Comuni non devono superare le spese di personale sostenute nel 2004. Le assunzioni però si bloccano nel caso in cui le spese di personale superano il 40% delle spese correnti.  
Recenti pronunce della Corte dei Conti riaprono la possibilità di assumere a copertura del turnover per gli enti che non sottoposti a patto di stabilità  (Corte dei Conti, Sezz. riunite di controllo, deliberazione 25.01.2011 n. 3).
---------------
I piccoli comuni sono esclusi dai limiti al 20% del turn-over. Corte dei conti: le indicazioni delle sezioni riunite.
Niente limite al 20 per cento per il turn-over nei comuni con meno di 5mila abitanti I piccoli enti devono continuare a seguire le vecchie regole, che impediscono di superare la spesa di personale registrata nel 2004, con una sola novità: le assunzioni rimangono bloccate in ogni caso quando gli assegni al personale superano il 40% della spesa corrente. L'altra norma chiave della manovra estiva, che permette un'assunzione ogni cinque cessazioni, si applica solo negli enti più grandi, quelli soggetti al patto di stabilità.
A certificare il via libera per i piccoli enti intervengono le Sezz. riunite della Corte dei Conti, che nella deliberazione 25.01.2011 n. 3 diffusa ieri fanno tirare un sospiro di sollievo ai quasi 5.700 sindaci interessati (il 70% del totale).
Il tema domina da mesi le preoccupazioni dei piccoli comuni, da quando la manovra estiva (DL 78/2010, articolo 14, comma 9) ha dettato le nuove regole per il personale degli enti locali: regola del 20% sul turn-over, e stop assoluto al reclutamento per chi spende troppo.
La regola non distingue esplicitamente enti grandi e piccoli, e questi ultimi avevano tempestato di domande ... (articolo Il Sole 24 Ore dell'08.02.2011 - tratto da www.corteconti.it).

NEWS

EDILIZIA PRIVATATITOLI EDILIZI: Così si impugnano la Dia e la Scia.
In attesa che si pronunci il Consiglio di Stato, l'incertezza sulla natura giuridica della Dia e della Scia condiziona le contestazioni di terzi. Chi vuole opporsi ai lavori avviati in base a uno di questi due titoli, oggi deve chiedere al Comune lo stop ai lavori e, al contempo, domandare al Tar l'annullamento del provvedimento.
In attesa che il Consiglio di Stato decida sull'inquadramento della dichiarazione servono più livelli di tutela. Contro la Dia non basta il ricorso. I terzi che contestano i lavori devono rivolgersi sia al Tar sia al Comune.
La natura giuridica della denuncia di inizio di attività (Dia), della segnalazione certificata di inizio attività (Scia) e della comunicazione di inizio lavori non è solo una questione teorica: anzi, ha importante ricadute pratiche. La possibilità di contestare al Tar gli interventi edilizi realizzabili con questi titoli edilizi dipende infatti da come si definiscono le dichiarazioni con cui il privato può avviare i lavori senza dover attendere il rilascio del permesso di costruire.
Il permesso di costruire -in quanto provvedimento espresso della p.a.- è pacifico che possa essere impugnato al Tar entro Go giorni dalla sua conoscibilità, che al più tardi coincide con l'avvio dei lavori o con il momento in cui gli stessi raggiungono lo stadio che consente ai terzi di valutarne la portata lesiva.
Ma per le denunce o le segnalazioni presentate dai privati c'è più di un dubbio: è possibile impugnarle? Oppure bisogna chiedere al comune di bloccare i lavori ed eventualmente portare al giudice la decisione dell'amministrazione di lasciar correre?
La differenza è evidente: nel primo caso si può andare subito dal giudice anche per chiedere l'immediata sospensione dei lavori, nell'altro caso possono non bastare alcuni anni e si rischia di arrivare al Tar a opere finite.
L'impugnazione.
È proprio di un caso come questo che il Consiglio di Stato si è recentemente interessato per fare chiarezza in merito.
Si trattava di una Dia presentata per rendere carrabile un porticato, impugnata dal vicino e annullata dal Tar Veneto. Il costruttore ha quindi proposto appello sostenendo che la Dia non costituirebbe atto amministrativo impugnabile e suscettibile di rimedi demolitori, trattandosi di attività del privato e non assumendo valore provvedimentale; la sentenza sarebbe quindi erronea laddove ha ritenuto direttamente impugnabile la Dia.
Il Consiglio di Stato con l'ordinanza 14/2011 del 07.12.2010, alla luce del contrasto giurisprudenziale in atto addirittura all'interno della stessa sezione chiamata a dirimere la controversia, ha deciso di rimettere la questione all'Adunanza plenaria deputata a dare un univoco indirizzo che possa guidare i Tar e i cittadini.
Esistono -secondo l'ordinanza citata- almeno tre tesi ... (articolo Il Sole 24 Ore del 14.02.2011 - tratto da www.corteconti.it).

CONSIGLIERI COMUNALIOSSERVATORIO VIMINALE/ Consigli convocabili online. Ma prima bisogna cambiare il regolamento interno. Il Codice dell'amministrazione digitale non è immediatamente applicabile.
È possibile procedere alla convocazione del consiglio comunale utilizzando esclusivamente gli strumenti informatici, senza la previa modifica del regolamento che dispone il recapito dell'avviso di convocazione presso il domicilio del singolo consigliere tramite messo comunale?
L'art. 12, comma 2, del decreto legislativo n. 82/2005 (codice dell'amministrazione digitale) stabilisce che «le pubbliche amministrazioni, nell'organizzare la propria attività, utilizzano tali tecnologie per la realizzazione degli obiettivi di efficienza, efficacia, economicità anche nei rapporti interni».
Le disposizioni, ai sensi dell'art. 2, comma 2, del dlgs n. 82/2005 si applicano anche agli enti locali territoriali «salvo che sia diversamente stabilito, nel rispetto della loro autonomia organizzativa e comunque nel rispetto del riparto di competenze di cui all'articolo 117 della Costituzione».
Se il comune, nell'ambito dell'autonomia prevista dalla legge (art. 3, art. 6 e art. 38 del dlgs n. 267/2000), ha stabilito nel proprio statuto che le modalità per la convocazione del consiglio comunale siano disciplinate dal regolamento interno -e questo prevede che la consegna dell'avviso per la convocazione del consiglio comunale sia effettuata esclusivamente dal messo comunale nel luogo di residenza o nel domicilio eletto dallo stesso consigliere- sarà necessario apportare le opportune modifiche al regolamento dell'ente affinché sia recepito quanto indicato dal dlgs n. 85/2005 in materia di utilizzo dei sistemi informatici (articolo ItaliaOggi del 11.02.2011).

ENTI LOCALI - CONSIGLIERI COMUNALIOSSERVATORIO VIMINALE/ Modifiche statutarie.
Da quale momento entra in vigore una modifica statutaria, se è stata pubblicata sul Bur cinque mesi dopo la sua approvazione?

Ciò che rileva ai fini dell'entrata in vigore delle modifiche statutarie è l'affissione all'albo pretorio.
L'entrata in vigore dello statuto, decorso «il trentesimo giorno dalla sua pubblicazione nel Bollettino ufficiale della regione», era prevista nella stesura originaria all'art. 4, comma 4, della legge n. 142/1990.
Tale disposizione è, poi, stata modificata dall'art. 1, comma 3, della legge 03.08.1999, n. 265, secondo il quale «lo statuto entra in vigore decorsi 30 giorni dalla sua affissione all'albo pretorio dell'ente».
A seguito dell'abrogazione dell'art. 130 della Costituzione, disposta dalla legge costituzionale n. 3/2001, è stata eliminata la fase dell'invio della deliberazione al Comitato regionale di controllo (Conferenza stato-regioni ed autonomie locali in data 07/11/2001 e sentenza del Cds n. 4598 dell'08/08/2003); pertanto la novellata norma, riprodotta nel vigente art. 6, comma 5 del dlgs n. 267/2000, collega l'entrata in vigore dello statuto al solo decorso di 30 giorni dall'affissione all'albo pretorio della relativa deliberazione e va anche a caducare eventuali disposizioni statutarie previgenti, non modificate, che in conformità al vecchio disposto di legge subordinino l'esecutività delle deliberazioni alla pubblicazione nel bollettino ufficiale della regione (articolo ItaliaOggi del 11.02.2011).

CONSIGLIERI COMUNALIOSSERVATORIO VIMINALE/ Incompatibilità.
Sussiste un'ipotesi di incompatibilità tra la carica di amministratore di uno dei comuni consorziati in un consorzio intercomunale di servizi, trasformato in una società in house providing, e quella di componente del consiglio di amministrazione della citata società? Quale compenso deve essere attribuito agli amministratori dei Comuni soci nominati componenti del consiglio di amministrazione della società?

L'art. 63, comma 1, n. 1, del decreto legislativo n. 267/2000 stabilisce che non può ricoprire cariche elettive locali l'amministratore o il dipendente con poteri di rappresentanza o coordinamento di enti, istituti o aziende soggetti a vigilanza da parte del comune.
L'innovazione legislativa apportata con il decreto 30.06.2005, n. 115, coordinato con le modifiche introdotte dalla legge di conversione 17.08.2005, n. 168, all'art. 14-decies, lettera b), pur confermando la ratio di prevenire una potenziale conflittualità dei contrapposti interessi da gestire, ha posto una presunzione in base alla quale non può più ritenersi sussistente il conflitto nel caso in cui la partecipazione del comune sia inferiore al 20% del capitale.
Pertanto, se la quota di partecipazione dei comuni soci del Consorzio è inferiore a tale percentuale, non si configura per gli amministratori in questione l'ipotesi di incompatibilità prevista dal citato art. 63, comma 1, n. 1, del Tuel.
In merito ai compensi spettanti per l'incarico di componente del consiglio di amministrazione della società, in qualità di amministratore comunale, il comma 5 dell'art. 5 del dl 31.05.2010, n. 78 prevede che «nei confronti di titolari di cariche elettive, lo svolgimento di qualsiasi incarico conferito dalle pubbliche amministrazioni, inclusa la partecipazione ad organi di qualsiasi tipo, può dar luogo esclusivamente al rimborso delle spese sostenute», e dispone che «eventuali gettoni di presenza non possono superare l'importo di 30 euro a seduta» (articolo ItaliaOggi del 11.02.2011).

PUBBLICO IMPIEGOSul merito il governo si arrende ai sindacati.
La scelta della legge c.d. Brunetta di valorizzare il merito viene annacquata, mentre non viene toccato l'obbligo per le p.a. di adottare nuovi sistemi di valutazione dei dirigenti e del personale. Si pongono inoltre le basi per un contratto collettivo per tutto il pubblico impiego con cui dare certezza sulle relazioni sindacali.
Sono queste le principali scelte contenute nella intesa stipulata tra governo e organizzazioni sindacali, tranne la Cgil, lo scorso 04.02.2011, intesa che non si applica automaticamente agli enti locali. Le regioni, i comuni e le province dovranno, infatti, decidere se fare proprie le scelte contenute nel protocollo sottoscritto tra il governo e le organizzazioni sindacali: è molto probabile che ciò avverrà in tempi assai brevi.
Basta ricordare che più volte l'Anci ha chiesto nei mesi scorsi, in particolare dopo l'entrata in vigore del dl n. 78/2010 e del conseguente blocco della contrattazione collettiva per il triennio 2010/2012, di rallentare il percorso attuativo della riforma, stante la mancanza di risorse aggiuntive.
Occorre subito evidenziare che l'intesa non è di per sé immediatamente produttiva di effetti giuridici, che si produrranno nel momento in cui i suoi contenuti saranno trasfusi in norme di legge, in circolari interpretative e in un contratto collettivo.
Ovviamente ciò non toglie nulla alla sua rilevanza, che è data dalla sostanziale marcia indietro che il governo ha dovuto innestare su molti aspetti qualificanti della riforma, marcia indietro che peraltro era di fatto cominciata con la manovra estiva e i pesanti vincoli da essa introdotti sul trattamento economico accessorio dei dipendenti e dei dirigenti pubblici, e all'indubbio successo ottenuto dalle organizzazioni sindacali firmatarie.
L'intesa incide sugli strumenti meritocratici, mettendo di fatto in soffitta tutte le forme di valorizzazione del merito introdotte dalla legge Brunetta. O meglio quelle che erano sopravvissute alla manovra estiva. Ricordiamo infatti che il blocco della contrattazione collettiva ha determinato la sospensione dell'applicazione dei nuovi istituti del bonus della eccellenza e del premio per l'innovazione: l'applicazione del premio per l'efficienza è invece incerta, anche se trattandosi di risorse aggiuntive non dovrebbe essere toccato.
Perché ciò si realizzi occorre consentire che il suo finanziamento possa andare in deroga al tetto alle risorse che gli enti possono destinare alla contrattazione decentrata, deroga possibile visto che il finanziamento deriva da risparmi ottenuti dagli enti nella spesa corrente. Con l'intesa, le fasce di merito si applicheranno nello stato solamente alle risorse aggiuntive derivanti da risparmi realizzati sulla base delle prescrizioni del dl n. 112/2008 e che ammontano ad appena 200 milioni di euro circa.
Scelta che negli enti locali è difficile da realizzare perché risorse aggiuntive per il personale non ve ne sono. Ma l'intesa non si ferma qui: con una scelta della cui legittimità si deve fortemente dubitare se viene letta non come un vincolo di carattere generale, ma come un precetto da applicare ai singoli lavoratori, si stabilisce che «le parti convengono che le retribuzioni complessive, comprensive della parte accessoria, conseguite dai lavoratori nel corso del 2010, non devono diminuire per effetto dell'applicazione dell'articolo 19 del dlgs n. 150/2009», cioè delle fasce di merito, che quindi si applicano solo sulle risorse aggiuntive.
Il protocollo non tocca le innovazioni della legge Brunetta sulla valutazione, le cui metodologie devono essere coerenti con le novità legislative, e sulla programmazione e assegnazione degli obiettivi. Ricordiamo che la mancata adozione delle nuove metodologie di valutazione determina come conseguenza il divieto di erogare le incentivazioni della performance, cioè la produttività e le indennità di risultato (articolo ItaliaOggi del 11.02.2011).

APPALTI - EDILIZIA PRIVATAAppalti, trattativa privata facile. Si alza l'asticella della procedura negoziata. Scia in edilizia. Dopo l'annuncio in cdm la Semplificazione lavora sul decreto. Piano casa per le aree degradate.
Niente gara pubblica per appalti di lavori inferiori al milione di euro. E quindi allargamento della procedura negoziata (alias trattativa privata) che ora è prevista per i lavori di importo fino a 500 mila euro. In più
la conferma ufficiale che la Scia (Segnalazione certificata di inizio attività) si applica all'edilizia.
Edilizia che trova il suo piano casa per le aree urbane da riqualificare (con premio di cubatura da decidersi da parte delle regioni).
Sono questi i binari sui cui si sta muovendo il provvedimento sulla semplificazione, ancora allo studio presso il dicastero del ministro Roberto Calderoli, ma di cui ItaliaOggi è in grado di fornire alcune anticipazioni. Almeno delle linee di fondo.
Il provvedimento, approvato «salvo intese» nel consiglio dei ministri di mercoledì assumerà la veste giuridica del decreto legge. Almeno questa è al momento l'intenzione dei tecnici del ministero della semplificazione che puntano a realizzare un pronto intervento sulle prassi in atto.
Il decreto si muoverà nel solco delle norme previste nel maxiemendamento del governo alla legge di stabilità 2011 (legge n. 220/2010), e che in quella sede non hanno visto la luce in quanto cassate dalla commissione bilancio della camera per estraneità di materia.
Due i settori maggiormente interessati dall'intervento normativo che verrà varato ufficialmente nel prossimo consiglio dei ministri: l'edilizia e gli appalti.
Quanto all'edilizia, il primo intervento riguarderebbe l'ambito di applicazione della Scia, e cioè della segnalazione certificata di inizio attività, che sostituisce i titoli autorizzativi e consente di iniziare un'attività da subito, senza dovere aspettare la licenza dell'amministrazione e senza dovere aspettare un lasso di tempo iniziale, destinato ai controlli dell'ente pubblico (come invece previsto per la Dia, denuncia di inizio attività).
Il problema, dopo il varo della Scia, è stato se si applichi o meno al settore edilizio: i dubbi derivavano da una non felice formulazione della norma istitutiva. Nonostante alcuni chiarimenti ministeriali è persistente la esigenza di certezza legislativa, che dovrebbe arrivare con il decreto in esame.
La Scia edilizia riguarderebbe tutti gli interventi minori e quindi per le nuove costruzioni o ristrutturazioni pesanti ci vorrà o il permesso di costruire o la super Dia. Peraltro la Scia edilizia, sempre per interventi minori, troverebbe spazio anche per le opere in aree vincolate, alla condizione del conseguimento del parere favorevole dell'autorità preposta alla tutela del vincolo.
Altra misura che dovrebbe trovare spazio del decreto sulla semplificazione è il piano casa per le aree urbane degradate. Alla stessa stregua degli altri interventi di «piano casa» fino ad ora approvati (ma che non hanno avuto a oggi grande successo) la norma prevede in premio cubatura aggiuntiva, così da incentivare la riqualificazione: il tutto naturalmente con apposite leggi regionali. Nella stessa direzione (e cioè promuovere la riqualificazione urbana) sarebbero dettati incentivi alla delocalizzazione (ad esempio strutture produttive in centro urbano) e in particolare la possibilità di portarsi dietro le cubature aggiuntive.
In materia di appalti si segnala la possibilità di innalzamento dell'asticella per l'uso della procedura negoziata, che dovrebbe essere ammessa per i lavori di importo complessivo inferiore a un milione di euro. Si modifica l'importo oggi previsto in 500 mila euro dall'articolo 122, comma 7, del codice degli appalti. La norma dovrebbe essere strutturata con una scaletta interna: sopra i 500 mila euro comunque la stazione appaltante dovrebbe invitare almeno dieci soggetti, mentre per i lavori di importo inferiore a 500 mila euro il numero minimo di imprese da invitate scende a cinque.
Il decreto dovrebbe poi snellire la fase della gara e in particolare le dichiarazioni previste per attestare il possesso dei requisiti di partecipazione alla selezione. Si tratta, in particolare, dell'articolo 38 del codice degli appalti, che elenca le dichiarazioni da formularsi in sedi di richiesta di partecipazione, relative ad esempio ai requisiti di moralità.
Nel decreto si preciserebbe che l'impresa partecipante non deve dichiarare condanne per reati depenalizzati e si precisano restrittivamente le condizioni ostative relative a violazioni contributive e violazioni alla normativa sulla sicurezza dei lavoratori (articolo ItaliaOggi del 11.02.2011 - tratto da www.corteconti.it).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Pubblico impiego, nuovo assetto. Il lavoratore torna al centro del cambiamento della p.a..
Quella sull'intesa del 04.02.2011 è una firma importantissima che apre uno scenario nuovo per il pubblico impiego.
Con l'accordo sottoscritto venerdì a Palazzo Chigi i lavoratori tornano al centro del cambiamento nella Pa e si fa finalmente chiarezza sui punti più controversi del dlgs 150/2009: niente pagelle sul salario ai dipendenti, nessun taglio di stipendio, nessuna applicazione delle fasce 2550-25 ai «salari attuali» dei dipendenti pubblici.
In altre parole il modello contrattuale definito dall'intesa del 30.04.2009 comincia finalmente a prendere corpo e la partecipazione dei lavoratori diventa il fulcro dell'innovazione e dell'efficienza del settore pubblico. Allo stesso tempo si superano le incertezze interpretative che volevano relegare i lavoratori e le rappresentanze a un ruolo subalterno, e tutto il valore della contrattazione decentrata è ristabilito nero su bianco.
Come Cisl-Fp abbiamo sempre messo in chiaro i limiti dei cambiamenti introdotti per legge e chiesto con forza di intervenire attraverso la contrattazione per decidere su aspetti chiave come l'organizzazione di enti, agenzie e aziende. Ma anche per salvaguardare i livelli retributivi sottoposti al blocco dei contratti. L'accordo in questo senso parla chiaro: gli stipendi, congelati al 31.12.2010, non subiranno alcun taglio in applicazione delle tre fasce.
Il criterio del 25-50-25 non interverrà sui salari attuali in godimento, ma sarà applicabile solo ad incrementi resi possibili da eventuali risorse aggiuntive. Tradotto nel concreto dei numeri ... (articolo ItaliaOggi del 08.02.2011 - tratto da www.corteconti.it).

GIURISPRUDENZA

APPALTI FORNITURE E SERVIZI: Sull'illegittimità costituzionale dell'art. 8, c. 1, lett. r), della L.R. Lombardia 05.02.2010, n. 7, per contrasto con la disciplina nazionale del codice dei contratti pubblici.
E' costituzionalmente illegittimo l'art. 8, c. 1, lett. r), della L.R. Lombardia 05.02.2010, n. 7 (Interventi normativi per l'attuazione della programmazione regionale e di modifica ed integrazione di disposizioni legislative - Collegato ordinamentale 2010), nella parte in cui ha previsto, che "per gli appalti di importo inferiore alle soglie" comunitarie, "per le forniture di beni prodotti in serie e di servizi a carattere periodico, nonché per i servizi di natura intellettuale, il collaudo e la verifica di conformità possano essere sostituiti da un attestato di regolare esecuzione rilasciato dal RUP ovvero dal dirigente della struttura destinataria della fornitura o del servizio", per invasione dell'ambito materiale dell'ordinamento civile riservato esclusivamente allo Stato, in quanto essa disciplina un settore, quello del collaudo e della verifica di regolarità dell'esecuzione dei contratti di lavori, forniture e servizi, che rientra specificamente nella suddetta competenza legislativa.
E ciò indipendentemente dalla conformità o meno della normativa regionale alla sopravvenuta disciplina regolamentare adottata dallo Stato con il d.P.R. n. 207 del 2010 (Corte Costituzionale, sentenza 18.02.2011 n. 53 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).
---------------
Appalti, niente scorciatoie al posto del collaudo. Corte Costituzionale boccia una legge della Regione Lombardia.
E' illegittima la norma della regione Lombardia che prevede il mero attestato di regolare esecuzione, invece del collaudo, per forniture di beni standard e a carattere periodico e per servizi intellettuali «sotto soglia». La fase di esecuzione del contratto, e quindi il collaudo, attiene all'ordinamento civile, materia di competenza statale esclusiva sulla quale il legislatore regionale non può disporre in difformità dalle norme statali.
E' quanto stabilisce la consulta con la sentenza 18.02.2011 n. 53 relativamente alla legge della Regione Lombardia 05.02.2010, n. 7 recante interventi normativi per l'attuazione della programmazione ... (articolo ItaliaOggi del 19.02.2011 - link a www.ecostampa.com).

ENTI LOCALI: Sulla sussistenza della giurisdizione del giudice amministrativo, relativamente ad una controversia avente per oggetto la legittimità del provvedimento di decadenza dall'assegnazione di un alloggio di edilizia residenziale pubblica.
La controversia avente per oggetto la legittimità del provvedimento di decadenza dall'assegnazione di un alloggio di edilizia residenziale pubblica rientra nella giurisdizione del giudice amministrativo e ciò in conformità a quanto disposto dall'art. 5, l. 06.12.1971 n. 1034, a mente del quale appartengono in via generale al predetto giudice le controversie, come quella del caso di specie, relative a provvedimenti incidenti sul rapporto concessorio di alloggi di edilizia residenziale pubblica, anche se involgenti diritti soggettivi, salvo i casi espressamente indicati (indennità, canoni altri corrispettivi) derivanti da rapporti di concessione di beni.
In tal senso, anche il d.lgs. 02.07.2010, n. 104 (c.d. codice del processo amministrativo), all'art. 133, c. 1, lett. b), ha confermato la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in materia di "controversie aventi ad oggetto atti e provvedimenti relativi a rapporti di concessione di beni pubblici, ad eccezione delle controversie concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi e quelle attribuite ai tribunali delle acque pubbliche e al Tribunale superiore delle acque pubbliche" (TAR Basilicata, Sez. I, sentenza 14.02.2011 n. 82 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

COMPETENZE GESTIONALI: Il potere di revoca dell'assegnazione di un alloggio popolare non è di competenza del sindaco.
In tema di revoca di un alloggio popolare, la giurisprudenza ha chiarito che la materia rientra nell'ambito dell'attività di gestione amministrativa, finanziaria e tecnica, riservata in via esclusiva ai dirigenti o ai funzionari amministrativi preposti ai rispettivi uffici.
In particolare, il potere di assegnazione di alloggi, comprensivo del correlativo potere di revoca, rientra tra i provvedimenti di "concessione… o analoghi il cui rilascio presupponga accertamenti e valutazioni, anche di natura discrezionale…" elencati dall'art. 107, c. 3, lett. f), del T.U. di cui al d.lgs. 08.08.2000, n. 267.
Pertanto, è da escludere che il sindaco, quale organo di governo al quale spettano, in quanto tale, poteri di indirizzo e di controllo politico-amministrativo, abbia la competenza di adottare atti, quale quello di revoca dell'assegnazione di un alloggio popolare, che impegnano l'amministrazione verso l'esterno e che rientrano nell'ambito (TAR Basilicata, Sez. I, sentenza 14.02.2011 n. 82 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI SERVIZI: Sulla legittimità di un'ordinanza contingibile e urgente con la quale un sindaco, al fine di garantire il trasporto pubblico degli studenti pendolari, ha affidato il servizio a soggetti terzi.
E' legittima l'ordinanza contingibile e urgente con la quale un sindaco, al fine di garantire il trasporto pubblico degli studenti pendolari nell'ultimo periodo dell'anno scolastico, ha affidato il servizio a soggetti terzi.
Tale provvedimento è stato adottato, infatti, dopo avere riscontrato l'impossibilità da parte della concessionaria di proseguire il servizio di trasporto alunni nelle tratte di interesse a causa di un protratto fermo tecnico degli autobus e dopo aver verificato l'assoluta necessità ed urgenza di ripristinare i collegamenti interrotti, anche con altri mezzi, per il perseguimento dell'interesse pubblico e prevalente di garantire ai giovani l'esercizio concreto del proprio diritto allo studio (Tar Sicilia-Catania, Sez. III, sentenza 10.02.2011 n. 285 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI SERVIZI: E' legittima l'esclusione di una società dalla gara per l'affidamento in appalto del servizio di raccolta dei rifiuti urbani, in applicazione dell'art. 23-bis, c. 9, del d.l. n. 112/2008, conv. in l. n. 133/2008.
L'art. 23-bis, c. 9 del d.l. n.112/2008, conv. in l. n.133/2008, vieta l'acquisizione di ulteriori servizi pubblici, anche mediante la partecipazione a gare d'appalto, alle società cui sia già stata direttamente affidata la gestione di un servizio pubblico locale a rilevanza economica; il divieto opera per tutta la durata della gestione affidata senza gara.
Pertanto, nel caso di specie, è legittima l'esclusione di una società dalla gara per l'affidamento in appalto del servizio di raccolta dei rifiuti urbani, essendo pacifico che la stessa società è affidataria diretta del medesimo servizio di raccolta rifiuti presso un altro comune (TAR Calabria-Catanzaro, Sez. II, sentenza 09.02.2011 n. 181 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

EDILIZIA PRIVATAIn tema di distanze legali il muro di contenimento di una scarpata o di un terrapieno naturale non può considerarsi "costruzione" agli effetti della disciplina di cui all'art. 873 c.c. per la parte che adempie alla sua specifica funzione, e, quindi, dalle fondamenta al livello del fondo superiore, qualunque sia l'altezza della parete naturale o della scarpata o del terrapieno cui aderisce, impedendone lo smottamento; la parte del muro che si innalza oltre il piano del fondo sovrastante, invece, in quanto priva della funzione di conservazione dello stato dei luoghi, è soggetta alla disciplina giuridica propria delle sue oggettive caratteristiche di costruzione in senso tecnico giuridico, ed alla medesima disciplina devono ritenersi soggetti, perché costruzioni nel senso sopra specificato, il terrapieno ed il relativo muro di contenimento elevati ad opera dell'uomo per creare un dislivello artificiale o per accentuare il naturale dislivello esistente.
Per giurisprudenza ormai consolidata, in tema di distanze legali il muro di contenimento di una scarpata o di un terrapieno naturale non può considerarsi "costruzione" agli effetti della disciplina di cui all'art. 873 c.c. per la parte che adempie alla sua specifica funzione, e, quindi, dalle fondamenta al livello del fondo superiore, qualunque sia l'altezza della parete naturale o della scarpata o del terrapieno cui aderisce, impedendone lo smottamento; la parte del muro che si innalza oltre il piano del fondo sovrastante, invece, in quanto priva della funzione di conservazione dello stato dei luoghi, è soggetta alla disciplina giuridica propria delle sue oggettive caratteristiche di costruzione in senso tecnico giuridico, ed alla medesima disciplina devono ritenersi soggetti, perché costruzioni nel senso sopra specificato, il terrapieno ed il relativo muro di contenimento elevati ad opera dell'uomo per creare un dislivello artificiale o per accentuare il naturale dislivello esistente (cfr., ex multis, Cass. Civ., sez. II, 10.01.2006, n. 145; Cons. St., Sez. IV, 24.04.2009, n. 2579; Cons. St, Sez. V, 28.06.2000, n. 3637)
(TAR Veneto, Sez. II, sentenza 01.02.2011 n. 185 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIl D.M. 02.04.1968 n. 1444 -là dove all'art. 9 prescrive in tutti i casi la distanza minima assoluta di metri 10 tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti- è norma che impone determinati limiti edilizi ai comuni nella formazione o revisione degli strumenti urbanistici, ma non è immediatamente operante anche nei rapporti tra privati.
L'art. 9 del D.M. 02.04.1968 n. 1444, là dove prescrive la distanza di 10 metri tra pareti finestrate di edifici antistanti, va rispettata in tutti i casi, trattandosi di norma volta ad impedire la formazione di intercapedini nocive sotto il profilo igienico-sanitario, e pertanto non è eludibile in funzione della natura giuridica dell'intercapedine.
Come evidenziato dalla consolidata giurisprudenza, il D.M. 02.04.1968 n. 1444 -là dove all'art. 9 prescrive in tutti i casi la distanza minima assoluta di metri 10 tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti- è norma che impone determinati limiti edilizi ai comuni nella formazione o revisione degli strumenti urbanistici, ma non è immediatamente operante anche nei rapporti tra privati.
E da ciò deriva (cfr. ex multis Cass. Civ. Sez. II 01.11.2004 n. 21899) che l'adozione, da parte degli enti locali, di strumenti urbanistici contrastanti con la norma comporta l'obbligo, per il giudice di merito, non solo di disapplicare le disposizioni illegittime, ma anche di applicare direttamente la disposizione del ricordato art. 9, divenuta, per inserzione automatica, parte integrante dello strumento urbanistico in sostituzione della norma illegittima disapplicata (cfr. Cons. St., sez. V, 02.11.2010 n. 7731; TAR Lombardia, Brescia, sez. I, 16.10.2009, n. 1742).
Più in generale, va posto in rilievo che l'art. 9 del D.M. 02.04.1968 n. 1444, là dove prescrive la distanza di 10 metri tra pareti finestrate di edifici antistanti, va rispettata in tutti i casi, trattandosi di norma volta ad impedire la formazione di intercapedini nocive sotto il profilo igienico-sanitario, e pertanto non è eludibile in funzione della natura giuridica dell'intercapedine (cfr. TAR Toscana, Sez. III, 04.12.2001 n. 1734, TAR Liguria Sez. I, 12.02.2004 n. 145).
Pertanto, le distanze tra costruzioni sono predeterminate con carattere cogente in via generale ed astratta, in considerazione delle esigenze collettive connesse ai bisogni di igiene e di sicurezza, di modo che al giudice non è lasciato alcun margine di discrezionalità nell'applicazione della relativa disciplina (cfr. Cons. St., Sez. IV, 05.12.2005 n. 6909)
(TAR Veneto, Sez. II, sentenza 01.02.2011 n. 185 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Controllo societario e partecipazione alle gare.
Devono essere escluse le imprese che si trovano in una situazione di controllo effettivo, anche qualora non sussistano quelle specifiche ipotesi riconducibili allo schema del codice civile.

Questo il principio enunciato dal Consiglio di Stato, Sez. IV, nella sentenza 28.01.2011 n. 673, che ancora una volta si è pronunciato sull’annosa questione della partecipazione alle gare per le imprese che presentano legami tali da alterare le normali regole della concorrenza.
Nel caso in esame, relativo ad una gara per l’affidamento dei lavori di pavimentazione stradale, due imprese concorrenti erano state escluse “in quanto esistente uno stretto collegamento tra le due società, tale da far ritenere unico il centro decisionale e/o di interesse comune.”
Nella specie l’amministrazione contestava:
- Il collegamento familiare tra i vari componenti delle due società;
- L’intreccio societario desumibile dagli statuti;
- Le modalità di invio dei plichi contenenti le offerte, spediti dallo stesso ufficio postale, alla stessa data e ora e con numeri di protocollo immediatamente successivi.
Il provvedimento della stazione appaltante, oggetto di impugnazione, era stato tuttavia confermato dai giudici di prime cure che non avevano ritenuto attendibili le censure di parte ricorrente, la quale aveva sostenuto: “l’esclusione dalle gare d’appalto può essere disposta solo in presenza di indizi gravi, precisi e concordanti.”
Tali argomentazioni, riproposte in sede di appello, non sono state comunque considerate valide.
I giudici di Palazzo Spada hanno, infatti, stabilito che: “Il persistente riferimento ad un "unico centro decisionale", cui siano imputabili le diverse offerte, a prescindere dal controllo e collegamento di carattere presuntivo legale e "documentale", di cui all'articolo 2359 del codice civile, quale causa di esclusione, costituisce la riprova che il legislatore ha inteso allargare la disciplina codicistica, rilevante solo a determinati effetti, appunto privatistici (ad esempio, per il regime delle responsabilità degli impegni assunti dalle varie società), preferendo una soluzione sostanziale e non formale, laddove consente l'esclusione dalle gare d’appalto di concorrenti societari che siano tra loro in un rapporto di effettivo controllo, ancorché realizzato attraverso ipotesi non riconducibili allo schema della norma del codice civile.
Sicché, è sufficiente la presenza di significativi elementi rivelatori di un collegamento materiale -a prescindere dai fenomeni di votazione assembleare- tra imprese, perché sorga l'onere, in capo all'amministrazione, di verificare se esso sia stato tale da alterare il normale, imparziale e concorrenziale meccanismo della gara.
D'altronde, ciò è coerente anche con il sistema disegnato dalla norma del codice civile, laddove essa, prevedendo semplicemente una presunzione nell'unica ipotesi di collegamento rilevante, individuata attraverso i meccanismi di partecipazione assembleare, non esclude che vi possano essere altre forme di collegamento o controllo societario, in concreto idonee ad alterare il meccanismo di gara (cfr. al riguardo, Cons. St., sez. V, 24.08.2010, n. 5923).

La riconducibilità delle offerte ad unico centro decisionale, determina in capo alla stazione appaltante l’onere di porre in essere tutti quelli accertamenti idonei a verificare che non vi sia stata una alterazione della par condicio tra i concorrenti.
Tale verifica si inserisce all’interno di una serie procedimentale progressiva che deve avvenire nel rispetto dei principi di legalità, buon andamento ed imparzialità dell’azione amministrativa, enunciati dall’articolo 97 della Costituzione (commento tratto da www.professioni-imprese24.ilsole24ore.com  - link a www.giustizia-amministrativa.it).

COMPETENZE PROGETTUALIImpianti elettrici della p.a. ai periti. Riconosciuta alla professione la competenza sulla progettazione. Il Cnpi vince la sua battaglia e ottiene dal Consiglio di stato chiarezza sui confini tra professioni.
Periti industriali competenti nel progettare impianti elettrici per la pubblica illuminazione. Senza alcuna subordinazione del tecnico diplomato sul laureato. E riconosciuta nello stesso tempo la competenza a pieno titolo dei periti industriali.
Il Consiglio di Stato, Sez. V, con sentenza 26.01.2011 n. 571 ribadisce così, senza lasciar spazio ad ulteriori dubbi, due principi fondamentali in passato oggetto di fuorvianti interpretazioni da parte della stessa magistratura.
La vicenda prende il via da un ricorso presentato da due società escluse dall'affidamento pubblico di una gara di appalto per i servizi di illuminazione per un piccolo comune della Sardegna e che per tale motivo contestavano, tra l'altro, la competenza alla progettazione in materia del perito industriale.
Eccezione respinta immediatamente dal Tar della regione che, nella sentenza di primo grado (n. 11361 del 2010), aveva sottolineato con forza il principio che in materia di progettazione di impianti di illuminazione pubblica la competenza del perito industriale è «propria», affermando contestualmente la regola che non esiste subordinazione del tecnico diplomato sul laureato.
Proprio da qui ripartono i giudici di Palazzo Spada che nella sentenza mostrano di seguire pedissequamente tutte le argomentazioni tecniche sviluppate dall'intervento ad opponendum del Consiglio nazionale dei periti.
Il Cds riconduce la problematica relativa alla progettazione di impianti elettrici alla competenza professionale dei periti industriali così come descritta nel decreto che regola la professione. E lo fa passando attraverso l'intera disciplina di settore (legge 46/1990 e dm 37/2008), sbriciolando così il limite del calcolo infinitesimale che fino ad ora aveva limitato l'attività dei periti industriali alle opere impiantistiche.
Ma non solo competenze, perché il Cds ha ribadito un altro principio: non esiste subordinazione del tecnico diplomato sul laureato. I ricorrenti in appello avevano infatti contestato che la direzione del gruppo di lavoro, costituito, tra l'altro, da tre ingeneri strutturisti, fosse affidata a un perito industriale con specializzazione in elettrotecnica.
Già il Tar aveva riconosciuto la legittimità del perito industriale a essere responsabile di un gruppo di lavoro misto, costituito da progettisti ingegneri, professionisti con titolo di studio di livello superiore, in quanto ognuno specificamente abilitato all'attività di progetto da esso eseguita in ordine all'affidamento pubblico delle opere da realizzare. Di conseguenza, è affermata la possibilità che l'attività di progettazione definitiva ed esecutiva possa essere svolta previa la collaborazione «in subordinazione» di un professionista ingegnere, in un gruppo misto di figure professionali specifiche, rispetto al progettista responsabile, che sia perito industriale.
Sulla stessa scia i giudici di palazzo Spada per i quali la direzione del perito industriale è assolutamente legittima e non «sussiste pertanto alcuna violazione della disciplina sulle professioni così come la presentazione al progetto non appare in alcun modo inficiata dalla sottoscrizione da parte del perito industriale».
«Finalmente», precisa il presidente del Consiglio nazionale dei periti industriali Giuseppe Jogna, «dopo sentenze talvolta contraddittorie tra loro e cavalcate spesso in maniera strumentale, ci pensa il più alto grado della magistratura di legittimità a mettere ordine in materia di competenze professionali del perito industriale. E ciò che è particolarmente apprezzabile è che questo è avvenuto attraverso la semplice ma corretta applicazione delle norme sulla sicurezza degli impianti e soprattutto del decreto che regola la professione di perito industriale. Senza alcuna forzatura interpretativa» (articolo ItaliaOggi del 11.02.2011).

EDILIZIA PRIVATASolo se l’opera è destinata a dare al costruttore una utilità prolungata, e quindi è di fatto destinata a durare nel tempo, tale manufatto è riconducibile alla nozione di “costruzioni” e, come tali, necessita di un titolo edilizio.
La tettoia in considerazione appare avere i caratteri propri della precarietà per cui è applicabile quella giurisprudenza secondo la quale solo se l’opera è destinata a dare al costruttore una utilità prolungata, e quindi è di fatto destinata a durare nel tempo, tale manufatto è riconducibile alla nozione di “costruzioni” e, come tali, necessita di un titolo edilizio (cfr. Tar Lazio Roma sez. II 03/02/2006 n. 780; Tar Sardegna Sez. II 27/09/2006 n. 2013; Tar Campania Napoli Sez. IV 28/02/2006 n. 2451)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 20.12.2010 n. 7593 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAL'autorimessa è una pertinenza urbanistica, sostanziandosi nella destinazione strumentale alle esigenze dell’immobile principale, risultante sotto il profilo funzionale da elementi oggettivi, dalla ridotta dimensione sia in senso assoluto sia in relazione all’immobile al cui servizio è complementare, dall’ubicazione, dal valore economico rispetto alla cosa principale e dall’assenza del c.d. carico urbanistico.
Per quanto riguarda l’autorimessa si deve ritenere che abbia le caratteristiche della pertinenza urbanistica, sostanziandosi nella destinazione strumentale alle esigenze dell’immobile principale, risultante sotto il profilo funzionale da elementi oggettivi, dalla ridotta dimensione sia in senso assoluto sia in relazione all’immobile al cui servizio è complementare, dall’ubicazione, dal valore economico rispetto alla cosa principale e dall’assenza del c.d. carico urbanistico (Cons. St., sez. V, 13.06.2006, n. 3490, e 11.11.2004, n. 7325).
In considerazione di ciò si deve ritenere che essa fosse soggetta al regime autorizzatorio con conseguente esclusione della sanzione demolitoria
(TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 20.12.2010 n. 7593 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATAL’omessa comunicazione del preavviso di rigetto appare suscettibile di incidere in modo significativo sulla concreta possibilità del soggetto amministrato di tutelare il proprio interesse e tale comunicazione è certamente necessaria nelle ipotesi di diniego di rilascio del permesso di costruire e va posta in essere anche rispetto al provvedimento di rigetto dell’istanza di condono edilizio.
Come è noto, il preavviso di diniego, previsto dall'art. 10-bis L. 07.08.1990 n. 241 costituisce un atto (privo di contenuto provvedimentale), con cui l’Amministrazione rende noto all’interessato il suo intendimento, del tutto provvisorio, di procedere al diniego della sua domanda.
Trattasi, cioè, di una norma di garanzia partecipativa, che ha la finalità di consentire, anche nei procedimenti ad istanza di parte, gli apporti collaborativi dei privati, allo scopo di porre questi ultimi in condizione di chiarire, già nella fase procedimentale, tutte le circostanze ritenute utili, senza costringerli ad adire subito le più gravose vie giurisdizionali; pertanto, la stessa finalità di detta norma comporta che non vi debba essere necessariamente una corrispondenza puntuale in ogni dettaglio tra il contenuto del preavviso di diniego e il diniego medesimo, ben potendo la P.A., sulla base delle osservazioni del privato (ma anche autonomamente), precisare meglio le proprie posizioni giuridiche nell’atto di diniego, che costituisce l’unico atto effettivamente lesivo della sfera del cittadino (Cons. St., sez. IV, 10.12.2007, n. 6325).
Per cui l’omessa comunicazione del preavviso di rigetto appare suscettibile di incidere in modo significativo sulla concreta possibilità del soggetto amministrato di tutelare il proprio interesse (Consiglio Stato, sez. IV, 13.03.2008, n. 1052) e tale comunicazione è certamente necessaria nelle ipotesi di diniego di rilascio del permesso di costruire (TAR Puglia, sede Bari, sez. III, 18.01.2008, n. 46, TAR Campania, sede Napoli, sez. III, 06.12.2007, n. 15817, TAR Valle d'Aosta Aosta, 10.10.2007, n. 121), e va posta in essere anche rispetto al provvedimento di rigetto dell’istanza di condono edilizio (TAR Sicilia, Palermo, sez, III, 10/03/2010 n. 2649)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 20.12.2010 n. 7593 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

PUBBLICO IMPIEGO: Vigili urbani, stretta sui festivi. Niente cumulo tra l'indennità di turno e lo straordinario. La Cassazione risolve una querelle che da sempre crea tensioni all'interno dei comuni.
Niente maggiorazione per lavoro festivo infrasettimanale agli agenti di polizia municipale che svolgano servizi organizzati in turni, quando detti servizi ricadano in giornate festive.
La Corte di cassazione civile, sezione lavoro, con la sentenza 09.04.2010 n. 8458 risolve definitivamente una questione interpretativa ed operativa che da sempre pregiudica il buon funzionamento dei comuni, creando scintille nelle relazioni sindacali.
Infatti, da sempre gli agenti di polizia locale, supportati fieramente dai sindacati, per le giornate di lavoro ricadenti nei festivi infrasettimanali rivendicano il cumulo di più trattamenti economici: l'indennità di turno in giornata festiva e lo straordinario con maggiorazione per lavoro in giornata festiva.
La Corte di cassazione ha rigettato l'appello proposto contro la sentenza della Corte di appello di Lecce 27.09.2005, n. 1660, che aveva a sua volta confermato la decisione del giudice del lavoro di escludere per gli agenti appartenenti al corpo di polizia locale il cumulo dell'indennità di turno con lo straordinario festivo.
La decisione della suprema corte dovrebbe finalmente mettere un punto fermo su una questione, oggettivamente nata su fondamenta d'argilla.
La tesi sostenuta da ricorrenti e sindacati, nettamente rigettata dalla Cassazione, si fonderebbe sulla circostanza che ai sensi dell'articolo 24 del Ccnl 14/09/2000 del comparto regioni autonomie locali il trattamento per attività prestata in giorno festivo spetterebbe comunque a tutti i dipendenti, siano o meno inseriti in attività organizzate per turni: di conseguenza, l'indennità di turno sarebbe autonoma dal compenso per lavoro festivo, il che ne autorizzerebbe il cumulo.
La Cassazione spiega che le cose non stanno affatto così. L'istituto della turnazione è integralmente regolato dall'articolo 22 sempre del Ccnl 14/09/2000, il quale compensa interamente il disagio causato dalla particolare articolazione oraria, maggiorando del 10% la retribuzione nei turni diurni, del 30% nei turni notturni e festivi e del 50% nei turni festivi e notturni.
Al lavoro organizzato su turni risulta totalmente inapplicabile la disciplina del trattamento economico per attività prestata in giorno festivo, che corrisponde, sostanzialmente, ad un'attività lavorativa in orario straordinario, svolta, cioè, al di là degli obblighi orari del lavoratore. Insomma, l'articolo 24 vale per i dipendenti non turnisti, eccezionalmente chiamati ad effettuare prestazioni lavorative in giornate festive in straordinario.
Ricorda la Cassazione che lo straordinario, però, presuppone necessariamente il superamento dell'orario contrattuale di lavoro. Ma, per i lavoratori turnisti la prestazione lavorativa in turno ricadente in giornata festiva non è «straordinaria», ma normale orario contrattuale di lavoro.
Per questa ragione, nei confronti del personale turnista si applica esclusivamente l'articolo 22 del Ccnl 14/09/2000 e non l'articolo 24, destinato solo a personale non turnista.
Unica limitata ipotesi di estensione della disciplina dell'articolo 24 ai dipendenti inseriti in servizi organizzati per turni è quella nella quale il lavoratore turnista sia chiamato in via eccezionale a svolgere la propria attività nella giornata che, in base al turno assegnato, quella settimana avrebbe dovuto essere di riposo (articolo ItaliaOggi del 18.02.2011).

EDILIZIA PRIVATA: Titolo edilizio anche per il cartellone pubblicitario. Lo ha sancito la Corte di Cassazione intervenendo su un decreto di sequestro preventivo di un cartellone di grandi dimensioni.
Recentemente la Corte di cassazione (sentenza n. 43249/2010) è stata chiamata a pronunciarsi su un singolare caso di abuso edilizio.
I giudici sono intervenuti su un decreto di sequestro preventivo di un cartellone per la gestione di spazi pubblicitari di grandi dimensioni, collocato su quattro pilastri con basamento in cemento.
Veniva contestata all’indagato la violazione della normativa antisismica (artt. 93, 94 e 95 d.P.R. n. 380/2001) per averlo collocato senza aver preventivamente ottenuto il rilascio del titolo abilitativo.
Quest’ultimo aveva sostenuto, però, l’erronea applicazione al caso in esame del Testo unico sull’edilizia, facendo appello al rapporto di specialità tra detta disciplina e quella dettata dal D.Lgs. n. 507 del 1993.
I giudici della Suprema Corte ribadiscono la necessità del rilascio del preventivo titolo abilitativo ai fini della realizzazione di questo singolare manufatto, escludendo l’esistenza dell’invocato rapporto di specialità tra la disciplina dettata dal Testo Unico sull’edilizia e quella del D.Lgs. 15.11.1993, n. 507.
Quest’ultimo prevede, in caso di violazione delle disposizioni concernenti l’installazione dei cartelloni pubblicitari, l’applicazione di sanzioni amministrative pecuniarie e la rimozione da parte del comune degli impianti pubblicitari abusivi.
In particolare sulla qualifica del manufatto come opera edilizia, soggetto al d.P.R. n. 380 del 2001, la Corte richiama le disposizioni della normativa antisismica che si applicano a tutte le costruzioni la cui sicurezza possa interessare la pubblica incolumità.
Secondo i giudici, quindi, il cartellone pubblicitario oggetto del sequestro preventivo costituisce opera edilizia rilevante ai fini dell’applicazione della normativa edilizia ed urbanistica, considerate le sue dimensioni e le modalità dell’installazione.
Sul rapporto di specialità tra la disciplina in materia edilizia e quella dettata dal D.Lgs. 15.11.1993, n. 507 la Corte afferma invece che possono trovare applicazione ambedue le discipline in quanto introdotte dal legislatore a tutela di interessi giuridici diversi: - quella edilizia, sullo sviluppo del territorio e la sicurezza statica delle costruzioni rispetto a possibili eventi sismici;
- quella dettata in tema di pubbliche affissioni, sulle modalità di controllo sulle stesse, in relazione al loro contenuto, alla loro natura commerciale o meno, all’applicazione dell’imposta sulla pubblicità (commento tratto da www.ediliziaurbanistica.it).

AGGIORNAMENTO AL 15.02.2011

ã

UTILITA'

ENTI LOCALI - LAVORI PUBBLICI: Maniglioni antipanico: obbligo di sostituzione entro il 16.02.2011.
Il 16.02.2011 scade il periodo transitorio di 6 anni previsto dal D.M. 03.11.2004 (Disposizioni relative all'installazione ed alla manutenzione dei dispositivi per l'apertura delle porte installate lungo le vie di esodo, relativamente alla sicurezza in caso d'incendio) per la sostituzione dei dispositivi di apertura delle porte sulle vie di esodo non marcati CE (maniglioni antipanico) per le attività soggette a C.P.I. (Certificato di Prevenzione Incendi).
L’art. 5 del D.M. recita: “I dispositivi non muniti di marcatura CE, già installati nelle attività di cui all’art. 3 (n.d.r. attività soggette a Certificato Prevenzione Incendio) del presente decreto, sono sostituiti a cura del titolare in caso di rottura del dispositivo o sostituzione della porta o modifiche dell’attività che comportino un’alterazione peggiorativa delle vie di esodo o entro sei anni dalla data di entrata in vigore del presente decreto. La manutenzione dei dispositivi di cui al comma precedente dovrà comunque garantire il mantenimento della loro funzionalità originaria e dovrà essere effettuato quanto prescritto al punto c. 3) dell’art. 4” (link a www.acca.it).

APPALTI - EDILIZIA PRIVATA: Finalmente un documento sintetico e professionale per sapere TUTTO sul DURC.
Cosa si intende per Documento Unico di Regolarità Contributiva? Chi rilascia il DURC? Chi può richiedere il DURC? Da quale momento decorre la validità del DURC? …
A tutti questi quesiti risposte chiare e precise da parte dell’Autorità per la Vigilanza sui Contratti Pubblici di Lavori, Servizi e Forniture. Il documento che proponiamo in allegato, redatto dall’Ente più autorevole del settore dei LL.PP., risulta certamente utilissimo a tutti gli operatori dell’edilizia (link a www.acca.it).

SICUREZZA LAVORO: Procedure, documenti e responsabilità per garantire una corretta gestione dei lavori e della sicurezza in cantiere: un documento sintetico della Prefettura di Roma.
Nei giorni scorsi è stato firmato presso la Prefettura di Roma un Protocollo d’intesa da parte di INPS, INAIL, Direzione Provinciale del Lavoro, e sindacati territoriali dell'edilizia, con cui le parti intendono contribuire alla lotta al lavoro nero, all'evasione contributiva e alla presenza d'imprese irregolari negli appalti pubblici nel territorio della provincia di Roma.
Sono stati definiti i contenuti minimi di uno schema di capitolato tipo per appalti di opere pubbliche, che contenga criteri uniformi a garanzia della qualità, della trasparenza, della professionalità e della salvaguardia dei diritti dei lavoratori.
Nel Protocollo sono evidenziati i contenuti minimi dello schema di capitolato:
- Informazioni;
- Sopralluoghi preliminari;
- Misure organizzative e oneri diversi a carico dell'appaltatore da dimostrare prima dell'inizio dei lavori;
- Attività di controllo;
- Responsabilizzazione del coordinatore per la sicurezza;
- Verifiche in corso di esecuzione sulla regolarità;
- Subappalto;
- Responsabile dei lavoratori per la sicurezza territoriale;
- Qualità del lavoro e delle imprese.
Il documento risulta certamente utile a tutti gli operatori del settore (link a www.acca.it).

LAVORI PUBBLICI: LINEE GUIDA per i rischi indoor ALLERGIE ed ASMA: ecco un documento utile per la progettazione e ristrutturazione di edifici scolastici, manutenzione.
Di recente è stato siglato un Accordo tra Governo, Regioni, Province autonome di Trento e Bolzano, Province, Comuni e Comunità montane, contenente le “Linee di indirizzo per la prevenzione nelle scuole dei fattori di rischio indoor per allergie ed asma”.
Le linee guida rappresentano un utile strumento per tutti i tecnici: forniscono i criteri generali per la progettazione di edifici scolastici, con indicazioni operative sulla configurazione e l’articolazione interna degli edifici, sull’ottimizzazione del sistema edificio/ambiente, sulla scelta dei materiali da utilizzare e da evitare, su volumi e aperture. Relativamente agli edifici esistenti, vengono fornite specifiche indicazioni sul tipo di manutenzione da adottare e sui controlli da effettuare.
Sono disponibili anche informazioni circa la ristrutturazione di edifici esistenti e la progettazione e manutenzione di verde scolastico.
Vengono, inoltre, analizzati i diversi fattori di rischio indoor per allergie ed asma e sulle misure di prevenzione disponibili al fine di effettuare la Valutazione dei Rischi.
Il documento è strutturato come segue:
- INTRODUZIONE, contenente l’analisi del problema e la situazione in Italia;
- PRIMA PARTE, con gli elementi di conoscenza per facilitare l’individuazione e la valutazione dei principali fattori di rischio;
- SECONDA PARTE, con indicazioni operative per realizzare un programma integrato di interventi per la prevenzione delle malattie allergiche e dell’asma.
Il documento è certamente interessante per tutti i tecnici che operano nel settore della progettazione, manutenzione e valutazione dei rischi in edifici ad uso collettivo (link a www.acca.it).

LAVORI PUBBLICI: ON-LINE i Certificati di esecuzione dei Lavori Pubblici.
Dal 14.02.2011 i Certificati di esecuzione dei Lavori Pubblici saranno rilasciati esclusivamente ON-LINE, attraverso il nuovo sistema informatico accessibile dal portale Internet dell'Autorità per la Vigilanza sui Contratti Pubblici di Lavori, Servizi e Forniture.
Lo ha comunicato il Presidente dell’AVCP, ritenendo di dover offrire agli utenti che usano il sistema informatico per il rilascio e la gestione dei Certificati un servizio adeguato alle loro esigenze e di dover semplificare le attività di integrazione dei dati forniti attraverso la compilazione dei Certificati con quelli di altri sistemi informatici. Le modalità di utilizzo del nuovo sistema saranno disponibili nel manuale utente, che sarà pubblicato sul portale Internet dell'Autorità.
Gli utenti potranno accedere al nuovo sistema utilizzando le stesse credenziali di cui già in possesso per il rilascio dei Certificati con la precedente procedura, mentre le SOA potranno accedere in consultazione alla nuova procedura attraverso l'apposito link disponibile sul portale Internet nella sezione dei “servizi ad accesso riservato”, utilizzando le credenziali già rilasciate dall'Autorità a seguito di registrazione al servizio di “Anagrafe” (link a www.acca.it).

GURI - GUUE - BURL ( e anteprima)

AMBIENTE-ECOLOGIA: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 6 del 09.02.2011, "Approvazione delle modalità tecnico operative per la determinazione degli oneri connessi all’istruttoria delle domande di autorizzazione allo scarico nella rete fognaria ai sensi della deliberazione della giunta regionale 20.01.2010, n. 11045" (deliberazione G.R. 01.02.2011 n. 797).

AMBIENTE-ECOLOGIA: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 6 del 09.02.2011, "Approvazione delle modalità tecnico operative per la definizione dei programmi di controllo degli scarichi nella rete fognaria ai sensi della deliberazione della giunta regionale 20.01.2010, n. 11045" (deliberazione G.R. 01.02.2011 n. 796).

ENTI LOCALI: G.U. 08.02.2011 n. 31 "Saggio degli interessi da applicare a favore del creditore nei casi di ritardo nei pagamenti nelle transazioni commerciali" (Ministero dell'Economia e delle Finanze, comunicato).

AMBIENTE-ECOLOGIA: G.U. 07.02.2011 n. 30 "Regolamento recante i criteri tecnici per la classificazione dello stato dei corpi idrici superficiali, per la modifica delle norme tecniche del decreto legislativo 03.04.2006, n. 152, recante norme in materia ambientale, predisposto ai sensi dell’articolo 75, comma 3, del medesimo decreto legislativo" (Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, decreto 08.11.2010 n. 260).

DOTTRINA E CONTRIBUTI

PUBBLICO IMPIEGO: F. Logiudice, L’applicazione della riforma Brunetta non è condizionata da norme transitorie (link a www.altalex.com).

PUBBLICO IMPIEGO: M. Scanniello, Il diritto di accesso nei concorsi pubblici (link a www.diritto.it).

NOTE, CIRCOLARI E COMUNICATI

APPALTI: Indicazioni e chiarimenti in merito alla corretta gestione degli appalti e subappalti.
E’ stata firmata dal Ministro Maurizio Sacconi la circolare 11.02.2011 n. 5 in materia di appalti e subappalti avente per oggetto: "Quadro giuridico degli appalti".
La circolare, tenuto conto del ricorso sempre più frequente a processi di esternalizzazione e della complessità della legislazione e delle fonti di riferimento in materia, effettua una ricognizione delle principali problematiche che gli operatori incontrano nel ricorrere all’appalto e fornisce indicazioni e chiarimenti in merito alla sua corretta gestione.
Tra le principali questioni affrontate, i criteri che qualificano un appalto come genuino, gli obblighi di carattere retributivo connessi all’utilizzazione dell’istituto, il valore degli appalti e i criteri di scelta dei contraenti, la responsabilità solidale tra committente, appaltatore ed eventuali subappaltatori, il ricorso alla certificazione, la disciplina in materia di salute e sicurezza del lavoro.

EDILIZIA PRIVATA: SUAP: il Ministero per la Semplificazione chiarisce il ruolo delle CCIAA.
Come annunciato, il 30.09.2010 è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 229 il D.P.R. del 07.09.2010, n. 160 con il quale viene adottato il Regolamento per la semplificazione ed il riordino della disciplina sullo Sportello Unico per le Attività Produttive (SUAP).
Il Regolamento abroga il previgente D.P.R. n. 447 del 1998, il quale cesserà di avere efficacia in due momenti diversi: 180 giorni per il c.d. procedimento automatizzato, 1 anno per il procedimento ordinario (articolo 12, comma 1). Ossia il 28.03.2011 in relazione ai capi I, II, III, V e VI del Regolamento e il 30.09.2011 in relazione al capo IV.
La nota esplicativa 12.01.2011 n. 40 di prot. pubblicata dall'ufficio legislativo del Ministero per la Semplificazione Normativa in risposta agli interrogativi del Comune di Camposampierese (Pd), chiarisce il ruolo svolto dalle Camere di Commercio in surroga della funzione da parte dei Comuni, che più di una perplessità ha sollevato.
Secondo la nota del Ministero la Camera di Commercio esercita "le funzioni richieste per l'elaborazione dell'istanza, comunicandone gli esiti al comune". La delega alle Camere di Commercio non comporterebbe "una deroga all'ordinario riparto delle competenze, in quanto la titolarità della funzione amministrativa delegata rimane del comune e del relativo dirigente responsabile, ovvero, qualora quest'ultimo non sia stato individuato, del segretario comunale, ai sensi dell'art. 4, comma 4 del d.P.R. n. 160 del 2010. Il Comune, in sintesi, può avvalersi delle capacità organizzative e tecniche di un altro ente pubblico, la camera di commercio, pur preservando le competenze e la correlativa responsabilità delle attività compiute dagli uffici di quest'ultima".
I dubbi, ovviamente, permangono, perché l'istituto dell'avvalimento sotteso all'affermazione non é richiamato dalla normativa in questione, che si limita a trasferire alle CCIAA i compiti di gestione SUAP in difetto delle amministrazioni locali (link a http://studiospallino.blogspot.com).

NEWS

ATTI AMMINISTRATIVI: Con gli albi pretori online, le pubblicazioni su carta non hanno più valore legale.
Dall’01.01.2011 le amministrazioni pubbliche hanno l’obbligo di pubblicare sul proprio sito, o su quello di amministrazioni affini o di associazioni, tutti gli atti amministrativi che necessitano di pubblicità legale (come bandi di concorso, permessi di costruzione, delibere del Consiglio e della Giunta comunale ecc.).
È infatti entrato in vigore l’art. 32 della L. 69/2009, relativo all’eliminazione degli sprechi dovuti al mantenimento dei documenti in forma cartacea. Pertanto, “gli obblighi di pubblicazione di atti e provvedimenti amministrativi aventi effetto di pubblicità legale si intendono assolti con la pubblicazione nei propri siti informatici da parte delle amministrazioni e degli enti pubblici”.
Le pubblicazioni cartacee non hanno più valore legale: si passa da un obbligo di dare pubblicità mediante affissione degli atti presso un luogo fisico, l’albo pretorio, ad una pubblicazione sul sito web della Pubblica Amministrazione, l’albo pretorio on-line. Anche le pubblicazioni di matrimonio devono quindi comparire esclusivamente su Internet; in caso di inosservanza, la cerimonia non sarà celebrata.
Per le gare (procedure ad evidenza pubblica) e i bilanci, invece, il passaggio al digitale avverrà l’01.01.2013. Nel frattempo la pubblicazione online di tali atti accompagnerà quella cartacea secondo modalità operative che verranno definite nei prossimi giorni con un Decreto del Presidente del Consiglio.
Dall’01.01.2013 gli obblighi di pubblicità legale saranno assolti mediante la pubblicazione online sul sito istituzionale; la tradizionale pubblicità sui quotidiani sarà solo facoltativa e nei limiti degli ordinari stanziamenti di bilancio (link a www.governo.it).

PUBBLICO IMPIEGO: Certificati di malattia on line; con la fine della sperimentazione, scattano le sanzioni.
A dieci mesi dal suo avvio, la nuova procedura di trasmissione online all'INPS dei certificati medici di malattia dei lavoratori pubblici e privati è stata giudicata dal ministro Brunetta “largamente positiva”.
Il sistema, ha dichiarato il ministro nel corso di una conferenza stampa il 02.02.2011, è pienamente operativo in tutte le sue funzionalità; la nuova procedura è diffusa su tutto il territorio e la quota di medici di medicina generale abilitati all'utilizzo è ormai vicina al 100%.
Così funziona il sistema: il medico invia all'INPS il certificato di malattia compilando una pagina web (o utilizzando il proprio software abituale o il call center telefonico).
L'INPS rende disponibile il certificato al datore di lavoro (pubblico e privato), che può riceverlo tramite PEC o consultando il sito dell'INPS. Il lavoratore può consultare i propri certificati di malattia tramite il sito dell'INPS o chiederne l'invio alla propria casella di posta elettronica. Il datore di lavoro riceve immediatamente dall'INPS le attestazioni di malattia relative ai certificati ricevuti.
I medici che, anche temporaneamente, hanno difficoltà a utilizzare il PC o ad accedere a Internet possono inviare il certificato rivolgendosi al call center telefonico gratuito dell'INPS con l'assistenza di un operatore dedicato. Eventuali sanzioni hanno luogo solo in caso di "colpa esplicita" del medico e non per impossibilità tecnica di trasmissione del certificato (link a www.governo.it).

ENTI LOCALI: Araldica pubblica: nuove regole per il rilascio di emblemi e gonfaloni.
Aggiornare il linguaggio utilizzato per l'autorizzazione all'uso nel territorio nazionale delle onorificenze pontificie e per l'istruttoria relativa all'araldica pubblica: è questo lo scopo del Dpcm del 28.01.2011, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale dell’01.02.2011, n. 25, Supplemento Ordinario n. 26.
Il decreto, assegnando la competenza esclusiva in materia all'“Ufficio onorificenze e araldica” del Dipartimento del Cerimoniale di Stato della Presidenza del Consiglio, aggiorna, semplificandole, le modalità di concessione e le regole araldiche già contenute nel regio decreto 07.06.1943, n. 652.
Possono richiedere la concessione di emblemi pubblici le regioni, le province, le città metropolitane, i comuni, le comunità montane, le comunità isolane, i consorzi, le unioni di comuni, gli enti con personalità giuridica, le banche, le fondazioni, le università, le società, le associazioni, le Forze armate ed i Corpi ad ordinamento civile e militare dello Stato.
La relativa domanda deve essere redatta in duplice copia e inviata, in carta semplice, al Presidente della Repubblica e, in carta da bollo, al Presidente del Consiglio dei Ministri.
Per quanto riguarda le onorificenze degli Ordini equestri della Santa Sede e dell'Ordine equestre del Santo Sepolcro, i cittadini che vogliono richiedere l’autorizzazione a fregiarsi di tali titoli devono effettuare apposita domanda, in carta da bollo, al Presidente del Consiglio dei Ministri, con allegati copia conforme del diploma di nomina, certificato di nascita e di cittadinanza italiana (link a www.governo.it).

GIURISPRUDENZA

APPALTI SERVIZI: La decisione di un Comune di ricorrere ad una società "in house" invece che ad un soggetto terzo deve essere effettuata, previa valutazione comparativa dei rispettivi servizi offerti.
La scelta di un Comune di non trasferire ad un soggetto terzo la funzione amministrativa atta a soddisfare la domanda relativa ad un pubblico servizio costituisce per la P.A. una facoltà legittima (come previsto dal Trattato CE), ciò non esclude che comunque la decisione di ricorrere ad una società "in house" invece che ad un soggetto terzo debba essere effettuata, previa valutazione comparativa dei rispettivi servizi offerti.
Posto che l'art. 113, V c., del D.Lgs. n. 267 del 2000, prevede che la gestione dei servizi pubblici locali avvenga secondo una delle alternative modalità ivi contemplate, tra cui quella che si sostanzia nel conferire il servizio a società a capitale interamente pubblico, e che il ricorso all'affidamento diretto è sempre consentito, alla sola condizione che sussistano i requisiti indicati nella lett. c) di detto quinto comma, può convenirsi che non sia necessaria un'apposita ed approfondita motivazione di tale scelta, ma solo dopo che sia stata dimostrata non solo la sussistenza dei presupposti richiesti per l'autoproduzione, ma anche la convenienza rispetto all'affidamento della gestione del servizio a soggetti terzi, perché, in difetto, la scelta sarebbe del tutto immotivata e contraria al principio di buona amministrazione cui deve conformarsi l'operato della P.A..
Il principio che la scelta della forma di gestione per ciascun servizio deve essere effettuata previa valutazione comparativa tra le diverse forme di gestione previste dalle disposizioni in materia è applicabile non solo, nel caso di specie, nel Comune di Ceriale perché previsto dallo statuto, ma in generale ed ovunque ogni qualvolta debba essere effettuata la scelta tra il ricorso alle due forme di gestione di cui trattasi, anche se non espressamente previsto dall'art. 113 del D.Lgs. n. 267 del 2000, in ossequio al principio di buon andamento costituzionalmente previsto (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 08.02.2011 n. 854 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI SERVIZI: Nessuna norma obbliga gli enti locali a preferire la modalità dell’affidamento all’esterno rispetto a quella della gestione diretta, sempre che il servizio pubblico sia privo di rilevanza economica.
L’articolo 113-bis del testo unico degli enti locali, approvato con decreto legislativo 18.08.2000, n. 267, stabilisce che –con riguardo ai servizi pubblici locali privi di rilevanza economica– oltre all’affidamento diretto a istituzioni, aziende speciali e società a capitale interamente pubblico (comma 1, lett. a, b, e c), “è consentita la gestione in economia quando, per le modeste dimensioni o per le caratteristiche del servizio, non sia opportuno procedere ad affidamento ai soggetti di cui al comma 1” (comma 2).
Come ha sottolineato il Consiglio di Stato (cfr. da ultimo, proprio con riferimento ad un servizio di illuminazione votiva, sez. V, 26.01.2011, n. 552), nessuna norma obbliga gli enti locali a preferire la modalità dell’affidamento all’esterno rispetto a quella della gestione diretta, sempre che il servizio pubblico sia privo di rilevanza economica (sez. V, 04.05.2004, n. 2726) (TAR Lazio-Roma, Sez. II-ter, sentenza  04.02.2011 n. 1077 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

COMPETENZE GESTIONALI - EDILIZIA PRIVATA: Il rigetto di una richiesta di concessione edilizia in sanatoria o di condono non rientra nella competenza del Sindaco.
Ai sensi dell’art. 51, co. 3, della legge 08.06.1990, n. 142, rubricato “Organizzazione degli uffici e del personale.”, “3. Spettano ai dirigenti tutti i compiti, compresa l'adozione di atti che impegnano l'amministrazione verso l'esterno, che la legge e lo statuto espressamente non riservino gli organi di governo dell'ente. Spettano ad essi in particolare, secondo le modalità stabilite dallo statuto, la presidenza delle commissioni di gara e di concorso, la responsabilità sulle procedure d'appalto e di concorso, la stipulazione dei contratti.”.
E, pertanto, in materia edilizia, deve ritenersi implicitamente abrogata ogni previsione della L. n. 47/1985 relativa alla competenza del sindaco in materia, dal momento che tutti i provvedimenti di gestione amministrativa in materia edilizia ed urbanistica, compreso quindi il rigetto di una richiesta di concessione edilizia in sanatoria o di condono, rientrano, già a decorrere dalla data di entrata in vigore della l. 08.06.1990 n. 142, nella sfera di competenza del dirigente, mentre esulano dalla sfera di attribuzioni politiche proprie del sindaco, trattandosi di tipico potere gestionale
(TAR Lazio-Roma, Sez. II-ter, sentenza 04.02.2011 n. 1076 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Emanato il diniego di sanatoria, il Comune può legittimamente procedere alla trascrizione nei pubblici registri immobiliari ed all'immissione in possesso (del manufatto abusivo) soltanto per effetto dell’accertamento dell’inottemperanza, nei termini di legge, alla nuova ordinanza di demolizione adottata a seguito del detto diniego
Per un principio giurisprudenziale consolidato, “Il riesame dell'abusività dell'opera edilizia, provocato dall'istanza di sanatoria dell'autore dell'abuso, determina la necessaria formazione di un nuovo provvedimento che vale comunque a rendere inefficace il provvedimento sanzionatorio in precedenza emanato con la conseguenza che, in caso di rigetto dell'istanza, l'Amministrazione deve emanare un nuovo provvedimento sanzionatorio, disponendo nuovamente la demolizione dell'opera edilizia ritenuta abusiva, con l'assegnazione di un nuovo termine per adempiere” (Consiglio di Stato, sez. IV, 03.12.2010, n. 8502).
Conseguentemente, emanato il diniego di sanatoria, il Comune può legittimamente procedere alla trascrizione nei pubblici registri immobiliari ed all'immissione in possesso soltanto per effetto dell’accertamento dell’inottemperanza, nei termini di legge, alla nuova ordinanza di demolizione adottata a seguito del detto diniego
(TAR Lazio-Roma, Sez. II-ter, sentenza 04.02.2011 n. 1076 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La realizzazione di una struttura in prefabbricato, integra una nuova costruzione e, in quanto tale, richiede, quale titolo edilizio abilitativo, il permesso di costruire, nella specie mancante, atteso che la precarietà dell'opera, che esonera dall'obbligo del possesso del permesso di costruire, postula un uso specifico e temporalmente limitato del bene.
Deve rilevarsi come le caratteristiche del manufatto in questione -costituito da un prefabbricato in legno e vetro, poggiante su di una trave in legno e sollevato dal terreno- ne rendessero necessario, ai fini della sua collocazione sul terreno di cui trattasi, il previo rilascio del relativo titolo concessorio.
Ed infatti, per giurisprudenza consolidata sul punto, la realizzazione di una struttura in prefabbricato, integra una nuova costruzione e, in quanto tale, richiede, quale titolo edilizio abilitativo, il permesso di costruire, nella specie mancante (TAR Lazio, Roma, sez. I, 16.07.2009, n. 7033), atteso che la precarietà dell'opera, che esonera dall'obbligo del possesso del permesso di costruire, postula un uso specifico e temporalmente limitato del bene
(TAR Lazio-Roma, Sez. II-ter, sentenza 04.02.2011 n. 1076 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICACostituiscono lottizzazione abusiva i casi di alienazione e frazionamento di lotti in cui traspaiano elementi di per sé rivelatori della utilizzabilità del terreno solo per finalità edificatorie.
Nella pronuncia in rassegna i ricorrenti, divenuti proprietari di undici appezzamenti di terreno, provenienti dalla divisione del fondo di un terreno sito nel territorio del Comune di Roma, hanno impugnato il provvedimento con il quale lo stesso Ente ha loro ingiunto la sospensione della lottizzazione abusiva ed ha ordinato l’interruzione delle opere abusive eventualmente in corso, vietando contestualmente di disporre con atto tra vivi delle rispettive proprietà private.
Il ricorso è infondato secondo i giudici del Tribunale amministrativo di Roma che spiegano: l’art. 18 della L. 28.02.1985, n. 47, rubricato “Lottizzazione”, dispone testualmente che: “Si ha lottizzazione abusiva di terreni a scopo edificatorio quando vengono iniziate opere che comportino trasformazione urbanistica od edilizia dei terreni stessi in violazione delle prescrizioni degli strumenti urbanistici, vigenti o adottati, o comunque stabilite dalle leggi statali o regionali o senza la prescritta autorizzazione; nonché quando tale trasformazione venga predisposta attraverso il frazionamento e la vendita, o atti equivalenti, del terreno in lotti che, per le loro caratteristiche quali la dimensione in relazione alla natura del terreno e alla sua destinazione secondo gli strumenti urbanistici, il numero, l'ubicazione o la eventuale previsione di opere di urbanizzazione ed in rapporto ad elementi riferiti agli acquirenti, denuncino in modo non equivoco la destinazione a scopo edificatorio. Nel caso in cui il sindaco accerti l'effettuazione di lottizzazione di terreni a scopo edificatorio senza la prescritta autorizzazione, con ordinanza da notificare ai proprietari delle aree ed agli altri soggetti indicati nel primo comma dell'articolo 6, ne dispone la sospensione.
Il provvedimento comporta l'immediata interruzione delle opere in corso ed il divieto di disporre dei suoli e delle opere stesse con atti tra vivi, e deve essere trascritto a tal fine nei registri immobiliari. Trascorsi novanta giorni, ove non intervenga la revoca del provvedimento di cui al comma precedente, le aree lottizzate sono acquisite di diritto al patrimonio disponibile del comune il cui sindaco deve provvedere alla demolizione delle opere. In caso di inerzia del sindaco si applicano le disposizioni concernenti i poteri sostitutivi di cui all'articolo 7.
L'art. 18 della L. n. 47 del 1985 disciplina, pertanto, due diverse ipotesi di lottizzazione abusiva, la prima, c.d. materiale, relativa all'inizio della realizzazione di opere che comportano la trasformazione urbanistica ed edilizia dei terreni, sia in violazione delle prescrizioni degli strumenti urbanistici, approvati o adottati, ovvero di quelle stabilite direttamente in leggi statali o regionali, sia in assenza della prescritta autorizzazione; la seconda, c.d. formale (o cartolare), che si verifica allorquando, pur non essendo ancora avvenuta una trasformazione lottizzatoria di carattere materiale, se ne sono già realizzati i presupposti con il frazionamento e la vendita, o altri atti equiparati, del terreno in lotti (che per le specifiche caratteristiche, quali la dimensione dei lotti stessi, la natura del terreno, la destinazione urbanistica, l'ubicazione e la previsione di opere urbanistiche, e per altri elementi riferiti agli acquirenti, evidenzino in modo non equivoco la destinazione ad uso edificatorio), creando così una variazione in senso accrescitivo sia del numero dei lotti che in quello dei soggetti titolari del diritto sul bene; il bene giuridico protetto dalla predetta norma, quindi, è non solo l'ordinata pianificazione urbanistica, ma anche (e soprattutto) l'effettivo controllo del territorio da parte del soggetto titolare della stessa funzione di pianificazione (cioè dal Comune), cui spetta di vigilare sul rispetto delle vigenti prescrizioni urbanistiche, con conseguente legittima repressione di qualsiasi intervento di tipo lottizzatorio, non previamente assentito (nel caso di specie, si è in presenza di una lottizzazione cartolare abusiva) (TAR Lazio Roma, sez. II, 05.03.2009, n. 2306).
Pertanto, secondo la normativa di riferimento, la lottizzazione cartolare, per essere ricompresa nella lottizzazione abusiva, deve consistere in un illecito frazionamento di lotti, che risulti preordinato in modo non equivoco a fini di edificazione, sia pure sulla base di una serie di indizi (dimensioni dei lotti compravenduti, attività svolta dagli acquirenti, prossimità dei lotti a località residenziali o turistiche); peraltro in materia -seppure è necessario che l'accertamento del presupposto di cui all'art. 18 della L. n. 47 del 1985 comporti una ricostruzione di un quadro indiziario sulla scorta degli elementi indicati nella norma, dalla quale sia possibile desumere in maniera non equivoca la destinazione a scopo edificatorio degli atti posti in essere dalle parti- è sufficiente che lo scopo edificatorio emerga anche da un solo indizio (TAR Campania Salerno, sez. II, 16.04.2010, n. 3932).
Non è necessario, pertanto, che gli elementi indicati nel richiamato art. 18 siano tutti presenti in concorso tra di loro, essendo sufficiente che lo scopo edificatorio emerga in modo non equivoco da uno o più indizi, anche diversi da quelli che si rinvengono nell’elencazione non tassativa del medesimo art. 18 (Consiglio di Stato, sez. V, 02.12.2008, n. 5930).
Costituiscono, quindi, lottizzazione abusiva i casi di alienazione e frazionamento di lotti in cui traspaiano elementi di per sé rivelatori della utilizzabilità del terreno (per le oggettive modalità di frazionamento e per la non contestata contiguità ad assi viari di collegamento e ad insediamenti abitativi preesistenti) solo per finalità edificatorie.
In tal caso l'abuso risulta dalla semplice esistenza di una lottizzazione inequivocabilmente edificatoria, abusiva sia poiché non prevista dalla vigente pianificazione territoriale urbanistica, sia poiché non autorizzata dal Comune, non richiedendosi, quindi, alcuna ulteriore attività accertativa da parte del Comune circa la sussistenza (peraltro assai difficilmente dimostrabile) di un intento soggettivo edificatorio.

Ed infatti la lottizzazione c.d. cartolare prescinde dalla prova di qualsiasi intento di lottizzare abusivamente e rileva, invece, obiettivamente per il solo fatto del frazionamento e della vendita in lotti di un'area, purché questi lotti per le loro dimensioni, per la natura del terreno, per il numero, per la eventuale previsione di opere di urbanizzazione e in rapporto ad altri elementi riferiti agli acquirenti evidenzino, in modo non equivoco, la destinazione a scopo edificatorio degli stessi (Consiglio di Stato, sez. IV, 11.10.2006, n. 6060)" (commento tratto da www.documentazione.ancitel.it - TAR Lazio-Roma, Sez. II-ter, sentenza 04.02.2011 n. 1075 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAÈ legittimo l'ordine di sgombero di un esercizio commerciale disposto dal Sindaco per mancanza della licenza di agibilità.
Con il ricorso in commento una società ha impugnato l’ordinanza del Sindaco di un Comune laziale, con la quale è stata disposta la chiusura dell’esercizio commerciale di ristorante, ubicato al primo piano di un complesso alberghiero, in quanto esercitato in locale da ritenersi abusivo e, pertanto, sprovvisto del certificato di abitabilità di cui all’art. 221 del R.D. n. 1265 del 1934.
Secondo i giudici del Tribunale amministrativo di Roma ciò che rileva, ai fini dell’infondatezza del ricorso, è la circostanza che l’ordinanza impugnata sia stata adottata da parte del Comune ai sensi del combinato disposto degli artt. 221 e 222 del T.U.L.S..
Il richiamato articolo 221 dispone che: “Gli edifici o parti di essi indicati nell'articolo precedente non possono essere abitati senza autorizzazione del podestà, il quale la concede quando, previa ispezione dell'ufficiale sanitario o di un ingegnere a ciò delegato, risulti che la costruzione sia stata eseguita in conformità del progetto approvato, che i muri siano convenientemente prosciugati e che non sussistano altre cause di insalubrità. …”.
Il successivo art. 222, dispone a sua volta che: “Il podestà, sentito l'ufficiale sanitario o su richiesta del medico provinciale, può dichiarare inabitabile una casa o parte di essa per ragioni igieniche e ordinarne lo sgombero.“.
Va subito rilevato, spiegano i giudici capitolini, che l'autorizzazione (o licenza) di agibilità -introdotta dal richiamato articolo 221 in un'epoca in cui le prescrizioni urbanistiche erano pressoché inesistenti- riguarda solo la salubrità "degli ambienti", e quindi l'edificio in se stesso considerato, ossia il solo manufatto edilizio.
Va rilevato ancora che il rilascio del cosiddetto certificato di agibilità sanitaria è prescritto da tale disposizione con riguardo non soltanto agli immobili ad uso strettamente abitativo, ma anche a quelli adibiti (o da adibire) a scopi diversi, purché l'attività che vi si dovrà svolgere preveda comunque un uso che comporti la frequentazione da parte delle persone: la frase "gli edifici o parti di essi non possono essere abitati senza autorizzazione” va infatti interpretata in senso estensivo, attese le finalità che la legge chiaramente si prefigge, che sono quelle di evitare danni alle persone che si trovino ad intrattenersi in locali che, qualora non sottoposti ad adeguato controllo da parte dell'autorità sanitaria, potrebbero non avere determinate caratteristiche di igienicità, salubrità, sufficiente areazione ecc. (Cassazione penale, sez. I, 05.04.1996, n. 5588).
L'indagine che il sindaco è chiamato a svolgere per il rilascio dell'autorizzazione di cui all'art. 221 è, pertanto, finalizzata al solo accertamento della conformità della costruzione al progetto approvato e della mancanza di cause di insalubrità limitate alla costruzione edilizia in sé considerata.
Va poi aggiunto che, secondo l’orientamento della giurisprudenza, l'atto propulsivo per il rilascio della licenza di abitabilità di un immobile deve muovere dal titolare della relativa concessione edilizia e la data della conseguita abitabilità è sempre quella di rilascio del relativo provvedimento autorizzatorio ex art. 221 T.U.L.S. (Consiglio di Stato, sez. IV, 04.08.1986, n. 538).
Tale disposizione, pertanto, legittima il divieto di prosecuzione dell'attività in locali privi di abitabilità (cfr. TAR Sardegna, Cagliari, 06.02.2002, n. 115); e legittimamente l'amministrazione –ai sensi dell’articolo medesimo- dispone l'ordine di sgombero di un'immobile in caso di mancanza della licenza di agibilità, che costituisce appunto presupposto indispensabile perché un locale possa essere frequentato, a prescindere dalla effettiva salubrità, igienicità ed incolumità del locale stesso (commento tratto da www.documentazione.ancitel.it - TAR Lazio-Roma, Sez. II-ter, sentenza 04.02.2011 n. 1074 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Il provvedimento di demolizione dell'abuso non è illegittimo quando sia indirizzato al proprietario del suolo.
Per giurisprudenza consolidata, l'ordine di demolizione può essere emesso nei confronti sia dell'autore dell'abuso edilizio, sia del proprietario dell'immobile (TAR Lazio, Roma, sez. II, 08.04.2010, n. 5889); in particolare l'ordine di demolizione del manufatto abusivo è legittimamente adottato nei confronti del proprietario dell'immobile indipendentemente dall'essere egli stato anche autore dell'abuso, salva la facoltà del medesimo di far valere, sul piano civile, la responsabilità, contrattuale o extracontrattuale, del proprio dante causa.
Il provvedimento che ingiunge la demolizione dell'abuso, pertanto, non è illegittimo per il solo fatto che l'ordine venga indirizzato al proprietario (anche se estraneo alla commissione dell'illecito edilizio) del suolo su cui ricade la costruzione, atteso che a quest'ultimo deve riconoscersi comunque l'interesse a contestare anche il carattere abusivo della stessa realizzazione, perché non può escludersi che la rimozione del manufatto possa arrecare anche un danno all'area di sua proprietà.
Tuttavia, nel caso in cui il proprietario dimostri la sua assoluta estraneità all'abuso edilizio commesso da altri, e sia manifesto il suo attivo interessamento, con i mezzi consentitigli dall'ordinamento, per la rimozione dell'opera abusiva, resta in ogni caso salva la sua tutela dagli effetti (acquisizione gratuita del bene o demolizione d'ufficio) dell'inottemperanza all'ordine di demolizione che lo stesso sia impossibilitato ad eseguire, effetti che in nessun caso possono ricadere su di lui (TAR Umbria, Perugia, sez. I, 25.11.2008, n. 787 e TAR Sardegna Cagliari, 06.08.2003, n. 987) (TAR Lazio-Roma, Sez. II-ter, sentenza 04.02.2011 n. 1072 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: INQUINAMENTO - Bonifica di siti contaminati - Siti di interesse nazionale - Competenze del Ministro e competenze dirigenziali - Art. 252 d.lgs. n. 152/2006.
L’art. 252 del d.lgs. n. 152/2006, distinguendo tra atti ed attività di competenza del Ministro dell’Ambiente ed atti e attività facenti capo al Ministero, fa rientrare tra i primi l’individuazione, ai fini della bonifica, dei siti di interesse nazionale (trattandosi di atto attinente all’indirizzo politico-amministrativo in materia di bonifica), mentre il decreto di recepimento della Conferenza di Servizi costituisce un mero atto di gestione, di competenza dirigenziale (TAR Toscana, sez. II, 19.05.2010, n. 1525).
INQUINAMENTO - Bonifica di siti contaminati - Siti di interesse nazionale - Procedura - Ministero delle attività produttive - Art. 252 d.lgs. n. 152/2006 - Concerto - Necessità - Esclusione.
In tema di procedura di bonifica dei siti di interesse nazionale, l’art. 252, comma 4, del d.lgs. n. 152/2006 si limita ad affermare che il Ministero delle attività produttive deve essere “sentito”, con ciò escludendosi il ben più penetrante potere connesso all’esercizio del “concerto” che presuppone una manifestazione di volontà equiordinata a quello dell’organo procedente.
INQUINAMENTO - Obbligo di bonifica o messa in sicurezza - Destinatario - Responsabile dell’inquinamento - Artt. 240 e ss. d.lgs. n. 152/2006 - Principio “chi inquina paga”.
Tanto la disciplina di cui al d.lgs. n. 22/1997 (in particolare, l’art. 17, comma 2), quanto quella introdotta dal d.lgs. n. 152/2006 (ed in particolare, gli artt. 240 e segg.), si ispirano al principio secondo cui l’obbligo di adottare le misure, sia urgenti che definitive, idonee a fronteggiare la situazione di inquinamento, è a carico unicamente di colui che di tale situazione sia responsabile, per avervi dato causa a titolo di dolo o colpa: l’obbligo di bonifica o di messa in sicurezza non può essere invece addossato al proprietario incolpevole, ove manchi ogni sua responsabilità (cfr., nello stesso senso, TAR Sicilia, Catania, Sez. I, 26.07.2007, n. 1254).
L’Amministrazione non può, cioè, imporre ai soggetti che non abbiano alcuna responsabilità diretta sull’origine del fenomeno contestato, ma che vengano individuati solo quali proprietari del bene, lo svolgimento delle attività di recupero e di risanamento (così, nel vigore della precedente disciplina, TAR Veneto, Sez. II, 02.02.2002, n. 320).
L’enunciato è, peraltro, conforme al principio “chi inquina, paga”, cui si ispira la normativa comunitaria (cfr. art. 174, ex art. 130/R, del Trattato CE), la quale impone al soggetto che fa correre un rischio di inquinamento di sostenere i costi della prevenzione o della riparazione.
INQUINAMENTO - Mancata esecuzione degli interventi ambientali da parte del responsabile dell’inquinamento - Esecuzione da parte della P.A. - Artt. 244, 250 e 253 d.lgs. n. 152/2006.
A chiusura del sistema, il Codice dell’ambiente (artt. 244, 250 e 253) prevede che, nell’ipotesi di mancata esecuzione degli interventi ambientali da parte del responsabile dell’inquinamento, ovvero di impossibile individuazione dello stesso -e sempreché non provvedano né il proprietario del sito, né altri soggetti interessati- le opere di recupero ambientale sono eseguite dalla P.A. competente, che potrà rivalersi sul soggetto responsabile nei limiti del valore dell’area bonificata, anche esercitando, ove la rivalsa non vada a buon fine, le garanzie gravanti sul terreno oggetto dei medesimi interventi (TAR Lombardia, Milano, Sez. II, 10.07.2007, n. 5355; TAR Toscana, Sez. II, 17.09.2009, n. 1448).
INQUINAMENTO - Bonifica - Sistemi di contenimento - Barriera fisica - Analisi comparativa tra le diverse alternative - Necessità.
In tema di barriera fisica, la P.A. è tenuta a valutare ed accertare non solo l’inefficacia di misure meno invasive, ma anche l’effettiva necessità, efficacia e realizzabilità di tale sistema di contenimento (TAR Puglia, Lecce. Sez. I, 11.06.2007, n. 2247; TAR Toscana, Sez. II, 14.10.2009, n. 1540; id., 18.12.2009, n. 3973).
Pertanto, l’opzione per detto sistema, ovvero per un utilizzo combinato delle differenti tipologie di intervento, può legittimamente avere luogo soltanto all’esito di un’analisi comparativa tra le diverse alternative, in ragione delle specifiche caratteristiche dell’area (TAR Lecce, Sez. I, n. 2247/2007, cit.) (TAR Toscana, Sez. II, sentenza 04.02.2011 n. 225 - link a www.ambientediritto.it).

URBANISTICA: Pianificazione - Misure di salvaguardia - Finalità.
In materia di pianificazione urbanistica, la normativa relativa alle misure di salvaguardia non determina l'anticipata vigenza degli strumenti urbanistici adottati in sede comunale, ma ha lo scopo di inibire il rilascio di concessioni edilizie in contrasto con il nuovo strumento urbanistico in itinere, al fine di evitare che, nelle more della sua approvazione, possa essere compromesso l'assetto territoriale che si intende realizzare con la conseguenza che, fino a quando esso non viene approvato, l'attività edificatoria rimane regolata dallo strumento urbanistico vigente (TAR Campania Napoli, sez. IV, 13.11.2006, n. 9463) (TAR Toscana, Sez. II, sentenza 04.02.2011 n. 224 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTI: Sulla legittimità della revoca di una procedura negoziata a causa del ritiro della copertura finanziaria da parte dell'ente comunale, senza previa comunicazione dell'avvio del procedimento.
Nel caso di revoca d'ufficio di un atto endoprocedimentale inserito in una gara d'appalto non è richiesta alcuna comunicazione di avvio del procedimento, dovendosi ritenere la stazione appaltante obbligata al rispetto delle garanzie partecipative solo quando l'esercizio del potere di autotutela abbia ad oggetto l'aggiudicazione definitiva, in ragione della posizione di vantaggio, che solo quest'ultima costituisce in capo all'impresa aggiudicataria.
Gli atti endoprocedimentali, avendo effetti instabili ed interinali, non sono, infatti, idonei a generare nei partecipanti una posizione consolidata di vantaggio, con la conseguenza che sull'Amministrazione, la quale intende esercitare il potere di autotutela, incombe un onere di motivazione fortemente attenuato circa le ragioni di interesse pubblico, che lo hanno determinato, essendo sufficiente che sia reso palese il ragionamento seguito per giungere alla determinazione negativa attraverso l'indicazione degli elementi concreti ed obiettivi, in base ai quali si ritiene di non dare corso ulteriore al procedimento.
Nel caso di specie, il ritiro da parte del comune della copertura finanziaria, necessaria per coprire le spese conseguenti all'affidamento del servizio, prima della celebrazione della gara e, dunque, in una fase, nella quale non era stato adottato alcun provvedimento di aggiudicazione neppure provvisorio, va qualificato come atto endoprocedimentale, con il quale l'amministrazione non ha annullato in autotutela una aggiudicazione, ma ha "interrotto" la procedura di gara, con conseguente esclusione dell'obbligo di comunicazione dell'avvio del relativo procedimento.
Ne deriva, altresì, che non vi era necessità di una motivazione "rafforzata", che si soffermasse sui profili di illegittimità dell'atto e sulle ragioni di interesse pubblico sottostanti al ritiro, dovendosi, il provvedimento impugnato ritenere adeguatamente giustificato dal riferimento al venir meno della copertura finanziaria dell'appalto, esistente al momento della indizione della gara.
Peraltro, la mancanza della copertura finanziaria rende doveroso il ritiro degli atti di indizione della gara, che rappresenta l'unico strumento utilizzabile dall'amministrazione per evitare l'affidamento di un appalto e la successiva stipulazione del contratto in assenza della necessaria copertura finanziaria (TAR Sicilia-Palermo, Sez. I, sentenza 04.02.2011 n. 210 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

ATTI AMMINISTRATIVILa legittimazione all'accesso richiede unicamente che la conoscenza del documento sia funzionale alla tutela di un interesse giuridico protetto dall'ordinamento.
L'accesso ai documenti amministrativi, attese le sue rilevanti finalità di pubblico interesse, costituisce principio generale dell'attività amministrativa e può subire limitazioni soltanto nei casi espressamente previsti dalla legge (art. 22, commi 2 e 3, L. 241/1990 e s.m.i.).
Peraltro, per l'esercizio del diritto di accesso è necessario (e sufficiente) che il privato abbia un interesse diretto, concreto e attuale corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l'accesso (art. 22, comma 1, lettera b), L. 241/1990 e s.m.i.); quanto al contenuto della relativa istanza, è sufficiente che essa indichi i presupposti di fatto e renda percepibile l'interesse giuridico concreto e attuale corrispondente alla situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento richiesto (cfr., da ultimo, TAR Basilicata Potenza, sez. I, 29.07.2010, n. 581).
La legittimazione all'accesso, in particolare, no n è subordinata alla presumibile fondatezza della pretesa sostanziale a tutela della quale esso è preordinato, ma richiede unicamente che la conoscenza del documento sia funzionale alla tutela di un interesse giuridico protetto dall'ordinamento, e dunque differenziato rispetto all'interesse generico di ogni cittadino a conoscere l'attività dei pubblici poteri.
Nel caso di specie la società ricorrente, proprietaria di un lotto sul quale non ha potuto edificare per le indicate ragioni attinenti la mancanza di un impianto fognario esteso all’intera lottizzazione, ha chiesto di conoscere gli atti concernenti l’autorizzazione edilizia rilasciata alla controinteressata, proprietaria di un lotto inserito nel medesimo piano di lottizzazione, al fine di eventualmente esercitare azioni a tutela dei suoi diritti.
Ciò posto, il Tribunale amministrativo di Cagliari sottolinea che non compete allo stesso valutare la fondatezza della pretesa sostanziale dedotta dalla ricorrente (peraltro non affetta da abnormità: cfr., da ultimo, TAR Veneto, sez. II, 19.04.2010, n. 1411, pur a fronte di un più consistente orientamento contrario), rilevando soltanto verificare se essa abbia un interesse diretto concreto e attuale alla conoscenza dei documenti citati onde poter tutelare un interesse giuridico protetto dall'ordinamento, e quindi differenziato da quello della generalità dei consociati, nonché collegato ai documenti medesimi (commento tratto da www.documentazione.ancitel.it - TAR Sardegna, Sez. II, sentenza 02.02.2011 n. 96 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZI: Sulla sussistenza della giurisdizione del g.o. per la controversia inerente il mancato assolvimento di obbligazioni negoziali tra le parti di un rapporto concessorio avente ad oggetto la gestione di una piscina comunale.
Gli impianti sportivi comunali per il nuoto rientrano tra i beni del patrimonio indisponibile degli enti locali e, in particolare, giacché finalizzati a soddisfare l'interesse della collettività alle discipline sportive, sono ascrivibili ai beni destinati ad un pubblico servizio, onde gli stessi possono essere trasferiti nella disponibilità dei privati solo mediante concessione amministrativa, quale è quella in cui il privato gestisce l'impianto natatorio percependo il corrispettivo direttamente dagli utenti e corrispondendo un canone di concessione all'Amministrazione comunale, secondo lo schema tipico della concessione di servizio pubblico.
A seguito dell'intervento della Corte costituzionale (sent. n. 204/2004), l'ambito dei pubblici servizi è oggetto di giurisdizione del giudice amministrativo solo se in esso l'Amministrazione agisce esercitando il suo potere di supremazia in connessione funzionale con la tutela dell'interesse pubblico affidato alle sue cure, non quando la lite, vertendo sulla mera inadempienza di singole prestazioni negoziali, riguarda unicamente il rapporto convenzionale delle parti e le reciproche posizioni di diritto e di obbligo -anche in vista dell'accertamento della responsabilità per danni del debitore inadempiente (sia questo il soggetto pubblico o il soggetto privato)-, con la conseguenza che restano assoggettate alla giurisdizione del giudice ordinario le controversie, relative a situazioni di diritto soggettivo, in cui l'Amministrazione non sia coinvolta come autorità, ancorché le stesse scaturiscano da rapporti di tipo.
Poiché, nel caso di specie, le domande giudiziali delle parti sono nella circostanza fondate sul mancato assolvimento di precise obbligazioni negoziali -l'una adducendo il mancato pagamento del canone di concessione e delle spese relative a varie utenze da parte della ditta che aveva assunto le gestione del bene e relative strutture e l'altra pretendendo dall'ente concedente il risarcimento del danno conseguente all'inadempienza dell'obbligo di cura della manutenzione straordinaria dell'impianto natatorio, e poiché le pronunce di incostituzionalità producono i loro effetti anche sui giudizi pendenti, entrambe le domande giudiziali si rivelano inammissibili per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, in quanto relative a posizioni di diritto soggettivo devolute alla cognizione del giudice ordinario (TAR Emilia Romagna-Parma, Sez. I, sentenza 31.01.2011 n. 30 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

GIURISPRUDENZA

URBANISTICA: Lo strumento urbanistico è scindibile anche nel momento della sua formazione.
Il primo giudice ha ritenuto non sussistente in capo alla società istante l’interesse a far valere il vizio derivante dalla mancata astensione di alcuni Consiglieri Comunali, asseritamente in posizione di conflitto di interessi in quanto proprietari di suoli ricadenti nel territorio interessato dal P.U.C. oggetto di deliberazione, muovendo dal presupposto che tale vizio –se anche esistente- non fosse tale da rendere illegittimo in toto lo strumento urbanistico, ma ne inficiasse soltanto le determinazioni relative ai suoli interessati dal predetto conflitto d’interessi; con la conseguenza che legittimato a far valere tale profilo di illegittimità è unicamente chi dimostri di essere titolare di un interesse qualificato a una specifica utilità, in ragione di situazioni di collegamento con le aree interessate dal vizio (ed è incontestato che l’odierna appellante non fosse titolare di un siffatto interesse).
Tale opinione, in effetti, corrisponde all’indirizzo giurisprudenziale più recente (cfr., ad esempio, Cons. Stato, sez. V, 12.06.2009, nr. 3744), che la Sezione reputa di dover seguire perché maggiormente coerente col principio di conservazione degli atti giuridici; esso, peraltro, risulta confermato anche dall’ulteriore arresto che considera scindibile lo strumento urbanistico anche nel momento stesso della sua formazione, nel senso dell’ammissibilità di una sua approvazione frazionata o “per stralci”, proprio al fine di evitare incompatibilità e conflitti di interessi (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 22.06.2004, nr. 4429).
Né può avere alcuna rilevanza, al riguardo, la circostanza evidenziata da parte appellante per cui, qualora i Consiglieri in posizione di incompatibilità si fossero astenuti, ciò avrebbe comportato il mancato raggiungimento del quorum statutariamentenecessario per deliberare sul Piano: infatti, tale vizio in ogni caso, per quanto sopra evidenziato, investirebbe a sua volta le sole parti del P.U.C. colpite dal conflitto de quo, con la conseguente insussistenza di ogni interesse a farlo valere da parte della società istante (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 28.01.2011 n. 694 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Nel caso di impugnazione di un permesso di costruire rilasciato a terzi, la effettiva e piena conoscenza del provvedimento da parte del ricorrente si verifica con la ultimazione dei lavori edilizi.
La giurisprudenza è pacifica nel ritenere che nel caso di impugnazione di un permesso di costruire rilasciato a terzi, la effettiva e piena conoscenza del provvedimento da parte del ricorrente si verifica, di regola con la ultimazione dei lavori edilizi o, quantomeno, con il raggiungimento di uno stato di avanzamento tale che non si possa avere più alcun dubbio in ordine alla consistenza ed alla reale portata dell'intervento edilizio assentito (ex plurimis TAR Sardegna Cagliari, Sez. II, 24/10/2008, n. 1827; TAR Puglia Lecce, Sez. III, 12/06/2009, n. 1480; TAR Campania Napoli, Sez. IV, 03/09/2008, n. 10036; Cons. Stato, sez. VI, 12.02.2007, n. 540; Cons. Stato, sez. V, 03.03.2004, n. 1023) (TAR Sardegna, Sez. II, sentenza 28.01.2011 n. 87 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZI: Sull'affidamento ad un comune tramite una società in house delle attività di gestione degli ormeggi e delle attrezzature portuali.
Appare corretta, alla luce dell'ampia definizione espressa dall'art. 112 del d.lgs. n. 167/2000, la qualificazione delle attività di gestione degli ormeggi e delle attrezzature portuali oggetto della concessione come servizi pubblici locali, rispetto al cui esercizio l'utilizzo del demanio marittimo si pone come presupposto necessario.
Pertanto, in ordine alla scelta del concessionario di cui all'art. 37 del codice della navigazione, occorre adottare un'interpretazione comunitariamente orientata, in linea con l'art. 23-bis del d.l. n. 112/2008, convertito nella l. n. 133/2008, il quale da un lato sancisce il necessario rispetto, ai fini del conferimento della gestione dei servizi pubblici locali, dei principi posti a salvaguardia della libera concorrenza, tra i quali, in particolare, il principio generale di trasparenza e adeguata pubblicità nella procedura di scelta del contraente, dall'altro lato ammette l'affidamento diretto a società in house in situazione eccezionali, debitamente motivate e previo parere dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato (art. 23-bis, commi 2, 3 e 4).
Nel caso di specie, al contrario, la pubblicità dell'avvio del procedimento selettivo, riguardante servizi di rilevanza economica ex art. 23-bis del d.l. n. 112/2008, si è limitata all'albo pretorio, e quindi non è risultata coerente con i principi di evidenza pubblica valorizzati da detta norma; né il comune ha dato contezza di particolari ragioni giustificatrici della gestione tramite società in house, ancorché l'individuazione del concessionario e il conseguente affidamento a quest'ultima siano avvenuti ad esito di procedura contrastante con i suddetti principi, o comunque non costituente procedura di evidenza pubblica nei sensi di cui all'art. 23-bis, c. 1, del d.l. n.112/2008, incorrendo pertanto, sotto questo profilo, nella violazione del c. 3 dell'art. 23-bis (TAR Toscana, Sez. III, sentenza 27.01.2011 n. 162 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

SICUREZZA LAVORO: Il capo cantiere è sempre responsabile della sicurezza del lavoro.
Il “capo cantiere”, anche in assenza di una formale delega in materia di sicurezza sul lavoro, è destinatario diretto dell’obbligo di verificare che le concrete modalità di esecuzione delle prestazioni lavorative all’interno del cantiere rispettino le norme antinfortunistiche.
Questo consolidato principio di diritto è stato confermato dalla Quarta Sezione penale della cassazione nella sentenza in rassegna.
La Cassazione ha anche precisato che, in via di principio generale, il capo cantiere è certamente persona adatta ad individuare la corretta applicazione delle norme antinfortunistiche, o quanto meno di quelle di comune prudenza, per la prevenzione di incidenti in cui possono essere coinvolti i dipendenti ovvero terze persone estranee ai lavori.
Né ha alcun rilievo che potessero esservi ulteriori garanti della sicurezza dei lavoratori,in quanto se più sono i titolari della posizione di garanzia ovvero dell’obbligo di impedire l’evento, ciascuno è per intero destinatario dell’obbligo di tutela impostogli dalla legge fin quando si esaurisce il rapporto che ha legittimato la costituzione della suddetta posizione di garanzia, per cui l’omessa applicazione di una cautela antinfortunistica è addebitabile ad ognuno dei titolari di tale posizione (Corte di Cassazione, sentenza 26.01.2011 n. 2578 - link a www.litis.it).

EDILIZIA PRIVATA: Necessità del permesso di costruire per la realizzazione di un capanno in legno che non sia destinato ad un utilizzo circoscritto nel tempo.
E’ necessario un permesso di costruire per la realizzazione di un capanno in legno di ridotte dimensioni (nella specie avente la superficie di 9 mq. e l’altezza di 2,5 mt.), a nulla rilevando il tipo di materiale impiegato per la sua costruzione e la dedotta circostanza che esso sarebbe agevolmente amovibile, atteso che ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett. e.5), del d.P.R. 06.06.2001, n. 380 (T.U. edilizia), per "interventi di nuova costruzione" si intendono "l’installazione di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere, (…) utilizzati come abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili"; l’unico elemento rilevante per far venir meno detta qualificazione è il carattere precario dell’opera, vale a dire il fatto che esso sia diretto "a soddisfare esigenze meramente temporanee", il che si rinviene soltanto quando l’utilizzo sia circoscritto nel tempo; circostanza questa che non ricorreva nella specie (alla stregua del principio nella specie è stata ritenuta legittima l’ordinanza di demolizione per il predetto capanno in legno, trattandosi appunto di opera che doveva essere assistita da permesso di costruire) (massima tratta da www.regione.piemonte.it - TAR Lazio-Roma, Sez. I-quater, sentenza 21.01.2011 n. 613 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: La tollerabilità delle immissioni va sempre valutata in relazione al caso concreto.
In materia di immissioni, mentre è senz’altro illecito il superamento dei limiti di accettabilità stabiliti dalla leggi e dai regolamenti che, disciplinando le attività produttive, fissano nell’interesse della collettività le modalità di rilevamento dei rumori e i limiti massimi di tollerabilità, l’eventuale rispetto degli stessi non può far considerare senz’altro lecite le immissioni, dovendo il giudizio sulla loro tollerabilità formularsi a stregua dei principi di cui all’art. 844 c.c.
Tale principio, nella sua prima parte, si basa sull’evidente considerazione che, se le emissioni acustiche superano, per la loro particolare intensità e capacità diffusiva, la soglia di accettabilità prevista dalla normativa speciale a tutela di interessi della collettività, così pregiudicando la quiete pubblica, a maggior ragione le stesse, ove si risolvano in immissioni nell’ambito della proprietà del vicino, ancor più esposto degli altri, in ragione della vicinanza, ai loro effetti dannosi, devono per ciò solo considerarsi intollerabili ai sensi dell’art. 844 c.c. e pertanto illecite anche sotto il profilo civilistico.
Nel conflitto tra le esigenze della produzione, pur contemplate dall’art. 844 c.c., ed il diritto alla salute, un’interpretazione costituzionalmente orientata della norma civilistica deve attribuire necessaria prevalenza al secondo, dovendo il limite della relativa tutela ritenersi intrinseco all’attività produttiva.
Per quanto attiene poi alla tollerabilità delle immissioni va evidenziato il carattere non assoluto del limite civilistico di tollerabilità delle immissioni al fine di stabilire se, in concreto, avuto riguardo alla particolare situazione dei luoghi {nella specie caratterizzata dalla destinazione a studio ed abitazione dei piani superiori dell’immobile dell’attore) le stesse siano compatibili con lo svolgimento delle ordinarie e quotidiane attività di vita professionale e domestica dell’attore e della sua famiglia (Corte di Cassazione, Sez. II civile, sentenza 17.01.2011 n. 993 - link a www.litis.it).

PUBBLICO IMPIEGO: Non è peculato, se la telefonata privata del dipendente è di breve durata.
Non integra il reato di peculato ex art. 314 c.p., la condotta del dipendente che utilizza la linea telefonica per fini privati, qualora il danno economico arrecato alla pubblica amministrazione sia di modesta entità.
E’ quanto stabilito nella sentenza 10.01.2011 n. 256 dalla VI Sezione Penale della Corte di Cassazione, chiamata a pronunciarsi sull’argomento.
In particolare, i Giudici di Piazza Cavour hanno ribaltato la pronuncia della Corte d’Appello di Catania, che in precedenza, aveva riconosciuto l’imputato colpevole del reato di peculato continuato. Il caso riguardava un sottoufficiale dell’Arma dei Carabinieri a cui era stato contestato l’utilizzo delle utenze telefoniche intestate all’Amministrazione per telefonate d’interesse personale.
Non ha condiviso tale decisione la Suprema Corte, che nella sentenza oggetto del presente esame, ha enunciato letteralmente: “il fatto lesivo si sostanzia propriamente nella "appropriazione", che attraverso tale uso si consegue, delle energie, formate da impulsi elettronici, entrate a far parte della sfera di disponibilità della pubblica amministrazione, occorrenti per le conversazioni telefoniche (Cass, Sez. VI, n. 26595 del 06.02.2009).
Occorre sottolineare che il delitto di peculato ha carattere plurioffensivo, ovvero è volto alla tutela dell'interesse e del patrimonio della pubblica amministrazione, e si può estrinsecare mediante l’appropriazione o mediante la distrazione di un bene economico rientrane nella sfera pubblica.
Tuttavia, affinché sussista l’elemento materiale di tale delitto, è necessario che i beni sottratti all’amministrazione posseggano un significativo rilievo economico. Altrimenti, qualora tali cose oggetto di appropriazione da parte del dipendente, siano di scarso valore, non saranno idonee a costituire elemento materiale del peculato
".
In effetti, nella fattispecie esaminata, i Giudici di Legittimità hanno osservato che i beni costituenti l’elemento oggettivo del peculato sono di entità così modesta da non provocare un vero e proprio danno al patrimonio della pubblica amministrazione, per cui il reato suddetto non sussiste.
La conclusione a cui perviene la Suprema Corte è che “l'elemento materiale è integrato allorché la condotta di abusiva appropriazione abbia avuto a oggetto cose di valore economico intrinseco apprezzabile e tali da arrecare un reale e altrettanto apprezzabile danno patrimoniale per la pubblica amministrazione (Cass., Sez. VI, n. 25273 del 09.05.2006)”.
Pertanto, con la sentenza n. 256/2011 la Suprema Corte si è uniformata ai più recenti orientamenti giurisprudenziali in tema di peculato (Corte di Cassazione, sentenza 25.11.2010, n. 41709) escludendo il configurasi di tale fattispecie criminosa a causa dell’inidoneità dei beni, di cui il dipendente si è impadronito, a rilevare come elemento materiale dell’appropriazione (link a www.altalex.com).

APPALTI: Esclusione da una gara per aver commesso un "errore grave" nell’esecuzione di un precedente appalto.
E’ legittima l’esclusione da una gara per forniture, disposta ai sensi dell’articolo 11, comma 1, lettera c) del d.lgs. 24.07.1992, n. 358, perché la ditta esclusa avrebbe commesso un "errore grave" nell’esecuzione di un precedente appalto, richiamando un procedimento penale per truffa aggravata in danno di enti pubblici, riferibile comunque alla ditta esclusa, trattandosi di condotte comunque riconducibili all’ipotesi preclusiva di cui all’art. 11, comma 1, lett. c) d.lgs. 358 del 1992.
Infatti, la circostanza che, al momento dell’esclusione, il procedimento penale era ancora in corso, la sua riferibilità ad appalti in tutto simili a quello indetto dalla stazione appaltante e l’idoneità di tale circostanza a compromettere la complessiva affidabilità professionale della ditta in questione sono state ragionevolmente valutate dall’Amministrazione, la quale ne ha fatto discendere con iter logico coerente e ragionevole una causa ostativa alla partecipazione alla gara d’appalto ai sensi della disposizione richiamata (massima tratta da www.regione.piemonte.it - Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 29.12.2010 n. 9542 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AGGIORNAMENTO AL 07.02.2011

ã

GURI - GUUE - BURL (e anteprima)

ENTI LOCALI: G.U. 01.02.2011 n. 25, suppl. ord. n. 26, "Competenze della Presidenza del Consiglio dei Ministri in materia di onorificenze pontificie e araldica pubblica e semplificazione del linguaggio normativo" (D.P.C.M. 28.01.2011).

DOTTRINA E CONTRIBUTI

EDILIZIA PRIVATA: W. Fumagalli, Il procedimento semplificato di autorizzazione paesaggistica (seconda parte) (AL n. 11-12/2010).

APPALTI: Valida l’aggiudicazione dell’appalto anche se il DURC prodotto è incompleto (link a www.mediagraphic.it).

ENTI LOCALI - VARI: M. Villani, La Tarsu non è applicabile per il 2010 e per il 2011  (link a www.altalex.com).

DIPARTIMENTO FUNZIONE PUBBLICA

PUBBLICO IMPIEGO: Oggetto: Art. 7, comma 6, del decreto legislativo 30.03.2001, 165. Incarichi individuali conferiti dalle pubbliche amministrazioni (parere UPPA 20.01.2011 n. 1).

PUBBLICO IMPIEGO: Oggetto: esonero dal servizio previsto dall'art. 72 del d.l. n. 112 del 2008, convertito in l. n. 133 del 2008 (parere UPPA 03.11.2010 n. 8).

UTILITA'

AMBIENTE-ECOLOGIA - VARI: Lombardia, Indicazioni pratiche per i controlli sui tagli dei boschi da parte delle GEV.
Le Guardie Ecologiche Volontarie (GEV) sono competenti, in base all’art. 61 della l.r. 31/2008, ad effettuare la vigilanza e l’accertamento delle violazioni relative ai danni alle superfici forestali.
Il r.r. 5/2007 “Norme Forestali Regionali” obbliga gli enti forestali a svolgere annualmente controlli su almeno il 2% dei circa 23 mila permessi di taglio concessi annualmente in Lombardia. A tal fine, la collaborazione fra uffici boschi di parchi, comunità montane e province e GEV è fondamentale.
Purtroppo, spesso molte guardie ecologiche non dispongono delle necessarie informazioni pratiche per effettuare i controlli nel settore forestale
La presente pubblicazione mira proprio a fornire alcuni consigli pratici sui controlli dei tagli colturali del bosco e a costituire, in ogni gruppo di GEV, un nucleo di alcune guardie preparate sul settore forestale (Indicazioni pratiche per i controlli sui tagli colturali dei boschi da parte delle Guardie Ecologiche Volontarie di Regione Lombardia - 1^ edizione - gennaio 2011 - link a www.sistemiverdi.regione.lombardia.it).

VARI: Impianti alimentati da fonti rinnovabili: le modifiche devono essere comunicate al GSE.
Tutti produttori di energia da fonti rinnovabili hanno l’obbligo di comunicare tempestivamente qualsiasi variazione inerente il proprio impianto.
Lo rende noto il GSE, attraverso un comunicato pubblicato sul proprio portale -www.gse.it- in virtù di numerose modifiche apportate a impianti alimentati da fonti rinnovabili non comunicate al Gestore dei Servizi elettrici che ne è venuto a conoscenza solo incidentalmente e tardivamente.
Pertanto, qualsiasi tipo di modifica apportata ad un impianto (ad es. variazioni della configurazione impiantistica, eventuali atti revocatori e/o di annullamento, che modifichino lo stato autorizzativo dell’impianto, eventuali aggiornamenti inerenti i profili autorizzativi, eventuali azioni di impugnazione del titolo autorizzativo, nonché eventuali provvedimenti, adottati dalle competenti autorità, che incidano sulla disponibilità e/o sulla funzionalità e/o sulla produttività dell’impianto) DEVE essere comunicata TEMPESTIVAMENTE dal produttore al GSE, come già previsto dalla normativa in vigore e dalle procedure dello stesso GSE.
L’obbligo ricade anche sui titolari di impianti fotovoltaici che abbiano in corso qualsiasi tipo di rapporto con il GSE (ad es. certificati verdi, tariffa omnicomprensiva, conto energia, ritiro dedicato, scambio sul posto, CIP/6, etc). La mancata comunicazione di qualsiasi modifica apportata agli impianti può comportare la sospensione o la risoluzione dei rapporti in essere, nonché l’adozione di provvedimenti più opportuni, anche in sede penale, fino alla decadenza dal diritto agli incentivi.
Il GSE informa, infine, che tutte le variazioni, fatta eccezione per quelle gestite ordinariamente tramite le esistenti procedure informatiche, dovranno essere comunicate mediante LETTERA RACCOMANDATA, allegando la documentazione a corredo e riportando in oggetto e sul plico il riferimento al numero di impianto (link a www.acca.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: Linee Guida sulla bonifica di manufatti contenenti fibre vetrose.
Pubblicato un interessate documento redatto dalla Regione Lombardia, ma certamente utile a tutti gli operatori del settore, contenente le Linee Guida finalizzate alla riduzione del rischio da esposizione a fibre artificiali vetrose (FAV) durante le attività di bonifica di manufatti già in posa (pertanto da considerarsi rifiuto).
Il documento è rivolto a tutte le imprese che effettuano interventi di bonifica, nonché agli organi di controllo a tutela della salute e sicurezza dei lavoratori e della popolazione e mira a diffondere le conoscenze delle varie tipologie di fibre vetrose artificiali, ad orientare gli operatori sulle modalità operative di bonifica e a promuovere percorsi preventivi che coinvolgano le varie figure aziendali.
È così strutturato: ... (link a www.acca.it).

EDILIZIA PRIVATA: Punto della situazione sul Piano Casa: leggi in vigore e termini di scadenza per delibere e domande.
Molte sono le modifiche che si sono susseguite dall’adozione del Piano Casa da parte delle diverse Regioni, con un quadro che si è andato delineando in maniera sempre più articolata.
Alcune Regioni, infatti, hanno già apportato modifiche alle proprie leggi relative alla prima stesura del Piano Casa, nel tentativo di incentivare le richieste da parte degli interessati (è il caso ad esempio delle Marche, dell’Umbria, della Campania e della Toscana), mentre altre stanno per approvare i correttivi (come ad esempio la Liguria).
In allegato è proposto un utilissimo quadro comparativo relativo alle diverse Regioni d’Italia, con riferimenti alla Legge, al termine massimo per le delibere comunali e al termine massimo per la presentazione delle domande da parte degli interessati (link a www.acca.it).

SICUREZZA LAVORO: Guida pratica per la determinazione delle ESPOSIZIONI SPORADICHE E DI DEBOLE INTENSITÀ (ESEDI) all’amianto.
In attuazione alle disposizioni dell’art. 249 del D.lgs. 81/2008, la Commissione consultiva permanente per la salute e sicurezza sul lavoro ha pubblicato, con Lettera Circolare del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali del 25.01.2011, degli orientamenti pratici circa la determinazione delle esposizioni sporadiche e di debole intensità (ESEDI) all’amianto.
In particolare, le attività sporadiche e di debole intensità ricadono in quelle che prevedono:
- massimo di 60 ore di intervento all’anno;
- massimo 4 ore per singolo intervento;
- massimo di 2 interventi al mese;
- livello massimo di esposizione a fibre di amianto pari a 10 F/L (in 8 ore);
- numero massimo di addetti operanti contemporaneamente pari a 3 (se non possibile occorre limitare gli addetti al numero più basso possibile).
Inoltre, al fine di verificare se la propria attività rientri nella categoria delle ESEDI, è possibile consultare l’Allegato 1 delle Lettera Circolare, in cui sono riportate, sulla base delle attuali conoscenze, le attività di tipo ESEDI (link a www.acca.it).

EDILIZIA PRIVATA: Dall'01.03.2011 in vigore il regolamento sugli impianti di riscaldamento ad acqua calda: nuova “Raccolta R.
Dall'01.03.2011 tutte le installazioni relative a centrali di riscaldamento ad acqua calda dovranno rispondere ai contenuti della NUOVA Raccolta R (edizione marzo 2009).
E’ L’INAIL a comunicarlo, attraverso la Circolare n. 1 -IN/2010- del 14/12/10, invitando tutti i Direttori dei Dipartimenti Territoriali ad accettare unicamente le denunce di installazioni conformi alla nuova Raccolta R dall'01.03.2011.
La Raccolta-R si applica agli impianti centrali di riscaldamento utilizzanti acqua calda sotto pressione con temperatura non superiore a 110°C e portata termica massima complessiva dei focolari superiore a 35 kW e non si applica ai generatori di calore facenti parte di insiemi certificati CE/PED e ai generatori di calore alimentati a gas, qualora rientranti nella direttiva 2009/142/CE.
Essa recepisce buona parte della UNI 10412-1, norma che stabilisce condizioni e modalità di progettazione e installazione ai fini della sicurezza degli impianti di riscaldamento.
Ricordiamo che L’ISPESL è stato soppresso dalla legge 30.07.2010 - n. 122, che attribuisce all’INAIL le funzioni già svolte dall’ISPESL; pertanto tutti i riferimenti al termine ISPESL della guida vanno sostituiti con INAIL (link a www.acca.it).

NOTE, CIRCOLARI E COMUNICATI

EDILIZIA PRIVATAOggetto: Elaborati di cui si compone la prestazione commessa, rilascio a richiesta del committente di copia in formato elettronico (Consiglio Nazionale Geometri e Geometri Laureati, nota 27.01.2011 n. 832 di prot.).
---------------
Professione: gli elaborati e le richieste della committenza.
Secondo il CNG il committente ha diritto a ricevere una sola copia di tutti gli elaborati dell'opera, ma i diritti di uso restano riservati sempre al professionista
Anche se il committente ha diritto a ricevere una copia conforme cartacea o su supporto elettronico degli elaborati che compongono gli atti di una prestazione affidata a un geometra, resta inteso che con il pagamento della parcella, il committente acquista esclusivamente il diritto a realizzare quella specifica opera, avvalendosi dei progetti e dei permessi a essi correlati.

Questa, in estrema sintesi, è la conclusione principale cui arriva il Consiglio nazionale dei geometri e geometri laureati con la circolare n. 832 del 27.01.2011 relativa agli Elaborati di cui si compone la prestazione commessa, rilascio a richiesta del committente di copia in formato elettronico.
L’intervento del Cng fornisce dunque ai geometri e ai professionisti una linea di azione di fronte alla eventuale richiesta di un committente di poter ricevere una copia in formato elettronico degli elaborati di cui si compone la prestazione commessa.
La versione elettronica può essere fornita solo se protetta da eventuali modifiche e, rileva il Consiglio nazionale geometri, pur non esistendo una regola ad hoc sulla questione, ci si può basare sulla legislazione vigente.
Per riassumere, rimandando il lettore all’analisi del testo integrale della circolare, il committente ha diritto a ricevere una sola copia di tutti gli elaborati di cui si compone l’operazione di commessa.
Tali materiali, rappresentando l’opera di ingegno del geometra, non possono essere liberamente riproposti con adattamenti in nuovi contesti, ma i diritti di uso restano riservati sempre allo stesso professionista (commento tratto da www.ediliziaurbanistica.it).

NEWS

CONSIGLIERI COMUNALIOSSERVATORIO VIMINALE/ Cumulo permessi incerto. I limiti devono essere previsti dalla legge. Sulla chance per chi è sindaco e presidente di comunità montana il Tuel tace.
È possibile cumulare i permessi retribuiti previsti per le cariche di sindaco e di presidente di una comunità montana?
L'art. 79, comma 4, del dlgs 267/2000, nell'individuare gli amministratori locali, tra cui i sindaci e i presidenti di comunità montane, titolari dei permessi ivi previsti, non detta alcuna disposizione in materia di cumulo degli stessi, mentre in altra parte del Testo unico, laddove il legislatore ha ritenuto di porre dei limiti in merito alla cumulabilità di determinati benefici, li ha previsti espressamente, come nel caso delle indennità di funzione (l'art. 82 del Tuel).
Trattandosi di norme dettate per dare attuazione al principio costituzionale in base al quale chi è chiamato a funzioni pubbliche elettive ha diritto di disporre del tempo necessario al loro adempimento (art. 51 Cost.), eventuali limiti in merito devono essere espressamente posti dalla legge (articolo ItaliaOggi del 04.02.2011 - link a www.ecostampa.com).

CONSIGLIERI COMUNALIOSSERVATORIO VIMINALE/ Scioglimento del consiglio.
Sussistono i presupposti per l'avvio della procedura di scioglimento del consiglio comunale ai sensi dell'art. 141, comma 1, lettera b), n. 3 del Tuel, nel caso in cui un consigliere comunale non abbia presentato personalmente al protocollo dell'ente le proprie dimissioni, né risulta che il relativo atto sia stato prodotto per il tramite di persona a ciò delegata, con atto autenticato in data non anteriore a cinque giorni, come prescritto dall'art. 38, comma 8, del medesimo testo unico, ai fini della validità delle dimissioni? Qualora non si sia verificato il presupposto della cessazione dalla carica per dimissioni della metà più uno dei membri assegnati, richiesto dal citato art. 141 per avviare la procedura di scioglimento, è necessario o meno procedere alla surroga dei consiglieri che hanno ritualmente presentato le proprie dimissioni?

Secondo l'orientamento giurisprudenziale prevalente le due norme citate individuano fattispecie distinte quanto ai presupposti e agli effetti delle dimissioni.
L'art. 38 disciplina la fattispecie delle dimissioni individuali, rese allo scopo della personale rinuncia al mandato, non idonee di per sé sole all'effetto di provocare la crisi dell'organo consiliare, perché non rese contestualmente dalla maggioranza dei suoi componenti, cui segue perciò la surroga dei dimissionari; l'art. 141, invece, individua la fattispecie delle dimissioni rese allo scopo di provocare la crisi dell'organo e richiede la loro contestualità perché espressiva della connessione delle volontà a tal fine, facendone coerentemente conseguire il procedimento di scioglimento del consiglio e non la surroga dei singoli consiglieri (cfr. Consiglio di stato, sesta sezione, 12.08.2009, n. 4936, nonché quinta sezione, 12.11.2009, n. 7051).
Da ciò discende che «l'invalidità di anche uno solo degli atti di dimissioni contestuali incide sulla validità dell'intero procedimento e, per converso, che quando ciò avviene non si deve procedere alla surroga dei consiglieri le cui dimissioni siano regolari».
I principi enucleati dalla giurisprudenza si applicano anche qualora le dimissioni non siano contestuali ma rese con atti separati, in quanto l'art. 141 equipara le due ipotesi, purché le dimissioni medesime siano contemporaneamente presentate al protocollo dell'ente, ravvisando in entrambe lo scopo di provocare lo scioglimento dell'organo (articolo ItaliaOggi del 04.02.2011 - link a www.ecostampa.com).

CONSIGLIERI COMUNALIOSSERVATORIO VIMINALE/ Incompatibilità.
Sussiste una causa di incompatibilità tra la carica di sindaco in un comune e quella di assessore esterno presso la regione, nel caso in cui la norma statutaria regionale riproduca la formulazione dell'art. 47, comma 3, del Tuel?

L'art. 47, comma 3, del Tuel dispone che «nei comuni con popolazione superiore a 15 mila abitanti gli assessori sono nominati dal sindaco, anche al di fuori dei componenti del consiglio, fra i cittadini in possesso dei requisiti di candidabilità, eleggibilità e compatibilità alla carica di consigliere».
In merito il Consiglio di stato, premesso che l'ordinamento degli enti locali non prevede espressamente l'incompatibilità tra consigliere comunale ed assessore esterno di altro comune, ha espresso il parere che «le ipotesi di incompatibilità si applicano solo nei casi ivi testualmente menzionati, nel T.u. ritenendo che il ricorso all'analogia non sia consentito dal principio interpretativo generale per cui le norme che restringono eccezionalmente diritti di status sono di stretta interpretazione». (Cons. di stato parere n. 5862/2008 del 13/11/2008).
In base a tale principio interpretativo generale, che può essere utilmente impiegato per stabilire la portata ermeneutica della norma regionale, è esclusa la sussistenza di una causa di incompatibilità nell'ipotesi in esame (articolo ItaliaOggi del 04.02.2011 - link a www.ecostampa.com).

APPALTI SERVIZISERVIZI PUBBLICI LOCALI/ Servizi locali, il comune fa da sé. Sì alla gestione diretta per attività di poco impegno economico. Il Consiglio di stato riapre la partita che sembrava chiusa dopo la sentenza n. 325 della Consulta.
La recente sentenza del Consiglio di stato, n. 552 del 26/01/2011 riapre la discussione sulla possibilità per gli enti locali di gestire direttamente i servizi pubblici locali a rilevanza economica. La sentenza giunge all'indomani della pronuncia della Corte costituzionale n. 325 del 03/11/2010 che, seppur in via incidentale, aveva affermato il contrario.
La pronuncia del Consiglio di stato prende le mosse dal ricorso in appello presentato dal comune di San Clemente (Rn) per la riforma della sentenza del Tar dell'Emilia Romagna n. 460/2010. Ma che cosa era accaduto?
In pratica, nel settembre 2009 la giunta comunale di San Clemente decise di esercitare nella forma dell'amministrazione diretta la gestione e la manutenzione delle lampade votive all'interno dei cimiteri comunali e una società privata, interessata a svolgere tale attività, presentò ricorso al Tar contro la decisione del comune per violazione dei principi sanciti dall'art. 113 del Tuel e dall'art. 23-bis del dl 112/2008, nonché per difetto di motivazione e per violazione dei principi del giusto procedimento e del buon andamento della pubblica amministrazione.
In pratica, la società ricorrente sostenne che, essendo la gestione delle lampade votive dei cimiteri comunali un servizio pubblico locale a rilevanza economica, la modalità ordinaria di gestione doveva essere quella prevista dall'art. 23-bis sopraccitato, cioè quella dell'affidamento mediante procedura competitiva a evidenza pubblica o, in via eccezionale, quella dell'affidamento a società in house, ma in nessun caso il comune avrebbe potuto gestire direttamente il servizio.
A gennaio del 2010 il Tar dell'Emilia Romagna accolse il ricorso e annullò la deliberazione del comune di San Clemente sostenendo, di fatto, che alla luce delle modalità di affidamento previste dall'art. 23-bis, il comune non può più gestire direttamente i servizi pubblici locali a rilevanza economica.
La posizione assunta dal Tar lasciò perplessi molti addetti ai lavori, che considerarono la sentenza come non annoverabile fra quella che viene comunemente considerata la giurisprudenza prevalente. La questione però ha ripreso vigore all'indomani della sentenza della Corte costituzionale n. 325/2010, in quanto la Corte, pur in via incidentale, al punto 6.1 di tale sentenza sostiene che ... (articolo ItaliaOggi del 04.02.2011 - tratto da www.corteconti.it).

PUBBLICO IMPIEGOL'adeguamento alla legge Brunetta non è obbligatorio per gli enti. Ma conviene attivarsi.
Niente premi senza la valutazione. A rischio le indennità per segretari, direttori generali e dirigenti.

Se gli enti locali non adeguano rapidamente il proprio sistema di valutazione ai principi dettati dal dlgs n. 150/2009 non possono erogare i compensi legati alle performance individuali, cioè la indennità di risultato per segretari, direttori generali, dirigenti e titolari di posizione organizzativa e la produttività per il personale.
Tale sanzione si applica a partire dalle attività che sono svolte dall'01/01/2011: la valutazione delle attività svolte nel 2010 e la erogazione dei relativi compensi, anche se effettuata nel 2011, si effettua sulla base delle regole in vigore nello scorso anno.
Se gli enti locali non regolamentano la suddivisione dei propri dirigenti e dei propri dipendenti in fasce di merito, si applicano quelle previste per le amministrazioni dello stato.
Se è vero che il termine del 31/12/2010 per l'adeguamento dei singoli enti locali ai nuovi principi introdotti dal dlgs n. 150/2009 in materia di misurazione, valutazione e trasparenza della performance e di valorizzazione del merito è ordinatorio e non perentorio; è anche vero che se i comuni e le province non adottano subito il nuovo sistema di valutazione non potranno erogare indennità di risultato e produttività nel 2011.
La necessità di una adeguamento in tempi rapidi è dato dal combinarsi del divieto di erogare questi compensi in assenza del recepimento delle scelte di fondo dettate dalla legge cd Brunetta nei sistemi di valutazione dei singoli enti e dal principio di carattere generale per cui i criteri di valutazione devono essere conosciuti da parte dei valutati prima del periodo a cui si riferiscono.
Il soggetto competente alla approvazione della metodologia di valutazione è la giunta. Nella adozione di questo sistema occorre ricordare il vincolo legislativo a che l'Organismo di valutazione elabori la proposta iniziale.
Quanto alle relazioni sindacali, esse possono essere così riassunte: obbligo di contrattazione per i principi generali di valutazione del personale e per la definizione delle risorse da destinare alle singole fasce di merito; informazione preventiva e a richiesta concertazione per la metodologia di valutazione dei dirigenti e del personale; informazione su tutte le altre scelte.
Il sistema adottato dalle singole amministrazioni deve definire esattamente il contenuto e le metodologie di valutazione della performance organizzativa: con la introduzione di questo fattore il legislatore ha voluto, come nelle aziende private, legare la valutazione e la erogazione delle forme di incentivazione delle prestazioni al positivo andamento complessivo dell'ente.
Ricordiamo che, quando saranno sbloccati i rinnovi contrattuali, una parte significativa delle risorse aggiuntive dovrà essere assegnata in modo differenziato alle singole amministrazioni sulla base degli esiti della valutazione delle performance organizzative.
Quanto al suo contenuto si può ipotizzare, sulla scorta dei principi dettati dalla legge cd Brunetta, una sua sostanziale quadripartizione: il grado di realizzazione degli obiettivi strategici, che sono quelli politico programmatici di fondo e che sono caratterizzati essenzialmente dai concreti impatti che hanno determinato sugli utenti dei servizi, sui cittadini, sui portatori di interessi (cd outcome); i miglioramenti nei parametri che misurano le condizioni essenziali della gestione, sia dell'intero ente che dei singoli settori di attività; gli esiti della valutazione effettuata dagli utenti rispetto alla qualità dei servizi erogati e delle attività svolte; gli impatti concreti delle politiche di pari opportunità.
Tra gli strumenti di valutazione si può suggerire, per la sua facilità di utilizzazione e per l'assenza di oneri aggiuntivi, il ricorso al metodo di autovalutazione della qualità introdotto dalla Unione europea, cioè il Common assessment framework (Caf), un sistema basato sulla verifica del rispetto del metodo della programmazione preventiva, dello svolgimento delle attività, del controllo e della adozione delle necessarie misure correttive.
Un ulteriore importante elemento di novità è costituito dalla introduzione del vincolo della misurazione delle performance. In tal modo il legislatore vuole garantire che si realizzi una base oggettiva per l'esercizio della discrezionalità che è una caratteristica connaturata strettamente alla valutazione. Occorre individuare il soggetto responsabile, ricordando che siamo in presenza di un ruolo assai delicato, tanto è vero che il legislatore impone che il suo nome e il suo curriculum siano pubblicati sul sito internet.
Si suggerisce di mettere in diretta correlazione tale compito con il controllo di gestione, anche unificando tali attività. E ancora, di stabilire un collegamento diretto con l'Organismo di valutazione.
Occorre disciplinare in modo minuto e vincolante le procedure di comunicazione tra i valutatori ed i valutati: è questa la fase sicuramente più importante del processo di valutazione. Esso costituisce uno strumento di sviluppo organizzativo, cioè le sue finalità essenziali sono quelle di migliorare la qualità delle attività e di fare crescere le professionalità.
Per raggiungere tali esiti è indispensabile che, all'avvio del ciclo delle performance, il valutato sappia bene cosa ci si attende da lui in termini di obiettivi da raggiungere, di competenze professionali da utilizzare e di comportamenti da praticare. Che nel corso dell'anno siano tempestivamente segnalati i fattori di criticità.
E che la valutazione finale del grado di raggiungimento degli obiettivi, delle competenze professionali e dei comportamenti manageriali siano comunicati e spiegati. Fermo restando l'obbligo del contraddittorio: cioè prima della formalizzazione degli esiti della valutazione si deve tenere motivatamente conto delle eventuali obiezioni mosse dal valutato.
È infine assai importante che si abbia la piena consapevolezza del fatto che, soprattutto nei primi anni di applicazione, è assai probabile una esplosione dei contenziosi e delle tensioni: è questo lo scotto per molti versi inevitabile che si deve pagare per passare da un sistema in cui le differenziazioni sono minime, ad uno in cui esse diventano rilevanti, sia sul terreno delle indennità che, non dimentichiamolo, su quello delle progressioni orizzontali, che dovranno nel futuro, visto che oggi sono bloccate fino a tutto il 2013, essere effettuate esclusivamente in modo limitato e utilizzando gli esiti delle valutazioni.
Per governare queste conseguenze è sicuramente necessario che nella metodologia il grado di arbitrarietà sia assai ridotto, a differenza di quanto invece caratterizza la stragrande maggioranza dei sistemi oggi in vigore; che l'Organismo di valutazione e i dirigenti assegnino una parte significativa del loro tempo allo svolgimento di queste attività e che, infine, siano previste procedure di conciliazione tali da ridurre in misura assai forte il ricorso al contenzioso (articolo ItaliaOggi del 04.02.2011).

CORTE DEI CONTI

ENTI LOCALITagli estesi ai revisori.
Il taglio del 10% che è scattato dal 1° gennaio nei confronti dei componenti di organi di indirizzo e controllo ovvero di organi collegiali della p.a., previsto dalla manovra correttiva dei conti pubblici del 2010, vale anche per i componenti dei collegi dei revisori dei conti degli enti locali. Questo perché la finalità perseguita dal legislatore, che è quella di operare delle riduzioni di spesa a carico delle amministrazioni pubbliche, non può che riferirsi a tutte le forme possibili di compenso che le stesse p.a. corrispondono ai componenti di organi collegiali o ai titolari di incarichi, a qualsiasi titolo.

È quanto ha affermato la sezione regionale di controllo della Corte dei conti per la Lombardia, nel testo del recente parere 25.01.2011 n. 13, con il quale, in risposta a un quesito posto dal comune di Cernusco sul Naviglio, ha affrontato la problematica della riduzione del 10% delle indennità e dei gettoni corrisposti dalle p.a., come prevista dall'articolo 6, comma 3 del dl n. 78/2010, estendendola anche ai componenti del collegio dei revisori dei conti.
Secondo il collegio lombardo della magistratura contabile, la finalità perseguita dal legislatore è quella di «operare sensibili riduzioni di spesa a carico della p.a.». Da qui se ne deduce che la norma in esame «non può che riferirsi a tutte le possibili forme di compenso corrisposte dalle amministrazioni ai componenti di organi collegiali e ai titolari di incarichi di qualsiasi tipo».
Dal tenore della disposizione emerge, altresì, chiara la volontà di introdurre un meccanismo automatico e generalizzato di riduzione dei compensi erogati ai componenti di «organi collegiali comunque denominati», senza operare distinzioni connesse all'ammontare percepito rispetto al limite massimo edittale ovvero alla particolare natura e composizione degli stessi organi amministrativi.
Anche se si volesse eccepire una sorta di «specialità» da riconoscere al trattamento economico dei revisori, sulla scorta del fatto che il compenso base è stabilito con apposito dm ex art. 241 Tuel, ciò contrasterebbe con la ratio e la formulazione letterale del citato articolo 6 «nonché con lo spirito e gli obiettivi dell'intera manovra finanziaria varata e approvata nell'estate del 2010, diretta a contenere e razionalizzare ulteriormente la spesa» (articolo ItaliaOggi del 04.02.2011 - tratto da www.corteconti.it).

PUBBLICO IMPIEGOIl concorso vince sempre. Riserva inapplicabile al totale dei posti vacanti. Corte conti Calabria interviene sulla eliminazione delle progressioni verticali.
Il concorso pubblico prevale sempre, anche nei riguardi dei concorsi con riserva dei posti agli interni non superiore al 50% che hanno sostituito le ormai soppresse progressioni verticali. Le amministrazioni, dunque, non possono applicare la riserva del 50% all'insieme dei posti vacanti da coprire per concorso, ma solo a ciascun singolo bando, se i profili professionali sono diversi.
E questo, nonostante la riserva ad interni comporti potenzialmente costi inferiori.
Il parere 15.09.2010 n. 444 della Corte dei conti, sezione regionale di controllo per la Calabria, è molto drastico nell'escludere la possibilità di applicare la riserva di posti del 50% al totale dei posti di una stessa categoria da mettere a concorso, come richiedeva il comune al quesito del quale è stata fornita risposta.
Nel caso di specie, il comune segnalava di avere vacanti quattro posti di categoria C, ma riferiti a profili del tutto diversi: contabile del servizio ragioneria, tecnico nell'ufficio tecnico, amministrativo nel servizio anagrafe e agente di polizia municipale nel relativo corpo. Il comune aveva chiesto di poter estendere la riserva del 50% ai quattro posti da coprire, così da assicurare, almeno potenzialmente, a due dipendenti interni la possibilità di accedere al nuovo inquadramento.
La Corte dei conti calabrese ha tuttavia osservato che in questo modo si determinerebbe una deroga al principio del concorso pubblico, in quanto tale senza riserva, non prevista dalla legge. La quale, infatti, all'articolo 52, comma 1-bis, del dlgs 165/2001, consente di operare la riserva ai dipendenti interni solo nell'ambito del singolo bando di concorso, e non all'insieme delle assunzioni da effettuare.
Nel caso prospettato dal comune cui la Corte dei conti della Calabria ha fornito la risposta, dunque, non sarebbe stato possibile applicare la riserva a nessuno dei posti da ricoprire. E tale necessaria conclusione non è contraddetta dalle norme che impongono tagli e tetti alla spesa di personale.
Su questo tema, ancora più chiaramente si era espressa la Corte dei conti, sezione regionale di controllo per il Friuli-Venezia Giulia, secondo cui la possibile riserva dei posti messi a concorso risulta ammissibile per ogni singola procedura selettiva, sicché «nelle ipotesi di procedure concorsuali con un unico posto disponibile, l'ente sarà obbligato a svolgere una procedura concorsuale interamente rivolta a soggetti esterni, non essendo possibile in tale ipotesi applicare il meccanismo della riserva a favore del personale già dipendente dall'ente».
C'è, per altro, da ricordare che in conseguenza dell'articolo 9, comma 21, della legge 122/2010 «le progressioni di carriera comunque denominate eventualmente disposte negli anni 2011, 2012 e 2013 hanno effetto, per i predetti anni, ai fini esclusivamente giuridici»: dunque, i dipendenti interni che partecipino a concorsi pubblici con riserva di posti acquisirebbero, se li superassero, solo l'inquadramento giuridico, ma non quello economico. La norma è molto probabilmente incostituzionale, per aperto contrasto con l'articolo 36 della Costituzione.
Tuttavia, finché vigente, non risulta conveniente per l'ente indire concorsi con riserva, dal momento che il dipendente interno si ritroverebbe nelle condizioni si coprire categoria, profilo e mansioni superiori, con lo stipendio precedente: l'esatto opposto degli effetti di valorizzazione del merito predicati dalla riforma Brunetta (articolo ItaliaOggi del 04.02.2011 - tratto da www.corteconti.it).

GIURISPRUDENZA

APPALTI: Condanne riportate dai concorrenti - Valutazione - Non compete al soggetto partecipante ma alla stazione appaltante - Obbligo di indicare tutte le condanne riportate.
Le valutazioni in ordine alla gravità delle condanne riportate dai concorrenti ed alla loro incidenza sulla moralità professionale spettano alla stazione appaltante e non al concorrente medesimo, il quale è pertanto tenuto a indicare tutte le condanne riportate, non potendo operare a monte alcun "filtro" e omettendo la dichiarazione di alcune di esse sulla base di una selezione compiuta secondo criteri personali (Consiglio di Stato, sez. IV, 10.02.2009, n. 740), e ciò indipendentemente dall’inserimento dell’obbligo in una specifica clausola del bando e/o del disciplinare di gara (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 03.02.2011 n. 782 - link a www.ambientediritto.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: CAVE E MINIERE - Regione Lombardia - Piano cave - Consiglio regionale - Adozione di soluzioni difformi dalla proposta provinciale - Restituzione degli atti alla Provincia - Apporto partecipativi dei soggetti interessati - L.r. Lombardia n. 14/1998.
Qualora il Consiglio regionale, anziché apportare modifiche di dettaglio al Piano cave, adotti (allargando le maglie della previsione di cui all’art. 8 L.R. 14/1998) soluzioni sostanzialmente difformi rispetto a quelle della proposta provinciale, il Piano medesimo dovrà essere restituito alla Provincia, affinché questa recuperi l’apporto, in termini di osservazioni, da parte dei soggetti interessati, che in precedenza si erano espressi su una proposta sostanzialmente diversa da quella fatta propria dal Consiglio regionale, ripristinando, così, il rispetto del principio della partecipazione e del contraddittorio sostanziale fra le parti (TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 03.02.2011 n. 344 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: Abusi edilizi - Poteri ripristinatori e repressivi - Mancato esercizio - Titolare dell’interesse legittimo all’esercizio di detti poteri - Silenzio rifiuto - Obbligo di provvedere espressamente.
Il proprietario di un’area o di un fabbricato nella cui sfera giuridica incide dannosamente il mancato esercizio dei poteri ripristinatori e repressivi relativi ad abusi edilizi da parte dell’Organo preposto è titolare di un interesse legittimo all’esercizio di detti poteri e può pretendere, se non vengono adottate le misure richieste, un provvedimento che ne spieghi le ragioni, con la conseguenza che il silenzio serbato sulla istanza -diffida integra gli estremi del silenzio -rifiuto sindacabile in sede giurisdizionale quanto al mancato adempimento dell’obbligo di provvedere espressamente (cfr. Cons Stato Sez. V n. 7132 del 07/11/2003 Sez. IV 04/06/2004 già citata; idem 31/05/2007 n. 2857; 07/07/2008 n. 3384)  (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 02.02.2011 n. 744 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: Abusi edilizi - Responsabilità ex art. 29 D.p.r. N. 380/2001 - Rapporti di parentela o affinità tra esecutore e proprietario dell’opera - Prove di compartecipazione.
Ai fini della configurabilità della responsabilità ai sensi dell’art. 29 DPR n. 380/2001, può tenersi conto non soltanto della piena disponibilità, giuridica e di fatto, del suolo e dell'interesse specifico ad effettuare la nuova costruzione (in applicazione del principio del “cui prodest”), ma altresì dei rapporti di parentela o di affinità tra esecutore dell'opera abusiva e proprietario, dell'eventuale presenza in loco di quest'ultimo, dello svolgimento di attività di materiale vigilanza dell'esecuzione dei lavori, della richiesta di provvedimenti abilitativi successivi, del regime patrimoniale dei coniugi, e complessivamente di tutte quelle situazioni e comportamenti, sia positivi che negativi, da cui possano trarsi elementi integrativi della colpa e prove di una compartecipazione, anche solo morale, all'esecuzione delle opere da parte del proprietario (Cassazione penale, sez. III, 08.10.2004, n. 216) (TAR Campania-Napoli, Sez. III, sentenza 02.02.2011 n. 641 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: Aziende agrituristiche - Esercizio di attività commerciale - Regolarità urbanistico-edilizia - Presupposto imprescindibile - Disciplina normativa del settore agrituristico - Conservazione e recupero del patrimonio edilizio rurale esistente - Sanabilità di nuovi manufatti - Limiti.
Il legittimo esercizio di un'attività commerciale, precipuamente quando essa comporti la somministrazione di alimenti e bevande, deve essere ancorato, sia in sede di rilascio del relativo titolo autorizzatorio, sia per l'intera durata del suo svolgimento, alla disponibilità giuridica e alla regolarità urbanistico-edilizia dei locali in cui essa viene posta in essere (cfr. TAR Campania Napoli, sez. III, 09.09.2008, n. 10058; Id., 09.08.2007, n. 7435; Id., 27.01.2003, n. 423; Id., 22.11.2001, n. 5007); tale principio acquista maggiore rigore in materia di aziende agrituristiche, perché la relativa disciplina è finalizzata a preservare la specificità del settore agrituristico e la genuinità dei prodotti fruibili all’interno dell’azienda agrituristica.
Dal quadro normativo vigente, emerge infatti che l’azienda agrituristica viene concepita dal legislatore, quanto al profilo dei cespiti edilizi in cui essa si svolge, come finalizzata alla conservazione ed eventualmente al recupero patrimonio edilizio rurale esistente, il che costituisce un elemento di valutazione ineludibile e stringente per lo scrutinio sia della assentibilità sia della sanabilità a posteriori di nuovi manufatti realizzati nel compendio agrituristico (TAR Campania-Napoli, Sez. III, sentenza 01.02.2011 n. 636 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATAEssendo la concessione edilizia un provvedimento amministrativo “recettizio” che si perfeziona con la comunicazione agli interessati e considerato che il termine di inizio lavori è posto anche a tutela dell’interesse del privato per consentirgli di predisporre i mezzi necessari all’esecuzione dei lavori, tale termine non può che decorrere dalla data di consegna dell’atto.
Il termine “rilascio” riferito al titolo concessorio ai fini del computo del termine annuale per l’inizio dei lavori, contenuto nell’art. 15, comma 2, del D.P.R. n. 380/2001, in prima lettura, non appare, infatti, univoco, potendo sostanzialmente significare sia la “emanazione” che la “consegna” dell’atto; ma è preferibile il secondo significato che appare più rispondente al lessico del legislatore, se si considera che, laddove quest’ultimo avesse voluto fare riferimento alla data della “emanazione” dell’atto, avrebbe usato sinonimi dal più corretto significato tecnico, come “data dell’atto” oppure, “data di adozione” o, più semplicemente “adozione”.

Ritiene il Collegio di aderire all’orientamento recentemente espresso in fattispecie analoga alla presente, con dovizia di argomentazioni, da questo Tribunale (Sezione staccata di Catania, sez. I, 07.04.2009, n. 678), secondo il quale:
- essendo la concessione edilizia un provvedimento amministrativo “recettizio” che si perfeziona con la comunicazione agli interessati (Consiglio di Stato, V, 27.09.1996, nr. 1152; cfr. anche TAR Piemonte, Torino, II, 04.11.2008, nr. 2749; TAR Piemonte, Torino, I, 01.09.2006, nr. 3166), e considerato che il termine di inizio lavori è posto anche a tutela dell’interesse del privato per consentirgli di predisporre i mezzi necessari all’esecuzione dei lavori, tale termine non può che decorrere dalla data di consegna dell’atto;
- il termine “rilascio” riferito al titolo concessorio ai fini del computo del termine annuale per l’inizio dei lavori, contenuto nell’art. 15, comma 2, del D.P.R. n. 380/2001, in prima lettura, non appare, infatti, univoco, potendo sostanzialmente significare sia la “emanazione” che la “consegna” dell’atto; ma è preferibile il secondo significato che appare più rispondente al lessico del legislatore, se si considera che, laddove quest’ultimo avesse voluto fare riferimento alla data della “emanazione” dell’atto, avrebbe usato sinonimi dal più corretto significato tecnico, come “data dell’atto” oppure, “data di adozione” o, più semplicemente “adozione”;
- in un contesto procedimentale doveroso che trae origine dalla istanza di parte, il termine “rilascio” non può non equivalere a “consegna” del documento perché l’interesse della parte è di natura pretensiva, ossia attiene alla acquisizione di una specifica utilità, che può derivargli solo da un provvedimento espresso debitamente portato a conoscenza dell’interessato nella sua interezza e quindi anche per ciò che riguarda l’espletamento di determinate attività entro specifici termini posti a pena di decadenza.
Nel caso di specie, la consegna della concessione edilizia emanata il 26.06.2009 è avvenuta il 23.04.2010, con la sottoscrizione dell’atto da parte della ricorrente: deve ritenersi che il Comune di Racalmuto non ne potesse pronunziare la decadenza, stante che l’inizio dei lavori è stato comunicato in data 27.09.2010, e cioè entro il termine annuale dal materiale rilascio del titolo, per cui, assorbito quant’altro, il ricorso va accolto, con compensazione delle spese di giudizio, ricorrendo giusti motivi correlati alla particolare natura della controversia (TAR Sicilia-Palermo, Sez. II, sentenza 01.02.2011 n. 181 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Sulla legittimità della revoca dell'aggiudicazione provvisoria per mancanza del requisito di regolarità fiscale, sanato dalla concorrente soltanto successivamente all'adozione del provvedimento.
E' legittima la revoca di aggiudicazione di una gara nei confronti di un concorrente, in relazione al quale sia stata accertata la mancanza del requisito di regolarità fiscale, ai sensi dell'art. 38, c. 1, lett. g), del d.lgs. n. 163/2006, in quanto la regolarizzazione è avvenuta solo all'indomani del provvedimento di aggiudicazione provvisoria, e non poteva legittimamente integrare, in capo all'impresa, il requisito di partecipazione richiesto dalla legge.
Il requisito di regolarità contributiva e fiscale prescritto è indispensabile non solo per la stipulazione del contratto, bensì ai fini dell'ammissione alla gara; ne consegue l'obbligo, in capo all'impresa concorrente, di regolarizzare la propria posizione fin dalla presentazione della domanda, e mantenerla tale per tutto lo svolgimento della gara, restando irrilevante un eventuale adempimento tardivo delle obbligazioni previdenziali e tributarie.
Nel caso di specie, non ha rilievo che la cartella esattoriale sia divenuta definitiva alla scadenza del termine utile per proporre ricorso, dopo la presentazione dell'offerta ma prima dell'adozione del provvedimento di esclusione, giacché la ratio della norma, che impone l'esclusione nelle sole situazioni di irregolarità fiscale "definitivamente accertate", è volta a garantire che l'impresa non subisca le conseguenze di procedure di accertamento tributario o di riscossione erroneamente intraprese nei suoi confronti (TAR Puglia-Bari, Sez. I, sentenza 01.02.2011 n. 213 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

LAVORI PUBBLICI: SOA - Attività di attestazione nei confronti di imprese certificate dalle stesse SOA - Divieto - Art. 8, c. 4, L. n. 109/1994 - Modifiche ex art. 7 L. n. 166/2002 - Caducazione del divieto - Esclusione.
Anche a seguito delle modifiche apportate all’art. 8, comma 4, della legge n. 109 del 1994 dall’art. 7 della legge n. 166 del 2002, non è venuto meno il divieto per le SOA di svolgere attività di attestazione nei confronti di imprese certificate dalle stesse SOA o da società da queste controllate.
La circostanza che la legge non preveda più il divieto per le società di certificazione della qualità di svolgere anche attività di qualificazione con riferimento alla stessa impresa non significa affatto che le società di certificazione possano ora incondizionatamente anche attestare nell’ambito dei lavori pubblici senza alcun limite soggettivo.
La riforma disposta nel 2002 ha invece comportato soltanto che le società di certificazione non possono più essere autorizzate a qualificare soggetti esecutori di lavori pubblici, neppure con il limite soggettivo prima esistente (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 31.01.2011 n. 696 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTI: Non è necessario rendere la dichiarazione relativa ai requisiti di cui all'art. 38, lett. b) e c), del d.lgs. n. 163/2006, anche con riferimento ai procuratori, nell'ipotesi di società di capitali.
Ai sensi dell'art. 38, lett. b) e c), del d.lgs. n. 163/2006, rientrano nel novero dei requisiti per la partecipazione a gare d'appalto, da un lato, l'assenza di procedimenti di prevenzione pendenti o di cause ostative di cui all'art. 10 della legge n. 575/1965; dall'altro, la mancanza di condanne definitive per reati incidenti sull'affidabilità morale dell'impresa; per le società di capitali, la norma si riferisce ai soli amministratori muniti di poteri di rappresentanza o al direttore tecnico, mentre nulla viene stabilito a proposito dei procuratori che, in quanto tali, non possono ritenersi titolari della legale rappresentanza dell'impresa, ferma restando la rilevante differenza tra poteri di gestione e funzione rappresentativa, per cui gli stessi non possono ritenersi destinatari della richiamata disposizione dell'art. 38.
Secondo un recente orientamento giurisprudenziale, l'estensione ai procuratori dell'obbligo di dichiarazione in merito ai requisiti di cui alla citata disposizione normativa, sussiste in virtù della verifica sostanziale dell'entità dei poteri a questi conferiti, tali da imporne la qualifica di amministratori di fatto.
Tuttavia, l'esistenza di tale ulteriore condizione in capo al procuratore è una circostanza di fatto che deve costituire oggetto di prova, nonché di specifica allegazione da parte di chi invochi, come nel caso di specie, la carenza della dichiarazione di cui all'art. 38 (TAR Campania-Napoli, Sez. I, sentenza 31.01.2011 n. 597 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Partecipazione alle procedure di affidamento - Requisiti di ordine generale - Art. 38 d.lgs. n. 163/2006 - Destinatari della prescrizione - Società di capitali - Amministratori muniti di poteri di rappresentanza - Fondamento - Procuratori - Esclusione.
L’art. 38 del d.lgs. 12.04.2006 n. 163 tra i requisiti di ordine generale per la partecipazione a procedure di affidamento di appalti e concessioni di lavori, servizi e forniture, alle lettere b) e c) stabilisce, da un lato l’assenza di procedimenti di prevenzione pendenti o di cause ostative ai sensi dell’art. 10 della legge 31.05.1965 n. 575, dall’altro la mancanza di condanne definitive per categorie di reati ritenuti fortemente incidenti in senso negativo sull’affidabilità morale dell’impresa; in ordine alle persone fisiche cui riferire tali requisiti, per le società di capitali la norma si riferisce ai soli amministratori muniti di poteri di rappresentanza o al direttore tecnico, mentre nulla viene stabilito a proposito dei procuratori.
Costoro, in quanto tali, non possono ritenersi anche titolari della legale rappresentanza dell’impresa, ferma restando la sostanziale differenza tra poteri di gestione e funzione rappresentativa, per cui non possono ritenersi destinatari dalla richiamata disposizione dell’art. 38 (TAR Campania, I Sezione, 07.06.2010 n. 12674) (TAR Campania-Napoli, Sez. I, sentenza 31.01.2011 n. 597 - link a www.ambientediritto.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: INQUINAMENTO ACUSTICO - Potere di ordinanza ex art. 9 L. n. 447/1995 - Maggiore ampiezza rispetto alla previsione generale di cui all’art. 54 d.lgs. n. 267/2000 - Accertamenti tecnici effettuati dall’ARPA - Minaccia per la salute pubblica.
L’art. 9 L. 447/1995 attribuisce al Sindaco poteri di intervento richiesto da urgente necessità di tutela della salute pubblica in senso più ampio che non laddove si dovesse ricorrere ai normali poteri di cui all’art. 54 D.lgs. 267/2000.
L’uso del potere di ordinanza contingibile ed urgente, delineato dall’art. 9 cit., deve pertanto ritenersi sempre ammesso laddove gli accertamenti tecnici all’uopo effettuati dalle competenti Agenzie Regionali di Protezione Ambientale rivelino la presenza di un fenomeno di inquinamento acustico, tenuto conto sia che quest’ultimo -ontologicamente (per esplicita previsione dell’art. 2 della stessa Legge n. 447/1995)- rappresenta una minaccia per la salute pubblica, sia che la Legge quadro sull’inquinamento acustico non configura alcun potere di intervento amministrativo “ordinario” che consenta di ottenere il risultato dell’immediato abbattimento delle emissioni sonore inquinanti (vedasi TAR Puglia Lecce 488/2006, TAR Umbria 492/2010, TAR Toscana 1930/2010).
INQUINAMENTO ACUSTICO - Ordinanza ex art. 9 L. n. 447/1995 - Competenza del Sindaco.
Le ordinanze ex art. 9 L. 447/1995, in materia di inquinamento acustico, sono attribuite alla competenza del Sindaco (TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 31.01.2011 n. 288 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTILa disposizione di cui all’art. 38 del D.Lgs. 163/2006 va interpretata nel senso che l’omissione o la non corrispondenza alla realtà sottostante di una dichiarazione resa ai sensi della precitata disposizione non comportino ex se l’esclusione dalla gara dell’impresa interessata quando non sussistano in concreto situazioni ostative alla partecipazione, riconoscendosi la necessità di assicurare che le ipotesi di esclusione vengano ispirate al canone della tassatività e che le relative previsioni rispondano ad effettive esigenze di interesse pubblico a fronte di inequivoche previsioni normative.
L'art. 38 del D.Lgs. 163/2006 impone non già la produzione di specifica documentazione attestante la mancanza della causa di esclusione indicata (l’aver cioè commesso violazioni, definitivamente accertate, rispetto agli obblighi relativi al pagamento delle imposte e tasse secondo la legislazione italiana), ma lo status soggettivo del “non trovarsi” in tale situazione; solo il positivo avveramento di tale situazione impone, cioè, l’esclusione dalla gara.

Alla stregua della più avveduta e recente giurisprudenza del Supremo Consesso (cfr. Cons. di Stato, sez.VI, 22.02.2010. n. 1017), in osservanza degli apicali principi del favor partecipationis e di tutela dell’affidamento, va rimarcato che la disposizione di cui all’art. 38 del D.Lgs. 163/2006 va interpretata nel senso che l’omissione o la non corrispondenza alla realtà sottostante di una dichiarazione resa ai sensi della precitata disposizione non comportino ex se l’esclusione dalla gara dell’impresa interessata quando non sussistano in concreto situazioni ostative alla partecipazione, riconoscendosi la necessità di assicurare che le ipotesi di esclusione vengano ispirate al canone della tassatività e che le relative previsioni rispondano ad effettive esigenze di interesse pubblico a fronte di inequivoche previsioni normative.
Tanto alla luce della considerazione che la disposizione richiamata (art. 38 cit.) impone non già la produzione di specifica documentazione attestante la mancanza della causa di esclusione indicata (l’aver cioè commesso violazioni, definitivamente accertate, rispetto agli obblighi relativi al pagamento delle imposte e tasse secondo la legislazione italiana), ma lo status soggettivo del “non trovarsi” in tale situazione; solo il positivo avveramento di tale situazione impone, cioè, l’esclusione dalla gara (TAR Abruzzo-L'Aquila, sentenza 31.01.2011 n. 35 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Regione Emilia Romagna - Permesso di costruire in deroga - Limiti - Art. 15 l.r. Emilia Romagna n. 31/2002.
Il legislatore regionale, con l’art. 15 della l.r. Emilia Romagna 25.11.2002 n. 31, ha introdotto limiti espressi alla possibilità del rilascio di un permesso di costruire in deroga.
Emerge in particolare come le deroghe al piano regolatore comunale non possano essere di tale entità da elidere le esigenze di ordine urbanistico sottese al piano e, in particolare, non possano legittimare eccezioni alle destinazioni di zona, sulle quali si fonda la struttura concettuale stessa del piano regolatore generale nelle scelte fondanti sull’uso del territorio. Appare quindi corretto affermare che anche i permessi in deroga debbano osservare tali principi e sono quindi legittimi nella misura in cui si allineano alle destinazioni d’uso ammesse dal piano regolatore all’interno delle singole zone (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 28.01.2011 n. 684 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTILa valutazione (negativa) delle offerte operata da una commissione di gara è espressione di un’ampia discrezionalità che impinge nel merito dell’azione amministrativa e come tale sfugge al sindacato di legittimità del giudice amministrativo, salve le ipotesi di manifesta irragionevolezza, illogicità, irrazionalità, arbitrarietà o di travisamento dei fatti.
Il Collegio non può non richiamare il consolidato principio per cui la valutazione (negativa) delle offerte operata da una commissione di gara è espressione di un’ampia discrezionalità che impinge nel merito dell’azione amministrativa e come tale sfugge al sindacato di legittimità del giudice amministrativo, salve le ipotesi di manifesta irragionevolezza, illogicità, irrazionalità, arbitrarietà o di travisamento dei fatti (ex plurimis, Consiglio Stato, sez. V, 29.10.2009, n. 6688) (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 28.01.2011 n. 687 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIn tema di distanze fra costruzioni o di queste con i confini vige il regime della c.d. "doppia tutela", per cui il soggetto che assume di essere stato danneggiato dalla violazione delle norme in materia è titolare, da un lato, del diritto soggettivo al risarcimento del danno o alla riduzione in pristino nei confronti dell'autore dell'attività edilizia illecita (con competenza del G.O.) e, dall'altra, dell'interesse legittimo alla rimozione del provvedimento invalido dell'amministrazione, quando tale attività sia stata autorizzata, consentita, permessa (conosciuto dal G.A.).
La controversia derivante dalla impugnazione di un permesso di costruire da parte del vicino che lamenti la violazione delle distanze legali costituisce una disputa non già tra privati ma tra privato e pubblica amministrazione, nella quale la posizione del primo si atteggia a interesse legittimo, con conseguente spettanza della giurisdizione (anche e certamente) al giudice amministrativo.

Costituisce principio consolidato e pacifico che in tema di distanze fra costruzioni o di queste con i confini vige il regime della c.d. "doppia tutela", per cui il soggetto che assume di essere stato danneggiato dalla violazione delle norme in materia è titolare, da un lato, del diritto soggettivo al risarcimento del danno o alla riduzione in pristino nei confronti dell'autore dell'attività edilizia illecita (con competenza del G.O.) e, dall'altra, dell'interesse legittimo alla rimozione del provvedimento invalido dell'amministrazione, quando tale attività sia stata autorizzata, consentita, permessa (conosciuto dal G.A.).
Il privato, che si ritiene danneggiato da un'attività edilizia autorizzata, che ha violato le norme in tema di distanza fra costruzioni o di queste con i confini, ha diritto alla c.d. "doppia tutela" che si caratterizza per essere concorrente ma separata per le diverse posizioni giuridiche di diritto soggettivo e interesse.
Pertanto per tali controversie la giurisdizione spetta al giudice amministrativo, qualora si tratti di impugnazione del relativo provvedimento per l'annullamento di quest'ultimo, poiché in tal caso si fa valere una posizione di interesse legittimo, mentre spetta al giudice ordinario, qualora venga richiesto il risarcimento del danno, ovvero alla rimozione dell'opera (in tal caso infatti è implicita una richiesta di disapplicazione dell'atto medesimo) (in tal senso, tra tante, si veda Consiglio Stato, sez. V, 24.10.1996 , n. 1273).
La controversia derivante dalla impugnazione di un permesso di costruire da parte del vicino che lamenti la violazione delle distanze legali costituisce una disputa non già tra privati ma tra privato e pubblica amministrazione, nella quale la posizione del primo si atteggia a interesse legittimo, con conseguente spettanza della giurisdizione (anche e certamente) al giudice amministrativo (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 28.01.2011 n. 678 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa lesività della concessione o del permesso di costruire può essere apprezzata dal vicino che se ne dolga esclusivamente alla data di ultimazione dei lavori, se solo in tale momento è consentito avere piena cognizione della esistenza e della entità delle violazioni edilizie, per cui a tale fine è insufficiente fare riferimento all’atto del permesso di costruire o soltanto all’inizio dei lavori.
La lesività della concessione o del permesso di costruire può essere apprezzata dal vicino che se ne dolga esclusivamente alla data di ultimazione dei lavori, se solo in tale momento è consentito avere piena cognizione della esistenza e della entità delle violazioni edilizie, per cui a tale fine è insufficiente fare riferimento all’atto del permesso di costruire o soltanto all’inizio dei lavori, incombendo, tra l’altro, la prova della eventuale tardività alla parte che la eccepisce (ex plurimis, Consiglio di Stato, V, 05.02.2007, n. 452) (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 28.01.2011 n. 678 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Volumi tecnici - Nozione.
I volumi tecnici sono solo quelli destinati esclusivamente agli impianti necessari per l’utilizzo della abitazione e che non possono essere ubicati al suo interno; pertanto non sono tali -e sono computabili quindi ai fini della volumetria consentita- le soffitte, gli stenditoi chiusi e quelli di sgombero; e non è volume tecnico un piano di copertura, definito impropriamente sottotetto, se costituente in realtà una mansarda, come nel caso di specie, in quanto dotato di rilevante altezza media rispetto al piano di gronda (in tal senso, Consiglio di Stato, V, 13.05.1997, n. 483) (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 28.01.2011 n. 678 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATASono volumi tecnici soltanto quelli la cui funzione è necessaria e strumentale per la utilizzazione dell’immobile, mentre devono necessariamente essere computati i volumi utilizzabili o adattabili ad uso abitativo.
I volumi tecnici sono solo quelli destinati esclusivamente agli impianti necessari per l’utilizzo della abitazione e che non possono essere ubicati al suo interno; pertanto non sono tali –e sono computabili quindi ai fini della volumetria consentita– le soffitte, gli stenditoi chiusi e quelli di sgombero; e non è volume tecnico un piano di copertura, definito impropriamente sottotetto, se costituente in realtà una mansarda, come nel caso di specie, in quanto dotato di rilevante altezza media rispetto al piano di gronda.

Sono volumi tecnici soltanto quelli la cui funzione è necessaria e strumentale per la utilizzazione dell’immobile, mentre devono necessariamente essere computati i volumi utilizzabili o adattabili ad uso abitativo (in tal senso, per esempio, Consiglio di Stato, V, 19.01.2009, n. 236).
Se pertanto la struttura costituente la copertura di un edificio già esistente non può ex se costituire una sopraelevazione, poiché in tale caso l’attività edilizia viene ad essere volta solo ad assicurare il permanere di un accessorio indispensabile per l’immobile, tuttavia quando l’esecuzione dei lavori comporti innovazioni tali da determinare la creazione di un nuovo volume utile per il proprietario, è evidente che l’opera non può non qualificarsi come sopraelevazione, trattandosi, nella specie, di nuova fabbrica dotata di autonomia e determinante l’innalzamento della originaria altezza dell’edificio.
I volumi tecnici sono quindi solo quelli destinati esclusivamente agli impianti necessari per l’utilizzo della abitazione e che non possono essere ubicati al suo interno; pertanto non sono tali –e sono computabili quindi ai fini della volumetria consentita– le soffitte, gli stenditoi chiusi e quelli di sgombero; e non è volume tecnico un piano di copertura, definito impropriamente sottotetto, se costituente in realtà una mansarda, come nel caso di specie, in quanto dotato di rilevante altezza media rispetto al piano di gronda (in tal senso, Consiglio di Stato, V, 13.05.1997, n. 483)
(Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 28.01.2011 n. 678 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Definizioni di cui all’art. 3, c. 1, d.P.R. n. 380/2001 - Prevalenza rispetto a previsioni difformi degli strumenti urbanistici generali.
Il secondo comma dell’art. 3 del t.u. edilizia prevede che in ordine alle definizioni di cui al primo comma del medesimo articolo, esse prevalgono sulle disposizioni degli strumenti urbanistici generali e dei regolamenti edilizi.
La individuazione analitica delle varie tipologie di interventi, effettuata all’art. 3 in una gerarchia ascendente, a seconda della incidenza sull’assetto del edilizio e territoriale, prevale quindi sulle eventuali diverse formulazioni definitorie contenute nei piani regolatori, nella normativa tecnica di attuazione e nei regolamenti edilizi: si tratta di una forma di abrogazione implicita, di cedevolezza, di prevalenza, di resistenza o disapplicazione delle disposizioni degli strumenti urbanistici locali (lo strumento o l’istituto al quale si ricorre può essere vario), che cedono di fronte alle definizioni dettate dalla fonte primaria (anche se trattasi di testo unico adottato con la forma del D.P.R.), le quali hanno un grado di durezza e una efficacia cogente tali da prevalere su ogni altra contraria definizione, acquistando anche la valenza di un criterio ermeneutico generale per la intera disciplina urbanistico-edilizia su base locale (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 28.01.2011 n. 678 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATALa individuazione analitica delle varie tipologie di interventi, effettuata all’art. 3 del DPR 380/2001 in una gerarchia ascendente, a seconda della incidenza sull’assetto del edilizio e territoriale, prevale sulle eventuali diverse formulazioni definitorie contenute nei piani regolatori, nella normativa tecnica di attuazione e nei regolamenti edilizi: si tratta di una forma di abrogazione implicita, di cedevolezza, di prevalenza, di resistenza o disapplicazione delle disposizioni degli strumenti urbanistici locali, che cedono di fronte alle definizioni dettate dalla fonte primaria, le quali hanno un grado di durezza e una efficacia cogente tali da prevalere su ogni altra contraria definizione, acquistando anche la valenza di un criterio ermeneutico generale per la intera disciplina urbanistico-edilizia su base locale.
Il secondo comma dell’art. 3 del t.u. edilizia prevede che in ordine alle definizioni di cui al I comma del medesimo articolo, esse prevalgono sulle disposizioni degli strumenti urbanistici generali e dei regolamenti edilizi.
Si tratta, quindi, di una prevalenza che vale certamente in ordine alle formule definitorie difformi, fermo restando il ruolo dello strumento urbanistico locale, che rimane arbitro della situazione (per esempio, vietando, consentendo, imponendo limiti e così via).
La individuazione analitica delle varie tipologie di interventi, effettuata all’art. 3 in una gerarchia ascendente, a seconda della incidenza sull’assetto del edilizio e territoriale, prevale quindi sulle eventuali diverse formulazioni definitorie contenute nei piani regolatori, nella normativa tecnica di attuazione e nei regolamenti edilizi: si tratta di una forma di abrogazione implicita, di cedevolezza, di prevalenza, di resistenza o disapplicazione delle disposizioni degli strumenti urbanistici locali (lo strumento o l’istituto al quale si ricorre può essere vario), che cedono di fronte alle definizioni dettate dalla fonte primaria (anche se trattasi di testo unico adottato con la forma del D.P.R.), le quali hanno un grado di durezza e una efficacia cogente tali da prevalere su ogni altra contraria definizione, acquistando anche la valenza di un criterio ermeneutico generale per la intera disciplina urbanistico-edilizia su base locale
(Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 28.01.2011 n. 678 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Sul legame familiare tra società concorrenti in una medesima gara d'appalto.
Ai sensi dell'art. 34, c. 2, del d.lgs. n. 163/2006, non possono partecipare alla medesima procedura imprese che si trovino fra di loro in una delle situazioni di controllo di cui all'articolo 2359 c.c., aggiungendo a tale ipotesi quella relativa ad offerte imputabili ad un unico centro decisionale.
La fattispecie normativa citata ricorre allorquando sussista una situazione di collegamento sostanziale, desumibile da univoci elementi individuati in concreto dalla stazione appaltante, dai quali emerga un rapporto tra società, tale da alterare il libero svolgimento della gara nel rispetto della par condicio e dei principi di trasparenza ed efficacia delle procedure di aggiudicazione. Il riferimento ad un unico centro decisionale consente l'esclusione di concorrenti che siano tra loro in un rapporto di effettivo controllo, ancorché realizzato attraverso ipotesi non riconducibili allo schema civilistico.
Pertanto, è sufficiente la presenza di significativi indici rivelatori di un collegamento materiale, affinché sorga l'onere, in capo alla stazione appaltante, di verificare se esso sia stato tale da alterare il normale meccanismo di gara. Il principio sostanzialistico contenuto nel citato art. 34 comporta la possibilità, per le stazioni appaltanti, di procedere ad una verifica più approfondita circa le relazione di collegamento fra i partecipanti alla gara.
In particolare, secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, l'esistenza di un legame familiare tra imprese concorrenti, ove accompagnato da elementi di oggettiva partecipazione societaria, costituisce un'ipotesi di concentrazione del potere decisionale in capo ad un unico centro di interessi (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 28.01.2011 n. 673 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

EDILIZIA PRIVATA: Provvedimenti relativi ad interventi edilizi - Progettista - Legittimazione ad impugnare in via principale - Esclusione.
Va esclusa in capo al progettista la titolarità di un interesse legittimo differenziato che gli consenta l’impugnazione di provvedimenti relativi ad interventi edilizi, potendo semmai il progettista stesso proporre intervento “ad adiuvandum” nel giudizio promosso dal committente proprietario (TAR Toscana, sez. II, 05.06.2009, n. 986; TAR Liguria, sez. I, 17.03.2006, n. 251; TAR Sicilia, Catania, sez. I, 06.03.2001, n. 523; TAR Piemonte, sez. I, 18.06.2003, n. 924 e Consiglio di Stato, sez. V, 05.03.2001, n. 1250) (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 28.01.2011 n. 265 - link a www.ambientediritto.it).

CONSIGLIERI COMUNALI: I consiglieri comunali possono impugnare un atto con il quale la giunta, a fronte del pagamento immediato di una somma consistente a favore del Comune, si impegna ad inserire un'area tra quelle edificabili della variante al PGT.
Vengono, infatti, pregiudicate le prerogative consiliari in materia di pianificazione urbanistica, con indebita interferenza e lesione del munus dei singoli consiglieri.

Appare sussistente la legittimazione dei consiglieri comunali alla impugnazione degli atti indicati in epigrafe: i ricorrenti paiono, difatti, far valere l’illegittimità degli atti impugnati non tanto per tutelare le prerogative del Consiglio Comunale, e dunque per risolvere una controversia tra organi di uno stesso ente, ma piuttosto per evitare una lesione del proprio diritto all’ufficio.
Gli atti impugnati incidono, invero, sulle prerogative dei singoli consiglieri comunali e sul loro interesse personale a che il procedimento di adozione e di approvazione della variante al p.g.t. si svolga senza indebiti condizionamenti, a poter influire sulle scelte che saranno assunte e dunque ad esercitare con pienezza il proprio mandato.
Il ricorso appare fondato in quanto l’atto impugnato –che dà atto del versamento di un acconto pari ad euro 1.500.000, a titolo di acconto per gli interventi da realizzarsi sui comparti oggetto delle istanze presentate dalla Soc. ..., a fronte del recepimento, nel documento di piano, di tali istanze e della previsione della possibilità di insediare quote limitate di residenza, con attività alberghiera e attività produttive finalizzate alla generazione di energie con fonti rinnovabili- viola le prerogative del Consiglio Comunale e ne condiziona indebitamente le scelte (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, ordinanza 28.01.2011 n. 250 -  link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: INQUINAMENTO ELETTROMAGNETICO - Limiti di esposizione - D.P.C.M. 08/07/2003 - Enti locali - Atti di pianificazione urbanistica - Ampliamento dei limiti previsti dalla normativa statale - Illegittimità.
La disciplina statale recata dal D.P.C.M. dell’08/07/2003 prevede dei limiti di esposizione della popolazione restrittivi e cautelativi a tutela della salute umana, limiti che non sono suscettibili di essere ulteriormente ampliati da parte degli Enti locali con atti di pianificazione urbanistico-edilizia.
Ne consegue l’illegittimità della pianificazione comunale che disponga un divieto generalizzato di realizzazione di impianti di telefonia mobile all’interno delle aree residenziali (TAR Emilia Romagna-Parma, Sez. I, sentenza 27.01.2011 n. 21 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTI SERVIZI: Sulla legittimità dell'indizione della gara per l'affidamento del servizio di distribuzione del gas naturale con congruo anticipo rispetto alla scadenza della concessione.
Sulla legittimità della scelta di un comune di accollarsi il pagamento degli oneri spettanti al gestore uscente.

L'art. 14, c. 7, del D.Lgs. 23.5.2000 n. 164, sancisce che "gli enti locali avviano la procedura di gara non oltre un anno prima della scadenza dell'affidamento, in modo da evitare soluzioni di continuità nella gestione del servizio". La norma pone, dunque, come principio che le gare per l'affidamento del servizio di distribuzione del gas siano avviate con anticipo rispetto alla scadenza delle concessioni in essere. Il legislatore, peraltro, si è limitato a prevedere, a tal fine, il rispetto di un termine minimo, "non oltre un anno prima della scadenza dell'affidamento", consentendo agli enti locali di attivarsi anche prima della scadenza del termine anzidetto. D'altra parte, tanto più la gara è indetta con anticipo, tanto minore sarà il rischio che il nuovo affidamento possa slittare nel tempo.
Un congruo anticipo nell'indire la gara si risolve in più tempo a disposizione per gestire il procedimento e il contenzioso derivante, quindi aumenta la possibilità che alla scadenza in questione sia già individuato con certezza il soggetto pronto ad assumere la gestione e si evitino fenomeni di prorogatio.
L'art. 14, c. 1, del D.Lgs. n. 164/2000, sancisce che il servizio di distribuzione del gas è affidato mediante gare per periodi non superiori a dodici anni con l'effetto che i partecipanti alle gare sono tenuti, in ragione della durata dell'affidamento, a formulare le offerte sulla base di una valutazione di lungo periodo (tredici anni almeno tenuto conto del termine minimo di un anno previsto dall'art. 14, c. 7, del D.Lgs. n. 164/2000) tenendo conto di tutti i parametri, economici e gestionali del servizio.
La scelta del Comune di accollarsi il pagamento degli oneri spettanti al gestore uscente, non ostacolata dal dato normativo, è giustificata sia dalla ricaduta positiva sul margine di profitto dei concorrenti che favorisce la più ampia partecipandone, sia, soprattutto, dalla cogente esigenza di attivare tempestivamente le procedure ad evidenza pubblica per l'individuazione dei nuovi aggiudicatari, procedure altrimenti paralizzate, con chiara violazione del disposto normativo al riguardo, dal contenzioso insorto con i gestori uscenti e dalla conseguente impossibilità di accollare ai vincitori delle gare, un onere economico non definito (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 26.01.2011 n. 581 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

URBANISTICA: Vincoli preordinati all’esproprio - Decorrenza del termine quinquennale di efficacia - Azzeramento della disciplina urbanistica territoriale - Differenza rispetto alla scadenza delle disposizioni vincolistiche contenute in piani attuativi.
L’intervenuta scadenza dei vincoli preordinati all’espropriazione, per effetto del decorso del termine di efficacia quinquennale, comporta che l’area rimane priva di disciplina urbanistica ed è soggetta alle previsioni di cui all’art. 4 ultimo comma della legge n. 10/1977 (ora art. 9 del T.U. n. 380/2001), sino all’adozione, da parte del Comune, di nuove, specifiche prescrizioni (ex multis, TAR Toscana Firenze, sez. I, 10.12.2009, n. 3267).
Tale fenomeno di azzeramento della disciplina urbanistica territoriale non si produce invece in caso di scadenza di disposizioni vincolistiche contenute in piani di rango attuativo, perché in tal caso il decorso del termine decennale di efficacia del piano fa venire meno solo i vincoli finalizzati all'espropriazione e le altre limitazioni della proprietà privata imposti dallo strumento attuativo, ma non anche la disciplina urbanistico- edilizia da esso dettata, che continua a trovare applicazione fino all'approvazione di un nuovo piano attuativo o di un nuovo P.R.G. (cfr. TAR Marche, sez. I, n. 457/2009) (TAR Campania-Salerno, Sez. II, sentenza 26.01.2011 n. 112 - link a www.ambientediritto.it).

LAVORI PUBBLICIL'ente può annullare l'accordo se l'impresa alza il prezzo.
In un appalto, se l'impresa ha dichiarato di avere studiato il progetto e di ritenerlo realizzabile al prezzo offerto e, alla consegna dei lavori, eccepisce carenze progettuali e chiede varianti, la stazione appaltante è legittimata a risolvere il contratto per venire meno dell'obbligo di lealtà contrattuale.

È quanto ha affermato il Tar Sardegna, con la sentenza 25.01.2011 n. 51 della II sezione, in una vicenda in cui, a seguito dell'aggiudicazione di un appalto di lavori, consegnati «sotto le riserve di legge», l'impresa aggiudicataria aveva immediatamente evidenziato al responsabile del procedimento e al direttore dei lavori varie difficoltà operative conseguenti a quelle che erano state presentate come carenze progettuali.
Il responsabile del procedimento provvedeva a revocare l'aggiudicazione sul presupposto che la ricorrente avesse violato il principio di buona fede. L'aggiudicatario aveva infatti sottoscritto una dichiarazione nella quale attestava di avere effettuato uno studio approfondito del progetto a seguito del quale tale progetto ben poteva essere realizzato per il prezzo corrispondente all'offerta presentata.
I giudici dichiarano legittima la risoluzione del rapporto, non prima di avere peraltro sottolineato come si trattasse di una questione relativa alla fase di esecuzione del contratto e, quindi, di vicenda alla quale applicare i principi civilistici.
In particolare, dicono i giudici, l'aggiudicatario aveva visto risolto il contratto da parte della stazione appaltante a seguito dell'inadempimento concretizzatosi nel non avere iniziato prontamente i lavori a seguito della consegna in pendenza di stipula contrattuale e nell'aver sollevato «pretestuose eccezioni in ordine alla realizzabilità del progetto esecutivo posto a base di gara, pretendendo, in sostanza, modifiche progettuali mediante l'approvazione di una perizia di variante».
Nel caso concreto i giudici riconoscono del tutto sleale il comportamento dell'aggiudicataria che ha messo in discussione le scelte progettuali facendo prevalere propri valutazioni rispetto a quelle della stazione appaltante e ciò prima ancora di iniziare i lavori.
Pertanto i giudici affermano che, se prima ancora di iniziare i lavori, l'impresa chiede la modifica del progetto che in sede di gara era stato oggetto di «studio approfondito» ed era stato ritenuto «adeguato e realizzabile per il prezzo corrispondente all'offerta presentata», e inoltre chiede nuove risorse finanziarie e si riserva di contabilizzare i «gravi e ingiustificati oneri finanziari», essa viola «l'obbligo di leale condotta che deve presiedere sia all'esecuzione del contratto che alla sua formazione e interpretazione» (articolo ItaliaOggi del 04.02.2011).

APPALTI: Sulla legittimità dell'esclusione di un concorrente per violazione dell'obbligo di allegare una copia del documento d'identità all'offerta economica.
E' legittimo il provvedimento di esclusione adottato da una stazione appaltante nei confronti di un concorrente che, in violazione di una clausola contenuta nel bando di gara, abbia omesso di allegare copia del documento di identità all'offerta economica presentata in sede di gara, e ciò anche nell'ipotesi in cui, come nel caso di specie, tale copia sia stata prodotta all'interno della busta contenente la documentazione amministrativa, in quanto, a fronte del chiaro ed inequivoco disposto letterale del disciplinare di gara, l'Amministrazione è tenuta ad applicare in modo rigoroso ed incondizionato le clausole inserite nella lex specialis, senza alcuna possibilità di valutazione discrezionale in ordine alla rilevanza dell'adempimento.
La richiesta di allegare il documento di identità all'offerta economica non si risolve in un mero formalismo, in quanto è diretto a comprovare, oltre alle generalità del dichiarante, il nesso di imputabilità soggettiva della dichiarazione ad un determinato concorrente; pertanto, tale clausola non può dirsi illogica né sproporzionata, in quanto trova la sua ragion d'essere nell'esigenza di soddisfare un interesse apprezzabile dell'Amministrazione, dando certezza circa la provenienza della dichiarazione; d'altro canto, essa si limita ad imporre ai partecipanti uno sforzo minimo, e, dunque, proporzionato rispetto all'interesse pubblico perseguito (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 24.01.2011 n. 478 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: INQUINAMENTO ACUSTICO - Potere di ordinanza ex art. 9 L. n. 447/1995 - Presupposti - Eccezionali e urgenti necessità di tutela della salute pubblica o dell’ambiente.
Il potere di ordinanza assentito dall’art. 9 della legge 26.10.1995, n. 447, integrando particolari forme di contenimento e riduzione delle emissioni sonore, inclusa l’inibitoria totale o parziale delle attività, deve essere motivato da eccezionali ed urgenti necessità di tutela della salute pubblica o dell’ambiente (in termini TAR Puglia - Bari, I, 29.09.2009 n. 2142.
INQUINAMENTO ACUSTICO - Classificazione acustica - Mancata approvazione - Operatività dei soli limiti assoluti.
Nelle more della classificazione del territorio comunale ai sensi dell'art. 6, comma 1, lett. a) della L. n. 447 del 1995, sono da ritenersi operativi i soli limiti c.d. "assoluti" di rumorosità, ma non anche quelli c.d. "differenziali" (TAR Emilia Romagna-Bologna, II, 15.11.2010 n. 8045; TAR Emilia Romagna, sez. staccata di Parma, 18.09.2008, n. 385, 04.05.2005 n. 244 e 21.05.2008 n. 259; TAR Puglia-Lecce, I, 13.06.2007, n. 2334; TAR Friuli Venezia Giulia 24.04.2009, n. 275; TAR Lombardia-Milano, I, 01.03.2004, n. 813; TAR Veneto, III, 31.03.2004, n. 847) (TAR Piemonte, Sez. II, sentenza 22.01.2011 n. 58 - link a www.ambientediritto.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: ASSOCIAZIONI E COMITATI - Associazioni ambientaliste riconosciute ex art. 13 L. n. 349/1986 - Legittimazione a contestare la violazione della normativa urbanistica - Fattispecie.
Le associazioni ambientaliste riconosciute ex art. 13 L. n. 349/1986 sono pienamente legittimate a contestare anche la violazione della normativa urbanistica locale ove i vizi dedotti siano rivolti ad evidenziare l’illegittimità dell’autorizzazione ambientale all’emissione in atmosfera, di cui all’art. 269 del D.Lgs. 152/2006 (e non i permessi edilizi), nonché ove si tratti si tratti di normativa urbanistica che prende in considerazione gli aspetti ambientali anche al fine di disciplinare l’attività produttiva da insediare, (quali, nella specie, il ripristino a p.d.c. naturale, l’assicurazione di “acquifero protetto” per le falde sottostanti, la rivegetazione e le sue modalità).
Una volta ammessa la legittimazione ad impugnare un provvedimento, inoltre, il ricorrente può dedurre qualunque vizio procedimentale, sia o meno un soggetto avente titolo a partecipare alla conferenza di servizi che avrebbe dovuto essere indetta ai sensi dell’art. 269 cit., in quanto il diverso procedimento ben avrebbe potuto portare ad una diversa decisione sostanziale di merito (TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez. II, sentenza 21.01.2011 n. 49 - link a www.ambientediritto.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: INQUINAMENTO ATMOSFERICO - Autorizzazione alle emissioni - Modifiche - Procedimento - Modifiche sostanziali - Aumento o variazione quantitativa delle emissioni - Alterazione delle condizioni di convogliabilità - Indizione della conferenza di servizi - Art. 269 d.lgs. n. 152/2006.
Ai sensi dell’art. 269 del D.Lgs. n. 152/2006, il procedimento di autorizzazione è differenziato a seconda della modifica sostanziale o non sostanziale dell’autorizzazione già ottenuta dal gestore. Infatti, in caso di modifiche sostanziali va indetta, entro trenta giorni dalla ricezione della richiesta, una conferenza di servizi ai sensi degli articoli 14 e seguenti della legge 07.08.1990, n. 241, nel corso della quale si procede anche, in via istruttoria, ad un contestuale esame degli interessi coinvolti in altri procedimenti amministrativi.
In caso di modifiche non sostanziali, invece, è prevista una mera comunicazione e se l'autorità competente non si esprime entro sessanta giorni, il gestore può procedere all'esecuzione della modifica non sostanziale comunicata, fatto salvo il potere dell'autorità competente di provvedere anche successivamente, nel termine di sei mesi dalla ricezione della comunicazione all’aggiornamento dell’autorizzazione: affinché la modifica sia sostanziale è sufficiente che vi sia un aumento o una variazione qualitativa delle emissioni o un’alterazione delle condizioni di convogliabilità tecnica delle stesse.
Quindi, sono sufficienti modifiche minime concernenti le emissioni per giustificare un procedimento più completo con la partecipazione di tutti gli enti coinvolti e titolari istituzionalmente di un interesse alla tutela dell’ambiente, senza che questo pregiudichi, ove siano rispettate le norme regolanti la materia, lo svolgimento dell’attività (TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez. II, sentenza 21.01.2011 n. 49 - link a www.ambientediritto.it).

ESPROPRIAZIONE: Occupazione acquisitiva o appropriativa - Caratteristiche - Espropriazione per pubblica utilità - Diritto all'indennità - Assenza di formale decreto di esproprio - Risarcimento del danno - Limite al diritto dominicale sul bene.
Il fenomeno della cosiddetta occupazione acquisitiva o appropriativa presenta, in sintesi, i seguenti caratteri:
a) la trasformazione irreversibile del fondo, con destinazione ad opera pubblica o ad uso pubblico, determina l'acquisizione della proprietà alla mano pubblica;
b) il fenomeno, in assenza di formale decreto di esproprio, ha il carattere dell'illiceità, che si consuma alla scadenza del periodo di occupazione autorizzata (e, quindi, legittima) se nel frattempo l'opera pubblica è stata realizzata;
c) l'acquisto a favore della p.a. si determina soltanto qualora l'opera sia funzionale ad una destinazione pubblicistica e ciò avviene solo per effetto di una dichiarazione di pubblica utilità formale (Cass. 2003/6853).
Ove la fattispecie estintiva - acquisitiva della proprietà dell'area occupata si perfezioni alla scadenza del termine di occupazione legittima, il proprietario del bene occupato, oltre al diritto all'indennità per il periodo di occupazione autorizzata, consegue il diritto al risarcimento del danno da occupazione appropriativa ma non anche al risarcimento del danno da occupazione illegittima per il periodo successivo a tale evento, in cui è ormai venuto meno il suo diritto dominicale sul bene.
Procedimenti espropriativi - Occupazioni d'urgenza - Proroga i termini - Limiti - Fatto (illecito) acquisitivo - Indennità - L. n. 219/1981 - Art. 9 d.lgs. n. 354/1999.
In tema di attuazione dei procedimenti espropriativi per la realizzazione degli interventi di cui al titolo ottavo della legge 14.05.1981, n. 219, l'art. 9 d.lgs. 20.09.1999, n. 354 che proroga i termini relativi alle occupazioni d'urgenza, se prescinde dalla legittimità o illegittimità dell'occupazione al tempo della sua entrata in vigore, riguarda comunque solo i procedimenti espropriativi che siano in corso alla stessa data; ne deriva che la norma può valere a restituire legittimità ad occupazioni divenute inefficaci o illegittime solo se l'obiettivo di recupero della procedura espropriativa -costituente la "ratio" dichiarata della norma- sia conseguibile per non essersi già perfezionato il fatto (illecito) acquisitivo per effetto del concorrere dell'illegittimità dell'occupazione e dell'irreversibile trasformazione del fondo (Cass. Sez. Unite sentenza n. 6769 del 2009; Cass. 2004/3966; 2005/7544; sezioni unite 2008/3358; 2009/3225; 2009/28332).
Opere pubbliche - Concessione cd. Traslativa - Esercizio delle funzioni oggettivamente pubbliche - Trasferimento al concessionario.
In tema di opere pubbliche, la concessione cd. traslativa, comporta il trasferimento al concessionario, in tutto o in parte, dell'esercizio delle funzioni oggettivamente pubbliche proprie del concedente e necessarie per la realizzazione delle opere ed in particolare il compimento in nome proprio di tutte le operazioni materiali, tecniche e giuridiche occorrenti per la realizzazione del programma edilizio, ancorché comportanti l'esercizio di poteri di carattere pubblicistico.
Ne consegue che il concessionario, acquistando poteri e facoltà trasferitigli dall'amministrazione concedente, si sostituisce a quest'ultima nello svolgimento dell'attività organizzativa e direttiva necessaria per realizzare l'opera pubblica e diviene, in veste di soggetto attivo del rapporto attuativo della concessione, l'unico titolare di tutte le obbligazioni che ad esso si ricollegano.
Popolazioni colpite dagli eventi sismici - Concessione di cui all'art. 81 L. n. 219/1981 - Natura c.d. traslativa.
Per gli interventi in favore delle popolazioni colpite dagli eventi sismici del novembre 1980 e del febbraio 1981, la concessione di cui all'art. 81 della legge n. 219 del 1981, stante l'ampiezza dei poteri che la norma prevede per il concessionario, ha natura c.d. traslativa (Cass. 2007/26261).
Occupazione acquisitiva - Espropriazione per pubblica utilità - Strumento della concessione traslativa - Disciplina speciale - Attribuzione al concessionario affidatario dell'opera della titolarità di poteri espropriativi - Limiti - Principio di legalità dell'azione amministrativa - Obblighi indennitari e risarcitori - Legittimazione passiva e risarcimento del danno - Artt. 80, 81 e 84, L. n. 219/1981.
In tema di espropriazione per pubblica utilità, il mero ricorso allo strumento della concessione traslativa, con l'attribuzione al concessionario affidatario dell'opera della titolarità di poteri espropriativi, non può comportare indiscriminatamente l'esclusione di ogni responsabilità al riguardo del concedente, essendo necessario a tal fine che, in osservanza al principio di legalità dell'azione amministrativa, l'attribuzione all'affidatario di detti poteri e l'accollo da parte sua degli obblighi indennitari e risarcitori siano previsti da una legge che espressamente li autorizzi.
Ne consegue che -avendo gli artt. 80, 81 e 84 (e, segnatamente, l'art. 81) della legge 14.05.1981, n. 219 (relativa al programma straordinario di urbanizzazione nell'area metropolitana del Comune di Napoli) autorizzato, in forza di una disciplina speciale e in parte derogatoria rispetto a quella sulle espropriazioni, il ricorso alla concessione traslativa- la fonte della responsabilità esclusiva del concessionario e della sua legittimazione passiva, sia in relazione al risarcimento del danno per l'occupazione acquisitiva, che in relazione al pagamento delle indennità dovute in conseguenza di espropriazioni rituali, deve essere individuata proprio nelle menzionate norme di legge (cfr Cass. SU 2009/6769) (Corte di Cassazione, Sez. I civile, sentenza 20.01.2011 n. 1362 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTI: La richiesta di traduzione giurata non costituisce onere aggiuntivo.
Con sentenza 14.01.2011 n. 325 il TAR Lazio-Roma, Sez. III-ter, ha riconosciuto la legittimità del provvedimento di esclusione adottato dalla stazione appaltante, nei confronti di una società che aveva fornito documentazione in lingua straniera non corredata da apposita traduzione giurata in lingua italiana.
In particolare la società ricorrente aveva preso parte ad una gara relativa all’affidamento del “Servizio di manutenzione della segnaletica orizzontale e verticale” presentando una documentazione, attestante i requisiti (capacità economica-finanziaria e tecnica) posseduti da una sua ausiliaria, in lingua inglese e non accompagnata da traduzione giurata.
La ricorrente censurava il provvedimento di esclusione sotto vari profili ritenendolo illegittimo in quanto:
1) la mancata produzione di traduzione giurata non era prevista dalla regole di gara a pena di esclusione e, in ogni caso, non configurava un vizio sostanziale attinente la sussistenza dei requisiti di capacità tecnica, ma mera irregolarità formale;
2) l’obbligo di presentazione della traduzione giurata creava per le imprese straniere un onere aggiuntivo e una disparità di trattamento rispetto alle imprese italiane.
Il TAR Roma ha rigettato il ricorso richiamando importanti principi in merito al valore che assume la traduzione in lingua italiana certificata, nell’ambito di una gara d’appalto pubblico.
Ed infatti il giudice amministrativo ha evidenziato come la presentazione di certificazioni (concernenti i requisiti di qualificazione di una società ex art. 42 d.lgs. 163/2006) in lingua straniera (inglese nel caso in questione) non accompagnate della traduzione ufficiale in italiano equivale alla mancata produzione degli stessi “Tuttavia è bene ricordare che la giurisprudenza ha ritenuto che “la produzione di atti non accompagnati dalla traduzione ufficiale equivale alla non produzione degli stessi, in quanto impedisce alla stazione appaltante di avere immediata, diretta e certa contezza delle referenze relative alla capacità tecnico-economica dei concorrenti” (TAR Lazio, Sez. III-ter, 25.03.2003, n. 2565). D’altro canto, anche se la Commissione avesse avuto padronanza della lingua straniera, solo la traduzione giurata avrebbe potuto fornire garanzia ufficiale di corrispondenza tra la documentazione prodotta in lingua originale ed il suo significato.
In proposito il Collegio ritiene, conformemente all’orientamento del Giudice delle Leggi, che in varie occasioni ha statuito che la lingua italiana è la lingua ufficiale dello Stato, da usare obbligatoriamente, salve le espresse deroghe disposte a tutela dei gruppi linguistici minoritari, nell’ambito delle funzioni esercitate dai pubblici uffici (Corte costituzionale 11.02.1982, n. 28).
”.
Secondariamente ha chiarito come il “principio di reciprocità” debba essere inteso nel senso di garantire all’impresa straniera il trattamento giuridico analogo a quello di cui si chiede di poter beneficiare in Italia, ma non può essere in alcun modo inteso come facoltà di fornire una certificazione non tradotta nella lingua dichiarata come ufficiale nel bando di gara “Quanto, poi, al principio di reciprocità, cui le ricorrenti fanno ripetutamente riferimento, il Collegio rileva che esso va inteso nel senso che all’impresa straniera che partecipi ad una gara va garantito il trattamento giuridico analogo a quello di cui si chiede di poter beneficiare in Italia (TAR Lazio, Roma III-bis, 28.03.2007, n. 2671); in nessun modo esso può essere inteso come facoltà di fornire certificazione non tradotta nella lingua dichiarata come ufficiale nel bando di gara. Ciò, peraltro, non costituisce un onere aggiuntivo, ma è condizione per assicurare la libera circolazione dei servizi in tutti i paesi europei e la massima partecipazione degli operatori economici. ”.
In conclusione, la sentenza in oggetto, pur non innovando l’orientamento della giurisprudenza amministrativa in merito al valore della traduzione giurata, esplica in modo chiaro e preciso le ragioni che legittimano l’esclusione da una gara pubblica di quelle imprese che non assolvono a tale adempimento (commento tratto da www.professioni-imprese24.ilsole24ore.com - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: E' illegittimo il provvedimento di esclusione del concorrente nei confronti del quale, accertata l'irregolarità nel pagamento di una cartella esattoriale, la stessa non sia stata debitamente notificata allo stesso.
Nel caso di specie, la cartella non risultava debitamente notificata al destinatario-concorrente, in quanto consegnata con la dicitura “altri conviventi” presso la sede, sicché il procedimento di notifica non si era perfezionato stante la mancata prova dell’invio della raccomandata con ricevuta di ritorno, prescritta dall’art. 60 del DPR n. 600/1973.
E’ da condividersi il rilievo secondo cui le modalità di notifica della cartella esattoriale di cui sopra non risultano idonee e sufficienti per affermare con certezza l'avvenuta conoscenza da parte della ricorrente della cartella di cui è questione alla data della notifica della stessa a mani di persona qualificatasi, in assenza del destinatario, persona addetta al ritiro.
In detta evenienza, infatti, si impone che della avvenuta consegna a persona diversa dal destinatario, quest'ultimo sia informato con raccomandata. Il che, nel caso di specie, non è avvenuto, dovendosi ritenere veritiera la dichiarazione resa in ordine al requisito di regolarità contributiva (TAR Campania-Napoli, Sez. VIII, sentenza 14.01.2011 n. 201 - link a
www.mediagraphic.it).

EDILIZIA PRIVATANell’ambito del procedimento di accertamento della compatibilità paesaggistica (ex art. 167 D.Lgs. 42/2004) la Soprintendenza è chiamata ad esprimere soltanto un parere, fermo restando che, essendo tale parere vincolante per l’autorità preposta alla gestione del vincolo (da individuare nell’Amministrazione comunale), lo stesso deve essere qualificato come un atto immediatamente lesivo e, quindi, autonomamente impugnabile.
Esulano dalla eccezione prevista dall’articolo 167, comma 4, lettera a), gli interventi che abbiano contestualmente determinato la realizzazione di nuove superfici utili e di nuovi volumi e, di converso, sono suscettibili di un concreto accertamento della compatibilità paesistica anche i soppalchi, i volumi interrati ed i volumi tecnici.

Nell’ambito del procedimento di accertamento della compatibilità paesaggistica (ex art. 167 D.Lgs. 42/2004) la Soprintendenza è chiamata ad esprimere soltanto un parere, fermo restando che, essendo tale parere vincolante per l’autorità preposta alla gestione del vincolo (da individuare nell’Amministrazione comunale), lo stesso deve essere qualificato come un atto immediatamente lesivo e, quindi, autonomamente impugnabile (TAR Campania Napoli, Sez. VII, 26.02.2010, n. 1168).
Inoltre dall’art. 167, comma 5, del decreto legislativo n. 42/2004 si desume che il procedimento finalizzato al rilascio della c.d. autorizzazione paesaggistica in sanatoria ha una struttura completamente diversa da quello previsto dall’art. 159 del medesimo decreto legislativo per il rilascio della autorizzazione paesaggistica (durante il c.d. periodo transitorio), nell’ambito del quale non è previsto alcun intervento della Soprintendenza, che risulta invece chiamata ad effettuare un controllo di legittimità, a posteriori, sul provvedimento autorizzatorio adottato dall’autorità preposta alla gestione del vincolo.
Quanto poi alle condizioni in presenza delle quali l’Amministrazione può procedere all’accertamento della compatibilità paesaggistica delle opere realizzate in assenza della prescritta autorizzazione, questa Sezione nel precedente richiamato dal ricorrente (TAR Campania Napoli, Sez. VII, 03.04.2009, n. 1748) ha posto in rilievo che -ai fini di una corretta applicazione dell’art. 167, comma 4, lettera a), del decreto legislativo n. 42/2004- assume rilievo decisivo l’interpretazione teleologica di tale disposizione.
Infatti attenendosi rigorosamente ad una interpretazione letterale dell’art. 167, comma 4, lettera a), si perverrebbe a negare la possibilità di rilasciare l’autorizzazione paesistica in sanatoria anche per i volumi interrati, conclusione questa che si porrebbe tuttavia in stridente contrasto con la evidenziata ratio del divieto posto dall’art. 146 del decreto legislativo n. 42/2004, perché i volumi interrati sono palesemente privi di ogni incidenza sul paesaggio.
Analoghe considerazioni valgono per l’ulteriore argomento letterale che fa leva sul riferimento testuale alle “superfici utili”, dal quale si potrebbe desumere che le superfici non residenziali siano suscettibili di sanatoria. Infatti è evidente che la realizzazione di un soppalco all’interno di un preesistente volume è anch’essa priva di ogni incidenza sul paesaggio, a prescindere dal fatto che il soppalco determini o meno un aumento delle superfici residenziali.
Pertanto -secondo l’orientamento di questa Sezione- l’interpretazione teleologica induce inevitabilmente a ritenere che, nonostante l’utilizzo della particella disgiuntiva “o” nella frase “che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi”, il duplice riferimento alle nuove superfici utili e ai nuovi volumi costituisca un’endiadi, ossia una modalità di esprimere un concetto unitario con due termini coordinati.
In altri termini, la necessità di interpretare le eccezioni al divieto assoluto di rilasciare l’autorizzazione paesistica in sanatoria (previste dall’articolo 167, comma 4, del decreto legislativo n. 42/2004) in coerenza con la ratio dell’introduzione di tale divieto induce il Collegio a ritenere che esulino dalla eccezione prevista dall’articolo 167, comma 4, lettera a), gli interventi che abbiano contestualmente determinato la realizzazione di nuove superfici utili e di nuovi volumi e che, di converso, siano suscettibili di un concreto accertamento della compatibilità paesistica anche i soppalchi, i volumi interrati ed i volumi tecnici.
Dall’art. 167, comma 5, del decreto legislativo n. 42/2004 si desume inequivocabilmente che la Soprintendenza, essendo tenuta soltanto ad esprimere un parere, non è tenuta ad effettuare alcuna comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza di accertamento della compatibilità paesaggistica, perché tale adempimento deve essere posto in essere dall’autorità preposta alla gestione del vincolo prima di adottare il provvedimento finale di rigetto di tale istanza
(TAR Campania-Napoli, Sez. VII, sentenza 14.01.2011 n. 176 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa realizzazione di un porticato chiuso lateralmente su due lati va a costituire una nuova superficie utile, essendo il porticato destinato ad ospitare arredi fissi e, quindi, a consentire di svolgervi varie attività della vita quotidiana.
Il porticato, proprio in quanto comportante la contestuale realizzazione di una nuova superficie utile, non è qualificabile né come un volume interrato, né come un volume tecnico

Secondo la prevalente giurisprudenza (ex multis, Cons. Stato, Sez. IV, 13.10.2010, n. 7481; TAR Puglia Bari, Sez. III, 06.02.2009, n. 222; TAR Campania, Napoli, Sez. IV, 22.03.2007, n. 2725), anche la realizzazione di un porticato chiuso lateralmente su due lati va a costituire una nuova superficie utile, essendo il porticato destinato ad ospitare arredi fissi e, quindi, a consentire di svolgervi varie attività della vita quotidiana, potendosi finanche ipotizzare un utilizzo invernale grazie alla collocazione di barriere protettive mobili e di moderni “lampioni” per riscaldamento a gas.
Inoltre risulta evidente che il porticato, proprio in quanto comportante la contestuale realizzazione di una nuova superficie utile, non è qualificabile né come un volume interrato, né come un volume tecnico
(TAR Campania-Napoli, Sez. VII, sentenza 14.01.2011 n. 176 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAAi fini della ricorrenza del requisito della precarietà di una costruzione, che esclude la necessità del rilascio di un titolo edilizio, si deve valutare l'opera alla luce della sua obiettiva ed intrinseca destinazione naturale, con la conseguenza che rientrano nella nozione giuridica di costruzione, per la quale occorre il permesso di costruire, tutti quei manufatti che, anche se non necessariamente infissi nel suolo e pur semplicemente aderenti a questo, alterino lo stato dei luoghi in modo stabile, non irrilevante e non meramente occasionale.
Quindi sono esenti dall'assoggettamento al permesso di costruire solo le costruzioni aventi caratteristiche di precarietà strutturale e funzionale, cioè destinate fin dall'origine a soddisfare esigenze contingenti e circoscritte nel tempo mentre: al contrario, deve ritenersi sottoposta a tale regime la edificazione di manufatti destinati ad una utilizzazione perdurante nel tempo, di talché l'alterazione del territorio non può essere considerata temporanea, precaria od irrilevante.
Deve escludersi il carattere temporaneo e precario del chiosco in esame (per la somministrazione al pubblico di bevande ed alimenti) giacché esso appare finalizzato stabilmente ed in modo durevole all’utilizzo commerciale per la somministrazione al pubblico di bevande ed alimenti, tenuto anche conto che il manufatto non presenta le caratteristiche di amovibilità, in quanto dall’esame dell’atto impugnato emerge che lo stesso è allacciato alla rete idrica/fognaria e di pubblica illuminazione (peraltro in difetto di autorizzazione e risultando privo anche dei relativi contatori per i consumi idrico ed elettrico).
Risulta recessiva la sussistenza di un’autorizzazione sindacale rilasciata per l’installazione del chiosco di che trattasi che non presenta i requisiti soggettivi (rilascio da parte dei competenti uffici comunali) ed oggettivi (verifica della conformità urbanistica dell’opera) del titolo edilizio occorrente per la realizzazione del manufatto.

Il mezzo di gravame si fonda sull’assunto secondo il quale la realizzazione del manufatto (chiosco per la somministrazione al pubblico di bevande ed alimenti) non richiederebbe alcun permesso di costruire ed inoltre l’occupazione del suolo pubblico sarebbe avvenuto in forza di autorizzazione rilasciata dal Sindaco in data 25.02.2005: pertanto, secondo la prospettazione di parte ricorrente, l’ordinanza di demolizione risulterebbe emessa in difetto dei presupposti di legge dato che, ai sensi dell’art. 31 D.P.R. 380/2001, essa postula la realizzazione di manufatti in assenza o in difformità dal titolo edilizio.
Le argomentazioni di parte ricorrente non appaiono condivisibili alla luce del consolidato orientamento della giurisprudenza amministrativa secondo cui, ai fini della ricorrenza del requisito della precarietà di una costruzione, che esclude la necessità del rilascio di un titolo edilizio, si deve valutare l'opera alla luce della sua obiettiva ed intrinseca destinazione naturale, con la conseguenza che rientrano nella nozione giuridica di costruzione, per la quale occorre il permesso di costruire, tutti quei manufatti che, anche se non necessariamente infissi nel suolo e pur semplicemente aderenti a questo, alterino lo stato dei luoghi in modo stabile, non irrilevante e non meramente occasionale (TAR Napoli, Sez. VIII, 02.07.2010 n. 16563 e Sez. III, 16.04.2008, n. 2207): difatti, il testo unico in materia edilizia annovera [all’art. 3, primo comma, lett. e)] tra gli interventi di nuova costruzione, per i quali è richiesto il permesso di costruire, “l'installazione di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere, quali roulottes, campers, case mobili, imbarcazioni, che siano utilizzati come abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili, e che non siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee”.
Quindi sono esenti dall'assoggettamento al permesso di costruire solo le costruzioni aventi caratteristiche di precarietà strutturale e funzionale, cioè destinate fin dall'origine a soddisfare esigenze contingenti e circoscritte nel tempo mentre: al contrario, deve ritenersi sottoposta a tale regime la edificazione di manufatti destinati ad una utilizzazione perdurante nel tempo, di talché l'alterazione del territorio non può essere considerata temporanea, precaria od irrilevante.
Applicando tali principi al caso in esame ne consegue che deve escludersi il carattere temporaneo e precario del chiosco in esame giacché esso appare finalizzato stabilmente ed in modo durevole all’utilizzo commerciale per la somministrazione al pubblico di bevande ed alimenti, tenuto anche conto che il manufatto non presenta le caratteristiche di amovibilità, in quanto dall’esame dell’atto impugnato emerge che lo stesso è allacciato alla rete idrica/fognaria e di pubblica illuminazione (peraltro in difetto di autorizzazione e risultando privo anche dei relativi contatori per i consumi idrico ed elettrico).
Per l’effetto, non è contestabile la natura abusiva dell’opera in quanto realizzata in difetto di titolo abilitativo, risultando viceversa recessiva la sussistenza di un’autorizzazione sindacale rilasciata per l’installazione del chiosco che non presenta i requisiti soggettivi (rilascio da parte dei competenti uffici comunali) ed oggettivi (verifica della conformità urbanistica dell’opera) del titolo edilizio occorrente per la realizzazione del manufatto, tenuto anche conto che il provvedimento impugnato contiene revoca espressa della summenzionata autorizzazione sindacale.
Pertanto, il provvedimento sanzionatorio è stato legittimamente emesso dall’amministrazione resistente che, peraltro, ha compiutamente esposto le ragioni logico–giuridiche poste a fondamento della gravata demolizione, con conseguente reiezione anche della censura che attiene al difetto di motivazione (TAR Campania-Napoli, Sez. VIII, sentenza 14.01.2011 n. 145 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIn caso di ordine di demolizione delle opere abusive non solo non è necessaria la comunicazione di avvio del procedimento ma, soprattutto, l’ordine di demolizione, come tutti i provvedimenti sanzionatori in materia edilizia, è atto vincolato e, quindi, non richiede una specifica valutazione delle ragioni d'interesse pubblico, anche di natura urbanistica ed ambientale, né una comparazione di quest'ultimo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati.
Il presupposto per l'adozione dell'ordine di demolizione è costituito soltanto dalla constatata esecuzione dell'opera in totale difformità dal titolo edilizio o in assenza del medesimo, con la conseguenza che tale provvedimento, ove ricorrano i predetti requisiti, è sufficientemente motivato con l'affermazione dell'accertata abusività dell'opera, essendo in re ipsa l'interesse pubblico alla sua rimozione.

Per costante giurisprudenza, in caso di ordine di demolizione delle opere abusive non solo non è necessaria la comunicazione di avvio del procedimento (trattandosi di atto dovuto, sicché non sono richiesti apporti partecipativi del soggetto destinatario, TAR Campania, Napoli, Sez. VIII, 29.01.2009 n. 5001), ma soprattutto, l’ordine di demolizione, come tutti i provvedimenti sanzionatori in materia edilizia, è atto vincolato e, quindi, non richiede una specifica valutazione delle ragioni d'interesse pubblico, anche di natura urbanistica ed ambientale, né una comparazione di quest'ultimo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati: infatti il presupposto per l'adozione dell'ordine di demolizione è costituito soltanto dalla constatata esecuzione dell'opera in totale difformità dal titolo edilizio o in assenza del medesimo, con la conseguenza che tale provvedimento, ove ricorrano i predetti requisiti, è sufficientemente motivato con l'affermazione dell'accertata abusività dell'opera, essendo in re ipsa l'interesse pubblico alla sua rimozione (Consiglio di Stato, Sez. IV, 27.04.2004, n. 2529; TAR Campania Napoli, Sez. IV, 02.12.2004, n. 18085) (TAR Campania-Napoli, Sez. VIII, sentenza 14.01.2011 n. 145 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

PUBBLICO IMPIEGOSussiste il diritto del dipendente pubblico ai permessi mensili retribuiti, ai sensi dell’art. 33, comma 3, della legge n. 104 del 1992, per poter assistere il familiare disabile anche se quest’ultimo non è convivente e abita in altra città.
Il Collegio, confermando l’orientamento già fatto proprio da questa Sezione (cfr. sentenza n. 1329/2010 cit.), ritiene che il requisito della continuità dell’assistenza non possa farsi coincidere con una quotidianità dell’assistenza medesima, essendo sufficiente che tale assistenza si svolga secondo criteri di sistematicità e di adeguatezza (orientamenti giurisprudenziali recepiti dall’I.N.P.S. con la circolare n. 90 del 23.05.2007), come condivisibilmente prospettato da parte ricorrente; tanto è vero che i benefici per cui è causa non possono invece essere riconosciuti solo per l’ipotesi di ricovero del disabile a tempo pieno presso apposita struttura.
Se quanto sopra è vero, la distanza non può in sé rappresentare elemento dirimente alla mancata concessione del beneficio, come sostenuto da questa Sezione nell’ordinanza n. 591 dell’01.10.2009 di accoglimento dell’istanza incidentale di sospensione; anche con la suddetta sentenza n. 1329/2010, peraltro richiamata da parte ricorrente nella memoria depositata il 26.11.2010, questa Sezione ha ritenuto che per continuità dell’assistenza, intesa anche come effettività dell’assistenza in favore del disabile da parte del lavoratore, genitore o parente del soggetto stesso, non possa –ai fini della concessione dei giorni di permesso– aversi riguardo in senso ostativo ad una accezione del concetto di lontananza solo in senso spaziale.
Seppure la lesione di un diritto inviolabile della persona concretamente individuato è fonte di responsabilità risarcitoria non patrimoniale ai sensi dell'art. 2059 c.c. che tutela le violazioni gravi di diritti inviolabili della persona, non altrimenti rimediabili. (cfr. Consiglio di Stato, Sezione VI, 23.03.2009, n. 1716) si ritiene di dover ulteriormente evidenziare che, anche a voler ammettere la sua configurabilità per una tipologia di danno quale quella addotta nel caso di specie, la relativa domanda va comunque rigettata in quanto il diritto al risarcimento del danno morale, in tutti i casi in cui è ritenuto risarcibile, non può prescindere dalla allegazione da parte del richiedente, degli elementi di fatto dai quali desumere l'esistenza e l'entità del pregiudizio (cfr. Cassazione Sezioni Unite n. 3677/2009) (TAR Puglia-Bari, Sez. III, sentenza 14.01.2011 n. 63 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAAi fini della decorrenza del termine per l'impugnazione di una concessione edilizia o del permesso di costruire:
- occorre in generale la sua piena conoscenza, che si verifica con la consapevolezza del contenuto specifico del titolo autorizzatorio o del progetto edilizio, o ancora quando la costruzione realizzata rivela in modo certo ed inequivoco le essenziali caratteristiche dell'opera e l'eventuale non conformità della stessa alla disciplina urbanistica;
- la prova della piena ed effettiva conoscenza del titolo edilizio può essere desunta anche da elementi presuntivi, come l'intervenuta ultimazione dei lavori, o quando questi siano giunti almeno ad un punto tale che non si possa avere più alcun dubbio sulla consistenza, entità e reale portata dell'intervento edilizio assentito;
- occorre, in altri termini, che le opere abbiano raggiunto uno stadio e una consistenza tali da renderne chiara l'illegittimità e la lesività per le posizioni soggettive del confinante;
- per contro, non è sufficiente il mero inizio dei lavori, né tanto meno l'apposizione di un cartello recante gli estremi e l'oggetto del titolo autorizzatorio edilizio.

Secondo consolidati orientamenti giurisprudenziali (riassuntivamente, da ultimo, cfr. Cons. Stato, V, 12.07.2010, n. 4482 e IV, 12.06.2009, n. 3730), ai fini della decorrenza del termine per l'impugnazione di una concessione edilizia o del permesso di costruire:
- occorre in generale la sua piena conoscenza, che si verifica con la consapevolezza del contenuto specifico del titolo autorizzatorio o del progetto edilizio, o ancora quando la costruzione realizzata rivela in modo certo ed inequivoco le essenziali caratteristiche dell'opera e l'eventuale non conformità della stessa alla disciplina urbanistica (cfr. Cons. Stato, IV, 10.12.2007, n. 6342; 12.02.2007, n. 599; V, 24.08.2007, n. 4485; 23.09.2005, n. 5033; 08.10.2002, n. 5312; 08.07.2002, n. 3805);
- la prova della piena ed effettiva conoscenza del titolo edilizio può essere desunta anche da elementi presuntivi, come l'intervenuta ultimazione dei lavori, o quando questi siano giunti almeno ad un punto tale che non si possa avere più alcun dubbio sulla consistenza, entità e reale portata dell'intervento edilizio assentito (cfr. Cons. Stato, V, 03.03.2004, n. 1022; VI, 10.06.2003, n. 3265);
- occorre, in altri termini, che le opere abbiano raggiunto uno stadio e una consistenza tali da renderne chiara l'illegittimità e la lesività per le posizioni soggettive del confinante (cfr. Cons. Stato, IV, 31.07.2008, n. 3849; 12.02.2007, n. 599; V, 19.09.2007, n. 4876; 28.06.2004, n. 4790; VI, 10.06.2003 n. 3265; 14.03.2002 n. 1533);
- per contro, non è sufficiente il mero inizio dei lavori (cfr. Cons. Stato, V, 28.06.2004, n. 4790), né tanto meno l'apposizione di un cartello recante gli estremi e l'oggetto del titolo autorizzatorio edilizio (cfr. Cons. Stato, VI, 12.02.2007, n. 540; IV, 11.04.2007, n. 1654).
Il Collegio non ravvisa motivo per discostarsi da detti orientamenti, peraltro seguiti anche da questo Tribunale (cfr., da ultimo, sent. 01.07.2010, n. 396 -relativa ad una controversia per molti aspetti analoga, per quanto si dirà, alla presente– in cui, richiamandosi Cons. Stato, V, 06.02.2008, n. 322 e 04.03.2008, n. 885, viene individuato nel completamento dei lavori strutturali il momento nel quale, di norma, la piena conoscenza si può ritenere raggiunta) (TAR Umbria, sentenza 13.01.2011 n. 3 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa ristrutturazione edilizia esprime un progetto edilizio; la ristrutturazione urbanistica esprime un progetto urbanistico. Una ristrutturazione urbanistica effettuata con intervento diretto è una contraddizione in termini, un ossimoro.
Conviene ricordare che per ristrutturazione edilizia si intendono «gli interventi rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare a un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente...» inclusa anche la integrale demolizione e ricostruzione del fabbricato purché senza modifiche di volumetria, area di sedime e sagoma.
Invece per ristrutturazione urbanistica si intendono gli interventi «rivolti a sostituire l'esistente tessuto urbanistico-edilizio, urbano o rurale, con altro diverso, mediante un insieme sistematico di interventi edilizi, anche con la modifica e/o lo spostamento dell'area di sedime e la modificazione del disegno dei lotti, degli isolati e della rete stradale».
Non si deve pensare che quella edilizia e quella urbanistica siano due varietà della unica species ristrutturazione, tanto da meritare una disciplina sostanzialmente comune. Al contrario, si tratta di due figure radicalmente diverse, come dimostrano le rispettive definizioni, che risalgono all’art. 31 della legge n. 457/1978. Caratterizzante è l’aggettivo, non il sostantivo.
La ristrutturazione edilizia esprime un progetto edilizio; la ristrutturazione urbanistica esprime un progetto urbanistico. Una ristrutturazione urbanistica effettuata con intervento diretto è una contraddizione in termini, un ossimoro.
In effetti, già la legge n. 457/1978 –la quale ha introdotto nell’ordinamento l’istituto del “piano di recupero” (ora confluito nel piano attuativo) e la figura della ristrutturazione urbanistica intesa come la forma più complessa e penetrante del recupero dell’esistente– all’art. 27, quarto comma (nel testo originario) disponeva: «Qualora [i piani regolatori generali] subordinino il rilascio della concessione [edilizia] alla formazione del piano particolareggiato, sono consentiti, in assenza di questo, gli interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria, nonché di restauro e di ristrutturazione edilizia che riguardino esclusivamente opere interne e singole unità immobiliari, con il mantenimento delle destinazioni d'uso residenziali».
Gli interventi di ristrutturazione urbanistica rimanevano invece assoggettati, in ogni caso, alla previa formazione di un piano particolareggiato; e ciò, come si è visto, per una necessità logica prima che per una scelta del legislatore. (…)
(TAR Umbria, sentenza 13.01.2011 n. 3 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZI: Sulla interpretazione di "gara" ai fini dell'art. 15, c. 9, d.lvo n. 164/2000, in materia di prosecuzione delle gestione in essere del servizio pubblico di distribuzione del gas.
Il servizio pubblico di distribuzione del gas resta soggetto alla disciplina del d.lgs. 164/2000 e dell'articolo 46-bis del d.l. 159/2007. La definizione degli ambiti per la distribuzione del gas non è sufficiente per l'indizione delle gare (di ambito).

Una interpretazione comunitariamente orientata del presupposto considerato dall'art. 15, c. 9, del D.Lgs. n. 164/2000, in materia di prosecuzione delle gestione in essere del servizio pubblico di distribuzione del gas, conduce a ritenere che l'elemento qualificante di una "gara", sia la predefinizione e comunicazione ai potenziali interessati delle regole della competizione (nella forma, quanto meno, dei contenuti delle offerte e dei relativi criteri di valutazione), unica seria garanzia che la scelta del contraente privato rispetti i principi di imparzialità e parità di trattamento, a tutela della concorrenza e del mercato, e presupposto indispensabile della sua sindacabilità in sede giurisdizionale. D'altra parte, la proroga dodecennale degli affidamenti in essere si giustifica in quanto si tratti di affidamenti intervenuti sulla base di regole quanto meno analoghe a quelle che dovranno essere seguite per i nuovi, aventi la medesima durata massima. Nel caso di specie, mancando questo minimum, sotto il profilo della predefinizione delle regole della competizione, e, più in generale, sotto quello della imparzialità e parità di trattamento nella scelta, occorre concludere che si sia in realtà trattato di un affidamento diretto.
Mentre in linea di principio la disciplina generale in tema di servizi pubblici locali di rilevanza economica prevale anche su quelle di settore con essa incompatibili (c. 1 dell'art. 23-bis del d.l. 112/2008, convertito in l. 133/2008), ciò non accade relativamente alla distribuzione del gas naturale, per la quale continuano ad applicarsi integralmente il d.lgs. 164/2000 e l'art. 46-bis del d.l. 159/2007.
La definizione degli ambiti non è sufficiente per l'indizione delle gare (di ambito), posto che, non avendo la legge individuato un'autorità competente all'espletamento della gara, occorrerà comunque che gli enti locali ricompresi negli ambiti si organizzino (mediante accordi) per gestire la procedura; senza contare che l'art. 46-bis, c. 3, del d.l. 159/2007, prevede comunque, per l'espletamento della gara, un termine di due anni dall'individuazione degli ambiti. L'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha, altresì, affermato che "… pur essendo certamente auspicabile, sotto il profilo dell'efficienza delle gestioni, l'espletamento di gare sulla base di ambiti territoriali minimi, l'interpretazione orientata a sostenere il blocco delle gare fino alla determinazione di detti ambiti si ponga in contrasto con il principio comunitario di concorrenza, la cui attuazione, attraverso un atto ministeriale potrebbe essere rinviata ad un futuro incerto, con il rischio di ritardare ulteriormente il completamento del processo di liberalizzazione del settore del gas" (TAR Umbria, sentenza 13.01.2011 n. 1 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

URBANISTICAL’obbligazione di provvedere alla realizzazione delle opere di urbanizzazione assunta dal lottizzante è di natura propter rem. Esse fanno carico al soggetto, che si trovi ad esserne proprietario ed hanno quale caratteristica quella di basarsi su fatti relativi ad una cosa immobile.
L’obbligazione assunta dal soggetto che ha stipulato una convenzione urbanistica va adempiuta, non solo da costui, ma anche da colui, se soggetto diverso, che richiede la concessione edilizia o, oggi, il permesso di costruire.
In giurisprudenza non vi è unanimità di vedute in ordine alla data di decorrenza del termine fissato in convenzione per l’esecuzione del piano di lottizzazione.

La giurisprudenza ha affermato che l’obbligazione di provvedere alla realizzazione delle opere di urbanizzazione assunta dal lottizzante è di natura propter rem. Esse fanno carico al soggetto, che si trovi ad esserne proprietario ed hanno quale caratteristica quella di basarsi su fatti relativi ad una cosa immobile.
A ciò consegue che l’obbligazione assunta dal soggetto che ha stipulato una convenzione urbanistica va adempiuta, non solo da costui, ma anche da colui, se soggetto diverso, che richiede la concessione edilizia o, oggi, il permesso di costruire (TAR Lombardia, Brescia, 13.08.2003 n. 1157; Cass. sez. I, 20.12.1994 n. 10947; id., sez. II, 26.11.1988 n. 6382).
E' noto che in giurisprudenza non vi è unanimità di vedute in ordine alla data di decorrenza del termine fissato in convenzione per l’esecuzione del piano.
Secondo una prima tesi il termine, fissato in un decennio, maturerebbe dopo la scadenza dei primi dieci anni di durata della convenzione di lottizzazione. Secondo tale tesi il termine decorre, non dalla data di assunzione dell'obbligo di cessione dei terreni previsto in convenzione, bensì dalla scadenza del periodo decennale di validità della convenzione stessa (in questo senso, di recente, TAR Abruzzo L'Aquila, sez. I, 13.11.2008 n. 1218; TAR Lombardia Brescia, 03.02.2003 n. 65).
Altro orientamento, sul presupposto che il termine decennale per l’attuazione dei piani particolareggiati è applicabile analogicamente anche ai piani di lottizzazione, allo scopo di consentire, entro il termine decennale di efficacia, l’esecuzione coercitiva in forma specifica degli obblighi assunti nelle relative convenzioni, ritiene che l’amministrazione ha tempo per chiedere l'esecuzione degli obblighi assunti dai privati interessati il successivo decennio, decorrente dalla stipula della convenzione, o al più dalla data successiva della sua trascrizione nei registri immobiliari
(TAR Calabria-Catanzaro, Sez. I, sentenza 12.01.2011 n. 12 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: RIFIUTI - Traffico illecito di rifiuti - Art. 260 d.lgs. n. 152/2006 - Competenza per territorio - Individuazione.
La competenza per il reato di cui all’art. 260 del d.lgs. n. 152/2006 non si determina nel luogo ove si organizza l’articolato sistema per evadere la disciplina e sfuggire ai controlli (illecita declassificazione dei rifiuti e predisposizione di falsi certificati), ma in quello in cui avviene l’arrivo dei vari camion di rifiuti e il loro interramento, poiché solo l’accumulo di ingenti quantitativi di rifiuti sigla il perfezionamento del reato.
Ed invero il delitto intende sanzionare comportamenti non occasionali di soggetti che, al fine di conseguire un ingiusto profitto, fanno della illecita gestione dei rifiuti la loro redditizia, anche se non esclusiva, attività (cfr Cass. penale 3, n. 46705 del 03/11/20009 e 824 del 26/04/2010).
RIFIUTI - Traffico illecito di rifiuti - Art. 260 d.lgs. n. 152/2006 - Pluralità di condotte in continuità temporale - Reato abituale - Determinazione della competenza.
Il delitto previsto dall’art. 260 del d.lgs. n. 152/2006 implica un pluralità di condotte in continuità temporale, relativa ad una o più delle diverse fasi nelle quali si concretizza ordinariamente la gestione dei rifiuti e più operazioni illegali degli stessi.
Queste operazioni, se considerate singolarmente, possono essere inquadrate sotto altre e meno gravi fattispecie, ma valutate in modo globale integrano gli estremi del reato di cui al menzionato art. 260; in altre parole, alla pluralità delle azioni, che è elemento costitutivo del fatto, corrisponde un’unica violazione di legge.
Pertanto il reato deve considerarsi abituale dal momento che per il suo perfezionamento è necessario la realizzazione di più comportamenti della stessa specie; ne consegue che la competenza deve essere determinata nel luogo in cui le varie frazioni della condotta, per la loro reiterazione, hanno determinato il comportamento punibile (cfr. Cass. Penale sez. 3, n. 46705 del 03/11/2009) (TRIBUNALE di Napoli, Sez. I penale, sentenza 29.12.2010 n. 17359 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATAIn merito al rilascio della concessione edilizia (ora permesso di costruire), il termine “rilascio” non può non equivalere a consegna perché l’interesse della parte è a natura pretensiva, ossia attiene alla acquisizione di una specifica utilità, riconnessa ad un bene della vita, che può derivargli solo da un provvedimento espresso, ossia formale (infatti, a norma dell’art. 20 comma 9 del DPR 380/2001, il decorso del termine a provvedere è qualificato come silenzio rifiuto) e nessuna formalità avrebbe senso se fosse disgiunta da una successiva comunicazione materiale del documento.
Appare più che verosimile ritenere che la nozione legislativa faccia riferimento alla data della consegna del titolo in mani del destinatario quale termine “a quo” del computo dell’anno di tempo per l’inizio dei lavori, ossia al “rilascio” inteso ai sensi del comma 7 della disposizione, comprensivo quindi della avvenuta notifica che perfeziona la fattispecie.

Nella disciplina in vigore a livello nazionale, viene in esame l’art. 15 D.P.R. 06.06.2001 n. 380, a norma del quale ”1. Nel permesso di costruire sono indicati i termini di inizio e di ultimazione dei lavori. 2. Il termine per l'inizio dei lavori non può essere superiore ad un anno dal rilascio del titolo; quello di ultimazione, entro il quale l'opera deve essere completata non può superare i tre anni dall'inizio dei lavori. Decorsi tali termini il permesso decade di diritto per la parte non eseguita, tranne che, anteriormente alla scadenza venga richiesta una proroga”.
Tale disposizione pare recare una espressa ed esplicita decorrenza del termine “dal rilascio del titolo” che, nella lettura della giurisprudenza più recente, non consente di conferire rilevanza alla comunicazione del titolo agli interessati.
A tale proposito, si osserva infatti che secondo alcune pronunce (TAR Lazio Latina, I, 09.07.2007, nr. 482), a norma dell’art. 31 della l. 17.08.1942, nr. 1150, la decorrenza dei termini dipendeva dalla effettiva conoscenza del provvedimento concessorio, mentre nel vigore della disciplina attuale (art. 15, comma 2 del DPR 380/2001), decorre dalla data di “rilascio” e non più di “ritiro”.
Analogamente, altre pronunce espressamente ritengono la c.e. un atto non recettizio idoneo a produrre gli effetti suoi propri dalla data di emanazione (Cass. Civ. I 30.11.2006, nr. 25536; TAR Liguria Genova, I, 11.03.2003 n. 279; TAR Sardegna 10.11.1992, nr. 1429; sulla natura non recettizia della licenza edilizia, cfr. anche Consiglio di Stato, V, 11.07.1980, nr. 695; V, 28.04.1981 nr. 141; V, 30.09.1983 nr. 413; 02/07/1993, nr. 770).
Confermerebbe, nell’ordinamento regionale siciliano, la natura non recettizia della concessione edilizia, il regime del rilascio della concessione ex art. 2 della LR 17/1994, considerato che, secondo la giurisprudenza, la comunicazione di inizio dei lavori non potrebbe intervenire oltre l’anno dalla formazione del titolo tacito (TAR Sicilia Palermo, III, 09.11.2006 n. 2979), a pena di evidenti disparità di trattamento tra il titolare del titolo tacito e quello in possesso di un titolo formale (per il quale varrebbero i termini di inizio ed ultimazione delle opere secondo la disciplina di cui all’art. 36 LR 71/1978 che rappresenta l’equivalente normativo dell’attuale art. 15 del DPR 380/22001 in ambito nazionale e che, come quest’ultima norma, fa riferimento alla data di “rilascio” del titolo per la decorrenza dei suddetti termini, che viene letta, in tal senso, come data di emanazione dell’atto concessorio).
Non mancano, comunque, nella giurisprudenza più risalente, pronunce secondo le quali la concessione edilizia è un provvedimento amministrativo “recettizio” che si perfeziona con la comunicazione agli interessati (Consiglio di Stato, V, 27.09.1996, nr. 1152; cfr. anche TAR Piemonte, Torino, II, 04.11.2008, nr. 2749; TAR Piemonte, Torino, I, 01.09.2006, nr. 3166).
Quest’ultimo ordine di principi è dominante nella dottrina specialistica, che, tra le voci più autorevoli, ha evidenziato che la natura del problema dipende dall’interesse tutelato: se si considera che il termine di inizio dei lavori tutela l’interesse pubblico alla celere esecuzione dei lavori, al fine di non permettere che essi avvengano in un contesto urbanistico modificatosi per effetto del trascorrere del tempo, rispetto a quello preso in esame al momento del rilascio del titolo, la decorrenza dell’anno per l’inizio dei lavori avviene dalla data del titolo. Se, invece, si considera il termine come posto a tutela dell’interesse del privato per consentirgli di predisporre i mezzi necessari all’esecuzione dei lavori, decorre dalla data di consegna dell’atto. Attesa, comunque, la natura sanzionatoria del termine, quest’ultima tesi dovrebbe essere preferita.
Il Collegio non è pago delle conclusioni cui è pervenuto l’orientamento giurisprudenziale maggioritario, per più ordini di ragioni.
La norma previgente, che nell’art. 15 del DPR in esame è confluita, ossia l’art. 4 L. n. 10/1977, prevedeva che “nell'atto di concessione sono indicati i termini di inizio e di ultimazione dei lavori. Il termine per l'inizio dei lavori non può essere superiore ad un anno; il termine di ultimazione, entro il quale l'opera deve essere abitabile o agibile, non può essere superiore a tre anni e può essere prorogato, ….omississ”.
Come è evidente, la disposizione oggi in vigore è chiara nel fissare, quale termine a quo la data di “rilascio” del titolo, a differenza della disposizione di cui all’art. 4 che, invece, fissava solo una espressa disciplina del termine finale.
Tuttavia, il termine “rilascio” non appare univoco, in prima lettura, perché può sostanzialmente significare (da un punto di vista semantico) sia “emanazione”, sia “consegna”, con ovvie diverse conseguenze ai fini della decorrenza degli effetti.
Tra le due possibili significazioni, la seconda appare sicuramente più rispondente al lessico del legislatore, se si considera che, laddove quest’ultimo avesse voluto fare riferimento alla data della “emanazione” dell’atto, avrebbe usato sinonimi dal più corretto significato tecnico, come “data dell’atto” oppure, “data di adozione” o, più semplicemente “adozione”.
Tra l’altro, in un contesto procedimentale doveroso che trae origine dalla istanza di parte, il termine “rilascio” non può non equivalere a consegna perché l’interesse della parte è a natura pretensiva, ossia attiene alla acquisizione di una specifica utilità, riconnessa ad un bene della vita, che può derivargli solo da un provvedimento espresso, ossia formale (infatti, a norma dell’art. 20 comma 9 del DPR 380/2001, il decorso del termine a provvedere è qualificato come silenzio rifiuto) e nessuna formalità avrebbe senso se fosse disgiunta da una successiva comunicazione materiale del documento.
Conferme in tal senso derivano all’interprete dall’analisi sistematica del complesso di norme che, nel DPR 380/2001, disciplinano il procedimento di formazione della concessione edilizia.
L’art. 20 è, infatti, rubricato “procedimento per il ‘rilascio’ del permesso di costruire”; il comma 1 disciplina la presentazione della “domanda per il ‘rilascio’ del permesso..”; altri riferimenti al termine “rilascio” sono contenuti in varie parti della disposizione; ciò che più appare pertinente alla analisi in oggetto è, però, il comma 7 della disposizione in esame, a norma del quale “il provvedimento finale, che lo sportello unico provvede a notificare all’interessato, è adottato dal dirigente…entro quindici giorni dalla proposta di cui al comma 3….dell’avvenuto rilascio del permesso di costruire è data notizia al pubblico mediante affissione all’albo pretorio….”.
Secondo la lettura della disposizione, globalmente considerata, appare evidente che, poiché è, per la prima volta, chiaramente contemplata l’”adozione” del provvedimento finale ed altresì la sua “comunicazione” mediante notifica, è evidente che quel “rilascio” del provvedimento cui tutta la disciplina dell’art. 20 è preordinata, non può che essere costituito da una fase complessa che si compone di due momenti, appunto l’”adozione” (che è ad opera del dirigente o del responsabile) e la “notifica” dello stesso provvedimento (che avviene, quest’ultima, a cura dello sportello unico).
Poiché, inoltre, la norma fa riferimento alla “notifica” e non alla comunicazione pura e semplice, ne deriva che il legislatore connette effetti costitutivi alla fase della trasmissione dell’atto al destinatario, dal momento che richiede l’acquisizione di una data certa in cui ciò avviene e disciplina espressamente la responsabilità di tale adempimento individuandone la competenza (ossia fissandola in capo allo sportello unico) in soggetto diverso da quello chiamato all’adozione del provvedimento.
Ulteriore conferma si ha nell’esame della disciplina del silenzio rifiuto che, secondo il comma 9 dell’art. 20, si forma se, entro il termine di legge, non viene “adottato” il provvedimento finale: in questo caso, il legislatore fa ancora riferimento all’adozione dell’atto, non al suo rilascio, con ciò dimostrando come l’uso del termine sia consapevole e indicatore di una precisa scelta normativa.
Inoltre, formandosi il silenzio rifiuto per mancanza “adozione” dell’atto finale, si conferma non solo che le nozioni di “adozione” e “rilascio” sono diverse, ma anche che l’eventuale adozione non seguita dalla notifica non determina silenzio rifiuto. Su questo aspetto si tornerà oltre. Qui vale rilevare che l’atto adottato e non comunicato, per effetto del comma 9 dell’art. 20, va considerato come “perfetto” ed inefficace, in quanto carente della necessaria fase integrativa dell’efficacia.
Appare dunque più che verosimile ritenere che la nozione legislativa faccia riferimento alla data della consegna del titolo in mani del destinatario quale termine “a quo” del computo dell’anno di tempo per l’inizio dei lavori, ossia al “rilascio” inteso ai sensi del comma 7 della disposizione, comprensivo quindi della avvenuta notifica che perfeziona la fattispecie.
Ad avviso del Collegio, altri argomenti di natura sistematica portano a dover concludere nel medesimo segno e dunque in diverso avviso dalla giurisprudenza dominante.
L’art. 21-bis della l. 241/1990 pone il principio secondo il quale i provvedimenti limitativi della sfera giuridica del privato sono a carattere necessariamente recettizio; il legislatore ha così recepito l’insegnamento anche della dottrina, secondo il quale l’atto amministrativo è per sua natura recettizio ogni qual volta richieda, per essere portato ad esecuzione, la collaborazione del privato e dunque postuli la sua effettiva conoscenza, in capo a quest’ultimo.
La affermazione della natura recettizia dei provvedimenti “sfavorevoli” deriva da esigenze di certezza dell’azione amministrativa e di giustizia sostanziale.
Sulla base di questa disposizione, la dottrina ha ritenuto anche che tutti gli altri atti amministrativi non sono recettizi e dunque si perfezionano solo con la loro emanazione, non rivestendo la fase della comunicazione successiva, un carattere di necessità ai fini della perfezione dell’atto.
Anche aderendo a tale ricostruzione dottrinaria, il Collegio deve però osservare che, in un singolo provvedimento amministrativo “ampliativo” possono sussistere clausole, ovvero vere e proprie condizioni, che assistono corrispondenti interessi pubblici, a carattere e natura limitativa, come quelle che comminano oneri sanzionati con effetti pregiudizievoli, come appunto, i termini di decadenza nella concessione edilizia.
Sostenere che la concessione edilizia, in quanto atto ampliativo, non è soggetta ad obbligo di comunicazione,ai fini della integrazione della efficacia, appare, dunque,una evidente contraddizione con il principio e la ratio dell’art. 21-bis della l. 241/1990, perché è sicuramente un atto limitativo della sfera giuridica del privato quello specifico contenuto di un provvedimento ampliativo, che ne condiziona l’utilità al compimento necessitato di determinate attività entro specifici termini posti a pena di decadenza.
In altri termini, l’atto ampliativo, sebbene favorevole al privato, quando contiene prescrizioni restrittive connesse, quale condizione di mantenimento, all’effetto favorevole (peraltro, relative proprio al decorso del tempo), è comunque atto recettizio e, dunque, va necessariamente comunicato.
Si considerino anche le implicazioni pratiche del principio appena espresso.
Se si ammettesse che la concessione edilizia non è atto recettizio, il privato sarebbe praticamente esposto, incolpevolmente, ai ritardi dell’ufficio comunale preposto alla comunicazione dell’atto, il quale, a sua volta, potrebbe “consumare” con i propri adempimenti, o con il proprio comportamento più o meno negligente, parte del termine decadenziale fissato, con ovvie conseguenze in capo al privato, il quale, a sua volta, potrebbe non essere neppure in condizioni di difendersi, “esigendo” il rilascio del titolo, perché, sempre in ipotesi, potrebbe anche (ed ordinariamente dovrebbe essere proprio così) non essere a conoscenza della esistenza di un titolo a suo favore.
Vero è che, una volta ottenuto il titolo con ritardo o addirittura oltre la consumazione del termine annuale, potrebbe chiedere una rimessione in termini o comunque una proroga: ma è evidente che si tratterebbe pur sempre di una attività ulteriore che gli si richiederebbe per ovviare ad una circostanza che non è a lui imputabile e dunque, per fare fronte a quella che resterebbe pur sempre una inefficienza dell’ufficio comunale.
Pertanto, a giudizio del Collegio, ragioni testuali e sostanziali di tutela impongono di ritenere la concessione edilizia come atto avente natura recettizia e dunque ritenere che il termine di decadenza di un anno per l’inizio dei lavori, ha inizio non dalla data in cui il provvedimento è emanato, ma dalla data in cui esso è “rilasciato” ossia consegnato nelle debite forme amministrative facenti fede certa della data, al titolare o al suo delegato (che tale risulti agli atti del Comune).
Dall’analisi appena svolta, emerge dunque che, secondo il Collegio, la concessione edilizia dei controinteressati ha acquisito effetti, nei confronti di questi ultimi, solo dalla data della notifica come risulta dalla relata apposta in calce al provvedimento depositato in atti.
---------------
Venendo adesso alla fattispecie che è all’esame del giudizio, dalla esposizione che precede, si è visto che il legislatore (sia quello regionale che quello nazionale), non contempla i termini di “notifica” o comunicazione dell’atto ampliativo costituito dal titolo edilizio al suo titolare da parte del Comune.
A stretto rigore, quindi, l’Ufficio comunale competente potrebbe non procedere alla notifica nella stessa data di emanazione; anzi, la differenza temporale tra i due momenti potrebbe essere significativa, non essendo normata.
Tuttavia, sebbene non sussista una previsione espressa di procedere “immediatamente” alla notifica della concessione edilizia, dal complesso delle disposizioni in esame e dalla ratio della disciplina dei termini decadenziali contenuti nella concessione per l’inizio e per la fine dei lavori, emerge che sull’Ufficio comunale incombe un obbligo ben preciso di evasione immediata della comunicazione della concessione edilizia all’interessato.
Infatti, scopo della disciplina dei termini per l’inizio e fine dei lavori, nella concessione edilizia, è quello di assicurare l’effettività della disciplina edilizia, ossia che la trasformazione urbana assentita avvenga in quel medesimo contesto territoriale e del comprensorio che è stato considerato nella fase autorizzatoria, in modo da scongiurare che l’evoluzione dell’abitato possa in qualche maniera essere compromessa, rispetto al disegno dello strumento urbanistico, da fenomeni edilizi risalenti, o comunque assentiti in contesti mutati (Consiglio di Stato, V, 28.06.2000, nr. 3638).
Se, dunque, fosse concesso all’Ufficio comunale competente, di dilazionare a sua discrezione il momento della comunicazione dell’atto, si consentirebbe, al di fuori dell’esercizio del potere vincolato che in materia urbanistica incombe circa l’esame delle istanze di concessione edilizia, di rendere inefficace la riconosciuta pretesa del privato al conseguimento del bene della vita, con ogni intuibile conseguenza sia in termini di conservazione dell’interesse legittimo pretensivo (che viene esposto alla possibile mutazione della normativa urbanistica, con conseguente decadenza della concessione edilizia ex art. 15 comma 4 del DPR 380/2001, ossia per l’entrata in vigore di norme urbanistiche in contrasto con la concessione i cui lavori non sono iniziati e, se iniziati, non sono completati entro tre anni), sia in termini di effettività della disciplina urbanistica.
In altri termini, il ritardo dell’ufficio nella doverosa comunicazione del titolo edilizio al richiedente comporta una corrispondente lesione sia dell’interesse privato, che dell’interesse pubblico ed è illegittimo.
Inoltre, si consideri che il “rilascio” della concessione è soggetto ad un regime di pubblicità a terzi costituito dalla pubblicazione all’albo pretorio.
Nella fattispecie, tale pubblicazione è avvenuta contestualmente all’adozione della concessione edilizia, ossia nel 2002.
Laddove la pubblicità a terzi preceda la notifica della concessione al privato richiedente (che non può considerarsi compreso nel novero dei soggetti dei quali si presume la conoscenza per effetto della pubblicazione all’Albo, perché ha diritto alla comunicazione personale), si crea nella collettività dei consociati la consapevolezza dell’avvenuta formazione del titolo tacito, con la conseguenza che ciascuno ha ragione di attendersi la modifica edilizia assentita e, nella mancanza di essa, ritenere decaduto il titolo.
Questa è appunto la posizione dell’odierno ricorrente, il quale ha concretizzato un proprio affidamento sulla decadenza del titolo edilizio (giustificabile, come si è visto, alla luce della maggioritaria giurisprudenza in merito), che lo ha portato, da un lato, ad intentare l’odierno ricorso, dall’altro a non impugnare nella sede di annullamento il titolo edilizio che riteneva decaduto, consumando così i termini di proposizione del gravame (che, in ipotesi, potrebbe essere riproposto solo previo riconoscimento dell’errore scusabile e la rimessione in termini da parte del giudice adito, cosa che presuppone però, da parte sua, l’assunzione del rischio di un giudizio dall’esito, sul punto, tutt’altro che prevedibile).
Quindi la discrasia tra il regime di pubblicità a terzi e la comunicazione dell’atto all’interessato genera incertezza anche nel novero dei possibili controinteressati.
Da questa esposizione e dalla precedente premessa, deriva che, laddove un titolo edilizio sia stato notificato al richiedente in tempi irragionevolmente lunghi, da apprezzarsi in base alle concrete dimensioni degli uffici e della organizzazione del Comune, sussiste in capo all’Ente un preciso obbligo di intervento volto ad accertare:
a) l’attuale validità del titolo edilizio: il contesto potrebbe infatti essere mutato e l’oggetto dell’intervento edilizio a suo tempo assentito potrebbe necessitare di modifiche, adeguamenti o, in ipotesi, potrebbe anche essere divenuto irrealizzabile, con ogni evidente conseguenza in ordine al potere-dovere di annullamento del titolo sussistente in capo al Comune (tale obbligo, nella fattispecie in esame è rafforzato dal fatto che il ricorrente ha chiesto espressamente la verifica della compatibilità tra il titolo edilizio e lo strumento urbanistico, lamentando varie violazioni di quest’ultimo);
b) la responsabilità della mancata comunicazione, che costituisce violazione dei doveri di ufficio dei responsabili degli uffici preposti.
Nella odierna fattispecie, l’attivazione di tali poteri di intervento va considerata come implicitamente compresa nella istanza del ricorrente che è rimasta inevasa: sul Comune incombe infatti l’obbligo, come si è visto prima, di dare risposta alla istanza del privato volta ad ottenere l’esercizio di un potere doveroso quale quello del controllo della validità delle trasformazioni edilizie in corso sul territorio; inoltre, sussiste in capo al ricorrente un preciso interesse alla trasparenza dell’azione amministrativa, che è tutelato dalla legge come interesse generale ed altresì come interesse legittimo sussistente in capo agli interessati ed ai controinteressati di un procedimento amministrativo.
In tal senso, il Comune deve rispondere al ricorrente informandolo di ogni aspetto del procedimento che possa concorrere a fare piena chiarezza sulle ragioni del ritardo con il quale il rilascio del titolo si è completato ed, inoltre, deve accertare l’attuale coerenza del progetto edilizio con il contesto territoriale nel procedimento amministrativo aperto alla partecipazione degli interessati e dei controinteressati.
A tale proposito non soddisfa l’obbligo di attualizzazione del titolo edilizio l’allegato con il quale è stato “modificato” il progetto originale prescrivendo un prolungamento del marciapiede.
L’accertamento va, infatti, condotto anche nelle forme e con le garanzie proprie del procedimento edilizio, primo tra tutte l’acquisizione del parere della Commissione edilizia, ove esistente nell’ordinamento comunale, nonché l’adozione di un atto di modifica della concessione edilizia originaria, nelle forme di legge e l’adeguamento degli importi degli oneri concessori e del contributo di costruzione, ove necessario.
Per tutte queste ragioni e nei limiti indicati, il ricorso è fondato limitatamente alla domanda di condanna del Comune a provvedere sulla istanza del ricorrente, che andrà evaso nei termini sopra indicati, entro il termine di giorni 30 (trenta) decorrenti dalla comunicazione della presente sentenza.
Per assicurare effettività al precetto di cui alla presente sentenza, il Collegio ritiene di ordinarne l’esecuzione al Comune e, per esso, alle persone del Sindaco, del Segretario comunale e del Responsabile dell’Ufficio tecnico, o altro ufficio comunale avente competenza in materia di edilizia ed urbanistica, secondo lo Statuto ed il regolamento dell’Ente, ciascuno secondo la propria competenza e responsabilità.
L’obbligo a provvedere incombe anche sull’ARTA, destinatario della diffida inevasa, il quale non ha attivato i propri poteri di controllo e di intervento, ex art. 53, LR 71/1978.
Quest’ultimo si assicurerà che nei termini indicati avvenga l’esecuzione dell’obbligo a provvedere.
In mancanza, provvederà, a sua volta, ad esercitare i propri poteri di intervento, nei successivi 30 (trenta) giorni.
Decorso quindi anche quest’ultimo termine, in mancanza di puntuale e completa esecuzione dell’obbligo a provvedere, dietro istanza di parte ritualmente notificata a controparte, il Tribunale nominerà un commissario ad acta che, sostituitosi al Comune inadempiente, provvederà in luogo di quest’ultimo, con spese ed oneri a carico del Comune e dell’ARTA in solido.
La presente sentenza è trasmessa alla Procura della Repubblica di Messina perché accerti se sussistano elementi di reato perseguibili d’ufficio
(TAR Sicilia-Catania, Sez. I, sentenza 07.04.2009 n. 678 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: In tema di prescrizione del conguaglio dell’oblazione, la riduzione del relativo termine dai 10 anni ai 36 mesi stabilito dall’art. 35, comma 18, l. 28.02.1985 n. 47, come modificato dall'art. 4 d.l. 12.01.1988 n. 2, conv. in L. 13.03.1988 n. 68, s’applica ai rapporti pendenti ai sensi dell’art. 252 disp. trans. c.p.c., nel senso che decorre dalla data di entrata in vigore della novella per intero, salvo il caso in cui il termine residuo della prescrizione ordinaria sia inferiore ai tre anni.
Soltanto l’omessa presentazione della documentazione prescritta per le domanda di condono edilizio non fa decorrere, oltre che il termine di 24 mesi per la formazione di silenzio assenso, quello collegato di trentasei mesi per la prescrizione del diritto al conguaglio dell’oblazione previsto dall'art. 35, L. 28.02.1985 n. 47.
Trascorsi 36 mesi dalla presentazione della domanda di condono si prescrive, per fatto di legge, il diritto del comune di ottenere il conguaglio delle somme dovute a titolo di oblazione; conseguentemente è illegittimo il provvedimento con il quale il Comune ingiunge il pagamento di un importo ulteriore rispetto a quello determinato in sede di presentazione della domanda di sanatoria e sopraggiunto dopo il decorso del termine di prescrizione del diritto dell'amministrazione all'emanazione di atti sanzionatori.

Come chiarito dalla giurisprudenza (cfr. TAR Sicilia-Palermo, sez. I, 06.07.2004, n. 769: C.d.s. sez. V, 19.04.2007, n. 1809) in tema di prescrizione del conguaglio dell’oblazione, la riduzione del relativo termine dai dieci anni ai trentasei mesi stabilito dall’art. 35, comma 18, l. 28.02.1985 n. 47, come modificato dall'art. 4 d.l. 12.01.1988 n. 2, conv. in L. 13.03.1988 n. 68, s’applica ai rapporti pendenti ai sensi dell’art. 252 disp. trans. c.p.c., nel senso che decorre dalla data di entrata in vigore della novella per intero, salvo il caso in cui il termine residuo della prescrizione ordinaria sia inferiore ai tre anni.
Soltanto l’omessa presentazione della documentazione prescritta per le domanda di condono edilizio non fa decorrere, oltre che il termine di ventiquattro mesi per la formazione di silenzio assenso, quello collegato di trentasei mesi per la prescrizione del diritto al conguaglio dell’oblazione previsto dall'art. 35, L. 28.02.1985 n. 47 (cfr. TAR Puglia Bari, sez. III, 05.06.2004, n. 3394).
Poiché con riguardo alla prescrizione dell'obbligazione relativa all'oblazione per il condono edilizio il "dies a quo" del termine prescrizionale, previsto dall'art. 35, comma 18, l. n. 47 del 1985, per l'esercizio del diritto al conguaglio -da qualificare termine breve ed eccezionale rispetto al termine ordinario decennale- decorre dalla presentazione della domanda di concessione in sanatoria, ovvero dalla integrazione della documentazione da allegare alla domanda e non dal provvedimento comunale che conclude il procedimento di condono edilizio, ovvero dalla maturazione del silenzio assenso (cfr. TAR Sicilia Catania, sez. I, 25.02.2004, n. 449), il Collegio ritiene fondato il relativo motivo di ricorso.
Deve affermarsi, infatti, che in virtù dell'art. 35, comma 12, l. n. 47 del 1985, e successive integrazioni e modificazioni, trascorsi trentasei mesi dalla presentazione della domanda di condono si prescrive, per fatto di legge, il diritto del comune di ottenere il conguaglio delle somme dovute a titolo di oblazione; conseguentemente è illegittimo il provvedimento con il quale il Comune ingiunge il pagamento di un importo ulteriore rispetto a quello determinato in sede di presentazione della domanda di sanatoria e sopraggiunto dopo il decorso del termine di prescrizione del diritto dell'amministrazione all'emanazione di atti sanzionatori.
Più in generale, il Collegio osserva che l’art. 4, comma 6, decreto legge n. 2 del 1988 (come modificato dalla legge di conversione n. 68 del 1988) -che ha, successivamente all'entrata in vigore della legge n. 47 del 1985, stabilito che, decorsi 36 mesi dalla domanda di concessione in sanatoria, "si prescrive l'eventuale diritto al conguaglio ed al rimborso spettanti"- ha solo ridotto a 36 mesi il termine di prescrizione decennale e non ha, invece, ampliato il termine di 24 mesi di cui all'art. 35, comma 12, della legge n. 47 del 1985, che si riferisce all'emanazione del solo provvedimento amministrativo sulla domanda di concessione in sanatoria; da ciò ne deriva che avendo il silenzio assenso (eventualmente formatosi in seguito al decorso di 24 mesi dalla domanda senza alcun provvedimento espresso dell'amministrazione) effetti limitati alla costituzione del tacito provvedimento di concessione in sanatoria, l'autorità comunale conserva, sì, integra la potestà di rettificare l'importo dell'oblazione auto-determinato dal richiedente purché, però, eserciti il relativo potere entro il termine prescrizionale suddetto.
Solo il tempestivo esercizio del potere nell’indicato termine perentorio consente, infatti, al Comune di pretendere il pagamento del relativo conguaglio senza, peraltro, essere obbligato a fornire alcuna motivazione sull'interesse pubblico ad effettuare la rettifica di cui trattasi, non configurandosi quest'ultima, in siffatta evenienza, come annullamento d'ufficio di un provvedimento precedente, ovvero del preteso silenzio assenso avente valore equivalente, bensì come mero esercizio di una facoltà rientrante nel diritto soggettivo ad ottenere il pagamento della somma dovuta (cfr Consiglio Stato, sez. V, 22.11.1996, n. 1388) (TAR Lazio-Latina, sentenza 04.07.2007 n. 477 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: L’accesso ai documenti amministrativi: in particolare, ai pareri legali.
Giova chiarire, preliminarmente e in via generale, che nell’impianto normativo della l. 07.08.1990, n. 241 -Capo V (art. 22 e ss.)- il diritto di accesso ai documenti amministrativi costituisce un principio generale dell’attività amministrativa volto a favorire la partecipazione e ad assicurarne l’imparzialità e la trasparenza, in puntuale applicazione dei principi di legalità, imparzialità e buona amministrazione (ex art. 97 Cost.), che si inserisce, peraltro, a livello comunitario nel più generale diritto all’informazione dei cittadini rispetto all’organizzazione e alla attività amministrativa.
L’accesso ai documenti amministrativi attiene ai livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale. Sicché, in via generale, tutti i documenti amministrativi sono accessibili: le eccezioni a tale principio sono così fissate tassativamente dal successivo art. 24, commi 1, 2, 3, 5 e 6, l. n. 241/1990, nonché con normativa di fonte secondaria (cd. limiti eventuali all’accesso, ex art. 22, comma 6, l. cit.).
L’articolo 22 della legge n. 241/1990 individua, poi, un concetto ampio di documento amministrativo, comprensivo anche degli atti provenienti da soggetti diversi dalla stessa amministrazione. L’Adunanza Plenaria, con le decisioni n. 4 e 5 del 1999, ha chiarito che la disciplina dell’accesso si estende anche agli atti di diritto privato, purché correlati al perseguimento degli interessi pubblici affidati alla cura dell’amministrazione[1].
Tuttavia, nell’ambito del cd. accesso endoprocedimentale (o partecipativo) l’interesse conoscitivo dell’istante viene in rilevo ex sé. Infatti, a mente dell’art. 10, l. n. 241/1990, coloro nei confronti dei quali il provvedimento finale è destinato a produrre effetti diretti o che per legge debbono intervenirvi (cfr., art. 7, 1° comma, l. n. 241) e qualunque soggetto … cui possa derivare un pregiudizio dal provvedimento (cfr., art. 9, l. n. 241) hanno diritto di accedere ai documenti amministrativi. Pertanto, il soggetto partecipante al procedimento amministrativo null’altro deve dimostrare -per legittimare l’istanza ostensiva nei confronti dei relativi atti e documenti- se non la veste di parte dello stesso procedimento.
Diversamente, la più generale tutela di cui all’art. 22 e ss., l. n. 241/1990 (cd. accesso esoprocedimentale), riconosciuta al soggetto estraneo al procedimento amministrativo esige che il richiedente l’accesso dimostri la titolarità di un interesse giuridicamente rilevante collegato agli atti di cui chieda l’esibizione[2]. Invero, l’ostensione ai documenti amministrativi è concessa a tutti coloro che abbiano un interesse diretto, concreto ed attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso (cfr., art. 22, 1° comma, l. n. 241/1990 e art. 2, d.P.R. 12.04.2006, n. 184, recante Regolamento recante disciplina in materia di accesso ai documenti amministrativi).
La prevalente giurisprudenza è concorde nel ritenere che l’aggettivo tutelata non indica l’esigenza che la situazione soggettiva debba essere suscettibile di immediata tutela giurisdizionale, dalla quale discenderebbe una sua identificazione nelle sole posizioni di diritto soggettivo e interesse legittimo, ma l’esigenza che essa sia qualificata (e/o differenziata) dall’ordinamento giuridico. E ciò in ragione del fatto che il diritto d’accesso, oltre alla rilevanza costituzionale, trova la sua collocazione nei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali.
Sicché, a legittimare l’accesso è sufficiente qualsiasi interesse differenziato e protetto dall’ordinamento, purché serio e non emulativo, anche se non immediatamente azionabile in giudizio[3]. Ne consegue che per l’esercizio del diritto di accesso non è necessario che l’istante sia titolare di una situazione giuridica di diritto soggettivo o di interesse legittimo (ossia posizioni giuridiche soggettive piene e fondate), essendo sufficiente che l’istante versi in una posizione giuridica soggettiva, allo stato, anche meramente potenziale[4].
Non deve, tuttavia, trattarsi di un mero interesse di fatto. Tanto è vero che l’accesso ai documenti della pubblica amministrazione non è uno strumento preordinato ad un controllo generalizzato dell’operato delle pubbliche amministrazioni (cfr., art. 24, 3° comma, l. n. 241/1990)[5]. Di talché, è sempre necessaria la motivazione della richiesta di accesso ai documenti amministrativi (cfr., art. 25, 2° comma, l. n. 241/1990). Invero, il 2° comma dell’art. 5 del regolamento di cui al d.P.R. 12.04.2006, n. 184 stabilisce espressamente che “il richiedente deve indicare gli estremi del documento oggetto della richiesta ovvero gli elementi che ne consentano l’individuazione, specificare e, ove occorra, comprovare l’interesse connesso all’oggetto della richiesta, dimostrare la propria identità e, ove occorra, i propri poteri di rappresentanza del soggetto interessato”[6].
In buona sostanza, i principi posti in tema di interesse ad agire per l’accesso devono intendersi come utilità del documento alla concreta protezione della situazione giuridicamente rilevante[7]. Ne consegue che, oltre ad un interesse giuridicamente rilevante (inteso nella più ampia accezione, ovvero anche solo potenziale), costituisce presupposto necessario all’esercizio del diritto di accesso un rapporto di strumentalità tra la situazione giuridica e la documentazione di cui si chiede l’ostensione, quale mezzo utile per la difesa dell’interesse giuridicamente rilevante, e non strumento di prova diretta della lesione di tale interesse[8].
In proposito, si è di recente osservato in giurisprudenza che l’accertamento dell’interesse all’accesso alla documentazione amministrativa va effettuato con riferimento alle finalità che il richiedente dichiara di perseguire e postula un nesso logico-funzionale tra il fine dichiarato dal ricorrente medesimo e la documentazione da lui richiesta, con la conseguenza che il titolare del preteso diritto di accesso deve esporre non soltanto le ragioni per cui intende accedere alla documentazione anzidetta ma comprovare -ove necessario, anche giudizialmente- la coerenza di tali ragioni con gli scopi alla cui realizzazione il diritto di accesso è preordinato[9].
La giurisprudenza ha, altresì, chiarito che l’interesse conoscitivo (sotteso al diritto di accesso) non coincide (né si sovrappone) con la situazione giuridicamente tutelata[10]. Quest’ultima è il presupposto legittimante l’esercizio del diritto d’accesso ai documenti amministrativi, distinta (sebbene correlata e/o collegata) dall’interesse all’accesso. Ciò significando che l’attualità (di cui all’art. 22, 1° comma, lett. b), l. n. 241/1990) è una caratteristica dell’interesse conoscitivo dell’istante, piuttosto che della situazione giuridica tutelata (legittimante l’accesso).
La giurisprudenza si è, infatti, attestata sul principio per il quale il diritto di accesso può essere connesso anche ad un interesse di carattere esclusivamente potenziale, correlato ad eventi e situazioni non ancora concretizzatisi. Da qui anche la netta distinzione rispetto all’interesse ad agire in giudizio, che presuppone invece l’attualità della lesione della situazione giuridica rilevante, ben potendo l’accesso essere finalizzato alle valutazioni preliminari in ordine al se proporre tale azione, e quindi a evitare iniziative giurisdizionali al buio[11]; sotto tale profilo, è sufficiente che l’istante fornisca elementi idonei a dimostrare in maniera sufficientemente chiara e concreta la sussistenza di un tale astratto interesse[12].
Tanto chiarito in via generale, si rileva che i limiti principali al diritto di accesso sono rappresentati dalla segretezza e dalla riservatezza. La prima risponde all’esigenza di tutelare interessi pubblici e generali; la seconda, invece, attribuisce rilievo all’interesse privatistico di mantenere il riserbo in ordine a vicende che coinvolgono la sfera personale o economico-patrimoniale di singoli soggetti, siano essi singoli cittadini o persone giuridiche[13].
In particolare, l’art. 24, comma 1, della legge 07.08.1990, n. 241, stabilisce che il diritto di accesso è escluso per i documenti coperti da segreto di Stato ai sensi dell’articolo 12 della legge 24.10.1977, n. 801, nonché nei casi di segreto o di divieto di divulgazione altrimenti previsti dall’ordinamento. L’art. 2 del D.P.C.M. 26.01.1996, n. 200[14], (rubricato categorie di documenti inaccessibili nei casi di segreto o di divieto di divulgazione previsti dall’ordinamento), prevede poi che a ai sensi dell’art. 24, comma 1, della Legge 07.08.1990, n. 241, in virtù del segreto professionale già previsto dall’ordinamento, al fine di salvaguardare la riservatezza nei rapporti tra difensore e difeso, sono sottratti all’accesso i seguenti documenti:
a) pareri resi in relazione a lite in potenza o in atto e la inerente corrispondenza;
b) atti defensionali;
c) corrispondenza inerente agli affari di cui ai punti a) e b).
I pareri legali sono inoltre sottoposti al segreto professionale di cui all’art. 622 c.p. e art. 200 c.p.p.
Pertanto, in ordine all’accesso ai pareri legali resi all’amministrazione procedente, si è posto il problema di contemperare il principio di trasparenza e pubblicità dell’attività amministrativa ed il diritto della pubblica amministrazione alla riservatezza e segretezza di atti che contengono impostazioni difensive relativi a contenziosi attuali o futuri, contrapposizione in relazione alla quale l’ordinamento, a livello statale, è intervenuto approvando la specifica disciplina contenuta nel DPCM 26.01.1996, n. 200.
In via generale, la giurisprudenza e la dottrina -che maggiormente si sono occupati della questione- hanno ritenuto che i pareri legali si considerano soggetti all’accesso ove siano riferiti all’iter procedimentale e vengano pertanto ad innestarsi nel provvedimento finale, mentre sono coperti dal segreto professionale (artt. 622 c.p. e 200 c.p.p.) quando attengano alle tesi difensive in un procedimento giurisdizionale[15]: conclusione confermata anche dagli artt. 2 e 5 del DPCM 26.01.1996, n. 200.
In particolare, con la pronuncia in esame, il Consiglio di Stato ha affermato che nell’ambito dei documenti sottratti all’accesso rientrano gli atti redatti dai legali e dai professionisti in relazione a specifici rapporti di consulenza con l’amministrazione, trattandosi di un segreto che gode di una tutela qualificata, dimostrata dalla specifica previsione degli articoli 622 del codice penale e 200 del codice di procedura penale. Più specificamente, si è precisato che la previsione contenuta nell’art. 2 del DPCM 26.01.1996, n. 200, mira proprio a definire con chiarezza il rapporto tra accesso e segreto professionale, fissando una regola che appare sostanzialmente ricognitiva dei principi applicabili in questa materia, anche al di fuori dell’ambito della difesa erariale.
Infatti, l’art. 2 cit. ha una portata generale, codificando il principio - valevole per tutti gli avvocati, siano essi del libero foro o appartenenti ad uffici legali di enti pubblici - secondo cui, essendo il segreto professionale specificamente tutelato dall’ordinamento, sono sottratti all’accesso gli scritti defensionali[16]. Il principio di diritto risponde ad elementari considerazioni di salvaguardia della strategia processuale della parte, che non è tenuta a rivelare ad alcun soggetto e, tanto meno, al proprio contraddittore, attuale o potenziale, gli argomenti in base ai quali intende confutare le pretese avversarie.
È pacifico in dottrina come in giurisprudenza che in ordine alle consulenze legali esterne, a cui l’Amministrazione può ricorrere in diverse forme ed in diversi momenti dell’attività di sua competenza, la medesima consulenza legale, pur traendo origine da un rapporto privatistico, normalmente caratterizzato dalla riservatezza della relazione tra professionista e cliente, è soggetto all’accesso, quando oggettivamente correlato ad un procedimento amministrativo. Invero, in tali ipotesi, il ricorso alla consulenza legale esterna si inserisce nell’ambito di un’apposita istruttoria procedimentale, nel senso che il parere è richiesto al professionista con l’espressa indicazione della sua funzione endoprocedimentale ed è poi richiamato nella motivazione dell’atto finale.
Diversamente, quando la consulenza legale viene resa dopo l’avvio di un procedimento contenzioso oppure dopo l’inizio di tipiche attività pre-contenziose e l’amministrazione si rivolge ad un professionista di fiducia, al fine di definire la propria strategia difensiva, il parere del legale non è affatto destinato a sfociare in una determinazione amministrativa finale, ma mira a fornire all’ente pubblico tutti gli elementi tecnico–giuridici utili per tutelare i propri interessi. In tal caso le consulenze legali restano caratterizzate dalla riservatezza, che mira a tutelare non soltanto l’opera intellettuale del legale, ma anche la stessa posizione dell’amministrazione, la quale, esercitando il proprio diritto di difesa (art. 24 Cost.), deve poter fruire di una tutela non inferiore a quella di qualsiasi altro soggetto dell’ordinamento.
Il Consiglio di Stato ha inoltre chiarito che vi è anche una fase intermedia, in cui si manifesta il principio della riservatezza della consulenza legale, successiva alla definizione del rapporto amministrativo all’esito del procedimento, ma precedente l’instaurazione di un giudizio o l’avvio dell’eventuale procedimento pre-contenzioso. Invero, in tali casi, il ricorso alla consulenza legale persegue lo scopo di consentire all’amministrazione di articolare le proprie strategie difensive, in ordine ad un lite che, pur non essendo ancora in atto, può considerarsi quanto meno potenziale. Ciò avviene, precisa il Collegio, quando il soggetto interessato chiede all’amministrazione l’adempimento di una obbligazione, o quando, in linea più generale, la parte interessata domanda all’amministrazione l’adozione di comportamenti materiali, giuridici o provvedimentali, intesi a porre rimedio ad una situazione che si assume illegittima od illecita.
Dunque, volendo schematizzare, il diritto di accesso deve essere riconosciuto con riferimento ai pareri legali richiesti nell’ambito dell’attività istruttoria prodromica all’adozione del provvedimento amministrativo.
Il diritto di accesso è, invece, escluso, oltre che ovviamente per gli atti defensionali, anche per i pareri legali:
- dopo l’avvio di un procedimento contenzioso;
- dopo l’avvio di un eventuale procedimento pre-contenzioso;
- nella fase intermedia successiva alla definizione del rapporto amministrativo all’esito del procedimento, ma precedente l’instaurazione di un giudizio o l’avvio di un eventuale procedimento pre-contenzioso (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 30.09.2010 n. 7237 - link a www.altalex.com).

AGGIORNAMENTO AL 03.02.2011

ã

SINDACATI

ENTI LOCALI: Scheda informativa: impiego in lavori socialmente utili negli enti locali [per titolari di integrazioni al reddito (CIGS, mobilità, disoccupazione] (CGIL-FP di Bergamo, febbraio 2011).

NOTE, CIRCOLARI E COMUNICATI

PUBBLICO IMPIEGOOggetto: Trattenute mensili sugli stipendi dei dipendenti pubblici mediante l'istituto della delegazione – Oneri a carico degli istituti delegatari – Istruzioni operative (Ministero dell'Economia e delle Finanze, Ragioneria Generale dello Stato, circolare 17.01.2011 n. 1/RGS - link a www.rgs.mef.gov.it).

GURI - GUUE - BURL (e anteprima)

PUBBLICO IMPIEGO: G.U. 28.01.2011 n. 22 "Istruzioni operative, per le trattenute mensili sugli stipendi dei dipendenti pubblici mediante l’istituto della delegazione con oneri a carico degli istituti delegatari" (Ministero dell'Economia e delle Finanze, Ragioneria Generale dello Stato, circolare 17.01.2011 n. 1/RGS).

DOTTRINA E CONTRIBUTI

COMPETENZE PROGETTUALI: A. Mafrica e M. Petrulli, Richiesta di permesso di costruire con progettazione firmata da geometra: suggerimenti operativi per l'ufficio tecnico comunale (Ufficio Tecnico n. 11-12/2010).

ESPROPRIAZIONE: M. Spagnuolo, La reviviscenza dell'occupazione appropriativa (nota a commento di Corte Costituzionale, sentenza 04-08.10.2010 n. 293) (Ufficio Tecnico n. 11-12/2010).

INCARICHI PROGETTUALI - PUBBLICO IMPIEGO: M. Balestieri, Conferimento di incarichi di progettazione e di direzione dei lavori ai dirigenti a contratto: danno erariale (Ufficio Tecnico n. 11-12/2010).

EDILIZIA PRIVATA: N. D'Angelo, Opere precarie ed autorizzazione precarie: la ricerca di strumenti alternativi per aggirare la disciplina urbanistica (Ufficio Tecnico n. 11-12/2010).

GIURISPRUDENZA

APPALTI SERVIZIE' legittimo avviare, prima di un anno dalla scadenza, la procedura di gara per l’affidamento del servizio di distribuzione del Gas.
L'art. 14, comma 7, del D.Lgs. 23.05.2000 n. 164 sancisce che "gli enti locali avviano la procedura di gara non oltre un anno prima della scadenza dell'affidamento, in modo da evitare soluzioni di continuità nella gestione del servizio".
La norma pone, dunque, come principio che le gare per l'affidamento del servizio di distribuzione del gas siano avviate con anticipo rispetto alla scadenza delle concessioni in essere. Il legislatore, peraltro, si è limitato a prevedere, a tal fine, il rispetto di un termine minimo, "non oltre un anno prima della scadenza dell'affidamento", consentendo agli enti locali di attivarsi anche prima della scadenza del termine anzidetto.
Questo è il caso sottoposto all’attenzione del collegio dei giudici amministrativi chiamati a vagliare la posizione assunta dai colleghi del Tar di Brescia.
Un comune, avente in essere un contratto con una società per la distribuzione del Gas, ha avviato, tre anni prima della s cadenza del contratto suddetto, le procedure per individuare il nuovo affidatario. Tale scelta è stata posta in discussione dall’attuale gestore del servizio che, sulla base della disposizione di cui al comma 7 dell’art. 14, ha sostenuto l’illegittimità di una tale determinazione in quanto suscettibile di pregiudicare i partecipanti alla gara, impedendo loro di presentare offerte consapevoli.
I giudici di Palazzo Spada non hanno condiviso le perplessità di parte ricorrente e aderendo alla posizione espressa dai colleghi del Tar, hanno invece sostenuto la congruità del tempo preso dall’amministrazione e ne hanno sottolineato la conformità al principio di buon andamento della Pubblica Amministrazione.
Parimenti legittima è stata considerata la previsione del bando di gara con la quale è stata presa in considerazione la possibilità di un affidamento anticipato del servizio per l'ipotesi in cui fosse stato modificato il regime transitorio del D.Lgs. n. 164/2000, consentendosi agli enti affidanti di sciogliere i rapporti concessori in essere prima del 31.12.2009.
A dispetto di quanto sostenuto dalla società ricorrente secondo cui ciò avrebbe introdotto una forte indeterminatezza circa la decorrenza del nuovo rapporto che non avrebbe consentito alla medesima di formulare la propria offerta con piena cognizione delle condizioni di affidamento, i giudici del Consiglio di Stato hanno ritenuto la previsione del bando neutra e priva di concreta lesività limitandosi ad imporre all'aggiudicatario il rispetto di una eventuale, ipotetica normativa sopravvenuta: in sostanza come appunto rilevato dal Tar la previsione obbliga il concessionario a fare: “...quanto in futuro sarà previsto dalla legge” (commento tratto da www.documentazione.ancitel.it - Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 26.01.2011 n. 581 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

PUBBLICO IMPIEGOLa delega alle funzioni di ufficiale dello stato civile non determina il conferimento di un incarico formale allo svolgimento di mansioni superiori.
Il ricorrente, nella pronuncia che commentiamo, in possesso della VI qualifica funzionale, sulla base del fatto di aver espletato, su delega del Sindaco, funzioni di ufficiale dello stato civile, rivendicava il trattamento economico della qualifica corrispondente all’ottavo livello, nel quale andava inquadrato il soggetto svolgente le funzioni di ufficiale dello stato civile.
Per prima cosa, osservano i giudici del Consiglio di Stato, va rilevato che l’appellante non è stato incaricato di svolgere le funzioni superiori con un atto formale, ma è stato soltanto delegato dal Sindaco di svolgere le funzioni di ufficiali di stato civile.
E la delega, continuano gli stessi giudici, essendo un istituto particolare del diritto amministrativo, per cui un soggetto viene investito di volta in volta di svolgere un determinato compito che non rientra nelle sue specifiche attribuzioni, ma in quelle del soggetto delegante, si connette ad un meccanismo che è tipico di un dipendente che è tenuto ad adeguarsi alla delega, per cui lo stesso non opera nell’ambito di funzioni proprie ma in quelle di un altro organo che è invece titolare delle medesime.
Pertanto, dato che è ammissibile la delega del Sindaco ad un dipendente in possesso della VI qualifica funzionale, in questa occasione non si è configurata l’emanazione di un provvedimento formale di svolgimento di mansioni superiori, ma soltanto quello di provvedere in delegazione al compimento di attività di un altro organo.
Ora, concludono i giudici d’appello, tali deleghe, se potranno essere eventualmente valutate in sede di possesso di titolo per lo svolgimento qualificato di funzioni particolari (quelle di ufficiale dello stato civile) non determinano comunque il conferimento di un incarico formale dello svolgimento di mansioni superiori (commento tratto da www.documentazione.ancitel.it - Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 26.01.2011 n. 561 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZINon esiste alcun divieto di gestione diretta del servizio di illuminazione votiva cimiteriale.
Col ricorso contenuto nella pronuncia in rassegna la società originaria ricorrente impugnava una delibera avente ad oggetto "Indirizzo agli uffici per la gestione diretta del servizio di illuminazione votiva nei cimiteri comunali”, con cui era stato deciso di esercitare nella forma dell’amministrazione diretta la gestione e la manutenzione delle lampade votive all’interno dei cimiteri comunali, censurando il tutto per violazione dell’art. 113, t.u.e.l., e dell’art. 23-bis, d.l. n. 112/2008.
I giudici del Consiglio di Stato hanno accolto l’appello, spiegando che i primi giudici hanno ignorato la distinzione tra gestione diretta (sempre praticabile dall’ente locale, soprattutto quando si tratti di attività di modesto impegno finanziario, come nella specie: poche migliaia di euro all’anno) ed affidamento diretto, postulante la scelta di attribuire la gestione di un servizio all’esterno del comune interessato, il che non può accadere se non mediante gara ad evidenza pubblica.
Infatti, nessuna norma obbliga i comuni ad affidare all’esterno determinati servizi (illuminazione pubblica, centri assistenziali, case di accoglienza, case di riposo, case famiglia, assistenza domiciliare per anziani ed handicappati, asili nido, mense scolastiche, scuola-bus, biblioteche, impianti sportivi: tutti servizi che, notoriamente, gran parte dei comuni italiani gestiscono direttamente, senza appaltarli a privati), ove preferiscano amministrarli in via diretta e magari in economia, mentre, nel caso di una differente scelta, il discusso conferimento a terzi deve avvenire tramite gara rispettosa del regime comunitario di libera concorrenza.
Né si vede per quali motivi un ente locale debba rintracciare un’esplicita norma positiva per poter fornire direttamente ai propri cittadini un servizio tipicamente appartenente al novero di quelli per cui esso viene istituito; nella specie, la disciplina legislativa sopra richiamata non contiene alcun divieto esplicito né implicito in tal senso.
Il cit. art. 23-bis recita, ai commi 2 e 3: “Il conferimento della gestione dei servizi pubblici locali avviene, in via ordinaria:
a) a favore di imprenditori o di società in qualunque forma costituite individuati mediante procedure competitive ad evidenza pubblica, nel rispetto dei principi del Trattato che istituisce la Comunità europea e dei principi generali relativi ai contratti pubblici e, in particolare, dei principi di economicità, efficacia, imparzialità, trasparenza, adeguata pubblicità, non discriminazione, parità di trattamento, mutuo riconoscimento e proporzionalità;
b) a società a partecipazione mista pubblica e privata, a condizione che la selezione del socio avvenga mediante procedure competitive ad evidenza pubblica, nel rispetto dei principi di cui alla lettera a), le quali abbiano ad oggetto, al tempo stesso, la qualità di socio e l’attribuzione di specifici compiti operativi connessi alla gestione del servizio e che al socio sia attribuita una partecipazione non inferiore al 40 per cento.
In deroga alle modalità di affidamento ordinario di cui al comma 2, per situazioni eccezionali che, a causa di peculiari caratteristiche economiche, sociali, ambientali e geomorfologiche del contesto territoriale di riferimento, non permettono un efficace e utile ricorso al mercato, l'affidamento può avvenire a favore di società a capitale interamente pubblico, partecipata dall'ente locale, che abbia i requisiti richiesti dall'ordinamento comunitario per la gestione cosiddetta in house e, comunque, nel rispetto dei principi della disciplina comunitaria in materia di controllo analogo sulla società e di prevalenza dell'attività svolta dalla stessa con l'ente o gli enti pubblici che la controllano
”.
Appartiene, in realtà, alla dimensione dell’inverosimile, secondo i giudici d’appello, immaginare che un comune di non eccessiva grandezza non possa gestire direttamente un servizio come quello dell’illuminazione votiva cimiteriale, esigente solo l’impegno periodico di una persona e la spesa annua di qualche migliaio di euro, laddove l’esborso sarebbe notoriamente ben maggiore solo per potersi procedere a tutte le formalità necessarie per la regolare indizione di una gara pubblica (commento tratto da www.documentazione.ancitel.it - Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 26.01.2011 n. 552 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICA: In caso di reiterazione dei vincoli espropriativi realizzata con variante del p.r.g., il termine per l'impugnazione decorre dalla data di pubblicazione del piano.
Secondo costante giurisprudenza, in particolare C.d.S. sez. IV 27.07.2007 n. 4198, che si cita per tutte, infatti “in caso di reiterazione di vincoli a contenuto espropriativo posta in essere attraverso una variante del piano regolatore generale, il termine per l'impugnazione decorre dalla data di pubblicazione del piano, non essendo necessaria la notifica individuale dello strumento approvato”. Si tratta infatti di “prescrizioni che in via immediata stabiliscono le potenzialità edificatorie della porzione di territorio interessata”, che quindi sono immediatamente lesive e vanno immediatamente impugnate, come affermato da ultimo, proprio con riferimento alla localizzazione di opere pubbliche, da C.d.S. sez. VI 08.09.2009 n. 5258 (TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 21.01.2011 n. 145 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: La scelta dei criteri più adeguati per l'individuazione dell'offerta economicamente più vantaggiosa è sottratta al sindacato di legittimità del giudice amministrativo.
La scelta dei criteri più adeguati per l'individuazione dell'offerta economicamente più vantaggiosa costituisce espressione tipica della discrezionalità della stazione appaltante e, impingendo nel merito dell'azione amministrativa, è sottratta al sindacato di legittimità del giudice amministrativo, tranne che, in relazione alla natura, all'oggetto e alle caratteristiche del contratto, non sia manifestamente illogica, arbitraria ovvero macroscopicamente viziata da travisamento di fatto, con la conseguenza che il giudice amministrativo non può sostituire con proprie scelte quelle operate dall'Amministrazione (cfr. da ultimo: TAR Liguria, sez. II, 03.02.2010, n. 233 e n. 237; Consiglio Stato, sez. V, 19.11.2009, n. 7259 e 16.02.2009, n. 837; idem, sez. IV, 08.06.2007, n. 3103; TAR Campania, Salerno, sez. I, 19.06.2009, n. 3300) (TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 20.01.2011 n. 129 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La decisione di non rinnovare la concessione per l’occupazione di suolo pubblico può sorreggersi su ragioni di pubblico interesse.
Premette il Collegio –in linea generale e sulla scorta di giurisprudenza assolutamente consolidata (cfr. da ultimo: TAR Lazio, sez. II – 03/11/2009 n. 10782; 01/04/2009 n. 3479)– che:
• l’occupazione di una porzione di suolo pubblico si configura come una vera e propria concessione d’uso, ossia alla stregua di un provvedimento –espressione di un potere pubblicistico ampiamente discrezionale– con il quale l’amministrazione locale sottrae il predetto bene alla fruizione comune e lo mette a disposizione di soggetti particolari (c.d. uso particolare);
• il titolo abilitativo, pertanto, può essere rilasciato solo previo accertamento che lo stesso permetta comunque di realizzare una funzione primaria o comprimaria del bene pubblico, e non per il conseguimento di interessi meramente privati;
• le menzionate concessioni sono tutte accordate con la facoltà dell’amministrazione d’imporre nuove condizioni, nonché di procedere alla loro sospensione, revoca o modifica.
La giurisprudenza amministrativa ha correttamente evidenziato che la determinazione di non rinnovare, alla sua scadenza, la concessione per l’occupazione di suolo pubblico –provvedimento, quest’ultimo, espressione di ampia discrezionalità– e di esigere il ripristino dei luoghi può sorreggersi su ragioni di pubblico interesse, ed in questo modo è stata ritenuta legittima la scelta dell’amministrazione di privilegiare, in sede di comparazione dei diversi interessi, quello alla realizzazione di un parcheggio rispetto a quello al mantenimento di una rivendita di giornali (TAR Puglia Lecce, sez. III – 14/01/2010 n. 150) (TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 20.01.2011 n. 128 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZI: L’affidamento in concessione del servizio di gestione della piscina comunale costituisce servizio pubblico locale.
La giurisprudenza è costante nel ritenere che l’affidamento in concessione del servizio di gestione della piscina comunale costituisce servizio pubblico locale (Cons. Stato, Sez. V, 06.12.2007, n. 6276), nel senso di servizio riservato in via esclusiva all’Amministrazione per la produzione di beni e servizi con rilievo anche sotto il profilo della promozione sociale, e della salute pubblica, trattandosi di attività oggettivamente funzionale a consentire a qualunque interessato lo svolgimento di attività sportiva (TAR Lombardia, Milano, Sez. III, 12.11.2009, n. 5021).
E’ noto come, ai sensi dell’art. 30 dello stesso corpus normativo, in conformità della disciplina comunitaria, «salvo quanto disposto nel presente articolo, le disposizioni del codice non si applicano alle concessioni di servizi».
Né si può invocare un’applicazione analogica dell’art. 37, comma 9, del codice dei contratti pubblici, in quanto, così opinando, l’intera disciplina verrebbe ad essere estesa alle concessioni di servizi (Cons. Stato, Sez. V, 13.07.2010, n. 4510).
Del resto, l’avviso pubblico si limita a recepire l’art. 38 del d.lgs. n. 163 del 2006, concernente i requisiti di ordine generale, che nulla ha a che vedere, dal punto di vista funzionale (e salve, ovviamente, le esigenze di raccordo per quanto concerne la disciplina delle cause di esclusione), con le modalità di “partecipazione associata” cui fa riferimento l’art. 37 (TAR Umbria, sentenza 19.01.2011 n. 12 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Le norme sulle distanze tra costruzioni, contenute nei piani regolatori e nei regolamenti comunali di edilizia, contrariamente a quelle contenute nel codice civile, essendo essenzialmente dettate a tutela dell’interesse generale, quale la realizzazione di un modello urbanistico prefigurato, non tollerano deroghe convenzionali che, se concordate, sono invalide anche nei rapporti interni tra i proprietari confinanti, salva per quest’ultimi la possibilità di accordarsi sulla ripartizione tra i rispettivi fondi del distacco da osservare.
Le norme sulle distanze tra costruzioni, contenute nei piani regolatori e nei regolamenti comunali di edilizia, contrariamente a quelle contenute nel codice civile, essendo essenzialmente dettate a tutela dell’interesse generale, quale la realizzazione di un modello urbanistico prefigurato, non tollerano deroghe convenzionali che, se concordate, sono invalide anche nei rapporti interni tra i proprietari confinanti, salva per quest’ultimi la possibilità di accordarsi sulla ripartizione tra i rispettivi fondi del distacco da osservare (Cass. nn. 237/2000; 12984/1999 ed altre conformi) (Corte di Cassazione, Sez. II civile, sentenza 23.04.2010 n. 9751).

EDILIZIA PRIVATA: Un muro di contenimento tra due fondi posti a differenti livelli, ove il dislivello sia stato creato artificialmente, è da considerarsi costruzione a tutti gli effetti e come tale soggetta agli obblighi delle distanze previste dall’art. 873 Cc, e dalle eventuali disposizioni integrative.
Un muro di contenimento tra due fondi posti a differenti livelli, ove il dislivello sia stato creato artificialmente, è da considerarsi costruzione a tutti gli effetti e come tale soggetta agli obblighi delle distanze previste dall’art. 873 Cc, e dalle eventuali disposizioni integrative (v. Cass. 4511/1997, 4196/1987), principio dal quale non può che derivare tale assoggettamento, anche nell’ipotesi di accentuazione del preesistente livello naturale, per la parte eccedente quello preesistente (Corte di Cassazione, Sez. II civile, sentenza 22.01.2010 n. 1217).

EDILIZIA PRIVATA: In tema di distanze legali tra edifici, mentre non sono a tal fine computabili le sporgenze estreme del fabbricato che abbiano una funzione meramente ornamentale, di rifinitura od accessoria di limitata entità, come le mensole, i cornicioni, le grondaie e simili, rientrano nel concetto civilistico di costruzione le parti dell’edificio, quali scale, terrazze e corpi avanzati che, seppure non corrispondono a volumi abitativi coperti, sono destinate ad estendere ed ampliare la consistenza del fabbricato; e che, agli effetti dell’art. 873 Cc, la nozione di costruzione, che è stabilita dalla legge statale, è unica, e non può essere derogata, sia pure al limitato fine del computo delle distanze, dalla normativa secondaria, giacché il rinvio contenuto nella seconda parte dell’art. 873 Cc, è limitato alla sola facoltà per i regolamenti locali di stabilire una distanza maggiore (tra edifici o dal confine) rispetto a quella codicistica.
Il danno derivante dalla violazione sulle distanze nelle costruzioni -consistente non solo nel deprezzamento commerciale del bene (aspetto che viene superato dalla tutela ripristinatoria) ma anche dalla indebita limitazione del pieno godimento del fondo in termini di diminuzione di amenità, comodità e tranquillità, trattandosi di effetti egualmente suscettibili di valutazione patrimoniale- è in re ipsa, sicché, una volta dimostrato il fatto obiettivo della violazione, non occorre un’autonoma e specifica prova del pregiudizio sofferto, che può essere valutato dal giudice equitativamente a norma dell’art. 1226 Cc, ove risulti la difficoltà di una sua precisa determinazione in relazione alla peculiarità del fatto dannoso.

Se è possibile per i Comuni integrare l’art. 873 Cc, per quanto riguarda le prescritte distanze tra edifici, non è possibile indicare nelle norme tecniche di attuazione una nozione di costruzione diversa da quella già presente nell’ordinamento giuridico.
In tema di distanze legali tra edifici, mentre non sono a tal fine computabili le sporgenze estreme del fabbricato che abbiano una funzione meramente ornamentale, di rifinitura od accessoria di limitata entità, come le mensole, i cornicioni, le grondaie e simili, rientrano nel concetto civilistico di costruzione le parti dell’edificio, quali scale, terrazze e corpi avanzati che, seppure non corrispondono a volumi abitativi coperti, sono destinate ad estendere ed ampliare la consistenza del fabbricato; e che, agli effetti dell’art. 873 Cc, la nozione di costruzione, che è stabilita dalla legge statale, è unica, e non può essere derogata, sia pure al limitato fine del computo delle distanze, dalla normativa secondaria, giacché il rinvio contenuto nella seconda parte dell’art. 873 Cc, è limitato alla sola facoltà per i regolamenti locali di stabilire una distanza maggiore (tra edifici o dal confine) rispetto a quella codicistica (Cass., Sez. II, 26.05.2005, n. 1556).
Il limite imposto dall’art. 873 Cc, ai regolamenti locali in tema di distanze tra costruzioni è che in nessun caso essi possono stabilire distanze inferiori a tre metri: purché non sia stato violato questo limite, i regolamenti locali, nello stabilire distanze maggiori, possono anche determinare punti di riferimento, per la misurazione delle distanze, diversi da quelli indicati dal codice civile, escludendo taluni elementi della costruzione dal calcolo delle più ampie distanze previste in sede regolamentare (Cass., Sez. II, 22.06.1990, n. 6351; Cass., Sez. II, 13.05.1998, n. 4819).
La norma, così interpretata, si porrebbe in contrasto con quella del codice civile solo nel caso in cui, misurata la distanza regolamentare in questo modo, i balconi esistenti determinassero poi una distanza tra le due costruzioni in questione inferiore a quella prescritta dal codice civile.
Secondo il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità (Cass., Sez. II, 23.03.1993, n. 3414; Cass., Sez. II, 17.05.2000, n. 6414; Cass., Sez. II, 07.03.2002, n. 3341; Cass., Sez. II, 27.03.2008, n. 7972), il danno derivante dalla violazione sulle distanze nelle costruzioni -consistente non solo nel deprezzamento commerciale del bene (aspetto che viene superato dalla tutela ripristinatoria) ma anche dalla indebita limitazione del pieno godimento del fondo in termini di diminuzione di amenità, comodità e tranquillità, trattandosi di effetti egualmente suscettibili di valutazione patrimoniale- è in re ipsa, sicché, una volta dimostrato il fatto obiettivo della violazione, non occorre un’autonoma e specifica prova del pregiudizio sofferto, che può essere valutato dal giudice equitativamente a norma dell’art. 1226 Cc, ove risulti la difficoltà di una sua precisa determinazione in relazione alla peculiarità del fatto dannoso
(Corte di Cassazione, Sez. II civile, sentenza 10.09.2009 n. 19554).

inizio home-page